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La distribuzione dei farmaci in Italia:
difesa della salute o difesa delle rendite?
Gianni Cozzi
Cinzia Panero
Rapporto del Programma di ricerca (I fase)
“Distribuzione dei farmaci ex legge 248/2006”
Parte del Progetto di ricerca in convenzione tra:
– Dipartimento di Tecnica ed Economia delle Aziende - Università degli Studi di Genova
– Società Coop Liguria s.c.c
– Ente Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa
Facoltà di Economia
Università degli Studi di Genova
Novembre 2011
INDICE
1.
2.
3.
OGGETTO ED IMPOSTAZIONE DELL’ANALISI.......................................................... 3
1.1
Oggetto dell’analisi.......................................................................................................... 3
1.2
Impostazione dell’analisi: il contesto macroeconomico di riferimento.............................. 8
1.3
Lo “stop-and-go” dei processi di liberalizzazione ............................................................ 9
LA DOMANDA DI FARMACI .......................................................................................... 17
2.1.
Premessa ....................................................................................................................... 17
2.2
Gli italiani e la salute ..................................................................................................... 18
2.3
I cittadini italiani e l’uso dei farmaci.............................................................................. 19
2.4
La domanda di farmaci .................................................................................................. 22
2.5
Le determinanti del consumo di servizi e prodotti sanitari.............................................. 27
LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE ALL’INGROSSO DEI FARMACI IN
ITALIA........................................................................................................................................ 39
3.1
Caratteri strutturali dell’industria farmaceutica in Italia.................................................. 39
3.2
Le fasi dei processi di R&S nell’industria farmaceutica e le procedure autorizzative
sottostanti all’immissione sul mercato dei farmaci..................................................................... 46
3.3
Le procedure di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci e dei margini destinati
all’industria produttrice ............................................................................................................. 49
4.
3.4
Gli effetti sui livelli dei prezzi delle diverse classi di farmaci......................................... 52
3.5
Aspetti essenziali della distribuzione intermedia dei farmaci in Italia............................. 54
LA DISTRIBUZIONE AL DETTAGLIO DEI FARMACI .............................................. 61
4.1
Elementi quantitativi d’assieme ..................................................................................... 61
4.2
La distribuzione al dettaglio “allargata” (farmaci, parafarmaci, extrafarmaci a
connotazione salutistica) ........................................................................................................... 65
5.
4.3
Aspetti di marketing della distribuzione dei farmaci: considerazioni introduttive ........... 68
4.4
I punti di forza ed i punti di debolezza delle farmacie .................................................... 71
4.5
I punti di forza ed i punti di debolezza delle parafarmacie.............................................. 78
4.6
I punti di forza ed i punti di debolezza dei corner della GDO ......................................... 80
LA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI E DEI PARAFARMACI NEI CORNER DELLA
GDO............................................................................................................................................. 81
5.1
Il contesto europeo di riferimento .................................................................................. 81
5.2
La situazione italiana ..................................................................................................... 84
5.3
I corner della GDO: considerazioni d’assieme ............................................................... 88
5.4
6.
I corner COOP-Salute: aspetti gestionali........................................................................ 90
LE NORMATIVE VIGENTI E LA LORO RECENTE EVOLUZIONE......................... 97
6.1
La “pianta organica” delle farmacie ............................................................................... 97
6.2
La sovrapposizione tra diritto di proprietà e diritto di esercizio ed i vincoli alla creazione
di reti di farmacie .................................................................................................................... 103
7.
6.3
I criteri di amministrazione dei prezzi e dei margini..................................................... 106
6.4
Gli effetti delle diverse normative nazionali................................................................. 112
L’EVOLUZIONE PIU’ RECENTE DELLE NORMATIVE ITALIANE ED IL
DIBATTITO IN CORSO SUL LORO ULTERIORE CAMBIAMENTO ............................. 115
7.1
La “vexata quaestio” degli extrasconti ......................................................................... 115
7.2
I nuovi prezzi di riferimento ........................................................................................ 117
7.3
Le reazioni dei soggetti coinvolti ................................................................................. 119
7.4
I cambiamenti normativi attualmente oggetto di valutazioni e di dibattiti ..................... 123
7.5
I problemi riguardanti l’eventuale passaggio ad una remunerazione a forfait per la
distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A ..................................................................... 125
7.6
8.
I problemi riguardanti lo sviluppo “multiservice” delle farmacie.................................. 128
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE............................................................................... 131
8.1
La posizione italiana nel contesto europeo ................................................................... 131
8.2
Problemi aperti e prospettive di cambiamento.............................................................. 135
POST SCRIPTUM.................................................................................................................... 139
2
1.
OGGETTO ED IMPOSTAZIONE DELL’ANALISI
1.1 Oggetto dell’analisi
In questo rapporto vengono sintetizzati i risultati di un’analisi svolta per conto di COOPLiguria sui problemi e sulle prospettive di cambiamento nel campo della distribuzione al dettaglio
dei farmaci, dei parafarmaci e di alcuni extra-farmaci che, nella percezione dei consumatori ai quali
sono destinati, si qualificano come prodotti “salutistici” in senso lato appartenenti a molteplici
categorie merceologiche (grocery e non grocery).
Nel campo dei farmaci cosiddetti “da banco” e dei parafarmaci, tra i distributori al dettaglio
figurano, da alcuni anni1, anche i Corner Salute della GDO, tra i quali quelli di cui sono state dotate
alcune grandi unità di vendita COOP hanno una posizione di primo piano. La grande distribuzione
partecipa inoltre all’offerta di extrafarmaci con connotati “salutistici” in altri reparti delle sue unità
di vendita.
I farmaci in senso stretto oggetto di distribuzione “territoriale”, ossia erogati tramite le
farmacie private e pubbliche, nonché – come si vedrà in seguito – le parafarmacie ed i corner della
salute della GDO per i farmaci SOP e OTC, si distinguono in tre classi principali, tutte sottoposte ad
autorizzazioni per la loro commercializzazione, basate su criteri e procedure definite per legge, e
svolte dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, facente capo al Ministero della Salute):
•
I farmaci di classe A: questa categoria include tutti i medicinali impiegati per
patologie gravi, croniche e acute, ritenuti essenziali per assicurare le cure previste nei
Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria ad esclusione di quelli impiegati e
distribuiti dalle ASL. Il loro costo è in larga misura a carico del Servizio Sanitario
Nazionale (SSN), salvo eventuali differenze tra il prezzo del prodotto scelto e quello
di un prodotto equivalente (vds. oltre) e salvo la corresponsione di ticket stabiliti a
livello regionale. Per questi farmaci è obbligatoria la prescrizione medica e la loro
1
In base alla legge 248/2006 (cd. “decreto Bersani 1”).
3
distribuzione al dettaglio può essere effettuata solo nelle farmacie, che operano
quindi come canale di distribuzione esclusivo;
•
I farmaci di classe C, utilizzati per patologie di lieve entità, anch’essi sottoposti ad
obbligo di prescrizione medica, ma il cui costo è completamente a carico
dell’utilizzatore, per i quali le farmacie operano – come per la categoria precedente –
come distributori esclusivi;
•
I farmaci cosiddetti da automedicazione e da banco, non soggetti a prescrizione
medica, con costo completamente a carico dell’utilizzatore, per la cui distribuzione,
dal 2006, le parafarmacie ed i Corner Salute della GDO, con la presenza
obbligatoria, nella loro vendita, di un farmacista abilitato ed iscritto all’albo
professionale, possono operare come canali alternativi alle farmacie. Queste ultime,
pur non disponendo di un diritto di distribuzione esclusiva, sono però ancora – come
si vedrà in seguito – il canale di distribuzione più rilevante. Essi comprendono: quelli
“senza obbligo di prescrizione” (cosiddetti “SOP”), per i quali, come per i farmaci di
classe A e C, è vietata sia la pubblicizzazione, sia l’esposizione al pubblico e quelli
“over the counter” (cosiddetti “OTC”), che possono essere oggetto di
pubblicizzazione (anche attraverso i mass media) e di esposizione, anche di carattere
promozionale.
La classificazione testè richiamata si basa sia sul criterio dell’essenzialità dei farmaci come
strumenti terapeutici per la cura di patologie non banali, sia su quello del grado di sorveglianza
medica sugli effetti del loro uso (farmaci di classe A e di classe C, denominati anche farmaci
“etici”) che, per i farmaci non soggetti a prescrizione SOP e OTC, utilizzati nei normali dosaggi
indicati, non è ritenuta strettamente necessaria.
Un tempo era presente anche la classe B, che comprendeva farmaci non essenziali ma di
rilevante interesse terapeutico, assimilabili a quelli di classe A, ma con quota del prezzo
obbligatoriamente a carico degli utilizzatori finali, salvo eccezioni per i meno abbienti. Questa
classe è stata eliminata con un provvedimento del 2001 ed i farmaci che vi erano inseriti sono stati
in parte trasferiti alla classe A, in parte alla classe C.
Più precisamente l’inserimento nella classe A, comprensiva di tutti i farmaci, impiegati per
la cura di patologie acute e croniche nei livelli essenziali di assistenza sanitaria garantiti dal SSN,
avviene a seguito di una valutazione da parte della commissione consultiva tecnico-scientifica
dell’AIFA sulla loro efficacia terapeutica. Essi sono oggetto di un apposito prontuario predisposto
dal Ministero della Salute e continuamente aggiornato, consultabile on line dai prescrittori, dai
responsabili dei presidi ospedalieri e dai farmacisti. I farmaci di classe C, pur essendo sottoposti a
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procedure analoghe, non sono considerati componenti essenziali o “salvavita” e ciò ne giustifica la
non rimborsabilità da parte del SSN. La commercializzazione dei farmaci SOP e OTC, è anch’essa
oggetto di autorizzazione da parte dell’AIFA. Se inseriti nella lista SOP, il farmacista (sia nelle
farmacie, sia nelle parafarmacie, sia nei corner) è tenuto a dare all’utilizzatore delucidazioni sul loro
impiego per la cura di patologie minori e sulle loro controindicazioni (farmaci senza prescrizione,
ma “su consiglio”); se inseriti nella lista OTC, data la loro composizione ed il loro impiego,
sostanzialmente destinato alla prevenzione o a medicazioni banali non comportano il “consiglio”
del farmacista.
Alle classi sopra indicate si aggiunge la classe H (Hospital), nella quale sono inseriti
farmaci, una parte dei quali di elevato valore unitario, per la cura di patologie gravi. Questa classe
comprende i farmaci non oggetto di commercializzazione “territoriale”, che vengono impiegati (ed
alcuni anche dispensati) direttamente nelle e dalle ASL o dai presidi ospedalieri convenzionati con
il SSN. Per una parte di quelli oggetto di dispensazione, in base ad apposite convenzioni regionali e
comunque con la responsabilità diretta delle ASL, le farmacie possono svolgere un mero ruolo di
consegna fisica ravvicinata ai pazienti (farmaci PHT, inseriti nel prontuario della continuità
assistenziale ospedale-territorio, acquistati direttamente dalle ASL).
Un’altra distinzione rilevante, specie sotto il profilo dei prezzi e delle loro variazioni,
nonché delle quote a carico del SSN e di quelle a carico dell’utilizzatore (nel caso di farmaci di
classe A) riguarda i farmaci con principi attivi sui quali il produttore esercita i diritti derivanti dal
brevetto (on patent) e quelli per i quali il brevetto è scaduto (off patent).
Tra i farmaci off patent è utile distinguere:
A. I cosiddetti “branded”, conservati in commercio dallo stesso produttore che fruiva
del brevetto ed offerti con la loro marca e la loro denominazione originaria;
B. Quelli oggetto di “comarketing”, offerti con più marche da aziende produttrici
diverse in base ad accordi con l’impresa che disponeva del brevetto (in alcuni casi gli
accordi sono stipulati prima della scadenza del brevetto);
C. Gli “equivalenti”, commercializzati con la denominazione del principio attivo di cui
è scaduto il brevetto, seguito dal nome dell’azienda produttrice (denominati anche,
seppure impropriamente, “generici”: tale denominazione è stata superata con L. 149
del 26 luglio 2005, che ha introdotto quella di equivalenti);
D. I “farmaci copia”, risultanti da copie di farmaci registrate da imprese prive di
brevetto, quando le copie erano possibili in Italia, non essendo ancora entrato in
vigore il regime brevettuale, ossia prima del 1978 e, successivamente, copie di
originators i cui produttori hanno rinunciato al diritto di esclusiva;
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E. I farmaci “biosimilari”, concettualmente analoghi agli “equivalenti”, ma con principi
attivi prodotti o derivati da un organismo vivente con processi biologici (a differenza
degli “equivalenti” con identità di molecole ottenute con sintesi chimica), che
possono, secondo alcuni medici ospedalieri, creare problemi ai pazienti, se sostituiti
a biofarmaci originari nel caso di terapie già in corso.
Come si documenterà nel corso dell’analisi, la scadenza di numerosi brevetti di principi
attivi molto utilizzati è il fattore fondamentale che, nell’ultimo decennio ed anche in una prospettiva
a breve e medio termine ha consentito e consente di contenere i costi dei farmaci a carico del SSN,
nonostante il continuo aumento delle quantità prescritte, e di approssimarsi al rispetto dei “tetti” per
le spese farmaceutiche territoriali, la cui riduzione è una componente non marginale della più ampia
manovra tendente a frenare la lievitazione dell’incidenza dei costi della sanità sul bilancio dello
Stato ed a correggere le principali anomalie regionali in questo campo.
Anche per i farmaci a totale carico degli utilizzatori, compresi i principali farmaci SOP
venduti anche nei canali alternativi rispetto alle farmacie, la presenza di numerosi principi attivi
“off patent” consente riduzioni, anche drastiche, dei prezzi. Se si confrontano tuttavia i costi
effettivi di produzione (principio attivo, eccipienti, processo produttivo, confezionamento) e quelli
di commercializzazione di alcuni farmaci “off patent” per i quali sono disponibili attendibili
valutazioni con i prezzi praticati nei confronti degli utilizzatori finali di farmaci, si rilevano
differenze talmente ampie da ritenere che sussistano larghi spazi di manovra non adeguatamente
sfruttati a motivo del permanere di rilevanti posizioni di rendita lungo l’intera filiera dei farmaci.
Sotto questo profilo il caso dei corner salute della GDO per i farmaci SOP può essere considerato come si vedrà in seguito - come un’eccezione positiva.
Completando la sintetica rassegna delle nomenclature dei prodotti distribuiti nelle unità di
vendita al dettaglio operanti nel campo dei farmaci, è opportuno accennare sin d’ora a due altre
categorie di prodotti, non sottoposte alle autorizzazioni AIFA (quindi non comprendenti farmaci in
senso stretto) che, tuttavia, nella percezione dei loro utilizzatori, vengono ad essi accomunate, in
misura più o meno stretta, categorie per le quali non esiste alcun vincolo di distribuzione esclusiva.
La prima categoria riguarda i cosiddetti parafarmaci, ossia prodotti che vengono percepiti
dai loro utilizzatori come specificamente destinati alla cura o alla prevenzione di stati di salute
patologici, comprendenti, a titolo esemplificativo, rimedi omeopatici, prodotti curativi erboristici,
integratori vitaminici, creme dermatologiche specifiche, ecc.. Seppure distribuiti in larga misura
nelle farmacie, nelle parafarmacie e nei corner salute della GDO, questi prodotti vengono
commercializzati anche altri tipi di unità di vendita, ad assortimento specializzato o despecializzato.
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La seconda categoria riguarda gli extrafarmaci con connotati “salutistici” in senso lato,
spesso conferiti loro da politiche di immagine di marca che fanno leva su aspettative di vario tipo
avvertite da specifici segmenti di utilizzatori potenziali. Questa categoria comprende prodotti
appartenenti a merceologie assai varie. A titolo esemplificativo: alimenti e bevande ipocaloriche,
integratori alimentari, normali creme solari, dentifrici con una spiccata immagine salutistica,
omogeneizzati per la prima infanzia, prodotti per l’igiene personale, alcune linee di giocattoli per i
bambini, shampoo e tinture per capelli, ecc. Agli extrafarmaci con connotati salutistici possono
essere anche assimilati numerosi articoli sanitari, specie di carattere ortopedico, ed apparecchiature
diagnostiche di uso domestico. I canali di distribuzione al dettaglio di questo variegato (e
difficilmente delimitabile) insieme di prodotti variano considerevolmente in funzione delle
categorie merceologiche di appartenenza e delle scelte dei loro canali di distribuzione al dettaglio da
parte dei produttori.
Tuttavia, per alcune linee di prodotti di marca, specie nel campo dei prodotti genericamente
definiti “di bellezza” (ma non solo), destinati a particolari segmenti di mercato, i quali percepiscono
la distribuzione nella farmacia come un elemento che, di per sé, garantisce livelli qualitativi
superiori, gli stessi produttori scelgono le farmacie come un canale di distribuzione preferenziale e,
in alcuni casi, esclusivo.
Anche in parecchie parafarmacie sono presenti assortimenti di extrafarmaci appartenenti a
categorie merceologiche varie, spesso aventi come comune denominatore, il loro carattere
“naturale” e, almeno apparentemente, di fattura artigianale, in confezioni che, in qualche caso, si
prestano anche ad acquisti di doni non usuali.
Nei corner salute della GDO, invece, gli extrafarmaci sono, in genere, assenti, in quanto la
loro collocazione, anche per quelli con spiccate connotazioni (effettive o di immagine) di carattere
“salutistico” avviene in altri reparti delle grandi strutture di vendita (prevalentemente ipermercati)
in cui i corner, con i loro assortimenti di farmaci SOP e OTC e di parafarmaci, sono inseriti. In
alcuni casi, fa però direttamente capo ai corner salute la vendita di piccoli apparecchi diagnostici di
uso domestico e il noleggio di supporti sanitari di vario tipo che possono anche richiedere consegne
e installazioni a domicilio.
Nella nostra analisi considereremo in tutti i suoi aspetti la distribuzione al dettaglio dei
parafarmaci, che si configura come la componente rilevante degli assortimenti e del fatturato sia
delle parafarmacie sia dei corner salute della GDO, mentre quella degli extrafarmaci di carattere
“salutistico” verrà richiamata solo allo scopo di integrare l’analisi dell’effettiva consistenza e della
peculiare dinamica del mercato delle farmacie.
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1.2 Impostazione dell’analisi: il contesto macroeconomico di riferimento
La nostra analisi ha, ovviamente, come proprio scenario macroeconomico di riferimento, la
situazione del nostro Paese. Dall’ormai lontano 1992 fino al 2007 (ossia fino alle soglie della
recessione che ha colpito tutti i Paesi UE) l’Italia ha manifestato un tasso medio annuo di crescita
del PIL assai inferiore a quelli, anch’essi modesti nel contesto mondiale, degli altri maggiori Paesi
dell’UE e successivamente, ha subito, più degli altri, gli effetti della crisi e non ha saputo esprimere,
negli anni più recenti, un’adeguata ripresa. In termini di capacità di crescita l’economia italiana è
quindi, da molti anni, in una situazione anomala nel contesto europeo.
Ciò che rende particolarmente negativa l’incapacità dell’economia italiana di attivare i
“motori della crescita” nel quadro delle condizioni profondamente mutate della competizione
globale è la concomitante abnorme dimensione del debito pubblico via via accumulato nel corso
degli anni.
Ottemperare ai vincoli imposti a tutti i Paesi dell’UE dalla dura disciplina comune dell’Euro
è divenuta quindi una necessità ineludibile per il nostro Paese. L’onerosa manovra di rientro,
richiesta nell’agosto 2011 dall’UE e finalizzata ad azzerare entro il 2013 il deficit annuale di
bilancio, avviando poi un lungo processo di riduzione del rapporto debito/PIL si è recentemente
dimostrata insufficiente a motivo, essenzialmente, di due fattori tra loro strettamente connessi: la
sfiducia nella comunità finanziaria internazionale nei confronti dell’affidabilità della politica
economica italiana, dimostrata dalla preoccupante crescita degli interessi richiesta per la
sottoscrizione dei titoli del debito pubblico, e l’oggettivo permanere di una sostanziale mancanza di
misure finalizzate, nonostante le difficoltà di bilancio, a determinare condizioni che consentano
tassi di crescita, seppure contenuti.
Per attivare il “motore della crescita”, sostanzialmente bloccato dagli anni ’80, sarebbe
essenziale far leva anche su incisivi processi di liberalizzazione nei settori in cui predominano le
rendite, oltre che su efficaci connessioni tra livelli di produttività e livelli di remunerazione, su
politiche fiscali che riducano gli oneri a carico dei lavoratori dipendenti e delle imprese e li
aumentino a carico dei percettori di rendite finanziarie e dei grandi patrimoni e su significative
riduzioni dei costi della politica e dei costi derivanti da procedure amministrative farraginose,
troppo lunghe e troppo complesse, oltre che su un contrasto più efficace nei confronti dell’evasione
fiscale, del riciclaggio e dell’infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico e
politico del Paese.
In sostanza sarebbe necessaria una vera e propria inversione di tendenza nella cultura (non
solo politica) ancora predominante in Italia, che – ormai da molti anni – premia di fatto gli
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“insiders” che riescono ad appropriarsi di rendite e penalizza i produttori di valore economico,
noncurante degli effetti negativi che ne derivano sull’occupazione, specie giovanile, e sulla stessa
capacità di fronteggiare gli attacchi (non solo speculativi) del mercato finanziario internazionale.
1.3 Lo “stop-and-go” dei processi di liberalizzazione
Come già si è accennato, tra le misure di politica economica che dovrebbero essere prese in
Italia per cercare di riattivare i meccanismi della crescita e di ridurre l’erosione del potere di
acquisto della maggioranza dei cittadini, assumono un particolare rilievo dei processi di
liberalizzazione nei settori in cui predominano le rendite.
Come ha recentemente ribadito il governatore della Banca d’Italia nella sua relazione
annuale (2010), sarebbe essenziale “pervenire rapidamente ad un sistema di concorrenza regolata,
specie nei servizi di pubblica utilità nei quali andrebbero tutelati assai più gli interessi collettivi che
quelli dei percettori di rendite”. Come si vedrà tra breve anche la filiera dei farmaci, per parecchi
aspetti, rientra tra questi settori.
Il costo delle distorsioni che derivano dal mantenimento di posizioni di rendita ingiustificate
nel settore in esame viene scaricato in larga misura sul SSN, già sottoposto a provvedimenti, in gran
parte comunque necessari, di razionalizzazione e di sostanziale blocco delle risorse ad esso
dedicate, ed in misura minore, ma crescente, a carico degli stessi utilizzatori finali, compresi i
cittadini meno abbienti.
Le misure di politica economica finalizzate specificamente ad avviare, in vari settori dei
servizi, i necessari processi di liberalizzazione, in Italia hanno però finora sperimentato uno “stopand-go” preoccupante, ossia, dopo il loro avvio, sono state sostanzialmente bloccate e, in alcuni
casi, sono state annullate, tornando alle situazioni di partenza, a tutto vantaggio del
riconsolidamento di diffuse posizioni di rendita in gran parte ingiustificate sotto il profilo
economico.
Dopo la breve stagione delle prime liberalizzazioni del 2006 -2007, in cui si inserisce anche
quella della distribuzione dei farmaci OTC e SOP, come ha affermato nella relazione annuale 2010
l’allora presidente uscente dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), “il
percorso virtuoso si è presto interrotto, offrendo anzi a molte categorie di percettori di rendite
l’occasione propizia per tornare ad invocare con successo interventi protettivi dello Stato”. Anche
l’impegno, contenuto nel programma governativo del 2008, ed approvato dal Parlamento, di
procedere ogni anno all’emanazione di una legge quadro sulla concorrenza è stato disatteso.
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L’unico DDL in merito, approvato nelle competenti commissioni parlamentari nel 2010, non è
ancora stato discusso. Contemporaneamente, però, sono state approvate misure specifiche che
hanno ripristinato, almeno in parte, situazioni superate con le leggi del 2006-2007 (ad esempio la
reintroduzione dei tariffari minimi stabiliti dagli ordini professionali) e solo l’intervento preventivo
dell’Antitrust ha impedito che venissero cancellate alcune norme pro-competitive rilevanti (ad
esempio sulla distribuzione dei carburanti).
Nel più ampio contesto di riferimento sin qui richiamato, la filiera dei farmaci ha alcune
particolarità.
Anzitutto – come si è già accennato – è, in larga misura, una componente del SSN. Come
tale è sottoposta a principi ed a procedure di indirizzo, determinazione dei prezzi e dei margini dei
vari attori coinvolti (produttori, grossisti, farmacie) e controllo di carattere eminentemente
pubblicistico. In secondo luogo, per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio, essa implica per i
farmaci in senso stretto (classi A, C, SOP e OTC) per ragioni di competenza e di tutela della salute,
la presenza nella loro vendita di professionisti abilitati, iscritti agli albi professionali, cui si
aggiunge, nel caso italiano, per i farmaci di classe A e C, una distribuzione sul territorio dei loro
punti di vendita contingentata (pianta organica) e sottoposta a rigide barriere istituzionali all’entrata.
La “corporazione” dei farmacisti titolari di farmacie convenzionate con il SSN opera
pertanto in questo campo non solo con diritti di esclusiva, ma anche “a numero chiuso”. Essa è
inoltre organizzata in un’unica rappresentanza di categoria (Federfarma)assai rilevante anche come
gruppo di pressione politico.
In terzo luogo i rapporti industria-distribuzione-consumo presentano nel settore dei farmaci
la peculiarità di includere tra gli attori anche prescrittori (medici di famiglia e specialisti), dal cui
operato dipende, in larga misura, la selezione dei prodotti che vengono scelti ed impiegati.
Naturalmente ciò avviene in misura più limitata (ma non nulla, in quanto, in questo caso, non è
richiesta alcuna prescrizione, ma non sono assenti consigli da parte dei medici) per i farmaci SOP.
Per gli OTC, invece – come avviene per i normali beni di consumo – il ruolo dei prescrittori
sostanzialmente si annulla nei comparti in cui predominano prodotti di marca intensamente
pubblicizzati attraverso i mass-media, venduti spesso con “premium prices” rilevanti.
In quarto luogo, nella percezione degli utilizzatori finali, il farmaco (ma ciò vale anche per i
parafarmaci) non è equiparabile ai beni di consumo per quanto concerne la valutazione del suo
“value for money”. Questo aspetto è ovvio ed è dimostrato ampiamente nell’esperienza statunitense,
ancora in larga misura basata su principi privatistici in campo sanitario, per i farmaci innovativi, i
cui livelli di prezzo sono di gran lunga più elevati rispetto a quelli degli altri farmaci nelle fasi
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iniziali del loro ciclo di vita come “on patent”. È invece meno ovvio per i farmaci “off patent” che
presentano alternative di scelta tra prodotti “equivalenti” quanto ad efficacia terapeutica, specie nei
casi in cui tali prodotti sono a carico dell’utilizzatore finale. Al di sotto di determinate soglie di
prezzo comparato, il consumatore avverte però difficoltà di scelta.
Una significativa sperimentazione in proposito è stata effettuata con strumenti di laboratorio
di carattere neuronale su un piccolo gruppo di acquirenti abituali di prodotti di marca commerciale
d’insegna, allo scopo di individuare le pulsioni inconsce sottostanti alla valutazione del prezzo
comparato del primo prodotto “equivalente” di marca commerciale di classe SOP. Dopo aver
evidenziato il prezzo del prodotto “off patent” branded più noto e la completa identità quanto ad
efficacia terapeutica del nuovo “equivalente” di marca commerciale, ai partecipanti all’esperimento
veniva chiesto di scegliere tra tre eventuali prezzi di quest’ultimo, tutti molto inferiori al prezzo del
brand di riferimento. Risultò una netta convergenza sull’ipotetico prezzo intermedio, non sul più
basso e, ciò che più conta, gli strumenti con cui venivano individuati i meccanismi neuronali
inconsci presenti durante la scelta dimostravano la “correttezza” neuronale del risultato (Lugli,
2010).
Se non sono presenti condizioni che facilitano la concorrenza in tutta la filiera del farmaco si
può forse concludere che le difese percettive dei consumatori possono paradossalmente ostacolare
gli operatori più competitivi nell’esprimere appieno il loro potenziale di concorrenza di prezzo,
nelle fasce liberalizzate del mercato.
Da ultimo, ma non meno importante ai fini della nostra analisi, il farmaco non può essere
considerato solo come un oggetto di transazioni commerciali, in quanto si configura anche come
una componente strumentale di un bene pubblico o collettivo: la salute umana, istituzionalmente
tutelato anche a livello costituzionale.
Questa sua connotazione primaria sul piano strettamente giuridico-formale, consente anche
di sostenere la tesi (ampiamente usata strumentalmente da Federfarma) secondo la quale i vincoli
alla concorrenza nel settore della distribuzione dei farmaci in senso stretto sono coerenti con il
principio generale (art. 41 della Costituzione) che ammette interventi legislativi finalizzati a ridurre
la libertà di iniziativa economica (qualora essa contrasti con “l’utilità sociale” o possa “recare
danno” al perseguimento di fini sovraordinati - la Costituzione indica la sicurezza, la libertà e la
dignità umana, ma estensivamente. Ciò può riferirsi anche alla tutela della salute, che la stessa Carta
costituzionale (art. 32) indica espressamente come un diritto primario dei cittadini).
Scorrendo, anche molto sommariamente, la sequenza legislativa riguardante la distribuzione
dei farmaci, il riferimento, diretto o indiretto, all’art. 41 della Costituzione è costantemente presente
anche in normative che introducono limitazioni della concorrenza, da un lato assai poco rilevanti
11
rispetto alla finalità sovraordinata di maggiore tutela della salute, dall’altro tali da tutelare invece
posizioni di rendita che – come già si è osservato – si ripercuotono inevitabilmente in modo
negativo sulla collettività. Tuttavia questo impianto normativo ha sistematicamente reso inoperanti i
ricorsi alla Corte Costituzionale, le cui sentenze non possono entrare nel merito della valutazione
riguardante l’idoneità degli strumenti previsti dalle leggi rispetto ai fini che esse espressamente
dichiarano di perseguire, ma devono vertere sulla coerenza (anche solo giuridico-formale) dei loro
fini con i principi costituzionali.
Ben diverso è invece – come si specificherà esaminando l’evoluzione delle normative
specifiche e delle loro connessioni – il ruolo assolto dall’AGCM sia nel valutare il rapporto tra
strumenti adottati e fini perseguiti nelle normative, sia nello sviluppare analisi dei costi e dei
benefici derivanti dalla loro applicazione, sia nell’intervenire, seppure nei limiti del proprio potere
sanzionatorio, nei confronti di comportamenti specifici di abuso di posizioni dominanti e, più in
generale, di carattere palesemente anticompetitivo, anche con riferimento alla “vexata quaestio”
delle limitazioni all’esercizio di attività professionali.
Anche a livello europeo è riscontrabile un’analoga differenza, derivante dalla diversità dei
relativi ruoli, tra la Corte di Giustizia europea e la Commissione europea (nella sua componente
Antitrust), entrambe intervenute più volte relativamente alle distorsioni nel campo della filiera dei
farmaci nei confronti di alcuni Paesi dell’UE, tra cui l’Italia, Paesi che presentano modalità di
organizzazione della filiera eccessivamente vincolistiche.
Tenendo conto delle specificità della filiera dei farmaci sin qui sinteticamente richiamate,
nell’impostare la nostra analisi, che è stata svolta per conto di COOP Liguria, ci siamo trovati di
fronte a due alternative:
A. Limitarci a concentrare il nostro esame sui problemi economico-aziendali, gestionali
e di marketing dei corner salute della GDO ed in modo particolare di quelli di COOP
Italia, approfondendo alcune peculiarità di quelli di COOP Liguria;
B. Assumere invece come oggetto di analisi anche alcuni aspetti di più ampia portata
riguardanti le disfunzioni dell’intera filiera dei farmaci, allo scopo di fornire
documentati spunti di riflessione ai decisori politici ed alla pubblica opinione
sull’opportunità di collocare in un più ampio contesto di riforma organica, ispirata a
principi pro-competitivi, l’ulteriore sviluppo dei corner salute della GDO, sviluppo
che è stato fortemente vincolato dal loro confinamento alla sola commercializzazione
dei farmaci SOP e OTC, seppure in strutture che devono disporre per legge di
farmacisti abilitati ed iscritti all’Albo nel processo di vendita al pubblico, e che si
12
configurano come reparti delle grandi unità di vendita che le ospitano, rigidamente
separati dagli altri.
Optando per la seconda alternativa, in ciò incoraggiati dal committente, ed assumendo una
prospettiva di analisi di interesse non solo per COOP Liguria sotto il profilo aziendalistico, ma
anche – e specialmente – per l’associazione delle cooperative (Lega COOP ed altre associazioni
oggi convergenti in un movimento unitario) sotto il profilo del contrasto alle rendite socialmente ed
economicamente ingiustificate via via consolidatesi nella filiera dei farmaci, abbiamo assunto le
ipotesi di lavoro principali di seguito specificate, che saranno oggetto di verifica, anche empirica,
nel corso della nostra analisi.
La prima ipotesi di lavoro può essere enunciata sinteticamente nei seguenti termini. La
strenua difesa dell’esclusiva per la distribuzione al dettaglio nelle farmacie convenzionate con il
SSN dei farmaci di classe C, sottoposti a prescrizione medica, ma a totale carico degli utilizzatori, si
basa su motivazioni alquanto deboli e controvertibili, insistentemente sostenute da Federfarma, ma
sempre più oggetto di un riesame critico nei tavoli di lavoro attualmente operanti a livello nazionale
per l’aggiornamento delle norme vigenti sulla produzione e sulla distribuzione dei farmaci. È
evidente che, più di altre possibili variazioni, il superamento di questo specifico vincolo
dischiuderebbe spazi abbastanza rilevanti per lo sviluppo delle parafarmacie e dei corner salute
della GDO, arrecando consistenti vantaggi, in termini di risparmi (ossia di difesa del loro potere
d’acquisto) ai consumatori finali.
La seconda ipotesi di lavoro, la cui verifica richiede un approfondito esame delle
connessioni tra i diversi meccanismi che attualmente concorrono alla conservazione di rendite
economicamente ingiustificate a vantaggio degli “insiders” nella distribuzione dei farmaci, può
essere enunciata nei seguenti termini. Senza pervenire all’apertura agli “outsiders” (parafarmacie e
corner salute della GDO) della commercializzazione dei farmaci di classe C, introducendo
significativi elementi di concorrenza esterna con i quali gli “insiders” (farmacie convenzionate con
il SSN) dovranno comunque misurarsi nelle loro politiche di “pricing” in questo campo, anche
l’introduzione di modalità più avanzate ed economicamente più corrette per la remunerazione da
parte del SSN dell’attività delle farmacie convenzionate nella distribuzione territoriale dei farmaci
di classe A (ad esempio modalità di “fee for service”, ossia di remunerazione fissa per confezione
anziché – come avviene attualmente – percentuale sul prezzo amministrato al consumo) possono
consentire manovre di “sussidio incrociato” a danno dei consumatori.
Nei costi di distribuzione al dettaglio dei farmaci (come di qualsiasi altro prodotto)
prevalgono infatti le componenti a struttura fissa (costi fissi e costi di esercizio fissi). Nel caso delle
13
farmacie tali costi sono inoltre prevalentemente tra loro congiunti (ossia riferibili sia alla
commercializzazione dei farmaci sia a quella degli altri prodotti venduti).
Ne consegue che, in un mercato protetto (privo di concorrenza esterna) che, sui prodotti a
carico del consumatore può applicare ricarichi vincolati solo da una competizione interna (tra
farmacie) alquanto debole, mentre sui prodotti a carico del SSN riceve un “fee” per ogni confezione
venduta o per ogni atto di vendita, possono svilupparsi operazioni di sussidio incrociato, tendenti ad
acquisire livelli di profitto anche molto superiori ai livelli normali.
La terza ipotesi di lavoro, non strettamente riguardante l’estensione alla parafarmacie ed ai
corner salute della GDO della possibilità di commercializzare i farmaci di classe C, si riferisce alle
connessioni tra altri aspetti dell’attuale organizzazione della filiera del farmaco, che facilitano la
conservazione di comportamenti ispirati dall’obiettivo di conservare, il più possibile, l’acquisizione
di rendite economicamente ingiustificate. Tali aspetti verranno via via considerati nel corso
dell’analisi. Tra di essi figurano l’organizzazione “a numero chiuso” e vincolato quanto a
distribuzione territoriale delle farmacie, che, congiuntamente al “bundling” tra proprietà ed
esercizio di tali punti di vendita ed ai vincoli alla formazione di catene specializzate di distribuzione
in questo campo, rendono la categoria dei farmacisti proprietari di esercizi convenzionati con il
SSN, una corporazione d’altri tempi, peraltro dotata di un forte potere di condizionamento su tutti
gli stadi della filiera del farmaco. Senza rimuovere, almeno in parte, le barriere all’entrata di
carattere istituzionale che caratterizzano il settore, barriere sempre meno giustificabili come
strumenti necessari per tutelare maggiormente il diritto alla salute di tutti i cittadini, è nostra
opinione (ed in questo consiste la nostra terza ipotesi generale di lavoro) che anche i lodevoli sforzi
dell’AIFA per ridurre il costo dei farmaci a carico del SSN e dei cittadini siano destinati a scontrarsi
non solo con le legittime difese delle posizioni dei singoli attori operanti nella filiera (produttori
innovativi,
altri produttori,
organizzazioni preposte
all’approvvigionamento delle
ASL,
organizzazioni di commercio all’ingrosso, varie tipologie di distributori al dettaglio), ma anche con
una sorta di “coalizione degli insiders”, guidata da alcuni grandi produttori multinazionali e da
Federfarma, il cui obiettivo primario è quello di evitare che le normali logiche di mercato ed i
normali meccanismi di “distruzione creatrice” che le caratterizzano possano penetrare anche nel
“fortilizio” della filiera del farmaco.
Abbiamo ritenuto opportuno esprimere fin dall’inizio le principali ipotesi di lavoro
sottostanti alla nostra analisi, in termini molto drastici (che le successive verifiche potranno anche
dimostrare eccessivi), allo scopo di evidenziare l’importanza che in essa assumono, accanto agli
aspetti di carattere economico, anche quelli di carattere normativo-istituzionale.
14
Naturalmente l’analisi investirà anche molti altri aspetti, in modo più o meno approfondito,
aspetti tutti necessari per meglio verificare le nostre ipotesi di lavoro, quali, in particolare: le
analogie e le differenze principali tra la situazione italiana e quella degli altri maggiori Paesi
dell’Unione Europea; le posizioni ed i provvedimenti specifici, nel campo oggetto del nostro esame,
dell’AGCM e dell’Antitrust europeo; alcuni cenni sugli orientamenti di marketing dei principali tipi
di attori operanti nella produzione dei farmaci, dei parafarmaci e degli extrafarmaci con
connotazioni “salutistiche” e sugli atteggiamenti nei confronti dei vari tipi di unità di vendita e, per i
farmaci, nei confronti dei prescrittori; le variegate posizioni di questi ultimi; i principali problemi di
carattere gestionale delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner salute della GDO.
La sequenza degli argomenti oggetto della nostra analisi sarà articolata nel modo di seguito
indicato.
Verranno anzitutto esaminate la consistenza (in quantità e in valore) della domanda
nazionale di farmaci in senso stretto soggetti a prescrizione medica, ed i suoi recenti andamenti,
soffermandosi, in modo particolare, sulle determinanti di tali andamenti, sulle quali si accennerà
anche ad alcune specificità rispetto agli altri grandi Paesi europei, che riflettono principalmente (ma
non solo) le diverse normative sottostanti al “pricing”. L’analisi della domanda proseguirà con una
serie di valutazioni quantitative anche sulla domanda dei farmaci non soggetti a prescrizione medica
(OTC e SOP), dei parafarmaci e, con esclusivo riferimento alla domanda che fa capo alle farmacie,
degli extrafarmaci con connotazioni “salutistiche”.
Passando a considerare l’offerta, dopo aver richiamato la struttura che assume in Italia la
filiera del farmaco ed essersi soffermati brevemente sulla struttura dell’industria farmaceutica
nazionale e delle filiali italiane di imprese multinazionali, si considereranno, in stretta sintesi le
articolazioni delle attività di distribuzione intermedia (all’ingrosso) ed i problemi specifici di questo
stadio della filiera.
A questo punto l’analisi investirà, in modo più esteso, la distribuzione al dettaglio, per
quanto riguarda sia le farmacie, sia le parafarmacie, sia i corner della GDO. Su questi ultimi,
coerentemente con l’oggetto della nostra commessa, si approfondiranno gli aspetti gestionali, di
marketing ed economico-finanziari, con particolare riferimento ai corner di COOP Italia.
Nell’analisi della distribuzione al dettaglio, si cercherà anche di valutare, sotto il profilo
economico-tecnico e del marketing, i vari tipi di unità di vendita (anche tra le farmacie sono infatti
ravvisabili tipologie alquanto diverse sotto i profili sopra indicati) e di verificare criticamente, sulla
base di analisi e di stime quantitative, l’effettiva “ratio” di alcune generalizzazioni correnti,
supportate, in larga misura, da Federfarma.
15
Esaurita l’analisi “oggettiva” delle situazioni e delle tendenze in atto, il nostro esame si
sposterà su una valutazione dei vari aspetti normativo-istituzionali che caratterizzano, orientano e
vincolano la filiera dei farmaci, aspetti che verranno considerati sia singolarmente sia nelle loro
interconnessioni, tenendo anche conto di alcune analogie e, specialmente, di alcune differenze con
quelli di altri grandi Paesi dell’Unione Europea, nei quali – come in Italia – i servizi sanitari e, nel
loro ambito, anche la distribuzione dei farmaci hanno un carattere prevalentemente pubblicistico e
sono regolati da articolate normative. In questa parte dell’analisi verranno anche richiamati alcuni
interventi dell’AGCM e dell’Antitrust europeo, che, peraltro, non sono riusciti a modificare in
modo sostanziale i comportamenti dei principali attori della filiera, pur avendo sanzionato alcune
specifiche e palesi distorsioni. Si prenderanno anche in considerazione alcune apprezzabili proposte
di cambiamento reiteratamente avanzate dall’Istituto CERM, specializzato nell’esame dei problemi
di regolazione della concorrenza e di ricerca di soluzioni che privilegino gli interessi collettivi pur
nella complessa “giungla” delle normative, specie in tema di prezzi amministrati dei farmaci,
proposte ed indicazioni che in gran parte condividiamo. Si cercherà, infine, di misurarsi con le
posizioni via via emergenti nei “tavoli di lavoro” ministeriali ed interministeriali da tempo alle
prese con i problemi di riforma di varie normative specifiche riguardanti la filiera dei farmaci.
Un particolare approfondimento degli aspetti di carattere normativo, i cui effetti possono
essere, almeno in parte, documentati con dati empirici, riguarda i recenti interventi dell’AIFA sui
prezzi di riferimento dei farmaci di classe A e sui conseguenti valori a carico del servizio sanitario
nazionale, nonché sui differenziali a carico degli utenti che scelgono alternative più costose tra
prodotti “off patent” con principi attivi e posologie equivalenti. Su questo rilevante aspetto e, più in
generale, sulle specifiche normative riguardanti i criteri di “pricing” amministrato e la loro
evoluzione ci soffermeremo nella nostra analisi, introducendo anche alcuni elementi di confronto
internazionale.
Sulla base dei risultati delle analisi “oggettive” (stato di fatto e tendenze in atto nella
distribuzione dei farmaci) e delle valutazioni riguardanti gli effetti delle normative in vigore verrà
infine valutato se – ed in che misura – le ipotesi generali di lavoro trovano conferma, quali sono le
principali difficoltà da superare e, specialmente, quali percorsi possono essere seguiti in un
orizzonte temporale di breve-medio periodo, per migliorare la situazione complessiva della filiera
nell’interesse della collettività, percorsi che, tuttavia, sono oggi ancora molto incerti, perché su di
essi si riflette l’incertezza sull’evoluzione della situazione politica e socio-economica del Paese.
16
2. LA DOMANDA DI FARMACI
2.1. Premessa
Questo capitolo si propone come obiettivo principale l’approfondimento dell’analisi della
domanda di farmaci. Il capitolo si apre con la descrizione delle principali determinanti del consumo
di beni e servizi sanitari: l’evoluzione complessiva di lungo periodo della domanda è, infatti, il
risultato della combinazione di diversi fattori, che vanno pertanto analizzati singolarmente per
meglio comprenderne la dinamica.
In particolare, se è vero che la variazione dei consumi di farmaci deriva dalla variazione di
volumi, prezzi e mix (diversa composizione dei consumi di farmaci, che può portare anche a
variazioni nei consumi in valore nella misura in cui si tenda a privilegiare la presenza di medicinali
a maggiore o minore costo), è altrettanto vero che la domanda è influenzata da molteplici fattori,
alcuni riconducibili al consumatore (quelli di natura socio-demografica, economica, socioculturale), altri al macroambiente in senso più lato (quelli di carattere naturale, tecnologico e
politico-legali, tra cui l’assetto del sistema sanitario).
Il paragrafo 2 approfondisce il tema della salute degli italiani, evidenziando, sulla base dei
dati Multiscopo dell’ISTAT e dell’osservatorio PASSI la percezione delle proprie condizioni da
parte degli italiani, nonché l’effettiva diffusione di alcune patologie. Il paragrafo 3 descrive invece
il rapporto che gli italiani hanno con i farmaci, in termini di utilizzazione, modalità di accesso,
percezione dei farmaci di automedicazione. Il paragrafo 4 illustra quindi le principali caratteristiche
dei dati relativi alla domanda dei farmaci di classe A, C, SOP ed OTC. Infine vengono approfonditi
i fattori che influenzano la domanda di beni e servizi nel campo sanitario, incluse le caratteristiche
della relazione medico-paziente.
17
2.2 Gli italiani e la salute
Il sistema di sorveglianza PASSI (PASSI, 2010) 2 evidenzia che il 67,7% degli italiani ha
una percezione positiva rispetto al proprio stato di salute e giudica di stare bene o molto bene. Il
29% circa dichiara uno stato di salute discreto, e solo il 3% di stare male o molto male.
La soddisfazione per il proprio stato di salute è maggiore per le persone giovani, di sesso
maschile, con livello di istruzione più elevato, senza difficoltà economiche e senza importanti
malattie croniche.
La presenza di malattie croniche è un indice rilevante della salute della popolazione di un
Paese, soprattutto se, come l’Italia, è caratterizzato da un forte processo di invecchiamento: questo
tipo di patologie, infatti, spesso non sono suscettibili di guarigione e condizionano la qualità della
vita degli individui che ne sono affetti, compromettendone l’autonomia.
L’indagine
Multiscopo
dell’ISTAT
(ISTAT
2007)
evidenzia
che,
tra
gli
ultrasessantacinquenni, oltre il 39% (45,5% degli uomini) soffre di almeno una malattia cronica e
che le malattie croniche più diffuse sono l’ipertensione (40,5%), l’artrosi/artrite (56,4%),
l’osteoporosi (18,8%) ed il diabete (14,4%).
Sempre tra gli anziani risultano molto diffuse le disabilità fisiche (circa il 18% ne è affetto,
ma con trend in diminuzione rispetto agli anni precedenti, conformemente a quanto avviene in altri
Paesi europei).
Il 2,1% della popolazione (esclusi coloro che sono ricoverati in istituti) maggiore di 6 anni è
costretta a stare a letto, su una sedia o rimanere nella propria abitazione per impedimenti di tipo
fisico o psichico. Tra le persone anziane la percentuale raggiunge l’8,7% (10,9% delle donne contro
il 5,6% degli uomini) e tra gli ultraottantenni la percentuale sale al 22,3% ed è sempre più elevata
tra le donne (25,5% contro 16,1%).
