Appunti - Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica

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Appunti - Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica
STATISTICA ECONOMICA
Modulo II
Metodi e modelli
Prof. Bruno Bracalente
APPUNTI
(per gli studenti dei corsi ad esaurimento)
1
SCHEDA 1
Analisi della produttività: introduzione e indici di produttività parziale generica
La misura della produttività esprime in modo sintetico la maggiore o minore capacità di
trasformare gli input in output in un qualsiasi processo produttivo.
Definizione di produttività: rapporto tra il risultato dell’attività produttiva e i fattori
impiegati per ottenerla.
In senso stretto, produttività non è sinonimo di efficienza. L’efficienza esprime infatti il
grado di aderenza del processo produttivo osservato ad uno standard di ottimalità,
ovvero al massimo output ottenibile impiegando determinate quantità di input, data la
tecnologia di produzione (funzione di produzione).
Definizione di efficienza: rapporto tra output realizzato dal processo di produzione
osservato e output massimo ottenibile, data la tecnologia di produzione, impiegando le
stesse quantità di input in modo efficiente.
Esempio: funzione di produzione con un solo input e rendimenti di scala decrescenti.
Punti A e B: efficienza massima in entrambi i casi, ma produttività maggiore in A;
punti C e B: stessa produttività, ma solo in B c’è efficienza.
Se la funzione di produzione fosse quella indicata dalla retta tratteggiata (omogenea di
primo grado e quindi a rendimenti di scala costanti), allora ci sarebbe corrispondenza
tra produttività ed efficienza. Di conseguenza, la produttività è indicatore
approssimativo di efficienza se il processo produttivo è caratterizzato da rendimenti di
scala non fortemente variabili.
Si possono definire indici di produttività parziale (considerano un solo fattore
produttivo alla volta, lavoro o capitale) e indici di produttività globale o totale
(considerano congiuntamente i diversi fattori produttivi, in particolare lavoro e
capitale). In entrambi i casi è rilevante soprattutto la misura delle variazioni nel tempo
della produttività. Inoltre, le misure di produttività possono riguardare singole imprese
(nel qual caso si possono esprimere anche in termini fisici) o aggregati di imprese in
2
branche di attività o addirittura l’intera economia (nel qual caso dovranno essere
espresse in valore). Nel seguito verrà trattato soltanto il caso aggregato.
Misura dell’output
La misura dell’output dipende da quali input vengono considerati:
- se si considerano sia i fattori primari che le materie prime e i beni intermedi, la
misura più adeguata è la produzione totale;
- se si considerano soltanto i fattori primari (lavoro e capitale), la misura più
adeguata dell’output è il valore aggiunto (al costo dei fattori).
Per coerenza con le misure dell’output, anche le misure degli input dovrebbero essere
espresse in termini di flusso (ore di lavoro, servizi resi dallo stock di capitale). In
genere si adotta però l’ipotesi che i flussi di servizi produttivi siano proporzionali agli
stock. Così la misura dell’input di lavoro è in genere costituita dal numero di ULA,
unità di lavoro standard, mentre la misura dell’input di capitale è il valore dello stock di
capitale netto.
Misura dell’input di lavoro (vedi MOD. I)
Misura dell’input di capitale (vedi MOD. I)
Produttività parziale generica del lavoro e del capitale.
Notazione:
Y : valore aggiunto a prezzi costanti;
L : misura del lavoro impiegato nel processo produttivo (n. ULA);
K : stock di capitale netto a prezzi costanti.
Produttività parziale generica del lavoro ( π L) e del capitale ( π K):
Y
(prodotto per unità di lavoro)
L
Y
πK=
(prodotto per unità di capitale)
K
Indice della variazione della produttività generica del lavoro e del capitale (dal tempo 0
al tempo 1):
πL=
Iπ L =
π L1 Y1 / L1 Y1 / Y0
IY
=
=
=
;
π L 0 Y0 / L0 L1 / L0
IL
Iπ
Y /Y
π K 1 Y1 / K 1
IY
=
= 1 0 =
.
π K 0 Y0 / K 0 K 1 / K 0
IK
K
=
Se si conosce il numero medio annuo di ore di lavoro (h) e il grado di utilizzazione
degli impianti (u), o la loro variazione nel tempo (Ih e Iu), si possono definire misure
3
“corrette” della produttività del lavoro e del capitale, o delle variazioni nel tempo, che
tengono conto dell’effettivo impiego dei fattori produttivi primari.
Produttività oraria del lavoro:
π Lh =
π
Y
= L ;
Lh
h
I π Lh =
π L1 / h1
Iπ L
=
.
π L 0 / h0
Ih
Se Ih=1 i due indici coincidono; se Ih>1 l’indice I π L sovrastima l’effettiva variazione
della produttività del lavoro, e viceversa.
Produttività del capitale corretta per il grado di utilizzazione degli impianti:
π Ku =
π
Y
= K ;
Ku
u
Iπ
π K 1 / u1
Iπ
= K .
π K 0 / u0
Iu
Ku
=
Se Iu=1 i due indici coincidono; se Iu>1 l’indice I π
della produttività del capitale, e viceversa.
K
sovrastima l’effettiva variazione
Misura del grado di utilizzazione della capacità produttiva
Il grado di utilizzazione della capacità produttiva è dato dal rapporto tra la produzione
effettiva e quella potenziale o massima ottenibile.
I metodi utilizzabili sono di due tipi: a) misure fondate su indagini dirette presso le
imprese; b) misure indirette, basate su fenomeni collegati alla capacità produttiva.
Indagini presso le imprese. Con tali indagini si chiede ad un campione di imprese di
esprimere un giudizio sul grado di utilizzo degli impianti, in genere facendo scegliere
tra una serie di giudizi qualitativi prefissati, del tipo “insufficiente”, “sufficiente”, “più
che sufficiente”. Si tratta dunque:
- di giudizi soggettivi, forniti dagli operatori economici sulla base di numerose
considerazioni soggettive e senza che sia esplicitato lo stesso concetto di
capacità produttiva (con evidenti possibilità di approssimazioni ed errori);
- di giudizi qualitativi e non di valutazioni quantitative della percentuale di
utilizzazione degli impianti.
Misure basate su fenomeni collegati alla capacità produttiva. Una di queste misure
deriva dal cosiddetto metodo della Wharton School (Klein, Summers), che consiste nel
rapportare la produzione effettiva alla produzione massima ottenibile in condizioni
operative normali dallo stock di capitale esistente, nel presupposto che la domanda non
rappresenti un fattore limitativo.
Il metodo richiede la conoscenza delle sole serie dei numeri indice della produzione
industriale (per classi o categorie di attività) e si fonda sulla ipotesi che ai punti di
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massimo relativo corrisponda una situazione di piena utilizzazione della capacità
produttiva.
Il metodo passa attraverso diverse fasi:
- in primo luogo occorre procedere alla destagionalizzazione delle serie storiche
degli indici mensili, in modo da eliminare le anomalie dovute alla stagionalità
(e la componente accidentale);
- si ipotizza che nei punti di massimo relativo individuati sulle serie
destagionalizzate si abbia piena utilizzazione della capacità produttiva;
- si ipotizza che da un punto di massimo relativo all’altro la capacità produttiva
evolva linearmente e quindi si congiungono detti punti mediante una spezzata;
- date le ipotesi precedenti, per ogni punto del tempo il grado di utilizzazione
degli impianti si ottiene rapportando il valore osservato dell’indice della
produzione industriale per il valore teorico corrispondente all’ordinata della
spezzata.
I principali limiti del metodo sono:
- i punti di massimo relativo non è detto corrispondano necessariamente a
situazioni di piena utilizzazione della capacità produttiva;
- non è detto che l’andamento della capacità produttiva tra picchi sia lineare,
specialmente se il periodo è lungo;
- la spezzata che unisce i punti di massimo relativo non copre l’intero periodo
osservato e quindi occorre procedere ad estrapolazioni, con incertezze che
riguardano proprio il periodo più recente.
Indici di produttività globale: metodo di Kendrick o delle variazioni relative
Gli indici di produttività globale sono definiti come rapporto tra l’output e gli input di
lavoro e capitale congiuntamente considerati.
Il problema che si pone è quello dell’aggregazione degli input. In particolare, la misura
della variazione della produttività globale sarà data dal rapporto tra l’indice della
variazione dell’output IY e una funzione degli indici della variazione degli input di
lavoro e capitale IL e IK.
L’indice di Kendrick richiede la definizione delle produttività specifiche del lavoro e
del capitale.
A partire dalla suddivisione dell’output in una quota che remunera il lavoro, α Y, e in
una che remunera il capitale (1- α )Y , ovvero:
Y = α Y + (1- α )Y
le produttività specifiche del lavoro e del capitale sono date dai seguenti rapporti:
PL = w =
PK = r =
αY
L
;
(1 − α )Y
.
K
5
PL e PK rappresentano, rispettivamente, il saggio di remunerazione del lavoro (PL = w)
e del capitale (PK = r).
A partire dalle definizioni precedenti si può scrivere:
Y = α Y + (1- α )Y = PL L + PK K .
Pertanto, al tempo 0 e al tempo 1 si può scrivere, rispettivamente:
Y0 = PL 0 L0 + PK 0 K0 ;
Y1 = PL 1 L1 + PK 1 K1
.
Supponendo che la tempo 1 restino costati le produttività specifiche del lavoro e del
capitale dell’anno base, si può definire il seguente prodotto fittizio ( Y1* ):
Y1* = PL 0 L1 + PK 0 K1
.
L’indice della produttività globale di Kendrick è dato dal rapporto tra il prodotto
effettivo e quello fittizio:
Y1
.
Y1*
Dividendo numeratore e denominatore per Y0, si ha:
IPG(K) =
IPG(K) =
Y1 : Y0
.
PL 0 L1 PK 0 K 1
+
Y0
Y0
Poiché
PL α
=
Y
L
e
PK (1 − α )
=
Y
K
si ha :
IY
IPG(K) =
α
=
L1
K
+ (1 − α ) 1
L0
K0
IY
.
αIL + (1 − α ) IK
Dalla espressione
6
IPG(K) =
Y1
Y1*
e poiché PL = w e PK = r, l’indice di Kendrick può essere espresso anche nel modo
seguente
IPG(K) =
w1 L1 + r1 K 1
.
w0 L0 + r0 K 0
Ovvero come indice di Paasche delle variazioni dei saggi di remunerazione dei fattori
primari (o delle produttività specifiche del lavoro e del capitale).
Determinazione di α
La contabilità nazionale (conto della generazione del reddito) fornisce la distribuzione
del valore aggiunto al costo dei fattori tra il reddito da lavoro dipendente e gli altri
redditi (risultato lordo di gestione e redditi misti). Per determinare la quota di reddito
spettante al lavoro occorre fare una ipotesi sul reddito da lavoro autonomo,
enucleandolo dai redditi misti e aggiungendolo al reddito da lavoro dipendente.
L’ipotesi è che la parte di reddito dei lavoratori autonomi corrispondente alla loro
partecipazione come lavoratori alla attività produttiva abbia la stessa remunerazione
unitaria dei lavoratori dipendenti.
Indichiamo con:
Wp : reddito interno da lavoro dipendente;
Ld : unità di lavoro dipendenti;
L : unità di lavoro totali.
Il reddito unitario da lavoro, posto pari al reddito unitario da lavoro dipendente, è dato
da:
w=
WP
.
Ld
Il reddito da lavoro è pertanto dato da w L e quindi:
α=
wL
Y
Indici di produttività globale: metodo di Solow
A differenza dell’indice di Kendrick (che fa riferimento solo in modo implicito ad una
funzione di produzione che rappresenta il legame tra gli input e l’output), l’indice di
Solow fa esplicito riferimento alla seguente funzione di produzione:
Y= A(t) L α K(1- α )
Si tratta di una funzione di produzione di tipo Coob-Douglas, con rendimenti di scala
costanti (funzione omogenea di grado 1).
7
A(t) rappresenta il progresso tecnico assunto di tipo neutrale, cioè tale da far variare
l’output ottenibile dal processo produttivo senza che vi siano modificazioni nei saggi
marginali di sostituzione tra i fattori produttivi;
α misura l’elasticità della produzione rispetto al lavoro, cioè la variazione percentuale
del
volume di prodotto corrispondente alla variazione percentuale unitaria della
quantità di lavoro impiegato;
1- α misura l’elasticità della produzione rispetto al capitale.
In regime di concorrenza perfetta (e con una funzione di produzione omogenea di grado
1) α e 1- α corrispondono alle quote di prodotto che spettano, rispettivamente, al
lavoro e al capitale.
Seguendo un procedimento analogo a quello visto per l’indice di Kendrick, l’indice
della produttività globale di Solow può essere ottenuto rapportando il valore effettivo
del prodotto al tempo 1 e quello che si sarebbe ottenuto con i livelli di progresso
tecnico del tempo 0 (e nella ipotesi che α resti costante):
IPG(S) =
Y1
A(0) Lα1 K 1(1−α )
Dividendo numeratore e denominatore per Y0 si ha:
IPG(S) =
IY
A(0) Lα1 K 1(1−α )
A(0) Lα0 K 0(1−α )
IY
IL IK (1−α )
Più direttamente, l’indice di produttività globale di Solow è l’indice della variazione del
progresso tecnico A(t) dal tempo base al tempo corrente, ottenibile a partire dalla
funzione di produzione nel modo seguente:
=
α
Y0 = A(0) Lα0 K 0(1−α ) ; Y1 = A(1) Lα1 K 1(1−α )
IY =
Y1
A(1) Lα1 K 1(1−α )
=
= IA * ILα IK (1−α )
α
(1−α )
Y0 A(0) L0 K 0
IPG ( S ) = IA =
IY
IL IK (1−α )
α
Relazione tra gli indici di Kendrick e di Solow.
