PreTesti - Telecom Italia

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PreTesti - Telecom Italia
pretesti
Occasioni di letteratura digitale
Molfetta.
Ritratto di un anarichico
di Emanuele Trevi
Giovanni Arpino «chicco
individuo»
di Rolando Damiani
La carezza della regina
di Gerbrand Bakker
Giugno 2012 • Numero 6
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Bilocale arredato
di Marco Archetti
pretesti | Giugno 2012
Il meglio
della narrativa
e della
saggistica
italiana
e straniera
in oltre
24.000 titoli
www.cubolibri.it
Editoriale
“Gialla… come il liquore che strega le parole”, così canta la rosa Vinicio Capossela, così
la rosa “stat pristina nomine, nomina nuda tenemus”, solo il nome resta delle cose e del
liquore lo spirito non è che sostanza aerea, immateriale, intoccabile. Non toccateci dunque
il Premio Strega, giallo come le rose della gelosia, volatile come la bellezza delle parole che
premia: il Premio per antonomasia della letteratura contemporanea italiana. E quest’anno
non toccateci lo Strega, anche perché, in tempi non sospetti, abbiamo voluto ospitare un
racconto di uno scrittore formidabile come Emanuele Trevi, che oggi si ritrova selezionato
nella cinquina in concorso per la vittoria finale del Premio Strega. E oggi lo leggiamo nella
storia di copertina del numero di giugno di “PreTesti”. E insieme a Trevi avremo anche il
racconto inedito di Marco Archetti, promessa già mantenuta della letteratura italiana emergente. Celebriamo poi il grande scrittore Giovanni Arpino, del quale ricorre quest’anno
il venticinquennale dalla scomparsa, con la riflessione di Rolando Damiani, curatore per
i Meridiani Mondadori delle sue opere. Anticipiamo quindi un brano del libro Giugno di
Gerbrand Bakker in uscita in Italia per Iperborea.
Per “Il mondo dell’ebook” Daniela De Pasquale analizza la recente situazione del mercato
che presenta una forte contrazione dei volumi e del fatturato dell’editoria. Stiamo diventando un popolo di analfabeti? Roberto Dessì, al contrario, si concentra sulla possibilità che
gli ebook possano invece essere un volano di cultura per i paesi emergenti.
Valeria Della Valle e l’Accademia della Crusca per “Sulla punta della lingua” va a caccia
delle nuove parole della lingua italiana e Fabio Fumagalli in “Buona la prima” ci fa conoscere la storia di Casa di bambola di Henrik Ibsen. Luca Bisin ci porta invece in viaggio sulle
rotte di Corto Maltese e Francesco Baucia ci fa scoprire la cucina di Pellegrino Artusi.
Ubriacatevi allora nelle storie dei nostri autori. Dateci dentro: lasciatevi stregare dalla letteratura.
Buoni PreTesti a tutti.
Roberto Murgia
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Indice
Testi
Il mondo
dell’ebook
Rubriche
05-11
Racconto
Molfetta. Ritratto di un
anarchico
di Emanuele Trevi
30-34
Il digitale? “The next big
thing” della lettura
di Daniela De Pasquale
39-41
Buona la prima
Henrik Ibsen “Casa di
bambola” (1879)
di Fabio Fumagalli
12-18
Saggio
Giovanni Arpino «chicco
individuo»
di Rolando Damiani
35-38
Gli eBook fanno bene
di Roberto Dessì
42-44
Sulla punta della lingua
Parole nuove nella lingua
italiana
di Valeria Della Valle
19-22
Anticipazione
La carezza della regina
di Gerbrand Bakker
45-47
Anima del mondo
Senza mettere radici
di Luca Bisin
23-29
Racconto
Bilocale arredato
di Marco Archetti
48-51
Alta cucina
Fare una ricetta è men che
niente...
di Francesco Baucia
52
Recensioni
53
Appuntamenti
54
Tweets / Bookbugs
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Racconto
MOLFETTA.
RITRATTO DI UN
ANARCHICO
di Emanuele Trevi
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Puntuale, il momento arrivò. Ci eravamo
spinti in un quartiere ostile e lontano, per
attaccare dei manifesti in onore di Geronill’eventualità di prenderle di sanmo, il capo pellerossa, esempio per tutti i
ta ragione, prima o poi, ci avevo
popoli oppressi dagli americani. L’agguato
pensato un sacco di volte ‒ cerfu rapidissimo. Tutte le battaglie di quarcando di immaginarmi l’eventiere di quei temi, in realtà, anche quelle
to nei minimi dettagli. Il vecchio Molfetta,
più gravi, dove potevano scapparci morti
che era il decano del circolo anarchico che
e feriti gravi, duravano pochissimi minuti.
frequentavo, e che era sempre prodigo di
Ci arrivarono addosso quando ormai penconsigli con noi novellini, a questo proposavamo di averla fatta franca. Non erano
stito era categorico. “Per imparare ad antanti, ma era gente abituata a picchiare, ardare a cavallo”, sentenziava col suo indemata di catene, cresciuta in quella zona dellebile accento di emigrato pugliese, “devi
la città. Non restava che darsela a gambe,
cadere, giusto? E allo stesso modo, per escercando di non rimanesere un bravo anarchico
re completamente soli.
devi prenderle: poco ma
“Per imparare ad
Fu proprio questo il mio
sicuro. In certe situazioandare
a
cavallo”,
errore. Non so come, mi
ni, quando sei circondato
sentenziava
col
suo
ritrovai con due brutti
da un gruppo di fascisti
indelebile accento di ceffi alle calcagna, nel sio celerini, è inutile anlenzio di un cortile conemigrato pugliese,
che solo pensare di difendersi. Fate come le
“devi cadere, giusto?” dominiale deserto. Dal
collo taurino di uno dei
tartarughe: rannicchiatedue bruti pendeva una
vi per terra, difendete la
svastica d’argento. Con buona pace del
faccia”. Quanto alla cicatrice che lui stesvecchio Molfetta, le cose che temi non sono
so, Molfetta, aveva sullo zigomo sinistro,
mai come te le sei lungamente immaginate.
si diceva che non c’entrassero né i fascisti
Non ci fu tempo di assumere l’ingloriosa
né la polizia, ma fosse opera di una donma efficace posizione della tartaruga. Uno
na gelosa, la prima moglie lasciata al paedei due tizi mi colpì alla fronte con un case, una bigotta assolutamente ostile al libero
sco, brandito come un’arma. Il bordo della
amore degli anarchici, che Molfetta, a suo
visiera, in plastica dura, mi causò un terridire, aveva sempre praticato fieramente.
bile, bruciante dolore. Al momento di tocMa insomma, prenderle era il destino dei
care terra dovevo essere già svenuto ‒ più
bravi anarchici. Erano gli splendidi, feroper la paura, credo, che per la botta in sé.
ci, irripetibili anni Settanta, avevo diciasInvece che a una tartaruga, dovevo assosette anni, e non desideravo di meglio che
migliare a uno straccio abbandonato sul
diventare un bravo anarchico. L’idea di
pavimento. E così mi hanno trovato i miei
prenderle non mi piaceva affatto. Ma il decompagni, tornati sui loro passi quando, fistino, per citare ancora una volta il saggio
nito l’assalto, si erano accorti che mancavo
e loquace Molfetta, era il destino: “un porall’appello.
co al servizio dei padroni, molto spesso”.
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A
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così profonda, che mai nella mia vita, ancora così inesperta sotto tutti i punti di vista, avevo immaginato che si potesse stare
Le cose, lo ripeto, non sono mai come te le
così a disagio, perdendo il piacere, la curiosei immaginate. Un dolore, una gioia, una
sità, la fame di esperienze. La conseguenpaura, al momento di diventare reali assuza più grave di quella nuova e inaspettata
mono la loro veste definitiva di fatti unici, e
condizione era che non avevo più voglia
irripetibili. Finché facevano parte degli indi mettere piede fuori di casa. Me ne stavo
finiti repertori dell’immaginazione, questi
nella mia stanza, senza nemmeno la voglia
fatti erano puri schemi astratti, senza peso
di sentire un disco, di leggere un fumetto.
e senza colori reali, e pensavamo di poter
Ai miei avevo raccontato di una caduta
reagire ad essi come nei film, o nei racconti
dal motorino. Erano, i nostri, i genitori più
degli altri. Ma la nostra vita è un’altra cosa:
smarriti, inadeguati, incapaci di esercitare
più limitata e più imprevedibile nello stesun qualunque tipo di autorità, che la storia
so tempo. E così, io mi ero cullato a lungo
umana abbia mai conosciuto. Quell’orda di
nell’idea che, una volta che le avessi prese ‒
ragazzini in rivolta
cercando di limitare
che si erano trovati
i danni con il ricorso
davanti li sgomentaalla posizione della
va. Avrebbero fatto
tartaruga ‒ un’altra
di tutto per darsela a
tappa del mio apgambe. In ogni caso,
prendistato di anarfingevano di credere
chico sarebbe stata
a molte più cose di
raggiunta e superaquelle che effettivata. Come i guerrieri
mente credevano. E
antichi, sarei potucosì, anche la storia
to andare fiero delle
del motorino era staeventuali ammaccaCarlo Carrà, I funerali dell’anarchico Galli
ta accettata. Del reture e cicatrici. Sarei
sto, la ferita era vistosa, ma non grave, e nel
stato (e questo era il premio più prezioso)
giro di qualche settimana, come decretò il
l’eroe di un racconto, da ripetere all’infinimedico della mutua, l’escoriazione si sarebto agli amici con progressivi aggiustamenti
be del tutto rimarginata. Quello che proprio
e variazioni degne di un aedo greco. Nulnon riuscivo a rimarginare apparteneva a
la di tutto questo accadde. Avevo un taglio
un dominio, a un territorio della realtà del
che mi attraversava la fronte da un lato
tutto differente. Lì, nel regno invisibile delall’altro, simile al corso di un lungo fiume
le paure e delle emozioni, dei desideri e dei
tropicale sulla cartina di un paese esotico.
rimpianti, si era aperta un’altra ferita, tanMa all’orgoglio dell’eroe si era sostitituita,
to larga e profonda che leccarsela in qualfin dalle prime ore, una profonda tristezche modo mi appariva un compito assurdo
za mista a paura e vergogna. E questo ined impossibile, come svuotare il mare con
nominabile, sconosciuto sentimento si era
un secchio. Quello che stavo vivendo, era
impadronito di me in maniera così totale,
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una specie di triste battesimo: la scoperta,
per così dire, dell’invivibilità della vita. Tale
scoperta si ripete, ahimé, in molti momenti
cruciali dell’esistenza. Per qualche rarissimo poeta o filosofo è una fonte, dalla quale
ricavare insegnamenti amari e preziosi. Per
la maggior parte dell’umanità, è solo un’esperienza orribile, come quella che stavo
facendo io, rinchiuso nella mia stanzetta,
guardando l’ombra di una tenda allungarsi
lentamente sul soffitto, un pomeriggio dietro l’altro.
monolocali e seminterrati ai margini estremi della città. Me lo ricordo come fosse ieri,
con il suo barbone sale e pepe, la camicia
a quadri curva sotto il peso della grande
pancia come una vela gonfia di vento, il
basco calcato sulla testa che portava estate e inverno. Si scusò bofonchiando qualcosa. Mia madre e mia sorella, incuriosite
da quel mio strano amico, lo invitarono a
sedersi a tavola con noi. Molfetta non se lo
fece ripetere due volte. Gli serviva pochissimo per trasformare l’impaccio in familiarità. Cos’erano, in fondo, le classi sociali?
Gli serviva pochissimo per trasformare l’impaccio in
familiarità. Cos’erano, in fondo, le classi sociali? Le vecchie
ingiustizie, si poteva dire, avevano i giorni contati, come la
neve alla fine dell’inverno.
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Gli unici aiuti che contano davvero, bisogna ammettere, sono quelli che provengono da dove meno te lo aspetti. Fu il vecchio
Molfetta, quel solenne rompiscatole, quella
miniera inesauribile di aneddoti, a tirarmi
fuori dal vicolo cieco in cui mi ero cacciato. Aveva saputo della rissa, e si aspettava
di rivedermi al circolo anarchico, assieme
agli altri ragazzini che si sentiva in dovere
di istruire sulle profonde verità della vita e
sulle tecniche della rivoluzione. I miei amici gli avevano raccontato che l’avevo presa male, che stavo sempre chiuso in casa.
E un giorno, eccomelo di fronte, introdotto
dalla donna di servizio in una sala da pranzo borghese che non poteva che metterlo
in impaccio, lui che era sempre vissuto in
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Le vecchie ingiustizie, si poteva dire, avevano i giorni contati, come la neve alla fine
dell’inverno. Come se mia madre e mia sorella potessero davvero andarne fiere, sottolineava spesso, passando dall’universale
al particolare, come io, ancora così giovane,
potessi già considerarmi un bravo anarchico,
qualcuno in grado di affrettare l’arrivo dei
tempi nuovi. “Certo”, aggiunse a un certo
punto accompagnando le parole con un vistoso occhiolino, “bisogna guidare con prudenza !!!”.
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Ed eccoci barricati in camera mia, io e l’instancabile, loquace, sudato Molfetta. Dopo
un primo momento di imbarazzo, causato
dal fatto che stavo rivelando a quell’auten-
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Quell’Humpty Dumpty
barbuto, con gli occhi
nerissimi sempre
accesi come carboni
scintillanti, in qualche
oscuro e poetico modo
rappresentava tutta
l’Anarchia
tico proletario la mia condizione di borghese, servito a tavola da una cameriera in una
sala da pranzo più grande di tutte le case
che aveva mai abitato, quella visita mi aveva fatto piacere. A dispetto della logica, nel
mio sfuggire il mondo mi sentivo dimenticato. E Molfetta veniva a dimostrarmi che
la mia sofferenza era presa nella giusta considerazione. Quell’Humpty Dumpty barbuto, con gli occhi nerissimi sempre accesi
come carboni scintillanti, in qualche oscuro e poetico modo rappresentava tutta l’Anarchia, con il suo interminabile corteo di
eroi e di martiri. Ma adesso, rimasti faccia
a faccia, tra noi si era steso un leggero velo
di disagio, come ogni volta che qualcuno,
che per noi è sempre stato un personaggio,
si accosta a noi come una persona. Per noi
ragazzini, Molfetta era sempre stato una
maschera comica. Gli volevamo bene, ma
lo prendevamo in giro appena voltava le
spalle. Proprio io ero il più abile nell’imita9
re la sua cadenza pugliese, e i suoi interminabili discorsi sul libero amore e sulla pace
perpetua tra i popoli. Ed eccolo qui, invece, di fronte a me, che scrutava la mia ferita
mentre si accendeva una delle sue puzzolenti Nazionali senza filtro.
“Quando torni al circolo? I tuoi amici ti
aspettano... siete un bel gruppetto di anarchici in erba. Io, alla vostra età... ma lasciamo perdere, lo so che mi prendete in giro
per tutte le storie che racconto. Che te ne stai
a fare qui, sotto le gonne di mamma? È una
donna simpaticissima, e una vera signora,
per inciso... ma insomma, mi hai capito.”
“Sto un po’ a casa, Molfetta. Presto torno a
trovarvi. Ho anche avuto... un po’ da fare.”
