Il Morbo di Parkinson: Patogenesi, Diagnosi e Clinica

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Il Morbo di Parkinson: Patogenesi, Diagnosi e Clinica
©2009 Neuroscienze.net
Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-01-05
Il Morbo di Parkinson: Patogenesi, Diagnosi e Clinica
di Cristina Bergia
Keywords: Parkinson, Parkinsonismo, MPTP, Malattia, Disturbo, Degenerazione
Permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=2&arid=500
Definizione e cenni storici
Il morbo di Parkinson è un disturbo progressivo caratterizzato da lentezza e povertà di movimenti
volontari accompagnati da tremore e rigidità muscolare. Il DSM-IV-TR [2000] classifica la malattia
di Parkinson tra le Malattie del sistema nervoso riportate, secondo i codici dell'ICD-10 [1993],
nelle Condizioni Mediche Generali. [Text Revised, American Psychiatric Association, 2000; World
Health Organization, 1993]. Nel 1817, il medico di Hoxton James Parkinson notò nelle strade di
Londra un piccolo gruppo di pazienti, essi si muovevano piuttosto lentamente, mostrando tremori
regolari delle mani e della faccia quando erano fermi e camminavano con un portamento rigido.
[Rosenzweig, et al, 1998]. La descrizione del disturbo motorio che ora porta il suo nome è così
accurata e sintetica da essere tuttora attuale: "... moto tremolante involontario, con forza
muscolare ridotta, di parti non in azione, anche quando vengono sorrette; con propensione a
piegare il tronco in avanti e a passare da un'andatura al passo alla corsa; assenza di alterazioni
sensitive e dell'intelletto" [Parkinson, 1817]. Come si può notare, nella sua descrizione originale,
Parkinson escluse che fosse tipica della malattia la compromissione delle capacità cognitive,
affermando l'assenza di alterazioni dello stato mentale ("the senses and the intellect remain
uninjured"-1817). In realtà egli stesso si era gia reso conto che, anche se non dementi, i suoi
malati potevano essere affetti da numerosi sintomi riguardanti la sfera cognitiva ed affettiva. Per
quanto riguarda la presenza di disturbi cognitivi, si attribuisce a Trousseau ed a Charcot il merito
di averli notati per primi, verso la metà del secolo scorso. Ball, psichiatra a Sainte Anne, fu
probabilmente il primo a registrare la frequenza delle manifestazioni psichiatriche [Ball, 1882].
Riscontri anatomopatologici
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Il quadro patologico descritto da James Parkinson come "shaking palsy" rappresenta la forma più
frequente e meglio definita di disordine del movimento, causato da alterazioni a carico del circuito
motorio dei nuclei della base. Notevoli progressi nella conoscenza delle malattie dei nuclei della
base sono stati conseguiti a partire dalla fine degli anni '50, quando Arviol Carlsson dimostrò che
l'80% della dopamina cerebrale si trova nei nuclei della base [Carlsson, 1959]. In seguito, Oleh
Hornykiewicz osservò che i cervelli dei soggetti che avevano sofferto di morbo di Parkinson
presentavano bassi livelli di dopamina, norepinefrina e serotonina; ma che la dopamina era quella
ridotta in modo più drastico [Hornykiewicz, 1966]. Il morbo di Parkinson quindi è divenuto il primo
esempio di malattia neurologica associata con la carenza di un particolare neurotrasmettitore.
Questa scoperta ha fornito l'impulso per una serie di ricerche sull'alterazione in altre forme
patologiche neurologiche, come la depressione, la schizofrenia e la demenza. Oltre alla riduzione
dei livelli cerebrali di dopamina, i pazienti affetti da morbo di Parkinson mostrano una
degenerazione progressiva delle cellule nervose a livello dei due nuclei pigmentati del tronco
dell'encefalo: la substantia nigra e il locus coeruleus. Poiché la pars compacta della substantia
nigra contiene una considerevole parte dei neuroni dopaminergici cerebrali, queste osservazioni
suggeriscono che la via dopaminergica dalla substantia nigra allo striato sia interessata
dall'alterazione patologica che determina l'insorgenza del morbo di Parkinson [Coté, et al., 1994].