Entrambi gli indici di produttività globale sono definiti come rapprorto tra IY e una
media ponderata di IL e IK, con pesi dati rispettivamente da α e (1- α ): la media
aritmetica nel caso dell’Indice di Kendrick, la media geometrica nel caso dell’indice di
Solow. Poiché la media geometrica è sempre minore o uguale alla media aritmetica
(con una differenza crescente al crescere della variabilità degli elementi), si ha:
IPG(K) ≤ IPG(S)
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Relazione tra l’indice di Solow e la variazione della produttività generica del lavoro.
Dividendo numeratore e denominatore dell’espressione precedente per IL si ha:
IPG(S) =
=
dove k =
IY : IL
ILα IK (1−α )
IL
Iπ L
Iπ
= (1−Lα )
(1−α )
( IK : IL)
Ik
K
(intensità di capitale).
L
Se IK = IL si ha IPG(S) = I π L. Se invece IK > IL si ha IPG(S) < I π L (e viceversa): I π L
sovrastima la vera variazione della produttività (globale) del sistema, perché non tiene
conto del fatto che sulla variazione del prodotto ha influito una più forte variazione
dell’input non considerato (K).
Calcolo di una serie di numeri indici del progresso tecnico.
Calcolati, tramite la formula già nota, gli indici della variazione della produttività
globale di Solow (IPG(S) = IA) per una serie di anni, ogni volta ricalcolando anche il
parametro α , la corrispondente serie di numeri indici del progresso tecnico può essere
determinata, una volta posto pari a 1 il valore dell’indice di un anno base (A(0) = 1),
applicando la seguente formula ricorrente:
A(t) = A(t-1) * IA(t) .
Oppure, sempre ponendo A(0) = 1, la serie di numeri indici può essere determinata a
∆A
partire da
, calcolata sulla base di una delle scomposizioni precedenti, applicando
A(t )
la formula seguente:
A(t) = A(t-1) * (1+
∆A
).
A(t )
9
SCHEDA 2
La contabilità della crescita: scomposizione della variazione relativa dell’output
La contabilità della crescita è strettamente legata all’analisi della produttività totale dei
fattori. Il suo obiettivo è quello di scomporre la variazione relativa dell’output in tre
componenti additive, riconducibili, rispettivamente:
- alla variazione relativa dell’input di lavoro;
- alla variazione relativa dell’input di capitale;
- ad un residuo, misura della variazione di produttività totale dei fattori o
progresso tecnico.
Data la ricordata stretta analogia con l’analisi della produttività totale dei fattori, la
scomposizione indicata può essere realizzata secondo due approcci: uno fondato sul
metodo delle variazioni relative (Kendrick), l’altro fondato sul metodo di Solow
(SCHEDA 3).
Dal procedimento che conduce all’indice della produttività globale di Kendrick
riprendiamo alcune scomposizioni e definizioni:
- la suddivisione dell’output in una quota che remunera il lavoro, α Y, e in una che
remunera il capitale (1- α )Y :
Y = α Y + (1- α )Y ;
- le produttività specifiche del lavoro (PL) e del capitale (PK):
PL = w =
PK = r =
αY
L
;
(1 − α )Y
K
dove L e K rappresentano, rispettivamente, il lavoro impiegato nel processo produttivo
(numero di ULA) e lo stock di capitale netto.
A partire dalle definizioni precedenti si può scrivere:
Y = α Y + (1- α )Y = PL L + PK K .
Pertanto, al tempo 0 si può scrivere:
Y 0 = PL 0 L 0 + P K 0 K 0 ;
Supponendo che la tempo 1 restino costati le produttività specifiche del lavoro e del
capitale dell’anno base, si può definire il seguente prodotto fittizio ( Y1* ):
Y1* = PL 0 L1 + PK 0 K1
.
10
La variazione assoluta dell’output può essere espressa nel modo seguente:
∆ Y = Y1 - Y0 = ( Y1* - Y0) + (Y1 - Y1* )
Poiché Y0 = α Y0 + (1- α )Y0 e Y1* può essere scritto nel modo seguente:
Y1* = PL 0 L1 + PK 0 K1= α Y0
L1
K
+ (1- α )Y0 1
L0
K0
si ha
∆ Y = α Y0 (
L1
K
-1)+ (1- α )Y0 ( 1 -1) + (Y1 - Y1* )
L0
K0
= α Y0
∆L
∆K
+ (1- α )Y0
+ (Y1 - Y1* )
L0
K0
Da cui la variazione relativa dell’output:
Y −Y*
∆Y
∆L
∆K
= α
+ (1- α )
+ 1 1
Y0
L0
Y0
K0
∆Y
∆L
∆K + RES
= α
+ (1- α )
Y0
L0
K0
RES =
∆Y
∆L
∆K ]
- [α
+ (1- α )
Y0
L0
K0
La misura della variazione di produttività congiunta o progresso tecnico è data dalla
differenza tra la variazione relativa dell’output e la media ponderata delle variazioni
relative degli input lavoro e capitale con pesi pari alle quote di prodotto che
remunerano i due fattori.
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SCHEDA 3
Scomposizione del tasso di variazione dell’output secondo il metodo di Solow
Anche a partire dalla Y = A(t) L α K(1- α ) si perviene ad una scomposizione della
variazione relativa del prodotto in tre componenti simili a quelle viste in precedenza.
Derivando rispetto a t si ottiene, infatti:
dY dA(t ) α (1−α )
dL 1−α
dK
L K
=
+ A(t )αL(α −1)
K + A(t ) Lα (1 − α ) K −α
.
dt
dt
dt
dt
Dividendo tutto per Y e moltiplicando e dividendo il secondo addendo per L e il terzo
per K si ottiene:
dY 1 dA(t ) 1
dL 1
dK 1
=
+α
+ (1 − α )
.
dt Y
dt A(t )
dt L
dt K
Nel continuo, il tasso di variazione del prodotto è dunque scomponibile nella media
ponderata dei tassi di variazione degli input primari, più il tasso di variazione della
misura del progresso tecnico.
Nel discreto, ovvero in termini di differenze finite, si può scrivere:
∆Y
∆L
∆A
∆K
= α
+ (1- α )
+
.
Y0
L0
A0
K0
In pratica, si ottiene la stessa scomposizione ottenuta con il metodo delle variazioni
relative, con
∆A Y1 − Y1*
=
.
A0
Y0
Scomposizione del tasso di variazione della produttività del lavoro.
In modo del tutto analogo, il metodo di Solow consente di scomporre la variazione
della produttività del lavoro in due componenti additive: una imputabile alla variazione
del capitale per addetto, l’altra al progresso tecnico.
Dividendo per L la Y = A(t) L α K(1- α ) , si ottiene:
Y
K
= A(t )( )1−α
L
L
ovvero
π L = A(t) k(1- α ) .
Derivando rispetto a t, dividendo tutto per π L e moltiplicando e dividendo il secondo
addendo per k (in modo del tutto analogo alla scomposizione precedente) si ottiene:
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dπ L dA(t ) 1
dk 1
.
=
+ (1 − α )
dt
dt A(t )
dt k
In termini di differenze finite:
∆π L
π L0
= (1 − α )
∆k ∆A
+
.
k 0 A0
La variazione relativa della produttività del lavoro è dunque pari a (1- α ) per la
variazione relativa del capitale per addetto (intensità di capitale) più una componente
imputabile alla variazione relativa del progresso tecnico.
La qualità degli input produttivi
Nelle analisi di contabilità della crescita fondate sui metodi illustrati un aspetto
importante, capace di condizionare notevolmente i risultati, è costituito dalla
considerazione o meno della composizione qualitativa degli input produttivi. Infatti, se
le variazioni di tale composizione non viene presa in considerazione nella misurazione
degli input produttivi, i relativi effetti si scaricano sul residuo, distorcendo la misura
del contributo alla crescita attribuito al progresso tecnico (o produttività totale dei
fattori). Ad esempio, il miglioramento della composizione dell’occupazione con
riferimento alla scolarità comporterà un incremento di output, ma se l’input di lavoro è
misurato come semplice variazione del numero di unità di lavoro tale incremento sarà
attribuito al progresso tecnico e non all’input di lavoro.
Per tenere conto dei miglioramenti di qualità dell’input di lavoro occorre partire dalla
classificazione della occupazione per qualifica, grado di istruzione o altro carattere
riconducibile alla qualità del lavoro. Indichiamo con:
Lh1 e Lh0 : l’input di lavoro della qualifica h nell’anno corrente e nell’anno base;
wh0 : il saggio unitario di remunerazione degli occupati della qualifica h nell’anno base, assunto
come parametro rappresentativo della qualità del lavoro.
Il rapporto
(c)
IL =
∑L
∑L
h1
w h0
h0
w h0
h
h
misura la variazione del volume di lavoro impiegato tenendo, oltre che della variazione del
numero di unità di lavoro, anche della eventuale variazione della composizione qualitativa. Esso
non è altro che un numero indice (di tipo Laspeyres) della variazione dell’occupazione
classificata per qualifica ponderata con i saggi unitari di remunerazione dell’anno base. Il suo
valore sarà maggiore di uno non solo quando si osserva un incremento del numero complessivo
di unità di lavoro, ma anche quando - a parità di unità di lavoro (o persino in caso di diminuzione)
– si osserva una modificazione della composizione dell’occupazione a vantaggio di qualifiche più
elevate, ovvero a maggiore remunerazione unitaria.
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Analogamente per l’input di capitale, una volta classificato per categorie di beni capitali a diverso
saggio di remunerazione. Indichiamo con:
Kh1 e Kh0 : l’input di capitale della categoria h nell’anno corrente e nell’anno base;
rh0 : il saggio di remunerazione del capitale della categoria h nell’anno base, assunto come
parametro rappresentativo della qualità del capitale.
Il rapporto
(c)
IK =
∑K
∑K
r
h1 h0
h
r
h0 h0
h
misura la variazione del volume di capitale impiegato tenendo conto, oltre che della variazione
dello stock di capitale, anche della eventuale variazione della sua composizione qualitativa.
Calcolo di una serie di numeri indici del progresso tecnico.
Calcolati, tramite la formula già nota, gli indici della variazione della produttività
globale di Solow (IPG(S) = IA) per una serie di anni, ogni volta ricalcolando anche il
parametro α , la corrispondente serie di numeri indici del progresso tecnico può essere
determinata, una volta posto pari a 1 il valore dell’indice di un anno base (A(0) = 1),
applicando la seguente formula ricorrente:
A(t) = A(t-1) * IA(t) .
Oppure, sempre ponendo A(0) = 1, la serie di numeri indici può essere determinata a
∆A
partire da
, calcolata sulla base di una delle scomposizioni precedenti, applicando
A(t )
la formula seguente:
A(t) = A(t-1) * (1+
∆A
).
A(t )
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SCHEDA 4
Le componenti della crescita economica
Il tasso di crescita del prodotto interno lordo (o del Pil per abitante) è l’indicatore più utilizzato
per misurare la crescita economica. L’intensità della crescita può anche essere analizzata più in
profondità in modo da identificare i fattori che vi hanno maggiormente contribuito. Il Pil per
abitante può infatti essere visto come il prodotto di diverse componenti, a partire dalle due
componenti fattoriali classiche, che sono la produttività, intesa come prodotto per occupato, e
il tasso di occupazione della popolazione. Se indichiamo con Yp, L e P rispettivamente il
prodotto interno lordo, il numero di occupati, per ora senza ulteriori specificazioni, e la
popolazione residente possiamo infatti scrivere:
Yp Yp L
=
,
P
L P
dove Yp/L e L/P possono essere considerate prime misure, rispettivamente, della produttività
del lavoro e del tasso di occupazione. Data tale scomposizione moltiplicativa in due
componenti, ci si può dunque chiedere in che misura l’una e l’altra abbiano contribuito a
determinare la crescita del Pil per abitante.
Prima di vedere come si può scomporre la crescita nelle sue componenti, occorre tuttavia
rilevare che né il primo, né il secondo indicatore possono essere considerati misure corrette
delle rispettive componenti. Per definire correttamente sia la produttività che il tasso di
occupazione occorrono infatti due misure diverse dell’occupazione. Una che misuri l’input di
lavoro impiegato nel processo produttivo, alla quale rapportare il Pil per calcolare la
produttività; un’altra che misuri l’ammontare di popolazione residente che possiede
un’occupazione, attraverso cui calcolare il tasso di occupazione della popolazione. Nel sistema
delle statistiche economiche italiane queste misure dell’occupazione sono stimate
rispettivamente nell’ambito della CN (le ULA) e dell’indagine sulle forze di lavoro (gli
occupati residenti).
Inoltre, il tasso di occupazione in genere non si calcola sulla intera popolazione residente, ma
su quella in età di lavoro (15-64 anni) in modo da depurarlo da fattori puramente demografici,
come la composizione per età della popolazione residente.
Specifichiamo allora che indichiamo con
L : occupati residenti;
e aggiungiamo alle precedenti notazioni le seguenti:
LU : unità di lavoro;
Pl : popolazione in età di lavoro (15-64 anni).