Il 35,4% dei disabili vive solo ed il 6,4% con altri disabili, mentre il 58,3% convive con
almeno una persona non disabile. Su 100 famiglie con presenza di disabili, quasi l’80% (ISTAT
2007) non riceve assistenza dai servizi pubblici a domicilio, sebbene il 31,9% delle persone disabili
sole e il 46,8% delle famiglie in cui tutti i componenti sono disabili dichiarino che avrebbero
bisogno di assistenza sanitaria a domicilio. Ovviamente l’offerta di assistenza domiciliare varia tra
Nord e Sud Italia, anche se su tutto il territorio nazionale è esigua la quota di famiglie assistite.
2
PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) è il sistema di sorveglianza del Centro nazionale di
epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), con l’obiettivo di
effettuare un monitoraggio a 360 gradi sullo stato di salute della popolazione adulta (18-69 anni) italiana, attraverso la
rilevazione sistematica e continua delle abitudini, degli stili di vita e dello stato di attuazione dei programmi di
intervento che il Paese sta realizzando per modificare i comportamenti a rischio.
18
Le famiglie con disabili contano perciò sulle reti informali, costituite da parenti, amici,
vicini ed associazioni. Il 3% circa dei disabili soli ed il 5,7% dei disabili che vivono con altri
disabili dichiarano però di non poter contare su questo tipo di supporto.
Le persone affette da malattia mentale sono invece oltre 500 mila (0,9% della popolazione,
5% degli ultraottantenni).
Il 5,3% delle persone (7,4% delle donne e 3,1% degli uomini) dichiara di soffrire di ansietà
cronica o depressione. L’indagine PASSI conferma che le persone più propense alla depressione
sono le persone di età più avanzata, di sesso femminile, con un basso livello di istruzione, difficoltà
economiche e le persone affette da una o più malattie croniche.
L’indagine Multiscopo dell’ISTAT evidenzia infine che vi è una forte disomogeneità delle
condizioni di salute della popolazione a livello territoriale, con le regioni del Sud e dell’Italia
insulare che presentano situazioni maggiormente critiche, per la presenza sia di patologie croniche
serie, sia di disabilità (anche se la maggiore presenza di persone disabili nelle famiglie del Sud è in
parte dovuta al minor ricorso al ricovero in strutture sanitarie, dovuto anche alla carenza strutturale
di posti-letto nelle strutture socio-assistenziali).
Per quanto riguarda invece i piccoli disturbi, un’indagine del Censis (2005) evidenzia che il
46,6% degli italiani dichiara di soffrire molto o abbastanza di piccoli disturbi, quali mal di testa,
mal di schiena, problemi intestinali, raffreddori, tosse ecc (quasi il 52% per le donne, 42,3% per gli
uomini). Queste patologie, per quanto piccole, incidono in maniera molto o abbastanza negativa
sulla vita di oltre il 38% degli italiani (il 41,6% tra le donne). I piccoli disturbi più diffusi sono mal
di testa (42,7% degli italiani ne ha sofferto nell’ultimo anno), raffreddore, tosse, mal di gola e
problemi respiratori (34,7%), mal di schiena, dolori muscolari (32,4%) e influenza (23,2%).
E’ da rilevare (Censis, 2005) che le piccole patologie hanno comunque un impatto
abbastanza rilevante sulla vita della persona che ne è affetta: nel 19% dei casi (22% per gli uomini)
il verificarsi di un disturbo comporta infatti la rinuncia alle attività programmate (lavoro, studio,
relazioni,attività del tempo libero ecc.), nel 29%, invece, la limitazione a quelle ritenute
indispensabili.
2.3 I cittadini italiani e l’uso dei farmaci
L’indagine Multiscopo dell’ISTAT (ISTAT 2007) evidenzia che il 45,2% della popolazione
italiana ha assunto farmaci nelle 2 settimane precedenti l’intervista: un terzo della popolazione
(32,9%) utilizza regolarmente, per tutto l’anno, farmaci prescritti da un medico.
19
Il consumo di farmaci è connesso all’età: tra i bambini di 0-14 anni solo il 22,4% ha
utilizzato medicinali nelle due settimane precedenti l’intervista, percentuale che sale al 89,5% tra gli
ultraottantenni. Sono le donne a consumare più farmaci rispetto agli uomini (50,7% contro 39,5%),
mentre il consumo di farmaci è più diffuso al Nord che al Sud e nelle Isole.
La maggior parte delle persone (82,9%) ha assunto farmaci su prescrizione del medico, il
16,7% di propria iniziativa, il 3% su iniziativa dei genitori o indicazione di un'altra persona. Le
persone anziane riferiscono più frequentemente di aver assunto farmaci su prescrizione del medico
(97,5% tra le persone di 65 anni e più), mentre presentano la quota minima di chi assume farmaci di
propria iniziativa (3,4%) che raggiunge invece il suo massimo tra le persone di 25-34 anni (41,3%).
Ben il 27,2% delle persone fa uso quotidiano di farmaci (30,5% per le donne). Il consumo
quotidiano dei farmaci aumenta con l’età: da 3,6% tra i bambini fino a 14 anni al massimo di 81,2%
tra gli ultraottantenni. La percentuale di utilizzo quotidiano diminuisce invece al crescere del titolo
di studio tra le persone di 45-64 anni. Il valore va dal 45,2% tra le persone con più basso titolo di
studio al 32,2% tra i più istruiti. Dal punto di vista territoriale, la percentuale di consumatori
giornalieri è più alta nel Nord-est (circa 29%) rispetto al Sud (25%).
Tra le persone che utilizzano farmaci tutti i giorni, il 60% ne consuma fino a due tipi, mentre
un quarto di esse ne assume quattro o più tipi diversi, con la percentuale che sale al 40% tra gli
ultraottantenni . Ben il 75,9% dei consumatori quotidiani di farmaci è disabile o malato cronico o
riferisce cattive condizioni di salute. Tra le persone che dichiarano di stare male o molto male in
salute, il consumo quotidiano di farmaci sale all’85,9%, oltre il triplo rispetto alla media. Anche tale
percentuale aumenta con l’età ed è più alta tra le donne.
Per quanto riguarda l’automedicazione, si può notare come essa sia ampiamente diffusa tra
gli italiani (Anifa, 2008): circa il 75% ha utilizzato un farmaco di questo tipo nell’ultimo anno e
circa il 50% nell’ultimo mese.
Il profilo tipico della persona che attua questo tipo di comportamento è costituito dai giovani
adulti, con i livelli di istruzione più elevata, attenti ad una cultura della salute più evoluta e
competente.
Il motivo più frequente per cui si ricorre al medicinale da automedicazione è di tipo
sintomatico, quale la gestione episodica del dolore (come il mal di testa) e del disturbo (come tosse
ed influenza). L’indagine Censis (2005) evidenzia peraltro che l’uso di un farmaco nell’80% circa
dei casi ha avuto un ruolo determinante nel consentire alle persone affette da una piccola patologia
di effettuare le attività previste (82% per rimanere al lavoro).
Sempre Censis (2005), evidenzia che in presenza di un piccolo disturbo il 44,3% degli
italiani si è curato da solo prendendo un farmaco in cui ha fiducia (il 54,5% dei laureati), il 37% si è
20
rivolto al medico (42,4% tra le persone con titolo di studio uguale o inferiore alle elementari), il
9,7% si è curato da solo con metodi naturali ed il 5,3% si è rivolto al farmacista. L’autocura è il
comportamento prevalente di fronte alle piccole patologie e, in particolare, il ricorso ad un farmaco
nel quale si ha fiducia, presumibilmente perché si ha consuetudine con esso e con i suoi effetti.
Sono soprattutto i laureati a definire decisivo o importante il ruolo del farmaco nel neutralizzare
l’ostacolo rappresentato dai piccoli disturbi, con quasi il 34% che lo definisce come decisivo.
L’automedicazione, peraltro, non avviene fuori controllo, ma, pur utilizzando farmaci senza
obbligo di ricetta (o per cui è necessaria la prescrizione, ma noti al paziente) viene effettuata
ricorrendo al parere di esperti (soprattutto il medico). Il farmacista non sembra costituire un punto
di riferimento primario: con la metà delle preferenze rispetto al medico (18% contro il 40%), si
colloca infatti dopo il consiglio di amici e parenti (20%) e a poca distanza dalla pubblicità (12%).
L’immagine del farmaco da automedicazione è prevalentemente positiva: anzitutto, per gli
aspetti di servizio (comodità, facilità d’uso, adeguatezza delle informazioni …) ma anche, per quelli
di efficacia e di sicurezza. L’aspetto più debole è costituito dalla capacità esplicativa della
pubblicità e dal prezzo (ritenuti adeguati, rispettivamente, dal 55% e 54% dei cittadini).
Sempre secondo i dati Anifa (2008), i cittadini sono abbastanza “tiepidi” rispetto all’ipotesi
di un incremento del numero di farmaci da automedicazione a disposizione, mentre il 73% dichiara
che preferirebbe avere un più libero accesso ai farmaci.
Più del 70% dei cittadini è peraltro interessato ad aumentare il proprio bagaglio informativo,
per accrescere la propria competenza nella gestione dell’autocura.
I canali di informazione utilizzati sono molteplici: accanto al medico, figura centrale per la
consulenza, vi sono i mass media tradizionali (TV, carta stampata, ed anche radio), i nuovi media
(Internet, presso un pubblico, ovviamente, giovane e istruito) ed infine il passaparola di amici e
parenti. Ancora una volta, il farmacista, pur ritenuto una fonte informativa importante, nelle
preferenze si colloca addirittura dopo Internet.
Per quanto riguarda infine la marca, si può osservare che solo il 24% dei cittadini ricorda il
“bollino rosso” come elemento di identificazione dei farmaci da automedicazione, mentre il 76%
non ricorda alcun segno distintivo. Il brand di prodotto, invece, gioca un ruolo rilevante: è percepito
infatti da oltre l’80% dei cittadini come un elemento in grado di garantirne l’efficacia, la sicurezza,
la qualità.
21
2.4 La domanda di farmaci
La spesa farmaceutica nel 2010 è stata pari a circa 26 miliardi di Euro (Osmed 2010), di cui
oltre il 75% a carico del Servizio Sanitario Nazionale. I farmaci di automedicazione hanno
costituito il 7,9% della spesa complessiva, pari a 2 miliardi di Euro circa (tab. 1).
Tabella 1: La composizione della spesa farmaceutica (Fonte: Osmed, 2010)
Spesa
%
Classe A-SSN
12.985
49,8
Classe A privato
895
3,5
Classe C con ricetta
3.114
11,9
Automedicazione (farmacie pubbliche e private)
2.060
7,9
ASL, Aziende ospedaliere, RIA e Penitenziari
7.015
26,9
Totale
26.068
100,0
I farmaci più utilizzati (tab. 2) sono quelli relativi al sistema cardiovascolare (per il 93%
circa a carico del SSN), con oltre 5 miliardi di Euro, seguiti dai farmaci gastrointestinali, i farmaci
per il sistema nervoso centrale e gli antineoplastici (in larga misura erogati dalle strutture
pubbliche).
Le categorie maggiormente a carico dei cittadini sono i farmaci dermatologici, i farmaci
genito-urinari ed ormoni sessuali e i farmaci dell’apparato muscolo-scheletrico. Tra i prodotti per
l’automedicazione prevalgono, oltre ai dermatologici ed i medicinali relativi all’apparato muscoloscheletrico, quelli curativi per il sistema respiratorio.
22
Tabella 2: La composizione percentuale della spesa farmaceutica 2010 per I livello ATC
(ossia gruppo anatomico principale, bersaglio del farmaco) (Fonte: Osmed, 2010)
Classe A-
Classe
SSN
privato
Automedi
Strutture
Totale
con ricetta
cazione
pubbliche
(milioni €)
e 59,8
4,3
8,2
18,9
8,8
3.368
B - Ematologici
32,8
2,8
5,5
0,8
58,2
1.859
C - Cardiovascolare
90,5
2,4
3,0
1,6
2,6
5.148
D - Dermatologici
9,5
5,4
45,7
36,7
2,7
642
2,6
51,2
3,5
9,1
1.258
A
–
Gastrointestinale
A
Classe
C
metabolismo
G - Genito-urinario e ormoni 33,6
sessuali
H - Ormoni sistemici
42,4
7,4
4,9
0,0
45,3
527
J - Antimicrobici
41,4
4,3
3,4
0,0
50,9
2.644
L - Antineoplastici
13,7
0,7
0,3
0,0
85,3
3.279
M - Muscolo-scheletrico
42,1
12,2
16,0
23,9
5,8
1.409
N - SNC
43,9
3,4
27,5
7,4
17,9
3.313
P - Antiparassitari
55,4
12,4
25,3
2,0
4,9
21
R - Respiratorio
61,6
5,3
9,3
21,6
2,3
1.778
S - Organi di senso
41,7
2,1
32,3
15,6
8,3
530
V - Vari
21,4
0,0
11,9
0,2
66,6
350
Restringendo l’analisi alla spesa farmaceutica territoriale, si può osservare (tab. 3) che, nel
2010, sono state acquistate, nelle farmacie pubbliche e private, circa 1,8 miliardi di confezioni di
medicinali (30 confezioni per abitante), per un valore pari a circa 19 miliardi di Euro, di cui 6 circa
a carico dei cittadini (circa 100 Euro pro capite).
Tra il 2000 ed il 2010, con riferimento ai farmaci di classe A, a carico del SSN, le
prescrizioni annue sono cresciute quasi del 63%, le confezioni acquistate quasi del 45% e la spesa,
oggi pari a circa 13 miliardi, del 29% circa.
Nello stesso periodo, gli acquisti privati (pari a circa 6 miliardi di Euro) hanno evidenziato
una diminuzione delle confezioni comprate (-8,8%), ma un incremento in valore, di quasi il 7%.
23
Tabella 3: La composizione della spesa farmaceutica territoriale, anni 2000 e 2010(Fonte:
Osmed, 2010)
2000
2010
∆% 2010/2000
57.679.895
60.340.328
+4,6
Classe A-SSN
745
1.080
+44,9
Acquisto privato(A, C, SOP e OTC)
784
715
-8,8
Totale
1.529
1.795
+17,4
Classe A-SSN (lorda)
10.041
12.985
+29,3
Acquisto privato (A, C, SOP e OTC)
5.684
6.068
+6,8
Totale
15.725
19.053
+21,2
N. ricette classe A-SSN (milioni)
351
571
+62,9
Popolazione di riferimento (dati Istat)
N. confezioni (milioni)
Spesa farmaceutica (milioni €)
La spesa farmaceutica territoriale complessiva del 2010 (tab. 4), pubblica e privata, è stabile
rispetto all’anno precedente (-0,1%). Negli ultimi anni (2006-2010) si osservano due diversi tipi di
trend: quello, in crescita dal 2007 dopo una flessione nel 2006, relativo al consumo dei farmaci di
classe A rimborsati dal SSN e quello, sostanzialmente stabile o con tendenze alla riduzione, dei
farmaci di classe C e di automedicazione.
24
Tabella 4: I consumi di farmaci, in valore e confezioni, per le diverse classi negli anni 20062010 (Fonte: Osmed, 2010)
Spesa lorda
2006
2007
2008
2009
2010
1 Classe A-SSN
13.440
12.712
12.724
12.929
12. 985
2 Classe A privato
663
828
928
892
895
1+2 Totale
14.103
13.540
13.652
13.821
13.880
3 Classe C con ricetta
3.057
3.084
3.106
3.187
3.114
4 Automedicazione (SOP e OTC)
2.094
2.134
2.054
2.075
2.060
2+3+4 Totale spesa privata
5.814
6.046
6.088
6.153
6.068
1+2+3+4 Totale spesa farmaceutica
19.254
18.758
18.812
19.083
19.053
1 Classe A-SSN
953
977
1.022
1.054
1.080
2 Classe A privato
113
129
135
132
136
1+2 Totale
1.066
1.106
1.157
1.186
1.216
3 Classe C con ricetta
299
297
296
291
284
4 Automedicazione (SOP e OTC)
311
316
311
304
295
1+2+3+4 Totale confezioni
1.675
1.719
1.765
1.781
1.795
Confezioni (milioni)
Per quanto riguarda le quantità (numero di confezioni), osservando i dati relativi al biennio
2009-2010, si può rilevare che il consumo farmaceutico territoriale di classe A-SSN è in aumento
del 2,4%, mentre la spesa cresce dello 0,4%. I dati relativi alle principali componenti della spesa
(effetto quantità di principio attivo, effetto prezzi, effetto mix) mostrano un aumento delle quantità
di principio attivo prescritto (+3,2%), una diminuzione dei prezzi (-3,1%), mentre non si rileva
nessun effetto mix.
L’aumento delle quantità di farmaci prescritti di classe A rimborsati dal SSN è comune a
tutte le Regioni italiane ad eccezione della Basilicata (-1,4%), con una certa variabilità per quanto
riguarda l’effetto mix. La Regione con il valore più elevato di spesa pubblica per farmaci di classe
A a carico del SSN è la Calabria con 268 Euro pro capite(media italiana: 215, Liguria: 198).
L’incremento della domanda di farmaci di classe A a carico del SSN è interpretabile sulla
base di diversi fattori: da una parte per l’incremento delle malattie croniche, dall’altra per
l’incidenza degli effetti della crisi, che sembra aver favorito il ricorso alla prescrizione medica da
parte dei cittadini al fine di evitare una spesa diretta per farmaci. Infatti l’effetto sostituzione con
specialità etiche anche per patologie curabili con il ricorso a farmaci di automedicazione, emerge
anche nell’analisi regionale, dalla quale si osserva una forte differenziazione nella propensione al
consumo di farmaci senza obbligo di prescrizione, molto più bassa al Sud. Tali differenze sono in
25
parte spiegate dalle diverse condizioni socio-economiche, che influenzano sia il comportamento del
cittadino (alcune fasce di età, in particolare, sono poco propense all’automedicazione) che del
medico (tendenzialmente, in particolari realtà socio-economiche, più propenso, anche su richiesta
del cittadino, a prescrivere farmaci etici rimborsati dal SSN).
La sostanziale stabilità della spesa è invece dovuta ai continui interventi del Governo volti a
contenere la spesa pubblica, sia attraverso il taglio dei prezzi delle specialità farmaceutiche, sia
attraverso la spinta all’utilizzo dei farmaci equivalenti (vds. oltre).
Analizzando invece i dati relativi ai farmaci di classe C, si può rilevare che, tra il 2009 ed il
2010, il numero di confezioni vendute è diminuito del 2,4% e vi è stata un’analoga riduzione della
spesa. Tuttavia negli anni precedenti (dal 2006 al 2009) pur in presenza di una lieve riduzione delle
quantità vendute, aveva fatto riscontro un costante incremento della spesa.
Anche i farmaci di automedicazione hanno evidenziato una diminuzione degli acquisti
(quasi -3% tra il 2009 ed il 2010), mentre il loro valore è rimasto pressoché stabile (-0,72%).
I dati Anifa (2011) evidenziano che, tra i farmaci di automedicazione, i SOP e gli OTC
hanno avuto due andamenti differenti:
•
i farmaci SOP (25,8% a volumi e 25,1% a valori di tutti i farmaci di
automedicazione) registrano una diminuzione del fatturato e dei volumi di vendita
pari rispettivamente all’1,8% e all’8,4%;
•
i farmaci OTC (74,2% a volumi e 74,9% a valori) registrano invece una crescita
dell’1,2% delle vendite a valori mentre le vendite a volumi si contraggono del 2,1%.
Considerando la spesa privata complessiva (per farmaci di classe A non rimborsati, C, SOP
ed OTC) si può osservare che la Regione con la spesa pro capite privata più elevata è la Liguria
(oltre 123 Euro, a fronte di una media italiana pari a circa 100) (Osmed, 2010).
I cittadini preferiscono rivolgersi alla farmacia per acquistare farmaci senza obbligo di
prescrizione (Anifa, 2011), infatti:
•
le farmacie detengono il 91,8% del mercato a volumi e il 92,8% a valori;
•
le parafarmacie il 4,7% a volumi e il 4,5% a valori;
•
i corner della GDO il 3,5% a volumi e il 2,7% a valori.
Come si vedrà più articolatamente nel capitolo successivo, i canali “non tradizionali” hanno
però eroso progressivamente quote di mercato alla farmacia che dal 96,3% del totale delle
confezioni vendute nel 2007 è passata a coprire nel 2010 il 91,8% degli acquisti di farmaci SOP ed
OTC.
26
2.5 Le determinanti del consumo di servizi e prodotti sanitari
Com’è noto, diversi fattori dell’ambiente possono influire sulla salute e, conseguentemente
sulla domanda di beni e servizi in campo sanitario. Con riferimento ai servizi sanitari, i principali
fattori che incidono sul consumo sono, come già si è accennato:
1. socio-demografici;
2. economici;
3. socio-culturali;
4. naturali, tecnologici, politico-legali.
2.5.1.
Fattori socio-demografici
Sono diversi gli aspetti socio-demografici rilevanti ai fini del consumo di beni e servizi
sanitari.
Innanzitutto, vi sono il tasso di crescita della popolazione (che aumenta il consumo di beni e
servizi sanitari, se la popolazione ha una capacità d’acquisto adeguata) e la sua composizione per
fasce d’età.
Per quanto riguarda l’Italia, il primo aspetto ha avuto un’evoluzione diversa (rispetto al
periodo precedente, caratterizzato da una sostanziale staticità con tendenza alla diminuzione) a
partire dagli anni 2000, grazie ai movimenti migratori dall’estero: il tasso di variazione medio
annuo calcolato fra il 2001 e il 2009 si attesta allo 0,7 per cento e la popolazione è cresciuta nello
stesso periodo da quasi 57 a oltre 60 milioni di residenti.
E’ anche evidente l’impatto della particolare composizione per fasce d’età.
Su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, infatti, il 20,3% (2011, ISTAT) è
composto da ultrasessantacinquenni, con un indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione over 65
e under 153) pari a 145% (232% in Liguria - ISTAT). L’invecchiamento della popolazione è un
fenomeno che caratterizza tutti i Paesi europei, ma che ha una spiccata prevalenza in Germania ed
Italia. Il fenomeno è peraltro recente: confrontando l’indice di vecchiaia degli anni 1960, 2010 ed
una proiezione al 2050, si evince che se, negli anni ’60, l’indice di vecchiaia medio europeo aveva
un valore del 50% (50% anche per l’Italia), nel 2010 il valore medio è stato pari a 100% (144% per
l’Italia) e la proiezione media al 2050 è del 180%, con l’Italia al 250%.
Il costante invecchiamento della popolazione discende dalla riduzione del tasso di natalità
(in Italia 1,41 figli per donna in età fertile, ben al di sotto al valore – 2,1 - che consente il ricambio
3 L’indice di vecchiaia illustra il peso della popolazione anziana sulla popolazione, stimandone il grado di
invecchiamento. Esso è dato dal rapporto tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14
anni), moltiplicato per 100: valori superiori a 100 indicano una maggiore presenza di anziani rispetto ai giovanissimi.
27
generazionale) e dell’aumento dell’aspettativa di vita (in Italia pari a 84,1 anni per le donne ed a
78,9 anni per gli uomini, tra le più alte in Europa), a sua volta dipendente dalla riduzione della
mortalità infantile e dal miglioramento delle condizioni di salute della popolazione4.
L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che, se da un lato è sinonimo di
ricchezza e benessere, d’altro lato, oltre ad accrescere la domanda di assistenza sanitaria
(conseguente all’aumento delle patologie cronico-degenerative legate all’età), comporta anche,
tendenzialmente, un incremento dei consumi farmaceutici: l’età è infatti il principale fattore
predittivo dell’uso dei farmaci della popolazione. Dall’analisi della prescrizione per classe d’età
nella popolazione (OsMed 2010) si evidenzia che un assistibile di età superiore a 75 anni ha un
livello di spesa (pro capite) di circa 13 volte maggiore a quello di una persona di età compresa fra
25 e 34 anni. La popolazione con più di 65 anni effettua circa il 60% dei consumi (sia in valore sia
di unità di principio attivo) di farmaci, mentre i giovani fino a 14 anni, nonostante la frequenza delle
prescrizioni (tra il 60% e l’80% dei ragazzi ricevono almeno una prescrizione all’anno),
costituiscono meno del 3%: il fenomeno è ovviamente interpretabile con la maggiore presenza di
patologie croniche negli anziani.
Anche il genere ha un impatto sulla domanda di farmaci: mediamente le donne hanno un
livello di consumo di circa il 10% superiore a quello degli uomini, ed anche in termini di prevalenza
d’uso mostrano livelli di esposizione più elevati in quasi tutte le fasce di età (in particolare per
quanto riguarda i farmaci del sistema nervoso centrale, i farmaci del sangue e i farmaci del sistema
muscolo-scheletrico). Nelle fasce d’età più elevate si osserva invece tra gli uomini un livello più
elevato di consumo.
E’ da rilevare che l’età è un elemento rilevante anche rispetto alle fasce più giovani: 8
bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione (in particolare di antibiotici e
antiasmatici); negli anziani, in corrispondenza di una maggiore prevalenza di patologie croniche
(quali per esempio l’ipertensione e il diabete) si raggiungono livelli di uso e di esposizione vicini al
100% (praticamente l’intera popolazione risulta aver ricevuto almeno una prescrizione nell’anno).
Sempre sotto il profilo socio-demografico, un altro aspetto rilevante è il grado di istruzione
della popolazione.
4 In Italia l’aspettativa di vita in buona salute dopo i 65 anni è pari 7,3 anni (per le donne a 6,8), inferiore alla media
europea di oltre 9 anni per ambedue i sessi.
E’ da osservare, peraltro, che il dato complessivo dell’Italia relativo all’impatto che i problemi di salute hanno sulle
attività quotidiane è mediamente allineato a quello europeo: è il 9% delle italiane ed il 6,7% degli italiani – contro,
rispettivamente, l’8,7% ed il 7,5% degli europei – a dichiarare infatti che i disturbi di salute impattano sulle proprie
attività quotidiane.
28
In Italia, nel 2010, il 23% circa della popolazione di età superiore ai 15 anni aveva al
massimo come titolo di studio la licenza elementare. Questo dato nasconde però alcune differenze:
nel Nord, infatti, tale percentuale è pari al 22% circa, mentre al Sud sale al 26%.
La percentuale di coloro che hanno invece un titolo di studio pari o superiore alla laurea è
dell’11% circa: il dato più elevato si rileva al Centro (13%), mentre al Sud è il 9,5%.
Il livello di scolarizzazione della popolazione è importante, sotto il profilo sanitario, in
quanto è dimostrato che un livello di istruzione elevato favorisce un’attenzione superiore ai fattori
di rischio ed ai sintomi e, nel caso si verifichi una malattia, una maggiore facilità di accesso alle
diverse alternative di cura: complessivamente, quindi, ne deriva un più elevato livello di salute.
Un elevato titolo di studio, infatti, favorisce il processo di empowerment del paziente che,
potendo usufruire meglio della maggiore disponibilità di informazioni di carattere scientifico, è più
informato e consapevole delle diverse possibilità di diagnosi e cura tra cui scegliere e sempre più
attento alle tematiche legate al miglioramento della qualità della vita e del benessere.
Già Rosenstock (1966) evidenziava come si possano compiere alcune generalizzazioni circa
l’associazione tra caratteristiche personali ed uso dei servizi di prevenzione e diagnostica: essi
risultano utilizzati soprattutto da persone giovani o di mezza età, relativamente più istruite e con un
più elevato livello di reddito.
Tali risultati sono confermati anche da ricerche più recenti: l’indagine multiscopo ISTAT
(2007) evidenzia che le persone con titolo di studio più alto presentano un comportamento più
attento nell’effettuare i controlli: in tutte le classi di età, tra i laureati e i diplomati la quota di chi si
sottopone a controlli della pressione arteriosa, del colesterolo o della glicemia è generalmente
superiore a quella delle persone in possesso di titoli di studio inferiori. Lo stesso accade per le visite
mediche per prevenzione: nella popolazione di 18 anni e più si osserva infatti che, in tutte le classi
di età, le persone con al massimo la licenza elementare ricorrono in misura minore a visite di
prevenzione di quanto non facciano le persone con laurea o diploma. Sempre indipendentemente
dall’età, le persone con titolo di studio meno elevato, che fanno prevenzione, si rivolgono in misura
maggiore al medico generico.
Le persone meno istruite effettuano inoltre più visite generiche (41,2%) e accertamenti di
laboratorio (23,3%) di quelle di status più alto (rispettivamente 18,1% e 16,9%), mentre le persone
con un titolo di studio più elevato ricorre più spesso ad accertamenti specialistici: fino ai 44 anni la
quota raddoppia (4,8%) rispetto alle persone di status sociale meno elevato (2,4%). L’aspetto
interessante è che anche se le persone meno istruite ricorrono meno a visite, accertamenti e ricoveri
a pagamento intero la percentuale di coloro che pagano interamente le prestazioni si mantiene
comunque molto elevata.
29
L’incidenza del livello di istruzione è evidente anche rispetto ai servizi “formativi” (quale la
frequenza al corso di preparazione alla nascita5) e all’ospedalizzazione vera e propria. A proposito
dell’ospedalizzazione, si è osservato che le persone meno istruite accedono meno alle procedure
innovative (per esempio l’uso dei day-hospital chirurgici appare meno frequente tra le persone con
la sola licenza elementare) mentre per alcune patologie i tassi di ospedalizzazione ordinaria sono
più elevati, accompagnati da degenze più lunghe. Tale uso non appropriato delle prestazioni ha
sicuramente ricadute negative in termini sia di efficienza, sia di efficacia.
L’istruzione inoltre non incide solo sulla fruizione dei servizi, ma anche sulle condizioni di
salute dei cittadini, come confermato dall’indagine multiscopo ISTAT (ISTAT 2007) che sottolinea
la presenza di forti disuguaglianze sociali, utilizzando come indicatore il titolo di studio. Sono
sempre le persone con un basso titolo di studio a presentare peggiori condizioni di salute, sia in
termini sia di salute percepita, che di cronicità6.
Il titolo di studio posseduto influenza anche le modalità d’uso dei farmaci: se il consumo
aumenta fortemente con l’età, si rileva infatti che la percentuale di utilizzo quotidiano, all’interno
delle singole fasce d’età, diminuisce al crescere del titolo di studio. Il discorso, come si vedrà oltre,
è differente per quanto riguarda i medicinali di automedicazione.
Infine, altri aspetti da considerare sono la composizione dei nuclei familiari e i movimenti
migratori della popolazione. L’accresciuta aspettativa di vita e la modificazione dell’assetto
tradizionale della famiglia hanno determinato una crescente presenza di famiglie monocomponente
di età elevata, che spesso richiede assistenza sanitaria; i movimenti migratori possono distinguersi
in interni (per esempio, dalle aree rurali a quelle urbane) ed esterni (tra nazioni). Questi ultimi
comportano, almeno in Italia, un incremento complessivo della popolazione, soprattutto nella fascia
più giovane, e, presumibilmente, anche un effetto sul consumo di farmaci (è da rilevare che,
peraltro, alcune etnie, quali ad esempio quella cinese, preferiscono ricorrere alla medicina
tradizionale).
5
Da un’indagine effettuata in Toscana nel 2005 e ripetuta nel 2007 su un campione di donne che avevano partorito nei
mesi precedenti, emerge infatti che il corso di preparazione alla nascita, ritenuto uno strumento utile ad accrescere le
conoscenze della madre, sia frequentato dal 60% delle donne primipare, ma che tra queste siano presenti quasi
esclusivamente laureate (70%), con la totale assenza di chi è in possesso della licenza elementare o non ha alcun titolo
di studio, ossia di chi è più fragile.
6
L’indagine ISTAT evidenzia che coloro che hanno al massimo la licenza elementare e dichiarano di stare male o
essere affetti da cronicità sono infatti fino a tre volte più numerosi rispetto ai laureati e diplomati.
30
2.5.2.
Fattori economici
Numerosi studi hanno evidenziato la rilevanza della relazione tra la ricchezza di un Paese,
rappresentata dal reddito nazionale pro capite, e la salute della popolazione, rappresentata dalla
speranza di vita: all’aumentare del reddito cresce progressivamente anche la speranza di vita, sia
perché migliorano le condizioni di vita essenziali (accesso ad acqua potabile, adeguata
alimentazione…), sia perché al crescere della ricchezza aumenta, tendenzialmente, anche
l’organizzazione e l’accesso ai servizi sanitari. Da un certo livello in poi, però, l’incremento della
speranza di vita conseguente all’aumento del reddito è minimo. Ad esempio, nei Pasi poveri la
speranza di vita aumenta rapidamente durante le fasi iniziali della crescita economica, e piccole
differenze
nel reddito comportano grandi differenze
nel miglioramento della
salute.
Successivamente, mano a mano che il tenore di vita migliora, la relazione positiva tra crescita
economica e speranza di vita si affievolisce: la curva da crescente diventa piatta.
Il fatto che la curva si appiattisca non implica però che si sia raggiunto il livello massimo
della speranza di vita: anche i paesi più ricchi continuano a godere con il passare del tempo di
miglioramenti in termini di condizioni di salute generali. La differenza è che tali miglioramenti non
sono più correlati al tenore di vita medio della popolazione, ma ad altri fattori, tra cui il welfare, il
livello di istruzione, il sistema sanitario, le condizioni ambientali, le abitudini alimentari.
Ad esempio Cuba, seppure con un reddito medio pro-capite di 5437$ e con un’incidenza
della spesa sanitaria sul PIL dell’11,8% (OMS, 2009), presenta una speranza di vita di 76 anni per
gli uomini (ed 80 per le donne), simile a quella dei cittadini statunitensi (rispettivamente 76 ed 81
anni), che hanno un reddito medio pro-capite di 46790$ e un’incidenza della spesa sanitaria sul PIL
del 16,2%.
L’impatto dei fattori economici è evidente anche sotto un altro profilo. All’interno dei Paesi
più ricchi è infatti possibile osservare un altro tipo di relazione tra fattori economici e condizioni di
salute della popolazione, connessa alla distribuzione della ricchezza. Negli ultimi anni la letteratura
ha evidenziato come le disuguaglianze in sanità possano essere considerate quasi come un indice
del grado e della qualità dello sviluppo e del benessere dell’intera società, mostrando che, ad
esempio, Paesi che presentano minori differenze tra le varie classi di percettori di reddito mostrano
un’aspettativa di vita più lunga. All’aumentare della disuguaglianza nella distribuzione della
ricchezza all’interno di un Paese aumenta invece l’indice dei problemi sociali e sanitari (Barsanti,
2010).
31
In Italia, ad esempio, esiste una correlazione tra il livello di salute della popolazione e la
distribuzione delle ricchezza nelle varie regioni. La figura seguente mostra tale relazione, peraltro
non molto stretta, in cui la salute è rappresentata dalla speranza di vita e la distribuzione della
ricchezza dal coefficiente di Gini.
32
Anche il consumo dei farmaci è condizionato, soprattutto per la parte a carico dei cittadini,
dalle disponibilità economiche di questi ultimi. La crisi economica, il tasso di disoccupazione
elevato, la diminuzione del potere d’acquisto reale delle famiglie, hanno indubbiamente prodotto un
effetto anche sui comportamenti dei cittadini nei confronti dei medicinali.
Già un’indagine effettuata da Nielsen (AESGP, 2009) rilevava che una percentuale
compresa tra il 5% ed il 25% di cittadini intervistati ha dichiarato l’intenzione, in presenza di
vincoli economici sempre più stringenti, di abbattere la spesa per farmaci OTC, riducendone il
consumo, indirizzandolo verso farmaci meno costosi o prodotti alternativi.
In effetti, relativamente ai consumi, il 2010 si caratterizza per un maggiore riscorso ai
farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale piuttosto che ai farmaci non rimborsabili e ai
farmaci senza obbligo di prescrizione, probabilmente anche a causa dell’impatto della crisi
economico-finanziaria e quindi della volontà di evitare una spesa diretta per farmaci.
Infatti il cosiddetto effetto sostituzione con specialità etiche anche per patologie curabili con
il ricorso a farmaci di automedicazione, emerge anche dalla forte differenziazione interregionale
nella propensione al consumo di farmaci senza obbligo di prescrizione, molto più bassa al Sud. Tali
differenze sono in parte spiegate – come già si è accennato – dalle diverse condizioni socioeconomiche, che influenzano sia il comportamento sia del cittadino che del medico
33
(tendenzialmente, in particolari realtà socio-economiche, più propenso, anche su richiesta del
cittadino, a prescrivere farmaci etici rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale).
2.5.3.
Fattori socio-culturali
L’impatto dei fattori socio-culturali sulla domanda di servizi e beni sanitari avviene a livello
di stile di vita rispetto ai temi della salute.
Con riferimento alle tendenze che caratterizzano gli italiani rispetto al tema della salute, si
può osservare, basandosi sulla “mappa della salute” della popolazione italiana nel periodo 19982008, un consistente passaggio da approcci culturali più poveri e disimpegnati ad approcci culturali
più evoluti e ricchi di progettualità.
In questi 10 anni circa il 10% degli adulti italiani ha abbandonato modelli culturali poveri basati sull’attribuzione di valori limitati alla salute e improntati al disimpegno o alla delega al
medico - per abbracciare un modello più positivo e proattivo basato sulla ricerca/ottimizzazione del
proprio benessere. Ciò ha avuto precisi riflessi e ripercussioni, per quanto riguarda sia le
rappresentazioni sociali della salute (ovvero le immagini della salute presenti nella popolazione), sia
gli stili della salute (ovvero, gli indirizzi strategici che orientano i comportamenti nella vita
quotidiana).
Per quanto concerne le rappresentazioni è facile osservare che nello scorso decennio è
nettamente calata una concezione della salute di tipo elementare (basata sulla equazione “salute =
assenza di malattia”) e povero (nella logica “sto bene quando non sto male”)7. Per contro, è
cresciuta una concezione più ricca e articolata della salute basata sull’idea di benessere come
risultato armonico ed equilibrato di un insieme di condizioni psico-fisiche (benessere corpo-mente).
Osservando le evoluzioni degli stili di salute, poi è evidente l’aumento degli stili basati su
una concezione olistica e positiva del benessere, nonché sulla ricerca attiva dell’integrazione fra
salute, bellezza e buon funzionamento del corpo. Si tratta di un approccio che caratterizza le
persone più dotate sul piano culturale ed economico e che punta alla ricerca del benessere psicofisico e del miglioramento dell’aspetto fisico, anche attraverso la pratica sportiva.
In netto calo, per contro, gli stili più trascurati in materia di salute.
La consapevolezza circa la rilevanza della salute è evidenziata anche dall’indagine Censis
(2005): il 72,8% degli intervistati considera la spese privata per la salute come un investimento
7
L’indagine Censis (2005) evidenziava che per il 31,3% delle persone stare bene significava “Sentirsi in forma,
efficienti e in grado di svolgere le normali attività”, per il 16,5% “assenza di malattia” e per il 6,6% “sentirsi bene anche
con un minimo di disturbi”, mentre per il 45,6% circa aveva rilevanza, oltre al benessere fisico, anche quello
psicologico.
34
perché considera il bene salute primario rispetto al resto ed il 78,5% considera la spesa pubblica per
la salute un investimento, perché il bene salute è strategico.
Lo spostamento verso un modello culturale più evoluto e positivo ha prodotto due tipi di
effetto:
•
è aumentata la tendenza ad occuparsi della propria salute: in termini sia preventivi,
sia curativi;
•
questa tendenza si colloca nell’ambito della medicina tradizionale/farmacologica: le
cosiddette “medicine alternative” interessano limitate nicchie di pubblico.
I Trend di Sinottica rilevano inoltre che tra 1998 e 2008 è lievemente calata l’area dei
problemi di salute affrontata in termini di autocura, ma che, contemporaneamente, vi è una
maggiore propensione a non tollerare anche i più piccoli disturbi e quindi a curarli.
Sempre Sinottica rileva che il segmento di popolazione più orientato all’autocura si colloca
all’interno del modello di stile più evoluto e più orientato al benessere per quanto concerne la
cultura della salute.
Dall’indagine PASSI (2010) è possibile trarre alcune indicazioni rispetto agli stili di vita dei
cittadini italiani, con riferimento alle prassi che influiscono sulle condizioni fisiche (svolgimento di
attività fisica, essere in sovrappeso, consumo di frutta e verdura, consumo di alcol e abitudine al
fumo) e, quindi, la minore probabilità di incorrere in malattie (quali ipertensione, malattie
cardiovascolari, diabete tipo 2, osteoporosi, depressione, traumi da caduta degli anziani, alcuni tipi
di cancro, come quello del colon retto, del seno e dell’endometrio) e, conseguentemente, di ricorrere
alle prestazioni sanitarie e farmaceutiche.
Un primo aspetto che emerge dall’indagine è il progressivo peggioramento dello stile di vita:
il numero di persone che non svolgono alcuna attività fisica è in crescita, quello delle persone in
eccesso ponderale è stabile, il consumo quotidiano di 5 porzioni di frutta e verdura è stabile e
riguarda una parte molto limitata della popolazione, vi è una percentuale consistente (20% circa) di
forti bevitori, diminuisce la percentuale di fumatori negli uomini, ma cresce tra le donne ed è in
aumento tra i giovani, aumenta il rispetto del divieto del fumo nei luoghi pubblici e sul lavoro,
mentre è diminuita la percentuale di chi prova a smettere di fumare.
Più nel dettaglio, i sedentari, che sono passati dal 27,5% del 2007 al 31% circa del 2009,
prevalgono all’aumentare dell’età e sono più frequenti tra le donne, le persone che hanno il minor
grado di istruzione e con molte difficoltà economiche. Vi sono differenze statisticamente
significative nel confronto interregionale, con un gradiente Sud-Nord. Il valore più basso si registra
nella P.A. di Bolzano (9%), quello più alto in Basilicata (47%). Da rilevare che, solo nel 31% dei
casi, il medico ha chiesto loro se svolgono attività fisica e al 32% è stato dato il consiglio di fare
35
regolare attività fisica. L’aspetto positivo riguarda la diversa percezione dei sedentari: dal 2007
sono infatti diminuiti, tra essi, coloro che percepiscono il proprio livello di attività fisica come
sufficiente.
Per quanto riguarda le persone in soprappeso, esse erano pari al 43% nel 2007 e nel 2008, al
42% nel 2009 e nel 2010. Anche in questo caso lo stile di vita peggiora con l’età ed è più frequente
negli uomini, nelle persone con basso livello di istruzione e in quelle con maggiori problemi
economici. Anche in questo caso vi sono differenze statisticamente significative nel confronto
interregionale, con un gradiente Nord-Sud. Il valore più basso si registra nella P.A. di Trento (29%),
quello più alto in Puglia (49%).
Tra i cittadini italiani, sono le donne a consumare più frequentemente 5 porzioni di frutta e
verdura al giorno, seguite dalle persone più adulte (50-69 anni) e quelle con un alto livello di
istruzione. Anche in questo caso vi è un gradiente Nord-Sud. Il valore più alto si registra in Liguria
(20%), quello più basso in Calabria (7 %).
Per quanto riguarda l’alcol, il consumo a rischio è più frequente tra i giovani di età 18-34 (in
modo particolare tra i 18-24enni), gli uomini, le persone con livello di istruzione medio-alto e chi
non ha difficoltà economiche. Il valore più elevato si registra nella P.A. di Bolzano (44%), quello
più basso in Campania (9%), con un gradiente Sud-Nord.
Infine, nel 2010, è stato rilevato che tra gli adulti di 18-69 anni più della metà degli
intervistati è non fumatore, il 18% è un ex fumatore e il 28% è fumatore. Tra i fumatori, la media di
sigarette fumate al giorno è pari a 13, mentre i forti fumatori, cioè coloro che hanno dichiarato di
fumare più di 20 sigarette al giorno, sono il 2%. L’abitudine al fumo è risultata più alta tra 25 e 34
anni, uomini, con livello di istruzione intermedio, rispetto a quelle senza alcun titolo o con la
licenza elementare, e con difficoltà economiche.
2.5.4.
Fattori naturali, tecnologici, politico-legali
Accanto ai fattori precedentemente indicati, vi sono i fattori naturali, tecnologici e politicolegali.
Il deterioramento dell’ambiente naturale ha indubbiamente prodotto un impatto sul livello di
salute delle popolazioni e, conseguentemente, sull’uso dei farmaci. Ad esempio, in molte città,
l’inquinamento dell’aria e dell’acqua ha incrementato la diffusione di malattie dell’apparato
respiratorio, come l’asma.
L’innovazione tecnologica, in campo sanitario, si esprime non solo a livello di nuove
attrezzature da utilizzare a scopo diagnostico, ma anche di medicinali e nuove tecniche chirurgiche,
36
che permettono di risolvere con maggiore efficacia problemi di salute crescenti e sempre più
complessi.
L’assetto politico-legale definisce infine il contesto di fornitura dei servizi sanitari
(l’organizzazione, finanziaria e non, del Sistema Sanitario e dei settori ad esso collegato) e dei
farmaci, con riferimento, in quest’ultimo caso, all’offerta, al pricing, alla comunicazione ed alla
distribuzione. Su questi fattori si svilupperanno analisi articolate ed approfondimenti nelle parti
successive del rapporto, come già si è indicato nel capitolo introduttivo.
2.5.5.
La relazione medico-paziente
La marcata differenza tra le Regioni italiane nei consumi dei farmaci non è, però, spiegabile
solo sulla base di possibili differenti condizioni di salute (a loro volta derivanti dalle specificità
territoriali e dagli stili di vita).
Vi sono motivi di tipo strutturale (l’offerta e l’organizzazione dei servizi) ed aspetti connessi
al tema dell’appropriatezza, in particolare sotto il profilo prescrittivo della Medicina Generale, che
possono essere tra le principali determinanti di questa variabilità.
Un esempio è costituito dall’uso di antibiotici in pazienti con disturbi di origine virale
diagnosticati dal medico di famiglia (ad esempio raffreddore ed influenza): si tratta, salvo specifiche
circostanze che potrebbero indurre il medico a questo tipo di prescrizione (es. allergia alle
penicilline, tosse persistente…) di un uso inappropriato, vista l’origine virale. L’uso degli
antibatterici non è tuttavia un problema esclusivo di costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale,
ma anche un problema di sanità pubblica in quanto favorisce l’aumento della resistenza batterica,
con progressiva perdita di efficacia di tali farmaci, come dimostrano dati recenti.
I dati Osmed (2010) evidenziano che il 42,3% dei casi di raffreddore comune, influenza e
laringotracheite è stato trattato con un antibiotico, con un aumento del 7% rispetto all’anno 2009. Il
dato mostra un significativo gradiente Nord-Sud, passando dal 33,9% delle Regioni del Nord al
51,7% delle Regioni del Sud. La prescrizione di antibiotici, più che ogni altra categoria terapeutica,
è infatti influenzata da fattori extra-clinici, quali il carico di lavoro, l’organizzazione dei sistemi di
incentivazione su base aziendale ed il rapporto medico-paziente.
A tale proposito, può essere utile richiamare alcune specificità che caratterizzano il rapporto
tra prescrittori ed utilizzatori di farmaci, con riferimento alle criticità riguardanti gli aspetti
informativi.
37
Infatti, come accade in tutte le tipologie di servizi, il paziente non può conoscere
preventivamente la qualità delle prestazioni sanitarie8, in quanto immateriali e simultaneamente
prodotte e consumate. Già nel 1963 Arrow evidenziava come il problema informativo rappresenti
una caratteristica fondamentale nel mercato sanitario, osservando che “l’incertezza riguardo la
qualità del prodotto è forse più intensa in questo caso” che in qualsiasi altro.
