Anno_IV_numero_12
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“Per un giornalista la libertà di scrivere la verità non ha prezzo” (Sebastiano Messina - REPUBBLICA) Anno IV n.12 € 0,70 • QUINDICINALE DI FATTI E OPINIONI • REG. TRIB. DI SIRACUSA N.1509 DEL 25/08/2009 • DIRETTORE: FRANCO ODDO • VICEDIRETTORE: MARINA DE MICHELE e-mail: [email protected] domenica 17 giugno 2012 prossima uscita: 1 luglio AL TIMONE DI UNA SOCIETÀ SENZA CONTROLLI, PUNTA ALLE LUCROSE BONIFICHE DI PRIOLO E DELLA RADA DI AUGUSTA Dalla Sogesid di Assenza 4,4 mln di consulenze ZAPPULLA (CGIL): “UN DISASTRO IN TUTTI I SETTORI UN QUARTO DEI SIRACUSANI VIVE SOLO CON 600 EURO” “Il Tavolo Tecnico s’infrange sulla politica irresponsabile” Fa girare un fiume di denaro ma di essa anche a Siracusa si parla poco. Eppure al vertice della Sogesid c’è proprio un siracusano: l’avvocato Vincenzo Assenza voluto dal Ministro dell’Ambiente, oggi ex, Stefania Prestigiacomo, si dice, per motivi “familiari”. È uno dei manager dagli stipendi d’oro, di quelli caduti sotto il mirino della cosiddetta ”antipolitica”. I suoi sostanziosi emolumenti sono dovuti anche al fatto che somma in sè una doppia carica: quella di presidente della società e insieme di amministratore delegato, una sovrapposizione espressamente consentita dallo statuto. La sua remunerazione arriva così, come si può leggere nell’elenco reso pubblico dal ministro Brunetta, alla quota di 144 mila euro l’anno, ma si tratterebbe di una riduzione rispetto ai precedenti 184 mila (anche per i super manager è tempo di sacrifici!). In altri atti però, quelli della Corte dei Conti, il compenso riportato per le funzioni di presidente è di 27 mila euro e di 230 mila per quelle di amministratore delegato cui va aggiunto un emolumento variabile, di importo annuo lordo massimo pari al 30% del compenso fisso, che spetta in caso di raggiungimento integrale degli obiettivi annuali definiti dal Consiglio di Amministrazione, o in misura minore in caso di raggiungimento solo parziale degli obiettivi stessi. Forse è alla luce di queste variabili che si spiega la cifra di 215.123 (netti?) di cui si è ultimamente parlato ma qualsiasi calcolo preciso appare impossibile. Solo una voce comunque rispetto ai costi complessivi del consiglio di amministrazione. PAGG. 10-11 (De Michele) IGIENE URBANA FOTOVOLTAICO PARCO IBLEI L’arch. Patti “Il nuovo bando taglia i servizi aumenta i costi” I finanziatori bloccano i progetti nei poderi di Noto e Palazzolo Definita la zonizzazione il ministro dia le risposte PAG.13 (De Michele) PAG.3 (Privitera) PAG.14 (Pantano) “Per dare l’idea della gravità dello stato di salute della nostra provincia basta citare alcuni dati, contenuti nei rapporti annuali dell’INPS e della Camera di Commercio e presentati di recente alle forze sociali: l’Inps ci ha detto che un quarto della popolazione provinciale, che in totale è poco più di 400 mila, vive di un assegno pensionistico che mediamente supera di poco i 600 euro (ben al di sotto, quindi, della soglia di povertà), un altro quarto della popolazione non ha una occupazione, l’INPS ci dice anche che più di ventimila persone sono coperti, ma fino a quando ?, dagli ammortizzatori sociali (mobilità, cassa integrazione in deroga), una condizione che costituisce l’anticamera della disoccupazione. A completare questo quadro drammatico ci ha pensato il rapporto annuale della Camera di Commercio, che ci ha detto che nel 2011 c’è stato un aumento del 5% dei disoccupati, molto al di sopra del resto della Sicilia e del paese. “Ci troviamo quindi di fronte a un disastro in tutti i settori produttivi. Se andiamo nel dettaglio scopriamo un aumento record di disoccupati nell’edilizia (4000), un aumento dei disoccupati e degli ammortizzatori sociali nel settore metalmeccanico (2500), e una perdita di posti di lavoro in agricoltura, nella scuola, nel terziario e nei servizi. Dove il lavoro non diminuisce si trasforma da lavoro stabile a lavoro precario, se non addirittura in lavoro nero, senza diritti e senza certezze. Il perdurare della crisi, nazionale e globale, e il blocco di tutti gli investimenti nel nostro territorio sta determinando una crisi di lunga durata e dalle conseguenze ancora peggiori dal punto di vista economico ed occupazionale e per la tenuta sociale del territorio”. Pag. 3 (La Leggia) SCOPRIRE CHI SONO È UN SEGRETO DI PULCINELLA A SIRACUSA NESSUNA P5, LE LOGGE SI AMMODERNANO Una provincia di massoni I loro nomi su internet Il crucifige di Aldo Garozzo Assoporto: si punti altrove Pag. 7 (Di Mauro) Cos’è, oggi, la massoneria? Ma soprattutto, chi sono i massoni? Anzi, chi sono i massoni della nostra città? Che a Siracusa e nei comuni della provincia alcuni adepti ostentassero la loro adesione è dimostrato dai simboli massoni in bassorilievo sulle pareti d’ingresso dei palazzi e palazzotti del capoluogo e dei comuni. Anche a Palazzolo Acreide, lungo il corso, ce n’è uno con scultura di squadra e compasso. Ma, negli ultimi decenni, a vantarsene erano sempre di meno per la diffusa convinzione popolare di logge appartate, di riti coi cappucci, di pratiche esoteriche. Nelle chiacchiere da bar la massoneria, anche quella siracusana, sapeva di pi qualcosa finalizzata a favorire carriere e affari. Insomma, si aveva la sensazione che sempre più gli affiliati cercassero di starsene al coperto, lontani da occhi indiscreti. Ma a Siracusa non c’è nessuna congrega per fini reconditi. PAG. 9 (Lanaia) Il simbolo massonico sul battente di un portone a Noto 2 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Il presidente di “Siracusa, città aperta”: “45 giorni per prepararla, gli ultimi trenta da manicomio” Omar Giardina: “Quella di giovedì alla Graziella una Festa della Musica di tutti i generi ma anche balli, poesia, arte, moda, saltimbanco e sapori” di ALESSANDRA PRIVITERA Nata in Francia nel 1982, la Fête de la Musique si è trasformata in un autentico fenomeno sociale, che esalta l’insieme delle performance musicali individuali e collettive: l’esibizione, l’ascolto, la condivisione di un momento di festa. Dal 1995, ogni 21 giugno numerose città europee hanno aderito alla manifestazione: Barcellona, Berlino, Budapest, Bruxelles, Lisbona, Liverpool, Parigi, Praga ed in Italia Roma, Napoli, Senigallia, Arco e molte altre ancora. Quest’anno anche Siracusa è stata ufficialmente inserita nel network internazionale della Festa della Musica Europea. Ne parliamo con l’avv. Omar Giardina, presidente dell’Ass. Siracusa città aperta e direttore artistico dell’evento. Come nasce l’idea della festa della musica a Siracusa? “L’idea è nata spontaneamente. Un sabato pomeriggio ho creato un evento su facebook, dal nulla, come se fosse già bello e organizzato. In poche ore ho avuto il sostegno degli amici di Siracusa Città Aperta, di Open House Magazine, SRS Lab e Hub Siracusa”. Qual è l’esperienza siracusana? “A dire il vero per me non è stata una novità: avevo, infatti, organizzato la festa della musica a Siracusa già nel ‘97, ma quello fu un evento abbastanza diverso (e per certi versi più limitato) di quello attuale. All’epoca la rete nazionale della Festa della Musica era ancora in divenire. Oggi è presente l’Associazione Nazionale per la Promozione della Festa della Musica, con sede a Roma, che attualmente conta una sessantina di città aderenti. Oggi, ad esempio, è possibile ascoltare l’intervista del Pres. Staccioli su Radio Capital nello spazio tra le 18 e le 20 in merito alla portata nazionale e internazionale dell’evento”. Stando al sito della Festa della musica-Europea «questa manifestazione, rigorosamente gratuita, rappresenta un momento di coesione sociale all’interno della città e crea le condizioni di un dialogo tra l’Amministrazione e i cittadini attraverso l’espressione dei più vari talenti musicali».Quale dialogo con l’Amministrazione Comunale e con quella Provinciale? “La Festa della Musica è organizzata dall’Associazione Culturale Siracusa Città Aperta, di cui sono il Presidente, con il patrocinio gratuito del Comune di Siracusa - Assessorato alle Politiche Culturali”. Sul blog http://festadellamusicasiracusa. wordpress.com si legge che quella di Siracusa «è una festa che nasce dal basso, dalla volontà di liberi cittadini e associazioni culturali. Se vuoi darci una mano, o aiutarci a sostenere le spese contattaci. Se vuoi sponsorizzare la festa, fatti avanti! Sono i benvenuti tutti quelli che vogliono dare una mano, a livello logistico, organizzativo, artistico, creativo. Siamo volontari, ci guadagna solo la cultura e la città”. Quante e quali risposte avete avuto a questo appello? “Devo dire che, nonostante il periodo di crisi e depressione, la risposta c’è stata; rinfranca sapere che diversi commercianti e imprenditori sostengano (addirittura spontaneamente) le iniziative culturali, certamente consci che la città langue da questo punto di vista”. Come definireste, in questa fase di preparazione, la partecipazione di Siracusa all’organizzazione di un evento dall’ampio respiro qual è questo? “Confortante. Molti incoraggiamenti e plausi non possono che sostenerci a fare bene”. Parliamo della location: perché proprio il quartiere della Graziella? “Per diverse ragioni: intanto perché il rione della Graziella è bellissimo; poi perché tra tutti è quello che soffre maggiormente l’abbandono di gran parte dei suoi residenti verso la parte alta della città – fenomeno avvenuto soprattutto tra gli anni ‘50 e ‘70; insomma, è diventata una periferia del centro storico Omar Giardina e noi vorremmo che gli attuali residenti (tra cui diversi centrafricani), per un giorno almeno, “vivessero” il loro quartiere partecipando attivamente alla festa, magari aprendo le porte delle loro case per offrire qualcosa ai visitatori”. Il programma è davvero eterogeneo: quasi a dire che ce ne sarà per tutti i gusti. In qualità di direttore artistico, vuoi dirci se c’è anche un filo rosso che lega questi artisti provenienti da mondi musicali ed esperienze diversissime? “Il filo rosso è dato per antonomasia dalla stessa concezione di Festa della Musica ab origine, ovvero una miscellanea di artisti, dall’amatore al professionista, e di generi, dal folk al pop, dal rock al jazz, dall’elettronica all’afro; e, comunque, non solo musica, ma anche tango, capoeira, ginnastica ritmica, teatro, poesia, laboratorio di apprendimento musicale per bambini, allestimenti ed installazioni d’arte, di moda, videoproiezioni, expo, estemporanee, performance, artisti di strada e saltimbanco; e poi ancora bancarelle di artigianato locale, degustazioni di vini, kebab ed altro. Inoltre, ci sarà una particolarissima ed innovativa segnaletica stradale della festa”. Qual è la partecipazione che vi ha dato più soddisfazione ottenere? Perché? “Senza nulla togliere agli artisti, sul sagrato della Chiesa di San Paolo, di fianco al Tempio di Apollo faremo una raccolta di fondi per i terremotati dell’Emilia. Questa è la cosa che ci inorgoglisce di più”. Quanto tempo avete impiegato (quante energie, quante risorse) per riuscire ad offrire un program- ma così corposo? “Circa quarantacinque giorni, di cui trenta da manicomio”. Non ci resta, allora, che partecipare. AbitoCasa S.r.l. Via Re Ierone, 55 - 96100 - Siracusa Tel. 0931 462161 - Fax 0931 1960404 - Cell. 392 4229037 www.abitocasa.it SPECIALISTI IN ASTE IMMOBILIARI Rif. IA0701 CENTRO D’ORTIGIA VENDESI PREGIATO CON PARQUET SALOTTO-SOGGIORNO CON ANGOLO COTTURA CAMERA DA LETTO CAMERETTA E BAGNO. INFO SOLO IN UFFICIO Rif. IA0702 Rif. IA0605 Rif. IA0612 Rif. 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IA0602 ORTIGIA PALAZZOTTO INDIPENDENTE TOTALMENTE DA RISTRUTTURARE VISTA MARE TERRA PRIMO E SECONDO AFFARE INFO SOLO DI PERSONA Prezzo: € 75.000,00 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Il segretario provinciale: “Ci troviamo di fronte a un disastro in tutti i settori produttivi” 3 Zappulla (Cgil): “L’impegno mostrato per mesi dal Tavolo del Lavoro si è infranto sulla irresponsabilità e sull’immobilismo della politica” di CONCETTA LA LEGGIA Già l’anno scorso i Ministri del Lavoro dei Paesi G20 si erano incontrati a Parigi per trovare strategie comuni per la ripresa occupazionale e per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori alla salute e al sostegno al reddito. Le cifre erano e restano allarmanti: occorre creare 20 milioni di posti di lavoro per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi col rischio di un ulteriore incremento. La condizione drammatica ovviamente investe appieno l’Italia e la Sicilia. E mentre apprendiamo che nella nostra isola sono già finiti i soldi destinati a pagare la cassa integrazione nel 2012 ai lavoratori che hanno perso il posto col rischio che la Regione blocchi l’erogazione degli assegni (causa !? i dipendenti degli enti di formazione professionale che da gennaio a oggi non hanno lavorato per effetto del ritardo nell’avvio dei corsi), cresce la disoccupazione giovanile che nella nostra terra sfiora il 40% e che, in modo pesantissimo, investe la provincia di Siracusa. Ne abbiamo parlato con il segretario provinciale della CGIL di Siracusa Paolo Zappulla. Segretario, partiamo dalla situazione della provincia dal punto di vista economico ed occupazionale in questo momento. “Per dare l’idea della gravità dello stato di salute della nostra provincia basta citare alcuni dati, contenuti nei rapporti annuali dell’INPS e della Camera di Commercio e presentati di recente alle forze sociali: l’Inps ci ha detto che un quarto della popolazione provinciale, che in totale è poco più di 400 mila, vive di un assegno pensionistico che mediamente supera di poco i 600 euro (ben al di sotto, quindi, della soglia di povertà), un altro quarto della popolazione non ha una occupazione, l’INPS ci dice anche che più di ventimila persone sono coperti, ma fino a quando ?, dagli ammortizzatori sociali (mobilità, cassa integrazione in deroga), una condizione che costituisce l’anticamera della disoccupazione. A completare questo quadro drammatico ci ha pensato il rapporto annuale della Camera di Commercio, che ci ha detto che nel 2011 c’è stato un aumento del 5% dei disoccupati, molto al di sopra del resto della Sicilia e del paese. “Ci troviamo quindi di fronte a un disastro in tutti i settori produttivi. Se andiamo nel dettaglio scopriamo un aumento record di disoccupati nell’edilizia (4000), un aumento dei disoccupati e degli ammortizzatori sociali nel settore metalmeccanico (2500), e una perdita di posti di lavoro in agricoltura, nella scuola, nel terziario e nei servizi. Dove il lavoro non diminuisce si trasforma da lavoro stabile a lavoro precario, se non addirittura in lavoro nero, senza diritti e senza certezze. Il perdurare della crisi, nazionale e globale, e il blocco di tutti gli investimenti nel nostro territorio sta determinando una crisi di lunga durata e dalle conseguenze ancora peggiori dal punto di vista economico ed occupazionale e per la tenuta sociale del territorio”. I pesantissimi numeri della crisi che sta investendo il settore edile siracusano, resi pubblici in questi giorni, hanno dato l’avvio ai sit-in che hanno coinvolto diversi comuni della provincia. Quali gli obiettivi delle manifestazioni? Qual è la responsabilità delle amministrazioni locali dinnanzi a tale crisi? “Le imprese e i lavoratori del settore delle costruzioni stanno pagando un prezzo altissimo, dalla fine dei lavori per l’autostrada SR-CT e del lotto autostradale SR-Rosolini il settore è entrato in crisi. Sono fermi i lavori pubblici, grandi e piccoli, sono fermi i grandi investimenti privati. La crisi dell’edilizia si trascina dietro tutta la filiera delle costruzioni, che coinvolge l’artigianato e il commercio, compromettendo una parte importante dell’assetto economico del territorio. Da questa drammatica situazione prende le mosse il piano di iniziative del sindacato unitario degli edili; l’obiettivo è accelerare l’approvazione di due grandi progetti stradali, il raddoppio della CT-RG e i lotti dell’autostrada SR-GELA fino a Modica, per renderli cantierabili e per dare lavoro a migliaia di lavoratori edili della nostra provincia e della provincia di Ragusa. Le iniziative in corso nei comuni hanno anche l’obiettivo di svegliare i sindaci affinché avviino gli investimenti di manutenzione e di restauro del patrimonio edilizio, scolastico e monumentale di loro competenza, che darebbero lavoro, sicurezza e decoro alle loro città. Un esempio positivo arriva da Lentini, che si appresta a rendere cantierabili investimenti per decine di milioni di euro, con enormi benefici per i lavoratori lentinesi. A questo scopo consideriamo importante aver sottoscritto con il sindaco di Lentini un protocollo sugli appalti che salvaguarda l’occupazione locale, protocollo che tenteremo di estendere anche alle altre amministrazioni comunali del territorio”. Ci pare che il Tavolo per il lavoro, partito con buone intenzioni e prospettive, in verità si sia arenato e non sia riuscito ad ottenere gli obiettivi proposti. Perché? Quali ostacoli incontra? “Il tavolo per il lavoro è la risposta responsabile di tutto il mondo sindacale e delle imprese per tentare di porre un argine ad una crisi drammatica per le imprese e i lavoratori, di fronte alla irresponsabile assenza della politica e di coloro che hanno compiti di governo a livello nazionale, regionale e territoriale. In questi quattro lunghi anni di crisi la politica è rimasta sorda ai ripetuti appelli del mondo del lavoro. La politica ha continuato ad occuparsi di se stessa, in una logica autoreferenziale, totalmente scollegata dai bisogni delle persone. Il limite nell’azione del tavolo per il lavoro è dato dal fatto che nelle sue possibilità c’è protestare, evidenziare problemi, proporre soluzioni; ma non c’è il potere di decidere, che spetta alla politica. Ed è sull’irresponsabilità e sull’immobilismo della politica che si sono infranti fino ad ora l’impegno e la mobilitazione che per mesi ha messo in campo il Tavolo per il lavoro. “Siamo adesso alla vigilia di una lunga stagione elettorale che da settembre arriverà fino alle amministrative di maggio 2013. Può il nostro territorio attendere questi tempi? Possono i lavoratori e le imprese sopportare il peso della crisi per un altro anno, senza compromettere definitivamente la tenuta di quel che resta del nostro assetto produttivo ed occupazionale? Noi riteniamo di no. Per questa ragione occorre che il Sindacato confederale siracusano riprenda in prima persona la guida del movimento di lotta, indicando la strada e gli obiettivi da raggiungere sia ai lavoratori che allo stesso Tavolo per il lavoro. Le prossime settimane possono essere ancora utili e decisive per sbloccare alcuni importanti progetti dell’area industriale e del sistema delle infrastrutture dei trasporti stradali e autostradali. Abbiamo ancora la possibilità di dare un segnale di fiducia a chi rischia di perdere il lavoro, ai tanti cinquantenni che lo hanno perso e ai moltissimi giovani che aspettano ancora di entrare nel mondo del lavoro. Dobbiamo quindi rilanciare l’azione del sindacato e dello stesso Tavolo per il lavoro e rivolgerci al Governo Nazionale ed in particolare ai Ministri Passera e Barca, dalle cui mani passa buona parte del futuro di questa provincia”. Finora, con 57mila euro l’anno, in sei anni si recuperava l’investimento e per gli altri 14 forti guadagni Pingui affari col fotovoltaico per una ventina di poderi tra Noto e Palazzolo ma i finanziatori bloccano tutto temendo il Quinto Conto Energia (-30%) L’affaire fotovoltaico ha investito negli anni la provincia in ogni settore. È capitato, per esempio, che gruppi imprenditoriali – non necessariamente siciliani – abbiano deciso di investire, insieme a società produttrici di pannelli fotovoltaici rigorosamente straniere, in progetti fotovoltaici su annessi agricoli (magazzino, stalla, deposito attrezzi). Per questo motivo hanno contattato general contractors (o intermediatori) locali che si sono occupati di acquisire clienti che fossero proprietari di terreni destinati ad annessi agricoli e imprenditori agricoli. Conditio sine qua non, quest’ultima: per evitare le spese aggiuntive per la concessione edilizia. Quali i termini del contratto? Il general contractor, che ha la responsabilità operativa, si occupa di tutte le fasi della costruzione dell’annesso agricolo, generalmente un capannone metallico (dalla presentazione del progetto edilizio all’impianto dei pannelli fotovoltaici sul tetto, alla richiesta d’allaccio alla rete). Il capannone avrà una superficie di 550 mq, corrispondente a un tetto di 700 mq, su cui installare un impianto di pannelli fotovoltaici per una produzione di energia elettrica pari a 100 kW: rispettare queste misure è necessario perché in tal modo l’allaccio alla rete può, in teoria, avvenire a bassa tensione, cioè al contatore esistente, e quindi non implica costi aggiuntivi. Se la produzione energetica fosse più elevata, infatti, bisognerebbe allacciarsi alla cabina MT (con costi proporzionali alla sua distanza) – eventualità che diventerebbe dirimente. L’imprenditore agricolo è proprietario del capannone (che potrà utilizzare secondo le sue esigenze) ma cede il diritto di superficie del tetto alla società che investe per 20 anni. La società che ha deciso di investire si assume tutti gli oneri dell’investimento, è vero, ma percepirà gli incentivi statali per venti anni. Perché, se è vero che scopo primario del Conto Energia è incentivare lo sviluppo e la diffusione dell’energia solare e fotovoltaica, è anche vero che gli incentivi statali hanno avuto il sapore del guadagno a prescindere dalla produzione di energia da fonte rinnovabile e non inquinante. A dimostrazione di ciò basta fare un paio di calcoli. Per la costruzione di un capannone e l’impianto dei pannelli fotovoltaici, come quelli sopra descritti, è necessario investire circa 300.000,00 euro. Stando al Terzo Conto Energia (entrato in vigore con il DM 6 agosto 2010) la tariffa incentivante è di 0,338 euro per ogni kWh prodotto. In Sicilia la produzione annua riferita ad un kW è circa 1.700 kWh. uiPerDi conseguenza con 100 kW si producono in un anno 170.000 kWh. Applicando la tariffa di 0,338, il risultato economico è di circa 57.000 euro. In sostanza: in sei anni si recuperano i soldi investiti; dal settimo anno in avanti la società investitrice, per altri 14 anni, incasserà mediamente 50.000,00 euro all’anno con un guadagno di circa un milione di euro. E fin qui tutto bene. Sembra che nella zona tra Pa- lazzolo e Noto siano state contattate una cinquantina di aziende agricole: 40 si sono dette interessate, 10 progetti del tipo illustrato sono stati velocemente realizzati, per 5 si è arrivati alla firma preliminare, per altri 5 si era al completamento della documentazione necessaria. Vacche grasse, insomma. Fino a che i finanziatori – non siculi né sicani, lo ribadiamo – decidono di bloccare l’iter. Perché? Perché – sebbene il 12 maggio 2011 sia stato pubblicato il D.M. 05/05/2011 (Quarto Conto Energia), che ha definito il nuovo meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici riguardante gli impianti che entrano in esercizio dopo il 31 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2016 – ci si aspetta già l’approvazione del Quinto Conto Energia che, nelle sue bozze ridurrebbe l’incentivo statale del 30%. E in questi termini – è chiaro – l’investimento non sarebbe conveniente. Alessandra Privitera 4 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Alcuni con molte perdite di vite umane. Non comprendiamo come si possa ignorarli Il giornalista: “Gli impianti di GNL non hanno mai dato problemi” Ecco l’elenco degli incidenti nella filiera aggiornato al 2006 Cleveland, Ohio, USA 20.10.1944 (incendio dei serbatoi di stoccaggio) Esplode impianto GNL: 131 morti - 225 feriti - 79 case distrutte - 2 fabbriche - 217 auto - 680 senzatetto. Quattro serbatoi di stoccaggio, uno cilindrico e due sferici, erano stati riempiti fino alla massima capacità in vista dell’arrivo dell’inverno. Il serbatoio cilindrico improvvisamente cedette rilasciando tutto il suo contenuto nelle strade e nelle fogne vicine (6200 mc di GNL). Una nuvola di gas si infiammò ed il fuoco avvolse il serbatoio e le case vicino. Dopo 20 minuti quando il fuoco iniziale era quasi spento, uno dei serbatoi sferici si rovesciò; il suo contenuto evaporò incendiandosi. Circa 130 persone morirono ed un’area di circa 12 ettari fu completamente devastata. Una crepa nel guscio interno del serbatoio cilindrico aveva portato alla sua rottura; una volta rotto il guscio interno il muro esterno di acciaio al carbonio si fratturò facilmente a contatto con GNL. Il serbatoio cilindrico si rovesciò poiché si reggeva su sostegni non resistenti al fuoco. La tecnologia del GNL rimase ferma fino al 1960 ed i serbatoi da allora furono costruiti con acciaio al 9% di nichel circondati da muri di contenimento. Methane Princess, 1965 (perdita di GNL) Il tubo con il quale veniva scaricato GNL fu disconnesso prima che si esaurissse completamente il liquido che riuscì a passare da una valvola non perfettamente chiusa. Acqua di mare venne versata nell’area interessata dalla fuoriuscita; si crearono comunque fratture sul ponte della nave. Jules Verne, Maggio 1965 (fuoriuscita di GNL) Al quarto caricamento della nave in Algeria, una fuoriuscita di GNL, causata dall’eccessivo riempimento di un serbatoio, produsse una frattura nel serbatoio stesso. La causa dell’incidente non è mai stata adeguatamente spiegata ma è associata alla rottura degli strumenti di misurazione del livello del liquido nel serbatoio e all’inesperienza dell’equipaggio. La Spezia, Italia 1971 (fuoriuscita di GNL) La nave gasiera di GNL EssoBrega era attraccata nel porto da circa un mese in attesa di poter scaricare il suo carico di GNL in un serbatoio di stoccaggio. 