La scomposizione del Pil per abitante assume dunque la seguente forma:
Yp Yp L U L Pl
=
,
P L U L Pl P
che per maggiore semplicità riscriviamo con le seguenti nuove notazioni:
ψ=π⋅χ⋅λ⋅δ
dove
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ψ = Yp/P è il Pil per abitante;
π = Yp/LU è la misura della produttività dell’intero sistema economico1;
λ = L/Pl è il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro;
δ = Pl/P è la quota sul totale della popolazione in età di lavoro;
χ = LU/L è infine un indicatore composito che esprime i due aspetti del passaggio dagli
occupati residenti stimati con l’indagine sulle forze di lavoro alle ULA stimate nell’ambito
della CN. Vediamo meglio questo aspetto.
Indicati con LI gli occupati interni, si può scrivere LU/L = (LU/LI) (LI/L), dove la componente
LI/L si riferisce al primo passaggio, dagli occupati residenti a quelli interni, e quindi è
riconducibile alla rilevanza del lavoro dei non residenti. L’altra componente (LU/LI) si riferisce
invece al passaggio dagli occupati interni alle ULA, tenendo conto dell’effetto del doppio
lavoro da un lato e del part-time dall’altro, e quindi esprime l’intensità del lavoro degli
occupati interni. Nella scomposizione del Pil per abitante le due componenti potrebbero essere
considerate separatamente, cosa che qui non viene fatta per non appesantire ulteriormente la
scomposizione.
Completata la scomposizione del Pil per abitante, vediamo ora come il tasso di crescita medio
annuo (o anche cumulato) di questo indicatore in un determinato periodo di tempo, in generale
dall’anno 0 all’anno t, può essere approssimativamente scomposto nella somma dei tassi di
crescita delle precedenti componenti moltiplicative.
L’equazione che descrive la scomposizione del Pil per abitante nelle sue quattro componenti
ovviamente è valida sia al tempo 0 che al tempo t. Rapportando l’equazione del tempo t a
quella del tempo 0 si può pertanto scrivere:
ψ t π t χ t λt δ t
=
.
ψ 0 π 0 χ 0 λ0 δ 0
Sulla base dell’equazione del paragrafo precedente relativa ad una grandezza X qualsiasi: X0
(1+ g 0,t )t = Xt , da cui Xt/X0 = (1+ g 0,t )t , ognuno di tali rapporti può ora essere espresso in
termini del proprio tasso di variazione medio annuo, nel modo seguente:
ψt
π
χ
λ
δ
= (1+ gψ )t ; t = (1+ g π )t ; t = (1+ g χ )t ; t = (1+ g λ )t ; t = (1+ g δ )t
ψ0
π0
χ0
λ0
δ0
Vale quindi anche la seguente relazione:
(1+ gψ )t = (1+ g π )t (1+ g χ )t (1+ g λ )t (1+ g δ )t
e dunque, elevando entrambi i membri ad 1/t, anche la seguente:
(1+ gψ ) = (1+ g π ) (1+ g χ ) (1+ g λ ) (1+ g δ )
da cui:
gψ = g π + g χ + g λ + g δ + ( g π g χ +…+ g λ g δ + g π g χ g λ +…+ g χ g λ g δ +
1
A rigore, al numeratore andrebbe considerato il valore aggiunto al costo dei fattori e non il Pil ai prezzi di
mercato, che comprende l’imposizione indiretta netta.
16
+ g π g χ g λ g δ ).
La parte tra parentesi, che esprime le interazioni tra le componenti, può essere trascurata
poiché è costituita da prodotti di due o tre o quattro tassi di variazione ognuno dei quali ha un
ordine di grandezza di qualche decimale.
Vale dunque la seguente espressione approssimata:
gψ ≅ g π + g χ + g λ + g δ ,
che ci permette di esprimere il tasso di variazione medio annuo (o, analogamente, quello
cumulato) del Pil per abitante come somma dei corrispondenti tassi di variazione delle sue
componenti moltiplicative.
Se si intende scomporre la crescita del Pil, e non del Pil per abitante, l’espressione iniziale
ovviamente sarà:
Yp =
Yp L U L Pl
P
L U L Pl P
e quella finale di conseguenza diventa:
g y ≅ gπ + g χ + g λ + gδ + g p
dove g y e g p sono, rispettivamente, il tasso di crescita medio annuo del Pil e quello della
popolazione residente.
ESERCIZIO
Nella tabella seguente sono riportati gli aggregati relativi all’economia italiana nel 1995 e nel
2005 necessari per scomporre la crescita del Pil per abitante nelle sue componenti:
Aggregati
Pil (milioni di euro; valori concatenati - anno 2000)
Unità di lavoro (migliaia)
Occupati residenti (migliaia)
Popolazione residente di 15-64 anni (migliaia)
Popolazione residente (migliaia)
1995
2005
1083771
22487.7
22240
39090
56844.3
1232773
24329.0
22563
38645
58607.0
a) Calcolare il tasso di variazione medio annuo del Pil per abitante nel decennio considerato;
b) scomporre tale tasso di variazione nella somma dei tassi di variazione delle sue quattro
componenti.
Soluzione:
a) Calcoliamo prima il Pil per abitante e le sue quattro componenti moltiplicative sia nel 1995
che nel 2005.
17
Per il 1995:
Pil per abitante:
ψ = 1083771/56844.3 = 19.066
Produttività:
π = 1083771/22487.7 = 48.194
Rapporto LU/L:
χ = 22487.7/22240 = 1.011
Tasso di occupazione:
λ = 22240/39090 = 0.569
Indicatore demografico: δ = 39090/56844.3 = 0.688
Analogamente per il 2005:
ψ = 21.035
π = 50.671
χ = 1.078
λ = 0.584
δ = 0.659
Ora possiamo calcolare i tassi di variazione del Pil per abitante e delle sue quattro componenti:
gψ = (21.035/19.066)1/10 -1 = 0.010
g π = (50.671/48.194)1/10 -1 = 0.005
g χ = (1.078/1.011)1/10 -1 = 0.006
g λ = (0.584/0.569)1/10 -1 = 0.003
g δ = (0.659/0.688)1/10 -1 = -0.004.
La scomposizione è pertanto la seguente:
0.010 = 0.005 + 0.006 + 0.003 – 0.004.
18
SCHEDA 5
La scomposizione dei divari di sviluppo economico tra paesi
I divari di sviluppo economico tra paesi vengono generalmente misurati confrontando il
prodotto interno lordo per abitante a parità di potere d’acquisto. Utilizzando la notazione
introdotta nel capitolo precedente, se indichiamo con ψr e ψµ il prodotto interno lordo per
abitante (a parità di potere d’acquisto) del paese r e quello medio di un insieme di paesi (ad
esempio i paesi europei), una misura del divario del Pil per abitante del paese r rispetto alla
media può essere definita analogamente al tasso di variazione nel tempo, nel modo seguente
(eventualmente moltiplicato per 100 per esprimerlo in percentuale):
drψ =
ψr
- 1.
ψµ
La scomposizione del Pil per abitante illustrata nel capitolo precedente può essere utilizzata
anche per analizzare le componenti dei divari di sviluppo tra paesi, ovvero per valutare il
contributo al divario complessivo dei divari di produttività, di tassi di occupazione, ecc.
L’unica differenza sta nel fatto che nell’ambito dei sistemi di CN dei paesi europei non
vengono calcolate le ULA, ma soltanto gli occupati interni (e quindi invece di LU si dovrà
utilizzare LI).
Sia ψr che ψµ possono dunque essere scomposti nelle quattro componenti moltiplicative, nel
modo seguente:
ψr = πr ⋅ χr ⋅ λr ⋅ δr
ψµ = πµ ⋅ χµ ⋅ λµ ⋅ δµ
dove (per il paese r):
ψr è il Pil per abitante a parità di potere d’acquisto;
πr è la produttività del lavoro (sempre a parità di potere d’acquisto);
λr è il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro;
δr è la quota sul totale della popolazione in età di lavoro;
χr = LI/L è il rapporto tra occupati interni, stimati nell’ambito della CN, e gli occupati residenti,
stimati con l’indagine armonizzata sulle forze di lavoro.
Rapportiamo la prima equazione (relativa al paese r) alla seconda (relativa all’insieme dei
paesi):
ψ r π r χ r λr δ r
=
ψ µ π µ χ µ λµ δ µ
Analogamente a drψ, che come appena visto indica il divario relativo tra il paese r e la media
dei paesi in termini di Pil per abitante, indichiamo con drπ , drχ, drλ e drδ i divari relativi, sempre
tra il paese r e la media dei paesi, in termini di ognuna delle quattro componenti del Pil per
abitante. Possiamo quindi scrivere la seguente relazione:
(1+ drψ) = (1+ drπ) (1+ drχ) (1+ drλ) (1+ drδ )
da cui si ottiene:
19
drψ = drπ + drχ + drλ + drδ + (drπ drχ + ... + drλ drδ + drπ drχ drλ + ... + drχ drλ drδ +
+ drπ drχ drλ drδ).
Nell’analisi dei divari di sviluppo economico tra paesi, specialmente quando tali divari sono
notevoli, la parte tra parentesi, che esprime le interazioni tra le componenti, non sempre può
essere però trascurata (come invece si è potuto fare nell’analisi della crescita). In particolare,
quando i divari rispetto alla media delle diverse componenti sono tutti, o almeno quelli più
rilevanti, dello stesso segno e di notevole entità (del 10 o 20 per cento, ad esempio), il che non
è infrequente per i paesi a più elevato sviluppo o per quelli particolarmente in ritardo, la
somma dei prodotti tra gli indici di divario relativo delle componenti può infatti essere
dell’ordine di alcuni punti decimali. La scomposizione del divario relativo di Pil per abitante
rispetto alla media è in definitiva data dalla espressione seguente:
drψ = drπ + drχ + drλ + drδ + ε
dove ε è un residuo che esprime l’effetto delle interazioni tra le quattro componenti del Pil per
abitante.
ESERCIZIO
Nella tabella seguente sono riportati gli aggregati relativi ai principali paesi europei necessari per
scomporre i divari di Pil per abitante di ogni paese rispetto alla media nelle loro quattro
componenti:
Aggregati
Italia
Francia
Germania
Regno
Unito
Spagna
EU-15
Pil per abitante
(migliaia euro, PPA)
Occupati interni (milioni)
Occupati residenti (milioni)
Pop. res. 15-64 (milioni)
Popolazione (milioni)
24.1
24.3
22.5
39.0
58.5
25.5
23.7
24.9
39.5
60.6
25.7
38.2
36.4
55.2
82.5
27.3
28.6
28.3
39.5
60.0
23.1
18.8
18.7
29.5
43.0
25.4
169.8
167.9
257.1
385.4
a) Per ognuno di tali paesi calcolare il divario relativo di Pil per abitante rispetto alla media EU15.
b) Scomporre tali divari relativi nella somma delle loro quattro componenti e calcolare il residuo.
Soluzione:
a) Calcoliamo i divari relativi di Pil per abitante dei diversi paesi rispetto alla media:
Italia:
(24.1/25.4) - 1 = -0.051
Francia:
(25.5/25.4) - 1 = 0.004
Germania:
(25.7/25.4) - 1 = 0.012
Regno Unito: (27.3/25.4) - 1 = 0.075
Spagna:
(23.1/25.4) - 1 = -0.091
b) Scomponiamo prima il Pil per abitante medio di EU-15 nelle sue quattro componenti
moltiplicative:
πµ = (25.4 ⋅ 385.4)/169.8 = 57.651
χµ = 169.8/167.9 = 1.011
20
λµ = 167.9/257.1 = 0.653
δµ = 257.1/385.4 = 0.667
Scomponiamo poi allo stesso modo il Pil per abitante di ogni paese.
Per l’Italia:
πr = (24.1 ⋅ 58.5)/24.3 = 58.019
χr = 24.3/22.5 = 1.080
λr = 22.5/39.0 = 0.577
δr = 39.0/58.5 = 0.667
Per gli altri paesi si procede allo stesso modo e i risultati sono riportati nella tabella seguente,
unitamente al Pil per abitante (ψ):
Italia
Francia
Germania
Regno
Unito
Spagna
EU-15
π
χ
λ
δ
58.02
65.20
55.50
57.27
52.84
57.65
1.08
0.95
1.05
1.01
1.01
1.01
0.577
0.630
0.659
0.716
0.634
0.653
0.667
0.652
0.669
0.658
0.686
0.667
ψ
24.1
25.5
25.7
27.3
23.1
25.4
Per ogni componente calcoliamo ora i divari relativi di ogni paese rispetto alla media.
Per l’Italia:
drπ = (58.019/57.651) - 1 = 0.006
drχ = (1.08/1.011) - 1 = 0.068
drλ = (0.577/0.653) - 1 = -0.116
drδ = (0.667/0.667) - 1 = 0.0
Poiché per l’Italia drψ è pari a –0.051, la scomposizione è la seguente:
-0.051 = 0.006 + 0.068 – 0.116 + 0 – 0.009,
dove –0.009 è il residuo.
Per gli altri paesi si procede allo stesso modo e i risultati sono riportati nella tabella seguente:
Italia
Francia
Germania
Regno
Unito
Spagna
dψ
-0.051
0.004
0.012
0.075
-0.091
dπ
dχ
dλ
dδ
0.006
0.131
-0.037
-0.007
-0.083
0.068
-0.059
0.040
0.0
0.0
-0.116
-0.035
0.009
0.096
-0.029
0.0
-0.022
0.003
-0.013
0.028
-0.009
-0.011
-0.003
-0.001
-0.007
ε
21
SCHEDA 6
Analisi della disuguaglianza: aspetti introduttivi e fonti statistiche
L’analisi della disuguaglianza in termini di benessere economico nell’ambito di una
collettività può essere condotta, per quanto riguarda le unità di analisi, considerando:
- gli individui;
- le famiglie,
e per quanto riguarda la misura del benessere, considerando:
- il reddito;
- il patrimonio.
