Anno_IV_numero_12

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Anno_IV_numero_12
“Per un giornalista la libertà di scrivere la verità non ha prezzo”
(Sebastiano Messina - REPUBBLICA)
Anno IV n.12
€ 0,70
• QUINDICINALE DI FATTI E OPINIONI • REG. TRIB. DI SIRACUSA N.1509 DEL 25/08/2009
• DIRETTORE: FRANCO ODDO • VICEDIRETTORE: MARINA DE MICHELE
e-mail: [email protected]
domenica 17 giugno 2012
prossima uscita: 1 luglio
AL TIMONE DI UNA SOCIETÀ SENZA CONTROLLI, PUNTA ALLE LUCROSE BONIFICHE DI PRIOLO E DELLA RADA DI AUGUSTA
Dalla Sogesid di Assenza 4,4 mln di consulenze
ZAPPULLA (CGIL): “UN DISASTRO IN TUTTI I SETTORI
UN QUARTO DEI SIRACUSANI VIVE SOLO CON 600 EURO”
“Il Tavolo Tecnico s’infrange
sulla politica irresponsabile”
Fa girare un fiume di denaro ma di essa anche
a Siracusa si parla poco. Eppure al vertice della Sogesid c’è proprio un siracusano: l’avvocato
Vincenzo Assenza voluto dal Ministro dell’Ambiente, oggi ex, Stefania Prestigiacomo, si dice,
per motivi “familiari”. È uno dei manager dagli
stipendi d’oro, di quelli caduti sotto il mirino
della cosiddetta ”antipolitica”. I suoi sostanziosi
emolumenti sono dovuti anche al fatto che somma in sè una doppia carica: quella di presidente
della società e insieme di amministratore delegato, una sovrapposizione espressamente consentita dallo statuto. La sua remunerazione arriva
così, come si può leggere nell’elenco reso pubblico dal ministro Brunetta, alla quota di 144 mila
euro l’anno, ma si tratterebbe di una riduzione
rispetto ai precedenti 184 mila (anche per i super
manager è tempo di sacrifici!). In altri atti però,
quelli della Corte dei Conti, il compenso riportato per le funzioni di presidente è di 27 mila
euro e di 230 mila per quelle di amministratore
delegato cui va aggiunto un emolumento variabile, di importo annuo lordo massimo pari al
30% del compenso fisso, che spetta in caso di
raggiungimento integrale degli obiettivi annuali definiti dal Consiglio di Amministrazione,
o in misura minore in caso di raggiungimento
solo parziale degli obiettivi stessi. Forse è alla
luce di queste variabili che si spiega la cifra di
215.123 (netti?) di cui si è ultimamente parlato
ma qualsiasi calcolo preciso appare impossibile.
Solo una voce comunque rispetto ai costi complessivi del consiglio di amministrazione.
PAGG. 10-11 (De Michele)
IGIENE URBANA
FOTOVOLTAICO
PARCO IBLEI
L’arch. Patti
“Il nuovo bando
taglia i servizi
aumenta i costi”
I finanziatori
bloccano i progetti
nei poderi di
Noto e Palazzolo
Definita
la zonizzazione
il ministro
dia le risposte
PAG.13 (De Michele)
PAG.3 (Privitera)
PAG.14 (Pantano)
“Per dare l’idea della gravità dello stato di salute della
nostra provincia basta citare alcuni dati, contenuti nei
rapporti annuali dell’INPS e
della Camera di Commercio
e presentati di recente alle forze sociali: l’Inps ci
ha detto che un quarto della popolazione provinciale, che in totale è poco più di 400 mila,
vive di un assegno pensionistico che mediamente
supera di poco i 600 euro (ben al di sotto, quindi, della soglia di povertà), un altro quarto della
popolazione non ha una occupazione, l’INPS ci
dice anche che più di ventimila persone sono coperti, ma fino a quando ?, dagli ammortizzatori
sociali (mobilità, cassa integrazione in deroga),
una condizione che costituisce l’anticamera della disoccupazione. A completare questo quadro
drammatico ci ha pensato il rapporto annuale
della Camera di Commercio, che ci ha detto che
nel 2011 c’è stato un aumento del 5% dei disoccupati, molto al di sopra del resto della Sicilia e
del paese.