18 ore dopo il riempimento del serbatoio ci fu un improvviso aumento di pressione nel serbatoio che causò la fuoriuscita di vapore di GNL dalle valvole di sicurezza e la nube rimase in aria alcune ore. Il coperchio del serbatoio fu leggermente danneggiato. Si stima che uscirono fuori dal serbatoio circa 2.000 tonnellate di vapore di GNL. Non ci fu nessun incendio. Questo incidente fu causato da un fenomeno chiamato “rollover” che accade quando due diversi tipi di GNL aventi diversa densità e temperatura entrano in contatto. L’improvvisa miscelazione di questi due gas produce un rilascio di grandi volumi di vapori che possono compromettere la capacità di emissione delle valvole di sicurezza sul coperchio del serbatoio. Montreal, Quebec, Canada, 1972 (esplosione nella camera di controllo) Il 27 maggio 1972 ci fu un’esplosione nell’impianto di liquefazione. L’incidente è accaduto nella camera di controllo a causa di un ritorno di gas naturale dal compressore alla linea dell’azoto; l’azoto veniva utilizzato per le operazioni di raffreddamento. Le valvole dell’azoto che erano state aperte durante l’operazione di raffreddamento non si chiusero completamente dopo l’operazione; ciò causò una eccessiva pressurizzazione del compressore ed il gas naturale entrò in contatto con l’azoto. La rottura del compressore compromise anche gli strumenti pneumatici di controllo che cominciarono a richiamare il gas naturale all’interno della camera di controllo. L’esplosione avvenne quando un operatore provò ad accendere una sigaretta. Staten Island, USA, 1973 (esplosione all’interno di un serbatoio di stoccaggio a terra) Un fuoco scoppiò in un serbatoio di GNL fuori servizio che era in riparazione. 40 operai che vi lavoravano all’interno morirono; il serbatoio veniva usato per stoccare il gas algerino; la copertura del serbatoio crollò a causa delle fiamme. Nonostante gli accurati sistemi di controllo un cortocircuito di un macchinario usato per la manutenzione provocò l’innesco di una sacca residua di gas ed una serie di reazioni a catena. Aquarius, settembre 1977 (fuoriuscita di GNL) Durante il riempimento del serbatoio della nave ci fu una fuoriuscita di 125.000 mc di GNL dal tubo con cui si effettuava il caricamento. L’incidente potrebbe essere stato causato da difficoltà nel sistema di controllo del livello del liquido nel serbatoio. Sorprendentemente il coperchio di acciaio del serbatoio non subì nessun danno. Das Island, Emirati Arabi Uniti, marzo 1978 (fuoriuscita di GNL da una tubazione) Questo incidente avvenne a causa della rottura di un tubo di collegamento allacciato nella parte inferiore di un serbatoio di stoccaggio. Il serbatoio era del tipo a doppio guscio con un muro interno di acciaio al 9% di nichel mentre quello esterno di acciaio al carbonio. La fuoriuscita di vapore dal guscio esterno del serbatoio formò una nuvola più pesante dell’aria; fortunatamente non prese fuoco. Da quel momento i serbatoi a Das Island sono stati totalmente rimpiazzati con nuovi serbatoi dotati di aperture solo sulla parte sommitale ed un muro esterno in cemento armato precompresso; le aperture posizionate in alto sono divenute la pratica standard nella tecnologia dei serbatoi per GNL. Cove Point, Maryland, USA, 1979 (perdita di GNL) Da una pompa ad alta pressione si verificò una perdita di GNL che trovò sfogo in un condotto elettrico; il gas si accumulò nella scatola elettrica all’interno della centralina di trasformazione. Quando l’impiegato aprì il circuito per fermare la pompa si verificò l’innesco con conseguente esplosione. L’impiegato morì ed un altro rimase seriamente ferito. Mostafà Ben Bouliad, aprile 1979 (perdita di GNL da una valvola) Mentre una nave gasiera di GNL con serbatoio di 125.000 metricubi scaricava a Cove Point, una valvola di controllo si ruppe rilasciando una piccola quantità di GNL. Si verificarono crepe sul ponte della nave. Le vibrazioni della nave e del sistema di pompaggio sembrano essere stata la causa del cedimento di un bullone della valvola di sicurezza. Da allora furono installati maggiori sistemi di sicurezza e valvole di controllo più sicure. Bontang, Indonesia, 1983 (esplosione di uno scambiatore di calore) Il 14 aprile avvenne una grande esplosione di GNL. La rottura di uno scambiatore di calore in un terminal GNL causò una grave esplosione. La rottura avvenne a causa di una pressione troppo elevata dello scambiatore di calore causata da una valvola chiusa sulla linea di scarico. Tutti i sistemi di sicurezza per la rilevazione della pressione erano connessi a questa linea. La pressione del gas nello scambiatore, che lavora a 250 psig (17 bar circa), raggiunse i 500 psig (34 bar circa) causando la sua rottura. Frammenti e pezzi meccanici furono proiettati a 50 metri dallo scambiatore. Nevada Test Site, Mercury, NV, 1987 (nube di GNL) Si verificò l’innesco di una nube di vapore di GNL durante un test a scala reale. Si stava studiando l’efficacia di alcune tecniche per ridurre l’estensione delle dispersioni di nubi di vapori di GNL. La nube si infiammò incidentalmente durante il quinto test causando danni alle apparecchiature utilizzate durante i test. Bachir Chilani, 1990 (frattura del guscio di un serbatoio) Si verificò una frattura nel guscio interno di un serbatoio da 130.000 metri cubi della nave gasiera. La frattura interna del guscio si presentò in una parte della struttura della nave che è soggetta a grandi sollecitazioni che accompagnano i sovraccarichi sul guscio durante le mareggiate. La frattura della placcatura interna del guscio provocò l’ingresso di acqua di mare nello spazio dietro l’isolamento del carico. Est dello Stretto di Gibilterra, 2002 (collisione gasiera con sottomarino nucleare) Collisione tra la Norman Lady, una nave gasiera GNL, e il sottomarino nucleare U.S.S. Oklahoma City. Per fortuna la nave aveva da poco scaricato il carico di GNL a Barcellona in Spagna. I danni ad entrambe le imbarcazioni sono stati limitati e sono stati causati dal periscopio. Skikda, Algeria, 20.1.2004 (esplode impianto GNL: 27 morti - 74 feriti) ANSA Esplode petrolchimico - Il 19 gennaio si è verificata una esplosione di una parte dell’impianto di produzione di GNL, che ha innescato una densa nube di vapore; sono state necessarie 8 ore per estinguere l’incendio. L’esplosione ed il fuoco hanno distrutto una porzione dell’impianto causando la morte di 27 operai, 74 feriti e danni anche molto al di fuori dei confini dell’impianto. L’impianto di Skikda è costituito da sei unità di produzione di GNL detti “treni”, da serbatoi di stoccaggio di GNL e da edifici amministrativi. Il fuoco ha distrutto 3 treni di produzione ma non ha danneggiato né i rimanenti 3 treni né i serbatoi di stoccaggio. Inizialmente le cause dell’incidente sono state attribuite al mal funzionamento di una caldaia di produzione di vapore ma successive gli investigazioni hanno ipotizzato una perdita di GNL da una tubazione dovuta ad una insufficiente manutenzione. Belgio, 31.7.2004 (Esplode un gasdotto di GNL: 15 morti - 200 feriti) TG3 - Un gasdotto di GNL della Fluxy è esploso uccidendo 15 persone in Belgio. Norvegia, settembre 2004 (una gasiera si è incagliata a nord di Bergen) I motori della nave si erano fermati e le ancore erano inutilizzabili a causa delle condizioni di tempesta. Comunque due rimorchiatori erano riusciti ad agganciare e rimorchiare la nave quando questa era arrivata a solo 30 metri dalle rocce. Erano stati fatti i preparativi per evacuare le 800 persone residenti dell’isola di Fedje, per paura che la nave potesse esplodere nel caso di collisione con le rocce. Nigeria, 30.8.2005 Nigeria (esplode un gasdotto di GNL: 11 dispersi, 27 chilometri quadri inghiottiti dall’inferno) Un gasdotto di GNL interrato è esploso a Kalakama, una comunità di pescatori Ogoloma nella regione del Okrika nel Rivers State. L’inferno ha inghiottito 27 chilometri quadri. Undici persone disperse. La fauna, pesci e crostacei tipici dell’ambente delle mangrovie, e la flora acquatiche sono andati completamente distrutti. L’esplosione è stata così grande che è stata sentita dagli abitanti dell’isola di Okrika e dall’area di Borikiri di Port Harcourt. India, settembre 2005 (incidente di una gasiera al molo) Un vento di 40 nodi ha determinato un incidente al terminal GNL Petronet a Dahej quando i rimorchiatori della gasiera GNL Disha hanno urtato il molo. La gasiera LNG è stata dismessa dopo lo scarico del GNL. Petronet sta valutando i danni. Isola Elba, marzo 2006 (perdina di nave gasiera al molo) Una fuoriuscita potenzialmente disastrosa è accaduta quando la gasiera GNL Golar Freeze ha scaricato il gas liquido al terminal GNL Southern presso l’isola Elba. La nave ha rotto gli ormeggi e si è allontanata dalla banchina. Il porto è stato chiuso per 36 ore. La Guardia Costiera e i tecnici della FERC (Federal Energy Regulatory Commission) hanno aperto un’inchiesta. Trinidad & Tobago, maggio e giugno 2006 (incendio in impianto GNL) Un altro incidente è accaduto all’impianto Atlantic GNL a Point Fortin. Lo scoppio e l’incendio è dovuto ad una guarnizione che ha ceduto. L’incidente non ha provocato feriti o danni all’impianto. Secondo il rapporto dei vigili del fuoco, quando la guarnizione ha ceduto è scoppiato l’incendio. Un dipendente ha avvertito un funzionario della sicurezza che ha spento le fiamme. In un altro incidente i dipendenti sono stati evacuati dopo che uno di loro era stato colpito da una connessione che è saltata. Tre giorni prima l’impianto 11 era stato chiuso per 6 ore quando è stata scoperta una perdita di gas da un tubo. Giordania, luglio 2006 (incendio sviluppato su nave gasiera) Una gasiera GNL ha avuto un incendio quando scaricava il GNL a Aqaba. Sono rimaste ferite 12 persone. Quattro di queste persone erano vigili del fuoco. È stata necessaria un’ora per riportare la situazione sotto controllo. Gli atri feriti erano dell’equipaggio della gasiera. La nave è stata subito evacuata ed è stata trainata dalla banchina ad un porto nel Mar Rosso in quanto aveva scaricato soltanto la metà del suo carico. Si sta indagando sulle cause dell’incidente. Quanto all’osservazione che, a proposito di Brindisi “…ogni giorno la solerte burocrazia pugliese poneva un nuovo problema…”, ci pregiamo di rispondere con una immagine che vale più di mille parole e che raffigura quella che è stata chiamata “burocrazia pugliese” e che a noi sembra il popolo pugliese in procinto di armare una rivoluzione! Dissentiamo da quanto riportato nell’articolo allorchè vi si dice “…il rigassificatore di Priolo sarà costruito come se (e non è così) si trovasse in zona sismica a più alto rischio.”. Da ciò dissentiamo per due motivi. Primo: perché nel progetto non è affatto prevista la realizzazione di isolatori sismici (quali quelli dei rigassificatori esistenti in Giappone). Secondo: perché è solo frutto di assoluta disinformazione in merito. A tal proposito alleghiamo la carta sismica d’Italia dell’INGV nella quale il buon Cusimano potrà facilmente identificare l’area del siracusano sita proprio nel puntino più scuro della stessa (il colore più scuro indica il massimo rischio sismico) e il voto n. 341/91 del CRU (Consiglio Regionale Urbanistico) nel quale è statuito che la nostra area va riclassificata S12 (CIOÈ MASSIMO RISCHIO SISMICO). Se ciò non bastasse, si vada a rivedere un po’ di storia della Sicilia e si chiarisca come un sisma come quello del 1693 sia atto solo a fare il solletico ad un impianto che i “Campieri delle politica” tentano ad ogni costo di sostenere (a dispetto della volontà popolare) e ad esclusivo vantaggio dei proponenti e loro soci in affari che beneficerebbero della delibera n. 178/2005 dell’Autorità per l’Energia e il Gas, grazie alla quale i gestori percepirebbero dallo Stato Italiano (cioè dai suoi cittadini) il 71% dei ricavi di riferimento per 20 anni anche in caso di inutilizzo dell’impianto (ottima trovata per derubare i cittadini). E allora, tirando le somme: 1. Pericolo intrinseco all’impianto: elevatissimo (infatti è citato nell’elenco degli impianti a rischio di incidente rilevante) 2. Pericolo estrinseco industriale: inaccettabile come dimostrano i continui incidenti della fatiscente ERG Nord 3. Pericolo sismico: Inaccettabile per quanto abbiamo sopra esposto e motivato. 4. Pericolo bellico: enorme, in quanto il porto di Augusta è porto militare e a Palombara e Cava Sorciaro vi sono i depositi NATO. 5. Pericolo attentati: elevatissimo data la potenzialità distruttiva dell’impianto e il rifiuto della Ionio Gas di interrare i serbatoi. 6. Danno economico inestimabile per via della delibera 178/05 sopra citata. 7. Opportunità di lavoro praticamente inesistenti 8. Convenienza solo per proponenti e loro “campieri” Ora mi permetto di ripetere le parole con cui Cusimano conclude il suo articolo: “Ma è davvero questo che interessa?” Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 5 Un editoriale e una seconda pagina intera dedicata a fare le meraviglie dell’impianto senza parlare di sicurezza A Lelio Cusimano del Giornale di Sicilia rispondiamo che un rigassificatore alla ERG Nord non suscita “qualche apprensione” ma la paura di un disastro di *EUGENIO BONOMO La pregevole penna di Lelio Cusimano, per la stima che abbiamo in Lui e per l’inesatta informazione sicuramente fornitagli quale presupposto del suo articolo comparso a pag. 2 del Giornale di Sicilia del 6 giugno 2012, merita sicuramente risposta, al fine di integrare l’informazione del pubblico con notizie certe, documentate e universalmente condivise nonché di indirizzare su corretto percorso l’opera giornalistica dell’autore dell’articolo che, da persona seria e capace qual è, sicuramente vorrà rettificare gli errori nei quali riteniamo sia stato indotto da erronea o incompleta informazione. La proposta della Ionio Gas di realizzare un rigassificatore da 450.000 m3 di GNL all’interno della ERG nord (per intenderci, proprio il sito che, oltre alle decine e decine di incidenti minori con i quali si esibisce in una suggestiva serie di spettacoli pirotecnici, fece bella mostra di sé il 30 aprile 2009 con un incendio di dimensioni faraoniche che fu osservato agevolmente anche da Catania e dintorni) non suscita “qualche apprensione”, come scritto dal giornalista nel suo articolo, bensì la certezza delle potenzialità devastanti di quell’impianto se posto in quel sito e la netta opposizione delle popolazioni dell’area, manifestata con due referendum consultivi esitati in due NO all’impianto con oltre il 98% di NO a Priolo e col 96,2% di NO a Melilli. Sposta le cose di poche virgole il conto dei votanti e aventi diritto al voto riportato nella stessa pagina, in quanto i referendum consultivi comunali sono normati dalla legge n. 1 del 10 febbraio 2004 la quale, all’art. 28 recita: “Il referendum è valido indipendentemente dal numero di aventi diritto al voto che vi hanno partecipato”. Circa lo scarto fra aventi diritto e votanti, invitiamo l’ottimo Cusimano a rileggere l’articolo comparso su “La Stampa” pochi giorni dopo la celebrazione del referendum di Melilli e nel quale si parla della testimonianza di molte donne di Melilli le quali riferirono che i loro mariti erano stati minacciati di perdere il posto qualora si fossero recati a votare. Ma torniamo al pregevole articolo. Nessuno oggi vorrebbe pagare così tanto per la bolletta del gas. In questo siamo d’accordo con Cusimano, ma non Incidente del 20.12.2011 Incidente del 9.06.2011 intravediamo il nesso con il discorso de quo, in quanto, appositamente interrogata in più occasioni sull’argomento, la Ionio Gas ha chiaramente (ed onestamente) specificato che nessuno sconto potrà mai esserci sulle bollette del gas qualora l’impianto fosse realizzato. Su un altro punto siamo d’accordo: “Pochi sono disposti a ragionare pacatamente su questi temi”, anche se fra questi pochi non ci siamo certo noi che mille volte abbiamo chiesto incontri pubblici con la Ionio Gas e mille volte ce li siamo visti negare; non vi sono certo i Cittadini di Melilli, Priolo, Augusta, Siracusa e buona parte della Sicilia Orientale che non vogliono un impianto che potrebbe farli finire come polli (per aver subito passivamente la volontà di poteri forti) arrosto (per le apocalittiche conseguenze di un probabilissimo incidente autoctono o trasmesso al rigassificatore dai fatiscenti impianti circostanti). Sicuramente vi sono individui di dubbia moralità e di dubbia inclinazione per l’interesse pubblico, che ogni giorno fanno un gran vociàre sostenendo mendacemente (e consapevolmente) che quell’impianto è sicuro e che porterà benessere e lavoro. Quando la stessa società proponente ci dice che a regime vi saranno circa 140 posti di lavoro (e non è detto che si tratti di NUOVI posti di lavoro) ci fa solo ridere l’esito del bilancio rischio-beneficio. Allorchè il giornalista si chiede “Quali garanzie di fornitura regolare per il futuro?” ci obbliga a ricordargli che, nel caso dei rigassificatori, essi dipendono dalle capacità di fornitura dei paesi “liquefattori” (fra questi, principalmente Libia Algeria e Russia, proprio quelli citati dal giornalista quali paesi dai quali un rigassificatore dovrebbe renderci meno dipendenti (sic!). Ci risulta da fonti incontrovertibili, che la capacità di fornitura dei paesi liquefattori è già insufficiente per coprire i fabbisogni dei 53 rigassificatori esistenti sul pianeta (va notato che in Italia ne sono stati progettati 15. Ben strana proporzione!) il che significa che con 15 rigassificatori in Italia ci troveremmo a dover competere con gli altri per la fornitura ingaggiando una sorta di asta al rialzo per poterci accaparrare le forniture. Altro che prezzi competitivi! Altro che “…condizioni migliori affrancandosi del potere del venditore”. La verità è esattamente opposta e antitetica. Il giornalista parla di “domande senza risposte dal- le quali dipende la qualità della nostra vita”. Ebbene si tratta di domande dalle quali dipende non già la sua qualità, ma la nostra stessa vita. E le risposte ci sono. Le hanno date i Cittadini interessati con 2 referendum, così come indicato e normato dalla dai più ignorata Convenzione di Aahrus recepita dall’Italia con Legge 108/2001 che legittima le popolazioni interessate a rifiutare o accogliere la proposta. Il giornalista ci spiega che le navi gasiere svuotano il metano in grandi cilindri in cemento e acciaio interrati, ma dimentica di riferire ciò che se conosce il progetto sa a memoria, e cioè che i tre serbatoi della Ionio Gas hanno un diametro di 80 metri e sono alti 50 metri, come dimentica di riferire al pubblico che il Governatore Lombardo ha chiesto l’interramento dei serbatoi ma la Ionio Gas ha rifiutato di farlo. Gravissima lacuna quella di Cusimano allorchè riferisce (non essendone certamente informato) che gli impianti di GNL non hanno mai dato problemi, come non ne hanno dati le gasiere. A suo beneficio riportiamo di seguito l’elenco degli incidenti verificatisi dal 1944 ad oggi fra gasiere rigassificatori e liquefattori. *Comitato melillese No Rigassificatore La multinazionale pretende di chiedere l’annullamento dei brevetti depositati dalla Ecotecnologie La Procura di Siracusa ha chiesto di bloccare la vendita dei Sunny Island e quella milanese ha aperto un fascicolo nei confronti della tedesca SMA di GIUSEPPE DE SANTIS Le aziende ed i privati tedeschi sono gli unici ad avere le casse piene di liquidità: così potrebbero cominciare la loro opera di definitiva colonizzazione economico-finanziaria. “A Berlino sta sfuggendo l’occasione di mettere le mani su quello che avanza dei gioielli greci e sta studiando il modo per conquistare, economicamente parlando, tutto il Sud Europa, Italia compresa. La macchina tedesca macina soldi a ripetizione e le sue aziende produttive non solo sono riuscite a non farsi scalfire dalla crisi, ma hanno anche accumulato una ricchezza invidiabile. Lo stesso vale per le famiglie: il patrimonio finanziario privato in Germania, dice la Bundesbank, ha toccato i 4.715 miliardi di euro, un livello mai raggiunto prima. I tedeschi insomma, non sanno più dove investire i loro soldi”, spiega Antonio Spampinato su Libero. E così i crucchi hanno studiato un piano: quello di invaderci. Prima di fare un passo avanti sui titoli europei, Angela Merkel vuole imporre agli Stati del Sud di aprire le porte agli investitori esteri. E aziende e privati tedeschi sono gli unici ad avere le casse piene di liquidità: sta tutto, nero su bianco, in un dossier svelato dallo Spiegel. La Ecotecnologie è impegnata a difendere contro una multinazionale tedesca (SMA) le privative brevettuali per quanto riguarda il Riutilizzatore, macchina copiata dalla Teutonica fabbrica vendendo in Italia il Sunny Island. La suddetta multinazionale inoltre, pretende di chiedere l’annullamento dei brevetti depositati dalla Ecotecnologie con la pretestuosa scusa che le macchine che abbiamo progettato e produciamo non hanno i presupposti di Novità ed Inventiva , considerando l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) una succursale di Berlino. La Procura di Siracusa ha chiesto di bloccare la vendita dei Sunny Island e la Procura di Milano ha aperto un fascicolo nei confronti della SMA. A tuttoggi ci difendiamo da questa prepotenza che come al solito vede i teutonici tentare di dominare l’Europa per tre volte in un Secolo . Giuseppe De Santis www.ecotecnologie.org www.electronicenergyreutilizer.com 6 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Delittuoso inserire tre altri serbatoi da 450.000 m3 di gas senza misure di precauzione antisismica Oltre un migliaio in Italia gli stabilimenti industriali a rischio rilevante Alcuni di essi a Priolo Gargallo in area ad altissima pericolosità sismica di MARINA DE MICHELE Immagini del terremoto avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1990 Un territorio estremamente vulnerabile il nostro, non solo perché posto esattamente sopra quella scarpata maltese che costituisce la linea, instabile, di congiunzione tra la placca africana e quella euroasiatica, in grado di generare terremoti catastrofici, con effetti devastanti e danni migliaia di volte superiori rispetto a quelli che hanno piegato la regione emiliana, ma soprattutto per la presenza di stabilimenti industriali e chimici a Rischio di Incidente Rilevante, in gergo tecnico i RIR. È intorno a questa problematica che si è accesa la discussione anche in Parlamento sin dal settembre scorso. Punto di partenza: una normativa del tutto inefficace, datata, insufficiente, oggetto di una interrogazione parlamentare presentata dalla Commissione Ambiente della Camera e di una successiva risoluzione con l’intenzione (!) di prevenire per quanto possibile ogni rischio nell’amara consapevolezza che solo il nostro Paese, in Europa, ancora non ha provveduto a eliminare un ritardo che potrebbe rivelarsi drammatico. Da una parte quindi il territorio italiano è stato “mappato” con precisione per il rischio sismico o da maremoto ma dall’altra non si è provveduto a dettare norme certe per una progettazione antisismica e di protezione da eventi catastrofici per gli impianti chimici RIR, diversamente da quanto si è fatto sia per le costruzioni civili che per gli impianti nucleari. Eppure si sa che tanto i serbatoi di gas naturale liquefatto di grandi dimensioni (con volumi fino a 150.000 m3 ed oltre), costituiti da un serbatoio interno in acciaio criogenico ed un rivestimento esterno in cemento, quanto i serbatoi di stoccaggio sferici o cilindrici presenti negli stabilimenti petrolchimici, hanno spesso riportato gravi danni a seguito di eventi sismici. Si tratta di strutture particolarmente vulnerabili proprio per la grande massa di fluido disposta in essi ad una notevole altezza dal suolo che li rende particolarmente instabili e la loro pericolosità è anche rapportata al numero in cui sono presenti in ciascun stabilimento. Se poi si aggiunge il fatto che per lo più questi impianti sono stati realizzati negli anni sessanta si comprende quali debbano essere i motivi di preoccupazione. Ma anche per le nuove installazioni accade che la valutazione sul rischio risulti ormai non adeguatamente supportata dalle più moderne tecnologie e da studi avanzati che invece consentirebbero di ridurre tale vulnerabilità sismica, degli impianti vecchi come nuovi, a costi contenuti e comunque di ben altra entità rispetto a quelli che ogni volta occorre affrontare quando l’evento si sia già verificato o nell’emergenza, oltre naturalmente alla prioritaria prevalenza della tutela della stessa vita umana. In Italia sono oltre un migliaio gli stabilimenti industriali RIR soggetti agli obblighi del decreto legislativo conosciuto come Seveso II - nei quali, cioè, sono presenti sostanze potenzialmente pericolose in quantità tali da superare determinate soglie, molti dei quali soggetti all’AIA (autorizzazione ambientale integrata) - e alcuni di essi sono situati in aree ad elevata pericolosità sismica, proprio come quella di Priolo-Gargallo, area colpita nel 1693 da uno dei più devastanti terremoti verificatisi in Italia, più violento di quello di Messina e Reggio Calabria del 1908 (M = 7,2), che (come l’altro) generò anche un maremoto di elevata entità. Un rischio che si ritiene altamente probabile anche oggi. In questo scenario quasi apocalittico si pensa di inserire 3 serbatoi da 450.000 m3 di gas senza neanche aver previsto nella progettazione, a quanto risulta, le indispensabili misure di precauzione antisismica sebbene inutili anch’esse se si appurasse che realmente l’area dell’insediamento dell’impianto è soggetta al fenomeno della liquefazione del terreno contro cui ogni espediente risulterebbe inefficace. E a tutto questo si aggiunge la beffa del decreto di riforma della Protezione civile in cui si decide che non sarà più lo Stato, cioè la collettività, a risarcire i danni dovuti a calamità naturali, così frequenti nel nostro Paese, ma il cittadino stesso che avrà provveduto a tutelarsi con una bella costosissima assicurazione. Le Assicurazioni ringraziano, noi cittadini restiamo attoniti. Nelle recenti amministrative, a Melilli, il partito è andato in coalizione con PD e Grande Sud Spaccatura interna nella SEL di Siracusa? Il segretario regionale “Dove qualcuno prova a fare il furbo siamo fermamente intervenuti” Le elezioni amministrative hanno messo a dura prova l’unità interna di questo partito che conta numerosissimi simpatizzanti. Agli inizi di marzo a Canicattini, prima ancora che il Circolo locale si pronunciasse, si diffuse la notizia che SEL avrebbe appoggiato – insieme a PDL, PID, MPA, La Destra, Grande Sud – il candidato sindaco dott. pediatra Paolo Tuccitto, zio (dicono) del coordinatore del Circolo locale di SEL. A Melilli una lista civica, Sinistra Ecologica Libera, usa simbolo e acronimo del partito di Niki Vendola per appoggiare il candidato, eletto sindaco, Pippo Cannata, insieme a PD e Grande Sud, scatenando il putiferio interno tanto da indurre il Direttivo Regionale a diffondere un duro e chiaro comunicato stampa il 17 aprile: «Sinistra Ecologia e Libertà non partecipa alle prossime elezioni amministrative di Melilli. In tutte le elezioni amministrative che si stanno svolgendo in Sicilia il nostro partito è impegnato a sostenere coalizioni e candidati che rappresentano un’idea di cambiamento e di