La perdita di cellule in questa area è continua ma i sintomi compaiono solamente dopo una
perdita estesa. Per anni non ci fu alcun trattamento per il morbo di Parkinson ma, grazie alla
scoperta della diminuzione dei livelli di dopamina nella substantia nigra, una terapia farmacologia
si sviluppò alla fine degli anni '60, quando Walter Birkmayer e Hornykiewicz ipotizzarono che i
pazienti affetti da morbo di Parkinson avrebbero potuto trarre giovamento da un eventuale
normalizzazione dei livelli cerebrali di dopamina [Birkmayer, et al., 1976]. Di conseguenza
iniziarono a somministrare una sostanza chiamata L-DOPA (L-3,4-diidrossifenilalanina).
Precursore della dopamina, tale sostanza è in grado di ridurre marcatamente i sintomi nei
pazienti con Parkinson ma la degenerazione delle cellule nervose della substantia nigra prosegue
nel corso degli anni ed è responsabile dell'evoluzione della malattia.
Patogenesi
Le cause di questa patologia rimangono sconosciute, sebbene alcune ricerche siano a favore di
una patogenesi del disturbo provocata da fattori ambientali. Un primo dato a favore di tale ipotesi
è la presenza di una sindrome parkinsoniana secondaria ad encefalite. Un parkinsonismo
postencefalico si è manifestato in molti pazienti precedentemente colpiti da encefalite letargica,
nel corso dell'epidemia degli anni che vanno dal 1915 al 1926. Sebbene studi autoptici eseguiti
allora non lasciassero dubbi sulla natura infiammatoria di questa patologia, nessun agente
infettivo fu mai isolato. Un' idea diffusa tra i neurologi era ritenere che, se un agente infettivo
provocava una malattia con sintomatologia parkinsoniana, allora probabilmente un'infezione era
responsabile anche del morbo di Parkinson. Tuttavia, studi serologici ed epidemiologici hanno
escluso una eziologia virale [Hopkins, 1996]. Un ulteriore dato che emerge da studi
epidemiologici è la minor prevalenza della malattia nei pazienti fumatori rispetto a coloro che non
hanno mai fumato. Questo lascia supporre che la nicotina o qualche altro componente della
sigaretta possa assolvere ad una funzione di protezione di sviluppo della malattia [Hellenbrand, et
al., 1997; Tzourio, et al., 1997]. Una importante prova a favore di un'eziologia ambientale è stata
l'identificazione della sostanza tossica MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina) quale causa
di una patologia irreversibile simile al Parkinson [Langston, 1985]. Il ruolo del MPTP venne alla
luce alla fine degli anni 70, quando fu riscontrato che numerosi pazienti che contrassero il
Parkinson in giovane età avevano fatto uso di sostanze stupefacenti contenenti MPTP; studi sui
primati confermarono l'insorgere della malattia in seguito alla somministrazione di tale principio.
L'opinione che prevale attualmente è che la malattia di Parkinson possa essere la manifestazione
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di diverse condizioni che hanno un comune percorso finale. I soggetti possono essere affetti in
modo diverso da una combinazione di fattori genetici e ambientali. Per i parenti di primo grado di
soggetti affetti da Parkinson il rischio di contrarre la malattia può essere due volte superiore a
quello della popolazione generale [Marder, et al., 1996; Jarman, et al., 1999; Lazzarini, et al.,
1994]. Sebbene le varietà solo genetiche comprendono probabilmente una piccola minoranza di
soggetti con malattia di Parkinson, mutazioni genetiche identificate recentemente che riguardano
più precisamente il gene alpha-synucleina [Polymeropoulos, et al., 1997; Kruger, et al., 1998], e il
gene parkina [Kitada, et al., 1998] hanno fornito degli indizi preziosi sull'eziologia della
degenerazione neuronale e hanno permesso di riconoscere l'importanza di un'alterazione del
metabolismo proteico nella malattia di Parkinson [Huang, et al., 2003]. Il gene parkina sul
cromosoma 6 può essere associato alla malattia in famiglie con almeno un membro affetto da
Parkinson a esordio precoce, mentre molteplici fattori genetici possono essere coinvolti nella
forma idiopatica a esordio tardivo [Scott, et al., 2001].
