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La distribuzione dei farmaci in Italia: difesa della salute o difesa delle rendite? Gianni Cozzi Cinzia Panero Rapporto del Programma di ricerca (I fase) “Distribuzione dei farmaci ex legge 248/2006” Parte del Progetto di ricerca in convenzione tra: – Dipartimento di Tecnica ed Economia delle Aziende - Università degli Studi di Genova – Società Coop Liguria s.c.c – Ente Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa Facoltà di Economia Università degli Studi di Genova Novembre 2011 INDICE 1. 2. 3. OGGETTO ED IMPOSTAZIONE DELL’ANALISI.......................................................... 3 1.1 Oggetto dell’analisi.......................................................................................................... 3 1.2 Impostazione dell’analisi: il contesto macroeconomico di riferimento.............................. 8 1.3 Lo “stop-and-go” dei processi di liberalizzazione ............................................................ 9 LA DOMANDA DI FARMACI .......................................................................................... 17 2.1. Premessa ....................................................................................................................... 17 2.2 Gli italiani e la salute ..................................................................................................... 18 2.3 I cittadini italiani e l’uso dei farmaci.............................................................................. 19 2.4 La domanda di farmaci .................................................................................................. 22 2.5 Le determinanti del consumo di servizi e prodotti sanitari.............................................. 27 LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE ALL’INGROSSO DEI FARMACI IN ITALIA........................................................................................................................................ 39 3.1 Caratteri strutturali dell’industria farmaceutica in Italia.................................................. 39 3.2 Le fasi dei processi di R&S nell’industria farmaceutica e le procedure autorizzative sottostanti all’immissione sul mercato dei farmaci..................................................................... 46 3.3 Le procedure di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci e dei margini destinati all’industria produttrice ............................................................................................................. 49 4. 3.4 Gli effetti sui livelli dei prezzi delle diverse classi di farmaci......................................... 52 3.5 Aspetti essenziali della distribuzione intermedia dei farmaci in Italia............................. 54 LA DISTRIBUZIONE AL DETTAGLIO DEI FARMACI .............................................. 61 4.1 Elementi quantitativi d’assieme ..................................................................................... 61 4.2 La distribuzione al dettaglio “allargata” (farmaci, parafarmaci, extrafarmaci a connotazione salutistica) ........................................................................................................... 65 5. 4.3 Aspetti di marketing della distribuzione dei farmaci: considerazioni introduttive ........... 68 4.4 I punti di forza ed i punti di debolezza delle farmacie .................................................... 71 4.5 I punti di forza ed i punti di debolezza delle parafarmacie.............................................. 78 4.6 I punti di forza ed i punti di debolezza dei corner della GDO ......................................... 80 LA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI E DEI PARAFARMACI NEI CORNER DELLA GDO............................................................................................................................................. 81 5.1 Il contesto europeo di riferimento .................................................................................. 81 5.2 La situazione italiana ..................................................................................................... 84 5.3 I corner della GDO: considerazioni d’assieme ............................................................... 88 5.4 6. I corner COOP-Salute: aspetti gestionali........................................................................ 90 LE NORMATIVE VIGENTI E LA LORO RECENTE EVOLUZIONE......................... 97 6.1 La “pianta organica” delle farmacie ............................................................................... 97 6.2 La sovrapposizione tra diritto di proprietà e diritto di esercizio ed i vincoli alla creazione di reti di farmacie .................................................................................................................... 103 7. 6.3 I criteri di amministrazione dei prezzi e dei margini..................................................... 106 6.4 Gli effetti delle diverse normative nazionali................................................................. 112 L’EVOLUZIONE PIU’ RECENTE DELLE NORMATIVE ITALIANE ED IL DIBATTITO IN CORSO SUL LORO ULTERIORE CAMBIAMENTO ............................. 115 7.1 La “vexata quaestio” degli extrasconti ......................................................................... 115 7.2 I nuovi prezzi di riferimento ........................................................................................ 117 7.3 Le reazioni dei soggetti coinvolti ................................................................................. 119 7.4 I cambiamenti normativi attualmente oggetto di valutazioni e di dibattiti ..................... 123 7.5 I problemi riguardanti l’eventuale passaggio ad una remunerazione a forfait per la distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A ..................................................................... 125 7.6 8. I problemi riguardanti lo sviluppo “multiservice” delle farmacie.................................. 128 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE............................................................................... 131 8.1 La posizione italiana nel contesto europeo ................................................................... 131 8.2 Problemi aperti e prospettive di cambiamento.............................................................. 135 POST SCRIPTUM.................................................................................................................... 139 2 1. OGGETTO ED IMPOSTAZIONE DELL’ANALISI 1.1 Oggetto dell’analisi In questo rapporto vengono sintetizzati i risultati di un’analisi svolta per conto di COOPLiguria sui problemi e sulle prospettive di cambiamento nel campo della distribuzione al dettaglio dei farmaci, dei parafarmaci e di alcuni extra-farmaci che, nella percezione dei consumatori ai quali sono destinati, si qualificano come prodotti “salutistici” in senso lato appartenenti a molteplici categorie merceologiche (grocery e non grocery). Nel campo dei farmaci cosiddetti “da banco” e dei parafarmaci, tra i distributori al dettaglio figurano, da alcuni anni1, anche i Corner Salute della GDO, tra i quali quelli di cui sono state dotate alcune grandi unità di vendita COOP hanno una posizione di primo piano. La grande distribuzione partecipa inoltre all’offerta di extrafarmaci con connotati “salutistici” in altri reparti delle sue unità di vendita. I farmaci in senso stretto oggetto di distribuzione “territoriale”, ossia erogati tramite le farmacie private e pubbliche, nonché – come si vedrà in seguito – le parafarmacie ed i corner della salute della GDO per i farmaci SOP e OTC, si distinguono in tre classi principali, tutte sottoposte ad autorizzazioni per la loro commercializzazione, basate su criteri e procedure definite per legge, e svolte dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, facente capo al Ministero della Salute): • I farmaci di classe A: questa categoria include tutti i medicinali impiegati per patologie gravi, croniche e acute, ritenuti essenziali per assicurare le cure previste nei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria ad esclusione di quelli impiegati e distribuiti dalle ASL. Il loro costo è in larga misura a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), salvo eventuali differenze tra il prezzo del prodotto scelto e quello di un prodotto equivalente (vds. oltre) e salvo la corresponsione di ticket stabiliti a livello regionale. Per questi farmaci è obbligatoria la prescrizione medica e la loro 1 In base alla legge 248/2006 (cd. “decreto Bersani 1”). 3 distribuzione al dettaglio può essere effettuata solo nelle farmacie, che operano quindi come canale di distribuzione esclusivo; • I farmaci di classe C, utilizzati per patologie di lieve entità, anch’essi sottoposti ad obbligo di prescrizione medica, ma il cui costo è completamente a carico dell’utilizzatore, per i quali le farmacie operano – come per la categoria precedente – come distributori esclusivi; • I farmaci cosiddetti da automedicazione e da banco, non soggetti a prescrizione medica, con costo completamente a carico dell’utilizzatore, per la cui distribuzione, dal 2006, le parafarmacie ed i Corner Salute della GDO, con la presenza obbligatoria, nella loro vendita, di un farmacista abilitato ed iscritto all’albo professionale, possono operare come canali alternativi alle farmacie. Queste ultime, pur non disponendo di un diritto di distribuzione esclusiva, sono però ancora – come si vedrà in seguito – il canale di distribuzione più rilevante. Essi comprendono: quelli “senza obbligo di prescrizione” (cosiddetti “SOP”), per i quali, come per i farmaci di classe A e C, è vietata sia la pubblicizzazione, sia l’esposizione al pubblico e quelli “over the counter” (cosiddetti “OTC”), che possono essere oggetto di pubblicizzazione (anche attraverso i mass media) e di esposizione, anche di carattere promozionale. La classificazione testè richiamata si basa sia sul criterio dell’essenzialità dei farmaci come strumenti terapeutici per la cura di patologie non banali, sia su quello del grado di sorveglianza medica sugli effetti del loro uso (farmaci di classe A e di classe C, denominati anche farmaci “etici”) che, per i farmaci non soggetti a prescrizione SOP e OTC, utilizzati nei normali dosaggi indicati, non è ritenuta strettamente necessaria. Un tempo era presente anche la classe B, che comprendeva farmaci non essenziali ma di rilevante interesse terapeutico, assimilabili a quelli di classe A, ma con quota del prezzo obbligatoriamente a carico degli utilizzatori finali, salvo eccezioni per i meno abbienti. Questa classe è stata eliminata con un provvedimento del 2001 ed i farmaci che vi erano inseriti sono stati in parte trasferiti alla classe A, in parte alla classe C. Più precisamente l’inserimento nella classe A, comprensiva di tutti i farmaci, impiegati per la cura di patologie acute e croniche nei livelli essenziali di assistenza sanitaria garantiti dal SSN, avviene a seguito di una valutazione da parte della commissione consultiva tecnico-scientifica dell’AIFA sulla loro efficacia terapeutica. Essi sono oggetto di un apposito prontuario predisposto dal Ministero della Salute e continuamente aggiornato, consultabile on line dai prescrittori, dai responsabili dei presidi ospedalieri e dai farmacisti. I farmaci di classe C, pur essendo sottoposti a 4 procedure analoghe, non sono considerati componenti essenziali o “salvavita” e ciò ne giustifica la non rimborsabilità da parte del SSN. La commercializzazione dei farmaci SOP e OTC, è anch’essa oggetto di autorizzazione da parte dell’AIFA. Se inseriti nella lista SOP, il farmacista (sia nelle farmacie, sia nelle parafarmacie, sia nei corner) è tenuto a dare all’utilizzatore delucidazioni sul loro impiego per la cura di patologie minori e sulle loro controindicazioni (farmaci senza prescrizione, ma “su consiglio”); se inseriti nella lista OTC, data la loro composizione ed il loro impiego, sostanzialmente destinato alla prevenzione o a medicazioni banali non comportano il “consiglio” del farmacista. Alle classi sopra indicate si aggiunge la classe H (Hospital), nella quale sono inseriti farmaci, una parte dei quali di elevato valore unitario, per la cura di patologie gravi. Questa classe comprende i farmaci non oggetto di commercializzazione “territoriale”, che vengono impiegati (ed alcuni anche dispensati) direttamente nelle e dalle ASL o dai presidi ospedalieri convenzionati con il SSN. Per una parte di quelli oggetto di dispensazione, in base ad apposite convenzioni regionali e comunque con la responsabilità diretta delle ASL, le farmacie possono svolgere un mero ruolo di consegna fisica ravvicinata ai pazienti (farmaci PHT, inseriti nel prontuario della continuità assistenziale ospedale-territorio, acquistati direttamente dalle ASL). Un’altra distinzione rilevante, specie sotto il profilo dei prezzi e delle loro variazioni, nonché delle quote a carico del SSN e di quelle a carico dell’utilizzatore (nel caso di farmaci di classe A) riguarda i farmaci con principi attivi sui quali il produttore esercita i diritti derivanti dal brevetto (on patent) e quelli per i quali il brevetto è scaduto (off patent). Tra i farmaci off patent è utile distinguere: A. I cosiddetti “branded”, conservati in commercio dallo stesso produttore che fruiva del brevetto ed offerti con la loro marca e la loro denominazione originaria; B. Quelli oggetto di “comarketing”, offerti con più marche da aziende produttrici diverse in base ad accordi con l’impresa che disponeva del brevetto (in alcuni casi gli accordi sono stipulati prima della scadenza del brevetto); C. Gli “equivalenti”, commercializzati con la denominazione del principio attivo di cui è scaduto il brevetto, seguito dal nome dell’azienda produttrice (denominati anche, seppure impropriamente, “generici”: tale denominazione è stata superata con L. 149 del 26 luglio 2005, che ha introdotto quella di equivalenti); D. I “farmaci copia”, risultanti da copie di farmaci registrate da imprese prive di brevetto, quando le copie erano possibili in Italia, non essendo ancora entrato in vigore il regime brevettuale, ossia prima del 1978 e, successivamente, copie di originators i cui produttori hanno rinunciato al diritto di esclusiva; 5 E. I farmaci “biosimilari”, concettualmente analoghi agli “equivalenti”, ma con principi attivi prodotti o derivati da un organismo vivente con processi biologici (a differenza degli “equivalenti” con identità di molecole ottenute con sintesi chimica), che possono, secondo alcuni medici ospedalieri, creare problemi ai pazienti, se sostituiti a biofarmaci originari nel caso di terapie già in corso. Come si documenterà nel corso dell’analisi, la scadenza di numerosi brevetti di principi attivi molto utilizzati è il fattore fondamentale che, nell’ultimo decennio ed anche in una prospettiva a breve e medio termine ha consentito e consente di contenere i costi dei farmaci a carico del SSN, nonostante il continuo aumento delle quantità prescritte, e di approssimarsi al rispetto dei “tetti” per le spese farmaceutiche territoriali, la cui riduzione è una componente non marginale della più ampia manovra tendente a frenare la lievitazione dell’incidenza dei costi della sanità sul bilancio dello Stato ed a correggere le principali anomalie regionali in questo campo. Anche per i farmaci a totale carico degli utilizzatori, compresi i principali farmaci SOP venduti anche nei canali alternativi rispetto alle farmacie, la presenza di numerosi principi attivi “off patent” consente riduzioni, anche drastiche, dei prezzi. Se si confrontano tuttavia i costi effettivi di produzione (principio attivo, eccipienti, processo produttivo, confezionamento) e quelli di commercializzazione di alcuni farmaci “off patent” per i quali sono disponibili attendibili valutazioni con i prezzi praticati nei confronti degli utilizzatori finali di farmaci, si rilevano differenze talmente ampie da ritenere che sussistano larghi spazi di manovra non adeguatamente sfruttati a motivo del permanere di rilevanti posizioni di rendita lungo l’intera filiera dei farmaci. Sotto questo profilo il caso dei corner salute della GDO per i farmaci SOP può essere considerato come si vedrà in seguito - come un’eccezione positiva. Completando la sintetica rassegna delle nomenclature dei prodotti distribuiti nelle unità di vendita al dettaglio operanti nel campo dei farmaci, è opportuno accennare sin d’ora a due altre categorie di prodotti, non sottoposte alle autorizzazioni AIFA (quindi non comprendenti farmaci in senso stretto) che, tuttavia, nella percezione dei loro utilizzatori, vengono ad essi accomunate, in misura più o meno stretta, categorie per le quali non esiste alcun vincolo di distribuzione esclusiva. La prima categoria riguarda i cosiddetti parafarmaci, ossia prodotti che vengono percepiti dai loro utilizzatori come specificamente destinati alla cura o alla prevenzione di stati di salute patologici, comprendenti, a titolo esemplificativo, rimedi omeopatici, prodotti curativi erboristici, integratori vitaminici, creme dermatologiche specifiche, ecc.. Seppure distribuiti in larga misura nelle farmacie, nelle parafarmacie e nei corner salute della GDO, questi prodotti vengono commercializzati anche altri tipi di unità di vendita, ad assortimento specializzato o despecializzato. 6 La seconda categoria riguarda gli extrafarmaci con connotati “salutistici” in senso lato, spesso conferiti loro da politiche di immagine di marca che fanno leva su aspettative di vario tipo avvertite da specifici segmenti di utilizzatori potenziali. Questa categoria comprende prodotti appartenenti a merceologie assai varie. A titolo esemplificativo: alimenti e bevande ipocaloriche, integratori alimentari, normali creme solari, dentifrici con una spiccata immagine salutistica, omogeneizzati per la prima infanzia, prodotti per l’igiene personale, alcune linee di giocattoli per i bambini, shampoo e tinture per capelli, ecc. Agli extrafarmaci con connotati salutistici possono essere anche assimilati numerosi articoli sanitari, specie di carattere ortopedico, ed apparecchiature diagnostiche di uso domestico. I canali di distribuzione al dettaglio di questo variegato (e difficilmente delimitabile) insieme di prodotti variano considerevolmente in funzione delle categorie merceologiche di appartenenza e delle scelte dei loro canali di distribuzione al dettaglio da parte dei produttori. Tuttavia, per alcune linee di prodotti di marca, specie nel campo dei prodotti genericamente definiti “di bellezza” (ma non solo), destinati a particolari segmenti di mercato, i quali percepiscono la distribuzione nella farmacia come un elemento che, di per sé, garantisce livelli qualitativi superiori, gli stessi produttori scelgono le farmacie come un canale di distribuzione preferenziale e, in alcuni casi, esclusivo. Anche in parecchie parafarmacie sono presenti assortimenti di extrafarmaci appartenenti a categorie merceologiche varie, spesso aventi come comune denominatore, il loro carattere “naturale” e, almeno apparentemente, di fattura artigianale, in confezioni che, in qualche caso, si prestano anche ad acquisti di doni non usuali. Nei corner salute della GDO, invece, gli extrafarmaci sono, in genere, assenti, in quanto la loro collocazione, anche per quelli con spiccate connotazioni (effettive o di immagine) di carattere “salutistico” avviene in altri reparti delle grandi strutture di vendita (prevalentemente ipermercati) in cui i corner, con i loro assortimenti di farmaci SOP e OTC e di parafarmaci, sono inseriti. In alcuni casi, fa però direttamente capo ai corner salute la vendita di piccoli apparecchi diagnostici di uso domestico e il noleggio di supporti sanitari di vario tipo che possono anche richiedere consegne e installazioni a domicilio. Nella nostra analisi considereremo in tutti i suoi aspetti la distribuzione al dettaglio dei parafarmaci, che si configura come la componente rilevante degli assortimenti e del fatturato sia delle parafarmacie sia dei corner salute della GDO, mentre quella degli extrafarmaci di carattere “salutistico” verrà richiamata solo allo scopo di integrare l’analisi dell’effettiva consistenza e della peculiare dinamica del mercato delle farmacie. 7 1.2 Impostazione dell’analisi: il contesto macroeconomico di riferimento La nostra analisi ha, ovviamente, come proprio scenario macroeconomico di riferimento, la situazione del nostro Paese. Dall’ormai lontano 1992 fino al 2007 (ossia fino alle soglie della recessione che ha colpito tutti i Paesi UE) l’Italia ha manifestato un tasso medio annuo di crescita del PIL assai inferiore a quelli, anch’essi modesti nel contesto mondiale, degli altri maggiori Paesi dell’UE e successivamente, ha subito, più degli altri, gli effetti della crisi e non ha saputo esprimere, negli anni più recenti, un’adeguata ripresa. In termini di capacità di crescita l’economia italiana è quindi, da molti anni, in una situazione anomala nel contesto europeo. Ciò che rende particolarmente negativa l’incapacità dell’economia italiana di attivare i “motori della crescita” nel quadro delle condizioni profondamente mutate della competizione globale è la concomitante abnorme dimensione del debito pubblico via via accumulato nel corso degli anni. Ottemperare ai vincoli imposti a tutti i Paesi dell’UE dalla dura disciplina comune dell’Euro è divenuta quindi una necessità ineludibile per il nostro Paese. L’onerosa manovra di rientro, richiesta nell’agosto 2011 dall’UE e finalizzata ad azzerare entro il 2013 il deficit annuale di bilancio, avviando poi un lungo processo di riduzione del rapporto debito/PIL si è recentemente dimostrata insufficiente a motivo, essenzialmente, di due fattori tra loro strettamente connessi: la sfiducia nella comunità finanziaria internazionale nei confronti dell’affidabilità della politica economica italiana, dimostrata dalla preoccupante crescita degli interessi richiesta per la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico, e l’oggettivo permanere di una sostanziale mancanza di misure finalizzate, nonostante le difficoltà di bilancio, a determinare condizioni che consentano tassi di crescita, seppure contenuti. Per attivare il “motore della crescita”, sostanzialmente bloccato dagli anni ’80, sarebbe essenziale far leva anche su incisivi processi di liberalizzazione nei settori in cui predominano le rendite, oltre che su efficaci connessioni tra livelli di produttività e livelli di remunerazione, su politiche fiscali che riducano gli oneri a carico dei lavoratori dipendenti e delle imprese e li aumentino a carico dei percettori di rendite finanziarie e dei grandi patrimoni e su significative riduzioni dei costi della politica e dei costi derivanti da procedure amministrative farraginose, troppo lunghe e troppo complesse, oltre che su un contrasto più efficace nei confronti dell’evasione fiscale, del riciclaggio e dell’infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico e politico del Paese. In sostanza sarebbe necessaria una vera e propria inversione di tendenza nella cultura (non solo politica) ancora predominante in Italia, che – ormai da molti anni – premia di fatto gli 8 “insiders” che riescono ad appropriarsi di rendite e penalizza i produttori di valore economico, noncurante degli effetti negativi che ne derivano sull’occupazione, specie giovanile, e sulla stessa capacità di fronteggiare gli attacchi (non solo speculativi) del mercato finanziario internazionale. 1.3 Lo “stop-and-go” dei processi di liberalizzazione Come già si è accennato, tra le misure di politica economica che dovrebbero essere prese in Italia per cercare di riattivare i meccanismi della crescita e di ridurre l’erosione del potere di acquisto della maggioranza dei cittadini, assumono un particolare rilievo dei processi di liberalizzazione nei settori in cui predominano le rendite. Come ha recentemente ribadito il governatore della Banca d’Italia nella sua relazione annuale (2010), sarebbe essenziale “pervenire rapidamente ad un sistema di concorrenza regolata, specie nei servizi di pubblica utilità nei quali andrebbero tutelati assai più gli interessi collettivi che quelli dei percettori di rendite”. Come si vedrà tra breve anche la filiera dei farmaci, per parecchi aspetti, rientra tra questi settori. Il costo delle distorsioni che derivano dal mantenimento di posizioni di rendita ingiustificate nel settore in esame viene scaricato in larga misura sul SSN, già sottoposto a provvedimenti, in gran parte comunque necessari, di razionalizzazione e di sostanziale blocco delle risorse ad esso dedicate, ed in misura minore, ma crescente, a carico degli stessi utilizzatori finali, compresi i cittadini meno abbienti. Le misure di politica economica finalizzate specificamente ad avviare, in vari settori dei servizi, i necessari processi di liberalizzazione, in Italia hanno però finora sperimentato uno “stopand-go” preoccupante, ossia, dopo il loro avvio, sono state sostanzialmente bloccate e, in alcuni casi, sono state annullate, tornando alle situazioni di partenza, a tutto vantaggio del riconsolidamento di diffuse posizioni di rendita in gran parte ingiustificate sotto il profilo economico. Dopo la breve stagione delle prime liberalizzazioni del 2006 -2007, in cui si inserisce anche quella della distribuzione dei farmaci OTC e SOP, come ha affermato nella relazione annuale 2010 l’allora presidente uscente dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), “il percorso virtuoso si è presto interrotto, offrendo anzi a molte categorie di percettori di rendite l’occasione propizia per tornare ad invocare con successo interventi protettivi dello Stato”. Anche l’impegno, contenuto nel programma governativo del 2008, ed approvato dal Parlamento, di procedere ogni anno all’emanazione di una legge quadro sulla concorrenza è stato disatteso. 9 L’unico DDL in merito, approvato nelle competenti commissioni parlamentari nel 2010, non è ancora stato discusso. Contemporaneamente, però, sono state approvate misure specifiche che hanno ripristinato, almeno in parte, situazioni superate con le leggi del 2006-2007 (ad esempio la reintroduzione dei tariffari minimi stabiliti dagli ordini professionali) e solo l’intervento preventivo dell’Antitrust ha impedito che venissero cancellate alcune norme pro-competitive rilevanti (ad esempio sulla distribuzione dei carburanti). Nel più ampio contesto di riferimento sin qui richiamato, la filiera dei farmaci ha alcune particolarità. Anzitutto – come si è già accennato – è, in larga misura, una componente del SSN. Come tale è sottoposta a principi ed a procedure di indirizzo, determinazione dei prezzi e dei margini dei vari attori coinvolti (produttori, grossisti, farmacie) e controllo di carattere eminentemente pubblicistico. In secondo luogo, per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio, essa implica per i farmaci in senso stretto (classi A, C, SOP e OTC) per ragioni di competenza e di tutela della salute, la presenza nella loro vendita di professionisti abilitati, iscritti agli albi professionali, cui si aggiunge, nel caso italiano, per i farmaci di classe A e C, una distribuzione sul territorio dei loro punti di vendita contingentata (pianta organica) e sottoposta a rigide barriere istituzionali all’entrata. La “corporazione” dei farmacisti titolari di farmacie convenzionate con il SSN opera pertanto in questo campo non solo con diritti di esclusiva, ma anche “a numero chiuso”. Essa è inoltre organizzata in un’unica rappresentanza di categoria (Federfarma)assai rilevante anche come gruppo di pressione politico. In terzo luogo i rapporti industria-distribuzione-consumo presentano nel settore dei farmaci la peculiarità di includere tra gli attori anche prescrittori (medici di famiglia e specialisti), dal cui operato dipende, in larga misura, la selezione dei prodotti che vengono scelti ed impiegati. Naturalmente ciò avviene in misura più limitata (ma non nulla, in quanto, in questo caso, non è richiesta alcuna prescrizione, ma non sono assenti consigli da parte dei medici) per i farmaci SOP. Per gli OTC, invece – come avviene per i normali beni di consumo – il ruolo dei prescrittori sostanzialmente si annulla nei comparti in cui predominano prodotti di marca intensamente pubblicizzati attraverso i mass-media, venduti spesso con “premium prices” rilevanti. In quarto luogo, nella percezione degli utilizzatori finali, il farmaco (ma ciò vale anche per i parafarmaci) non è equiparabile ai beni di consumo per quanto concerne la valutazione del suo “value for money”. Questo aspetto è ovvio ed è dimostrato ampiamente nell’esperienza statunitense, ancora in larga misura basata su principi privatistici in campo sanitario, per i farmaci innovativi, i cui livelli di prezzo sono di gran lunga più elevati rispetto a quelli degli altri farmaci nelle fasi 10 iniziali del loro ciclo di vita come “on patent”. È invece meno ovvio per i farmaci “off patent” che presentano alternative di scelta tra prodotti “equivalenti” quanto ad efficacia terapeutica, specie nei casi in cui tali prodotti sono a carico dell’utilizzatore finale. Al di sotto di determinate soglie di prezzo comparato, il consumatore avverte però difficoltà di scelta. Una significativa sperimentazione in proposito è stata effettuata con strumenti di laboratorio di carattere neuronale su un piccolo gruppo di acquirenti abituali di prodotti di marca commerciale d’insegna, allo scopo di individuare le pulsioni inconsce sottostanti alla valutazione del prezzo comparato del primo prodotto “equivalente” di marca commerciale di classe SOP. Dopo aver evidenziato il prezzo del prodotto “off patent” branded più noto e la completa identità quanto ad efficacia terapeutica del nuovo “equivalente” di marca commerciale, ai partecipanti all’esperimento veniva chiesto di scegliere tra tre eventuali prezzi di quest’ultimo, tutti molto inferiori al prezzo del brand di riferimento. Risultò una netta convergenza sull’ipotetico prezzo intermedio, non sul più basso e, ciò che più conta, gli strumenti con cui venivano individuati i meccanismi neuronali inconsci presenti durante la scelta dimostravano la “correttezza” neuronale del risultato (Lugli, 2010). Se non sono presenti condizioni che facilitano la concorrenza in tutta la filiera del farmaco si può forse concludere che le difese percettive dei consumatori possono paradossalmente ostacolare gli operatori più competitivi nell’esprimere appieno il loro potenziale di concorrenza di prezzo, nelle fasce liberalizzate del mercato. Da ultimo, ma non meno importante ai fini della nostra analisi, il farmaco non può essere considerato solo come un oggetto di transazioni commerciali, in quanto si configura anche come una componente strumentale di un bene pubblico o collettivo: la salute umana, istituzionalmente tutelato anche a livello costituzionale. Questa sua connotazione primaria sul piano strettamente giuridico-formale, consente anche di sostenere la tesi (ampiamente usata strumentalmente da Federfarma) secondo la quale i vincoli alla concorrenza nel settore della distribuzione dei farmaci in senso stretto sono coerenti con il principio generale (art. 41 della Costituzione) che ammette interventi legislativi finalizzati a ridurre la libertà di iniziativa economica (qualora essa contrasti con “l’utilità sociale” o possa “recare danno” al perseguimento di fini sovraordinati - la Costituzione indica la sicurezza, la libertà e la dignità umana, ma estensivamente. Ciò può riferirsi anche alla tutela della salute, che la stessa Carta costituzionale (art. 32) indica espressamente come un diritto primario dei cittadini). Scorrendo, anche molto sommariamente, la sequenza legislativa riguardante la distribuzione dei farmaci, il riferimento, diretto o indiretto, all’art. 41 della Costituzione è costantemente presente anche in normative che introducono limitazioni della concorrenza, da un lato assai poco rilevanti 11 rispetto alla finalità sovraordinata di maggiore tutela della salute, dall’altro tali da tutelare invece posizioni di rendita che – come già si è osservato – si ripercuotono inevitabilmente in modo negativo sulla collettività. Tuttavia questo impianto normativo ha sistematicamente reso inoperanti i ricorsi alla Corte Costituzionale, le cui sentenze non possono entrare nel merito della valutazione riguardante l’idoneità degli strumenti previsti dalle leggi rispetto ai fini che esse espressamente dichiarano di perseguire, ma devono vertere sulla coerenza (anche solo giuridico-formale) dei loro fini con i principi costituzionali. Ben diverso è invece – come si specificherà esaminando l’evoluzione delle normative specifiche e delle loro connessioni – il ruolo assolto dall’AGCM sia nel valutare il rapporto tra strumenti adottati e fini perseguiti nelle normative, sia nello sviluppare analisi dei costi e dei benefici derivanti dalla loro applicazione, sia nell’intervenire, seppure nei limiti del proprio potere sanzionatorio, nei confronti di comportamenti specifici di abuso di posizioni dominanti e, più in generale, di carattere palesemente anticompetitivo, anche con riferimento alla “vexata quaestio” delle limitazioni all’esercizio di attività professionali. Anche a livello europeo è riscontrabile un’analoga differenza, derivante dalla diversità dei relativi ruoli, tra la Corte di Giustizia europea e la Commissione europea (nella sua componente Antitrust), entrambe intervenute più volte relativamente alle distorsioni nel campo della filiera dei farmaci nei confronti di alcuni Paesi dell’UE, tra cui l’Italia, Paesi che presentano modalità di organizzazione della filiera eccessivamente vincolistiche. Tenendo conto delle specificità della filiera dei farmaci sin qui sinteticamente richiamate, nell’impostare la nostra analisi, che è stata svolta per conto di COOP Liguria, ci siamo trovati di fronte a due alternative: A. Limitarci a concentrare il nostro esame sui problemi economico-aziendali, gestionali e di marketing dei corner salute della GDO ed in modo particolare di quelli di COOP Italia, approfondendo alcune peculiarità di quelli di COOP Liguria; B. Assumere invece come oggetto di analisi anche alcuni aspetti di più ampia portata riguardanti le disfunzioni dell’intera filiera dei farmaci, allo scopo di fornire documentati spunti di riflessione ai decisori politici ed alla pubblica opinione sull’opportunità di collocare in un più ampio contesto di riforma organica, ispirata a principi pro-competitivi, l’ulteriore sviluppo dei corner salute della GDO, sviluppo che è stato fortemente vincolato dal loro confinamento alla sola commercializzazione dei farmaci SOP e OTC, seppure in strutture che devono disporre per legge di farmacisti abilitati ed iscritti all’Albo nel processo di vendita al pubblico, e che si 12 configurano come reparti delle grandi unità di vendita che le ospitano, rigidamente separati dagli altri. Optando per la seconda alternativa, in ciò incoraggiati dal committente, ed assumendo una prospettiva di analisi di interesse non solo per COOP Liguria sotto il profilo aziendalistico, ma anche – e specialmente – per l’associazione delle cooperative (Lega COOP ed altre associazioni oggi convergenti in un movimento unitario) sotto il profilo del contrasto alle rendite socialmente ed economicamente ingiustificate via via consolidatesi nella filiera dei farmaci, abbiamo assunto le ipotesi di lavoro principali di seguito specificate, che saranno oggetto di verifica, anche empirica, nel corso della nostra analisi. La prima ipotesi di lavoro può essere enunciata sinteticamente nei seguenti termini. La strenua difesa dell’esclusiva per la distribuzione al dettaglio nelle farmacie convenzionate con il SSN dei farmaci di classe C, sottoposti a prescrizione medica, ma a totale carico degli utilizzatori, si basa su motivazioni alquanto deboli e controvertibili, insistentemente sostenute da Federfarma, ma sempre più oggetto di un riesame critico nei tavoli di lavoro attualmente operanti a livello nazionale per l’aggiornamento delle norme vigenti sulla produzione e sulla distribuzione dei farmaci. È evidente che, più di altre possibili variazioni, il superamento di questo specifico vincolo dischiuderebbe spazi abbastanza rilevanti per lo sviluppo delle parafarmacie e dei corner salute della GDO, arrecando consistenti vantaggi, in termini di risparmi (ossia di difesa del loro potere d’acquisto) ai consumatori finali. La seconda ipotesi di lavoro, la cui verifica richiede un approfondito esame delle connessioni tra i diversi meccanismi che attualmente concorrono alla conservazione di rendite economicamente ingiustificate a vantaggio degli “insiders” nella distribuzione dei farmaci, può essere enunciata nei seguenti termini. Senza pervenire all’apertura agli “outsiders” (parafarmacie e corner salute della GDO) della commercializzazione dei farmaci di classe C, introducendo significativi elementi di concorrenza esterna con i quali gli “insiders” (farmacie convenzionate con il SSN) dovranno comunque misurarsi nelle loro politiche di “pricing” in questo campo, anche l’introduzione di modalità più avanzate ed economicamente più corrette per la remunerazione da parte del SSN dell’attività delle farmacie convenzionate nella distribuzione territoriale dei farmaci di classe A (ad esempio modalità di “fee for service”, ossia di remunerazione fissa per confezione anziché – come avviene attualmente – percentuale sul prezzo amministrato al consumo) possono consentire manovre di “sussidio incrociato” a danno dei consumatori. Nei costi di distribuzione al dettaglio dei farmaci (come di qualsiasi altro prodotto) prevalgono infatti le componenti a struttura fissa (costi fissi e costi di esercizio fissi). Nel caso delle 13 farmacie tali costi sono inoltre prevalentemente tra loro congiunti (ossia riferibili sia alla commercializzazione dei farmaci sia a quella degli altri prodotti venduti). Ne consegue che, in un mercato protetto (privo di concorrenza esterna) che, sui prodotti a carico del consumatore può applicare ricarichi vincolati solo da una competizione interna (tra farmacie) alquanto debole, mentre sui prodotti a carico del SSN riceve un “fee” per ogni confezione venduta o per ogni atto di vendita, possono svilupparsi operazioni di sussidio incrociato, tendenti ad acquisire livelli di profitto anche molto superiori ai livelli normali. La terza ipotesi di lavoro, non strettamente riguardante l’estensione alla parafarmacie ed ai corner salute della GDO della possibilità di commercializzare i farmaci di classe C, si riferisce alle connessioni tra altri aspetti dell’attuale organizzazione della filiera del farmaco, che facilitano la conservazione di comportamenti ispirati dall’obiettivo di conservare, il più possibile, l’acquisizione di rendite economicamente ingiustificate. Tali aspetti verranno via via considerati nel corso dell’analisi. Tra di essi figurano l’organizzazione “a numero chiuso” e vincolato quanto a distribuzione territoriale delle farmacie, che, congiuntamente al “bundling” tra proprietà ed esercizio di tali punti di vendita ed ai vincoli alla formazione di catene specializzate di distribuzione in questo campo, rendono la categoria dei farmacisti proprietari di esercizi convenzionati con il SSN, una corporazione d’altri tempi, peraltro dotata di un forte potere di condizionamento su tutti gli stadi della filiera del farmaco. Senza rimuovere, almeno in parte, le barriere all’entrata di carattere istituzionale che caratterizzano il settore, barriere sempre meno giustificabili come strumenti necessari per tutelare maggiormente il diritto alla salute di tutti i cittadini, è nostra opinione (ed in questo consiste la nostra terza ipotesi generale di lavoro) che anche i lodevoli sforzi dell’AIFA per ridurre il costo dei farmaci a carico del SSN e dei cittadini siano destinati a scontrarsi non solo con le legittime difese delle posizioni dei singoli attori operanti nella filiera (produttori innovativi, altri produttori, organizzazioni preposte all’approvvigionamento delle ASL, organizzazioni di commercio all’ingrosso, varie tipologie di distributori al dettaglio), ma anche con una sorta di “coalizione degli insiders”, guidata da alcuni grandi produttori multinazionali e da Federfarma, il cui obiettivo primario è quello di evitare che le normali logiche di mercato ed i normali meccanismi di “distruzione creatrice” che le caratterizzano possano penetrare anche nel “fortilizio” della filiera del farmaco. Abbiamo ritenuto opportuno esprimere fin dall’inizio le principali ipotesi di lavoro sottostanti alla nostra analisi, in termini molto drastici (che le successive verifiche potranno anche dimostrare eccessivi), allo scopo di evidenziare l’importanza che in essa assumono, accanto agli aspetti di carattere economico, anche quelli di carattere normativo-istituzionale. 14 Naturalmente l’analisi investirà anche molti altri aspetti, in modo più o meno approfondito, aspetti tutti necessari per meglio verificare le nostre ipotesi di lavoro, quali, in particolare: le analogie e le differenze principali tra la situazione italiana e quella degli altri maggiori Paesi dell’Unione Europea; le posizioni ed i provvedimenti specifici, nel campo oggetto del nostro esame, dell’AGCM e dell’Antitrust europeo; alcuni cenni sugli orientamenti di marketing dei principali tipi di attori operanti nella produzione dei farmaci, dei parafarmaci e degli extrafarmaci con connotazioni “salutistiche” e sugli atteggiamenti nei confronti dei vari tipi di unità di vendita e, per i farmaci, nei confronti dei prescrittori; le variegate posizioni di questi ultimi; i principali problemi di carattere gestionale delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner salute della GDO. La sequenza degli argomenti oggetto della nostra analisi sarà articolata nel modo di seguito indicato. Verranno anzitutto esaminate la consistenza (in quantità e in valore) della domanda nazionale di farmaci in senso stretto soggetti a prescrizione medica, ed i suoi recenti andamenti, soffermandosi, in modo particolare, sulle determinanti di tali andamenti, sulle quali si accennerà anche ad alcune specificità rispetto agli altri grandi Paesi europei, che riflettono principalmente (ma non solo) le diverse normative sottostanti al “pricing”. L’analisi della domanda proseguirà con una serie di valutazioni quantitative anche sulla domanda dei farmaci non soggetti a prescrizione medica (OTC e SOP), dei parafarmaci e, con esclusivo riferimento alla domanda che fa capo alle farmacie, degli extrafarmaci con connotazioni “salutistiche”. Passando a considerare l’offerta, dopo aver richiamato la struttura che assume in Italia la filiera del farmaco ed essersi soffermati brevemente sulla struttura dell’industria farmaceutica nazionale e delle filiali italiane di imprese multinazionali, si considereranno, in stretta sintesi le articolazioni delle attività di distribuzione intermedia (all’ingrosso) ed i problemi specifici di questo stadio della filiera. A questo punto l’analisi investirà, in modo più esteso, la distribuzione al dettaglio, per quanto riguarda sia le farmacie, sia le parafarmacie, sia i corner della GDO. Su questi ultimi, coerentemente con l’oggetto della nostra commessa, si approfondiranno gli aspetti gestionali, di marketing ed economico-finanziari, con particolare riferimento ai corner di COOP Italia. Nell’analisi della distribuzione al dettaglio, si cercherà anche di valutare, sotto il profilo economico-tecnico e del marketing, i vari tipi di unità di vendita (anche tra le farmacie sono infatti ravvisabili tipologie alquanto diverse sotto i profili sopra indicati) e di verificare criticamente, sulla base di analisi e di stime quantitative, l’effettiva “ratio” di alcune generalizzazioni correnti, supportate, in larga misura, da Federfarma. 15 Esaurita l’analisi “oggettiva” delle situazioni e delle tendenze in atto, il nostro esame si sposterà su una valutazione dei vari aspetti normativo-istituzionali che caratterizzano, orientano e vincolano la filiera dei farmaci, aspetti che verranno considerati sia singolarmente sia nelle loro interconnessioni, tenendo anche conto di alcune analogie e, specialmente, di alcune differenze con quelli di altri grandi Paesi dell’Unione Europea, nei quali – come in Italia – i servizi sanitari e, nel loro ambito, anche la distribuzione dei farmaci hanno un carattere prevalentemente pubblicistico e sono regolati da articolate normative. In questa parte dell’analisi verranno anche richiamati alcuni interventi dell’AGCM e dell’Antitrust europeo, che, peraltro, non sono riusciti a modificare in modo sostanziale i comportamenti dei principali attori della filiera, pur avendo sanzionato alcune specifiche e palesi distorsioni. Si prenderanno anche in considerazione alcune apprezzabili proposte di cambiamento reiteratamente avanzate dall’Istituto CERM, specializzato nell’esame dei problemi di regolazione della concorrenza e di ricerca di soluzioni che privilegino gli interessi collettivi pur nella complessa “giungla” delle normative, specie in tema di prezzi amministrati dei farmaci, proposte ed indicazioni che in gran parte condividiamo. Si cercherà, infine, di misurarsi con le posizioni via via emergenti nei “tavoli di lavoro” ministeriali ed interministeriali da tempo alle prese con i problemi di riforma di varie normative specifiche riguardanti la filiera dei farmaci. Un particolare approfondimento degli aspetti di carattere normativo, i cui effetti possono essere, almeno in parte, documentati con dati empirici, riguarda i recenti interventi dell’AIFA sui prezzi di riferimento dei farmaci di classe A e sui conseguenti valori a carico del servizio sanitario nazionale, nonché sui differenziali a carico degli utenti che scelgono alternative più costose tra prodotti “off patent” con principi attivi e posologie equivalenti. Su questo rilevante aspetto e, più in generale, sulle specifiche normative riguardanti i criteri di “pricing” amministrato e la loro evoluzione ci soffermeremo nella nostra analisi, introducendo anche alcuni elementi di confronto internazionale. Sulla base dei risultati delle analisi “oggettive” (stato di fatto e tendenze in atto nella distribuzione dei farmaci) e delle valutazioni riguardanti gli effetti delle normative in vigore verrà infine valutato se – ed in che misura – le ipotesi generali di lavoro trovano conferma, quali sono le principali difficoltà da superare e, specialmente, quali percorsi possono essere seguiti in un orizzonte temporale di breve-medio periodo, per migliorare la situazione complessiva della filiera nell’interesse della collettività, percorsi che, tuttavia, sono oggi ancora molto incerti, perché su di essi si riflette l’incertezza sull’evoluzione della situazione politica e socio-economica del Paese. 16 2. LA DOMANDA DI FARMACI 2.1. Premessa Questo capitolo si propone come obiettivo principale l’approfondimento dell’analisi della domanda di farmaci. Il capitolo si apre con la descrizione delle principali determinanti del consumo di beni e servizi sanitari: l’evoluzione complessiva di lungo periodo della domanda è, infatti, il risultato della combinazione di diversi fattori, che vanno pertanto analizzati singolarmente per meglio comprenderne la dinamica. In particolare, se è vero che la variazione dei consumi di farmaci deriva dalla variazione di volumi, prezzi e mix (diversa composizione dei consumi di farmaci, che può portare anche a variazioni nei consumi in valore nella misura in cui si tenda a privilegiare la presenza di medicinali a maggiore o minore costo), è altrettanto vero che la domanda è influenzata da molteplici fattori, alcuni riconducibili al consumatore (quelli di natura socio-demografica, economica, socioculturale), altri al macroambiente in senso più lato (quelli di carattere naturale, tecnologico e politico-legali, tra cui l’assetto del sistema sanitario). Il paragrafo 2 approfondisce il tema della salute degli italiani, evidenziando, sulla base dei dati Multiscopo dell’ISTAT e dell’osservatorio PASSI la percezione delle proprie condizioni da parte degli italiani, nonché l’effettiva diffusione di alcune patologie. Il paragrafo 3 descrive invece il rapporto che gli italiani hanno con i farmaci, in termini di utilizzazione, modalità di accesso, percezione dei farmaci di automedicazione. Il paragrafo 4 illustra quindi le principali caratteristiche dei dati relativi alla domanda dei farmaci di classe A, C, SOP ed OTC. Infine vengono approfonditi i fattori che influenzano la domanda di beni e servizi nel campo sanitario, incluse le caratteristiche della relazione medico-paziente. 