Il problema informativo coinvolge diversi aspetti del processo di scelta del paziente:
•
in primo luogo nella fase di definizione del proprio bisogno in quanto spesso può
non essere in grado di riconoscere la presenza di sintomi e di patologie e quindi di
decisione circa l’opportunità di consultare il medico;
•
nel momento della scelta della struttura sanitaria e dei trattamenti a cui sottoporsi,
una volta divenuto consapevole del proprio stato di malattia;
•
a livello di decisione se uniformarsi o meno al comportamento consigliato.
La malattia, soprattutto se seria, è inoltre un episodio eccezionale della vita umana, in cui
può anche essere in gioco la vita dell’individuo: è difficile quindi che il consumatore possa
assumere decisioni razionali. Viene inoltre osservato che, mentre nella maggior parte dei processi di
consumo, vi è la possibilità di apprendere dalla propria esperienza o da quella altrui, in questo caso
può non essere possibile, per cui, all’incertezza sull’esito, si unisce anche quella dovuta alla
mancanza di esperienza pregressa.
Le prestazioni sanitarie, inoltre, sono estremamente eterogenee; anzi, poiché la loro
domanda è derivata, in quanto non sono richieste di per sé, ma perchè ritenute utili ad ottenere
effetti positivi sulla salute, è necessario che siano personalizzate per essere efficaci. Ogni individuo,
infatti, può avere esigenze diverse a seconda della patologia e delle complicanze che insorgono.
Anche il medico possiede informazioni parziali ed incerte, circa la diagnosi e l’esito delle
terapie ma, rispetto al paziente, si trova in una posizione di vantaggio: si crea così una situazione di
asimmetria informativa. Poiché la conoscenza scientifica è complessa, le informazioni possedute
dal medico sono infatti di gran lunga superiori rispetto a quelle del paziente ed entrambe le parti ne
sono consapevoli. Questa particolare situazione condiziona la relazione medico-paziente,
determinando spesso un forte senso di dipendenza di quest’ultimo. L’asimmetria informativa sposta
infatti il rapporto sulla componente fiduciaria, che aumenta al decrescere della componente
valutativa. Tutti questi aspetti consentono di comprendere, quindi, le ragioni per cui, in alcuni casi,
le differenze interregionali nei consumi di farmaci possano anche essere ricondotte a diversi
costumi prescrittivi.
8
In particolare viene rilevato che i servizi sanitari sono assimilabili agli experience goods (Nelson 1970), ossia beni la cui qualità effettiva
può essere conosciuta mediante il consumo o, spesso, ai credence goods (Darby e Karni 1973), impossibili da giudicare anche dopo un uso
prolungato.
38
3. LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE ALL’INGROSSO
DEI FARMACI IN ITALIA
3.1 Caratteri strutturali dell’industria farmaceutica in Italia
Passando a considerare l’offerta dei prodotti farmaceutici, è anzitutto necessario accennare,
sempre molto brevemente, alla prima componente della filiera del farmaco: l’industria produttrice.
In Italia, secondo le più recenti rilevazioni di Farmindustria9 (riferite al giugno 2011), le
imprese produttrici di farmaci sono 365. secondo Farmindustria, le misure prese nel 2009 e reiterate
nel 2010 dall’AIFA, che hanno ridotto anche i margini dei produttori(vds. successivo cap. 7)
avrebbero spinto a numerosi disinvestimenti. Nel suo insieme, però, l’industria farmaceutica ha
effettuato in Italia nel 2010 investimenti per 2,4 miliardi di Euro, di cui 1,2 miliardi di Euro nella
R&S e 1,2 miliardi di Euro in impianti ed altre immobilizzazioni materiali.
La dimensione media delle imprese del settore, comparata con quelle delle imprese
localizzate nei Paesi più avanzati, è relativamente ridotta. Ciò dipende dal fatto che in Italia sono
localizzate prevalentemente filiali di imprese multinazionali, i cui centri di attività principali ed i cui
impianti produttivi più rilevanti si trovano nei rispettivi Paesi d’origine.
In effetti, considerando le classi dimensionali UE (grandi: oltre 500 addetti, medie: da 50 a
499, piccole: meno di 50 addetti), solo 2 delle 15 grandi imprese farmaceutiche operanti in Italia
che, nel loro insieme, totalizzano una quota sul fatturato nazionale del 40% circa, sono di proprietà
italiana (Menarini e Sigma-Tau) ed anch’esse svolgono una parte della loro attività produttiva come
licenziatari di grandi gruppi con sede principale negli Stati Uniti. Menarini, in particolare, è essa
stessa un’impresa multinazionale con attività presenti in 100 Paesi e con 13.000 dipendenti a livello
mondiale. Il gruppo si colloca, però, su scala globale, al 34° posto nella graduatoria internazionale
dei gruppi farmaceutici.
9
Farmindustria Centro Studi (2011), Indicatori Farmaceutici.
39
Tutte le altre imprese di grandi dimensione localizzate in Italia (con più di 500 addetti) sono
invece controllate da gruppi esteri o sono filiali di multinazionali con sede principale all’estero10.
Più articolata si presenta in Italia la situazione delle imprese farmaceutiche di media
dimensione (con 50-499 addetti): sei su 11 (Angelini, Bracco-divisione farmaci, Chiesi, Dompè,
Italfarmaco e Recordati) sono di proprietà italiana e detengono, nel loro insieme, una quota del
mercato nazionale del 7% circa.
Numerose sono le imprese di piccola dimensione, sia controllate da gruppi esteri, sia di
proprietà italiana, alcune delle quali con alti livelli di specializzazione. Tra queste hanno mantenuto
una posizione rilevante, anche su scala internazionale, quelle del comparto delle biotecnologie per
la salute, in cui l’incidenza delle spese in R&S sul fatturato supera spesso il 20% e che dispongono
di numerosi prodotti innovativi (oltre 200), buona parte dei quali (circa 150) in fase clinica di
sviluppo.
L’industria farmaceutica attiva in Italia un indotto di dimensioni ragguardevoli, con un
valore della produzione recentemente stimato in circa 10 miliardi di Euro (2010), che si aggiungono
ai 25 miliardi di Euro delle imprese farmaceutiche (di cui 20 per la produzione di medicinali),
indotto che comprende molti settori produttivi (chimica, delle macchine operatrici, del vetro, dei
servizi alle imprese, ecc.), tra i quali alcuni comparti del packaging specialistico, in cui il nostro
Paese ha assunto posizioni di rilievo su scala internazionale. Nel suo insieme l’indotto dell’industria
farmaceutica occupa in Italia circa 61.000 addetti, ossia poco meno degli addetti all’industria
farmaceutica propriamente detta (66.700).
Nel contesto internazionale, l’Italia è tra i più grandi mercati mondiali, anche se in calo nel
ranking internazionale. Rispetto al 2005 il nostro Paese è sceso dal quinto al sesto posto nel mondo
ed entro il 2014 si appresta a diventare il settimo, sopravanzato da Paesi emergenti, quali Cina e
Brasile, con India e Russia sempre più vicini. La classifica 2010 è: USA; Giappone; Germania;
Francia; Cina.
Il gigantismo, che caratterizza, su scala mondiale, le dimensioni dei maggiori gruppi
farmaceutici (basta tenere presente che i primi 10 gruppi farmaceutici hanno una quota del 47% del
mercato mondiale) in parecchi casi risulta da intensi processi di acquisizione e di fusione e trova il
suo principale fattore esplicativo nelle dimensioni molto elevate, nei tempi molto prolungati e negli
alti rischi di insuccesso degli investimenti in attività di R&S (in media, nel campo dei nuovi principi
attivi molecolari, solo 1 su più di 10 processi di R&S di nuovi prodotti si conclude con
l’immissione sul mercato), rischi che solo gruppi di grandissima dimensione, che hanno già nel loro
portafoglio –prodotti alcuni “blockbusters” (ossia farmaci con vendite cumulate superiori ad 1
10
Non a caso dallo scorso anno anche il Presidente di Farmindustria è stato un manager italiano di una filiale di un
gigante statunitense (Johnson & Johnson Healthcare), ora sostituito da Massimo Scaccabarozzi, di Janssen-Cilag S.p.A.
40
miliardo di dollari di fatturato ancora coperti da brevetto), sono in grado di fronteggiare
continuativamente.
Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni fattori rilevanti, tuttora in atto, hanno modificato (e stanno
modificando) i modelli di business dei maggiori produttori internazionali e la stessa struttura del
settore, nella quale possono trovare posizioni difendibili anche imprese di media dimensione e
piccole imprese “science based”.
Anzitutto parecchi “blockbusters” hanno raggiunto e raggiungeranno nei prossimi anni il
termine della loro copertura brevettuale e possono pertanto essere oggetto della produzione e della
commercializzazione, a prezzi molto inferiori, con principi attivi equivalenti, anche da parte di
imprese che non ne detenevano il brevetto. In secondo luogo le attività di R&S finalizzate alla
scoperta di nuovi principi attivi molecolari, se si escludono quelle incentrate sulla messa a punto di
nuove modalità posologiche brevettabili, assorbono risorse finanziarie unitariamente più elevate, ma
complessivamente decrescenti e focalizzate sulla cura di patologie finora incurabili, molte delle
quali interessano segmenti di mercato di dimensioni ridotte, seppure con elevati livelli di valore
aggiunto per i pochi prodotti che pervengono all’immissione sul mercato. In terzo luogo la nuova
generazione della farmogenomica (farmaci costruiti partendo dallo studio del genoma e
particolarmente mirati a correggerne i meccanismi nocivi di funzionamento) è ancora agli inizi,
mentre è ancora in pieno sviluppo quella delle biotecnologie applicate alla salute, che richiede
modelli di business nei quali assume rilevanza il “networking” con imprese “science based”
specializzate, anche di piccole dimensioni, e con spin off universitari.
D’altro canto alcuni tra i maggiori gruppi farmaceutici internazionali hanno diversificato e
stanno diversificando la loro attività (anche ricorrendo ad acquisizioni internazionali) sia nel campo,
in espansione, dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica, non sottoposto ai
vincoli autorizzativi del campo farmaceutico, sia, in quest’ultimo, alle classi di farmaci non soggetti
a prescrizione medica e pubblicizzabili. Nei parafarmaci, in particolare, l’inserimento dei gruppi
maggiori, dotati di risorse e di capacità di marketing di alto livello, determina la diffusione di
prodotti di marca con modalità di commercializzazione non dissimili da quelle che caratterizzano
alcuni comparti dei beni di consumo differenziati (ad esempio, la divisione healthcare di Johnson &
Johnson, quinto gruppo farmaceutico nella graduatoria mondiale, realizza una quota rilevante del
suo fatturato con parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica).
Per quanto riguarda più specificamente la posizione dell’industria farmaceutica in Italia, va
anzitutto tenuto presente che, rispetto agli anni ’60 e ’70, le unità locali che producono farmaci si
sono fortemente ridotte nel nostro Paese, in misura superiore a quella che ha caratterizzato un po’
ovunque i processi di selezione e concentrazione, passando da 770 nel 1962 a 365 nel 2011, di cui
41
oltre 100 prive di laboratori di R&S e di attività produttive in loco. Hanno inoltre da tempo cessato
la loro attività importanti imprese italiane operanti in gruppi polisettoriali nazionali (ad esempio
Carlo Erba nel gruppo Montedison).
Pur occupando il sesto pos to a livello mondiale quanto a fatturato “ex factory”, l’Italia
presenta alcune peculiarità nel loro insieme negative per quanto riguarda l’industria farmaceutica
localizzata nel Paese: una bilancia commerciale con saldo lievemente in passivo, risultante da un
interscambio non molto intenso, rispetto a quello degli altri maggiori Paesi europei ed anche di
alcuni Paesi minori come il Belgio, l’Olanda, l’Irlanda e la Svizzera (questi ultimi Paesi
eminentemente esportatori); un’incidenza delle spese in R&S sul fatturato che, seppure elevata nel
contesto dell’industria italiana, è molto inferiore rispetto a quella delle industrie farmaceutiche
localizzate in altri Paesi (Italia: 9,4%; Giappone: 28,8%; Germania: 19,2%; Francia: 20,3%; sul
totale mondiale solo l’1,9% di investimenti in R&S viene effettuato in Italia, mentre in altri Paesi si
hanno incidenze molto maggiori, rispettivamente: USA 44%; Giappone 13,3%; Germania 8,4%%;
Francia 7,7%; GB 7,8%. Ciò anche a motivo – come si è già sottolineato - della presenza, in Italia,
nell’industria farmaceutica, di molte filiali di imprese multinazionali, che concentrano la loro
attività di R&S presso le case madri negli USA, in Germania, in Francia, o in altri Paesi.
Si è già accennato alla presenza in Italia di alcune medie imprese farmaceutiche, che, pur
occupando nel nostro Paese meno di 500 addetti ciascuna, in alcuni casi sono capifila di gruppi che,
a livello internazionale, occupano anche alcune migliaia di addetti.
Esse, inoltre, risultano molto presenti, anche con unità produttive, in molti Paesi. In sostanza
si tratta di imprese da tempo internazionalizzate. Questo aspetto, di per sé positivo e comunque
necessario date le caratteristiche tecnologiche e strutturali del settore, può determinare però – come
si vedrà meglio in seguito – non pochi problemi di carattere giuridico, date le modalità di analisi dei
costi finalizzate alla determinazione dei prezzi amministrati, nei casi in cui input produttivi rilevanti
(in particolare principi attivi molecolari) vengono prodotti da filiali estere e trasferiti a quella
italiana, valorizzandoli con prezzi di approvvigionamento (prezzi di trasferimento) non
riconducibili a prezzi di mercato (per i quali in alcuni casi non è neppure possibile disporre di
parametri di riferimento data l’unicità dell’oggetto trasferito) e diversi da quelli applicati al
trasferimento del medesimo oggetto ad altre filiali del gruppo localizzate in altri Paesi. I rischi di
applicazione di prezzi di trasferimento più elevati verso la filiale italiana, che concorrono poi a
determinare il prezzo amministrato soggetto a rimborso da parte del SSN e gli stessi margini
riconosciuti a tutti gli attori della filiera (produttore, grossista, farmacia), sono, in questi casi,
sempre presenti. Basti considerare che, prevalentemente (anche se non esclusivamente) per un
motivo di questo tipo, il leader dell’industria farmaceutica italiana (Menarini) si trova da tempo
42
sottoposto ad un’indagine per presunto ingente danno nei confronti del SSN, a seguito della
constatazione di prezzi di riferimento più elevati nell’approvvigionamento di principi attivi
dell’unità operativa localizzata in Italia rispetto ad altre unità operative dello stesso gruppo
localizzate in altri Paesi.
Tornando a considerare le medie imprese farmaceutiche italiane, va osservato (sulla scorta
delle appropriate analisi svolte alcuni anni or sono dall’Università Tor Vergata11) che i loro modelli
di business e le loro strategie aziendali sono alquanto diverse. Ciascuna di esse ha proprie aree di
specializzazione quanto a patologie cui si riferiscono i loro prodotti e le sottostanti attività di R&S:
ad esempio, Dompè è specializzata nel campo dei farmaci per l’apparato respiratorio ed
osteoarticolari di carattere biotecnologico e si avvale di una rete di relazioni cooperative con piccole
imprese biotech e spin off universitari in 50 Paesi; Italfarmaco è presente principalmente nel
mercato dei generici e produce anche principi attivi rivenduti a terzi in vari campi per farmaci i cui
originators non dispongono più di brevetto; Recordati, specializzata in farmaci per varie patologie,
ha il proprio punto di forza nella produzione chimica delle molecole impiegate.
Alcune di esse affiancano alla commercializzazione di specialità farmaceutiche proprie on
patent anche quella di specialità farmaceutiche prodotte su licenza di gruppi esteri. Una (Angelini) è
una media impresa capogruppo di un gruppo di oltre 2.500 addetti operante con filiali produttive in
una decina di Paesi; un’altra (Bracco) è la divisione farmaceutica di un gruppo che figura tra i
leaders mondiali nel campo dei liquidi di contrasto per la diagnostica medica; la stessa Angelini si è
inoltre da tempo specializzata nella produzione di prodotti di autocura con marca pubblicizzata
(Moment) e di disinfettanti, che è riuscita a trasformare in prodotti di marca (Amuchina),
sviluppando in modo particolare le sue capacità di marketing e sostenendo ingenti investimenti
nella comunicazione commerciale. Seppure con andamenti non lineari, nel loro insieme le medie
imprese farmaceutiche italiane hanno presentato, nel corso degli anni 2000, un trend di crescita del
fatturato medio-alto e livelli di redditività quasi sempre soddisfacenti, che hanno consentito loro di
autofinanziare una parte degli investimenti. Questi ultimi, se si tiene conto delle loro dimensioni,
pur essendo molto inferiori a quelli delle grandi filiali delle multinazionali operanti in Italia, sono
stati anch’essi ingenti, seppure caratterizzati da una certa discontinuità.
Nonostante gli aspetti positivi, testé evocati, nel suo insieme l’industria farmaceutica
operante in Italia (comprese le filiali delle imprese multinazionali) presenta numerosi punti di
debolezza, se comparata con quella operante negli altri Paesi europei, non solo negli Stati Uniti. Il
punto di debolezza maggiore riguarda la bassa quota degli investimenti in R&S specificamente
destinati ai farmaci innovativi. In Italia, secondo una recente analisi Eurostat, viene destinato a
11
Cfr. F. Spadonaro (2007) “La media impresa farmaceutica italiana: strategie, performances e prospettive”,
L’industria, 28/4.
43
questa finalità solo il 4,8% degli investimenti europei per nuovi farmaci, contro il 22,6% in Gran
Bretagna, il 18,7% in Francia, il 18,5% in Germania, l’11,7% in Svizzera, il 7,2% in Belgio. Anche
l’incidenza degli addetti alla R&S sul totale degli addetti nelle imprese farmaceutiche operanti in
Italia, è pari – come già si è visto – al 9,1%, mentre, mediamente, nell’insieme dei Paesi UE (più
Svizzera) gli addetti alle attività di R&S sono il 17,7% degli occupati nelle imprese farmaceutiche.
Le rappresentanze di categoria hanno sempre sostenuto che la minore presenza in Italia
dell’attività di R&S nel settore farmaceutico è in larga misura imputabile alla minore redditività
derivante dalla commercializzazione dei nuovi principi attivi che superano i processi di
sperimentazione pre-clinica e clinica, minore redditività a sua volta derivante dalle normative
riguardanti la determinazione dei prezzi amministrati dei nuovi farmaci (vds. oltre). In effetti –
come è ben noto – in Italia (ma anche nella maggioranza dei Paesi dell’UE, ad eccezione, in parte,
della Gran Bretagna), le imprese farmaceutiche non possono determinare liberamente il prezzo ex
fabrica dei loro farmaci innovativi secondo logiche di “premium price”, come avviene invece negli
Stati Uniti, Paese in cui, peraltro, la concorrenza fra principi attivi innovativi in parte diversi, tutti
protetti temporaneamente da brevetto, impone durate abbastanza brevi (tre-quattro anni in genere)
dei “premium prices” e dove i differenziali di prezzo tra i farmaci on patent e quelli off patent sono
molto ampi.
Inoltre, in un mercato globale com’è quello dei farmaci, per le imprese innovative (salvo che
negli Stati Uniti, ossia nel mercato-Paese di gran lunga maggiore) le procedure nazionali di pricing
non sono talmente rilevanti da influire sull’entità delle spese in R&S e sulla localizzazione di queste
attività, in quanto il ritorno sugli investimenti non avviene solo su scala locale, ma internazionale.
L’anomalia italiana (incidenza degli addetti alla R&S nel settore farmaceutico sul totale
degli addetti settoriali molto inferiore a quella che si riscontra negli altri maggiori Paesi europei)
dipende principalmente – a nostro avviso – da altri fattori. Anzitutto dalla struttura su scala globale
e da molto tempo caratterizzante il settore (dei primi 40 gruppi farmaceutici, 16 hanno origine negli
USA dove è tuttora localizzata la loro casa-madre, 12 in Germania, Gran Bretagna, Svizzera,
Francia, 10 in Giappone, 1 in Israele, 1 in Italia e ad essi si deve il 90% delle molecole innovative
introdotte sul mercato negli ultimi 10 anni), in secondo luogo dalle migliori remunerazioni che, per
molti anni – ed in parte ancora oggi – le normative e le prassi italiane consentivano di trarre dai
farmaci branded anche off patent anziché da quelli innovativi on patent e dalla minore diffusione
dei generici in senso stretto. Su questo secondo fattore, che investe l’intera organizzazione della
filiera del farmaco in Italia si tornerà nei successivi capitoli.
Va peraltro tenuto presente sin d’ora che, negli anni più recenti, mentre le imprese che
producono nel mercato italiano farmaci senza obbligo di prescrizione si sono attestate sulle 205
44
unità (2010), di cui però 136 con fatturato annuo inferiore ai 2,5 milioni di Euro e solo 10 superiore
ai 50 milioni di Euro, con un basso indice di concentrazione dell’offerta (le prime 50 imprese
partecipano per appena il 36% al fatturato totale del comparto), nel comparto della produzione di
farmaci equivalenti che – come si vedrà – ha comportato anche in Italia negli anni più recenti una
significativa crescita, se si escludono le imprese che producono prodotti “branded”, in parecchi casi
riconducibili alle stesse imprese che continuano a produrre o che producevano gli “originators” a
brevetto scaduto, in Italia sia in termini di fatturato (1,65 miliardi di Euro su 22 miliardi di Euro),
sia di addetti (4.500 su 70.000) le imprese o le divisioni di imprese a ciò deputate sono solo 51 (36
italiane e 15 estere), molte delle quali (circa il 50%) affidano a terzisti la produzione dei loro
farmaci generici. Inoltre più di un terzo dei loro addetti si occupa solo di funzioni di vendita.
L’alta incidenza degli addetti che svolgono attività di presentazione e promozione, seppure
entro i vincoli introdotti in Italia da alcuni anni sulle forme promozionali nei confronti dei
prescrittori (medici di famiglia e specialisti) caratterizza anche, ed in maggior misura, le maggiori
imprese farmaceutiche di grande e media dimensione per i farmaci on patent e off patent branded di
cui detenevano esse stesse il brevetto. In effetti i cosiddetti “informatori scientifici” sono una
figura-chiave dell’attività di marketing delle imprese produttrici di farmaci.
Purtroppo non siamo stati in grado di reperire una valutazione sufficientemente aggiornata
ed affidabile dell’incidenza dei costi di marketing e di vendita sul fatturato delle imprese
farmaceutiche con riferimento al mercato italiano. Con riferimento invece ai dieci gruppi più
importanti su scala mondiale ed all’insieme dei mercati nazionali in cui operano, da un’accurata
analisi riferita ad alcuni anni or sono (Colombo, Gessa, 2008) emerge che i costi di marketing ed
amministrativi (34% del loro fatturato) superano quelli di produzione in senso stretto (esclusa
attività di R&S). Secondo un altro studio, condotto dall'associazione per la salute dei consumatori
Families USA, le aziende farmaceutiche spendono in operazioni di marketing e promozioni il
doppio rispetto a quello che investono nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci. La ricerca ha
evidenziato che lo scorso anno nove della maggiori compagnie del settore hanno speso 45 miliardi e
mezzo di dollari in pubblicità e costi di amministrazione e solo 19 miliardi nella ricerca.
Rapportando la situazione indicata da Colombo e Gessa alle peculiari modalità di determinazione
dei prezzi amministrati dei farmaci di classe A vigenti in Italia (vds. successivi capitoli 6 e 7),
risulterebbe un’incidenza di circa il 22% delle sole spese promozionali sostenute dalle grandi case
farmaceutiche sul prezzo al consumo (in gran parte a carico del SSN) dei farmaci di classe A.
45
3.2 Le fasi dei processi di R&S nell’industria farmaceutica e le procedure
autorizzative sottostanti all’immissione sul mercato dei farmaci
Come già si è accennato e come è documentato in numerosi studi specialistici, i processi di
R&S in campo farmaceutico sono particolarmente lunghi e complessi e presentano esiti fortemente
aleatori.
Schematicamente possono essere individuate quattro grandi fasi di tali processi, della durata
media complessiva, nel caso di farmaci con principi attivi di tipo chimico-molecolare, di circa 13
anni, cui fanno seguito, nel caso di farmaci innovativi di cui viene autorizzata l’immissione sul
mercato circa 12 anni di esclusività brevettuale effettiva (compresi 5 anni, ormai generalizzati, di
“protezione complementare”).
La durata della proprietà intellettuale in campo farmaceutico (che spesso viene confusa con
quella dello sfruttamento effettivo del brevetto sul mercato) è, infatti, nei Paesi industriali avanzati,
di 25 anni (compresi 5 anni protetti con certificati di protezione supplementare), ma comprende
anche le fasi di R&S antecedenti all’eventuale immissione del nuovo prodotto sul mercato.
Mediamente dall’inizio dello screening molecolare di cui viene richiesta la difesa da
pedisseque imitazioni, all’ultima fase di sperimentazioni cliniche, precedute da sperimentazioni
esclusivamente farmacologiche su modelli o cavie non umane, trascorrono 10 anni, la metà circa dei
quali dedicata alle varie fasi di sperimentazioni cliniche, che possono iniziare una volta dimostrata
l’assenza di rischi di tossicità acuta del principio attivo individuato. La sperimentazione clinica ha
necessariamente luogo al di fuori dei laboratori dell’industria farmaceutica ed i suoi esiti devono
essere non solo documentati, ma anche controllati dagli organi regolatori di carattere scientifico a
ciò preposti, che iniziano anche la valutazione comparata dell’efficacia terapeutica dei nuovi
principi attivi rispetto a quelli già in commercio per la cura delle patologie cui sono destinati e le
loro controindicazioni.
Per quanto riguarda le sperimentazioni cliniche, se si considera che l’Italia è uno dei
maggiori mercati di utilizzo dei farmaci (specie on patent e off patent branded) e che dispone di
strutture ospedaliere alcune delle quali all’avanguardia per la cura di varie patologie, nonché di un
SSN molto articolato, appare anomala, su scala internazionale, la debole posizione del nostro Paese
anche in questo campo, nonostante la presenza in Italia delle filiali di tutte le maggiori imprese
farmaceutiche mondiali e di una parte, peraltro – come già si è accennato – modesta, dei loro
laboratori di R&S. In effetti anche in questo campo, per vari motivi specifici, il cui esame va molto
al di là dei limiti della nostra analisi, l’Italia si configura come un ambiente nazionale refrattario e,
per certi aspetti, persino ostile allo sviluppo della ricerca applicata.
46
A questo punto, se le sperimentazioni cliniche hanno avuto esito positivo, iniziano le
procedure vere e proprie di carattere “amministrativo” (in effetti in larga misura dedicate a meglio
definire l’efficacia terapeutica) che hanno una durata media di due anni, e tra le quali, nei Paesi in
cui vigono regimi di prezzo amministrato, rientrano anche le procedure riguardanti il pricing.
Mentre le modalità ed i criteri su cui si basa l’indirizzo ed il controllo sia delle
sperimentazioni cliniche, sia delle procedure riguardanti la valutazione dell’efficacia terapeutica e la
farmacosorveglianza sono in larga misura omogenee e codificate su scala internazionale, in modo
particolare nell’ambito dell’UE, quelle riguardanti la contrattazione del valore economico
comparato e, più ancora, la determinazione del prezzo specie per i farmaci a carico (totale o
parziale) dei SSN, nonché delle modalità di eventuali payback (ossia di eventuali restituzioni ex
post di versamenti già effettuati o comunque previsti da parte del SSN a motivo dello
“sfondamento” dei “tetti di spesa” pubblica vincolanti (in Italia, ad esempio) o di livelli di
redditività-limite (in Gran Bretagna)), a carico delle imprese produttrici, sono differenti nei vari
Paesi in cui i farmaci vengono commercializzati.
Ci soffermeremo, successivamente, su alcuni aspetti che, relativamente ad altri Paesi
europei, caratterizzano in Italia la determinazione del prezzo “ex fabrica” dei farmaci, dai quali
derivano parecchie implicazioni sulle relazioni industria-distribuzione-consumo peculiari del nostro
Paese nelle varie classi di farmaci e nelle loro filiere complessive.
Per ora ci sembra utile richiamare sia la complessa documentazione necessaria (in Italia, ma
anche negli altri Paesi dell’UE) per l’autorizzazione (registrazione) dei farmaci commercializzabili
(non solo di quelli innovativi) e gli organi preposti in Italia al suo esame ed al suo controllo.
Va anzitutto premesso che, per quanto riguarda la sua idoneità terapeutica e l’assenza di
gravi rischi per l’utilizzatore che lo assuma in dosi corrette, sulla base di prescrizione medica e
tenendo comunque contro delle sue controindicazioni, l’attuale normativa autorizzativa italiana è
del tutto assimilata a quella comunitaria e che, in base ad un regolamento UE (CEE, n. 726/2004)
un farmaco può essere commercializzato anche in Italia se ha ottenuto l’autorizzazione in un altro
Paese dell’UE-15. La normativa italiana viene inoltre via via adeguata e, se necessario, modificata,
sulla base delle direttive comunitarie in materia. Siamo quindi in presenza, per gli aspetti sopra
indicati, di una vera e propria normativa europea. In Italia l’organo cui è demandata dal Ministero
della Salute l’applicazione della normativa è l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che opera, per
alcuni aspetti, di concerto con l’Istituto Superiore della Sanità.
L’autorizzazione deve essere richiesta anche per ogni variazione o integrazione di aspetti
secondari riguardanti farmaci già autorizzati (ad esempio vie di somministrazione, modalità di
presentazione). La domanda di autorizzazione per l’immissione di un nuovo farmaco nel mercato
47
deve essere accompagnata (a norma del d.lgs. 24.04.06, n. 229 e delle sue successive modifiche) da
una documentazione molto ampia ed articolata (cfr. allegato), il cui controllo e le cui analisi di
merito – come si è già accennato – nel caso italiano (ma la situazione negli altri Paesi dell’UE non è
molto diversa) richiedono mediamente circa due anni.
Per i farmaci generici12 la documentazione richiede: un’appropriata documentazione della
piena coincidenza con un farmaco di riferimento già autorizzato, ma esclude la presentazione dei
risultati delle prove pre-cliniche e delle sperimentazioni cliniche per i quali fanno testo quelli, già
valutati, del farmaco “originatore”. Per i farmaci equivalenti già registrati dallo stesso soggetto
richiedente in un altro Paese UE, è la stessa AIFA che si fa trasmettere copia della documentazione
dal Paese estero, con un’accelerazione delle procedure di controllo. In ogni caso l’avvio della
procedura di autorizzazione-registrazione del farmaco generico non può avvenire prima di 8 anni
dall’immissione sul mercato del farmaco “originatore”, in genere coincidenti con il tempo di
scadenza del brevetto e, in ogni caso, l’immissione sul mercato del generico non può essere
effettuata prima della scadenza della copertura brevettuale dell’”originatore”, compresi i tempi di
“copertura complementare”.
Per quanto riguarda più specificamente l’industria farmaceutica, le normative italiane,
recependo quelle dell’UE contengono dettagliate prescrizioni sulle modalità produttive e di
conservazione di tutti i farmaci (compresi SOP e OTC), comprensive di specifiche norme sul
controllo di qualità, estese anche ai medicinali sperimentali (usati nelle sperimentazioni cliniche
prima dell’eventuale avvio di produzioni di serie). Normative ugualmente dettagliate riguardano
anche, per gli aspetti di loro pertinenza, i requisiti che devono possedere le organizzazioni di
distribuzione all’ingrosso dei farmaci, anch’esse, per gli aspetti tecnico-logistici, sottoposte ad
autorizzazioni ed a controllo da parte dell’AIFA.
Un aspetto discutibile delle normative sin qui richiamate, è rappresentato, a nostro avviso,
dall’esiguità delle sanzioni penali, specie nel caso di avvio della commercializzazione senza
autorizzazione AIFA o prosecuzione a seguito di sospensione dell’autorizzazione AIFA (arresto da
6 mesi a 1 anno e ammenda da 10.000 a 100.000 Euro per il responsabile dell’impresa produttrice),
nonché nel caso del mantenimento in vendita all’utilizzatore finale di farmaci sui quali è stata
sospesa l’autorizzazione (ammenda da 800 a 2.400 Euro al farmacista, che, solo in caso di recidiva,
comporta sanzioni più gravi). Nessuna sanzione è prevista, in questi casi, a carico del prescrittore,
che viene perseguito solo se la prescrizione di farmaci non autorizzati ha provocato all’utilizzatore
finale eventi che si configurano di per sé come causati da reati perseguibili penalmente.
12
La definizione di farmaco generico contenuta nella normativa, ai fini delle procedure di autorizzazione non si riferisce
solo alla stessa composizione qualitativa e quantitativa dei principi attivi di un farmaco di riferimento già autorizzato,
ma anche alla stessa forma farmaceutica.
48
3.3 Le procedure di determinazione dei prezzi amministrati dei farmaci e dei
margini destinati all’industria produttrice
Si è già ricordato che, mentre le procedure di valutazione e di controllo ai fini della
registrazione-autorizzazione all’immissione sul mercato dei farmaci sono standardizzate (salvo che
per la parte riguardante le sanzioni penali e amministrative) a livello europeo, quelle riguardanti la
determinazione dei prezzi (nel caso di prezzi amministrati) e, nel loro ambito, dei prezzi “ex
fabrica”, da cui deriva il fatturato ed il margine operativo delle imprese produttrici del settore,
variano da Paese a Paese.
Riferendoci solo, seppure molto sinteticamente, alle normative vigenti nei maggiori Paesi
dell’Unione Europea vanno considerati gli aspetti di seguito indicati.
In primo luogo l’estensione ai vari tipi di farmaci, dell’applicazione di prezzi amministrati;
in secondo luogo le procedure di variazione dei prezzi, comprese quelle indirettamente derivanti ex
post da eventuali “payback”; in terzo luogo le fasi o componenti della filiera del farmaco a cui si
riferisce il pricing (produzione separatamente da distribuzione all’ingrosso e al dettaglio con criteri
di determinazione del prezzo amministrato ex fabrica diversi da quelli del prezzo amministrato al
consumo; oppure congiuntamente, con criteri che, implicitamente, almeno entro certi limiti, sono
sovrapposti).
Senza entrare, per ora, nel merito dei problemi specifici di pricing e di determinazione dei
margini operativi dei distributori (sui quali ci si soffermerà articolatamente nel cap. 6), ci limitiamo
ad indicare alcune sostanziali differenze riguardanti il prezzo ex fabrica.
Relativamente al primo aspetto (presenza o assenza, almeno parziale, di un prezzo
amministrato, specie per i farmaci a carico dei servizi sanitari nazionali), la Gran Bretagna e la
Germania sono i Paesi, tra quelli considerati, nei quali, per i nuovi farmaci, il produttore può
stabilire autonomamente il prezzo ex fabrica. In Gran Bretagna, tuttavia, tale prezzo non può dar
luogo ad un ritorno sul capitale investito superiore ad un limite stabilito dall’autorità di regolazione,
che interviene, in caso di superamento, anche negli anni successivi all’immissione sul mercato,
adottando complesse procedure di recupero. Per i farmaci equivalenti l’autorità di regolazione fissa
un prezzo massimo assumendo come riferimento i prezzi degli “originatori”.
In Germania, successivamente al periodo di lancio, tutti i prezzi dei farmaci soggetti a
rimborso da parte del SSN sono amministrati, tenendo conto del valore terapeutico e dei costi
sostenuti dai produttori per la loro creazione.
49
In Francia il prezzo ex fabrica è sempre contrattato dall’autorità di regolazione con il
produttore sulla base di criteri complessi: in parte riguardanti il valore terapeutico, in parte le
previsioni di vendita, in parte i costi di R&S e di produzione. Per i farmaci generici il regolatore
stabilisce prezzi massimi di riferimento.
Anche in Italia il prezzo è contrattato con il produttore da parte dell’AIFA con criteri misti,
che introducono anche procedure di price cap per categorie farmaceutiche. La stima del valore
terapeutico, che viene considerata tra i criteri di determinazione del prezzo non ha raggiunto in
Italia i livelli di formalizzazione e di sofisticazione delle analisi comparate dei costi e dei benefici
per la collettività dei modelli francese e tedesco, ma presenta una crescente articolazione. Per i
farmaci generici con obbligo di prescrizione l’AIFA stabilisce i prezzi massimi anche sulla base di
una ricognizione, reintrodotta negli ultimi anni, dei prezzi di omologhi prodotti vigenti in altri Paesi
UE. Per i medicinali senza obbligo di prescrizione il prezzo ex fabrica è stabilito in Italia – come in
quasi tutti gli altri Paesi europei – dallo stesso produttore. Come si vedrà oltre, per questi farmaci,
anche i prezzi al consumo in Italia sono (dal 2008) totalmente liberi.
In tutti i Paesi considerati, per i cosiddetti farmaci “orfani” (destinati alla cura di patologie
molto rare) valgono regole di determinazione dei prezzi ex fabrica particolari, peraltro codificate su
scala internazionale, tendenti a consentire ai produttori di ritornare sugli ingenti costi in R&S
necessari per la loro creazione, nonostante le minime quantità richieste dal mercato.
Relativamente al secondo aspetto (variazioni nel tempo dei prezzi ex fabrica comprese
quelle derivanti indirettamente da procedure di payback a carico dei produttori), in tutti i Paesi
considerati le variazioni dei prezzi ex fabrica sono sottoposte a vincoli e controlli se si tratta di
variazioni al rialzo. Misure di blocco, anche pluriennale, dei prezzi ex fabrica sono state inoltre
prese non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi.
Le misure più incisive riguardano tuttavia il taglio obbligatorio dei prezzi ex fabrica nei
Paesi in cui le spese per i farmaci a carico del SSN sono sottoposte a “tetti” annuali (ciò vale per
l’Italia, la Germania, la Francia, Paese in cui peraltro i “tetti” vengono concordati con le
rappresentanze degli operatori, ma non vale per la Gran Bretagna, Paese in cui – come si è già
accennato – vigono rigorose procedure di “payback” che influiscono indirettamente sulla riduzione
ex post dei prezzi ex fabrica connesse però con il controllo della redditività del capitale investito
dalle imprese farmaceutiche).
Non tutte le misure di “taglio” dei prezzi amministrati incidono sui prezzi ex fabrica. Alcune
di esse, incidono solo sui prezzi intermedi e finali.
L’Italia, negli anni più recenti, ha proceduto a “tagli” di una certa consistenza anche a carico
dei produttori. In particolare dal 2007 l’AIFA ha stabilito per ogni impresa produttrice titolare di
50
autorizzazioni un budget annuale, calcolato distintamente per i farmaci coperti da brevetto e per gli
equivalenti. La somma di tali budget incrementata con il fondo destinato a sostenere i farmaci
“orfani” innovativi, deve corrispondere alla quota destinata ai produttori nell’ambito del “tetto” di
spesa per i farmaci distribuiti territorialmente e di quello relativo ai farmaci non soggetti a
distribuzione territoriale (utilizzati o distribuiti dalle Asl e dalle altre strutture ospedaliere di cui si
compone lo stesso SSN). In caso di sforamento del primo “tetto” tutti i soggetti della filiera
(produttori, distributori) sono tenuti a coprirlo in misura corrispondente alle rispettive quote di
spettanza sui prezzi al consumo dei medicinali a carico del SSN. Per quanto riguarda i singoli
produttori, la misura è definita dai loro budget ed è differenziata per quello degli on patent nel quale
si collocano i prodotti innovativi, e per quello degli equivalenti. Il relativo payback viene versato
direttamente alle Regioni. Per quanto riguarda i distributori, in linea di principio, il payback avviene
in sede di rimborso da parte del SSN sotto forma di sconti obbligatori (sui meccanismi effettivi di
quest’ultimo payback e sulle loro implicazioni ci si soffermerà nel capitolo 6).
L’AIFA ha preso anche provvedimenti che hanno imposto la riduzione del prezzo al
consumo di tutti i farmaci di classe A ed H nella misura del 5% nel 2006, misura poi conservata nel
2007 e prorogata fino al 2011. Altre misure, basate principalmente sulla riduzione dei prezzi dei
farmaci equivalenti di classe A, conseguenti dall’allineamento ai prezzi europei e dal recupero dei
danni economici subiti dal SSN a seguito della diffusione del fenomeno degli extrasconti praticati
dai produttori ai distributori, sono state prese dall’AIFA nel 2010 e sono state attuate a partire dal
2011 (su queste misure e sulle loro implicazioni si rinvia al capitolo 7 ed al suo specifico allegato).
Per quanto riguarda infine il terzo aspetto (separazione o congiunzione della determinazione
dei prezzi amministrati ex fabrica ed al consumo), va sottolineato che l’Italia è l’unico, tra i Paesi
considerati, che continua ad operare secondo una logica di completo congiungimento tra prezzi
amministrati ex fabrica e al consumo.
In Gran Bretagna ed in Germania i criteri di amministrazione dei prezzi dei farmaci
rimborsabili dal SSN separano nettamente i fattori che vengono presi in esame per remunerare i
produttori da quelli riguardanti la remunerazione dei servizi svolti dai distributori.
In Francia vige un sistema misto in quanto, per i farmaci soggetti a rimborso da parte del
SSN nazionale, alle farmacie è riconosciuta una remunerazione fissa per confezione indipendente
dal loro prezzo ex fabrica, integrata peraltro con una piccola percentuale, decrescente per scaglioni,
dello stesso prezzo ex fabrica, con un meccanismo che favorisce in modo particolare la diffusione
dei generici.
In Italia, invece, pur essendo da due anni attivato un apposito tavolo di lavoro
interministeriale per il passaggio al criterio del “fee for service” per remunerare i servizi dei
51
distributori, i prezzi amministrati di tutti i farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN sono
definiti dall’AIFA in termini di prezzi al consumo, ossia, partendo dal prezzo ex fabrica contratto
con il produttore, vengono aggiunti il margine percentuale riconosciuto ai distributori intermedi e
quello, decrescente per scaglioni, riconosciuto alle farmacie. Così facendo si assume implicitamente
che i fattori di costo sottostanti al prezzo siano i medesimi nella produzione e nella distribuzione (il
che è palesemente errato) e, ciò che più conta, si inseriscono nel sistema di pricing amministrato
incentivi a comportamenti collusivi tra gli attori della filiera (produttori, distributori intermedi e
distributori finali). Su questi aspetti si tornerà in modo articolato nel cap. 6, mentre nel cap. 7 si
approfondiranno i problemi che pone in Italia il passaggio al “fee for service” con cui i criteri di
determinazione del prezzo amministrato alla produzione verrebbero separati, anche in Italia, da
quelli riguardanti la determinazione del prezzo amministrato al consumo.
3.4 Gli effetti sui livelli dei prezzi delle diverse classi di farmaci
I diversi criteri di determinazione dei prezzi ex fabrica e la loro diversa connessione con i
criteri di determinazione dei prezzi al consumo influiscono senza dubbio sui livelli dei prezzi delle
diverse classi di farmaci nei Paesi considerati.
Su questo aspetto, strettamente connesso con quello della presenza o meno nei vari Paesi da
un lato di incentivi alla creazione di farmaci innovativi, dall’altro alla diffusione di farmaci generici,
sono state compiute alcuni anni or sono rigorose analisi13, dalle quali, tuttavia, possono essere solo
indirettamente desunti gli specifici effetti dei criteri di determinazione dei prezzi ex fabrica, in
quanto tali analisi sono riferite ai prezzi al consumo al lordo e al netto delle componenti fiscali (che
– come si vedrà nel cap. 6 – sono anch’esse fattori non secondari che influiscono sulla
comparazione internazionale dei prezzi dei farmaci). Inoltre l’elaborazione dei dati elementari
finalizzati a costruire indicatori riguardanti “panieri” di prodotti farmaceutici omogenei e rilevanti
in misura analoga nei diversi Paesi presenta elementi di notevole complessità ed implica comunque
alcuni limiti di comparabilità.
Fatta questa doverosa premessa, va anzitutto tenuto presente che l’Italia, per quanto riguarda
i prezzi medi di tutti i farmaci (componenti fiscali escluse), calcolati sulla base dei prezzi medi per
ogni principio attivo, ponderati per la diffusione dei principi attivi, si collocava tra i Paesi dell’UE
con i prezzi più bassi (fatta uguale a 100 la media UE-15, gli indici per i quattro Paesi da noi
13
In particolare da Jommi, Aguzzi, Otto (2008) e da Pammolli, Benassi, Riccaboni e Salerno (2008).
52
considerati erano infatti, nell’ordine: Francia 84,7%; Italia 88,6%; Gran Bretagna 96,4%; Germania
120,6%).
Tuttavia questo risultato derivava essenzialmente da un prezzo medio dei prodotti branded
(sia con brevetto in atto, sia con brevetto scaduto) inferiore di circa il 20% rispetto alla media UE15 per gli stessi prodotti, a fronte di un prezzo medio dei prodotti equivalenti (peraltro, nell’anno di
riferimento dell’analisi, ancora molto meno diffusi in Italia) superiore del 27% rispetto alla loro
media UE-15. In particolare per i prodotti branded la Germania emergeva come il Paese con i prezzi
comparativamente più elevati (del 15% circa superiori alla media europea), probabilmente a motivo,
almeno in parte, della regolazione che consente ai produttori libertà di prezzo, seppure limitata alla
fase di lancio dei prodotti innovativi14, mentre la Gran Bretagna, pur lasciando libertà di prezzo per
i nuovi prodotti, ma vincolandola a predefinite soglie massime di redditività, aveva una indice dei
prezzi de farmaci branded sostanzialmente allineato alla media europea.
Un’altra analisi, condotta nell’ormai lontano 2005 da IMS Health e riferita ad un lungo arco
temporale (1994-2004) evidenzia che, al momento della loro introduzione sul mercato, i farmaci
generici presentavano in Italia una differenza di prezzo rispetto ai branded corrispondenti
mediamente di appena il 17,3%, contro il 40% negli Stati Uniti, il 26,5% in Germania, il 31% in
Gran Bretagna, il 23% in Francia. Va però subito aggiunto che, negli anni successivi, in tutti i Paesi
europei e, negli anni più recenti, anche in Italia i prezzi massimi dei farmaci generici imposti dalle
autorità di regolazione sono stati significativamente ridotti rispetto a quelli degli originatori nelle
classi soggette a rimborso (totale o parziale) da parte del SSN. Paradossalmente, per quanto
riguarda l’Italia, alcuni anni or sono era particolarmente conveniente per i produttori privi di
branded affermati spingere il mercato dei generici, ma la normativa basata sulla remunerazione dei
distributori proporzionale ai prezzi al consumo e le relazioni al limite collusive dei distributori e dei
prescrittori con i titolari di prodotti branded che tale normativa incentivava, frenavano, rispetto agli
altri Paesi europei, la loro diffusione. Oggi tale convenienza si è attenuata e la diffusione dei
generici si è sviluppata, seppure con un certo ritardo, pur non venendo meno le procedure nazionali
di pricing richiamate nel paragrafo precedente.
Altri aspetti che caratterizzano la situazione italiana nel contesto europeo connessi, seppure
parzialmente, alla specificità delle procedure nazionali di pricing, documentate anche da recenti
analisi comparative, riguardano:
A. La minore concentrazione del mercato (quote di mercato del primo e dei primi tre
produttori di farmaci) ed il minore differenziale tra i prezzi medi relativi (per unità
14
È anche probabile che questa procedura possa essere interpretata come una misura indiretta di politica industriale
finalizzata a sostenere la competitività innovativa dei grandi gruppi farmaceutici tedeschi nei confronti di quelli
statunitensi, non sottoposti nel loro mercato nazionale a procedure di amministrazione dei prezzi.
53
farmacologica standard) del produttore leader rispetto agli altri per i prodotti
branded;
B. La maggiore persistenza nel tempo delle posizioni di leadership, indice di una bassa
intensità dei processi di “distruzione creativa” nell’industria farmaceutica non tanto
per quanto riguarda i trasferimenti di proprietà, quanto per quanto riguarda le
leadership di prodotto (branded);
C. Le limitate differenze dei prezzi dei farmaci neo-brevettati nelle fasi iniziali (in
genere primi tre anni) ed in quelle successive alla loro immissione sul mercato.