Le analisi condotte a livello individuale hanno un significato sostanzialmente diverso
da quelle condotte a livello familiare.
Il reddito individuale misura le risorse che l’individuo riesce a conseguire dalla propria
attività lavorativa o dall’impiego del proprio capitale o dai trasferimenti che riceve. Le
principali analisi che si possono fare a livello individuale sono quelle concernenti i
rendimenti dell’attività produttiva dei singoli individui in relazione a caratteri
individuali quali l’età, il sesso, il grado di istruzione, la professione, ecc.
Il reddito familiare è la somma dei redditi degli individui che appartengono alla stessa
famiglia e rappresenta le risorse di cui la famiglia dispone per il soddisfacimento dei
bisogni dei suoi componenti (non tutti necessariamente percettori di reddito). La
distribuzione dei redditi familiari è dunque quella che meglio consente di analizzare il
grado di disuguaglianza presente nell’ambito di una collettività e di identificare la parte
di popolazione in condizione di povertà.
Meno frequenti e diffuse a causa di una più scarsa disponibilità di informazioni
statistiche, sono le analisi della disuguaglianza condotte in termini di patrimonio, cioè
di ricchezza posseduta dagli individui o dalle famiglie (attività reali e finanziarie, al
netto delle passività finanziarie).
Il reddito (individuale o familiare) da prendere a riferimento per le analisi è il reddito
disponibile, al netto delle imposte e dei contributi, classificabile secondo quattro
principali fonti di reddito:
- reddito da lavoro dipendente;
- reddito misto (da lavoro autonomo e da impresa familiare);
- reddito da capitale;
- reddito da trasferimenti.
Le fonti statistiche.
1. La rilevazione annuale fatta dall’ISTAT nell’ambito dell’indagine sui consumi delle
famiglie, con la quale viene chiesto di indicare in modo sintetico, per classi predefinite,
l’ammontare del reddito medio mensile della famiglia e del risparmio medio annuale.
2. L’indagine condotta dalla Banca d’Italia sul reddito e il risparmio delle famiglie, che
rileva in modo analitico, per i singoli individui e per il complesso della famiglia, le
diverse componenti del reddito e della ricchezza reale e finanziaria. L’indagine viene
condotta su un campione di 8000 famiglie e circa 22 mila individui.
22
In indagini di questo tipo sono particolarmente rilevanti le questioni concernenti la
completezza e la correttezza delle informazioni (errori non campionari). In particolare:
- Le mancate risposte totali, ovvero la non partecipazione all’indagine. Dipendono
prevalentemente dalla indisponibilità a partecipare all’indagine, data la delicatezza dei
quesiti rivolti, o anche da irreperibilità della famiglia. Il fenomeno riguarda
prevalentemente famiglie a più elevato reddito e residenti nelle grandi città. Ne
consegue una distorsione delle stime e in particolare una sottostima del reddito medio e
in particolare di quello delle classi di reddito maggiori. I rimedi adottati sono: a) la
sostituzione delle famiglie indisponibili o irreperibili con altre residenti nella stessa
città; b) la post-stratificazione, ovvero la riponderazione del campione sulla base di
alcune caratteristiche note anche nella popolazione.
- Le mancate risposte parziali, ovvero le non risposte ad alcuni quesiti. Dipendono da
reticenza o difficoltà a fornire risposta a determinati quesiti (ad esempio, i fitti imputati,
gli ammortamenti, ecc). Ne consegue l’incompletezza della base informativa e talvolta
l’impossibilità di calcolare aggregati complessi, come il reddito. Il rimedio adottato è
l’imputazione dei dati mancanti attraverso tecniche ad hoc. Nell’indagine Banca d’Italia
l’imputazione viene effettuata tramite modelli di regressione stimati (sui rispondenti)
ponendo la variabile mancante in funzione di altre variabili disponibili e ad essa
correlate.
- La sottodichiarazione, ovvero la risposta volutamente parziale ad un quesito. Dipende
dalla volontà di nascondere al rilevatore una parte del reddito (o della ricchezza) e delle
sue componenti. Nell’indagine Banca d’Italia l’entità del fenomeno viene valutata
attraverso due indicatori: a) il giudizio sintetico dell’intervistatore sulla attendibilità
delle risposte in base alla rispondenza con elementi oggettivi, quali la tipologia
dell’abitazione, il tenore di vita desumibile dagli arredi, ecc.; b) il confronto a livello
aggregato con le stime di contabilità nazionale, dal quale si rileva, tra l’altro, una
consistente sottostima degli interessi e dividendi e dei redditi da lavoro autonomo.
Le proprietà delle misure della disuguaglianza.
Le principali proprietà desiderabili che gli indici di disuguaglianza devono possedere
sono le seguenti:
- irrilevanza della scala (e indipendenza dalla media): se tutti i redditi della
distribuzione vengono moltiplicati per uno stesso coefficiente, l’indice deve
rimanere invariato;
- simmetria o anonimità: se si effettua una permutazione degli elementi di un
dato insieme di redditi che lascia inalterata la distribuzione di frequenza dei
redditi stessi, l’indice deve rimanere invariato;
- sensibilità ai trasferimenti: se si effettuata un trasferimento da un dato reddito
ad un altro minore di questo, l’indice della distribuzione finale deve essere
inferiore a quello della distribuzione iniziale, anche se la graduatoria dei
redditi resta inalterata.
23
SCHEDA 7
Analisi della disuguaglianza: indici descrittivi
La misura della disuguaglianza di una distribuzione di redditi familiari o individuali
mediante un indicatore sintetico si può avvalere di diversi indici di disuguaglianza o di
concentrazione.
Alcuni indici semplici tuttavia non presentano tutte le proprietà desiderabili:
- campo di variazione ( y n − y1 ) : solo simmetria;
- rapporto max/min ( y n / y1 ) : anche irrilevanza della scala, ma non sensibilità ai
trasferimenti.
I principali indici descrittivi (che misurano il grado di dispersione presente nella
distribuzione) che possiedono detti requisiti sono il rapporto di concentrazione di Gini e
l’indice di disuguaglianza di Theil.
Indice di concentrazione di Gini.
Nel caso di dati individuali, ordinati in modo non decrescente secondo il reddito,
indicando con: q i = y i / y la quota di reddito appartenente all’individuo i, con Pi = i / n
i
la frazione sul totale delle i unità più povere; Qi =
∑
qj la corrispondente frazione di
j =1
reddito, l’indice di concentrazione di Gini è dato dalla seguente espressione:
g=
2 n −1
∑ ( Pi − Qi ) .
n − 1 i =1
Data, invece, una distribuzione per classi di reddito:
Classi di reddito
1
.
h
.
m
Totale
N. famiglie
Reddito
n1
.
nh
.
nm
y1
.
yh
.
ym
n
y
Notazione:
n
f h = h : frazione di famiglie appartenenti alla classe h;
n
y
q h = h : frazione di reddito della classe h;
y
Ph
: frequenza cumulata delle famiglie;
Qh
: frazione cumulata del reddito.
24
Il rapporto di concentrazione di Gini è dato dalla seguente espressione:
m
R=
∑
[(Ph – Qh) + (Ph -1 - Qh-1)] fh .
h =1
Per entrambi gli indici il campo di variazione è compreso tra 0 e 1. Si tratta dunque di
indici relativi di disuguaglianza: assumono valore zero in caso di equidistribuzione
(concentrazione nulla) e valore uno nel caso di massima concentrazione (tutto il reddito
posseduto da un unico redditiere).
Indice di Theil.
Nel caso di dati individuali, indicata con qi (i=1, …, n) la quota di reddito appartenente
all’individuo i ( q i = y i / y ), l’indice di Theil della disuguaglianza, derivato dalla
misura dell’entropia, è dato dalla seguente espressione:
n
T=
∑
qi ln n qi .
i=1
L’indice di Theil varia tra 0, nel caso di equidistribuzione (qi = 1/n ; i=1, …, n), e ln n,
nel caso di massima concentrazione (qi = 0 , i = 1, …, n-1; qi =1 , i = n).
Scomposizione dell’indice di Theil.
Una caratteristica importante dell’indice di Theil è che, se si considerano gli n dati
elementari classificati in s gruppi (secondo la posizione nella professione, la regione di
residenza, ecc.), l’indice può essere scomposto in di due componenti: la misura di
ineguaglianza tra i gruppi e una media delle misure di ineguaglianza all’interno dei
gruppi.
Notazione:
J1, …, Js
ng
fg =
qg =
: gli s gruppi di famiglie o individui classificati secondo un dato carattere;
: numero di famiglie o individui appartenenti al gruppo g;
ng
: quota di famiglie o individui appartenenti al gruppo g;
n
∑q
i
: quota di reddito posseduta dal gruppo g;
i∈ j g
qi ( g ) =
qi
: quota di reddito posseduta dall’individuo i sul totale del gruppo g.
qg
La scomposizione dell’indice di Theil è la seguente:
s
T = ∑ q g log
g =1
qg
fg
s
+ ∑ q g ∑ qi ( g ) log
g =1
i∈ j g
qi ( g )
1 / ng
.
25
Come si vede, il secondo termine è una media ponderata di misure di ineguaglianza tra
famiglie o individui all’interno dei gruppi, mentre il primo termine è una misura di
ineguaglianza tra i gruppi. In modo più sintetico, l’espressione precedente può essere
scritta nel modo seguente:
s
T = TB + ∑ q g TWg .
g =1
Nel caso di una distribuzione per classi di reddito, l’indice di Theil può essere desunto
come caso particolare della scomposizione precedente, con i gruppi corrispondenti a
classi di reddito (dove qg e fg corrispondono quindi, rispettivamente, a qh e fh):
m
T = ∑ q h log
h =1
qh
.
fh
Nella ipotesi di una distribuzione in m classi di reddito e s gruppi l’indice T precedente
può essere a sua volta scomposto nel modo seguente:
s
T = ∑ q g log
g =1
qg
fg
s
m
+ ∑ q g ∑ q h ( g ) log
g =1
h =1
qh( g )
f h( g )
dove:
q h ( g ) : quota di reddito della classe h sul totale del reddito del gruppo g ;
f h ( g ) : quota di famiglie della classe h sul totale delle famiglie del gruppo g.
26
SCHEDA 8
Analisi della disuguaglianza: indici normativi
Per la misurazione della ineguaglianza, oltre ad indici descrittivi, si possono definire
indici normativi. Alla base di questi indici vi è l’assunzione che la misura della
disuguaglianza della distribuzione dei redditi non possa prescindere da giudizi di valore
soggettivi concernenti la “sensibilità all’uguaglianza” ovvero la “avversione alla
disuguaglianza”. Data una distribuzione del reddito se ne possono, infatti, trarre giudizi
diversi sul grado di disuguaglianza o di equità che essa esprime a seconda che sia
maggiore o minore l’avversione alla ineguaglianza.
L’indice di disuguaglianza deve allora contenere in modo esplicito un parametro che
esprima l’avversione alla ineguaglianza, oltre alla misura della dispersione della
distribuzione. Il giudizio di valore e il relativo parametro di avversione alla
ineguaglianza devono esprimere se e in che misura si ritiene che i trasferimenti di
reddito dai più ricchi ai più poveri conducano ad un aumento del benessere collettivo o
benessere sociale.
Indice di Atkinson.
L’indice assume: una definizione di benessere sociale come somma delle utilità di tutti i
componenti la collettività; che le funzioni di utilità siano identiche per tutti; che la
funzione di utilità individuale sia non decrescente concava, ovvero che l’utilità
marginale sia positiva e descrescente. In particolare Atkinson ipotizza la seguente
funzione di utilità:
y 1−e
U e ( y) = a + b
1− e
dove e > 0, ma diverso da 1, è il parametro che esprime l’avversione all’ineguaglianza.
Per e =0 si ha
U e ( y ) = a + by ,
ovvero una funzione di utilità lineare, che esprime assenza di avversione alla
ineguaglianza: il trasferimento di un reddito da un redditiere ad un altro più povero non
modifica la somma delle utilità e quindi lascia invariato il benessere sociale.
Per e =2 si ha
U e ( y) = a −
b
y
ovvero una funzione di utilità iperbolica, che esprime una (elevata) avversione alla
ineguaglianza: il trasferimento di un reddito da un redditiere ad un altro più povero fa
aumentare l’utilità di quest’ultimo più di quanto non faccia diminuire quella del primo;
pertanto aumenta la somma delle utilità e quindi il benessere sociale.
In generale, per le caratteristiche della funzione di utilità (non decrescente, concava) a
trasferimenti di reddito da redditieri più ricchi a redditieri più poveri corrisponde un
aumento del benessere sociale, tanto maggiore quanto più elevato è il parametro e. Di
conseguenza, il medesimo benessere sociale si può ottenere con un reddito complessivo
27
minore, purché ripartito più equamente, e tanto minore quanto più ci si avvicina alla
condizione di equiripartizione.
Da qui nasce il concetto di reddito equivalente equidistribuito: è la frazione di reddito
complessivo che, equidistribuito, lascia immutato il benessere collettivo. In
corrispondenza di tale reddito si può quindi definire un reddito medio equivalente
(equidistribuito), anch’esso per definizione minore del reddito medio osservato e tanto
minore quanto più sono elevate: a) l’avversione alla disuguaglianza e il relativo
parametro; b) la variabilità o dispersione dei redditi. In particolare, in assenza di
avversione alla ineguaglianza, come pure in assenza di dispersione dei redditi, il reddito
equivalente (complessivo o medio) è uguale a quello osservato.