“Ci troviamo quindi di fronte a un disastro in
tutti i settori produttivi. Se andiamo nel dettaglio scopriamo un aumento record di disoccupati nell’edilizia (4000), un aumento dei disoccupati e degli ammortizzatori sociali nel settore
metalmeccanico (2500), e una perdita di posti di
lavoro in agricoltura, nella scuola, nel terziario
e nei servizi. Dove il lavoro non diminuisce si
trasforma da lavoro stabile a lavoro precario,
se non addirittura in lavoro nero, senza diritti e
senza certezze. Il perdurare della crisi, nazionale e globale, e il blocco di tutti gli investimenti
nel nostro territorio sta determinando una crisi
di lunga durata e dalle conseguenze ancora peggiori dal punto di vista economico ed occupazionale e per la tenuta sociale del territorio”.
Pag. 3 (La Leggia)
SCOPRIRE CHI SONO È UN SEGRETO DI PULCINELLA
A SIRACUSA NESSUNA P5, LE LOGGE SI AMMODERNANO
Una provincia di massoni
I loro nomi su internet
Il crucifige di Aldo Garozzo
Assoporto: si punti altrove
Pag. 7 (Di Mauro)
Cos’è, oggi, la massoneria? Ma soprattutto, chi sono i
massoni? Anzi, chi sono i massoni della nostra città?
Che a Siracusa e nei comuni della provincia alcuni
adepti ostentassero la loro adesione è dimostrato dai
simboli massoni in bassorilievo sulle pareti d’ingresso
dei palazzi e palazzotti del capoluogo e dei comuni.
Anche a Palazzolo Acreide, lungo il corso, ce n’è uno
con scultura di squadra e compasso.
Ma, negli ultimi decenni, a vantarsene erano sempre
di meno per la diffusa convinzione popolare di logge
appartate, di riti coi cappucci, di pratiche esoteriche.
Nelle chiacchiere da bar la massoneria, anche quella
siracusana, sapeva di pi qualcosa finalizzata a favorire
carriere e affari. Insomma, si aveva la sensazione che
sempre più gli affiliati cercassero di starsene al coperto,
lontani da occhi indiscreti. Ma a Siracusa non c’è nessuna congrega per fini reconditi.
PAG. 9 (Lanaia)
Il simbolo massonico sul battente di un portone a Noto
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Il presidente di “Siracusa, città aperta”: “45 giorni per prepararla, gli ultimi trenta da manicomio”
Omar Giardina: “Quella di giovedì alla Graziella una Festa della Musica
di tutti i generi ma anche balli, poesia, arte, moda, saltimbanco e sapori”
di ALESSANDRA PRIVITERA
Nata in Francia nel 1982, la Fête de la Musique si è
trasformata in un autentico fenomeno sociale, che
esalta l’insieme delle performance musicali individuali e collettive: l’esibizione, l’ascolto, la condivisione di
un momento di festa. Dal 1995, ogni 21 giugno numerose città europee hanno aderito alla manifestazione:
Barcellona, Berlino, Budapest, Bruxelles, Lisbona,
Liverpool, Parigi, Praga ed in Italia Roma, Napoli,
Senigallia, Arco e molte altre ancora. Quest’anno anche Siracusa è stata ufficialmente inserita nel network
internazionale della Festa della Musica Europea.
Ne parliamo con l’avv. Omar Giardina, presidente
dell’Ass. Siracusa città aperta e direttore artistico
dell’evento.
Come nasce l’idea della festa della musica a Siracusa?
“L’idea è nata spontaneamente. Un sabato pomeriggio ho creato un evento su facebook, dal nulla,
come se fosse già bello e organizzato. In poche ore
ho avuto il sostegno degli amici di Siracusa Città
Aperta, di Open House Magazine, SRS Lab e Hub
Siracusa”.
Qual è l’esperienza siracusana?
“A dire il vero per me non è stata una novità: avevo,
infatti, organizzato la festa della musica a Siracusa
già nel ‘97, ma quello fu un evento abbastanza diverso (e per certi versi più limitato) di quello attuale.
All’epoca la rete nazionale della Festa della Musica
era ancora in divenire. Oggi è presente l’Associazione Nazionale per la Promozione della Festa della
Musica, con sede a Roma, che attualmente conta una
sessantina di città aderenti. Oggi, ad esempio, è possibile ascoltare l’intervista del Pres. Staccioli su Radio
Capital nello spazio tra le 18 e le 20 in merito alla
portata nazionale e internazionale dell’evento”.
Stando al sito della Festa della musica-Europea
«questa manifestazione, rigorosamente gratuita,
rappresenta un momento di coesione sociale all’interno della città e crea le condizioni di un dialogo
tra l’Amministrazione e i cittadini attraverso l’espressione dei più vari talenti musicali».Quale dialogo con l’Amministrazione Comunale e con quella
Provinciale?