17 2.2 Gli italiani e la salute Il sistema di sorveglianza PASSI (PASSI, 2010) 2 evidenzia che il 67,7% degli italiani ha una percezione positiva rispetto al proprio stato di salute e giudica di stare bene o molto bene. Il 29% circa dichiara uno stato di salute discreto, e solo il 3% di stare male o molto male. La soddisfazione per il proprio stato di salute è maggiore per le persone giovani, di sesso maschile, con livello di istruzione più elevato, senza difficoltà economiche e senza importanti malattie croniche. La presenza di malattie croniche è un indice rilevante della salute della popolazione di un Paese, soprattutto se, come l’Italia, è caratterizzato da un forte processo di invecchiamento: questo tipo di patologie, infatti, spesso non sono suscettibili di guarigione e condizionano la qualità della vita degli individui che ne sono affetti, compromettendone l’autonomia. L’indagine Multiscopo dell’ISTAT (ISTAT 2007) evidenzia che, tra gli ultrasessantacinquenni, oltre il 39% (45,5% degli uomini) soffre di almeno una malattia cronica e che le malattie croniche più diffuse sono l’ipertensione (40,5%), l’artrosi/artrite (56,4%), l’osteoporosi (18,8%) ed il diabete (14,4%). Sempre tra gli anziani risultano molto diffuse le disabilità fisiche (circa il 18% ne è affetto, ma con trend in diminuzione rispetto agli anni precedenti, conformemente a quanto avviene in altri Paesi europei). Il 2,1% della popolazione (esclusi coloro che sono ricoverati in istituti) maggiore di 6 anni è costretta a stare a letto, su una sedia o rimanere nella propria abitazione per impedimenti di tipo fisico o psichico. Tra le persone anziane la percentuale raggiunge l’8,7% (10,9% delle donne contro il 5,6% degli uomini) e tra gli ultraottantenni la percentuale sale al 22,3% ed è sempre più elevata tra le donne (25,5% contro 16,1%). Il 35,4% dei disabili vive solo ed il 6,4% con altri disabili, mentre il 58,3% convive con almeno una persona non disabile. Su 100 famiglie con presenza di disabili, quasi l’80% (ISTAT 2007) non riceve assistenza dai servizi pubblici a domicilio, sebbene il 31,9% delle persone disabili sole e il 46,8% delle famiglie in cui tutti i componenti sono disabili dichiarino che avrebbero bisogno di assistenza sanitaria a domicilio. Ovviamente l’offerta di assistenza domiciliare varia tra Nord e Sud Italia, anche se su tutto il territorio nazionale è esigua la quota di famiglie assistite. 2 PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) è il sistema di sorveglianza del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), con l’obiettivo di effettuare un monitoraggio a 360 gradi sullo stato di salute della popolazione adulta (18-69 anni) italiana, attraverso la rilevazione sistematica e continua delle abitudini, degli stili di vita e dello stato di attuazione dei programmi di intervento che il Paese sta realizzando per modificare i comportamenti a rischio. 18 Le famiglie con disabili contano perciò sulle reti informali, costituite da parenti, amici, vicini ed associazioni. Il 3% circa dei disabili soli ed il 5,7% dei disabili che vivono con altri disabili dichiarano però di non poter contare su questo tipo di supporto. Le persone affette da malattia mentale sono invece oltre 500 mila (0,9% della popolazione, 5% degli ultraottantenni). Il 5,3% delle persone (7,4% delle donne e 3,1% degli uomini) dichiara di soffrire di ansietà cronica o depressione. L’indagine PASSI conferma che le persone più propense alla depressione sono le persone di età più avanzata, di sesso femminile, con un basso livello di istruzione, difficoltà economiche e le persone affette da una o più malattie croniche. L’indagine Multiscopo dell’ISTAT evidenzia infine che vi è una forte disomogeneità delle condizioni di salute della popolazione a livello territoriale, con le regioni del Sud e dell’Italia insulare che presentano situazioni maggiormente critiche, per la presenza sia di patologie croniche serie, sia di disabilità (anche se la maggiore presenza di persone disabili nelle famiglie del Sud è in parte dovuta al minor ricorso al ricovero in strutture sanitarie, dovuto anche alla carenza strutturale di posti-letto nelle strutture socio-assistenziali). Per quanto riguarda invece i piccoli disturbi, un’indagine del Censis (2005) evidenzia che il 46,6% degli italiani dichiara di soffrire molto o abbastanza di piccoli disturbi, quali mal di testa, mal di schiena, problemi intestinali, raffreddori, tosse ecc (quasi il 52% per le donne, 42,3% per gli uomini). Queste patologie, per quanto piccole, incidono in maniera molto o abbastanza negativa sulla vita di oltre il 38% degli italiani (il 41,6% tra le donne). I piccoli disturbi più diffusi sono mal di testa (42,7% degli italiani ne ha sofferto nell’ultimo anno), raffreddore, tosse, mal di gola e problemi respiratori (34,7%), mal di schiena, dolori muscolari (32,4%) e influenza (23,2%). E’ da rilevare (Censis, 2005) che le piccole patologie hanno comunque un impatto abbastanza rilevante sulla vita della persona che ne è affetta: nel 19% dei casi (22% per gli uomini) il verificarsi di un disturbo comporta infatti la rinuncia alle attività programmate (lavoro, studio, relazioni,attività del tempo libero ecc.), nel 29%, invece, la limitazione a quelle ritenute indispensabili. 2.3 I cittadini italiani e l’uso dei farmaci L’indagine Multiscopo dell’ISTAT (ISTAT 2007) evidenzia che il 45,2% della popolazione italiana ha assunto farmaci nelle 2 settimane precedenti l’intervista: un terzo della popolazione (32,9%) utilizza regolarmente, per tutto l’anno, farmaci prescritti da un medico. 19 Il consumo di farmaci è connesso all’età: tra i bambini di 0-14 anni solo il 22,4% ha utilizzato medicinali nelle due settimane precedenti l’intervista, percentuale che sale al 89,5% tra gli ultraottantenni. Sono le donne a consumare più farmaci rispetto agli uomini (50,7% contro 39,5%), mentre il consumo di farmaci è più diffuso al Nord che al Sud e nelle Isole. La maggior parte delle persone (82,9%) ha assunto farmaci su prescrizione del medico, il 16,7% di propria iniziativa, il 3% su iniziativa dei genitori o indicazione di un'altra persona. Le persone anziane riferiscono più frequentemente di aver assunto farmaci su prescrizione del medico (97,5% tra le persone di 65 anni e più), mentre presentano la quota minima di chi assume farmaci di propria iniziativa (3,4%) che raggiunge invece il suo massimo tra le persone di 25-34 anni (41,3%). Ben il 27,2% delle persone fa uso quotidiano di farmaci (30,5% per le donne). Il consumo quotidiano dei farmaci aumenta con l’età: da 3,6% tra i bambini fino a 14 anni al massimo di 81,2% tra gli ultraottantenni. La percentuale di utilizzo quotidiano diminuisce invece al crescere del titolo di studio tra le persone di 45-64 anni. Il valore va dal 45,2% tra le persone con più basso titolo di studio al 32,2% tra i più istruiti. Dal punto di vista territoriale, la percentuale di consumatori giornalieri è più alta nel Nord-est (circa 29%) rispetto al Sud (25%). Tra le persone che utilizzano farmaci tutti i giorni, il 60% ne consuma fino a due tipi, mentre un quarto di esse ne assume quattro o più tipi diversi, con la percentuale che sale al 40% tra gli ultraottantenni . Ben il 75,9% dei consumatori quotidiani di farmaci è disabile o malato cronico o riferisce cattive condizioni di salute. Tra le persone che dichiarano di stare male o molto male in salute, il consumo quotidiano di farmaci sale all’85,9%, oltre il triplo rispetto alla media. Anche tale percentuale aumenta con l’età ed è più alta tra le donne. Per quanto riguarda l’automedicazione, si può notare come essa sia ampiamente diffusa tra gli italiani (Anifa, 2008): circa il 75% ha utilizzato un farmaco di questo tipo nell’ultimo anno e circa il 50% nell’ultimo mese. Il profilo tipico della persona che attua questo tipo di comportamento è costituito dai giovani adulti, con i livelli di istruzione più elevata, attenti ad una cultura della salute più evoluta e competente. Il motivo più frequente per cui si ricorre al medicinale da automedicazione è di tipo sintomatico, quale la gestione episodica del dolore (come il mal di testa) e del disturbo (come tosse ed influenza). L’indagine Censis (2005) evidenzia peraltro che l’uso di un farmaco nell’80% circa dei casi ha avuto un ruolo determinante nel consentire alle persone affette da una piccola patologia di effettuare le attività previste (82% per rimanere al lavoro). Sempre Censis (2005), evidenzia che in presenza di un piccolo disturbo il 44,3% degli italiani si è curato da solo prendendo un farmaco in cui ha fiducia (il 54,5% dei laureati), il 37% si è 20 rivolto al medico (42,4% tra le persone con titolo di studio uguale o inferiore alle elementari), il 9,7% si è curato da solo con metodi naturali ed il 5,3% si è rivolto al farmacista. L’autocura è il comportamento prevalente di fronte alle piccole patologie e, in particolare, il ricorso ad un farmaco nel quale si ha fiducia, presumibilmente perché si ha consuetudine con esso e con i suoi effetti. Sono soprattutto i laureati a definire decisivo o importante il ruolo del farmaco nel neutralizzare l’ostacolo rappresentato dai piccoli disturbi, con quasi il 34% che lo definisce come decisivo. L’automedicazione, peraltro, non avviene fuori controllo, ma, pur utilizzando farmaci senza obbligo di ricetta (o per cui è necessaria la prescrizione, ma noti al paziente) viene effettuata ricorrendo al parere di esperti (soprattutto il medico). Il farmacista non sembra costituire un punto di riferimento primario: con la metà delle preferenze rispetto al medico (18% contro il 40%), si colloca infatti dopo il consiglio di amici e parenti (20%) e a poca distanza dalla pubblicità (12%). L’immagine del farmaco da automedicazione è prevalentemente positiva: anzitutto, per gli aspetti di servizio (comodità, facilità d’uso, adeguatezza delle informazioni …) ma anche, per quelli di efficacia e di sicurezza. L’aspetto più debole è costituito dalla capacità esplicativa della pubblicità e dal prezzo (ritenuti adeguati, rispettivamente, dal 55% e 54% dei cittadini). Sempre secondo i dati Anifa (2008), i cittadini sono abbastanza “tiepidi” rispetto all’ipotesi di un incremento del numero di farmaci da automedicazione a disposizione, mentre il 73% dichiara che preferirebbe avere un più libero accesso ai farmaci. Più del 70% dei cittadini è peraltro interessato ad aumentare il proprio bagaglio informativo, per accrescere la propria competenza nella gestione dell’autocura. I canali di informazione utilizzati sono molteplici: accanto al medico, figura centrale per la consulenza, vi sono i mass media tradizionali (TV, carta stampata, ed anche radio), i nuovi media (Internet, presso un pubblico, ovviamente, giovane e istruito) ed infine il passaparola di amici e parenti. Ancora una volta, il farmacista, pur ritenuto una fonte informativa importante, nelle preferenze si colloca addirittura dopo Internet. Per quanto riguarda infine la marca, si può osservare che solo il 24% dei cittadini ricorda il “bollino rosso” come elemento di identificazione dei farmaci da automedicazione, mentre il 76% non ricorda alcun segno distintivo. Il brand di prodotto, invece, gioca un ruolo rilevante: è percepito infatti da oltre l’80% dei cittadini come un elemento in grado di garantirne l’efficacia, la sicurezza, la qualità. 21 2.4 La domanda di farmaci La spesa farmaceutica nel 2010 è stata pari a circa 26 miliardi di Euro (Osmed 2010), di cui oltre il 75% a carico del Servizio Sanitario Nazionale. I farmaci di automedicazione hanno costituito il 7,9% della spesa complessiva, pari a 2 miliardi di Euro circa (tab. 1). Tabella 1: La composizione della spesa farmaceutica (Fonte: Osmed, 2010) Spesa % Classe A-SSN 12.985 49,8 Classe A privato 895 3,5 Classe C con ricetta 3.114 11,9 Automedicazione (farmacie pubbliche e private) 2.060 7,9 ASL, Aziende ospedaliere, RIA e Penitenziari 7.015 26,9 Totale 26.068 100,0 I farmaci più utilizzati (tab. 2) sono quelli relativi al sistema cardiovascolare (per il 93% circa a carico del SSN), con oltre 5 miliardi di Euro, seguiti dai farmaci gastrointestinali, i farmaci per il sistema nervoso centrale e gli antineoplastici (in larga misura erogati dalle strutture pubbliche). Le categorie maggiormente a carico dei cittadini sono i farmaci dermatologici, i farmaci genito-urinari ed ormoni sessuali e i farmaci dell’apparato muscolo-scheletrico. Tra i prodotti per l’automedicazione prevalgono, oltre ai dermatologici ed i medicinali relativi all’apparato muscoloscheletrico, quelli curativi per il sistema respiratorio. 22 Tabella 2: La composizione percentuale della spesa farmaceutica 2010 per I livello ATC (ossia gruppo anatomico principale, bersaglio del farmaco) (Fonte: Osmed, 2010) Classe A- Classe SSN privato Automedi Strutture Totale con ricetta cazione pubbliche (milioni €) e 59,8 4,3 8,2 18,9 8,8 3.368 B - Ematologici 32,8 2,8 5,5 0,8 58,2 1.859 C - Cardiovascolare 90,5 2,4 3,0 1,6 2,6 5.148 D - Dermatologici 9,5 5,4 45,7 36,7 2,7 642 2,6 51,2 3,5 9,1 1.258 A – Gastrointestinale A Classe C metabolismo G - Genito-urinario e ormoni 33,6 sessuali H - Ormoni sistemici 42,4 7,4 4,9 0,0 45,3 527 J - Antimicrobici 41,4 4,3 3,4 0,0 50,9 2.644 L - Antineoplastici 13,7 0,7 0,3 0,0 85,3 3.279 M - Muscolo-scheletrico 42,1 12,2 16,0 23,9 5,8 1.409 N - SNC 43,9 3,4 27,5 7,4 17,9 3.313 P - Antiparassitari 55,4 12,4 25,3 2,0 4,9 21 R - Respiratorio 61,6 5,3 9,3 21,6 2,3 1.778 S - Organi di senso 41,7 2,1 32,3 15,6 8,3 530 V - Vari 21,4 0,0 11,9 0,2 66,6 350 Restringendo l’analisi alla spesa farmaceutica territoriale, si può osservare (tab. 3) che, nel 2010, sono state acquistate, nelle farmacie pubbliche e private, circa 1,8 miliardi di confezioni di medicinali (30 confezioni per abitante), per un valore pari a circa 19 miliardi di Euro, di cui 6 circa a carico dei cittadini (circa 100 Euro pro capite). Tra il 2000 ed il 2010, con riferimento ai farmaci di classe A, a carico del SSN, le prescrizioni annue sono cresciute quasi del 63%, le confezioni acquistate quasi del 45% e la spesa, oggi pari a circa 13 miliardi, del 29% circa. Nello stesso periodo, gli acquisti privati (pari a circa 6 miliardi di Euro) hanno evidenziato una diminuzione delle confezioni comprate (-8,8%), ma un incremento in valore, di quasi il 7%. 23 Tabella 3: La composizione della spesa farmaceutica territoriale, anni 2000 e 2010(Fonte: Osmed, 2010) 2000 2010 ∆% 2010/2000 57.679.895 60.340.328 +4,6 Classe A-SSN 745 1.080 +44,9 Acquisto privato(A, C, SOP e OTC) 784 715 -8,8 Totale 1.529 1.795 +17,4 Classe A-SSN (lorda) 10.041 12.985 +29,3 Acquisto privato (A, C, SOP e OTC) 5.684 6.068 +6,8 Totale 15.725 19.053 +21,2 N. ricette classe A-SSN (milioni) 351 571 +62,9 Popolazione di riferimento (dati Istat) N. confezioni (milioni) Spesa farmaceutica (milioni €) La spesa farmaceutica territoriale complessiva del 2010 (tab. 4), pubblica e privata, è stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%). Negli ultimi anni (2006-2010) si osservano due diversi tipi di trend: quello, in crescita dal 2007 dopo una flessione nel 2006, relativo al consumo dei farmaci di classe A rimborsati dal SSN e quello, sostanzialmente stabile o con tendenze alla riduzione, dei farmaci di classe C e di automedicazione. 24 Tabella 4: I consumi di farmaci, in valore e confezioni, per le diverse classi negli anni 20062010 (Fonte: Osmed, 2010) Spesa lorda 2006 2007 2008 2009 2010 1 Classe A-SSN 13.440 12.712 12.724 12.929 12. 985 2 Classe A privato 663 828 928 892 895 1+2 Totale 14.103 13.540 13.652 13.821 13.880 3 Classe C con ricetta 3.057 3.084 3.106 3.187 3.114 4 Automedicazione (SOP e OTC) 2.094 2.134 2.054 2.075 2.060 2+3+4 Totale spesa privata 5.814 6.046 6.088 6.153 6.068 1+2+3+4 Totale spesa farmaceutica 19.254 18.758 18.812 19.083 19.053 1 Classe A-SSN 953 977 1.022 1.054 1.080 2 Classe A privato 113 129 135 132 136 1+2 Totale 1.066 1.106 1.157 1.186 1.216 3 Classe C con ricetta 299 297 296 291 284 4 Automedicazione (SOP e OTC) 311 316 311 304 295 1+2+3+4 Totale confezioni 1.675 1.719 1.765 1.781 1.795 Confezioni (milioni) Per quanto riguarda le quantità (numero di confezioni), osservando i dati relativi al biennio 2009-2010, si può rilevare che il consumo farmaceutico territoriale di classe A-SSN è in aumento del 2,4%, mentre la spesa cresce dello 0,4%. I dati relativi alle principali componenti della spesa (effetto quantità di principio attivo, effetto prezzi, effetto mix) mostrano un aumento delle quantità di principio attivo prescritto (+3,2%), una diminuzione dei prezzi (-3,1%), mentre non si rileva nessun effetto mix. L’aumento delle quantità di farmaci prescritti di classe A rimborsati dal SSN è comune a tutte le Regioni italiane ad eccezione della Basilicata (-1,4%), con una certa variabilità per quanto riguarda l’effetto mix. La Regione con il valore più elevato di spesa pubblica per farmaci di classe A a carico del SSN è la Calabria con 268 Euro pro capite(media italiana: 215, Liguria: 198). L’incremento della domanda di farmaci di classe A a carico del SSN è interpretabile sulla base di diversi fattori: da una parte per l’incremento delle malattie croniche, dall’altra per l’incidenza degli effetti della crisi, che sembra aver favorito il ricorso alla prescrizione medica da parte dei cittadini al fine di evitare una spesa diretta per farmaci. Infatti l’effetto sostituzione con specialità etiche anche per patologie curabili con il ricorso a farmaci di automedicazione, emerge anche nell’analisi regionale, dalla quale si osserva una forte differenziazione nella propensione al consumo di farmaci senza obbligo di prescrizione, molto più bassa al Sud. Tali differenze sono in 25 parte spiegate dalle diverse condizioni socio-economiche, che influenzano sia il comportamento del cittadino (alcune fasce di età, in particolare, sono poco propense all’automedicazione) che del medico (tendenzialmente, in particolari realtà socio-economiche, più propenso, anche su richiesta del cittadino, a prescrivere farmaci etici rimborsati dal SSN). La sostanziale stabilità della spesa è invece dovuta ai continui interventi del Governo volti a contenere la spesa pubblica, sia attraverso il taglio dei prezzi delle specialità farmaceutiche, sia attraverso la spinta all’utilizzo dei farmaci equivalenti (vds. oltre). Analizzando invece i dati relativi ai farmaci di classe C, si può rilevare che, tra il 2009 ed il 2010, il numero di confezioni vendute è diminuito del 2,4% e vi è stata un’analoga riduzione della spesa. Tuttavia negli anni precedenti (dal 2006 al 2009) pur in presenza di una lieve riduzione delle quantità vendute, aveva fatto riscontro un costante incremento della spesa. Anche i farmaci di automedicazione hanno evidenziato una diminuzione degli acquisti (quasi -3% tra il 2009 ed il 2010), mentre il loro valore è rimasto pressoché stabile (-0,72%). I dati Anifa (2011) evidenziano che, tra i farmaci di automedicazione, i SOP e gli OTC hanno avuto due andamenti differenti: • i farmaci SOP (25,8% a volumi e 25,1% a valori di tutti i farmaci di automedicazione) registrano una diminuzione del fatturato e dei volumi di vendita pari rispettivamente all’1,8% e all’8,4%; • i farmaci OTC (74,2% a volumi e 74,9% a valori) registrano invece una crescita dell’1,2% delle vendite a valori mentre le vendite a volumi si contraggono del 2,1%. Considerando la spesa privata complessiva (per farmaci di classe A non rimborsati, C, SOP ed OTC) si può osservare che la Regione con la spesa pro capite privata più elevata è la Liguria (oltre 123 Euro, a fronte di una media italiana pari a circa 100) (Osmed, 2010). I cittadini preferiscono rivolgersi alla farmacia per acquistare farmaci senza obbligo di prescrizione (Anifa, 2011), infatti: • le farmacie detengono il 91,8% del mercato a volumi e il 92,8% a valori; • le parafarmacie il 4,7% a volumi e il 4,5% a valori; • i corner della GDO il 3,5% a volumi e il 2,7% a valori. Come si vedrà più articolatamente nel capitolo successivo, i canali “non tradizionali” hanno però eroso progressivamente quote di mercato alla farmacia che dal 96,3% del totale delle confezioni vendute nel 2007 è passata a coprire nel 2010 il 91,8% degli acquisti di farmaci SOP ed OTC. 26 2.5 Le determinanti del consumo di servizi e prodotti sanitari Com’è noto, diversi fattori dell’ambiente possono influire sulla salute e, conseguentemente sulla domanda di beni e servizi in campo sanitario. Con riferimento ai servizi sanitari, i principali fattori che incidono sul consumo sono, come già si è accennato: 1. socio-demografici; 2. economici; 3. socio-culturali; 4. naturali, tecnologici, politico-legali. 2.5.1. Fattori socio-demografici Sono diversi gli aspetti socio-demografici rilevanti ai fini del consumo di beni e servizi sanitari. Innanzitutto, vi sono il tasso di crescita della popolazione (che aumenta il consumo di beni e servizi sanitari, se la popolazione ha una capacità d’acquisto adeguata) e la sua composizione per fasce d’età. Per quanto riguarda l’Italia, il primo aspetto ha avuto un’evoluzione diversa (rispetto al periodo precedente, caratterizzato da una sostanziale staticità con tendenza alla diminuzione) a partire dagli anni 2000, grazie ai movimenti migratori dall’estero: il tasso di variazione medio annuo calcolato fra il 2001 e il 2009 si attesta allo 0,7 per cento e la popolazione è cresciuta nello stesso periodo da quasi 57 a oltre 60 milioni di residenti. E’ anche evidente l’impatto della particolare composizione per fasce d’età. Su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, infatti, il 20,3% (2011, ISTAT) è composto da ultrasessantacinquenni, con un indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione over 65 e under 153) pari a 145% (232% in Liguria - ISTAT). L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che caratterizza tutti i Paesi europei, ma che ha una spiccata prevalenza in Germania ed Italia. Il fenomeno è peraltro recente: confrontando l’indice di vecchiaia degli anni 1960, 2010 ed una proiezione al 2050, si evince che se, negli anni ’60, l’indice di vecchiaia medio europeo aveva un valore del 50% (50% anche per l’Italia), nel 2010 il valore medio è stato pari a 100% (144% per l’Italia) e la proiezione media al 2050 è del 180%, con l’Italia al 250%. Il costante invecchiamento della popolazione discende dalla riduzione del tasso di natalità (in Italia 1,41 figli per donna in età fertile, ben al di sotto al valore – 2,1 - che consente il ricambio 3 L’indice di vecchiaia illustra il peso della popolazione anziana sulla popolazione, stimandone il grado di invecchiamento. Esso è dato dal rapporto tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni), moltiplicato per 100: valori superiori a 100 indicano una maggiore presenza di anziani rispetto ai giovanissimi. 27 generazionale) e dell’aumento dell’aspettativa di vita (in Italia pari a 84,1 anni per le donne ed a 78,9 anni per gli uomini, tra le più alte in Europa), a sua volta dipendente dalla riduzione della mortalità infantile e dal miglioramento delle condizioni di salute della popolazione4. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che, se da un lato è sinonimo di ricchezza e benessere, d’altro lato, oltre ad accrescere la domanda di assistenza sanitaria (conseguente all’aumento delle patologie cronico-degenerative legate all’età), comporta anche, tendenzialmente, un incremento dei consumi farmaceutici: l’età è infatti il principale fattore predittivo dell’uso dei farmaci della popolazione. Dall’analisi della prescrizione per classe d’età nella popolazione (OsMed 2010) si evidenzia che un assistibile di età superiore a 75 anni ha un livello di spesa (pro capite) di circa 13 volte maggiore a quello di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni. La popolazione con più di 65 anni effettua circa il 60% dei consumi (sia in valore sia di unità di principio attivo) di farmaci, mentre i giovani fino a 14 anni, nonostante la frequenza delle prescrizioni (tra il 60% e l’80% dei ragazzi ricevono almeno una prescrizione all’anno), costituiscono meno del 3%: il fenomeno è ovviamente interpretabile con la maggiore presenza di patologie croniche negli anziani. Anche il genere ha un impatto sulla domanda di farmaci: mediamente le donne hanno un livello di consumo di circa il 10% superiore a quello degli uomini, ed anche in termini di prevalenza d’uso mostrano livelli di esposizione più elevati in quasi tutte le fasce di età (in particolare per quanto riguarda i farmaci del sistema nervoso centrale, i farmaci del sangue e i farmaci del sistema muscolo-scheletrico). Nelle fasce d’età più elevate si osserva invece tra gli uomini un livello più elevato di consumo. E’ da rilevare che l’età è un elemento rilevante anche rispetto alle fasce più giovani: 8 bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione (in particolare di antibiotici e antiasmatici); negli anziani, in corrispondenza di una maggiore prevalenza di patologie croniche (quali per esempio l’ipertensione e il diabete) si raggiungono livelli di uso e di esposizione vicini al 100% (praticamente l’intera popolazione risulta aver ricevuto almeno una prescrizione nell’anno). Sempre sotto il profilo socio-demografico, un altro aspetto rilevante è il grado di istruzione della popolazione. 4 In Italia l’aspettativa di vita in buona salute dopo i 65 anni è pari 7,3 anni (per le donne a 6,8), inferiore alla media europea di oltre 9 anni per ambedue i sessi. E’ da osservare, peraltro, che il dato complessivo dell’Italia relativo all’impatto che i problemi di salute hanno sulle attività quotidiane è mediamente allineato a quello europeo: è il 9% delle italiane ed il 6,7% degli italiani – contro, rispettivamente, l’8,7% ed il 7,5% degli europei – a dichiarare infatti che i disturbi di salute impattano sulle proprie attività quotidiane. 28 In Italia, nel 2010, il 23% circa della popolazione di età superiore ai 15 anni aveva al massimo come titolo di studio la licenza elementare. Questo dato nasconde però alcune differenze: nel Nord, infatti, tale percentuale è pari al 22% circa, mentre al Sud sale al 26%. La percentuale di coloro che hanno invece un titolo di studio pari o superiore alla laurea è dell’11% circa: il dato più elevato si rileva al Centro (13%), mentre al Sud è il 9,5%. Il livello di scolarizzazione della popolazione è importante, sotto il profilo sanitario, in quanto è dimostrato che un livello di istruzione elevato favorisce un’attenzione superiore ai fattori di rischio ed ai sintomi e, nel caso si verifichi una malattia, una maggiore facilità di accesso alle diverse alternative di cura: complessivamente, quindi, ne deriva un più elevato livello di salute. Un elevato titolo di studio, infatti, favorisce il processo di empowerment del paziente che, potendo usufruire meglio della maggiore disponibilità di informazioni di carattere scientifico, è più informato e consapevole delle diverse possibilità di diagnosi e cura tra cui scegliere e sempre più attento alle tematiche legate al miglioramento della qualità della vita e del benessere. Già Rosenstock (1966) evidenziava come si possano compiere alcune generalizzazioni circa l’associazione tra caratteristiche personali ed uso dei servizi di prevenzione e diagnostica: essi risultano utilizzati soprattutto da persone giovani o di mezza età, relativamente più istruite e con un più elevato livello di reddito. Tali risultati sono confermati anche da ricerche più recenti: l’indagine multiscopo ISTAT (2007) evidenzia che le persone con titolo di studio più alto presentano un comportamento più attento nell’effettuare i controlli: in tutte le classi di età, tra i laureati e i diplomati la quota di chi si sottopone a controlli della pressione arteriosa, del colesterolo o della glicemia è generalmente superiore a quella delle persone in possesso di titoli di studio inferiori. Lo stesso accade per le visite mediche per prevenzione: nella popolazione di 18 anni e più si osserva infatti che, in tutte le classi di età, le persone con al massimo la licenza elementare ricorrono in misura minore a visite di prevenzione di quanto non facciano le persone con laurea o diploma. Sempre indipendentemente dall’età, le persone con titolo di studio meno elevato, che fanno prevenzione, si rivolgono in misura maggiore al medico generico. Le persone meno istruite effettuano inoltre più visite generiche (41,2%) e accertamenti di laboratorio (23,3%) di quelle di status più alto (rispettivamente 18,1% e 16,9%), mentre le persone con un titolo di studio più elevato ricorre più spesso ad accertamenti specialistici: fino ai 44 anni la quota raddoppia (4,8%) rispetto alle persone di status sociale meno elevato (2,4%). L’aspetto interessante è che anche se le persone meno istruite ricorrono meno a visite, accertamenti e ricoveri a pagamento intero la percentuale di coloro che pagano interamente le prestazioni si mantiene comunque molto elevata. 29 L’incidenza del livello di istruzione è evidente anche rispetto ai servizi “formativi” (quale la frequenza al corso di preparazione alla nascita5) e all’ospedalizzazione vera e propria. A proposito dell’ospedalizzazione, si è osservato che le persone meno istruite accedono meno alle procedure innovative (per esempio l’uso dei day-hospital chirurgici appare meno frequente tra le persone con la sola licenza elementare) mentre per alcune patologie i tassi di ospedalizzazione ordinaria sono più elevati, accompagnati da degenze più lunghe. Tale uso non appropriato delle prestazioni ha sicuramente ricadute negative in termini sia di efficienza, sia di efficacia. L’istruzione inoltre non incide solo sulla fruizione dei servizi, ma anche sulle condizioni di salute dei cittadini, come confermato dall’indagine multiscopo ISTAT (ISTAT 2007) che sottolinea la presenza di forti disuguaglianze sociali, utilizzando come indicatore il titolo di studio. Sono sempre le persone con un basso titolo di studio a presentare peggiori condizioni di salute, sia in termini sia di salute percepita, che di cronicità6. Il titolo di studio posseduto influenza anche le modalità d’uso dei farmaci: se il consumo aumenta fortemente con l’età, si rileva infatti che la percentuale di utilizzo quotidiano, all’interno delle singole fasce d’età, diminuisce al crescere del titolo di studio. Il discorso, come si vedrà oltre, è differente per quanto riguarda i medicinali di automedicazione. Infine, altri aspetti da considerare sono la composizione dei nuclei familiari e i movimenti migratori della popolazione. L’accresciuta aspettativa di vita e la modificazione dell’assetto tradizionale della famiglia hanno determinato una crescente presenza di famiglie monocomponente di età elevata, che spesso richiede assistenza sanitaria; i movimenti migratori possono distinguersi in interni (per esempio, dalle aree rurali a quelle urbane) ed esterni (tra nazioni). Questi ultimi comportano, almeno in Italia, un incremento complessivo della popolazione, soprattutto nella fascia più giovane, e, presumibilmente, anche un effetto sul consumo di farmaci (è da rilevare che, peraltro, alcune etnie, quali ad esempio quella cinese, preferiscono ricorrere alla medicina tradizionale). 5 Da un’indagine effettuata in Toscana nel 2005 e ripetuta nel 2007 su un campione di donne che avevano partorito nei mesi precedenti, emerge infatti che il corso di preparazione alla nascita, ritenuto uno strumento utile ad accrescere le conoscenze della madre, sia frequentato dal 60% delle donne primipare, ma che tra queste siano presenti quasi esclusivamente laureate (70%), con la totale assenza di chi è in possesso della licenza elementare o non ha alcun titolo di studio, ossia di chi è più fragile. 6 L’indagine ISTAT evidenzia che coloro che hanno al massimo la licenza elementare e dichiarano di stare male o essere affetti da cronicità sono infatti fino a tre volte più numerosi rispetto ai laureati e diplomati. 30 2.5.2. Fattori economici Numerosi studi hanno evidenziato la rilevanza della relazione tra la ricchezza di un Paese, rappresentata dal reddito nazionale pro capite, e la salute della popolazione, rappresentata dalla speranza di vita: all’aumentare del reddito cresce progressivamente anche la speranza di vita, sia perché migliorano le condizioni di vita essenziali (accesso ad acqua potabile, adeguata alimentazione…), sia perché al crescere della ricchezza aumenta, tendenzialmente, anche l’organizzazione e l’accesso ai servizi sanitari. Da un certo livello in poi, però, l’incremento della speranza di vita conseguente all’aumento del reddito è minimo. Ad esempio, nei Pasi poveri la speranza di vita aumenta rapidamente durante le fasi iniziali della crescita economica, e piccole differenze nel reddito comportano grandi differenze nel miglioramento della salute. Successivamente, mano a mano che il tenore di vita migliora, la relazione positiva tra crescita economica e speranza di vita si affievolisce: la curva da crescente diventa piatta. Il fatto che la curva si appiattisca non implica però che si sia raggiunto il livello massimo della speranza di vita: anche i paesi più ricchi continuano a godere con il passare del tempo di miglioramenti in termini di condizioni di salute generali. La differenza è che tali miglioramenti non sono più correlati al tenore di vita medio della popolazione, ma ad altri fattori, tra cui il welfare, il livello di istruzione, il sistema sanitario, le condizioni ambientali, le abitudini alimentari. Ad esempio Cuba, seppure con un reddito medio pro-capite di 5437$ e con un’incidenza della spesa sanitaria sul PIL dell’11,8% (OMS, 2009), presenta una speranza di vita di 76 anni per gli uomini (ed 80 per le donne), simile a quella dei cittadini statunitensi (rispettivamente 76 ed 81 anni), che hanno un reddito medio pro-capite di 46790$ e un’incidenza della spesa sanitaria sul PIL del 16,2%. L’impatto dei fattori economici è evidente anche sotto un altro profilo. All’interno dei Paesi più ricchi è infatti possibile osservare un altro tipo di relazione tra fattori economici e condizioni di salute della popolazione, connessa alla distribuzione della ricchezza. Negli ultimi anni la letteratura ha evidenziato come le disuguaglianze in sanità possano essere considerate quasi come un indice del grado e della qualità dello sviluppo e del benessere dell’intera società, mostrando che, ad esempio, Paesi che presentano minori differenze tra le varie classi di percettori di reddito mostrano un’aspettativa di vita più lunga. All’aumentare della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza all’interno di un Paese aumenta invece l’indice dei problemi sociali e sanitari (Barsanti, 2010). 31 In Italia, ad esempio, esiste una correlazione tra il livello di salute della popolazione e la distribuzione delle ricchezza nelle varie regioni. La figura seguente mostra tale relazione, peraltro non molto stretta, in cui la salute è rappresentata dalla speranza di vita e la distribuzione della ricchezza dal coefficiente di Gini. 32 Anche il consumo dei farmaci è condizionato, soprattutto per la parte a carico dei cittadini, dalle disponibilità economiche di questi ultimi. La crisi economica, il tasso di disoccupazione elevato, la diminuzione del potere d’acquisto reale delle famiglie, hanno indubbiamente prodotto un effetto anche sui comportamenti dei cittadini nei confronti dei medicinali. Già un’indagine effettuata da Nielsen (AESGP, 2009) rilevava che una percentuale compresa tra il 5% ed il 25% di cittadini intervistati ha dichiarato l’intenzione, in presenza di vincoli economici sempre più stringenti, di abbattere la spesa per farmaci OTC, riducendone il consumo, indirizzandolo verso farmaci meno costosi o prodotti alternativi. In effetti, relativamente ai consumi, il 2010 si caratterizza per un maggiore riscorso ai farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale piuttosto che ai farmaci non rimborsabili e ai farmaci senza obbligo di prescrizione, probabilmente anche a causa dell’impatto della crisi economico-finanziaria e quindi della volontà di evitare una spesa diretta per farmaci. Infatti il cosiddetto effetto sostituzione con specialità etiche anche per patologie curabili con il ricorso a farmaci di automedicazione, emerge anche dalla forte differenziazione interregionale nella propensione al consumo di farmaci senza obbligo di prescrizione, molto più bassa al Sud. Tali differenze sono in parte spiegate – come già si è accennato – dalle diverse condizioni socioeconomiche, che influenzano sia il comportamento sia del cittadino che del medico 33 (tendenzialmente, in particolari realtà socio-economiche, più propenso, anche su richiesta del cittadino, a prescrivere farmaci etici rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale). 2.5.3. Fattori socio-culturali L’impatto dei fattori socio-culturali sulla domanda di servizi e beni sanitari avviene a livello di stile di vita rispetto ai temi della salute. Con riferimento alle tendenze che caratterizzano gli italiani rispetto al tema della salute, si può osservare, basandosi sulla “mappa della salute” della popolazione italiana nel periodo 19982008, un consistente passaggio da approcci culturali più poveri e disimpegnati ad approcci culturali più evoluti e ricchi di progettualità. In questi 10 anni circa il 10% degli adulti italiani ha abbandonato modelli culturali poveri basati sull’attribuzione di valori limitati alla salute e improntati al disimpegno o alla delega al medico - per abbracciare un modello più positivo e proattivo basato sulla ricerca/ottimizzazione del proprio benessere. Ciò ha avuto precisi riflessi e ripercussioni, per quanto riguarda sia le rappresentazioni sociali della salute (ovvero le immagini della salute presenti nella popolazione), sia gli stili della salute (ovvero, gli indirizzi strategici che orientano i comportamenti nella vita quotidiana). Per quanto concerne le rappresentazioni è facile osservare che nello scorso decennio è nettamente calata una concezione della salute di tipo elementare (basata sulla equazione “salute = assenza di malattia”) e povero (nella logica “sto bene quando non sto male”)7. Per contro, è cresciuta una concezione più ricca e articolata della salute basata sull’idea di benessere come risultato armonico ed equilibrato di un insieme di condizioni psico-fisiche (benessere corpo-mente). Osservando le evoluzioni degli stili di salute, poi è evidente l’aumento degli stili basati su una concezione olistica e positiva del benessere, nonché sulla ricerca attiva dell’integrazione fra salute, bellezza e buon funzionamento del corpo. Si tratta di un approccio che caratterizza le persone più dotate sul piano culturale ed economico e che punta alla ricerca del benessere psicofisico e del miglioramento dell’aspetto fisico, anche attraverso la pratica sportiva. In netto calo, per contro, gli stili più trascurati in materia di salute. La consapevolezza circa la rilevanza della salute è evidenziata anche dall’indagine Censis (2005): il 72,8% degli intervistati considera la spese privata per la salute come un investimento 7 L’indagine Censis (2005) evidenziava che per il 31,3% delle persone stare bene significava “Sentirsi in forma, efficienti e in grado di svolgere le normali attività”, per il 16,5% “assenza di malattia” e per il 6,6% “sentirsi bene anche con un minimo di disturbi”, mentre per il 45,6% circa aveva rilevanza, oltre al benessere fisico, anche quello psicologico. 34 perché considera il bene salute primario rispetto al resto ed il 78,5% considera la spesa pubblica per la salute un investimento, perché il bene salute è strategico. Lo spostamento verso un modello culturale più evoluto e positivo ha prodotto due tipi di effetto: • è aumentata la tendenza ad occuparsi della propria salute: in termini sia preventivi, sia curativi; • questa tendenza si colloca nell’ambito della medicina tradizionale/farmacologica: le cosiddette “medicine alternative” interessano limitate nicchie di pubblico. I Trend di Sinottica rilevano inoltre che tra 1998 e 2008 è lievemente calata l’area dei problemi di salute affrontata in termini di autocura, ma che, contemporaneamente, vi è una maggiore propensione a non tollerare anche i più piccoli disturbi e quindi a curarli. Sempre Sinottica rileva che il segmento di popolazione più orientato all’autocura si colloca all’interno del modello di stile più evoluto e più orientato al benessere per quanto concerne la cultura della salute. Dall’indagine PASSI (2010) è possibile trarre alcune indicazioni rispetto agli stili di vita dei cittadini italiani, con riferimento alle prassi che influiscono sulle condizioni fisiche (svolgimento di attività fisica, essere in sovrappeso, consumo di frutta e verdura, consumo di alcol e abitudine al fumo) e, quindi, la minore probabilità di incorrere in malattie (quali ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete tipo 2, osteoporosi, depressione, traumi da caduta degli anziani, alcuni tipi di cancro, come quello del colon retto, del seno e dell’endometrio) e, conseguentemente, di ricorrere alle prestazioni sanitarie e farmaceutiche. Un primo aspetto che emerge dall’indagine è il progressivo peggioramento dello stile di vita: il numero di persone che non svolgono alcuna attività fisica è in crescita, quello delle persone in eccesso ponderale è stabile, il consumo quotidiano di 5 porzioni di frutta e verdura è stabile e riguarda una parte molto limitata della popolazione, vi è una percentuale consistente (20% circa) di forti bevitori, diminuisce la percentuale di fumatori negli uomini, ma cresce tra le donne ed è in aumento tra i giovani, aumenta il rispetto del divieto del fumo nei luoghi pubblici e sul lavoro, mentre è diminuita la percentuale di chi prova a smettere di fumare. Più nel dettaglio, i sedentari, che sono passati dal 27,5% del 2007 al 31% circa del 2009, prevalgono all’aumentare dell’età e sono più frequenti tra le donne, le persone che hanno il minor grado di istruzione e con molte difficoltà economiche. Vi sono differenze statisticamente significative nel confronto interregionale, con un gradiente Sud-Nord. Il valore più basso si registra nella P.A. di Bolzano (9%), quello più alto in Basilicata (47%). Da rilevare che, solo nel 31% dei casi, il medico ha chiesto loro se svolgono attività fisica e al 32% è stato dato il consiglio di fare 35 regolare attività fisica. L’aspetto positivo riguarda la diversa percezione dei sedentari: dal 2007 sono infatti diminuiti, tra essi, coloro che percepiscono il proprio livello di attività fisica come sufficiente. Per quanto riguarda le persone in soprappeso, esse erano pari al 43% nel 2007 e nel 2008, al 42% nel 2009 e nel 2010. Anche in questo caso lo stile di vita peggiora con l’età ed è più frequente negli uomini, nelle persone con basso livello di istruzione e in quelle con maggiori problemi economici. Anche in questo caso vi sono differenze statisticamente significative nel confronto interregionale, con un gradiente Nord-Sud. Il valore più basso si registra nella P.A. di Trento (29%), quello più alto in Puglia (49%). Tra i cittadini italiani, sono le donne a consumare più frequentemente 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, seguite dalle persone più adulte (50-69 anni) e quelle con un alto livello di istruzione. Anche in questo caso vi è un gradiente Nord-Sud. Il valore più alto si registra in Liguria (20%), quello più basso in Calabria (7 %). Per quanto riguarda l’alcol, il consumo a rischio è più frequente tra i giovani di età 18-34 (in modo particolare tra i 18-24enni), gli uomini, le persone con livello di istruzione medio-alto e chi non ha difficoltà economiche. Il valore più elevato si registra nella P.A. di Bolzano (44%), quello più basso in Campania (9%), con un gradiente Sud-Nord. Infine, nel 2010, è stato rilevato che tra gli adulti di 18-69 anni più della metà degli intervistati è non fumatore, il 18% è un ex fumatore e il 28% è fumatore. Tra i fumatori, la media di sigarette fumate al giorno è pari a 13, mentre i forti fumatori, cioè coloro che hanno dichiarato di fumare più di 20 sigarette al giorno, sono il 2%. L’abitudine al fumo è risultata più alta tra 25 e 34 anni, uomini, con livello di istruzione intermedio, rispetto a quelle senza alcun titolo o con la licenza elementare, e con difficoltà economiche. 2.5.4. Fattori naturali, tecnologici, politico-legali Accanto ai fattori precedentemente indicati, vi sono i fattori naturali, tecnologici e politicolegali. Il deterioramento dell’ambiente naturale ha indubbiamente prodotto un impatto sul livello di salute delle popolazioni e, conseguentemente, sull’uso dei farmaci. Ad esempio, in molte città, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua ha incrementato la diffusione di malattie dell’apparato respiratorio, come l’asma. L’innovazione tecnologica, in campo sanitario, si esprime non solo a livello di nuove attrezzature da utilizzare a scopo diagnostico, ma anche di medicinali e nuove tecniche chirurgiche, 36 che permettono di risolvere con maggiore efficacia problemi di salute crescenti e sempre più complessi. L’assetto politico-legale definisce infine il contesto di fornitura dei servizi sanitari (l’organizzazione, finanziaria e non, del Sistema Sanitario e dei settori ad esso collegato) e dei farmaci, con riferimento, in quest’ultimo caso, all’offerta, al pricing, alla comunicazione ed alla distribuzione. Su questi fattori si svilupperanno analisi articolate ed approfondimenti nelle parti successive del rapporto, come già si è indicato nel capitolo introduttivo. 2.5.5. La relazione medico-paziente La marcata differenza tra le Regioni italiane nei consumi dei farmaci non è, però, spiegabile solo sulla base di possibili differenti condizioni di salute (a loro volta derivanti dalle specificità territoriali e dagli stili di vita). Vi sono motivi di tipo strutturale (l’offerta e l’organizzazione dei servizi) ed aspetti connessi al tema dell’appropriatezza, in particolare sotto il profilo prescrittivo della Medicina Generale, che possono essere tra le principali determinanti di questa variabilità. Un esempio è costituito dall’uso di antibiotici in pazienti con disturbi di origine virale diagnosticati dal medico di famiglia (ad esempio raffreddore ed influenza): si tratta, salvo specifiche circostanze che potrebbero indurre il medico a questo tipo di prescrizione (es. allergia alle penicilline, tosse persistente…) di un uso inappropriato, vista l’origine virale. L’uso degli antibatterici non è tuttavia un problema esclusivo di costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche un problema di sanità pubblica in quanto favorisce l’aumento della resistenza batterica, con progressiva perdita di efficacia di tali farmaci, come dimostrano dati recenti. I dati Osmed (2010) evidenziano che il 42,3% dei casi di raffreddore comune, influenza e laringotracheite è stato trattato con un antibiotico, con un aumento del 7% rispetto all’anno 2009. Il dato mostra un significativo gradiente Nord-Sud, passando dal 33,9% delle Regioni del Nord al 51,7% delle Regioni del Sud. La prescrizione di antibiotici, più che ogni altra categoria terapeutica, è infatti influenzata da fattori extra-clinici, quali il carico di lavoro, l’organizzazione dei sistemi di incentivazione su base aziendale ed il rapporto medico-paziente. A tale proposito, può essere utile richiamare alcune specificità che caratterizzano il rapporto tra prescrittori ed utilizzatori di farmaci, con riferimento alle criticità riguardanti gli aspetti informativi. 