L’indice di Atkinson è pertanto definito come il complemento ad uno del rapporto tra il
reddito equivalente equidistribuito e il reddito totale osservato, ovvero tra il reddito
medio equidistribuito e il reddito medio osservato:
Ae = 1 −
y(e)
y
= 1−
y ( e)
y
.
L’indice misura dunque la frazione di reddito a cui la collettività potrebbe rinunciare
senza perdita di benessere collettivo a condizione che il reddito rimanente risulti
equidistribuito.
Alla funzione di utilità precedentemente definita corrisponde un reddito medio
equivalente equidistribuito dato dalla seguente espressione:
1
y(e) = (
1
y i1−e ) 1−e
∑
n i
da cui si ha:
1
A( e )
y
1
= 1 − [ ∑ ( i )1−e ]1−e .
n i y
L’indice è il complemento ad uno di una media di potenze di ordine 1-e dei rapporti tra
i redditi e la loro media aritmetica. Se i redditi sono tutti uguali i rapporti sono tutti pari
ad uno e quindi A e = 0. D’altra parte, si ha A e = 0 anche se e = 0, cioè nel caso di
completa assenza di avversione all’ineguaglianza (per quanto diversi, è come se tutti i
redditi fossero uguali). Al contrario, al tendere di e all’infinito l’espressione tra
parentesi quadre tende a zero e quindi A e tende ad uno, che è il valore massimo
asintotico dell’indice di Atkinson. I valori che solitamente vengono assegnati ad e sono
intorno a 0.5 per una “moderata” avversione alla ineguaglianza e intorno a 1.5 per una
“forte” avversione alla ineguaglianza.
Per una distribuzione di frequenze, l’indice è dato dalla seguente espressione:
1
A( e ) = 1 − [∑ (
h
y h 1−e
) f h ]1−e .
y
28
SCHEDA 9
Misura della povertà: definizioni e scale di equivalenza
Per determinare la linea di povertà, cioè la soglia al di sotto della quale una famiglia è
considerata povera, si possono adottare criteri assoluti o relativi.
Criterio assoluto. Si considera povera una famiglia che dispone di un reddito
insufficiente a consentire l’acquisto di un paniere di beni e servizi considerati
indispensabili per il sostentamento.
Criterio relativo. E’ il criterio più comunemente utilizzato. La linea di povertà è
stabilita facendo riferimento al tenore di vita medio del paese. Il criterio comunemente
adottato è quello dell’International Standard of Poverty Line (I.S.P.L.), proposto da
Beckerman, secondo il quale si considera povera una famiglia di due componenti che
dispone di un reddito per componente inferiore o uguale alla metà del reddito pro capite
del paese di appartenenza.
Nelle analisi empiriche si fa di solito riferimento alla spesa per consumi, invece che al
reddito: la linea di povertà per le famiglie di due componenti è posta dunque pari alla
spesa pro capite media del paese. Il che vuol dire che è considerata povera una famiglia
la cui spesa pro capite è inferiore alla metà della spesa pro capite media del paese.
La scala di equivalenza.
Fissata la linea di povertà per una famiglia tipo (la famiglia di due componenti, nel caso
dell’I.S.P.L.) questa deve essere adattata alle famiglie di tipologia diversa, in
particolare per quanto riguarda il numero di componenti, attraverso una scala di
equivalenza.
Tale scala deve tenere conto del fatto che al crescere della dimensione della famiglia il
fabbisogno complessivo di risorse necessarie ad assicurare un determinato tenore di vita
cresce meno che proporzionalmente (economie di scala nella spesa per beni utilizzati
congiuntamente dai membri della famiglia, in particolare per quanto riguarda la spesa
per l’abitazione).
La scala di equivalenza può essere costruita secondo diversi metodi.
Un metodo per determinare il coefficiente delle economie di scala e quindi la scala di
equivalenza per famiglie con diverso numero di componenti si fonda sulla legge di
Engel, secondo la quale la quota di spesa per consumi destinata alla alimentazione si
riduce al crescere del reddito o del tenore di vita della famiglia.
La quota di consumi alimentari sul totale è assunta come indicatore del tenore di vita e
viene espressa in funzione della spesa complessiva per consumi e della dimensione
della famiglia, secondo il seguente modello:
A
= a + b log C + c log N
C
dove A è la spesa per generi alimentari; C è la spesa complessiva; N è il numero
componenti della famiglia.
A partire da tale modello, il coefficiente delle economie di scala è dato dalla seguente
espressione:
29
ε=
d log C
c
=−
d log N
b
ε è infatti il coefficiente di elasticità della spesa complessiva rispetto al numero di
componenti, a parità di tenore di vita (A/C): misura la variazione relativa della spesa
complessiva C in corrispondenza di una variazione relativa unitaria del numero di
componenti N necessaria a mantenere costante A/C.
Se ε = 1 si ha assenza di economie di scala e quindi la spesa aumenta
proporzionalmente al numero di componenti;
se ε < 1 si hanno economie di scala e quindi la spesa aumenta meno che
proporzionalmente.
Stimato il coefficiente ε , e fissata la linea di povertà per le famiglie di due componenti,
LP(2) =
C
P
(dove P è la popolazione residente),
la linea di povertà per le famiglie di N+1 componenti (LP(N+1)), si ottiene dunque dalla
seguente espressione:
LP(N+1) = LP(N) (1 + ε
1
).
N
I coefficienti di equivalenza per trasformare la linea di povertà per le famiglie di 2
componenti nelle linee di povertà per le famiglie di dimensione diversa sono pertanto i
seguenti:
Numero
componenti
Coefficienti
di equivalenza
1
1
1+ ε
2
1
3
(1+
4
(1+
5
(1+
.
.
ε
2
ε
2
ε
2
.
.
)
)(1+
)(1+
ε
3
ε
3
)
)(1+
ε
4
)
30
Analogamente si può determinare il numero di unità equivalenti per le famiglie di
dimensione diversa da N=2 :
U(N+1) = U(N) (1 + ε
1
);
N
ovvero basta moltiplicare il numero di componenti per i coefficienti della tabella
precedente.
Calcolate le unità equivalenti, la linea di povertà può essere anche definita in termini di
consumo per unità equivalenti: sono povere le famiglie che hanno un consumo per unità
equivalenti minore della metà del consumo pro capite del paese.
Altro metodo di determinazione delle unità equivalenti.
Nell’analisi dell’indagine sui bilanci delle famiglie la Banca d’Italia utilizza una
definizione di unità equivalenti che tiene conto sia della dimensione della famiglia che
della sua composizione per età, poiché anche quest’ultima incide sulle risorse
necessarie a mantenere un dato livello di benessere. Le unità equivalenti vengono
definite in termini di “adulti equivalenti”, secondo la seguente scala OCSE modificata:
1 : capofamiglia;
0.5 : per ogni adulto aggiuntivo di età maggiore di 14 anni;
0.3 : per i ragazzi e bambini di età minore di 14 anni.
31
SCHEDA 10
Indici di povertà
Poiché la povertà è un aspetto della disuguaglianza, gli indici che la misurano
dovrebbero soddisfare le proprietà già richiamate per gli indici di disuguaglianza
(irrilevanza della scala, simmetria, sensibilità ai trasferimenti: SCHEDA 4).
Per gli indici di povertà viene definita anche una proprietà specifica che fa riferimento
al principio di monotonicità, secondo il quale l’indice deve crescere se il reddito di un
individuo povero si riduce.
Indice di diffusione della povertà.
Indicato con q il numero di famiglie povere e con n il numero complessivo di famiglie,
l’indice di diffusione della povertà è dato dal seguente rapporto:
H=
q
.
n
L’indice soddisfa i principi di irrilevanza della scala e di simmetria. Non soddisfa,
invece, il principio di monotonicità e neppure il principio dei trasferimenti (l’indice H
aumenta solo se il trasferimento fa passare l’individuo da sopra a sotto la linea di
povertà).
Distribuzione in classi.
Posto che la linea di povertà LP cada nella classe h di estremi lh-1 - lh e indicata con fh la
frequenza relativa delle famiglie comprese nella classe h e con Fh-1 la frequenza
cumulata fino alla classe precedente, H è dato dalla seguente espressione:
H = Fh −1 + f h
LP − l h −1
.
l h − l h −1
Indice di intensità della povertà.
L’intensità della povertà è tanto maggiore quanto più il reddito dei poveri è lontano
dalla linea di povertà. Indicato con gi il divario di povertà relativo all’i.mo individuo
povero, cioè la differenza tra la linea di povertà (Lp) e il suo reddito (yi(p)):
g i = LP − yi ( P )
l’indice di intensità della povertà è dato dalla espressione seguente:
q
∑g
I=
i
i =1
qLP
32
dove
q ⋅ LP = max
∑g
i
i
(tutti i poveri hanno reddito nullo e quindi tutti i divari di povertà sono pari alla linea di
povertà).
Indicato con y p il reddito medio delle famiglie povere,
yP =
1
∑ yi ( P)
q i
si trova immediatamente che l’indice di intensità della povertà può essere espresso
anche nel modo seguente:
I = 1−
yP
.
LP
Distribuzione in classi.
Posto che la linea di povertà LP cada nella classe h di estremi lh-1 - lh e indicata con Fh-1
la frequenza cumulata fino alla classe precedente, con FP = H la quota di famiglie
povere, con fj la frequenza relativa delle famiglie comprese nella classe j, con y j il
corrispondente reddito medio, il reddito medio delle famiglie povere è dato dalla
seguente espressione:
yP =
L +l
1 h −1
[∑ y j f j + P h −1 ( FP − Fh −1 )] .
FP j =1
2
L’indice varia tra 0 (tutti i poveri sulla linea di povertà) e 1 (tutti i poveri hanno reddito
nullo). Soddisfa anche il principio di monotonicità, ma non quello dei trasferimenti
(vale solo se trasferimento è da un individuo non povero a uno povero).
Indice di Sen.
Oltre che della diffusione e della intensità della povertà, l’indice di Sen tiene conto
anche dell’ineguaglianza presente nella distribuzione dei redditi degli individui poveri.
A base dell’indice di Sen sono posti tre assiomi:
a) dei pesi: nell’indice il peso assegnato a ciascun divario di povertà è uguale al
suo numero d’ordine nella graduatoria non decrescente dei divari stessi;
b) del benessere monotonico: se il reddito di un individuo è maggiore di quello di
un altro, anche il suo benessere è maggiore;
c) del valore normalizzato dell’indice di povertà: se tutti i poveri posseggono
uguale reddito, l’indice deve essere pari al prodotto di H ed I (diffusione per
intensità della povertà).
Se ne derivano i due seguenti indici, tra loro equivalenti:
33
S = H ⋅ I (1 +
G (1 − I )
)
I
S = H ⋅ I (1 + G * )
dove G è l’indice di concentrazione di Gini calcolato sul reddito degli individui poveri
e G * è il medesimo indice di concentrazione calcolato sui divari di povertà g i .
L’indice di Sen compendia dunque in un modello moltiplicativo gli indici di diffusione
(H) e di intensità (I) della povertà e, inoltre, una misura della ineguaglianza tra i poveri
calcolata sui divari di povertà. Tale indice soddisfa i principi di monotonicità e dei
trasferimenti; è funzione crescente di H, I e G; non dipende dalla distribuzione del
reddito tra i non poveri.
34
SCHEDA 11
La Tavola Input – Output
Il sistema di contabilità nazionale prevede, accanto ai conti generali del paese e a quelli
dei settori istituzionali, anche una descrizione dettagliata dei flussi di beni e servizi per
branca di attività. Viene così fatta luce su un aspetto volutamente lasciato in ombra dal
sistema dei conti generali del paese, i quali prescindono dalle relazioni che avvengono
nell’ambito del blocco dei produttori (visto come un’unica azienda integrata).
La tavola I-O descrive invece in modo disaggregato proprio le operazioni di scambio di
beni e servizi che avvengono tra gli operatori del sistema, in particolare descrive i flussi
relativi agli scambi di beni e servizi intermedi tra le unità produttive classificate in
branche.
Schema semplificato di tavola I-O:
Branche di origine
Branche di destinazione
1 …… j ….. n Totale
Impieghi
finali
Totale
1
.
.
x11 ... x1j ... x1n
.
.
.
.
.
.
x1.
.
.
Z1
.
.
D1
.
.
i
.
.
n
xi1 …
.
.
xn1 …
xij … xin
.
.
.
.
xnj … xnn
xi.
.
.
xn.
Zi
.
.
Zn
Di
.
.
Dn
x.1 … x.j … x.n
x..
Z.
D.
Y1
X1
M1
D1
Y.
X.
M.
D.
Totale
Valore aggiunto
Produzione
Importazioni
Totale risorse
… Yj
… Xj
… Mj
… Dj
… Yn
… Xn
… Mn
… Dn
Notazione:
xij : flusso di beni o servizi intermedi della branca i (di produzione interna o
importati) impiegati dalla branca j;
Yj : valore aggiunto della branca j;
Xj : produzione totale della branca j;
Mj : importazioni della branca j;
Dj : disponibilità (produzione interna più importazioni) della branca j;
Zi : domanda finale di beni o servizi della branca i (di produzione interna o di
importazione).
35
Letta nel senso delle colonne, la tavola descrive la composizione dei costi di
produzione sostenuti per realizzare la produzione totale Xj e la disponibilità
complessiva di risorse (comprese le importazioni). Il valore della produzione è
determinato dalla somma dei costi per l’impiego di beni e servizi intermedi (di
produzione interna e importati), articolati per branca di origine, e del valore aggiunto,
che può essere anch’esso articolato nelle sue componenti (reddito da lavoro dipendente
e altri redditi).