“Cose così importanti da trascurare i tuoi
amici, tutte le persone che ti vogliono
bene?”
“Ma no, che dici...”
“Stammi a sentire: io per queste cose ci
sono passato molto prima di te. Non è che
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anche una cosa buona, in tutto questo. La
per caso, da qualche parte dietro quella
sai quale?”
fronte sgarata, tu stai coccolando l’idea che
“No, non la so.”
le persone che erano con te, quella sera di“E allora te lo spiego io. Quando rimani da
sgraziata, non ti hanno difeso abbastanza,
solo è duro, in tutti i casi. Ma se stai da solo
non sono stati capaci di capire da che parte
impari l’arte ‒ mi capisci?”
eri scappato?”
“Ma che arte dovevo imparare?”
Decisamente, Molfetta conosceva l’animo
“L’arte di prendere le botte. Non è facile.
umano, questo congegno così delicato e
Non c’è nessun libro che te la può insegnacosì stupido nello stesso tempo. Eccolo lì
re. Me le vorrei essere
stanato, e messo a
prese io, che sono vecnudo come un verchio e coriaceo, le tue.
me solitario estratto
Ma quelle erano per
dalle viscere, il vero
te. E di sicuro te la sei
rancore che nutrivo
cavata bene: non hai
nel mio isolamento.
chiesto pietà al nemiSarebbe stato molco, non hai tradito te
to duro confessarlo.
stesso. Sei ancora qui,
Ma Molfetta non vocon la vita davanti.”
leva confessioni. Le
cose sono vere molEra proprio vero: ero
to al di là di quanto
ancora lì, e la vita mi
e come le confessiamo.
“Quando rimani da solo è stava davanti, come
se fosse una campagna
“Fatti dire una cosa, raduro, in tutti i casi.
fiorita, una pista da sci,
gazzino. I nostri comMa
se
stai
da
solo
impari
un’acqua limpida in cui
pagni sono la cosa più
l’arte
–
mi
capisci?”
nuotare. Il vecchio Molpreziosa che abbiamo.
fetta, con la sua visita
Ed è per questo che li
così provvidenziale, mi aveva guarito dal
vorremmo sempre vicini, quando le cose si
dolore di avere imparato qualcosa. Perché
mettono male. Ma non possono. Da quello
quando davvero impari qualcosa, non puoi
che mi hanno detto, sei rimasto indietro, e
farla franca: questa cosa ti farà male. E l’upoi sei scappato in un cortile chiuso. Sei rinica variabile a cui puoi badare, tutto sommasto solo.”
mato, è se ne valeva davvero la pena, oppu“Dài Molfetta, inutile rivangare, non è stata
re era meglio rimanere ignoranti. Ad ogni
colpa di nessuno.”
modo, il circolo anarchico si sciolse, con“Non è a me che devi dirlo, ragazzino. Sei
fluendo in una più vasta organizzazione,
tu che stai spargendo colpa come fosse merma per molti anni non ho perso del tutto di
da. Su di te e sugli altri. Ma ogni tanto, nella
vista Molfetta. Ogni manifestazione, ogni
vita, solo ci rimani. Davvero senza colpa di
assembramento umano in cui fosse possinesuno, come tu fingi di pensare. Però c’è
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bile distribuire del materiale anarchico, prima o poi lo vedeva apparire, col suo basco
e il barbone sempre più candido. Ci appartavamo a fumare una sigaretta, a parlare
della rivoluzione. Negli occhi dardeggiavano le stesse braci di sempre. Da una bacchetta appoggiata alle sue spalle, pendeva
il drappo nero degli anarchici, con la sua A
cerchiata. È un onore sventolare quella bandiera. Nessuno degli ideali di quell’uomo
si è mai realizzato, eppure ancora oggi penso che nulla di più giusto ed utile sia stato
pensato dagli uomini a favore dei loro simili. Non ero un intimo di Molfetta, e non so
che fine abbia fatto. L’ultima volta che l’ho
visto, mi confidò di essere stanco e malato,
e di avere voglia di passare gli ultimi tempi
al suo paese, in Puglia. Tanti che sono stati giovani a Roma durante gli anni allegri
e folli della grande rivolta, si ricordano di
Molfetta, del suo basco e dei suoi aneddoti.
E non c’è tomba migliore, direbbe lui, che il
cuore dei propri compagni, il cuore fiero e
generoso degli anarchici.
Quando davvero impari qualcosa, non puoi
farla franca: questa cosa ti farà male.
E l’unica variabile a cui puoi badare, tutto
sommato, è se ne valeva davvero la pena.
L’ultimo libro di Emanuele Trevi
Emanuele Trevi
Emanuele Trevi (Roma, 1964) è scrittore e critico letterario. Ha esordito
come autore di narrativa con I cani del nulla (Einaudi, 2003), ha pubblicato
per la collana Contromano di Laterza Senza verso (2005), L’onda del porto
(2005) e per Rizzoli Il libro della gioia perpetua (2010). Il suo ultimo romanzo, Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie 2012), è finalista al Premio Strega
2012. È autore di numerose curatele e saggi: fra questi, i volumi Istruzioni
per l’uso del lupo (Castelvecchi 1994) e Musica distante (Mondadori 1997).
Ha inoltre pubblicato i libri-intervista Invasioni controllate (con Mario Trevi,
Castelvecchi 2007) e Letteratura e libertà (con Raffaele La Capria, Fandango
2009). Collabora con la Repubblica, il manifesto, Il Messaggero e Il Foglio. È
conduttore di programmi radiofonici per Rai Radio 3. I suoi libri Senza verso, Il libro della gioia perpetua e Qualcosa di scritto sono disponibili in ebook
da Cubolibri.
Disponibile su www. cubolibri.it
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Saggio
GIOVANNI
ARPINO
«CHICCO
INDIVIDUO»
Pensieri, parole
e opere di un
anarchico-borghese
di Rolando Damiani
P
ochi giorni dopo l’agguato brigatista a Carlo Casalegno, suo amico e vicedirettore alla «Stampa»,
Arpino pubblicò un articolo coraggioso sul ruolo dell’intellettuale, poi
raccolto nel quinto volume delle sue Opere
edite da Rusconi in una sezione intitolata
Autoritratto. Scrisse, guardando di riflesso
a se stesso:
L’intellettuale, già. Ma chi sarebbe? Vorrei citare Carlo Emilio Gadda, che intellettuale totalmente fu. Parlando di buon
risotto, ci teneva a indicarlo come un
cibo composto da «chicchi individui»,
chiaramente separati l’uno dall’altro.
E nel nostro doloroso, forse immondo,
«risotto storico», l’intellettuale non può
essere altro che un chicco individuo.
Non appartiene a una corporazione,
non può costituire clan […] Il primo coraggio dell’intellettuale consiste nell’individuare il male, il bubbone, la piaga
e nell’opporsi a coloro che teorizzano o
«inventano» il male anche dove non c’è
pur di creare falsi scopi e sollevare nuovi fanatismi.
Non solo nel modo di pensare e di essere ma in primo luogo nella sua natura di
scrittore e chroniqueur è stato un «chicco
individuo» l’autore presentato da Vittorini
nel revers di Sei stato felice, Giovanni (decimo dei «Gettoni» apparso nel giugno 1952)
come unicamente radicato «nella propria
generazione», e già qualche anno dopo
capace, poco più che trentenne, di realizzare con La suora giovane «un capolavoro»
in un genere indefinibile per il fatto stesso
di «essere tuttora in fieri», diceva Montale
nella recensione sul «Corriere». E un autodidatta, senza il modello di maestri nep-
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pure fra i narratori prediletti alla cui testa
c’era Flaubert, Arpino volle fino all’ultimo
dichiararsi, talora in “confessioni” come
quella annessa nel 1983 al racconto Il viale
nero pubblicato dalla SEI. Le diede per titolo Perché ho scelto questo mestiere, immaginando di rivolgersi a esordienti nelle attività che svolgeva.
Si presentò in abito di lavoro, ammettendo
di poter fare a tratti «certe cose con pochissima fatica». Pressato dal giornale, riusciva a redigere in mezz’ora articoli magari
accolti poi con elogi: durante le Olimpiadi
o ai Mondiali di calcio era giunto all’exploit di dettare al telefono un pezzo quasi di seguito alla conclusione della gara o
partita di cui doveva riferire. Al contrario
ogni storia per un romanzo o un racconto
lo obbligava a lunghe riflessioni e a uno
stato fisico alterato: era come se la temperatura gli salisse «intorno ai 40 gradi» e di
conseguenza, alla maniera di un malato, si
chiudeva in se stesso, diventava assente,
taceva con tutti delle sue immagini mentali. Non era reticente nel dichiarare in quali
condizioni scriveva, ma consigli o ammonimenti era certo che da lui mai sarebbero
arrivati per un motivo spiegabile in breve:
Nessun scrittore vero può dar consigli
su come e perché e cosa scrivere a chi
gli domanda: vorrei scrivere, mi aiuti.
Non c’è aiuto che tenga. Uno scrittore
si alleva da solo, e mentre sta allevandosi neppure se ne accorge. […] Qualcuno disse che la vita è un compito da
affrontare in piedi. E così è lo scrivere.
Chi non sa scrivere in piedi, moralmente parlando, è uno che imbroglia, un facilone che bracca il successo e non la verità dolente ma sovrana della Scrittura.
pretesti | Giugno 2012
A Bruno Quaranta doveva ripetere, negli
ultimi mesi che gli restavano, una convinzione già fissata in gioventù:
Non ho mai voluto né potuto considerare un vivente come un maestro. Ho
sempre obbedito a me stesso, all’imperativo categorico avvertito sin da piccolo: essere scrittore. Il mio mestiere (ammesso che lo sia) sfugge ai consigli. Non
c’è aiuto che tenga: il narratore di storie
si alleva da solo (o non esiste). Piuttosto, lungo il cammino verso la maturità
(l’ossessione di Pavese) mi hanno accompagnato «maestri di libro», con cui
via via mi sono misurato, talvolta concordando. Altre no.
In questa lunga intervista destinata a uscire postuma nel volume di Quaranta Stile
Arpino. Una vita torinese (SEI, 1989) preferì
guardare a giornalisti più che a narratori nel riconoscere un affine per temperamento e fece il nome di Montanelli, che lo
Il film Profumo di donna tratto da Il buio e il miele
“Qualcuno disse che la vita è un compito da affrontare in
piedi. E così è lo scrivere.”
aveva accolto al «Giornale» dal novembre
1979 perché vi scrivesse un po’ a suo piacimento. Si spinse a definirlo «un fratello,
talvolta molto più giovane e impulsivo» di
lui stesso:
Apparteniamo, pur venendo da radici
ed esperienze diverse, alla razza degli anarchici-borghesi, una definizione
che piaceva a Prezzolini ma inventata
nientemeno che da Jean Gabin. Siamo
moderni, europei veri, con retaggi risorgimentali, con un certo senso dello
14
Stato, con un pessimismo della ragione
correggibile solo attraverso il dovere (il
quale, nella nostra inguaribile stolidità,
non ci «fa fatica»).
La sembianza di anarchico-borghese era
stata assunta da Arpino sin dai primi racconti ed esibita in Sei stato felice, Giovanni,
il suo «gettone d’esordio picaresco, anarchico, corsaro», come amava chiamarlo.
Non l’avevano mascherata neppure le raffinatezze della Suora giovane, «deliziosa»
trama all’insegna dell’«arte per l’arte», se-
pretesti | Giugno 2012
condo Montale. Viaggi con spirito ribelle
di di Promemoria della raccolta Fuorigioco
e improvvise partenze e dissimulazioni
uscita nel ’70: «Non chiedere di me, io non ci
sono già temi costanti in queste opere giosono, / non vedo, non capisco, non perdovanili ed egli stesso nell’avventura innanno, / non sento, non ribatto, non appaio /
zitutto di scrittore dovrà di volta in volta
là dove sembro, non mordo, non abbaio. /
ripartire, cargar la suerte (espressione da lui
Quello che è stato è stato e mi condanna /
spesso citata quasi come un proprio stemquello che ho avuto ho avuto e non è manma araldico), bruciare i vascelli alle spalle,
na / quello che ho perso è mio e mi ci straessere molteplice e versatile sino a rendere
zio / non ho più fame ma non sono sazio».
inafferrabile la sua fisionomia. «Si direbbe
Fughe dagli altri e anche da sé si replich’egli diffidi delle qualità che farebbero
cano nella narrativa di Arpino: scappa e
di lui un narratore lirico, senza programsi nasconde nella genovese via di Prè il
mi e intenzioni, un narratore, absit iniuria,
«Bello» alter ego dell’autore nel romanzo
“puro”», scrisse in un’altra occasione Moninaugurale, e di nuovo alla fine dell’azzartale al suo riguardo, imputandogli un ecdo vissuto si trova davanti a un treno e a
cesso di capacità come
un’altra meta possibile;
«evidente ostacolo». “Arpino, in Sei stato felice, come pure il ragionier
Era del resto un piano
Mathis dopo l’incontro
Giovanni
,
ha
voluto
per l’intera esistenza
con i genitori di suor
raffigurare l’alternativa
annunciato da una poSerena in cui culmina
radicale alla poetica
esia dell’aprile 1946,
la sua detection amoroVita d’uomo, posta in
sa, controlla alla stazioneorealista, un’altra
apertura di Dov’è la
ne di Mondovì i cartelprospettiva, un modo
luce?, la plaquette liriloni degli orari e vede
totalmente
diverso
di
ca che aveva pubblicache «una riga d’unto»
proporre,
nella
letteratura,
to a diciannove anni,
rende illeggibili i nula vita”
prima di sperimentare
meri delle partenze per
la vastità del mondo:
Torino, mentre «è lin«Io vivo in un deserto. / Talvolta solo la mia
do, senza uno strappo» il manifesto in cui
ombra / è accanto a me, distesa. / E nulsono indicate le corse da Torino a Milano
la attorno […] / Poi il deserto si popola /
e da lì a Ferrara, dove Serena ha chiesto di
diventa moltitudine: / tutti gli uomini enessere trasferita.
trano in me. / E su di essi scorre il mio
In modo analogo vagabonda da Torino a
sguardo / e in ogni sguardo / si ritrova.
Napoli con un giovane militare nel ruolo di
/ Solitudine e folla: / ecco cos’è / la mia
succube attendente il cieco capitano Fauvita».
sto, protagonista di Il buio e il miele (portato
Nella sua stagione ulteriore, dopo successi
sugli schermi da Risi in Profumo di donna e
e premi (fra i quali lo Strega nel 1964 per
poi riadattato nel remake di Martin Brest),
L’ombra delle colline) non era mutata l’inclicon la mira di unirsi in uno spettacolare
nazione a introiettare il mondo in se stesso
e duplice suicidio al commilitone vittisino allo smarrimento dei lineamenti del
ma del suo stesso incidente alle manovre.
proprio io, come mostravano i versi beffarPiglia il volo verso un luogo misterioso a
15
pretesti | Giugno 2012
Le colline nei pressi di Bra
conclusione delle sue prodezze “Domingo
il favoloso”, primattore nel romanzo pubblicato dapprima a puntate sulla «Stampa» dal dicembre 1973; e anche Saverio
Piumatti nel Primo quarto di luna del 1976
evade dalla società volendo un giorno, con
la fermezza di un rinunciante, mettersi a
letto e non alzarsi più, per scomparire infine nella forma di una labile «macchia sul
muro» o di «disegno fra le nuvole». E dalla
sua stanza di malato dove sta per entrare
Madama Requiem fugge il vecchio Bertola, emerito di Matematica, sfidando l’ignoto per le strade di una Torino sconsolante e
autunnale, simile a una terra desolata.