37 Infatti, come accade in tutte le tipologie di servizi, il paziente non può conoscere preventivamente la qualità delle prestazioni sanitarie8, in quanto immateriali e simultaneamente prodotte e consumate. Già nel 1963 Arrow evidenziava come il problema informativo rappresenti una caratteristica fondamentale nel mercato sanitario, osservando che “l’incertezza riguardo la qualità del prodotto è forse più intensa in questo caso” che in qualsiasi altro. Il problema informativo coinvolge diversi aspetti del processo di scelta del paziente: • in primo luogo nella fase di definizione del proprio bisogno in quanto spesso può non essere in grado di riconoscere la presenza di sintomi e di patologie e quindi di decisione circa l’opportunità di consultare il medico; • nel momento della scelta della struttura sanitaria e dei trattamenti a cui sottoporsi, una volta divenuto consapevole del proprio stato di malattia; • a livello di decisione se uniformarsi o meno al comportamento consigliato. La malattia, soprattutto se seria, è inoltre un episodio eccezionale della vita umana, in cui può anche essere in gioco la vita dell’individuo: è difficile quindi che il consumatore possa assumere decisioni razionali. Viene inoltre osservato che, mentre nella maggior parte dei processi di consumo, vi è la possibilità di apprendere dalla propria esperienza o da quella altrui, in questo caso può non essere possibile, per cui, all’incertezza sull’esito, si unisce anche quella dovuta alla mancanza di esperienza pregressa. Le prestazioni sanitarie, inoltre, sono estremamente eterogenee; anzi, poiché la loro domanda è derivata, in quanto non sono richieste di per sé, ma perchè ritenute utili ad ottenere effetti positivi sulla salute, è necessario che siano personalizzate per essere efficaci. Ogni individuo, infatti, può avere esigenze diverse a seconda della patologia e delle complicanze che insorgono. Anche il medico possiede informazioni parziali ed incerte, circa la diagnosi e l’esito delle terapie ma, rispetto al paziente, si trova in una posizione di vantaggio: si crea così una situazione di asimmetria informativa. Poiché la conoscenza scientifica è complessa, le informazioni possedute dal medico sono infatti di gran lunga superiori rispetto a quelle del paziente ed entrambe le parti ne sono consapevoli. Questa particolare situazione condiziona la relazione medico-paziente, determinando spesso un forte senso di dipendenza di quest’ultimo. L’asimmetria informativa sposta infatti il rapporto sulla componente fiduciaria, che aumenta al decrescere della componente valutativa. Tutti questi aspetti consentono di comprendere, quindi, le ragioni per cui, in alcuni casi, le differenze interregionali nei consumi di farmaci possano anche essere ricondotte a diversi costumi prescrittivi. 8 In particolare viene rilevato che i servizi sanitari sono assimilabili agli experience goods (Nelson 1970), ossia beni la cui qualità effettiva può essere conosciuta mediante il consumo o, spesso, ai credence goods (Darby e Karni 1973), impossibili da giudicare anche dopo un uso prolungato. 38 3. LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE ALL’INGROSSO DEI FARMACI IN ITALIA 3.1 Caratteri strutturali dell’industria farmaceutica in Italia Passando a considerare l’offerta dei prodotti farmaceutici, è anzitutto necessario accennare, sempre molto brevemente, alla prima componente della filiera del farmaco: l’industria produttrice. In Italia, secondo le più recenti rilevazioni di Farmindustria9 (riferite al giugno 2011), le imprese produttrici di farmaci sono 365. secondo Farmindustria, le misure prese nel 2009 e reiterate nel 2010 dall’AIFA, che hanno ridotto anche i margini dei produttori(vds. successivo cap. 7) avrebbero spinto a numerosi disinvestimenti. Nel suo insieme, però, l’industria farmaceutica ha effettuato in Italia nel 2010 investimenti per 2,4 miliardi di Euro, di cui 1,2 miliardi di Euro nella R&S e 1,2 miliardi di Euro in impianti ed altre immobilizzazioni materiali. La dimensione media delle imprese del settore, comparata con quelle delle imprese localizzate nei Paesi più avanzati, è relativamente ridotta. Ciò dipende dal fatto che in Italia sono localizzate prevalentemente filiali di imprese multinazionali, i cui centri di attività principali ed i cui impianti produttivi più rilevanti si trovano nei rispettivi Paesi d’origine. In effetti, considerando le classi dimensionali UE (grandi: oltre 500 addetti, medie: da 50 a 499, piccole: meno di 50 addetti), solo 2 delle 15 grandi imprese farmaceutiche operanti in Italia che, nel loro insieme, totalizzano una quota sul fatturato nazionale del 40% circa, sono di proprietà italiana (Menarini e Sigma-Tau) ed anch’esse svolgono una parte della loro attività produttiva come licenziatari di grandi gruppi con sede principale negli Stati Uniti. Menarini, in particolare, è essa stessa un’impresa multinazionale con attività presenti in 100 Paesi e con 13.000 dipendenti a livello mondiale. Il gruppo si colloca, però, su scala globale, al 34° posto nella graduatoria internazionale dei gruppi farmaceutici. 9 Farmindustria Centro Studi (2011), Indicatori Farmaceutici. 39 Tutte le altre imprese di grandi dimensione localizzate in Italia (con più di 500 addetti) sono invece controllate da gruppi esteri o sono filiali di multinazionali con sede principale all’estero10. Più articolata si presenta in Italia la situazione delle imprese farmaceutiche di media dimensione (con 50-499 addetti): sei su 11 (Angelini, Bracco-divisione farmaci, Chiesi, Dompè, Italfarmaco e Recordati) sono di proprietà italiana e detengono, nel loro insieme, una quota del mercato nazionale del 7% circa. Numerose sono le imprese di piccola dimensione, sia controllate da gruppi esteri, sia di proprietà italiana, alcune delle quali con alti livelli di specializzazione. Tra queste hanno mantenuto una posizione rilevante, anche su scala internazionale, quelle del comparto delle biotecnologie per la salute, in cui l’incidenza delle spese in R&S sul fatturato supera spesso il 20% e che dispongono di numerosi prodotti innovativi (oltre 200), buona parte dei quali (circa 150) in fase clinica di sviluppo. L’industria farmaceutica attiva in Italia un indotto di dimensioni ragguardevoli, con un valore della produzione recentemente stimato in circa 10 miliardi di Euro (2010), che si aggiungono ai 25 miliardi di Euro delle imprese farmaceutiche (di cui 20 per la produzione di medicinali), indotto che comprende molti settori produttivi (chimica, delle macchine operatrici, del vetro, dei servizi alle imprese, ecc.), tra i quali alcuni comparti del packaging specialistico, in cui il nostro Paese ha assunto posizioni di rilievo su scala internazionale. Nel suo insieme l’indotto dell’industria farmaceutica occupa in Italia circa 61.000 addetti, ossia poco meno degli addetti all’industria farmaceutica propriamente detta (66.700). Nel contesto internazionale, l’Italia è tra i più grandi mercati mondiali, anche se in calo nel ranking internazionale. Rispetto al 2005 il nostro Paese è sceso dal quinto al sesto posto nel mondo ed entro il 2014 si appresta a diventare il settimo, sopravanzato da Paesi emergenti, quali Cina e Brasile, con India e Russia sempre più vicini. La classifica 2010 è: USA; Giappone; Germania; Francia; Cina. Il gigantismo, che caratterizza, su scala mondiale, le dimensioni dei maggiori gruppi farmaceutici (basta tenere presente che i primi 10 gruppi farmaceutici hanno una quota del 47% del mercato mondiale) in parecchi casi risulta da intensi processi di acquisizione e di fusione e trova il suo principale fattore esplicativo nelle dimensioni molto elevate, nei tempi molto prolungati e negli alti rischi di insuccesso degli investimenti in attività di R&S (in media, nel campo dei nuovi principi attivi molecolari, solo 1 su più di 10 processi di R&S di nuovi prodotti si conclude con l’immissione sul mercato), rischi che solo gruppi di grandissima dimensione, che hanno già nel loro portafoglio –prodotti alcuni “blockbusters” (ossia farmaci con vendite cumulate superiori ad 1 10 Non a caso dallo scorso anno anche il Presidente di Farmindustria è stato un manager italiano di una filiale di un gigante statunitense (Johnson & Johnson Healthcare), ora sostituito da Massimo Scaccabarozzi, di Janssen-Cilag S.p.A. 40 miliardo di dollari di fatturato ancora coperti da brevetto), sono in grado di fronteggiare continuativamente. Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni fattori rilevanti, tuttora in atto, hanno modificato (e stanno modificando) i modelli di business dei maggiori produttori internazionali e la stessa struttura del settore, nella quale possono trovare posizioni difendibili anche imprese di media dimensione e piccole imprese “science based”. Anzitutto parecchi “blockbusters” hanno raggiunto e raggiungeranno nei prossimi anni il termine della loro copertura brevettuale e possono pertanto essere oggetto della produzione e della commercializzazione, a prezzi molto inferiori, con principi attivi equivalenti, anche da parte di imprese che non ne detenevano il brevetto. In secondo luogo le attività di R&S finalizzate alla scoperta di nuovi principi attivi molecolari, se si escludono quelle incentrate sulla messa a punto di nuove modalità posologiche brevettabili, assorbono risorse finanziarie unitariamente più elevate, ma complessivamente decrescenti e focalizzate sulla cura di patologie finora incurabili, molte delle quali interessano segmenti di mercato di dimensioni ridotte, seppure con elevati livelli di valore aggiunto per i pochi prodotti che pervengono all’immissione sul mercato. In terzo luogo la nuova generazione della farmogenomica (farmaci costruiti partendo dallo studio del genoma e particolarmente mirati a correggerne i meccanismi nocivi di funzionamento) è ancora agli inizi, mentre è ancora in pieno sviluppo quella delle biotecnologie applicate alla salute, che richiede modelli di business nei quali assume rilevanza il “networking” con imprese “science based” specializzate, anche di piccole dimensioni, e con spin off universitari. D’altro canto alcuni tra i maggiori gruppi farmaceutici internazionali hanno diversificato e stanno diversificando la loro attività (anche ricorrendo ad acquisizioni internazionali) sia nel campo, in espansione, dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica, non sottoposto ai vincoli autorizzativi del campo farmaceutico, sia, in quest’ultimo, alle classi di farmaci non soggetti a prescrizione medica e pubblicizzabili. Nei parafarmaci, in particolare, l’inserimento dei gruppi maggiori, dotati di risorse e di capacità di marketing di alto livello, determina la diffusione di prodotti di marca con modalità di commercializzazione non dissimili da quelle che caratterizzano alcuni comparti dei beni di consumo differenziati (ad esempio, la divisione healthcare di Johnson & Johnson, quinto gruppo farmaceutico nella graduatoria mondiale, realizza una quota rilevante del suo fatturato con parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica). Per quanto riguarda più specificamente la posizione dell’industria farmaceutica in Italia, va anzitutto tenuto presente che, rispetto agli anni ’60 e ’70, le unità locali che producono farmaci si sono fortemente ridotte nel nostro Paese, in misura superiore a quella che ha caratterizzato un po’ ovunque i processi di selezione e concentrazione, passando da 770 nel 1962 a 365 nel 2011, di cui 41 oltre 100 prive di laboratori di R&S e di attività produttive in loco. Hanno inoltre da tempo cessato la loro attività importanti imprese italiane operanti in gruppi polisettoriali nazionali (ad esempio Carlo Erba nel gruppo Montedison). Pur occupando il sesto pos to a livello mondiale quanto a fatturato “ex factory”, l’Italia presenta alcune peculiarità nel loro insieme negative per quanto riguarda l’industria farmaceutica localizzata nel Paese: una bilancia commerciale con saldo lievemente in passivo, risultante da un interscambio non molto intenso, rispetto a quello degli altri maggiori Paesi europei ed anche di alcuni Paesi minori come il Belgio, l’Olanda, l’Irlanda e la Svizzera (questi ultimi Paesi eminentemente esportatori); un’incidenza delle spese in R&S sul fatturato che, seppure elevata nel contesto dell’industria italiana, è molto inferiore rispetto a quella delle industrie farmaceutiche localizzate in altri Paesi (Italia: 9,4%; Giappone: 28,8%; Germania: 19,2%; Francia: 20,3%; sul totale mondiale solo l’1,9% di investimenti in R&S viene effettuato in Italia, mentre in altri Paesi si hanno incidenze molto maggiori, rispettivamente: USA 44%; Giappone 13,3%; Germania 8,4%%; Francia 7,7%; GB 7,8%. Ciò anche a motivo – come si è già sottolineato - della presenza, in Italia, nell’industria farmaceutica, di molte filiali di imprese multinazionali, che concentrano la loro attività di R&S presso le case madri negli USA, in Germania, in Francia, o in altri Paesi. Si è già accennato alla presenza in Italia di alcune medie imprese farmaceutiche, che, pur occupando nel nostro Paese meno di 500 addetti ciascuna, in alcuni casi sono capifila di gruppi che, a livello internazionale, occupano anche alcune migliaia di addetti. Esse, inoltre, risultano molto presenti, anche con unità produttive, in molti Paesi. In sostanza si tratta di imprese da tempo internazionalizzate. Questo aspetto, di per sé positivo e comunque necessario date le caratteristiche tecnologiche e strutturali del settore, può determinare però – come si vedrà meglio in seguito – non pochi problemi di carattere giuridico, date le modalità di analisi dei costi finalizzate alla determinazione dei prezzi amministrati, nei casi in cui input produttivi rilevanti (in particolare principi attivi molecolari) vengono prodotti da filiali estere e trasferiti a quella italiana, valorizzandoli con prezzi di approvvigionamento (prezzi di trasferimento) non riconducibili a prezzi di mercato (per i quali in alcuni casi non è neppure possibile disporre di parametri di riferimento data l’unicità dell’oggetto trasferito) e diversi da quelli applicati al trasferimento del medesimo oggetto ad altre filiali del gruppo localizzate in altri Paesi. I rischi di applicazione di prezzi di trasferimento più elevati verso la filiale italiana, che concorrono poi a determinare il prezzo amministrato soggetto a rimborso da parte del SSN e gli stessi margini riconosciuti a tutti gli attori della filiera (produttore, grossista, farmacia), sono, in questi casi, sempre presenti. Basti considerare che, prevalentemente (anche se non esclusivamente) per un motivo di questo tipo, il leader dell’industria farmaceutica italiana (Menarini) si trova da tempo 42 sottoposto ad un’indagine per presunto ingente danno nei confronti del SSN, a seguito della constatazione di prezzi di riferimento più elevati nell’approvvigionamento di principi attivi dell’unità operativa localizzata in Italia rispetto ad altre unità operative dello stesso gruppo localizzate in altri Paesi. Tornando a considerare le medie imprese farmaceutiche italiane, va osservato (sulla scorta delle appropriate analisi svolte alcuni anni or sono dall’Università Tor Vergata11) che i loro modelli di business e le loro strategie aziendali sono alquanto diverse. Ciascuna di esse ha proprie aree di specializzazione quanto a patologie cui si riferiscono i loro prodotti e le sottostanti attività di R&S: ad esempio, Dompè è specializzata nel campo dei farmaci per l’apparato respiratorio ed osteoarticolari di carattere biotecnologico e si avvale di una rete di relazioni cooperative con piccole imprese biotech e spin off universitari in 50 Paesi; Italfarmaco è presente principalmente nel mercato dei generici e produce anche principi attivi rivenduti a terzi in vari campi per farmaci i cui originators non dispongono più di brevetto; Recordati, specializzata in farmaci per varie patologie, ha il proprio punto di forza nella produzione chimica delle molecole impiegate. Alcune di esse affiancano alla commercializzazione di specialità farmaceutiche proprie on patent anche quella di specialità farmaceutiche prodotte su licenza di gruppi esteri. Una (Angelini) è una media impresa capogruppo di un gruppo di oltre 2.500 addetti operante con filiali produttive in una decina di Paesi; un’altra (Bracco) è la divisione farmaceutica di un gruppo che figura tra i leaders mondiali nel campo dei liquidi di contrasto per la diagnostica medica; la stessa Angelini si è inoltre da tempo specializzata nella produzione di prodotti di autocura con marca pubblicizzata (Moment) e di disinfettanti, che è riuscita a trasformare in prodotti di marca (Amuchina), sviluppando in modo particolare le sue capacità di marketing e sostenendo ingenti investimenti nella comunicazione commerciale. Seppure con andamenti non lineari, nel loro insieme le medie imprese farmaceutiche italiane hanno presentato, nel corso degli anni 2000, un trend di crescita del fatturato medio-alto e livelli di redditività quasi sempre soddisfacenti, che hanno consentito loro di autofinanziare una parte degli investimenti. Questi ultimi, se si tiene conto delle loro dimensioni, pur essendo molto inferiori a quelli delle grandi filiali delle multinazionali operanti in Italia, sono stati anch’essi ingenti, seppure caratterizzati da una certa discontinuità. Nonostante gli aspetti positivi, testé evocati, nel suo insieme l’industria farmaceutica operante in Italia (comprese le filiali delle imprese multinazionali) presenta numerosi punti di debolezza, se comparata con quella operante negli altri Paesi europei, non solo negli Stati Uniti. Il punto di debolezza maggiore riguarda la bassa quota degli investimenti in R&S specificamente destinati ai farmaci innovativi. In Italia, secondo una recente analisi Eurostat, viene destinato a 11 Cfr. F. Spadonaro (2007) “La media impresa farmaceutica italiana: strategie, performances e prospettive”, L’industria, 28/4. 43 questa finalità solo il 4,8% degli investimenti europei per nuovi farmaci, contro il 22,6% in Gran Bretagna, il 18,7% in Francia, il 18,5% in Germania, l’11,7% in Svizzera, il 7,2% in Belgio. Anche l’incidenza degli addetti alla R&S sul totale degli addetti nelle imprese farmaceutiche operanti in Italia, è pari – come già si è visto – al 9,1%, mentre, mediamente, nell’insieme dei Paesi UE (più Svizzera) gli addetti alle attività di R&S sono il 17,7% degli occupati nelle imprese farmaceutiche. Le rappresentanze di categoria hanno sempre sostenuto che la minore presenza in Italia dell’attività di R&S nel settore farmaceutico è in larga misura imputabile alla minore redditività derivante dalla commercializzazione dei nuovi principi attivi che superano i processi di sperimentazione pre-clinica e clinica, minore redditività a sua volta derivante dalle normative riguardanti la determinazione dei prezzi amministrati dei nuovi farmaci (vds. oltre). In effetti – come è ben noto – in Italia (ma anche nella maggioranza dei Paesi dell’UE, ad eccezione, in parte, della Gran Bretagna), le imprese farmaceutiche non possono determinare liberamente il prezzo ex fabrica dei loro farmaci innovativi secondo logiche di “premium price”, come avviene invece negli Stati Uniti, Paese in cui, peraltro, la concorrenza fra principi attivi innovativi in parte diversi, tutti protetti temporaneamente da brevetto, impone durate abbastanza brevi (tre-quattro anni in genere) dei “premium prices” e dove i differenziali di prezzo tra i farmaci on patent e quelli off patent sono molto ampi. Inoltre, in un mercato globale com’è quello dei farmaci, per le imprese innovative (salvo che negli Stati Uniti, ossia nel mercato-Paese di gran lunga maggiore) le procedure nazionali di pricing non sono talmente rilevanti da influire sull’entità delle spese in R&S e sulla localizzazione di queste attività, in quanto il ritorno sugli investimenti non avviene solo su scala locale, ma internazionale. L’anomalia italiana (incidenza degli addetti alla R&S nel settore farmaceutico sul totale degli addetti settoriali molto inferiore a quella che si riscontra negli altri maggiori Paesi europei) dipende principalmente – a nostro avviso – da altri fattori. Anzitutto dalla struttura su scala globale e da molto tempo caratterizzante il settore (dei primi 40 gruppi farmaceutici, 16 hanno origine negli USA dove è tuttora localizzata la loro casa-madre, 12 in Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Francia, 10 in Giappone, 1 in Israele, 1 in Italia e ad essi si deve il 90% delle molecole innovative introdotte sul mercato negli ultimi 10 anni), in secondo luogo dalle migliori remunerazioni che, per molti anni – ed in parte ancora oggi – le normative e le prassi italiane consentivano di trarre dai farmaci branded anche off patent anziché da quelli innovativi on patent e dalla minore diffusione dei generici in senso stretto. Su questo secondo fattore, che investe l’intera organizzazione della filiera del farmaco in Italia si tornerà nei successivi capitoli. Va peraltro tenuto presente sin d’ora che, negli anni più recenti, mentre le imprese che producono nel mercato italiano farmaci senza obbligo di prescrizione si sono attestate sulle 205 44 unità (2010), di cui però 136 con fatturato annuo inferiore ai 2,5 milioni di Euro e solo 10 superiore ai 50 milioni di Euro, con un basso indice di concentrazione dell’offerta (le prime 50 imprese partecipano per appena il 36% al fatturato totale del comparto), nel comparto della produzione di farmaci equivalenti che – come si vedrà – ha comportato anche in Italia negli anni più recenti una significativa crescita, se si escludono le imprese che producono prodotti “branded”, in parecchi casi riconducibili alle stesse imprese che continuano a produrre o che producevano gli “originators” a brevetto scaduto, in Italia sia in termini di fatturato (1,65 miliardi di Euro su 22 miliardi di Euro), sia di addetti (4.500 su 70.000) le imprese o le divisioni di imprese a ciò deputate sono solo 51 (36 italiane e 15 estere), molte delle quali (circa il 50%) affidano a terzisti la produzione dei loro farmaci generici. Inoltre più di un terzo dei loro addetti si occupa solo di funzioni di vendita. L’alta incidenza degli addetti che svolgono attività di presentazione e promozione, seppure entro i vincoli introdotti in Italia da alcuni anni sulle forme promozionali nei confronti dei prescrittori (medici di famiglia e specialisti) caratterizza anche, ed in maggior misura, le maggiori imprese farmaceutiche di grande e media dimensione per i farmaci on patent e off patent branded di cui detenevano esse stesse il brevetto. In effetti i cosiddetti “informatori scientifici” sono una figura-chiave dell’attività di marketing delle imprese produttrici di farmaci. Purtroppo non siamo stati in grado di reperire una valutazione sufficientemente aggiornata ed affidabile dell’incidenza dei costi di marketing e di vendita sul fatturato delle imprese farmaceutiche con riferimento al mercato italiano. Con riferimento invece ai dieci gruppi più importanti su scala mondiale ed all’insieme dei mercati nazionali in cui operano, da un’accurata analisi riferita ad alcuni anni or sono (Colombo, Gessa, 2008) emerge che i costi di marketing ed amministrativi (34% del loro fatturato) superano quelli di produzione in senso stretto (esclusa attività di R&S). Secondo un altro studio, condotto dall'associazione per la salute dei consumatori Families USA, le aziende farmaceutiche spendono in operazioni di marketing e promozioni il doppio rispetto a quello che investono nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci. La ricerca ha evidenziato che lo scorso anno nove della maggiori compagnie del settore hanno speso 45 miliardi e mezzo di dollari in pubblicità e costi di amministrazione e solo 19 miliardi nella ricerca. Rapportando la situazione indicata da Colombo e Gessa alle peculiari modalità di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci di classe A vigenti in Italia (vds. successivi capitoli 6 e 7), risulterebbe un’incidenza di circa il 22% delle sole spese promozionali sostenute dalle grandi case farmaceutiche sul prezzo al consumo (in gran parte a carico del SSN) dei farmaci di classe A. 45 3.2 Le fasi dei processi di R&S nell’industria farmaceutica e le procedure autorizzative sottostanti all’immissione sul mercato dei farmaci Come già si è accennato e come è documentato in numerosi studi specialistici, i processi di R&S in campo farmaceutico sono particolarmente lunghi e complessi e presentano esiti fortemente aleatori. Schematicamente possono essere individuate quattro grandi fasi di tali processi, della durata media complessiva, nel caso di farmaci con principi attivi di tipo chimico-molecolare, di circa 13 anni, cui fanno seguito, nel caso di farmaci innovativi di cui viene autorizzata l’immissione sul mercato circa 12 anni di esclusività brevettuale effettiva (compresi 5 anni, ormai generalizzati, di “protezione complementare”). La durata della proprietà intellettuale in campo farmaceutico (che spesso viene confusa con quella dello sfruttamento effettivo del brevetto sul mercato) è, infatti, nei Paesi industriali avanzati, di 25 anni (compresi 5 anni protetti con certificati di protezione supplementare), ma comprende anche le fasi di R&S antecedenti all’eventuale immissione del nuovo prodotto sul mercato. Mediamente dall’inizio dello screening molecolare di cui viene richiesta la difesa da pedisseque imitazioni, all’ultima fase di sperimentazioni cliniche, precedute da sperimentazioni esclusivamente farmacologiche su modelli o cavie non umane, trascorrono 10 anni, la metà circa dei quali dedicata alle varie fasi di sperimentazioni cliniche, che possono iniziare una volta dimostrata l’assenza di rischi di tossicità acuta del principio attivo individuato. La sperimentazione clinica ha necessariamente luogo al di fuori dei laboratori dell’industria farmaceutica ed i suoi esiti devono essere non solo documentati, ma anche controllati dagli organi regolatori di carattere scientifico a ciò preposti, che iniziano anche la valutazione comparata dell’efficacia terapeutica dei nuovi principi attivi rispetto a quelli già in commercio per la cura delle patologie cui sono destinati e le loro controindicazioni. Per quanto riguarda le sperimentazioni cliniche, se si considera che l’Italia è uno dei maggiori mercati di utilizzo dei farmaci (specie on patent e off patent branded) e che dispone di strutture ospedaliere alcune delle quali all’avanguardia per la cura di varie patologie, nonché di un SSN molto articolato, appare anomala, su scala internazionale, la debole posizione del nostro Paese anche in questo campo, nonostante la presenza in Italia delle filiali di tutte le maggiori imprese farmaceutiche mondiali e di una parte, peraltro – come già si è accennato – modesta, dei loro laboratori di R&S. In effetti anche in questo campo, per vari motivi specifici, il cui esame va molto al di là dei limiti della nostra analisi, l’Italia si configura come un ambiente nazionale refrattario e, per certi aspetti, persino ostile allo sviluppo della ricerca applicata. 46 A questo punto, se le sperimentazioni cliniche hanno avuto esito positivo, iniziano le procedure vere e proprie di carattere “amministrativo” (in effetti in larga misura dedicate a meglio definire l’efficacia terapeutica) che hanno una durata media di due anni, e tra le quali, nei Paesi in cui vigono regimi di prezzo amministrato, rientrano anche le procedure riguardanti il pricing. Mentre le modalità ed i criteri su cui si basa l’indirizzo ed il controllo sia delle sperimentazioni cliniche, sia delle procedure riguardanti la valutazione dell’efficacia terapeutica e la farmacosorveglianza sono in larga misura omogenee e codificate su scala internazionale, in modo particolare nell’ambito dell’UE, quelle riguardanti la contrattazione del valore economico comparato e, più ancora, la determinazione del prezzo specie per i farmaci a carico (totale o parziale) dei SSN, nonché delle modalità di eventuali payback (ossia di eventuali restituzioni ex post di versamenti già effettuati o comunque previsti da parte del SSN a motivo dello “sfondamento” dei “tetti di spesa” pubblica vincolanti (in Italia, ad esempio) o di livelli di redditività-limite (in Gran Bretagna)), a carico delle imprese produttrici, sono differenti nei vari Paesi in cui i farmaci vengono commercializzati. Ci soffermeremo, successivamente, su alcuni aspetti che, relativamente ad altri Paesi europei, caratterizzano in Italia la determinazione del prezzo “ex fabrica” dei farmaci, dai quali derivano parecchie implicazioni sulle relazioni industria-distribuzione-consumo peculiari del nostro Paese nelle varie classi di farmaci e nelle loro filiere complessive. Per ora ci sembra utile richiamare sia la complessa documentazione necessaria (in Italia, ma anche negli altri Paesi dell’UE) per l’autorizzazione (registrazione) dei farmaci commercializzabili (non solo di quelli innovativi) e gli organi preposti in Italia al suo esame ed al suo controllo. Va anzitutto premesso che, per quanto riguarda la sua idoneità terapeutica e l’assenza di gravi rischi per l’utilizzatore che lo assuma in dosi corrette, sulla base di prescrizione medica e tenendo comunque contro delle sue controindicazioni, l’attuale normativa autorizzativa italiana è del tutto assimilata a quella comunitaria e che, in base ad un regolamento UE (CEE, n. 726/2004) un farmaco può essere commercializzato anche in Italia se ha ottenuto l’autorizzazione in un altro Paese dell’UE-15. La normativa italiana viene inoltre via via adeguata e, se necessario, modificata, sulla base delle direttive comunitarie in materia. Siamo quindi in presenza, per gli aspetti sopra indicati, di una vera e propria normativa europea. In Italia l’organo cui è demandata dal Ministero della Salute l’applicazione della normativa è l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che opera, per alcuni aspetti, di concerto con l’Istituto Superiore della Sanità. L’autorizzazione deve essere richiesta anche per ogni variazione o integrazione di aspetti secondari riguardanti farmaci già autorizzati (ad esempio vie di somministrazione, modalità di presentazione). La domanda di autorizzazione per l’immissione di un nuovo farmaco nel mercato 47 deve essere accompagnata (a norma del d.lgs. 24.04.06, n. 229 e delle sue successive modifiche) da una documentazione molto ampia ed articolata (cfr. allegato), il cui controllo e le cui analisi di merito – come si è già accennato – nel caso italiano (ma la situazione negli altri Paesi dell’UE non è molto diversa) richiedono mediamente circa due anni. Per i farmaci generici12 la documentazione richiede: un’appropriata documentazione della piena coincidenza con un farmaco di riferimento già autorizzato, ma esclude la presentazione dei risultati delle prove pre-cliniche e delle sperimentazioni cliniche per i quali fanno testo quelli, già valutati, del farmaco “originatore”. Per i farmaci equivalenti già registrati dallo stesso soggetto richiedente in un altro Paese UE, è la stessa AIFA che si fa trasmettere copia della documentazione dal Paese estero, con un’accelerazione delle procedure di controllo. In ogni caso l’avvio della procedura di autorizzazione-registrazione del farmaco generico non può avvenire prima di 8 anni dall’immissione sul mercato del farmaco “originatore”, in genere coincidenti con il tempo di scadenza del brevetto e, in ogni caso, l’immissione sul mercato del generico non può essere effettuata prima della scadenza della copertura brevettuale dell’”originatore”, compresi i tempi di “copertura complementare”. Per quanto riguarda più specificamente l’industria farmaceutica, le normative italiane, recependo quelle dell’UE contengono dettagliate prescrizioni sulle modalità produttive e di conservazione di tutti i farmaci (compresi SOP e OTC), comprensive di specifiche norme sul controllo di qualità, estese anche ai medicinali sperimentali (usati nelle sperimentazioni cliniche prima dell’eventuale avvio di produzioni di serie). Normative ugualmente dettagliate riguardano anche, per gli aspetti di loro pertinenza, i requisiti che devono possedere le organizzazioni di distribuzione all’ingrosso dei farmaci, anch’esse, per gli aspetti tecnico-logistici, sottoposte ad autorizzazioni ed a controllo da parte dell’AIFA. Un aspetto discutibile delle normative sin qui richiamate, è rappresentato, a nostro avviso, dall’esiguità delle sanzioni penali, specie nel caso di avvio della commercializzazione senza autorizzazione AIFA o prosecuzione a seguito di sospensione dell’autorizzazione AIFA (arresto da 6 mesi a 1 anno e ammenda da 10.000 a 100.000 Euro per il responsabile dell’impresa produttrice), nonché nel caso del mantenimento in vendita all’utilizzatore finale di farmaci sui quali è stata sospesa l’autorizzazione (ammenda da 800 a 2.400 Euro al farmacista, che, solo in caso di recidiva, comporta sanzioni più gravi). Nessuna sanzione è prevista, in questi casi, a carico del prescrittore, che viene perseguito solo se la prescrizione di farmaci non autorizzati ha provocato all’utilizzatore finale eventi che si configurano di per sé come causati da reati perseguibili penalmente. 12 La definizione di farmaco generico contenuta nella normativa, ai fini delle procedure di autorizzazione non si riferisce solo alla stessa composizione qualitativa e quantitativa dei principi attivi di un farmaco di riferimento già autorizzato, ma anche alla stessa forma farmaceutica. 48 3.3 Le procedure di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci e dei margini destinati all’industria produttrice Si è già ricordato che, mentre le procedure di valutazione e di controllo ai fini della registrazione-autorizzazione all’immissione sul mercato dei farmaci sono standardizzate (salvo che per la parte riguardante le sanzioni penali e amministrative) a livello europeo, quelle riguardanti la determinazione dei prezzi (nel caso di prezzi amministrati) e, nel loro ambito, dei prezzi “ex fabrica”, da cui deriva il fatturato ed il margine operativo delle imprese produttrici del settore, variano da Paese a Paese. Riferendoci solo, seppure molto sinteticamente, alle normative vigenti nei maggiori Paesi dell’Unione Europea vanno considerati gli aspetti di seguito indicati. In primo luogo l’estensione ai vari tipi di farmaci, dell’applicazione di prezzi amministrati; in secondo luogo le procedure di variazione dei prezzi, comprese quelle indirettamente derivanti ex post da eventuali “payback”; in terzo luogo le fasi o componenti della filiera del farmaco a cui si riferisce il pricing (produzione separatamente da distribuzione all’ingrosso e al dettaglio con criteri di determinazione del prezzo amministrato ex fabrica diversi da quelli del prezzo amministrato al consumo; oppure congiuntamente, con criteri che, implicitamente, almeno entro certi limiti, sono sovrapposti). Senza entrare, per ora, nel merito dei problemi specifici di pricing e di determinazione dei margini operativi dei distributori (sui quali ci si soffermerà articolatamente nel cap. 6), ci limitiamo ad indicare alcune sostanziali differenze riguardanti il prezzo ex fabrica. Relativamente al primo aspetto (presenza o assenza, almeno parziale, di un prezzo amministrato, specie per i farmaci a carico dei servizi sanitari nazionali), la Gran Bretagna e la Germania sono i Paesi, tra quelli considerati, nei quali, per i nuovi farmaci, il produttore può stabilire autonomamente il prezzo ex fabrica. In Gran Bretagna, tuttavia, tale prezzo non può dar luogo ad un ritorno sul capitale investito superiore ad un limite stabilito dall’autorità di regolazione, che interviene, in caso di superamento, anche negli anni successivi all’immissione sul mercato, adottando complesse procedure di recupero. Per i farmaci equivalenti l’autorità di regolazione fissa un prezzo massimo assumendo come riferimento i prezzi degli “originatori”. In Germania, successivamente al periodo di lancio, tutti i prezzi dei farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN sono amministrati, tenendo conto del valore terapeutico e dei costi sostenuti dai produttori per la loro creazione. 49 In Francia il prezzo ex fabrica è sempre contrattato dall’autorità di regolazione con il produttore sulla base di criteri complessi: in parte riguardanti il valore terapeutico, in parte le previsioni di vendita, in parte i costi di R&S e di produzione. Per i farmaci generici il regolatore stabilisce prezzi massimi di riferimento. Anche in Italia il prezzo è contrattato con il produttore da parte dell’AIFA con criteri misti, che introducono anche procedure di price cap per categorie farmaceutiche. La stima del valore terapeutico, che viene considerata tra i criteri di determinazione del prezzo non ha raggiunto in Italia i livelli di formalizzazione e di sofisticazione delle analisi comparate dei costi e dei benefici per la collettività dei modelli francese e tedesco, ma presenta una crescente articolazione. Per i farmaci generici con obbligo di prescrizione l’AIFA stabilisce i prezzi massimi anche sulla base di una ricognizione, reintrodotta negli ultimi anni, dei prezzi di omologhi prodotti vigenti in altri Paesi UE. Per i medicinali senza obbligo di prescrizione il prezzo ex fabrica è stabilito in Italia – come in quasi tutti gli altri Paesi europei – dallo stesso produttore. Come si vedrà oltre, per questi farmaci, anche i prezzi al consumo in Italia sono (dal 2008) totalmente liberi. In tutti i Paesi considerati, per i cosiddetti farmaci “orfani” (destinati alla cura di patologie molto rare) valgono regole di determinazione dei prezzi ex fabrica particolari, peraltro codificate su scala internazionale, tendenti a consentire ai produttori di ritornare sugli ingenti costi in R&S necessari per la loro creazione, nonostante le minime quantità richieste dal mercato. Relativamente al secondo aspetto (variazioni nel tempo dei prezzi ex fabrica comprese quelle derivanti indirettamente da procedure di payback a carico dei produttori), in tutti i Paesi considerati le variazioni dei prezzi ex fabrica sono sottoposte a vincoli e controlli se si tratta di variazioni al rialzo. Misure di blocco, anche pluriennale, dei prezzi ex fabrica sono state inoltre prese non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi. Le misure più incisive riguardano tuttavia il taglio obbligatorio dei prezzi ex fabrica nei Paesi in cui le spese per i farmaci a carico del SSN sono sottoposte a “tetti” annuali (ciò vale per l’Italia, la Germania, la Francia, Paese in cui peraltro i “tetti” vengono concordati con le rappresentanze degli operatori, ma non vale per la Gran Bretagna, Paese in cui – come si è già accennato – vigono rigorose procedure di “payback” che influiscono indirettamente sulla riduzione ex post dei prezzi ex fabrica connesse però con il controllo della redditività del capitale investito dalle imprese farmaceutiche). Non tutte le misure di “taglio” dei prezzi amministrati incidono sui prezzi ex fabrica. Alcune di esse, incidono solo sui prezzi intermedi e finali. L’Italia, negli anni più recenti, ha proceduto a “tagli” di una certa consistenza anche a carico dei produttori. In particolare dal 2007 l’AIFA ha stabilito per ogni impresa produttrice titolare di 50 autorizzazioni un budget annuale, calcolato distintamente per i farmaci coperti da brevetto e per gli equivalenti. La somma di tali budget incrementata con il fondo destinato a sostenere i farmaci “orfani” innovativi, deve corrispondere alla quota destinata ai produttori nell’ambito del “tetto” di spesa per i farmaci distribuiti territorialmente e di quello relativo ai farmaci non soggetti a distribuzione territoriale (utilizzati o distribuiti dalle Asl e dalle altre strutture ospedaliere di cui si compone lo stesso SSN). In caso di sforamento del primo “tetto” tutti i soggetti della filiera (produttori, distributori) sono tenuti a coprirlo in misura corrispondente alle rispettive quote di spettanza sui prezzi al consumo dei medicinali a carico del SSN. Per quanto riguarda i singoli produttori, la misura è definita dai loro budget ed è differenziata per quello degli on patent nel quale si collocano i prodotti innovativi, e per quello degli equivalenti. Il relativo payback viene versato direttamente alle Regioni. Per quanto riguarda i distributori, in linea di principio, il payback avviene in sede di rimborso da parte del SSN sotto forma di sconti obbligatori (sui meccanismi effettivi di quest’ultimo payback e sulle loro implicazioni ci si soffermerà nel capitolo 6). L’AIFA ha preso anche provvedimenti che hanno imposto la riduzione del prezzo al consumo di tutti i farmaci di classe A ed H nella misura del 5% nel 2006, misura poi conservata nel 2007 e prorogata fino al 2011. Altre misure, basate principalmente sulla riduzione dei prezzi dei farmaci equivalenti di classe A, conseguenti dall’allineamento ai prezzi europei e dal recupero dei danni economici subiti dal SSN a seguito della diffusione del fenomeno degli extrasconti praticati dai produttori ai distributori, sono state prese dall’AIFA nel 2010 e sono state attuate a partire dal 2011 (su queste misure e sulle loro implicazioni si rinvia al capitolo 7 ed al suo specifico allegato). Per quanto riguarda infine il terzo aspetto (separazione o congiunzione della determinazione dei prezzi amministrati ex fabrica ed al consumo), va sottolineato che l’Italia è l’unico, tra i Paesi considerati, che continua ad operare secondo una logica di completo congiungimento tra prezzi amministrati ex fabrica e al consumo. In Gran Bretagna ed in Germania i criteri di amministrazione dei prezzi dei farmaci rimborsabili dal SSN separano nettamente i fattori che vengono presi in esame per remunerare i produttori da quelli riguardanti la remunerazione dei servizi svolti dai distributori. In Francia vige un sistema misto in quanto, per i farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN nazionale, alle farmacie è riconosciuta una remunerazione fissa per confezione indipendente dal loro prezzo ex fabrica, integrata peraltro con una piccola percentuale, decrescente per scaglioni, dello stesso prezzo ex fabrica, con un meccanismo che favorisce in modo particolare la diffusione dei generici. In Italia, invece, pur essendo da due anni attivato un apposito tavolo di lavoro interministeriale per il passaggio al criterio del “fee for service” per remunerare i servizi dei 51 distributori, i prezzi amministrati di tutti i farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN sono definiti dall’AIFA in termini di prezzi al consumo, ossia, partendo dal prezzo ex fabrica contratto con il produttore, vengono aggiunti il margine percentuale riconosciuto ai distributori intermedi e quello, decrescente per scaglioni, riconosciuto alle farmacie. Così facendo si assume implicitamente che i fattori di costo sottostanti al prezzo siano i medesimi nella produzione e nella distribuzione (il che è palesemente errato) e, ciò che più conta, si inseriscono nel sistema di pricing amministrato incentivi a comportamenti collusivi tra gli attori della filiera (produttori, distributori intermedi e distributori finali). Su questi aspetti si tornerà in modo articolato nel cap. 6, mentre nel cap. 7 si approfondiranno i problemi che pone in Italia il passaggio al “fee for service” con cui i criteri di determinazione del prezzo amministrato alla produzione verrebbero separati, anche in Italia, da quelli riguardanti la determinazione del prezzo amministrato al consumo. 3.4 Gli effetti sui livelli dei prezzi delle diverse classi di farmaci I diversi criteri di determinazione dei prezzi ex fabrica e la loro diversa connessione con i criteri di determinazione dei prezzi al consumo influiscono senza dubbio sui livelli dei prezzi delle diverse classi di farmaci nei Paesi considerati. Su questo aspetto, strettamente connesso con quello della presenza o meno nei vari Paesi da un lato di incentivi alla creazione di farmaci innovativi, dall’altro alla diffusione di farmaci generici, sono state compiute alcuni anni or sono rigorose analisi13, dalle quali, tuttavia, possono essere solo indirettamente desunti gli specifici effetti dei criteri di determinazione dei prezzi ex fabrica, in quanto tali analisi sono riferite ai prezzi al consumo al lordo e al netto delle componenti fiscali (che – come si vedrà nel cap. 6 – sono anch’esse fattori non secondari che influiscono sulla comparazione internazionale dei prezzi dei farmaci). Inoltre l’elaborazione dei dati elementari finalizzati a costruire indicatori riguardanti “panieri” di prodotti farmaceutici omogenei e rilevanti in misura analoga nei diversi Paesi presenta elementi di notevole complessità ed implica comunque alcuni limiti di comparabilità. Fatta questa doverosa premessa, va anzitutto tenuto presente che l’Italia, per quanto riguarda i prezzi medi di tutti i farmaci (componenti fiscali escluse), calcolati sulla base dei prezzi medi per ogni principio attivo, ponderati per la diffusione dei principi attivi, si collocava tra i Paesi dell’UE con i prezzi più bassi (fatta uguale a 100 la media UE-15, gli indici per i quattro Paesi da noi 13 In particolare da Jommi, Aguzzi, Otto (2008) e da Pammolli, Benassi, Riccaboni e Salerno (2008). 52 considerati erano infatti, nell’ordine: Francia 84,7%; Italia 88,6%; Gran Bretagna 96,4%; Germania 120,6%). Tuttavia questo risultato derivava essenzialmente da un prezzo medio dei prodotti branded (sia con brevetto in atto, sia con brevetto scaduto) inferiore di circa il 20% rispetto alla media UE15 per gli stessi prodotti, a fronte di un prezzo medio dei prodotti equivalenti (peraltro, nell’anno di riferimento dell’analisi, ancora molto meno diffusi in Italia) superiore del 27% rispetto alla loro media UE-15. In particolare per i prodotti branded la Germania emergeva come il Paese con i prezzi comparativamente più elevati (del 15% circa superiori alla media europea), probabilmente a motivo, almeno in parte, della regolazione che consente ai produttori libertà di prezzo, seppure limitata alla fase di lancio dei prodotti innovativi14, mentre la Gran Bretagna, pur lasciando libertà di prezzo per i nuovi prodotti, ma vincolandola a predefinite soglie massime di redditività, aveva una indice dei prezzi de farmaci branded sostanzialmente allineato alla media europea. Un’altra analisi, condotta nell’ormai lontano 2005 da IMS Health e riferita ad un lungo arco temporale (1994-2004) evidenzia che, al momento della loro introduzione sul mercato, i farmaci generici presentavano in Italia una differenza di prezzo rispetto ai branded corrispondenti mediamente di appena il 17,3%, contro il 40% negli Stati Uniti, il 26,5% in Germania, il 31% in Gran Bretagna, il 23% in Francia. Va però subito aggiunto che, negli anni successivi, in tutti i Paesi europei e, negli anni più recenti, anche in Italia i prezzi massimi dei farmaci generici imposti dalle autorità di regolazione sono stati significativamente ridotti rispetto a quelli degli originatori nelle classi soggette a rimborso (totale o parziale) da parte del SSN. Paradossalmente, per quanto riguarda l’Italia, alcuni anni or sono era particolarmente conveniente per i produttori privi di branded affermati spingere il mercato dei generici, ma la normativa basata sulla remunerazione dei distributori proporzionale ai prezzi al consumo e le relazioni al limite collusive dei distributori e dei prescrittori con i titolari di prodotti branded che tale normativa incentivava, frenavano, rispetto agli altri Paesi europei, la loro diffusione. Oggi tale convenienza si è attenuata e la diffusione dei generici si è sviluppata, seppure con un certo ritardo, pur non venendo meno le procedure nazionali di pricing richiamate nel paragrafo precedente. Altri aspetti che caratterizzano la situazione italiana nel contesto europeo connessi, seppure parzialmente, alla specificità delle procedure nazionali di pricing, documentate anche da recenti analisi comparative, riguardano: A. La minore concentrazione del mercato (quote di mercato del primo e dei primi tre produttori di farmaci) ed il minore differenziale tra i prezzi medi relativi (per unità 14 È anche probabile che questa procedura possa essere interpretata come una misura indiretta di politica industriale finalizzata a sostenere la competitività innovativa dei grandi gruppi farmaceutici tedeschi nei confronti di quelli statunitensi, non sottoposti nel loro mercato nazionale a procedure di amministrazione dei prezzi. 