discontinuità con il passato; a Melilli è chiaro che nessuna delle candidature in campo rappresenta questi elementi, per questo motivo non sosterremo nessuno dei candidati sindaco. Per noi solo il centrosinistra è in grado di rappresentare un’alternativa per il governo; non è pensabile ritenere di poter governare per cambiare il territorio con gli uomini e le forze politiche che hanno rappresentato la storia del malgoverno di questa terra». Il rompicapo è sempre lo stesso: quali schieramenti appoggiare? In virtù di quali principi? Perché, se l’art. 7 dello Statuto nazionale di SEL è chiaro – a decidere la composizione delle liste per le elezioni comunali e circoscrizionali e le alleanze politiche è l’assemblea del circolo e, in caso di più circoli di uno stesso comune, le liste per le elezioni comunali sono decise dalla riunione congiunta delle Assemblee dei circoli, ivi compresi quelli di lavoro, di studio e tematici che insistono nel comune (comma 5) – è pur vero che tutta la provincia si è sentita coinvolta in questa tornata elettorale e molti iscritti a SEL hanno sentito l’obbligo morale di ribadire come appoggiare vecchi personaggi della politica significasse rinnegare il progetto innovativo di SEL: ossia la rottura rispetto al passato. Ne parliamo con Erasmo Palazzotto, Segretario Regionale Sinistra Ecologia e Libertà, a Siracusa in occasione dell’incontro Elezioni in Sicilia: prove di una alternativa, organizzato dal Circolo Agorà presso l’Hotel del Santuario lo scorso venerdì 15. Cosa è successo a SEL nella tornata elettorale di maggio? «SEL si è mossa in maniera uniforme a livello regionale. Noi abbiamo sostenuto candidati sindaci e coalizioni di centro sinistra che avessero un profilo chiaro: quello del cambiamento. Lo abbiamo fatto in tutta la Sicilia e, dove non è stato possibile creare una larga alleanza di centro-sinistra, siamo intervenuti con coalizioni civiche coraggiose: due esempi importanti sono stati Barcellona Pozzo di Gotto e Pozzallo (in quest’ultimo il PD si era alleato con il PdL); abbiamo sconvolto tutti i pronostici con la vittoria di due candidati outsider che venivano fuori dalla società civile e non dalla politica. Questo è successo anche a Siracusa». Solo dopo i rumors dei Circoli che sottolineavano certe incoerenze… «Ci siamo espressi in modo chiaro e diretto: senza creare malintesi. Nel caso di Melilli, la lista aveva un nome molto simile a SEL ma noi del partito non eravamo impegnati in campagna elettorale. La realtà melillese di SEL è davvero troppo piccola (c’è solo qualche iscritto) perché si potesse parlare di un impegno del partito. Tra l’altro questa lista melillese appoggiava un candidato dell’UdC, già assessore nelle precedenti amministrazioni, e noi non avremmo mai potuto sostenere operazioni di questo tipo: non per una questione ideologica ma perché questo partito rappresenta un elemento di continuità con il passato che noi di SEL vogliamo, invece, rompere». Esiste un disposto regionale che vieta apparentamenti di SEL con UDC e MPA? «Nell’ultimo congresso regionale di SEL è stato approvato un atto dispositivo per affermare che SEL è impegnata a ricostruire il centro-sinistra e che non parteciperà ad esperienze amministrative insieme alle forze che sostenevano la maggioranza di gover- no regionale in quel momento (UdC e PD)”. Il circolo tematico “Ambiente & Territorio” di Siracusa tiene a ribadire che in nessuna competizione elettorale saranno disposti a votare liste con candidati che non rispecchino l’art 1 dello statuto, non incarnino alla lettera il progetto di Sinistra Ecologia e Libertà, non rappresentino realmente il territorio; perché «è arrivato il momento che SEL inizi a dimostrare la diversità dagli altri partiti così come tutti invocano, ma che mai nessuno ha tracciato, è arrivato il momento che SEL diventi davvero un partito per la gente, aperto e democratico». Cosa pensa di questo ennesimo ammonimento dal basso? «I compagni della provincia di Siracusa possono stare tranquilli: nelle nostre liste ci saranno sempre persone per bene che rispecchiano i valori fondativi di Sinistra Ecologia e Libertà e che avranno un forte legame con il territorio. Il Circolo Tematico “Ambiente e Territorio” fa bene a ribadire questo concetto ma non corriamo alcun pericolo e lo abbiamo dimostrato nella recente tornata elettorale amministrativa: dove qualcuno prova a fare il furbo – come è accaduto a Melilli – siamo intervenuti. E in questa occasione, dove votavano circa 2 milioni di siciliani e 150 comuni, abbiamo dato prova della nostra forza: al netto della questione di Palermo che porta con sé un’anomalia, perché abbiamo scelto di rispettare l’esito delle primarie e abbiamo preferito pagare il prezzo della coerenza, comunque vincolando il PD a non scivolare verso le forze del Terzo Polo. In Sicilia, quindi, SEL è cresciuta e si afferma come il principale partito a sinistra del PD». Alessandra Privitera Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 7 Severo giudizio della Corte dei Conti: “Non si sono visti né i portacontainer né il traffico “ro-ro” Diluvio di critiche alla Port Authority di Augusta per le occasioni mancate I cinesi vanno altrove e le tratte per Malta “senza profitto economico” di CARMELO DIMAURO Gli avvenimenti che hanno riguardato il porto di Augusta nelle ultime settimane non ci aiutano a dipanare quel groviglio di incertezze che lo avvolge da anni. I risultati dell’audit realizzato dalla Corte dei conti europea, infatti, raccontano di una realtà che ancora fatica a trovare il rilancio definitivo. Il report, pubblicato nel maggio del 2012, analizza le modalità con cui è avvenuta “la gestione degli investimenti dei fondi strutturali e del fondo di coesione nei porti marittimi” dell’Unione Europea per il periodo 2000 – 2006 e rivolge al porto di Augusta una sonora bocciatura. Scrive infatti la Corte dei conti, a proposito delle opere relative al secondo lotto del porto commerciale, che “l’infrastruttura è stata completata nel 2006, ma il porto rimane inutilizzato, dato che non si è materializzato né il previsto traffico di container né il traffico “ro-ro” (dall’inglese “roll-on/roll-off”, è una sigla che indica il trasporto di merci attraverso imbarcazioni simili a traghetti - ndr). Una terza estensione del porto è prevista a breve, al fine di completare i lavori sulle banchine relativi a un nuovo terminal per container e di collegare il porto alla rete ferroviaria.” Eppure, i tentativi di far decollare il terminal augustano come scalo “ro- ro” non sono mancati. Si è mossa anche la Grimaldi Holding, un colosso nel mondo dello shipping, nel tentativo di attivare una linea tra Augusta e Civitavecchia. Una prova che però, sin dall’inizio, ha sollevato parecchi dubbi tra gli addetti ai lavori “per la difficoltà a reperire e stabilizzare quel minimo di carico necessario alla profittabilità economica del collegamento”, come sottolineato dalla rivista “Trasporto Europa” nel gennaio di quest’anno. Sembra, inoltre, che la Grimaldi abbia messo definitivamente da parte l’idea, tanto è vero che la nave “Audacia”, destinata ad effettuare la tratta, è stata noleggiata ad una compagnia turca per implementare i trasporti tra Costanza in Romania e Pendik in Turchia. Ancor meno prestigioso il destino della “Erica M.” imbarcazione noleggiata dalla società Polaris di Modica per effettuare una tratta “ro-ro” con Malta che, come si apprende proprio da “Trasporto Europa”, si trova nel porto de La Valletta “sequestrata dall’autorità maritti- ma a causa degli ingenti debiti accumulati dalla società armatrice con i fornitori”. La replica dell’Autorità Portuale di Augusta ai rilievi dell’Unione Europea non si è fatta attendere, anzi il presidente Garozzo ha prontamente sottolineato che le opere, il cui mancato utilizzo ha determinato il giudizio negativo della Corte, sono solo propedeutiche a quelle che verranno realizzate con i finanziamenti POR 2007 – 2013 e con cui si dovrebbe completare l’opera, evidenziando anche un certo ottimismo in merito al buon esito delle procedure di finanziamento. Il severo giudizio della Corte dei conti è intervenuto, inoltre, in un periodo in cui, dopo un lungo silenzio, ad Augusta si torna a parlare di rilancio del porto grazie a due convegni organizzati in proposito in meno di due settimane. Entrambi i seminari, però, hanno detto poco in merito alle prospettive concrete di sviluppo dello scalo, limitandosi a sottolineare le grandi potenzialità del bacino megarese e ad annunciare iniziative future. In questo contesto, si può ben cogliere il senso dell’accorata protesta del consigliere comunale Giusep- pe Di Mare il quale, appena pochi giorni fa, ha stigmatizzato i tanti e retorici interventi sul tema evidenziando che “dopo diversi anni dall’ istituzione della Port Authority, dopo anni di annunci e promesse si torna nuovamente a parlare di porto moderno e dinamico, di piano regolatore portuale, di fondi europei da sbloccare, di apertura a nuovi traffici, in realtà siamo ai titoli di coda di una storia molto triste che sta vedendo il nostro porto sempre più perdere il ruolo di rilevanza che gli spetta, dovuto al fallimento di una classe politica e non solo, incapace o in malafede, che non ha saputo tutelare lo sviluppo del porto augustano”. Si rinnova quindi la girandola di polemiche, speranze, illusioni e delusioni che da sempre caratterizza la storia dello scalo megarese. Nel tentativo di fare chiarezza su questo tema, abbiamo incontrato due imprenditori che hanno quell’esperienza internazionale che permette loro di valutare al meglio le opportunità e le sfide che lo scalo megarese è chiamato ad affrontare nei prossimi anni. “Sono stato parte del Comitato Portuale per più di un anno, dal febbraio 2011 all’aprile 2012 – esordisce Bruno Ferreri – chiamato dalla Provincia di Siracusa a rappresentarla, come tecnico, in quell’organismo.” Alla pubblicazione dell’audit della Corte dei conti europea sono seguite diverse polemiche, qual è la sua opinione in merito? “Il problema in questione scaturisce da responsabilità della precedente amministrazione dell’Autorità Portuale. La presidenza attuale non ha fatto altro che portare a termine il lavoro già iniziato in precedenza. Quanto accaduto non è una sua colpa.” A che punto è la revisione del piano regolatore del porto e quali sono i progetti su cui si lavora? “E’ già stato redatto un piano regolatore di massima, approvato anche dal comitato portuale. L’elaborato è attualmente oggetto di studio da parte di aziende specializzate e, non appena il progetto sarà definitivo, sarà sottoposto alla valutazione degli enti locali competenti. Un passo molto importante, per completare l’ampliamento del porto, sarà compiuto con l’inclusione nella zona commerciale di Punta Cugno di un’area che, attualmente, è di pertinenza della marina militare e che il presidente sta cercando di acquisire. Un altro progetto importante, previsto dal nuovo piano regolatore, riguarda la realizzazione di una banchina commerciale per il transhipment sul lato sud della diga foranea, nei pressi dell’imboccatura del porto. Questa banchina sarà lunga 2 chilometri e larga 500 metri, che poi verranno raddoppiati con un secondo progetto, e sarà realizzata grazie a dei cassoni in cemento armato colmati con i fanghi derivati dalla bonifica del porto. La realizzazione di questa banchina è di fondamentale importanza, infatti, in quella zona del porto si raggiungono fondali anche di 27 metri, ideali per le grandi portacontainer di pescaggio fino a 20 metri che in questo periodo si stanno costruendo in Cina. “Il terminal ci permetterà di realizzare quell’hub di cui parlano in tanti. Tra i progetti che potrebbero far decollare il porto vi è anche quello di recuperare le aree dismesse nella zona industriale ed integrare il porto con la linea ferroviaria. Ovviamente, la realizzazione di questi progetti dipende fortemente dalla possibilità concreta di ottenere dei finanziamenti e dal buon esito della realizzazione del corridoio 1.” Sono passati oltre 30 anni dalla realizzazione del primo lotto del porto commerciale e ancora la struttura non è decollata. Lei ritiene che ci siano ancora prospettive concrete per l’affermazione del terminal augustano nel mercato internazionale? “Augusta ha una posizione logistica ideale. Si trova infatti a metà strada tra Suez e Gibilterra e potrebbe essere competitiva anche nei confronti di Rotterdam, poiché permetterebbe un risparmio di ben 14 giorni di navigazione per le navi che provengono dall’oriente. “Il progetto è quindi valido. C’è sicuramente un ritardo molto grave, ma questo non vuol dire che non si debba portate a termine il progetto. Sappiamo tutti benissimo che l’industria petrolchimica sta perdendo terreno e che siamo in un lungo periodo di deindustrializzazione, lo sviluppo delle aree commerciali è una valida alternativa per creare un’economia sostitutiva. Poi, l’attività di transhipment non crea di per sè grande economia, ma è anche vero che non tutte le merci arrivano finite, spesso si tratta di materie prime o semilavorati su cui noi potremmo intervenire per completare il ciclo ed arrivare a produrre prodotti finiti, creando così una nuova economia.” A suo parere, il fallimento delle linee ro – ro è il segno di una inadeguatezza infrastrutturale ed organizza- tiva del porto, oppure crede che quelle linee siano del tutto fuori mercato? “Per capire in pieno il problema è bene sottolineare che le linee ro-ro, che includano anche il trasporto passeggeri, godono normalmente di finanziamenti statali. Quello di Augusta, però, non beneficiava di tali agevolazioni, per cui il rischio d’impresa nella gestione di tali tratte ricadeva completamente su chi voleva investire. L’iniziativa non è decollata forse perché gli imprenditori non sono riusciti a chiudere dei contratti con i trasportatori.” Che ne pensa della possibilità di integrare il porto di Augusta con altri porti, attraverso una regia unica che includa l’intera Sicilia orientale, a quali risultati può portare questa iniziativa? “I sistemi di territorio sono importanti ed abbiamo esempi in cui si sono ottenuti ottimi risultati come nel caso dei porti di Savona e La Spezia o nell’hinterland marchigiano, del resto anche l’Europa ci chiede di fare sistema tra i porti e con i territori, in modo da sfruttare al meglio le risorse disponibili. Un punto di forza per la nostra realtà è la vicinanza con l’interporto di Bicocca e l’aeroporto di Catania. Una piena integrazione ci metterebbe davvero in grado di essere competitivi.” Alla luce delle polemiche degli ultimi tempi, quale crede possa essere il futuro del porto di Augusta? Lo ritiene competitivo sullo scenario internazionale? “Per valutare la competitività del porto di Augusta, occorre partire dalla distinzione tra il traffico petrolchimico e i traffici diversi. Il primo dipende da fattori non governabili localmente, sui quali le imprese portuali non possono incidere in alcun modo. I traffici diversi da quello petrolchimico, invece, potrebbero dipendere dalla nostra capacità di offrire servizi appetibili. La macchina portuale oggi è organizzata in modo tale da servire il traffico petrolchimico, ma questo non vuol dire che non si possano servire in maniera adeguata anche altre industrie. I servizi portuali classici ad Augusta sono modernissimi e molto efficienti, e facilmente potrebbero prestarsi ad attività diverse. La partita, quindi, si gioca sul fronte dei traffici non legati al petrolchimico.” Il porto commerciale è stato pensato oltre 30 anni fa e ancora non è pienamente operativo, ritiene ancora strategica la scelta di fare di Augusta un hub del transhipment? “A mio parere l’idea di sviluppo del porto basata sulla realizzazione di terminal o banchine per i containers, su cui oggi si sta lavorando, non è la migliore. In questo mercato, infatti, la concorrenza si gioca sui centesimi di euro. Inoltre, da pochi anni, nei paesi del nord Africa sono stati realizzati dei terminal molto grandi e molto moderni con i quali è difficile competere a causa del bassissimo costo della mano d’opera e dei minori vincoli burocratici. Del resto, anche il rilancio del sito di Gioia Tauro, oggi in sofferenza e a rischio di chiusura, si fondò su accordi sindacali che stabilirono retribuzioni agevolate. La concorrenza internazionale nel mediterraneo è ormai insostenibile ed il mercato dei containers è molto volubile. In ogni caso, è un bene che si porti avanti il progetto, così almeno si costruiscono le banchine e si attrezza il porto con quelle infrastrutture, necessarie a qualunque tipo di sviluppo, di cui attualmente non è provvisto. Un porto intelligente deve essere progettato in maniera elastica, raccogliendo le sfide dei mercati. Porti monotematici, che fanno fatica a rivisitare la propria attitudine, non fanno molta strada soprattutto nella nostra area.” Su quali attività si dovrebbe investire per il rilancio della portualità ad Augusta? “Uno dei settori su cui si potrebbe puntare è quello della cantieristica navale, su cui non sono mai state spese grandi energie. Ad Augusta abbiamo diverse realtà im- portanti la cui attività è però limitata dalla mancanza di banchine adatte all’ormeggio di navi di grandi dimensioni. In linea generale, occorre investire su attività che non siano dipendenti dal mercato petrolifero e che non siano facilmente duplicabili altrove. Un altro esempio è quello della movimentazione di prodotti refrigerati. Si tratta di un’attività più complessa dei containers che necessita di un certo know how, inoltre solo a Salerno, Genova e Barcellona vi sono terminal allestiti per questa attività. Un altro settore su cui si potrebbe investire è quello relativo alla movimentazione degli oli vegetali, che hanno importanti applicazioni industriali nell’alimentazione o nella cosmetica, e sono merci pregiate. In Italia vi è solo un terminal a Genova, piccolo e con poco pescaggio, un terminal più grande si trova a Rotterdam, dove si scaricano gli oli e si trasferiscono via treno o camion in giro per l’Europa. Qui avremmo le condizioni ideali per questo tipo di traffico.” Tra gli strumenti che sembrano maggiormente necessari per il rilancio del porto vi è il piano regolatore. Quello attuale viene giudicato da molti obsoleto. “Solo adesso, con la gestione attuale dell’Autorità Portuale se ne sta discutendo anche in seno al comitato portuale. So che è stato affidato uno studio ad una società esterna, ma non ne sappiamo molto in realtà. Immagino che, non appena il progetto sarà pienamente definito, venga condiviso con gli operatori del porto. Ritengo sia utile che il piano regolatore portuale, prima di divenire esecutivo, sia condiviso con la portualità.” In questo contesto di razionalizzazione dell’uso degli spazi portuali, si pone anche il problema dell’utilizzo delle strutture già costruite ma ancora non utilizzate in pieno. “È fondamentale, ad esempio, intervenire per recuperare la nuova darsena, oggi utilizzata pochissimo, che potrebbe ospitare il centro operativo dei servizi portuali. Si è già parlato in passato di cercare una sistemazione più consona agli uffici dei servizi portuali e le autorità competenti avevano individuato nelle strutture del porto commerciale già costruite a Punta Cugno la sede ideale, anche per ragioni di sicurezza nello sbarco dei marittimi. In questo modo, però, si rischierebbe di allontanare sia gli operatori del porto che i marittimi dalla città, con ripercussioni gravi nei confronti dell’economia locale e costi maggiori per le attività produttive. Anche il presidente Garozzo condivide questa idea ed ha chiesto agli operatori portuali di riunirsi per trovare una soluzione e formulare una proposta, noi ci stiamo già muovendo”. Bruno Ferreri: “Non è colpa di Garozzo ma dell’Autorità precedente” Mastroviti (Assoporto Augusta): “Abbiamo servizi modernissimi” 8 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] In un odg votato dall’ARS: “Si sospendano le nomine a 15 giorni dallo scioglimento degli ATO” Reportage dal fronte dell’acqua, Lombardo rilancia i commissari ma i Comuni, anche Noto e Rosolini, irremovibili: “Niente consegna” di CONCETTO ROSSITTO Si è riaccesa, in questo mese di giugno, la battaglia per l’acqua. Ha riaperto le ostilità il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che, nella sua qualità di assessore (ad interim) dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, ha nominato l’architetto Giuseppe Taverna Commissario ad acta per l’ATO di Agrigento, in sostituzione dell’Assemblea dei Sindaci, col compito di rivedere ed approvare una nuova articolazione tariffaria. Lombardo ha inoltre nominato altri Commissari ad acta che dovrebbero procedere - entro il termine perentorio di sessanta giorni - alla consegna delle infrastrutture idriche, fognarie e depurative dei comuni di Buscemi, Canicattini Bagni, Carlentini, Cassaro, Ferla, Francofonte, Lentini, Melilli, Palazzolo Acreide, Rosolini e Sortino. Non si è fatta attendere la contromossa del popolo dell’acqua: il 13 giugno, l’Assemblea Regionale Siciliana ha votato un odg presentato dall’on.le Panepinto e da altri suoi colleghi. Tale odg impegna il Governo della Regione a sospendere i commissariamenti per la consegna delle reti e degli impianti al gestore del servizio idrico. Sono interessati a questo provvedimento alcuni Comuni della provincia di Agrigento e quelli della nostra provincia aretusea, sopra elencati. A nostro modesto avviso, il rinnovo dei commissariamenti rappresenta un errore politico dalle conseguenze devastanti sull’immagine di Lombardo. Lo fa apparire come un fuscello al vento, ora pronto a varare una legge regionale che prevede la ripubblicizzazione, ora troppo sensibile ai richiami delle lobby, che mirano comunque ad ottenere il controllo delle risorse idriche (e del lucroso servizio relativo alla loro fornitura, in regime di monopolio di fatto). Lombardo ha già dovuto incassare recentemente l’invalidazione di una prima ondata di commissari, poiché l’atto di nomina risultava clamorosamente illegittimo, in quanto firmato da un funzionario non più detentore del potere di firma. Si trattava di un errore amministrativo o di un furbo escamotage? Forse quelle nomine erano state fatte in tal modo per compiacere le lobby dell’acqua, senza però che si volesse determinare l’effetto della consegna degli impianti? Non lo possiamo sapere. Ma ora Lombardo ci riprova, in un clima politico diverso, dopo che il PD non lo sostiene più. E allora si può star certi che non ci saranno nuove imperfezioni formali o sostanziali, che possano determinare una nuova invalidazione degli atti. Anche perché, ammesso che di errore si sia trattato la prima volta, perseverare non sarebbe certo possibile. E Lombardo non è uno sprovveduto. Ci riprova, dunque, anche per far capire che, senza condizionamenti da parte di una forza politica che lo ha appoggiato (purtroppo!), si sente più libero di schierarsi apertamente a favore degli interessi delle lobby e dei potenti. O forse proprio per sottolineare la sua alleanza con il fronte dei furbi e delle lobby. Ma forse è proprio questo il clamoroso errore di valutazione politica. Il popolo dell’acqua, assolutamente trasversale rispetto alle posizioni dei partiti, non gliela perdonerà e non potrà perdonare ai politicanti schierati con lui questa porcata compiuta a danno degli interessi dei cittadini, sempre più incazzati per una crisi che avanza minacciosa, sempre più assillati da prelievi e sacrifici imposti da chi non sa far pagare nulla alla casta ed ai furbastri, sempre più dissanguati da bollette pazze, errate, gonfiate, calcolate su consumi presunti… e da servizi sempre più costosi. A conferma di questa considerazione si può citare la dichiarazione rilasciata alla stampa da Pippo Incatasciato del MpA di Rosolini, che si è opposto fieramente alla cessione degli impianti.: «Meglio aprire un contenzioso che dare il via libera alla consegna della rete idrica e fognaria, cosa che comporterebbe rincari per la popolazione, a fronte di inefficienze e mancati investimenti. Prova ne è quel che accade nei Comuni vicini con bollette pazze, reti obsolete e quant’altro. Sulla questione Sai 8 manteniamo la barra ferma e preannunciamo azioni, anche eclatanti, pur di impedire la privatizzazione». Noto si schiera contro SAI8 Ma anche l’evoluzione della situazione politica di Noto, in relazione al tema dell’acqua, conferma che Lombardo ha clamorosamente toppato. A Noto, appena un mese fa, veniva celebrata, con qualche soddisfazione di troppo, la sigla di un protocollo d’intesa fra SAI8 e l’Amministrazione. Si sperava che le varie proteste e i malumori dei cittadini potessero essere placati con il conferimento di un ruolo di controllo alla Aspecon. Ma non è stato così. E il Consiglio Comunale, all’unanimità, ha dovuto tener conto, in un documento votato all’unanimità il 13 giugno, di varie inadempienze e di innumerevoli angherie perpetrate dal gestore privato. Così si è passati, in appena un mese, da un clima cordiale d’intesa (sia pure attraverso un protocollo che prevedeva controlli sull’operato del gestore) ad un clima ben diverso, decisamente più teso, da conflitto imminente o già dichiarato. Il consiglio, alla fine della seduta, si è impantanato su una questione divertente. Qualcuno, per una questione di mera logica, voleva che in calce alla richiesta di rimedi, interventi, adempimenti… si mantenesse una condizione: ove in un lasso di tempo stabilito le richieste non vengano integralmente esaudite, si dà mandato al sindaco di adoperarsi presso l’ATO per una immediata risoluzione del contratto di affidamento del servizio a SAI8. Qualche altro consigliere voleva che si togliesse la condizione e che si desse comunque mandato al sindaco, da subito, di pretendere dall’ATO (o dal commissario) la risoluzione dell’affidamento. Giusta anche questa richiesta (data la natura di certi inadempimenti non più sanabili, come quello relativo alla fidejussione, che doveva essere interamente disponibile sin dal giugno 2008, cioè entro quattro mesi dopo la firma del contratto)! Ma allora perché mantenere nel documento l’elencazione delle doglianze? Lo si sarebbe potuto ridurre all’essenziale: la richiesta di risoluzione! Per non destrutturare il documento, predisposto dai capigruppo, si è preferito lasciare la condizione: si subordina cioè la richiesta di risoluzione al mancato adempimento di tutte le richieste, ma si ha tuttavia la certezza che SAI8 non potrà più adempiere. E la cosa più simpatica è che qualche consigliere non si sottrae alla firma del documento, pur