Questi (ed altri) indicatori concorrono nell’evidenziare che, comparativamente con quelle
degli altri maggiori Paesi europei, l’industria farmaceutica italiana (comprese, ovviamente, le filiali
delle imprese multinazionali del settore localizzate in Italia), intrattiene rapporti abbastanza stabili
sia con gli altri attori della filiera, sia con le autorità preposte alla regolazione, stabilità, a nostro
avviso, assecondata, nonostante il dinamismo dell’AIFA sul piano dei “tagli” imposti dal rispetto
dei “tetti” di spesa, dal permanere di criteri di amministrazione dei prezzi che congiungono, anziché
separare, i prezzi ex fabrica concordati con i produttori ed i prezzi al consumo.
3.5 Aspetti essenziali della distribuzione intermedia dei farmaci in Italia
Ai cenni sin qui fatti sulla prima componente della filiera dei farmaci (industria produttrice)
è utile aggiungere alcune considerazioni sulla seconda componente (distribuzione intermedia o
all’ingrosso) considerazioni che – come per l’industria – sono limitate all’essenziale in quanto la
nostra analisi si riferisce alla distribuzione al dettaglio, con particolare riferimento a quella dei
prodotti farmaceutici e parafarmaceutici non soggetti a prescrizione medica, i cui problemi verranno
esaminati articolatamente a partire dal prossimo capitolo.
Per quanto riguarda la distribuzione intermedia va anzitutto evidenziata la sua importanza in
termini funzionali e la complessità dei sistemi logistici di cui si avvale. Basta tenere presente che
nel mercato italiano dei farmaci di classe A e C vengono distribuiti annualmente milioni di
confezioni, con consegne alle farmacie plurigiornaliere e con obblighi di fornitura da parte dei
distributori intermedi ai farmacisti entro 12 ore dall’emissione degli ordini da parte di questi ultimi.
D’altro canto, specie in Italia, per i motivi che si evidenzieranno tra breve, i distributori
intermedi, nonostante la loro posizione centrale nella filiera del farmaco, sono dotati di uno scarso
potere di mercato, ossia possono condizionare solo in misura modesta le scelte: da un lato delle case
farmaceutiche, dall’altro dei farmacisti e dei prescrittori. Inoltre la concorrenza tra distributori
54
intermedi, a differenza di quanto accade tra distributori finali, è molto intensa e si basa
principalmente su fattori di carattere funzionale (costi comparati) e su fattori assimilabili a quelli
della concorrenza di prezzo (ottenimento di sconti dai produttori e concessione di sconti ed extrasconti ai distributori finali).
Non a caso, nel sistema italiano di amministrazione dei prezzi e dei margini riguardanti
l’intera filiera, per i farmaci soggetti a rimborso dal SSN, dopo molte vicissitudini e distorsioni (che
verranno considerate nel cap. 6) attualmente la remunerazione garantita ai distributori intermedi è
ufficialmente stata ridotta al 3% del prezzo al consumo, pari al 4,5% del prezzo concordato ex
fabrica.
Sotto il profilo strutturale i canali di distribuzione dei farmaci e di una parte dei parafarmaci
possono essere indiretti lunghi (industria-ingrosso-farmacia oppure industria-ingrosso-ospedale) o
indiretti brevi (industria-farmacia o gruppo di acquisto tra farmacie e industria-ospedale).
Storicamente (come documenta un rapporto dell’AGCM del 1997) i canali indiretti lunghi erano
nettamente prevalenti per la distribuzione territoriale (attraverso le farmacie), mentre prevalevano
quelli indiretti brevi nel comparto delle forniture ospedaliere. Allora, ad esclusione delle farmacie
comunali, che potevano farlo anche con strutture associative, alle farmacie private era vietata
l’integrazione verticale ascendente della loro attività, ossia la formazione di gruppi per l’acquisto
collettivo dei farmaci, divieto che venne tolto nel 2006 con il decreto Bersani. Fu però conservato il
divieto di integrazione verticale discendente, ossia di partecipazione dei distributori intermedi al
controllo proprietario delle farmacie, peraltro comunque impossibile nella normativa italiana che,
con l’obbligo di bundling tra proprietà e gestione delle farmacie da parte dei singoli farmacisti o di
società di persone o società cooperative a responsabilità limitata composte da soli farmacisti (cui
però poteva fare capo un solo punto di vendita fino al 2006, quattro al massimo ora, tutti ubicati
nella stessa provincia, a seguito del decreto Bersani) impedisce la formazione di catene a base
succursalistica o anche di unioni volontarie tra grossisti e dettaglianti nel settore della distribuzione
dei farmaci (ad esclusione di quella dei farmaci SOP e OTC, offerti nelle parafarmacie e nei corner
della GDO).
I vincoli testè richiamati hanno non poco ostacolato in Italia l’evoluzione dei rapporti
industria-distribuzione-consumo nel settore in esame a differenza di quanto è invece accaduto in
altri Paesi europei (in particolare in Gran Bretagna, ma non solo). Anche i gruppi di acquisto
operanti in nome e per conto di farmacisti convenzionati con il SSN non hanno potuto sviluppare
attività che esulino dalla loro funzione originaria di approvvigionamento, trasformandosi – come è
avvenuto invece in altri settori della distribuzione dei beni di consumo
- in vere e proprie
organizzazioni di grande dettaglio a base associativa.
55
Un altro aspetto che ha caratterizzato storicamente in Italia la distribuzione intermedia dei
farmaci è lo scarso grado di concentrazione delle imprese operanti in quest’area di attività. Nel 2000
i tre operatori con le maggiori quote di mercato realizzavano in Italia il 32% del fatturato, mentre in
Germania i primi tre operatori dominavano sostanzialmente il mercato con una quota del 79%, in
Francia il solo primo operatore deteneva una quota del 41% ed i primi due del 71%, in Gran
Bretagna i primi due operatori (di dimensioni analoghe) del 66%. In effetti la distribuzione
intermedia dei farmaci è da sempre controllata in Europa da grandi imprese, pur essendo articolata
in sistemi logistici capillari e presenta comunque, ai suoi vertici, livelli di concentrazione nei singoli
Paesi superiori a quelli dell’industria farmaceutica. I maggiori distributori intermedi tedeschi e
francesi operano inoltre, da alcuni anni, anche su scala transnazionale. In Italia, invece, pur essendo
aumentata nell’ultimo decennio la concentrazione delle iniziative in questo campo, continua a
sussistere un frazionamento anomalo nel contesto europeo.
Secondo la più recente rilevazione disponibile riferita al 2010, le imprese operanti nel nostro
Paese nella distribuzione intermedia dei farmaci sono infatti 110 con 12.300 addetti (112 in media
per impresa) e con un fatturato complessivo (che include anche la distribuzione all’ingrosso di
parafarmaci che fa capo a tali imprese) di 13.200 milioni di Euro15. Ricorrendo ampiamente
all’outsourcing nello svolgimento di una parte delle loro funzioni logistiche (specie di trasporto) il
loro valore aggiunto è abbastanza limitato rispetto a quello dei servizi acquisiti da terzi.
Le prime quattro imprese, a seguito di processi interni di sviluppo e di acquisizioni,
detengono (nel 2010) il 54% del fatturato del comparto, che comprende, però anche quello dei
gruppi di acquisto tra farmacisti, 11 dei quali, tra loro consorziati, si appoggiano alla maggiore
impresa del comparto che agisce nel nome e per conto di ciascuno di tali gruppi. Questa impresa
(Federfarmaco) ha sviluppato varie iniziative a supporto dell’attività di marketing dei farmacisti
(ben 11.000) che ad essa fanno capo, compresa un’ampia gamma di prodotti di marca commerciale
prevalentemente composta da parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica, peraltro poco
diffusi. Le farmacie aderenti, inoltre, concentrano su Federfarmaco poco più del 50% dei loro
acquisti, rivolgendosi anche ad imprese concorrenti. Tre delle imprese maggiori sono di proprietà
italiana, la quarta è invece una filiale di un grande gruppo estero impegnato in un processo di
crescita transnazionale, una di esse opera solo nell’Italia del Nord. Il restante 46% del mercato è
distribuito su 121 imprese di dimensioni minori.
15
I parafarmaci distribuiti dai distribuitori all’ingrosso di farmaci riguardano principalmente il latte in polvere, gli
integratori alimentari, alcuni cosmetici. L’incidenza delle vendite dei parafarmaci sul fatturato dei distributori intermedi
di farmaci è del 18% circa. I farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP e OTC) incidono solo per il 6% essendo
elevata la quota di tali farmaci distribuita direttamente dall’industria ai punti di vendita (farmacie, parafarmacie e
GDO).
56
L’attuale struttura dei canali di commercializzazione dei farmaci a distribuzione territoriale
(ossia venduti al pubblico nelle farmacie e, solo per i farmaci SOP e OTC, anche nelle parafarmacie
e nei corner) resta imperniata sui grossisti specializzati, attraverso i quali transita il 51% dei farmaci
di classe A e C. Con riferimento ai farmaci SOP e OTC (anche non di marca commerciale,
compresi quelli – e sono la maggioranza – distribuiti nelle farmacie) i grossisti si collocano in una
posizione meno rilevante rispetto alla distribuzione indiretta breve organizzata dall’industria
produttrice cui fa capo il 54,8% del valore di tali farmaci, contro il 45,2% intermediati dai grossisti.
Ai circuiti indiretti brevi fa anche capo il 10% circa dei farmaci di classe A e C distribuiti nelle
farmacie e la maggior parte dei farmaci destinati alle strutture ospedaliere, compresi quelli affidati
alle farmacie nella distribuzione al dettaglio per conto delle Asl.
Le prospettive di sviluppo delle attività di distribuzione intermedia dei farmaci in Italia si
presentano molto problematiche, al di là della tendenza, in atto, all’ulteriore concentrazione ed
all’uscita dal mercato (o, meglio alla riduzione della loro autonomia rispetto a soggetti economici
maggiori) di parecchi grossisti minori operanti su scala locale.
A nostro avviso, assai più dei problemi evocati dalla loro associazione di categoria,
determinati, a loro avviso, dai provvedimenti normativi che hanno formalmente dimezzato il
margine riconosciuto ai grossisti sui prezzi al consumo dei farmaci di classe A, margine che, in
effetti, era già sui livelli attuali a motivo delle politiche di extrasconto (cfr. cap. 6), i distributori
intermedi di farmaci si trovano in Italia a misurarsi con problemi di mercato, con problemi tecnici e,
specialmente, con vincoli alla diversificazione della loro attività particolarmente critici.
Tra i problemi di mercato spicca quello della stasi (ormai da tempo in atto) della domanda in
valore dei prodotti da loro commercializzati, sulla parte più consistente della quale vengono
determinati i loro margini, a fronte della crescita della domanda in quantità, che influisce sui loro
costi (di carattere prevalentemente logistico).
Tra i problemi tecnici quello dell’ulteriore razionalizzazione dei loro sistemi logistici e dei
supporti (software e hardware) su cui si basano. Un tempo la distribuzione intermedia dei farmaci,
basata su ordinativi digitalizzati e su codificazioni appropriate (i codici AIFA non corrispondono ai
normali codici a barre in quanto sono maggiormente funzionali al complesso sistema in cui si
colloca la distribuzione dei farmaci) presentava applicazioni all’avanguardia nel campo della
distribuzione commerciale. Oggi le opportunità tecnologiche si sono accresciute e si pone un
problema, solo in parte risolto, di adeguamenti tecnici indispensabili per ridurre i costi ed aumentare
l’efficienza dell’intero sistema.
Per quanto riguarda infine i vincoli normativi alla diversificazione della loro attività, in
modo particolare il divieto a processi di integrazione verticale discendente, i distributori intermedi
57
italiani del settore dei farmaci continuano a vedere loro precluse le principali strategie di sviluppo
su cui si è basata l’evoluzione dei maggiori distributori intermedi europei.
58
Allegato 1
Documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione per l’immissione sul
mercato di nuovi farmaci
a) nome o ragione sociale e domicilio o sede legale del richiedente e del produttore, se diverso
dal primo; in caso di coproduzione, dovranno essere specificate, oltre alle sedi degli
stabilimenti, italiani o esteri, le fasi di produzione e di controllo di pertinenza di ciascuno di
essi;
b) denominazione del medicinale;
c) composizione qualitativa e quantitativa del medicinale riferita a tutti i componenti riportati
utilizzando la denominazione comune;
d) valutazione dei rischi che il medicinale può comportare per l’ambiente. Tale impatto deve
essere studiato e devono essere previste, caso per caso, misure specifiche per limitarlo;
e) descrizione del metodo di fabbricazione;
f) indicazioni terapeutiche, controindicazioni e reazioni avverse;
g) posologia, forma farmaceutica, modo e via di somministrazione e durata presunta di
stabilità;
h) motivi delle misure di precauzione e di sicurezza da adottare per la conservazione del
medicinale, per la sua somministrazione ai pazienti e per l’eliminazione dei residui,
unitamente all’indicazione dei rischi potenziali che il medicinale presenta per l’ambiente;
i) descrizione dei metodi di controllo utilizzati dal produttore;
j) risultati:
1. delle prove farmaceutiche (chimico-fisiche, biologiche o microbiologiche);
2. delle prove precliniche (tossicologiche e farmacologiche);
3. delle sperimentazioni cliniche;
k) descrizione dettagliata del sistema di farmacovigilanza e, se del caso, del sistema di gestione
dei rischi che sarà realizzato dal richiedente;
l) una dichiarazione che certifica che tutte le sperimentazioni cliniche eseguite al di fuori
dell’Unione europea sono conformi ai requisiti etici contenuti nel decreto legislativo 24
giugno 2003, n. 211;
m) un riassunto delle caratteristiche del prodotto redatto a norma dell’articolo 14, un modello
dell’imballaggio esterno, con le indicazioni di cui all’articolo 73, e del confezionamento
primario del medicinale, con le indicazioni di cui all’articolo 74, nonché il foglio illustrativo
conforme all’articolo 77;
n) un idoneo documento dal quale risulta che il produttore ha ottenuto nel proprio Paese
l’autorizzazione a produrre medicinali;
o) copia di ogni AIC relativa al medicinale in domanda, ottenuta in un altro Stato membro della
Comunità europea o in un Paese terzo unitamente all’elenco degli Stati membri della
Comunità europea, ove è in corso l’esame di una corrispondente domanda, e copia del
riassunto delle caratteristiche del prodotto e del foglio illustrativo, già approvati dallo Stato
membro o solo proposti dal richiedente, nonché copia della documentazione dettagliata
recante i motivi di eventuali dinieghi dell’autorizzazione, sia nella Comunità europea che in
un Paese terzo;
p) copia dell’assegnazione al medicinale della qualifica di medicinale orfano a norma del
regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre
1999, concernente i medicinali orfani, unitamente a copia del relativo parere dell’EMEA;
q) certificazione che il richiedente dispone di un responsabile qualificato per la
farmacovigilanza e dei mezzi necessari a segnalare eventuali reazioni avverse, che si
sospetta si siano verificate nella Comunità europea o in un Paese terzo.
59
60
4. LA DISTRIBUZIONE AL DETTAGLIO DEI FARMACI
4.1 Elementi quantitativi d’assieme
Come si è specificato fin dall’inizio (cfr. paragrafo 1.2.) in Italia, la distribuzione al dettaglio
dei farmaci di classe A e di quelli di classe C, esclusi quelli utilizzati o somministrati direttamente
dai presidi ospedalieri, ha luogo esclusivamente nelle farmacie (convenzionate con il SSN), mentre
dal 2006 quella dei farmaci SOP e OTC coinvolge anche le parafarmacie ed i corner della GDO. La
distribuzione al dettaglio dei parafarmaci ha luogo anche, seppure marginalmente, in altri tipi di
unità di vendita (in particolare nelle erboristerie e nei punti di vendita di articoli sanitari) ed in unità
di servizio (centri benessere ad esempio). Quella degli extrafarmaci percepiti dai loro utilizzatori
come prodotti destinati alla prevenzione di stati patologici o comunque rientranti nella sfera
salutistica anche in numerosi altri canali distributivi, ad assortimento specializzato o
despecializzato.
Considerando la distribuzione al dettaglio dei farmaci in senso stretto (sottoposti alle
procedure autorizzative dell’AIFA), il numero dei punti di vendita operanti in Italia al 31.12.2010
ammontava a 20.660 unità, così ripartite: 17.796 farmacie convenzionate con il SSN (di cui 1.550
pubbliche), 2.553 parafarmacie e 311 corner della GDO (Anifa, 2011).
Il numero delle farmacie è contingentato – come si vedrà meglio in seguito – in relazione al
numero degli abitanti dei singoli comuni: 1 farmacia al massimo ogni 4.000 residenti nei comuni
fino a 12.500 abitanti ed 1 al massimo ogni 5.000 nei comuni che superano tale soglia. Esso è
passato da 12.639 unità nel 1972 a 17.004 unità nel 2006, quando le farmacie erano ancora
venditori esclusivi di tutti i farmaci in senso stretto, con un incremento medio annuo di 128 unità. Il
suo tasso di crescita è stato analogo (anzi, leggermente inferiore: 111 nuove unità in media all’anno)
nel periodo successivo al 2006. In sostanza: da parecchi anni in Italia il numero delle farmacie è
cresciuto poco.
La loro dislocazione territoriale è ovviamente connessa, seppure non strettamente, con la
distribuzione dei comuni appartenenti alle diverse classi demografiche: nel 2010 nei 4.126 comuni
61
con popolazione fino a 2.500 abitanti16 (dove risiede il 7,9% della popolazione italiana) operavano
2.969 farmacie (16,7% del totale); in quelli da 2.500 a 12.500 abitanti (3.068 comuni, con il 28,9%
della popolazione italiana) ne operavano 4.719 (26,5%) ed in quelli con più di 12.500 abitanti (908
comuni con il 63,2% della popolazione italiana) 10.108 (56,8%). I comuni privi di farmacia erano
1.003 su 8.101 (12,4% dei comuni italiani, quasi tutti con popolazione inferiore ai 1.000 residenti).
Il rapporto tra abitanti e farmacie che si rileva in Italia (1 farmacia ogni 3.374 abitanti) è di
poco superiore alla media dei Paesi dell’Unione europea (una farmacia o un esercizio equiparabile
ogni 3.323 abitanti), ma inferiore a quello dei Paesi del Nord ed in modo particolare della Gran
Bretagna (una farmacia ogni 4.715 abitanti), dove – come si vedrà in seguito – non vi sono
meccanismi istituzionali di contingentamento assimilabili alla “pianta organica” e dove possono
operare nella distribuzione dei farmaci società di capitali senza bundling tra proprietà ed esercizio.
Nonostante l’apertura del mercato alle parafarmacie ed ai corner della GDO per la vendita
dei soli farmaci SOP e OTC, nel 2010 la quota di mercato (in valore) delle farmacie sul totale dei
farmaci distribuiti al dettaglio continuava ad essere preponderante. Considerando però anche i
parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica, si può stimare che essa si aggirasse
attorno al 94,5%17 sul totale delle vendite delle farmacie stesse, delle parafarmacie e dei corner
GDOSe si tiene presente che – come si è visto nel cap. 2 – solo i farmaci SOP e OTC possono
essere venduti anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO18 e che essi incidono per il 7,9%
sulla spesa farmaceutica nazionale e per l’8,6% su quella “territoriale” e che, fino al 2005, tali
farmaci potevano essere venduti esclusivamente nelle farmacie, si può dedurre che, per i farmaci in
senso stretto, le parafarmacie hanno sottratto alle farmacie circa 99 milioni di Euro di fatturato ed i
corner della GDO circa 61 milioni di Euro. Si tratta di quote del mercato farmaceutico “territoriale”
complessivo alquanto contenute, specie tenendo presente che, per i motivi già considerati nel cap. 2,
si riferiscono ad un comparto sostanzialmente statico, anzi in lieve riduzione (quanto ad entità
complessiva del fatturato) dal 2006 al 2010.
In questo comparto (OTC e SOP) il numero medio di confezioni in assortimento risulta di
poco superiore nelle farmacie (1.277 referenze) rispetto alle parafarmacie (1.047 referenze) e più
16
È possibile infatti aprire una nuova farmacia anche al superamento del 50% della soglia dei 4.000 residenti ed un
certo numero di farmacie “rurali” già localizzate in comuni con meno di 2.000 residenti prima dell’assestamento della
“pianta organica” avvenuto nel 1991, ha continuato la sua attività.
17
Fonte: nostre elaborazioni su fonti varie (Nielsen, IMS, Federdistribuzione, Anifa).
18
Secondo un’analisi del CERGAS (Bocconi) del 2008 il 60% circa della popolazione europea può acquistare questi
tipi di farmaci anche in unità di vendita diverse dalle farmacie.
62
contenuto nei corner della GDO (686 referenze)19. Nei corner gli acquisti si concentrano inoltre su
un numero di referenze molto limitato (60% degli acquisti sulle prime 50 referenze).
Per quanto riguarda più specificamente le parafarmacie, la loro crescita successivamente al
1976 è stata dapprima rapida ed intensa (1.736 a fine 2007 e 2.240 a fine 2008, meno intensa negli
ultimi anni (come si è visto, secondo Anifa, a fine 2010 risultano attive 2.533 unità). La loro
distribuzione territoriale è quasi opposta a quella dei corner della GDO, presenti prevalentemente
nell’Italia del Nord. Infatti il 43% delle parafarmacie opera nell’Italia sud-insulare, con punte
massime in Sicilia ed in Campania, il 21% nell’Italia centrale, con punta massima nel Lazio, il 20%
nell’Italia nord-occidentale ed il 16% nell’Italia nord-orientale. Quanto a dimensione dei comuni in
cui sono localizzate le parafarmacie, prevalgono nettamente quelli con più di 12.500 abitanti.
A differenza delle farmacie, il cui numero – come già si è visto, negli ultimi anni è cresciuto
in misura molto limitata e che – come si vedrà meglio in seguito -, se si escludono le cessioni e,
specialmente, i trapassi ereditari, presentano una continuità nel loro esercizio, garantita dal
combinato disposto del contingentamento, del bundling tra proprietà ed esercizio e dal divieto di dar
vita ad organizzazioni a catena, le parafarmacie, specie negli anni più recenti, si caratterizzano per
un turnover abbastanza elevato. Le nuove aperture sopravanzano le definitive chiusure, ma anche
queste ultime non sono eventi straordinari. Ciò sta ad indicare che una parte, seppure limitata, degli
esercizi in esame si trova ad operare in condizioni difficili quanto a redditività fino ad uscire
definitivamente dal mercato.
In effetti nel comparto delle parafarmacie, si riscontrano tipi di esercizi tra loro alquanto
diversi: da quelli (circa 650 secondo una recente stima di una delle associazioni di categoria) facenti
parte di catene a base succursalistica, quasi tutte, però, con al massimo una decina di esercizi, a
quelli, una piccola parte, a gestione strettamente connessa con quella di una farmacia con cui
intrattengono relazioni cooperative, basate su una parziale divisione del lavoro, a quelli (la
maggioranza) costituiti da piccoli punti di vendita a gestione completamente autonoma e
competitiva rispetto alle farmacie, ma – come si vedrà meglio in seguito – con caratterizzazioni e
politiche di mercato di vario tipo rivolte a micro segmenti di utilizzatori con aspettative in parte
differenti.
Si è già accennato che le parafarmacie negli anni più recenti hanno acquisito modeste quote
di mercato (stimate da Anifa nel 4,5% nel 2010) nella vendita dei farmaci SOP e OTC, oggetto
della liberalizzazione del 2006. Sulla base di questa stima, anche in valore assoluto le vendite medie
unitarie di SOP e OTC di ogni parafarmacia sono notevolmente inferiori a quelle di ogni farmacia.
Va però subito aggiunto che – come si vedrà meglio tra breve – i farmaci SOP e OTC, in genere
19
Fonte: CERGAS.
63
venduti nelle parafarmacie a prezzi inferiori rispetto a quelli delle farmacie, non costituiscono il
“core business” di questi esercizi, essendo complessivamente molto più rilevanti, quanto ad
incidenza sul loro fatturato, i parafarmaci e, seppure in misura minore, e solo in una parte degli
esercizi in esame, alcuni extrafarmaci a connotazione salutistica.
I corner della GDO, infine, sorti a seguito della liberalizzazione della distribuzione dei
farmaci SOP e OTC sono stati finora attivati da quattro grandi organizzazioni della distribuzione
organizzata “grocery”: il leader di mercato e leader dello specifico comparto COOP Italia, la
maggiore organizzazione a base associativa tra distributori al dettaglio (CONAD-Leclerc) con le
sue strutture consortili di terzo livello e due gruppi a base succursalistica (Carrefour ed Auchan,
quest’ultimo, recentemente, attraverso la cessione dei corner di cui dispone ad un’impresa
specializzata, con una formula assimilabile al rack-jobbing).
Come già si è accennato, i corner della GDO, a motivo essenzialmente delle elevate
dimensioni minime efficienti dei costi di esercizio fissi ed in modo particolare di quelli riguardanti
la presenza fisica di almeno un farmacista abilitato ed iscritto all’albo professionale in ciascuno di
essi (considerando i loro orari di apertura ed i turni del personale, almeno tre farmacisti per ogni
corner), sono inseriti solo in unità di vendita con un’elevata attrattività a largo raggio, ossia, nella
stragrande maggioranza dei casi, in ipermercati, che operano come “magneti di attrazione”
nell’ambito di centri commerciali. Ciò spiega sia il loro numero, relativamente limitato, sia la loro
dislocazione territoriale, nella quale prevalgono le aree periferiche delle città di media e grande
dimensione dell’Italia settentrionale e centrale.
L’attivazione dei corner della GDO è stata rapida: alla fine del 2007, anno immediatamente
successivo alla liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci OTC e SOP, operavano
già 162 unità di vendita di questo tipo, che sono poi aumentate progressivamente negli anni
successivi (235 nel 2008, 274 nel 2009, 311 nel 2010).
Particolarmente competitivi nei confronti delle farmacie, a motivo delle loro politiche di
prezzo, anche i corner della GDO – come si vedrà meglio in seguito – realizzano con la vendita dei
farmaci SOP e OTC solo una parte del loro fatturato, la quota maggiore del quale riguarda la
vendita di parafarmaci, il cui assortimento è molto più esteso rispetto a quello dei farmaci in senso
stretto. Gli extrafarmaci a connotazione salutistica sono invece venduti in altri reparti delle unità di
“grande dettaglio” nelle quali sono localizzati i corner.
64
4.2 La
distribuzione al dettaglio
“allargata” (farmaci, parafarmaci,
extrafarmaci a connotazione salutistica)
Come emerge dai cenni sin qui fatti, per meglio cogliere le caratteristiche strutturali della
distribuzione al dettaglio nel settore oggetto del nostro esame e per introdurre un’analisi più
puntuale degli aspetti gestionali, di marketing e dei, seppure molto limitati, rapporti competitivi in
cui sono coinvolte le farmacie, è essenziale estendere la nostra analisi alla commercializzazione al
dettaglio anche dei parafarmaci e, almeno in parte, degli extrafarmaci a connotazione salutistica.
Nel compiere questa estensione ci riferiremo, per quanto possibile, ai parafarmaci
commercializzati, senza alcun vincolo AIFA, nei tre canali distributivi da noi considerati ed agli
extrafarmaci con connotazioni salutistiche commercializzati nelle farmacie e nelle parafarmacie,
non invece a quelli commercializzati in reparti delle unità di vendita della grande distribuzione
diversi dai loro corner salute.
Si tratta – come già si è accennato – di prodotti tra loro merceologicamente molto
eterogenei, che vengono percepiti da segmenti, più o meno ampi, di utilizzatori finali come adatti
per conservare un buono stato di salute, per prevenire stati patologici, per evitare il decadimento
fisico, per coadiuvare lo svolgimento delle attività motorie, e così via. Essi includono i parafarmaci
in senso proprio, quali i prodotti curativi in dosi omeopatiche, alcuni medicamenti erboristici, i
prodotti mono o multi vitaminici, alcune linee di prodotti per la dermocosmesi, alcuni integratori
alimentari, i prodotti ad uso veterinario, ma anche prodotti extrafarmaceutici quali creme solari e
altri prodotti “di bellezza” in genere, prodotti per l’igiene personale, alcuni omogeneizzati, latte in
polvere ed altri articoli per la prima infanzia, shampoo e tinture per capelli, articoli ortopedici
ausiliari, e così via.
Per quanto riguarda le farmacie, si può stimare20 che nel 2010 le vendite di parafarmaci e di
extrafarmaci a connotazione salutistica abbiano inciso per il 25% circa sul loro fatturato
complessivo ossia abbiano generato complessivamente 6.400 milioni di ricavi. Se si tiene presente
che, nel campo dei farmaci in senso stretto, tutti quelli di classe C (3.140 milioni di fatturato
esclusivamente nelle farmacie) ed i farmaci SOP e OTC (2.050 milioni di fatturato riferibili alle
farmacie), cui va aggiunta la remunerazione per alcuni servizi e per i differenziali tra i prezzi
soggetti a rimborso da parte del SSN e quelli dei farmaci più costosi scelti dall’utilizzatore anche
nella classe A, nonché i versamenti dei ticket, si può stimare che ben il 48-49% del fatturato
20
La stima è stata da noi effettuata integrando le valutazioni di varie fonti, in modo particolare delle rilevazioni Nielsen
sui canali di distribuzione al dettaglio delle principali classi di extrafarmaci che comprendono prodotti a connotazione
salutistica. Per i farmaci in senso stretto ci si è basati sui dati Anifa 201. Per gli extrafarmaci a connotazione salutistica
ed i parafarmaci la nostra stima è analoga a quella di Anifa (6.375 milioni).
65
complessivo delle farmacie sia oggi riferibile a vendite e prestazioni non soggette a rimborso da
parte del SSN21.
Secondo un’altra fonte (IRI Infoscan, che perviene ad una stima assai prossima a quella di
Anifa) le vendite di parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica effettuate nel 2010 dalle
farmacie ammonterebbero a 6,6 miliardi di Euro, di cui 2,0 miliardi di Euro di “prodotti d’igiene e
bellezza”, 1,9 miliardi di Euro di parafarmaci, 2,2 miliardi di Euro di extrafarmaci a connotazione
salutistica “notificati” e 0,5 miliardi di Euro di prodotti nutrizionali.
Con specifico riferimento ai parafarmaci ed agli extrafarmaci a connotazione salutistica le
farmacie non sono comunque il canale di distribuzione al dettaglio principale. Secondo una recente
stima (di fonte Federfarma) la loro quota di mercato sarebbe del 19% circa, comprendendo nel
mercato totale di riferimento anche classi di extrafarmaci venduti prevalentemente in altri canali di
distribuzione al dettaglio e solo marginalmente nelle farmacie. In questo campo le stime delle quote
di mercato dei vari canali di distribuzione al dettaglio sono comunque alquanto incerte perché
incerto (e, tutto sommato, dipendente da scelte soggettive) è l’insieme di classi merceologiche di
riferimento che viene aggregato.
Ad esempio nel mercato dei prodotti cosmetici nel loro complesso, la quota di quelli venduti
al dettaglio attraverso le farmacie è pari al 16%, mentre sono più elevate quelle dei punti di vendita
“grocery” ad assortimento despecializzato (44%) ed anche dei punti di vendita specializzati, quali
profumerie ed esercizi similari (25%). La restante quota (del 15%) fa capo a numerosi tipi di unità
di vendita (tra cui rientrano anche, marginalmente, le parafarmacie) o di centri di servizi (Fonte
Unipro).
Un aspetto che è opportuno segnalare riguarda le diverse modalità di approvvigionamento
da parte delle farmacie dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica rispetto ai
farmaci in senso stretto. Per i primi, infatti, prevalgono gli acquisti effettuati direttamente dai
produttori, che visitano le singole farmacie con proprio personale di vendita (60%) o che si
rapportano a gruppi di acquisto tra farmacisti (16%), mentre gli acquisti presso i grossisti operanti
nel settore dei farmaci sono meno di ¼ (24%). Nel caso invece dei farmaci in senso stretto – come
si è già visto nel capitolo precedente – i distributori intermedi del settore hanno un ruolo
preponderante (89% degli approvvigionamenti), mentre gli acquisti diretti dai produttori sono solo
l’11% (Fonte: Anifa – IMS).
21
Ad un risultato alquanto diverso si perviene elaborando le recenti valutazioni di Federfarma secondo le quali ai
farmaci “etici” (di classe A e di classe C) sarebbe attribuibile il 65,9% del fatturato delle farmacie ed ai farmaci SOP e
OTC nonché ai parafarmaci solo il restante 34,1%. In effetti questa valutazione è fuorviante per due ordini di motivi:
anzitutto perché non considera che sugli stessi farmaci di classe A una parte del valore non è a carico del SSN ma degli
utilizzatori, in varie forme come documentano i dati ufficiali Osmed; in secondo luogo perché sottostima il fatturato
derivante alle farmacie dalle vendite di parafarmaci ed extrafarmaci a connotazione salutistica.
66
Va anche tenuto presente che, negli anni più recenti, per i motivi già considerati nel cap. 2 e
che verranno ulteriormente articolati per quanto riguarda le loro determinanti normative nel cap. 6,
mentre il mercato dei prodotti di cui sono esclusiviste le farmacie (farmaci di classe A e di classe C)
ed anche quello dei farmaci SOP e OTC, è rimasto sostanzialmente stazionario in valore, il mercato
complessivo dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica ha manifestato
incrementi significativi sia delle quantità sia dei prezzi unitari.
Per quanto riguarda le parafarmacie – come già si è accennato – le vendite dei farmaci in
senso stretto (solo SOP e OTC) contribuiscono in misura ridotta al loro fatturato (secondo una stima
di larga massima di fonte Anifa per il17% circa), mentre molto più rilevante è il contributo dei
parafarmaci (67% circa) e quello degli extrafarmaci a connotazione salutistica (16% circa). Sulla
base di queste stime i parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica venduti nelle
parafarmacie genererebbero un ammontare complessivo di ricavi di circa 500 milioni di Euro annui
(2010).
Per quanto riguarda infine i corner della GDO, che – come già si è visto – non inseriscono
nel loro assortimento gli extrafarmaci, anche a connotazione salutistica, venduti in altri reparti delle
strutture commerciali di cui fanno parte, l’incidenza sul loro fatturato dei parafarmaci (86%) è
superiore a quella dei farmaci SOP e OTC (14%). Complessivamente le vendite di parafarmaci dei
corner della GDO ammontano a 377 milioni di Euro annui (2011, Anifa).
Complessivamente, quindi, l’ammontare dei ricavi annui delle farmacie, delle parafarmacie
e dei corner salute della GDO può essere stimato in 26.990 milioni di Euro (2010), così ripartito:
farmacie 25.697 milioni di Euro; parafarmacie 592 milioni di Euro e corner della GDO 438 milioni
di Euro (Anifa).
L’insieme dei punti di vendita dei tre tipi di esercizi commerciali sopra indicati occupa circa
70.500 addetti, di cui 17.500 farmacisti abilitati ed iscritti all’albo professionale titolari di farmacie
convenzionate con il SSN, circa 36.000 farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali
dipendenti o coadiuvanti nelle farmacie, titolari o dipendenti nelle parafarmacie e dipendenti dalle
imprese della GDO nei corner, circa 19.000 non farmacisti. Poiché i farmacisti abilitati ed iscritti
agli albi professionali in Italia sono attualmente circa 80.000, compresi però gli ultrasessantenni, si
può stimare che solo il 21% abbia la titolarità di farmacie, e meno del 3% quella di parafarmacie e
che il 48% svolga lavoro dipendente nel campo della distribuzione al dettaglio dei farmaci (nelle
farmacie, nelle parafarmacie e nei corner) ed il 28% svolga attività lavorative in altri campi, sia
pensionato o in cerca di occupazione.
67
4.3 Aspetti di marketing della distribuzione dei farmaci: considerazioni
introduttive
Esamineremo ora i principali aspetti che caratterizzano la gestione e gli indirizzi di
marketing dei tre canali di distribuzione al dettaglio fin qui considerati (farmacie, parafarmacie e
corner salute della GDO), evidenziandone in particolare i differenti punti di forza e di debolezza.
Per quanto riguarda gli indirizzi di marketing, va tenuto presente che, nel settore
farmaceutico in senso stretto, le principali azioni di marketing svolte dalle case produttrici,
principalmente per i farmaci per i quali è obbligatoria la prescrizione medica, non sono,
ovviamente, rivolte né al pubblico (consumer marketing), né ai distributori (trade marketing), ma ai
prescrittori (medici di famiglia e medici specialisti) e pur essendo state da tempo vietate forme di
promozione nei confronti dei prescrittori, quali omaggi di significativo valore unitario connessi con
l’entità delle prescrizioni dei prodotti di specifiche case farmaceutiche, partecipazioni a carico delle
case farmaceutiche a convegni, congressi, viaggi-premio (ad esclusione di contributi a corsi di
aggiornamento professionale), ecc., l’attività promozionale delle case farmaceutiche nei confronti
dei prescrittori è molto intensa, come già si è documentato nel cap. 3.
Azioni comunicazionali di notevole intensità, anche attraverso i mass media, rivolte agli
utilizzatori finali (o, meglio, a loro specifici target) vengono invece sviluppate da alcune imprese
produttrici di farmaci OTC. Nel 2010 gli investimenti pubblicitari per OTC, parafarmaci ed
extrafarmaci a connotazione salutistica sono ammontati a 217 milioni di Euro, l’82% dei quali per
pubblicità televisiva. Come si è visto nel cap. 2, gli utilizzatori finali raccolgono informazioni utili
per la scelta dei farmaci dai prescrittori (che forniscono informazioni sul corretto uso di farmaci la
cui scelta è demandata alle loro conoscenze professionali, di cui non dispongono o dispongono in
misura molto limitata gli utilizzatori), mentre per i farmaci OTC si basano sulle informazioni
pubblicitarie e sul passa-parola. Le informazioni date dai farmacisti per i farmaci di classe A, C e
OTC sono considerate poco rilevanti dagli utilizzatori. Per i farmaci SOP non pubblicizzabili ed per
i parafarmaci non pubblicizzati sono invece importanti le informazioni date nei punti di vendita al
dettaglio (farmacie, parafarmacie e corner) come elementi utili per la scelta, oltre a quelle derivanti
dal passa-parola. Ciò vale anche per gli extrafarmaci a connotazione salutistica non pubblicizzati.
Si è già sottolineato che, per i farmaci di classe A e C, gli “informatori scientifici” delle case
produttrici continuano a contattare assiduamente i medici di famiglia, svolgendo nei loro confronti
non solo un’attività informativa di carattere scientifico e una distribuzione capillare di campioni dei
loro nuovi prodotti, ma anche un’attività promozionale entro i limiti consentiti dalla disciplina
vigente.
68
Nonostante la presenza di informazioni “neutrali” ai prescrittori, ricavabili anzitutto dai
database AIFA e del Ministero costantemente aggiornati e da loro consultabili on line, le case
farmaceutiche sono tuttora la fonte informativa, specie per quanto riguarda i nuovi farmaci, più
rilevante e, per sua natura, “non neutrale”. Indirettamente un indicatore di questo stato di cose può
forse essere la variabilità, rilevata dall’Osmed, delle prescrizioni di prodotti offerti da case
farmaceutiche diverse nei differenti contesti territoriali del Paese. Tuttavia non sono disponibili, per
quanto a nostra conoscenza, correlazioni tra l’intensità territoriale della presenza di “informatori
scientifici” delle varie case farmaceutiche ed i differenziali sopra indicati. A loro volta i medici di
famiglia sono gli interlocutori principali dei titolari delle farmacie ubicate in prossimità dei loro
ambulatori e, spesso, allo scopo di facilitare i loro assistiti che necessitano esclusivamente del
rinnovo di prescrizioni abitudinarie di farmaci di classe C ed anche, in qualche caso, di classe A,
compilano le relative ricette direttamente nella farmacia più vicina (anche se ciò non è consentito
dalle normative vigenti).
Le relazioni degli “informatori scientifici” sono ancor più strette con i medici specialisti, sia
a motivo della maggiore rilevanza che assumono, nei vari campi di specializzazione, la conoscenza
scientifica delle nuove specialità farmaceutiche disponibili e le ulteriori informazioni di ritorno
(oltre a quelle già acquisite dall’AIFA prima dell’autorizzazione all’immissione sul mercato) sulla
loro efficacia terapeutica, sia, specialmente, per motivi di carattere promozionale, anche a favore
della diffusione di farmaci e parafarmaci coadiuvanti a carico dei pazienti, alcuni dei quali ad alta
redditività per i produttori e per l’intera filiera distributiva.
Le strette relazioni ed interazioni che intercorrono tra le case farmaceutiche ed i prescrittori
e tra questi ultimi ed i titolari di farmacie possono facilitare anche – come si vedrà più
dettagliatamente nel cap. 6 – concentrazioni anomale delle prescrizioni di farmaci a carico del SSN
nella porzione più alta della prima fascia di prezzi, nella quale, in base alle normative italiane, più
elevate sono le remunerazioni dei farmacisti, essendo maggiore l’incidenza del margine loro
riconosciuto e più alto il prezzo a cui essa si riferisce22.
Dal punto di vista del marketing per una parte dei farmaci OTC e dei parafarmaci, quelli
contraddistinti da marche note e pubblicizzate anche attraverso i mass media, il target delle imprese
produttrici è costituito da specifici segmenti degli utilizzatori finali e ciò avviene anche per la
maggioranza degli extrafarmaci a connotazione salutistica. In questi campi il ruolo del personale
22
In alcuni casi, peraltro molto rari e rientranti nella fattispecie di gravi reati ai danni del SSN, accordi criminosi tra
prescrittori e farmacisti con falsificazioni di materiali documentali, hanno determinato l’appropriazione indebita di
somme di entità cospicua prima di venire scoperti. L’attuale ricorso (che sarà reso tra breve obbligatorio in tutte le
Regioni) alla ricettazione elettronica, con codici incrociati, controllabili automaticamente, dovrebbe consentire un
controllo tale da dissuadere il manifestarsi di atti fraudolenti di questo tipo.
69
delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner salute della GDO è complementare, nell’orientare le
scelte degli utilizzatori, rispetto a quello dei produttori.
In sostanza, i distributori al dettaglio, nel campo dei prodotti farmaceutici e
parafarmaceutici, dal punto di vista del marketing, hanno limitati spazi per svolgere un’attività
autonoma, nei confronti dei consumatori finali, interposta e, in qualche caso, contrapposta a quella
dei produttori più importanti – come avviene invece in molti altri campi dei beni di largo consumo –
essendo – se così si può dire – posti tra l’”incudine” delle attività di marketing degli stessi
produttori (diretta, nel caso di alcune linee di OTC e di parafarmaci; indiretta, ossia svolta
attraverso i loro “informatori scientifici”, nel caso dei farmaci soggetti a prescrizione medica) e il
“martello” delle scelte dei prescrittori.
Tuttavia, con riferimento agli angusti spazi in cui, nel mercato italiano, possono configurarsi
condizioni di scelta degli utilizzatori finali:
A. dei farmaci equivalenti (o generici) da acquistare nelle classi A e C;
B. dei prodotti da acquistare nella classe SOP e di quelli a scarsa differenziazione ed a
scarsa copertura pubblicitaria nella classe OTC e nei parafarmaci;
C. dei punti di vendita in cui compiere i loro acquisti di SOP, OTC, parafarmaci ed
extrafarmaci a connotazione salutistica
è utile valutare comparativamente i punti di forza e di debolezza, sotto il profilo del
marketing, delle farmacie, delle parafarmacie e dei corner, nonché, per gli extrafarmaci, di altri tipi
di canali di distribuzione.
Il primo ordine di scelte (farmaci equivalenti nelle classi A e C) può riguardare solo la scelta
tra farmacie diversamente orientate, in quanto – come si è già visto – le farmacie in Italia sono
distributori al dettaglio esclusivi di questi farmaci.
Il secondo ed il terzo ordine di scelte investe invece anche una comparazione tra gli aspetti
di fondo che caratterizzano, dal punto di vista del marketing, i diversi tipi di canali di distribuzione
al dettaglio, tra i quali gli utilizzatori finali possono compiere le loro scelte.
Va comunque subito aggiunto che – come in tutti i campi della distribuzione commerciale al
dettaglio con sede fissa – le relazioni competitive (sia omogenee, ovvero tra unità di vendita dello
stesso tipo, sia eterogenee, ovvero tra diversi tipi di unità di vendita) si riferiscono a mercati
spazialmente determinati dalla mobilità territoriale degli utilizzatori, a sua volta derivante
dall’accessibilità ai punti di vendita, dalla loro attrattività e da fattori di conglomerazione (ossia
dalla presenza di più punti di vendita con offerte complementari in microaree di dimensioni limitate
quali vie commerciali, storiche, centri commerciali pianificati, ecc.).
70
4.4 I punti di forza ed i punti di debolezza delle farmacie
Come in tutti i campi della distribuzione commerciale al dettaglio imperniata su criteri di
specializzazione merceologica, anche in quello delle farmacie operano unità di vendita assai diverse
quanto a dimensioni dei ricavi, a livelli di produttività dei fattori produttivi impiegati ed a livelli di
redditività, nonostante le barriere istituzionali che proteggono dalla concorrenza omogenea ed
eterogenea questi tipi di punti di vendita.
La stessa associazione di categoria (Federfarma) in un’indagine campionaria compiuta nel
2008 distingueva differenti modelli di gestione delle farmacie:
A. quello che definiva “tradizionale”, al quale apparteneva circa il 62% delle farmacie,
di piccola e media dimensione, focalizzato sulle vendite dei farmaci “etici” a
prescrizione medica (di classe A e C) con i quali realizzava il 70% circa del proprio
fatturato, con la presenza abbastanza ampia anche di farmaci SOP e OTC e di
parafarmaci (21% del fatturato) e ridotta di extrafarmaci a connotazione salutistica
(9%);
B. quello delle farmacie che definiva “in transizione” (20% circa del totale delle
farmacie), anch’esse di piccola e media dimensione ed anch’esse caratterizzate da
una distribuzione del fatturato analoga alla precedente, ma maggiormente orientate a
sviluppare azioni promozionali nel campo dei parafarmaci e degli extrafarmaci a
connotazione salutistica ed a praticare sconti (seppure di modesta entità) in quello
dei farmaci SOP venduti a prezzi molto inferiori nei corner della GDO;
C. quello delle farmacie che definiva “evolute” (8% del totale delle farmacie),
prevalentemente di media dimensione, nella quali l’incidenza delle vendite dei
farmaci “etici”, pur continuando a costituire il “core business”, poteva scendere
anche al 55%-60% del fatturato, mentre era molto più elevata della media quella non
tanto dei farmaci SOP e OTC, quanto dei parafarmaci e degli extrafarmaci a
connotazione salutistica, oggetto di attività promozionale tendente anche a dirottare
verso la farmacia segmenti di utilizzatori precedentemente orientati ad acquistare
alcuni di questi prodotti in unità di vendita specializzate estranee al settore della
distribuzione dei prodotti farmaceutici.
D. quella delle “grandi” farmacie (5% del totale delle farmacie), in genere ubicate in
aree centrali o comunque ad elevata accessibilità a largo raggio dei maggiori centri
urbani, spesso dotate di servizio notturno continuativo a pagamento, nella
maggioranza dei casi con distribuzioni del fatturato non molto dissimili da quelle
71
delle farmacie tradizionali tra i vari tipi di prodotti, ma, in alcuni casi, dotate di ampi
reparti adibiti alla vendita di parafaramaci e, specialmente, di extrafarmaci a
connotazione salutistica, comprensivi anche di articoli sanitari.
