31_Le due facce della globalizzazione

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31_Le due facce della globalizzazione
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
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Approfondimento Le due facce della globalizzazione
L’articolo che segue mostra che cosa vuol dire praticamente, per
la vita delle persone, la globalizzazione. Si parla di persone che
lavorano per la Nike, uno dei marchi globalizzati, famosi cioè in
tutto il mondo. Uno lavora negli USA, gli altri a Bangkok in
Thailandia e a dividerli non sono solo i chilometri…
Come si vive da globalizzati? Benissimo o malissimo
di Dirk Kurbjuweit, Der Spiegel, Germania, da Internazionale
Quel giorno John Hoke era stanchissimo, ma ebbe un’ottima
idea per una suola da scarpe. Era mattina e stava cercando di
spegnere la sveglia che, come sempre, aveva suonato troppo
presto. Senza volerlo, l’aveva fatta cadere dal comodino,
mandandola in pezzi; finalmente c’era silenzio. Hoke si era
seduto sul letto a osservare i pezzi di sveglia sparsi per terra. Il
suo sguardo assonnato era rimasto colpito dalla disposizione dei
frammenti.
Hoke, statunitense, è il progettista capo delle scarpe Nike e
stava lavorando a un nuovo modello. È così che sulla suola delle
Crosstrainers 2000 Shox Xtr sono apparse quelle figure che
ricordano i circuiti interni di una sveglia.
Ee, un’operaia thailandese, lavorava da tre anni in una fabbrica
della Nike. Verso l’una di notte, dopo aver cucito indumenti per
bambini per 17 ore consecutive, si sentiva crollare dalla
stanchezza. Gli occhi le bruciavano e le veniva voglia di
sbadigliare, ma non poteva farlo. Se il sorvegliante l’avesse
vista, rischiava 500 bath di multa (circa dieci euro), una cifra
enorme per lei. Il sorvegliante era convinto che lavorare 17 ore
al giorno fosse una cosa normale. Nessuno doveva sembrare
stanco. Ee tratteneva gli sbadigli e continuava a cucire.
Sono due diverse storie di stanchezza nell’impero mondiale
Nike, che comprende oltre cinquanta Paesi e circa mezzo
milione di persone.
Alcuni vivono nel mondo del lavoro del ventunesimo secolo e
possono permettersi di essere stanchi, purché abbiano buone
idee. Gli altri vivono nel mondo del lavoro del diciannovesimo
secolo e non possono neanche permettersi di apparire stanchi,
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perché si potrebbe pensare che sono sfruttati. […]
Hoke è capace di prendere ispirazione da ogni aspetto della sua
vita: fa parte del suo lavoro. La divisione classica tra lavoro e
tempo libero non esiste alla Nike. La società pretende una
dedizione totale dai suoi dipendenti, ma vuole anche che siano
felici di questa situazione, perché le idee migliori vengono alle
persone di buon umore. Nel lavoro, quindi, i dipendenti devono
perseguire l’idea americana della ricerca della felicità. È per
questo che un designer come Hoke può permettersi di fare
viaggi in posti meravigliosi a cercare un’ispirazione. Ed è per
questo che non esiste al mondo un luogo di lavoro più piacevole
della centrale mondiale della Nike a Beaverton. La sede sorge
in un bel parco vicino a un lago. Ci sono due campi da football,
uno da basket, una piscina, varie palestre per fare ginnastica e
un campo da beach volley. L’attività sportiva dei dipendenti
durante l’orario di lavoro è incoraggiata. I collaboratori sono
quasi tutti in forma, ma non è obbligatorio: l’importante è
essere felici. […]
L’altra faccia della Nike
Da un paio di settimane vivono accampati davanti al ministero
del lavoro a Bangkok. Sacchi a pelo, un televisore, bacinelle di
plastica con posate e cibo. Tra la biancheria appesa a un filo c’è
anche una maschera da mostro su cui è incollato lo swoosh, il
simbolo della Nike.
I dimostranti lavorano per la Bed & Bath Prestige Company
Limited in un sobborgo di Bangkok. Nello stabilimento si
cucivano capi d’abbigliamento per conto della Nike, dell’Adidas
o della Reebok, finché un bel giorno il titolare è scomparso. I
lavoratori vogliono solo ottenere il risarcimento previsto dalla
legge.
Non spetta alla Nike sborsare il risarcimento, perché non è
formalmente il loro datore di lavoro. Una moderna azienda della
moda non possiede fabbriche; affida la produzione a ditte
straniere, quello che Naomi Klein definisce «la scomparsa dei
datori di lavoro».
A lavorare alla Nike, nel sud del mondo, sono soprattutto donne
giovani; come Ee e Seng, che protestano davanti al ministero
del lavoro. Ee ha 25 anni e lavorava per la Bed & Bath. Seng ne
ha 32 e faceva la sorvegliante. Sono donne minute, delicate, dal
sorriso facile, e questo le fa sembrare molto più giovani.
Riescono a vedere il lato buono della vita anche nei momenti
difficili. Ma tutto ha un limite.
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Entrambe raccontano di aver lavorato quasi sempre tra quindici
e diciotto ore al giorno. Più di una volta, se c’era una consegna
imminente, hanno lavorato anche ventiquattr’ore su
ventiquattro. Anche alla Bed & Bath non c’era separazione tra
lavoro e tempo libero. Lavorare molto, dormire poco, tempo
libero niente: la vita di Seng ed Ee era questa. Tredici giorni di
ferie all’anno. Le vere atlete dell’impero mondiale della Nike
sono loro.
Quando sentono che alla Nike di Beaverton c’è una piscina e che
i dipendenti giocano a pallavolo durante l’orario di lavoro, Ee e
Seng sorridono incredule; poi rimangono in silenzio per un po’.
«Non è giusto», sbotta infine Seng. «Ci sentiamo delle
sciocche», conferma Ee. «Perché a noi non danno nulla?»
Il motivo è che ai dirigenti della Nike non interessa come vivono.
Non si preoccupano della loro idea della vita e del benessere.
Qui la ricerca della felicità non è richiesta. La Nike ha bisogno
solo delle loro mani e dei loro occhi perché sanno cucire meglio
di un robot e costano meno.
Domande in linea
1. C’è una profonda differenza tra il clima lavorativo di
Beaverton negli USA e quello di Bangkok in Thailandia. Descrivi
i tratti caratteristici dell’una e dell’altra realtà lavorativa e scrivi
un breve commento.
2 Le condizioni di lavoro di Ee e di Seng sono disumane,
offensive della dignità umana e pericolose per la salute delle
lavoratrici, eppure sembra che le due donne non se ne rendano
conto fino in fondo: perché? Prova a fare delle ipotesi.
3 Bambini e ragazzi come te – invece di andare a scuola, giocare
o fare sport – lavorano per intere giornate in posti malsani, a
contatto con sostanze pericolose per la salute, per fabbricare
scarpe, indumenti o giocattoli per bambini più fortunati di loro:
cosa ne pensi?
4 Nell’articolo viene citata Naomi Klein: fai una breve ricerca e
spiega in quindici righi di chi si tratta.
5 Perché Naomi Klein parla di «scomparsa dei datori di lavoro»?
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