dicendo di condividerlo nello spirito più che nella lettera. Lascia intuire di credere poco negli effetti, ma non riesce a sottrarsi al dovere di firmarlo, perché sa che sarebbe un tradimento palese degli interessi dei cittadini. Purtroppo la seduta non era “aperta”: si poteva solo assistere, ma non intervenire. Peccato! Avremmo chiesto volentieri a quel consigliere (Bosco, già presente nel CdA dell’ATO) come mai l’Autorità di controllo non sia intervenuta a tempo debito per invalidare il contratto, considerato che l’inadempimento al dettato della clausola risolutoria doveva essere rilevato sin da giugno 2008. Da ex componente del CdA di tale Autorità di controllo (l’ATO idrico), avrebbe dovuto fornire a tutti una risposta convincente. L’ATO… Cu l’ha ccriatu! Ddicalufici! Ma l’ATO, come è ben noto a tutti, non ha mai funzionato bene e non ha svolto le sue funzioni di Autorità di controllo, altrimenti avrebbe dovuto sollevare la questione sin dal giugno 2008 e far valere da allora la clausola risolutoria, defenestrando o, meglio, stracquando SAI8. E invece è stato necessario l’intervento ripetuto e martellante dei cittadini e della stampa libera come La Civetta per richiamare l’attenzione di tutti e per rendere di dominio pubblico certe inadempienze. Rispetto alle quali solo l’Assemblea dei Sindaci ha assunto le posizioni giuste, mentre il CdA ha cercato spesso di ostacolare, anche con l’astensionismo, iniziative doverose contro il gestore. Ci chiediamo allora a cosa sia servito in realtà l’ATO, questo ATO di Siracusa. Al quale, secondo il pluricommissario Cardaci, servono addirittura altri 17 dipendenti, che dovrebbero essere assunti in un prossimo futuro. L’incredibile notizia è riferita da un noto quotidiano nell’edizione di venerdì 15 giugno. La pianta organica dell’ente dovrebbe essere costituita da «un dirigente amministrativo, uno tecnico e uno contabile». Tre dirigenti! E poi ancora da: «un funzionario categoria D5 con alta professionalità per l’attività legale, un amministrativo, un contabile e due tecnici tutti di categoria D3». E non è finita: «un istruttore amministrativo, uno contabile e sei tecnici di categoria C1». E infine, immancabilmente, «un collaboratore B1 con funzioni di autista e di usciere». E se ci sarà l’autista, dobbiamo presumere che debba anche esserci l’auto di servizio: l’auto blu. L’esigenza delle nuove assunzioni avrebbe come presupposto la prospettiva che «tutti i Comuni del comprensorio, entro breve tempo, consegneranno gli impianti». Ma se questo dovesse accadere (e ci auguriamo di no), semmai dovrebbe aumentare il numero di dipendenti di SAI8. Ci riesce difficile capire un tale aumento della mole di lavoro dell’ATO. Ci piacerebbe invece che la magistratura contabile verificasse la congruità delle risorse umane impiegate attualmente nelle varie Autorità d’ambito. Forse verrebbero fuori delle cose interessanti. Forse la privatizzazione sta servendo a interessi clientelari, che vengono doppiamente soddisfatti: presso gli ATO e presso vari gestori, per gratitudine di questi verso la mala politica. Ma una cosa ci preme sottolineare. Forse i sostenitori della privatizzazione si stanno inebriando prima del tempo. Infatti l’ideazione di questo nuovo organico sarà sicuramente precedente rispetto alla notizia dell’OdG votato dall’ARS, di cui abbiamo dato notizia sopra. Non sappiamo se Lombardo rispetterà tale OdG. Ma certamente tale documento ha un suo peso consistente e, se fossimo al suo posto, lo terremmo nella dovuta considerazione. ATO in scadenza: posti d’imbarco last minute. Leggiamo proprio nell’OdG stilato da Giovanni Panepinto e votato dall’Assemblea che “il 30 giugno è il termine per lo scioglimento degli ATO, previsto da una norma nazionale”. Dunque non ci sembra affatto certo che i commissari questa volta eseguiranno il mandato, stante la sospensione imposta con OdG votato dall’ARS, né ci sembra certo l’avvenire degli ATO, visto che la loro scadenza è imminente. Certo è sempre possibile che Lombardo ignori l’OdG, assumendosi la responsabilità di scavalcare la volontà dei parlamentari, così come è possibile che la scadenza degli ATO venga trascurata in Sicilia o venga prorogata con provvedimento in extremis, ma non ci faremmo prendere dalla fregola di gonfiare l’ATO di dipendenti. Proprio la vigilia della loro scadenza! Anzi, non ci penseremmo neppure, considerati i sacrifici che gli italiani siamo chiamati a fare. Ma questo la casta non lo ha ancora capito e vorrebbe continuare a moltiplicare le mangiatoie e le mammelle da spremere. E si illude di poter istituire altri posti di lavoro, anziché sforzarsi di far lavorare i troppi dipendenti, spesso assunti per motivi clientelari. Sarebbe interessante avviare un’inchiesta conoscitiva per accertare quanti dipendenti lavorino (e ce ne sono sicuramente tanti) e quanti percepiscano uno stipendio che non meritano. Tornando al pluricommissario Cardaci, ci pare opportuno chiedere ai Sindaci resistenti ed agli altri Sindaci neoeletti (che i cittadini costringono a schierarsi contro SAI8 o che già in campagna elettorale hanno mietuto consensi grazie a posizioni inequivocabilmente assunte contro gli interessi del gestore) se non ritengano opportuno verificare se il pluricommissario non sia andato al di là delle proprie competenze (annullando qualche delibera dell’Assemblea, che dovrebbe comunque rispettare anche nella sua funzione di sostituto del Presidente) e, soprattutto, se non sia incorso in qualche omissione, trascurando di dar seguito alla diffida, motivatamente (a nostro avviso) spiccata da Bono nell’ottobre 2010. A noi sembra che il mese di tempo concesso da Bono per la produzione della fidejussione inesistente sia trascorso ben 20 volte. E, da profani, riteniamo che quell’atto di diffida e di messa in mora probabilmente potrebbe risultare ancora valido, in quanto suffragato o supportato da decisioni dell’Assemblea, non impugnabili o non invalidabili da parte del commissario. Editrice Associazione Culturale Minerva Viale Teocrito, 71 96100 Siracusa e-mail: [email protected] web: www.lacivettapress.it Direttore: Franco Oddo Vice direttore: Marina De Michele Pubblicità: 348 5123244 Reg. Trib. di Siracusa n° 1509 del 25/08/2009 Stampa: Tipolitografia Geny Canicattini Bagni (SR) Telefax: 0931 946013 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 9 Abbiamo depennato quelli nati prima del 1930 e taluni che sappiamo deceduti, nessuna P5 a Siracusa È un segreto di Pulcinella chi sono e quanto sono potenti i massoni della nostra provincia, basta digitare su google e i nomi eccoli qua di MONICA LANAIA Il suo simbolo è un compasso intersecato a una squadra. Ha fatto la fortuna di vari libri di Dan Brown. Nell’immaginario collettivo evoca antichi rituali, rigide gerarchie, uomini che determinano le sorti della società. La massoneria, ancora oggi, fa notizia. Gli storici sostengono che gli albori della massoneria risalgono al XVIII secolo – anno 1717, precisamente, Londra – , mentre i massoni raccordano la nascita del gruppo al IX secolo a. C.: Hiram, un fonditore di bronzo abile, intelligente e capace, fu incaricato, secondo la leggenda, della costruzione del Tempio di Salomone. Originariamente, dunque, la massoneria era composta da architetti e costruttori (non a caso, i simboli della squadra e del compasso erano i loro utensili e, non a caso, il termine ‘massone’ deriva dal francese francmaçon, cioè libero muratore): era la cosiddetta massoneria operativa. Successivamente, vennero ammessi nella corporazione anche sacerdoti, medici e scrivani: erano i massoni speculativi o di teoria. In Italia, i gruppi massonici sono svariati: il Grande Oriente d’Italia è quello con più adepti e accetta solo uomini, così come la Gran Loggia Regolare d’Italia; la Gran Loggia d’Italia, invece, accetta donne e uomini; inoltre, vi sono la Gran Loggia Phoenix degli ALAM, la Federazione italiana dell’Ordine Massonico Misto “Le droithumain”, la Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia; seguono moltissime altre logge minori, nate da scissioni da logge maggiori. Ogni loggia è retta da un Maestro Venerabile, eletto tra i fratelli che abbiano raggiunto il grado di maestro massone (il terzo grado iniziatico, dopo quello di apprendista muratore e compagno d’arte); più logge formano un Oriente e più Orienti una provincia massonica; tutte le logge formano un’Obbedienza, presieduta dal Gran Maestro, eletto dai Maestri Venerabili di tutte le logge. Leggende, simbolismi, intrighi come quelli de “Il simbolo perduto” di Dan Brown? La domanda è: quanto, in concreto, influiscono queste corporative – più o meno segrete – sulla nostra società? Garibaldi, Crispi, Zanardelli, Carducci, Pascoli, Diaz, Badoglio furono massoni. Non Mazzini, il dato storico è appurato, ma la massoneria ebbe una sicura influenza sull’unità d’Italia, quantomeno “favorì la coesione tra i futuri italiani che partecipavano a logge sparse su tutta la penisola, creò un collante tra uomini, progetti e città”, come afferma Giuliano di Bernardo, fondatore e primo Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia. Sia chiaro, nella massoneria non vi è nulla di illegale: l’articolo 18 della nostra Costituzione riconosce e tutela il diritto di associazione dei cittadini, senza autorizzazione, per fini non vietati dalle leggi. Il secondo comma dell’articolo 18, però, specifica: le associazioni segrete sono vietate. Le logge massoniche presenti nel nostro ordinamento hanno assunto lo status di associazioni non riconosciu- te, previsto dall’articolo 36 del codice civile. In questo senso, la massoneria non ha nulla di negativo: è un ordine che mira al ‘perfezionamento dell’umanità’, che raggruppa adepti che condividono determinati principi morali, etici e spirituali, quali la necessità di conoscere se stessi (nosce te ipsum) e ricercare la verità, la fratellanza tra gli uomini senza distinzione di nazionalità, razza o credenze, la lotta contro ogni forma di ignoranza; la massoneria, non essendo una religione, lascia liberi i propri affiliati e proclama la libertà dell’uomo, pur riconoscendo un ente creatore, il Grande Architetto dell’Universo (analogo a quello dei deisti illuministi). In teoria, la massoneria vieta di parlare di politica. Ed ecco la dolente nota. Cosa accade quando gruppi più o meno massonici, più o meno segreti, più o meno accomunati da quei principi di fratellanza e libertà, si fondono con interessi politico-economici? Succede che sorge una P2. L’originaria Propaganda massonica era una loggia del Grande Oriente d’Italia, fondata alla fine del XIX secolo, per garantire maggiore segretezza agli affiliati più importanti; la Propaganda Due nacque, invece, dopo la seconda guerra mondiale e, nel 1975, Licio Gelli ne divenne Maestro venerabile. Gelli riunì vari esponenti politici e amministrativi e contribuì alla redazione del cosiddetto piano di rinascita democratica: l’idea era quella di introdurre un autoritarismo legale, al posto degli apparati democratici. Lo scandalo fu grande e, nel 1981, la corte centrale del Grande Oriente di Italia espulse Gelli dal gruppo massonico. Alla P2 seguì la P3: fra gli indagati anche il coordinatore del Pdl Verdini, il senatore Dell’Utri, il coordinatore del Pdl della Campania Cosentino, svariati magistrati e politici. L’accusa: associazione segreta (in violazione del secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione) che sarebbe servita da punto di riferimento per vari imprenditori e politici per ‘pilotare processi e influire sulle nomine dei componenti degli organi dello stato’. L’inchiesta, partita da vari impianti per la produzione di energia eolica in Sardegna, ha messo in luce un ingente giro di soldi finiti in parte nella banca di Verdini (il Credito Cooperativo Fiorentino), in parte all’estero per ottenere gli appalti per l’eolico. E, chiaramente, alla P3 è seguita la P4: associazione a delinquere, reati contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia. Indagati il deputato Papa del Pdl e Bisignani; quest’ultimo – già membro della loggia P2 di Gelli, già condannato nella sentenza Enimont (era il postino della maxi-tangente), già grande amico di Gianni Letta – sembra sempre comparire dietro ogni questione importante, dietro ogni mossa politica e ogni ascesa economica (da ultimo, per dirne una, si mormora sia amico del neo direttore generale della Rai, Gubitosi). Infine, tornando agli aspetti leciti della massoneria, esiste il Gruppo Bilderberg: si tratta di un incontro annuale al quale partecipano politici, esponenti dell’economia e della finanza, banchieri, imprenditori, giornalisti; tra i membri italiani si annoverano gli Agnelli, De Benedetti, Ferruccio De Bortoli, Lilli Gruber, Mario Draghi e Mario Monti, Prodi, Tremonti, Carlo Rossella, Tronchetti Provera, Ignazio Visco. Si entra solo se invitati (infatti, pare che lo staff della security abbia malmenato l’europarlamentare Borghezio che si era impuntato ad assistere alla riunione), le date e i luoghi degli incontri sono pubblicizzati, ma la stampa non è ammessa e nulla trapela dei contenuti del meeting. I temi trattati sono vari: economici, militari, politici; le location hotel di lusso in Europa o negli Stati Uniti; le teorie del complotto mai sopite tra i ‘comuni mortali’ che non partecipano agli incontri (in primis Borghezio: “E’ una società segreta che prende decisioni rilevanti senza il controllo popolare”). La prima conferenza si tenne nel 1954, appunto presso l’Hotel de Bilderberg in Olanda; nel 2011, la sede è stata Saint-Moritz, mentre quest’anno l’incontro si è svolto a Washington i primi di giugno. Perfezionamento dell’umanità, in ossequio a principi di libertà e fratellanza o manovre politiche occulte? Teoria del complotto, democrazia borderline, decisioni prese all’insaputa dei più? Quanto sopravvivono gli ideali della massoneria, sempre più inquinati dagli interessi immanenti? Cos’è, oggi, la massoneria? Ma soprattutto, chi sono i massoni? Anzi, chi sono i massoni della nostra città? Che a Siracusa e nei comuni della provincia alcuni adepti ostentassero la loro adesione è dimostrato dai simboli massoni in bassorilievo sulle pareti d’ingresso dei palazzi e palazzotti del capoluogo e dei comuni. Anche a Palazzolo Acreide, lungo il corso, ce n’è uno con scultura di squadra e compasso. Ma, negli ultimi decenni, a vantarsene erano sempre di meno per la diffusa convinzione popolare di logge appartate, di riti coi cappucci, di pratiche esoteriche. Nelle chiacchiere da bar la massoneria, anche quella siracusana, sapeva di pi qualcosa finalizzata a favorire carriere e affari. Insomma, si aveva la sensazione che sempre più gli affiliati cercassero di starsene al coperto, lontani da occhi indiscreti. E invece scoprire chi sono i massoni di questa provincia non è difficile, anzi è un segreto di Pulcinella: è sufficiente digitare su Google ‘elenco massoni italiani’ per trovare la lista. Ecco i siracusani, con l’avvertenza che abbiamo depennato quelli nati prima del 1930 (in ragione della veneranda età) e taluni che sappiamo sicuramente scomparsi, mentre degli altri non conosciamo chi sia ancora in vita: Paolo Ambrogio, nato nel 1938; Giovanni Annino, nato nel 1949, avvocato; Roberto Annino, 1961; Franco Arcostanzo, 1930, assicuratore; Balistreri (nome mancante, ndr), nato nel 1940 ad Augusta; Giuseppe Belvedere, nato nel 1951 a Francofonte; Santo Bengasi, classe 1945, commerciante; Vittorio Broggi, pensionato; Italo Buffardece, pensionato; Giancesare Cacciola, 1942, impiegato; Maurizio Cantarella, nato nel 1959 a Carlentini; Angelo Carnemolla, 1943 impiegato; Corrado Carnemolla, nato nel 1940 a Noto, imprenditore; Giampiero Castelli, 1956, libero professionista; Francesco Casto, 1937, medico; Antonino Cianci, 1931,commerciante; Giovanni Conigliaro, 1948, commerciante; Giuseppe Consiglio, 1953; Nunzio Di Bartolo nato nel 1955 a Palazzolo Acreide, radiologo; Carmelo Di Mauro nato nel 1955 ad Augusta, impiegato (solo una omonimia con il nostro collaboratore); Paolo Dugo, 1948, impiegato; Giovanni Esposito, 1932; Salvatore Esposito, 1959; Ciro Fede Catania, nato nel 1936 a Noto; Alfonso Felicella, 1939, impiegato; Pasquale Fransoni, 1944, rappresentante; Francesco Gallo, nato nel 1945 a Palazzolo Acreide, avvocato; Paolo Gallo, nato nel 1952 a Palazzolo Acreide, imprenditore; Carmelo Gennaro, impiegato; Sebastiano Geraci, pensionato; Francesco Grande, nato nel 1935 a Rosolini, insegnante. Emanuele Imbrò, commercialista; Luigi Lacagnina, agente di viaggi; Michele Lamia, nato nel 1948 a Melilli, impiegato; Giacinto Lo Faro, 1956; Salvatore Lucifora, 1939; Maurizio Macrì nato nel 1960; Vincenzo Majorca, 1931; Giovanni Marischi, medico; Sebastiano Maugeri, 1952; Paolo Menta, 1931, assicuratore; Antonio Messina, classe 1937, avvocato; Vincenzo Mezzasalma, 1943, impiegato; Antonio Nicoletta nato nel 1941 a Floridia, impiegato; Carlo Panico; Roberto Pasqua nato nel 1954 ad Augusta, procuratore legale; Michele Patti; Antonio Pennuto nato a Belvedere, industriale; Luigi Piccione, avvocato; Francesco Picone, 1947, impiegato; Pili (nome mancante, ndr), nato nel 1932 ad Augusta; Armando Pizzo, nato a Palazzolo Acreide, architetto; Sebastiano Purpura, 1944, doganiere; Antonio Randazzo, 1956; Gaetano Russo; Francesco Saetta, 1958, procuratore legale; Sebastiano Salonia; Biagio Scandurra, 1948, medico; Antonino Scandurra, 1950; Roberto Scarselli,1947, imprenditore; Gaetano Scimò Gaetano, 1933, impiegato; Giuseppe Scimò; Pietro Sesta, commerciante; Salvatore Sesta, commerciante; Sicari (nome mancante, ndr), nato nel 1933 ad Augusta; Francesco Sullo nato a Palazzolo Acreide; Angelo Trigilio, nato nel1960 a Francofonte, medico; Giuseppe Paolo Tringali, nato nel 1952 ad Augusta, medico; Vincenzo Valvo nato a Palazzolo Acreide, avvocato. ll sacerdote: “Il Corpo di Cristo”. Fui invasa da una forza devastante Infransi gli specchi dell’apatia, deposi il regno del nulla. Urlai: “Amen” I canti producevano un certo calore in quella piccola sala amena. Parlavano di Dio e di uomini ingrati che ne sfigurano l’essenza portando senza merito il nome insolentito di “Cristiani”. La mensa di nudo cemento troneggiava al centro dell’ambiente, addobbata da qualche mesto niveo fiore e tutti noi, seduti attorno, fungevamo da diadema vivo e travagliato per le invocazioni del presbitero che levava le braccia al cielo, aprendo la sua ampia tunica bianca in un solenne saluto. Eravamo soli al centro della notte e ognuno custodiva in sé una favilla particolare di dubbio o di speranza, di orgoglio o di oppressione… Sola, io vedevo in me il fuoco ridursi a fiaccola, la fiaccola a brace, la brace a cenere; impotente, osservavo il ricamo dei paramenti per impedirmi di scrutare più a fondo nel mio intimo: mi imponevo il nulla.Parole mistiche e sferzanti mi frustavano l’anima, ma presto fuggivano all’acre contatto con il mio cuore logoro e indolente. Poi un vento arido, crudele, mi trapassò lo spirito, cancellando da me ogni traccia di Dio. Mi ritrovai sola, a combattere contro dei fantasmi più forti di me, aggrappata ad una caduca rupe, ad un velo che mi si era disteso sugli occhi, appannandone l’orizzonte. Ma il velo si squarciò con uno spasimo sordo e penetrante. Provai il vuoto. Chiamai “Dio”, “Signore”, “Gesù”, ma trovai solo altre oniriche illusioni che mi si para- rono davanti costringendomi al mendace disincanto di chi nasconde a se stesso la propria identità per appropriarsi della fallace nomina di adulto. Lottai contro un nemico che non conoscevo, o che non volevo individuare in me stessa. Le lacrime mi ingrossarono le palpebre, si impigliarono tra le ciglia e scesero giù lungo il viso, mentre il mio petto era scosso da violenti singhiozzi. Ero sconvolta, strappata, contratta; il mio corpo era una scatola vuota, il cui contenuto era stato gettato in pasto ai cani, e non sapevo il perché. Vedevo una croce; vi ero inchiodata, legata, condannata. Eppure volevo distruggerla, smembrarla pezzo a pezzo, annodarne le viscere, come lei in quel momento faceva con me. Tutti mi guardavano sconcertati: io tremavo, battevo i denti e mi fregavo le braccia, come se fosse appena morto qualcuno a me caro. Nessuno capiva che ero appena morta io. Ero distesa sul velluto corvino, dilaniata da un dolore spasimante, atroce, che mi consumava a poco a poco. Poi, come la diapositiva di un vecchio film, passò davanti a me il sacerdote, distribuendo il pane. Alzò l’ostia davanti ai miei occhi e disse: “Corpo di Cristo”. Fui invasa da una forza devastante che inondò di luce tutto quel vuoto che mi aveva pervaso. Infransi gli specchi dell’apatia, deposi il regno del nulla. Urlai: “Amen”. Maria Emanuela, 14 anni 10 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Dai pochi euro della presidenza Cosvis ai 215 mila annui in una società che fattura 94,6 milioni La carriera di Assenza, manager della Sogesid dallo stipendio d’oro che l’anno scorso ha distribuito 203 consulenze per 4,4 milioni di MARINA DE MICHELE Fa girare un fiume di denaro ma di essa anche a Siracusa si parla poco. Eppure al vertice della Sogesid c’è proprio un siracusano: l’avvocato Vincenzo Assenza voluto dal Ministro dell’Ambiente, oggi ex, Stefania Prestigiacomo, si dice, per motivi “familiari”. È uno dei manager dagli stipendi d’oro, di quelli caduti sotto il mirino della cosiddetta ”antipolitica”. I suoi sostanziosi emolumenti sono dovuti anche al fatto che somma in sè una doppia carica: quella di presidente della società e insieme di amministratore delegato, una sovrapposizione espressamente consentita dallo statuto. La sua remunerazione arriva così, come si può leggere nell’elenco reso pubblico dal ministro Brunetta, alla quota di 144 mila euro l’anno, ma si tratterebbe di una riduzione rispetto ai precedenti 184 mila (anche per i super manager è tempo di sacrifici!). In altri atti però, quelli della Corte dei Conti, il compenso riportato per le funzioni di presidente è di 27 mila euro e di 230 mila per quelle di amministratore delegato cui va aggiunto un emolumento variabile, di importo annuo lordo massimo pari al 30% del compenso fisso, che spetta in caso di raggiungimento integrale degli obiettivi annuali definiti dal Consiglio di Amministrazione, o in misura minore in caso di raggiungimento solo parziale degli obiettivi stessi. Forse è alla luce di queste variabili che si spiega la cifra di 215.123 (netti?) di cui si è ultimamente parlato ma qualsiasi calcolo preciso appare impossibile. Solo una voce comunque rispetto ai costi complessi- vi del consiglio di amministrazione della Sogesid: 5 membri, in carica per tre esercizi - quello attuale è in carica dal mese di aprile 2011 (triennio 2011-2013) – (3 su designazione del Ministero dell’ambiente e 1 ciascuno su designazione rispettivamente del Ministero dell’economia e di quello delle infrastrutture ma si badi bene indicati “sulla base di determinati requisiti etici e di professionalità”), che nel bilancio pesano per 311 mila euro. Tra di loro l’avvocato Luigi Pelaggi, capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente, che per la pluralità di incarichi viene considerato “persona ubiquitaria e supercapace: avvocato a Roma, commissario all’emergenza idrica alle Eolie, membro del CdA di Sogesid e del CdA dell’Acea di Roma”, personaggio emergente, molto discusso e senza il quale sembra che il ministro non abbia mai fatto nulla. A definirlo un epiteto: “il Bertolaso delle emergenze ambientali”. Tra le voci del bilancio circostanza curiosa è che sia lo stesso cda, attraverso un proprio “comitato interno”, a stabilire le remunerazioni cui hanno diritto i consiglieri, 13.300 euro ciascuno, e ancora più inspiegabile, alla luce delle informazioni in nostro possesso, il fatto che i membri del comitato, in quanto investiti di tale gravoso compito, percepiscano altri 4.050 euro. Ma poi si deve retribuire anche il Presidente del Collegio sindacale, e sono altri 25 mila per le funzioni di controllo contabile (la società non ha infatti l’obbligo della redazione del bilancio consolidato) e quello degli altri due membri: 18.076 euro. Fanno un totale di 61.152. Invece, nell’organismo di vigilanza, nominato dal Consiglio di amministrazione, le cui funzioni sono appunto quelle di “vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello di organizzazione e di curarne l’aggiornamento”, il compenso è di 20 mila euro per il Presidente e di 14.460 e 80 centesimi per gli altri due membri. Però “i componenti degli organi sociali non percepiscono gettoni di presenza dei quali (sic) lo statuto (art. 19, comma 2) pone un espresso divieto”: alleluia! Niente si dice dei compensi del Dirigente preposto alla redazione dei “documenti contabili societari” (sempre scelto dal consiglio di amministrazione) e di altre figure di secondo piano. E questa è solo la struttura apicale. Per fortuna la Sogesid dà lavoro a un bel po’ di persone con “indici molto bassi di assenteismo progressivamente e notevolmente diminuiti dal 2007 al 2012” si riferisce con una certa soddisfazione. Gli ultimi dati certificati, quelli del 2009 e 2010, vedono un aumento dei lavoratori a tempo determinato da 48 a 64 unità e a tempo indeterminato da 40 a 48. Il costo del lavoro è così passato dai 5.803 milioni del 2009 ai 7.128 milioni del 2010, e ancora il problema non è questo perchè “oltre al personale con rapporto di lavoro dipendente, la società fa largo uso di collaborazioni con contratto a progetto e a partita Iva” ma - si dice - grazie a una riduzione dovuta a processi di stabilizzazione per eliminare potenziali contenziosi ‘con elevata probabilità di soccombenza’ ” dal 2009 al 2010 siamo scesi dalle 372 alle 336 collaborazioni. Questo nel 2010, perché dal sito istituzionale risultano 203 consulenze assegnate l’anno scorso, 57 ancora attive, per un valore complessivo di 4 milioni e 359 mila euro: in media 21.500 euro a incarico, quasi sempre di durata inferiore a un anno. Consulenze tra le più disparate ma soprattutto assegnate per la redazione di studi, piani, programmi, progetti relativi a tematiche idriche, ambientali, di bonifica e dissesto idrogeologico, incarichi legali e altro. Eppure, se anche l’incidenza del costo del lavoro sul bilancio consuntivo è pari al 37%, ciò che conta è l’andamento del portafoglio commesse, passato dal valore di 54.808.137 euro nel 2009 a 94.633.680 nel 2010. Una bella crescita non c’è che dire. Secondo il PD, progettazione esecutiva e direzione lavori alla Sogesid confliggono con i controlli ministeriali Una SpA potentissima che ha attività in molti settori dell’Ambiente e può