E. quella infine delle cosiddette “farmacie-bazar” (5% del totale), quasi tutte dotate di
servizio notturno a pagamento, di piccola e media dimensione, localizzate in comuni
sui quali gravitano ampie aree a bassa densità della popolazione residente che,
nonostante l’ampiezza dei loro assortimenti nel campo dei parafarmaci e degli
extrafarmaci a connotazione salutistica, presentano una distribuzione del loro
fatturato non dissimile da quella delle farmacie tradizionali, focalizzata sulle vendite
di farmaci etici.
In tutti i tipi di farmacie sopra indicati l’offerta di servizi di controllo della pressione o
similari e la vendita o l’affitto di piccole apparecchiature d’uso domestico (aerosol, misuratori di
pressione, ecc.) risultava del tutto marginale (al massimo pari all’1% del fatturato).
La distribuzione delle farmacie per classi di fatturato presenta un ampio campo di
variazione, a motivo della diversa consistenza dei naturali bacini di utenza di ciascuna di esse, che,
qualora il loro mercato fosse esclusivamente assimilabile a quello degli esercizi di vicinato, con le
misure istituzionali di contingentamento dovrebbero essere abbastanza omogenei - ma che in effetti
non lo sono a motivo della differente accessibilità delle localizzazioni di ciascuna di esse, oltre che
della diversa attrattività derivante dalle loro politiche di mercato.
Più precisamente, nel 2010, riferendosi esclusivamente alle vendite di farmaci di classe A, C
e da banco (SOP e OTC) e di una quota di extrafarmaci distribuita da operatori all’ingrosso
specializzati in campo farmaceutico da parte della farmacie, una fonte settoriale affidabile stimava
la seguente distribuzione per classi di fatturato: fino a 0,5 milioni di Euro 7% degli esercizi; da 0,5 a
1,5 milioni di Euro: 46% degli esercizi; da 1,5 a 2 milioni di Euro 22% degli esercizi; da 2 a 2,5
milioni di Euro 13%; oltre 2,5 milioni di Euro 12% degli esercizi. Va sottolineato che questa
distribuzione non include i parafarmaci e gli extrafarmaci a connotazione salutistica distribuiti
direttamente alle farmacie da personale di vendita dei produttori. Tenendo conto delle dimensioni
prevalenti nei diversi modelli di gestione delle farmacie tratteggiati da Federfarma, da noi
richiamati precedentemente, nonché della diversa incidenza delle vendite di parafarmaci ed
extrafarmaci in ciascuno di essi, la distribuzione effettiva per classi di fatturato dovrebbe accentuare
l’incidenza delle farmacie con oltre 1,5 milioni di Euro di fatturato, che – secondo una nostra stima
di larga massima – dovrebbe raggiungere il 55%-60% circa degli esercizi in esame, di cui il 15%18% con oltre 2,5 milioni di Euro annui di fatturato.
72
Per quanto riguarda, più specificamente, la distribuzione delle farmacie per classi di
fatturato dei farmaci SOP e OTC, si rileva che, nel 2010, oltre la metà (56%) delle farmacie aveva
un fatturato per i farmaci in esame inferiore a 267.000 Euro annui, il 28% compreso tra i 267.000 ed
i 415.000 Euro annui ed il 16% superiore ai 415.000 Euro annui.
Una recente simulazione, basata sulle rilevazioni AIFA, nella quale viene ipotizzata una
spesa annua pro-capite per farmaci etici identica in ogni comune e viene considerata l’effettiva
distribuzione territoriale della popolazione e delle farmacie, consente di confermare solo in parte
l’opinione, abbastanza diffusa, secondo la quale il fatturato medio delle farmacie localizzate nei
comuni di maggiore dimensione demografica sarebbe molto più elevato rispetto a quello delle
farmacie localizzate nei comuni con meno di 12.500 abitanti. Infatti, fatto uguale a 100 il fatturato
medio, dalla simulazione risulta un fatturato decisamente inferiore (indice 64,7) solo per le farmacie
localizzate nei comuni con meno di 2.500 abitanti (16,7% delle farmacie operanti in Italia),
sostanzialmente allineato con la media, (indice 107,3) già per quelle localizzate nei comuni con
popolazione dai 2.500 ai 12.500 abitanti (26,5% delle farmacie operanti in Italia) superiore, ma non
di molto, alla media (indice 112,5) per quelle (56,8% delle farmacie operanti in Italia) localizzate
nei comuni con più di 12.500 abitanti.
In effetti, se si esclude il 12% circa di farmacie operanti in zone rurali o montane
effettivamente disagiate e poco abitate, ampie differenze quanto a fatturato sono riscontrabili in
farmacie localizzate in comuni di analoga dimensione demografica, compresi i comuni maggiori.
Sulla redditività delle farmacie, che Federfarma dichiara fortemente in calo, a seguito dei più
recenti provvedimenti governativi, e – sempre secondo Federfarma – con una crescente quota di
esercizi a redditività minima o nulla, non si dispone di valutazioni sufficientemente affidabili. Resta
comunque il fatto che sul totale delle dichiarazioni dei redditi da lavoro autonomo (riferite al 2008),
i farmacisti (titolari di farmacie) con un reddito medio dichiarato di 112,4 migliaia di Euro, figurano
al secondo posto dopo i notai e prima dei dirigenti d’azienda e dei medici e chirurghi. Queste
rilevazioni di carattere fiscale ben poco – come purtroppo è ben noto – possono dire sull’effettivo
livello dei redditi comparati delle diverse categorie professionali, in quanto le opportunità di
evasione fiscale variano molto tra le diverse categorie e quella dei farmacisti non dispone di
opportunità di questo tipo, almeno per quanto riguarda i flussi di ricavi provenienti dalle vendite di
farmaci soggetti a prescrizione medica. Tuttavia la collocazione dei farmacisti titolari al top della
graduatoria dei redditi da lavoro autonomo con un valore dichiarato cinque volte superiore alla
media dei valori dichiarati di tutti i lavoratori autonomi, è – a nostro avviso – un indicatore di
redditività da non sottovalutare.
73
Al di là delle differenze dimensionali, di estensione dei loro assortimenti e di livelli di
redditività, dal punto di vista del marketing le farmacie presentano i punti di forza e di debolezza di
seguito indicati.
I punti di forza sono sostanzialmente:
A. la disponibilità di costanti flussi di clienti anche senza alcuna politica attiva volta a
fidelizzarli o a stimolarne la mobilità territoriale;
B. la fiducia, molto radicata e molto diffusa, di cui gode la figura professionale del
farmacista.
Per quanto riguarda il primo punto di forza, si può stimare che, mediamente, ogni farmacia,
in quanto punto di vendita convenzionato con il SSN, disponga di un flusso giornaliero di circa 200
clienti. Si tratta di una clientela che si reca mediamente nella farmacia 1,4 volte al mese (fonte
Federfarma), in larga misura, ma non necessariamente, residente in un ambito di vicinato allargato
(fanno eccezione, ovviamente, le farmacie localizzate lungo le vie commerciali principali dei grandi
centri urbani), con netta prevalenza (62%) della componente femminile.
Sotto il profilo del marketing, specie dei parafarmaci e degli extrafarmaci percepiti come
salutistici, la dimensione e la continuità dei flussi, la prevalenza di clienti di sesso femminile, una
parte dei quali responsabili degli acquisti per l’intera famiglia ed in particolare per i bambini, offre
alle farmacie opportunità di vendita tutt’altro che trascurabili e la conoscenza personale da parte del
farmacista di un’ampia quota della sua clientela può anche consentirgli di accreditare linee di
prodotti appropriate ai gusti ed alle esigenze di clienti, almeno in parte, disposti a sostenere un
“premium price”.
Per quanto riguarda il secondo punto di forza delle farmacie dal punto di vista del marketing
(la buona reputazione di cui gode gran parte dei farmacisti sotto il profilo delle competenze
professionali e dell’affidabilità ) le indagini psico-sociologiche svolte recentemente in Italia
confermano un’incidenza dei giudizi positivi sulla qualità percepita del servizio offerto dalle
farmacie elevata nelle regioni centro-settentrionali (nell’indagine Censis del 2009: con incidenze
dei giudizi pienamente positivi comprese tra il 68% ed il 73%), sufficiente (48% dei giudizi
pienamente positivi) nelle regioni meridionali ed insulari.
Ovunque i giudizi positivi sulla qualità del servizio offerto dai farmacisti risultano superiori
rispetto a quelli riguardanti i medici di famiglia ed anche i medici e gli specialisti privati.
D’altro canto, però, da un’indagine svolta nel 2006 da Trade-Lab per conto di Federfarma,
che ammetteva risposte multiple, emerge che la professionalità del personale, la conoscenza da
parte del personale dei problemi terapeutici di gran parte dei clienti, la cortesia del personale sono
indicati da quote variabili tra il 20% ed il 32% degli intervistati tra i principali criteri di scelta delle
74
farmacie, mentre emerge nettamente come criterio predominante (70%) la vicinanza al luogo di
residenza o di lavoro.
Entrando più analiticamente nell’esame dei comportamenti “market oriented” dei
responsabili della gestione delle farmacie si riscontrano anche alcuni punti di debolezza, più o meno
marcati, che riflettono la “routine” di una professione focalizzata sull’erogazione dei prodotti più
che sulla loro vendita e sulla loro promozione commerciale.
Diversi fattori hanno contribuito a conservare una sostanziale debolezza delle capacità di
marketing della maggioranza delle farmacie:
A. Il primo – e più rilevante – fattore è l’”altra faccia della medaglia” riguardante i punti
di forza delle farmacie: la disponibilità di flussi costanti di clienti che si recano nelle
farmacie per poter disporre dei prodotti distribuiti da queste in esclusiva e la stessa
buona reputazione di cui godono le capacità professionali dei farmacisti, spingono
molti di essi a privilegiare la difesa delle rendite di posizione e delle posizioni di
rendita esistenti senza impegnarsi in politiche di mercato attive tendenti ad essere
competitivi anche all’interno della categoria di appartenenza, a stimolare la mobilità
territoriale dei consumatori, a fronteggiare efficacemente la concorrenza esterna nei
comparti in cui la distribuzione al dettaglio è caratterizzata da condizioni, ormai
assestate, di multicanalità.
B. Un altro fattore è riconducibile alla difesa normativa di una professione da esercitare
singolarmente, senza sostanziali possibilità di inserirla in organizzazioni a catena, a
base succursalistica o associativa, dotate, ai loro vertici, di risorse umane
specializzate nel marketing management. Va tenuto presente che, per quanto
riguarda questo aspetto, l’Italia (insieme alla Francia, alla Germania, alla Grecia ed
alla Spagna) si differenzia nettamente dagli altri Paesi europei, in alcuni dei quali la
maggioranza delle farmacie è organizzata a catena. In particolare in Svezia l’85%
delle farmacie fa capo a sei organizzazioni (con pesi quasi paritetici tra quelle a base
cooperativa e quelle a base succursalistica), in Norvegia l’80%, in Gran Bretagna
(dove prevalgono in questo campo le grandi organizzazioni succursaliste) il 61%, in
Olanda il 39%, in Irlanda il 35%, ecc. In effetti, in Italia, il potere contrattuale delle
farmacie viene esercitato, collettivamente dalla loro potente ed unitaria associazione
di categoria nei confronti degli organi governativi e delle case produttrici.
Paradossalmente, però, un impianto normativo di carattere difensivo, tendente ad
evitare che – come in altri campi della distribuzione al dettaglio – si potessero
configurare situazioni di confronto pluralistico (tra piccole imprese individuali,
75
organizzazioni a base associativa dotate di funzioni centralizzate di marketing,
organizzazioni a base succursalistica dotate anche del controllo proprietario dei punti
di vendita) ha concorso ad indebolire le capacità di gestione “marketing oriented”
delle farmacie. Queste capacità sono invece oggi sempre più necessarie, in presenza:
sia – come si è già visto – di una quota molto importante del loro fatturato realizzata
con prodotti non rimborsati dal SSN ed anche con prodotti offerti anche in altri tipi
di punti di vendita; sia – come si vedrà in seguito – di una riduzione in valore
assoluto, prima ancora che in termini relativi, dei margini riconosciuti dal SSN a
motivo della diffusione dei farmaci equivalenti con prezzi al consumo decisamente
inferiori rispetto a quelli delle specialità coperte da brevetto per i prodotti di fascia A
e di fascia C. La conservazione dell’esclusiva di vendita per i farmaci di fascia C
(non rimborsati dal SSN ma soggetti a prescrizione medica) è certamente uno
strumento di difesa delle farmacie nei confronti della concorrenza esterna (delle
parafarmacie e dei corner della grande distribuzione) che, tuttavia – come si vedrà
meglio in seguito – appare sempre meno giustificabile dal punto di vista degli
interessi dei consumatori e che, comunque, non può supplire ad una carenza di
capacità di gestione “marketing oriented”.
C. Un ulteriore elemento, da cui sono originati numerosi fraintendimenti, a motivo del
suo uso spesso eccessivamente strumentale da parte della potente associazione che le
rappresenta (Federfarma), che ha probabilmente giovato alla difesa degli interessi
della categoria, ma che non ha contribuito a diffondere una cultura gestionale
genuinamente “marketing oriented”, è la contrapposizione tra il carattere di servizio
sociale, che sarebbe proprio delle farmacie, ed il loro carattere di servizio di
distribuzione al dettaglio, finalizzato ad obiettivi di redditività, che non dovrebbe mai
prevalere nei loro comportamenti. Anche il “libro bianco” di Federfarma (giugno
2008) insisteva sull’evoluzione della farmacia “da impresa professionale ad impresa
sociale”, che – oltre a mantenere il suo ruolo primario di presidio sanitario a tutela
della salute del cittadino, deve sempre più rafforzare l’offerta capillare di servizi
sanitari di vario tipo (vds. oltre) ad integrazione, a supporto ed anche, almeno in
parte, sostitutivi rispetto a quelli delle ASL.
La debolezza del marketing operativo di gran parte delle farmacie, può essere constatata
anche esaminando le modalità con cui esse si rapportano con le case produttrici di OTC, SOP,
parafarmaci e specialmente extrafarmaci con connotazioni salutistiche ed alle loro reti di
distribuzione all’ingrosso. Molto spesso i farmacisti accettano il prezzo di vendita indicato dai
76
produttori, ai quali richiedono margini analoghi a quelli loro accordati dal SSN ed extrasconti di
vario tipo, anziché ragionare in termini di ricarichi differenziati anche in funzione della concorrenza
esterna in cui sono coinvolte e dell’elasticità al prezzo della loro clientela interessata ai vari tipi di
prodotto.
Spesso gli spazi espositivi da riservare alle linee di extrafarmaci per le quali è rilevante
l’”in-store-merchandising”, che ne stimola gli acquisti d’impulso, sono sostanzialmente decise
seguendo le indicazioni dei produttori. Anche la maggioranza delle azioni promozionali sono
organizzate dai produttori, anziché costituire il risultato di accordi e relazioni cooperative.
Le principali scelte effettuate dai responsabili della gestione delle farmacie, compatibilmente
con gli spazi fisici disponibili e con la qualificazione che essi intendono conferire ai loro punti di
vendita nell’offerta di linee di extrafarmaci, oltre che dall’entità dei margini loro accordati dai
produttori, riguardano le marche da inserire nell’assortimento, accettando in molti casi l’esclusione,
richiesta dai produttori, di marche concorrenti. Il tasso di rotazione del capitale investito in scorte in
questo campo è poco considerato nelle valutazioni di convenienza dei responsabili della gestione
delle farmacie, abituati, invece, come già si è visto, per i farmaci rimborsati dal SSN, a consegne
giornaliere (o anche plurigiornaliere) di singole confezioni, da parte dei grossisti del ramo, con i
quali si interfacciano con, più o meno, avanzati, sistemi telematici per la gestione delle scorte e
degli ordini.
In sostanza, sotto il profilo delle attività operative di marketing, la maggioranza dei
responsabili della gestione delle farmacie, man mano che si allontanano, nella vendita di prodotti
non compresi nelle regole AIFA, dalle “routines” tradizionali, stenta ad esprimere capacità
autonome di un certo rilievo.
A nostro avviso le principali linee di sviluppo delle modalità di gestione “marketing
oriented” delle farmacie stentano a manifestarsi in concreto proprio a motivo dei punti di debolezza
testé evidenziati, oltre che dell’assuefazione a svolgere un’attività professionale istituzionalmente
protetta e generatrice, nella maggioranza dei casi, di soddisfacenti livelli di redditività.
In particolare lo sviluppo ispirato al modello francese di affiliazione trova ostacoli quasi
insormontabili nei comportamenti concreti degli operatori in esame, oltre a richiedere, nelle sue fasi
più avanzate, cambiamenti normativi non marginali. Tale modello risponde a un processo di
razionalizzazione del comparto e di aumento del suo potere di mercato nei confronti dei produttori e
delle sue capacità di cogliere tempestivamente l’evoluzione delle aspettative degli utilizzatori, che,
partendo da una struttura basata principalmente sulle farmacie singole, vede emergere come nuclei
centrali del canale di distribuzione dapprima le organizzazioni a base associativa tra farmacisti con
compiti prevalenti di acquisto collettivo, poi, con una serie di passaggi successivi, la loro
77
trasformazione in organizzazioni a catena nelle quali i singoli punti di vendita si collocano come
franchisees e l’organizzazione in quanto tale come franchisor, per pervenire, con riferimento alle
nuove aperture, al ruolo di organizzazione proprietaria che affitta ai professionisti abilitati nuovi
punti di vendita.
La centralizzazione delle attività che richiedono elevate dimensioni minime efficienti, ma
che, avvalendosi di esperti di economia aziendale e di marketing, possono consentire di aumentare
l’efficienza e la competitività del principale canale di distribuzione in campo farmaceutico sembra,
in sostanza, un processo alquanto lento e in gran parte neppure iniziato nel contesto strutturale
italiano, nonostante gli stimoli in tale direzione da tempo impressi da alcune organizzazioni di
distribuzione all’ingrosso avanzate ed in modo particolare – come già si è accennato nel cap. 3 – da
Federfarmaco.
D’altro canto, anche un’effettiva e rapida trasformazione delle farmacie in centri di servizio
sussidiari ed integrativi delle ASL nel più ampio contesto della razionalizzazione del SSN,
nonostante l’evolversi delle normative in questa direzione, è un processo evolutivo ancora irto di
difficoltà ed ostacoli, tra i quali figurano anche le resistenze di molti farmacisti. Su questi aspetti
torneremo tuttavia nel cap. 7.
4.5 I punti di forza ed i punti di debolezza delle parafarmacie
Per quanto riguarda le parafarmacie, si è già osservato che si tratta di unità di vendita
prevalentemente di piccola dimensione unitaria, solo una parte delle quali facenti parte di catene
specializzate, anch’esse, tuttavia, comprendenti ciascuna un numero limitato di esercizi. Le
parafarmacie presentano assortimenti in cui i prodotti paramedicali, non rientranti tra i SOP e gli
OTC, sono la maggioranza. Tra questi, le linee di prodotti che si basano su principi attivi di
carattere “naturale” caratterizzano queste unità di vendita, unitamente a quelle omeopatiche. In
particolare i prodotti omeopatici richiedono gamme molto vaste, poiché il loro uso efficace
comporta minidosaggi personalizzati.
Un altro aspetto degno di nota riguarda l’elevato contributo che viene dato dalle
parafarmacie all’occupazione, con ruoli prevalentemente imprenditoriali, di farmacisti iscritti agli
albi professionali ma operanti in punti di vendita non convenzionati con il SSN e quindi non facenti
parte della “pianta organica”.
Pur essendo varie le loro specializzazioni, le parafarmacie presentano alcune caratteristiche
comuni dal punto di vista del marketing. Esse non dispongono – come le farmacie – di flussi di
78
clienti che siano indotti a frequentarle indipendentemente dalle loro politiche attive di marketing.
L’attrazione e la fidelizzazione dei clienti sono quindi elementi fondamentali per il successo della
loro attività. Esse si rivolgono specialmente a segmenti di mercato particolarmente interessati a
conservare il loro stato di salute (fisico e psichico) con prodotti “naturali” e desiderosi di essere
consigliati da un professionista non solo sui prodotti più adatti a soddisfare le loro esigenze, ma
anche sugli stili di vita da adottare per conservarsi “in forma”.
Il marketing delle parafarmacie, oltre che sull’attrattività e sulla relativa convenienza dei
loro assortimenti, si basa sull’empatia e sulla personalizzazione dei rapporti con i clienti. Come già
si è accennato, ciò comporta anche, in alcune linee dell’assortimento ed in modo particolare in
quella dei parafarmaci omeopatici, la disponibilità di un elevato numero di referenze, allo scopo di
rispondere adeguatamente alle esigenze individuali dei clienti.
Per i farmaci SOP e OTC la parafarmacia, per avere successo, deve anche praticare prezzi
competitivi con la farmacia, pur senza poter disporre – come i corner della grande distribuzione – di
alcuni prodotti, anche di marca commerciale, con prezzi molto inferiori a quelli delle marche più
note che contengono gli stessi principi attivi.
Il divieto di vendita nelle parafarmacie (così come nei corner della grande distribuzione) dei
farmaci di classe C soggetti a prescrizione medica, e a carico dei consumatori finali, viene
considerato, dalle varie associazioni di categoria dei parafarmacisti, non solo come il principale
ostacolo all’ulteriore espansione delle parafarmacie ed al raggiungimento di normali livelli di
redditività (una parte delle parafarmacie sottoremunera infatti il lavoro professionale svolto ed il
capitale investito), ma anche – a nostro avviso giustamente – come un vincolo normativo suggerito
da una ratio assai poco fondata, dal momento che la parafarmacia dispone di personale con le stesse
capacità professionali certificate rispetto alla farmacia (farmacisti iscritti agli albi, i quali, con gran
parte della clientela, intrattengono rapporti personalizzati e non episodici).
Come già si è accennato una parte, peraltro ancora modesta, delle parafarmacie è di
proprietà di imprese a succursali multiple, dalle quali dipendono i farmacisti iscritti all’albo, la cui
presenza in ciascun punto di vendita è obbligatoria. Si tratta, però, di catene di dimensione ridotta,
la cui gestione “marketing oriented” si focalizza più su elementi di specializzazione dell’offerta che
su immagini di insegna affermate ed il cui potere contrattuale nei confronti della maggioranza dei
fornitori è limitato. Probabilmente i vincoli normativi hanno finora scoraggiato in questo campo lo
sviluppo di catene specializzate di distribuzione al dettaglio di rilievo non soltanto locale.
79
4.6 I punti di forza ed i punti di debolezza dei corner della GDO
Per quanto riguarda, infine, i corner della grande distribuzione, per realizzare una gestione
economica sviluppando al tempo stesso una politica di prezzi competitivi, è necessaria una
dimensione minima efficiente per ogni corner elevata, che può essere raggiunta, in corner inseriti in
ipermercati ad alta attrattività.
Il fatturato medio per ogni farmacista iscritto all’albo operante, come lavoratore dipendente,
nei corner può essere stimato in 470.000 Euro annui (nel 2010), mentre quello per ogni farmacista
(titolare e dipendenti) nelle farmacie risulta leggermente inferiore (stimabile intorno a 430.000 Euro
annui) e quello per ogni farmacista operante nelle parafarmacie alquanto inferiore (compreso tra i
200.000 ed i 250.000 Euro annui).
Per quanto riguarda il marketing, i corner si avvalgono delle funzioni, delle capacità e del
personale umano ad alta qualificazione di cui dispongono le insegne di appartenenza.
L’organizzazione degli approvvigionamenti, le scelte riguardanti la composizione degli
assortimenti, gli indirizzi gestionali ed in modo particolare le politiche di pricing, le attività di
comunicazione (per quanto loro consentite dalle normative vigenti), i layout espositivi, le attività di
pubbliche relazioni, sono infatti in gran parte centralizzate.
Sulle specifiche politiche di mercato e sulle specifiche performances economiche dei corner
si svilupperà un esame approfondito nel prossimo capitolo.
80
5. LA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI E DEI PARAFARMACI
NEI CORNER DELLA GDO
5.1 Il contesto europeo di riferimento
In questo capitolo si approfondiranno i problemi riguardanti la distribuzione dei farmaci
senza prescrizione medica (OTC e SOP) che – come già si è visto nel capitolo precedente – sono
oggetto di commercializzazione al dettaglio anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO,
unitamente a quella dei parafarmaci. In particolare ci si soffermerà sugli aspetti economicogestionali dei corner salute della GDO.
Ci sembra comunque utile premettere che le vendite dei farmaci senza obbligo di
prescrizione medica in Italia, nonostante la liberalizzazione dei loro canali di distribuzione avviata
nel 2006, presentano una rilevanza inferiore a quella riscontrabile in quasi tutti gli altri Paesi
europei. Secondo le recenti rilevazioni dell’ASPG, rielaborate dall’AIFA23, nel 2010, pur essendo il
mercato italiano il quarto mercato europeo in valore per i farmaci in esame, dopo quello tedesco
(2,5 volte maggiore), quello francese (2,4 volte maggiore) e quello del Regno Unito (1,8 volte
maggiore) esso è caratterizzato:
A. Da un’incidenza sul totale del mercato nazionale dei farmaci in esame pari
all’11,4%, ossia decisamente inferiore alla media europea (UE 27) che è pari al
14,8%. Da questo indicatore emerge che un grande Paese dell’Est europeo (la
Polonia), con il 27,0%, presenta il rapporto tra dimensione del mercato nazionale dei
farmaci non soggetti a prescrizione e quello dei farmaci etici più alto d’Europa. Tra i
grandi Paesi dell’Europa occidentale, decisamente superiori alla media europea sono
la Gran Bretagna (18,1%) e la Francia (17,8%), mentre la Germania si colloca
23
La comparabilità dei dati riguardanti i vari Paesi europei non è piena sia perché, tra i farmaci SOP, non vengono
compresi in tutti i Paesi i medesimi principi attivi nei medesimi dosaggi (anche se le differenze non sono molto ampie)
sia perché la distinzione tra farmaci non prescritti dal medico e farmaci con obbligo di prescrizione in alcuni Paesi non è
del tutto discriminante. In particolare in Francia alcuni SOP possono essere prescritti, nel qual caso, possono disporre di
un parziale, seppure molto limitato, rimborso da parte del SSN, mentre gli stessi SOP, se non prescritti, non vengono
rimborsati. Per questo motivo i dati francesi sono approssimati per difetto.
81
sostanzialmente sulla media, così come l’Olanda, il Belgio e la Danimarca. Sotto alla
media, oltre ai Paesi mediterranei (nell’ordine: Italia, Spagna, Grecia) ed al
Portogallo, si collocano anche i Paesi nordici dell’UE (Svezia e Finlandia);
B. Da una spesa pro-capite (36,5 Euro nel 2010) inferiore del 38% rispetto alla media
europea (58,5 Euro), del 56% rispetto alla spesa pro-capite destinata ai farmaci “non
prescription” in Francia (82,1 Euro) , del 47% in Germania (69,3 Euro), del 42% in
Gran Bretagna (63,8 Euro). Le ampie differenze tra le spese pro-capite nei Paesi
sopra indicati dipendono anche dal fatto che in alcuni di essi (in particolare in
Germania) alcuni farmaci non prescritti dai medici sono rimborsati dal sistema
assicurativo, su cui si regge il SSN (Pammolli, 2004);
C. La già richiamata (cfr. cap. 2) stasi negli ultimi anni, con tendenza alla riduzione
delle spese destinate ai farmaci “non prescription”, connessa con la riduzione del
potere di acquisto di una larga parte della popolazione, che si indirizza verso
parafarmaci meno cari o, in alcuni casi-limite, a chiedere ai medici prescrizioni, in
loro vece, di farmaci di classe A (a carico del SSN) con evidenti distorsioni
terapeutiche. Va comunque tenuto presente che, in valore, la stasi del mercato dei
farmaci “non prescription” si è manifestata nel 2010 in quasi tutti i Paesi europei (fa
eccezione la Polonia, ancora in intensa crescita), anche in quelli che, negli anni
precedenti, erano caratterizzati da mercati in crescita.
Le prospettive dei mercati nazionali dei farmaci “non prescription” sono incerte. In alcuni
Paesi (in particolare Paesi baltici) è in atto il passaggio di alcuni farmaci con obbligo di prescrizione
destinati alla cura di patologie minori alla lista dei SOP e ciò ha già determinato, in Svezia, una
ripresa del mercato. In altri Paesi, al contrario, alcuni SOP vengono trasferiti alle liste dei prodotti
con obbligo di prescrizione. È questo, ad esempio, il caso della Germania, per un SOP a larga
diffusione (il paracetamolo in confezioni da più di 10 mg). Tuttavia, a differenza dell’Italia, in
Germania per la vendita dei SOP non è prescritta la presenza del farmacista.
Sotto il profilo normativo una direttiva europea del 2001 (83/01 CE) ha stabilito che i
farmaci soggetti a prescrizione medica comprendono, oltre a tutte le sostanze iniettabili, quelli che
presentano rischi per la salute se usati senza un costante controllo medico o che contengono
sostanze di cui deve essere approfondita l’efficacia e/o gli effetti secondari.
Queste indicazioni sono alquanto generiche ma hanno spinto la maggioranza dei governi dei
Paesi europei ad applicare liste comuni di farmaci che non presentano le suddette caratteristiche
(“non prescription”).
82
Più variegate sono invece le normative riguardanti i canali di distribuzione dei farmaci “non
prescription”. In Gran Bretagna, Polonia, Danimarca, Olanda e Repubblica Ceca è ammessa la loro
vendita al di fuori delle farmacie. In Gran Bretagna, ad esempio, il 40% dei farmaci in esame è
venduto nei super e drugstore, in Olanda l’81%. In Germania solo una parte, peraltro cospicua, dei
farmaci “non prescription” può essere venduta a libero servizio al di fuori delle farmacie. In Italia,
fin dal 2001 (L. 405/2001) è stata ammessa la loro vendita a libero servizio, ma solo nelle farmacie
o in distributori automatici gestiti dalle farmacie, precisando successivamente che tali distributori
automatici non avrebbero dovuto essere accessibili dall’esterno. Solo nel 2006 (con la legge
Bersani) è stata ammessa la loro vendita anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO, purché
con la presenza di un farmacista abilitato.
In parecchi Paesi europei è ammessa la loro distribuzione in ambulatori medici anche a
libero servizio.
Data l’eterogeneità delle normative nazionali, assai diversa è l’entità dei punti di vendita
differenti dalle farmacie in cui sono venduti farmaci “non prescription”. In Germania (solo per i
SOP ammessi) ciò avviene in oltre 20.000 punti di vendita, in Olanda in oltre 3.000, in Danimarca
in oltre 3.000, in Gran Bretagna in un numero imprecisato di punti di vendita che possono
comprendere nel loro assortimento i “non prescription” GSL, ossia compresi nella “General Sales
List”, cui si riferisce il 65% delle vendite di OTC, in Italia – come già si è visto – in oltre 2.500
parafarmacie ed in 300 corner della GDO, con l’obbligo tuttavia (unico caso tra i Paesi sopra
indicati) della presenza di un farmacista iscritto all’albo professionale.
Un altro canale di distribuzione dei farmaci “non prescription” è, almeno potenzialmente, la
rete Internet. La Corte di Giustizia Europea ha emanato infatti nel 2003 una sentenza che ammette
la vendita di farmaci non soggetti a prescrizione medica via Internet e, più in generale, “per
corrispondenza”. Si tratta tuttavia di una sentenza che non ne consente il divieto assoluto, ma che
rende possibile, nelle varie normative nazionali, la subordinazione delle vendite on line a specifiche
condizioni, ad esempio solo attraverso siti di farmacie autorizzate (Svezia, Norvegia, Finlandia,
Belgio) oppure con consegne in punti di vendita a ciò espressamente autorizzati anziché a domicilio
(Spagna, Portogallo, Svizzera). In Italia il problema è stato sollevato recentemente, ma non è stata
definita finora una soluzione normativa specifica. L’unico Paese che non pone alcun
condizionamento alle vendite on line di farmaci “non prescription” è l’Olanda, che, tuttavia,
controlla e, se del caso, oscura i siti sospettati di comportamenti anomali.
In parecchi Paesi europei (Italia compresa: vds. oltre) sono state condotte indagini sui
differenziali di prezzo dei principali farmaci “non prescription” venduti nelle farmacie e nei canali
alternativi. Da tali indagini risulta che, con l’apertura dei mercati, si è avuta una riduzione
83
consistente dei prezzi, cui hanno dovuto adeguarsi anche le catene di farmacie. In Gran Bretagna,
dove è non solo ammessa la formazione di catene di farmacie ma essa è dominante, il risparmio per
i consumatori è stato quantificato in media nel 30% per i GSL in quattro anni dall’apertura del loro
mercato, grazie anche alla crescente competizione tra le catene di farmacie.
La varietà dei canali di distribuzione al dettaglio determina anche, per gli stessi principi
attivi, ampie differenze di prezzo nei vari Paesi. Ad esempio da un’inchiesta Ansa condotta nel
2006 e citata nella presentazione del decreto Bersani, poco prima della liberalizzazione, risultava
che una compressa effervescente di Aspirina (venduta in Italia nelle farmacie a 0,20 Euro) veniva
venduta (stesso principio attivo, stessa dose, stessa posologia) a 0,16 Euro in una catena olandese di
drugstore, a 0,13 Euro in una catena, anch’essa olandese, di supermercati, a 0,14 Euro in una delle
maggiori catene inglesi della GDO.
Alcuni gruppi di lavoro della Commissione europea hanno da tempo (a partire dal cosiddetto
G-10 Group della sanità nel 2002) suggerito varie modalità tendenti a liberalizzare la distribuzione e
consentire un’effettiva concorrenza anche per i farmaci soggetti a prescrizione medica non a carico
dei vari SSN, purché con efficaci garanzie sulla professionalità dei distributori diversi dalle
farmacie. Si tratta di un indirizzo, finora non tradottosi in direttive comunitarie, di particolare
interesse anche per il nostro Paese, nonostante il recente rigetto, da parte della Commissione
Bilancio del Senato, di tre emendamenti a provvedimenti di liberalizzazione delle attività
professionali, coerenti con tale indirizzo europeo (su questo aspetto della contrastata evoluzione
normativa italiana si tornerà più articolatamente nel cap. 7).
5.2 La situazione italiana
Come già si è documentato nel cap. 2, anche in Italia – analogamente a quanto si osserva in
altri Paesi europei (Polonia esclusa), il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione è
stazionario, con tendenza alla diminuzione, nonostante il consumo pro-capite di tali farmaci, come
si è visto nel paragrafo precedente, sia inferiore alla media europea.
Va ora precisato che, con riferimento alle rilevazioni più recenti, i farmaci SOP (che
incidono per il 26% in volumi e per il 25% in valore sul totale dei farmaci “non prescription”)
hanno registrato nel 2010 una diminuzione consistente dei volumi rispetto all’anno precedente (8,4%), dovuta peraltro prevalentemente a fattori epidemiologici stagionali, a fronte di una
diminuzione contenuta del fatturato (-1,8%); i farmaci OTC (74% in volumi e 75% in valore) una
debole contrazione dei volumi (-2,1%) ed una crescita, anch’essa lieve, del fatturato (+2,1%).
84
Come già si è visto (cap. 4), le farmacie continuano ad essere in Italia il canale di
distribuzione al dettaglio di gran lunga più rilevante anche per i farmaci “non prescription”.
L’erosione del loro mercato da parte delle parafarmacie è continuata negli ultimi anni (pari però ad
un solo punto di quota di mercato in volume dal 2008 al 2010), mentre era stata abbastanza intensa
nel 2008 rispetto all’anno precedente (2,3 punti di quota di mercato). I corner della GDO hanno
invece manifestato una crescente capacità di erosione fino al 2009 (2,9 punti di quota di mercato dal
2007 al 2009 nonostante il limitato numero di corner operanti in Italia, mantenendo sostanzialmente
nel 2010 la loro posizione relativa comunque marginale) rispetto alle farmacie (Anifa, 2011).
Particolarmente significativo si presenta il confronto delle dinamiche delle vendite (in
volumi) rispettivamente dei farmaci a carico del SSN (classe A) venduti solo nelle farmacie (+8%
dal 2007 al 2010), di quelli con obbligo di prescrizione ma a carico degli utilizzatori, venduti
anch’essi solo nelle farmacie (-1% nello stesso periodo), dei farmaci SOP e OTC venduti nelle
farmacie (-9%), nelle parafarmacie (+85%) venduti nei corner della GDO (+51%).
Si è già visto (cap. 4) che nelle parafarmacie (ma anche nelle farmacie e nei corner della
GDO) hanno un’incidenza maggiore rispetto ai farmaci “non prescription” i prodotti non soggetti
alle procedure di registrazione AIFA (e quindi non farmaci in senso stretto), ma percepiti dagli
utilizzatori come prodotti utili per la cura di patologie minori o per il mantenimento di un buono
stato di salute fisico e psichico, una parte dei quali vengono percepiti come possibili sostituti dei
farmaci SOP e OTC.
Gli andamenti più recenti delle vendite di questi prodotti in Italia sono, nel loro insieme, in
crescita in tutti i canali di distribuzione considerati (farmacie, parafarmacie e corner della GDO).
Secondo la più recente analisi dell’Anifa i loro volumi di vendite nel 2010 hanno manifestato un
incremento del 7,8% rispetto al 2009. Con specifico riferimento alle varie categorie merceologiche
ed ai canali di distribuzione considerati, si osserva:
A. Una crescita consistente dei prodotti cosiddetti “notificati”, ossia dei parafarmaci in
senso stretto, nelle parafarmacie (+15,5% in volume), ma anche nei corner della
GDO (+7,0%) e nelle farmacie (+6,2%);
B. Una crescita molto consistente dei prodotti omeopatici nelle parafarmacie (+20,9%)
e consistente nei corner della GDO (+8,3%), a fronte di una stasi con tendenza alla
diminuzione nelle farmacie (-0,1%);
C. Una lieve riduzione dei prodotti erboristici (-0,7%) nel loro complesso, con tendenze
delle vendite in netta diminuzione (-1,8%) nelle farmacie, in netta crescita nelle
parafarmacie (+6,2%) e in lieve crescita nei corner della GDO (+1,5%);
85
D. Una forte crescita degli altri prodotti, in gran parte extra-farmaci percepiti come
prodotti “salutistici” (+8,8% in complesso), specie nelle farmacie, nelle quali tali
prodotti (in volume) superano di parecchio i farmaci SOP ed OTC, mentre ciò non
avviene per le categorie di prodotti precedentemente indicate;
E. Una stasi dei prodotti “nutrizionali” (integratori alimentari e simili) (-0,4%) in
complesso, con andamenti opposti nelle farmacie (-2,7%) rispetto alle parafarmacie
(+5,0%) ed ai corner della GDO (+5,2%) (Fonte: nostre elaborazioni su dati Anifa).
Dai dati testé richiamati si evince che, nel periodo più recente, la crescita delle vendite (in
volume) dei parafarmaci e degli extra-farmaci a connotazione salutistica ha più che compensato la
stasi di quella dei farmaci nel loro complesso ed in modo particolare dei farmaci “non prescription”.
Mentre per gli extrafarmaci a connotazione salutistica (tra i quali si collocano parecchi prodotti ad
alta redditività) si sono avvantaggiate in modo particolare le farmacie, per i parafarmaci in senso
stretto, per i prodotti omeopatici e per i prodotti erboristici le parafarmacie ed i corner della GDO
hanno aumentato le loro quote di mercato rispetto alle farmacie, quote che (in volume) risultano,
però, ancora molto inferiori a quelle delle farmacie. Per quanto riguarda i corner della GDO, la
dinamica delle vendite degli extrafarmaci a connotazione salutistica non è però significativa in
quanto questi prodotti vengono venduti anche (ed in misura molto maggiore) in altri reparti delle
unità di vendita in cui si collocano i corner.
Un altro aspetto che va tenuto presente, caratteristico della situazione italiana delle vendite
di farmaci non sottoposti all’obbligo di prescrizione medica, riguarda le differenze, meno marcate
rispetto a quelle dei farmaci di classe A e C, delle spese pro-capite nelle diverse Regioni (Anifa).
Per i farmaci SOP la Regione con la maggiore spesa pro-capite (49 Euro nel 2010) è la Liguria;
quelle con spese pro-capite comprese tra i 40 ed i 45 Euro sono, nell’ordine, la Valle d’Aosta, il
Trentino-Alto Adige, la Toscana, l’Emilia-Romagna ed il Lazio; la maggioranza delle altre Regioni
ha spese pro-capite comprese tra i 30 ed i 40 Euro annui, mentre la Calabria, la Sicilia, il Molise, la
Puglia e la Basilicata hanno spese pro-capite inferiori (comprese tra i 25 ed i 30 Euro annui). Per i
farmaci OTC si rilevano differenze regionali più ampie (da un massimo di 38 ad un minimo di 18
Euro pro-capite nel 2010), ma la graduatoria regionale è molto simile a quella delle spese pro-capite
per i SOP.
Per quanto riguarda i prezzi, come si vedrà meglio in seguito (cap. 6), tutti i farmaci SOP e
OTC, nonché i parafarmaci e gli extra-farmaci a connotazione salutistica non sono soggetti a prezzi
amministrati. Per i farmaci SOP e OTC in Italia si è pervenuti gradualmente a questa soluzione.
Fino al 2005 il prezzo al consumo, poteva essere liberamente fissato dalle imprese produttrici, ma
doveva essere il medesimo su tutto il territorio nazionale (prezzo imposto in senso stretto). Nel 2005
86
(L. 149/2005) il prezzo al consumo, stabilito sempre dal produttore, venne considerato come un
prezzo massimo indicato, sul quale le farmacie potevano operare sconti fino ad un massimo del
20%. Nel 2006 (L. 248/2006) il limite di sconto del 20% venne abolito (rendendo possibili anche
sconti superiori). Con la legge Bersani venne superata la logica del prezzo imposto o indicato dal
produttore. Il prezzo al consumo viene infatti determinato liberamente dai distributori (farmacie,
parafarmacie, corner della GDO). Al titolare dell’autorizzazione (produttore) nel 2008 è stato però
imposto l’obbligo di comunicare all’AIFA il prezzo massimo ex-factory e le sue variazioni.
Come si vedrà meglio in seguito, la graduale liberalizzazione dei prezzi è stata estesa anche
ai farmaci con obbligo di prescrizione di classe C (non a carico del SSN), per i quali è tuttavia
conservata l’esclusiva di vendita nelle farmacie, ossia è esclusa qualsiasi forma di concorrenza tra
canali distributivi al dettaglio differenti e sono fortemente vincolate (ossia, di fatto, escluse)
l’entrata nel mercato di nuove farmacie e la formazione di catene di farmacie tra loro, in genere,
concorrenti.
Si è già osservato (e si documenterà più articolatamente in seguito con specifico riferimento
ai corner della GDO) che i livelli di prezzo dei medesimi farmaci SOP e OTC sono superiori nelle
farmacie, specie rispetto ai corner della GDO, ma anche, seppure in minore misura, rispetto alle
parafarmacie e che nei Paesi in cui la concorrenza tra canali di distribuzione diversi si è manifestata
con maggiore intensità anche le farmacie hanno ridotto via via i prezzi di questi prodotti,
aumentando in tal modo i vantaggi per i consumatori del duplice processo di liberalizzazione (dei
prezzi e dei canali).
Anche in Italia dal 2006 si sono manifestati fenomeni di concorrenza di prezzo, alimentati in
modo particolare, dalle politiche di mercato della GDO. Tuttavia il numero limitato di corner
economicamente attivabili e il divieto alla formazione di catene di farmacie, hanno limitato la
portata di tali fenomeni.
Va comunque tenuto presente che i prezzi medi dei farmaci SOP24 venduti in Italia nelle
farmacie (7,0 Euro a confezione nel 2010) risultano superiori a quelli venduti nelle parafarmacie
(6,6 Euro) e nei corner della GDO (5,5 Euro). Differenze analoghe si riscontrano per i farmaci OTC
e SOP, considerati separatamente nella classificazione internazionale di IMS Health. Nel
considerare questi dati va però tenuto presente che – come si è già visto nel cap. 4 – la profondità
degli assortimenti di farmaci SOP (ossia il numero di referenze merceologiche per questa classe di
prodotti) è molto maggiore nelle farmacie rispetto alle parafarmacie ed ai corner della GDO.
24
Determinati da IMS Health, che ne determina anche gli andamenti utilizzando gli indici di Laspeyres, non molto
significativi in quanto assumono l’ipotesi di costanza dei principi attivi compresi nei panieri di beni considerati e di
costanza della loro distribuzione quantitativa.
87
Per quanto riguarda le differenze dei prezzi medi per confezione dei farmaci di classe C
rispetto: da un lato a quelli degli altri farmaci “etici” (di classe A), dall’altro a quelli dei SOP, IMS
Health valuta per l’Italia nel 2010 in 10,9 Euro i primi (classe C) ed in 11,5 Euro i secondi (classe
A), contro – come già si è visto – 7,0 Euro per i SOP venduti nelle farmacie. Queste valutazioni
stanno chiaramente ad indicare che i prezzi medi dei farmaci di classe C (a carico dell’utilizzatore)
sono sostanzialmente quasi uguali a quelli dei farmaci di classe A (in larga misura a carico del SSN)
e si discostano da quelli dei farmaci SOP.
Un’altra fonte affidabile (IRI Infoscan) stima per il 2010 anche i prezzi medi per confezione
dei parafarmaci e degli extrafarmaci a connotazione salutistica notificati, che risultano di 10,5 Euro
per i prodotti omeopatici, di 12,7 Euro per i prodotti erboristici e di 12,7 Euro per gli altri prodotti
notificati (integratori, vitamine, lenti a contatto, prodotti per l’automedicazione, altri prodotti
qualificati come “presidi medico-chirurgici”). La stessa fonte stima per il 2010, rispetto al 2009,
una sostanziale invarianza dei prezzi medi di questi prodotti, ma non ne distingue i livelli di prezzo
medio praticati dalle farmacie, dalle parafarmacie e dai corner della GDO.
5.3 I corner della GDO: considerazioni d’assieme
Mentre sulle politiche di mercato e sui problemi gestionali emergenti delle farmacie e delle
parafarmacie operanti nei nostro Paese si sono già considerati gli aspetti, a nostro avviso, essenziali
nel precedente capitolo, sui corner della GDO ed in modo particolare su quelli di COOP, si
svilupperanno ora alcuni approfondimenti.
Anzitutto, la situazione attuale di queste unità di vendita (la cui attivazione – come già si è
visto – è stata resa possibile in Italia dalla legge Bersani nel 2006, pur limitando ai soli farmaci SOP
e OTC il loro assortimento nel campo dei prodotti farmaceutici in senso stretto e pur imponendo la
presenza di un farmacista abilitato ed iscritto agli albi professionali nell’attività di vendita), può
essere così riepilogata:
A. Le organizzazioni della GDO dotate di corner salute – come già si è accennato –
sono quattro e figurano tutte tra i leaders della grande distribuzione “grocery”:
COOP Italia al primo posto nella distribuzione “grocery”); Conad-Leclerc (2° posto);
Auchan (4° posto), Carrefour (5° posto). COOP – come è noto – è un consorzio tra
cooperative di consumo; Conad-Leclerc un consorzio di secondo grado tra
cooperative di operatori commerciali; Auchan e Carrefour sono entrambe grandi
imprese a succursali di proprietà estera.
88
B. Il numero complessivo dei corner attivi è aumentato – come già si è visto nel
capitolo precedente – anche negli ultimi anni. In particolare i corner COOP sono
passati da 96 nel 2009 a 100 nel 2010 ed i corner Conad-Leclerc da 28 a 38.