L’aforisma in apertura del romanzo, scritto con «incerta grafia» sulla lavagna e «occhieggiato» dall’allievo Carlo Meroni con
cui il professore si incontra per dialogare
e giocare a scacchi, «La vita o è stile o è
errore», può dirsi un “pensiero” un po’
da moralista francese di Arpino, colpito durante la stesura di Passo d’addio nel
1985 dal verdetto di «giudici velati e crudeli» (quali gli erano parsi nel settembre
del medesimo anno gli oscuri deliberatori
della morte di Italo Calvino, suo confrère
pur differente da lui per specie come «un
uccello e un rinoceronte» o «un coccodrillo e una tartaruga»). Mentre raccontava di
16
Giovanni Bertola invalido alla vita, Arpino già pativa nel suo organismo i sintomi
di una malattia incurabile. Stava per chiudersi il cerchio della sua narrativa in una
saldatura con i geniali inizi ed egli anche
per proprio conto rifletteva nei termini attribuiti sul finire del romanzo a Meroni:
Pensò a quell’illustre letterato argentino che aveva detto: «io so di un labirinto greco che è un’unica linea retta. In
questa linea unica e retta si sono perduti tanti filosofi». Ma uno scienziato gli
aveva risposto: «è vero, però con l’aiuto
di Dio il matematico non si smarrisce».
L’aiuto di Dio, e già. Se Dio vuole. Se
Dio si degna. Se non gioca ai dadi. Altrimenti rimane quella linea unica, retta, labirintica ma retta, che Meroni intuì
come immediato avvenire, il rasoio su
cui camminavano intrecciate la vita sua
e quella del professore. Solo la fuga poteva evitargli d’affrontare la soluzione a
cui portava il labirinto della linea retta…
Per una via retta e labirintica Arpino torna
sui propri passi compiendo quello “d’addio”. È un uomo solo il vecchio Bertola,
desideroso di una morte per eutanasia
quando sia un organismo allo stato vege-
pretesti | Giugno 2012
“Cinquantanove anni e tre mesi;
mai compiere i sessanta, o almeno
ritardarli barando senza requie”
tativo, perché si ribella alla meccanica caduta delle gocce di vita dalla strettoia di
una clessidra in alto ormai vuota. Al limite
opposto dell’esistenza si specchia nel giovane stirneriano che sfida la sorte per una
«felicità da coltello» in una Genova del dopoguerra vista nei suoi angoli di casbah o
di “Quai des brumes”. Da qui era sbocciata la poetica di Arpino «chicco individuo»,
mantenuta “rettamente” pur nel labirinto di deviazioni affrontate per il rischio e
l’avventura in territori ideologici o in partibus infidelium, per così dire, come accadde
per i romanzi Gli anni del giudizio (Einaudi,
1958) e Una nuvola d’ira (Mondadori, 1962)
degno tuttavia di sembrare a Borges una
«storia buenosairense».
Per riconsiderarlo nella sua specie naturale di scrittore e nella sua singolarità di
«chicco individuo» bisogna ripartire dal
primo romanzo, dono di una giovinezza
d’eccezione, sul quale si diffusero subito
dei malintesi. Fu letto di norma, per l’avallo di Vittorini, da una visuale neorealistica, forzatamente limitata dinanzi agli orizzonti dischiusi dall’idea in esso espressa
che «la felicità è nell’avventura, in una vita
senza rimorsi che inizia e termina e muore
ogni giorno: ogni giorno una nuova vita,
nell’attesa di nuove guerre, pesti, terremoti, e nell’ingenua speranza che il vuoto
morale si riempia da sé». Dal coro spiccava nel 1952 la voce di un solista, “felice” di
una gioventù fine a stessa, estraneo a pre17
cetti vincolanti, «corporazioni» e «clan».
C’erano la forza e la sprezzatura dell’outsider, quasi venuto dal nulla, nel suo gesto
iniziale e programmatico che rovesciava
come un castello di carte tutta l’impalcatura teorica del neorealismo. Barberi Squarotti disse al momento di raccogliere il romanzo nell’edizione delle Opere:
Arpino, in Sei stato felice, Giovanni, ha
voluto raffigurare l’alternativa radicale alla poetica neorealista, un’altra prospettiva, un modo totalmente diverso
di proporre, nella letteratura, la vita:
un’idea dell’essere come avventura dei
sensi e dell’anima, il cui significato morale sta nel fatto che tutto ciò che il protagonista sperimenta e compie è senza
inganno e senza frode, e ha la purezza
un poco irresponsabile, ma mai menzognera, del giovane «divino», che passa
fra le cose e gli uomini senza lasciarsene mai troppo coinvolgere, pur con il
rispetto che a tutti si deve.
Due istantanee autobiografiche danno attendibilità all’immagine di Arpino che
passa agile fra cose e uomini e all’altra figura del fautore di un agire con purezza
e onestà. Di sé al tempo delle riunioni di
cellula all’Einaudi parlò nell’intervista di
Quaranta:
Quasi ogni sera si svolgeva la riunio-
pretesti | Giugno 2012
ne di cellula. Vi partecipavano tutti i
redattori, meno il sottoscritto, che non
ha mai aderito a un partito. […] Il clima
in breve si surriscaldava, grondavano i
cerebralismi, si spremevano i sacri testi.
Erano il miele e il fiele di casa Einaudi.
In essi venivano riposte le speranze di
ordinare finalmente il mondo e di risistemare, se possibile, il paradiso.
Nell’inverno 1985 si trattava invece per lui
di spiegare a un pubblico svizzero, rispondendo all’interrogativo Insegnare il giornalismo?, il senso che dava al suo “secondo
mestiere”. Citò una massima sapienziale
già conveniente al suo doppio del debutto romanzesco e valida ancora per quanto
scriveva:
«Tutto quello che fai, fallo con gioia»,
dice la regola di un certo ordine religioso. A me, laico anche se tentato, quando manca la purissima gioia spetta il
compito di «fare» con buona volontà.
E almeno questo spero che sia stato
capito dagli amici italo-zurighesi (che
pur qualche umana «gioia» me l’hanno
data).
Sin dall’archetipo narrativo gioia o felicità
erano state congiunte alla gioventù come
stagione esemplare della vita e stato primaverile dell’anima. Nel romanzo postumo, La trappola amorosa, il protagonista
Giacomo Berzia che ha lo stesso cognome
del leggendario nonno artefice della villa
sulle colline di Bra dove Giovanni trascorreva da ragazzo l’estate, dichiara spavaldo a quali «ordini» unicamente si attiene: «Cinquantanove anni e tre mesi; mai
compiere i sessanta, o almeno ritardarli
barando senza requie». Il confine dei sessanta era stato varcato da Arpino nel gennaio 1987 e pochi mesi gli restavano per
barare sulla propria età, per ottemperare
alla promessa del distico in epigrafe alle
poesie del Prezzo dell’oro dedicate alla moglie Rina quando entrambi erano giovani:
«Vedrai rinnovarsi in più tempi / la mia
giovinezza ostinata».
Rolando Damiani
Rolando Damiani insegna Letteratura italiana a Ca’ Foscari. Di
Giovanni Arpino ha curato le Opere scelte nei «Meridiani» (Mondadori 2005). Nella medesima collana ha pubblicato le Opere di
Giovanni Comisso, un Album Leopardi e, fra il 1988 e il 2006, dello
stesso Giacomo Leopardi le Prose, lo Zibaldone e le Lettere. Da Mondadori è anche uscita una sua biografia di Leopardi, All’apparir
del vero, che ha avuto di recente un’edizione francese (Silvia, te
souvient-il?, Allia, Parigi 2012).
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pretesti | Giugno 2012
Anticipazione
La carezza
della regina
16 giugno 1969: una visita di Juliana d’Olanda
muta per sempre il destino di una famiglia
di Gerbrand Bakker
Pubblichiamo, in esclusiva per i lettori di PreTesti, un brano del libro
Giugno (Iperborea, 332 pagine, 17 €), in libreria dal 2 luglio.
P
Ora la donna le è di fronte, ha il respiro un
rima di salire, la regina si guarpo’ affannato dalla corsa.
da intorno. Ci sono bandiere che
“È uscita di casa tardi?” le domanda la re­
sventolano quasi a ogni casa e,
gina.
parcheggiato di traverso, sull’al“Sì. Io...”
tra spon­
da del grande canale navigabile
“Che amore di bimba. Come ti chiami?”
che divide in due il paese, vede di nuovo
La bambina, che avrà al massimo due anni,
il furgone scintillan­te. Solo ora si domanla fissa con grandi occhi azzurri.
da perché sia fermo lì. O la zona servita dal
“Allora, come ti chiami?”
fornaio è così piccola che se la cava in una
“Anne”, farfuglia la
mattinata? La gente
piccola.
si allontana dal­la Pol“Hanne”, la corregge
derhuis, si volta ancola madre.
ra a guardare, senza
La sovrana si sfila il
però accalcarsi intorguanto destro. “Non è
no all’automobile.
facile dire la ‘h’.” CaOgnuno torna alle sue
rezza la bambina sulla
faccende quotidiane, i
guancia. Lei si spavenbambini saranno forse
ta e nasconde il viso
già seduti ai banchi.
nel collo della madre.
No, avranno avuto va“E lei è?”
canza nel pomeriggio,
La re­gina vede una
“Anna Kaan, signora.”
oggi è giorno di festa.
giovane donna
Toh, questa donna sa
Forse c’è una piscina
arrivare quasi di corsa,
come le piace essere
nel paese. Poi la re­
controcorrente
rispetto
chiamata. “Il tempo è
gina vede una giovane
al
fiume
di
folla
che
si
volato più del previsto
donna arrivare quasi
assottiglia
stamattina?”
di corsa, controcorrenLa donna la fissa. Il suo
te rispetto al fiume di
sguardo spaventato cede il posto a un sorfolla che si assottiglia. Ha in braccio una
riso. Non risponde. La bi­cicletta che aveva
bambina, fa fatica a camminare perché con
appoggiato al fianco scivola lentamente per
l’altra mano tiene la bicicletta. Ah, qualcuterra e sbatte contro l’asfalto.
no che è in ritardo. Che arriva di corsa per
La regina protende d’istinto entrambe le
poterla vedere, anche solo di sfuggita. Lei
mani.
fa un cenno all’autista e si dirige verso la
“Non è niente”, dice la donna.
donna, con la coda dell’occhio vede che la
“Dobbiamo andare”, interviene la Roëll.
Roëll la segue. “Che cosa fa?” le chiede la
Intanto i fotografi continuano scattare, la
sua segretaria personale.
regina non li vede, li sente. Fastidiosamente
Lei non risponde, aspetta la donna.
vicini. Fuori programma della sovrana. Un al“L’ora, dobbiamo tenere d’occhio l’ora”,
tro possibile titolo per i giornali di domani.
dice la Roëll.
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pretesti | Giugno 2012
“Ha sentito?” dice rivolta alla donna. “Dobbiamo andare. Ciao Hanne.”
“Buongiorno, signora. E molte grazie.”
“Per cosa?”
“Perché si è presa il disturbo…”
“Nessun disturbo”, dice lei. Quando si vol­
ta, non c’è la Roëll, ma Jezuolda Kwanten
alle sue spalle. Vicinissima. Sente il suo alito caldo lambirle il viso. È come se la suora
volesse cat­turare ogni poro, ogni imperfezione della sua pelle. Perché la sua «testa
in bronzo» risulti più fedele possibile. La
suora dell’Ordine delle So­relle della Carità
si sposta di lato e la segue a un passo di di-
“Perché?”
“Con tutto il rispetto, ma delle capre!”
“Sì?”
“Come ci arrivano a Soestdijk?”
“Ha già provveduto Van der Hoeven.”
“E quella tizia con la bambina.”
“Era in ritardo, può capitare a tutti.”
“Può anche lasciar perdere cose del genere.”
“Ma io non voglio lasciarle perdere. È stato
bello, no? Per lei, per la bambina. Non dimenticheranno mai questa bella giornata di
giugno piena di sole.” Aspira una boccata
di fumo. “Non che io lo faccia per questo,
ovviamente.”
“È stato bello, no? Per lei, per la bambina.
Non dimenticheranno mai
questa bella giornata di giugno piena di sole.”
stanza fino alla macchina.
Lei accenna un ultimo saluto in direzione
del portale della Polderhuis, dove il sindaco
e sua moglie aspettano compiti. Poi le portiere si chiudono. Prima ancora che l’auto
si metta in moto, la Roëll ha già ripreso in
mano tut­te le sue carte, tra cui rovista con
una certa impazienza. La regina accende
una sigaretta. L’auto svolta a destra e procede con estrema lentezza verso la periferia del paese. Guardan­do alla sua destra la
regina vede un cimitero, proprio dietro la
Polderhuis. Cosa di cui prima non si è accorta e a cui nessuno ha fatto cen­no. Superano
un acquedotto e un’idrovora. All’estrema
periferia del paese c’è un mulino sotto un
argine.
“Quelle caprette”, dice la Roëll.
“Sì?”
“Come si fa a fare una cosa simile?”
21
La Roëll stringe le labbra e si concentra sulle sue carte.
“Provi a mettersi nei panni degli altri, per
una volta. Che differenza vuole che facciano quei pochi minuti?”
La sua segretaria personale non risponde.
“Milleottocentoquarantasei”, dice poi. “Il
pol­der porta il nome della consorte di re
Gugliel­mo II.”
“Questo non ha bisogno di dirmelo. Come
si chiama il prossimo sindaco?”
“Warners.”
“E cosa prevede il programma?”
“Una dimostrazione di sci nautico. Oggi
po­meriggio alle due e mezzo. Al Vecchio
Pontone.”
“Ah sì?”
“La quarta prova è sci a piedi nudi.”
La regina spegne la sigaretta e rinfila il
guan­to destro. Guarda fuori dal finestrino.
pretesti | Giugno 2012
Anche qui il paesaggio è leggermente diverso rispetto al comune precedente. Strade diverse, fattorie diverse, meno prati.
Fosse già passata quella sto­ria dello sci nautico. Ci saranno vecchi anche lì. Fosse già
passata anche la visita a Den Helder. Non
vede l’ora di essere a bordo del Piet Hein,
sono mesi che non mette piede sullo yacht.
Il legno di pero lucido, le poltrone Rietveld
fode­rate di verde, i letti a castello. «Papi»
forse in quello superiore. E altrimenti una
chiacchiera­ta tranquilla, davanti al mobile bar aperto, con Van der Hoeven. E domattina magari un giret­to con lei al timo-
ne, o comunque al fianco del comandante.
Tra due mesi qualche altro giorno a bordo,
per la parata della Marina durante le Giornate della Pesca a Harlinger. “Sciare a pie­
di nudi”, mormora. “Ma come vengono in
men­te alla gente certe idee?”