53 farmacologica standard) del produttore leader rispetto agli altri per i prodotti branded; B. La maggiore persistenza nel tempo delle posizioni di leadership, indice di una bassa intensità dei processi di “distruzione creativa” nell’industria farmaceutica non tanto per quanto riguarda i trasferimenti di proprietà, quanto per quanto riguarda le leadership di prodotto (branded); C. Le limitate differenze dei prezzi dei farmaci neo-brevettati nelle fasi iniziali (in genere primi tre anni) ed in quelle successive alla loro immissione sul mercato. Questi (ed altri) indicatori concorrono nell’evidenziare che, comparativamente con quelle degli altri maggiori Paesi europei, l’industria farmaceutica italiana (comprese, ovviamente, le filiali delle imprese multinazionali del settore localizzate in Italia), intrattiene rapporti abbastanza stabili sia con gli altri attori della filiera, sia con le autorità preposte alla regolazione, stabilità, a nostro avviso, assecondata, nonostante il dinamismo dell’AIFA sul piano dei “tagli” imposti dal rispetto dei “tetti” di spesa, dal permanere di criteri di amministrazione dei prezzi che congiungono, anziché separare, i prezzi ex fabrica concordati con i produttori ed i prezzi al consumo. 3.5 Aspetti essenziali della distribuzione intermedia dei farmaci in Italia Ai cenni sin qui fatti sulla prima componente della filiera dei farmaci (industria produttrice) è utile aggiungere alcune considerazioni sulla seconda componente (distribuzione intermedia o all’ingrosso) considerazioni che – come per l’industria – sono limitate all’essenziale in quanto la nostra analisi si riferisce alla distribuzione al dettaglio, con particolare riferimento a quella dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici non soggetti a prescrizione medica, i cui problemi verranno esaminati articolatamente a partire dal prossimo capitolo. Per quanto riguarda la distribuzione intermedia va anzitutto evidenziata la sua importanza in termini funzionali e la complessità dei sistemi logistici di cui si avvale. Basta tenere presente che nel mercato italiano dei farmaci di classe A e C vengono distribuiti annualmente milioni di confezioni, con consegne alle farmacie plurigiornaliere e con obblighi di fornitura da parte dei distributori intermedi ai farmacisti entro 12 ore dall’emissione degli ordini da parte di questi ultimi. D’altro canto, specie in Italia, per i motivi che si evidenzieranno tra breve, i distributori intermedi, nonostante la loro posizione centrale nella filiera del farmaco, sono dotati di uno scarso potere di mercato, ossia possono condizionare solo in misura modesta le scelte: da un lato delle case farmaceutiche, dall’altro dei farmacisti e dei prescrittori. Inoltre la concorrenza tra distributori 54 intermedi, a differenza di quanto accade tra distributori finali, è molto intensa e si basa principalmente su fattori di carattere funzionale (costi comparati) e su fattori assimilabili a quelli della concorrenza di prezzo (ottenimento di sconti dai produttori e concessione di sconti ed extrasconti ai distributori finali). Non a caso, nel sistema italiano di amministrazione dei prezzi e dei margini riguardanti l’intera filiera, per i farmaci soggetti a rimborso dal SSN, dopo molte vicissitudini e distorsioni (che verranno considerate nel cap. 6) attualmente la remunerazione garantita ai distributori intermedi è ufficialmente stata ridotta al 3% del prezzo al consumo, pari al 4,5% del prezzo concordato ex fabrica. Sotto il profilo strutturale i canali di distribuzione dei farmaci e di una parte dei parafarmaci possono essere indiretti lunghi (industria-ingrosso-farmacia oppure industria-ingrosso-ospedale) o indiretti brevi (industria-farmacia o gruppo di acquisto tra farmacie e industria-ospedale). Storicamente (come documenta un rapporto dell’AGCM del 1997) i canali indiretti lunghi erano nettamente prevalenti per la distribuzione territoriale (attraverso le farmacie), mentre prevalevano quelli indiretti brevi nel comparto delle forniture ospedaliere. Allora, ad esclusione delle farmacie comunali, che potevano farlo anche con strutture associative, alle farmacie private era vietata l’integrazione verticale ascendente della loro attività, ossia la formazione di gruppi per l’acquisto collettivo dei farmaci, divieto che venne tolto nel 2006 con il decreto Bersani. Fu però conservato il divieto di integrazione verticale discendente, ossia di partecipazione dei distributori intermedi al controllo proprietario delle farmacie, peraltro comunque impossibile nella normativa italiana che, con l’obbligo di bundling tra proprietà e gestione delle farmacie da parte dei singoli farmacisti o di società di persone o società cooperative a responsabilità limitata composte da soli farmacisti (cui però poteva fare capo un solo punto di vendita fino al 2006, quattro al massimo ora, tutti ubicati nella stessa provincia, a seguito del decreto Bersani) impedisce la formazione di catene a base succursalistica o anche di unioni volontarie tra grossisti e dettaglianti nel settore della distribuzione dei farmaci (ad esclusione di quella dei farmaci SOP e OTC, offerti nelle parafarmacie e nei corner della GDO). I vincoli testè richiamati hanno non poco ostacolato in Italia l’evoluzione dei rapporti industria-distribuzione-consumo nel settore in esame a differenza di quanto è invece accaduto in altri Paesi europei (in particolare in Gran Bretagna, ma non solo). Anche i gruppi di acquisto operanti in nome e per conto di farmacisti convenzionati con il SSN non hanno potuto sviluppare attività che esulino dalla loro funzione originaria di approvvigionamento, trasformandosi – come è avvenuto invece in altri settori della distribuzione dei beni di consumo - in vere e proprie organizzazioni di grande dettaglio a base associativa. 55 Un altro aspetto che ha caratterizzato storicamente in Italia la distribuzione intermedia dei farmaci è lo scarso grado di concentrazione delle imprese operanti in quest’area di attività. Nel 2000 i tre operatori con le maggiori quote di mercato realizzavano in Italia il 32% del fatturato, mentre in Germania i primi tre operatori dominavano sostanzialmente il mercato con una quota del 79%, in Francia il solo primo operatore deteneva una quota del 41% ed i primi due del 71%, in Gran Bretagna i primi due operatori (di dimensioni analoghe) del 66%. In effetti la distribuzione intermedia dei farmaci è da sempre controllata in Europa da grandi imprese, pur essendo articolata in sistemi logistici capillari e presenta comunque, ai suoi vertici, livelli di concentrazione nei singoli Paesi superiori a quelli dell’industria farmaceutica. I maggiori distributori intermedi tedeschi e francesi operano inoltre, da alcuni anni, anche su scala transnazionale. In Italia, invece, pur essendo aumentata nell’ultimo decennio la concentrazione delle iniziative in questo campo, continua a sussistere un frazionamento anomalo nel contesto europeo. Secondo la più recente rilevazione disponibile riferita al 2010, le imprese operanti nel nostro Paese nella distribuzione intermedia dei farmaci sono infatti 110 con 12.300 addetti (112 in media per impresa) e con un fatturato complessivo (che include anche la distribuzione all’ingrosso di parafarmaci che fa capo a tali imprese) di 13.200 milioni di Euro15. Ricorrendo ampiamente all’outsourcing nello svolgimento di una parte delle loro funzioni logistiche (specie di trasporto) il loro valore aggiunto è abbastanza limitato rispetto a quello dei servizi acquisiti da terzi. Le prime quattro imprese, a seguito di processi interni di sviluppo e di acquisizioni, detengono (nel 2010) il 54% del fatturato del comparto, che comprende, però anche quello dei gruppi di acquisto tra farmacisti, 11 dei quali, tra loro consorziati, si appoggiano alla maggiore impresa del comparto che agisce nel nome e per conto di ciascuno di tali gruppi. Questa impresa (Federfarmaco) ha sviluppato varie iniziative a supporto dell’attività di marketing dei farmacisti (ben 11.000) che ad essa fanno capo, compresa un’ampia gamma di prodotti di marca commerciale prevalentemente composta da parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica, peraltro poco diffusi. Le farmacie aderenti, inoltre, concentrano su Federfarmaco poco più del 50% dei loro acquisti, rivolgendosi anche ad imprese concorrenti. Tre delle imprese maggiori sono di proprietà italiana, la quarta è invece una filiale di un grande gruppo estero impegnato in un processo di crescita transnazionale, una di esse opera solo nell’Italia del Nord. Il restante 46% del mercato è distribuito su 121 imprese di dimensioni minori. 15 I parafarmaci distribuiti dai distribuitori all’ingrosso di farmaci riguardano principalmente il latte in polvere, gli integratori alimentari, alcuni cosmetici. L’incidenza delle vendite dei parafarmaci sul fatturato dei distributori intermedi di farmaci è del 18% circa. I farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP e OTC) incidono solo per il 6% essendo elevata la quota di tali farmaci distribuita direttamente dall’industria ai punti di vendita (farmacie, parafarmacie e GDO). 56 L’attuale struttura dei canali di commercializzazione dei farmaci a distribuzione territoriale (ossia venduti al pubblico nelle farmacie e, solo per i farmaci SOP e OTC, anche nelle parafarmacie e nei corner) resta imperniata sui grossisti specializzati, attraverso i quali transita il 51% dei farmaci di classe A e C. Con riferimento ai farmaci SOP e OTC (anche non di marca commerciale, compresi quelli – e sono la maggioranza – distribuiti nelle farmacie) i grossisti si collocano in una posizione meno rilevante rispetto alla distribuzione indiretta breve organizzata dall’industria produttrice cui fa capo il 54,8% del valore di tali farmaci, contro il 45,2% intermediati dai grossisti. Ai circuiti indiretti brevi fa anche capo il 10% circa dei farmaci di classe A e C distribuiti nelle farmacie e la maggior parte dei farmaci destinati alle strutture ospedaliere, compresi quelli affidati alle farmacie nella distribuzione al dettaglio per conto delle Asl. Le prospettive di sviluppo delle attività di distribuzione intermedia dei farmaci in Italia si presentano molto problematiche, al di là della tendenza, in atto, all’ulteriore concentrazione ed all’uscita dal mercato (o, meglio alla riduzione della loro autonomia rispetto a soggetti economici maggiori) di parecchi grossisti minori operanti su scala locale. A nostro avviso, assai più dei problemi evocati dalla loro associazione di categoria, determinati, a loro avviso, dai provvedimenti normativi che hanno formalmente dimezzato il margine riconosciuto ai grossisti sui prezzi al consumo dei farmaci di classe A, margine che, in effetti, era già sui livelli attuali a motivo delle politiche di extrasconto (cfr. cap. 6), i distributori intermedi di farmaci si trovano in Italia a misurarsi con problemi di mercato, con problemi tecnici e, specialmente, con vincoli alla diversificazione della loro attività particolarmente critici. Tra i problemi di mercato spicca quello della stasi (ormai da tempo in atto) della domanda in valore dei prodotti da loro commercializzati, sulla parte più consistente della quale vengono determinati i loro margini, a fronte della crescita della domanda in quantità, che influisce sui loro costi (di carattere prevalentemente logistico). Tra i problemi tecnici quello dell’ulteriore razionalizzazione dei loro sistemi logistici e dei supporti (software e hardware) su cui si basano. Un tempo la distribuzione intermedia dei farmaci, basata su ordinativi digitalizzati e su codificazioni appropriate (i codici AIFA non corrispondono ai normali codici a barre in quanto sono maggiormente funzionali al complesso sistema in cui si colloca la distribuzione dei farmaci) presentava applicazioni all’avanguardia nel campo della distribuzione commerciale. Oggi le opportunità tecnologiche si sono accresciute e si pone un problema, solo in parte risolto, di adeguamenti tecnici indispensabili per ridurre i costi ed aumentare l’efficienza dell’intero sistema. Per quanto riguarda infine i vincoli normativi alla diversificazione della loro attività, in modo particolare il divieto a processi di integrazione verticale discendente, i distributori intermedi 57 italiani del settore dei farmaci continuano a vedere loro precluse le principali strategie di sviluppo su cui si è basata l’evoluzione dei maggiori distributori intermedi europei. 58 Allegato 1 Documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione per l’immissione sul mercato di nuovi farmaci a) nome o ragione sociale e domicilio o sede legale del richiedente e del produttore, se diverso dal primo; in caso di coproduzione, dovranno essere specificate, oltre alle sedi degli stabilimenti, italiani o esteri, le fasi di produzione e di controllo di pertinenza di ciascuno di essi; b) denominazione del medicinale; c) composizione qualitativa e quantitativa del medicinale riferita a tutti i componenti riportati utilizzando la denominazione comune; d) valutazione dei rischi che il medicinale può comportare per l’ambiente. Tale impatto deve essere studiato e devono essere previste, caso per caso, misure specifiche per limitarlo; e) descrizione del metodo di fabbricazione; f) indicazioni terapeutiche, controindicazioni e reazioni avverse; g) posologia, forma farmaceutica, modo e via di somministrazione e durata presunta di stabilità; h) motivi delle misure di precauzione e di sicurezza da adottare per la conservazione del medicinale, per la sua somministrazione ai pazienti e per l’eliminazione dei residui, unitamente all’indicazione dei rischi potenziali che il medicinale presenta per l’ambiente; i) descrizione dei metodi di controllo utilizzati dal produttore; j) risultati: 1. delle prove farmaceutiche (chimico-fisiche, biologiche o microbiologiche); 2. delle prove precliniche (tossicologiche e farmacologiche); 3. delle sperimentazioni cliniche; k) descrizione dettagliata del sistema di farmacovigilanza e, se del caso, del sistema di gestione dei rischi che sarà realizzato dal richiedente; l) una dichiarazione che certifica che tutte le sperimentazioni cliniche eseguite al di fuori dell’Unione europea sono conformi ai requisiti etici contenuti nel decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211; m) un riassunto delle caratteristiche del prodotto redatto a norma dell’articolo 14, un modello dell’imballaggio esterno, con le indicazioni di cui all’articolo 73, e del confezionamento primario del medicinale, con le indicazioni di cui all’articolo 74, nonché il foglio illustrativo conforme all’articolo 77; n) un idoneo documento dal quale risulta che il produttore ha ottenuto nel proprio Paese l’autorizzazione a produrre medicinali; o) copia di ogni AIC relativa al medicinale in domanda, ottenuta in un altro Stato membro della Comunità europea o in un Paese terzo unitamente all’elenco degli Stati membri della Comunità europea, ove è in corso l’esame di una corrispondente domanda, e copia del riassunto delle caratteristiche del prodotto e del foglio illustrativo, già approvati dallo Stato membro o solo proposti dal richiedente, nonché copia della documentazione dettagliata recante i motivi di eventuali dinieghi dell’autorizzazione, sia nella Comunità europea che in un Paese terzo; p) copia dell’assegnazione al medicinale della qualifica di medicinale orfano a norma del regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1999, concernente i medicinali orfani, unitamente a copia del relativo parere dell’EMEA; q) certificazione che il richiedente dispone di un responsabile qualificato per la farmacovigilanza e dei mezzi necessari a segnalare eventuali reazioni avverse, che si sospetta si siano verificate nella Comunità europea o in un Paese terzo. 59 60 4. LA DISTRIBUZIONE AL DETTAGLIO DEI FARMACI 4.1 Elementi quantitativi d’assieme Come si è specificato fin dall’inizio (cfr. paragrafo 1.2.) in Italia, la distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A e di quelli di classe C, esclusi quelli utilizzati o somministrati direttamente dai presidi ospedalieri, ha luogo esclusivamente nelle farmacie (convenzionate con il SSN), mentre dal 2006 quella dei farmaci SOP e OTC coinvolge anche le parafarmacie ed i corner della GDO. La distribuzione al dettaglio dei parafarmaci ha luogo anche, seppure marginalmente, in altri tipi di unità di vendita (in particolare nelle erboristerie e nei punti di vendita di articoli sanitari) ed in unità di servizio (centri benessere ad esempio). Quella degli extrafarmaci percepiti dai loro utilizzatori come prodotti destinati alla prevenzione di stati patologici o comunque rientranti nella sfera salutistica anche in numerosi altri canali distributivi, ad assortimento specializzato o despecializzato. Considerando la distribuzione al dettaglio dei farmaci in senso stretto (sottoposti alle procedure autorizzative dell’AIFA), il numero dei punti di vendita operanti in Italia al 31.12.2010 ammontava a 20.660 unità, così ripartite: 17.796 farmacie convenzionate con il SSN (di cui 1.550 pubbliche), 2.553 parafarmacie e 311 corner della GDO (Anifa, 2011). Il numero delle farmacie è contingentato – come si vedrà meglio in seguito – in relazione al numero degli abitanti dei singoli comuni: 1 farmacia al massimo ogni 4.000 residenti nei comuni fino a 12.500 abitanti ed 1 al massimo ogni 5.000 nei comuni che superano tale soglia. Esso è passato da 12.639 unità nel 1972 a 17.004 unità nel 2006, quando le farmacie erano ancora venditori esclusivi di tutti i farmaci in senso stretto, con un incremento medio annuo di 128 unità. Il suo tasso di crescita è stato analogo (anzi, leggermente inferiore: 111 nuove unità in media all’anno) nel periodo successivo al 2006. In sostanza: da parecchi anni in Italia il numero delle farmacie è cresciuto poco. La loro dislocazione territoriale è ovviamente connessa, seppure non strettamente, con la distribuzione dei comuni appartenenti alle diverse classi demografiche: nel 2010 nei 4.126 comuni 61 con popolazione fino a 2.500 abitanti16 (dove risiede il 7,9% della popolazione italiana) operavano 2.969 farmacie (16,7% del totale); in quelli da 2.500 a 12.500 abitanti (3.068 comuni, con il 28,9% della popolazione italiana) ne operavano 4.719 (26,5%) ed in quelli con più di 12.500 abitanti (908 comuni con il 63,2% della popolazione italiana) 10.108 (56,8%). I comuni privi di farmacia erano 1.003 su 8.101 (12,4% dei comuni italiani, quasi tutti con popolazione inferiore ai 1.000 residenti). Il rapporto tra abitanti e farmacie che si rileva in Italia (1 farmacia ogni 3.374 abitanti) è di poco superiore alla media dei Paesi dell’Unione europea (una farmacia o un esercizio equiparabile ogni 3.323 abitanti), ma inferiore a quello dei Paesi del Nord ed in modo particolare della Gran Bretagna (una farmacia ogni 4.715 abitanti), dove – come si vedrà in seguito – non vi sono meccanismi istituzionali di contingentamento assimilabili alla “pianta organica” e dove possono operare nella distribuzione dei farmaci società di capitali senza bundling tra proprietà ed esercizio. Nonostante l’apertura del mercato alle parafarmacie ed ai corner della GDO per la vendita dei soli farmaci SOP e OTC, nel 2010 la quota di mercato (in valore) delle farmacie sul totale dei farmaci distribuiti al dettaglio continuava ad essere preponderante. Considerando però anche i parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica, si può stimare che essa si aggirasse attorno al 94,5%17 sul totale delle vendite delle farmacie stesse, delle parafarmacie e dei corner GDOSe si tiene presente che – come si è visto nel cap. 2 – solo i farmaci SOP e OTC possono essere venduti anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO18 e che essi incidono per il 7,9% sulla spesa farmaceutica nazionale e per l’8,6% su quella “territoriale” e che, fino al 2005, tali farmaci potevano essere venduti esclusivamente nelle farmacie, si può dedurre che, per i farmaci in senso stretto, le parafarmacie hanno sottratto alle farmacie circa 99 milioni di Euro di fatturato ed i corner della GDO circa 61 milioni di Euro. Si tratta di quote del mercato farmaceutico “territoriale” complessivo alquanto contenute, specie tenendo presente che, per i motivi già considerati nel cap. 2, si riferiscono ad un comparto sostanzialmente statico, anzi in lieve riduzione (quanto ad entità complessiva del fatturato) dal 2006 al 2010. In questo comparto (OTC e SOP) il numero medio di confezioni in assortimento risulta di poco superiore nelle farmacie (1.277 referenze) rispetto alle parafarmacie (1.047 referenze) e più 16 È possibile infatti aprire una nuova farmacia anche al superamento del 50% della soglia dei 4.000 residenti ed un certo numero di farmacie “rurali” già localizzate in comuni con meno di 2.000 residenti prima dell’assestamento della “pianta organica” avvenuto nel 1991, ha continuato la sua attività. 17 Fonte: nostre elaborazioni su fonti varie (Nielsen, IMS, Federdistribuzione, Anifa). 18 Secondo un’analisi del CERGAS (Bocconi) del 2008 il 60% circa della popolazione europea può acquistare questi tipi di farmaci anche in unità di vendita diverse dalle farmacie. 62 contenuto nei corner della GDO (686 referenze)19. Nei corner gli acquisti si concentrano inoltre su un numero di referenze molto limitato (60% degli acquisti sulle prime 50 referenze). Per quanto riguarda più specificamente le parafarmacie, la loro crescita successivamente al 1976 è stata dapprima rapida ed intensa (1.736 a fine 2007 e 2.240 a fine 2008, meno intensa negli ultimi anni (come si è visto, secondo Anifa, a fine 2010 risultano attive 2.533 unità). La loro distribuzione territoriale è quasi opposta a quella dei corner della GDO, presenti prevalentemente nell’Italia del Nord. Infatti il 43% delle parafarmacie opera nell’Italia sud-insulare, con punte massime in Sicilia ed in Campania, il 21% nell’Italia centrale, con punta massima nel Lazio, il 20% nell’Italia nord-occidentale ed il 16% nell’Italia nord-orientale. Quanto a dimensione dei comuni in cui sono localizzate le parafarmacie, prevalgono nettamente quelli con più di 12.500 abitanti. A differenza delle farmacie, il cui numero – come già si è visto, negli ultimi anni è cresciuto in misura molto limitata e che – come si vedrà meglio in seguito -, se si escludono le cessioni e, specialmente, i trapassi ereditari, presentano una continuità nel loro esercizio, garantita dal combinato disposto del contingentamento, del bundling tra proprietà ed esercizio e dal divieto di dar vita ad organizzazioni a catena, le parafarmacie, specie negli anni più recenti, si caratterizzano per un turnover abbastanza elevato. Le nuove aperture sopravanzano le definitive chiusure, ma anche queste ultime non sono eventi straordinari. Ciò sta ad indicare che una parte, seppure limitata, degli esercizi in esame si trova ad operare in condizioni difficili quanto a redditività fino ad uscire definitivamente dal mercato. In effetti nel comparto delle parafarmacie, si riscontrano tipi di esercizi tra loro alquanto diversi: da quelli (circa 650 secondo una recente stima di una delle associazioni di categoria) facenti parte di catene a base succursalistica, quasi tutte, però, con al massimo una decina di esercizi, a quelli, una piccola parte, a gestione strettamente connessa con quella di una farmacia con cui intrattengono relazioni cooperative, basate su una parziale divisione del lavoro, a quelli (la maggioranza) costituiti da piccoli punti di vendita a gestione completamente autonoma e competitiva rispetto alle farmacie, ma – come si vedrà meglio in seguito – con caratterizzazioni e politiche di mercato di vario tipo rivolte a micro segmenti di utilizzatori con aspettative in parte differenti. Si è già accennato che le parafarmacie negli anni più recenti hanno acquisito modeste quote di mercato (stimate da Anifa nel 4,5% nel 2010) nella vendita dei farmaci SOP e OTC, oggetto della liberalizzazione del 2006. Sulla base di questa stima, anche in valore assoluto le vendite medie unitarie di SOP e OTC di ogni parafarmacia sono notevolmente inferiori a quelle di ogni farmacia. Va però subito aggiunto che – come si vedrà meglio tra breve – i farmaci SOP e OTC, in genere 19 Fonte: CERGAS. 63 venduti nelle parafarmacie a prezzi inferiori rispetto a quelli delle farmacie, non costituiscono il “core business” di questi esercizi, essendo complessivamente molto più rilevanti, quanto ad incidenza sul loro fatturato, i parafarmaci e, seppure in misura minore, e solo in una parte degli esercizi in esame, alcuni extrafarmaci a connotazione salutistica. I corner della GDO, infine, sorti a seguito della liberalizzazione della distribuzione dei farmaci SOP e OTC sono stati finora attivati da quattro grandi organizzazioni della distribuzione organizzata “grocery”: il leader di mercato e leader dello specifico comparto COOP Italia, la maggiore organizzazione a base associativa tra distributori al dettaglio (CONAD-Leclerc) con le sue strutture consortili di terzo livello e due gruppi a base succursalistica (Carrefour ed Auchan, quest’ultimo, recentemente, attraverso la cessione dei corner di cui dispone ad un’impresa specializzata, con una formula assimilabile al rack-jobbing). Come già si è accennato, i corner della GDO, a motivo essenzialmente delle elevate dimensioni minime efficienti dei costi di esercizio fissi ed in modo particolare di quelli riguardanti la presenza fisica di almeno un farmacista abilitato ed iscritto all’albo professionale in ciascuno di essi (considerando i loro orari di apertura ed i turni del personale, almeno tre farmacisti per ogni corner), sono inseriti solo in unità di vendita con un’elevata attrattività a largo raggio, ossia, nella stragrande maggioranza dei casi, in ipermercati, che operano come “magneti di attrazione” nell’ambito di centri commerciali. Ciò spiega sia il loro numero, relativamente limitato, sia la loro dislocazione territoriale, nella quale prevalgono le aree periferiche delle città di media e grande dimensione dell’Italia settentrionale e centrale. L’attivazione dei corner della GDO è stata rapida: alla fine del 2007, anno immediatamente successivo alla liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci OTC e SOP, operavano già 162 unità di vendita di questo tipo, che sono poi aumentate progressivamente negli anni successivi (235 nel 2008, 274 nel 2009, 311 nel 2010). Particolarmente competitivi nei confronti delle farmacie, a motivo delle loro politiche di prezzo, anche i corner della GDO – come si vedrà meglio in seguito – realizzano con la vendita dei farmaci SOP e OTC solo una parte del loro fatturato, la quota maggiore del quale riguarda la vendita di parafarmaci, il cui assortimento è molto più esteso rispetto a quello dei farmaci in senso stretto. Gli extrafarmaci a connotazione salutistica sono invece venduti in altri reparti delle unità di “grande dettaglio” nelle quali sono localizzati i corner. 64 4.2 La distribuzione al dettaglio “allargata” (farmaci, parafarmaci, extrafarmaci a connotazione salutistica) Come emerge dai cenni sin qui fatti, per meglio cogliere le caratteristiche strutturali della distribuzione al dettaglio nel settore oggetto del nostro esame e per introdurre un’analisi più puntuale degli aspetti gestionali, di marketing e dei, seppure molto limitati, rapporti competitivi in cui sono coinvolte le farmacie, è essenziale estendere la nostra analisi alla commercializzazione al dettaglio anche dei parafarmaci e, almeno in parte, degli extrafarmaci a connotazione salutistica. Nel compiere questa estensione ci riferiremo, per quanto possibile, ai parafarmaci commercializzati, senza alcun vincolo AIFA, nei tre canali distributivi da noi considerati ed agli extrafarmaci con connotazioni salutistiche commercializzati nelle farmacie e nelle parafarmacie, non invece a quelli commercializzati in reparti delle unità di vendita della grande distribuzione diversi dai loro corner salute. Si tratta – come già si è accennato – di prodotti tra loro merceologicamente molto eterogenei, che vengono percepiti da segmenti, più o meno ampi, di utilizzatori finali come adatti per conservare un buono stato di salute, per prevenire stati patologici, per evitare il decadimento fisico, per coadiuvare lo svolgimento delle attività motorie, e così via. Essi includono i parafarmaci in senso proprio, quali i prodotti curativi in dosi omeopatiche, alcuni medicamenti erboristici, i prodotti mono o multi vitaminici, alcune linee di prodotti per la dermocosmesi, alcuni integratori alimentari, i prodotti ad uso veterinario, ma anche prodotti extrafarmaceutici quali creme solari e altri prodotti “di bellezza” in genere, prodotti per l’igiene personale, alcuni omogeneizzati, latte in polvere ed altri articoli per la prima infanzia, shampoo e tinture per capelli, articoli ortopedici ausiliari, e così via. Per quanto riguarda le farmacie, si può stimare20 che nel 2010 le vendite di parafarmaci e di extrafarmaci a connotazione salutistica abbiano inciso per il 25% circa sul loro fatturato complessivo ossia abbiano generato complessivamente 6.400 milioni di ricavi. Se si tiene presente che, nel campo dei farmaci in senso stretto, tutti quelli di classe C (3.140 milioni di fatturato esclusivamente nelle farmacie) ed i farmaci SOP e OTC (2.050 milioni di fatturato riferibili alle farmacie), cui va aggiunta la remunerazione per alcuni servizi e per i differenziali tra i prezzi soggetti a rimborso da parte del SSN e quelli dei farmaci più costosi scelti dall’utilizzatore anche nella classe A, nonché i versamenti dei ticket, si può stimare che ben il 48-49% del fatturato 20 La stima è stata da noi effettuata integrando le valutazioni di varie fonti, in modo particolare delle rilevazioni Nielsen sui canali di distribuzione al dettaglio delle principali classi di extrafarmaci che comprendono prodotti a connotazione salutistica. Per i farmaci in senso stretto ci si è basati sui dati Anifa 201. Per gli extrafarmaci a connotazione salutistica ed i parafarmaci la nostra stima è analoga a quella di Anifa (6.375 milioni). 65 complessivo delle farmacie sia oggi riferibile a vendite e prestazioni non soggette a rimborso da parte del SSN21. Secondo un’altra fonte (IRI Infoscan, che perviene ad una stima assai prossima a quella di Anifa) le vendite di parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica effettuate nel 2010 dalle farmacie ammonterebbero a 6,6 miliardi di Euro, di cui 2,0 miliardi di Euro di “prodotti d’igiene e bellezza”, 1,9 miliardi di Euro di parafarmaci, 2,2 miliardi di Euro di extrafarmaci a connotazione salutistica “notificati” e 0,5 miliardi di Euro di prodotti nutrizionali. Con specifico riferimento ai parafarmaci ed agli extrafarmaci a connotazione salutistica le farmacie non sono comunque il canale di distribuzione al dettaglio principale. Secondo una recente stima (di fonte Federfarma) la loro quota di mercato sarebbe del 19% circa, comprendendo nel mercato totale di riferimento anche classi di extrafarmaci venduti prevalentemente in altri canali di distribuzione al dettaglio e solo marginalmente nelle farmacie. In questo campo le stime delle quote di mercato dei vari canali di distribuzione al dettaglio sono comunque alquanto incerte perché incerto (e, tutto sommato, dipendente da scelte soggettive) è l’insieme di classi merceologiche di riferimento che viene aggregato. Ad esempio nel mercato dei prodotti cosmetici nel loro complesso, la quota di quelli venduti al dettaglio attraverso le farmacie è pari al 16%, mentre sono più elevate quelle dei punti di vendita “grocery” ad assortimento despecializzato (44%) ed anche dei punti di vendita specializzati, quali profumerie ed esercizi similari (25%). La restante quota (del 15%) fa capo a numerosi tipi di unità di vendita (tra cui rientrano anche, marginalmente, le parafarmacie) o di centri di servizi (Fonte Unipro). Un aspetto che è opportuno segnalare riguarda le diverse modalità di approvvigionamento da parte delle farmacie dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica rispetto ai farmaci in senso stretto. Per i primi, infatti, prevalgono gli acquisti effettuati direttamente dai produttori, che visitano le singole farmacie con proprio personale di vendita (60%) o che si rapportano a gruppi di acquisto tra farmacisti (16%), mentre gli acquisti presso i grossisti operanti nel settore dei farmaci sono meno di ¼ (24%). Nel caso invece dei farmaci in senso stretto – come si è già visto nel capitolo precedente – i distributori intermedi del settore hanno un ruolo preponderante (89% degli approvvigionamenti), mentre gli acquisti diretti dai produttori sono solo l’11% (Fonte: Anifa – IMS). 21 Ad un risultato alquanto diverso si perviene elaborando le recenti valutazioni di Federfarma secondo le quali ai farmaci “etici” (di classe A e di classe C) sarebbe attribuibile il 65,9% del fatturato delle farmacie ed ai farmaci SOP e OTC nonché ai parafarmaci solo il restante 34,1%. In effetti questa valutazione è fuorviante per due ordini di motivi: anzitutto perché non considera che sugli stessi farmaci di classe A una parte del valore non è a carico del SSN ma degli utilizzatori, in varie forme come documentano i dati ufficiali Osmed; in secondo luogo perché sottostima il fatturato derivante alle farmacie dalle vendite di parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica. 66 Va anche tenuto presente che, negli anni più recenti, per i motivi già considerati nel cap. 2 e che verranno ulteriormente articolati per quanto riguarda le loro determinanti normative nel cap. 6, mentre il mercato dei prodotti di cui sono esclusiviste le farmacie (farmaci di classe A e di classe C) ed anche quello dei farmaci SOP e OTC, è rimasto sostanzialmente stazionario in valore, il mercato complessivo dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica ha manifestato incrementi significativi sia delle quantità sia dei prezzi unitari. Per quanto riguarda le parafarmacie – come già si è accennato – le vendite dei farmaci in senso stretto (solo SOP e OTC) contribuiscono in misura ridotta al loro fatturato (secondo una stima di larga massima di fonte Anifa per il17% circa), mentre molto più rilevante è il contributo dei parafarmaci (67% circa) e quello degli extrafarmaci a connotazione salutistica (16% circa). Sulla base di queste stime i parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica venduti nelle parafarmacie genererebbero un ammontare complessivo di ricavi di circa 500 milioni di Euro annui (2010). Per quanto riguarda infine i corner della GDO, che – come già si è visto – non inseriscono nel loro assortimento gli extrafarmaci, anche a connotazione salutistica, venduti in altri reparti delle strutture commerciali di cui fanno parte, l’incidenza sul loro fatturato dei parafarmaci (86%) è superiore a quella dei farmaci SOP e OTC (14%). Complessivamente le vendite di parafarmaci dei corner della GDO ammontano a 377 milioni di Euro annui (2011, Anifa). Complessivamente, quindi, l’ammontare dei ricavi annui delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner salute della GDO può essere stimato in 26.990 milioni di Euro (2010), così ripartito: farmacie 25.697 milioni di Euro; parafarmacie 592 milioni di Euro e corner della GDO 438 milioni di Euro (Anifa). L’insieme dei punti di vendita dei tre tipi di esercizi commerciali sopra indicati occupa circa 70.500 addetti, di cui 17.500 farmacisti abilitati ed iscritti all’albo professionale titolari di farmacie convenzionate con il SSN, circa 36.000 farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali dipendenti o coadiuvanti nelle farmacie, titolari o dipendenti nelle parafarmacie e dipendenti dalle imprese della GDO nei corner, circa 19.000 non farmacisti. Poiché i farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali in Italia sono attualmente circa 80.000, compresi però gli ultrasessantenni, si può stimare che solo il 21% abbia la titolarità di farmacie, e meno del 3% quella di parafarmacie e che il 48% svolga lavoro dipendente nel campo della distribuzione al dettaglio dei farmaci (nelle farmacie, nelle parafarmacie e nei corner) ed il 28% svolga attività lavorative in altri campi, sia pensionato o in cerca di occupazione. 67 4.3 Aspetti di marketing della distribuzione dei farmaci: considerazioni introduttive Esamineremo ora i principali aspetti che caratterizzano la gestione e gli indirizzi di marketing dei tre canali di distribuzione al dettaglio fin qui considerati (farmacie, parafarmacie e corner salute della GDO), evidenziandone in particolare i differenti punti di forza e di debolezza. Per quanto riguarda gli indirizzi di marketing, va tenuto presente che, nel settore farmaceutico in senso stretto, le principali azioni di marketing svolte dalle case produttrici, principalmente per i farmaci per i quali è obbligatoria la prescrizione medica, non sono, ovviamente, rivolte né al pubblico (consumer marketing), né ai distributori (trade marketing), ma ai prescrittori (medici di famiglia e medici specialisti) e pur essendo state da tempo vietate forme di promozione nei confronti dei prescrittori, quali omaggi di significativo valore unitario connessi con l’entità delle prescrizioni dei prodotti di specifiche case farmaceutiche, partecipazioni a carico delle case farmaceutiche a convegni, congressi, viaggi-premio (ad esclusione di contributi a corsi di aggiornamento professionale), ecc., l’attività promozionale delle case farmaceutiche nei confronti dei prescrittori è molto intensa, come già si è documentato nel cap. 3. Azioni comunicazionali di notevole intensità, anche attraverso i mass media, rivolte agli utilizzatori finali (o, meglio, a loro specifici target) vengono invece sviluppate da alcune imprese produttrici di farmaci OTC. Nel 2010 gli investimenti pubblicitari per OTC, parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica sono ammontati a 217 milioni di Euro, l’82% dei quali per pubblicità televisiva. Come si è visto nel cap. 2, gli utilizzatori finali raccolgono informazioni utili per la scelta dei farmaci dai prescrittori (che forniscono informazioni sul corretto uso di farmaci la cui scelta è demandata alle loro conoscenze professionali, di cui non dispongono o dispongono in misura molto limitata gli utilizzatori), mentre per i farmaci OTC si basano sulle informazioni pubblicitarie e sul passa-parola. Le informazioni date dai farmacisti per i farmaci di classe A, C e OTC sono considerate poco rilevanti dagli utilizzatori. Per i farmaci SOP non pubblicizzabili ed per i parafarmaci non pubblicizzati sono invece importanti le informazioni date nei punti di vendita al dettaglio (farmacie, parafarmacie e corner) come elementi utili per la scelta, oltre a quelle derivanti dal passa-parola. Ciò vale anche per gli extrafarmaci a connotazione salutistica non pubblicizzati. Si è già sottolineato che, per i farmaci di classe A e C, gli “informatori scientifici” delle case produttrici continuano a contattare assiduamente i medici di famiglia, svolgendo nei loro confronti non solo un’attività informativa di carattere scientifico e una distribuzione capillare di campioni dei loro nuovi prodotti, ma anche un’attività promozionale entro i limiti consentiti dalla disciplina vigente. 68 Nonostante la presenza di informazioni “neutrali” ai prescrittori, ricavabili anzitutto dai database AIFA e del Ministero costantemente aggiornati e da loro consultabili on line, le case farmaceutiche sono tuttora la fonte informativa, specie per quanto riguarda i nuovi farmaci, più rilevante e, per sua natura, “non neutrale”. Indirettamente un indicatore di questo stato di cose può forse essere la variabilità, rilevata dall’Osmed, delle prescrizioni di prodotti offerti da case farmaceutiche diverse nei differenti contesti territoriali del Paese. Tuttavia non sono disponibili, per quanto a nostra conoscenza, correlazioni tra l’intensità territoriale della presenza di “informatori scientifici” delle varie case farmaceutiche ed i differenziali sopra indicati. A loro volta i medici di famiglia sono gli interlocutori principali dei titolari delle farmacie ubicate in prossimità dei loro ambulatori e, spesso, allo scopo di facilitare i loro assistiti che necessitano esclusivamente del rinnovo di prescrizioni abitudinarie di farmaci di classe C ed anche, in qualche caso, di classe A, compilano le relative ricette direttamente nella farmacia più vicina (anche se ciò non è consentito dalle normative vigenti). Le relazioni degli “informatori scientifici” sono ancor più strette con i medici specialisti, sia a motivo della maggiore rilevanza che assumono, nei vari campi di specializzazione, la conoscenza scientifica delle nuove specialità farmaceutiche disponibili e le ulteriori informazioni di ritorno (oltre a quelle già acquisite dall’AIFA prima dell’autorizzazione all’immissione sul mercato) sulla loro efficacia terapeutica, sia, specialmente, per motivi di carattere promozionale, anche a favore della diffusione di farmaci e parafarmaci coadiuvanti a carico dei pazienti, alcuni dei quali ad alta redditività per i produttori e per l’intera filiera distributiva. Le strette relazioni ed interazioni che intercorrono tra le case farmaceutiche ed i prescrittori e tra questi ultimi ed i titolari di farmacie possono facilitare anche – come si vedrà più dettagliatamente nel cap. 6 – concentrazioni anomale delle prescrizioni di farmaci a carico del SSN nella porzione più alta della prima fascia di prezzi, nella quale, in base alle normative italiane, più elevate sono le remunerazioni dei farmacisti, essendo maggiore l’incidenza del margine loro riconosciuto e più alto il prezzo a cui essa si riferisce22. Dal punto di vista del marketing per una parte dei farmaci OTC e dei parafarmaci, quelli contraddistinti da marche note e pubblicizzate anche attraverso i mass media, il target delle imprese produttrici è costituito da specifici segmenti degli utilizzatori finali e ciò avviene anche per la maggioranza degli extrafarmaci a connotazione salutistica. In questi campi il ruolo del personale 22 In alcuni casi, peraltro molto rari e rientranti nella fattispecie di gravi reati ai danni del SSN, accordi criminosi tra prescrittori e farmacisti con falsificazioni di materiali documentali, hanno determinato l’appropriazione indebita di somme di entità cospicua prima di venire scoperti. L’attuale ricorso (che sarà reso tra breve obbligatorio in tutte le Regioni) alla ricettazione elettronica, con codici incrociati, controllabili automaticamente, dovrebbe consentire un controllo tale da dissuadere il manifestarsi di atti fraudolenti di questo tipo. 69 delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner salute della GDO è complementare, nell’orientare le scelte degli utilizzatori, rispetto a quello dei produttori. In sostanza, i distributori al dettaglio, nel campo dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici, dal punto di vista del marketing, hanno limitati spazi per svolgere un’attività autonoma, nei confronti dei consumatori finali, interposta e, in qualche caso, contrapposta a quella dei produttori più importanti – come avviene invece in molti altri campi dei beni di largo consumo – essendo – se così si può dire – posti tra l’”incudine” delle attività di marketing degli stessi produttori (diretta, nel caso di alcune linee di OTC e di parafarmaci; indiretta, ossia svolta attraverso i loro “informatori scientifici”, nel caso dei farmaci soggetti a prescrizione medica) e il “martello” delle scelte dei prescrittori. Tuttavia, con riferimento agli angusti spazi in cui, nel mercato italiano, possono configurarsi condizioni di scelta degli utilizzatori finali: A. dei farmaci equivalenti (o generici) da acquistare nelle classi A e C; B. dei prodotti da acquistare nella classe SOP e di quelli a scarsa differenziazione ed a scarsa copertura pubblicitaria nella classe OTC e nei parafarmaci; C. dei punti di vendita in cui compiere i loro acquisti di SOP, OTC, parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica è utile valutare comparativamente i punti di forza e di debolezza, sotto il profilo del marketing, delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner, nonché, per gli extrafarmaci, di altri tipi di canali di distribuzione. Il primo ordine di scelte (farmaci equivalenti nelle classi A e C) può riguardare solo la scelta tra farmacie diversamente orientate, in quanto – come si è già visto – le farmacie in Italia sono distributori al dettaglio esclusivi di questi farmaci. Il secondo ed il terzo ordine di scelte investe invece anche una comparazione tra gli aspetti di fondo che caratterizzano, dal punto di vista del marketing, i diversi tipi di canali di distribuzione al dettaglio, tra i quali gli utilizzatori finali possono compiere le loro scelte. Va comunque subito aggiunto che – come in tutti i campi della distribuzione commerciale al dettaglio con sede fissa – le relazioni competitive (sia omogenee, ovvero tra unità di vendita dello stesso tipo, sia eterogenee, ovvero tra diversi tipi di unità di vendita) si riferiscono a mercati spazialmente determinati dalla mobilità territoriale degli utilizzatori, a sua volta derivante dall’accessibilità ai punti di vendita, dalla loro attrattività e da fattori di conglomerazione (ossia dalla presenza di più punti di vendita con offerte complementari in microaree di dimensioni limitate quali vie commerciali, storiche, centri commerciali pianificati, ecc.). 