C. Le unità di vendita in cui sono inseriti i corner salute sono prevalentemente
ipermercati operanti in centri commerciali, ma una parte dei corner è inserita in
grandi supermercati anch’essi operanti prevalentemente in centri commerciali e
pochissimi in grandi unità di vendita non localizzate in centri commerciali. Il
rapporto tra corner inseriti in ipermercati e corner inseriti in supermercati è diverso
nelle organizzazioni della GDO considerate. In COOP l’87% dei corner è inserito in
ipermercati, in Conad il 55. Ciò spiega anche i diversi livelli di fatturato medio
annuo per corner, che, nel 2010 risultano i seguenti: COOP 773.000 Euro, Conad
630.000.
D. Il fatturato complessivo dei corner salute è di 61 milioni di Euro nel 2010, pressoché
invariato rispetto a quello dell’anno precedente. La sua ripartizione per linee di
prodotti vendute è caratterizzata dalla netta prevalenza dei parafarmaci e, tra i
farmaci non soggetti a prescrizione medica, degli OTC rispetto ai SOP. Tuttavia
questa composizione varia nelle singole organizzazioni della GDO operanti nel
settore; in particolare l’incidenza dei farmaci, pur restando minoritaria, è superiore in
COOP rispetto a Conad-Leclerc.
E. Anche l’ampiezza degli assortimenti varia considerevolmente nelle diverse
organizzazioni della GDO. In particolare Conad-Leclerc presenta un assortimento
molto ampio e profondo nel campo dei parafarmaci (6.000 referenze in media),
nonché dei farmaci OTC (400 referenze in media). COOP, al contrario, ha un
assortimento complessivo di 2.000 referenze in media, di cui 1.450 parafarmaci.
F. Le modalità di approvvigionamento dei farmaci in COOP e Conad-Leclerc sono
centralizzate a livello di definizione, attraverso trattative con i produttori, delle
condizioni di acquisto. Gli ordinativi sono decentrati a livello di singoli corner.
Presso COOP sono stati introdotti sistemi logistici avanzati che comportano, tra
l’altro, l’automazione dei riordini bisettimanali. Le organizzazioni sopra indicate
hanno integrato verticalmente la distribuzione intermedia (di tutti i farmaci e di una
parte dei parafarmaci) avvalendosi, per gli aspetti logistico-operativi, di partners
specializzati. Nel caso di COOP un unico partner specializzato intrattiene relazioni
cooperative di lungo periodo in questo campo. Nel caso di Carrefour recentemente
l’intera gestione dei corner è stata affidata, con un contratto assimilabile ai contratti
89
di rack-jobbing, ad un’organizzazione specializzata, che opera in larga misura con
integrazione verticale ascendente negli approvvigionamenti. Tale organizzazione ha
dirette responsabilità sui risultati economici dei corner.
G. In tutte le organizzazioni considerate, a motivo dei loro turni di apertura al pubblico,
operano almeno 3 farmacisti abilitati ed iscritti all’albo per ogni corner. Nel caso di
Conad-Leclerc la media è di 2,8 farmacisti per corner. Il costo medio lordo annuo
per ogni farmacista (lavoratore dipendente) è di circa 22.000 Euro.
H. Secondo le valutazioni risultanti dal monitoraggio dei differenziali di prezzo dei
prodotti offerti nei corner rispetto agli omologhi prodotti offerti nelle farmacie
(monitoraggi effettuati nel 2010 dalle organizzazioni della GDO considerate)
risulterebbero risparmi per i consumatori stimabili in circa 17 milioni di Euro solo
per COOP e Conad-Leclerc. In particolare – come si specificherà in seguito – i
risparmi per i consumatori sono decisamente elevati in COOP, che opera con prezzi
unitari molto contenuti ed ha un assortimento concentrato su un numero
relativamente limitato di referenze comprensive di marche commerciali.
5.4 I corner COOP-Salute: aspetti gestionali
Con specifico riferimento ai corner salute di COOP, i risultati delle nostre indagini dirette
individuano anzitutto una differenza di fondo, rispetto agli altri corner della GDO, riferibile ai
valori che guidano quest’area di diversificazione dell’attività dell’organizzazione leader nel settore
della distribuzione “grocery”25 in quanto non solo grande gruppo a base succursalistica, ma anche
diretta emanazione della maggiore lega cooperativa. Nel delicato campo della salute, oltre ad una
serie di altre iniziative specifiche di cui possono disporre i soci26, COOP, nell’attivare i propri
corner, si è posta l’obiettivo di caratterizzare il proprio impegno non solo in termini di capacità
competitiva nei confronti degli altri distributori al dettaglio ed in modo particolare delle farmacie,
ma anche in termini :
25
Nel 2010, fatto uguale a 100 il fatturato delle prime 30 organizzazioni (a base succursalistica ed a base associativa)
operanti in Italia nella grande distribuzione “grocery”, la quota di mercato di COOP era pari al 15,2%, con un
consistente distacco dai suoi diretti “inseguitori” (Conad-Leclerc 9,9%, Selex 8,4%, Auchan 8,3%, Carrefour 7,8%,
Esselunga 7,5%)
26
In particolare: strutture sanitarie convenzionate con prezzi concordati e controllati, mutualità integrativa, assistenza
domiciliare sussidiata con rimborsi fino al 100% per malati terminali, seppure entro un massimale annuo di 1.000 Euro,
ecc. Per disporre di questi e di altri servizi agevolati i soci COOP devono aderire in genere alla cooperativa sociale
aderente alla Lega COOP a ciò specificamente deputata con canoni annui contenuti e ridotti per particolari categorie di
soci (famiglie con bambini, anziani..).
90
A. Di offerta di informazioni (opuscoli tematici sviluppati in collaborazione con primari
istituti di ricerca/Università, attivazione di un sito ad hoc con sezioni dedicate ad
approfondimenti su tematiche varie e con la possibilità di interagire con COOP
Salute, attivazione di un numero verde “specialistico”, sviluppo di collaborazioni con
Università con finanziamento di un progetto di alfabetizzazione sanitaria, sul quale si
è basata anche la formazione addizionale dei farmacisti presenti nei corner);
B. Di offerta di campagne di prevenzione sviluppate in collaborazione con le principali
associazioni/enti operanti nei diversi settori (cardiologia, diabete, obesità, ecc.) con
check-up gratuiti e con creazione ed alimentazione di database nazionali;
C. Di offerta di controlli gratuiti nel punto di vendita: pressione, peso, in certi casi
anche autoanalisi del sangue, ecc,
D. Di un sistema evoluto di farmacosorveglianza.
Esiste una sinergia naturale tra queste iniziative di COOP Salute e quanto COOP sta facendo
in generale in campo alimentare: forte impegno nel garantire la qualità del prodotto a marchio
COOP, impegno sul fronte dell’obesità e sovrappeso (educazione al consumo consapevole,
iniziative quali “alimenta il tuo benessere”, sviluppo di contenuti del sito quali “Gedeone maestro di
nutrizione”, ecc.), attenzione alla celiachia, divieto di vendita di alcolici ai minori, linee di prodotti
alimentari specificamente destinate alle persone allergiche a determinate sostanze, ecc.
Sotto il profilo economico-gestionale, COOP, pur avendo una posizione di leadership anche
nello specifico campo dei corner salute (sia per numero che per fatturato complessivo dei corner
attivati), ha finora dotato di corner salute solo il 13% delle proprie unità di vendita, ritenendo
necessarie – dati, da un lato, i limiti imposti dal processo, molto parziale (ed oneroso), di
liberalizzazione della distribuzione dei farmaci, dall’altro l’obiettivo di sviluppare un’offerta
decisamente competitiva nel campo dei farmaci SOP e OTC ed in quello, più rilevante in termini di
fatturato, dei parafarmaci – dimensioni minime efficienti elevate dei propri corner, di cui possono
disporre solo corner inseriti in unità di grande formato e/o dotate di consistenti fattori di
accessibilità ed di attrattività a largo raggio. Dei 100 corner attivi alla fine del 2010, 87 sono infatti
inseriti in ipermercati, quasi tutti a loro volta operanti come “magneti” principali di grandi centri
commerciali e 13 in supermercati di grande dimensione. I corner inseriti in ipermercati hanno
realizzato nel 2010 un fatturato di 70,1 milioni di Euro, quelli inseriti nei supermercati di 7,3
milioni di Euro.
La distribuzione geografica dei corner salute di COOP corrisponde sostanzialmente a quella
delle cooperative che compongono il consorzio, dislocate prevalentemente nel Nord Italia ed in
alcune aree dell’Italia centrale. Come numero di corner che ad esse fanno capo le più importanti
91
sono COOP Adriatica (18 corner), COOP Estense (17), NovaCOOP (13), COOP Lombardia (9),
COOP Nordest (9), UniCOOP Tirreno (8) e COOP Liguria (6). Considerando la recente
consorzializzazione di COOP Liguria, NovaCOOP e COOP Lombardia, questo insieme ha
attualmente il maggiore numero di corner salute (28).
L’assortimento-tipo dei corner salute di COOP comprende circa 2.000 referenze, la
maggioranza delle quali (oltre 1.450) sono parafarmaci. Nel campo dei farmaci in senso stretto
(OTC e SOP) l’assortimento è articolato su un numero limitato (rispetto a quello delle farmacie) di
referenze merceologiche (circa 330). Le restanti referenze riguardano i prodotti omeopatici27 (140
circa) ed i prodotti veterinari (30 circa). Solo per alcuni parafarmaci la composizione degli
assortimenti varia nei singoli corner. In linea di massima, tuttavia, tutti i corner COOP offrono
assortimenti omogenei e standardizzati e ciò facilita le operazioni di approvvigionamento ed
accresce il potere di mercato nei confronti dei produttori.
Motivi di riservatezza ci impediscono di entrare dettagliatamente nel merito dei margini
lordi e netti riguardanti i singoli gruppi di referenze sopra indicati. Complessivamente nel 2010 il
margine lordo si è collocato comunque poco al di sopra del 20% sul fatturato, con un lieve
incremento rispetto all’anno precedente, con differenze sostanziali tra quello riguardante i farmaci
OTC e SOP e quello riguardante i parafarmaci, gli omeopatici ed i veterinari. Va comunque tenuto
presente che, nel 2010, il fatturato realizzato nei corner COOP con la vendita di parafarmaci ha
superato il 60% del loro fatturato complessivo (77,3 milioni di Euro), con un incremento rilevante
(+13,4%), nonostante il suo più elevato margine lordo, mentre il fatturato riguardante i farmaci SOP
e OTC è aumentato del 5,8%. Se si considera che il numero dei corner salute COOP si è accresciuto
nel 2010 di 4 unità, a rete omogenea il fatturato è in effetti aumentato di poco più del 9% per i
parafarmaci e di poco più del 2% per i farmaci SOP e OTC. Il fatturato dei corner salute è
comunque una parte molto piccola (1,62%) del fatturato delle grandi unità di vendita in cui essi
sono inseriti.
Un altro aspetto degno di nota, riguarda i margini dei farmaci e dei parafarmaci di marca
commerciale. Nonostante i loro prezzi assai più bassi rispetto a quelli dei prodotti branded con i
medesimi principi attivi e le medesime posologie, questi prodotti (un analgesico ed un
antinfluenzale tra i farmaci SOP e tre prodotti vitaminici tra i parafarmaci) hanno margini
commerciali decisamente superiori a quelli degli altri farmaci SOP nel primo caso e dei parafarmaci
nel secondo venduti nei corner salute COOP. Inoltre la loro diffusione ha consentito a COOP nel
2010 di spuntare prezzi di acquisto dai produttori che li realizzano per conto della stessa COOP
27
Per questi prodotti, che richiedono spesso composizioni e dosaggi personalizzati, oltre alle circa 300 referenze base
presenti nel corner, i clienti, in ciò assistiti dal farmacista, possono prenotare altre referenze più appropriate, che
vengono appositamente ordinate ai produttori e che si rendono in genere disponibili entro una settimana dall’ordine.
92
inferiori a quelli dell’anno precedente. In sostanza anche per questi prodotti con marca propria si
manifestano relazioni tra prezzi e margini analoghe a quelle che caratterizzano le migliori marche
commerciali d’insegna nel settore “grocery”.
Per quanto riguarda il prezzo medio (premesso che i singoli prezzi sono uniformi in tutti i
corner salute COOP), si rileva che, con riferimento a tutti i prodotti acquistati, nel 2010 è stato di
7,85 Euro e che, per ogni scontrino (in media 1,54 pezzi per scontrino), è stato di 12,11 Euro. Come
si può notare gli acquisti dei consumatori nei corner COOP sono molto frazionati. Nel 2010 il
prezzo medio è aumentato dell1% circa a rete omogenea, anche a motivo della variazione del mix
dei prodotti offerti. Il numero medio giornaliero di scontrini emessi (ossia di atti di acquisto) è
risultato pari a 196 per corner con un incremento di poco meno del 2% a rete omogenea nel 2010
rispetto al 2009. Va tenuto presente che lo scontrino medio per acquisti di soli parafarmaci è di
parecchio superiore a quello riguardante acquisti di soli farmaci, ma che – ovviamente - quello per
acquisti misti (farmaci e parafarmaci) è più che doppio rispetto allo scontrino medio.
In sostanza, i corner salute COOP hanno potuto contare nel 2010 su più di 9 milioni di atti di
acquisto, pari a circa 90.000 atti di acquisto annui in media per ogni corner. Secondo una
valutazione di fonte COOP la dimensione minima efficiente di un corner salute non può essere
inferiore a 75.000 atti di acquisto annui e/o ad un fatturato annuo di circa 650.000 Euro, con un
margine lordo di non meno di 140.000 Euro. Il solo costo dei farmacisti (3 al minimo per ogni
corner dati i turni di lavoro della GDO) supera infatti i 65.000 Euro. Nel 2010 sul complesso dei
corner salute COOP il solo costo dei farmacisti è ammontato infatti a circa 6.800.000 Euro, pari
all’8,8% del fatturato. Premesso che il margine netto è molto contenuto, tutti gli altri costi
riguardanti la gestione caratteristica e quelli ad essa imputabili devono comunque essere contenuti
mediamente in 60.000-65000 Euro annui per ogni corner.
Ben diversa sarebbe invece – a nostro avviso – la situazione gestionale ed anche a possibilità
di incrementare il numero di corner salute qualora venisse liberalizzata anche la vendita dei farmaci
di classe C. Su questa linea di sviluppo, di cui si avvantaggerebbero maggiormente i consumatori,
alternativa ad altre, non prive di riscontri negativi per gli stessi consumatori, anche se con possibili
riduzioni dei costi di gestione dei corner, si tornerà nella parte conclusiva della nostra ricerca.
Riprendendo ora l’esame dei principali aspetti gestionali dei corner salute COOP,
consideriamo anzitutto il processo di approvvigionamento seguito.
Fin dall’inizio COOP, per disporre di un adeguato potere contrattuale con i produttori
evitando anche possibili discriminazioni nei suoi confronti, ha realizzato con un unico distributore
intermedio (FCR) un accordo di collaborazione. In effetti FCR, in base alle normative preesistenti
alla legge Bersani, era la maggiore organizzazione a base associativa attraverso la quale le farmacie
93
comunali emiliane, autorizzate ad integrare verticalmente la loro attività nel campo della
distribuzione intermedia, si rapportavano con i produttori per i loro acquisti collettivi di farmaci ed,
in parte, anche di parafarmaci. COOP ha centralizzato completamente attraverso i propri buyers le
trattative delle condizioni di acquisto con i produttori, con l’ausilio dell’esperienza di FCR, e ha
affidato a FCR l’intera attività logistica per l’approvvigionamento dei farmaci SOP e OTC e di una
parte dei parafarmaci, ha messo a punto un particolare software applicativo, più avanzato rispetto a
quelli di cui dispongono in genere le farmacie (tra l’altro tale da integrare le codifiche e le altre
facilities AIFA con le codifiche EAN su cui si basa la normale logistica COOP), ha introdotto
procedure di riordino automatico da parte dei singoli corner (analoghe a quelle adottate nei reparti
“grocery”) con cadenze di consegna bisettimanali e con compensi a FCR (contrattati via via con lo
stesso soggetto intermedio) che rispecchiano le “responsabilità di costo” delle operazioni svolte e
risultano inferiori ai normali margini lordi applicati dai grossisti per il rifornimento delle farmacie
(che comporta però costi maggiori). Nell’ipotesi di cambiamento delle normative vigenti con
l’estensione delle vendite a farmaci di classe C, il processo di approvvigionamento di COOP,
incentrato su un soggetto intermedio che opera costantemente anche con un importante nucleo di
farmacie, non implicherebbe particolari cambiamenti.
Per quanto riguarda il “category management”, i corner salute sono compresi in una
“categoria” residuale (“merci varie”) che comprende anche prodotti extra-farmaceutici a
connotazione salutistica offerti in altri reparti dei punti di vendita dotati di corner. Ciò, unitamente
alla possibilità di disporre di codici EAN per i farmaci, consente di coordinare e controllare le
connessioni tra la “new venture” dei farmaci e le categorie consolidate che presentano aspettative
dei clienti similari, con effetti di razionalizzazione della composizione degli assortimenti
complessivi e di miglioramento della gestione d’assieme.
L’autonomia decisionale dei responsabili dei singoli corner è molto limitata – come già si è
accennato – per quanto riguarda sia la composizione assortimentale (che può comunque comportare
alcune variazioni sulla base di specifiche esigenze locali dei clienti), sia le modalità di
approvvigionamento ed i connessi sistemi logistici (funzioni sulle quali è sostanzialmente nulla)28.
Anche per quanto riguarda il pricing, le regole da applicare sono definite a livello centrale ed, a
parità di referenza merceologica, i prezzi e le loro variazioni sono identici in tutti i corner COOP. A
livello centrale vengono escluse, anche per i farmaci per i quali sarebbero ammesse dalla normativa
vigente, forme di promozione assai diffuse in altri comparti “grocery”, quali, ad esempio, la
promozione attraverso volantini distribuiti nell’area di gravitazione del punto di vendita. I prezzi
28
Un’area in cui si manifesta un’autonomia decisionale abbastanza ampia (a livello più di singole cooperative facenti
parte del consorzio COOP che di singoli corner) è quella del noleggio e dell’installazione a domicilio dei clienti di
attrezzature sanitarie di una certa consistenza (ad esempio: letti ortopedici sollevatori elettrici, ecc.).
94
sono sempre espressi come prezzi netti, anziché evidenziando percentuali di sconto rispetto a prezzi
di riferimento di prodotti omologhi, coerentemente con la già ricordata evoluzione delle normative
che ha eliminato i prezzi di riferimento. Il minore livello di prezzo rispetto a prodotti omologhi
venduti in altri canali viene tuttavia attentamente monitorato su panieri di prodotti confrontabili,
anche allo scopo di determinare annualmente i risparmi generati per i consumatori (vds. oltre).
Un aspetto sul quale le opinioni emerse nel corso della nostra indagine diretta collimano
solo in parte con i risultati di un’analisi più ampia e più specifica (Martinelli, 2010), riguarda il
ruolo dei corner salute COOP come fattori di attrattività rilevanti nei confronti dell’offerta
complessiva delle unità di vendita in cui sono inseriti. Mentre i nostri interlocutori hanno sostenuto,
anche con valutazioni comparate dell’attrattività di unità analoghe prive di corner, che i corner
stessi sono un rilevante fattore di attrattività, lo studio citato, esaminando comparativamente altri
elementi di diversificazione dell’offerta, non colloca i corner tra i più rilevanti fattori di attrattività.
I consumatori intervistati in tale analisi sarebbero infatti maggiormente attratti da fattori tradizionali
connessi con il binomio despecializzazione dell’offerta e profondità delle linee dell’assortimento
nelle varie categorie “grocery” in rapporto alla convenienza percepita del livello complessivo dei
prezzi e da elementi di diversificazione dell’offerta tra i quali spicca la distribuzione dei carburanti
a prezzi scontati. I corner salute, comunque, risulterebbero più attrattivi di altri servizi diversificati
offerti quale, ad esempio, l’offerta di servizi di telefonia mobile.
In effetti questa contrapposizione, a nostro avviso, è più apparente che reale, in quanto i
punti di vendita (ipermercati) in cui si collocano i corner, per ragioni economico-gestionali sono
selezionati tra quelli che già esercitano un’elevata attrattività a largo raggio per motivi variamente
combinati, ed i corner consentono, in qualche misura, di accrescerla, ma non ne sono il fattore
determinante principale.
Per quanto riguarda la customer satisfaction dei clienti dei corner salute COOP, un’ampia
indagine, condotta nel 2010 da COOP Adriatica, evidenzia che le motivazioni principali di acquisto
nei corner salute vengono indicate nella comodità di concentrare anche gli acquisti di farmaci in
un’unica “shop expedition” connessa con la convenienza economica di tali acquisti (31,7%), nella
sola comodità (31,7%), nella sola convenienza economica (21,6%), altri motivi, tra cui primeggiano
la “fiducia nell’offerta COOP” e il “contrasto alle rendite farmaceutiche” sono meno rilevanti ma
significativi (15,0%).
Secondo gli intervistati il principale punto di forza dei corner COOP, coerentemente con le
motivazioni di acquisto, è rappresentato dal risparmio di tempo e dai bassi prezzi (71,9%), seguito
dalla disponibilità e dalla competenza del personale. Solo il 2,9% dichiara di avere meno fiducia nei
farmacisti della GDO rispetto ai farmacisti da loro definiti “normali”. Approfondendo l’analisi sulla
95
valutazione dei comportamenti dei farmacisti dei corner, il 92,5% dei clienti esprime piena fiducia,
apprezza i consigli professionali ricevuti e la loro gentilezza ed empatia. In effetti la percentuale di
intervistati che danno giudizi pienamente positivi è ancora maggiore, se si tiene conto che il 4,6%
non risponde a queste domande. L’unico elemento negativo, derivante da una sottovalutazione dei
vincoli normativi cui sono sottoposti i corner salute, è l’assenza nel loro assortimento di farmaci
non a carico del servizio sanitario nazionale a loro abitualmente prescritti dal medico di famiglia.
Un aspetto particolare emerso dall’indagine di Martinelli è quello riguardante l’effetto
positivo di rafforzamento dell’immagine d’insegna esercitato dai corner salute ed in modo
particolare dai prodotti di marca commerciale che essi offrono.
Per quanto riguarda la programmazione degli acquisti la stragrande maggioranza (91%) dei
clienti dei corner dichiara di effettuarvi “acquisti programmati” quanto a tipologie di farmaci o dei
parafarmaci richiesti, solo il 9% “acquisti d’impulso”.
Le frequenze di acquisto nei corner sono molto varie, comunque abbastanza diradate nel
tempo. Solo il 7,9% dei clienti dichiara di recarsi nei corner una volta o più volte alla settimana, il
20,3% mediamente ogni 15 giorni, il 33,5% ogni mese, il 38,2% molto raramente (meno di una
volta al mese).
Per quanto riguarda infine il risparmio generato per i consumatori dai corner salute COOP,
secondo i risultati dei monitoraggi svolti dalla stessa COOP, i consumatori hanno risparmiato nel
2010 11 milioni di Euro rispetto al prezzo praticato dalle farmacie su un paniere di referenze
omogeneo quanto a principi attivi. In particolare i due farmaci a marchio COOP (acido
acetilsalicilico+ ascorbico e paracetamolo), nel corso del 2010 hanno garantito al consumatore un
risparmio di oltre 400.000 Euro (mediamente -54%) rispetto all’acquisto di prodotti generici nelle
farmacie e di circa 720.000 Euro (mediamente -67%) rispetto all’acquisto di farmaci di marca nelle
farmacie. A questi risparmi devono poi essere aggiunti quelli che indirettamente i corner salute
hanno generato inducendo alla riduzione, seppur limitata, del prezzo medio degli OTC/SOP presso
le farmacie tradizionali.
96
6. LE
NORMATIVE
VIGENTI
E
LA LORO
RECENTE
EVOLUZIONE
6.1 La “pianta organica” delle farmacie
Le situazioni e le dinamiche riguardanti la distribuzione dei farmaci nel nostro Paese,
illustrate sinteticamente nei capitoli precedenti, trovano, nel complesso sistema normativo che
orienta e vincola quest’area di attività, un insieme di fattori esplicativi di primaria importanza, i
principali dei quali saranno oggetto di analisi e valutazione in questo e nel prossimo capitolo.
L’articolazione dell’analisi considererà i singoli fattori, la loro “ratio”, la loro recente
evoluzione, le posizioni manifestate su ciascuno di essi dalle parti in causa, le specificità
riscontrabili in Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei ed eventuali significative segnalazioni
ed interventi dell’AGCM italiana e dell’organo Antitrust della Commissione UE, per passare infine
ad individuare le connessioni tra i fattori esaminati ed i loro effetti (positivi e negativi) dal punto di
vista degli interessi collettivi.
Il primo fattore, che spiega, in larga misura, la sostanziale invarianza nel tempo dei punti di
vendita di farmaci convenzionati con il SSN, è la cosiddetta “pianta organica”.
In base alla L. 362/1991 che ricalcava tuttavia pregressi ordinamenti analoghi, il numero
massimo delle farmacie in Italia è contingentato sulla base dei parametri già richiamati nel cap. 4,
ossia: una farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con più di 12.500 residenti ed ogni 4.000 abitanti
negli altri comuni.
Ai fini della maggiore copertura territoriale possibile si ammette inoltre che i comuni più
estesi possano applicare i contingenti anche con riferimento a subaree territoriali e che
l’insediamento di nuove farmacie, anche a seguito di trasferimenti nella medesima subarea
territoriale di farmacie dismesse, debba rispettare una distanza minima di 200 metri da altre
farmacie già insediate.
97
Come già si è visto nel cap. 4, a livello nazionale i contingenti risultano da tempo
completamente coperti e le piccole, fisiologiche, disponibilità che via via si formano, sono
sottoposte a peculiari, alquanto restrittive, procedure d’accesso.
La “ratio” della distribuzione territoriale il più capillare possibile dei contingenti è opinabile,
poiché una parte delle farmacie non eroga solo servizi di vicinato, specie nell’ambito delle aree
metropolitane in cui le gerarchie e le gravitazioni delle unità di servizio con sede fissa non
dipendono dalle delimitazioni amministrative del territorio. Probabilmente, però, il legislatore,
all’inizio degli anni ’90, era portato a generalizzare il carattere di servizio di vicinato delle farmacie,
anche allo scopo di evitarne addensamenti nelle vie commerciali principali delle città a più alta
densità demografica e rarefazioni o carenze nelle periferie, nonché nei comuni minori e,
specialmente, per confermare sul piano normativo una distribuzione territoriale preesistente nella
prassi.
Come si vedrà in seguito, specie a seguito dei processi di abbandono da parte di alte quote
della popolazione un tempo residente in vaste aree collinari e montane di carattere agricolo, il
problema di garantire anche in tali aree standard minimi di distribuzione dei farmaci è tuttora
presente, dal momento che il 12% dei comuni italiani è attualmente privo di farmacie ed il 68%
dispone di una sola farmacia. In effetti, però – come già si è documentato – quasi tutti i comuni
privi di farmacie hanno dimensioni demografiche minime (molti con meno di 1.000 abitanti), con
comuni adiacenti dotati di farmacie. Ciò non esclude tuttavia che vi siano aree territoriali
“disagiate” per quanto riguarda i servizi farmaceutici.
Il mantenimento dei vecchi contingenti può forse evitare ulteriori rarefazioni del servizio di
distribuzione dei farmaci nelle aree “disagiate”, ma non può risolvere tale problema.
La “ratio” sottostante al “numero chiuso” delle farmacie in quanto tale non solo non viene
esplicitata nella normativa, ma si presta a varie interpretazioni, alcune delle quali sono fatte proprie
da Federfarma, ovviamente favorevole al suo mantenimento, altre sono sostenute nelle ormai più
che decennali segnalazioni dell’AGCM, ovviamente nettamente contrarie.
Tra le prime emerge anzitutto un’interpretazione di tipo – se così si può dire – sociologico:
quella di conferire alle farmacie, servizi di carattere professionale finalizzati alla tutela della salute,
un prestigio derivante anche dalla stabilità e dalla continuità dei loro insediamenti sul territorio, che
potrebbero essere non poco compromesse con la libera “entrata” di “outsiders”.
Anche l’esigenza economico-aziendale di conservare livelli medi di redditività accettabili,
specie in una fase in cui tendono a ridursi in valore assoluto i margini definiti dall’AIFA per
remunerare il servizio di distribuzione territoriale dei farmaci, è richiamata con insistenza come
“ratio” del contingentamento. Federfarma sostiene che il contingentamento, da questo punto di
98
vista, è uno strumento che, in ultima analisi, a parità di servizio reso ai cittadini, consente di ridurre
i costi a carico del SSN in quanto, se aumentasse il numero delle farmacie e si riducesse, di
conseguenza, il loro fatturato medio, per remunerare i servizi resi sarebbero necessari maggiori
margini riconosciuti dal SSN.
Analoga è l’argomentazione (fatta anch’essa propria in alcune occasioni da Federfarma),
secondo la quale – come dimostrerebbero alcuni confronti internazionali sui quali torneremo in
seguito, il rapporto tra abitanti e farmacie risultante dal contingentamento, è inferiore a quello
riscontrabile in altri grandi Paesi dell’UE che non ricorrono al “numero chiuso”. Il
contingentamento, sostanzialmente, secondo quest’interpretazione, avrebbe quindi determinato un
livello fisiologico di presenza sul territorio del servizio di distribuzione al dettaglio dei farmaci che,
in Italia, è effettivamente assai prossimo al livello medio europeo.
Alle interpretazioni positive della “ratio” del contingentamento testé richiamate si
affiancano interpretazioni di segno opposto, secondo le quali la “ratio” del contingentamento
consisterebbe nell’innalzare una barriera istituzionale all’entrata per proteggere chi già opera sul
mercato. Questa “ratio”, come è ovvio, e come sottolinea a più riprese l’AGCM, contrasta
nettamente con il libero dispiegarsi dei meccanismi competitivi, oltre ad instaurare, a parità di
condizioni professionali, una discriminazione tra gli “insiders” ed i potenziali “outsiders” (su questo
secondo punto, che non investe solo la normativa sul “numero chiuso” torneremo tuttavia oltre).
Ci sembra comunque opportuno richiamare subito un aspetto che contrappone nettamente
l’interpretazione testé indicata alla supposta “ratio” economica positiva del contingentamento
(ridurre i costi complessivi del servizio di distribuzione territoriale dei farmaci).
Se ci si colloca in una prospettiva dinamica, anziché esclusivamente statica – sostiene infatti
l’AGCM – l’abbattimento delle barriere istituzionali all’entrata facilita l’instaurarsi di condizioni di
concorrenza di carattere schumpeteriano (ossia basata sulla “distruzione creatrice”), da cui derivano
migliori condizioni di offerta (in termini di servizi resi o di contenimento dei costi), con l’uscita dal
mercato o l’emarginazione degli operatori meno efficienti. Ben diversa è quindi, secondo questa
interpretazione, la conservazione di un numero “fisiologico” di operatori attraverso un ricambio tra
operatori più efficienti ed operatori meno efficienti, rispetto alla conservazione statica dello “status
quo” favorita da una normativa protezionistica.
L’evoluzione della normativa sul contingentamento ha registrato un’unica, seppure parziale,
eccezione nel 2006, con il cosiddetto “Bersani 1” (L. 248/2006), che – come già più volte ricordato
– ha consentito alle parafarmacie ed ai corner della GDO di vendere i farmaci SOP e OTC senza
alcun contingentamento di tali punti di vendita e senza alcun vincolo insediativo-territoriale,
99
togliendo l’esclusiva di vendita alle farmacie per queste classi di farmaci, peraltro – come già si è
visto – generatrici di una modesta quota di ricavi.
Le indicazioni dell’AGCM tendenti ad eliminare la “pianta organica” delle farmacie,
trasformando il contingentamento in una semplice indicazione di fabbisogno minimo (anziché di
numero massimo consentito) nei vari ambiti territoriali “disagiati” privi di farmacie private con
l’inserimento di farmacie pubbliche o con altre forme di presidio definite dagli enti pubblici, non
hanno avuto finora alcun seguito. Su aspetti marginali, rispetto al contingentamento, quali gli
obblighi di chiusura a turno delle farmacie nei fine settimana, di cui era stata chiesta la
trasformazione in semplice facoltà, la Corte Costituzionale, chiamata in causa, ha emesso la
sorprendente sentenza n. 27/2003, in cui si afferma che “visto che il contingentamento numerico
mira ad una migliore realizzazione del servizio pubblico, i vincoli agli orari possono essere
considerati come un completamento dello stesso contingentamento, condividendone la finalità”.
Anche la Corte di Giustizia europea, chiamata ad accertare se esistono punti di contrasto tra
le legislazioni nazionali (specie della Spagna e dell’Italia) che vincolano in modo particolarmente
drastico la libertà di iniziativa e la concorrenza nel campo della distribuzione dei farmaci e quanto
previsto nei trattati UE, si limita a richiamare che sia la salute pubblica, sia la libertà di intrapresa
sono finalità espressamente indicate nei trattati comunitari, ma che è compito delle legislazioni
nazionali armonizzarle con strumenti sulla cui idoneità non spetta alla Corte di Giustizia europea
esprimere valutazioni. Ancor più netta è una recente sentenza (del 2010) della Corte europea, nella
quale si afferma che la salute delle persone occupa una posizione preminente tra i beni protetti dal
trattato UE, ma che il livello di tutela di questo bene pubblico ed il grado di limitazione della
concorrenza che si ritiene necessario per meglio tutelarlo sono di competenze esclusiva degli Stati
membri.
In effetti, per quanto attiene alla “pianta organica” delle farmacie o a normative similari, le
situazioni degli Stati dell’UE sono tra loro difformi: molto simili a quella italiana sono la
legislazione vigente in Spagna (escluse alcune deroghe concesse alle province autonome), Grecia,
Portogallo, Austria (basata però su vincoli, molto stringenti, di pianificazione territoriale) e Francia,
mentre negli altri Paesi maggiori (Gran Bretagna, Germania, Olanda, Irlanda), pur essendovi rigide
regole sui requisiti professionali che devono essere presenti per commercializzare le varie classi di
farmaci e, in Germania, anche vincoli numerici, peraltro abbastanza “elastici”, non esistono norme
di contingentamento a priori, assimilabili a quelle italiane.
Per quanto riguarda più specificamente la distribuzione al dettaglio di farmaci SOP e OTC
(o ad essi assimilati), come già si è visto, gli unici Paesi europei che hanno conservato condizioni di
esclusiva per le farmacie sono la Francia, la Spagna e la Grecia.
100
Come si vedrà meglio nel successivo paragrafo, tuttavia, le differenze fondamentali
riscontrabili tra i vari Paesi europei non riguardano solo il contingentamento, ma la connessione o
meno tra la gestione e la proprietà di ogni punto di vendita, nonché il divieto o meno alla
formazione di catene o reti di imprese in questo campo, aspetti sui quali la posizione dell’Italia può
essere probabilmente considerata come la più vincolistica a livello europeo, per quanto riguarda la
distribuzione dei farmaci soggetti a prescrizione medica, insieme a quelle della Spagna e della
Francia.
Concludendo l’esame della normativa italiana in tema di “pianta organica”, è opportuno
accennare anche ad alcune proposte emerse recentemente a livello parlamentare e tuttora oggetto di
valutazione da parte dei “tavoli” ministeriali ed interministeriali per la riforma delle normative
riguardanti la filiera dei farmaci.
Un disegno di legge d’iniziativa governativa (D.D.L. 863/2009), poi arenatosi, prevedeva
espressamente non solo il mantenimento della “pianta organica” delle farmacie ma anche il divieto
di vendita di tutti i farmaci OTC-SOP nelle parafarmacie e nei corner della GDO, a fronte della
eliminazione dell’obbligo in questi esercizi di operare con la presenza di farmacisti abilitati ed
iscritti agli albi professionali. Il D.D.L. Gasparri-Tomassini (PDL) che, su questi aspetti, è stato il
punto di riferimento iniziale del “tavolo” di lavoro interministeriale attualmente all’opera, ne ricalca
sostanzialmente l’impostazione, pur consentendo alle parafarmacie di continuare a vendere un
insieme molto ridotto di farmaci SOP e OTC, legalizzando tuttavia la loro vendita on line, come
previsto da una sentenza della Corte europea, peraltro finora non applicata, per la mancanza di
adeguate garanzie sulla correttezza delle transazioni su Internet.
Il D.D.L. Fleres (PDL) si limita a prevedere il blocco immediato, in attesa della riforma,
dell’apertura di nuove parafarmacie e indica come punto di arrivo una “pianta organica” anche per
queste ultime (una parafarmacia ogni 20.000 abitanti salvo deroghe nelle aree più densamente
abitate dei centri urbani).
Il D.D.L. Ghedini et alii (PD) si muove nella direzione opposta, prevedendo un’ulteriore
liberalizzazione (cosiddetto “Bersani 2”), il cui aspetto saliente è costituito dall’eliminazione
dell’esclusiva di vendita dei farmaci di classe C nelle farmacie e dall’estensione alle parafarmacie
ed ai corner della GDO della possibilità di vendere tutti i farmaci a carico degli utilizzatori finali,
compresi quelli con obbligo di prescrizione medica. Inoltre nel D.D.L. sopra richiamato si prevede
la facoltà delle farmacie di stabilire orari di apertura superiori a quelli oggi obbligatoriamente
prescritti (specie per le turnazioni dei riposi di fine settimana). Sul piano dei riferimenti generali, la
presentazione del D.D.L. Ghedini et alii, riporta espressamente il giudizio espresso dall’allora
Presidente uscente dell’AGCM secondo il quale “in Parlamento va scoraggiato lo stillicidio di
101
iniziative volte a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori. Nella
distribuzione farmaceutica, l’approvazione di riforme che riportino indietro le lancette dell’orologio
ripristinerebbe di fatto il monopolio delle farmacie tradizionali”.
In effetti, però, tenendo anche conto delle procedure di infrazione contro alcuni Paesi UE,
tra cui l’Italia, avviate dall’organo Antitrust della Commissione europea (sulle quali torneremo in
seguito perché si riferiscono principalmente ad altri aspetti della normativa), dall’interpretazione di
alcune “aperture” che emergono da prese di posizione della stessa Federfarma, è sembrato, fino ad
alcuni mesi or sono, che nel tavolo di lavoro interministeriale avrebbero potuto configurarsi
soluzioni di compromesso, quale, ad esempio, un parziale allargamento della “pianta organica”
delle farmacie (una farmacia ogni 4.000 residenti anche nei comuni con più di 12.500 abitanti), con
un’eventuale priorità di accesso alle nuove disponibilità ai farmacisti iscritti all’albo professionale
attualmente gestori e proprietari di parafarmacie che, se necessario, intendono trasferirsi nei comuni
della stessa provincia o nelle sub aree comunali in cui si determina la possibilità dei nuovi accessi.
Con la manovra dell’agosto 2011, tuttavia, è emersa, paradossalmente, una posizione meno
possibilista, connessa con la presentazione di un provvedimento che esclude comunque, anche
nell’ipotesi di liberalizzazione di alcuni vincoli concessi agli ordini professionali, qualsiasi
modificazione per i farmacisti convenzionati con il SSN, con il solito argomento secondo il quale
ciò danneggerebbe il sistema italiano di tutela della salute umana.
Un aspetto sul quale Federfarma è, però, stata sempre assolutamente contraria a qualsiasi
soluzione di compromesso riguarda la conservazione dell’esclusiva di vendita alle farmacie dei
farmaci di classe C. A chi osserva che, tali farmaci, comunque soggetti a prescrizione medica,
anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO sarebbero venduti da farmacisti (abilitati ed iscritti
all’albo), ossia da professionisti con le stesse conoscenze e capacità dei farmacisti titolari di punti di
vendita convenzionati con il SSN, Federfarma replica che, non a caso, le convenzioni con il SSN
sono riferite alle farmacie, intese come luoghi fisici di distribuzione al dettaglio nei quali i
farmacisti non solo sono dotati di conoscenze e capacità certificate, ma sono anche in grado di
conoscere i loro clienti abituali e di consigliarli allo scopo di evitare abusi dannosi alla loro salute.
Tali abusi potrebbero facilmente manifestarsi, con l’inconsapevole avvallo degli stessi prescrittori,
qualora i clienti interagissero con farmacisti non di vicinato. In sostanza: la logica che di norma
dovrebbe connettere il cliente di vicinato, il proscrittore di vicinato ed il farmacista di vicinato,
viene assunta come quella che maggiormente garantirebbe la difesa della salute. Abbiamo già
evidenziato e documentato nel cap. 4 la debolezza intrinseca di questa argomentazione ed il suo
evidente carattere strumentale.
102
6.2 La sovrapposizione tra diritto di proprietà e diritto di esercizio ed i
vincoli alla creazione di reti di farmacie
Un altro aspetto che caratterizza la normativa italiana sulla distribuzione al dettaglio dei
farmaci di classe A e di classe C riguarda la sovrapposizione (bundling) tra proprietà ed esercizio
delle farmacie private. Per quelle pubbliche (comunali) non opera, ovviamente, questo vincolo, ma
la disciplina vigente, nel caso di una loro, almeno parziale, privatizzazione, non ne ammette il
conferimento a società miste.
Il bundling tra proprietà ed esercizio limita gli investimenti nel settore provenienti
dall’esterno, ossia provenienti da società di persone o di capitali, anche sotto forma di
partecipazioni, che non facciano capo a farmacisti.
Più precisamente: la proprietà delle farmacie private può fare capo solo a farmacisti abilitati
o a società di persone o società cooperative a responsabilità limitata composte da soli farmacisti
abilitati. Fino al 2006 ogni farmacista, o ognuna delle società tra farmacisti sopra indicate, poteva
avere la proprietà di una sola farmacia. Con la l. 248/2006 (“Bersani 1”) è stata resa possibile la
proprietà di più farmacie per le società tra farmacisti, ma con due stringenti vincoli: anzitutto al
massimo di quattro farmacie; in secondo luogo tutte ubicate nella stessa provincia. Alcuni
commentatori (tra cui gli autorevoli studiosi del CERM) hanno osservato che questa variazione
della normativa, permanendo la “pianta organica” ed il bundling tra proprietà ed esercizio
professionale può determinare, a livello locale, la formazione di posizioni di maggiore potere di
mercato, ma non può introdurre relazioni competitive all’interno del settore delle farmacie basate
sullo sviluppo di organizzazioni a base succursalistica o a base associativa, presenti invece – come
si è visto nel cap. 4 – in altri Paesi.
Inoltre, anche nell’ipotesi di un allargamento della “pianta organica”, il bundling ed il
divieto di investimenti da parte di società di capitale renderebbero possibile l’accesso al settore solo
da parte di farmacisti abilitati ed iscritti all’albo, dotati di adeguato capitale proprio o di prestito.
Infine, come accade in tutti i mercati protetti da quasi insormontabili barriere istituzionali, il valore
di una farmacia in caso di cessione sarebbe commisurato solo al valore del suo specifico
“avviamento”, mentre, nell’attuale situazione normativa italiana (ma – come si vedrà tra breve – ciò
accade anche in altri grandi Paesi europei) esso è molto maggiore, perché al valore dello specifico
avviamento si aggiunge quello derivante dalla sostanziale impossibilità per l’acquirente di disporre
di alternative.
103
A ben vedere, però, nel caso italiano, l’ipotesi di cessione a terzi, estranei al nucleo
familiare, è tutto sommato, solo parzialmente realistica, in quanto le farmacie, nel limite del
possibile, vengono in genere tramandate all’interno delle famiglie.
Su questo aspetto la vecchia normativa, antecedente al “Bersani 1” del 2006, prevedeva che,
se gli eredi erano privi dei requisiti professionali necessari per rilevare la titolarità, dovevano cedere
la farmacia ereditata entro tre anni, affidandone, temporaneamente, l’esercizio ad un direttore alle
loro dipendenze dotato dei requisiti richiesti. Il “Bersani 1” si è limitato a ridurre il termine a due
anni, ma, non ha cancellato un’eccezione contenuta nella vecchia normativa, secondo la quale il
coniuge o l’erede in linea retta entro il secondo grado, se di età giovanile, possono mantenere la
titolarità, anche se privi dei requisiti professionali, fino al compimento del trentesimo anno di età e,
nel caso in cui risultino iscritti a una facoltà di Farmacia o si iscrivano entro un anno
dall’acquisizione dell’eredità, possono conservare la titolarità, anche se privi dei requisiti
professionali, per dieci anni, indipendentemente dalla loro età, sempre (ovviamente) affidando
temporaneamente l’esercizio a un direttore dotato dei requisiti professionali. Questa eccezione –
come ha rilevato la Commissione europea – introduce una fattispecie particolare di separazione per
lunghi archi temporali del bundling tra proprietà ed esercizio professionale alquanto discriminatoria
rispetto alla stessa regola generale del bundling vigente in Italia, tendente a favorire la trasmissione
ereditaria.
La “ratio”del bundling tra proprietà ed esercizio e del connesso divieto all’inserimento nel
settore di partecipazioni alla proprietà con capitali di rischio provenienti dall’esterno andrebbe
ricercata, secondo Federfarma, nella difesa del carattere professionale dell’attività svolta. Questa
presunta “ratio”, assai poco convincente, è stata fatta propria nelle argomentazioni con le quali, a
più riprese, gli organi governativi hanno contrastato le segnalazioni dell’AGCM, cui si accennerà
tra breve.
In stretta sintesi, la “ratio” di questi aspetti della normativa sarebbe – come già si è
accennato - la natura stessa di attività professionale rilevante per la tutela della salute che
caratterizza la distribuzione al dettaglio dei farmaci (specie di classe A e di classe C), nonché la
distribuzione per conto delle ASL di una parte dei farmaci rientranti nel prontuario della continuità
assistenziale ospedale-territorio. La separazione (anche parziale) tra proprietà ed esercizio e, ancor
peggio, lo sviluppo di catene di farmacie di proprietà di società di capitale contrasterebbero con
questa “ratio” in quanto potrebbero influire negativamente, imponendo ai farmacisti non proprietari
logiche di esercizio di carattere prettamente commerciale.
La posizione dell’AGCM è da sempre orientata all’eliminazione dell’obbligo del bundling
tra proprietà ed esercizio e dei vincoli riguardanti i soggetti che possono partecipare alla proprietà,
104
ferma restando la presenza fisica e la responsabilità del professionista abilitato nella distribuzione al
dettaglio di tutti i farmaci. Tale posizione che, qualora fosse accolta, modificherebbe
profondamente la normativa vigente, specie se accompagnata dal superamento della “pianta
organica” (cfr. paragrafo precedente) viene, ovviamente, motivata osservando che l’attuale assetto
(per la distribuzione dei farmaci di classe A e C) contrasta, oltre che con i principi di apertura del
mercato nella misura maggiore possibile e di non discriminazione tra i soggetti quanto a diritti di
proprietà, anche con il principio di libera circolazione dei capitali.
L’organo preposto alla tutela della concorrenza in seno alla Commissione europea è più
volte intervenuto in merito ai vincoli richiamati in questo paragrafo, anche con l’avvio di vere e
proprie procedure di infrazione nei confronti di alcuni stati membri dell’UE, tra cui l’Italia. In
particolare per l’Italia, nel 2006 (a seguito dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale sulla
coerenza del bundling con i principi costituzionali di tutela della sanità pubblica) la Commissione
UE ha sollevato il problema del contrasto della disciplina con i principi di libertà di stabilimento e
di libera circolazione dei capitali nel mercato unico europeo, ritenendo insoddisfacente la risposta
avuta dal governo italiano e considerando le misure vigenti in tema di bundling e di divieto alla
partecipazione alla proprietà con capitali esterni al settore non rilevanti ai fini della tutela della
salute pubblica, la stessa Commissione europea si è riservata di adire alla Corte di giustizia.