“La Festa della Musica è organizzata dall’Associazione Culturale Siracusa Città Aperta, di cui sono il
Presidente, con il patrocinio gratuito del Comune di
Siracusa - Assessorato alle Politiche Culturali”.
Sul
blog
http://festadellamusicasiracusa.
wordpress.com si legge che quella di Siracusa «è
una festa che nasce dal basso, dalla volontà di liberi
cittadini e associazioni culturali. Se vuoi darci una
mano, o aiutarci a sostenere le spese contattaci.
Se vuoi sponsorizzare la festa, fatti avanti! Sono i
benvenuti tutti quelli che vogliono dare una mano, a
livello logistico, organizzativo, artistico, creativo.
Siamo volontari, ci guadagna solo la cultura e la
città”. Quante e quali risposte avete avuto a questo
appello?
“Devo dire che, nonostante il periodo di crisi e depressione, la risposta c’è stata; rinfranca sapere che
diversi commercianti e imprenditori sostengano
(addirittura spontaneamente) le iniziative culturali,
certamente consci che la città langue da questo punto
di vista”.
Come definireste, in questa fase di preparazione, la
partecipazione di Siracusa all’organizzazione di un
evento dall’ampio respiro qual è questo?
“Confortante. Molti incoraggiamenti e plausi non
possono che sostenerci a fare bene”.
Parliamo della location: perché proprio il quartiere
della Graziella?
“Per diverse ragioni: intanto perché il rione della
Graziella è bellissimo; poi perché tra tutti è quello
che soffre maggiormente l’abbandono di gran parte
dei suoi residenti verso la parte alta della città – fenomeno avvenuto soprattutto tra gli anni ‘50 e ‘70;
insomma, è diventata una periferia del centro storico
Omar Giardina
e noi vorremmo che gli attuali residenti (tra cui diversi centrafricani), per un giorno almeno, “vivessero”
il loro quartiere partecipando attivamente alla festa,
magari aprendo le porte delle loro case per offrire
qualcosa ai visitatori”.
Il programma è davvero eterogeneo: quasi a dire
che ce ne sarà per tutti i gusti. In qualità di direttore artistico, vuoi dirci se c’è anche un filo rosso che
lega questi artisti provenienti da mondi musicali ed
esperienze diversissime?
“Il filo rosso è dato per antonomasia dalla stessa concezione di Festa della Musica ab origine, ovvero una
miscellanea di artisti, dall’amatore al professionista,
e di generi, dal folk al pop, dal rock al jazz, dall’elettronica all’afro; e, comunque, non solo musica,
ma anche tango, capoeira, ginnastica ritmica, teatro, poesia, laboratorio di apprendimento musicale
per bambini, allestimenti ed installazioni d’arte, di
moda, videoproiezioni, expo, estemporanee, performance, artisti di strada e saltimbanco; e poi ancora
bancarelle di artigianato locale, degustazioni di vini,
kebab ed altro. Inoltre, ci sarà una particolarissima
ed innovativa segnaletica stradale della festa”.
Qual è la partecipazione che vi ha dato più soddisfazione ottenere? Perché?
“Senza nulla togliere agli artisti, sul sagrato della
Chiesa di San Paolo, di fianco al Tempio di Apollo
faremo una raccolta di fondi per i terremotati dell’Emilia. Questa è la cosa che ci inorgoglisce di più”.
Quanto tempo avete impiegato (quante energie,
quante risorse) per riuscire ad offrire un program-
ma così corposo?
“Circa quarantacinque giorni, di cui trenta da manicomio”.
Non ci resta, allora, che partecipare.
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Il segretario provinciale: “Ci troviamo di fronte a un disastro in tutti i settori produttivi”
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Zappulla (Cgil): “L’impegno mostrato per mesi dal Tavolo del Lavoro
si è infranto sulla irresponsabilità e sull’immobilismo della politica”
di CONCETTA LA LEGGIA
Già l’anno scorso i Ministri del Lavoro dei Paesi G20
si erano incontrati a Parigi per trovare strategie comuni per la ripresa occupazionale e per assicurare il
rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori alla
salute e al sostegno al reddito. Le cifre erano e restano allarmanti: occorre creare 20 milioni di posti di
lavoro per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi
col rischio di un ulteriore incremento. La condizione drammatica ovviamente investe appieno l’Italia
e la Sicilia. E mentre apprendiamo che nella nostra
isola sono già finiti i soldi destinati a pagare la cassa
integrazione nel 2012 ai lavoratori che hanno perso
il posto col rischio che la Regione blocchi l’erogazione degli assegni (causa !? i dipendenti degli enti di
formazione professionale che da gennaio a oggi non
hanno lavorato per effetto del ritardo nell’avvio dei
corsi), cresce la disoccupazione giovanile che nella
nostra terra sfiora il 40% e che, in modo pesantissimo, investe la provincia di Siracusa. Ne abbiamo
parlato con il segretario provinciale della CGIL di
Siracusa Paolo Zappulla.