Letta nel senso delle righe, la tavola descrive invece gli impieghi delle risorse (di
produzione interna o importate) di ogni branca: impieghi intermedi, articolati per
branca di destinazione, e impieghi finali, anch’essi articolati nelle diverse componenti
della domanda finale (consumi, investimenti, esportazioni).
Una versione più completa della tavola input output deve tuttavia prevedere nell’ambito
dei flussi sia intermedi che finali, la separazione delle componenti di produzione interna
da quelle di importazione. La distinzione è importante per l’Italia e per gli altri paesi
europei, molto aperti agli scambi internazionali, e per questo la separazione di tali flussi
è prevista dal sistema europeo dei conti (SEC).
Schema di tavola I-O con separazione dei flussi:
Branche di origine
Branche di destinazione
Impieghi
1 …….. j ……… n Totale finali
px11
1
.
.
i
.
.
n
mx11
x11
.
.
pxi1
mxi1
xi1
.
.
pxn1
mxn1
xn1
px.1
Totale
Valore aggiunto
Produzione
Importazioni
Totale risorse
….
….
….
….
….
….
….
….
….
….
x.
….
m 1
x.1 ….
Y1
X1
M1
D1
px1j
mx1j
x1j
.
.
pxij
mxij
xij
.
.
pxnj
mxnj
xnj
… px1n
... mx1n
… x1n
.
.
… pxin
... mxin
… xin
.
.
… pxnn
… mxnn
… xnn
px.j
… px.n
x.
m j ... mx.n
x.j … x.n
…. Yj
…. Xj
…. Mj
…. Dj
….
….
….
….
Yn
Xn
Mn
Dn
px1.
pZ1
mx1.
mZ1
x1.
.
.
pxi.
mxi.
xi.
.
.
pxn.
mxn.
xn.
Z1
.
.
pZi
mZi
Zi
.
.
pZn
mZn
Zn
px..
pZ.
mx..
x..
mZ.
Z.
Totale
X1
M1
D1
.
.
Xi
Mi
Di
.
.
Xn
Mn
Dn
X.
M.
D.
Y.
X.
M.
D.
36
Notazione:
pxij
: flusso di beni o servizi intermedi di produzione interna della branca i impiegati
dalla branca j;
mxij : flusso di beni o servizi intermedi di importazione della branca i impiegati
dalla branca j;
pZi : domanda finale di beni o servizi di produzione interna della branca i (produzione
finale della branca);
mZi : domanda finale di beni o servizi di importazione della branca i .
Branche di produzione omogenea.
La tavola simmetrica articola l’economia in branche di produzione omogenea:
raggruppamento di unità produttive (o porzioni di unità produttive) che producono e
distribuiscono un insieme di prodotti omogenei. Le branche di produzione omogenea
sono il risultato del “trasferimento” delle produzioni secondarie (e dei sottoprodotti)
dalle branche che le producono a quelle che realizzano quei prodotti secondari (o
sottoprodotti) in via principale. Esempio: la branca di produzione omogenea “calzature”
comprende anche le calzature in gomma, prodotte in via secondaria dall’industria della
gomma, dalla quale quella produzione viene sottratta (insieme a tutto il corrispondente
vettore dei costi sostenuti per ottenerla) per trasferirla alla branca che produce in via
principale le calzature.
Il ruolo degli intermediari commerciali e del trasporto.
Gli intermediari commerciali acquistano e rivendono beni. Nella tavola, tuttavia, gli
scambi di beni vengono descritti come se avvenissero direttamente tra produttore e
utilizzatori intermedi o finali e gli intermediari commerciali vi figurano come produttori
di un servizio di intermediazione. Tra i costi della branca commercio non sono quindi
compresi quelli sostenuti per l’acquisto dei beni commercializzati.
Allo stesso modo vengono trattati, ovviamente, i servizi di trasporto.
Valutazione ai prezzi di mercato, ai prezzi base, ai prezzi ex fabrica o depart-usine.
Se i servizi di commercializzazione e di trasporto sono considerati come venduti al
produttore, il valore della produzione li comprende ed è pertanto espresso a prezzi di
mercato o di acquisto (esempio: il valore della produzione della branca agricoltura
equivale al costo sostenuto dagli acquirenti intermedi o finali, che comprende anche i
margini commerciali e i costi di trasporto, oltre alle imposte indirette nette).
Se invece i servizi di commercializzazione e di trasporto sono considerati come venduti
all’acquirente, il valore della produzione non li comprende e se non consideriamo
neppure le imposte nette sui prodotti tale valore coincide con il ricavo del produttore ed
è pertanto espresso a prezzi base (esempio: il valore della produzione della branca
agricoltura equivale al ricavo degli agricoltori e non al costo sostenuto dagli acquirenti
intermedi o finali, che è notevolmente maggiore).
In definitiva, la valutazione a prezzi base deriva da quella a prezzi di mercato,
sottraendo:
- i margini commerciali, attribuiti alla branca commercio;
- i costi di trasporto, attribuiti alla branca trasporti;
- le imposte nette sui prodotti.
37
Se dal prezzo di mercato si sottraggono soltanto i margini commerciali e i costi di
trasporto si ha la valutazione a prezzi ex fabrica o depart-usine.
I servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (SIFIM).
Sono dati dalla differenza tra tassi attivi e passivi delle banche e sono considerati per
intero costi intermedi. Nella tavola input-output vengono attribuiti ad una branca fittizia
che acquista la produzione di SIFIM della branca del credito e che, avendo una
produzione nulla, presenta un valore aggiunto negativo pari al valore dei SIFIM. Si
elimina così a livello aggregato la sopravvalutazione del valore aggiunto di tutte le
branche derivante dal fatto che essi non sono stati conteggiati tra i costi intermedi.
38
SCHEDA 12
Dalla Tavola al Modello Input – Output
Il modello I-O è una versione semplificata di un modello di equilibrio economico
generale di tipo walrasiano. Versione semplificata in primo luogo perché non prevede
un sistema di interdipendenza generale attraverso relazioni tra prezzi e quantità. Le
ipotesi sottostanti sono invece che:
- l’offerta di risorse (le quantità prodotte) si adegua alla domanda sulla base di
relazioni tecniche (tecnologie di produzione), ma non dei prezzi;
- i prezzi di offerta dipendono dai costi unitari dei fattori primari della produzione
(non prodotti all’interno del sistema), ma non dalle quantità scambiate.
In secondo luogo, versione semplificata perché, almeno nel modello base, sono escluse
le equazioni di domanda dei beni e servizi finali (componenti esogene del modello) e di
offerta dei fattori primari.
Il modello focalizza l’attenzione sulla fase produttiva del processo economico e sulle
tecnologie di produzione, sugli scambi intermedi e sulla conseguente propagazione da
una branca all’altra degli effetti che la domanda finale esercita sulla produzione e sulle
grandezze ad essa collegate (valore aggiunto, importazioni intermedie, occupazione)
attraverso tali scambi, sul blocco dei produttori considerato come il centro del sistema e
il vero motore dell’economia.
Il concetto di produzione adottato (produzione totale, al lordo dei reimpieghi) è
coerente con questo approccio: quelle che, nell’analisi delle relazioni il blocco dei
produttori e quello degli utilizzatori finali, sono fuorvianti duplicazioni contabili,
nell’analisi della interdipendenza all’interno del blocco dei produttori sono invece
particolarmente utili, perché misurano l’intensità degli scambi tra di essi e sono
essenziali ai fini della definizione delle tecniche di produzione.
A partire da uno schema contabile del tipo sopra riportato si può definire un modello
input-output (della produzione) che spiega i livelli settoriali della produzione in
relazione ai livelli settoriali della domanda finale dati esogenamente.
Esempio. Per realizzare una automobile (bene finale) occorre:
- produrre tutti gli input intermedi che entrano nella sua produzione (acciaio,
plastica, gomma, tessuti, ecc.): questa è l’attivazione diretta che si propaga su
diverse branche produttive (quelle che forniscono direttamente beni e servizi
all’industria dell’automobile);
- produrre poi tutti gli input intermedi che entrano nella produzione degli input
intermedi di cui al punto precedente: questo è il primo ciclo di attivazione
indiretta che si propaga su diverse branche produttive (ad esempio, per produrre
l’acciaio necessario a costruire l’automobile occorre produrre minerali ferrosi,
elettricità, servizi di trasporto e così via; per produrre la gomma e la plastica
occorrono prodotti chimici, petroliferi, ecc);
- e così via, fino all’esaurimento degli effetti indiretti di attivazione.
Un modello di questo tipo può essere definito:
- in termini di quantità: se si ha a disposizione una tavola input-output con flussi
espressi in termini fisici;
39
-
-
in valore sui flussi complessivi (senza distinzione tra produzione interna e
importazioni). E’ una buona approssimazione nelle economie caratterizzate da
scarsa incidenza delle importazioni (ad esempio, nell’economia USA);
in valore, con distinzione tra flussi di produzione interna e di importazioni. Nelle
economie aperte agli scambi internazionali le interrelazioni che incidono sui
livelli di produzione del paese sono quelle che si traducono in flussi intersettoriali
di produzione interna. La parte di attivazione intersettoriale che prende la strada
delle importazioni produce invece i suoi effetti diretti e indiretti sulle economie di
altri paesi. La distinzione è particolarmente importante per i paesi aperti agli
scambi internazionali, come l’Italia e gli altri paesi europei e per questo il SEC
prevede tavole I-O con separazione dei flussi intermedi e finali in più componenti
(vedi Scheda precedente).
Le Equazioni contabili
Dalla tavola input output, per definire e quantificare i relativi modelli, occorre partire
dalle seguenti equazioni contabili:
equazione di bilancio (o delle vendite)
Xi =
∑
pxij
+ pZi ;
j
equazione dei costi
Xj =
∑
pxij
i
+
∑
mxij + Yj
;
i
equazione delle importazioni
Mi =
∑
mxij
+ mZi .
j
I coefficienti tecnici o di spesa.
Insieme alle equazioni contabili, occorre definire i coefficienti (tecnici o di spesa) che
descrivono la struttura dei costi o delle tecniche di produzione.
Coefficienti tecnici espressi in quantità:
q
aij =
qij
Qj
indicano quante unità fisiche di beni intermedi prodotti dalla branca i sono necessarie
per produrre una unità fisica da parte della branca j.
Poiché sono disponibili tavole in valore, nei modelli si utilizzati i coefficienti di spesa:
40
a ij =
xij
Xj
ovvero
a ij =
q ij p j
Qj pj
= q aij
pi
pj
indicano quante unità monetarie di beni intermedi prodotti dalla branca i sono
necessarie per produrre una unità monetaria da parte della branca j.
Se si è in presenza di suddivisione degli impieghi intermedi e finali a seconda della
origine interna o di importazione, infine, si definiscono i coefficienti di fabbisogno
diretto di input di produzione interna:
p
aij =
p
xij
Xj
e inoltre:
m
aij =
m
xij
Xj
(aij = paij + maij) .
Si definiscono infine i coefficienti di fabbisogno diretto di input primari:
y
aj =
Yj
Xj
.
Questi ultimi sono anche articolabili nelle componenti del valore aggiunto di branca:
redditi interni da lavoro dipendente, risultato lordo di gestione e redditi misti, imposte
indirette nette sulla produzione e sulle importazioni.
Ad esempio per il reddito da lavoro dipendente si definisce il seguente coefficiente:
w
aj =
Wp j
Xj
.
41
SCHEDA 13
Modello input – output della produzione.
Esprime la produzione settoriale (per branca) in funzione della domanda finale
settoriale, assumendo l’ipotesi di stretta proporzionalità tra gli input intermedi e il
livello della produzione e di coefficienti tecnici fissi. Ciò comporta assenza di
economie di scala (se raddoppia la produzione raddoppiano anche gli input intermedi) e
assenza di sostituzione tra input intermedi.
L’assenza di sostituzione implica una configurazione ad “L” degli isoquanti, come nella
figura seguente:
Se raddoppia l’input 1, passando da 5 a 10, ma l’input due rimane costante e pari a 1, la
produzione resta quella indicata dal punto A; solo se raddoppia anche l’input 2,
passando da 1 a 2, aumenta (raddoppia) anche la produzione, passando dal punto A al
punto C.
Nei modelli in valore sono considerati fissi i coefficienti di spesa (o di fabbisogno
diretto di input di produzione interna). Ne consegue:
- che si considerano fissi sia i coefficienti tecnici qaij che i prezzi relativi pi / pj ;
- oppure che i coefficienti tecnici qaij si modificano in misura inversa al variare dei
prezzi relativi pi / pj e in misura tale da compensare esattamente la variazione dei
prezzi (il che è compatibile con una funzione di produzione Cobb-Douglas a
rendimenti di scala costanti).
Il modello della produzione a partire da una tavola con separazione dei flussi di
produzione interna.
Il modello si fonda sulla assunzione di un legame di stretta proporzionalità tra il
fabbisogno di input intermedi di produzione interna e produzione totale, tramite il
coefficiente paij
pxij
= paij Xj .
42
L’espressione precedente è formalmente derivabile dalla definizione del coefficiente di
x
fabbisogno diretto di input di produzione interna p aij = p ij , ma esprime, come detto
Xj
un preciso modello comportamentale e specificamente la particolare ipotesi di tecniche
di produzione sopra ricordata.