Tratto da Giugno
di Gerbrand Bakker (Iperborea)
Traduzione e postfazione di Elisabetta Svaluto Moreolo
© 2009, Gerbrand Bakker e Uitgeverij Cossee BV
© 2012, Iperborea S.r.l.
Gerbrand Bakker
Gerbrand Bakker, nato a Wieringerwaard nell’Olanda del Nord
nel 1962, ha studiato Letteratura Nederlandese prima di diventare doppiatore di documentari naturalistici, autista e giardiniere.
C’è silenzio lassù (pubblicato in traduzione da Iperborea nel 2010)
è il suo primo romanzo. Premiato con l’IMPAC Dublin Literary
Award, il Prix Initiales 2010, il Prix Millepages 2009, il Gouden
Ezelsoor, il Debutantenprijs, è stato un bestseller in Olanda, tradotto in dieci paesi (tra cui Francia/Gallimard, Germania/Surkhamp
e Inghilterra/Harvill Secker). Nel 2010 è stata realizzata la riduzione cinematografica.
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pretesti | Giugno 2012
Racconto
BILOCALE
ARREDATO
di Marco Archetti
I
l primo appuntamento è alle otto del
mattino davanti alla Coop di via Veneto.
Si presenta un ragazzo con la faccia
larga e simpatica.
Ha il fiatone e mi fa: “Buongiorno, scusi il
ritardo.”
“Buongiorno.”
“Vado subito al dunque: il bilocale per cui
ci ha chiamato è in questo palazzo. È abitato da un professore di origini rumene e sarà
libero in due settimane. Le confermo…”
scartabella fogli stropicciati, “che è arredato in ogni sua stanza.”
Gioisco: il giorno prima avevo contattato
un’altra agenzia per avere dettagli su un
annuncio che parlava di un bilocale arredato ed era andata così.
23
“C’è solo la cucina,” aveva esordito l’agente del franchising.
E io: “Scusi, ma allora non è arredato.”
“Be’, mi permetta, non è nemmeno vuoto”.
Incredibile, vero? Avevo perso il pomeriggio in altre telefonate dello stesso tenore.
Ma forse adesso ci siamo, mi dico mentre
saliamo in un minuscolo ascensore.
Intanto penso a Ceausescu, a quante vite
consumino le case, e a come quattro mura
contengano romanzi.
Il trabiccolo timbra piano dopo piano e l’agente mi fa: “Spero che lei non abbia problemi per il fatto che…”
“Che?”
“Ci siamo capiti.”
“Cosa intende?”
pretesti | Giugno 2012
“Be’, che il signore…”
“Il signore?”
“Voglio dire, è rumeno.”
“E allora?”
“Non le da fastidio?”
“No.”
“Però è una brava persona.”
“Le dico che non mi da fastidio.”
Sbarchiamo all’ultimo piano – il sesto.
La brava persona ci accoglie sul pianerottolo: settant’anni, pantofole sformate, cardigan verde marcio.
Poco incline alla socializzazione, con le sue
grandi, fosche sopracciglia, ci fa cenno di
entrare.
“C’è un po’ di disordine,” dice, “ma tanto è
per farvelo vedere solo cinque minuti, no?”
Le cattive premesse c’erano tutte: per esempio, la moquette del corridoio era rosso uccello.
Ma deglutisco e mi dico: pazienta, è intera-
Chiedo di vedere la cucina.
L’agente si fa strada e me la mostra – piccola, piccolissima.
Poi c’è un salotto molto ampio che si apre
come un ventaglio, dotato di una grande
vetrata.
Penso: finalmente la possibilità di un’occhiata spaziosa, vasta, panoramica.
Peccato solo che anche il salotto esali un’essenza macabra e obitoriale.
Il balcone sembra davvero l’unica salvezza.
La vista? Notevole.
Restiamo appoggiati alla ringhiera a chiacchierare un po’.
Ho già deciso che sarà un no, ma c’è ancora
la camera da letto. Mi chiedo: si può ruzzolare ulteriormente in basso?
Si può.
Il letto è sfatto, spanciato. Le lenzuola attorcigliate come liane, rovesciate di lato.
Finestra chiusa da secoli, anche qui.
Dilato le narici: l’odore che ristagna, se anch’esso lo potessi
esprimere con un colore, direi essere grigio tortora – la
tortora non bisogna immaginarla viva, ovviamente
mente arredato – cosa fondamentale – e poi
dai, questo è solo l’ingresso.
Quindi alzo gli occhi.
Le pareti del corridoio sono giallo senape.
Dilato le narici: l’odore che ristagna, se
anch’esso lo potessi esprimere con un colore, direi essere grigio tortora – la tortora non
bisogna immaginarla viva, ovviamente.
Così mi guardo intorno sempre più scoraggiato, la sensazione è che quella casa abbia
trattenuto secoli di ombra.
24
Lo scendiletto è un tappetino nero, di plastica, da interno auto.
Mi mostrano il bagno: piastrelle bordeaux,
a rombi verde acido.
Ringraziamo il professore e ce ne torniamo
giù, condividendo un secondo viaggio in
ascensore.
È lui, l’agente, a parlare per primo. “Io…
Be’, sa… non l’avevo mai visto, questo appartamento.”
“M-m.”
pretesti | Giugno 2012
“Insomma, credo che ne dovrò parlare in
agenzia perché… va bene tutto, ma… diciamolo: fa proprio schifo.”
Io sorrido. “Più che altro mi aspettavo qualcosa di meno triste. Ma pazienza.”
“La vista era bella, però.”
“Bella, sì.”
“Ma non è che uno vive in terrazzo, no?”
“No, infatti”.
“…”
“…”
“Ecco, signor Archetti, come vede, questo è
il mio lavoro.”
“Non è facile, vero?”
“No. È proprio difficile.”
“E scusi, non trova altro?”
“Sono laureato in Filosofia.”
“Immagino. Be’, arrivederci.”
“Arrivederci.”
“E buona giornata.”
“Faccia un po’ lei.”
Il secondo appuntamento è alle quattro del
pomeriggio. Aspetto il mio uomo e passeggio sotto il portico di un condominio altissimo, costruito negli anni ’60, schietta architettura sovietico-lombarda.
Passa una ragazza brutta che porta il cane
a pisciare.
Un vecchio entra al bar e si appende a una
slot di donne nude.
Un tizio in cappotto, seduto all’aperto a
bere, sembra Enrico Maria Salerno in “Anonimo veneziano”.
La giornata è grigia; tra poco farà buio su
questi caseggiati bulgari, sulle massicciate
di cemento senza speranza, sul brullo parco giochi in cui una badante biondastra sta
25
facendo deambulare un’anziana in tuta color pesca.
Ma una musica alta si preannuncia in lontananza.
Un martellamento da discoteca.
Ed ecco che il mio anti-Godot balza giù
dall’auto: camicia di quelle col colletto di
un colore e il resto di un altro, giacca grigia,
ciuffo che spiove sugli occhi, calzoni grigi
anch’essi, a metà caviglia, e mocassini neri
a punta.
“Ciao grande, come stai?” e mi porge la
mano. “Sei Archetti, giusto? Bene, dopo di
te ne ho altri sette.”
Suona un campanello.
Mentre saliamo mi sommerge di chiacchiere su quello che chiama il contesto, molto
tranquillo, come posso vedere – lo vedo?
Quindi mi presenta la proprietaria, sosia di
Jessica Fletcher, che viene ad accoglierci sul
pianerottolo, pigolando.
“Signora Maddalena!” sbraita l’agente abbracciandola.
La signora Maddalena lo bacia, gli da una
pacchetta sul di dietro e mi chiede: “Lei si
chiama?”
Ma non mi ascolta; con un gesto un po’ amichevole e un po’ autoritario mi abbranca e
fa: “Se permette, le spiego tutto io. Questa
è la cucina.”
Niente di realmente depressivo, a guardarlo così. Ma se si aguzzava la vista, risultava
chiaro che i mobili erano scollegati stilisticamente – il classico tentativo di conciliazione tra avanzi eteroprovenienti.
La vecchia prosegue: “Qui c’è la lavastoviglie… Vede? Poi il suo bel lavello… E questo è il frigor. Le piace?”
pretesti | Giugno 2012
“Non male.”
“Guardi che popò di
“Lo credo bene. Io e
vista. Guardi. Dove la
mio marito ci siamo
trova una vista così?”
detti: perché non renTutto è grigio topo: padere bella una casa,
noramica su un parco
anche se ci deve abigiochi da “Decalogo”
tare una persona che
di Kieslowski e il tornon conosciamo? In
reggiante, minaccioso
ogni caso, conosciapinnacolo di un incemoci un po’: come mai
neritore.
non è sposato?”
“È rimasto senza pa“Ma… Non so… Perrole? Non se l’aspetché lo vuol sapere?”
tava eh? Ah, e poi dia
“Ho notato che non ha
un’occhiata qui.”
la fede. Poi sa, io le ofE passa a dettagliarmi,
fro un appartamento
di quel salotto di rapcon tutti i confòr ed è
presentanza, mobile
ovvio che lei debba riper mobile; a un certo
Scendo le scale e
spondere alle mie doimmagino la mia vita lì – punto impernia tutto
mande.”
ma non posso, non me la il trallallà su una tova“Be’, non sono sposaglietta di viscosa rosa
sento.
to perché… non sono
salmone a losanghe
sposato.”
crema, che ricopre un
Il giovane agente, alle spalle della vecchia,
mobile color martora che aveva bisogno di
fa silenziosi segni di non poterne più, daptutto tranne che di ulteriori insolenze esteprima mimando uno che trasporti con una
tiche.
carriola i propri testicoli, quindi inscenanPoi si interrompe e mi fa: “Scusi se torno
do una sbrigativa autocrocifissione all’atsull’argomento, ma… Ha detto fidanzata,
taccapanni.
vero?”
Io rilancio: “Se le può andar bene, signora,
“Sì.”
sono fidanzato.”
“Fidanzat-a?”
“Uff… Chi non è fidanzato, al giorno d’og“Sì. Fidanzat-a.”
gi? Passiamo al salotto, che è meglio.”
“Ah, ecco. Sennò non se ne parlava nemMa no, il salotto non era meglio.
meno.”
Tuttavia lo presenta così:
La camera da letto è anch’essa arcaica e
“Questa è la sala di rappresentanza.”
buia, satura di afrori etruschi.
Quindi tira dritto verso l’immensa portaPoi la visita finisce e la vecchia dice: “Mi ha
finestra, conta fino a tre, solleva la tappafatto una buona impressione, glielo devo
rella – il coup de théâtre della visita – e fa:
dire.”
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pretesti | Giugno 2012
27
Non penso la stessa cosa, né di lei né della
casa.
Scendo le scale e immagino la mia vita lì –
ma non posso, non me la sento.
Il giovane agente, trotterellandomi accanto,
mi pressa: “Come ti è sembrata? Secondo
me ti è piaciuta molto.”
“Mah. Ci devo pensare.”
“Non ti è piaciuta?”
“Forse no.”
“Be’, l’avevo capito subito che non ti era
piaciuta. E non ci crederai, ma… ta-da-dà!
Ho una cosa che fa al caso tuo. Molto più di
questa catapecchia.”
“In che senso?”
Via Lombroso, sì. Una perla. L’arredamento è recente. Che dici? Come la vedi? A me
puoi dirlo. Allora?”
“Non saprei. Sempre su questo prezzo?”
“Poco di più. Ma poco. Però tieni conto di
una cosa. Questo posto ti rappresenta alla
grande.”
“Cioè?”
“Cioè, prendi punti. Tipo che una ci entra, ti
salta addosso e… zam zam! Ci siamo capiti.”
Mi affibbia una pacca sulla spalla più forte
di quel che avrei desiderato e andandosene
fa: “Chiamami domattina, mi raccomando.”
Salta sulla Mini, fa un saluto dal finestrino,
e in un energico pulsare hip hop vola via.
“Guarda, te ne parlo in via del tutto confidenziale.”
Arriviamo da basso.
Fuori imperversa il classico, scoraggiante
buio novembrino.
Lui mi tira in un angolo e bisbiglia:
“C’è questo posto… una specie di loft… In
via… dunque, vediamo… Lombroso.
Il terzo appuntamento è la mattina successiva. Con me c’è un’agentessa bionda e sbrigativa – secca, dritta, capelli corti, vestita di
pelle rossa, tacchi alti, sessant’anni.
Il palazzo è nello stesso quartiere in cui
sono nato.
Ci fermiamo davanti a una porta sottilissima di legno bianco; in cima, a sbavare di
luce morta il pianerottolo, una lampadina a
forma di pera. Poi guardo meglio: la porta
stessa non è un pezzo unico, ma è composta
da due grandi fasce di legno tenute insieme
da una zeppa di compensato inchiodata di
traverso e crivellata in basso da decine di
puntine da disegno.
La bionda, inspiegabilmente seccata mentre cerca le chiavi e le fa rullare nella serratura, dice: “Se le dà fastidio, possiamo far
mettere tutto a posto, eh.”
“Grazie, per fortuna l’ha detto lei.
Una porta così non è il massimo.”
pretesti | Giugno 2012
“Intendevo la lampaditra, lavandino e water.
na.” Entriamo.
Mi figuro grotteschi
L’appartamento è simitrasferimenti dall’una
le a una grande cameall’altra parte, talvolta
ra di motel sulla statale
reggendomi un asciuin cui, nell’immaginagamano intorno a un
rio caro a certo cinema
fianco, talora a braghe
horror, si consumano
calate.
delitti feroci ad opera
I rubinetti perdono tutdi taciturni e rabbiosi
ti, rintoccando il conto
disadattati coi capelli a
alla rovescia per il mio
spazzola.
suicidio.
Neon nel corridoio, che
Poi l’agentessa mi ribalbetta su una cucina
chiama in soggiorno.
angusta.
Ritta vicino alla fineLa moquette, per dirla
stra, solleva al massiL’appartamento
è
simile
col Della Casa, putisce.
mo la tapparella del
a
una
grande
camera
di
Il frigorifero è un vecdecadente corridoio e
motel sulla statale in cui, con legnosa assenza
chio frigo da roulotte
nell’immaginario caro a d’ironia, aggiunge ciincastrato in una sede
certo cinema horror, si liegine a una torta che
che non è la sua, inchioconsumano delitti feroci vede solo lei.
dato in un vano che lascia ampi vuoti laterali
Si bilancia su un tacco
ad opera di taciturni e
in cui, a una superfie proclama: “Le faccio
rabbiosi disadattati coi
ciale indagine, risconnotare che in questo
capelli a spazzola
tro forme biologiche
spazioso appartamenche non primeggiano
to sono ben tre i pregi
nella tassonomia universale; ma il gioiello
piuttosto rari altrove. Innanzitutto, il balcoè la figurina appiccicata sullo sportello, un
ne.”
po’ opaca e un po’ grattata via, di GeróniPregio che però si presenta sotto le mentite
mo Barbadillo, Avellino, stagione calcistica
spoglie del difetto: una lingua di cemento
1983/84.
stretta e spavimentata, che corre dalla striIl salotto ha poltrone che non solo sembrascia di Gaza del cucinino fino al salotto, dove
no unte, ma lo sono davvero.
finisce in un rovinoso cumulo di ciottoli.
L’aria è quasi farinosa, talmente zeppa di
Secondo pregio: “Vogliamo trascurare l’apolvere da sembrare velata di fumo.
ria condizionata?”