fare tutto in quasi assoluta libertà, tipo modello Bertolaso Ma cos’è la Sogesid? Di cosa si occupa? Che cosa ha a che fare con la nostra provincia? La Sogesid è una società per azioni (di proprietà del Ministero dell’Economia) nata nel 1994 per la gestione, in regime di concessione, degli impianti idrici prima detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno. Con l’esaurirsi dei compiti relativi a questa funzione, un primo ampliamento di competenze si ha nel 1995 quando la legge 341 ne modifica la missione rendendola organismo strumentale del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, per le funzioni di istruttoria, supporto tecnico, organizzazione e monitoraggio nel settore idrico. Così la società ha esteso la sua attività al resto d’Italia, effettuando la ricognizione dello stato delle infrastrutture acquedottistiche, fognarie e depurative in 27 Ambiti Territoriali Ottimali - un’area che comprende 1.935 comuni e una popolazione residente di circa 18,5 milioni di abitanti – e predisponendo i Piani d’Ambito per 25 ATO. Ma è nel dicembre 2006 il vero cambio di passo. È la legge 296 infatti a conferire alla Sogesid la sua attuale fisionomia, rendendola strumentale anche “alle esigenze e finalità del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare”. Con la modifica dell’art. 4 dello statuto sociale vengono indicate tutte le nuove mansioni e le attività tecniche ad essa attribuite in alcuni settori. In realtà si tratta di tutti i settori del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare e del Territorio (risorse idriche, bonifiche, rifiuti, difesa del suolo, protezione della natura, sviluppo sostenibile, salvaguardia ambientale, ecc.) e di alcuni del Ministero delle infrastrutture (accordi di programma per il trasferimento delle risorse idriche, completamento ed integrazione degli schemi idrici, fognari ed irrigui, ecc.). La Sogesid può veramente fare di tutto, ma soprattutto lo può fare in quasi assoluta libertà. Viene infatti previsto che la società, in quanto società “in house” del Ministero dell’ambiente, può non solo tramite convenzioni fornire assistenza e prestazione di servizi ma anche, da stazione appaltante, non avere l’obbligo di ricorrere all’esperimento di procedure di evidenza pubblica. Siamo di fronte al modello bertolasiano della Protezione civile ed è infatti proprio su questo aspetto che si sono concentrate le molte critiche provenienti da più parti, sebbene proprio la sua natura, anche secondo le autorità comunitarie chiamate in causa, renderebbe tutto ciò lecito. Ma ovviamente, per rispondere alle tante funzioni inerenti al suo oggetto sociale, non avendo allo scopo una dotazione stabile di personale, la società non può che ricorrere a contratti di progettazione, studio, consulenze, affidamenti esterni. Il costo di questi servizi nel 2009 ha inciso sul valore di produzione per il 59% (12.849 Meuro) e del 62% sui costi totali, mentre nel 2010, con lieve flessione, rispettivamente per il 56% (11.341 Meuro) e per il 58%. Alcuni deputati del PD hanno recentemente presentato al governo un’interpellanza parlamentare per sapere se sia opportuno da una parte, per favorire un regime di libera concorrenza, imporre ad enti locali e regioni di limitare il ricorso a procedure di affidamento in house, dall’altra lasciare libera la Sogesid di effettuare essa stessa attività di progettazione esecutiva e direzione lavori in palese conflitto d’interessi con i compiti autorizzativi e di controllo attribuiti al Ministero dell’Ambiente. Un’entrata a gamba tesa nel libero mercato della concorrenza quindi, che sottrarrebbe le sempre più residue possibilità di lavoro a chi opera nel settore dell’ingegneria ambientale, professionisti e imprese, grazie a una presenza invadente e non controllata. Non solo: la Sogesid, in quanto non compresa nell’elenco degli enti inseriti nel conto consolidato della pubblica amministrazione, è svincolata anche dalle norme sul contenimento della spesa pubblica il che significa non riconoscere alcun limite alla sua potenzialità di spesa, nessun cappio come quello del patto di stabilità cui sono invece sottoposte le altre pubbliche amministrazioni. E suona quindi come una boutade la considerazione sui risparmi operati dalla società in merito alle relazioni pubbliche, ai convegni, alle mostre, pari nel 2009 a 10.148,25 euro (somma inferiore al 50% di quella sostenuta nel 2007 per le stesse finalità: quindi nel 2007 si erano spese oltre 20mila euro per pubblicità e rappresentanza!) e diminuite nell’anno 2010 a 7.915,85. O anche il fatto che la Società abbia provveduto a dotarsi di autovetture di cilindrata inferiore a quelle già acquisite per il Presidente e l’Amministratore delegato – che poi sono la stessa persona e si spera quindi che, date le due diverse funzioni, non siano necessarie due autovetture diverse - e per il Direttore Generale. Infine l’ultimo elemento di preoccupazione: quello che la Sogesid, più che sovrapporsi ad altri organismi duplicandone le funzioni, li fagociti direttamente. Già nel luglio del 2008 un deputato dello stesso schieramento della Prestigiacomo, Ugo Lisi, tramite un’interrogazione parlamentare aveva chiesto al ministro di mettere in liquidazione la società o “in alternativa, di porre in essere azioni per ridefinire il piano industriale della stessa, in modo da evitare possibili sovrapposizioni o duplicazioni di strutture o organismi pubblici”. A distanza di qualche mese, prima il parlamentare Roberto Della Seta, e poi altri deputati tra cui Ermete Realacci del Pd, ne avevano chiesto la soppressione o quantomeno il ridimensionamento, ancora una volta al fine di evitare “sovrapposizioni di competenze con quelle proprie dell’lspra” nonché una presa di distanza da attività fumose e incomprensibili come la “costituzione di un Polo ambientale della conoscenza”. A differenza degli enti di ricerca infatti la Sogesid si presenta sul mercato con una forza contrattuale decisamente maggiore rispetto alle altre concorrenti avendo la possibilità di risparmiare su tempi e trasparenza, libera com’è di non indire gare d’appalto e di poter poggiare su una filiera di subappalti lontani da ogni controllo grazie a quel sistema che ha già mostrato il meglio di sé con gli scandali che hanno travolto la Protezione civile. Dopo aver di fatto accorpato le funzioni dell’Icram (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare), piccolo ente di ricerca da molti considerato un gioiello della scienza ambientale italiana per l’alta professionalità del suo personale, confluito nel 2008 nell’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) insieme all’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici) e all’Infis (Istituto Nazionale per la Fauna e Selvatica), la Sogesid sembra voler fagocitare lo stesso Ispra con una “sovrapposizione di ruoli e di attività contraddittoria rispetto all’esigenza di utilizzare al meglio le risorse umane, tecniche ed economiche della pubblica amministrazione” – come si legge nell’ultima interrogazione dei parlamentari del PD. Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 11 Nel SIN di Priolo sono state già effettuate le attività previste nella Convenzione con il Commissario Nelle bonifiche gli appetitosi interessi della Sogesid nel Siracusano dalla rimozione dei sedimenti nel porto di Augusta a penisola Magnisi È la Sicilia uno dei campi di gioco della Sogesid. Fino al 2008 spettava al Ministero occuparsi della gestione dei fondi stanziati per la tutela dell’ambiente, per far applicare quel principio di civiltà che vorrebbe che a pagare per i disastri ambientali, per inquinamento e dissesto, fossero, così come accade in qualsiasi altro settore, i responsabili dei fatti. Ma nell’accordo di programma del novembre 2008, chissà perchè, ad occuparsi delle bonifiche del Sin Priolo (sito di interesse nazionale) viene chiamata proprio la Sogesid insieme, ma si fa per dire, con l’Ispra, l’Iss e l’Arpa Sicilia. Un settore appetibile, estremamente appetibile quello delle bonifiche sull’intero territorio nazionale. 50 le aree di interesse che necessitano di interventi di bonifica urgenti: 36 industriali, 8 discariche, 6 con inquinamento da amianto. 316 i Comuni coinvolti che in termini di popolazione significano circa 7 milioni di abitanti. Le risorse finanziarie stimate per le bonifiche (relative a 41 siti) ammontano a circa 3 miliardi di euro. Il protocollo d’intesa per i progetti che riguardano la bonifica dei fondali della rada di Augusta viene sottoscritto a Roma nel luglio 2011 dal Ministero dell’Ambiente, da quello delle infrastrutture, dalla Regione, dal commissario per le bonifiche in Sicilia, Dario Ticali, dall’Autorità portuale di Augusta, con Aldo Garozzo, e dalla Sogesid, presieduta da Vincenzo Assenza. Il protocollo assegna proprio alla Sogesid l’incarico per la progettazione con una copertura finanziaria già disponibile di 34.500 milioni di euro, cui si aggiungono 50 milioni del ministero dei Trasporti che rientrano nell’Accordo di programma per realizzare le infrastrutture del porto di Augusta. Siamo ben lontani dai 770 milioni stimati per l’intervento nel suo complesso, ma si può iniziare. Il protocollo per risolvere “salomonicamente” l’ostacolo posto dalle industrie del petrolchimico, per nulla intenzionate ad assumere l’onere della responsabilità dell’inquinamento e soprattutto della spesa, prevede “opportunamente” un iter che anticipi “l’attività di bonifica su un primo stralcio della rada, per dare seguito alle istanze presentate dalla Procura sulla base di una specifica relazione che, pur sottolineando che meglio sarebbe non toccare nulla, apre all’ipotesi di una rimozione di circa un milione di metri cubi di sedimenti”. Un quantitativo destinato a raddoppiare, secondo molti, e d’altra parte i sedimenti troveranno la loro sistemazione nelle casse di colmata che serviranno per la costruzione di nuove banchine commerciali. Qui si realizza magnificamente la sinergia tra Ministero dell’ambiente e Ministero delle infrastrutture, anzi meglio: qui può trovare la sua massima manifestazione la professionalità espressa dalla Sogesid. I due interventi, quello di bonifica e quello di realizzazione delle infrastrutture, devono procedere contemporaneamente, all’unisono. In attesa di acquisire più specifiche informazioni sullo stato dei lavori, sugli appalti eventualmente avviati, ciò che è certo, perché ufficiale, è che nel SIN di Priolo sono state già effettuate le attività previste nella Convenzione sottoscritta con il Commissario Delegato, in particolare, una prima stesura del progetto di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera prospiciente la Rada di Augusta e lo studio di fattibilità già consegnato al Ministero dell’ambiente. Al fine di consentire la progettazione preliminare è stato anche redatto il piano di indagini geognostiche, geotecniche ed ambientali, che hanno consentito la redazione della progettazione della messa in sicurezza della falda ed è stato redatto il documento preliminare alla progettazione per la riqualificazione delle aree a terra per la miticoltura e degli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei sedimenti del Porto Piccolo e del Porto Grande di Siracusa. Queste le date delle consegne: il 22 marzo 2011 il progetto preliminare della falda prospicente la Rada di Augusta, il 6 aprile il progetto preliminare di bonifica della falda all’esterno della rada di Augusta e il 20 luglio il progetto definitivo della bonifica della falda prospicente la Rada di Augusta nonchè il il progetto preliminare (IIª fase) della bonifica a sud della Penisola Magnisi. Per quanto poi concerne la bonifica dei sedimenti della Rada di Augusta, la Sogesid ha predisposto per il Commissario buona parte del progetto preliminare della cassa di colmata e dei dragaggi. Per le attività di progettazione, direzione lavori, compensi RUP, validazione progetti, collaudo delle opere, sono stati previsti 6,65 mln, di cui 1,09 mln di competenza 2011. Un lavoro corposo quindi, che ricalca quasi passo passo quanto la Sogesid sta realizzando anche nel porto di Taranto (sperando che laddove necessario si operino gli opportuni distinguo e non si cada in effetti specchio come accaduto in passato nella predisposizione di altri piani ambientali). Quali imprese o quali studi tecnici abbiano materialmente elaborato tutto ciò è un mistero, tutto da scoprire. Vengono alla mente però gli ultimi avvenimenti che hanno riguardato il SIN Trieste. È una cronaca del marzo scorso: protagonista l’ex sottosegretario all’ambiente Roberto Menia di Futuro e libertà. «Il ministro Corrado Clini – commenta Menia - usa parole forti: “mercato” a proposito delle bonifiche. Ma dice il vero. C’era un giro di professionisti espertissimi che arrivavano al ministero con le loro soluzioni… Si chiedevano i soldi del danno ambientale, e i lavori di bonifica venivano affidati alla Sogesid. Tutto si lega. Mi risulta che ora vi siano indagini in corso su Sogesid… Si parlava di una stima del “danno” elaborata dal Ministero stesso. Impossibile, io dissi, il Ministero non ha fatto nessuna stima. Si scoprì che era stata redatta da uno studio “legato” al Ministero dell’Ambiente...”. Innovativo progetto degli allievi dello “Juvara” premiato dalla Provincia di Siracusa Muratore: “Sul web un’autentica agenzia di lavoro per i diversabili Si presentano alle imprese come persone su cui costruire competenze” Tra i concorsi patrocinati dai ministeri alle Attività Produttive e alla Pubblica Istruzione e proposti dall’ufficio Artigianato Industria Commercio della Provincia Regionale di Siracusa vi è il “Crea l’impresa” che rappresenta un momento importante per la crescita individuale degli studenti nel campo dell’imprenditorialità agevolando nei giovani il processo dell’auto-imprenditorialità e favorendo la nascita di nuove imprese giovanili. I ragazzi delle scuole provinciali partecipanti hanno redatto un piano d’impresa su un prodotto da loro stessi individuato e sul quale una commissione ad hoc ha poi valutato e scelto di premiare il miglior business plan. Tra questi, in seconda posizione, si sono classificati gli allievi dell’Istituto “F.Juvara” di Siracusa con un lavoro che ha proposto la costituzione di una società di servizio denominata “Superabile”, con l’obiettivo di utilizzare una piattaforma gratuita che presenti candidati diversamente abili al mondo delle imprese e che permetterà di valorizzare l’unicità dei candidati agli occhi delle aziende. In una società ricca di leggi che tutelano le differenze ed una realtà che non sempre le applica, la scuola dimostra ancora di fare la differenza con le sue proposte, i suoi giovani e chi li segue. Si tratta di un’idea tutta siracusana che non sarebbe male che le aziende locali attenzionassero. Ne abbiamo parlato con il professore tutor Antonio Muratore. Professore Muratore, da dove nasce l’idea di questo progetto? “Nei primi giorni del mese di marzo dell’anno 2012 navigando su internet abbiamo potuto leggere il seguente articolo: “I disabili sono un peso, siamo aziende e non servizi sociali!” e addirittura un gruppo su Facebook (e un sito web) invitano a cacciare gli handicappati dalle imprese. Ma è solo una “trollata”, ben fatta. La lettura dell’articolo sopra riportato, vero o falso che sia, ha aperto in noi una discussione e fatto sorgere molteplici interrogativi sull’effettiva possibilità di un cambiamento culturale, secondo cui ogni persona, disabile o normodotata, può ugualmente essere produttiva se inserita in un posto di lavoro che sia compatibile con le proprie capacità e competenze. In tale contesto si inserisce la creazione di un’agenzia di lavoro per disabili”. Parliamo dell’idea imprenditoriale “Premesso quanto detto in precedenza a proposito della nascita dell’idea imprenditoriale, la realtà produttiva da realizzare nel nostro territorio riguarda la nascita di una piattaforma gratuita che presenta candidati diversamente abili al mondo delle imprese. L’intento imprenditoriale è preciso: uscire dal circolo vizioso della “bacheca” e presentare invece delle perso- ne sulle quali costruire competenze mirate. La bacheca costringe spesso i disabili ad accettare qualifiche non in linea con la loro preparazione, con le loro aspirazioni e, soprattutto, con le loro potenzialità. Il servizio di inserimento lavorativo sarà dedicato soltanto alle persone diversamente abili che, stufe di accettare qualifiche basse nonostante le proprie capacità lavorative, sceglieranno di mettere in luce le proprie competenze, garantendo la massima attenzione e il massimo impegno ad occupare i propri candidati. Si tratterà di un servizio nuovo, che permetterà di valorizzare come mai prima la personalità e l’unicità dei candidati agli occhi delle aziende. Il servizio sarà completamente gratuito per i candidati disabili che vorranno inserire il proprio curriculum e le proprie credenziali.” In che modo si realizzerà il progetto? “I candidati potranno parlare di loro direttamente alle aziende, di quelli che sono e delle loro propensioni e capacità, che non necessariamente corrispondono al loro curriculum. Per la persona disabile l’inserimento nel lavoro è uno strumento determinante per la definizione della propria identità personale e sociale, così come lo è per ogni individuo. In particolare per la persona con disabilità trovare un “giusto” lavoro significa costruire i presupposti per una adeguata autostima, per una capacità effettiva di relazione oltre che un grande incentivo a raggiungere e consolidare autonomie personali e sociali. A tal fine i candidati dovranno iscriversi ad un apposito sito web e descrivere le proprie attitudini, capacità e inserire il proprio curriculum formativo e lavorativo. All’interno del portale non vi sarà una semplice bacheca per l’incontro di domanda e offerta, ma si cercherà di presentare al meglio ciascun candidato, come prima d’ora difficilmente ai disabili è stato possibile fare. Una delle voci più importanti del curriculum sarà infatti quella denominata “Vi parlo di me”, ed avrà lo scopo di dare al candidato quello spazio di espressione che troppe volte gli viene negato. Il sito, accessibile secondo gli standard W3C, sarà completamente gratuito, anche in caso di assunzione”. 12 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Anche il Governo dei Tecnici cade nel tranello di curare l’immagine e comincia a partorire solo slogan Una scuola votata al “primo” privilegia la mediocrità, non il merito perchè mira a blasonarsi nel territorio con il nome di un vincitore di GIAMBATTISTA TOTIS Dopo un decennio di disinvolta politica scolastica dal governo dei tecnici viene una proposta: valorizziamo il merito e premiamo le scuole e gli studenti migliori: ”Ce lo chiede l’Europa della cultura e del lavoro”. Secondo il provvedimento allo studio, in ogni singola scuola superiore verrà premiato lo «studente dell’anno». E, inoltre, si vorrebbero premiare le scuole “migliori”. Resta da capire quali sono le scuole migliori. Sono quelle che hanno ragazzi eccellenti, perchè seguiti dalle famiglie e provenienti da ceti sociali forti, o quelle che riscattano e formano ragazzi che senza il lavoro di quella scuola sarebbero costretti all’emarginazione e alla malavita? Per valutare una scuola bisogna valutare le condizioni di partenza dei suoi alunni, le caratteristiche della zona di riferimento in termini di estrazione sociale, di storie legate alle famiglie di appartenenza ecc. Che bisogna introdurre un sistema di valutazione delle scuole è indubbio, poiché oggi nulla è fatto in tal senso, ma quella annunciata è una strada che appare un po’ demagogica... La questione è troppo importante e seria per uscirsene con un annuncio generico e pieno di insidie. In realtà L’Europa chiede qualcosa di diverso da quanto letto sulla stampa: chiede un sistema di valutazione serio, provvedimenti urgenti per il recupero di chi resta indietro, strumenti e risorse per migliorare le scuole. L’Ocse, infine, ci chiede di investire sull’aggiornamento e la riqualificazione dei docenti. Interventi esclusivamente mirati a incentivare la competizione e garantire l’eccellenza per pochi danno un’idea sbagliata e diversa dalla scuola della Costituzione che, all’art 3, prevede una comunità educante che recupera chi resta indietro e contemporaneamente stimola i migliori. In un momento di vera emergenza , qual è quello che stiamo vivendo, sarebbe più utile fare ciò che fanno le famiglie: guardano a quanti soldi hanno in tasca per darsi delle priorità, a partire dai bisogni dei più piccoli e dei più deboli. La priorità, in questo momento, si chiama lotta alla dispersione scolastica, soprattutto nelle periferie urbane. Questa insistenza nell’ipotizzare un modello competitivo, senza nulla per le emergenze e i bisogni di tutti, sembra perseguire un disegno che vede una scuola di qualità per pochi e un nuovo vecchio modello di avviamento professionale per tanti. Secondo il ministro, perseguire l’eccellenza, premiare i migliori studenti, le migliori scuole avrà il vantaggio di motivare i meno bravi, per emulazione; tutto vorrebbe concorrere a far nascere anche nel nostro Paese l’idea che la buona istruzione procura buon lavoro, sconfiggendo la demotivazione di studenti e docenti. La scuola è presa in considerazione, quindi, in una logica di sviluppo, il che non è sbagliato e la proposta sembra sinceramente orientata al bene della scuola. E tuttavia le perplessità sono tante. Nelle misure prospettate molto è dato per scontato; la stessa idea di merito non è ben chiara, parola ambigua che copre di tutto: dall’impegno personale, al talento naturale, al privilegio sociale; il merito dovrebbe in realtà emergere dopo che sono state alleviate le principali cause di ‘selezione naturale’ che portano alla dispersione scolastica e all’abbassamento del livello degli studi e dell’insegnamento. Il ministro dovrebbe fare emergere dai suoi provvedimenti il nesso che non può non esserci fra l’élite dei bravi e la società che, nel suo complesso, deve essere composta da più persone istruite. Andrebbe sottolineato, poi, più correttamente e senza ipocrisie, che è la società, non solo la scuola, a dover valorizzare il merito, per permettere al Paese di crescere avvalendosi di quelle competenze e conoscenze maturate sui banchi. A che serve eccellere a scuola se il merito non viene poi riconosciuto nella società e le professioni si ereditano per via familiare o per via amicale? I giovani, non vedendo riconosciuto il proprio merito, fuggiranno con le loro conoscenze ad arricchire un altro Paese, come, purtroppo, avviene oggi. Un’indagine presentata al convegno dei giovani di Confindustria, rielaborando dati di Bankitalia, Istat e Censis, rileva che quasi la metà dei giovani trova lavoro solo grazie alla famiglia o agli amici. Su 13 milioni di under 35, nove vivono ancora a casa con i genitori e solo in due milioni hanno dei figli. A tre anni dalla laurea il 26% non ha ancora un impie- go e il salario medio per gli under 35 è di 1.123 euro, cifra che scende a 1.000 per le donne. La fotografia dei giovani italiani rimanda una società ancora molto familistica, dove scuola e lavoro appaiono come universi non comunicanti. I salari sembrano crescere solo con l’anzianità di servizio e non con il merito e i giovani vengono esclusi dai posti di dirigenza. Infatti, tra i laureati che riescono a trovare lavoro il 43% lo fa grazie a familiari e amici, il 10% inizia un’attività autonoma e solo il 3% ci riesce tramite l’università o la scuola. E tra gli occupati con meno di 35 anni solo il 3,8% è un libero professionista, solo il 2,3% ricopre posizioni dirigenziali e solo lo 0,5% è imprenditore. Il mercato è chiuso per i più giovani: alla poca flessibilità in entrata (un ragazzo di 25 anni in Italia ha il 25% di possibilità di trovare lavoro, contro il 35% della Germania e il 45% Gran Bretagna) corrisponde una elevata flessibilità in uscita (la probabilità di transizione da occupazione a disoccupazione a 25 anni è del 6,3% in Italia contro il 4,1% della Germania), che diminuisce drasticamente però dopo i 35 anni (al 2,1% contro il 4% della Germania). L’Italia è il Paese dei divari territoriali e sociali: un bambino nato al Nord partirà con un vantaggio di 68 punti nelle competenze Ocse-Pisa rispetto ad uno studente del Sud, che tra carenza di servizi educativi 0-6 anni e mancanza di scuole a tempo pieno avrà complessivamente frequentato due anni di scuola in meno. Nei Paesi in cui si registra una minore mobilità sociale, come l’Italia, si limita la produttività e la crescita economica. Infatti, l’Unione europea non chiede al nostro Paese di sfornare più eccellenze all’anno ma di alzare complessivamente il livello di istruzione della popolazione, dimezzando la dispersione scolastica e raddoppiando la percentuale di giovani laureati entro il 2020. La scuola deve lavorare per recuperare divari e svantaggi, far avere a ciascuno studente adeguati livelli di apprendimento, conoscenza e competenza per continuare ad apprendere per tutta la vita e per potersi confrontare con i propri coetanei europei in uno scenario globale. Per premiare chi eccelle occorre prima offrire a tutti le stesse opportunità. Bisogna avviare un esame critico di quel che è ormai diventato un paradigma dei governi italiani: mettere mano al riordino della scuola, con esiti spesso confusi, che tagliano risorse peggiorando la qualità del servizio, che provano a introdurre valutazioni di merito con regole che, nel fare graduatorie di scuole, burocratizzano il giudizio sul merito invece di renderlo trasparente. Una scuola che è votata al “primo” è una scuola che rischia di essere votata alla mediocrità, non al merito, perché spronata non a formare molti studenti ma a blasonarsi con il nome di un vincitore. La scuola, quella pubblica in primo luogo, perché scuola dalla quale devono uscire cittadini competenti e con senso civico, dovrebbe avere come prima vocazione quella di neutralizzare il più possibile fattori esterni al valore individuale, cioè portare ragazzi di ogni classe sociale e con diversi punti di partenza culturale ad amare la conoscenza, a scoprire la propria vocazione, ad apprendere a formulare giudizi per poter scegliere con cognizione di cause e responsabilità. Il ministro, comunque, a seguito del dibattito seguito alle sue dichiarazioni ha corretto la rotta precisando: “Non parlerei di merito ma di valorizzazione delle capacità e dell’impegno in un contesto solidale” poichè “non tutti hanno la stessa capacità e non tutti mettiamo lo stesso impegno nelle