Epidemiologia
L'incidenza del morbo di Parkinson è di circa 20 soggetti colpiti in una popolazione di 100.000
individui. La prevalenza è di 200 casi per 100.000 persone, con una durata media della malattia
dall'esordio al decesso di 11 anni. Secondo recenti stime da parte dell' Organizzazione mondiale
della sanità (OMS), l'incidenza dei malati di Parkinson in Europa è dello 0,5% , per un totale di
circa un milione di persone. In Italia si può ritenere che esistano attualmente 200.000 persone
affette da questa malattia, che arriveranno ad essere nel 2005 circa 250.000. L'età media di
insorgenza del Parkinson è di 60 anni. Nel 5-10% dei soggetti che sviluppano la malattia, questa
si manifesta prima dei 50 anni e, in alcuni casi, prima dei 40 anni (esordio giovanile). Nell'adulto
sano la perdita di cellule e pigmento nella substantia nigra è maggiore proprio intorno al
sessantesimo anno di età. Essa costituisce dunque un fattore eziologico importante. La
prevalenza della malattia correlata all'età mostra come il morbo di Parkinson colpisca
maggiormente i soggetti più anziani [Mutch, et al., 1986]. Nel mondo la prevalenza aggiustata in
base all'età è 1%, in Europa 1,6%, andando da 0,6% all'età di 60-64 anni fino a 3,5% all'età di
85-89 anni [Zhang, et al., 1993; De Rijk, et al., 1997]. In uno studio di coorte su 4.341 soggetti di
età compresa tra 65 e 84 anni, seguiti per una media di tre anni, l'incidenza media annuale
standardizzata per età alla popolazione italiana era di 326,3 per 100.000, con tassi maggiori nel
sesso maschile [Baldereschi, et al., 2000 ]. Il morbo di Parkinson è lievemente più frequente negli
uomini, ma, siccome le donne vivono più a lungo e la prevalenza aumenta con l'età, ci sono più
donne anziane affette dalla malattia.
Diagnosi
La diagnosi di morbo di Parkinson rimane prevalentemente clinica e si basa sulla presenza della
caratteristica triade rigidità extrapiramidale, tremore e bradicinesia; la diagnosi è suffragata da
una buona risposta alla terapia dopaminergica e dal coinvolgimento asimmetrico degli arti
all'esordio [Gelb, et al., 1999]. E' importante che il decorso della malattia sia lento, e non vi siano
cause esterne (uso di MPTP o di farmaci che inducono sintomi parkinsoniani, altre patologie a
sintomatologia parkinsoniana). La registrazione dei segni clinici del paziente avviene mediante
l'uso di scale di valutazione internazionali. Una delle più usate è la Unified Parkinson's Disease
Rating Scale [Fahn et al., 1987]. L'uso delle neuroimmagini consente una conferma diagnostica
soprattutto nei casi in cui la diagnosi è dubbia per la presenza di segni clinici atipici. E' bene
ricordare che l'esame autoptico dei pazienti affetti da morbo di Parkinson rivela, oltre alla perdita
di neuroni a livello della substantia nigra e del locus coeruleus, la presenza dei cosiddetti corpi di
Lewy. Quindi la diagnosi più importante di Parkinson idiopatico avviene, post-mortem, nel
rinvenimento di corpi di Lewy nelle cellule della substantia nigra. Nel 75% circa dei pazienti con
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diagnosi di Parkinson viene rinvenuta, all'autopsia, la presenza di corpi di Lewy. Il fatto che vi
siano comunque 25% di pazienti ove non si riscontra la presenza di corpi di Lewy rende tale
reperto eziologico fondamentale ma non specifico. Affinché i primi sintomi di Parkinson appaiano,
è necessario che sia danneggiato almeno il 60% delle cellule della substantia nigra e vi sia una
diminuzione dell'80% della dopamina nello striatum. Questo lascia supporre che la malattia
insorga molto prima della comparsa dei sintomi e relativa diagnosi e che vi sia una consistente
percentuale di popolazione che, pur in assenza di sintomi, sta sviuppando il morbo di Parkinson.