Il rapido tour prosegue al bagno, diviso
No. Almeno quella, non trascuriamola.
in due parti: in una, vasca e bidé; nell’alAnzi, trascuriamola meno dell’intonaco del
28
pretesti | Giugno 2012
soffitto e della sua lunga sindone di umido
a forma di Gesù Cristo crocifisso.
Terzo: “Non dimentichi il ripostiglio!”
Certo, il ripostiglio. Col retrogusto di canile. E che contiene, misteriosamente, un vecchio bidé zampe all’aria.
Mentre riabbassa le tapparelle, conclude:
“Bene, andiamo sul pratico: quattro mesi
anticipati, non i soliti tre – sa, la padrona ci
tiene. E poi scusi, signor Barchetti, ma lei ha
un lavoro?”
“Sì, certo.”
“E che lavoro fa?”
“Scrivo.”
“Dicevo lavoro.”
“Scrivo ed è il mio lavoro.”
“Busta paga che lo dimostri, grazie. La padrona valuterà.”
E se ne va così, disseminando il vano scale
dei suoi tacchi rimbombanti.
Resto al buio, sul pianerottolo.
Fuori comincia a piovere.
Tre minuti, e mi squilla il cellulare.
È ancora l’agentessa.
Mi fa: “Signor Marchetti, dimenticavo:
niente in contrario se nella sua scheda metto in cerca di occupazione, vero?”
“No. Niente in contrario.”
“Bene. Se non ci sentissimo più, in bocca al
lupo per tutto.”
Marco Archetti
Marco Archetti è nato a Brescia nel 1976. Ha scritto cinque libri, caratterizzati da una felice mescolanza di generi.
Tra questi, ricordiamo: Maggio splendeva (Feltrinelli 2006),
romanzo fantastico ambientato nel ventennio fascista che
parla di un ragazzino in possesso di poteri paranormali; Gli
asini volano alto (Feltrinelli 2009), romanzo comico sul viaggio picaresco di due fratelli; Sabato, addio (Feltrinelli 2011),
noir teso e cupo che narra una vendetta e una storia d’amore
impossibile: i protagonisti sono Filippo, uomo senza donne, e Marlén, una ballerina
bellissima. Ha collaborato al soggetto del film Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario.
Suoi reportage sono apparsi su “Vanity fair”, “D-Repubblica”, “Vogue”. Scrive per il
“Corriere della Sera” (pagine di Brescia) e ha una rubrica intitolata L’infiltrato speciale.
(Altre informazioni sul sito www.marcoarchetti.it.)
29
pretesti | Giugno 2012
Il mondo
dell’ebook
IL DIGITALE?
“THE NEXT BIG
THING” DELLA
LETTURA
L’emorragia di lettori che emerge dalle ricerche ufficiali sposta
la riflessione dalla battaglia tra carta e eBook alla competizione
tra la lettura e tutte le altre opzioni del mutato mercato
culturale e di intrattenimento
di Daniela De Pasquale
30
pretesti | Giugno 2012
S
numeri che non compensano l’emorragia
iamo a metà 2012 e finalmente abdi lettori: per il CEPELL l’eBook rappresenbiamo a disposizione molti dati
ta appena l’1,1% del mercato nel 2011 (567
sulla lettura: se da un lato è un
mila gli acquisti contro i 22,7 milioni di cobene, perché i numeri sono spesso
pie cartacee). Raddoppia la quota di lettomerce rara soprattutto nel digitale, dall’alri: 1.100.000, il 2,3%
tro rimane doloroso
della popolazione.
farne un’analisi perché
Ossia: nella metà dei
sono sempre preceduti
casi scarichiamo gradal segno meno.
tuitamente gli eBook.
A marzo Gian Arturo
Per l’AIE (l’occaFerrari, presidente del
sione è il Salone di
Centro per il Libro e la
Torino,
dedicato
Lettura (CEPELL), prequest’anno alla prisenta i risultati del rapmavera digitale) gli
porto commissionato a
e-lettori sono passaNielsen L’Italia dei libri
ti dallo 0,1% di fine
definendoli “catastrofi2010 allo 0,9% di fine
ci”: il mercato librario
2011, percentuale denel 2011 ha perso il 10%
stinata ad aumentare
di acquirenti, con un
nel 2012 alla luce del
20% in meno di spesa
fattore Amazon, con
complessiva in libri.
i suoi due eReader a
A maggio l’ISTAT conGian Arturo Ferrari, presidente CEPELL
cavallo dei 100 euro,
ferma che nel 2011 poco
e il fattore Google.
meno di 26 milioni di
Gli italiani sono i
Dati meno incoragItaliani di 6 anni e più
maggiori utilizzatori di
gianti sono stati però
hanno letto almeno un
diffusi dalla stessa
libro nei 12 mesi preceSocial Network e Blog:
AIE al termine del
denti l’intervista, per
domina
Facebook,
con
contest “è-book fuomotivi non strettamente
scolastici o professiona- 21 milioni di utenti, il 70% ri lo slogan” rivolto
li: i lettori passano dal
del totale dei navigatori, agli studenti universitari con l’obiettivo
46,8% al 45,3% della poche vi trascorrono un
di intervistarli per
polazione.
quarto
del
loro
tempo
capire se sono pronti
Questi lettori si sono
online complessivo
a studiare in digitaforse tuffati nel mercale. Solo il 19,9% usa
to digitale? Verrebbe
gli eBook (ma è davvero un dato negatida dire che è impossibile, perché gli eBook
vo se rapportato alle percentuali citate?).
sono di fatto dei libri e quindi i dati doDunque tirando le somme: meno di 1 itavrebbero ricomprendere anche la lettura
liano su 2 legge libri, solo 2 ogni 100 hanno
digitale. Dai paragrafi dedicati, emergono
31
pretesti | Giugno 2012
La battaglia non è tra carta e eBook, ma tra lettura e nonlettura: i libri non competono tra loro sul piano dei formati,
ma con altri prodotti e servizi culturali nello smisurato e
fluido contesto del media consumption
letto un eBook, 2 studenti universitari su 5
imparano in digitale. Cosa possiamo dire
di questi dati?
Chi opera nel settore dei libri digitali è un ottimista per definizione, innanzitutto perché
ha scommesso su un settore nuovo, per cui
deve utilizzare tutte le sue energie per farlo
risultare reale, tangibile e con delle potenzialità di successo, e poi perché si inserisce
in un trend negativo, per cui deve necessariamente fare emergere aspetti di business
convincenti per chi deve investire. Per trovare risposte tangibili e convincenti è necessario provare a porsi le giuste domande.
La prima: dove vanno a finire i lettori che
spariscono dalle statistiche e cosa fanno nel
tempo che prima dedicavano alla lettura?
32
L’ufficialità del pensare comune arriva dal
Social Media Report di Nielsen: noi italiani
siamo i maggiori utilizzatori di Social Network e Blog. A dominare la scena c’è Facebook, con 21 milioni di utenti, il 70% del
totale dei navigatori, che vi trascorrono un
quarto del loro tempo online complessivo.
Trovano conferma le riflessioni di chi si occupa di editoria digitale: il mercato della
cultura, dell’intrattenimento e della comunicazione è cambiato con la rete. Non ha
senso concentrarsi sulla battaglia in difesa
della carta o dei bit. I due estremi del continuum non sono i libri e gli eBook, ma la lettura e la non-lettura. I libri devono competere non tra loro, sul piano dei formati, ma
con altri prodotti e servizi nello smisurato
pretesti | Giugno 2012
e fluido contesto del media consumption, per
conquistarsi uno spazio nelle preferenze
non dei lettori ma di tutti.
Rispetto alla carta, gli eBook hanno un vantaggio, perché condividono con i Social
Network la tecnologia, i supporti e gli stili di fruizione, soprattutto in mobilità. E ci
dice l’ISTAT che la tecnologia è una grande
alleata della lettura: la propensione a leggere e il grado di alfabetizzazione culturale si
riflettono nelle forme di fruizione del web:
più si legge più si usa la rete per acquisire
informazioni o consultare un Wiki, indice
di una possibile complementarietà tra media di informazione e conoscenza tradizionali e innovativi.
Diventa allora fondamentale trovare dei
punti di contatto, per fare in modo che chi
legge o leggeva sia agevolato nel farlo seguendo le sue nuove abitudini, e chi invece non legge possa scoprire un nuovo piacevole impiego del tempo online. Che, dal
lato editore, vuol dire intercettare un nuovo target. Per farlo, sono necessarie nuove
competenze: l’editore deve essere in grado
di creare discorsi attorno ai libri e veicolarli sui Social Network, ma anche attraverso
strategie pianificate su tutti i new media.
Newton Compton è un esempio di editore
che ha compreso l’importanza del dialogo
33
con i suoi lettori, e usa in modo interessante Facebook per trovare spazi per dare visibilità ai suoi libri. Einaudi fa lo stesso su
Twitter. Cubolibri, tra gli eBook store, è tra
i pochi a sperimentare la costruzione di un
dialogo sugli eBook oltre gli eBook. Mentre la
strada offline degli eventi, della formazione o dei meeting resta una valida occasione
per fare cultura sull’editoria digitale, il negozio virtuale di Telecom Italia sta lavorando direttamente online, e lo fa dalle pagine
che state leggendo. “PreTesti” ha un payoff
eloquente e chiede agli scrittori ospiti di
ogni numero di confrontarsi con l’evoluzione del proprio ruolo e di quello del lettore, creando occasioni di letteratura digitale
in cui i contenuti siano al passo con il cambiamento dei contenitori (tablet, eReader
e smartphone). E soprattutto siano liquidi
e pensati per essere fruiti anche in maniera non lineare, come avviene in Cubolibri
café. Si tratta del Social Reader di “PreTesti”: gli utenti di Facebook possono rimanere all’interno del Social Network per leggere, condividere e commentare i racconti
e gli articoli del magazine. L’idea è coinvolgere il lettore nel processo di creazione
di valore contemporaneamente alla lettura,
svecchiando alcune precedenti esperienze
di social reading che, per quanto creative
e appassionanti, richiedono al lettore uno
sforzo doppio: se c’è poco tempo per leggere, ce n’è ancora meno per i discorsi intorno
alla lettura.
Un’applicazione di lettura come Cubolibri
café si inserisce nel percorso di cambiamento dello stesso Facebook, che è diventato un
network di azioni: se prima ci si poteva limitare a dire che un contenuto o un’azienda
ci piaceva, ora è possibile scoprire in tempo reale a cosa i nostri amici giocano, cosa
pretesti | Giugno 2012
PreTesti chiede agli autori contenuti al passo con il
cambiamento dei contenitori e liquidi, pensati per essere
fruiti anche in maniera non lineare, come avviene in
Cubolibri café, il nuovo Social Reader
ascoltano e, nel nostro caso, cosa leggono.
Azioni che colmano il vuoto tra un aggiornamento di status, la pubblicazione di una
foto, il check-in in una pizzeria. Insomma,
nei momenti morti del tempo di svago si
può decidere di leggere un articolo condiviso da un amico, scoprirne altri e, perché
no, avviare una conversazione sull’argomento letto. È un nuovo modo di mettere
in relazione utenti e contenuti.
Un servizio di consegna di contenuti a domicilio serviti su un piatto d’argento: si
tratta solo di un esempio di come il lettore
venga pensato come Maometto e l’editore
come la montagna. Un’altra domanda da
porsi in quest’ottica è: gli store, ma soprattutto gli editori, possiedono le competenze
e la tecnologia per sperimentare su queste
strade? E sono consapevoli che potrebbero/
dovrebbero investire in questa direzione?
Certo, si tratta di contenuti gratuiti, capaci
di catturare l’attenzione dell’utente per un
periodo non troppo lungo.
A questo punto nuove domande sono d’obbligo: chi è un lettore? Cosa deve leggere
per essere considerato tale? E cosa intendiamo con testo digitale? Il report di Nielsen
parla di blog oltre che di Social Network: se
invece di leggere il libro ‒ inteso come testo
chiuso ‒ di un autore-esperto-giornalista, si
leggono appunti ed esperienze sul suo blog
34
e sui suoi profili sociali, con la possibilità
di interagire con lui intorno a questo nuovo testo arricchito e trasmesso in pillole su
diverse piattaforme, ci si può considerare
un lettore? Se si leggono contenuti digitali
autopubblicati da uno scrittore, magari una
raccolta di articoli, o un unico approfondito
pezzo in stile long-form-journalism, si sta o
non si sta leggendo un eBook?
L’ISTAT vede nell’online un modo per avvicinarsi alla lettura e un nuovo canale di
accesso ai prodotti culturali, in particolare
nell’e-commerce: i non lettori e i lettori deboli costituiscono un terzo di chi mette nel
carrello libri, giornali o riviste online. Forse si leggono meno libri ma si legge di più
in generale. D’altra parte, come sostiene la
scrittrice Ursula Le Guin, cos’altro puoi fare
nel mondo digitale senza leggere?
I confini sono davvero sfumati, la convergenza è in atto, l’ambiente di fruizione è già
stato creato ed è ampiamente frequentato,
la strada da percorrere è fatta di integrazione di funzionalità nuove ed eliminazione
di barriere vecchie che riducono la circolazione dei contenuti. In questa prospettiva si
può abbandonare la battaglia in difesa del
libro tradizionale e concentrarsi sulle risposte da dare alle nuove richieste di chi legge.
Il digitale non è il nemico della carta, ma
“the next big thing” della lettura.
pretesti | Giugno 2012
Il mondo
dell’ebook
GLI EBOOK FANNO BENE
Non solo piacere della lettura, o cibo per la mente. I libri digitali
potrebbero garantire istruzione a basso costo nei paesi in via di
sviluppo. E in parte già lo fanno.
C
’è un mondo fatto di sprechi, e
uno fatto di stenti. Un mondo
all’ultimo grido, e uno all’ultima
spiaggia. Un mondo che costruiamo, e uno che dimentichiamo.
I due mondi camminano su binari paralleli,
ma sempre più distanti. Il terzomondismo
si è affermato come dottrina dal successo
mediatico e accademico inferiore soltanto
alla mole di fallimenti collezionati sul campo, eppure continua a proporre paternalisticamente le proprie ricette di crescita ai
paesi “in via di sviluppo”. Ultima in ordine
cronologico, gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio: un mastodonte messo in piedi
dalle Nazioni Unite con la collaborazione
di economisti dal discusso curriculum e
testimonial assoldati dallo star system per
portare all’attenzione dei potenti della terra
le otto principali fonti di povertà e iniquità
che affliggono il terzo mondo, ormai retro-
35
di Roberto Dessì
cesso a quarto con l’emergere dei paesi del
BRICS.
Ma dopo un incalcolabile fiume di soldi
spesi, ed a tre anni dalla loro conclusione,
con il colpo di grazia assestato dal disimpegno dei paesi finanziatori – causa ricorrenti
crisi finanziarie – gli Obiettivi rischiano di
passare alla storia come l’ennesima zavorra nel fardello che l’uomo bianco ha tentato
invano, per sessanta anni, di scrollarsi dalle
spalle e dalla mente.