Sostituita l’ espressione pxij = paij Xj nella equazione delle vendite
Xi =
∑
pxij
+ pZi
j
si ottiene:
Xi =
∑
paij
Xj + pZi (i=1, …, n) .
j
Si tratta di un sistema lineare omogeneo di n equazioni nelle n incognite Xi. In
notazione matriciale, definiamo:
X il vettore (n x 1) della produzione settoriale (delle branche);
pZ il vettore (n x 1) della domanda finale di produzione interna;
pa la matrice (n x n) dei coefficienti di fabbisogno diretto di input di produzione
interna.
Il sistema precedente diventa:
X = pa X + pZ
da cui:
X - pa X = pZ
[I - pa] X = pZ
( [I - pa] è la matrice di Leontief )
X = [I - pa]-1 pZ
Ponendo [I - pa]-1 = pA si ha:
X = pA pZ
La matrice pA (inversa della matrice di Leontief)
pA
=
pA11
… pA1j … pA1n
pAi1
… pAij …
pAn1
… pAnj … pAnn
pAin
43
è la matrice dei coefficienti di fabbisogno diretto e indiretto di produzione interna.
Il suo generico elemento pAij indica il fabbisogno complessivo di beni e servizi di
produzione interna della branca i necessari direttamente e indirettamente per soddisfare
una domanda finale unitaria di beni e servizi di produzione interna della branca j. Nel
modello basta considerare un vettore pZ con elementi tutti nulli escluso il j.mo, posto
pari ad 1: ne risulta un vettore X i cui elementi sono dati dalla j.ma colonna della
matrice pA).
La condizione perché la matrice di Leontief ammetta una inversa è
Det [I - pa] ≠ 0
Ma dal punto di vista economico occorre: che Det [I - pa] > 0; che tutti i minori
principali di [I - pa] siano positivi (condizione di Hawkins – Simon), altrimenti si
potrebbero avere produzioni negative, oppure un sistema che consuma input intermedi
in misura maggiore della produzione.
Se è soddisfatta la condizione di Hawkins e Simon, si dimostra che la matrice
pA
= [I - pa]-1
è sviluppabile in serie di potenze, come segue:
pA
= [I + pa + pa2 + pa3 + ….. ]
Il modello può quindi essere scritto:
X = [I + pa + pa2 + pa3 + ….. ] pZ =
= pZ + pa pZ + pa2 pZ + pa3 pZ + …..
La produzione settoriale X deriva dalla accumulazione di diversi effetti di attivazione
prodotti dalla domanda finale:
- l’attivazione iniziale, pari alla domanda finale stessa;
- l’attivazione diretta, pari agli input diretti necessari per realizzare la domanda
finale (pa pZ );
- il primo ciclo di attivazione indiretta, pari agli input necessari per produrre gli
input impiegati al ciclo precedente (pa2 pZ ), ecc.
La presenza della matrice I, che esprime dunque l’attivazione iniziale, spiega perché la
matrice pA presenta sulla diagonale principale valori superiori all’unità. Sottraendo la
matrice identità dalla matrice pA si ottiene una matrice che esprime soltanto
l’attivazione diretta e indiretta.
Significato delle somme per colonna e per riga della matrice pA :
pA.j : è il moltiplicatore della produzione per il settore j, definito come il valore
complessivo dei beni prodotti da tutti i settori per poter soddisfare la domanda finale di
una unità di beni prodotti dal settore j. Il moltiplicatore della produzione è un indicatore
sintetico per valutare opzioni alternative di intervento sulla domanda finale (ad
esempio, diversi investimenti pubblici);
44
pAi. : produzione complessiva del settore i per poter soddisfare una domanda finale
unitaria di beni prodotti da tutti i settori (moltiplicatori dell’espansione uniforme della
domanda).
Esempio.
Tavola a 2 branche di origine e di destinazione, con separazione dei flussi di
produzione interna (p) da quelli di importazione (m).
Branche
origine
Branche destinazione
1
2
Domanda
finale
Totale
1
(p)
(m)
150
20
500
80
350
40
1000
140
2
(p)
(m)
200
30
100
20
1700
150
2000
200
600
400
200
1000
140
1140
1300
700
600
2000
200
2200
Valore agg.
R.l.d.
Altri
Produzione
Importazioni
Disponibilità
Matrice coefficienti tecnici:
pa
0.15
0.25
0.20
0.05
=
Inversa della matrice di Leontief:
1.2541 0.3300
pA
=
0.2640 1.1221
Applicazione del modello per calcolare il nuovo vettore della produzione
corrispondente ad un nuovo vettore della domanda finale:
600
pZ
=
1500
45
Applicazione diretta del modello:
1247.46
X=
1841.55
Somma cicli di attivazione:
600 + 465 + 118.50 + 43.44 + 13.83 + 4.59 + 1.53 + 0.48 = 1247.37
X=
1500 + 195 + 102.75 + 28.80 + 10.20 + 3.25 + 1.11 + 0.42 = 1841.53
Moltiplicatori della produzione:
Branca 1 : 1.5181
Branca 2 : 1.4521
Moltiplicatori dell’espansione uniforme della domanda:
Branca 1 : 1.5841
Branca 2 : 1.3861
46
SCHEDA 14
Modello input – output delle importazioni.
Esprime il livello settoriale delle importazioni intermedie in funzione del vettore della
domanda finale di produzione interna.
Analogamente al modello della produzione, a partire dalla definizione del coefficiente
di fabbisogno diretto di input di importazione:
m
m
aij =
xij
Xj
viene assunto un legame di stretta proporzionalità tra il valore degli input intermedi di
importazione e il valore della produzione totale:
mxij
= maij Xj
Sostituita la precedente espressione nella equazione delle importazioni
Mi =
∑
mxij
+ mZi
maij
Xj + mZi
j
si ottiene
Mi =
∑
j
In notazione matriciale:
M = ma X + mZ
Per esprimere anche le importazioni intermedie settoriali in funzione della domanda
finale di produzione interna sostituiamo ad X il modello della produzione X = pA pZ :
M = ma pA pZ + mZ
Poniamo: ma pA = mA
abbiamo il modello delle importazioni:
M=
mA pZ
+ mZ
è il vettore delle importazioni intermedie necessarie a soddisfare la domanda
finale di produzione interna pZ .
mA pZ
mA
=
mA11
… mA1j …
mA1n
mAi1
… mAij …
mAin
mAn1
… mAnj …
mAnn
47
Significato del generico elemento mAij della matrice mA : fabbisogno diretto e indiretto
di importazioni intermedie di beni prodotti dalla branca estera i per soddisfare una
domanda finale unitaria di beni di produzione interna della branca j . Infatti:
pA1j
pA2j
mAij = [mai1
,
mai2 ,
…, main]
.
.
.
pAnj
La domanda finale unitaria del bene j di produzione interna attiva, direttamente e
indirettamente, il vettore (pA1j , pA2j , …., pAnj ) di produzione interna; tali produzioni
settoriali a loro volta presentano fabbisogni diretti di importazioni di beni di produzione
della branca estera i dati dal vettore (mai1 , mai2 , …, main).
Somma per colonna degli elementi della matrice mA :
mA.j : moltiplicatore delle importazioni, ovvero fabbisogno di importazioni intermedie
di tutto il sistema produttivo (tutte le branche) per soddisfare la domanda finale unitaria
di beni di produzione interna della branca j.
Esempio.
Dalla tavola dell’esempio precedente, abbiamo la seguente matrice dei coefficienti di
importazione
0.02
0.04
0.03
0.01
ma =
Da cui:
0.0356 0.0515
mA
= ma pA =
0.0403 0.0211
Moltiplicatori delle importazioni intermedie (mA.j):
Branca 1 : 0.0759
Branca 2 : 0.0726
48
SCHEDA 15
Modello del valore aggiunto.
Esprime il valore aggiunto settoriale in funzione del vettore della domanda finale di
produzione interna.
Riprendiamo il coefficiente di valore aggiunto (o di fabbisogno diretto di input primari)
della generica branca j:
y
aj =
Yj
Xj
e definiamo la relazione tra valore aggiunto e produzione nel modo seguente:
Yj = yaj Xj
Al solito la relazione ipotizzata è di stretta proporzionalità tra il livello della produzione
e il fabbisogno di input primari (e non sostituibilità con gli input intermedi).
In notazione matriciale:
Y = y â X
(y â matrice diagonale dei coefficienti di valore aggiunto)
da cui:
Y = y â pA pZ
Y = yA pZ
(yA = y â pA)
Il generico elemento yAij della matrice yA indica l’effetto diretto e indiretto sul valore
aggiunto della branca i derivante dalla domanda finale unitaria di produzione interna
della branca j.
La somma per colonna ( yA.j ) è il moltiplicatore settoriale del valore aggiunto.
Esempio.
Dalla tavola dell’esempio precedente si ottiene la seguente matrice diagonale dei
coefficienti di valore aggiunto:
0.6
ya =
0.65
da cui
0.7525 0.1980
yA
= y â pA =
0.1716 0.7294
Moltiplicatori del valore aggiunto (yA.j):
Branca 1 : 0.9241
Branca 2 : 0.9274
49
SCHEDA 16
Modello dell’occupazione
Utilizzando informazioni esterne alla tavola input – output si può definire anche il
modello dell’occupazione, che esprime l’occupazione settoriale in funzione del vettore
della domanda finale di produzione interna.
Definiamo il coefficiente di lavoro della branca j (Lj : occupati o unità di lavoro della
branca j):
l
aj =
Lj
Xj
In modo del tutto simile al modello del valore aggiunto avremo
Lj = laj Xj
In notazione matriciale:
L = l â X
(l â matrice diagonale dei coefficienti di lavoro)
Da cui:
L = l â pA pZ
L = lA pZ
(lA = l â pA)
Il generico elemento lAij della matrice lA indica l’effetto diretto e indiretto sulla
occupazione della branca i derivante dalla domanda unitaria di produzione interna della
branca j. La somma per colonna (lA.j ) è il moltiplicatore settoriale dell’occupazione.
Si può seguire anche una strada diversa, partendo invece che dai coefficienti di lavoro
dal reciproco dei coefficienti di produttività:
λj=
1
π Lj
=
Lj
Yj
e quindi
Lj = λ j Yj
In notazione matriciale:
L = λ̂ Y
Da cui:
L = λ̂ yA pZ
50
( λ̂ yA = λ̂ y â pA = l â pA = lA).
L = lA pZ
Esempio.
Dalla tavola dell’esempio precedente, e supponendo che l’occupazione nelle due
branche sia pari, rispettivamente, a 270 e 390, si calcola la seguente matrice dei
coefficienti di lavoro:
0.27
la =
0.195
da cui
0.3386 0.0891
lA
= l â pA =
0.0515 0.2188
Moltiplicatori dell’occupazione (lA.j):
Branca 1 : 0.3901
Branca 2 : 0.3079
51
SCHEDA 17
Il modello dei prezzi
Il modello di Leontief consente di affrontare, oltre al problema della determinazione del
vettore della produzione totale compatibile con un determinato vettore della domanda
finale, anche quello della determinazione del vettore dei prezzi settoriali coerente con
un dato vettore di valore aggiunto.
Il modello si fonda sulla presenza nel sistema economico di una interdipendenza
tecnica tra i prezzi simile a quella esistente tra le quantità e legata alle interdipendenze
produttive.
A differenza delle funzioni di produzione neoclassiche, nelle quali le quantità di input
impiegate dipendono dai loro prezzi, nel modello leonteviano sia le quantità che i
prezzi dipendono dalle interdipendenze produttive controllate dalla tecnologia e sono
determinati separatamente.
A partire da una tavola in valore, il modello dei prezzi permette di valutare l’impatto
sui prezzi dei beni di produzione interna delle diverse branche di variazioni dei prezzi
degli input primari, comprese le importazioni, dal tempo base a quello corrente.
Punto di partenza è l’equazione dei costi in valore al tempo base:
Xj =
∑
pxij
+
i
∑
mxij + Yj
i
nella quale ai flussi intermedi di produzione interna e di importazione vengono
sostituite le espressioni
pxij
= paij Xj
mxij
= maij Xj
e al valore aggiunto, articolato nelle sue componenti, l’espressione
Yj = ∑
vasj
Xj
s
dove v a sj =
Ysj
Xj
.
Si ottiene
Xj =
∑
paij
i
Xj + ∑
i
maij
Xj + ∑
vasj
Xj
.
s
Esprimiamo la precedente in termini di quantità e prezzi, introducendo i relativi
coefficienti tecnici (in quantità):
Qj pj =
∑
i
qaij
pi
Qj pj + ∑
pj
i
mqaij
pi
Qj pj +
pj
m
∑
s
vqasj
ps
QjPj
pj
v
52
∑
Qj pj =
qaij
i
pi Qj + ∑
mqaij mpi
Qj +
i
∑
vqasj vps
Qj
.
s
Indichiamo con p * il nuovo livello dei prezzi al tempo corrente:
Qj p*j =
∑
qaij
i
pi* Qj + ∑
mqaij m
p i* Qj +
i
∑
vqasj
v
p s* Qj
.
s
Dividiamo per Qj pj e inoltre moltiplichiamo e dividiamo ogni addendo per i relativi
prezzi al tempo base (e semplifichiamo):
p *j
∑
=
pj
qaij
i
pi p i*
+∑
p j pi
i
mqaij
pi
pj
m
p i*
+
p
m i
m
∑
s
vqasj
ps
pj
v
p s*
.
v ps
v
Reintroduciamo i coefficienti di fabbisogno diretto e delle componenti del valore
aggiunto (in valore) e indichiamo i rapporti tra i prezzi dell’anno corrente e dell’anno
base con π :
πj=
∑
i
paij
π i +∑
maij m π i
i
+
∑
vasj v π s
.
s
In notazione matriciale:
π = pa’ π + ma’ m π + va’ v π
π = (I - pa’)-1 ma’ m π + (I - pa’)-1 va’ v π
π = pA’ ma’ m π + pA’ va’ v π
π = mA’ m π + (va pA)’ v π
π = mA’ m π + vA’ v π .