70 4.4 I punti di forza ed i punti di debolezza delle farmacie Come in tutti i campi della distribuzione commerciale al dettaglio imperniata su criteri di specializzazione merceologica, anche in quello delle farmacie operano unità di vendita assai diverse quanto a dimensioni dei ricavi, a livelli di produttività dei fattori produttivi impiegati ed a livelli di redditività, nonostante le barriere istituzionali che proteggono dalla concorrenza omogenea ed eterogenea questi tipi di punti di vendita. La stessa associazione di categoria (Federfarma) in un’indagine campionaria compiuta nel 2008 distingueva differenti modelli di gestione delle farmacie: A. quello che definiva “tradizionale”, al quale apparteneva circa il 62% delle farmacie, di piccola e media dimensione, focalizzato sulle vendite dei farmaci “etici” a prescrizione medica (di classe A e C) con i quali realizzava il 70% circa del proprio fatturato, con la presenza abbastanza ampia anche di farmaci SOP e OTC e di parafarmaci (21% del fatturato) e ridotta di extrafarmaci a connotazione salutistica (9%); B. quello delle farmacie che definiva “in transizione” (20% circa del totale delle farmacie), anch’esse di piccola e media dimensione ed anch’esse caratterizzate da una distribuzione del fatturato analoga alla precedente, ma maggiormente orientate a sviluppare azioni promozionali nel campo dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica ed a praticare sconti (seppure di modesta entità) in quello dei farmaci SOP venduti a prezzi molto inferiori nei corner della GDO; C. quello delle farmacie che definiva “evolute” (8% del totale delle farmacie), prevalentemente di media dimensione, nella quali l’incidenza delle vendite dei farmaci “etici”, pur continuando a costituire il “core business”, poteva scendere anche al 55%-60% del fatturato, mentre era molto più elevata della media quella non tanto dei farmaci SOP e OTC, quanto dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica, oggetto di attività promozionale tendente anche a dirottare verso la farmacia segmenti di utilizzatori precedentemente orientati ad acquistare alcuni di questi prodotti in unità di vendita specializzate estranee al settore della distribuzione dei prodotti farmaceutici. D. quella delle “grandi” farmacie (5% del totale delle farmacie), in genere ubicate in aree centrali o comunque ad elevata accessibilità a largo raggio dei maggiori centri urbani, spesso dotate di servizio notturno continuativo a pagamento, nella maggioranza dei casi con distribuzioni del fatturato non molto dissimili da quelle 71 delle farmacie tradizionali tra i vari tipi di prodotti, ma, in alcuni casi, dotate di ampi reparti adibiti alla vendita di parafaramaci e, specialmente, di extrafarmaci a connotazione salutistica, comprensivi anche di articoli sanitari. E. quella infine delle cosiddette “farmacie-bazar” (5% del totale), quasi tutte dotate di servizio notturno a pagamento, di piccola e media dimensione, localizzate in comuni sui quali gravitano ampie aree a bassa densità della popolazione residente che, nonostante l’ampiezza dei loro assortimenti nel campo dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica, presentano una distribuzione del loro fatturato non dissimile da quella delle farmacie tradizionali, focalizzata sulle vendite di farmaci etici. In tutti i tipi di farmacie sopra indicati l’offerta di servizi di controllo della pressione o similari e la vendita o l’affitto di piccole apparecchiature d’uso domestico (aerosol, misuratori di pressione, ecc.) risultava del tutto marginale (al massimo pari all’1% del fatturato). La distribuzione delle farmacie per classi di fatturato presenta un ampio campo di variazione, a motivo della diversa consistenza dei naturali bacini di utenza di ciascuna di esse, che, qualora il loro mercato fosse esclusivamente assimilabile a quello degli esercizi di vicinato, con le misure istituzionali di contingentamento dovrebbero essere abbastanza omogenei - ma che in effetti non lo sono a motivo della differente accessibilità delle localizzazioni di ciascuna di esse, oltre che della diversa attrattività derivante dalle loro politiche di mercato. Più precisamente, nel 2010, riferendosi esclusivamente alle vendite di farmaci di classe A, C e da banco (SOP e OTC) e di una quota di extrafarmaci distribuita da operatori all’ingrosso specializzati in campo farmaceutico da parte della farmacie, una fonte settoriale affidabile stimava la seguente distribuzione per classi di fatturato: fino a 0,5 milioni di Euro 7% degli esercizi; da 0,5 a 1,5 milioni di Euro: 46% degli esercizi; da 1,5 a 2 milioni di Euro 22% degli esercizi; da 2 a 2,5 milioni di Euro 13%; oltre 2,5 milioni di Euro 12% degli esercizi. Va sottolineato che questa distribuzione non include i parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica distribuiti direttamente alle farmacie da personale di vendita dei produttori. Tenendo conto delle dimensioni prevalenti nei diversi modelli di gestione delle farmacie tratteggiati da Federfarma, da noi richiamati precedentemente, nonché della diversa incidenza delle vendite di parafarmaci ed extrafarmaci in ciascuno di essi, la distribuzione effettiva per classi di fatturato dovrebbe accentuare l’incidenza delle farmacie con oltre 1,5 milioni di Euro di fatturato, che – secondo una nostra stima di larga massima – dovrebbe raggiungere il 55%-60% circa degli esercizi in esame, di cui il 15%18% con oltre 2,5 milioni di Euro annui di fatturato. 72 Per quanto riguarda, più specificamente, la distribuzione delle farmacie per classi di fatturato dei farmaci SOP e OTC, si rileva che, nel 2010, oltre la metà (56%) delle farmacie aveva un fatturato per i farmaci in esame inferiore a 267.000 Euro annui, il 28% compreso tra i 267.000 ed i 415.000 Euro annui ed il 16% superiore ai 415.000 Euro annui. Una recente simulazione, basata sulle rilevazioni AIFA, nella quale viene ipotizzata una spesa annua pro-capite per farmaci etici identica in ogni comune e viene considerata l’effettiva distribuzione territoriale della popolazione e delle farmacie, consente di confermare solo in parte l’opinione, abbastanza diffusa, secondo la quale il fatturato medio delle farmacie localizzate nei comuni di maggiore dimensione demografica sarebbe molto più elevato rispetto a quello delle farmacie localizzate nei comuni con meno di 12.500 abitanti. Infatti, fatto uguale a 100 il fatturato medio, dalla simulazione risulta un fatturato decisamente inferiore (indice 64,7) solo per le farmacie localizzate nei comuni con meno di 2.500 abitanti (16,7% delle farmacie operanti in Italia), sostanzialmente allineato con la media, (indice 107,3) già per quelle localizzate nei comuni con popolazione dai 2.500 ai 12.500 abitanti (26,5% delle farmacie operanti in Italia) superiore, ma non di molto, alla media (indice 112,5) per quelle (56,8% delle farmacie operanti in Italia) localizzate nei comuni con più di 12.500 abitanti. In effetti, se si esclude il 12% circa di farmacie operanti in zone rurali o montane effettivamente disagiate e poco abitate, ampie differenze quanto a fatturato sono riscontrabili in farmacie localizzate in comuni di analoga dimensione demografica, compresi i comuni maggiori. Sulla redditività delle farmacie, che Federfarma dichiara fortemente in calo, a seguito dei più recenti provvedimenti governativi, e – sempre secondo Federfarma – con una crescente quota di esercizi a redditività minima o nulla, non si dispone di valutazioni sufficientemente affidabili. Resta comunque il fatto che sul totale delle dichiarazioni dei redditi da lavoro autonomo (riferite al 2008), i farmacisti (titolari di farmacie) con un reddito medio dichiarato di 112,4 migliaia di Euro, figurano al secondo posto dopo i notai e prima dei dirigenti d’azienda e dei medici e chirurghi. Queste rilevazioni di carattere fiscale ben poco – come purtroppo è ben noto – possono dire sull’effettivo livello dei redditi comparati delle diverse categorie professionali, in quanto le opportunità di evasione fiscale variano molto tra le diverse categorie e quella dei farmacisti non dispone di opportunità di questo tipo, almeno per quanto riguarda i flussi di ricavi provenienti dalle vendite di farmaci soggetti a prescrizione medica. Tuttavia la collocazione dei farmacisti titolari al top della graduatoria dei redditi da lavoro autonomo con un valore dichiarato cinque volte superiore alla media dei valori dichiarati di tutti i lavoratori autonomi, è – a nostro avviso – un indicatore di redditività da non sottovalutare. 73 Al di là delle differenze dimensionali, di estensione dei loro assortimenti e di livelli di redditività, dal punto di vista del marketing le farmacie presentano i punti di forza e di debolezza di seguito indicati. I punti di forza sono sostanzialmente: A. la disponibilità di costanti flussi di clienti anche senza alcuna politica attiva volta a fidelizzarli o a stimolarne la mobilità territoriale; B. la fiducia, molto radicata e molto diffusa, di cui gode la figura professionale del farmacista. Per quanto riguarda il primo punto di forza, si può stimare che, mediamente, ogni farmacia, in quanto punto di vendita convenzionato con il SSN, disponga di un flusso giornaliero di circa 200 clienti. Si tratta di una clientela che si reca mediamente nella farmacia 1,4 volte al mese (fonte Federfarma), in larga misura, ma non necessariamente, residente in un ambito di vicinato allargato (fanno eccezione, ovviamente, le farmacie localizzate lungo le vie commerciali principali dei grandi centri urbani), con netta prevalenza (62%) della componente femminile. Sotto il profilo del marketing, specie dei parafarmaci e degli extrafarmaci percepiti come salutistici, la dimensione e la continuità dei flussi, la prevalenza di clienti di sesso femminile, una parte dei quali responsabili degli acquisti per l’intera famiglia ed in particolare per i bambini, offre alle farmacie opportunità di vendita tutt’altro che trascurabili e la conoscenza personale da parte del farmacista di un’ampia quota della sua clientela può anche consentirgli di accreditare linee di prodotti appropriate ai gusti ed alle esigenze di clienti, almeno in parte, disposti a sostenere un “premium price”. Per quanto riguarda il secondo punto di forza delle farmacie dal punto di vista del marketing (la buona reputazione di cui gode gran parte dei farmacisti sotto il profilo delle competenze professionali e dell’affidabilità ) le indagini psico-sociologiche svolte recentemente in Italia confermano un’incidenza dei giudizi positivi sulla qualità percepita del servizio offerto dalle farmacie elevata nelle regioni centro-settentrionali (nell’indagine Censis del 2009: con incidenze dei giudizi pienamente positivi comprese tra il 68% ed il 73%), sufficiente (48% dei giudizi pienamente positivi) nelle regioni meridionali ed insulari. Ovunque i giudizi positivi sulla qualità del servizio offerto dai farmacisti risultano superiori rispetto a quelli riguardanti i medici di famiglia ed anche i medici e gli specialisti privati. D’altro canto, però, da un’indagine svolta nel 2006 da Trade-Lab per conto di Federfarma, che ammetteva risposte multiple, emerge che la professionalità del personale, la conoscenza da parte del personale dei problemi terapeutici di gran parte dei clienti, la cortesia del personale sono indicati da quote variabili tra il 20% ed il 32% degli intervistati tra i principali criteri di scelta delle 74 farmacie, mentre emerge nettamente come criterio predominante (70%) la vicinanza al luogo di residenza o di lavoro. Entrando più analiticamente nell’esame dei comportamenti “market oriented” dei responsabili della gestione delle farmacie si riscontrano anche alcuni punti di debolezza, più o meno marcati, che riflettono la “routine” di una professione focalizzata sull’erogazione dei prodotti più che sulla loro vendita e sulla loro promozione commerciale. Diversi fattori hanno contribuito a conservare una sostanziale debolezza delle capacità di marketing della maggioranza delle farmacie: A. Il primo – e più rilevante – fattore è l’”altra faccia della medaglia” riguardante i punti di forza delle farmacie: la disponibilità di flussi costanti di clienti che si recano nelle farmacie per poter disporre dei prodotti distribuiti da queste in esclusiva e la stessa buona reputazione di cui godono le capacità professionali dei farmacisti, spingono molti di essi a privilegiare la difesa delle rendite di posizione e delle posizioni di rendita esistenti senza impegnarsi in politiche di mercato attive tendenti ad essere competitivi anche all’interno della categoria di appartenenza, a stimolare la mobilità territoriale dei consumatori, a fronteggiare efficacemente la concorrenza esterna nei comparti in cui la distribuzione al dettaglio è caratterizzata da condizioni, ormai assestate, di multicanalità. B. Un altro fattore è riconducibile alla difesa normativa di una professione da esercitare singolarmente, senza sostanziali possibilità di inserirla in organizzazioni a catena, a base succursalistica o associativa, dotate, ai loro vertici, di risorse umane specializzate nel marketing management. Va tenuto presente che, per quanto riguarda questo aspetto, l’Italia (insieme alla Francia, alla Germania, alla Grecia ed alla Spagna) si differenzia nettamente dagli altri Paesi europei, in alcuni dei quali la maggioranza delle farmacie è organizzata a catena. In particolare in Svezia l’85% delle farmacie fa capo a sei organizzazioni (con pesi quasi paritetici tra quelle a base cooperativa e quelle a base succursalistica), in Norvegia l’80%, in Gran Bretagna (dove prevalgono in questo campo le grandi organizzazioni succursaliste) il 61%, in Olanda il 39%, in Irlanda il 35%, ecc. In effetti, in Italia, il potere contrattuale delle farmacie viene esercitato, collettivamente dalla loro potente ed unitaria associazione di categoria nei confronti degli organi governativi e delle case produttrici. Paradossalmente, però, un impianto normativo di carattere difensivo, tendente ad evitare che – come in altri campi della distribuzione al dettaglio – si potessero configurare situazioni di confronto pluralistico (tra piccole imprese individuali, 75 organizzazioni a base associativa dotate di funzioni centralizzate di marketing, organizzazioni a base succursalistica dotate anche del controllo proprietario dei punti di vendita) ha concorso ad indebolire le capacità di gestione “marketing oriented” delle farmacie. Queste capacità sono invece oggi sempre più necessarie, in presenza: sia – come si è già visto – di una quota molto importante del loro fatturato realizzata con prodotti non rimborsati dal SSN ed anche con prodotti offerti anche in altri tipi di punti di vendita; sia – come si vedrà in seguito – di una riduzione in valore assoluto, prima ancora che in termini relativi, dei margini riconosciuti dal SSN a motivo della diffusione dei farmaci equivalenti con prezzi al consumo decisamente inferiori rispetto a quelli delle specialità coperte da brevetto per i prodotti di fascia A e di fascia C. La conservazione dell’esclusiva di vendita per i farmaci di fascia C (non rimborsati dal SSN ma soggetti a prescrizione medica) è certamente uno strumento di difesa delle farmacie nei confronti della concorrenza esterna (delle parafarmacie e dei corner della grande distribuzione) che, tuttavia – come si vedrà meglio in seguito – appare sempre meno giustificabile dal punto di vista degli interessi dei consumatori e che, comunque, non può supplire ad una carenza di capacità di gestione “marketing oriented”. C. Un ulteriore elemento, da cui sono originati numerosi fraintendimenti, a motivo del suo uso spesso eccessivamente strumentale da parte della potente associazione che le rappresenta (Federfarma), che ha probabilmente giovato alla difesa degli interessi della categoria, ma che non ha contribuito a diffondere una cultura gestionale genuinamente “marketing oriented”, è la contrapposizione tra il carattere di servizio sociale, che sarebbe proprio delle farmacie, ed il loro carattere di servizio di distribuzione al dettaglio, finalizzato ad obiettivi di redditività, che non dovrebbe mai prevalere nei loro comportamenti. Anche il “libro bianco” di Federfarma (giugno 2008) insisteva sull’evoluzione della farmacia “da impresa professionale ad impresa sociale”, che – oltre a mantenere il suo ruolo primario di presidio sanitario a tutela della salute del cittadino, deve sempre più rafforzare l’offerta capillare di servizi sanitari di vario tipo (vds. oltre) ad integrazione, a supporto ed anche, almeno in parte, sostitutivi rispetto a quelli delle ASL. La debolezza del marketing operativo di gran parte delle farmacie, può essere constatata anche esaminando le modalità con cui esse si rapportano con le case produttrici di OTC, SOP, parafarmaci e specialmente extrafarmaci con connotazioni salutistiche ed alle loro reti di distribuzione all’ingrosso. Molto spesso i farmacisti accettano il prezzo di vendita indicato dai 76 produttori, ai quali richiedono margini analoghi a quelli loro accordati dal SSN ed extrasconti di vario tipo, anziché ragionare in termini di ricarichi differenziati anche in funzione della concorrenza esterna in cui sono coinvolte e dell’elasticità al prezzo della loro clientela interessata ai vari tipi di prodotto. Spesso gli spazi espositivi da riservare alle linee di extrafarmaci per le quali è rilevante l’”in-store-merchandising”, che ne stimola gli acquisti d’impulso, sono sostanzialmente decise seguendo le indicazioni dei produttori. Anche la maggioranza delle azioni promozionali sono organizzate dai produttori, anziché costituire il risultato di accordi e relazioni cooperative. Le principali scelte effettuate dai responsabili della gestione delle farmacie, compatibilmente con gli spazi fisici disponibili e con la qualificazione che essi intendono conferire ai loro punti di vendita nell’offerta di linee di extrafarmaci, oltre che dall’entità dei margini loro accordati dai produttori, riguardano le marche da inserire nell’assortimento, accettando in molti casi l’esclusione, richiesta dai produttori, di marche concorrenti. Il tasso di rotazione del capitale investito in scorte in questo campo è poco considerato nelle valutazioni di convenienza dei responsabili della gestione delle farmacie, abituati, invece, come già si è visto, per i farmaci rimborsati dal SSN, a consegne giornaliere (o anche plurigiornaliere) di singole confezioni, da parte dei grossisti del ramo, con i quali si interfacciano con, più o meno, avanzati, sistemi telematici per la gestione delle scorte e degli ordini. In sostanza, sotto il profilo delle attività operative di marketing, la maggioranza dei responsabili della gestione delle farmacie, man mano che si allontanano, nella vendita di prodotti non compresi nelle regole AIFA, dalle “routines” tradizionali, stenta ad esprimere capacità autonome di un certo rilievo. A nostro avviso le principali linee di sviluppo delle modalità di gestione “marketing oriented” delle farmacie stentano a manifestarsi in concreto proprio a motivo dei punti di debolezza testé evidenziati, oltre che dell’assuefazione a svolgere un’attività professionale istituzionalmente protetta e generatrice, nella maggioranza dei casi, di soddisfacenti livelli di redditività. In particolare lo sviluppo ispirato al modello francese di affiliazione trova ostacoli quasi insormontabili nei comportamenti concreti degli operatori in esame, oltre a richiedere, nelle sue fasi più avanzate, cambiamenti normativi non marginali. Tale modello risponde a un processo di razionalizzazione del comparto e di aumento del suo potere di mercato nei confronti dei produttori e delle sue capacità di cogliere tempestivamente l’evoluzione delle aspettative degli utilizzatori, che, partendo da una struttura basata principalmente sulle farmacie singole, vede emergere come nuclei centrali del canale di distribuzione dapprima le organizzazioni a base associativa tra farmacisti con compiti prevalenti di acquisto collettivo, poi, con una serie di passaggi successivi, la loro 77 trasformazione in organizzazioni a catena nelle quali i singoli punti di vendita si collocano come franchisees e l’organizzazione in quanto tale come franchisor, per pervenire, con riferimento alle nuove aperture, al ruolo di organizzazione proprietaria che affitta ai professionisti abilitati nuovi punti di vendita. La centralizzazione delle attività che richiedono elevate dimensioni minime efficienti, ma che, avvalendosi di esperti di economia aziendale e di marketing, possono consentire di aumentare l’efficienza e la competitività del principale canale di distribuzione in campo farmaceutico sembra, in sostanza, un processo alquanto lento e in gran parte neppure iniziato nel contesto strutturale italiano, nonostante gli stimoli in tale direzione da tempo impressi da alcune organizzazioni di distribuzione all’ingrosso avanzate ed in modo particolare – come già si è accennato nel cap. 3 – da Federfarmaco. D’altro canto, anche un’effettiva e rapida trasformazione delle farmacie in centri di servizio sussidiari ed integrativi delle ASL nel più ampio contesto della razionalizzazione del SSN, nonostante l’evolversi delle normative in questa direzione, è un processo evolutivo ancora irto di difficoltà ed ostacoli, tra i quali figurano anche le resistenze di molti farmacisti. Su questi aspetti torneremo tuttavia nel cap. 7. 4.5 I punti di forza ed i punti di debolezza delle parafarmacie Per quanto riguarda le parafarmacie, si è già osservato che si tratta di unità di vendita prevalentemente di piccola dimensione unitaria, solo una parte delle quali facenti parte di catene specializzate, anch’esse, tuttavia, comprendenti ciascuna un numero limitato di esercizi. Le parafarmacie presentano assortimenti in cui i prodotti paramedicali, non rientranti tra i SOP e gli OTC, sono la maggioranza. Tra questi, le linee di prodotti che si basano su principi attivi di carattere “naturale” caratterizzano queste unità di vendita, unitamente a quelle omeopatiche. In particolare i prodotti omeopatici richiedono gamme molto vaste, poiché il loro uso efficace comporta minidosaggi personalizzati. Un altro aspetto degno di nota riguarda l’elevato contributo che viene dato dalle parafarmacie all’occupazione, con ruoli prevalentemente imprenditoriali, di farmacisti iscritti agli albi professionali ma operanti in punti di vendita non convenzionati con il SSN e quindi non facenti parte della “pianta organica”. Pur essendo varie le loro specializzazioni, le parafarmacie presentano alcune caratteristiche comuni dal punto di vista del marketing. Esse non dispongono – come le farmacie – di flussi di 78 clienti che siano indotti a frequentarle indipendentemente dalle loro politiche attive di marketing. L’attrazione e la fidelizzazione dei clienti sono quindi elementi fondamentali per il successo della loro attività. Esse si rivolgono specialmente a segmenti di mercato particolarmente interessati a conservare il loro stato di salute (fisico e psichico) con prodotti “naturali” e desiderosi di essere consigliati da un professionista non solo sui prodotti più adatti a soddisfare le loro esigenze, ma anche sugli stili di vita da adottare per conservarsi “in forma”. Il marketing delle parafarmacie, oltre che sull’attrattività e sulla relativa convenienza dei loro assortimenti, si basa sull’empatia e sulla personalizzazione dei rapporti con i clienti. Come già si è accennato, ciò comporta anche, in alcune linee dell’assortimento ed in modo particolare in quella dei parafarmaci omeopatici, la disponibilità di un elevato numero di referenze, allo scopo di rispondere adeguatamente alle esigenze individuali dei clienti. Per i farmaci SOP e OTC la parafarmacia, per avere successo, deve anche praticare prezzi competitivi con la farmacia, pur senza poter disporre – come i corner della grande distribuzione – di alcuni prodotti, anche di marca commerciale, con prezzi molto inferiori a quelli delle marche più note che contengono gli stessi principi attivi. Il divieto di vendita nelle parafarmacie (così come nei corner della grande distribuzione) dei farmaci di classe C soggetti a prescrizione medica, e a carico dei consumatori finali, viene considerato, dalle varie associazioni di categoria dei parafarmacisti, non solo come il principale ostacolo all’ulteriore espansione delle parafarmacie ed al raggiungimento di normali livelli di redditività (una parte delle parafarmacie sottoremunera infatti il lavoro professionale svolto ed il capitale investito), ma anche – a nostro avviso giustamente – come un vincolo normativo suggerito da una ratio assai poco fondata, dal momento che la parafarmacia dispone di personale con le stesse capacità professionali certificate rispetto alla farmacia (farmacisti iscritti agli albi, i quali, con gran parte della clientela, intrattengono rapporti personalizzati e non episodici). Come già si è accennato una parte, peraltro ancora modesta, delle parafarmacie è di proprietà di imprese a succursali multiple, dalle quali dipendono i farmacisti iscritti all’albo, la cui presenza in ciascun punto di vendita è obbligatoria. Si tratta, però, di catene di dimensione ridotta, la cui gestione “marketing oriented” si focalizza più su elementi di specializzazione dell’offerta che su immagini di insegna affermate ed il cui potere contrattuale nei confronti della maggioranza dei fornitori è limitato. Probabilmente i vincoli normativi hanno finora scoraggiato in questo campo lo sviluppo di catene specializzate di distribuzione al dettaglio di rilievo non soltanto locale. 79 4.6 I punti di forza ed i punti di debolezza dei corner della GDO Per quanto riguarda, infine, i corner della grande distribuzione, per realizzare una gestione economica sviluppando al tempo stesso una politica di prezzi competitivi, è necessaria una dimensione minima efficiente per ogni corner elevata, che può essere raggiunta, in corner inseriti in ipermercati ad alta attrattività. Il fatturato medio per ogni farmacista iscritto all’albo operante, come lavoratore dipendente, nei corner può essere stimato in 470.000 Euro annui (nel 2010), mentre quello per ogni farmacista (titolare e dipendenti) nelle farmacie risulta leggermente inferiore (stimabile intorno a 430.000 Euro annui) e quello per ogni farmacista operante nelle parafarmacie alquanto inferiore (compreso tra i 200.000 ed i 250.000 Euro annui). Per quanto riguarda il marketing, i corner si avvalgono delle funzioni, delle capacità e del personale umano ad alta qualificazione di cui dispongono le insegne di appartenenza. L’organizzazione degli approvvigionamenti, le scelte riguardanti la composizione degli assortimenti, gli indirizzi gestionali ed in modo particolare le politiche di pricing, le attività di comunicazione (per quanto loro consentite dalle normative vigenti), i layout espositivi, le attività di pubbliche relazioni, sono infatti in gran parte centralizzate. Sulle specifiche politiche di mercato e sulle specifiche performances economiche dei corner si svilupperà un esame approfondito nel prossimo capitolo. 80 5. LA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI E DEI PARAFARMACI NEI CORNER DELLA GDO 5.1 Il contesto europeo di riferimento In questo capitolo si approfondiranno i problemi riguardanti la distribuzione dei farmaci senza prescrizione medica (OTC e SOP) che – come già si è visto nel capitolo precedente – sono oggetto di commercializzazione al dettaglio anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO, unitamente a quella dei parafarmaci. In particolare ci si soffermerà sugli aspetti economicogestionali dei corner salute della GDO. Ci sembra comunque utile premettere che le vendite dei farmaci senza obbligo di prescrizione medica in Italia, nonostante la liberalizzazione dei loro canali di distribuzione avviata nel 2006, presentano una rilevanza inferiore a quella riscontrabile in quasi tutti gli altri Paesi europei. Secondo le recenti rilevazioni dell’ASPG, rielaborate dall’AIFA23, nel 2010, pur essendo il mercato italiano il quarto mercato europeo in valore per i farmaci in esame, dopo quello tedesco (2,5 volte maggiore), quello francese (2,4 volte maggiore) e quello del Regno Unito (1,8 volte maggiore) esso è caratterizzato: A. Da un’incidenza sul totale del mercato nazionale dei farmaci in esame pari all’11,4%, ossia decisamente inferiore alla media europea (UE 27) che è pari al 14,8%. Da questo indicatore emerge che un grande Paese dell’Est europeo (la Polonia), con il 27,0%, presenta il rapporto tra dimensione del mercato nazionale dei farmaci non soggetti a prescrizione e quello dei farmaci etici più alto d’Europa. Tra i grandi Paesi dell’Europa occidentale, decisamente superiori alla media europea sono la Gran Bretagna (18,1%) e la Francia (17,8%), mentre la Germania si colloca 23 La comparabilità dei dati riguardanti i vari Paesi europei non è piena sia perché, tra i farmaci SOP, non vengono compresi in tutti i Paesi i medesimi principi attivi nei medesimi dosaggi (anche se le differenze non sono molto ampie) sia perché la distinzione tra farmaci non prescritti dal medico e farmaci con obbligo di prescrizione in alcuni Paesi non è del tutto discriminante. In particolare in Francia alcuni SOP possono essere prescritti, nel qual caso, possono disporre di un parziale, seppure molto limitato, rimborso da parte del SSN, mentre gli stessi SOP, se non prescritti, non vengono rimborsati. Per questo motivo i dati francesi sono approssimati per difetto. 81 sostanzialmente sulla media, così come l’Olanda, il Belgio e la Danimarca. Sotto alla media, oltre ai Paesi mediterranei (nell’ordine: Italia, Spagna, Grecia) ed al Portogallo, si collocano anche i Paesi nordici dell’UE (Svezia e Finlandia); B. Da una spesa pro-capite (36,5 Euro nel 2010) inferiore del 38% rispetto alla media europea (58,5 Euro), del 56% rispetto alla spesa pro-capite destinata ai farmaci “non prescription” in Francia (82,1 Euro) , del 47% in Germania (69,3 Euro), del 42% in Gran Bretagna (63,8 Euro). Le ampie differenze tra le spese pro-capite nei Paesi sopra indicati dipendono anche dal fatto che in alcuni di essi (in particolare in Germania) alcuni farmaci non prescritti dai medici sono rimborsati dal sistema assicurativo, su cui si regge il SSN (Pammolli, 2004); C. La già richiamata (cfr. cap. 2) stasi negli ultimi anni, con tendenza alla riduzione delle spese destinate ai farmaci “non prescription”, connessa con la riduzione del potere di acquisto di una larga parte della popolazione, che si indirizza verso parafarmaci meno cari o, in alcuni casi-limite, a chiedere ai medici prescrizioni, in loro vece, di farmaci di classe A (a carico del SSN) con evidenti distorsioni terapeutiche. Va comunque tenuto presente che, in valore, la stasi del mercato dei farmaci “non prescription” si è manifestata nel 2010 in quasi tutti i Paesi europei (fa eccezione la Polonia, ancora in intensa crescita), anche in quelli che, negli anni precedenti, erano caratterizzati da mercati in crescita. Le prospettive dei mercati nazionali dei farmaci “non prescription” sono incerte. In alcuni Paesi (in particolare Paesi baltici) è in atto il passaggio di alcuni farmaci con obbligo di prescrizione destinati alla cura di patologie minori alla lista dei SOP e ciò ha già determinato, in Svezia, una ripresa del mercato. In altri Paesi, al contrario, alcuni SOP vengono trasferiti alle liste dei prodotti con obbligo di prescrizione. È questo, ad esempio, il caso della Germania, per un SOP a larga diffusione (il paracetamolo in confezioni da più di 10 mg). Tuttavia, a differenza dell’Italia, in Germania per la vendita dei SOP non è prescritta la presenza del farmacista. Sotto il profilo normativo una direttiva europea del 2001 (83/01 CE) ha stabilito che i farmaci soggetti a prescrizione medica comprendono, oltre a tutte le sostanze iniettabili, quelli che presentano rischi per la salute se usati senza un costante controllo medico o che contengono sostanze di cui deve essere approfondita l’efficacia e/o gli effetti secondari. Queste indicazioni sono alquanto generiche ma hanno spinto la maggioranza dei governi dei Paesi europei ad applicare liste comuni di farmaci che non presentano le suddette caratteristiche (“non prescription”). 82 Più variegate sono invece le normative riguardanti i canali di distribuzione dei farmaci “non prescription”. In Gran Bretagna, Polonia, Danimarca, Olanda e Repubblica Ceca è ammessa la loro vendita al di fuori delle farmacie. In Gran Bretagna, ad esempio, il 40% dei farmaci in esame è venduto nei super e drugstore, in Olanda l’81%. In Germania solo una parte, peraltro cospicua, dei farmaci “non prescription” può essere venduta a libero servizio al di fuori delle farmacie. In Italia, fin dal 2001 (L. 405/2001) è stata ammessa la loro vendita a libero servizio, ma solo nelle farmacie o in distributori automatici gestiti dalle farmacie, precisando successivamente che tali distributori automatici non avrebbero dovuto essere accessibili dall’esterno. Solo nel 2006 (con la legge Bersani) è stata ammessa la loro vendita anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO, purché con la presenza di un farmacista abilitato. In parecchi Paesi europei è ammessa la loro distribuzione in ambulatori medici anche a libero servizio. Data l’eterogeneità delle normative nazionali, assai diversa è l’entità dei punti di vendita differenti dalle farmacie in cui sono venduti farmaci “non prescription”. In Germania (solo per i SOP ammessi) ciò avviene in oltre 20.000 punti di vendita, in Olanda in oltre 3.000, in Danimarca in oltre 3.000, in Gran Bretagna in un numero imprecisato di punti di vendita che possono comprendere nel loro assortimento i “non prescription” GSL, ossia compresi nella “General Sales List”, cui si riferisce il 65% delle vendite di OTC, in Italia – come già si è visto – in oltre 2.500 parafarmacie ed in 300 corner della GDO, con l’obbligo tuttavia (unico caso tra i Paesi sopra indicati) della presenza di un farmacista iscritto all’albo professionale. Un altro canale di distribuzione dei farmaci “non prescription” è, almeno potenzialmente, la rete Internet. La Corte di Giustizia Europea ha emanato infatti nel 2003 una sentenza che ammette la vendita di farmaci non soggetti a prescrizione medica via Internet e, più in generale, “per corrispondenza”. Si tratta tuttavia di una sentenza che non ne consente il divieto assoluto, ma che rende possibile, nelle varie normative nazionali, la subordinazione delle vendite on line a specifiche condizioni, ad esempio solo attraverso siti di farmacie autorizzate (Svezia, Norvegia, Finlandia, Belgio) oppure con consegne in punti di vendita a ciò espressamente autorizzati anziché a domicilio (Spagna, Portogallo, Svizzera). In Italia il problema è stato sollevato recentemente, ma non è stata definita finora una soluzione normativa specifica. L’unico Paese che non pone alcun condizionamento alle vendite on line di farmaci “non prescription” è l’Olanda, che, tuttavia, controlla e, se del caso, oscura i siti sospettati di comportamenti anomali. In parecchi Paesi europei (Italia compresa: vds. oltre) sono state condotte indagini sui differenziali di prezzo dei principali farmaci “non prescription” venduti nelle farmacie e nei canali alternativi. Da tali indagini risulta che, con l’apertura dei mercati, si è avuta una riduzione 83 consistente dei prezzi, cui hanno dovuto adeguarsi anche le catene di farmacie. In Gran Bretagna, dove è non solo ammessa la formazione di catene di farmacie ma essa è dominante, il risparmio per i consumatori è stato quantificato in media nel 30% per i GSL in quattro anni dall’apertura del loro mercato, grazie anche alla crescente competizione tra le catene di farmacie. La varietà dei canali di distribuzione al dettaglio determina anche, per gli stessi principi attivi, ampie differenze di prezzo nei vari Paesi. Ad esempio da un’inchiesta Ansa condotta nel 2006 e citata nella presentazione del decreto Bersani, poco prima della liberalizzazione, risultava che una compressa effervescente di Aspirina (venduta in Italia nelle farmacie a 0,20 Euro) veniva venduta (stesso principio attivo, stessa dose, stessa posologia) a 0,16 Euro in una catena olandese di drugstore, a 0,13 Euro in una catena, anch’essa olandese, di supermercati, a 0,14 Euro in una delle maggiori catene inglesi della GDO. Alcuni gruppi di lavoro della Commissione europea hanno da tempo (a partire dal cosiddetto G-10 Group della sanità nel 2002) suggerito varie modalità tendenti a liberalizzare la distribuzione e consentire un’effettiva concorrenza anche per i farmaci soggetti a prescrizione medica non a carico dei vari SSN, purché con efficaci garanzie sulla professionalità dei distributori diversi dalle farmacie. Si tratta di un indirizzo, finora non tradottosi in direttive comunitarie, di particolare interesse anche per il nostro Paese, nonostante il recente rigetto, da parte della Commissione Bilancio del Senato, di tre emendamenti a provvedimenti di liberalizzazione delle attività professionali, coerenti con tale indirizzo europeo (su questo aspetto della contrastata evoluzione normativa italiana si tornerà più articolatamente nel cap. 7). 5.2 La situazione italiana Come già si è documentato nel cap. 2, anche in Italia – analogamente a quanto si osserva in altri Paesi europei (Polonia esclusa), il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione è stazionario, con tendenza alla diminuzione, nonostante il consumo pro-capite di tali farmaci, come si è visto nel paragrafo precedente, sia inferiore alla media europea. Va ora precisato che, con riferimento alle rilevazioni più recenti, i farmaci SOP (che incidono per il 26% in volumi e per il 25% in valore sul totale dei farmaci “non prescription”) hanno registrato nel 2010 una diminuzione consistente dei volumi rispetto all’anno precedente (8,4%), dovuta peraltro prevalentemente a fattori epidemiologici stagionali, a fronte di una diminuzione contenuta del fatturato (-1,8%); i farmaci OTC (74% in volumi e 75% in valore) una debole contrazione dei volumi (-2,1%) ed una crescita, anch’essa lieve, del fatturato (+2,1%). 84 Come già si è visto (cap. 4), le farmacie continuano ad essere in Italia il canale di distribuzione al dettaglio di gran lunga più rilevante anche per i farmaci “non prescription”. L’erosione del loro mercato da parte delle parafarmacie è continuata negli ultimi anni (pari però ad un solo punto di quota di mercato in volume dal 2008 al 2010), mentre era stata abbastanza intensa nel 2008 rispetto all’anno precedente (2,3 punti di quota di mercato). I corner della GDO hanno invece manifestato una crescente capacità di erosione fino al 2009 (2,9 punti di quota di mercato dal 2007 al 2009 nonostante il limitato numero di corner operanti in Italia, mantenendo sostanzialmente nel 2010 la loro posizione relativa comunque marginale) rispetto alle farmacie (Anifa, 2011). Particolarmente significativo si presenta il confronto delle dinamiche delle vendite (in volumi) rispettivamente dei farmaci a carico del SSN (classe A) venduti solo nelle farmacie (+8% dal 2007 al 2010), di quelli con obbligo di prescrizione ma a carico degli utilizzatori, venduti anch’essi solo nelle farmacie (-1% nello stesso periodo), dei farmaci SOP e OTC venduti nelle farmacie (-9%), nelle parafarmacie (+85%) venduti nei corner della GDO (+51%). Si è già visto (cap. 4) che nelle parafarmacie (ma anche nelle farmacie e nei corner della GDO) hanno un’incidenza maggiore rispetto ai farmaci “non prescription” i prodotti non soggetti alle procedure di registrazione AIFA (e quindi non farmaci in senso stretto), ma percepiti dagli utilizzatori come prodotti utili per la cura di patologie minori o per il mantenimento di un buono stato di salute fisico e psichico, una parte dei quali vengono percepiti come possibili sostituti dei farmaci SOP e OTC. Gli andamenti più recenti delle vendite di questi prodotti in Italia sono, nel loro insieme, in crescita in tutti i canali di distribuzione considerati (farmacie, parafarmacie e corner della GDO). Secondo la più recente analisi dell’Anifa i loro volumi di vendite nel 2010 hanno manifestato un incremento del 7,8% rispetto al 2009. Con specifico riferimento alle varie categorie merceologiche ed ai canali di distribuzione considerati, si osserva: A. Una crescita consistente dei prodotti cosiddetti “notificati”, ossia dei parafarmaci in senso stretto, nelle parafarmacie (+15,5% in volume), ma anche nei corner della GDO (+7,0%) e nelle farmacie (+6,2%); B. Una crescita molto consistente dei prodotti omeopatici nelle parafarmacie (+20,9%) e consistente nei corner della GDO (+8,3%), a fronte di una stasi con tendenza alla diminuzione nelle farmacie (-0,1%); C. Una lieve riduzione dei prodotti erboristici (-0,7%) nel loro complesso, con tendenze delle vendite in netta diminuzione (-1,8%) nelle farmacie, in netta crescita nelle parafarmacie (+6,2%) e in lieve crescita nei corner della GDO (+1,5%); 85 D. Una forte crescita degli altri prodotti, in gran parte extra-farmaci percepiti come prodotti “salutistici” (+8,8% in complesso), specie nelle farmacie, nelle quali tali prodotti (in volume) superano di parecchio i farmaci SOP ed OTC, mentre ciò non avviene per le categorie di prodotti precedentemente indicate; E. Una stasi dei prodotti “nutrizionali” (integratori alimentari e simili) (-0,4%) in complesso, con andamenti opposti nelle farmacie (-2,7%) rispetto alle parafarmacie (+5,0%) ed ai corner della GDO (+5,2%) (Fonte: nostre elaborazioni su dati Anifa). Dai dati testé richiamati si evince che, nel periodo più recente, la crescita delle vendite (in volume) dei parafarmaci e degli extra-farmaci a connotazione salutistica ha più che compensato la stasi di quella dei farmaci nel loro complesso ed in modo particolare dei farmaci “non prescription”. Mentre per gli extrafarmaci a connotazione salutistica (tra i quali si collocano parecchi prodotti ad alta redditività) si sono avvantaggiate in modo particolare le farmacie, per i parafarmaci in senso stretto, per i prodotti omeopatici e per i prodotti erboristici le parafarmacie ed i corner della GDO hanno aumentato le loro quote di mercato rispetto alle farmacie, quote che (in volume) risultano, però, ancora molto inferiori a quelle delle farmacie. Per quanto riguarda i corner della GDO, la dinamica delle vendite degli extrafarmaci a connotazione salutistica non è però significativa in quanto questi prodotti vengono venduti anche (ed in misura molto maggiore) in altri reparti delle unità di vendita in cui si collocano i corner. Un altro aspetto che va tenuto presente, caratteristico della situazione italiana delle vendite di farmaci non sottoposti all’obbligo di prescrizione medica, riguarda le differenze, meno marcate rispetto a quelle dei farmaci di classe A e C, delle spese pro-capite nelle diverse Regioni (Anifa). Per i farmaci SOP la Regione con la maggiore spesa pro-capite (49 Euro nel 2010) è la Liguria; quelle con spese pro-capite comprese tra i 40 ed i 45 Euro sono, nell’ordine, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, la Toscana, l’Emilia-Romagna ed il Lazio; la maggioranza delle altre Regioni ha spese pro-capite comprese tra i 30 ed i 40 Euro annui, mentre la Calabria, la Sicilia, il Molise, la Puglia e la Basilicata hanno spese pro-capite inferiori (comprese tra i 25 ed i 30 Euro annui). Per i farmaci OTC si rilevano differenze regionali più ampie (da un massimo di 38 ad un minimo di 18 Euro pro-capite nel 2010), ma la graduatoria regionale è molto simile a quella delle spese pro-capite per i SOP. Per quanto riguarda i prezzi, come si vedrà meglio in seguito (cap. 6), tutti i farmaci SOP e OTC, nonché i parafarmaci e gli extra-farmaci a connotazione salutistica non sono soggetti a prezzi amministrati. Per i farmaci SOP e OTC in Italia si è pervenuti gradualmente a questa soluzione. Fino al 2005 il prezzo al consumo, poteva essere liberamente fissato dalle imprese produttrici, ma doveva essere il medesimo su tutto il territorio nazionale (prezzo imposto in senso stretto). Nel 2005 86 (L. 149/2005) il prezzo al consumo, stabilito sempre dal produttore, venne considerato come un prezzo massimo indicato, sul quale le farmacie potevano operare sconti fino ad un massimo del 20%. Nel 2006 (L. 248/2006) il limite di sconto del 20% venne abolito (rendendo possibili anche sconti superiori). Con la legge Bersani venne superata la logica del prezzo imposto o indicato dal produttore. Il prezzo al consumo viene infatti determinato liberamente dai distributori (farmacie, parafarmacie, corner della GDO). Al titolare dell’autorizzazione (produttore) nel 2008 è stato però imposto l’obbligo di comunicare all’AIFA il prezzo massimo ex-factory e le sue variazioni. Come si vedrà meglio in seguito, la graduale liberalizzazione dei prezzi è stata estesa anche ai farmaci con obbligo di prescrizione di classe C (non a carico del SSN), per i quali è tuttavia conservata l’esclusiva di vendita nelle farmacie, ossia è esclusa qualsiasi forma di concorrenza tra canali distributivi al dettaglio differenti e sono fortemente vincolate (ossia, di fatto, escluse) l’entrata nel mercato di nuove farmacie e la formazione di catene di farmacie tra loro, in genere, concorrenti. Si è già osservato (e si documenterà più articolatamente in seguito con specifico riferimento ai corner della GDO) che i livelli di prezzo dei medesimi farmaci SOP e OTC sono superiori nelle farmacie, specie rispetto ai corner della GDO, ma anche, seppure in minore misura, rispetto alle parafarmacie e che nei Paesi in cui la concorrenza tra canali di distribuzione diversi si è manifestata con maggiore intensità anche le farmacie hanno ridotto via via i prezzi di questi prodotti, aumentando in tal modo i vantaggi per i consumatori del duplice processo di liberalizzazione (dei prezzi e dei canali). Anche in Italia dal 2006 si sono manifestati fenomeni di concorrenza di prezzo, alimentati in modo particolare, dalle politiche di mercato della GDO. Tuttavia il numero limitato di corner economicamente attivabili e il divieto alla formazione di catene di farmacie, hanno limitato la portata di tali fenomeni. Va comunque tenuto presente che i prezzi medi dei farmaci SOP24 venduti in Italia nelle farmacie (7,0 Euro a confezione nel 2010) risultano superiori a quelli venduti nelle parafarmacie (6,6 Euro) e nei corner della GDO (5,5 Euro). Differenze analoghe si riscontrano per i farmaci OTC e SOP, considerati separatamente nella classificazione internazionale di IMS Health. Nel considerare questi dati va però tenuto presente che – come si è già visto nel cap. 4 – la profondità degli assortimenti di farmaci SOP (ossia il numero di referenze merceologiche per questa classe di prodotti) è molto maggiore nelle farmacie rispetto alle parafarmacie ed ai corner della GDO. 24 Determinati da IMS Health, che ne determina anche gli andamenti utilizzando gli indici di Laspeyres, non molto significativi in quanto assumono l’ipotesi di costanza dei principi attivi compresi nei panieri di beni considerati e di costanza della loro distribuzione quantitativa. 87 Per quanto riguarda le differenze dei prezzi medi per confezione dei farmaci di classe C rispetto: da un lato a quelli degli altri farmaci “etici” (di classe A), dall’altro a quelli dei SOP, IMS Health valuta per l’Italia nel 2010 in 10,9 Euro i primi (classe C) ed in 11,5 Euro i secondi (classe A), contro – come già si è visto – 7,0 Euro per i SOP venduti nelle farmacie. Queste valutazioni stanno chiaramente ad indicare che i prezzi medi dei farmaci di classe C (a carico dell’utilizzatore) sono sostanzialmente quasi uguali a quelli dei farmaci di classe A (in larga misura a carico del SSN) e si discostano da quelli dei farmaci SOP. Un’altra fonte affidabile (IRI Infoscan) stima per il 2010 anche i prezzi medi per confezione dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica notificati, che risultano di 10,5 Euro per i prodotti omeopatici, di 12,7 Euro per i prodotti erboristici e di 12,7 Euro per gli altri prodotti notificati (integratori, vitamine, lenti a contatto, prodotti per l’automedicazione, altri prodotti qualificati come “presidi medico-chirurgici”). La stessa fonte stima per il 2010, rispetto al 2009, una sostanziale invarianza dei prezzi medi di questi prodotti, ma non ne distingue i livelli di prezzo medio praticati dalle farmacie, dalle parafarmacie e dai corner della GDO. 5.3 I corner della GDO: considerazioni d’assieme Mentre sulle politiche di mercato e sui problemi gestionali emergenti delle farmacie e delle parafarmacie operanti nei nostro Paese si sono già considerati gli aspetti, a nostro avviso, essenziali nel precedente capitolo, sui corner della GDO ed in modo particolare su quelli di COOP, si svilupperanno ora alcuni approfondimenti. Anzitutto, la situazione attuale di queste unità di vendita (la cui attivazione – come già si è visto – è stata resa possibile in Italia dalla legge Bersani nel 2006, pur limitando ai soli farmaci SOP e OTC il loro assortimento nel campo dei prodotti farmaceutici in senso stretto e pur imponendo la presenza di un farmacista abilitato ed iscritto agli albi professionali nell’attività di vendita), può essere così riepilogata: A. Le organizzazioni della GDO dotate di corner salute – come già si è accennato – sono quattro e figurano tutte tra i leaders della grande distribuzione “grocery”: COOP Italia al primo posto nella distribuzione “grocery”); Conad-Leclerc (2° posto); Auchan (4° posto), Carrefour (5° posto). COOP – come è noto – è un consorzio tra cooperative di consumo; Conad-Leclerc un consorzio di secondo grado tra cooperative di operatori commerciali; Auchan e Carrefour sono entrambe grandi imprese a succursali di proprietà estera. 