Limitandoci all’ambito di cui siamo soliti occuparci, gli ultimi tre anni potrebbero
aver portato sostanziali novità nell’ambito del secondo obiettivo, garantire a ogni
bambino almeno l’istruzione primaria. Costi d’acquisto di libri e materiale didattico abbattuti grazie agli eBook, scolari che
studiano e si collegano alla Rete attraverso
eReader alimentati da impianti a energia
solare ed eolica, superamento dell’apar-
pretesti | Giugno 2012
riore e inversamente proporzionale alle potheid digitale. Che siano i libri elettronici
tenzialità che la lettura sprigiona. Il primo
la luce in grado di squarciare la cappa di
progetto pilota in Ghana, i primi successi,
ignoranza e povertà che opprime i paesi in
l’interesse del governo keniota e un terzo
via di sviluppo?
progetto in Uganda. Grazie ai libri digitali
Se ne discute più o meno dal 2009, quando
gli scolari possono leggere di più, leggere
dinanzi al grande successo ottenuto negli
meglio, maneggiando tecnologie fino ad alStati Uniti dal Kindle Amazon prima, e dai
lora poco conosciute e migliorando il prosuoi concorrenti Kobo, Nook e Sony a stretprio rendimento scolastico.
to giro di posta, anche tra i burocrati delL’idea di Risher è diventata matura grazie
la solidarietà monta il ragionevole dubbio:
a un pugno di volonperché non utilizzare
tari; ma Worldreader
gli eBook in Africa?
non è sola, e ha trovaPerché non sperimento per strada importare la tecnologia che
tanti partnership che
sta
rivoluzionando
fanno convivere sotto
l’editoria e l’apprendilo stesso tetto Amamento proprio sotto il
zon, Random House,
nostro naso?
Hulu e Penguin. NeNon sorprenderà così
gli occhi, un obiettivo
scoprire che uno dei
ambizioso:
portare
progetti pilota, conun milione di eBook
dotto
dalla
ONG
L’idea
di
Risher
è
nei villaggi africani.
Worldreader,
porta
diventata matura grazie a Ambizioso sì, ma non
forte in sé l’imprinting
Amazon. Il suo idea- un pugno di volontari; ma così inarrivabile.
tore è David Risher,
Worldreader non è sola, Se un progetto condotto in minuscoli viluno degli artefici del
e
ha
trovato
per
strada
laggi rurali vi sembra
grande balzo in avanti
importanti partnership
poco per avvalorare
della società nei primi
anni del 2000, quando che fanno convivere sotto tanto entusiasmo, ben
più impressionante
ancora gli eBook eralo stesso tetto Amazon,
è il caso del Banglano più un concetto che
Random House, Hulu e
desh, più del doppio
un prodotto. Eppure
Penguin
di abitanti dell’Italia
è stato proprio lui a
di cui circa la metà
comprendere tra i priunder 16. Il ministero dell’istruzione benmi che un eReader non era poi così lontagalese ha deciso di offrire tutti i libri di teno parente di un telefono cellulare – unica
sto per le scuole primarie in formato eBook,
altra tecnologia diffusa anche nei piccoli
gratuitamente scaricabili da un portale web.
villaggi dell’Africa subsahariana – ma con
La digitalizzazione dell’apprendimento naun consumo energetico infinitamente infe-
36
pretesti | Giugno 2012
sconde in questo caso un’esigenza pratica:
considerate le difficoltà nel reperire libri di
testo in Bengali, e lo scarso supporto dei
“colossi” della traduzione online, al governo di Dhaka non è rimasta altra via se non
la completa liberalizzazione dei contenuti.
Il problema è semmai aggirare lo scoglio dei
costi della diffusione tecnologica. In Bangladesh soltanto il 40% delle famiglie possiede un PC, ed è un tasso neppure malvagio confrontato con quello di altri paesi nei
quali possedere un computer è pura utopia.
Ecco perché, quando per la prima volta si è
parlato del progetto One Laptop per Child
– obiettivo dichiarato realizzare un PC portatile acquistabile con meno di 100 dollari
ancora ben oltre i 100 dollari, quasi quanto
un netbook. Di recente OLPC ha ripiegato
sulla moda del momento, proponendo un
tablet a ricarica solare denominato XO3.
Per ora poco più che un prototipo, ma capace di riscuotere tanta curiosità e simpatia
alle fiere di settore.
Il laptop low cost ha paradossalmente registrato le critiche più feroci proprio tra i
destinatari del progetto, definito “l’ennesimo atto di arroganza del mondo occidentale”, “incapace di capire le reali esigenze dei
paesi che pretende di aiutare”, e “un altro
modo inventato dall’occidente per spillare
soldi” ai paesi il cui debito con l’estero pesa
ben più della loro stessa arretratezza, e ne
è anzi concausa. Le innovazioni “autoctone” hanno così avuto la meglio dalla peni-
Il ministero dell’istruzione
bengalese ha deciso di
offrire tutti i libri di testo
per le scuole primarie
in formato eBook,
gratuitamente scaricabili da
un portale web
studiato per la didattica nei paesi del terzo
mondo – governi occidentali e media hanno gridato al miracolo. L’iniziativa, avviata
da Nicholas Negroponte e sostenuta economicamente da colossi dell’IT del calibro di
Google, eBay e AMD, non ha però sortito il
successo sperato: a fronte di oltre due milioni di pezzi venduti direttamente ai governi
degli stati commissionanti, il laptop costa
37
sola indiana fino al sud est asiatico, uniche
aree del globo realmente definibili in via di
sviluppo. Aakash in lingua hindi significa
“cielo”, e se la scommessa del governo di
Nuova Dehli – che mira a produrre questo
tablet per 35 dollari e regalarne uno a ogni
studente – verrà vinta, sarà un cielo incredibilmente terso. Le difficoltà, come per
ogni idea utopistica, non mancano: il progetto tablet low cost ha subito ritardi, rice-
pretesti | Giugno 2012
David Risher, fondatore della ONG Worldreader
vuto critiche su più fronti e convissuto con
limiti squisitamente tecnici, derivanti dalla
difficoltà nel produrre un dispositivo a un
prezzo così basso senza andare in perdita
o dissanguarsi elargendo sovvenzioni pubbliche. Ubislate, la versione commerciale
del tablet, per ora costa quasi il doppio del
preventivato, e quella destinata agli studenti pare non riuscirà a scendere sotto i 50
dollari. Una strada lunga ma non impercorribile, e neppure desolata: le Filippine nel
2010 hanno messo in cantiere la realizzazione di un analogo dispositivo destinato all’istruzione al prezzo calmierato di 75 dollari, la Thailandia ha di recente siglato un
accordo commerciale con la Cina per l’importazione di centinaia di migliaia di tavo-
38
lette, da distribuire tra le scuole primarie.
Gocce nel mare. Inutili azzardi. Depauperamento di preziose risorse. Chissà. Ma
nel mondo sprecone e autoreferenziale che
viviamo quotidianamente, sono piccoli segnali che le cose possono cambiare dall’interno, o senza ricorrere sistematicamente a
pompose collette del millennio.
Che siano i libri digitali la
luce in grado di squarciare
la cappa di ignoranza e
povertà che opprime i
paesi in via di sviluppo?
pretesti | Giugno 2012
Buona la prima
Storie di libri
ed edizioni
HENRIK IBSEN
“CASA DI
BAMBOLA”
(1879)
di Fabio Fumagalli
Q
uando ci si appresta a entrare nel piccolo salotto borghese messo in scena dalla
penna di Henrik Ibsen, bisogna farlo di soppiatto, sbirciando dall’uscio della
serratura, non disturbando. Vedremo allora i personaggi che lo occupano, con i
propri desideri e le proprie emozioni, muoversi sulla scena dando la sensazione che la loro dimora sia il mondo intero, incuranti di chi li potrebbe osservare o giudicare. I
loro pensieri meschini, le loro voglie incestuose, il lezzo della menzogna che regna sovrano,
vengono da Ibsen messi alla berlina dell’uomo qualunque, spettatore ingenuo del dramma
umano che si sta vivendo. È proprio qui che sorge spontanea la domanda: perché fare ciò?
Quale diritto (“divino”?) dà il permesso a un artista di entrare impunemente nel focolare
domestico, il luogo più privato che esista? La vulgata propone una semplice risposta: Ibsen
è il primo (certo non il solo) che, attraverso un’opera dominata da un forte spirito illuministico, vuole porre in primo piano la liberazione spirituale degli esseri umani. Come scrive
Alberto Savinio: “Ibsen in un primo tempo pensò che era destinato a salvare il mondo, in un
secondo tempo che era destinato a salvare la società, in un terzo che era destinato a salvare
l’uomo, in un quarto pensò che era destinato a salvare la donna… Qui, per la prima volta,
la missione salvatrice di quest’uomo trovò terreno fertile e attecchì”. Ibsen come proto-
39
pretesti | Giugno 2012
femminista, dunque. Ibsen salvatore della
donna. In effetti, negli anni settanta-ottanta
dell’Ottocento, la “questione femminile”,
in Scandinavia, prese fuoco. Il critico letterario e filosofo danese Georg Brandes nel
1869 tradusse il saggio di Stuart Mill Sulla
soggezione della donna, mentre Ibsen stesso
entrò in contatto con alcune intellettuali
femministe come Camilla Collett e Aasta
Hansteen. Eppure, c’è qualcosa che non
torna. Le dichiarazioni di Ibsen innanzitutto: “Tutto ciò che ho scritto si è collocato al
di là di ogni cosciente letteratura di propaganda”. E ancora: “Non mi è chiaro che cosa
sia propriamente questa causa [femminile].
Il mio fine è solo la descrizione degli esseri
umani”. Non resta allora che porsi sul piano della semplice descrizione psicologica,
emarginando ogni volontà di redenzione.
In questo modo sembra interpretabile l’opera più famosa dell’autore norvegese, Casa
di bambola, la cui prima edizione apparve a
Copenaghen il 4 dicembre 1879. Già il titolo, infatti, nasconde alcune sorprese. L’originale norvegese, Et dukkehjem, “Una casa
di bambola”, con l’articolo indeterminativo
(et), sottolinea come tale dimora sia una fra
le tante, scoprendo la volontà dell’autore di
delineare un exemplum di una vasta fenomenologia della vita familiare di fine Ottocento. Il dramma, suddiviso in tre atti, è
ispirato a una storia vera. La scena è dominata da un conflitto. Nora, la protagonista,
ha contratto un debito dall’equivoco procuratore legale Krogstad, falsificando una
firma, per salvare il marito, l’avvocato Helmer. Quest’ultimo, all’oscuro di tutto, dopo
una serie convulsa di avvenimenti scopre la
40
verità. E, come sempre nell’opera di Ibsen,
quest’ultima ha un effetto devastante sulle relazioni familiari. Inizialmente, Helmer
inveisce contro la moglie, ma poi, con la remissione della cambiale, la perdona. Nora
però decide ugualmente di abbandonare il
tetto coniugale.
Il successo dell’opera fu clamoroso ancor
prima di essere rappresentata (la prima
rappresentazione avvenne al Det Kongelige Theater di Copenaghen il 21 dicembre
1879). Ne dà testimonianza lo stesso Ibsen
in una lettera del 3 gennaio 1880 all’Intendente dei regi teatri di Svezia: “Questo mio
nuovo dramma […] ha sollevato in Danimarca una fortissima reazione; le fazioni
si fronteggiano bellicose; l’intera grande
tiratura del libro, 8000 esemplari, è andata
esaurita nel giro di due settimane e si sta
già preparando una ristampa”. Poi, sibillino, aggiunge: “Oggetto della contesa non
è comunque il valore estetico del dramma,
ma il problema morale che pone. Che da
molte parti sarebbe stato contestato, lo sapevo in anticipo; se il pubblico nordico fosse stato così evoluto da non sollevare dissensi sul problema, sarebbe stato superfluo
scrivere l’opera”. È chiaro quindi che Ibsen
scrive anche tenendo conto del pubblico,
quell’umanità nordica che Franco Perrelli
definisce “barbarica”, puntando su certi effetti bassamente contenutistici. Casa di bambola, infatti, rompe definitivamente con la
pièce bien faite, cioè con l’opera, di origine
francese, che consente alla classe borghese
di rispecchiarsi a teatro solo a condizione
di restare un prodotto gradevole e di facile
consumo. In Ibsen il teatro diventa, invece,
pretesti | Giugno 2012
lo specchio critico della società. Cos’è, infatti, una “bambola”? Non è altro che un essere alienato, una maschera il cui ossigeno,
per lei vitale, è la menzogna. Ma è, soprattutto, la ribellione di Nora a scandalizzare.
È però, la sua, una vera rivolta? Oppure è
essa stessa una maschera? L’ultima battuta del dramma sembra, a un’attenta lettura, lasciare queste domande senza risposta.
Helmer, affranto dalla partenza di Nora,
esprime un ultimo barlume di speranza (è
la didascalia, sempre importantissima nel
teatro ibseniano, a confermarcelo) quando
si domanda cosa sia il “meraviglioso” di
cui Nora costantemente attende l’avvento.
Parola chiave di Casa di bambola (vidunderlig
in norvegese; se ne contano 19 ricorrenze
nel testo, ma ben 4 riunite nell’ultima pagina della pièce) il “meraviglioso” assume qui
il significato di una vera unione tra la legge maschile e la legge femminile, pur nella
loro reciproca indipendenza. Eppure, non è
questa speranza, questo “sogno”, un’ennesima maschera che Nora indossa dopo aver
constatato che quella della “bambola”, protetta dal suo “eroe” Helmer, non le si addice più? Forse ha ragione lo psicoanalista
Georg Groddeck quando, con grande acume, afferma che Nora è essenzialmente una
creatura che vive in una dimensione fiabesca e mitopoietica. Certo è, però, che questa forza creativa Ibsen la concede esclusivamente all’essere femminile, mettendola
in scena con una grande energia prima di
ogni altro. È questo il segreto dell’ibsenismo: poesia dell’eterno conflitto cosmico
tra il principio maschile e quello femminile,
esaltazione dell’abisso che separa da sempre la donna dall’uomo. Ma, come afferma
Savinio, anche gli abissi debbono essere colmati. Il modo per farlo però è ancora tutto
da scoprire.