Tale fatto risulta estremamente importante, in quanto una diagnosi precoce del problema
potrebbe indurre un tempestivo trattamento capace di rallentare significativamente il decorso.
Aspetti Clinici
DISTURBI MOTORI: il sintomo d'esordio nel 70% dei casi è rappresentato dal tremore. Il tremore
parkinsoniano è caratteristicamente un tremore a riposo, che si riduce o scompare appena si
esegue un movimento finalizzato; per lo più esordisce da un solo lato e può interessare l'una o
l'altra mano. Rallentamento nell'esecuzione del movimento e povertà o assenza di movimenti
automatici, denominati rispettivamente bradicinesia ed ipocinesia o acinesia sono sintomi
caratteristici della malattia. La rigidità, conseguente all'aumentato tono muscolare, può essere
presente agli arti, al collo e al tronco. L'instabilità posturale si presenta più tardivamente nel
corso della malattia. I pazienti con morbo di Parkinson perdono i riflessi di raddrizzamento,
cosicché, se spinti od urtati con forza, facilmente cadono. La postura eretta è compromessa, per
cui il paziente progressivamente si flette sul busto. Le difficoltà di deambulazione si esprimono
nella combinazione di rigidità delle gambe, bradicinesia e instabilità posturale. DISTURBI
COGNITIVI: la malattia di Parkinson presenta spesso un'associazione con deficit cognitivi
specifici e con quadri di demenza. Il DSM IV-TR [2000] classifica un tipo di Demenza Dovuta a
Malattia di Parkinson. La sua caratteristica essenziale è la presenza di una demenza che si
ritiene una conseguenza fisiologica diretta della malattia di Parkinson. La demenza associata a
malattia di Parkinson è caratterizzata da rallentamento cognitivo e motorio, da compromissione
delle funzioni esecutive, e da deficit della memoria di recupero [Text Revised, American
Psychiatric Association, 2000]. In circa il 10-15% dei pazienti con morbo di Parkinson si sviluppa
una demenza. Il rischio di sviluppare una demenza in questi pazienti sembra favorito dall'età
avanzata di esordio della malattia principale, dalla presenza di un disturbo depressivo e dal grado
più elevato di disabilità motoria [Conti, et al., 1999]. Le caratteristiche della demenza nella
malattia di Parkinson non sono uniformi. Si fa riferimento, in merito, alla "demenza
sottocorticale",categoria diagnostica che include, insieme ad altre patologie, il morbo di Parkinson
[Della Sala, 1990]. Disturbi cognitivi sono una caratteristica comune del morbo di Parkinson
idiopatico; essi si presentano con prevalenza del 40%, possono comparire anche in uno stadio
iniziale della malattia ed in assenza di una vera demenza. La bradifrenia o acinesia psichica,
termine introdotto dal neurologo francese Naville nel 1922, viene usato per indicare molteplici
difficoltà, intellettuali e psicologiche che, nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, si
evidenziano come perdita di concentrazione, incapacità a creare nessi logici, tendenza alla
perseverazione e rallentamento generalizzato dei processi di pensiero [Boller, 1996]. Studi
sperimentali hanno confermato che il morbo di Parkinson è accompagnato da un disturbo dell'
attenzione, in particolare dell'attenzione sostenuta [Spinnler 1991; Alonso-Prieto, et al., 2003]. I
risultati di studi dei potenziali evocati corticali evento-correlati, combinati ai dati derivanti da
misurazioni neuropsicologiche sono stati rispettivamente interpretati come conferma della
presenza di un disturbo di natura frontale della regolazione dei processi attenzionali e di un
possibile deficit nei meccanismi frontali di controllo, mantenimento e shifting dell'attenzione
[Stam, e coll., 1993; Caltagirone, e coll., 1989; Brown e Mardsen, 1988; Taylor, e coll., 1986].