88 B. Il numero complessivo dei corner attivi è aumentato – come già si è visto nel capitolo precedente – anche negli ultimi anni. In particolare i corner COOP sono passati da 96 nel 2009 a 100 nel 2010 ed i corner Conad-Leclerc da 28 a 38. C. Le unità di vendita in cui sono inseriti i corner salute sono prevalentemente ipermercati operanti in centri commerciali, ma una parte dei corner è inserita in grandi supermercati anch’essi operanti prevalentemente in centri commerciali e pochissimi in grandi unità di vendita non localizzate in centri commerciali. Il rapporto tra corner inseriti in ipermercati e corner inseriti in supermercati è diverso nelle organizzazioni della GDO considerate. In COOP l’87% dei corner è inserito in ipermercati, in Conad il 55. Ciò spiega anche i diversi livelli di fatturato medio annuo per corner, che, nel 2010 risultano i seguenti: COOP 773.000 Euro, Conad 630.000. D. Il fatturato complessivo dei corner salute è di 61 milioni di Euro nel 2010, pressoché invariato rispetto a quello dell’anno precedente. La sua ripartizione per linee di prodotti vendute è caratterizzata dalla netta prevalenza dei parafarmaci e, tra i farmaci non soggetti a prescrizione medica, degli OTC rispetto ai SOP. Tuttavia questa composizione varia nelle singole organizzazioni della GDO operanti nel settore; in particolare l’incidenza dei farmaci, pur restando minoritaria, è superiore in COOP rispetto a Conad-Leclerc. E. Anche l’ampiezza degli assortimenti varia considerevolmente nelle diverse organizzazioni della GDO. In particolare Conad-Leclerc presenta un assortimento molto ampio e profondo nel campo dei parafarmaci (6.000 referenze in media), nonché dei farmaci OTC (400 referenze in media). COOP, al contrario, ha un assortimento complessivo di 2.000 referenze in media, di cui 1.450 parafarmaci. F. Le modalità di approvvigionamento dei farmaci in COOP e Conad-Leclerc sono centralizzate a livello di definizione, attraverso trattative con i produttori, delle condizioni di acquisto. Gli ordinativi sono decentrati a livello di singoli corner. Presso COOP sono stati introdotti sistemi logistici avanzati che comportano, tra l’altro, l’automazione dei riordini bisettimanali. Le organizzazioni sopra indicate hanno integrato verticalmente la distribuzione intermedia (di tutti i farmaci e di una parte dei parafarmaci) avvalendosi, per gli aspetti logistico-operativi, di partners specializzati. Nel caso di COOP un unico partner specializzato intrattiene relazioni cooperative di lungo periodo in questo campo. Nel caso di Carrefour recentemente l’intera gestione dei corner è stata affidata, con un contratto assimilabile ai contratti 89 di rack-jobbing, ad un’organizzazione specializzata, che opera in larga misura con integrazione verticale ascendente negli approvvigionamenti. Tale organizzazione ha dirette responsabilità sui risultati economici dei corner. G. In tutte le organizzazioni considerate, a motivo dei loro turni di apertura al pubblico, operano almeno 3 farmacisti abilitati ed iscritti all’albo per ogni corner. Nel caso di Conad-Leclerc la media è di 2,8 farmacisti per corner. Il costo medio lordo annuo per ogni farmacista (lavoratore dipendente) è di circa 22.000 Euro. H. Secondo le valutazioni risultanti dal monitoraggio dei differenziali di prezzo dei prodotti offerti nei corner rispetto agli omologhi prodotti offerti nelle farmacie (monitoraggi effettuati nel 2010 dalle organizzazioni della GDO considerate) risulterebbero risparmi per i consumatori stimabili in circa 17 milioni di Euro solo per COOP e Conad-Leclerc. In particolare – come si specificherà in seguito – i risparmi per i consumatori sono decisamente elevati in COOP, che opera con prezzi unitari molto contenuti ed ha un assortimento concentrato su un numero relativamente limitato di referenze comprensive di marche commerciali. 5.4 I corner COOP-Salute: aspetti gestionali Con specifico riferimento ai corner salute di COOP, i risultati delle nostre indagini dirette individuano anzitutto una differenza di fondo, rispetto agli altri corner della GDO, riferibile ai valori che guidano quest’area di diversificazione dell’attività dell’organizzazione leader nel settore della distribuzione “grocery”25 in quanto non solo grande gruppo a base succursalistica, ma anche diretta emanazione della maggiore lega cooperativa. Nel delicato campo della salute, oltre ad una serie di altre iniziative specifiche di cui possono disporre i soci26, COOP, nell’attivare i propri corner, si è posta l’obiettivo di caratterizzare il proprio impegno non solo in termini di capacità competitiva nei confronti degli altri distributori al dettaglio ed in modo particolare delle farmacie, ma anche in termini : 25 Nel 2010, fatto uguale a 100 il fatturato delle prime 30 organizzazioni (a base succursalistica ed a base associativa) operanti in Italia nella grande distribuzione “grocery”, la quota di mercato di COOP era pari al 15,2%, con un consistente distacco dai suoi diretti “inseguitori” (Conad-Leclerc 9,9%, Selex 8,4%, Auchan 8,3%, Carrefour 7,8%, Esselunga 7,5%) 26 In particolare: strutture sanitarie convenzionate con prezzi concordati e controllati, mutualità integrativa, assistenza domiciliare sussidiata con rimborsi fino al 100% per malati terminali, seppure entro un massimale annuo di 1.000 Euro, ecc. Per disporre di questi e di altri servizi agevolati i soci COOP devono aderire in genere alla cooperativa sociale aderente alla Lega COOP a ciò specificamente deputata con canoni annui contenuti e ridotti per particolari categorie di soci (famiglie con bambini, anziani..). 90 A. Di offerta di informazioni (opuscoli tematici sviluppati in collaborazione con primari istituti di ricerca/Università, attivazione di un sito ad hoc con sezioni dedicate ad approfondimenti su tematiche varie e con la possibilità di interagire con COOP Salute, attivazione di un numero verde “specialistico”, sviluppo di collaborazioni con Università con finanziamento di un progetto di alfabetizzazione sanitaria, sul quale si è basata anche la formazione addizionale dei farmacisti presenti nei corner); B. Di offerta di campagne di prevenzione sviluppate in collaborazione con le principali associazioni/enti operanti nei diversi settori (cardiologia, diabete, obesità, ecc.) con check-up gratuiti e con creazione ed alimentazione di database nazionali; C. Di offerta di controlli gratuiti nel punto di vendita: pressione, peso, in certi casi anche autoanalisi del sangue, ecc, D. Di un sistema evoluto di farmacosorveglianza. Esiste una sinergia naturale tra queste iniziative di COOP Salute e quanto COOP sta facendo in generale in campo alimentare: forte impegno nel garantire la qualità del prodotto a marchio COOP, impegno sul fronte dell’obesità e sovrappeso (educazione al consumo consapevole, iniziative quali “alimenta il tuo benessere”, sviluppo di contenuti del sito quali “Gedeone maestro di nutrizione”, ecc.), attenzione alla celiachia, divieto di vendita di alcolici ai minori, linee di prodotti alimentari specificamente destinate alle persone allergiche a determinate sostanze, ecc. Sotto il profilo economico-gestionale, COOP, pur avendo una posizione di leadership anche nello specifico campo dei corner salute (sia per numero che per fatturato complessivo dei corner attivati), ha finora dotato di corner salute solo il 13% delle proprie unità di vendita, ritenendo necessarie – dati, da un lato, i limiti imposti dal processo, molto parziale (ed oneroso), di liberalizzazione della distribuzione dei farmaci, dall’altro l’obiettivo di sviluppare un’offerta decisamente competitiva nel campo dei farmaci SOP e OTC ed in quello, più rilevante in termini di fatturato, dei parafarmaci – dimensioni minime efficienti elevate dei propri corner, di cui possono disporre solo corner inseriti in unità di grande formato e/o dotate di consistenti fattori di accessibilità ed di attrattività a largo raggio. Dei 100 corner attivi alla fine del 2010, 87 sono infatti inseriti in ipermercati, quasi tutti a loro volta operanti come “magneti” principali di grandi centri commerciali e 13 in supermercati di grande dimensione. I corner inseriti in ipermercati hanno realizzato nel 2010 un fatturato di 70,1 milioni di Euro, quelli inseriti nei supermercati di 7,3 milioni di Euro. La distribuzione geografica dei corner salute di COOP corrisponde sostanzialmente a quella delle cooperative che compongono il consorzio, dislocate prevalentemente nel Nord Italia ed in alcune aree dell’Italia centrale. Come numero di corner che ad esse fanno capo le più importanti 91 sono COOP Adriatica (18 corner), COOP Estense (17), NovaCOOP (13), COOP Lombardia (9), COOP Nordest (9), UniCOOP Tirreno (8) e COOP Liguria (6). Considerando la recente consorzializzazione di COOP Liguria, NovaCOOP e COOP Lombardia, questo insieme ha attualmente il maggiore numero di corner salute (28). L’assortimento-tipo dei corner salute di COOP comprende circa 2.000 referenze, la maggioranza delle quali (oltre 1.450) sono parafarmaci. Nel campo dei farmaci in senso stretto (OTC e SOP) l’assortimento è articolato su un numero limitato (rispetto a quello delle farmacie) di referenze merceologiche (circa 330). Le restanti referenze riguardano i prodotti omeopatici27 (140 circa) ed i prodotti veterinari (30 circa). Solo per alcuni parafarmaci la composizione degli assortimenti varia nei singoli corner. In linea di massima, tuttavia, tutti i corner COOP offrono assortimenti omogenei e standardizzati e ciò facilita le operazioni di approvvigionamento ed accresce il potere di mercato nei confronti dei produttori. Motivi di riservatezza ci impediscono di entrare dettagliatamente nel merito dei margini lordi e netti riguardanti i singoli gruppi di referenze sopra indicati. Complessivamente nel 2010 il margine lordo si è collocato comunque poco al di sopra del 20% sul fatturato, con un lieve incremento rispetto all’anno precedente, con differenze sostanziali tra quello riguardante i farmaci OTC e SOP e quello riguardante i parafarmaci, gli omeopatici ed i veterinari. Va comunque tenuto presente che, nel 2010, il fatturato realizzato nei corner COOP con la vendita di parafarmaci ha superato il 60% del loro fatturato complessivo (77,3 milioni di Euro), con un incremento rilevante (+13,4%), nonostante il suo più elevato margine lordo, mentre il fatturato riguardante i farmaci SOP e OTC è aumentato del 5,8%. Se si considera che il numero dei corner salute COOP si è accresciuto nel 2010 di 4 unità, a rete omogenea il fatturato è in effetti aumentato di poco più del 9% per i parafarmaci e di poco più del 2% per i farmaci SOP e OTC. Il fatturato dei corner salute è comunque una parte molto piccola (1,62%) del fatturato delle grandi unità di vendita in cui essi sono inseriti. Un altro aspetto degno di nota, riguarda i margini dei farmaci e dei parafarmaci di marca commerciale. Nonostante i loro prezzi assai più bassi rispetto a quelli dei prodotti branded con i medesimi principi attivi e le medesime posologie, questi prodotti (un analgesico ed un antinfluenzale tra i farmaci SOP e tre prodotti vitaminici tra i parafarmaci) hanno margini commerciali decisamente superiori a quelli degli altri farmaci SOP nel primo caso e dei parafarmaci nel secondo venduti nei corner salute COOP. Inoltre la loro diffusione ha consentito a COOP nel 2010 di spuntare prezzi di acquisto dai produttori che li realizzano per conto della stessa COOP 27 Per questi prodotti, che richiedono spesso composizioni e dosaggi personalizzati, oltre alle circa 300 referenze base presenti nel corner, i clienti, in ciò assistiti dal farmacista, possono prenotare altre referenze più appropriate, che vengono appositamente ordinate ai produttori e che si rendono in genere disponibili entro una settimana dall’ordine. 92 inferiori a quelli dell’anno precedente. In sostanza anche per questi prodotti con marca propria si manifestano relazioni tra prezzi e margini analoghe a quelle che caratterizzano le migliori marche commerciali d’insegna nel settore “grocery”. Per quanto riguarda il prezzo medio (premesso che i singoli prezzi sono uniformi in tutti i corner salute COOP), si rileva che, con riferimento a tutti i prodotti acquistati, nel 2010 è stato di 7,85 Euro e che, per ogni scontrino (in media 1,54 pezzi per scontrino), è stato di 12,11 Euro. Come si può notare gli acquisti dei consumatori nei corner COOP sono molto frazionati. Nel 2010 il prezzo medio è aumentato dell1% circa a rete omogenea, anche a motivo della variazione del mix dei prodotti offerti. Il numero medio giornaliero di scontrini emessi (ossia di atti di acquisto) è risultato pari a 196 per corner con un incremento di poco meno del 2% a rete omogenea nel 2010 rispetto al 2009. Va tenuto presente che lo scontrino medio per acquisti di soli parafarmaci è di parecchio superiore a quello riguardante acquisti di soli farmaci, ma che – ovviamente - quello per acquisti misti (farmaci e parafarmaci) è più che doppio rispetto allo scontrino medio. In sostanza, i corner salute COOP hanno potuto contare nel 2010 su più di 9 milioni di atti di acquisto, pari a circa 90.000 atti di acquisto annui in media per ogni corner. Secondo una valutazione di fonte COOP la dimensione minima efficiente di un corner salute non può essere inferiore a 75.000 atti di acquisto annui e/o ad un fatturato annuo di circa 650.000 Euro, con un margine lordo di non meno di 140.000 Euro. Il solo costo dei farmacisti (3 al minimo per ogni corner dati i turni di lavoro della GDO) supera infatti i 65.000 Euro. Nel 2010 sul complesso dei corner salute COOP il solo costo dei farmacisti è ammontato infatti a circa 6.800.000 Euro, pari all’8,8% del fatturato. Premesso che il margine netto è molto contenuto, tutti gli altri costi riguardanti la gestione caratteristica e quelli ad essa imputabili devono comunque essere contenuti mediamente in 60.000-65000 Euro annui per ogni corner. Ben diversa sarebbe invece – a nostro avviso – la situazione gestionale ed anche a possibilità di incrementare il numero di corner salute qualora venisse liberalizzata anche la vendita dei farmaci di classe C. Su questa linea di sviluppo, di cui si avvantaggerebbero maggiormente i consumatori, alternativa ad altre, non prive di riscontri negativi per gli stessi consumatori, anche se con possibili riduzioni dei costi di gestione dei corner, si tornerà nella parte conclusiva della nostra ricerca. Riprendendo ora l’esame dei principali aspetti gestionali dei corner salute COOP, consideriamo anzitutto il processo di approvvigionamento seguito. Fin dall’inizio COOP, per disporre di un adeguato potere contrattuale con i produttori evitando anche possibili discriminazioni nei suoi confronti, ha realizzato con un unico distributore intermedio (FCR) un accordo di collaborazione. In effetti FCR, in base alle normative preesistenti alla legge Bersani, era la maggiore organizzazione a base associativa attraverso la quale le farmacie 93 comunali emiliane, autorizzate ad integrare verticalmente la loro attività nel campo della distribuzione intermedia, si rapportavano con i produttori per i loro acquisti collettivi di farmaci ed, in parte, anche di parafarmaci. COOP ha centralizzato completamente attraverso i propri buyers le trattative delle condizioni di acquisto con i produttori, con l’ausilio dell’esperienza di FCR, e ha affidato a FCR l’intera attività logistica per l’approvvigionamento dei farmaci SOP e OTC e di una parte dei parafarmaci, ha messo a punto un particolare software applicativo, più avanzato rispetto a quelli di cui dispongono in genere le farmacie (tra l’altro tale da integrare le codifiche e le altre facilities AIFA con le codifiche EAN su cui si basa la normale logistica COOP), ha introdotto procedure di riordino automatico da parte dei singoli corner (analoghe a quelle adottate nei reparti “grocery”) con cadenze di consegna bisettimanali e con compensi a FCR (contrattati via via con lo stesso soggetto intermedio) che rispecchiano le “responsabilità di costo” delle operazioni svolte e risultano inferiori ai normali margini lordi applicati dai grossisti per il rifornimento delle farmacie (che comporta però costi maggiori). Nell’ipotesi di cambiamento delle normative vigenti con l’estensione delle vendite a farmaci di classe C, il processo di approvvigionamento di COOP, incentrato su un soggetto intermedio che opera costantemente anche con un importante nucleo di farmacie, non implicherebbe particolari cambiamenti. Per quanto riguarda il “category management”, i corner salute sono compresi in una “categoria” residuale (“merci varie”) che comprende anche prodotti extra-farmaceutici a connotazione salutistica offerti in altri reparti dei punti di vendita dotati di corner. Ciò, unitamente alla possibilità di disporre di codici EAN per i farmaci, consente di coordinare e controllare le connessioni tra la “new venture” dei farmaci e le categorie consolidate che presentano aspettative dei clienti similari, con effetti di razionalizzazione della composizione degli assortimenti complessivi e di miglioramento della gestione d’assieme. L’autonomia decisionale dei responsabili dei singoli corner è molto limitata – come già si è accennato – per quanto riguarda sia la composizione assortimentale (che può comunque comportare alcune variazioni sulla base di specifiche esigenze locali dei clienti), sia le modalità di approvvigionamento ed i connessi sistemi logistici (funzioni sulle quali è sostanzialmente nulla)28. Anche per quanto riguarda il pricing, le regole da applicare sono definite a livello centrale ed, a parità di referenza merceologica, i prezzi e le loro variazioni sono identici in tutti i corner COOP. A livello centrale vengono escluse, anche per i farmaci per i quali sarebbero ammesse dalla normativa vigente, forme di promozione assai diffuse in altri comparti “grocery”, quali, ad esempio, la promozione attraverso volantini distribuiti nell’area di gravitazione del punto di vendita. I prezzi 28 Un’area in cui si manifesta un’autonomia decisionale abbastanza ampia (a livello più di singole cooperative facenti parte del consorzio COOP che di singoli corner) è quella del noleggio e dell’installazione a domicilio dei clienti di attrezzature sanitarie di una certa consistenza (ad esempio: letti ortopedici sollevatori elettrici, ecc.). 94 sono sempre espressi come prezzi netti, anziché evidenziando percentuali di sconto rispetto a prezzi di riferimento di prodotti omologhi, coerentemente con la già ricordata evoluzione delle normative che ha eliminato i prezzi di riferimento. Il minore livello di prezzo rispetto a prodotti omologhi venduti in altri canali viene tuttavia attentamente monitorato su panieri di prodotti confrontabili, anche allo scopo di determinare annualmente i risparmi generati per i consumatori (vds. oltre). Un aspetto sul quale le opinioni emerse nel corso della nostra indagine diretta collimano solo in parte con i risultati di un’analisi più ampia e più specifica (Martinelli, 2010), riguarda il ruolo dei corner salute COOP come fattori di attrattività rilevanti nei confronti dell’offerta complessiva delle unità di vendita in cui sono inseriti. Mentre i nostri interlocutori hanno sostenuto, anche con valutazioni comparate dell’attrattività di unità analoghe prive di corner, che i corner stessi sono un rilevante fattore di attrattività, lo studio citato, esaminando comparativamente altri elementi di diversificazione dell’offerta, non colloca i corner tra i più rilevanti fattori di attrattività. I consumatori intervistati in tale analisi sarebbero infatti maggiormente attratti da fattori tradizionali connessi con il binomio despecializzazione dell’offerta e profondità delle linee dell’assortimento nelle varie categorie “grocery” in rapporto alla convenienza percepita del livello complessivo dei prezzi e da elementi di diversificazione dell’offerta tra i quali spicca la distribuzione dei carburanti a prezzi scontati. I corner salute, comunque, risulterebbero più attrattivi di altri servizi diversificati offerti quale, ad esempio, l’offerta di servizi di telefonia mobile. In effetti questa contrapposizione, a nostro avviso, è più apparente che reale, in quanto i punti di vendita (ipermercati) in cui si collocano i corner, per ragioni economico-gestionali sono selezionati tra quelli che già esercitano un’elevata attrattività a largo raggio per motivi variamente combinati, ed i corner consentono, in qualche misura, di accrescerla, ma non ne sono il fattore determinante principale. Per quanto riguarda la customer satisfaction dei clienti dei corner salute COOP, un’ampia indagine, condotta nel 2010 da COOP Adriatica, evidenzia che le motivazioni principali di acquisto nei corner salute vengono indicate nella comodità di concentrare anche gli acquisti di farmaci in un’unica “shop expedition” connessa con la convenienza economica di tali acquisti (31,7%), nella sola comodità (31,7%), nella sola convenienza economica (21,6%), altri motivi, tra cui primeggiano la “fiducia nell’offerta COOP” e il “contrasto alle rendite farmaceutiche” sono meno rilevanti ma significativi (15,0%). Secondo gli intervistati il principale punto di forza dei corner COOP, coerentemente con le motivazioni di acquisto, è rappresentato dal risparmio di tempo e dai bassi prezzi (71,9%), seguito dalla disponibilità e dalla competenza del personale. Solo il 2,9% dichiara di avere meno fiducia nei farmacisti della GDO rispetto ai farmacisti da loro definiti “normali”. Approfondendo l’analisi sulla 95 valutazione dei comportamenti dei farmacisti dei corner, il 92,5% dei clienti esprime piena fiducia, apprezza i consigli professionali ricevuti e la loro gentilezza ed empatia. In effetti la percentuale di intervistati che danno giudizi pienamente positivi è ancora maggiore, se si tiene conto che il 4,6% non risponde a queste domande. L’unico elemento negativo, derivante da una sottovalutazione dei vincoli normativi cui sono sottoposti i corner salute, è l’assenza nel loro assortimento di farmaci non a carico del servizio sanitario nazionale a loro abitualmente prescritti dal medico di famiglia. Un aspetto particolare emerso dall’indagine di Martinelli è quello riguardante l’effetto positivo di rafforzamento dell’immagine d’insegna esercitato dai corner salute ed in modo particolare dai prodotti di marca commerciale che essi offrono. Per quanto riguarda la programmazione degli acquisti la stragrande maggioranza (91%) dei clienti dei corner dichiara di effettuarvi “acquisti programmati” quanto a tipologie di farmaci o dei parafarmaci richiesti, solo il 9% “acquisti d’impulso”. Le frequenze di acquisto nei corner sono molto varie, comunque abbastanza diradate nel tempo. Solo il 7,9% dei clienti dichiara di recarsi nei corner una volta o più volte alla settimana, il 20,3% mediamente ogni 15 giorni, il 33,5% ogni mese, il 38,2% molto raramente (meno di una volta al mese). Per quanto riguarda infine il risparmio generato per i consumatori dai corner salute COOP, secondo i risultati dei monitoraggi svolti dalla stessa COOP, i consumatori hanno risparmiato nel 2010 11 milioni di Euro rispetto al prezzo praticato dalle farmacie su un paniere di referenze omogeneo quanto a principi attivi. In particolare i due farmaci a marchio COOP (acido acetilsalicilico+ ascorbico e paracetamolo), nel corso del 2010 hanno garantito al consumatore un risparmio di oltre 400.000 Euro (mediamente -54%) rispetto all’acquisto di prodotti generici nelle farmacie e di circa 720.000 Euro (mediamente -67%) rispetto all’acquisto di farmaci di marca nelle farmacie. A questi risparmi devono poi essere aggiunti quelli che indirettamente i corner salute hanno generato inducendo alla riduzione, seppur limitata, del prezzo medio degli OTC/SOP presso le farmacie tradizionali. 96 6. LE NORMATIVE VIGENTI E LA LORO RECENTE EVOLUZIONE 6.1 La “pianta organica” delle farmacie Le situazioni e le dinamiche riguardanti la distribuzione dei farmaci nel nostro Paese, illustrate sinteticamente nei capitoli precedenti, trovano, nel complesso sistema normativo che orienta e vincola quest’area di attività, un insieme di fattori esplicativi di primaria importanza, i principali dei quali saranno oggetto di analisi e valutazione in questo e nel prossimo capitolo. L’articolazione dell’analisi considererà i singoli fattori, la loro “ratio”, la loro recente evoluzione, le posizioni manifestate su ciascuno di essi dalle parti in causa, le specificità riscontrabili in Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei ed eventuali significative segnalazioni ed interventi dell’AGCM italiana e dell’organo Antitrust della Commissione UE, per passare infine ad individuare le connessioni tra i fattori esaminati ed i loro effetti (positivi e negativi) dal punto di vista degli interessi collettivi. Il primo fattore, che spiega, in larga misura, la sostanziale invarianza nel tempo dei punti di vendita di farmaci convenzionati con il SSN, è la cosiddetta “pianta organica”. In base alla L. 362/1991 che ricalcava tuttavia pregressi ordinamenti analoghi, il numero massimo delle farmacie in Italia è contingentato sulla base dei parametri già richiamati nel cap. 4, ossia: una farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con più di 12.500 residenti ed ogni 4.000 abitanti negli altri comuni. Ai fini della maggiore copertura territoriale possibile si ammette inoltre che i comuni più estesi possano applicare i contingenti anche con riferimento a subaree territoriali e che l’insediamento di nuove farmacie, anche a seguito di trasferimenti nella medesima subarea territoriale di farmacie dismesse, debba rispettare una distanza minima di 200 metri da altre farmacie già insediate. 97 Come già si è visto nel cap. 4, a livello nazionale i contingenti risultano da tempo completamente coperti e le piccole, fisiologiche, disponibilità che via via si formano, sono sottoposte a peculiari, alquanto restrittive, procedure d’accesso. La “ratio” della distribuzione territoriale il più capillare possibile dei contingenti è opinabile, poiché una parte delle farmacie non eroga solo servizi di vicinato, specie nell’ambito delle aree metropolitane in cui le gerarchie e le gravitazioni delle unità di servizio con sede fissa non dipendono dalle delimitazioni amministrative del territorio. Probabilmente, però, il legislatore, all’inizio degli anni ’90, era portato a generalizzare il carattere di servizio di vicinato delle farmacie, anche allo scopo di evitarne addensamenti nelle vie commerciali principali delle città a più alta densità demografica e rarefazioni o carenze nelle periferie, nonché nei comuni minori e, specialmente, per confermare sul piano normativo una distribuzione territoriale preesistente nella prassi. Come si vedrà in seguito, specie a seguito dei processi di abbandono da parte di alte quote della popolazione un tempo residente in vaste aree collinari e montane di carattere agricolo, il problema di garantire anche in tali aree standard minimi di distribuzione dei farmaci è tuttora presente, dal momento che il 12% dei comuni italiani è attualmente privo di farmacie ed il 68% dispone di una sola farmacia. In effetti, però – come già si è documentato – quasi tutti i comuni privi di farmacie hanno dimensioni demografiche minime (molti con meno di 1.000 abitanti), con comuni adiacenti dotati di farmacie. Ciò non esclude tuttavia che vi siano aree territoriali “disagiate” per quanto riguarda i servizi farmaceutici. Il mantenimento dei vecchi contingenti può forse evitare ulteriori rarefazioni del servizio di distribuzione dei farmaci nelle aree “disagiate”, ma non può risolvere tale problema. La “ratio” sottostante al “numero chiuso” delle farmacie in quanto tale non solo non viene esplicitata nella normativa, ma si presta a varie interpretazioni, alcune delle quali sono fatte proprie da Federfarma, ovviamente favorevole al suo mantenimento, altre sono sostenute nelle ormai più che decennali segnalazioni dell’AGCM, ovviamente nettamente contrarie. Tra le prime emerge anzitutto un’interpretazione di tipo – se così si può dire – sociologico: quella di conferire alle farmacie, servizi di carattere professionale finalizzati alla tutela della salute, un prestigio derivante anche dalla stabilità e dalla continuità dei loro insediamenti sul territorio, che potrebbero essere non poco compromesse con la libera “entrata” di “outsiders”. Anche l’esigenza economico-aziendale di conservare livelli medi di redditività accettabili, specie in una fase in cui tendono a ridursi in valore assoluto i margini definiti dall’AIFA per remunerare il servizio di distribuzione territoriale dei farmaci, è richiamata con insistenza come “ratio” del contingentamento. Federfarma sostiene che il contingentamento, da questo punto di 98 vista, è uno strumento che, in ultima analisi, a parità di servizio reso ai cittadini, consente di ridurre i costi a carico del SSN in quanto, se aumentasse il numero delle farmacie e si riducesse, di conseguenza, il loro fatturato medio, per remunerare i servizi resi sarebbero necessari maggiori margini riconosciuti dal SSN. Analoga è l’argomentazione (fatta anch’essa propria in alcune occasioni da Federfarma), secondo la quale – come dimostrerebbero alcuni confronti internazionali sui quali torneremo in seguito, il rapporto tra abitanti e farmacie risultante dal contingentamento, è inferiore a quello riscontrabile in altri grandi Paesi dell’UE che non ricorrono al “numero chiuso”. Il contingentamento, sostanzialmente, secondo quest’interpretazione, avrebbe quindi determinato un livello fisiologico di presenza sul territorio del servizio di distribuzione al dettaglio dei farmaci che, in Italia, è effettivamente assai prossimo al livello medio europeo. Alle interpretazioni positive della “ratio” del contingentamento testé richiamate si affiancano interpretazioni di segno opposto, secondo le quali la “ratio” del contingentamento consisterebbe nell’innalzare una barriera istituzionale all’entrata per proteggere chi già opera sul mercato. Questa “ratio”, come è ovvio, e come sottolinea a più riprese l’AGCM, contrasta nettamente con il libero dispiegarsi dei meccanismi competitivi, oltre ad instaurare, a parità di condizioni professionali, una discriminazione tra gli “insiders” ed i potenziali “outsiders” (su questo secondo punto, che non investe solo la normativa sul “numero chiuso” torneremo tuttavia oltre). Ci sembra comunque opportuno richiamare subito un aspetto che contrappone nettamente l’interpretazione testé indicata alla supposta “ratio” economica positiva del contingentamento (ridurre i costi complessivi del servizio di distribuzione territoriale dei farmaci). Se ci si colloca in una prospettiva dinamica, anziché esclusivamente statica – sostiene infatti l’AGCM – l’abbattimento delle barriere istituzionali all’entrata facilita l’instaurarsi di condizioni di concorrenza di carattere schumpeteriano (ossia basata sulla “distruzione creatrice”), da cui derivano migliori condizioni di offerta (in termini di servizi resi o di contenimento dei costi), con l’uscita dal mercato o l’emarginazione degli operatori meno efficienti. Ben diversa è quindi, secondo questa interpretazione, la conservazione di un numero “fisiologico” di operatori attraverso un ricambio tra operatori più efficienti ed operatori meno efficienti, rispetto alla conservazione statica dello “status quo” favorita da una normativa protezionistica. L’evoluzione della normativa sul contingentamento ha registrato un’unica, seppure parziale, eccezione nel 2006, con il cosiddetto “Bersani 1” (L. 248/2006), che – come già più volte ricordato – ha consentito alle parafarmacie ed ai corner della GDO di vendere i farmaci SOP e OTC senza alcun contingentamento di tali punti di vendita e senza alcun vincolo insediativo-territoriale, 99 togliendo l’esclusiva di vendita alle farmacie per queste classi di farmaci, peraltro – come già si è visto – generatrici di una modesta quota di ricavi. Le indicazioni dell’AGCM tendenti ad eliminare la “pianta organica” delle farmacie, trasformando il contingentamento in una semplice indicazione di fabbisogno minimo (anziché di numero massimo consentito) nei vari ambiti territoriali “disagiati” privi di farmacie private con l’inserimento di farmacie pubbliche o con altre forme di presidio definite dagli enti pubblici, non hanno avuto finora alcun seguito. Su aspetti marginali, rispetto al contingentamento, quali gli obblighi di chiusura a turno delle farmacie nei fine settimana, di cui era stata chiesta la trasformazione in semplice facoltà, la Corte Costituzionale, chiamata in causa, ha emesso la sorprendente sentenza n. 27/2003, in cui si afferma che “visto che il contingentamento numerico mira ad una migliore realizzazione del servizio pubblico, i vincoli agli orari possono essere considerati come un completamento dello stesso contingentamento, condividendone la finalità”. Anche la Corte di Giustizia europea, chiamata ad accertare se esistono punti di contrasto tra le legislazioni nazionali (specie della Spagna e dell’Italia) che vincolano in modo particolarmente drastico la libertà di iniziativa e la concorrenza nel campo della distribuzione dei farmaci e quanto previsto nei trattati UE, si limita a richiamare che sia la salute pubblica, sia la libertà di intrapresa sono finalità espressamente indicate nei trattati comunitari, ma che è compito delle legislazioni nazionali armonizzarle con strumenti sulla cui idoneità non spetta alla Corte di Giustizia europea esprimere valutazioni. Ancor più netta è una recente sentenza (del 2010) della Corte europea, nella quale si afferma che la salute delle persone occupa una posizione preminente tra i beni protetti dal trattato UE, ma che il livello di tutela di questo bene pubblico ed il grado di limitazione della concorrenza che si ritiene necessario per meglio tutelarlo sono di competenze esclusiva degli Stati membri. In effetti, per quanto attiene alla “pianta organica” delle farmacie o a normative similari, le situazioni degli Stati dell’UE sono tra loro difformi: molto simili a quella italiana sono la legislazione vigente in Spagna (escluse alcune deroghe concesse alle province autonome), Grecia, Portogallo, Austria (basata però su vincoli, molto stringenti, di pianificazione territoriale) e Francia, mentre negli altri Paesi maggiori (Gran Bretagna, Germania, Olanda, Irlanda), pur essendovi rigide regole sui requisiti professionali che devono essere presenti per commercializzare le varie classi di farmaci e, in Germania, anche vincoli numerici, peraltro abbastanza “elastici”, non esistono norme di contingentamento a priori, assimilabili a quelle italiane. Per quanto riguarda più specificamente la distribuzione al dettaglio di farmaci SOP e OTC (o ad essi assimilati), come già si è visto, gli unici Paesi europei che hanno conservato condizioni di esclusiva per le farmacie sono la Francia, la Spagna e la Grecia. 100 Come si vedrà meglio nel successivo paragrafo, tuttavia, le differenze fondamentali riscontrabili tra i vari Paesi europei non riguardano solo il contingentamento, ma la connessione o meno tra la gestione e la proprietà di ogni punto di vendita, nonché il divieto o meno alla formazione di catene o reti di imprese in questo campo, aspetti sui quali la posizione dell’Italia può essere probabilmente considerata come la più vincolistica a livello europeo, per quanto riguarda la distribuzione dei farmaci soggetti a prescrizione medica, insieme a quelle della Spagna e della Francia. Concludendo l’esame della normativa italiana in tema di “pianta organica”, è opportuno accennare anche ad alcune proposte emerse recentemente a livello parlamentare e tuttora oggetto di valutazione da parte dei “tavoli” ministeriali ed interministeriali per la riforma delle normative riguardanti la filiera dei farmaci. Un disegno di legge d’iniziativa governativa (D.D.L. 863/2009), poi arenatosi, prevedeva espressamente non solo il mantenimento della “pianta organica” delle farmacie ma anche il divieto di vendita di tutti i farmaci OTC-SOP nelle parafarmacie e nei corner della GDO, a fronte della eliminazione dell’obbligo in questi esercizi di operare con la presenza di farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali. Il D.D.L. Gasparri-Tomassini (PDL) che, su questi aspetti, è stato il punto di riferimento iniziale del “tavolo” di lavoro interministeriale attualmente all’opera, ne ricalca sostanzialmente l’impostazione, pur consentendo alle parafarmacie di continuare a vendere un insieme molto ridotto di farmaci SOP e OTC, legalizzando tuttavia la loro vendita on line, come previsto da una sentenza della Corte europea, peraltro finora non applicata, per la mancanza di adeguate garanzie sulla correttezza delle transazioni su Internet. Il D.D.L. Fleres (PDL) si limita a prevedere il blocco immediato, in attesa della riforma, dell’apertura di nuove parafarmacie e indica come punto di arrivo una “pianta organica” anche per queste ultime (una parafarmacia ogni 20.000 abitanti salvo deroghe nelle aree più densamente abitate dei centri urbani). Il D.D.L. Ghedini et alii (PD) si muove nella direzione opposta, prevedendo un’ulteriore liberalizzazione (cosiddetto “Bersani 2”), il cui aspetto saliente è costituito dall’eliminazione dell’esclusiva di vendita dei farmaci di classe C nelle farmacie e dall’estensione alle parafarmacie ed ai corner della GDO della possibilità di vendere tutti i farmaci a carico degli utilizzatori finali, compresi quelli con obbligo di prescrizione medica. Inoltre nel D.D.L. sopra richiamato si prevede la facoltà delle farmacie di stabilire orari di apertura superiori a quelli oggi obbligatoriamente prescritti (specie per le turnazioni dei riposi di fine settimana). Sul piano dei riferimenti generali, la presentazione del D.D.L. Ghedini et alii, riporta espressamente il giudizio espresso dall’allora Presidente uscente dell’AGCM secondo il quale “in Parlamento va scoraggiato lo stillicidio di 101 iniziative volte a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori. Nella distribuzione farmaceutica, l’approvazione di riforme che riportino indietro le lancette dell’orologio ripristinerebbe di fatto il monopolio delle farmacie tradizionali”. In effetti, però, tenendo anche conto delle procedure di infrazione contro alcuni Paesi UE, tra cui l’Italia, avviate dall’organo Antitrust della Commissione europea (sulle quali torneremo in seguito perché si riferiscono principalmente ad altri aspetti della normativa), dall’interpretazione di alcune “aperture” che emergono da prese di posizione della stessa Federfarma, è sembrato, fino ad alcuni mesi or sono, che nel tavolo di lavoro interministeriale avrebbero potuto configurarsi soluzioni di compromesso, quale, ad esempio, un parziale allargamento della “pianta organica” delle farmacie (una farmacia ogni 4.000 residenti anche nei comuni con più di 12.500 abitanti), con un’eventuale priorità di accesso alle nuove disponibilità ai farmacisti iscritti all’albo professionale attualmente gestori e proprietari di parafarmacie che, se necessario, intendono trasferirsi nei comuni della stessa provincia o nelle sub aree comunali in cui si determina la possibilità dei nuovi accessi. Con la manovra dell’agosto 2011, tuttavia, è emersa, paradossalmente, una posizione meno possibilista, connessa con la presentazione di un provvedimento che esclude comunque, anche nell’ipotesi di liberalizzazione di alcuni vincoli concessi agli ordini professionali, qualsiasi modificazione per i farmacisti convenzionati con il SSN, con il solito argomento secondo il quale ciò danneggerebbe il sistema italiano di tutela della salute umana. Un aspetto sul quale Federfarma è, però, stata sempre assolutamente contraria a qualsiasi soluzione di compromesso riguarda la conservazione dell’esclusiva di vendita alle farmacie dei farmaci di classe C. A chi osserva che, tali farmaci, comunque soggetti a prescrizione medica, anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO sarebbero venduti da farmacisti (abilitati ed iscritti all’albo), ossia da professionisti con le stesse conoscenze e capacità dei farmacisti titolari di punti di vendita convenzionati con il SSN, Federfarma replica che, non a caso, le convenzioni con il SSN sono riferite alle farmacie, intese come luoghi fisici di distribuzione al dettaglio nei quali i farmacisti non solo sono dotati di conoscenze e capacità certificate, ma sono anche in grado di conoscere i loro clienti abituali e di consigliarli allo scopo di evitare abusi dannosi alla loro salute. Tali abusi potrebbero facilmente manifestarsi, con l’inconsapevole avvallo degli stessi prescrittori, qualora i clienti interagissero con farmacisti non di vicinato. In sostanza: la logica che di norma dovrebbe connettere il cliente di vicinato, il proscrittore di vicinato ed il farmacista di vicinato, viene assunta come quella che maggiormente garantirebbe la difesa della salute. Abbiamo già evidenziato e documentato nel cap. 4 la debolezza intrinseca di questa argomentazione ed il suo evidente carattere strumentale. 102 6.2 La sovrapposizione tra diritto di proprietà e diritto di esercizio ed i vincoli alla creazione di reti di farmacie Un altro aspetto che caratterizza la normativa italiana sulla distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A e di classe C riguarda la sovrapposizione (bundling) tra proprietà ed esercizio delle farmacie private. Per quelle pubbliche (comunali) non opera, ovviamente, questo vincolo, ma la disciplina vigente, nel caso di una loro, almeno parziale, privatizzazione, non ne ammette il conferimento a società miste. Il bundling tra proprietà ed esercizio limita gli investimenti nel settore provenienti dall’esterno, ossia provenienti da società di persone o di capitali, anche sotto forma di partecipazioni, che non facciano capo a farmacisti. Più precisamente: la proprietà delle farmacie private può fare capo solo a farmacisti abilitati o a società di persone o società cooperative a responsabilità limitata composte da soli farmacisti abilitati. Fino al 2006 ogni farmacista, o ognuna delle società tra farmacisti sopra indicate, poteva avere la proprietà di una sola farmacia. Con la l. 248/2006 (“Bersani 1”) è stata resa possibile la proprietà di più farmacie per le società tra farmacisti, ma con due stringenti vincoli: anzitutto al massimo di quattro farmacie; in secondo luogo tutte ubicate nella stessa provincia. Alcuni commentatori (tra cui gli autorevoli studiosi del CERM) hanno osservato che questa variazione della normativa, permanendo la “pianta organica” ed il bundling tra proprietà ed esercizio professionale può determinare, a livello locale, la formazione di posizioni di maggiore potere di mercato, ma non può introdurre relazioni competitive all’interno del settore delle farmacie basate sullo sviluppo di organizzazioni a base succursalistica o a base associativa, presenti invece – come si è visto nel cap. 4 – in altri Paesi. Inoltre, anche nell’ipotesi di un allargamento della “pianta organica”, il bundling ed il divieto di investimenti da parte di società di capitale renderebbero possibile l’accesso al settore solo da parte di farmacisti abilitati ed iscritti all’albo, dotati di adeguato capitale proprio o di prestito. Infine, come accade in tutti i mercati protetti da quasi insormontabili barriere istituzionali, il valore di una farmacia in caso di cessione sarebbe commisurato solo al valore del suo specifico “avviamento”, mentre, nell’attuale situazione normativa italiana (ma – come si vedrà tra breve – ciò accade anche in altri grandi Paesi europei) esso è molto maggiore, perché al valore dello specifico avviamento si aggiunge quello derivante dalla sostanziale impossibilità per l’acquirente di disporre di alternative. 103 A ben vedere, però, nel caso italiano, l’ipotesi di cessione a terzi, estranei al nucleo familiare, è tutto sommato, solo parzialmente realistica, in quanto le farmacie, nel limite del possibile, vengono in genere tramandate all’interno delle famiglie. Su questo aspetto la vecchia normativa, antecedente al “Bersani 1” del 2006, prevedeva che, se gli eredi erano privi dei requisiti professionali necessari per rilevare la titolarità, dovevano cedere la farmacia ereditata entro tre anni, affidandone, temporaneamente, l’esercizio ad un direttore alle loro dipendenze dotato dei requisiti richiesti. Il “Bersani 1” si è limitato a ridurre il termine a due anni, ma, non ha cancellato un’eccezione contenuta nella vecchia normativa, secondo la quale il coniuge o l’erede in linea retta entro il secondo grado, se di età giovanile, possono mantenere la titolarità, anche se privi dei requisiti professionali, fino al compimento del trentesimo anno di età e, nel caso in cui risultino iscritti a una facoltà di Farmacia o si iscrivano entro un anno dall’acquisizione dell’eredità, possono conservare la titolarità, anche se privi dei requisiti professionali, per dieci anni, indipendentemente dalla loro età, sempre (ovviamente) affidando temporaneamente l’esercizio a un direttore dotato dei requisiti professionali. Questa eccezione – come ha rilevato la Commissione europea – introduce una fattispecie particolare di separazione per lunghi archi temporali del bundling tra proprietà ed esercizio professionale alquanto discriminatoria rispetto alla stessa regola generale del bundling vigente in Italia, tendente a favorire la trasmissione ereditaria. La “ratio”del bundling tra proprietà ed esercizio e del connesso divieto all’inserimento nel settore di partecipazioni alla proprietà con capitali di rischio provenienti dall’esterno andrebbe ricercata, secondo Federfarma, nella difesa del carattere professionale dell’attività svolta. Questa presunta “ratio”, assai poco convincente, è stata fatta propria nelle argomentazioni con le quali, a più riprese, gli organi governativi hanno contrastato le segnalazioni dell’AGCM, cui si accennerà tra breve. In stretta sintesi, la “ratio” di questi aspetti della normativa sarebbe – come già si è accennato - la natura stessa di attività professionale rilevante per la tutela della salute che caratterizza la distribuzione al dettaglio dei farmaci (specie di classe A e di classe C), nonché la distribuzione per conto delle ASL di una parte dei farmaci rientranti nel prontuario della continuità assistenziale ospedale-territorio. La separazione (anche parziale) tra proprietà ed esercizio e, ancor peggio, lo sviluppo di catene di farmacie di proprietà di società di capitale contrasterebbero con questa “ratio” in quanto potrebbero influire negativamente, imponendo ai farmacisti non proprietari logiche di esercizio di carattere prettamente commerciale. La posizione dell’AGCM è da sempre orientata all’eliminazione dell’obbligo del bundling tra proprietà ed esercizio e dei vincoli riguardanti i soggetti che possono partecipare alla proprietà, 104 ferma restando la presenza fisica e la responsabilità del professionista abilitato nella distribuzione al dettaglio di tutti i farmaci. Tale posizione che, qualora fosse accolta, modificherebbe profondamente la normativa vigente, specie se accompagnata dal superamento della “pianta organica” (cfr. paragrafo precedente) viene, ovviamente, motivata osservando che l’attuale assetto (per la distribuzione dei farmaci di classe A e C) contrasta, oltre che con i principi di apertura del mercato nella misura maggiore possibile e di non discriminazione tra i soggetti quanto a diritti di proprietà, anche con il principio di libera circolazione dei capitali. L’organo preposto alla tutela della concorrenza in seno alla Commissione europea è più volte intervenuto in merito ai vincoli richiamati in questo paragrafo, anche con l’avvio di vere e proprie procedure di infrazione nei confronti di alcuni stati membri dell’UE, tra cui l’Italia. In particolare per l’Italia, nel 2006 (a seguito dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale sulla coerenza del bundling con i principi costituzionali di tutela della sanità pubblica) la Commissione UE ha sollevato il problema del contrasto della disciplina con i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali nel mercato unico europeo, ritenendo insoddisfacente la risposta avuta dal governo italiano e considerando le misure vigenti in tema di bundling e di divieto alla partecipazione alla proprietà con capitali esterni al settore non rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, la stessa Commissione europea si è riservata di adire alla Corte di giustizia. Procedure analoghe, seppure per motivi in parte differenti, sono state avviate contro l’Austria e contro la Spagna. In particolare all’Austria è stato contestato il solo divieto di presenza di società di capitali nella proprietà delle farmacie e quello (analogo a quanto previsto in Italia), che limita la multiproprietà, oltre all’esclusione di cittadini di altri Paesi UE dai concorsi per acquisire la titolarità di farmacie (in Italia questo problema non si pone, ma, senza un’estensione della “pianta organica” sia per i farmacisti abilitati ed iscritti agli albi italiani, sia per quelli di altri Paesi UE con titoli equipollenti la possibilità di entrata non a seguito di cessione o a titolo ereditario sono quasi nulle). La Corte di giustizia europea ha tuttavia ribadito le sue posizioni precedenti arrestando la procedura di infrazione. Il vincolo del bundling e il divieto alla formazione di catene non sussistono in tutti i Paesi europei, Italia compresa, nei quali si ammette la distribuzione di farmaci SOP e OTC o similari anche al di fuori del canale specialistico delle farmacie (come già si è visto ciò non è ammesso solo in Francia, Spagna e Grecia). In particolare in Gran Bretagna – come già si è visto – per i cosiddetti farmaci “general sales” (GSL), si ha un’apertura completa del mercato, pur con il vincolo di avvalersi di personale qualificato (druggists) con una distribuzione delle quote di mercato tra tre canali: le catene di farmacie (BOOT) con il 29%, le farmacie indipendenti (con il 43%) e le catene della GDO (in 105 particolare Tesco) con il 28%. Anche in Svizzera, Norvegia, Olanda e Danimarca i cosiddetti “drugstore”, molti dei quali appartenenti a catene della GDO, detengono in questo campo quote di mercato consistenti. Va infine osservato che nei Paesi europei in cui sono maggiormente diffuse le catene di farmacie, il numero di abitanti per unità di vendita specializzata è decisamente più elevato rispetto all’Italia (ciò vale, in particolare, per la Gran Bretagna e l’Olanda). Mentre nei Paesi, come la Francia, che hanno conservato l’esclusiva di vendita anche di SOP e OTC alle farmacie, disincentivando la formazione di catene, il numero di abitanti per farmacia è molto inferiore a quello riscontrabile in Italia. 