cose. Dobbiamo valorizzare le capacità e l’impegno. Poi possiamo fare analisi più dettagliate” portando ad esempio quei Paesi che “valorizzano lo sforzo della persona, analizzano da dove partono e dove arrivano che è diverso dal valorizzare l’obiettivo finale che viene raggiunto”. Si tratta, se alle parole seguiranno fatti concreti, concetti importanti perché ad essere valorizzato non sarebbe solo lo studente che consegue il miglior risultato in termini assoluti ma anche quello che realizza il migliore differenziale nei livelli di apprendimento raggiunti nel tempo. Impresa non facile, ma decisiva per rendere la scuola italiana più equa: operazione che si basa non tanto sulla (ulteriore) valorizzazione di pochi bravissimi quanto sull’innalzamento dei livelli medi di apprendimento e sulla riduzione della distanza tra i più bravi e i meno bravi. l presidente avv. Frasca: “Finirà come nella RCA, nelle zone più a rischio si pagherà di più” Consumatori Uniti: “Un balzello l’assicurazione obbligatoria della propria abitazione per tutelarsi dai terremoti e altre calamità” “No all’assicurazione sulle calamità. Lo Stato toglie ai cittadini per dare alle assicurazioni?” È questo il commento dell’avvocato Francesco Frasca, presidente dell’associazione a tutela dei consumatori “Consumatori Uniti”, sul decreto legge che prevede per i cittadini il pagamento di un’ulteriore ennesima tassa. Si tratta di una sorta di “appropriazione indebita” in favore delle assicurazioni, presentata come uno “strumento di modernizzazione”. “In pratica - prosegue l’avvocato Francesco Frasca - assistiamo a un ulteriore lauto aiuto alle assicurazione S.p.A. E a una ulteriore beffa a tutti noi cittadini-consumatori. “Il Prof. Monti ha introdotto una privatizzazione uni- ca nel genere: il risarcimento dei danni da terremoti o altre catastrofi naturali passa alle assicurazioni. Lo Stato, infatti, non pagherà più i danni delle case colpite e/o danneggiate da eventi naturali, chi ha i mezzi economici per proteggersi si dovrà assicurare con una assicurazione privata, chi non ha mezzi economici… perderà i risparmi di una vita! “Cari consumatori – precisa il professionista - oggi purtroppo non è il 1° di Aprile e questa non è nemmeno una nuova puntata di scherzi a parte, ma è l’ennesimo decreto, rectius balzello, del 17 maggio 2012”. L’avvocato Frasca inoltre ravvisa nel citato decreto un’ulteriore disuguaglianza sociale e territoriale: “Quali assicurazioni sarebbero disposte ad assicurare una casa o un’azienda contro il pericolo di crolli per sisma all’Aquila o nell’Irpinia? Quale compagnia assicurativa si dichiara pronta ad assicurare una casa contro il rischio di calamità naturali sita a Sarno? Gli abitanti delle zone maggiormente a rischio pagherebbero gli stessi primi assicurativi di tutti gli altri assicurati o, piuttosto, come avviene già per la r.c.a., avremmo disparità territoriale nell’applicazione del pagamento del premio assicurativo? Il buon Monti anziché pensare a tagliare, tassare, dimezzare, cancellare, perché non istituisce una serie di borse di studio in favore dei giovani più meritevoli per effettuare una serie di studi-progetti sulla fragilità sismica e non solo, di tutto il nostro territorio? Il Vesuvio, per esempio, è un vulcano che, prima o poi, è destinato a riprendere la sua “mortale” attività, il Prof. Monti come intende affrontare questa futura calamità? Intende prevenirla liberando per esempio tutte le abitazioni che circondano il vulcano o intende piuttosto assicurarla? A quali costi di vite umane?” L’avvocato Frasca saluta il governo Monti con una semplice domanda: “Le assicurazioni saranno in grado di affrontare le calamità naturali e di far tornare in vita i futuri sfortunati o forse è meglio lanciare appropriati studi sismici e ambientali sul territorio e sulla sicurezza degli edifici presenti nelle zone a rischio? Per questa domanda non si chiami però un altro tecnico; la consulenza, questa volta, è gratuita”. Corrado Fianchino Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 13 Scompaiono la manutenzione del verde pubblico e lo svuotamento dei pozzi neri. Chi se ne occuperà? L’arch. Patti: “Quello che balza agli occhi nel bando di igiene urbana è la riduzione dei servizi a fronte di un consistente aumento del costo” di MARINA DE MICHELE Discussione complessa quella sul bando per i servizi di igiene urbana, e ne comprendiamo bene i motivi. Sono in gioco interessi enormi e già in passato sono cadute addirittura le Giunte su una materia così spinosa. A bocce di nuovo ferme, mentre si discute su iniziative che poi, con buone probabilità, resteranno sulla carta – la raccolta differenziata miracolosamente al 45% sin dal primo anno, anzi no meglio pensare al 35% ma tra due anni e intanto parliamo di rifiuti zero, un piano anche per la raccolta dei rifiuti speciali con l’assorbimento del personale Prosat ma senza aggravio di costi, una modifica al regolamento Tarsu senza parlare di Tia facendo credere che i cittadini risparmieranno mentre è pressochè certo che così non sarà se si conoscono i meccanismi della nuova tariffa, e altre amenità del genere – proviamo a individuare alcune delle criticità presenti nel bando, che non si sa se e quando si discuterà nel merito in consiglio, con l’architetto Giuseppe Patti di SOS Siracusa. “In verità non si comprende se ci sia l’intenzione di discutere dell‘iter del bando in consiglio comunale. Preferisco comunque non entrare per il momento nello specifico della proposta in sè per sè perchè qualunque soluzione risulterebbe migliorativa rispetto alla situazione attuale, anche se si ha la sensazione, sgradevole, che si voglia cucire un abito fatto apposta per qualche vecchia conoscenza. Mi interessa di più la parte che riguarda il quadro economico“. E la prima valutazione? “Quella che balza subito agli occhi: una riduzione dei servizi a fronte di un aumento del costo. Vengono infatti eliminate alcune voci e non si sa chi se ne occuperà nè come si procederà per individuare l’impresa assegnataria. Per esempio la manutenzio- ne del verde pubblico. Interessante però venire a sapere che, a fronte di una percentuale bassissima del rapporto verde/abitante nella nostra città, si spendevano più di due milioni di euro“. Scompare anche il servizio di svuotamento dei pozzi neri: sembra si voglia dar adito alle lamentele dei residenti del Plemmirio che hanno paventato per tempo l’ipotesi di una nuova gestione, ovviamente ben più costosa di questa, già di per sè lievitata considerevolmente. “Infatti, sarebbe interessante capire quante chiamate sono state evase nel corso degli anni e cosa si muova dietro. Così come sulla conduzione delle discariche controllate: anche su questa voce occorrerebbe fare maggiore chiarezza. È tutto molto vago, molto confuso. Insomma vengono stralciati servizi fondamentali ma che in ogni caso, dovendo necessariamente essere gestiti, rappresenterebbero un ulteriore costo per l’amministrazione comunale“. Ma i costi salgono o scendono? “In effetti, mentre sembrerebbe che si vada incontro ad una diminuzione del costo del servizio, le uscite aumentano almeno di quattro milioni di euro, soltanto in parte coperte dal contributo CONAI per il conferimento nelle piattaforme dedicate della raccolta differenziata. Raccolta differenziata che sui tre scenari ipotizzati (35% - 45% - 65%) vede aumentare il costo degli investimenti e degli operatori di circa due milioni di euro per ogni scaglione: altre esperienze italiane hanno invece dimostrato che, benchè a livello iniziale i costi possono essere più alti, a regime si hanno delle economie portate da una migliore gestione e da un maggiore introito della raccolta differenziata. Non sono così convinto che sia necessario tale maggior investimento in strutture e personale in quanto non aumenterebbe il quantitativo di rifiuti prodotti (fra parentesi un’aumentatata consapevolezza dei cittadini inevitabilmente porterebbe ad una riduzione dei rifiuti) ma vi sarebbe soltanto un diverso trattamento dei rifiuti: immagino quindi una moderna e più efficiente gestione d’impresa. Infine, nei conti economici, si riscontra una difformità tra il quntitativo di rifiuto trasportato e quello del rifiuto conferito. Di positivo invece, nelle discussioni di questi giorni, l’idea di istituire, in questa fase così delicata, un osservatorio permanente sui rifiuti, sull’esperienza catanese, così da avviarsi veramente verso la strategia “rifiuti zero” e supportare l’azione della pubblica amministrazione con processi partecipati e partecipativi della cittadinanza“. “Necessario un grande piano per l’abitare: una priorità assoluta per i lavoratori e i pensionati” Zanghì (Sunia): “Costi altissimi per gli affitti e i giovani restano in famiglia Abitazioni al limite dell’abitabilità per gli immigrati a prezzi di vera usura” di MARINA DE MICHELE L’essere proprietari della propria abitazione è sempre stato un fattore di riscontro del benessere economico degli italiani e d’altra parte, più che in altri Paesi, questo sogno è quasi radicato nel nostro dna, un obiettivo per il quale si è disposti ad affrontare sacrifici e impegni a lunga scadenza. Ma non per tutti si tratta di un’aspirazione possibile: un’ampia fascia di popolazione sa che non potrà mai raggiungere un tale obiettivo. Per questi cittadini rimane la necessità di rivolgersi al mercato degli affitti e qui si incontrano le difficoltà più incredibili: scarsa disponibilità di alloggi e proposte alle stelle. In realtà, come fa notare il Sunia-Cgil, mentre altrove in Europa, con livelli di edilizia in affitto molto più consistenti, si portano avanti progetti di incremento dell’offerta di abitazioni in locazione a canoni calmierati e sociali, qui da noi le risposte sono affidate quasi esclusivamente a un mercato ingovernabile e senza regole che, oltre a colpire i soggetti più deboli, ha riflessi negativi sulla stessa struttura produttiva del Paese. “Decine di migliaia di giovani sono impossibilitati a fuoriuscire dalla famiglia e ciò comporta un ingessamento complessivo della società mentre si diffondono anche forme intollerabili di sfruttamento dei lavoratori migranti con un’offerta di abitazioni al limite della abitabilità e a prezzi da vera usura - ragiona Salvatore Zanghì -. In un Paese con oltre il 70% di proprietari della propria abitazione, con un patrimonio abitativo pubblico pari al 5% del totale, con la liquidazione di tutte le altre grandi proprietà immobiliari che avevano alloggi in affitto a prezzi sostenibili, è necessario un grande piano per l’abitare: una priorità assoluta per i lavoratori e i pensionati”. Ma questo Piano non deve significare un’ulteriore espansione delle città bensì, in un percorso di sviluppo sostenibile del Paese, rappresentare l’occasione per riqualificare edifici e tessuti urbani, dando vita ad un grande progetto di inclusione sociale in contrasto ai fenomeni di ghettizzazione. “I bisogni abitativi possono essere affrontati senza stravolgere scelte urbanistiche e senza continuare a consumare indiscriminatamente territorio. Questo non significa non costruire, ma avere il progetto più ambizioso di agire nelle città con l’obiettivo di renderle più sostenibili in termini ambientali, di mobilità, di qualità e di costi, attraverso il recupero del patrimonio esistente, la riqualificazione di edifici e spazi degradati o inutilizzati”. In realtà la corsa alla casa, favorita inizialmente dall’alto livello degli affitti e dal contestuale abbassamento dei tassi bancari, ha comportato un colossale trasferimento di risorse dal lavoro alla rendita fondiaria e finanziaria (proprietari dei suoli, costruttori, istituti di credito), ma ha anche generato una crescita urbana disordinata, con effetti pesanti sul paesaggio, sulla qualità della vita, sul welfare locale, sulla congestione e il traffico e, in generale, sulla funzionalità delle città. L’abbandono di fatto della pianificazione urbanistica e la subordinazione agli interessi immobiliari hanno favorito un’espansione irrazionale, contrassegnata da milioni di edifici residenziali, capannoni industriali e centri commerciali. Senza dimenticare la piaga dell’abusivismo edilizio e i gravi e diffusi fenomeni di illegalità che interessano molte imprese del settore. “Eppure, nonostante quattro milioni di abitazioni realizzate in poco più di un decennio, un numero elevatissimo di alloggi invenduti e due milioni di edifici “fantasma”, l’emergenza abitativa è rimasta inalterata. Così, sull’altare della rendita, della speculazione edilizia e degli interessi della grande distribuzione, è stato sacrificato il diritto all’abitare delle fasce sociali più deboli, si è limitata la mobilità sociale e territoriale, sono state penalizzate le potenzialità produttive e occupazionali del paese, sono state lasciate nell’abbandono e nel degrado le periferie urbane. Il fatto è che occorre riequilibrare il rapporto tra proprietà e affitto che soffre di una sorta di asimmetria fiscale e finanziaria come dimostra il fatto che, mentre a beneficio delle famiglie in ritardo o insolventi nel pagamento delle rate del mutuo-casa è stato previsto un fondo ad hoc (o, in alternativa, la rinegoziazione del debito), le famiglie in affitto sono state lasciate senza tutela (a parte le eccezioni di qualche ente locale) quando non sono più riuscite a sostenere le spese dell’abitazione, incorrendo in morosità incolpevoli, anche quando il capofamiglia si è trovato disoccupato o in cassa integrazione. Ma è necessario porre anche fine ad alcune scelte sbagliate del passato. Bisogna che nel settore dell’edilizia residenziale pubblica gli alloggi siano riservati a famiglie che hanno un reddito non sufficiente per accedere al mercato privato e, per costi e tipologia, devono rispondere alle esigenze di giovani, anziani, famiglie monoreddito, favorendo il mix sociale. La percentuale degli alloggi in affitto a canone sociale o agevolato non può essere irrisoria (mediamente il 20%, più una quota di alloggi destinati a riscatto dopo 1015 anni) e il canone non deve superare il tasso di sforzo che può sopportare il reddito familiare. Bisogna intervenire nelle politiche fiscali con la riduzione delle aliquote dei vari tributi e delle imposte ipotecarie e catastali e con l‘aumento degli sgravi fiscali per l’affitto concordato; nelle politiche urbanistiche con l‘utilizzo del patrimonio pubblico di aree ed immobili attribuili agli Enti locali attraverso il processo di federalismo demaniale, l‘acquisizione di terreni delle “aree a standard”, spesso sovradimensionate, da utilizzare per la costruzione di edilizia sociale in affitto; nelle politiche gestionali con il separare proprietà e gestione del patrimonio immobiliare affidando la gestione a soggetti specializzati, puntare sull’economia di scala per ridurre i costi di manutenzione, abbattere i costi energetici utilizzando la bio-edilizia e le moderne tecnologie per la produzione di fonti rinnovabili“. Secondo Salvatore Zanghì e il Sunia per dar corso ad un programma di edilizia residenziale pubblica per un periodo medio-lungo, è possibile partire dai fondi già stanziati. Le risorse del Piano di edilizia abitativa: 844.149.331,19 euro ripartiti tra le Regioni e in gran parte non utilizzati; le risorse del Fondo Investimenti per l’abitare il cui patrimonio, alla chiusura del primo periodo di sottoscrizioni, ha raggiunto 2,028 miliardi di euro (49,3% sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, 43,8% da altri investitori privati, 6,9% dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). I fondi GESCAL che ancora giacciono come residui di alcune Regioni presso la Cassa Depositi e Prestiti, nella misura di circa 1 miliardo di euro. I beni pubblici utilizzabili a seguito del percorso per realizzare il federalismo demaniale individuati in circa 12.000 immobili il cui utilizzo deve concorrere anche ad una funzione sociale, evitando che il processo di valorizzazione cui sono sottoposti, possa avere solo fini speculativi. E infine i fondi europei i quali, sebbene non specificatamente indirizzabili a politiche abitative pubbliche, possono tuttavia concorrere a finanziare iniziative e progetti nel settore del recupero urbano, nella direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione europea 2020 per rilanciare il sistema economico e promuovere una crescita “intelligente, sostenibile e solidale”. 14 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Dopo la definitiva perimetrazione, intervento su Aiello e Granata per avere risposte dal Ministero Il Parco degli Iblei rimedio per uscire dalla crisi economica dell’area I vantaggi di un valido motore di economia sostenibile e durevole di *PAOLO PANTANO L’iter “burocratico” si è concluso. Dopo numerosi incontri nei vari Comuni e nelle sedi della Provincia Regionale, la proposta definitiva di perimetrazione e di zonizzazione è stata ricevuta da due funzionarie del Ministero in una Conferenza di Servizi Regionale presso l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente con la presenza dei rappresentati delle tre province interessate (Siracusa, Ragusa e Catania) e con la presenza dell’Assessore Regionale al Territorio ed Ambiente. Ma poi tutto si è fermato. Poiché il Comitato Promotore del Parco ha inviato, recentemente, al Ministero dell’Ambiente una lettera di sollecito e non ha avuto alcuna risposta, abbiamo chiesto all’on. Francesco Aiello, neo Assessore Regionale, e all’on. Fabio Granata di intervenire presso il Ministero dell’Ambiente e del Territorio perché, in attuazione del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 8 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), si provveda al passaggio successivo che è di competenza, appunto, del Ministero e si definisca, così, l’iter vista anche l’utilità conclamata del Parco ai fini della salvaguardia e tutela della biodiversità e delle rilevantissime opportunità per il territorio. Nell’area, infatti, insiste una delle più grandi biodiversità d’Europa oltre a un patrimonio storico ed etnoantropologico di primaria importanza. In seguito alla documentazione fornita dal Comitato Promotore, il Ministero dell’Ambiente, a suo tempo, attivò le procedure per l’istituzione del Parco (in esecuzione al decreto legge 1 ottobre 2007, n° 159 e successive modificazioni della legge 29 nov. 2007, n° 222, all’art. 26, comma 4 septies) al fine di rilanciare un progetto che rappresenta un polmone tra le zone industriali di Priolo e Gela, un’opportunità per l’economia agricola e turistica degli Iblei e un modello economico evoluto che evita l’abbandono delle campagne e dei manufatti che insistono sul territorio. Fu rilevato che il Parco Nazionale degli Iblei rappresenta non solo uno strumento di tutela e di salvaguardia delle sue caratteristiche paesaggistiche, naturalistiche ed architettoniche ma può soprattutto costituire l’elemento propulsore di economia sostenibile e durevole per l’intera area degli Iblei, in grado di mettere a valore le straordinarie specificità delle colture agricole ivi praticate, zootecniche, turistiche ed ambientali. Nella sentenza n° 12 del 23 gennaio 2009 della Corte Costituzionale fu assegnata allo Stato, con il concerto della Regione Sicilia, la competenza per l’istituzione. Nelle motivazioni di questa sentenza fu evidenziato che le zone individuate per l’insediamento di un Parco sono quelle la cui importanza naturalistica nazionale ed internazionale è tale da coinvolgere l’interesse dell’intera collettività nazionale. In particolare venne precisato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale “primario” (facendo riferimento anche alla precedente sentenza n. 151 del 1986) ed “assoluto” (sentenza n. 641 del 1987) e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Inoltre “le finalità dell’istituzione delle aree protette, quali configurate dalla lettera a) del comma 3 dell’art. 1 della relativa legge quadro sulle aree protette n° 394/91 (e cioè la «conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici»), fanno ritenere che per i parchi naturali nazionali, per i quali «l’intervento dello Stato» è richiesto, ai sensi del comma 1 dell’art. 2, «ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future», debba considerarsi prevalente la specifica competenza legislativa esclusiva statale relativa all’ecosistema”. Le risorse naturali, l’ambiente, il paesaggio non sono stati considerati, fino ad oggi, un patrimonio collettivo, un bene economico. La loro sottrazione, il loro utilizzo distorto, la loro distruzione sono stati visti come un passaggio obbligato verso la strada del progresso e della crescita economica. In quest’ottica, l’apporre tutele e riconoscimenti sul territorio è stato interpretato come un freno allo sviluppo. Ma la situazione sta cambiando. Coniugare le esigenze di sviluppo economico e sociale con l’obiettivo di conservare l’ambiente naturale è vista da molti come la sola strada da percorrere e un’opportunità che raggiunge il suo massimo potenziale nelle aree naturali protette. Sono il turismo, l’artigianato tradizionale, l’agricoltura, l’allevamento e la selvicoltura, i settori maggiormente coinvolti in questo processo e quelli che beneficiano dei vantaggi apportati da parchi e riserve. Per l’agricoltura si tratta di seguire la strada tracciata dall’UE che ha già avviato interventi per uno sviluppo sostenibile. Già con il regolamento 2078/92 le aziende agricole che ricadevano per almeno il 30% all’interno delle aree di parco o di pre-parco godevano di una riserva del 30% dei finanziamenti concessi dall’UE relativi ai metodi di produzione agricola compatibile con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio naturale. La Comunità europea promuove chi introduce l’agricoltura biologica, chi si impegna a mantenere produzioni tradizionali tipiche (carrubo), chi interviene nella ricostruzione di elementi naturali e paesaggistici (muri a secco). Con il Reg. 1259/99 e oggi con i regolamenti 1782/03 e 1783/03 vengono premiate le Buone Pratiche Agricole e Ambientali, la tutela di ambienti agricoli ad alto valore naturale sottoposti a rischi, la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei terreni agricoli. Ma anche la selvicoltura viene esaltata con le normative comunitarie a partire dalla 2080/92 fino ad arrivare al Reg. 1783/2003; incentivi sono stanziati a chi destina a bosco aree agricole marginali. A tutto ciò si aggiungono gli interventi finanziari per le attività agricole e zootecniche compatibili con l’ambiente all’interno dei parchi e delle riserve regolati dalle leggi regionali 98/81 e 14/88. Accanto ai vantaggi finanziari c’è poi quello, per le aziende nei parchi, di una migliore opportunità di commercializzazione dei prodotti agricoli. E’, infatti, evidente l’effetto determinato dall’apposizione del marchio del Parco sui prodotti in vendita. Si tratterebbe di un marchio che garantirebbe le genuinità e la compatibilità ecologica di questi prodotti. Essi verrebbero ad essere identificati dal consumatore con il Parco stesso, con un’immagine di produzione “pulita” e di alta qualità. Grazie a questa collocazione sul mercato dei prodotti del Parco è possibile garantire un reddito più alto agli agricoltori e a tutti gli operatori economici coinvolti. Una vasta gamma di prodotti tipici e biologici possono essere coinvolti in un tale progetto: dal latte, ai formaggi, al miele, dalla produzione di frutta e verdura alla trasformazione di queste, agli insaccati, all’olio, ecc. con positivi effetti dal punto di vista economico. Per rendere l’idea, i prodotti a denominazione di origine protetta sono in grado di sviluppare un fatturato di 8,5 miliardi di euro; il turismo ecologico movimenta 5 miliardi di euro con 5,7 milioni di presenze ogni anno in 12.600 aziende agri-turistiche; le mete eno-gastronomiche sono scelte da 3,5 milioni di turisti, una realtà economica forte per l’intero sistema Paese. E, attraverso le attività agricole non solo si assicura l’economia locale, ma anche la protezione del paesaggio. Ma è con l’ecoturismo che può essere potenziata questa valida alternativa per lo sviluppo socioeconomico delle popolazioni che vivono nelle aree naturali. Il turismo naturalistico ha avuto un notevole impulso negli ultimi anni (la crescita è del 12% annuo). Questo è dimostrato da una tendenza generale in atto nella società contemporanea, dove è riscontrabile una più ampia attenzione verso le tematiche ambientali e una maggiore “domanda di natura”. La UE ha sottolineato come l’attrazione per la natura, il paesaggio e le peculiarità culturali costituiscono il cuore dello sviluppo dello sviluppo turistico. La domanda di turismo rispettoso dell’ambiente, l’aumento dei turisti nei paesi del bacino del Mediterraneo previsti dal Blue Plan dell’United Nations Environment Programme (UNEP), l’inquinamento del mare e l’alto grado di antropizzazione con la conseguente diminuzione della qualità ambientale delle coste fanno sì che nel prossimo futuro la richiesta di turismo nelle aree interne e naturali crescerà di molto. Ma già i segnali sono forti ed eloquenti: 81 milioni di presenze turistiche nei comuni dei parchi nazionali, oltre il 7% del totale della spesa turistica italiana prodotta in ambiti territoriali interni ai parchi con 5,4 miliardi di euro di consumi totali, oltre 100mila posti di lavoro attivati. Sono queste le cifre che definiscono il turismo delle aree protette in Italia, un turismo nel quale i parchi rappresentano un sistema di valori dove ambiente, cultura e tradizione si integrano armonicamente in un modello di sviluppo turistico compatibile, di forte sostegno all’economia locale e all’occupazione. Il flusso turistico che si dirige verso le aree naturali protette, oltre all’agricoltura di qualità, rappresenta quindi la variabile più importante dalla quale vengono a dipendere contemporaneamente la conservazione dell’ambiente e lo sviluppo economico delle aree stesse. Da esso derivano effetti a caduta in campo economico ed occupazionale. Essendo l’ecoturismo una tipologia contraddistinta da uno scarsissimo consumo del territorio e dalla realizzazione di strutture di “ospitalità diffusa”, caratterizzata dal ruolo principale assegnato ai posti letto a rotazione, una particolare attenzione va al recupero e ripristino del patrimonio edilizio esistente. Proprio dal riutilizzo delle strutture degli edifici, spesso risalenti a tempi lontani e parte integrante del paesaggio, con effetti positivi a favore dell’occupazione di manodopera locale impiegata in lavori di ristrutturazione edile, può venire la risposta alla domanda crescente di un turismo