Procedure analoghe, seppure per motivi in parte differenti, sono state avviate contro l’Austria e
contro la Spagna. In particolare all’Austria è stato contestato il solo divieto di presenza di società di
capitali nella proprietà delle farmacie e quello (analogo a quanto previsto in Italia), che limita la
multiproprietà, oltre all’esclusione di cittadini di altri Paesi UE dai concorsi per acquisire la
titolarità di farmacie (in Italia questo problema non si pone, ma, senza un’estensione della “pianta
organica” sia per i farmacisti abilitati ed iscritti agli albi italiani, sia per quelli di altri Paesi UE con
titoli equipollenti la possibilità di entrata non a seguito di cessione o a titolo ereditario sono quasi
nulle). La Corte di giustizia europea ha tuttavia ribadito le sue posizioni precedenti arrestando la
procedura di infrazione.
Il vincolo del bundling e il divieto alla formazione di catene non sussistono in tutti i Paesi
europei, Italia compresa, nei quali si ammette la distribuzione di farmaci SOP e OTC o similari
anche al di fuori del canale specialistico delle farmacie (come già si è visto ciò non è ammesso solo
in Francia, Spagna e Grecia).
In particolare in Gran Bretagna – come già si è visto – per i cosiddetti farmaci “general
sales” (GSL), si ha un’apertura completa del mercato, pur con il vincolo di avvalersi di personale
qualificato (druggists) con una distribuzione delle quote di mercato tra tre canali: le catene di
farmacie (BOOT) con il 29%, le farmacie indipendenti (con il 43%) e le catene della GDO (in
105
particolare Tesco) con il 28%. Anche in Svizzera, Norvegia, Olanda e Danimarca i cosiddetti
“drugstore”, molti dei quali appartenenti a catene della GDO, detengono in questo campo quote di
mercato consistenti.
Va infine osservato che nei Paesi europei in cui sono maggiormente diffuse le catene di
farmacie, il numero di abitanti per unità di vendita specializzata è decisamente più elevato rispetto
all’Italia (ciò vale, in particolare, per la Gran Bretagna e l’Olanda). Mentre nei Paesi, come la
Francia, che hanno conservato l’esclusiva di vendita anche di SOP e OTC alle farmacie,
disincentivando la formazione di catene, il numero di abitanti per farmacia è molto inferiore a
quello riscontrabile in Italia.
6.3 I criteri di amministrazione dei prezzi e dei margini
Un terzo aspetto di carattere normativo-istituzionale che influisce sulla struttura di tutta la
filiera del farmaco e sui comportamenti degli attori (produttori, distributori intermedi, distributori al
dettaglio, utilizzatori finali), oltre che, almeno in parte, sui comportamenti dei prescrittori e su quelli
delle ASL, è il sistema di amministrazione dei prezzi, che regola in larga misura il settore, nonché le
sue frequenti variazioni.
Relativamente a questo aspetto, a differenza di quanto ancora accade negli Stati Uniti,
nell’UE la necessità di ricorrere, seppure con criteri diversi nei vari Paesi, a prezzi in larga misura
amministrati è da sempre condivisa dagli Stati nazionali, per una serie di motivi convergenti.
Anzitutto perché, dal punto di vista etico, è opinione quasi unanimemente condivisa in
Europa che il grado di tutela della salute, anche per quanto riguarda le scelte dei farmaci, non può
essere commisurato, caso per caso, ad una valutazione individuale tra benefici marginali e costi
marginali per l’utilizzatore, espressi dai prezzi ed anche dalle disponibilità finanziarie di ciascuno.
Anche indipendentemente da qualsiasi valutazione etica, le condizioni di asimmetria informativa tra
gli attori della filiera, solo parzialmente ridotte dal ruolo e dalle conoscenze dei prescrittori,
spingerebbero gli attori operanti dal lato dell’offerta a determinare, a loro vantaggio, prezzi non
coincidenti con quelli di equilibrio, specie se la struttura del mercato, in alcuni suoi snodi rilevanti –
come accade nel campo dei farmaci – presenta caratteri assai diversi da quelli necessari affinché
operino confronti competitivi basati sulla qualità e sul prezzo.
Al di là dei motivi testè richiamati, il riconosciuto carattere di beni meritevoli di essere
pagati dalla collettività (sistemi sanitari pubblici, mutue, assicurazioni, ecc.) anziché dai singoli
utilizzatori riconosciuto ad una parte rilevante dei farmaci, non solo rende improponibile sul piano
106
teorico l’adozione di una normale logica di mercato nella formazione dei prezzi, ma introduce un
elemento esplicativo ulteriore delle normative nazionali in questo campo: l’esigenza, da parte dei
soggetti pubblici coinvolti, di prevedere, programmare e, specialmente, contenere il più possibile,
tra le altre spese sanitarie a loro carico, anche quella destinata ai farmaci, senza provocare tuttavia
effetti negativi tali da paralizzare il sistema di offerta.
Per i motivi di fondo testè richiamati, l’ultimo dei quali, in Italia, è oggi molto rilevante,
l’amministrazione ed il controllo pubblico dei prezzi e dei margini per una parte cospicua dei
farmaci lungo tutta la loro filiera in Europa non sono considerate eccezionali, ma normali.
Il problema da considerare non riguarda quindi tanto la maggiore o minore efficacia, di
sistemi di pricing liberamente scelti in base alla convenienza economica percepita dai vari attori
della filiera (prezzi di mercato) rispetto ad un sistema di prezzi amministrati dalle autorità pubbliche
a ciò preposte, ma l’idoneità dei criteri e dei parametri su cui si basano i sistemi nazionali di prezzi
amministrati (vari e variabili nel tempo) nell’orientare o meno i comportamenti degli attori della
filiera in modo conforme con gli interessi collettivi che tali sistemi intendono perseguire.
Relativamente a questo fondamentale aspetto, i criteri su cui si è finora basata in Italia
l’amministrazione dei prezzi dei farmaci sono tali da facilitare comportamenti collusivi tra gli attori
della filiera (produttori, distributori all’ingrosso, farmacisti ed anche, almeno in parte, prescrittori) a
danno sia del SSN sia degli utilizzatori finali, mentre quelli che ispirano l’amministrazione dei
prezzi in altri Paesi dell’UE sono maggiormente orientati sia a salvaguardare gli interessi collettivi
sia ad introdurre una certa dialettica tra i comportamenti degli attori coinvolti.
Per cogliere questa differenza di fondo, va anzitutto premesso che, in linea di principio, il
costo delle attività di distribuzione commerciale si riferisce a fattori diversi da quello delle attività
produttive di carattere industriale. Ciò vale anche per la produzione e la distribuzione dei farmaci.
I produttori di farmaci sostengono infatti costi che, in larga misura, possono essere riferiti
alle specifiche referenze merceologiche che essi immettono sul mercato: i costi di R&S, pregressi
ed aleatori, recuperabili sui prodotti innovativi negli anni in cui sono protetti da brevetto e nella
misura in cui la loro efficacia terapeutica è superiore a quella di altri prodotti innovativi posti sul
mercato; i costi delle componenti dei principi attivi impiegati per ciascuna referenza merceologica
(assimilabili ai costi delle materie prime); i costi dei processi produttivi in senso stretto, in molti
casi riferibili a linee produttive monoprodotto; i costi di confezionamento, diversi a seconda delle
confezioni.
I distributori di farmaci, invece, salvo rare e marginali eccezioni (farmaci di formato
anomalo che richiedono condizionamenti particolari) sostengono un insieme di costi, riguardanti
l’ammortamento o l’affitto del punto di vendita e dei suoi locali accessori, la gestione del
107
magazzino e, specialmente, la remunerazione del personale professionale e dei suoi assistenti nella
vendita di prodotti (farmaci, ma anche parafarmaci ed extrafarmaci), congiunti a struttura
prevalentemente fissa, ad esclusione, ovviamente, di quelli, a struttura variabile, riguardanti
l’approvvigionamento dei prodotti.
Dal punto di vista economico, data la diversa struttura e la diversa composizione dei costi
testè richiamate, il metodo più corretto, in presenza di prezzi amministrati, per remunerare l’attività
dei distributori, è quello che riconosce loro una remunerazione fissa per ogni confezione venduta,
indipendentemente dal valore riconosciuto al produttore, che – come si è visto – può variare al
variare delle referenze merceologiche perché variano i costi sottostanti.
Come è stato osservato da F. Pammolli e N. Salerno (2008), per i farmaci a carico del SSN
questo criterio ha diverse proprietà positive:
•
“la remunerazione è distinta dal prezzo ex factory e mantiene costantemente attivi gli
incentivi a commercializzare i prodotti equivalenti più economici;
•
la remunerazione è indipendente anche dalla dimensione della confezione e non
produce distorsioni a favore dei packaging più grandi;
•
in percentuale del prezzo ex factory, il forfait è regressivo senza punti di
discontinuità che non sarebbero giustificabili sulla base di variazioni dei costi di
esercizio;
•
la regressività è più accentuata nelle fasce basse di prezzo ex factory e via via
decrescente, con ciò rafforzando le proprietà precedenti.
Per converso, uno schema di remunerazione proporzionale al prezzo ex factory è distorsivo,
perché collega il ricavo della farmacia al costo industriale di produzione, ovvero a una variabile
economica estranea all’attività di distribuzione. Esso fa confusione tra valori aggiunti (del
produttore e del farmacista) e:
•
crea incentivi inopportuni alla commercializzazione dei prodotti più costosi (per
unità standard e per packaging);
•
è causa dell’attivazione di flussi di ridistribuzione delle risorse (tra fase della
produzione e fase della distribuzione; tra filiera del farmaco e sistema sanitario
pubblico; tra filiera del farmaco e pazienti-consumatori).”
Nella normativa italiana, tuttora ancora vigente, il criterio con il quale viene determinata la
remunerazione dei distributori per i farmaci a carico del SSN (ma – come si vedrà nel prossimo
capitolo – un criterio analogo viene di fatto adottato dalle parti anche per i farmaci soggetti a
prescrizione medica a carico degli utilizzatori) è quello della remunerazione proporzionale al valore
ex factory.
108
Più precisamente, l’AIFA determina, con le modalità già illustrate nel cap. 3, il valore di
ogni referenza merceologica di cui è autorizzata l’immissione sul mercato nella classe A,
considerando questo valore (al netto di IVA) come corrispondente ai 2/3 del prezzo al consumo. Le
remunerazioni del produttore, del distributore all’ingrosso e del distributore al dettaglio (farmacia)
sono quindi determinate come percentuali uniformi dello stesso prezzo al consumo.
Fino al 2009 le quote di spettanza delle parti erano stabilite nel 66,65% per il produttore, nel
6,65% per il grossista e nel 26,70% per la farmacia. Quest’ultima tuttavia era tenuta in sede di
rimborso da parte del SSN a praticare nei confronti di quest’ultimo sconti variabili dal 3,75% per i
farmaci con prezzo (al lordo di IVA) inferiore al 25,82 Euro fino al 19,00% per i farmaci con
prezzo superiore al 154,94 Euro29. In effetti, però, il 90% circa dei farmaci a carico del SSN
rientrava nella prima classe con una remunerazione netta per la farmacia del 22,95%, mentre nelle
ultime due classi la quasi totalità dei farmaci (i più costosi) non era distribuita dalle farmacie, ma
usata e/o dispensata direttamente dalle ASL.
A partire dal 2009 (legge 77/2009) viene ridotta al 58,65% la quota di spettanza del
produttore per i farmaci copia di altri farmaci a brevetto scaduto liberando 8 punti percentuali che,
in teoria, possono essere liberamente distribuiti tra grossisti e farmacia. In pratica questi 8 punti
erano già in genere acquisiti dalla farmacia sotto forma di sconti accordati dal produttore (non
consentiti, ma tollerati, in quanto non oggetto di specifiche sanzioni). Inoltre, nell’intento di
incentivare la vendita di farmaci equivalenti “off patent” non branded, lo sconto al SSN da parte
della farmacia viene annullato per i generici con prezzo minore a quello di rimborso degli
equivalenti branded. Quest’ultima misura viene di fatto resa quasi inoperante attraverso la
concessione da parte dei produttori e dei grossisti di extra sconti sui prezzi di approvvigionamento
delle farmacie per gli equivalenti branded.
Nel 2010 (legge 122/2010) viene apportata un’ulteriore modificazione: anzitutto le quote di
spettanza del grossista e della farmacia vengono definite quote minime, consentendo contrattazioni
tra le parti (peraltro già presenti nei fatti). In secondo luogo viene ridotta al 3% la quota minima di
spettanza del grossista (anche in questo caso sancendo una condizione già presente nei fatti a
seguito degli extra sconti generalizzati) e aumentata di 3,65 punti percentuali quella di spettanza
della farmacia che, peraltro, deve retrocedere al SSN 1,82 punti percentuali (l’aumento quindi per la
farmacia è di 1,83 punti percentuali). Per far sì che il risparmio di spesa per il SSN corrisponda alla
quota sottratta al grossista, viene imposto ai produttori di retrocedere al SSN nazionale 1,83 punti
della quota di loro spettanza.
29
Gli sconti erano articolati in 5 scaglioni: fino a 25,82 Euro 3,75%, da 25,83 Euro a 51, 64 Euro 6,0%, da 51,65 Euro a
103,28 Euro 9,00%, da 103,29 Euro a 154,93 Euro 12,50%, 154,90 Euro ed oltre 19,00%.
109
Come si vedrà nel successivo capitolo, questa complicata evoluzione della normativa
italiana non supera il principio ispiratore della proporzionalità delle remunerazioni dei distributori ai
prezzi ex fabrica per i farmaci di classe A, continuando ad incentivare la distribuzione dei prodotti
più costosi nell’ambito del primo scaglione (quello di gran lunga più rilevante per i ricavi delle
farmacie). I suoi effetti si ripercuotono anche negativamente – come si vedrà in seguito – sul pricing
dei farmaci di classe C, non sottoposto ad amministrazione e vincolato solo dalle normative
antitrust30.
Ben diverse – come già si è accennato – sono invece le normative di altri Paesi dell’UE,
compresi quelli – come la Francia – in cui vige un rigido contingentamento delle farmacie, è assente
la liberalizzazione delle vendite di SOP e OTC, è prescritto il bundling tra proprietà ed esercizio ed
è vietata la formazione di società di capitali nella distribuzione dei farmaci.
Limitando il nostro esame comparato alle normative vigenti in Gran Bretagna, Francia e
Germania va anzitutto osservato che quelle inglesi, alquanto complesse e supportate da attività di
monitoraggio svolte continuativamente da tecnostrutture neutrali dotate di capacità elevate di analisi
e di eccezionali poteri di controllo, è la normativa che maggiormente separa i criteri di
remunerazione dei produttori, da quelli dei distributori, introducendo forti stimoli competitivi
all’interno dell’intera filiera dei farmaci, favoriti da una struttura in cui non vi è alcun
contingentamento delle farmacie, la vendita di SOP e OTC è liberalizzata, non vi è alcun vincolo di
bundling tra proprietà ed esercizio ed è ammessa la presenza di società di capitali proprietarie di
catene di farmacie.
In Gran Bretagna i criteri su cui si basa l’amministrazione dei prezzi dei farmaci a totale o
parziale carico del National Health System (NHS), equivalente al nostro SSN, possono essere così
sintetizzati: alle farmacie il NHS rimborsa i costi di approvvigionamento dei farmaci venduti,
dedotti i ticket incassati, cui aggiunge, per remunerare il servizio svolto, una quota fissa per ogni
confezione venduta, indipendentemente dal suo prezzo ed un contributo annuale, anch’esso fisso,
per il capitale umano (professional allowance) e per il capitale fisico (container allowance)
impiegato. Gli sconti medi ponderati ottenuti nell’approvvigionamento di farmaci a totale o parziale
carico del NHS, continuamente monitorati su un campione rappresentativo dell’universo delle
farmacie, vengono dedotti forfettariamente dai ricavi (meccanismo di clawback). Essendo il
30
Ci sembra utile ricordare che già nel 1998 l’AGCM aveva suggerito al Parlamento di escludere da tali normative i
farmaci SOP e OTC, dopo avere però tolto alle farmacie l’esclusiva di vendita. Il suggerimento era allora supportato dai
risultati, molto positivi quanto a riduzione dei costi per gli utilizzatori finali, dell’eliminazione, avvenuta nel 1997,
dell’esclusiva di vendita del latte artificiale per i neonati, un prodotto non farmaceutico di cui precedentemente
disponevano le farmacie. La proposta non ebbe allora seguito dato il carattere farmacologico dei SOP e degli OTC. Nel
campo dei farmaci a carico del SSN, risale all’ormai lontano 1994 la revisione della lista dei farmaci di classe A (e,
allora, anche di quelli di classe B), da cui vennero depennati alcuni prodotti collocandoli nella classe C (a totale carico
degli utilizzatori). Dopo una riarticolazione degli organi di cui si avvaleva il Ministero della Sanità, a seguito
dell’emergere, nelle inchieste su “Tangentopoli”, di gravi collusioni dei vertici di tali organi con alcuni produttori.
110
clawback basato su valori medi, esso incentiva le farmacie a contenere il più possibile i costi,
stimolando la concorrenza tra grossisti ed anche tra produttori di farmaci branded e generici, e ad
operare con alti livelli di efficienza interna per realizzare con minori costi gli stessi livelli di ricavi.
Il carattere pro-competitivo dei criteri di amministrazione dei prezzi e l’assenza di
contingentamenti ed altre barriere all’entrata hanno attivato in Gran Bretagna un alto grado di
concentrazione delle farmacie, con un’elevata incidenza di quelle facenti parte di catene. Hanno
inoltre determinato l’uscita dal mercato degli esercizi meno efficienti e non insediati in
localizzazioni con adeguati livelli di accessibilità ed attrattività. Per converso si è rarefatta la
presenza delle farmacie nelle aree a bassa densità della popolazione. Per ovviare a questo effetto
negativo, il NHS accorda contributi di professional e container allowance più elevati alla farmacie
che si insediano in zone disagiate, consentendo, in queste zone, fortemente carenti di farmacie, la
distribuzione dei farmaci necessari per la cura di patologie di una certa gravità da parte dei medici
(in effetti la quota dei farmaci a carico del NHS distribuita da parte dei medici è abbastanza elevata:
6,5% in valore). Infine, in tutto il Paese, vengono accordati maggiori contributi di professional
allowance alle farmacie che organizzano servizi di supporto territoriale a quelli erogati nelle
strutture ospedaliere.
In Francia, Paese che, al contrario della Gran Bretagna e più che in Italia, si contraddistingue
per i criteri fortemente vincolistici con cui è regolata la distribuzione dei farmaci e che presenta una
diffusione molto capillare delle farmacie sul territorio (una farmacia ogni 2.600 abitanti),
l’amministrazione dei prezzi dei farmaci a carico del SSN o delle assicurazioni è basata su un
criterio misto: una remunerazione fissa alle farmacie per ogni confezione venduta, integrata con una
percentuale, decrescente per scaglioni, del suo prezzo ex factory. Per i prodotti equivalenti più
economici la percentuale del prezzo ex factory viene determinata avendo come prezzo ex factory di
riferimento quello dei rispettivi originators, con un evidente incentivo per le farmacie a spingere la
diffusione dei generici. Inoltre le farmacie possono richiedere ai produttori ed ai grossisti sconti sui
prezzi di approvvigionamento: il massimale degli sconti ottenibili è però stabilito per legge ed è
differenziato: più alto per i farmaci equivalenti e inferiore per quelli on patent.
In Germania, Paese in cui, nonostante l’assenza di un rigido contingentamento delle
farmacie e, come in Italia, nonostante la liberalizzazione della vendita dei farmaci SOP ed OTC, è
obbligatorio per le farmacie il bundling tra proprietà ed esercizio ed è fortemente limitata la
formazione di catene di farmacie, la regolazione delle remunerazioni delle farmacie per tutti i
farmaci soggetti a prescrizione medica, a carico totale o parziale del sistema assicurativo
obbligatorio (vds. oltre), è imperniata sulla corresponsione alle farmacie di un elevato forfait fisso
su ogni confezione, cui si aggiunge una quota molto ridotta del prezzo pagato al grossista. Su tutti i
111
farmaci etici è previsto uno sconto, anch’esso a forfait, alle assicurazioni all’atto del rimborso.
L’elevato forfait fisso su ogni confezione garantisce, nonostante gli altri elementi, che hanno un
peso marginale, un’alta convenienza delle farmacie a sostenere la diffusione dei farmaci equivalenti
e ad attivare la concorrenza tra produttori e tra grossisti.
6.4 Gli effetti delle diverse normative nazionali
Le differenze tra le normative nazionali che regolano sia la struttura dell’offerta sia il pricing
nel campo della distribuzione dei farmaci dovrebbero trovare riscontri empirici (positivi o negativi
dal punto di vista degli interessi collettivi in gioco) nei livelli di prezzi, costantemente monitorati da
parte dell’UE. Ciò, invece, non avviene, in quanto i monitoraggi comunitari o si riferiscono a
specifici aspetti, quali i prezzi ex fabrica dei più diffusi farmaci on patent e dei farmaci equivalenti
per unità di principi attivi in essi contenuti, oppure si riferiscono all’entità delle spese sanitarie
aggregate nei singoli Paesi dell’Unione.
Bisogna risalire all’ormai lontano 2003 per disporre di un’indagine puntuale e
metodologicamente affidabile delle remunerazioni comparate delle farmacie per la distribuzione al
dettaglio dei principi attivi contenuti nei farmaci più diffusi, ponderate per le quantità degli stessi
principi attivi distribuiti31. Da tale indagine emergeva, per l’Italia (in unità standard di potere di
acquisto dell’Euro) una remunerazione unitaria di oltre il 30% superiore alla media europea, mentre
la remunerazione unitaria era inferiore di oltre il 40% rispetto alla media europea in Gran Bretagna,
inferiore del 30% in Francia ed inferiore del 5% circa in Germania. Ciò conferma le ipotesi di
lavoro esposte nel precedente paragrafo sugli effetti discorsivi a vantaggio delle farmacie del
pricing proporzionale presente solo in Italia tra i Paesi oggetto di comparazione, che si sommano a
quelli degli eccessivi vincoli di carattere strutturale (nel 2003 le farmacie in Italia erano distributori
esclusivi di tutti i farmaci non utilizzati o dispensati direttamente dalle ASL).
Questa comparazione, tuttavia, costituisce un punto di riferimento ormai obsoleto. Infatti la
– seppure tardiva e limitata - diffusione anche in Italia dei farmaci equivalenti ed in modo
particolare di quelli unbranded, la seppure parziale, liberalizzazione della distribuzione dei farmaci
SOP e OTC e, specialmente, le recenti e reiterate misure di riduzione degli oneri gravanti sul SSN
per i farmaci di classe A, hanno senza dubbio ridotto le rendite delle farmacie italiane. Su questi
aspetti si tornerà però diffusamente nel prossimo capitolo.
31
Cfr. F. Pammolli, N. Salerno (2008)
112
Anche per quanto riguarda specificamente la distribuzione tra costo dei farmaci a carico
della collettività e quello a carico degli utilizzatori, le normative vigenti nei principali Paesi dell’UE
sono differenti da quelle italiane. In particolare sia in Gran Bretagna, sia in Germania continuano ad
essere formulate le liste negative dei farmaci comunque non a carico della collettività
(corrispondenti, grosso modo, a quelli classificati in Italia nella classe C), ma anche su quelli a
carico del NHS in Gran Bretagna e del sistema assicurativo misto in Germania vengono richieste
agli utilizzatori partecipazioni (sotto forma di quote fisse per confezione da cui sono esentate
particolari categorie di utilizzatori (in Germania: giovani, famiglie disagiate, malati cronici; in Gran
Bretagna: utilizzatori a basso reddito, giovani)). Si tratta di compartecipazioni ed esenzioni non
assimilabili ai ticket italiani.
In Francia, in base a diversi parametri di riferimento riguardanti il carattere preventivo,
curativo, sintomatico dei farmaci nel loro contesto terapeutico, vigono tre categorie di ticket: zero,
35% del prezzo, 65% del prezzo e non viene operata, come in Italia, una netta distinzione per i
farmaci soggetti a prescrizione medica tra classe A e classe C. Le esenzioni totali sono poco
incidenti e sono riferite ai portatori di specifiche patologie. In tutti i Paesi considerati (come in
Italia) vengono pagati dagli utilizzatori, per i farmaci a carico del SSN, le differenze di prezzo tra i
farmaci on patent, più costosi, ed i farmaci equivalenti di riferimento. Anche le aliquote IVA sui
prezzi dei farmaci sono differenti: in Italia sono pari al 10% sia per quelli soggetti a rimborso da
parte del SSN sia quelli a carico degli utilizzatori; in Gran Bretagna tutti i farmaci a carico del NHS
sono esenti da IVA; in Francia le aliquote IVA sono molto ridotte (2%) per i farmaci con
compartecipazione zero o 35% da parte degli utilizzatori; in Germania, invece, l’aliquota IVA è
molto elevata (15%) su tutti i farmaci.
Un altro aspetto degno di nota riguardante l’intera filiera del farmaco, monitorata con
metodologie di analisi complesse ma sufficientemente valide dal punto di vista delle comparazioni
internazionali (la cui attendibilità è comunque limitata dal fatto che in ogni Paese vengono
commercializzati diversi “panieri” di farmaci appartenenti alle varie categorie o classi) si riferisce ai
differenziali di prezzo (al netto di IVA) tra farmaci branded e farmaci generici.
Relativamente a questo aspetto – come già si è accennato nel cap. 3 – va anzitutto tenuto
presente che i differenziali riscontrati nei vari Paesi dell’UE sono molto inferiori a quelli che
caratterizzano il mercato statunitense, nel quale la determinazione dei prezzi ex factory è decisa
esclusivamente dai produttori, sottoposti esclusivamente ad eventuali interventi antitrust. Anche nel
Paese europeo in cui si osservano i maggiori differenziali (la Germania) mentre i prezzi (per unità
standard di principio attivo contenuto nei farmaci branded) sono inferiori di circa il 40% a quelli
113
statunitensi, quelli dei farmaci unbranded sono superiori (sempre rispetto agli Stati Uniti) di circa il
35%.
Ciò premesso, nel contesto europeo, l’Italia si presenta (rispetto alla Gran Bretagna, alla
Francia ed alla Germania) come il Paese nel quale i prodotti branded ed in modo particolare quelli
on patent hanno livelli di prezzo comparativamente più contenuti ed assorbono quote di mercato più
alte e durature, mentre i prodotti unbranded presentano differenziali di prezzo meno accentuati.
Anche queste rilevazioni risalgono tuttavia ad alcuni anni or sono (2006) e ad una situazione che,
dal punto di vista del prezzo amministrato dei prodotti branded innovativi nei primi anni successivi
al loro lancio non incentivava le imprese produttrici a sostenere elevati investimenti nella R&S,
difficilmente recuperabili in tempi relativamente brevi, mentre la ancora modesta diffusione dei
prodotti unbranded rendeva possibile il mantenimento sul mercato e la vendita a prezzi
relativamente elevati dei prodotti branded off patent.
Il mercato italiano presentava cioè – come è stato osservato (Pammolli, Salerno, 2008) – una
segmentazione per livelli di prezzo inferiore a quella degli altri grandi Paesi europei. Anche questa
particolarità si è probabilmente, almeno in parte, attenuata, negli anni più recenti, con l’accentuarsi
della concorrenza tra produttori di farmaci unbranded ed anche di farmaci branded con brevetti
scaduti e con la crescente diffusione di questi prodotti. Anche su questi aspetti si tornerà più
analiticamente nel prossimo capitolo.
114
7. L’EVOLUZIONE PIU’ RECENTE DELLE NORMATIVE
ITALIANE ED IL DIBATTITO IN CORSO SUL LORO
ULTERIORE CAMBIAMENTO
7.1 La “vexata quaestio” degli extrasconti
Si è già evidenziato, nel capitolo precedente, che il combinato disposto della normativa che
ha riconosciuto la prassi dei cosiddetti “extrasconti”, ossia della riduzione contrattata dei margini di
spettanza dei produttori e dei grossisti a favore delle farmacie su una parte dei farmaci di classe A
(L. 77/2009) e di quella che ha aumentato gli sconti obbligatori al SSN da parte dei farmacisti ed
anche dei produttori in sede di rimborso per rispettare i tetti di spesa sanitaria posti anche sulla
distribuzione territoriale dei farmaci, rendendo, al tempo stesso, possibili determinazioni contrattate
tra le parti (farmacie da un lato e produttori dall’altro) dei rispettivi margini purché non inferiori ai
nuovi margini considerati minimi (aumentati formalmente per le farmacie e diminuiti formalmente
per i grossisti) (L. 122/2010), pur non modificando i criteri di pricing amministrato con prezzi
proporzionali ai prezzi al consumo che caratterizzano il sistema italiano per i farmaci a carico del
SSN, ha introdotto tra i diversi soggetti operanti nella filiera un dibattito non privo di spunti
dialettici, accentuatosi recentemente con riferimento alle modalità attraverso le quali l’AIFA sta
recuperando nel 2011 ulteriori 600 milioni di Euro nell’ambito delle misure poliennali di riduzione
delle varie componenti della spesa sanitaria pubblica32.
Sull’annoso problema dei cosiddetti “extrasconti” va anzitutto ribadito che le misure prese
nel 2009 non hanno modificato in modo sostanziale la prassi preesistente. La riduzione palese al
58,65% della quota del prezzo al consumo spettante al produttore per i soli farmaci di classe A
copia di prodotti a brevetto scaduto, esclusi quelli che avevano già usufruito di licenze derivanti dal
brevetto, con il passaggio alle farmacie (come già di fatto avveniva) di otto punti percentuali
aggiuntivi, si accompagna in concreto, seppure in modo non palese e non generalizzato, ad un
32
Sulle misure prese dal 2009 al 2011 e sulle loro tempistiche applicative si rinvia all’illustrazione dettagliata riportata
in allegato.
115
analogo extra-sconto anche sui prodotti off patent branded e su una larga parte dei prodotti on
patent, che, nel 2009, rappresentavano in Italia, nel loro insieme, il 92,7% della spesa territoriale
netta a carico del SSN (72% prodotti on patent e 20,7% equivalenti branded in teoria esclusi
dall’extrasconto dei produttori). Prova ne sia che l’esenzione in sede di rimborso degli sconti al
SSN da parte delle farmacie per i generici con un prezzo pari o inferiore all’effettivo valore di
rimborso degli equivalenti branded, non ha determinato subito un sostanziale incremento delle
vendite dei primi rispetto a quelle dei secondi, com’era invece già avvenuto negli altri maggiori
Paesi europei. In effetti, nonostante le norme già in vigore sull’obbligo, da parte delle farmacie, di
disporre nei loro assortimenti di generici al minimo costo e di comunicarlo agli utilizzatori33,
nell’intervallo di prezzo in cui si concentrano le vendite da parte delle farmacie dei farmaci di classe
A tra i 15 ed i 20 Euro per confezione (IVA esclusa), grazie anche agli extrasconti non palesi
ottenuti dai produttori e grossisti, restava alla farmacia la convenienza a commercializzare il
prodotto off patent più costoso, pur rinunciando all’esenzione dello sconto da accordare al SSN in
sede di rimborso sul generico meno costoso.
Se si considera che le risorse disponibili per praticare le politiche di extrasconto, sono – in
ultima analisi – a carico del SSN, si comprende la ben scarsa efficacia delle norme introdotte nel
2009.
Tuttavia, nel campo dei prodotti equivalenti di classe A, il differenziale di prezzo tra
l’equivalente meno costoso e quello più costoso, se scelto dall’utilizzatore, finisce col gravare sullo
stesso utilizzatore e, da questo punto di vista, il SSN (non certo la collettività) può ugualmente
trarne una riduzione dell’esborso a proprio carico, trasferendo però il differenziale di prezzo
sull’utilizzatore. Per molte patologie diffuse, la cura può però essere effettuata con farmaci che
presentano anche lievi differenze tra i principi attivi in essi contenuti, i quali, se on patent, sono
completamente a carico del SSN. Le interazioni tra prescrittori (spesso in buona fede), informatori
33
Con riferimento a questo aspetto è stato osservato (Pammolli, Salerno, 2008) che “la Legge n. 149/2005 ha stabilito
per i farmacisti un obbligo di informazione della eventuale presenza in commercio di medicinali off patent equivalenti;
dopo aver informato il cliente-paziente, “qualora sulla ricetta non risulti apposto l’obbligo della non sostituibilità, il
farmacista, su richiesta dello stesso cliente-paziente, è tenuto a fornire un medicinale avente il prezzo più basso tra gli
equivalenti”. La stesa Legge ha specificato la seguente definizione di equivalenza: “uguale composizione in principi
attivi, via di somministrazione, forma farmaceutica, modalità di rilascio e dosi unitarie”. Rispetto al reference pricing di
fascia “A”, scompare la richiesta di egual numero di unità posologiche, e così si rende possibile identificare i farmaci
più economici in termini di prezzo per unità standard (o più in generale per unità di prodotto), lasciando poi liberi i
clienti-pazienti di valutare la scelta migliore conoscendo il prezzo unitario dei diversi packaging disponibili e le loro
esigenze di terapeutiche. In fascia “A” il riferimento risponde alla logica di ammettere a rimborso il prodotto con prezzo
minimo tra tutti quelli equivalenti non solo sul piano farmacologico ma anche sul piano dei costi di produzione
(variabili e fissi). Sul piano teorico le liste di trasparenza svolgerebbero una funzione importante nell’ottimizzazione dei
consumi, se non fosse che esse si scontrano con problemi analoghi a quelli riguardanti il reference pricing, già previsto
dalla legge 405 del 2001: (a) oltre alla difficoltà di controllare il comportamento dei farmacisti che, se conforme alla
legge, sarebbe in contrasto con i loro incentivi a massimizzare il controvalore delle vendite, il vero ostacolo risiede nel
fatto che (b), se nessuna farmacia si dota in magazzino dei prodotti più economici, l’eventuale informazione ricevuta dal
paziente-cliente è improduttiva di effetti, perché anche cambiando farmacia la probabilità di trovarli subito disponibili
rimane bassa o addirittura nulla.”
116
scientifici delle case produttrici e lobbies dei farmacisti in questi casi sono particolarmente efficaci
nel porre a totale carico del SSN gli acquisti di prodotti collocati nella fascia superiore del primo
scaglione di prezzo (tra i 15 ed i 20 Euro IVA esclusa), decisamente la più remunerativa per la
farmacia.
Relativamente ai farmaci di classe C (a totale carico dell’utilizzatore), pur non essendovi
vincoli normativi nella determinazione dei prezzi e nella distribuzione dei margini tra i vari attori
della filiera, purchè ogni prodotto abbia un prezzo uniforme su scala nazionale e purché, per i
generici, tale prezzo sia inferiore di almeno il 20% rispetto agli omologhi prodotti branded off
patent, tendono a prevalere politiche di extrasconto, da parte dei produttori analoghe a quelle che si
osservano per i farmaci di classe A, anzi, in alcuni comparti, nei quali gli effettivi costi di
produzione di farmaci a brevetto scaduto sono molto bassi, tali politiche sono particolarmente
intense. Tuttavia il fatto che l’utilizzatore finale deve pagare integralmente di tasca propria i farmaci
che gli vengono prescritti, spinge una parte dei prescrittori ad indicare prodotti equivalenti poco
costosi rispetto a quelli branded e, in alcuni comparti, la diffusione dei generici identificati dalla
semplice indicazione del principio attivo in essi contenuto, ha soppiantato quella dei prodotti
branded originatori. Secondo una valutazione riferita al 2010, in termini di volumi prescritti (non di
valore) in questa classe di farmaci, i generici avrebbero superato il 50%.
7.2 I nuovi prezzi di riferimento
Le variazioni delle normative che suscitano un dibattito molto animato tra i vari attori della
filiera del farmaco sono però quelle, ancora più recenti (2010 e 2011) dettate sostanzialmente dalla
necessità di attuare le decisioni in tema di manovra di bilancio, tendenti a contenere la spesa del
SSN ed, in questo ambito, anche quella, connessa con la distribuzione territoriale dei farmaci di
classe A.
Si è già visto che, sulla base delle direttive formulate già nel 2009 dalla Commissione
Bilancio della Camera, viene attuata nel 2010 la revisione del margine dei grossisti, formalmente
più che dimezzato (ridotto dal 6,65% fisso di spettanza al 3%, peraltro inteso come margine minimo
di spettanza), ma, in effetti, già collocato su questo livello nella prassi attraverso gli extrasconti,
riduzione che viene integralmente riversata al SSN, riducendo il margine minimo formalmente di
spettanza dei produttori (di 1,825 punti percentuali) e recuperando gli altri 1,825 punti percentuali
sul maggiore margine minimo assegnato alle farmacie (che si incrementa quindi non – come
previsto – di 3,65 punti percentuali ma solo di 1,825), attraverso una maggiorazione degli sconti
117
obbligatori che le farmacie devono concedere al SSN in sede di rimborsi. In concreto, queste
variazioni, spingono sia i produttori, sia i grossisti, a ridurre l’entità degli extrasconti alle farmacie
che, al di là di quanto stanno ad indicare formalmente le nuove ripartizioni dei margini minimi, si
trovano a subire una, seppure lieve, decurtazione dei loro ricavi effettivi. Inoltre, nel caso di
sforamento del tetto di spesa programmato (pari al 13,3% della spesa sanitaria complessiva a carico
del SSN dal 201034, le parti (produttori, grossisti, farmacie) sono tenute, in proporzione alle loro
quote (riferite ai margini minimi formali) a retrocedere la differenza tra spesa programmata ed
effettiva al SSN, operazione che, in effetti, nel 2010 non avviene.
Un’altra misura maturata nel 2010, ma che trova applicazione nel 2011, riguarda il ritorno al
riferimento ai prezzi medi europei (abbandonato nel 2004) quale elemento che influenza la
determinazione contrattuale dei prezzi ex fabrica dei farmaci di classe A con brevetto scaduto e dei
loro equivalenti, compresi i generici, riferita a quasi tutti i principi attivi in essi contenuti. Se si tiene
conto del fatto che negli ultimi anni ed anche in una prospettiva a breve-medio termine sono scaduti
e scadranno i brevetti di molti farmaci a largo impiego, che anche in Italia la tendenza a prescrivere
farmaci con brevetto scaduto è conseguentemente in netto aumento (secondo l’AIFA il mercato
potenziale dei farmaci a brevetto scaduto sarebbe pari, in valore, al 42% del mercato dei farmaci
soggetti a prescrizione medica) e che le principali case farmaceutiche internazionali hanno
potenziato la loro presenza in questa fascia del mercato con prezzi ex fabrica contenuti nei
principali Paesi europei (Gran Bretagna e Germania in particolare), si può prevedere che la
reintroduzione del riferimento ai prezzi medi europei, spingerà – come già accaduto nei primi mesi
di applicazione di questa normativa – a riduzioni dei prezzi ex fabrica e, a catena, nel caso italiano,
anche dei margini di spettanza dei distributori, nonché a più ampie differenze di prezzo tra generici
ed equivalenti branded off patent, che potranno scoraggiare gli utilizzatori a scegliere i secondi,
pagando di tasca propria tali differenze.
Pur non potendo ancora disporre di affidabili previsioni sui consuntivi dell’anno in corso,
non è azzardato ipotizzare che l’obiettivo di ulteriore riduzione per 600 milioni di Euro delle spese a
carico del SSN per i rimborsi di farmaci di classe A distribuiti nelle farmacie possa essere raggiunto
grazie alla diffusione dei farmaci a brevetto scaduto ed al riferimento ai loro prezzi medi europei
nella determinazione dei loro prezzi ex fabrica.
Un ultimo elemento degno di nota per quanto riguarda i possibili cambiamenti delle
normative vigenti è l’inserimento nella legge 122/2010 di un articolo che annuncia la costituzione di
un “tavolo tecnico interministeriale” per la riforma delle regole di remunerazione della distribuzione
dei farmaci verso uno schema di tipo “fee for service”. Il “tavolo” è stato in effetti attivato e sta
34
Il “tetto” della spesa farmaceutica territoriale comprende, oltre alla spesa convenzionata (rimborsata dal SSN), anche i
ticket, la distribuzione diretta delle ASL per uso domestico e la distribuzione delle farmacie per conto delle ASL.
118
compiendo un esame del problema, con la partecipazione anche di rappresentanze delle varie
categorie coinvolte, compresa una rappresentanza dei consumatori. Sui problemi del “fee for
service” e sui connessi problemi della cosiddetta “farmacia dei servizi” (i cui decreti delegati,
previsti dalla legge 153/2009 sono ora al vaglio delle commissioni parlamentari e della conferenza
Stato-Regioni) torneremo più avanti.
Ci limitiamo, per ora, ad osservare che i provvedimenti del 2009 e del 2010, che hanno, in
gran parte, fatto emergere gli extrasconti effettivamente concessi da produttori e grossisti alle
farmacie, consentendo di disporre di una quantificazione più realistica dei margini effettivi delle
stesse farmacie sulle vendite dei farmaci soggetti a rimborso da parte del SSN, sono,
paradossalmente, funzionali anche a richiedere da parte di Federfarma – livelli di “fee for service”
che, pur eliminando o comunque riducendo gli effetti distorsivi degli attuali criteri di
determinazione dei margini di distribuzione in misura proporzionale ai singoli prezzi ex fabrica, non
determinino una sottoremunerazione, rispetto alla situazione attuale dell’attività complessivamente
svolta dalle farmacie nei confronti del SSN.
7.3 Le reazioni dei soggetti coinvolti
Esaminando più in dettaglio le reazioni dei soggetti coinvolti dai provvedimenti del 2010
(produttori, grossisti, farmacie) va anzitutto considerata la dura nota dell’ADF (Associazione
Distributori Farmaci), l’organizzazione più rappresentativa della categoria dei grossisti, secondo la
quale la Commissione Bilancio del Senato, approvando l’emendamento che formalmente “taglia” di
oltre il 50% il margine riconosciuto ai grossisti (dal 6,65% al 3% minimo) avrebbe ridotto in misura
tale la remunerazione della loro attività da imporre una revisione della convenzione che obbliga gli
stessi grossisti a rifornire le farmacie in archi temporali molto brevi.
È la stessa Federfarma a rispondere subito con una nota ufficiale, nella quale evidenzia che,
nei fatti, nulla è cambiato per quanto riguarda la remunerazione dei grossisti, che già riversavano
alle farmacie, sotto forma di extrasconti, quanto il provvedimento ora consente anche formalmente
di fare. Evidenziando a chiare lettere ciò che, precedentemente, si configurava come un
comportamento di dubbia legalità, Federfarma sottolinea che, in effetti, tale comportamento era
talmente noto e diffuso da essere considerato anche negli studi di settore. Lo stesso Ministro della
Salute invita formalmente la rappresentanza dei grossisti a sospendere ogni protesta, in quanto il
provvedimento non fa che formalizzare, per ciò che riguarda il loro margine di remunerazione
minimo, una situazione di fatto preesistente. Come se tutto ciò non bastasse, Federfarma diffonde
119
una nota ufficiale nella quale afferma testualmente: “se questo adeguamento della normativa allo
stato di fatto dovesse indurre la distribuzione intermedia a razionalizzare la sua attività, ben venga
questa razionalizzazione, che potrà solo migliorare la concorrenza tra grossisti e cooperative di
farmacie nell’approvvigionamento dei farmaci”.
Chiarita la sostanziale invarianza del margine dei grossisti, Federfarma, prima ancora che la
manovra venga approvata, si rifiuta in modo drastico di assecondare l’originario disegno del
Governo che prevedeva il trasferimento al SSN da parte dei farmacisti dell’intera quota (3,65 punti
percentuali) in forma di sconto addizionale a favore del SSN da praticare all’atto della richiesta di
rimborso. Ci sembra opportuno richiamare i minacciosi argomenti che vengono addotti da
Federfarma in questa fase del dibattito per ottenere – come poi avverrà con un emendamento
apportato dallo stesso Governo – il coinvolgimento anche dei produttori nel recupero delle risorse
da parte del SSN.
Dopo avere affermato che lo sconto al SSN di 3,65 punti addizionali determinerebbe per
tutte le farmacie convenzionate con il SSN la vendita con margini netti addirittura negativi (ossia in
perdita) dei farmaci di classe A e l’uscita dal mercato delle farmacie localizzate nelle zone disagiate
del Paese e quindi il venir meno di un servizio essenziale di utilità pubblica laddove maggiormente
se ne avverte l’esigenza, Federfarma dichiara apertamente (in una nota ufficiale del 22 giugno
2010):
A. Che i farmacisti dovranno tagliare le spese di gestione con una riduzione al minimo
del personale e con la formazione (sic) “di lunghe file di persone in attesa di poter
parlare con l’unico farmacista disponibile”;
B. Dovranno ridurre le scorte di farmaci “il cittadino (sic) dovrà accontentarsi di quello
che trova e dovrà tornare per ottenere il farmaco di cui ha bisogno”;
C. Dovranno sospendere l’erogazione gratuita di prestazioni quali le prenotazioni di
visite ed esami presso le strutture pubbliche e lo svolgimento di campagne di
prevenzione;
D. Non saranno in grado di compiere gli investimenti necessari per attivare i nuovi
servizi previsti dal Governo per potenziare l’assistenza sanitaria sul territorio e
contenere i costi sostenuti da ospedali ed ASL senza ridurre le prestazioni garantite
ai cittadini.
Nella nota si precisa che Federfarma non intende impugnare la convenzione con il SSN,
nonostante il susseguirsi negli anni di provvedimenti presi unilateralmente dalla parte pubblica che
hanno modificato profondamente le condizioni economiche garantite alla parte privata e ciò “per
evitare forme di protesta che ricadrebbero sui cittadini” (sic). Tuttavia – si aggiunge – è “molto
120
probabile che nel giro di qualche mese le farmacie saranno costrette a sospendere la dispensazione
dei farmaci in regime di SSN e i cittadini, in questo caso, dovranno pagare i farmaci di tasca propria
e chiedere direttamente il rimborso alla loro ASL”.
Il carattere alquanto minaccioso della presa di posizione di Federfarma è particolarmente
evidente ed è probabile che l’emendamento governativo, poi confluito nella legge 122/2010, sia
suggerito dall’esigenza di evitare un acuirsi della controversia. Va inoltre tenuto presente che nella
versione definitiva della legge vengono esentate dall’onere, seppure dimezzato, posto a carico delle
farmacie le 1.500 farmacie rurali, precedentemente identificate per altri provvedimenti di sostegno.
Lo spostamento a carico dei produttori del versamento al SSN di 1,825 punti percentuali sul
prezzo al consumo, pari a 3,14 punti percentuali sul prezzo di cessione ai distributori da loro
praticato in ipotesi di applicazione dei massimi sconti consentiti, provoca – come è del resto ovvio –
le vibrate proteste delle associazioni industriali, di categoria ed in modo particolare di
Farmindustria, l’associazione più importante facente capo a Confindustria, che giunge ad accusare il
Governo di “appropriazione indebita”. Al di là dei toni particolarmente “pesanti”, i produttori
chiedono al Governo due misure compensative: la prima, di carattere generale, riguardante tutte le
imprese, di qualsiasi settore, che effettuano investimenti in R&S: l’agevolazione fiscale, già
prevista, ma non ancora resa operativa, a fronte di tali investimenti; la seconda, di carattere
settoriale specifico: la rinuncia ad inserire nella “manovra” prevista per il 2011 per abbassare di
ulteriori 600 milioni di Euro il “tetto” delle spese a carico del SSN riguardanti la distribuzione
territoriale di farmaci, anche il ricorso a gare al massimo ribasso per la determinazione dei prezzi di
riferimento dei farmaci generici.