6.3 I criteri di amministrazione dei prezzi e dei margini Un terzo aspetto di carattere normativo-istituzionale che influisce sulla struttura di tutta la filiera del farmaco e sui comportamenti degli attori (produttori, distributori intermedi, distributori al dettaglio, utilizzatori finali), oltre che, almeno in parte, sui comportamenti dei prescrittori e su quelli delle ASL, è il sistema di amministrazione dei prezzi, che regola in larga misura il settore, nonché le sue frequenti variazioni. Relativamente a questo aspetto, a differenza di quanto ancora accade negli Stati Uniti, nell’UE la necessità di ricorrere, seppure con criteri diversi nei vari Paesi, a prezzi in larga misura amministrati è da sempre condivisa dagli Stati nazionali, per una serie di motivi convergenti. Anzitutto perché, dal punto di vista etico, è opinione quasi unanimemente condivisa in Europa che il grado di tutela della salute, anche per quanto riguarda le scelte dei farmaci, non può essere commisurato, caso per caso, ad una valutazione individuale tra benefici marginali e costi marginali per l’utilizzatore, espressi dai prezzi ed anche dalle disponibilità finanziarie di ciascuno. Anche indipendentemente da qualsiasi valutazione etica, le condizioni di asimmetria informativa tra gli attori della filiera, solo parzialmente ridotte dal ruolo e dalle conoscenze dei prescrittori, spingerebbero gli attori operanti dal lato dell’offerta a determinare, a loro vantaggio, prezzi non coincidenti con quelli di equilibrio, specie se la struttura del mercato, in alcuni suoi snodi rilevanti – come accade nel campo dei farmaci – presenta caratteri assai diversi da quelli necessari affinché operino confronti competitivi basati sulla qualità e sul prezzo. Al di là dei motivi testè richiamati, il riconosciuto carattere di beni meritevoli di essere pagati dalla collettività (sistemi sanitari pubblici, mutue, assicurazioni, ecc.) anziché dai singoli utilizzatori riconosciuto ad una parte rilevante dei farmaci, non solo rende improponibile sul piano 106 teorico l’adozione di una normale logica di mercato nella formazione dei prezzi, ma introduce un elemento esplicativo ulteriore delle normative nazionali in questo campo: l’esigenza, da parte dei soggetti pubblici coinvolti, di prevedere, programmare e, specialmente, contenere il più possibile, tra le altre spese sanitarie a loro carico, anche quella destinata ai farmaci, senza provocare tuttavia effetti negativi tali da paralizzare il sistema di offerta. Per i motivi di fondo testè richiamati, l’ultimo dei quali, in Italia, è oggi molto rilevante, l’amministrazione ed il controllo pubblico dei prezzi e dei margini per una parte cospicua dei farmaci lungo tutta la loro filiera in Europa non sono considerate eccezionali, ma normali. Il problema da considerare non riguarda quindi tanto la maggiore o minore efficacia, di sistemi di pricing liberamente scelti in base alla convenienza economica percepita dai vari attori della filiera (prezzi di mercato) rispetto ad un sistema di prezzi amministrati dalle autorità pubbliche a ciò preposte, ma l’idoneità dei criteri e dei parametri su cui si basano i sistemi nazionali di prezzi amministrati (vari e variabili nel tempo) nell’orientare o meno i comportamenti degli attori della filiera in modo conforme con gli interessi collettivi che tali sistemi intendono perseguire. Relativamente a questo fondamentale aspetto, i criteri su cui si è finora basata in Italia l’amministrazione dei prezzi dei farmaci sono tali da facilitare comportamenti collusivi tra gli attori della filiera (produttori, distributori all’ingrosso, farmacisti ed anche, almeno in parte, prescrittori) a danno sia del SSN sia degli utilizzatori finali, mentre quelli che ispirano l’amministrazione dei prezzi in altri Paesi dell’UE sono maggiormente orientati sia a salvaguardare gli interessi collettivi sia ad introdurre una certa dialettica tra i comportamenti degli attori coinvolti. Per cogliere questa differenza di fondo, va anzitutto premesso che, in linea di principio, il costo delle attività di distribuzione commerciale si riferisce a fattori diversi da quello delle attività produttive di carattere industriale. Ciò vale anche per la produzione e la distribuzione dei farmaci. I produttori di farmaci sostengono infatti costi che, in larga misura, possono essere riferiti alle specifiche referenze merceologiche che essi immettono sul mercato: i costi di R&S, pregressi ed aleatori, recuperabili sui prodotti innovativi negli anni in cui sono protetti da brevetto e nella misura in cui la loro efficacia terapeutica è superiore a quella di altri prodotti innovativi posti sul mercato; i costi delle componenti dei principi attivi impiegati per ciascuna referenza merceologica (assimilabili ai costi delle materie prime); i costi dei processi produttivi in senso stretto, in molti casi riferibili a linee produttive monoprodotto; i costi di confezionamento, diversi a seconda delle confezioni. I distributori di farmaci, invece, salvo rare e marginali eccezioni (farmaci di formato anomalo che richiedono condizionamenti particolari) sostengono un insieme di costi, riguardanti l’ammortamento o l’affitto del punto di vendita e dei suoi locali accessori, la gestione del 107 magazzino e, specialmente, la remunerazione del personale professionale e dei suoi assistenti nella vendita di prodotti (farmaci, ma anche parafarmaci ed extrafarmaci), congiunti a struttura prevalentemente fissa, ad esclusione, ovviamente, di quelli, a struttura variabile, riguardanti l’approvvigionamento dei prodotti. Dal punto di vista economico, data la diversa struttura e la diversa composizione dei costi testè richiamate, il metodo più corretto, in presenza di prezzi amministrati, per remunerare l’attività dei distributori, è quello che riconosce loro una remunerazione fissa per ogni confezione venduta, indipendentemente dal valore riconosciuto al produttore, che – come si è visto – può variare al variare delle referenze merceologiche perché variano i costi sottostanti. Come è stato osservato da F. Pammolli e N. Salerno (2008), per i farmaci a carico del SSN questo criterio ha diverse proprietà positive: • “la remunerazione è distinta dal prezzo ex factory e mantiene costantemente attivi gli incentivi a commercializzare i prodotti equivalenti più economici; • la remunerazione è indipendente anche dalla dimensione della confezione e non produce distorsioni a favore dei packaging più grandi; • in percentuale del prezzo ex factory, il forfait è regressivo senza punti di discontinuità che non sarebbero giustificabili sulla base di variazioni dei costi di esercizio; • la regressività è più accentuata nelle fasce basse di prezzo ex factory e via via decrescente, con ciò rafforzando le proprietà precedenti. Per converso, uno schema di remunerazione proporzionale al prezzo ex factory è distorsivo, perché collega il ricavo della farmacia al costo industriale di produzione, ovvero a una variabile economica estranea all’attività di distribuzione. Esso fa confusione tra valori aggiunti (del produttore e del farmacista) e: • crea incentivi inopportuni alla commercializzazione dei prodotti più costosi (per unità standard e per packaging); • è causa dell’attivazione di flussi di ridistribuzione delle risorse (tra fase della produzione e fase della distribuzione; tra filiera del farmaco e sistema sanitario pubblico; tra filiera del farmaco e pazienti-consumatori).” Nella normativa italiana, tuttora ancora vigente, il criterio con il quale viene determinata la remunerazione dei distributori per i farmaci a carico del SSN (ma – come si vedrà nel prossimo capitolo – un criterio analogo viene di fatto adottato dalle parti anche per i farmaci soggetti a prescrizione medica a carico degli utilizzatori) è quello della remunerazione proporzionale al valore ex factory. 108 Più precisamente, l’AIFA determina, con le modalità già illustrate nel cap. 3, il valore di ogni referenza merceologica di cui è autorizzata l’immissione sul mercato nella classe A, considerando questo valore (al netto di IVA) come corrispondente ai 2/3 del prezzo al consumo. Le remunerazioni del produttore, del distributore all’ingrosso e del distributore al dettaglio (farmacia) sono quindi determinate come percentuali uniformi dello stesso prezzo al consumo. Fino al 2009 le quote di spettanza delle parti erano stabilite nel 66,65% per il produttore, nel 6,65% per il grossista e nel 26,70% per la farmacia. Quest’ultima tuttavia era tenuta in sede di rimborso da parte del SSN a praticare nei confronti di quest’ultimo sconti variabili dal 3,75% per i farmaci con prezzo (al lordo di IVA) inferiore al 25,82 Euro fino al 19,00% per i farmaci con prezzo superiore al 154,94 Euro29. In effetti, però, il 90% circa dei farmaci a carico del SSN rientrava nella prima classe con una remunerazione netta per la farmacia del 22,95%, mentre nelle ultime due classi la quasi totalità dei farmaci (i più costosi) non era distribuita dalle farmacie, ma usata e/o dispensata direttamente dalle ASL. A partire dal 2009 (legge 77/2009) viene ridotta al 58,65% la quota di spettanza del produttore per i farmaci copia di altri farmaci a brevetto scaduto liberando 8 punti percentuali che, in teoria, possono essere liberamente distribuiti tra grossisti e farmacia. In pratica questi 8 punti erano già in genere acquisiti dalla farmacia sotto forma di sconti accordati dal produttore (non consentiti, ma tollerati, in quanto non oggetto di specifiche sanzioni). Inoltre, nell’intento di incentivare la vendita di farmaci equivalenti “off patent” non branded, lo sconto al SSN da parte della farmacia viene annullato per i generici con prezzo minore a quello di rimborso degli equivalenti branded. Quest’ultima misura viene di fatto resa quasi inoperante attraverso la concessione da parte dei produttori e dei grossisti di extra sconti sui prezzi di approvvigionamento delle farmacie per gli equivalenti branded. Nel 2010 (legge 122/2010) viene apportata un’ulteriore modificazione: anzitutto le quote di spettanza del grossista e della farmacia vengono definite quote minime, consentendo contrattazioni tra le parti (peraltro già presenti nei fatti). In secondo luogo viene ridotta al 3% la quota minima di spettanza del grossista (anche in questo caso sancendo una condizione già presente nei fatti a seguito degli extra sconti generalizzati) e aumentata di 3,65 punti percentuali quella di spettanza della farmacia che, peraltro, deve retrocedere al SSN 1,82 punti percentuali (l’aumento quindi per la farmacia è di 1,83 punti percentuali). Per far sì che il risparmio di spesa per il SSN corrisponda alla quota sottratta al grossista, viene imposto ai produttori di retrocedere al SSN nazionale 1,83 punti della quota di loro spettanza. 29 Gli sconti erano articolati in 5 scaglioni: fino a 25,82 Euro 3,75%, da 25,83 Euro a 51, 64 Euro 6,0%, da 51,65 Euro a 103,28 Euro 9,00%, da 103,29 Euro a 154,93 Euro 12,50%, 154,90 Euro ed oltre 19,00%. 109 Come si vedrà nel successivo capitolo, questa complicata evoluzione della normativa italiana non supera il principio ispiratore della proporzionalità delle remunerazioni dei distributori ai prezzi ex fabrica per i farmaci di classe A, continuando ad incentivare la distribuzione dei prodotti più costosi nell’ambito del primo scaglione (quello di gran lunga più rilevante per i ricavi delle farmacie). I suoi effetti si ripercuotono anche negativamente – come si vedrà in seguito – sul pricing dei farmaci di classe C, non sottoposto ad amministrazione e vincolato solo dalle normative antitrust30. Ben diverse – come già si è accennato – sono invece le normative di altri Paesi dell’UE, compresi quelli – come la Francia – in cui vige un rigido contingentamento delle farmacie, è assente la liberalizzazione delle vendite di SOP e OTC, è prescritto il bundling tra proprietà ed esercizio ed è vietata la formazione di società di capitali nella distribuzione dei farmaci. Limitando il nostro esame comparato alle normative vigenti in Gran Bretagna, Francia e Germania va anzitutto osservato che quelle inglesi, alquanto complesse e supportate da attività di monitoraggio svolte continuativamente da tecnostrutture neutrali dotate di capacità elevate di analisi e di eccezionali poteri di controllo, è la normativa che maggiormente separa i criteri di remunerazione dei produttori, da quelli dei distributori, introducendo forti stimoli competitivi all’interno dell’intera filiera dei farmaci, favoriti da una struttura in cui non vi è alcun contingentamento delle farmacie, la vendita di SOP e OTC è liberalizzata, non vi è alcun vincolo di bundling tra proprietà ed esercizio ed è ammessa la presenza di società di capitali proprietarie di catene di farmacie. In Gran Bretagna i criteri su cui si basa l’amministrazione dei prezzi dei farmaci a totale o parziale carico del National Health System (NHS), equivalente al nostro SSN, possono essere così sintetizzati: alle farmacie il NHS rimborsa i costi di approvvigionamento dei farmaci venduti, dedotti i ticket incassati, cui aggiunge, per remunerare il servizio svolto, una quota fissa per ogni confezione venduta, indipendentemente dal suo prezzo ed un contributo annuale, anch’esso fisso, per il capitale umano (professional allowance) e per il capitale fisico (container allowance) impiegato. Gli sconti medi ponderati ottenuti nell’approvvigionamento di farmaci a totale o parziale carico del NHS, continuamente monitorati su un campione rappresentativo dell’universo delle farmacie, vengono dedotti forfettariamente dai ricavi (meccanismo di clawback). Essendo il 30 Ci sembra utile ricordare che già nel 1998 l’AGCM aveva suggerito al Parlamento di escludere da tali normative i farmaci SOP e OTC, dopo avere però tolto alle farmacie l’esclusiva di vendita. Il suggerimento era allora supportato dai risultati, molto positivi quanto a riduzione dei costi per gli utilizzatori finali, dell’eliminazione, avvenuta nel 1997, dell’esclusiva di vendita del latte artificiale per i neonati, un prodotto non farmaceutico di cui precedentemente disponevano le farmacie. La proposta non ebbe allora seguito dato il carattere farmacologico dei SOP e degli OTC. Nel campo dei farmaci a carico del SSN, risale all’ormai lontano 1994 la revisione della lista dei farmaci di classe A (e, allora, anche di quelli di classe B), da cui vennero depennati alcuni prodotti collocandoli nella classe C (a totale carico degli utilizzatori). Dopo una riarticolazione degli organi di cui si avvaleva il Ministero della Sanità, a seguito dell’emergere, nelle inchieste su “Tangentopoli”, di gravi collusioni dei vertici di tali organi con alcuni produttori. 110 clawback basato su valori medi, esso incentiva le farmacie a contenere il più possibile i costi, stimolando la concorrenza tra grossisti ed anche tra produttori di farmaci branded e generici, e ad operare con alti livelli di efficienza interna per realizzare con minori costi gli stessi livelli di ricavi. Il carattere pro-competitivo dei criteri di amministrazione dei prezzi e l’assenza di contingentamenti ed altre barriere all’entrata hanno attivato in Gran Bretagna un alto grado di concentrazione delle farmacie, con un’elevata incidenza di quelle facenti parte di catene. Hanno inoltre determinato l’uscita dal mercato degli esercizi meno efficienti e non insediati in localizzazioni con adeguati livelli di accessibilità ed attrattività. Per converso si è rarefatta la presenza delle farmacie nelle aree a bassa densità della popolazione. Per ovviare a questo effetto negativo, il NHS accorda contributi di professional e container allowance più elevati alla farmacie che si insediano in zone disagiate, consentendo, in queste zone, fortemente carenti di farmacie, la distribuzione dei farmaci necessari per la cura di patologie di una certa gravità da parte dei medici (in effetti la quota dei farmaci a carico del NHS distribuita da parte dei medici è abbastanza elevata: 6,5% in valore). Infine, in tutto il Paese, vengono accordati maggiori contributi di professional allowance alle farmacie che organizzano servizi di supporto territoriale a quelli erogati nelle strutture ospedaliere. In Francia, Paese che, al contrario della Gran Bretagna e più che in Italia, si contraddistingue per i criteri fortemente vincolistici con cui è regolata la distribuzione dei farmaci e che presenta una diffusione molto capillare delle farmacie sul territorio (una farmacia ogni 2.600 abitanti), l’amministrazione dei prezzi dei farmaci a carico del SSN o delle assicurazioni è basata su un criterio misto: una remunerazione fissa alle farmacie per ogni confezione venduta, integrata con una percentuale, decrescente per scaglioni, del suo prezzo ex factory. Per i prodotti equivalenti più economici la percentuale del prezzo ex factory viene determinata avendo come prezzo ex factory di riferimento quello dei rispettivi originators, con un evidente incentivo per le farmacie a spingere la diffusione dei generici. Inoltre le farmacie possono richiedere ai produttori ed ai grossisti sconti sui prezzi di approvvigionamento: il massimale degli sconti ottenibili è però stabilito per legge ed è differenziato: più alto per i farmaci equivalenti e inferiore per quelli on patent. In Germania, Paese in cui, nonostante l’assenza di un rigido contingentamento delle farmacie e, come in Italia, nonostante la liberalizzazione della vendita dei farmaci SOP ed OTC, è obbligatorio per le farmacie il bundling tra proprietà ed esercizio ed è fortemente limitata la formazione di catene di farmacie, la regolazione delle remunerazioni delle farmacie per tutti i farmaci soggetti a prescrizione medica, a carico totale o parziale del sistema assicurativo obbligatorio (vds. oltre), è imperniata sulla corresponsione alle farmacie di un elevato forfait fisso su ogni confezione, cui si aggiunge una quota molto ridotta del prezzo pagato al grossista. Su tutti i 111 farmaci etici è previsto uno sconto, anch’esso a forfait, alle assicurazioni all’atto del rimborso. L’elevato forfait fisso su ogni confezione garantisce, nonostante gli altri elementi, che hanno un peso marginale, un’alta convenienza delle farmacie a sostenere la diffusione dei farmaci equivalenti e ad attivare la concorrenza tra produttori e tra grossisti. 6.4 Gli effetti delle diverse normative nazionali Le differenze tra le normative nazionali che regolano sia la struttura dell’offerta sia il pricing nel campo della distribuzione dei farmaci dovrebbero trovare riscontri empirici (positivi o negativi dal punto di vista degli interessi collettivi in gioco) nei livelli di prezzi, costantemente monitorati da parte dell’UE. Ciò, invece, non avviene, in quanto i monitoraggi comunitari o si riferiscono a specifici aspetti, quali i prezzi ex fabrica dei più diffusi farmaci on patent e dei farmaci equivalenti per unità di principi attivi in essi contenuti, oppure si riferiscono all’entità delle spese sanitarie aggregate nei singoli Paesi dell’Unione. Bisogna risalire all’ormai lontano 2003 per disporre di un’indagine puntuale e metodologicamente affidabile delle remunerazioni comparate delle farmacie per la distribuzione al dettaglio dei principi attivi contenuti nei farmaci più diffusi, ponderate per le quantità degli stessi principi attivi distribuiti31. Da tale indagine emergeva, per l’Italia (in unità standard di potere di acquisto dell’Euro) una remunerazione unitaria di oltre il 30% superiore alla media europea, mentre la remunerazione unitaria era inferiore di oltre il 40% rispetto alla media europea in Gran Bretagna, inferiore del 30% in Francia ed inferiore del 5% circa in Germania. Ciò conferma le ipotesi di lavoro esposte nel precedente paragrafo sugli effetti discorsivi a vantaggio delle farmacie del pricing proporzionale presente solo in Italia tra i Paesi oggetto di comparazione, che si sommano a quelli degli eccessivi vincoli di carattere strutturale (nel 2003 le farmacie in Italia erano distributori esclusivi di tutti i farmaci non utilizzati o dispensati direttamente dalle ASL). Questa comparazione, tuttavia, costituisce un punto di riferimento ormai obsoleto. Infatti la – seppure tardiva e limitata - diffusione anche in Italia dei farmaci equivalenti ed in modo particolare di quelli unbranded, la seppure parziale, liberalizzazione della distribuzione dei farmaci SOP e OTC e, specialmente, le recenti e reiterate misure di riduzione degli oneri gravanti sul SSN per i farmaci di classe A, hanno senza dubbio ridotto le rendite delle farmacie italiane. Su questi aspetti si tornerà però diffusamente nel prossimo capitolo. 31 Cfr. F. Pammolli, N. Salerno (2008) 112 Anche per quanto riguarda specificamente la distribuzione tra costo dei farmaci a carico della collettività e quello a carico degli utilizzatori, le normative vigenti nei principali Paesi dell’UE sono differenti da quelle italiane. In particolare sia in Gran Bretagna, sia in Germania continuano ad essere formulate le liste negative dei farmaci comunque non a carico della collettività (corrispondenti, grosso modo, a quelli classificati in Italia nella classe C), ma anche su quelli a carico del NHS in Gran Bretagna e del sistema assicurativo misto in Germania vengono richieste agli utilizzatori partecipazioni (sotto forma di quote fisse per confezione da cui sono esentate particolari categorie di utilizzatori (in Germania: giovani, famiglie disagiate, malati cronici; in Gran Bretagna: utilizzatori a basso reddito, giovani)). Si tratta di compartecipazioni ed esenzioni non assimilabili ai ticket italiani. In Francia, in base a diversi parametri di riferimento riguardanti il carattere preventivo, curativo, sintomatico dei farmaci nel loro contesto terapeutico, vigono tre categorie di ticket: zero, 35% del prezzo, 65% del prezzo e non viene operata, come in Italia, una netta distinzione per i farmaci soggetti a prescrizione medica tra classe A e classe C. Le esenzioni totali sono poco incidenti e sono riferite ai portatori di specifiche patologie. In tutti i Paesi considerati (come in Italia) vengono pagati dagli utilizzatori, per i farmaci a carico del SSN, le differenze di prezzo tra i farmaci on patent, più costosi, ed i farmaci equivalenti di riferimento. Anche le aliquote IVA sui prezzi dei farmaci sono differenti: in Italia sono pari al 10% sia per quelli soggetti a rimborso da parte del SSN sia quelli a carico degli utilizzatori; in Gran Bretagna tutti i farmaci a carico del NHS sono esenti da IVA; in Francia le aliquote IVA sono molto ridotte (2%) per i farmaci con compartecipazione zero o 35% da parte degli utilizzatori; in Germania, invece, l’aliquota IVA è molto elevata (15%) su tutti i farmaci. Un altro aspetto degno di nota riguardante l’intera filiera del farmaco, monitorata con metodologie di analisi complesse ma sufficientemente valide dal punto di vista delle comparazioni internazionali (la cui attendibilità è comunque limitata dal fatto che in ogni Paese vengono commercializzati diversi “panieri” di farmaci appartenenti alle varie categorie o classi) si riferisce ai differenziali di prezzo (al netto di IVA) tra farmaci branded e farmaci generici. Relativamente a questo aspetto – come già si è accennato nel cap. 3 – va anzitutto tenuto presente che i differenziali riscontrati nei vari Paesi dell’UE sono molto inferiori a quelli che caratterizzano il mercato statunitense, nel quale la determinazione dei prezzi ex factory è decisa esclusivamente dai produttori, sottoposti esclusivamente ad eventuali interventi antitrust. Anche nel Paese europeo in cui si osservano i maggiori differenziali (la Germania) mentre i prezzi (per unità standard di principio attivo contenuto nei farmaci branded) sono inferiori di circa il 40% a quelli 113 statunitensi, quelli dei farmaci unbranded sono superiori (sempre rispetto agli Stati Uniti) di circa il 35%. Ciò premesso, nel contesto europeo, l’Italia si presenta (rispetto alla Gran Bretagna, alla Francia ed alla Germania) come il Paese nel quale i prodotti branded ed in modo particolare quelli on patent hanno livelli di prezzo comparativamente più contenuti ed assorbono quote di mercato più alte e durature, mentre i prodotti unbranded presentano differenziali di prezzo meno accentuati. Anche queste rilevazioni risalgono tuttavia ad alcuni anni or sono (2006) e ad una situazione che, dal punto di vista del prezzo amministrato dei prodotti branded innovativi nei primi anni successivi al loro lancio non incentivava le imprese produttrici a sostenere elevati investimenti nella R&S, difficilmente recuperabili in tempi relativamente brevi, mentre la ancora modesta diffusione dei prodotti unbranded rendeva possibile il mantenimento sul mercato e la vendita a prezzi relativamente elevati dei prodotti branded off patent. Il mercato italiano presentava cioè – come è stato osservato (Pammolli, Salerno, 2008) – una segmentazione per livelli di prezzo inferiore a quella degli altri grandi Paesi europei. Anche questa particolarità si è probabilmente, almeno in parte, attenuata, negli anni più recenti, con l’accentuarsi della concorrenza tra produttori di farmaci unbranded ed anche di farmaci branded con brevetti scaduti e con la crescente diffusione di questi prodotti. Anche su questi aspetti si tornerà più analiticamente nel prossimo capitolo. 114 7. L’EVOLUZIONE PIU’ RECENTE DELLE NORMATIVE ITALIANE ED IL DIBATTITO IN CORSO SUL LORO ULTERIORE CAMBIAMENTO 7.1 La “vexata quaestio” degli extrasconti Si è già evidenziato, nel capitolo precedente, che il combinato disposto della normativa che ha riconosciuto la prassi dei cosiddetti “extrasconti”, ossia della riduzione contrattata dei margini di spettanza dei produttori e dei grossisti a favore delle farmacie su una parte dei farmaci di classe A (L. 77/2009) e di quella che ha aumentato gli sconti obbligatori al SSN da parte dei farmacisti ed anche dei produttori in sede di rimborso per rispettare i tetti di spesa sanitaria posti anche sulla distribuzione territoriale dei farmaci, rendendo, al tempo stesso, possibili determinazioni contrattate tra le parti (farmacie da un lato e produttori dall’altro) dei rispettivi margini purché non inferiori ai nuovi margini considerati minimi (aumentati formalmente per le farmacie e diminuiti formalmente per i grossisti) (L. 122/2010), pur non modificando i criteri di pricing amministrato con prezzi proporzionali ai prezzi al consumo che caratterizzano il sistema italiano per i farmaci a carico del SSN, ha introdotto tra i diversi soggetti operanti nella filiera un dibattito non privo di spunti dialettici, accentuatosi recentemente con riferimento alle modalità attraverso le quali l’AIFA sta recuperando nel 2011 ulteriori 600 milioni di Euro nell’ambito delle misure poliennali di riduzione delle varie componenti della spesa sanitaria pubblica32. Sull’annoso problema dei cosiddetti “extrasconti” va anzitutto ribadito che le misure prese nel 2009 non hanno modificato in modo sostanziale la prassi preesistente. La riduzione palese al 58,65% della quota del prezzo al consumo spettante al produttore per i soli farmaci di classe A copia di prodotti a brevetto scaduto, esclusi quelli che avevano già usufruito di licenze derivanti dal brevetto, con il passaggio alle farmacie (come già di fatto avveniva) di otto punti percentuali aggiuntivi, si accompagna in concreto, seppure in modo non palese e non generalizzato, ad un 32 Sulle misure prese dal 2009 al 2011 e sulle loro tempistiche applicative si rinvia all’illustrazione dettagliata riportata in allegato. 115 analogo extra-sconto anche sui prodotti off patent branded e su una larga parte dei prodotti on patent, che, nel 2009, rappresentavano in Italia, nel loro insieme, il 92,7% della spesa territoriale netta a carico del SSN (72% prodotti on patent e 20,7% equivalenti branded in teoria esclusi dall’extrasconto dei produttori). Prova ne sia che l’esenzione in sede di rimborso degli sconti al SSN da parte delle farmacie per i generici con un prezzo pari o inferiore all’effettivo valore di rimborso degli equivalenti branded, non ha determinato subito un sostanziale incremento delle vendite dei primi rispetto a quelle dei secondi, com’era invece già avvenuto negli altri maggiori Paesi europei. In effetti, nonostante le norme già in vigore sull’obbligo, da parte delle farmacie, di disporre nei loro assortimenti di generici al minimo costo e di comunicarlo agli utilizzatori33, nell’intervallo di prezzo in cui si concentrano le vendite da parte delle farmacie dei farmaci di classe A tra i 15 ed i 20 Euro per confezione (IVA esclusa), grazie anche agli extrasconti non palesi ottenuti dai produttori e grossisti, restava alla farmacia la convenienza a commercializzare il prodotto off patent più costoso, pur rinunciando all’esenzione dello sconto da accordare al SSN in sede di rimborso sul generico meno costoso. Se si considera che le risorse disponibili per praticare le politiche di extrasconto, sono – in ultima analisi – a carico del SSN, si comprende la ben scarsa efficacia delle norme introdotte nel 2009. Tuttavia, nel campo dei prodotti equivalenti di classe A, il differenziale di prezzo tra l’equivalente meno costoso e quello più costoso, se scelto dall’utilizzatore, finisce col gravare sullo stesso utilizzatore e, da questo punto di vista, il SSN (non certo la collettività) può ugualmente trarne una riduzione dell’esborso a proprio carico, trasferendo però il differenziale di prezzo sull’utilizzatore. Per molte patologie diffuse, la cura può però essere effettuata con farmaci che presentano anche lievi differenze tra i principi attivi in essi contenuti, i quali, se on patent, sono completamente a carico del SSN. Le interazioni tra prescrittori (spesso in buona fede), informatori 33 Con riferimento a questo aspetto è stato osservato (Pammolli, Salerno, 2008) che “la Legge n. 149/2005 ha stabilito per i farmacisti un obbligo di informazione della eventuale presenza in commercio di medicinali off patent equivalenti; dopo aver informato il cliente-paziente, “qualora sulla ricetta non risulti apposto l’obbligo della non sostituibilità, il farmacista, su richiesta dello stesso cliente-paziente, è tenuto a fornire un medicinale avente il prezzo più basso tra gli equivalenti”. La stesa Legge ha specificato la seguente definizione di equivalenza: “uguale composizione in principi attivi, via di somministrazione, forma farmaceutica, modalità di rilascio e dosi unitarie”. Rispetto al reference pricing di fascia “A”, scompare la richiesta di egual numero di unità posologiche, e così si rende possibile identificare i farmaci più economici in termini di prezzo per unità standard (o più in generale per unità di prodotto), lasciando poi liberi i clienti-pazienti di valutare la scelta migliore conoscendo il prezzo unitario dei diversi packaging disponibili e le loro esigenze di terapeutiche. In fascia “A” il riferimento risponde alla logica di ammettere a rimborso il prodotto con prezzo minimo tra tutti quelli equivalenti non solo sul piano farmacologico ma anche sul piano dei costi di produzione (variabili e fissi). Sul piano teorico le liste di trasparenza svolgerebbero una funzione importante nell’ottimizzazione dei consumi, se non fosse che esse si scontrano con problemi analoghi a quelli riguardanti il reference pricing, già previsto dalla legge 405 del 2001: (a) oltre alla difficoltà di controllare il comportamento dei farmacisti che, se conforme alla legge, sarebbe in contrasto con i loro incentivi a massimizzare il controvalore delle vendite, il vero ostacolo risiede nel fatto che (b), se nessuna farmacia si dota in magazzino dei prodotti più economici, l’eventuale informazione ricevuta dal paziente-cliente è improduttiva di effetti, perché anche cambiando farmacia la probabilità di trovarli subito disponibili rimane bassa o addirittura nulla.” 116 scientifici delle case produttrici e lobbies dei farmacisti in questi casi sono particolarmente efficaci nel porre a totale carico del SSN gli acquisti di prodotti collocati nella fascia superiore del primo scaglione di prezzo (tra i 15 ed i 20 Euro IVA esclusa), decisamente la più remunerativa per la farmacia. Relativamente ai farmaci di classe C (a totale carico dell’utilizzatore), pur non essendovi vincoli normativi nella determinazione dei prezzi e nella distribuzione dei margini tra i vari attori della filiera, purchè ogni prodotto abbia un prezzo uniforme su scala nazionale e purché, per i generici, tale prezzo sia inferiore di almeno il 20% rispetto agli omologhi prodotti branded off patent, tendono a prevalere politiche di extrasconto, da parte dei produttori analoghe a quelle che si osservano per i farmaci di classe A, anzi, in alcuni comparti, nei quali gli effettivi costi di produzione di farmaci a brevetto scaduto sono molto bassi, tali politiche sono particolarmente intense. Tuttavia il fatto che l’utilizzatore finale deve pagare integralmente di tasca propria i farmaci che gli vengono prescritti, spinge una parte dei prescrittori ad indicare prodotti equivalenti poco costosi rispetto a quelli branded e, in alcuni comparti, la diffusione dei generici identificati dalla semplice indicazione del principio attivo in essi contenuto, ha soppiantato quella dei prodotti branded originatori. Secondo una valutazione riferita al 2010, in termini di volumi prescritti (non di valore) in questa classe di farmaci, i generici avrebbero superato il 50%. 7.2 I nuovi prezzi di riferimento Le variazioni delle normative che suscitano un dibattito molto animato tra i vari attori della filiera del farmaco sono però quelle, ancora più recenti (2010 e 2011) dettate sostanzialmente dalla necessità di attuare le decisioni in tema di manovra di bilancio, tendenti a contenere la spesa del SSN ed, in questo ambito, anche quella, connessa con la distribuzione territoriale dei farmaci di classe A. Si è già visto che, sulla base delle direttive formulate già nel 2009 dalla Commissione Bilancio della Camera, viene attuata nel 2010 la revisione del margine dei grossisti, formalmente più che dimezzato (ridotto dal 6,65% fisso di spettanza al 3%, peraltro inteso come margine minimo di spettanza), ma, in effetti, già collocato su questo livello nella prassi attraverso gli extrasconti, riduzione che viene integralmente riversata al SSN, riducendo il margine minimo formalmente di spettanza dei produttori (di 1,825 punti percentuali) e recuperando gli altri 1,825 punti percentuali sul maggiore margine minimo assegnato alle farmacie (che si incrementa quindi non – come previsto – di 3,65 punti percentuali ma solo di 1,825), attraverso una maggiorazione degli sconti 117 obbligatori che le farmacie devono concedere al SSN in sede di rimborsi. In concreto, queste variazioni, spingono sia i produttori, sia i grossisti, a ridurre l’entità degli extrasconti alle farmacie che, al di là di quanto stanno ad indicare formalmente le nuove ripartizioni dei margini minimi, si trovano a subire una, seppure lieve, decurtazione dei loro ricavi effettivi. Inoltre, nel caso di sforamento del tetto di spesa programmato (pari al 13,3% della spesa sanitaria complessiva a carico del SSN dal 201034, le parti (produttori, grossisti, farmacie) sono tenute, in proporzione alle loro quote (riferite ai margini minimi formali) a retrocedere la differenza tra spesa programmata ed effettiva al SSN, operazione che, in effetti, nel 2010 non avviene. Un’altra misura maturata nel 2010, ma che trova applicazione nel 2011, riguarda il ritorno al riferimento ai prezzi medi europei (abbandonato nel 2004) quale elemento che influenza la determinazione contrattuale dei prezzi ex fabrica dei farmaci di classe A con brevetto scaduto e dei loro equivalenti, compresi i generici, riferita a quasi tutti i principi attivi in essi contenuti. Se si tiene conto del fatto che negli ultimi anni ed anche in una prospettiva a breve-medio termine sono scaduti e scadranno i brevetti di molti farmaci a largo impiego, che anche in Italia la tendenza a prescrivere farmaci con brevetto scaduto è conseguentemente in netto aumento (secondo l’AIFA il mercato potenziale dei farmaci a brevetto scaduto sarebbe pari, in valore, al 42% del mercato dei farmaci soggetti a prescrizione medica) e che le principali case farmaceutiche internazionali hanno potenziato la loro presenza in questa fascia del mercato con prezzi ex fabrica contenuti nei principali Paesi europei (Gran Bretagna e Germania in particolare), si può prevedere che la reintroduzione del riferimento ai prezzi medi europei, spingerà – come già accaduto nei primi mesi di applicazione di questa normativa – a riduzioni dei prezzi ex fabrica e, a catena, nel caso italiano, anche dei margini di spettanza dei distributori, nonché a più ampie differenze di prezzo tra generici ed equivalenti branded off patent, che potranno scoraggiare gli utilizzatori a scegliere i secondi, pagando di tasca propria tali differenze. Pur non potendo ancora disporre di affidabili previsioni sui consuntivi dell’anno in corso, non è azzardato ipotizzare che l’obiettivo di ulteriore riduzione per 600 milioni di Euro delle spese a carico del SSN per i rimborsi di farmaci di classe A distribuiti nelle farmacie possa essere raggiunto grazie alla diffusione dei farmaci a brevetto scaduto ed al riferimento ai loro prezzi medi europei nella determinazione dei loro prezzi ex fabrica. Un ultimo elemento degno di nota per quanto riguarda i possibili cambiamenti delle normative vigenti è l’inserimento nella legge 122/2010 di un articolo che annuncia la costituzione di un “tavolo tecnico interministeriale” per la riforma delle regole di remunerazione della distribuzione dei farmaci verso uno schema di tipo “fee for service”. Il “tavolo” è stato in effetti attivato e sta 34 Il “tetto” della spesa farmaceutica territoriale comprende, oltre alla spesa convenzionata (rimborsata dal SSN), anche i ticket, la distribuzione diretta delle ASL per uso domestico e la distribuzione delle farmacie per conto delle ASL. 118 compiendo un esame del problema, con la partecipazione anche di rappresentanze delle varie categorie coinvolte, compresa una rappresentanza dei consumatori. Sui problemi del “fee for service” e sui connessi problemi della cosiddetta “farmacia dei servizi” (i cui decreti delegati, previsti dalla legge 153/2009 sono ora al vaglio delle commissioni parlamentari e della conferenza Stato-Regioni) torneremo più avanti. Ci limitiamo, per ora, ad osservare che i provvedimenti del 2009 e del 2010, che hanno, in gran parte, fatto emergere gli extrasconti effettivamente concessi da produttori e grossisti alle farmacie, consentendo di disporre di una quantificazione più realistica dei margini effettivi delle stesse farmacie sulle vendite dei farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN, sono, paradossalmente, funzionali anche a richiedere da parte di Federfarma – livelli di “fee for service” che, pur eliminando o comunque riducendo gli effetti distorsivi degli attuali criteri di determinazione dei margini di distribuzione in misura proporzionale ai singoli prezzi ex fabrica, non determinino una sottoremunerazione, rispetto alla situazione attuale dell’attività complessivamente svolta dalle farmacie nei confronti del SSN. 7.3 Le reazioni dei soggetti coinvolti Esaminando più in dettaglio le reazioni dei soggetti coinvolti dai provvedimenti del 2010 (produttori, grossisti, farmacie) va anzitutto considerata la dura nota dell’ADF (Associazione Distributori Farmaci), l’organizzazione più rappresentativa della categoria dei grossisti, secondo la quale la Commissione Bilancio del Senato, approvando l’emendamento che formalmente “taglia” di oltre il 50% il margine riconosciuto ai grossisti (dal 6,65% al 3% minimo) avrebbe ridotto in misura tale la remunerazione della loro attività da imporre una revisione della convenzione che obbliga gli stessi grossisti a rifornire le farmacie in archi temporali molto brevi. È la stessa Federfarma a rispondere subito con una nota ufficiale, nella quale evidenzia che, nei fatti, nulla è cambiato per quanto riguarda la remunerazione dei grossisti, che già riversavano alle farmacie, sotto forma di extrasconti, quanto il provvedimento ora consente anche formalmente di fare. Evidenziando a chiare lettere ciò che, precedentemente, si configurava come un comportamento di dubbia legalità, Federfarma sottolinea che, in effetti, tale comportamento era talmente noto e diffuso da essere considerato anche negli studi di settore. Lo stesso Ministro della Salute invita formalmente la rappresentanza dei grossisti a sospendere ogni protesta, in quanto il provvedimento non fa che formalizzare, per ciò che riguarda il loro margine di remunerazione minimo, una situazione di fatto preesistente. Come se tutto ciò non bastasse, Federfarma diffonde 119 una nota ufficiale nella quale afferma testualmente: “se questo adeguamento della normativa allo stato di fatto dovesse indurre la distribuzione intermedia a razionalizzare la sua attività, ben venga questa razionalizzazione, che potrà solo migliorare la concorrenza tra grossisti e cooperative di farmacie nell’approvvigionamento dei farmaci”. Chiarita la sostanziale invarianza del margine dei grossisti, Federfarma, prima ancora che la manovra venga approvata, si rifiuta in modo drastico di assecondare l’originario disegno del Governo che prevedeva il trasferimento al SSN da parte dei farmacisti dell’intera quota (3,65 punti percentuali) in forma di sconto addizionale a favore del SSN da praticare all’atto della richiesta di rimborso. Ci sembra opportuno richiamare i minacciosi argomenti che vengono addotti da Federfarma in questa fase del dibattito per ottenere – come poi avverrà con un emendamento apportato dallo stesso Governo – il coinvolgimento anche dei produttori nel recupero delle risorse da parte del SSN. Dopo avere affermato che lo sconto al SSN di 3,65 punti addizionali determinerebbe per tutte le farmacie convenzionate con il SSN la vendita con margini netti addirittura negativi (ossia in perdita) dei farmaci di classe A e l’uscita dal mercato delle farmacie localizzate nelle zone disagiate del Paese e quindi il venir meno di un servizio essenziale di utilità pubblica laddove maggiormente se ne avverte l’esigenza, Federfarma dichiara apertamente (in una nota ufficiale del 22 giugno 2010): A. Che i farmacisti dovranno tagliare le spese di gestione con una riduzione al minimo del personale e con la formazione (sic) “di lunghe file di persone in attesa di poter parlare con l’unico farmacista disponibile”; B. Dovranno ridurre le scorte di farmaci “il cittadino (sic) dovrà accontentarsi di quello che trova e dovrà tornare per ottenere il farmaco di cui ha bisogno”; C. Dovranno sospendere l’erogazione gratuita di prestazioni quali le prenotazioni di visite ed esami presso le strutture pubbliche e lo svolgimento di campagne di prevenzione; D. Non saranno in grado di compiere gli investimenti necessari per attivare i nuovi servizi previsti dal Governo per potenziare l’assistenza sanitaria sul territorio e contenere i costi sostenuti da ospedali ed ASL senza ridurre le prestazioni garantite ai cittadini. Nella nota si precisa che Federfarma non intende impugnare la convenzione con il SSN, nonostante il susseguirsi negli anni di provvedimenti presi unilateralmente dalla parte pubblica che hanno modificato profondamente le condizioni economiche garantite alla parte privata e ciò “per evitare forme di protesta che ricadrebbero sui cittadini” (sic). Tuttavia – si aggiunge – è “molto 120 probabile che nel giro di qualche mese le farmacie saranno costrette a sospendere la dispensazione dei farmaci in regime di SSN e i cittadini, in questo caso, dovranno pagare i farmaci di tasca propria e chiedere direttamente il rimborso alla loro ASL”. Il carattere alquanto minaccioso della presa di posizione di Federfarma è particolarmente evidente ed è probabile che l’emendamento governativo, poi confluito nella legge 122/2010, sia suggerito dall’esigenza di evitare un acuirsi della controversia. Va inoltre tenuto presente che nella versione definitiva della legge vengono esentate dall’onere, seppure dimezzato, posto a carico delle farmacie le 1.500 farmacie rurali, precedentemente identificate per altri provvedimenti di sostegno. Lo spostamento a carico dei produttori del versamento al SSN di 1,825 punti percentuali sul prezzo al consumo, pari a 3,14 punti percentuali sul prezzo di cessione ai distributori da loro praticato in ipotesi di applicazione dei massimi sconti consentiti, provoca – come è del resto ovvio – le vibrate proteste delle associazioni industriali, di categoria ed in modo particolare di Farmindustria, l’associazione più importante facente capo a Confindustria, che giunge ad accusare il Governo di “appropriazione indebita”. Al di là dei toni particolarmente “pesanti”, i produttori chiedono al Governo due misure compensative: la prima, di carattere generale, riguardante tutte le imprese, di qualsiasi settore, che effettuano investimenti in R&S: l’agevolazione fiscale, già prevista, ma non ancora resa operativa, a fronte di tali investimenti; la seconda, di carattere settoriale specifico: la rinuncia ad inserire nella “manovra” prevista per il 2011 per abbassare di ulteriori 600 milioni di Euro il “tetto” delle spese a carico del SSN riguardanti la distribuzione territoriale di farmaci, anche il ricorso a gare al massimo ribasso per la determinazione dei prezzi di riferimento dei farmaci generici. In effetti la manovra che – come già si è accennato – si basa su consistenti riduzioni dei prezzi ex fabrica e, di conseguenza, dei prezzi al consumo a carico del SSN dei principali principi attivi contenuti nei farmaci off patent, riduzioni basate anche su parametri riferiti ai prezzi medi europei, non include anche le gare al massimo ribasso per i generici, com’era previsto nelle prime bozze del regolamento attuativo. Contro questa manovra, che influisce anzitutto direttamente ed in misura consistente sui prezzi amministrati ex fabrica, i produttori reagiscono minacciando di procrastinare gli adeguamenti fino alla scadenza formale dei termini previsti per l’esclusione dal mercato dei farmaci per i quali l’industria non ha adeguato i propri prezzi a quelli di riferimento (cosa che solo alcuni di loro fanno in concreto, determinando disagi agli utilizzatori finali, costretti temporaneamente a sostenere gli oneri derivanti dal ritardato adeguamento, solo in alcuni casi coperti con appositi stanziamenti regionali). 