slow e verde. Si sviluppa così un nuovo tessuto economico, dove trovano spazio le attività legate al turismo (ricettività, ristorazione, artigianato, servizi) tutte impostate in chiave ecologica e compatibile e che offrono ai propri visitatori un’articolata offerta ricettiva corredata anche da centri visita, musei, sentieri natura, attività didattiche, percorsi eno-gastronomici. La presenza del parco fa sì che si sviluppi una cultura imprenditoriale, premessa per la nascita di una rete diffusa di microimprese. Questo modello di sviluppo appare particolarmente indicato per l’area degli Iblei, dove tuttora si riscontrano diverse aree protette e vaste aree integre dal punto di vista ambientale, anche agricole, caratterizzate dalla presenza di comuni piccoli o piccolissimi, che vivono uno stato di progressivo abbandono. Grazie all’attività del parco, come avvenuto in tutte le aree protette italiane, è possibile invertire la marginalità e l’isolamento, e diventare opportunità poiché rispondono perfettamente alla domanda sempre più forte di vacanza ecoturistica, improntata sull’autenticità, sulla qualità e sull’armonia con la natura. Grazie al parco si presenta quindi l’occasione di ampliare l’offerta turistica completando e diversificando la gamma delle tipologie di vacanza, non più limitata a pochi e ristretti periodi dell’anno, non più limitata al binomio sole-mare, non più dequalificata dal punto di vista culturale e di qualità dei servizi resi. Grazie al parco si mettono in vetrina anche i gioielli dell’agroalimentare finora trascurati. Anche l’architettura rurale, le masserie, gli antichi palmenti e frantoi, gli abbeveratoi, le chiese rupestri, le niviere, le edicole votive, le forme tipiche degli insediamenti umani, l’archeologia, i tratti del paesaggio, i muri a secco, vengono riscoperti, possibilmente restaurati e resi come un’importante risorsa economica. Le aree interne possono così essere rivitalizzate, orientate ad una fruizione culturale e naturalistica non intensiva, e vengono avviate, infine, verso uno sviluppo che attende da troppo tempo. La sfida posta dai parchi e dalle aree protette è quella di legare saldamente l’evoluzione del territorio ad una gestione oculata delle risorse ambientali, culturali e sociali del nostro paese. *Coordinatore Ecologisti, Reti Civiche e Verdi della prov. di Siracusa Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 15 Per i convogli che fanno servizio al sud vengono utilizzate le carrozze più vecchie e più malmesse Cronaca di un viaggio impossibile sul treno Roma-Siracusa E i nostri politici dove sono? Già, ma loro viaggiano in aereo! di CONCETTO ROSSITTO Non si tratta di un viaggio d’altri tempi. La vicenda non riguarda uno dei grandi viaggiatori europei che nel Settecento si spingevano avventurosamente nelle regioni del sud, in cerca delle vestigia della civiltà classica. L’odissea che sto per descrivere è assolutamente contemporanea: inizia la mattina del 5 giugno di quest’anno 2012. Alle ore 7,10 la grande stazione di Roma Termini è già piuttosto animata, ma non affollatissima. In meno di un minuto è possibile procurarsi il biglietto presso una delle varie biglietterie automatiche presenti, senza dover fare la fila. E ciò inietta nel viaggiatore una buona dose di fiducia: qualcosa si sta modernizzando. Anzi, si è già modernizzata. Il biglietto reca l’indicazione esatta: treno723, carrozza 08, posto 32 corridoio. Basta sollevare gli occhi al quadro annunci per rendersi conto che bisogna spostarsi al binario 12. E al binario 12 il convoglio è già pronto. Che organizzazione! E che fortuna! La carrozza 8 è proprio la prima, in fondo al binario, e risulta la più facile da raggiungere. Mi fermo per salutare l’amico che mi ha fornito il passaggio in macchina, ma non c’è nulla da fare: gentilissimo, come sempre, vuole portarmi la valigetta sino allo scompartimento. Un omaggio cavalleresco alla mia vecchiaia. Sale con me. Sistema il bagaglio sull’apposita mensola in alto e mi saluta. Fine della parte lieta: la porta del vagone è chiusa. Breve corsa all’altro capo della vettura. Chiusa anche l’altra porta. Passaggio nella vettura successiva. Porte chiuse anche lì. Mi raggiunge di nuovo, costernato: deve correre alla sua scuola di servizio. Non è abituato ad arrivare in ritardo. Ci tiene a svolgere con puntualità il suo lavoro. Picchiando sui vetri, richiamiamo l’attenzione di un ferroviere che è sulla banchina. Prima non ci presta alcuna attenzione, poi si meraviglia dell’apprensione: le porte son bloccate? E tanto noi siamo già sul treno! Caso mai dovrebbero lamentarsi i passeggeri che non riescono a salire…! Gli spieghiamo che uno di noi non deve partire. E deve scendere in tutta fretta. E allora perché è salito a bordo? - chiede con strafottenza e con aria quasi di rimprovero il ferroviere. Poco dopo si allontana, incurante dei nostri ulteriori tentativi di richiamare la sua attenzione. Il problema viene risolto non si capisce come, prima della partenza del treno, che però avviene con un quarto d’ora di ritardo. La gentilezza di volermi accompagnare sin sul treno e di voler disporre sull’apposita mensola la mia valigia costerà al mio accompagnatore l’arrivo in ritardo sul luogo di lavoro. Un costo piuttosto sgradevole. Mi sento in colpa per non essermi opposto con maggiore decisione sua alla gentilezza. Ma chi poteva prevedere l’incredibile blocco delle portiere? Intanto è già possibile annusare un nuovo inconveniente: prima che il convoglio si muova, in ritardo, i passeggeri della carrozza 8 facciamo presente ad un altro operatore in divisa che si avverte un forte odore plastica bruciata. Ci risponde che sicuramente si tratta della vernice esterna. Facciamo presente che l’odore è di bruciato e non di vernice e che non lo si avvertiva sino a 10 minuti prima. Non c’è verso di convincerlo: per lui è sicuramente la vernice. Possiamo stare tranquilli: non c’è proble- ma – ci dice. Ma l’odore ci accompagna ancora per qualche tempo dopo la partenza. Poi non lo si avvertirà più. Il viaggio prosegue. Giungiamo senza altri problemi oltre Napoli, ma poi notiamo qualche rallentamento di troppo. Prima dell’arrivo a Sapri, l’altoparlante ci avverte di un inconveniente tecnico: la carrozza 8 e il locomotore saranno sostituiti. Bisognerà trovare sistemazione nei vagoni successivi. E infatti il capotreno ad un certo punto ci invita ad avviarci, lungo il corridoio, verso le carrozze che seguono. Ciascuno potrà via via occupare i posti vuoti che si troveranno in esse. Così i passeggeri diretti a Siracusa ci troviamo disseminati in vagoni che non sappiamo se hanno come meta Siracusa o Palermo. Irritato, chiedo al Capotreno di dichiararmi tutto quello che sta succedendo. Cortese e imbarazzato, mi dice che mi raggiungerà dopo e intanto mi invita a sedere su una poltrona di una carrozza che deve essere di prima classe, priva di scompartimenti. Contrariato, seguo il suo invito ed aspetto che si rifaccia vivo, dubitandone. E invece si rifà vivo poco dopo, chiedendomi cosa io gli voglia chiedere. Poiché ho con me un registratorino digitale, gli chiedo di rilasciarmi una intervista sull’accaduto e sul funzionamento delle ferrovie. Con l’aria di un cane bastonato mi dice che non è autorizzato a concedere interviste. Comprende il disappunto mio e dei passeggeri, ma precisa che non è colpa sua. Sta facendo tutto il possibile per ridurre gli inconvenienti. Mi invita ad avviare una protesta alla direzione delle ferrovie. Ma l’intervista proprio non può concederla. Obietto che il rimedio trovato presenta un inconveniente: bisognerà che egli avverta i passeggeri circa la destinazione dei singoli vagoni sui quali sono stati distribuiti. Mi sembra felice di assicurarmi che la cosa sarà fatta e che è suo preciso dovere… Taglio la discussione. Ma mi sembra che non metta in conto il disagio di una nuova trasmigrazione da parte dei passeggeri diretti a Siracusa capitati in vagoni con destinazione Palermo e viceversa. Il signore seduto davanti a me prende per un attimo la parola per mormorare una sorta di consolatoria: lei ha ragione, ma purtroppo va sempre peggio. Noto il logo delle ferrovie sulla sua camicia azzurra e gli chiedo se sia un operatore. Risponde affermativamente, ma precisa di essere fuori servizio. Sta tornando alla sua residenza, dopo aver concluso a il suo orario di lavoro. Gli chiedo se sia disposto lui a rispondere ad una intervista. No. Mi dice che non lo può fare neanche lui, come mi ha già detto il capotreno. Conversando informalmente, si limita ad esporre delle lamentele sulla qualità del servizio, che non gli va bene. Gli chiedo se è solo una mia impressione che la qualità del materiale rotabile impiegato a sud di Roma sia più scadente rispetto alle carrozze ed alle motrici in servizio altrove. Ammette che complessivamente è così, anche limitando il confronto a treni analoghi. L’alta velocità è un’altra cosa. Ma per i treni che fanno servizio al sud vengono utilizzate le carrozze più vecchie e più malmesse. Ed anche gli inconvenienti tecnici sono più frequenti. Gli addetti al lavori – precisa - subiscono questa discutibile scelta e non ne sono affatto contenti. Ma non possono farci niente. Dobbiamo essere i passeg- geri a sporgere proteste. E a questo punto interviene il signore anziano che mi siede accanto: dà ragione all’operatore e al capotreno e mi sollecita a scrivere, a denunciare, a protestare… Gli offro subito ascolto attento e spunti per altre considerazioni. Apprendo che è un dirigente delle ferrovie in pensione. Raccolgo la sua delusione per il modo in cui vengono gestiti i trasporti ferroviari. Esprime giudizi su Cimoli, su Moretti… su precedenti amministratori, su manager provenienti da altri settori, dalla Standa, dal sindacato… digiuni in merito alle problematiche del trasporto ferroviario, ma assunti con stipendi da nababbi, di gran lunga più consistenti rispetto a quelli attribuiti a dirigenti provenienti dalle fila dell’azienda. Non condivide le scelte di fondo: puntare sulle tratte più redditizie e sull’alta velocità, per lasciar deperire sempre più altre tratte e la qualità del servizio. È fortemente critico nei confronti della scelta di spezzare in due l’Italia, sopprimendo il treni a lunga percorrenza che andavano dalla Sicilia alla Lombardia e al Piemonte. Le ferrovie hanno contribuito non poco ad unire l’Italia, mentre oggi sono solo considerate come spezzoni diversi di una azienda, magari da dismettere o da tagliare come rami secchi. Si tratta di una logica economicistica che non condivide affatto. Da una parte la fuga in avanti verso l’alta velocità, che comunque è una scelta apprezzabile; ma dall’altra il disimpegno progressivo da altre tratte, una abdicazione al ruolo di servizio pubblico. E su questo punto calca l’accento e richiama la mia attenzione. I frequenti disservizi sono gravissimi: si dovrebbe ipotizzare il reato di interruzione di pubblico servizio. Vengono improvvisamente soppressi dei treni, senza preavviso, senza trovare soluzioni alternative. E i cittadini vengono sempre di più spinti o indotti a scegliere sistemi di trasporto alternativo: l’aereo sui lunghi percorsi (oltretutto a costi inferiori) e il mezzo gommato sui percorsi medio-brevi. Scelte assurde: conosce il sistema ferroviario francese, quello inglese e quello tedesco e sa che altrove la ferrovia si difende bene rispetto alla concorrenza di altri mezzi. Anche da noi sarebbe la stessa cosa, se solo lo si volesse. E invece: scarsa manutenzione, scarsa pulizia, offerta sempre più limitata, soppressioni frequenti e management da licenziare! E i nostri politici dove sono? Già, ma loro viaggiano in aereo! Non possono occuparsi di cose terra terra! Loro appartengono alla genìa fortunata degli dei alati e si beano di ecatombi di risorse sacrificate ingiustamente sugli altari della loro vanità presuntuosa. In altri termini, sono solo dei papponi in cerca di stipendi da nababbi, di pensioni d’oro e di mille prebende aggiuntive attraverso posti di sottogoverno in consigli di amministrazione e in consorzi vari. Perché dovrebbero preoccuparsi del sistema di trasporto dei comuni mortali o del popolo minuto? Come dargli torto? Nel frattempo noto che l’aria si è fatta quasi irrespirabile. Il mio interlocutore sorride. Ha visto? - mi chiede - Hanno progettato questa carrozza di prima classe con l’aria condizionata, senza considerare che si potrebbe farne a meno in alcune stagioni. Nessuna presa d’aria! Nessun finestrino apribile, neanche parzialmente. E non hanno previsto nessuna soluzione alternativa per un ricambio d’aria in caso di guasto all’impianto. Ebbene, non funziona e si sta peggio che in altre carrozze. Non dovrebbero far viaggiare una carrozza concepita in questo modo, se l’impianto non funziona. Ma ce la troviamo scaricata sulle tratte del sud. Qui siamo abituati al caldo! E a sopportare tante altre cose. Troppe! Intanto il mio pensiero vola alla tratta Siracusa-Catania, che è stata solo prorogata, ma che qualcuno ha deciso che va soppressa. E al ponte della ferrovia Gela-Catania, caduto recentemente (l’8 maggio 2011), per fortuna non durante il transito del treno locale. E il quadro del sistema ferroviario, che stanno smembrando, differenziando, abbandonando… mi appare come metafora di questa nostra povera Italia, divorata da un potere scellerato e da una casta di furbastri in perenne combutta coi politici di turno. Sì che lo scriverò un piccolo reportage sulla disavventura di questo viaggio in treno! Sì che terrò conto dell’utile suggerimento del mio saggio interlocutore, il quale mi fa presente che i forconi dovrebbero bloccare il traffico non sulle strade di Sicilia, ma sulle tratte autostradali e ferroviarie della Lombardia, sulla Milano-Brescia… per essere subito ascoltati. Voglio contribuire ad alimentare la giusta indignazione verso una casta di politici ingordi e insipienti e verso le cricche di boiardi di stato, loro alleati, che rubano stipendi che non meritano e che stanno distruggendo tutto ciò che viene loro affidato per meriti incomprensibili. Ed oggi (7 giugno) apprendo che sono state affidate dal potere politico altre laute mangiatorie senza tener conto dei curricula. Certo! A che servono i curricula? Basta essere complici e servitori zelanti della casta predona e sciupona. E noi dovremmo essere garantiti da personaggi a cui si affidano ad libitum authority al solo scopo di creare paraventi rispetto alle responsabilità di una banda di politici imperdonabili? Che vadano al diavolo! L’antipolitica sono loro! Chi si limita a protestare e a sensibilizzare i cittadini compie solo una missione di riscossa dell’orgoglio civico. Saranno schiacciati. Devono essere schiacciati. 16 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Chiamò il figlio “Miredo”, con le note del pentagramma, a significare l’amore per la musica A cento anni dalla nascita di Francesco Patania, Siracusa ricorda l’autore di “Sicilia”, “La me zita”, “Cummari unni iti ‘sta matina” di CORRADO CARTIA Amava tanto la musica che chiamò Mìredo il suo figlio maschio, causando una non comune reazione, mista a sorpresa e stupore, nell’ufficiale d’anagrafe che non voleva registrare quella nascita non trovando quel nome nel calendario in uso! Francesco Patania, provetto musicista, dovette faticare non poco per spiegare, pentagramma alla mano, che il suo grande amore per la musica lo riversava ora sul figlio, chiamandolo appunto con quelle tre note musicali. Sono trascorsi cento anni dalla sua nascita, avvenuta a Siracusa il 28 marzo 1909. Musicista, direttore d’orchestra, studiò dapprima il clarinetto, passando al pianoforte e al saxofono soprano. Figlio di gente di mare, da ragazzo fu affidato alle cure del Rev. Canonico dr. prof. Concetto Barreca, fondatore dell’Ospizio “Umberto I°“, dove ricevette l’educazione scolastica musicale e dove fu avviato all’arte grafica, ma cominciò presto a studiare il clarinetto, passando poi al pianoforte. Nel 1929 si trasferisce a Taranto, dove studia armonia col metodo Korsakov, e quindi va a La Spezia dove si perfeziona, dedicandosi allo studio dell’orchestrazione di Paccagnella. Due anni dopo, Francesco Pataria ritorna a Siracusa ed è invitato dal Maestro Alfredo Ceccherini, direttore della Banda Musicale di Siracusa, come primo sax contralto. Continua a studiare armonia col metodo Mici di cui diventa, per la sua bravura e talento, “allievo preferito”, tanto che lo stesso Ceccherini lo volle come suo diretto collaboratore, entrando anche a far parte dei “Cori di Val d’Anapo” dove incontra il poeta Salvatore Grillo, col quale compone “Sicilia”, la canzone “intramontabile” che gli darà il successo in tutto il mondo, alla quale seguiranno, sempre in collaborazione con Grillo, “Cummari unni iti stamatina”, “Dispittusa”,”La me zita”. Nel 1942 si trasferisce a Roma dove viene assunto all’Istituto Poligrafico dello Stato in cui gli viene offerta la direzione della Banda SICILIA Il maestro Francesco Patania musicale di quell’istituto e l’organizzazione degli spettacoli teatrali. Francesco Patania entra in Vaticano e viene invitato a fare parte della Guardia Palatina d’Onore di Sua Santità e diventa sassofonista del complesso musicale pontificio. Compone, sempre con Grillo, “Nostalgia d’amore”, “Te, Signore pietoso”, ”El tango marinero”, “E’ tornato Carnevale”, “Anapo”, ”Bianca Vela”, ”Melita”, ”La canzone del navigante”, “Carnevale a Siracusa”. Con parole di Lazzarini compone “Mirella”, per la figlia, “Dormi e sogna”, per la nipote. Tra le tante sue opere si contano anche minuetti, barcarole, pastorali. Francesco Patania è Commendatore dell’Ordine Costantiniano di S.Giorgio sotto la protezione di San Basilio; ha vissuto a Lavinio, ed è morto a Roma il 19 Maggio del 1996. I Li furasteri ca ‘n Sicilia sunnu La guardunu cu’ granni maravigghia Diciunnu ca nun c’è na tutti u munnu ‘n’isula ch’a la nostra s’assumigghia La Conca d’oru è chista ca straluci! Suttu la nivi Mungibeddu riri! Spanni lu Faru la so janca uci! L’Anapu scurri ‘n menzu li papiri… Sicilia, Sicilia, canta ‘na pasturedda; Sicilia, Sicilia, joca ‘na funtanedda. L’aria e lu suli jnchiunu L’arma di puisia Sicilia, Sicilia, tu si’ la patria mia! II L’aceddi pipitianu ‘a matinata fra zàghiri d’aranci e minnuliti, cu’ la vucidda ruci ‘nzuccarata cantunu comu parrunu li ziti Lu suli spunta e tutta la campagna D’oru zicchinu pari raccamata; li picure ddi supra la muntagana rusicanu l’irbuzza ‘mbarsamata Sicilia, Sicilia, ecc III L’amuri è ‘n focu ca nun fa faiddi pirchì ‘nta l’arma cuva e nun si viri cchiù capricciusu di li picciriddi fa spancinziari ridi riri diri… La picciuttedda ca ti vò cchiù beni Sulu ‘n Sicilia tu la po’ truvari: lu cori afflittu d’ammuri peni idda sultantu sapi cunsulari. Sicilia , Sicilia, ecc... ecc… Il Presidente dell’Unione: “Sensazionalismo senza conoscere i risultati delle terapie riabilitative” Calleri: “Spesso si ritiene che il cieco non debba saper fare nulla Quando la competenza è bassa si alza solo il livello dello scandalo” Riceviamo dal Presidente dell’Unione Ciechi di Siracusa, Sebastiano Calleri, una nota di precisazione in merito allo scandalo scoppiato in questi giorni su alcuni presunti non vedenti che hanno percepito per anni le pensioni di invalidità pur essendo, secondo la Procura della Repubblica e la Guardia di Finanza, perfettamente in grado di vedere. “Il fenomeno dei falsi invalidi e dei falsi ciechi – dice il comunicato - è un dato oggettivo che nessuno può negare. È presente a tutte le latitudini del territorio nazionale e l’Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti ne è consapevole e da sempre combatte il fenomeno costituendosi, come parte civile, nei processi penali contro i falsi ciechi: infatti ciò che viene usurpato dai falsi ciechi, viene tolto ai veri ciechi. Tuttavia, troppo spesso si grida al falso cieco con motivazioni ritenute logiche solo da chi non conosce la realtà dei non vedenti, il loro quotidiano, la loro capacità di adattamento e dunque integrazione. “Nell’accezione comune si sostiene che una persona che pota un albero non può essere cieca, che una persona che cammina speditamente con il bastone bianco non può essere cieca, che una persona che fa cenno con la mano al pullman di fermarsi non può essere cieca e così via all’infinito. Tutta questa disinformazione è frutto del pregiudizio che da sempre esiste nei confronti di chi non vede con il risultato di essere considerati, volutamente, necessariamente solo dei poveretti incapaci di fare qualunque cosa. “In queste ultime ore un nuovo episodio del genere si è verificato a Siracusa a conclusione delle indagini effettuate dalla Procura con l’ausilio della Guardia di Finanza. Ottimo lavoro ma, forse, tra queste 16 persone accusate di essere “falsi ciechi” si dovrebbe anche considerare il grado di autonomia di ognuno acquisita con la riabilitazione, la volontà reattiva e positiva di ognuno di non arrendersi alle difficoltà, la patologia stessa da cui ognuno è affetto che consente una determinata autonomia nell’ambito della propria vita personale e sociale. “La casistica è davvero molto ampia e merita un’attenzione singolare piuttosto che generalizzata. Così come l’informazione, divulgata da parte di chi non è addetto ai lavori solo per fare notizia, clamore, sensazionalità. Facile, davvero facile ma altrettanto squallido quando si va a toccare la vita delle persone. Questo vale per tutto. La discrezionalità, innanzitutto. Poi, se è il caso, anche il clamore. “Anche qui, ci duole dirlo, è un problema eminente- mente culturale e come per tutte le cose la cui conoscenza è molto bassa si cerca di alzare solo il livello dello scandalo”. Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 17 La moneta, la crisi e… alcune opinioni di un cittadino pensante. Seconda parte (la prima il 6 maggio) Una soluzione all’enorme debito pubblico potrebbe essere la Seisàchtheia già adottata da Islanda e Argentina, ma ne va della credibilità internazionale di CONCETTO ROSSITTO Seisàchtheia (che letteralmente significa “scuotimento dei pesi / scrollamento dai pesi”) è il nome con cui fu indicata la coraggiosa riforma introdotta nell’Atene del VI sec. a.C. dal legislatore Solone. Si trattò di un provvedimento che abolì i debiti già contratti e che vietò che una situazione debitoria potesse anche in futuro estendersi dai beni alle persone, cioè che si potesse arrivare alla schiavitù per debiti, togliendo ad un cittadino, per insolvenza, la libertà personale. «Fu una decisione epocale - ricorda lo storico Luciano Canfora (Il mondo di Atene, Laterza) –. Alle prese con una grave crisi, Solone, nei fatti, evitò una guerra civile». Sempre Canfora fa notare che «Il tema della cancellazione dei debiti è ricorrente nell’antichità, che a provvedimenti di tal genere hanno fatto ricorso vari riformatori, soprattutto quanti di essi professavano idee democratiche. «Ve n’è un cenno anche nell’invocazione a “rimettere i debiti” contenuta nel Padre Nostro. Dopotutto si tratta di un modo per ridistribuire il reddito». Pare inoltre che Solone si sia servito di un espediente che oggi provocherebbe l’accusa di insider trading: spifferò in anticipo la notizia del provvedimento che aveva in animo, rivelandolo a varie persone che si affrettarono a comprare terre a debito, nella certezza di non dover poi pagarle. Fu un altro colpo mancino per i possessori di latifondi! La notizia viene fornita da Aristotele nella Costituzione degli ateniesi. Il filosofo però la ritiene solo una calunnia divulgata dalle persone danneggiate dal riformatore. Chissà. Potrebbe invece esserci del vero. Dispiacerebbe a qualcuno? Oggi non si corre il rischio concreto di essere ridotti in condizione di schiavitù, ma sostanzialmente ripagare in un arco di tempo, necessariamente non breve, duemila miliardi di debito pubblico ai possessori di BOT e CCT e intanto continuare a pagare gli interessi sul debito residuo (sino all’estinzione) significherebbe essere schiacciati in una condizione di indigenza generalizzata e togliere prospettive di autorealizzazione alle giovani generazioni. Se non è questa una sorta di schiavitù per debiti, poco ci manca! Non riconoscere tale debito pubblico, contratto da politici precedenti, dai quali si dovrebbe prendere la distanza come da criminali o da dissennati, sarebbe possibile? Lo hanno fatto l’Islanda e l’Argentina. E stanno venendo fuori dalla crisi. Il provvedimento sarebbe certamente ingiusto e foriero di conseguenze catastrofiche per la credibilità internazionale dell’Italia, poiché quel debito lo abbiamo contratto non solo con creditori italiani, ma anche con stranieri. Se i titoli del debito pubblico fossero in possesso solo di creditori italiani, probabilmente la nostra situazione sarebbe meno allarmante, in quanto somiglierebbe molto a quella del Giappone, che ha un debito più consistente del nostro, ma contratto solo con creditori giapponesi. In tal caso il debito potrebbe essere “incistato” e neutralizzato con l’erogazione di interessi piuttosto bassi, ma questa strategia consentirebbe solo di rinviare sine die la soluzione del problema. Infatti, di fronte ad un perdurare della crisi o ad una prossima crisi, i creditori privati potrebbero richiedere in massa la restituzione di quanto prestato allo Stato e… sarebbero dolori. La seisàchtheia reciderebbe drasticamente il nodo gordiano. È praticabile anche nei confronti di creditori stranieri? A quale prezzo? In ogni caso sarebbe un provvedimento ingiusto (in quanto danneggerebbe proprio quei cittadini che hanno avuto più fiducia nello Stato e che gli hanno prestato i loro risparmi), ma libererebbe le giovani generazioni da una zavorra molto simile ad una schiavitù per debiti. È chiaro che un governo che osasse porla in essere decreterebbe la sua fine. Non solo! Il responsabile di un tale provvedimento farebbe bene a mettersi al sicuro in qualche remoto angolo del mondo, magari sotto falsa identità. Per opportuna precauzione! L’ipotesi non è tuttavia peregrina e recentemente è stata ventilata, oltre che dall’intellettuale Luciano Canfora, anche dal giudice Fernando Imposimato in una sua nota apparsa recentemente su FB. La seisàchtheia: ingiusta, improponibile, ma forse domani… inevitabile. In Italia nessuno avrà probabilmente il coraggio di prendere una decisione simile a quella di Solone, anche se da essa potrebbero sortire effetti interessanti per il futuro, oltre che una sollevazione dei danneggiati. I quali avrebbero ottime ragioni per lamentarsi, dopo aver avuto tanta fiducia nello Stato. Ma se non si fa nulla è più probabile che si arrivi