Anomalie delle funzioni esecutive di pianificazione, problem solving e set-shifting sono disturbi
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cognitivi caratteristici della malattia di Parkinson [Mc Namara, 2003]. La memoria, e più
precisamente la memoria di lavoro e le operazioni di recall e dating appaiono compromessi; i
deficit interessano non tanto la capacità di memorizzare quanto la possibilità di accedere ai dati
memorizzati. Numerosi Autori hanno riscontrato prestazioni deficitarie della memoria a breve
termine e verso compiti messi a punto per l'indagine della memoria di lavoro in pazienti affetti
dalla malattia. [Panisset, e coll., 1994; Marini, et al., 2003; Kensinger, et al., 2003; Tamura, et al.,
2003; Lewis, et al., 2003]. La memoria a lungo termine appare compromessa, specie per quanto
riguarda la memoria episodica e la memoria procedurale [El-Awar, e coll., 1987; Saint-Cyr, e coll.,
1988]. Saint Cyr et al. [1988] evidenziano la presenza negli stadi iniziali della malattia di deficit
dell'apprendimento procedurale in presenza di memoria dichiarativa conservata; anch'essa
diviene compromessa negli stadi più gravi della malattia. Sebbene in pazienti non dementi
disturbi del linguaggio non influiscano in genere sull'efficacia complessiva della comunicazione,
essi caratterizzano la malattia di Parkinson. Tali disturbi riguardano la comprensione di frasi, il
processo semantico e l'integrazione lessico-grammaticale. Esistono dati che suggeriscono come
alla base delle cadute di prestazione ai compiti proposti per la ricerca di disturbi visuo-spaziali,
nel caso di pazienti non dementi, possa essere un generico aumento dei tempi di reazione, o
comunque deficit di natura attentiva, e non un disturbo specifico delle funzioni visuo-spaziali, che
non appaiono differire dalla norma [Della Sala e coll., 1986a; Della Sala, 1990]. DISTURBI
PSICHIATRICI: La più comune complicanza psichiatrica nel morbo di Parkinson è rappresentata
dalla depressione. Sintomi depressivi sono presenti nel 25-40% dei casi e possono essere
precedenti o concomitanti al quadro neurologico. Si tratta per lo più di una depressione di lieve o
moderata entità. Essa ha più spesso caratteristiche omogenee; più comuni sono i disturbi
distimici e le depressioni maggiori, mentre il disturbo bipolare si ritrova eccezionalmente [Pavan,
et al., 1999]. Quando la depressione compare in uno stadio iniziale della malattia e prima del
caratteristico quadro sintomatologico motorio, la diagnosi differenziale di disturbo depressivo
maggiore può essere difficoltosa. Un recente studio ha confrontato i dati di pazienti affetti da
Parkinson depressi con quelli di pazienti con depressione maggiore. La gravità dei sintomi
depressivi era equivalente nei due gruppi [Merschdorf, et al., 2003]. Secondo alcuni Autori
[Santamaria, e coll., 1986; Starkstein, et al., 1990; Starkstein, e coll., 1992; Uekermann, et al.,
2003; Burn, 2002] la presenza di depressione si assocerebbe ad un più rapido declino cognitivo.