121 Ad adeguamento avvenuto, emergono comunque due aspetti, che riflettono gli effetti, nella specifica situazione normativa italiana, della reintroduzione di riferimenti specifici ai prezzi europei: A. I maggiori differenziali tra i farmaci equivalenti di minore costo sui quali è “tarato” il rimborso a carico del SSN ed i prodotti branded off patent, specie originators, differenziali a carico degli utilizzatori finali che intendono scegliere questi ultimi; B. Il trascinamento e l’amplificazione delle riduzioni dei prezzi ex fabrica sui prezzi al consumo, ai quali continuano ad essere riferite le remunerazioni anche dei distributori all’ingrosso e al dettaglio che, seppure immutate in termini percentuali, si contraggono in valore assoluto. In questa situazione Federfarma sottolinea, in una nota ufficiale che, in effetti, se si tiene conto dei due successivi abbassamenti del “tetto” della spesa a carico del SSN per i farmaci distribuiti sul territorio e delle diverse modalità di copertura utilizzate nel 2010 e nel 2011, solo apparentemente i maggiori oneri sono stati sostenuti dai produttori, in quanto: A. Il rimborso addizionale al SSN posto anche a loro carico nel 2010 è stato di fatto recuperato dai produttori, nell’area di discrezionalità lasciata alla contrattazione tra le parti dalla legge 77/09, ossia praticando sconti ai distributori inferiori agli sconti massimi consentiti, ed operando quindi con margini percentuali superiori al margine minimo del 58,65% e, così facendo, ponendo indirettamente a carico delle farmacie l’intero onere della manovra. Osserviamo che questa ipotesi è possibile e legittima, ma non sono state fornite prove circa un’inversione delle politiche di mercato nei confronti dei distributori da parte dei produttori, per cui la sua generalizzazione appare alquanto “forzata”; B. Una parte cospicua degli oneri della manovra del 2011, a motivo dei meccanismi percentuali di determinazione dei margini di tutti i soggetti della filiera dei farmaci a carico del SSN, è stata di fatto sostenuta dalle farmacie con decurtazioni dei loro ricavi in valore assoluto non giustificate da riduzioni dei costi sostenuti per i servizi resi. Federfarma paventa inoltre che l’eventuale trasferimento alla distribuzione territoriale di una parte della distribuzione ospedaliera motivata dallo sforamento del “tetto” riguardante le spese per i farmaci direttamente sostenute dalle ASL, determini uno “sforamento” del “tetto”, fissato per la distribuzione territoriale, da ripianare da parte dei produttori e dei distributori secondo le quote di rispettiva spettanza, il che creerebbe per tutti gli attori della filiera, ma specialmente per i farmacisti, 122 condizioni insostenibili, ossia considizioni strutturali di perdita sull’attività svolta per conto del SSN. Come emerge chiaramente dalla sequenza di reazioni fin qui richiamata, l’avvio delle manovre di riduzione dei costi a carico del SSN riguardanti la distribuzione territoriale dei farmaci non solo ha determinato una vera e propria “esplosione” della conflittualità tra le varie corporazioni coinvolte (e, dal loro punto di vista eccessivamente penalizzate) nei confronti degli organi governativi, ma anche una dialettica tra le corporazioni (dei produttori, dei distributori all’ingrosso, dei farmacisti convenzionati con il SSN), precedentemente non osservabile nel settore e, comunque, non oggetto di contrapposti documenti ufficiali. Molto significativamente, però, questa dialettica, trasferita nei documenti ufficiali, non ha avuto alcun seguito quando, molto recentemente (settembre 2011) la Commissione Bilancio del Senato ha bocciato tre emendamenti sui processi di liberalizzazione tendenti a rendere possibile la vendita di una parte dei farmaci di classe C nelle parafarmacie e nei corner della GDO. Mentre, in questo caso, è del tutto comprensibile la posizione di sostegno alla bocciatura degli emendamenti da parte di Federfarma, il silenzio delle rappresentanze dei produttori e dei distributori intermedi può essere forse interpretato come un sostanziale assenso al mantenimento dello “status quo” che, nonostante le divergenze di interessi tra le parti, consente a tutti gli attori della filiera di non doversi misurare con gli effetti competitivi a largo raggio che deriverebbero dal venir meno dell’esclusiva di vendita di cui fruiscono le farmacie nel campo di tutti i farmaci soggetti a prescrizione medica, compresi quelli non a carico del SSN. 7.4 I cambiamenti normativi attualmente oggetto di valutazioni e di dibattiti È in questa situazione da un lato di crescente conflittualità, dall’altro di sostanziale cooperazione tra le rappresentanze dei produttori e dei farmacisti che, nel 2010 e nell’anno in corso, maturano le proposte di revisione delle normative vigenti in tema di distribuzione dei farmaci, tuttora oggetto di esame e di dibattito nelle varie sedi istituzionali (a livello ministeriale, a livello interministeriale, a livello di commissioni parlamentari e di Conferenza Stato-Regioni). Alcune di queste proposte investono anche i problemi strutturali di fondo del settore (pianta organica, bundling proprietà-esercizio, processi di ulteriore liberalizzazione da un lato o di riduzione della parziale liberalizzazione introdotta nel 2006) dall’altro, oltre a quello delle modalità di remunerazione dell’attività svolta dai vari soggetti operanti nella filiera del farmaco a carico del SSN, specie in una prospettiva, già programmata, di ulteriore contenimento del “tetto” di spesa. 123 Come già si è richiamato nel capitolo precedente, le commissioni parlamentari devono valutare (e ciò sta avvenendo con continui rinvii) due opposti disegni di legge che investono i problemi della liberalizzazione. Il primo (Tomassini-Gasparri) espressione della maggioranza e principale punto di riferimento del dibattito non solo è contrario a qualsiasi processo di ulteriore liberalizzazione, ma propone la revisione, in senso restrittivo, delle liste dei farmaci SOP e OTC, a fronte dell’eliminazione dell’obbligo della presenza di farmacisti nella loro vendita nelle parafarmacie e nei corner della GDO, con l’evidente intento di ridurre la già scarsa area di operatività dei canali di distribuzione alternativa nel campo della distribuzione al dettaglio dei farmaci in senso stretto. Il secondo (Ghedini et alii), espressione dell’opposizione, propone all’opposto – come già si è visto – di consentire alle parafarmacie ed ai corner della GDO anche la vendita dei farmaci di classe C, soggetti a prescrizione medica (previe rigide misure da adottare in questi punti di vendita per impedire comunque l’accesso al magazzino di persone diverse dai farmacisti abilitati). Ciò coerentemente con l’esigenza, più volte sottolineata dall’AGCM, di introdurre nel campo della distribuzione territoriale dei farmaci più efficaci condizioni di confronto competitivo con risparmi di spesa per gli utilizzatori finali. Un terzo disegno di legge (Fleres), anch’esso espressione della maggioranza, si limita a proporre, in attesa della ridefinizione della disciplina in tema di distribuzione dei farmaci, il blocco dell’apertura di nuove parafarmacie e – come già si è visto – accenna all’opportunità di creare anche per le parafarmacie una sorta di “pianta organica”, analoga a quella delle farmacie. Abbiamo richiamato questi disegni di legge, già commentati nel capitolo precedente, nel quale si erano anche considerate le posizioni dell’AGCM e dell’organo antitrust della Commissione europea sui principali aspetti strutturali della normativa italiana (“pianta organica” delle farmacie, bundling proprietà-esercizio e divieto alla formazione di catene di farmacie), per meglio interpretare il continuo accanimento con cui, in una serie di recenti note ufficiali, Federfarma accomuna il problema dell’ulteriore liberalizzazione con quello del sostanziale venir meno della “pianta organica”, sostenendo (com’è ovvio dal suo punto di vista), che un’evoluzione della normativa in questa direzione danneggerebbe i cittadini senza apportare loro alcun vantaggio rispetto alla situazione attuale. Particolarmente icastica è in proposito l’affermazione della dott.ssa Racca (presidente di Federfarma) nell’audizione della XII Commissione del Senato incaricata di iniziare la valutazione dei disegni di legge sopra richiamati. Con riferimento al DDL Ghedini et alii il giudizio è testualmente il seguente: “la distribuzione al di fuori della farmacia dei farmaci di classe C con obbligo di ricetta medica rappresenterebbe di fatto lo smantellamento della più importante regola (la 124 pianta organica) che garantisce ai cittadini l’efficienza e la capillarità della rete delle farmacie, è necessario quindi che le farmacie continuino ad operare nel contesto delle regole (pianta organica in primis) che il legislatore ha stabilito per la tutela della salute pubblica… Federfarma è d’accordo ad adeguare queste regole ma è contraria ad ogni provvedimento che, anche indirettamente, opererebbe nella direzione di eliminarle. Per migliorare la capillarità del servizio si può ipotizzare un adeguamento del quorum abitanti-farmacie, affiancato però dal rientro nella farmacia di molti farmaci che oggi sono distribuiti nelle strutture pubbliche e dalla definizione di un nuovo sistema di remunerazione che assicuri alla farmacia sostenibilità economica”. In un’altra audizione la Dott.ssa Racca chiarisce meglio il suo pensiero, affermando testualmente: “permettere ai corner dei supermercati ed alle parafarmacie di vendere anche i farmaci con ricetta medica significherebbe stravolgere il sistema attuale e privare della farmacia gli abitanti dei piccoli centri… oggi il titolare di una piccola farmacia fa mille sacrifici pur di maturare un punteggio per poter successivamente vincere, a concorso, una sede migliore. Chi potrebbe costringerlo a continuare a rimanere lì a garantire il servizio, sapendo che potrebbe aprire un esercizio parafarmaceutico, ma di fatto equiparato ad una farmacia, in un grande centro urbano? In quel caso gli abitanti dei piccoli centri ed in particolare gli anziani resterebbero privi del servizio farmaceutico”. 7.5 I problemi riguardanti l’eventuale passaggio ad una remunerazione a forfait per la distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A Oltre ai problemi riguardanti l’ulteriore liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci a totale carico dell’utilizzatore ed a quelli riguardanti l’eventuale adeguamento della “pianta organica” delle farmacie, nell’anno in corso è proseguito l’esame di altri due rilevanti cambiamenti normativi che, se attuati, potrebbero modificare non poco le relazioni tra le farmacie ed il SSN. Il primo di tali cambiamenti, di cui veniva preannunciato l’esame nella l. 122/09 riguarda le modalità di remunerazione del servizio svolto dalle farmacie nella distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A (a carico del SSN). L’attuale remunerazione per ciascun farmaco erogato in misura proporzionale al suo prezzo al consumo definito per via amministrativa, dovrebbe, secondo gli indirizzi governativi, essere trasformata (in tutto o in parte) in una remunerazione a forfait per ciascuna confezione erogata, indipendentemente dal suo valore, secondo il modello inglese del “fee for service”, o secondo modelli misti come quello tedesco o quello francese, già richiamati nel capitolo precedente. 125 L’esame di questo rilevante cambiamento normativo è affidato ad un “tavolo tecnico interministeriale” coadiuvato da rappresentanti dei produttori e dei distributori di farmaci, nonché da associazioni dei consumatori in rappresentanza degli utilizzatori finali. Il “tavolo tecnico” dovrebbe suggerire al Ministero della Salute le linee in base alle quali procedere all’elaborazione di un apposito DDL. Si sono già indicati (cfr. capitolo precedente) i vantaggi che, in linea di principio, presenta la remunerazione di tipo “fee for service” rispetto a quella di tipo proporzionale dal punto di vista degli interessi collettivi in gioco ed anche come strumento che può attivare una costruttiva dialettica tra i vari soggetti che compongono la filiera del farmaco. Tuttavia, passando dalle valutazioni di principio alla quantificazione specifica dell’entità del “fee” i problemi da considerare sono molteplici, specie nella situazione italiana caratterizzata da condizioni strutturali che garantiscono a ciascuna farmacia di operare in condizioni di scarsa (sostanzialmente nulla) concorrenza nella distribuzione al dettaglio di tutti i farmaci soggetti a prescrizione medica. Il primo problema riguarda il riferimento da assumere per il “fee”. Esso, in teoria, potrebbe essere ciascun atto di vendita di farmaci di classe A, comprendente anche una pluralità di singoli farmaci e di confezioni dello stesso farmaco: questo riferimento rispecchierebbe meglio il carattere di costi prevalentemente fissi e di esercizio fissi sottostante al servizio di erogazione dei farmaci, costi che possono essere distribuiti in modo standardizzato sul numero medio delle erogazioni. Questo riferimento potrebbe però facilitare comportamenti dei prescrittori e dei farmacisti tendenti a far lievitare il numero degli atti di erogazione con danni sia per gli utilizzatori (frazionamento degli acquisti e maggiori tempi complessivi ad essi dedicati), sia per il SSN (maggiori esborsi per i “fee”). Il riferimento maggiormente seguito (seppure con alcune varianti) nei Paesi che già applicano criteri di “fee for service” è quello di riferire il fee alle singole confezioni erogate indipendentemente dalle loro dimensioni e dal valore dei principi attivi in esse contenuti, in modo da evitare anche distorsioni a favore delle confezioni più grandi o con modalità posologiche più sofisticate. Su questo riferimento si basano anche gli indirizzi iniziali del “tavolo tecnico interministeriale”. A questo punto sorgono però i problemi di fondo riguardanti la concreta determinazione del “fee”. Esso, infatti, si riferisce alla remunerazione del servizio di distribuzione al dettaglio dei soli farmaci a carico del SSN. L’attività delle farmacie – come già si è documentato – pur avendo, nella maggioranza dei casi, come proprio core business l’erogazione di questi farmaci, comprende altre attività commerciali, ciascuna delle quali, presenta proprie modalità di remunerazione. Alcune 126 (attività di commercializzazione al dettaglio dei farmaci di classe C) comunque proporzionali ai prezzi al consumo di ogni farmaco, commercializzato con esclusiva di vendita e con margini che possono variare in base al potere di mercato delle farmacie nei confronti dei produttori e dei grossisti, altre (farmaci SOP e OTC, parafarmaci, extrafarmaci a connotazione salutistica), sottoposte, in misura più o meno stringente, a confronti competitivi. Relativamente ai costi le attività delle farmacie comportano il sostenimento di costi a struttura prevalentemente fissa, se si escludono quelli di approvvigionamento, ed in gran parte congiunti. Inoltre la localizzazione di ogni farmacia, il grado di diversificazione dei suoi assortimenti, anche nei settori non farmaceutici in senso stretto e, ovviamente, le sue capacità gestionali, determinano livelli di valore aggiunto diversi, con ampi campi di variazione. Pur essendo evidente che l’ammontare del “fee” deve riferirsi ad una remunerazione media dell’attività di erogazione dei farmaci a carico del SSN, anche allo scopo di incentivare l’efficienza gestionale, con possibili remunerazioni addizionali per le farmacie localizzate in aree disagiate (farmacie rurali e simili), come già avviene in altri Paesi, resta comunque il problema del diverso peso che ha l’erogazione dei farmaci di classe A sul complesso delle attività delle farmacie, alcune delle quali svolte in condizioni non sottoposte a pressioni competitive finchè le normative vigenti conservano il diritto di esclusiva delle farmacie anche per le vendite, a carico degli utilizzatori, dei farmaci di classe C, che – come già si è osservato – presentano costi di distribuzione al dettaglio congiunti con quelli riguardanti l’erogazione dei farmaci di classe A. Questo problema non può essere risolto solo con l’applicazione di schemi oggettivi di ripartizione dei costi congiunti (più o meno opinabili) riferiti a situazioni medie. Si tratta infatti di evitare che il passaggio a criteri di “fee for service” possa consentire alle farmacie di operare, senza alcun vincolo competitivo (essendo esse esclusiviste anche nella distribuzione dei farmaci di classe C), secondo logiche di “sussidio incrociato” a danno degli utilizzatori finali. Si impone quindi un esame congiunto delle tematiche specifiche del “fee for service” con le tematiche strutturali della “pianta organica” e della liberalizzazione. Un ulteriore problema, di ardua soluzione, riguarda il rimborso alle farmacie da parte del SSN dei costi da loro sostenuti per l’approvvigionamento dei farmaci di classe A. Come già si è accennato nel precedente capitolo, nei Paesi in cui il “fee for service” è una procedura consolidata, la soluzione di questo problema comporta la detrazione dai costi di approvvigionamento di una quota corrispondente al valore degli sconti accordati dai fornitori (produttori e grossisti) di cui in media usufruiscono le farmacie nei loro approvvigionamenti, incentivando di fatto le farmacie a realizzare condizioni di approvvigionamento migliori rispetto alla media ed innescando così una dialettica costruttiva tra farmacie, produttori e distributori intermedi di cui si avvantaggiano – 127 peraltro solo pro-tempore - (grazie al loro maggiore potere di mercato nei confronti dei fornitori) le grandi catene di farmacie, che con i loro comportamenti, concorrono peraltro a determinare, dinamicamente, un aumento del valore medio deducibile, e quindi una riduzione degli oneri a carico del SSN, riguardanti il rimborso dei costi netti di approvvigionamento sostenuti nel loro insieme dalle farmacie. Procedure di questo tipo sono però difficilmente proponibili nel caso italiano sia per motivi strutturali (“pianta organica”, divieto alla formazione di catene di farmacie a base succursalistica con il superamento del bundling tra proprietà ed esercizio), sia perché comportano capacità di monitoraggio e di controllo molto elevate. Le recenti normative sui cosiddetti “extrasconti” rendono inoltre molto ardua l’individuazione di livelli medi ponderati di sconto a cui riferirsi. Anche la soluzione di questo problema comporta quindi un esame congiunto dei problemi specifici del “fee for service” con quelli che caratterizzano in Italia la struttura del settore. 7.6 I problemi riguardanti lo sviluppo “multiservice” delle farmacie Nel periodo più recente è infine stata avviata la discussione, da parte delle commissioni parlamentari e della Conferenza Stato-Regioni, dei decreti delegati al Ministero della Salute dalla legge 69/09 in tema di “individuazione di nuovi servizi erogabili dalle farmacie nell’ambito del SSN”. Come da tempo proposto sia dal SSN sia da Federfarma, l’attuazione di un processo di sviluppo dell’attività delle farmacie come punti di offerta sul territorio di servizi per la salute integrativi rispetto a quelli offerti dalle ASL e dalle altre aziende ospedaliere convenzionate, persegue l’obiettivo di ridurre i compiti e gli oneri delle ASL per la prestazione di servizi di diagnosi medica e di servizi terapeutici “banali” e, al tempo stesso, di diffondere maggiormente sul territorio la possibilità di accesso a questi servizi da parte dei cittadini. Un processo di sviluppo delle attività delle farmacie in questa direzione è già stato sperimentato con successo in altri Paesi negli anni più recenti ed in modo particolare in Francia, dove è stato regolamentato. In sostanza, i decreti delegati sui quali si stanno svolgendo le valutazioni riguardano: A. La possibilità, da parte di infermieri e fisioterapisti, di effettuare, su prescrizione dei medici, prestazioni professionali sia a carico del SSN sia a carico degli utilizzatori in spazi a loro riservati all’interno delle farmacie con la supervisione dei farmacisti titolari; 128 B. La possibilità di coordinare e controllare, da parte del farmacista, lo svolgimento di tali servizi a domicilio dei pazienti; C. Lo svolgimento diretto, da parte di personale della farmacia e sotto il controllo del titolare, di esami diagnostici e test di controllo semplici (glicemia, colesterolo, trigliceridi, emoglobina, creatinina, transaminasi, componenti urine, gravidanza, ecc.), con l’eventuale apporto di specialisti; D. Lo sviluppo di servizi di prenotazione (CUP) di prestazioni erogate dalle ASL o da centri diagnostici con queste convenzionati, estesi a servizi collaterali quali versamento dei ticket con sistemi di pagamento elettronici, ritiro dei referti e loro consegna ai pazienti. Altri servizi potrebbero essere prestati dalle farmacie per alleggerire i compiti delle ASL, quali, ad esempio, la preparazione di medicinali su ordinazione con packaging personalizzati, la consegna a domicilio di farmaci che richiedono l’assistenza alla loro assunzione, alcuni servizi semplici di Pronto Soccorso. Federfarma propone anche la creazione, da parte di farmacisti, di ambulatori associati, con la presenza continuativa di specialisti, eventualmente convenzionati con il SSN. Senza dubbio lo sviluppo dell’attività delle farmacie nel campo dei servizi integrativi a quelli delle ASL presenta aspetti positivi per la collettività, specie nell’attuale situazione del SSN che richiede processi di concentrazione territoriale dei presidi ospedalieri, di riduzione dei ricoveri non strettamente necessari e di estensione dell’assistenza di continuità ospedale-territorio. Tuttavia anche la trasformazione delle farmacie (o, perlomeno, su base volontaristica, di quelle dotate di adeguati spazi e di comprovate capacità di indirizzo e coordinamento) in centri di servizi sanitari, richiede investimenti, adeguate remunerazioni, regole chiare sulla loro entità, con particolare riferimento ai servizi a carico del SSN, evitando sia di creare situazioni di esclusiva delle “farmacie dei servizi” nei confronti di altri operatori sanitari ugualmente qualificati, sia di favorire logiche di “sussidio incrociato” tra le attività esclusive attuali delle farmacie e le nuove attività di servizio sanitario. Anche relativamente a questo possibile sviluppo non è quindi – a nostro avviso – consigliabile sul piano normativo, procedere per “comparti stagni”, ma è necessario inquadrare i problemi specifici che esso pone e le loro possibili soluzioni nel più ampio contesto di un’organica revisione delle regole riguardanti tutti gli aspetti (strutturali e comportamentali) di quell’”ibrido” professionale esclusivo e commerciale in parte esclusivo che è oggettivamente la farmacia convenzionata con il SSN nei suoi rapporti con lo stesso SSN e con i cittadini. 129 Allegato Recenti misure di riduzione dei prezzi dei farmaci e dei payback connesse con i “tetti” di spesa a carico del SSN Sul contenimento della spesa farmaceutica, il decreto-legge 39/2009 ha introdotto alcune disposizioni di razionalizzazione della farmaceutica territoriale. Le principali misure riguardano: la riduzione del 12 per cento dei prezzi dei farmaci equivalenti, una trattenuta dell’1,4 per cento dell’importo dovuto alle farmacie per la distribuzione dei farmaci, la rimodulazione,per i farmaci equivalenti, delle quote di spettanza dell’azienda farmaceutica, del grossista e del farmacista sul prezzo di vendita al pubblico e la rideterminazione nella misura del 13,6 per cento del tetto di spesa della farmaceutica territoriale. Dal 2010 il decreto legge 78/2009 ha rideterminato all'attuale 13,3% (con un risparmio quantificato in 800 milioni di euro) il tetto della spesa farmaceutica territoriale. Successivamente, il decreto legge 78/2010: • ha rideterminato le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti, sul prezzo di vendita al pubblico dei farmaci di classe A) interamente rimborsati dal SSN, rispettivamente, al 3 per cento (precedentemente al 6,65%) e al 30,35% (precedentemente al 26,7%); • ha previsto un’ulteriore quota di sconto del 3,65%, trattenuta dal SSN sul prezzo di vendita al pubblico dei farmaci interamente rimborsati dal SSN al netto dell’IVA, ripartita, rispettivamente, per l’1,82% a carico delle farmacie, e per 1,83% a carico delle aziende farmaceutiche. Queste ultime, sulla base di tabelle approvate dall’AIFA e definite per regione e per singola azienda, corrispondono l’importo direttamente alle regioni (payback); • ha spostato un valore di 600 milioni di euro annui, dalla spesa farmaceutica ospedaliera a quella territoriale; • ha determinato la predisposizione di tabelle di raffronto tra la spesa farmaceutica territoriale delle singole regioni, con la conseguente definizione delle migliori soglie prescrittive dei farmaci generici da parte dei medici del SSN; • ha rinviato ad un accordo in Conferenza Stato-regioni la fissazione delle procedure per l'acquisto diretto dei medicinali da parte delle ASL; • ha stabilito che l'Aifa, dal 2011, fissi i limiti di rimborso dei medicinali equivalenti di classe A, in misura idonea a realizzare un risparmio di spesa non inferiore a 600 milioni di euro annui. I risparmi restano nelle disponibilità regionali; • ha previsto, dal 1 giugno al 31 dicembre 2010, una riduzione del prezzo dei medicinali equivalenti del 12,5%. Ulteriori misure di contenimento della spesa farmaceutica sono state introdotte dal decreto legge 98/2011, che ha fissato gli incrementi del livello del finanziamento del SSN per il 2013 e il 2014; gli interventi a tal fine necessari saranno stabiliti da un'Intesa Stato-regioni. Qualora l’Intesa non fosse raggiunta, entro il 30 giugno 2012, un regolamento governativo dovrà definire le procedure per porre a carico delle aziende farmaceutiche una quota non superiore al 35 per cento dell'eventuale sforamento del tetto del 2,4 per cento fissato per la spesa farmaceutica ospedaliera. Le aziende farmaceutiche saranno tenute a versare tale quota direttamente alle regioni. Qualora non venga rispettato il termine di emanazione del regolamento, dal 2013 l'AIFA aggiorna le tabelle di raffronto tra la spesa farmaceutica territoriale delle singole regioni riferita ai farmaci generici, come previsto dal decreto legge 78/2010. Conseguentemente, a decorrere dal 2013, il tetto di spesa per l’assistenza farmaceutica territoriale è rideterminato nella misura del 12,5 per cento. 130 8. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 8.1 La posizione italiana nel contesto europeo Concludendo questo rapporto di ricerca, ci sembra anzitutto doveroso indicare, seppure molto sinteticamente, se ed in che misura le ipotesi di lavoro assunte all’inizio hanno trovato conferme nel corso dell’analisi. L’ipotesi fondamentale, secondo la quale nel nostro Paese la filiera del farmaco nel suo complesso e la distribuzione territoriale del farmaco in modo particolare presentano tuttora una struttura (determinata, in larga misura, dalle normative vigenti), che facilita l’acquisizione di rendite economicamente ingiustificate da parte degli “insiders” a danno degli utilizzatori finali e del SSN, emarginando i soggetti che potrebbero entrarvi con comportamenti competitivi, ha trovato parecchie conferme nell’analisi empirica ed anche una parziale smentita. Le principali conferme possono essere riepilogate nei seguenti punti: A. La sostanziale staticità delle componenti più rilevanti della filiera (industria produttrice e farmacisti convenzionati con il SSN); B. Il permanere, nonostante i cambiamenti migliorativi degli anni più recenti, indotti dallo sviluppo anche in Italia dei farmaci “generici” e dalle modalità di contrattazione dei loro prezzi da parte dell’AIFA, di un sistema di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci che incentiva di fatto comportamenti collusivi tra i principali attori della filiera, ripercuotendosi, oltre che su un aggravio dei costi a carico del SSN, seppure entro sempre più stringenti “tetti” di spesa, anche su una sostanziale disincentivazione dell’innovazione produttiva da parte dell’industria farmaceutica insediata in Italia; C. La contraddizione tra liberalizzazione dei prezzi dei farmaci soggetti a prescrizione medica a totale carico degli utilizzatori (classe C) e mancata liberalizzazione dei loro canali di distribuzione al dettaglio in un contesto in cui il permanere della “pianta 131 organica” e del bundling tra proprietà ed esercizio delle farmacie impedisce di fatto una concorrenza all’interno di questo canale, che li distribuisce in esclusiva; D. La rilevanza, molto limitata quanto a fatturato e quote di mercato, della liberalizzazione dei canali di distribuzione al dettaglio dei farmaci non soggetti a prescrizione medica (SOP e OTC), liberalizzazione sottoposta a stringenti vincoli ed oneri, nonostante i quali l’effetto riduttivo dei costi a carico degli utilizzatori finali è stato, proporzionalmente al fatturato, decisamente consistente. La parziale smentita delle nostre ipotesi di lavoro riguarda il livello comparato dei prezzi medi al consumo dei farmaci di classe A, che, per quanto è possibile dedurre da valutazioni comunque soggette a limiti di comparabilità, non è complessivamente più elevato rispetto a quello di alcuni Paesi europei, in particolare della Germania. In effetti, però, ciò dipende essenzialmente dai minori livelli dei prezzi ex fabrica contrattati per i farmaci branded on patent innovativi rispetto a quelli già da tempo sul mercato, aspetto che concorre a disincentivare l’innovazione produttiva dell’industria farmaceutica italiana e la sua competitività internazionale. Nel corso della nostra analisi si sono più volte effettuate comparazioni su vari aspetti che caratterizzano le normative italiane riguardanti la filiera del farmaco rispetto a quelle vigenti negli altri Paesi dell’Unione europea. Ci sembra ora opportuno richiamare sinteticamente i principali elementi di comparazione, per meglio cogliere la specificità della situazione del nostro Paese. Aspetti strutturali riguardanti la distribuzione al dettaglio dei farmaci a totale o parziale carico dei Servizi Sanitari Nazionali Paesi Pianta Bundling Presenza di Incentivi alla Partecipazione organica proprietà/ catene di distribuzione farmacie esercizio farmacie in dei medici alla zone distribuzione disagiate dei farmaci Italia SI SI NO SI NO Germania NO SI NO NO NO Francia SI SI NO NO NO Gran Bretagna NO NO SI SI SI Orientamento NO NO SI SI - Commissione UE 132 Liberalizzazione canali di distribuzione farmaci SOP e OTC Paesi Liberalizzati Con vincolo Con vincolo Con presenza Con presenza bundling farmacisti Italia SI, determinante prezzi liberalizzati GDO solo SI NO NO SI parafarmacie e corner GDO Germania SI NO NO NO SI Francia NO SI SI NO SI Gran Bretagna SI NO NO SI SI Orientamento SI NO per SOP NO - SI Commissione UE e OTC/ SI per eventuale estensione a farmaci di classe C 133 Criteri sottostanti al pricing dei farmaci di classe A Connessione tra Prezzi Paesi remunerazione dei ex Differenziali fabrica produttori prodotti (prezzi prezzi ex fabrica ex innovativi (al prodotti fabrica) e lancio) innovativi, Procedure Differenziali di payback prezzi da parte prodotti “Tetti” tassativi on delle dei patent spese a produttori generici carico dei remunerazione altri prodotti Servizi dei distributori on patent Sanitari Nazionali Proporzionalità Italia Amministrati Basso SI (contrattati) Alto, anni negli SI più recenti Germania Parziale Liberi Alto NO Alto proporzionalità tassativi Parziale Amministrati Medio/alto proporzionalità (contrattati) Gran Completa Liberi Bretagna separazione dei Francia criteri Non No Alto Non tassativi Alto SI Alto Non tassativi di determinazione Come si può osservare dai quadri riepilogativi sopra esposti, in tutti i Paesi considerati la filiera del farmaco è sottoposta ad indirizzi e vincoli di carattere pubblicistico, che sono propri, nella cultura europea, di un settore rilevante per la difesa della salute umana e, in varia misura, con costi a carico dei servizi sanitari nazionali. Tuttavia solo in Italia, se si esclude la parziale liberalizzazione dei canali di distribuzione dei farmaci SOP e OTC, di cui si sono già evidenziati i limiti, sono presenti tutti i vincoli, anche quelli – come la pianta organica delle farmacie ed il bundling tra la loro proprietà ed il loro esercizio – meno giustificabili dal punto di vista delle esigenze di difesa della salute umana e sono ancora operanti meccanismi istituzionali, come quelli sottostanti alla determinazione congiunta della remunerazione dei produttori e di quella dei distributori, privi di una corretta giustificazione economica e tali da facilitare comportamenti collusivi tra i vari attori della filiera. Mentre la rimozione dei vincoli strutturali, più volte richiesta dall’AGCM coerentemente con gli orientamenti della Commissione UE, è stata recentemente esclusa da parte della Commissione Bilancio del Senato nell’ottobre scorso, Commissione che ha anche escluso l’ipotesi 134 di un eventuale superamento della distribuzione esclusiva dei farmaci di classe C da parte delle farmacie convenzionate con il SSN, alcuni meccanismi istituzionali, che non trovano più riscontro neppure in Francia (il Paese europeo meno aperto ai cambiamenti nel campo della distribuzione dei farmaci), sono da tempo in fase di revisione. Ciò – come si è visto nel corso dell’analisi, riguarda in particolare l’introduzione del “fee for service” per separare le modalità di remunerazione dei servizi prestati dalle farmacie da quella dei produttori di farmaci. 8.2 Problemi aperti e prospettive di cambiamento A nostro avviso, ricollegandoci alle ipotesi di lavoro enunciate nell’ultimo paragrafo del capitolo introduttivo, in una situazione come quella che si è fin qui tratteggiata, in Italia il problema dell’ulteriore liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci è strettamente connesso con quello dell’effettiva introduzione del “fee for service”. Infatti il mantenimento dell’esclusiva di vendita alle farmacie dei farmaci di classe C (a completo carico degli utilizzatori) con prezzi liberalizzati, ma senza stimoli competitivi, con il “fee for service” può consentire alle farmacie di operare più di quanto può già accadere con remunerazioni proporzionali ai prezzi ex fabrica secondo logiche di “sussidio incrociato” a danno dei consumatori finali. Nel precedente capitolo abbiamo già giustificato, sul piano economico-aziendale, questa affermazione che, a prima vista, potrebbe sembrare azzardata. Ci sembra ora utile misurarci con le obiezioni che in genere vengono avanzate (e che hanno trovato un’ampia eco nella maggioranza della Commissione Bilancio del Senato nell’ottobre scorso) contro l’ipotesi di una liberalizzazione dei canali di distribuzione dei farmaci di classe C. La prima obiezione riguarda il ruolo stesso delle farmacie convenzionate con il SSN come presidi primari per la difesa della salute umana, difesa che potrebbe essere pregiudicata dalla distribuzione estesa alle parafarmacie ed ai corner della GDO dei farmaci di classe C. Relativamente a questa obiezione non si capisce perché i farmacisti (abilitati ed iscritti agli albi professionali) che in Italia obbligatoriamente sono presenti e direttamente coinvolti nella vendita dei farmaci SOP e OTC nelle parafarmacie e nei corner della GDO, dovrebbero essere diversi, quanto a qualificazione ed a capacità professionali, rispetto a farmacisti, anch’essi abilitati ed iscritti agli albi professionali, presenti nelle farmacie convenzionate con il SSN. Si perde completamente di vista che la convenzione non riguarda la qualificazione e le capacità professionali, ma il punto di vendita, secondo le regole sancite dalla “pianta organica” delle farmacie e che solo per i farmacisti che acquisiscono per concorso l’esercizio di punti di vendita da includere “ex novo” nella pianta 135 organica valgano, ai fini delle graduatorie, i percorsi di specializzazione professionale pregressi. Tuttavia i “concorsi” sono pochissimi, in quanto il passaggio della proprietà e dell’esercizio della stragrande maggioranza dei punti di vendita inseriti nella pianta organica avviene per cessione, in gran parte ereditaria. La seconda obiezione, apparentemente più fondata della precedente, si riferisce ad un confronto internazionale: in nessuno dei maggiori Paesi dell’Unione europea, i farmaci di classe C o quelli ad essi assimilabili sono venduti al di fuori delle farmacie o di unità di vendita simili. In effetti, però, l’Italia è l’unico tra i maggiori Paesi dell’Unione europea che impone la presenza ed il coinvolgimento di farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali nei canali di distribuzione al dettaglio alternativi alle farmacie. Negli altri Paesi che hanno liberalizzato la vendita dei farmaci OTC e SOP, pur essendovi alcuni vincoli riguardanti le competenze professionali del personale, non si impone la completa equiparazione di quello delle farmacie e dei punti di vendita alternativi. La terza obiezione riguarda il possibile venir meno del bundling tra proprietà ed esercizio nella distribuzione al dettaglio di una parte dei farmaci con obbligo di prescrizione medica, da cui potrebbe derivare il prevalere degli interessi di carattere commerciale della proprietà, rispetto alla deontologia professionale di coloro ai quali è affidato l’esercizio. L’infondatezza di questa argomentazione è talmente palese da non meritare alcun ulteriore commento, anche perché chi la sostiene perde di vista non solo la realtà delle parafarmacie e dei corner italiani della GDO, ma anche il fatto che una parte rilevante dei Paesi dell’UE, a cominciare dalla Gran Bretagna, non hanno vincoli strutturali di bundling tra proprietà ed esercizio delle stesse farmacie e quindi della distribuzione al dettaglio anche dei farmaci di classe A. La quarta obiezione riguarda gli effetti negativi che l’eventuale venir meno dell’esclusiva di vendita di cui fruiscono le farmacie per i farmaci di classe C determinerebbe sul mantenimento di un presidio farmaceutico nelle zone “disagiate”. Chi sostiene questa tesi perde di vista: anzitutto che i farmaci di classe C incidono – come si è documentato – per meno del 12% sul fatturato delle farmacie se si considerano nel fatturato anche le vendite di SOP, OTC, parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica e che, anche ipotizzando un’erosione delle loro quote di mercato da parte delle parafarmacie e dei corner della GDO doppia rispetto a quella avvenuta con la liberalizzazione per i farmaci SOP e OTC, sarebbe in gioco una quota del fatturato non superiore al 2,4%; in secondo luogo che le farmacie considerate dall’AIFA come necessarie per garantire una presenza il più possibile capillare dei servizi farmaceutici sono molto poche, come si è avuto modo di documentare nel corso della nostra analisi, e che – comunque – fruiscono già di incentivi da parte del SSN, che potrebbero anche essere potenziati; in terzo luogo che – come abbiamo documentato nel corso dell’analisi e come avviene in altri Paesi dell’Unione europea, l’esigenza di conservare 136 una presenza dei servizi farmaceutici essenziali nelle zone “disagiate” può essere soddisfatta anche con altre modalità. L’insieme delle obiezioni sin qui considerate, a nostro avviso, conferma “a fortiori” una delle nostre ipotesi di lavoro fondamentali, ossia che il cambiamento dei meccanismi di regolazione e del grado di liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci, ancora orchestrati per garantire una difesa ad oltranza delle rendite di cui possono fruire gli “insiders”, dovrebbe procedere non solo con provvedimenti separati (quali l’introduzione del “fee for service” nella remunerazione delle attività che le farmacie svolgono nel contesto del SSN), ma con una profonda revisione dei vincoli istituzionali, a cominciare da quelli strutturali (pianta organica e bundling in primis) con una lungimirante visione dell’insieme dei problemi rimasti insoluti in questo campo. Un ultimo problema riguarda più specificamente i corner salute della GDO. Come si è documentato nella nostra analisi, per avere un impatto competitivo consistente rispetto alle farmacie e generare risparmi di un certo rilievo per gli utilizzatori finali, ciascun corner della GDO non solo deve realizzare un fatturato abbastanza elevato possibile solo nell’ambito di unità di vendita di grande “formato” (prevalentemente ipermercati) e ad elevata attrattività a largo raggio, ma deve anche farlo puntando più sulle vendite di parafarmaci che di farmaci SOP e OTC. Il loro ulteriore sviluppo potrebbe essere supportato dall’eliminazione del vincolo rappresentato dalla presenza e dal coinvolgimento di farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali nella vendita di farmaci OTC e SOP, con una riduzione dei costi del personale di vendita e della dimensione minima efficiente e quindi con la possibilità di insediarli in maggior numero anche in unità di vendita di “formato” meno grande, a fronte tuttavia di una forte riduzione dei farmaci SOP e OTC trattabili e quindi con un ulteriore incremento dell’importanza relativa dei parafarmaci (che, tra l’altro consentono anche di sopportare margini lordi superiori), oppure dall’estensione della liberalizzazione, finora contrastata tassativamente in sede governativa e parlamentare, ai farmaci di classe C, liberalizzazione in sostanza della distribuzione al dettaglio di tutti i farmaci a totale carico degli utilizzatori finali, compresi quelli soggetti a prescrizione medica, fermo restando l’obbligo di coinvolgere nella vendita farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali. In teoria entrambe le linee di sviluppo sopra indicate potrebbero coesistere, ipotizzando due distinte categorie di corner. In effetti però, la prima esclude la seconda come si è avuto modo di constatare negli opposti disegni di legge discussi negli ultimi anni nel tavolo di lavoro ministeriale. A nostro avviso – in ciò confortati dal giudizio dei responsabili dei corner delle due maggiori organizzazioni della GDO operanti in questo campo, che hanno risposto ai nostri quesiti in merito a questo problema (le altre, nonostante i nostri reiterati solleciti, non hanno risposto) – solo 137 la seconda linea di sviluppo, va sostenuta ancora con particolare vigore, nonostante la sua bocciatura dell’ottobre scorso nella Commissione Bilancio del Senato. Ciò per due ordini di motivi. Anzitutto, sotto il profilo economico-aziendale, perché può consentire una più consistente presenza nel campo dei farmaci in senso stretto con la possibilità di aumentare il potere contrattuale nei confronti dei produttori farmaceutici, anche con produzioni per conto (marche commerciali) e di accrescere l’attrattività nei confronti dei clienti e la loro soddisfazione, nonché la competitività nei confronti delle farmacie. In secondo luogo – ed è questo l’aspetto che maggiormente riteniamo rilevante – sotto il profilo economico-sociale, ossia degli interessi collettivi in gioco. Infatti solo la seconda linea di sviluppo può accrescere in misura consistente, rispetto a quella, già significativa, realizzata con la vendita nei corner salute della GDO dei farmaci SOP e OTC, i vantaggi per gli utilizzatori finali in termini sia di costi (a loro completo carico) delle spese farmaceutiche, sia di inserimento, in un mercato oggi gestito in esclusiva dai farmacisti convenzionati con il SSN in condizioni di sostanziale assenza al suo interno di confronti competitivi, di stimoli concorrenziali esterni rilevanti. Tutto ciò in una concreta prospettiva di difesa del sempre più limitato potere di acquisto della maggioranza dei consumatori italiani. 138 POST SCRIPTUM Quando, all’inizio del novembre scorso, abbiamo ultimato la stesura di questo rapporto, la chiusura del precedente governo nei confronti di tutti i processi di “liberalizzazione” nei settori caratterizzati dalla percezione di rendite ingiustificata da parte degli “insiders” e da “barriere istituzionali all’entrata” nei confronti degli “outsiders” anziché attenuarsi, si era complessivamente rafforzata. Nel caso specifico della filiera dei farmaci e più specificamente della loro distribuzione territoriale, la Commissione Bilancio della Camera aveva approvato un testo che facendo “marcia indietro” rispetto alle precedenti, seppure deboli, proposte di parziale allargamento della “pianta organica” delle farmacie convenzionate con il SSN ed escludendo tassativamente la possibilità di vendita dei farmaci di classe C (o di una parte di essi) nelle parafarmacie e nei corner della GDO sanciva la rigida conservazione dello “stauts quo”. Come studiosi dei problemi della filiera dei farmaci, non ci avevano affatto convinto le argomentazioni strumentali usate da Federfarma per bloccare strutture, normative e procedure lungo l’intera filiera con un’azione di lobbying particolarmente intensa. Abbiamo quindi concluso il nostro studio con un’indicazione precisa, coerente con i risultati delle verifiche empiriche delle ipotesi di lavoro da noi enunciate fin dall’inizio, indicazione che può essere sintetizzata nei termini sotto indicati. Solo modificando congiuntamente in senso pro-competitivo i principali aspetti strutturali della distribuzione dei farmaci (“pianta organica” e bundling in particolare) e le normative che, per i farmaci di classe A, connettono la remunerazione dei produttori con quella dei distributori, nonché consentendo la distribuzione di almeno una parte dei farmaci di classe C anche ai canali di distribuzione alternativi (parafarmacie e corner) in cui l’obbligatoria presenza di farmacisti iscritti all’albo professionale è garanzia della tutela della salute, è possibile incidere in misura significativa sulle rendite che allignano nella filiera, difendendo il potere d’acquisto dei consumatori ed i costi a carico del SSN. Il maxi decreto sulle liberalizzazioni varato dal nuovo governo il 20 gennaio come primo atto della “fase due” centrata sulle misure per la crescita, per la sua ampiezza, per la sua 139 impostazione complessiva, per l’entità delle ricadute positive per l’economia del Paese che possono derivarne, ci ha stupito favorevolmente e, nel suo complesso, ci sembra apprezzabile. Per quanto riguarda la filiera del farmaco, però, il decreto prevede misure strutturali drastiche, ma lascia immutate sia alcune procedure molto delicate (specie nella determinazione dei prezzi e dei margini per i farmaci a carico del SSN), sia il divieto di vendere farmaci di classe C nelle parafarmacie e nei corner. Se applicato nella sua versione attuale consente, a nostro avviso, di incentivare la concorrenza tra le farmacie, ma impedisce una, seppure parziale, concorrenza multicanale, da cui, a nostro avviso, potrebbero derivare dinamicamente maggiori vantaggi per i consumatori. Da questo punto di vista il rapporto di ricerca che abbiamo elaborato può fornire ancor oggi utili spunti di riflessione. Genova, 23 gennaio 2012 Gianni Cozzi e Cinzia Panero 140