Mariangela Melato interpreta Nora
41
pretesti | Giugno 2012
Sulla punta
della lingua
Come parliamo,
come scriviamo
Rubrica a cura
dell’Accademia della Crusca
PAROLE NUOVE NELLA
LINGUA ITALIANA
di Valeria Della Valle
N
ella lingua italiana vengono
estetico, più che grammaticale. L’obiezione
coniate continuamente parole
più frequente e immediata nei confronti del
nuove. Penso che sia un bene.
nuovo è che si tratti «di una brutta parola»,
Se il nostro lessico rimanesse
o di una parola «che suona male». Ammetimmobile e sempre uguale a sé stesso, vortiamolo: tutto quello che è nuovo ci apparebbe dire che la nostra lingua non riesce
re linguisticamente brutto e insopportabipiù a produrre parole per le nuove necesle, perché obbliga a confrontarci non tanto
sità. Voglio ricordare che il rapporto tra
con qualcosa che non abbiamo mai letto o
la lingua italiana e le parole nuove è stato
ascoltato prima, ma con un nuovo concetsempre difficile: la nostra lingua, per secoli
to, con una nuova tendenza, con un nuofortemente condiziovo fenomeno sociale.
nata dalla tradizione L’obiezione più frequente Ne sono testimonianza
letteraria, e per lunle parole usate per ine immediata nei
go tempo stretta fra il
dicare cariche, mestieri
confronti
del
nuovo
modello fiorentino, la
o professioni femminiè che si tratti «di una
pressione proveniente
li, che hanno l’unico
brutta parola», o di una difetto di essere state
dalle lingue straniere,
i richiami all’ordine parola «che suona male» usate solo in tempi redelle varie ondate pulativamente recenti, da
riste, ha fronteggiato con difficoltà la nasciquando la donna ha cominciato a svolgeta e la diffusione delle nuove parole e delle
re ruoli prima riservati esclusivamente agli
nuove espressioni. La censura nei confronti
uomini: termini come avvocata, ministra,
delle novità linguistiche non riguarda solo
sindaca o chirurga e molti altri sono del tutto
il passato: anche nell’età contemporanea il
legittimi e accettabili dal punto di vista delcomune parlante oppone, di fronte ai neola formazione strutturale, ma continuano a
logismi, resistenze e pregiudizi di stampo
essere respinti, o usati con una connotazio-
42
pretesti | Giugno 2012
ne ironico-spregiativa, o messi tra virgoletsegretamente qualcosa alle spalle di qualte, anche se ormai progressivamente legitticuno. In questo e in moltissimi altri casi, a
mati e accolti dai più importanti vocabolari
fare da cassa di risonanza ai nuovi termini
della lingua italiana. A proposito di vocae alle nuove espressioni che poi entrano in
bolari, assistiamo da anni, con il lancio delcircolo sono proprio i mezzi di informaziole nuove edizioni, non a caso definite «milne: radio, televisione, cinema, pubblicità, e,
lesimate», come se si trattasse di vini presoprattutto, giornali e periodici, che in più,
giati, all’ostentazione pubblicitaria del nurispetto agli altri media, hanno il vantaggio
mero di neologismi registrati: da una parte,
di consacrare e conservare ufficialmente,
dunque, ci si scandalizza per il numero di
nella loro veste di fonte scritta, la nuova ennuove parole che si affacciano quotidianatrata. Se ne rese conto, nel lontano 1905, il
mente nel nostro lessico, considerate stravagiornalista e scrittore Alfredo Panzini, che
ganti, brutte, inutili, dall’altra i neologismi
per primo ebbe l’idea di raccogliere parole
vengono usati come richiamo pubblicitae locuzioni nuove registrate al loro primo
rio. Anche nell’innoapparire, ricavandovazione linguistica,
le anche dai giornaTermini come avvocata,
del resto, si riflettono ministra, sindaca o chirurga li, dalle riviste, dal
mode, tic, vizi e precinema, dalle canzoe
molti
altri
sono
del
tutto
gi della società che li
ni, ecc. La tradizione
legittimi
e
accettabili
produce: basti peninaugurata da Panzidal punto di vista della
sare alla fortuna non
ni è stata continuata,
solo giornalistica di
nel tempo, da chi ha
formazione strutturale
un’espressione come
pubblicato diziona«i furbetti del quartierino», coniata nel 2005
ri particolari, i dizionari di neologismi. Si
non da uno scrittore, da un intellettuale, da
tratta di repertori a parte, che svolgono una
un giornalista, ma da Stefano Ricucci, lo
funzione “di servizio” rispetto ai dizionaspregiudicato finanziere di Zagarolo, per
ri generali: registrare, documentare, datare
alludere ai piccoli lestofanti che si davano
e munire di firma, quando è possibile, le
tono e importanza, ma che cercavano di agnuove formazioni. Fonte privilegiata sono
girare le difficoltà con trucchetti da poco,
i quotidiani, che contribuiscono a svolgecon manovre di piccolo cabotaggio, tipire una funzione informativa e divulgativa,
che di chi sbarca a malapena il lunario con
diffondendo nel lessico d’uso comune sia i
imbrogli da bar di periferia. Oppure all’etermini che provengono dai settori speciaspressione «compagni di merende», usata
listici, sia le parole straniere che circolano
da Mario Vanni nel 1994 durante il procesin ambito internazionale. In questo modo,
so per gli omicidi di Firenze, poi entrata
i giornalisti svolgono un ruolo fondamennell’uso comune per indicare ironicamente
tale nel processo di arricchimento e innopersone legate da complicità che tramano
vazione del lessico di una lingua: termini
43
pretesti | Giugno 2012
A fare da cassa di risonanza ai nuovi termini e alle nuove
espressioni che poi entrano in circolo sono proprio i mezzi
di informazione: radio, televisione, cinema, pubblicità, e,
soprattutto, giornali e periodici
come ateo devoto, buonista, ciecopacismo, glocale, inciucista, non-luogo, mediacrazia, sprecopoli, stipendificio o velinismo, per citarne solo
alcuni, circolano ormai da tempo non solo
nei discorsi e negli scritti di editorialisti e
politici, ma, sempre più spesso, nella comunicazione quotidiana. Più recentemente, altre parole e altre espressioni sono entrate in circolo: da esodato a spread, da titoli
tossici a nativi digitali, da facebookiano a twitteratore, fino all’irruzione mediatico-giudiziaria del tristemente noto bunga-bunga.
44
A proposito di molti di questi termini, è
difficile fare previsioni sulla loro durata
e sulla loro capacità di reale attecchimento nella lingua italiana. Chi avrebbe scommesso, anni fa sulla vitalità di espressioni
come tangentopoli, mani pulite, celodurismo,
cetomedizzazione, finanza creativa? Neologismi che forse sembreranno ancora, a qualcuno, «brutti sporchi e cattivi», ma ormai
indispensabili e insostituibili per rievocare
momenti, umori e fasi della nostra vita e
della nostra società.
pretesti | Giugno 2012
SENZA
METTERE
RADICI
Anima del
mondo
Paesaggi della letteratura
Gli orizzonti di Corto Maltese
di Luca Bisin
I
l profilo di un’isola, che si mostra via
via in lontananza tra le frange e i guizzi di un oceano dai confini imprecisi, a
rompere il cerchio d’un orizzonte che
pareva inflessibile, è per l’uomo di mare una
vista a un tempo consolante e malinconica.
La promessa di terraferma riesce dolce dopo
i lunghi giorni sospesi, ondeggianti, barcollanti, beccheggianti in balia di onde dalle
geometrie imprevedibili, e tuttavia l’urgenza del viaggio già sale al modo di un pungolo insospettato, già incita quasi, non ancora
approdati, a prendere nuovamente il largo.
Quella vista, però, non è meno pungente
quando sia racchiusa nella cornice ben squadrata di una vignetta, in un angolo poco appariscente di una tavola a fumetti: è così che
Hugo Pratt, nel 1967, fa apparire la “Escondida”, “la misteriosissima isola del misteriosissimo ‘Monaco’”, covo di pirati e leggende, segreti ed enigmi, intorno a cui si dipana
la storia di Una ballata del mare salato, prima
avventura di Corto Maltese. Del resto, l’entrata in scena dello stesso Corto Maltese non
45
è molto più appariscente: anch’egli si profila all’orizzonte di un mare che non è certo
avido di imprevisti, catturato nella lente impietosa di un cannocchiale che ce lo restituisce legato a una zattera, abbandonato alla
deriva in quella che sembra essere piuttosto
la fine ingloriosa che non l’inizio scintillante di un’avventura. Come l’“Escondida”, in
effetti, Corto ci si presenta già carico di misteri, già preso nel passaggio da un’avventura all’altra: forse, come egli stesso racconta
all’amico/nemico Rasputin che lo salva dal
mare, è stata una faccenda di pirati, ammutinamenti e amori non corrisposti a condurlo
sulla soglia di una ballata del grande Oceano.
Ma forse, invece, è stato soltanto il passaggio
di un varco immaginario, di quelli che collegano segretamente gli spazi e i tempi: come
quando, al termine di un’altra avventura,
Favola di Venezia, Corto si reca in uno dei
luoghi magici che la città lagunare riserva
ai suoi più profondi conoscitori, e bussando
a una delle porte che vi si affacciano chiede
semplicemente di entrare “in un’altra sto-
pretesti | Giugno 2012
ria e in un altro luogo”.
“Sono costretto… non
Questo intreccio di realisono di quelli che metsmo e fantasia, tanto agtono le radici”. E anche
grovigliato da lasciarci
il severo avvertimento
ogni volta incerti sui ridell’indovina, che mette
spettivi confini, è certo un
in guardia il vagabondo
ingrediente importante
dall’ostinarsi a cercare
del fascino del Maltese, il
qualcosa che forse non
quale si muove con nonesiste o che forse egli ha
curanza tra i casi di una
già davanti agli occhi, se
Storia fin troppo vera,
solo non fosse così acper lo più rabbiosa e imcecato dalla smania del
placabile, fatta di guerre,
viaggio, non può che
insurrezioni, avidità, efmuoverlo a una consiferatezza, e la seducenderazione disincantata e
te lievità delle leggende
ironica, di quelle che così
e dei sogni, del gioco e
spesso abitano le storie di
dell’invenzione. È certo
Corto: “Può darsi, Bocca
la promessa di avventuDorata… Ma è affar mio
ra a muovere ogni passo
accorgermene”.
di Corto Maltese, pirata
Questo consapevole az“Allora,
bel
e avventuriero, romanzardo di indipendenza
marinaio,
parti?”
tico e spregiudicato, la
è forse ciò che riscatta il
seduzione di un viaggio
“Sono costretto… non personaggio di Pratt dalche è forse la segreta rila consuetudine, accattisono di quelli che
cerca di qualcosa che non
vante ma facile, dell’eroe,
mettono
le
radici.”
ci è dato sapere, forse la
dandogli la dignità di
fuga da un passato che
una figura letteraria. Perci rimane ignoto, incastonato nella biografia
ché, come notava lucidamente Oreste Del
del Maltese che Pratt, nel susseguirsi degli
Buono, l’avventuriero Corto Maltese “non si
albi, ha ricostruito solo per cenni e allusioni,
lascia ingannare da certe apparenze dell’Avsapientemente dosando rivelazioni e silenventura, è istruito sulla trama, sull’approdo
zi, biografia e leggenda. Eppure quel vagastorico dell’Avventura stessa. È disincantato
re non ha poi bisogno di una motivazione o
e scettico sulla bontà della natura umana. E
una meta, non risponde ad altro disegno che
persino sulla sua complessità eroica”. E così,
“la libertà, la scoperta, l’incontro e il vaganei viaggi di Corto la favola non è mai un
bondare tra un arcipelago e un altro”. Così
semplice pretesto di evasione, ma la lente
quando nel corso di un’avventura brasiliadi rifrazione di una realtà che reclama ogni
na, Un’aquila nella giungla, l’indovina Bocvolta il proprio scotto e di una umanità che
ca Dorata chiede a Corto Maltese: “Allora,
fa valere anche le proprie debolezze: scambel marinaio, parti?”, egli non può che dare
pato alla morte nel corso di un’avventura
voce a un’urgenza recondita e inafferrabile:
africana (…e di altri Romei e di altre Giuliette),
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pretesti | Giugno 2012
dopo una fuga ingloriosa che ha quasi i tratti della viltà, Corto Maltese può cedere allo
sconcerto e allo smarrimento di una impietosa diagnosi su se stesso: “Non sono un eroe
io… Sono come gli altri… e ho il diritto di
sbagliare come tutti, tranquillamente, senza
dover ogni volta fare l’esame di coscienza”.
È vero allora, come ha scritto Gianni Brunoro, che la legge segreta delle peripezie di
Corto è “non tanto la prospettiva salgariana
dell’azione, quanto quella dell’inquietudine”. Ed è sul filo dell’inquietudine, assai più
che dell’impresa favolosa o del gesto intre-
mare salato, Corte Sconta detta Arcana) si ritrova certo il suo innato gusto per il racconto,
vi manca però il suo talento per lo scorcio
allusivo, la sua tensione ad “arrivare a dire
tutto con una linea”, come amava ripetere,
la sua dedizione verso l’evocativa pregnanza di un sapiente tratto di china che sappia
catturare lo sguardo a una forma che si annuncia all’orizzonte – forse il profilo di un’isola da scoprire o la sagoma incerta di un
avventuriero con cui smarrirsi. Corto Maltese è egli stesso questa linea pronta a spiegarsi nell’irrompente disegno di un tutto. E
forse è ancora un segno della natura beffarda e sfuggente di questo esploratore d’altri
tempi, che sia proprio il suo sgraziato alter
“Sono un autore di
‘letteratura disegnata’”,
rivendicava Hugo Pratt:
“Il mio disegno cerca
di essere una scrittura.
Disegno la mia scrittura e
scrivo i miei disegni”
pido, che Corto attraversa i paesi, incrocia
gli eventi storici, insegue le leggende, lambisce i destini di personaggi immaginari o
reali (Jack London, Herman Hesse, Ernest
Hemingway…).
“Sono un autore di ‘letteratura disegnata’”,
rivendicava orgogliosamente Pratt in risposta agli ottusi detrattori del fumetto: “Il mio
disegno cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”.