Il fatto che la depressione possa precedere il quadro neurologico, possa non essere correlata alla
gravità della malattia e al quadro di inabilità funzionale, sia di intensità maggiore rispetto ad altre
malattie croniche invalidanti, fa pensare ad una patogenesi endogena del quadro affettivo
collegato alla malattia, anche se alcuni Autori ne hanno sostenuto una genesi reattiva o un'origine
endogena concomitante ma separata [Pavan, et al. 1999]. Pertanto la depressione nella malattia
di Parkinson è stata attribuita da parte di alcuni ricercatori alle conseguenze della diminuita
capacità di movimento e al generale stato di stress conseguente a tale inabilità; da parti di altri,
invece, a una diminuita capacità di risposta del sistema serotoninergico [Sano, et al., 1991]. I
pazienti depressi con Parkinson mostrano livelli dei metaboliti della serotonina più bassi di quanto
non accada ai pazienti con Parkinson non depressi. La ridotta attività nella corteccia prefrontale
suggerisce inoltre che l'alterazione dell'umore è associata a un danno a carico dei lobi frontali. Il
fenomeno è stato ampiamente studiato, anche la letteratura più recente oltre a confermare una
più alta incidenza di depressione in pazienti affetti da morbo di Parkinson rispetto alla
popolazione di controllo, riporta dati a supporto dell'ipotesi neurobiologica nell'origine della
depressione nella malattia di Parkinson [Mc Donald, et al., 2003 ; Leentjens, et al., 2003]. Sono
abbastanza comuni anche i disturbi ansiosi, per lo più disturbi fobici, come irrazionale paura di
cadere e fobie sociali, ma anche quadri di ansia generalizzata e attacchi di panico. Frequenti i
disturbi psicotici quali allucinazioni specie visive e disturbi del pensiero, attribuiti alla terapia
farmacologica. I Parkinsonismi Esistono forme cliniche che per molti aspetti assomigliano alla
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malattia di Parkinson, ma in realtà non lo sono. Negli ultimi 10-15 anni un crescente interesse ha
suscitato lo studio di queste forme particolari e la caratterizzazione clinica e patologica. Il
bagaglio di conoscenza così accumulato e l'avvento di nuove metodiche strumentali permette
oggi di essere più precisi nel diagnosticare casi di parkinsonismo che in passato venivano
classificati come morbo di Parkinson. Un dubbio diagnostico va posto quando la modalità
d'esordio è tipicamente monolaterale o sono presenti sintomi atipici, quando il decorso è rapido
ed invalidante e quando non vi è buona risposta alla levodopa. I parkinsonismi possono essere
suddivisi in due gruppi principali: uno cosiddetto sintomatico (o secondario) in cui è riconoscibile
una causa; l'altro definito primitivo, in cui la causa rimane sconosciuta.
Parkinsonismi primitivi - a causa sconosciuta:
Malattia di Parkinson idiopatica (PD)
Atrofia Multisistemica (MSA)
Atrofia Olivo-Ponto-Cerebellare
Malattia di Shy-Drager
Degenerazione Striato-Nigrica (SND)
Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP)
Degenerazione Cortico-Basale (CBD) •Malattia a corpi di Lewy diffusi
Parkinsonismi secondari - a causa conosciuta:
Parkinsonismo Vasculopatico
Parkinsonismo da Farmaci
Parkinsonismo da Neurotossine
Parkinsonismo Post-Traumatico
Parkinsonismo da Idrocefalo Normoteso
Parkinsonismo Post-encefalitico
Parkinsonismo associato ad altre malattie neurologiche primitive
Parkinsonismo Dismetabolico Fra tutti i parkinsonismi la malattia di Parkinson è quella più
diffusa, rappresentando circa il 65-70% di tali malattie.
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