In effetti la manovra che – come già si è accennato – si basa su consistenti riduzioni dei
prezzi ex fabrica e, di conseguenza, dei prezzi al consumo a carico del SSN dei principali principi
attivi contenuti nei farmaci off patent, riduzioni basate anche su parametri riferiti ai prezzi medi
europei, non include anche le gare al massimo ribasso per i generici, com’era previsto nelle prime
bozze del regolamento attuativo.
Contro questa manovra, che influisce anzitutto direttamente ed in misura consistente sui
prezzi amministrati ex fabrica, i produttori reagiscono minacciando di procrastinare gli adeguamenti
fino alla scadenza formale dei termini previsti per l’esclusione dal mercato dei farmaci per i quali
l’industria non ha adeguato i propri prezzi a quelli di riferimento (cosa che solo alcuni di loro fanno
in concreto, determinando disagi agli utilizzatori finali, costretti temporaneamente a sostenere gli
oneri derivanti dal ritardato adeguamento, solo in alcuni casi coperti con appositi stanziamenti
regionali).
121
Ad adeguamento avvenuto, emergono comunque due aspetti, che riflettono gli effetti, nella
specifica situazione normativa italiana, della reintroduzione di riferimenti specifici ai prezzi
europei:
A. I maggiori differenziali tra i farmaci equivalenti di minore costo sui quali è “tarato”
il rimborso a carico del SSN ed i prodotti branded off patent, specie originators,
differenziali a carico degli utilizzatori finali che intendono scegliere questi ultimi;
B. Il trascinamento e l’amplificazione delle riduzioni dei prezzi ex fabrica sui prezzi al
consumo, ai quali continuano ad essere riferite le remunerazioni anche dei
distributori all’ingrosso e al dettaglio che, seppure immutate in termini percentuali, si
contraggono in valore assoluto.
In questa situazione Federfarma sottolinea, in una nota ufficiale che, in effetti, se si tiene
conto dei due successivi abbassamenti del “tetto” della spesa a carico del SSN per i farmaci
distribuiti sul territorio e delle diverse modalità di copertura utilizzate nel 2010 e nel 2011, solo
apparentemente i maggiori oneri sono stati sostenuti dai produttori, in quanto:
A. Il rimborso addizionale al SSN posto anche a loro carico nel 2010 è stato di fatto
recuperato dai produttori, nell’area di discrezionalità lasciata alla contrattazione tra le
parti dalla legge 77/09, ossia praticando sconti ai distributori inferiori agli sconti
massimi consentiti, ed operando quindi con margini percentuali superiori al margine
minimo del 58,65% e, così facendo, ponendo indirettamente a carico delle farmacie
l’intero onere della manovra. Osserviamo che questa ipotesi è possibile e legittima,
ma non sono state fornite prove circa un’inversione delle politiche di mercato nei
confronti dei distributori da parte dei produttori, per cui la sua generalizzazione
appare alquanto “forzata”;
B. Una parte cospicua degli oneri della manovra del 2011, a motivo dei meccanismi
percentuali di determinazione dei margini di tutti i soggetti della filiera dei farmaci a
carico del SSN, è stata di fatto sostenuta dalle farmacie con decurtazioni dei loro
ricavi in valore assoluto non giustificate da riduzioni dei costi sostenuti per i servizi
resi.
Federfarma paventa inoltre che l’eventuale trasferimento alla distribuzione territoriale di una
parte della distribuzione ospedaliera motivata dallo sforamento del “tetto” riguardante le spese per i
farmaci direttamente sostenute dalle ASL, determini uno “sforamento” del “tetto”, fissato per la
distribuzione territoriale, da ripianare da parte dei produttori e dei distributori secondo le quote di
rispettiva spettanza, il che creerebbe per tutti gli attori della filiera, ma specialmente per i farmacisti,
122
condizioni insostenibili, ossia considizioni strutturali di perdita sull’attività svolta per conto del
SSN.
Come emerge chiaramente dalla sequenza di reazioni fin qui richiamata, l’avvio delle
manovre di riduzione dei costi a carico del SSN riguardanti la distribuzione territoriale dei farmaci
non solo ha determinato una vera e propria “esplosione” della conflittualità tra le varie corporazioni
coinvolte (e, dal loro punto di vista eccessivamente penalizzate) nei confronti degli organi
governativi, ma anche una dialettica tra le corporazioni (dei produttori, dei distributori all’ingrosso,
dei farmacisti convenzionati con il SSN), precedentemente non osservabile nel settore e, comunque,
non oggetto di contrapposti documenti ufficiali.
Molto significativamente, però, questa dialettica, trasferita nei documenti ufficiali, non ha
avuto alcun seguito quando, molto recentemente (settembre 2011) la Commissione Bilancio del
Senato ha bocciato tre emendamenti sui processi di liberalizzazione tendenti a rendere possibile la
vendita di una parte dei farmaci di classe C nelle parafarmacie e nei corner della GDO. Mentre, in
questo caso, è del tutto comprensibile la posizione di sostegno alla bocciatura degli emendamenti da
parte di Federfarma, il silenzio delle rappresentanze dei produttori e dei distributori intermedi può
essere forse interpretato come un sostanziale assenso al mantenimento dello “status quo” che,
nonostante le divergenze di interessi tra le parti, consente a tutti gli attori della filiera di non doversi
misurare con gli effetti competitivi a largo raggio che deriverebbero dal venir meno dell’esclusiva
di vendita di cui fruiscono le farmacie nel campo di tutti i farmaci soggetti a prescrizione medica,
compresi quelli non a carico del SSN.
7.4 I cambiamenti normativi attualmente oggetto di valutazioni e di dibattiti
È in questa situazione da un lato di crescente conflittualità, dall’altro di sostanziale
cooperazione tra le rappresentanze dei produttori e dei farmacisti che, nel 2010 e nell’anno in corso,
maturano le proposte di revisione delle normative vigenti in tema di distribuzione dei farmaci,
tuttora oggetto di esame e di dibattito nelle varie sedi istituzionali (a livello ministeriale, a livello
interministeriale, a livello di commissioni parlamentari e di Conferenza Stato-Regioni). Alcune di
queste proposte investono anche i problemi strutturali di fondo del settore (pianta organica,
bundling proprietà-esercizio, processi di ulteriore liberalizzazione da un lato o di riduzione della
parziale liberalizzazione introdotta nel 2006) dall’altro, oltre a quello delle modalità di
remunerazione dell’attività svolta dai vari soggetti operanti nella filiera del farmaco a carico del
SSN, specie in una prospettiva, già programmata, di ulteriore contenimento del “tetto” di spesa.
123
Come già si è richiamato nel capitolo precedente, le commissioni parlamentari devono
valutare (e ciò sta avvenendo con continui rinvii) due opposti disegni di legge che investono i
problemi della liberalizzazione. Il primo (Tomassini-Gasparri) espressione della maggioranza e
principale punto di riferimento del dibattito non solo è contrario a qualsiasi processo di ulteriore
liberalizzazione, ma propone la revisione, in senso restrittivo, delle liste dei farmaci SOP e OTC, a
fronte dell’eliminazione dell’obbligo della presenza di farmacisti nella loro vendita nelle
parafarmacie e nei corner della GDO, con l’evidente intento di ridurre la già scarsa area di
operatività dei canali di distribuzione alternativa nel campo della distribuzione al dettaglio dei
farmaci in senso stretto.
Il secondo (Ghedini et alii), espressione dell’opposizione, propone all’opposto – come già si
è visto – di consentire alle parafarmacie ed ai corner della GDO anche la vendita dei farmaci di
classe C, soggetti a prescrizione medica (previe rigide misure da adottare in questi punti di vendita
per impedire comunque l’accesso al magazzino di persone diverse dai farmacisti abilitati). Ciò
coerentemente con l’esigenza, più volte sottolineata dall’AGCM, di introdurre nel campo della
distribuzione territoriale dei farmaci più efficaci condizioni di confronto competitivo con risparmi
di spesa per gli utilizzatori finali.
Un terzo disegno di legge (Fleres), anch’esso espressione della maggioranza, si limita a
proporre, in attesa della ridefinizione della disciplina in tema di distribuzione dei farmaci, il blocco
dell’apertura di nuove parafarmacie e – come già si è visto – accenna all’opportunità di creare anche
per le parafarmacie una sorta di “pianta organica”, analoga a quella delle farmacie.
Abbiamo richiamato questi disegni di legge, già commentati nel capitolo precedente, nel
quale si erano anche considerate le posizioni dell’AGCM e dell’organo antitrust della Commissione
europea sui principali aspetti strutturali della normativa italiana (“pianta organica” delle farmacie,
bundling proprietà-esercizio e divieto alla formazione di catene di farmacie), per meglio interpretare
il continuo accanimento con cui, in una serie di recenti note ufficiali, Federfarma accomuna il
problema dell’ulteriore liberalizzazione con quello del sostanziale venir meno della “pianta
organica”, sostenendo (com’è ovvio dal suo punto di vista), che un’evoluzione della normativa in
questa direzione danneggerebbe i cittadini senza apportare loro alcun vantaggio rispetto alla
situazione attuale.
Particolarmente icastica è in proposito l’affermazione della dott.ssa Racca (presidente di
Federfarma) nell’audizione della XII Commissione del Senato incaricata di iniziare la valutazione
dei disegni di legge sopra richiamati. Con riferimento al DDL Ghedini et alii il giudizio è
testualmente il seguente: “la distribuzione al di fuori della farmacia dei farmaci di classe C con
obbligo di ricetta medica rappresenterebbe di fatto lo smantellamento della più importante regola (la
124
pianta organica) che garantisce ai cittadini l’efficienza e la capillarità della rete delle farmacie, è
necessario quindi che le farmacie continuino ad operare nel contesto delle regole (pianta organica in
primis) che il legislatore ha stabilito per la tutela della salute pubblica… Federfarma è d’accordo ad
adeguare queste regole ma è contraria ad ogni provvedimento che, anche indirettamente, opererebbe
nella direzione di eliminarle. Per migliorare la capillarità del servizio si può ipotizzare un
adeguamento del quorum abitanti-farmacie, affiancato però dal rientro nella farmacia di molti
farmaci che oggi sono distribuiti nelle strutture pubbliche e dalla definizione di un nuovo sistema di
remunerazione che assicuri alla farmacia sostenibilità economica”.
In un’altra audizione la Dott.ssa Racca chiarisce meglio il suo pensiero, affermando
testualmente: “permettere ai corner dei supermercati ed alle parafarmacie di vendere anche i
farmaci con ricetta medica significherebbe stravolgere il sistema attuale e privare della farmacia gli
abitanti dei piccoli centri… oggi il titolare di una piccola farmacia fa mille sacrifici pur di maturare
un punteggio per poter successivamente vincere, a concorso, una sede migliore. Chi potrebbe
costringerlo a continuare a rimanere lì a garantire il servizio, sapendo che potrebbe aprire un
esercizio parafarmaceutico, ma di fatto equiparato ad una farmacia, in un grande centro urbano? In
quel caso gli abitanti dei piccoli centri ed in particolare gli anziani resterebbero privi del servizio
farmaceutico”.
7.5 I problemi riguardanti l’eventuale passaggio ad una remunerazione a
forfait per la distribuzione al dettaglio dei farmaci di classe A
Oltre ai problemi riguardanti l’ulteriore liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei
farmaci a totale carico dell’utilizzatore ed a quelli riguardanti l’eventuale adeguamento della “pianta
organica” delle farmacie, nell’anno in corso è proseguito l’esame di altri due rilevanti cambiamenti
normativi che, se attuati, potrebbero modificare non poco le relazioni tra le farmacie ed il SSN.
Il primo di tali cambiamenti, di cui veniva preannunciato l’esame nella l. 122/09 riguarda le
modalità di remunerazione del servizio svolto dalle farmacie nella distribuzione al dettaglio dei
farmaci di classe A (a carico del SSN). L’attuale remunerazione per ciascun farmaco erogato in
misura proporzionale al suo prezzo al consumo definito per via amministrativa, dovrebbe, secondo
gli indirizzi governativi, essere trasformata (in tutto o in parte) in una remunerazione a forfait per
ciascuna confezione erogata, indipendentemente dal suo valore, secondo il modello inglese del “fee
for service”, o secondo modelli misti come quello tedesco o quello francese, già richiamati nel
capitolo precedente.
125
L’esame di questo rilevante cambiamento normativo è affidato ad un “tavolo tecnico
interministeriale” coadiuvato da rappresentanti dei produttori e dei distributori di farmaci, nonché
da associazioni dei consumatori in rappresentanza degli utilizzatori finali. Il “tavolo tecnico”
dovrebbe suggerire al Ministero della Salute le linee in base alle quali procedere all’elaborazione di
un apposito DDL.
Si sono già indicati (cfr. capitolo precedente) i vantaggi che, in linea di principio, presenta la
remunerazione di tipo “fee for service” rispetto a quella di tipo proporzionale dal punto di vista
degli interessi collettivi in gioco ed anche come strumento che può attivare una costruttiva dialettica
tra i vari soggetti che compongono la filiera del farmaco.
Tuttavia, passando dalle valutazioni di principio alla quantificazione specifica dell’entità del
“fee” i problemi da considerare sono molteplici, specie nella situazione italiana caratterizzata da
condizioni strutturali che garantiscono a ciascuna farmacia di operare in condizioni di scarsa
(sostanzialmente nulla) concorrenza nella distribuzione al dettaglio di tutti i farmaci soggetti a
prescrizione medica.
Il primo problema riguarda il riferimento da assumere per il “fee”. Esso, in teoria, potrebbe
essere ciascun atto di vendita di farmaci di classe A, comprendente anche una pluralità di singoli
farmaci e di confezioni dello stesso farmaco: questo riferimento rispecchierebbe meglio il carattere
di costi prevalentemente fissi e di esercizio fissi sottostante al servizio di erogazione dei farmaci,
costi che possono essere distribuiti in modo standardizzato sul numero medio delle erogazioni.
Questo riferimento potrebbe però facilitare comportamenti dei prescrittori e dei farmacisti tendenti a
far lievitare il numero degli atti di erogazione con danni sia per gli utilizzatori (frazionamento degli
acquisti e maggiori tempi complessivi ad essi dedicati), sia per il SSN (maggiori esborsi per i
“fee”).
Il riferimento maggiormente seguito (seppure con alcune varianti) nei Paesi che già
applicano criteri di “fee for service” è quello di riferire il fee alle singole confezioni erogate
indipendentemente dalle loro dimensioni e dal valore dei principi attivi in esse contenuti, in modo
da evitare anche distorsioni a favore delle confezioni più grandi o con modalità posologiche più
sofisticate. Su questo riferimento si basano anche gli indirizzi iniziali del “tavolo tecnico
interministeriale”.
A questo punto sorgono però i problemi di fondo riguardanti la concreta determinazione del
“fee”. Esso, infatti, si riferisce alla remunerazione del servizio di distribuzione al dettaglio dei soli
farmaci a carico del SSN. L’attività delle farmacie – come già si è documentato – pur avendo, nella
maggioranza dei casi, come proprio core business l’erogazione di questi farmaci, comprende altre
attività commerciali, ciascuna delle quali, presenta proprie modalità di remunerazione. Alcune
126
(attività di commercializzazione al dettaglio dei farmaci di classe C) comunque proporzionali ai
prezzi al consumo di ogni farmaco, commercializzato con esclusiva di vendita e con margini che
possono variare in base al potere di mercato delle farmacie nei confronti dei produttori e dei
grossisti, altre (farmaci SOP e OTC, parafarmaci, extrafarmaci a connotazione salutistica),
sottoposte, in misura più o meno stringente, a confronti competitivi.
Relativamente ai costi le attività delle farmacie comportano il sostenimento di costi a
struttura prevalentemente fissa, se si escludono quelli di approvvigionamento, ed in gran parte
congiunti. Inoltre la localizzazione di ogni farmacia, il grado di diversificazione dei suoi
assortimenti, anche nei settori non farmaceutici in senso stretto e, ovviamente, le sue capacità
gestionali, determinano livelli di valore aggiunto diversi, con ampi campi di variazione.
Pur essendo evidente che l’ammontare del “fee” deve riferirsi ad una remunerazione media
dell’attività di erogazione dei farmaci a carico del SSN, anche allo scopo di incentivare l’efficienza
gestionale, con possibili remunerazioni addizionali per le farmacie localizzate in aree disagiate
(farmacie rurali e simili), come già avviene in altri Paesi, resta comunque il problema del diverso
peso che ha l’erogazione dei farmaci di classe A sul complesso delle attività delle farmacie, alcune
delle quali svolte in condizioni non sottoposte a pressioni competitive finchè le normative vigenti
conservano il diritto di esclusiva delle farmacie anche per le vendite, a carico degli utilizzatori, dei
farmaci di classe C, che – come già si è osservato – presentano costi di distribuzione al dettaglio
congiunti con quelli riguardanti l’erogazione dei farmaci di classe A.
Questo problema non può essere risolto solo con l’applicazione di schemi oggettivi di
ripartizione dei costi congiunti (più o meno opinabili) riferiti a situazioni medie. Si tratta infatti di
evitare che il passaggio a criteri di “fee for service” possa consentire alle farmacie di operare, senza
alcun vincolo competitivo (essendo esse esclusiviste anche nella distribuzione dei farmaci di classe
C), secondo logiche di “sussidio incrociato” a danno degli utilizzatori finali.
Si impone quindi un esame congiunto delle tematiche specifiche del “fee for service” con le
tematiche strutturali della “pianta organica” e della liberalizzazione.
Un ulteriore problema, di ardua soluzione, riguarda il rimborso alle farmacie da parte del
SSN dei costi da loro sostenuti per l’approvvigionamento dei farmaci di classe A. Come già si è
accennato nel precedente capitolo, nei Paesi in cui il “fee for service” è una procedura consolidata,
la soluzione di questo problema comporta la detrazione dai costi di approvvigionamento di una
quota corrispondente al valore degli sconti accordati dai fornitori (produttori e grossisti) di cui in
media usufruiscono le farmacie nei loro approvvigionamenti, incentivando di fatto le farmacie a
realizzare condizioni di approvvigionamento migliori rispetto alla media ed innescando così una
dialettica costruttiva tra farmacie, produttori e distributori intermedi di cui si avvantaggiano –
127
peraltro solo pro-tempore - (grazie al loro maggiore potere di mercato nei confronti dei fornitori) le
grandi catene di farmacie, che con i loro comportamenti, concorrono peraltro a determinare,
dinamicamente, un aumento del valore medio deducibile, e quindi una riduzione degli oneri a carico
del SSN, riguardanti il rimborso dei costi netti di approvvigionamento sostenuti nel loro insieme
dalle farmacie.
Procedure di questo tipo sono però difficilmente proponibili nel caso italiano sia per motivi
strutturali (“pianta organica”, divieto alla formazione di catene di farmacie a base succursalistica
con il superamento del bundling tra proprietà ed esercizio), sia perché comportano capacità di
monitoraggio e di controllo molto elevate. Le recenti normative sui cosiddetti “extrasconti” rendono
inoltre molto ardua l’individuazione di livelli medi ponderati di sconto a cui riferirsi.
Anche la soluzione di questo problema comporta quindi un esame congiunto dei problemi
specifici del “fee for service” con quelli che caratterizzano in Italia la struttura del settore.
7.6 I problemi riguardanti lo sviluppo “multiservice” delle farmacie
Nel periodo più recente è infine stata avviata la discussione, da parte delle commissioni
parlamentari e della Conferenza Stato-Regioni, dei decreti delegati al Ministero della Salute dalla
legge 69/09 in tema di “individuazione di nuovi servizi erogabili dalle farmacie nell’ambito del
SSN”.
Come da tempo proposto sia dal SSN sia da Federfarma, l’attuazione di un processo di
sviluppo dell’attività delle farmacie come punti di offerta sul territorio di servizi per la salute
integrativi rispetto a quelli offerti dalle ASL e dalle altre aziende ospedaliere convenzionate,
persegue l’obiettivo di ridurre i compiti e gli oneri delle ASL per la prestazione di servizi di
diagnosi medica e di servizi terapeutici “banali” e, al tempo stesso, di diffondere maggiormente sul
territorio la possibilità di accesso a questi servizi da parte dei cittadini. Un processo di sviluppo
delle attività delle farmacie in questa direzione è già stato sperimentato con successo in altri Paesi
negli anni più recenti ed in modo particolare in Francia, dove è stato regolamentato.
In sostanza, i decreti delegati sui quali si stanno svolgendo le valutazioni riguardano:
A. La possibilità, da parte di infermieri e fisioterapisti, di effettuare, su prescrizione dei
medici, prestazioni professionali sia a carico del SSN sia a carico degli utilizzatori in
spazi a loro riservati all’interno delle farmacie con la supervisione dei farmacisti
titolari;
128
B. La possibilità di coordinare e controllare, da parte del farmacista, lo svolgimento di
tali servizi a domicilio dei pazienti;
C. Lo svolgimento diretto, da parte di personale della farmacia e sotto il controllo del
titolare, di esami diagnostici e test di controllo semplici (glicemia, colesterolo,
trigliceridi, emoglobina, creatinina, transaminasi, componenti urine, gravidanza,
ecc.), con l’eventuale apporto di specialisti;
D. Lo sviluppo di servizi di prenotazione (CUP) di prestazioni erogate dalle ASL o da
centri diagnostici con queste convenzionati, estesi a servizi collaterali quali
versamento dei ticket con sistemi di pagamento elettronici, ritiro dei referti e loro
consegna ai pazienti.
Altri servizi potrebbero essere prestati dalle farmacie per alleggerire i compiti delle ASL,
quali, ad esempio, la preparazione di medicinali su ordinazione con packaging personalizzati, la
consegna a domicilio di farmaci che richiedono l’assistenza alla loro assunzione, alcuni servizi
semplici di Pronto Soccorso.
Federfarma propone anche la creazione, da parte di farmacisti, di ambulatori associati, con
la presenza continuativa di specialisti, eventualmente convenzionati con il SSN.
Senza dubbio lo sviluppo dell’attività delle farmacie nel campo dei servizi integrativi a
quelli delle ASL presenta aspetti positivi per la collettività, specie nell’attuale situazione del SSN
che richiede processi di concentrazione territoriale dei presidi ospedalieri, di riduzione dei ricoveri
non strettamente necessari e di estensione dell’assistenza di continuità ospedale-territorio.
Tuttavia anche la trasformazione delle farmacie (o, perlomeno, su base volontaristica, di
quelle dotate di adeguati spazi e di comprovate capacità di indirizzo e coordinamento) in centri di
servizi sanitari, richiede investimenti, adeguate remunerazioni, regole chiare sulla loro entità, con
particolare riferimento ai servizi a carico del SSN, evitando sia di creare situazioni di esclusiva delle
“farmacie dei servizi” nei confronti di altri operatori sanitari ugualmente qualificati, sia di favorire
logiche di “sussidio incrociato” tra le attività esclusive attuali delle farmacie e le nuove attività di
servizio sanitario.
Anche relativamente a questo possibile sviluppo non è quindi – a nostro avviso –
consigliabile sul piano normativo, procedere per “comparti stagni”, ma è necessario inquadrare i
problemi specifici che esso pone e le loro possibili soluzioni nel più ampio contesto di un’organica
revisione delle regole riguardanti tutti gli aspetti (strutturali e comportamentali) di quell’”ibrido”
professionale esclusivo e commerciale in parte esclusivo che è oggettivamente la farmacia
convenzionata con il SSN nei suoi rapporti con lo stesso SSN e con i cittadini.
129
Allegato
Recenti misure di riduzione dei prezzi dei farmaci e dei payback connesse con i
“tetti” di spesa a carico del SSN
Sul contenimento della spesa farmaceutica, il decreto-legge 39/2009 ha introdotto alcune
disposizioni di razionalizzazione della farmaceutica territoriale. Le principali misure riguardano: la
riduzione del 12 per cento dei prezzi dei farmaci equivalenti, una trattenuta dell’1,4 per cento
dell’importo dovuto alle farmacie per la distribuzione dei farmaci, la rimodulazione,per i farmaci
equivalenti, delle quote di spettanza dell’azienda farmaceutica, del grossista e del farmacista sul
prezzo di vendita al pubblico e la rideterminazione nella misura del 13,6 per cento del tetto di spesa
della farmaceutica territoriale.
Dal 2010 il decreto legge 78/2009 ha rideterminato all'attuale 13,3% (con un risparmio quantificato
in 800 milioni di euro) il tetto della spesa farmaceutica territoriale.
Successivamente, il decreto legge 78/2010:
• ha rideterminato le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti, sul prezzo di vendita al
pubblico dei farmaci di classe A) interamente rimborsati dal SSN, rispettivamente, al 3 per
cento (precedentemente al 6,65%) e al 30,35% (precedentemente al 26,7%);
• ha previsto un’ulteriore quota di sconto del 3,65%, trattenuta dal SSN sul prezzo di vendita
al pubblico dei farmaci interamente rimborsati dal SSN al netto dell’IVA, ripartita,
rispettivamente, per l’1,82% a carico delle farmacie, e per 1,83% a carico delle aziende
farmaceutiche. Queste ultime, sulla base di tabelle approvate dall’AIFA e definite per
regione e per singola azienda, corrispondono l’importo direttamente alle regioni (payback);
• ha spostato un valore di 600 milioni di euro annui, dalla spesa farmaceutica ospedaliera a
quella territoriale;
• ha determinato la predisposizione di tabelle di raffronto tra la spesa farmaceutica territoriale
delle singole regioni, con la conseguente definizione delle migliori soglie prescrittive dei
farmaci generici da parte dei medici del SSN;
• ha rinviato ad un accordo in Conferenza Stato-regioni la fissazione delle procedure per
l'acquisto diretto dei medicinali da parte delle ASL;
• ha stabilito che l'Aifa, dal 2011, fissi i limiti di rimborso dei medicinali equivalenti di classe
A, in misura idonea a realizzare un risparmio di spesa non inferiore a 600 milioni di euro
annui. I risparmi restano nelle disponibilità regionali;
• ha previsto, dal 1 giugno al 31 dicembre 2010, una riduzione del prezzo dei medicinali
equivalenti del 12,5%.
Ulteriori misure di contenimento della spesa farmaceutica sono state introdotte dal decreto legge
98/2011, che ha fissato gli incrementi del livello del finanziamento del SSN per il 2013 e il 2014;
gli interventi a tal fine necessari saranno stabiliti da un'Intesa Stato-regioni. Qualora l’Intesa non
fosse raggiunta, entro il 30 giugno 2012, un regolamento governativo dovrà definire le procedure
per porre a carico delle aziende farmaceutiche una quota non superiore al 35 per cento
dell'eventuale sforamento del tetto del 2,4 per cento fissato per la spesa farmaceutica ospedaliera.
Le aziende farmaceutiche saranno tenute a versare tale quota direttamente alle regioni. Qualora non
venga rispettato il termine di emanazione del regolamento, dal 2013 l'AIFA aggiorna le tabelle di
raffronto tra la spesa farmaceutica territoriale delle singole regioni riferita ai farmaci generici, come
previsto dal decreto legge 78/2010. Conseguentemente, a decorrere dal 2013, il tetto di spesa per
l’assistenza farmaceutica territoriale è rideterminato nella misura del 12,5 per cento.
130
8. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
8.1 La posizione italiana nel contesto europeo
Concludendo questo rapporto di ricerca, ci sembra anzitutto doveroso indicare, seppure
molto sinteticamente, se ed in che misura le ipotesi di lavoro assunte all’inizio hanno trovato
conferme nel corso dell’analisi.
L’ipotesi fondamentale, secondo la quale nel nostro Paese la filiera del farmaco nel suo
complesso e la distribuzione territoriale del farmaco in modo particolare presentano tuttora una
struttura (determinata, in larga misura, dalle normative vigenti), che facilita l’acquisizione di rendite
economicamente ingiustificate da parte degli “insiders” a danno degli utilizzatori finali e del SSN,
emarginando i soggetti che potrebbero entrarvi con comportamenti competitivi, ha trovato parecchie
conferme nell’analisi empirica ed anche una parziale smentita.
Le principali conferme possono essere riepilogate nei seguenti punti:
A. La sostanziale staticità delle componenti più rilevanti della filiera (industria
produttrice e farmacisti convenzionati con il SSN);
B. Il permanere, nonostante i cambiamenti migliorativi degli anni più recenti, indotti
dallo sviluppo anche in Italia dei farmaci “generici” e dalle modalità di
contrattazione dei loro prezzi da parte dell’AIFA, di un sistema di determinazione
dei prezzi amministrati dei farmaci che incentiva di fatto comportamenti collusivi tra
i principali attori della filiera, ripercuotendosi, oltre che su un aggravio dei costi a
carico del SSN, seppure entro sempre più stringenti “tetti” di spesa, anche su una
sostanziale disincentivazione dell’innovazione produttiva da parte dell’industria
farmaceutica insediata in Italia;
C. La contraddizione tra liberalizzazione dei prezzi dei farmaci soggetti a prescrizione
medica a totale carico degli utilizzatori (classe C) e mancata liberalizzazione dei loro
canali di distribuzione al dettaglio in un contesto in cui il permanere della “pianta
131
organica” e del bundling tra proprietà ed esercizio delle farmacie impedisce di fatto
una concorrenza all’interno di questo canale, che li distribuisce in esclusiva;
D. La rilevanza, molto limitata quanto a fatturato e quote di mercato, della
liberalizzazione dei canali di distribuzione al dettaglio dei farmaci non soggetti a
prescrizione medica (SOP e OTC), liberalizzazione sottoposta a stringenti vincoli ed
oneri, nonostante i quali l’effetto riduttivo dei costi a carico degli utilizzatori finali è
stato, proporzionalmente al fatturato, decisamente consistente.
La parziale smentita delle nostre ipotesi di lavoro riguarda il livello comparato dei prezzi
medi al consumo dei farmaci di classe A, che, per quanto è possibile dedurre da valutazioni
comunque soggette a limiti di comparabilità, non è complessivamente più elevato rispetto a quello
di alcuni Paesi europei, in particolare della Germania. In effetti, però, ciò dipende essenzialmente
dai minori livelli dei prezzi ex fabrica contrattati per i farmaci branded on patent innovativi rispetto
a quelli già da tempo sul mercato, aspetto che concorre a disincentivare l’innovazione produttiva
dell’industria farmaceutica italiana e la sua competitività internazionale.
Nel corso della nostra analisi si sono più volte effettuate comparazioni su vari aspetti che
caratterizzano le normative italiane riguardanti la filiera del farmaco rispetto a quelle vigenti negli
altri Paesi dell’Unione europea. Ci sembra ora opportuno richiamare sinteticamente i principali
elementi di comparazione, per meglio cogliere la specificità della situazione del nostro Paese.
Aspetti strutturali riguardanti la distribuzione al dettaglio dei farmaci a
totale o parziale carico dei Servizi Sanitari Nazionali
Paesi
Pianta
Bundling
Presenza
di Incentivi alla Partecipazione
organica
proprietà/
catene
di distribuzione
farmacie
esercizio
farmacie
in
dei medici alla
zone distribuzione
disagiate
dei farmaci
Italia
SI
SI
NO
SI
NO
Germania
NO
SI
NO
NO
NO
Francia
SI
SI
NO
NO
NO
Gran Bretagna
NO
NO
SI
SI
SI
Orientamento
NO
NO
SI
SI
-
Commissione UE
132
Liberalizzazione canali di distribuzione farmaci SOP e OTC
Paesi
Liberalizzati Con vincolo Con vincolo Con presenza Con
presenza
bundling
farmacisti
Italia
SI,
determinante
prezzi
liberalizzati
GDO
solo SI
NO
NO
SI
parafarmacie
e
corner
GDO
Germania
SI
NO
NO
NO
SI
Francia
NO
SI
SI
NO
SI
Gran Bretagna
SI
NO
NO
SI
SI
Orientamento
SI
NO per SOP NO
-
SI
Commissione UE
e OTC/ SI
per eventuale
estensione a
farmaci
di
classe C
133
Criteri sottostanti al pricing dei farmaci di classe A
Connessione tra Prezzi
Paesi
remunerazione
dei
ex Differenziali
fabrica
produttori prodotti
(prezzi
prezzi
ex
fabrica
ex innovativi (al prodotti
fabrica)
e lancio)
innovativi,
Procedure
Differenziali
di payback prezzi
da
parte prodotti
“Tetti”
tassativi
on delle
dei
patent
spese
a
produttori
generici
carico dei
remunerazione
altri prodotti
Servizi
dei distributori
on patent
Sanitari
Nazionali
Proporzionalità
Italia
Amministrati Basso
SI
(contrattati)
Alto,
anni
negli SI
più
recenti
Germania Parziale
Liberi
Alto
NO
Alto
proporzionalità
tassativi
Parziale
Amministrati Medio/alto
proporzionalità
(contrattati)
Gran
Completa
Liberi
Bretagna
separazione dei
Francia
criteri
Non
No
Alto
Non
tassativi
Alto
SI
Alto
Non
tassativi
di
determinazione
Come si può osservare dai quadri riepilogativi sopra esposti, in tutti i Paesi considerati la
filiera del farmaco è sottoposta ad indirizzi e vincoli di carattere pubblicistico, che sono propri,
nella cultura europea, di un settore rilevante per la difesa della salute umana e, in varia misura, con
costi a carico dei servizi sanitari nazionali. Tuttavia solo in Italia, se si esclude la parziale
liberalizzazione dei canali di distribuzione dei farmaci SOP e OTC, di cui si sono già evidenziati i
limiti, sono presenti tutti i vincoli, anche quelli – come la pianta organica delle farmacie ed il
bundling tra la loro proprietà ed il loro esercizio – meno giustificabili dal punto di vista delle
esigenze di difesa della salute umana e sono ancora operanti meccanismi istituzionali, come quelli
sottostanti alla determinazione congiunta della remunerazione dei produttori e di quella dei
distributori, privi di una corretta giustificazione economica e tali da facilitare comportamenti
collusivi tra i vari attori della filiera.
Mentre la rimozione dei vincoli strutturali, più volte richiesta dall’AGCM coerentemente
con gli orientamenti della Commissione UE, è stata recentemente esclusa da parte della
Commissione Bilancio del Senato nell’ottobre scorso, Commissione che ha anche escluso l’ipotesi
134
di un eventuale superamento della distribuzione esclusiva dei farmaci di classe C da parte delle
farmacie convenzionate con il SSN, alcuni meccanismi istituzionali, che non trovano più riscontro
neppure in Francia (il Paese europeo meno aperto ai cambiamenti nel campo della distribuzione dei
farmaci), sono da tempo in fase di revisione. Ciò – come si è visto nel corso dell’analisi, riguarda in
particolare l’introduzione del “fee for service” per separare le modalità di remunerazione dei servizi
prestati dalle farmacie da quella dei produttori di farmaci.
8.2 Problemi aperti e prospettive di cambiamento
A nostro avviso, ricollegandoci alle ipotesi di lavoro enunciate nell’ultimo paragrafo del
capitolo introduttivo, in una situazione come quella che si è fin qui tratteggiata, in Italia il problema
dell’ulteriore liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci è strettamente connesso
con quello dell’effettiva introduzione del “fee for service”. Infatti il mantenimento dell’esclusiva di
vendita alle farmacie dei farmaci di classe C (a completo carico degli utilizzatori) con prezzi
liberalizzati, ma senza stimoli competitivi, con il “fee for service” può consentire alle farmacie di
operare più di quanto può già accadere con remunerazioni proporzionali ai prezzi ex fabrica
secondo logiche di “sussidio incrociato” a danno dei consumatori finali.
Nel precedente capitolo abbiamo già giustificato, sul piano economico-aziendale, questa
affermazione che, a prima vista, potrebbe sembrare azzardata. Ci sembra ora utile misurarci con le
obiezioni che in genere vengono avanzate (e che hanno trovato un’ampia eco nella maggioranza
della Commissione Bilancio del Senato nell’ottobre scorso) contro l’ipotesi di una liberalizzazione
dei canali di distribuzione dei farmaci di classe C.
La prima obiezione riguarda il ruolo stesso delle farmacie convenzionate con il SSN come
presidi primari per la difesa della salute umana, difesa che potrebbe essere pregiudicata dalla
distribuzione estesa alle parafarmacie ed ai corner della GDO dei farmaci di classe C.
Relativamente a questa obiezione non si capisce perché i farmacisti (abilitati ed iscritti agli albi
professionali) che in Italia obbligatoriamente sono presenti e direttamente coinvolti nella vendita dei
farmaci SOP e OTC nelle parafarmacie e nei corner della GDO, dovrebbero essere diversi, quanto a
qualificazione ed a capacità professionali, rispetto a farmacisti, anch’essi abilitati ed iscritti agli albi
professionali, presenti nelle farmacie convenzionate con il SSN. Si perde completamente di vista
che la convenzione non riguarda la qualificazione e le capacità professionali, ma il punto di vendita,
secondo le regole sancite dalla “pianta organica” delle farmacie e che solo per i farmacisti che
acquisiscono per concorso l’esercizio di punti di vendita da includere “ex novo” nella pianta
135
organica valgano, ai fini delle graduatorie, i percorsi di specializzazione professionale pregressi.
Tuttavia i “concorsi” sono pochissimi, in quanto il passaggio della proprietà e dell’esercizio della
stragrande maggioranza dei punti di vendita inseriti nella pianta organica avviene per cessione, in
gran parte ereditaria.
La seconda obiezione, apparentemente più fondata della precedente, si riferisce ad un
confronto internazionale: in nessuno dei maggiori Paesi dell’Unione europea, i farmaci di classe C o
quelli ad essi assimilabili sono venduti al di fuori delle farmacie o di unità di vendita simili. In
effetti, però, l’Italia è l’unico tra i maggiori Paesi dell’Unione europea che impone la presenza ed il
coinvolgimento di farmacisti abilitati ed iscritti agli albi professionali nei canali di distribuzione al
dettaglio alternativi alle farmacie. Negli altri Paesi che hanno liberalizzato la vendita dei farmaci
OTC e SOP, pur essendovi alcuni vincoli riguardanti le competenze professionali del personale, non
si impone la completa equiparazione di quello delle farmacie e dei punti di vendita alternativi.
La terza obiezione riguarda il possibile venir meno del bundling tra proprietà ed esercizio
nella distribuzione al dettaglio di una parte dei farmaci con obbligo di prescrizione medica, da cui
potrebbe derivare il prevalere degli interessi di carattere commerciale della proprietà, rispetto alla
deontologia professionale di coloro ai quali è affidato l’esercizio. L’infondatezza di questa
argomentazione è talmente palese da non meritare alcun ulteriore commento, anche perché chi la
sostiene perde di vista non solo la realtà delle parafarmacie e dei corner italiani della GDO, ma
anche il fatto che una parte rilevante dei Paesi dell’UE, a cominciare dalla Gran Bretagna, non
hanno vincoli strutturali di bundling tra proprietà ed esercizio delle stesse farmacie e quindi della
distribuzione al dettaglio anche dei farmaci di classe A.
La quarta obiezione riguarda gli effetti negativi che l’eventuale venir meno dell’esclusiva di
vendita di cui fruiscono le farmacie per i farmaci di classe C determinerebbe sul mantenimento di
un presidio farmaceutico nelle zone “disagiate”. Chi sostiene questa tesi perde di vista: anzitutto che
i farmaci di classe C incidono – come si è documentato – per meno del 12% sul fatturato delle
farmacie se si considerano nel fatturato anche le vendite di SOP, OTC, parafarmaci ed extrafarmaci
a connotazione salutistica e che, anche ipotizzando un’erosione delle loro quote di mercato da parte
delle parafarmacie e dei corner della GDO doppia rispetto a quella avvenuta con la liberalizzazione
per i farmaci SOP e OTC, sarebbe in gioco una quota del fatturato non superiore al 2,4%; in
secondo luogo che le farmacie considerate dall’AIFA come necessarie per garantire una presenza il
più possibile capillare dei servizi
farmaceutici sono molto poche, come si è avuto modo di
documentare nel corso della nostra analisi, e che – comunque – fruiscono già di incentivi da parte
del SSN, che potrebbero anche essere potenziati; in terzo luogo che – come abbiamo documentato
nel corso dell’analisi e come avviene in altri Paesi dell’Unione europea, l’esigenza di conservare
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una presenza dei servizi farmaceutici essenziali nelle zone “disagiate” può essere soddisfatta anche
con altre modalità.
L’insieme delle obiezioni sin qui considerate, a nostro avviso, conferma “a fortiori” una
delle nostre ipotesi di lavoro fondamentali, ossia che il cambiamento dei meccanismi di regolazione
e del grado di liberalizzazione della distribuzione al dettaglio dei farmaci, ancora orchestrati per
garantire una difesa ad oltranza delle rendite di cui possono fruire gli “insiders”, dovrebbe
procedere non solo con provvedimenti separati (quali l’introduzione del “fee for service” nella
remunerazione delle attività che le farmacie svolgono nel contesto del SSN), ma con una profonda
revisione dei vincoli istituzionali, a cominciare da quelli strutturali (pianta organica e bundling in
primis) con una lungimirante visione dell’insieme dei problemi rimasti insoluti in questo campo.
Un ultimo problema riguarda più specificamente i corner salute della GDO. Come si è
documentato nella nostra analisi, per avere un impatto competitivo consistente rispetto alle farmacie
e generare risparmi di un certo rilievo per gli utilizzatori finali, ciascun corner della GDO non solo
deve realizzare un fatturato abbastanza elevato possibile solo nell’ambito di unità di vendita di
grande “formato” (prevalentemente ipermercati) e ad elevata attrattività a largo raggio, ma deve
anche farlo puntando più sulle vendite di parafarmaci che di farmaci SOP e OTC.
Il loro ulteriore sviluppo potrebbe essere supportato dall’eliminazione del vincolo
rappresentato dalla presenza e dal coinvolgimento di farmacisti abilitati ed iscritti agli albi
professionali nella vendita di farmaci OTC e SOP, con una riduzione dei costi del personale di
vendita e della dimensione minima efficiente e quindi con la possibilità di insediarli in maggior
numero anche in unità di vendita di “formato” meno grande, a fronte tuttavia di una forte riduzione
dei farmaci SOP e OTC trattabili e quindi con un ulteriore incremento dell’importanza relativa dei
parafarmaci (che, tra l’altro consentono anche di sopportare margini lordi superiori), oppure
dall’estensione della liberalizzazione, finora contrastata tassativamente in sede governativa e
parlamentare, ai farmaci di classe C, liberalizzazione in sostanza della distribuzione al dettaglio di
tutti i farmaci a totale carico degli utilizzatori finali, compresi quelli soggetti a prescrizione medica,
fermo restando l’obbligo di coinvolgere nella vendita farmacisti abilitati ed iscritti agli albi
professionali.
In teoria entrambe le linee di sviluppo sopra indicate potrebbero coesistere, ipotizzando due
distinte categorie di corner. In effetti però, la prima esclude la seconda come si è avuto modo di
constatare negli opposti disegni di legge discussi negli ultimi anni nel tavolo di lavoro ministeriale.
A nostro avviso – in ciò confortati dal giudizio dei responsabili dei corner delle due
maggiori organizzazioni della GDO operanti in questo campo, che hanno risposto ai nostri quesiti in
merito a questo problema (le altre, nonostante i nostri reiterati solleciti, non hanno risposto) – solo
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la seconda linea di sviluppo, va sostenuta ancora con particolare vigore, nonostante la sua
bocciatura dell’ottobre scorso nella Commissione Bilancio del Senato. Ciò per due ordini di motivi.
Anzitutto, sotto il profilo economico-aziendale, perché può consentire una più consistente
presenza nel campo dei farmaci in senso stretto con la possibilità di aumentare il potere contrattuale
nei confronti dei produttori farmaceutici, anche con produzioni per conto (marche commerciali) e di
accrescere l’attrattività nei confronti dei clienti e la loro soddisfazione, nonché la competitività nei
confronti delle farmacie.
In secondo luogo – ed è questo l’aspetto che maggiormente riteniamo rilevante – sotto il
profilo economico-sociale, ossia degli interessi collettivi in gioco. Infatti solo la seconda linea di
sviluppo può accrescere in misura consistente, rispetto a quella, già significativa, realizzata con la
vendita nei corner salute della GDO dei farmaci SOP e OTC, i vantaggi per gli utilizzatori finali in
termini sia di costi (a loro completo carico) delle spese farmaceutiche, sia di inserimento, in un
mercato oggi gestito in esclusiva dai farmacisti convenzionati con il SSN in condizioni di
sostanziale assenza al suo interno di confronti competitivi, di stimoli concorrenziali esterni rilevanti.
Tutto ciò in una concreta prospettiva di difesa del sempre più limitato potere di acquisto della
maggioranza dei consumatori italiani.
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POST SCRIPTUM
Quando, all’inizio del novembre scorso, abbiamo ultimato la stesura di questo rapporto, la
chiusura del precedente governo nei confronti di tutti i processi di “liberalizzazione” nei settori
caratterizzati dalla percezione di rendite ingiustificata da parte degli “insiders” e da “barriere
istituzionali all’entrata” nei confronti degli “outsiders” anziché attenuarsi, si era complessivamente
rafforzata. Nel caso specifico della filiera dei farmaci e più specificamente della loro distribuzione
territoriale, la Commissione Bilancio della Camera aveva approvato un testo che facendo “marcia
indietro” rispetto alle precedenti, seppure deboli, proposte di parziale allargamento della “pianta
organica” delle farmacie convenzionate con il SSN ed escludendo tassativamente la possibilità di
vendita dei farmaci di classe C (o di una parte di essi) nelle parafarmacie e nei corner della GDO
sanciva la rigida conservazione dello “stauts quo”.
Come studiosi dei problemi della filiera dei farmaci, non ci avevano affatto convinto le
argomentazioni strumentali usate da Federfarma per bloccare strutture, normative e procedure lungo
l’intera filiera con un’azione di lobbying particolarmente intensa. Abbiamo quindi concluso il
nostro studio con un’indicazione precisa, coerente con i risultati delle verifiche empiriche delle
ipotesi di lavoro da noi enunciate fin dall’inizio, indicazione che può essere sintetizzata nei termini
sotto indicati.
Solo modificando congiuntamente in senso pro-competitivo i principali aspetti strutturali
della distribuzione dei farmaci (“pianta organica” e bundling in particolare) e le normative che, per i
farmaci di classe A, connettono la remunerazione dei produttori con quella dei distributori, nonché
consentendo la distribuzione di almeno una parte dei farmaci di classe C anche ai canali di
distribuzione alternativi (parafarmacie e corner) in cui l’obbligatoria presenza di farmacisti iscritti
all’albo professionale è garanzia della tutela della salute, è possibile incidere in misura significativa
sulle rendite che allignano nella filiera, difendendo il potere d’acquisto dei consumatori ed i costi a
carico del SSN.
Il maxi decreto sulle liberalizzazioni varato dal nuovo governo il 20 gennaio come primo
atto della “fase due” centrata sulle misure per la crescita, per la sua ampiezza, per la sua
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impostazione complessiva, per l’entità delle ricadute positive per l’economia del Paese che possono
derivarne, ci ha stupito favorevolmente e, nel suo complesso, ci sembra apprezzabile.
Per quanto riguarda la filiera del farmaco, però, il decreto prevede misure strutturali
drastiche, ma lascia immutate sia alcune procedure molto delicate (specie nella determinazione dei
prezzi e dei margini per i farmaci a carico del SSN), sia il divieto di vendere farmaci di classe C
nelle parafarmacie e nei corner. Se applicato nella sua versione attuale consente, a nostro avviso, di
incentivare la concorrenza tra le farmacie, ma impedisce una, seppure parziale, concorrenza
multicanale, da cui, a nostro avviso, potrebbero derivare dinamicamente maggiori vantaggi per i
consumatori.
Da questo punto di vista il rapporto di ricerca che abbiamo elaborato può fornire ancor oggi
utili spunti di riflessione.
Genova, 23 gennaio 2012
Gianni Cozzi e Cinzia Panero
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