è la trasposta della matrice della attivazione diretta e indiretta di importazioni. Se
aumenta il prezzo dei beni importati prodotti dalla branca estera i, mentre gli altri
restano costanti, il vettore dei prezzi dei beni di produzione interna π si modifica solo
per effetto del prodotto di ogni elemento della i.ma colonna della matrice mA’ - che
corrisponde alla i.ma riga della matrice mA e che rappresenta il fabbisogno di
importazioni di quel tipo espresso dal complesso del sistema produttivo - per
quell’incremento di prezzo all’importazione.
mA’
vA’
è la matrice seguente
… vA1(s) … vA1(r)
………………………
(1)
A’
=
A’
a’
=
… vAj(s) … vAj(r)
v
p
v
vAj
………………………
(1)
(s)
… vAn(r)
vAn … vAn
vA1
(1)
53
il cui generico elemento rappresenta l’attivazione complessiva (somma delle attivazioni
di branca) della componente di valore aggiunto s derivante da una variazione unitaria
della domanda finale di produzione interna della branca j.
Se aumenta il prezzo del fattore produttivo primario s, mentre gli altri restano costanti,
il vettore dei prezzi dei beni di produzione interna π si modifica solo per effetto del
prodotto di ogni elemento della s.ma colonna della matrice vA’ - che rappresenta il
fabbisogno di input primari di quel tipo espresso dal complesso del sistema produttivo
per realizzare la produzione delle diverse branche - per quell’incremento di prezzo.
Esempio.
Dalla tavola dell’esempio precedente si ottiene la seguente matrice dei coefficienti di valore
aggiunto:
0.4
0.35
0.2
0.3
va =
da cui
0.594 0.330
vA’
= (va pA)’ =
0.525 0.403
Mentre
0.0356 0.0403
mA’
=
0.0515 0.0211
Valutazione dell’impatto sui prezzi dei beni di produzione interna delle due branche:
a) di un aumento del 10% dei redditi unitari da lavoro dipendente, a parità di remunerazione
del capitale e dei prezzi delle importazioni.
1.1
vπ =
1.0
mπ =
1.0
1.0
1.0593
π = mA’ m π + vA’ v π =
1.0531
b) di un aumento dei prezzi delle importazioni di beni delle due branche rispettivamente del
10% e del 20%, a parità di redditi unitari dei fattori primari.
54
1.0
vπ =
1.1
mπ =
1.0
1.2
1.0115
π = mA’ m π + vA’ v π =
1.0100
55
SCHEDA 18
I modelli con consumo endogeno
Nel modello I-O statico aperto la domanda per il consumo finale viene trattata come variabile
esogena, al pari di tutte le altre componenti della domanda finale, e quindi disgiunta dal
complesso delle relazioni di interdipendenza che caratterizzano il mondo della produzione.
Nella realtà così non è, perché almeno una parte del consumo dipende dai redditi distribuiti alle
famiglie a seguito dell’impiego nel processo produttivo dei fattori primari che esse detengono
(lavoro, ma anche il fattore capitale-impresa delle imprese familiari). Dunque una parte del
consumo non è autonoma (e nel modello non può essere considerata come variabile esogena),
ma dipende dal reddito distribuito e in ultima analisi dai livelli di produzione spiegati dal
modello ed è quindi anch’essa spiegata dal modello.
Affinché il modello possa cogliere l’effetto moltiplicativo di tipo keynesiano su produzione,
reddito ecc., indotto dall’incremento dei consumi finali delle famiglie a seguito della
distribuzione dei redditi da attività produttiva occorre dunque endogenizzare tale componente
di consumo.
Consideriamo la sezione della tavola I-O relativa alla distribuzione del valore aggiunto alle r
categorie di percettori e riprendiamo la matrice (r x n) dei coefficienti di valore aggiunto
= [ vasj ]
va
( vasj = Ysj/Xj)
definiamo inoltre la matrice (n x r) dei coefficienti di consumo
C = [ cis ]
( cis = Cis/Ys ) ,
dove Cis è il consumo del gruppo di percettori s di beni di produzione della branca i e Ys è il
valore aggiunto distribuito a tale gruppo.
( ∑ cis = cs , dove cs è la propensione al consumo del gruppo s ).
i
Modello della produzione.
Indicato con X il vettore della produzione, il vettore del consumo endogeno è dato dalla
seguente espressione:
eC
= C va X
Scomponendo il vettore della domanda finale in eC e Za, dove Za = Z - eC comprende tutte le
componenti autonome (consumi privati indipendenti dalla attività produttiva – dei pensionati,
dei non residenti, ecc. – consumi pubblici, investimenti, esportazioni) il modello I-O della
produzione definito a partire dalla equazione di bilancio diventa:
X = pa X + eC + aZ
= pa X + C va X + aZ
E il modello sarà
X = (I - pa - C va)-1aZ
56
La matrice inversa misura l’effetto complessivo (diretto, indiretto e indotto) della domanda
finale esogena sulla produzione.
Modelli del valore aggiunto
Posto y il vettore (r x 1) del valore aggiunto distribuito agli r gruppi di percettori, il modello del
reddito è
y = va X
= va (I - pa - C va)-1aZ
Mentre dalla relazione
Y = y â X
Si ricava il modello con consumo endogeno che esprime il vettore del valore aggiunto
settoriale in funzione del vettore della domanda finale:
Y = y â (I - pa - C va)-1aZ
Il modello, anche in versioni più complesse che trasferiscono nell’ambito del modello I-O
l’approccio SAM, è stato proposto da Miyazawa. Peraltro, il modello può essere visto come
uno sviluppo input output dello schema macroeconomico di Kalecki, nella ipotesi di due soli
gruppi di percettori, lavoratori e capitalisti che percepiscono salari e profitti, e nella ipotesi
ulteriore che la propensione al consumo dei primi sia pari ad uno e quella dei secondi pari a
zero.
Sotto il profilo applicativo le maggiori difficoltà risiedono nella costruzione della matrice (n x
r) dei coefficienti di consumo
C = [ cis ]
( cis = Cis/Ys ) ,
e in particolare nella determinazione dei flussi Cis , cioè il consumo del gruppo di percettori s di
beni di produzione della branca i.
In realtà le statistiche sui consumi non forniscono dati di questo tipo, ma si riferiscono ai
consumi per funzioni di spesa (alimentare, abbigliamento, ecc., ognuna delle quali presuppone
l’acquisto di beni e servizi prodotti da diverse branche (ad esempio i consumi alimentari sono
prodotti sia dalla branca agricoltura, sia da varie branche dell’industria alimentare). Il
passaggio dall’una all’altra classificazione richiede una apposita matrice di transizione.
Un secondo problema deriva dalla necessità di conoscere la propensione al consumo di ogni
gruppo di percettori di reddito (per ogni gruppo, la somma dei coefficienti di consumo di
branca deve essere infatti pari alla propensione al consumo del gruppo di percettori).
In definitiva, separatamente per ogni gruppo di percettori, si tratta di:
- stimare la propensione media al consumo e quindi la quota di valore aggiunto distribuito
al gruppo di percettori che viene destinata al consumo;
57
-
articolare il consumo complessivo del gruppo di percettori, classificandolo per funzioni di
spesa;
tramite la matrice di transizione passare dalla classificazione precedente a quella per
branche di produzione dei beni e servizi.
Ulteriori affinamenti del modello possono essere compiuti attraverso una disaggregazione dei
percettori di reddito più dettagliata di quella disponibile dalla tavola I-O, ad esempio
classificando le famiglie per gruppi sociali (questo è uno degli aspetti trattati nell’ambito del
modello SAM).
Esempio.
Dalla tavola dell’esempio precedente si ricava la matrice va (già utilizzata nel modello dei
prezzi). Supponendo che le propensioni al consumo relative ai due gruppi di percettori siano,
rispettivamente, c1 = 0.8 e c2 = 0.6 e che sia nota la seguente matrice C:
0.3
0.2
0.5
0.4
0.16
0.165
0.28
0. 295
C=
si ha:
C va =
0.69
- 0.415
- 0.48
0.655
I - pa – C va =
(I - pa – C va)
-1
2.59
1.64
1.90
2.73
=
Nella ipotesi che la domanda finale autonoma sia pari alla metà di quella considerata negli
esercizi precedenti, si ha:
300
aZ =
750
e quindi:
58
Produzione:
2007
X = (I - pa - C va)-1aZ =
2617
Valore aggiunto distribuito ai due gruppi di percettori:
1718
-1
y = va (I - pa - C va) aZ =
1187
Valore aggiunto settoriale:
1204
Y = y â (I - pa - C va)-1aZ =
1701
59
SCHEDA 19
Le analisi strutturali
Dalla tavola I-O e dalle matrici di attivazione complessiva definite nei vari modelli analizzati si
possono trarre indicatori utili per l’analisi strutturale del sistema produttivo.
In particolare:
- la classificazione delle branche in tipologie settoriali;
- moltiplicatori medi di produzione, importazioni, valore aggiunto, occupazione e relativi
confronti nel tempo e nello spazio;
- analisi comparata della capacità di attivazione delle diverse componenti della domanda
finale.
Classificazione delle branche in tipologie settoriali.
Dalla tavola I-O si possono calcolare due indici di integrazione settoriale, che misurano
l’intensità dei collegamenti a monte e a valle attraverso i flussi diretti di scambi intermedi:
wi =
p
uj =
p
x i.
: quota delle vendite per usi intermedi sulla produzione della branca;
Xi
x. j
: quota degli acquisti di input intermedi sulla produzione della branca;
Xj
Per entrambi il valore medio è:
w =u =
p
x..
X.
: quota degli impieghi intermedi sulla produzione complessiva del
sistema.
Le branche possono essere classificate in base ai due indicatori nel modo seguente:
-
wi > w denota una branca con alta intensità di collegamenti a valle, cioè con
elevato uso intermedio della propria produzione;
-
wi < w denota una branca con bassa intensità di collegamenti a valle, cioè con
elevato uso finale della propria produzione;
-
uj > u denota una branca con alta intensità di collegamenti a monte, cioè con
elevato uso di input intermedi nel proprio processo produttivo (attività
manifatturiera o di trasformazione);
-
uj < u denota una branca con bassa intensità di collegamenti a monte, cioè con
elevato uso di input primari nel proprio processo produttivo (attività primaria).
60
Schema
Uso dell’output
Tipo di input
Finale
Intermedio
Manifatturiero
M F (3)
M I (2)
Primario
PF
P I (1)
(4)
Sequenza:
1) P I : branche che utilizzano prevalentemente input primari e vendono i prodotti
ad altre branche per la trasformazione (industrie estrattive, agricoltura);
2) M I : branche che utilizzano prevalentemente beni intermedi e producono a loro
volta beni intermedi (industria siderurgica, chimica di base, tessile);
3) M F : branche che utilizzano prevalentemente beni intermedi e producono beni
finali (industria meccanica, alimentare);
4) P F : branche che utilizzano prevalentemente input primari e vendono agli usi
finali (costruzioni, PA, servizi finali).
Le branche possono essere classificate anche in base ai moltiplicatori tratti dai modelli
I-O: moltiplicatore della produzione (pA.j), delle importazioni (mA.j), del valore aggiunto
(yA.j), dell’occupazione (lA.j). Le branche saranno classificate ad alta o bassa capacità di
attivazione a seconda che l’indicatore risulti più alto o più basso della media. La
classificazione può avvenire in base ad un solo moltiplicatore, a coppie di moltiplicatori
(produzione e importazioni, produzione e valore aggiunto, produzione e occupazione,
valore aggiunto e occupazione e così via), oppure in base a più di due moltiplicatori
contemporaneamente.
Moltiplicatori medi.
Le medie di tali moltiplicatori, ponderate con il peso che ogni branca presenta nel
vettore della domanda finale di produzione interna, sono a loro volta indicatori
strutturali dell’intero sistema economico, che consentono di fare confronti nel tempo e
tra sistemi economici diversi in termini di capacità di attivazione complessiva (della
produzione, delle importazioni, del valore aggiunto, ecc.).
Posto d j =
p
Zj
p
Z
tali moltiplicatori medi sono così definiti:
p
A=
∑
j
pA.j dj ;
m
A=
∑
j
mA.j dj ;
y
A=
∑
j
yA.j dj ;
l
A=
∑
lA.j dj ;
j
61
I moltiplicatori medi misurano l’attivazione complessiva sull’intero sistema economico
- in termini di produzione, importazione, valore aggiunto, occupazione - derivante da
una variazione unitaria della domanda finale di produzione interna di composizione
media.
Analisi comparata della capacità di attivazione delle diverse componenti della domanda
finale.
I moltiplicatori medi si possono definire e calcolare anche con riferimento alle singole
componenti della domanda finale di produzione interna. Essi consentono di confrontare
l’impatto di ipotesi alternative di intervento sulle componenti della domanda finale (ad
esempio, politiche di stimolo ai consumi o alle esportazioni).
Poniamo
C
dj =
p
Cj
p
C
; Idj =
p
Ij
p
I
; Edj =
p
Ej
p
E
Per la produzione i moltiplicatori medi, rispettivamente, dei consumi, degli investimenti
e delle esportazioni, sono così definiti:
p
AC=
∑
j
pA.j Cdj ;
p
AI=
∑
j
pA.j Idj ;
p
AE=
∑
pA.j Edj .
j
Analogamente per le importazioni, il valore aggiunto, l’occupazione.
62