ad una rivoluzione ad opera delle vittime della crisi e delle ingiustizia attuali. Si sono già visti bagliori di fuochi di rivolta e non solo nei paesi del Maghreb (Algeria, Libia, Egitto), ma anche in Siria, in Europa (indignados di Spagna) e in America (Occupy Wall Street). E l’onda lunga della sollevazione potrebbe essere alimentata dalla gravità della crisi che morde sempre di più. Sino ad oggi considero comunque improponibile (se non come ipotesi accademica) questa soluzione soloniana, senza però escludere che essa possa essere imposta dalle circostanze future: non bisogna trascurare il fatto che essa possa divenire inevitabile. Nell’intento di scongiurare una prospettiva rivoluzionaria, cercherò di ipotizzare una strategia diversa dalla seisàchtheia. Si tratta sempre di una ipotesi stramba e fuori di chiave, ma certamente più condivisibile, almeno dai cittadini. Indigesta per i poteri monetari! (continua) Già recuperati una tela del ‘700 di Santa Lucia alla Badia e quattro dipinti di notabili di Noto Nel Laboratorio del Liceo Artistico Gagini in corso il restauro del “Martirio di San Bartolomeo” della chiesa madre di Floridia L’arte e il nostro territorio sono due entità strettamente legate fra loro. Un patrimonio artistico, quello di Siracusa e della sua provincia (ma è un discorso che può essere allargato a tutto il nostro paese), la cui nascita può essere fatta risalire fino agli albori della civiltà umana. Oggi, c’è davvero bisogno di far emergere questo importante patrimonio, rendendolo fruibile alla comunità e al turismo in generale. Purtroppo, la ricchezza di opere d’arte rappresenta, paradossalmente, anche un limite. Sono tantissime le opere che andrebbero conservate, restaurate, valorizzate e sono sempre pochi i fondi da destinare a questo genere di attività. Con il risultato che un gran numero di opere finisce in stato di abbandono totale, in condizioni che accelerano il degrado sino ad arrivare, in molti casi, alla scomparsa dell’opera stessa. Si tratta, in pratica, di perdere una parte della nostra identità culturale. Conservazione, restauro e valorizzazione delle opere devono diventare i tre punti di forza per evitare che si verifichino ancora tali situazioni. A questo proposito, nel panorama culturale siracusano, c’è una piccola ma meravigliosa realtà, all’interno del Liceo Artistico Antonello Gagini. Si tratta del laboratorio di restauro realizzato nelle sale dello stesso istituto superiore della nostra città. Pochi, a Siracusa, sono al corrente della prestigiosa storia di questa scuola, che percorre un arco di tempo lungo ben 140 anni. L’istituto nasce, per iniziativa del comune, nel 1872 come Scuola Serale di disegno per operai. Ma già nel 1883, un Decreto Ministeriale ne ordina la trasformazione in Scuola d’Arte Applicata all’Industria. La scuola, così impostata, viene avviata nel 1886, all’interno dei locali dell’ex Monastero del Ritiro. Vengono impartite lezioni di disegno geometrico e ornamentale, elementi di disegno architettonico e disegno di figura. Con il Regio Decreto del 31 agosto 1908, viene nuovamente riordinata, assumendo il nome di Regia Scuola d’Arte applicata all’industria. Viene impiantato un laboratorio di falegnameria e intaglio del legno. I corsi divengono diurni, seguiti da un corso serale. Nel 1924, l’istituto passa, finalmente, alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Sino ad allora era stato sostenuto dalla Camera di Commercio e Arti di Siracusa, dal Comune e dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. L’insegnamento artistico viene presto integrato con alcune materie di tipo culturale, per rendere più completa la formazione degli studenti. Nel 2010, cambia ulteriormente l’ordinamento dell’Istituto Statale d’Arte Antonello Gagini, divenuto Liceo Artistico. La scuola, nel corso della sua storia, si evolve, seguendo i mutamenti in atto nella società, fino ad arrivare ai giorni nostri. Vi è la necessità di porre in relazione l’arte con le nuove tecnologie. E’ altresì palese l’esigenza di garantire agli studenti una cultura quanto più vasta possibile e, al tempo stesso, altamente specializzata. Questo alto grado di eccellenza e la capacità di sapersi evolvere in linea con le esigenze dettate dai tempi hanno ricevuto, nel corso della storia, numerosi riconoscimenti. Tanto per fare un esempio, possiamo menzionare la Medaglia d’Oro ricevuta all’Esposizione Universale di Parigi nel 1900. Così come la Medaglia d’Oro alla I Rassegna Internazionale di Tripoli. Ma questi sono solo due esempi presi tra i molti riconoscimenti ottenuti dall’Istituto. E non vogliamo dilungarci oltre per non togliere spazio al reale soggetto di questo articolo. Oggi, in una delle sale al pian terreno dell’edificio che ospita l’Istituto, si trova un laboratorio di restauro molto ben attrezzato. Si tratta di un progetto sostenuto dal prof. Nino Sicari, che abbiamo avuto il piacere e l’onore di conoscere, con l’appoggio del prof. Riccardo Sipala, in precedenza Dirigente scolastico, del D.S.G.A. rag. Vincenzo Firullo, della prof.ssa Simonetta Arnone, attuale Dirigente scolastico e della D.S.G.A. dott. Laura Interlando. Grazie allo stanziamento di finanziamenti da parte del Fondo Europeo per lo Sviluppo della Regione del 2008, si è potuto procedere alla realizzazione di un laboratorio di restauro multidisciplinare, attrezzato con le apparecchiature più innovative, ispirandosi all’ICR di Roma e all’Opificio delle pietre dure di Firenze. In questo modo, la provincia e in particolar modo la città di Siracusa, possono usufruire di una struttura pubblica in grado di procedere alla diagnostica e al restauro di opere d’arte pittoriche, plastiche, lignee, ecc, a titolo gratuito o tramite collaborazione con aziende private, Enti pubblici e con la Curia. Il prof. Nino Sicari è il vero coordinatore del progetto, che si avvale della collaborazione di autorevoli esperti esterni, accreditati presso la Sovrintendenza dei Beni Culturali, come l’esperta restauratrice Teresa Tropea, che conosciamo ormai da anni e con cui abbiamo avuto anche il piacere di lavorare. Il Laboratorio si propone di raggiungere un duplice obiettivo. In primo luogo si tratta di restituire al nostro territorio il maggior numero di opere bisognose di restauro, spesso e volentieri conservate in condizioni tali da causarne il degrado e, in certi casi, la totale perdita. In secondo luogo, essendo coinvolto il Liceo Artistico, vi è anche una importante componente didattica, poiché risultano interessati gli alunni del triennio, selezionati tra i migliori, in qualità di assistenti degli esperti che si occupano del restauro: l’approccio diretto al lavoro di restauro, l’emozione che si vive già solo al contatto con l’opera d’arte, la responsabilità che ci si assume e gli stimoli a proseguire negli studi in ambito di Conservazione e Restauro costituiscono gli aspetti più interessanti di questa parte didattica, nella speranza che da questo tipo di percorso si formino maestranze specializzate in questo settore, con un ritorno dal punto di vista sociale per il nostro territorio. Tra i lavori già eseguiti vogliamo ricordare il restauro della tela raffigurante S. Sebastiano, un dipinto del ‘700 esposto a Santa Lucia alla Badia; quattro tele rappresentanti i notabili di Noto, esposte attualmente nella biblioteca di Palazzo Nicolaci. E’ in corso, invece, il restauro di una pala d’altare della chiesa madre di Floridia, raffigurante il martirio di S. Bartolomeo. L’opera venne dipinta nel 1796 dal pittore Paschalis Tosto. Il progetto intende costituire un esempio, una traccia che possa fungere da apripista ad altre scuole e realtà formative, affinché iniziative simili possano sorgere in altre città del nostro paese. Come potete vedere, il lavoro è appena cominciato. Luigi Mirabella 18 Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] Il 26 giugno la presentazione della Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro Valeria Tranchina: “Tutti insieme, imprese associazioni enti, possiamo far compiere al sistema del welfare un salto di qualità” di CONCETTA LA LEGGIA È stato inaugurato il 29 maggio, presso la sede della Regione Siciliana, il Tavolo Regionale per la promozione della Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro. Una coalizione di istituzioni, associazioni imprenditoriali e sindacati che sarà da oggi impegnata a diffondere in Sicilia una moderna e inclusiva cultura del lavoro, libera da ogni pregiudizio e preclusione e capace di valorizzare il talento in tutta la sua diversità. Il 26 giugno a Siracusa la consigliera di parità, Valeria Tranchina, presenterà in un incontro pubblico le amministrazioni, le aziende e le associazioni che hanno aderito ed il perché di tale Carta e dei suoi spendibili effetti e ricadute sul territorio provinciale. Ma cosa contiene tale Carta e da quali esigenze nasce? Come potrà essere accolta e recepita dalle imprese locali? Quali reali ricadute avrà sulla provincia? Ne abbiamo parlato proprio con Valeria Tranchina. Che cosa è La Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro? Come è nata? “La “Carta” nasce nell’ottobre del 2009, promossa dall’ufficio della consigliera nazionale di parità, da Aidda, Aidaf, Impronta etica, fondazione Sodalitas e dall’Ucid e con l’adesione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministero per le Pari opportunità. Tra i suoi soci sostenitori iniziali vi sono subito le organizzazioni sindacali nazionali, Cgil Cisl Uil e Ugl; i primi a rispondere sono le associazioni datoriali regionali e provinciali con grandi imprese quali Danone, Nestlè, Pirelli, St Microelectronics, la Rai, il Gruppo Poste Italiane, le Ferrovie, ma anche gli ordini professionali (avvocati, medici) e tanti altri. La Carta é una dichiarazione di intenti che le imprese sottoscrivono per contribuire alla lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro (genere, disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale), impegnandosi, nel contempo, a valorizzare con azioni concrete la diversità all’interno dell’organizzazione aziendale, con particolare riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna. É un decalogo, un insieme di riferimenti valoriali e azioni concrete, per la diffusione di una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità. Essa nasce inizialmente guardando alle imprese di ogni dimensione, poi l’impegno di noi consigliere di parità nei territori ci ha fatto realizzare che é necessario aprirla alle Pubbliche Ammi- nistrazioni, agli Enti Locali per motivi oggettivi, per finalità diverse”. Quali obiettivi si pone tale documento? “Accendere ancora una volta i riflettori sulla questione di non discriminazione, sensibilizzare tutti gli attori locali sul tema delle pari opportunità, diffondere una cultura del lavoro moderna, individuare azioni concrete replicabili, far crescere culturalmente il nostro territorio”. A cosa serviranno i Tavoli Regionali promossi in Italia ed in Sicilia ed in che modo incideranno sulla diffusione ed accettazione della “Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”? “Le finalità principali dei Tavoli Regionali stanno nella sensibilizzazione culturale attraverso l’informazione e nel monitoraggio ma - a mio parere – dovrebbero puntare alla creazione di un contesto favorevole di sinergia ove, con un ruolo di orientamento, indirizzino progetti finalizzati alle esigenze di sviluppo dei territori secondo l’analisi reale del fabbisogno della nostra popolazione”. A Siracusa come si procederà? Quale ente ne sarà capofila? Quando diverrà applicabile sul nostro territorio? “Prima la Carta, poi il Tavolo Regionale, rientrano nell’ambito delle iniziative previste dal Programma che il Fondo sociale europeo (Fse) – asse pari opportunità e non discriminazione – ha previsto per promuovere nelle Regioni Obiettivo Convergenza il principio alla base dell’asse. Il fatto che Siracusa sia fra le ultime province siciliane a promuovere la Carta la dice lunga sulle remore e le difficoltà trovate. Probabilmente non sono riuscita a trasmettere completamente in questi lunghi mesi di impegno l’importanza e la novità culturale della Carta, ma mi si lasci passare anche che nel nostro territorio provinciale, sia nel privato che nel pubblico, si dà piu’ spazio alle dichiarazioni roboanti che ai fatti, più ai “farò domani” che ai “faccio subito”. “Ho invitato e contattato numerose pubbliche amministrazioni, associazioni datoriali, imprese, associazioni di volontariato, parecchi hanno condiviso e aderito, me ne aspetto altrettanti, perché voglio scommettere sulla nostra provincia fatta di bravi amministratori e bravi imprenditori”. Quali ricadute sul nostro territorio lei e gli enti firmatari del documento vi aspettate di avere? “Contribuire alla lotta contro le forme di discrimi- nazione nei luoghi di lavoro, valorizzando le qualità individuali, in un momento di crisi economica e sociale quale quello che stiamo vivendo significa, per me e per molti, ricercare compatibili soluzioni sociali, contribuendo alla competitività delle imprese e allo sviluppo economico. Tutti insieme, se vogliamo, possiamo far compiere al sistema del welfare un salto di qualità. Questa adesione alla Carta può essere il primo tassello per la costituzione di un Tavolo provinciale per le politiche attive per le fasce svantaggiate del mercato del lavoro, per donne, giovani, disabili, immigrati. Un passo avanti per intervenire sulle emergenze sociali, iniziando dalle donne che rappresentano un importante tassello su cui si costruisce il nostro Welfare, così fragile e lacunoso di servizi, attraverso una governance territoriale costituita da quella Pubblica Amministrazione di qualità - che già attua internamente buone prassi ed esternamente progetti mirati - e quella Best Impresa di cui siamo orgogliosi, con la partecipazione di quelle associazioni di volontariato che tanto impegno profondono per colmare le mancanze”. In che modo la consigliera di parità e dunque lei, consigliera Tranchina, per la nostra realtà potrà concretamente agire su tale carta al fine di renderla attualizzabile? “Ribadendo il mio impegno ad attuare politiche che coinvolgano tutti i livelli del “sistema territorio”, ricercando la possibilità di strumenti reali di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, con azioni positive e di sostegno, costruendo un rapporto piu integrato tra sistema formativo e mondo del lavoro, così da facilitare l’accesso dopo gli studi al mercato del lavoro. Ma soprattutto, partendo già dalla iniziativa di presentazione e promozione della Carta, che si farà il 26 giugno, per presentare al nostro territorio le amministrazioni pubbliche, le aziende e le associazioni che io definisco “di buona volontà” che hanno aderito, socializzandone anche i motivi, le modalità già attuate o da attuare. I buoni esempi aiutano ed educano, tengo a sottolineare fra le imprese l’Associazione Donne in Campo e nella pubblica amministrazione il Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali”. In che modo sarà possibile coinvolgere le aziende aretusee e perché esse dovrebbero aderire? “La sottoscrizione della Carta per le imprese può essere una sorta di fiore all’occhiello, può contribuire a sollecitare al proprio interno una migliore collaborazione ai vari livelli, una definizione di programmi “family friendly”, che le aziende piu’ lungimiranti hanno già attivato, la attuazione di misure per i propri dipendenti rivolte alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, in cui la conciliazione venga assunta come valore per determinare un benessere interno, mantenendo e rafforzando le esigenze di produttività e competitività. Ad un Tavolo provinciale, invece, i vari protagonisti potrebbero costruire uno sviluppo sostenibile e una coesione sociale oggi inesistente, rafforzando il legame profondo esistente tra il territorio e la competitività, basandosi sui saperi, le competenze e le tradizioni che ci sono proprie in una visione di insieme”. Appello al nuovo parroco per destinare parte dei soldi versati dai fedeli durante il funerale del sacerdote Per il busto marmoreo di padre Inserra il Comitato a presidenza Cimino ha contattato notissimi scultori tra cui Marchese, Gagliardi, Campisi È già al lavoro il Comitato costituitosi per iniziativa del giornalista Salvatore Cimino, presidente dell’AVDD, con l’intento di onorare la memoria e tener vivo il ricordo dell’opera di mons. Alfio Inserra, chiedendo la traslazione delle sue spoglie dal cimitero di Francofonte, dove sono attualmente sepolte, a Siracusa nella Chiesa di Santa Rita di corso Gelobe dove fu parroco per cinquantuno anni e la posa di un busto marmoreo davanti alla Chiesa stessa. Intanto, nei giorni scorsi sono entrati a far parte del Comitato del quale facevano già parte il fratello e i nipoti di mons. Inserrra, personalità del mondo politico, del mondo del giornalismo, del mondo della scuola e fedeli di padre Inserra, alcune importanti figure del clero siracusano fra le quali mons. Giuseppe Greco, già vicario della Diocesi, e i giornalisti cattolici mons. Pasquale Magnano, padre Giuseppe Lombardo, direttore del settimanale diocesano ”Cammino” (giornale fondato da padre Inserra), padre Aurelio Russo, segretario particolare dell’Arcivescovo mons. Pappalardo, e il giornalista Luca Marino, che fu molto vicino a padre Inserra nel momento della fondazione del “Cammino”. Intanto il presidente Cimino ha già preso contatti, con la dotta consulenza dell’art director prof. Gianni Latino, con alcuni fra i più noti scultori italiani (fra i quali Pietro Marchese dell’Accademia di Brera, Giuseppe Gagliardi e Franco Campisi) fra i quali il Comitato dovrà scegliere l’artista a cui affidare l’incarico di realizzare il monumento. Si è profilata anche la possibilità di stendere un protocollo d’intesa fra il Comitato, l’AVDD e le Accademie d’Arte di Brera, Catania e Siracusa per una eventuale collaborazione al progetto per la realizzazione dell’opera scultorea. Il Comitato si augura, infine, che il nuovo parroco di Santa Rita vorrà versare nel fondo per la realizzazione del monumento in onore di padre Inserra una parte delle offerte che i fedeli nel giorno del funerale del loro amatissimo parroco e guida spirituale per cinquant’anni hanno versato a suffragio della sua anima attraverso ben 400 attestati di ”fiore che non marcisce” e che accolga di buon grado la sistemazione, davanti all’ingresso della Chiesa durante alcune domeniche, dei “gazebo” dell’AVDD che raccoglieranno le firme dei fedeli per richiedere la traslazione delle spoglie di padre Inserra e le offerte per la realizzazione del suo busto marmoreo o in bronzo. Salvatore Cimino Anno IV n.12 - 17 giugno 2012 e-mail: [email protected] 19 “Non lo facciamo per lavoro, epperò riusciamo a farlo crescere e a registrare continui progressi” Dall’1 al 5 agosto nel centro di Augusta Shortini, 500 corti dal mondo Cacciaguerra: “È la nostra risposta a un contesto artisticamente arido” di CARMELO DI MAURO Inizia il conto alla rovescia che conduce all’apertura della sesta edizione di SHORTini, il festival di cortometraggi che avrà luogo ad Augusta dal 1 al 5 di agosto. Ancora un mese e mezzo di febbrile attività organizzativa e promozionale, e si accenderanno le luci dei proiettori sulle locations prescelte dall’organizzazione. Anche quest’anno sarà il centro storico di Augusta il luogo nevralgico dei tanti momenti che segneranno il festival. Le proiezioni principali si svolgeranno in piazza D’Astorga, per alcune sere libera dalle auto in sosta e restituita alla città, mentre le rassegne, gli incontri con gli autori e gli eventi speciali saranno ospitati in piazza Turati, meglio conosciuta agli augustani come piazza mercato o mercato del pesce, finalmente restaurata. Saranno cinque giorni dedicati all’arte e alla cultura, durante i quali il festival intende diventare un autentico “laboratorio culturale il cui scopo è quello di trasformare Augusta nella città del cinema e dell’arte, capace di coinvolgere gli appassionati, i cittadini e i numerosi ospiti nazionali e internazionali”, come sostengono gli organizzatori. A partire da questa edizione, la manifestazione è organizzata dall’associazione “Quattroterzi” , presieduta da Jessica Spinelli, mentre Stefano Cacciaguerra sarà ancora il direttore artistico del festival. Lo abbiamo incontrato per sapere qualcosa in più di questo evento, che negli anni si è affermato come un momento tra i più importanti del panorama culturale della provincia e non solo. “L’idea di realizzare un festival di corti ad Augusta è nata nel 2004 da una iniziativa che ho condiviso con Roberto Furnari ed Agostino Gulino – spiega Cacciaguerra – amici appassionati di cinema con i quali ho sviluppato anche i primi progetti di regia e produzione. Io avevo già una buona esperienza di festival, acquisita lavorando come proiezionista al festival di Siena, e mi faceva davvero rabbia che ad Augusta non ci fosse un evento simile. Così nel 2004 abbiamo realizzato la prima edizione di SHORTini, svolta in una sola serata al mercato del pesce, non un vero festival, ma una semplice rassegna di corti italiani e senza concorso. In quel periodo, anche grazie ad alcune trasmissioni televisive come “Corto 5”, vi era un certo interesse tra la gente per i cortometraggi e questo aiutò la manifestazione. La seconda edizione si è tenuta nel 2006 in una location più istituzionale quale palazzo San Biagio. Quella è stata la prima competizione, con circa 40 corti italiani in concorso. L’edizione successiva, nel 2007, si è tenuta al teatro comunale ed ha visto candidati al concorso nazionale ben 100 corti.” Dopo quella esperienza però vi è stata una pausa lunga ben tre anni, a cosa è stata dovuta? “Sì, tre anni di pausa a causa di impegni personali, di studio e di lavoro, ma dettati anche dalla necessità di dare al festival una struttura organizzativa più stabile e complessa. Nacque anche per questo motivo “Bivio Art” l’associazione che ha organizzato il festival fino alla scorsa edizione, la cui La locandina dell’evento dello scorso anno eredità è stata raccolta adesso da “Quattroterzi”, un nuovo progetto artistico multidisciplinare. L’edizione del 2010 fu molto articolata e difficile da organizzare, abbiamo anche dato vita al concorso internazionale, con tutte le difficoltà che questo comporta ed abbiamo anche avuto il nostro primo ospite straniero, un giovane regista iraniano. È stata comunque un’ottima edizione con 300 lavori in concorso e tante nazioni rappresentate.” L’anno successivo è quello in cui la manifestazione esce dal teatro e viene portata in piazza. “L’idea di tenere il festival in piazza D’Astorga è nata dal desiderio di stabilire un feeling ancora più intenso con la città, facendo sentire la presenza del festival nel cuore del centro storico di Augusta. Abbiamo anche dovuto affrontare nuove difficoltà, soprattutto di natura logistica, ma anche quella edizione è andata bene, ne siamo stati molto soddisfatti.” E la prossima edizione? “In fondo non avrà novità strabilianti. La location principale sarà sempre piazza D’Astorga, i concorsi saranno sempre gli stessi a parte quello dedicato alla Sicilia che si è deciso di non inserire in programma, ci saranno momenti dedicati alla musica ed alla cultura in senso lato. Questa edizione nasce, però, con nuovo ulteriore obiettivo. Non vogliamo limitarci, infatti, a proporre un appuntamento culturale e dare il nostro contributo alla rinascita del centro storico, ma dimostrare a tutti che SHORTini è un evento che vuole essere presente in maniera stabile nel panorama culturale della nostra città e non solo, che vuole crescere ed avere un respiro internazionale sempre più ampio. Basti pensare che in questa edizione le nazioni rappresentate saranno ben 15, dalla Bulgaria al Giappone, passando per gli Stati Uniti e l’Iran, e che i corti presentati alla selezione che precede il concorso sono stati circa 500, inviati da autori e case di produzione di tutto il mondo. Visti i buoni successi degli ultimi anni, SHORTini vuole proporsi anche come vetrina ideale per i nuovi talenti del cinema nazionale ed internazionale e per le più intriganti iniziative culturali. Ma per riuscire a fare tutto al meglio è necessario il pieno appoggio degli spettatori ed è importante che ci sia un dialogo sempre più intenso con le istituzioni locali.” Tra le iniziative più apprezzate all’interno festival vi è anche il concorso SHORTini Jr. “Per la seconda edizione consecutiva proporremo la rassegna “SHORTini Jr.”, un festival nel festival, rivolto ai ragazzi di età compresa tra i 10 ed i 18 anni, grazie al quale intendiamo non solo far avvicinare i più giovani al mondo del cinema, ma dar loro anche la possibilità di esprimere il proprio talento proponendo i propri lavori. Abbiamo già ricevuto diversi cortometraggi, un autentico trionfo della creatività.” Cosa rende questo festival diverso dai tanti altri? “Soprattutto le motivazioni più profonde per cui è stato organizzato. I festival vengono spesso organizzati per soddisfare l’egocentrismo del direttore artistico, per pubblicità, per mere ragioni economiche. SHORTini, invece, nasce come risposta ad un contesto culturalmente ed artisticamente arido. Augusta è una realtà che produce artisti capaci e di talento, che poi però vanno via, contribuendo poco alla vita culturale della città, proprio come accade nelle profonda provincia americana. Ma è proprio in provincia che possono nascere le iniziative migliori, quando si lavora con professionalità. Per noi l’organizzazione del festival non è un lavoro, malgrado questo riusciamo a farlo crescere ed a vedere, di edizione in edizione, continui progressi, ottenuti anche grazie all’ impegno di uno staff affiatato e di giovani stagisti entusiasti.” Libera Informazione Libera Tutti Incontro - dibattito I nodi dell’informazione a Siracusa: politica, magistratura, avvocatura, imprenditoria Siracusa, Antico Mercato 20 giugno 2012 ore 19:00 Interverranno: Paolo Tuttoilmondo di Legambiente aderente SOS Siracusa Marina De Michele vicedirettore de La Civetta di Minerva Alberto Spampinato direttore di Ossigeno per l’informazione Carmelo Maiorca direttore de L’isola dei cani Aldo Mantineo segr. prov. Assostampa Siracusa Gianfranco Monterosso giornalista Coordinerà Pippo Ansaldi del Comitato Parchi Durante il convegno verrà presentata la campagna di azionariato popolare a sostegno de La Civetta CENTRO PIO LA TORRE ACQUANUVENA · AVOLA SIRACUSA DECONTAMINAZIONE SICILIA C I T TÀ PartecipAgire Augusta A P E RTA AugustAmbiente Costituente Ecologista