Sicché nei romanzi che egli stesso vorrà ricavare da alcune storie di Corto (Una ballata del
47
ego, ben più avido, feroce, indifferente, a
pronunciare infine la regola più intima della
sua esistenza: quando, nell’ultima avventura di Corto (Mu, la città perduta), Rasputin si
lascia infine convincere a seguirlo nell’ennesimo viaggio: “Ma sì, può essere bello, se c’è
la speranza di trovare il solito tesoro... Ma
anche se non si trovasse niente... è l’arcano,
il mistero, l’ambiguità, la sfinge, l’allegoria,
la sciarada quello che conta... è il simbolo, il
gioco, l’avventura!”
pretesti | Giugno 2012
Alta cucina
Leggere di gusto
FARE UNA
RICETTA È MEN
CHE NIENTE…
Pellegrino Artusi in Odore di chiuso di Marco Malvaldi
di Francesco Baucia
I
romanzo giallo Odore di chiuso (Sellerio 2011).
l crimine ha attraversato la vita di
Nella prefazione alla terza edizione del suo
Pellegrino Artusi in maniera brutale
opus magnum, Artusi scriveva che le funzioni
e drammatica, quando egli era ancoprincipali della vita umana sono la nutriziora un giovane uomo. In una sera del
ne e la riproduzione, e in quanto tali meritagennaio 1851, la banda di briganti capitano di essere studiate in maniera scientifica.
nata dal celeberrimo Passatore (il “Passator
Molte miglia lontano, e nel campo della ficcortese” di Pascoli) prese in ostaggio la sua
tion piuttosto che della trattatistica, quasi nefamiglia: la sorella Gertrude subì la violenza
gli stessi anni si sosteneva che anche l’uscita
dei delinquenti e in seguito non riuscì mai
dalla vita merita di essere studiata in maniea riprendersi dal trauma dello stupro, tanto
ra strettamente scientifica. Specie quando
da precipitare irrimediabilmente nella follia.
tale uscita è di natura violenta e non naturaErano lontani i tempi in cui l’Artusi, con role. Il delitto, al pari della cucina e del sesso,
busto piglio positivistico, si sarebbe imbarè un’arte (avrebbe detcato nell’avventura di sito più tardi Raymond
stematizzare le abitudini
Artusi scriveva che
Chandler) e come tale
culinarie della sua giole
funzioni
principali
merita i propri escluvane e ancora disgregata
della vita umana sono sivi studiosi. Nascevapatria in un libro il cui tino così Auguste Dupin
tolo è già un manifesto e
la nutrizione e la
una dichiarazione d’in- riproduzione, e in quanto dalla penna di Edgar
Allan Poe e Sherlock
tenti: La Scienza in cucina
tali
meritano
di
essere
Holmes da quella di
e l’Arte di mangiar bene
studiate in maniera
Arthur Conan Doyle,
(1891). E nemmeno imprimi (e ineguagliati) di
scientifica
maginava che di nuovo,
una lunga serie di imiverso i settant’anni, la
tatori. Ed è proprio con un rosua esistenza sarebbe incappata
manzo di Conan Doyle sotto
in un delitto. Anzi, quasi in due:
un braccio (e un cesto ripieno
un avvelenamento e una tentata
dei suoi due amati gatti Bianfucilazione a colpi di doppietta
chino e Sibillone sotto l’altro)
da caccia. Chi si avventuri, però,
che Pellegrino Artusi si presennella ricca mole di opere biograta, nel primo capitolo di Odore
fiche dedicate al primo “sciendi chiuso, presso il castello del
ziato del gusto” dell’Italia unita,
barone di Roccapendente, in
difficilmente troverà traccia di
Maremma. Cova nella mente
questi episodi. E non se ne dol’idea di trascorrere qualche
vrà stupire, dal momento che
giorno di riposo in compagnia
in realtà non sono mai accadudel suo ospite e magari di curiosare nelle
ti. Nascono invece dalla brillante fantasia di
cucine della dimora, per carpire qualche seMarco Malvaldi, che ha fatto di Pellegrino
greto utile ai suoi “studi”. Ma i suoi piani
Artusi uno dei protagonisti del suo recente
49
pretesti | Giugno 2012
picapo, dunque, per il dedovranno essere disattesi. Inlegato di polizia Artistico,
nanzitutto perché, al risveglio
ansioso però di risolverlo
dopo la prima notte trascorsa
per farsi bello con il suoal castello, viene trovato nelle
cero, l’ufficiale dei carabicantine, ucciso da un bicchienieri Onorato Passalacqua.
re di Porto avvelenato, il magMa il delegato Artistico pogiordomo Teodoro. E il giorno
trà avvalersi di un aiutante
dopo la fidanzata di quest’uld’eccezione per le sue intimo, la giunonica e avvenendagini: il sornione Artusi,
te cameriera Agatina, tenta di
che si rivelerà quanto mai
sparare di nascosto al barone,
curioso e perspicace. Tutintento in una passeggiata per
tavia far luce sui misteri di
le sue proprietà in compagnia
Roccapendente non è davdel dagherrotipista Ciceri.
Marco
Malvaldi
vero ciò che sta più a cuore
Quali segreti si nascondono
al gourmand romagnolo: egli è più impegnadietro tali eventi criminosi, straordinari per
to dal tentativo di scoprire la ricetta del polla sonnacchiosa piccola nobiltà di Roccapettone “all’uso zingaro” che la cuoca Paripendente? Certo non è difficile immaginare
sina ha preparato per il suo arrivo al castello.
qualche losco retroscena. Perché il castello
Entrambe le indagini, in ogni caso, avranno
è un covo di vipere, come ha modo di conuna soluzione. E per non guastare la lettustatare Artusi sin dal suo arrivo. I rampolli
ra di questo godibilissimo romanzo, riveleGaddo e Lapo sono due giovanotti vanesi e
“È meglio fare da soli più che si può, e non fidarsi se
non dei propri occhi e dei propri sensi. Questo vale
massimamente per la cucina.”
stizzosi, persi l’uno dietro velleità letterarie,
l’altro dietro le sottane; le cugine Cosima e
Ugolina Bonaiuti Ferro hanno a cuore soltanto il loro piccolo e antipatico yorkshire
Briciola; il barone Romualdo e la baronessa
madre sono oltremodo alteri e sprezzanti, e
la dama di compagnia della nobildonna è
costretta a ricorrere segretamente all’assenzio per sopportarla. Solo la giovane Cecilia è
benevola e intelligente, ma il credo maschilista della famiglia le impedisce perfino di
coltivare il piacere della lettura. Un bel rom-
50
remo qui l’esito soltanto di quella culinaria.
Artusi dice di essere “uno che è stato buggerato tante di quelle volte che ha imparato che è meglio fare da soli più che si può,
e non fidarsi se non dei propri occhi e dei
propri sensi. Questo vale massimamente
per la cucina”. Così, più che far tesoro delle
indicazioni di Parisina enunciate in italiano
approssimativo misto a vernacolo toscano,
Artusi preferisce osservarla all’opera dietro ai fornelli. E solo dopo aver riprodotto
il piatto in prima persona, nel raccoglimen-
pretesti | Giugno 2012
to della propria residenza fiorentina, potrà
affermare di padroneggiarne la preparazione. Dai racconti di Parisina, di interessante
impara solo che le ascendenze “gitane” del
piatto sono dovute proprio al fatto che degli
zingari lo insegnarono al padre della cuoca,
col quale commerciavano in bestiame. Ma
veniamo alla ricetta. Si tagliano a listarelle
due peperoni gialli, precedentemente spellati e puliti. In una padella, si aggiungono
alle fettine di sedano già fatte soffriggere e
si lasciano colorire per qualche minuto. Nel
frattempo, si ammolla del pane raffermo
in due decilitri di latte bollente. Si sbriciola
mezzo chilo di tonno sott’olio in una pentola, e a fuoco moderato si attende che si asciughi l’olio in eccesso. A questo punto, si uniscono al tonno i peperoni, il sedano, un etto
di olive taggiasche snocciolate, il pane accu-
ratamente strizzato, una presa abbondante
di prezzemolo fresco tritato, sale e pepe. Un
volta raffreddato il composto, lo si mescola a
due uova e a un decilitro di panna. Imburrata una teglia, e spolveratala di pan grattato,
vi si versa l’amalgama ottenuta e la si cuoce
in forno.
“Il fare un libro è men che niente, se il libro fatto non rifà la gente” dice Artusi, citando Giuseppe Giusti, a proposito del proprio libro
La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene.
Lo stesso vale per le ricette: a nulla servono,
se chi le legge non può “trarne piacere e nutrimento” riproducendole. E se ancora i libri
a qualcosa valgono, Odore di chiuso sarà utile
tra l’altro a questo: a insegnarvi a prestare
attenzione a chi, al dessert, vi versa del Porto nel bicchiere.
POLPETTONE ALL’USO
ZINGARO
Ingredienti per 4 persone
500 gr di tonno sott’olio
2 peperoni
3 coste di sedano
300 gr di pane raffermo
100 grammi di olive taggiasche
snocciolate
2 uova
2 dl di latte
1 dl di panna
prezzemolo tritato
pangrattato
olio
sale
pepe
51
pretesti | Giugno 2012
DARE UN SENSO,
DARE SENSAZIONI
Recensioni
Rizzoli Max e Fabbri Life
Tempo d’estate. Si promuovono nuovi libri,
da leggere magari sotto l’ombrellone (almeno chi può). Se l’ombrellone invece rimane
un miraggio, è comunque bene non privarsi
della compagnia di un libro. E se questo accade per colpa della crisi, non sia che il prezzo scoraggi quanti vorranno distrarsi dalla
calura con una storia che faccia sognare.
RCS Libri lancia così due nuove collane per
l’intrattenimento popolare,
per sfidare appunto la crisi, per riportare il pubblico
dei lettori ai libri, per promuovere talenti: si tratta di
Rizzoli Max e Fabbri Life.
Nelle prime due settimane
di giugno sono usciti dieci
titoli a 8 euro e 80 centesimi in edizione cartacea e
in promozione in edizione
digitale a 4 euro e 99 centesimi. Per Rizzoli Max sono
usciti Invictus, L’altare delle
ossa maledette, Gente letale,
La parola del diavolo, Il giustiziere, L’uomo che odiava Sherlock Holmes. Per
Fabbri Life sono usciti Cosa indossare con un
cuore spezzato, Il libro dei profumi perduti, Voglio prenderti per mano, Il ristorante degli chef
innamorati.
Due nuovi marchi che ci fanno capire subito come anche RCS Libri voglia puntare sul
filone del genere, percorrendolo in forma industriale come già altri editori hanno fatto
nel recentissimo passato (si vedano Newton
Compton e Fanucci con TimeCrime). Rizzoli
52
Max si rivolge a un pubblico maschile (o machista?) e Fabbri Life si rivolge a un pubblico
femminile (non femminista!). Un target ben
identificato dove indirizzare la propria offerta editoriale che punta alla qualità delle storie, che sono tutte di livello, anche se generalmente prive di forza linguistica, alla bellezza
del prodotto (le copertine sono chiare e prive
di ambiguità) e al prezzo contenuto.
Dieci romanzoni per cominciare bene l’estate con scrittori
italiani e stranieri. Tra gli italiani Simone Sarasso ci consegna un Costantino inedito e
soprattutto “Invictus”, mentre tra gli stranieri troviamo
M.J. Rose e il suo Libro dei profumi perduti che ci fa scoprire
un senso raramente esplorato dalla letteratura come l’olfatto. E forse il vero senso di
questa operazione editoriale è
racchiuso proprio nello sforzo
di stimolare nuove sensazioni
nei lettori. “Dare un senso” al
prezzo e al genere, “dare un senso” alla letteratura che distrae, ma che nel momento in cui
ci fa sognare produce in noi nuove sensazioni, nuovi mondi. E se queste nuove collane
riusciranno davvero a far provare a ciascun
lettore una sensazione differente, avranno
forse raggiunto lo scopo: quello, cioè, di non
presentare libri rivolti a un solo genere, ma
capaci di parlare al cuore di tutti.
Buona fortuna Rizzoli Life, buona fortuna
Fabbri Max (... e non è un refuso!).
pretesti | Giugno 2012
LETTERALTURA 2012
Appuntamenti
e gli altri eventi del mese
LETTERALTURA 2012
Ai molti meriti che vengono ascritti a Francesco Petrarca è da aggiungere, fuori dall’ambito letterario, quello di essere il primo alpinista
della storia, e il giorno della sua ascensione al
Mont Ventoux (26 aprile 1336) è considerato la
data di nascita dell’alpinismo. Non è dunque
così peregrina la liaison tra letteratura e ambienti di montagna sancita dal festival LetterAltura, giunto oggi alla sesta edizione. La manifestazione, che si tiene come di consueto nel
suggestivo territorio del Verbano Cusio Ossola,
ha come filo conduttore proprio la passione per
la montagna, per il viaggio e l’avventura. Oltre
sessanta ospiti dall’Italia e dal mondo saranno
protagonisti di reading, spettacoli e laboratori. Tra i molti eventi proposti, segnaliamo lo
spettacolo Uomini e cani (basato sui libri di Jack
London) di e con Marco Paolini, il 30 giungo
a Verbania; l’incontro con Luis Sepulveda (in
dialogo con Lella Costa) dal titolo Patagonia. La
grande storia del Sud del mondo, il primo luglio,
sempre a Verbania; la rievocazione di Giuliana Sgrena (originaria della Val d’Ossola) delle
esperienze partigiane dei suoi genitori, il 7 luglio a Crodo; il ricordo di Walter Bonatti con
Roberto Mantovani, Marco Berchi e Luigi Zanzi, a Macugnaga il 21 luglio. Per il programma
completo del festival, si può consultare il sito
www.letteraltura.it.
Verbania: dal 28 giugno al 1 luglio; Valle Antigorio: 7 e 8 luglio; Lago d’Orta: 14 e 15 luglio;
Macugnaga: 20, 21 e 22 luglio
PAROLE SPALANCATE 2012. 18° FESTIVAL
DI POESIA DI GENOVA
Il 16 giugno è una giornata particolare per gli
appassionati di letteratura: è il giorno che James Joyce ha eternato nel suo romanzo Ulisse
(e per gli appassionati di gossip “colto” anche
53
quello in cui lo scrittore incontrò sua moglie).
La città di Genova, nel contesto del Festival di
Poesia, rende omaggio allo scrittore irlandese
e al suo (anti)eroe Leopold Bloom ospitando
l’edizione italiana del Bloomsday in 23 luoghi
del centro storico cittadino. Inoltre, nei giorni
di chiusura del Festival si renderà omaggio alla
poesia ecuadoriana contemporanea (con una
lettura di Ramiro Oviedo, sempre il 16), alla figura di Giorgio Caproni e al poeta americano
David Young (domenica 17).
Fino al 17 giugno
K.LIT. IL FESTIVAL DEI BLOG LETTERARI
È noto che i blog sono spesso il territorio di caccia favorito degli editor alla ricerca di nuovi fenomeni editoriali. Il romanzo d’esordio di Michela Murgia ad esempio, è nato come un blog,
poi è diventato un romanzo e infine un film per
la regia di Paolo Virzì. I blog dunque sono le
incubatrici in cui si irrobustiscono le storie più
accattivanti. Il festival di Thiene (Vicenza), unico nel suo genere in tutta Europa, si propone di
esplorare questa selva oscura telematica spesso
difficile da attraversare senza suggerimenti e
chiavi di lettura. Scenari del presente e del futuro affrontati però, come tengono a precisare
gli organizzatori, con lo spirito degli antichi caffè letterari; non solo tavole rotonde e dibattiti,
dunque, saranno al centro della manifestazione, ma anche concerti, mostre e workshop multimediali. Tra gli eventi ricordiamo, proprio in
merito al legame tra editoria mainstream e blog
letterari, l’incontro con Jacopo De Michelis (responsabile della narrativa per Marsilio) e con il
critico Marco Dotti, sabato 7 luglio. Per scaricare il programma, si veda il sito www.klit.it.
7 e 8 luglio
pretesti | Giugno 2012
Tweets
@manah
Leggere
ebook p
rec
sfoggiar
e la cope lude dallo
rtina del
davanti i
libro
compagn
i di viagg
in treno.
io
@sellerioeditore
i
ebook meno ecologici de
libri? È proprio vero che
a
l’editoria elettronica è un
cosa piuttosto complessa.
@fourthalf
Ho scopert
o un meto
do che risp
to agli ebo
etok fa rispa
rm
il 100% de
i soldi spesi iare circa
in libri: si
chiama bib
lioteca pu
bblica.
@mrjones1981
Mai letto Thomas Pync
hon?
Presto potrete farlo in
ebook
e la notizia non era af
fatto
scontata..
@Pianeta_eBook
Anno 2016: Auto volanti?
Torna la Lira? Juve in B?
Difficile. Più probabile che 1
americano su 2 legga #eBook.
@SilviaSu
rano
#eBook:
pace fatt
a tra #Go
e gli edit
ogle
ori franc
e
si. Si chiu
il conten
de
zioso ape
rto nel 2
006.
Bookbugs
54
pretesti | Giugno 2012
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Occasioni di letteratura digitale
PreTesti • Occasioni di letteratura digitale
Giugno 2012 • Numero 6 • Anno II
Registrazione Tribunale di Cagliari N. 14 del 09-05-2012
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In copertina: Emanuele Trevi • foto di Leonardo Cendamo
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