Segretario, partiamo dalla situazione della provincia dal punto di vista economico ed occupazionale
in questo momento.
“Per dare l’idea della gravità dello stato di salute della nostra provincia basta citare alcuni dati, contenuti nei rapporti annuali dell’INPS e della Camera di
Commercio e presentati di recente alle forze sociali:
l’Inps ci ha detto che un quarto della popolazione
provinciale, che in totale è poco più di 400 mila, vive
di un assegno pensionistico che mediamente supera di
poco i 600 euro (ben al di sotto, quindi, della soglia
di povertà), un altro quarto della popolazione non ha
una occupazione, l’INPS ci dice anche che più di ventimila persone sono coperti, ma fino a quando ?, dagli
ammortizzatori sociali (mobilità, cassa integrazione
in deroga), una condizione che costituisce l’anticamera della disoccupazione. A completare questo quadro
drammatico ci ha pensato il rapporto annuale della
Camera di Commercio, che ci ha detto che nel 2011 c’è
stato un aumento del 5% dei disoccupati, molto al di
sopra del resto della Sicilia e del paese.
“Ci troviamo quindi di fronte a un disastro in tutti i
settori produttivi. Se andiamo nel dettaglio scopriamo un aumento record di disoccupati nell’edilizia
(4000), un aumento dei disoccupati e degli ammortizzatori sociali nel settore metalmeccanico (2500),
e una perdita di posti di lavoro in agricoltura, nella
scuola, nel terziario e nei servizi. Dove il lavoro non
diminuisce si trasforma da lavoro stabile a lavoro precario, se non addirittura in lavoro nero, senza diritti
e senza certezze. Il perdurare della crisi, nazionale e
globale, e il blocco di tutti gli investimenti nel nostro
territorio sta determinando una crisi di lunga durata e dalle conseguenze ancora peggiori dal punto di
vista economico ed occupazionale e per la tenuta sociale del territorio”.
I pesantissimi numeri della crisi che sta investendo il
settore edile siracusano, resi pubblici in questi giorni, hanno dato l’avvio ai sit-in che hanno coinvolto
diversi comuni della provincia. Quali gli obiettivi
delle manifestazioni? Qual è la responsabilità delle
amministrazioni locali dinnanzi a tale crisi?
“Le imprese e i lavoratori del settore delle costruzioni stanno pagando un prezzo altissimo, dalla fine dei
lavori per l’autostrada SR-CT e del lotto autostradale SR-Rosolini il settore è entrato in crisi. Sono
fermi i lavori pubblici, grandi e piccoli, sono fermi
i grandi investimenti privati. La crisi dell’edilizia si
trascina dietro tutta la filiera delle costruzioni, che
coinvolge l’artigianato e il commercio, compromettendo una parte importante dell’assetto economico
del territorio. Da questa drammatica situazione
prende le mosse il piano di iniziative del sindacato
unitario degli edili; l’obiettivo è accelerare l’approvazione di due grandi progetti stradali, il raddoppio della CT-RG e i lotti dell’autostrada SR-GELA
fino a Modica, per renderli cantierabili e per dare
lavoro a migliaia di lavoratori edili della nostra
provincia e della provincia di Ragusa. Le iniziative
in corso nei comuni hanno anche l’obiettivo di svegliare i sindaci affinché avviino gli investimenti di
manutenzione e di restauro del patrimonio edilizio,
scolastico e monumentale di loro competenza, che
darebbero lavoro, sicurezza e decoro alle loro città.
Un esempio positivo arriva da Lentini, che si appresta a rendere cantierabili investimenti per decine di
milioni di euro, con enormi benefici per i lavoratori
lentinesi. A questo scopo consideriamo importante
aver sottoscritto con il sindaco di Lentini un protocollo sugli appalti che salvaguarda l’occupazione
locale, protocollo che tenteremo di estendere anche
alle altre amministrazioni comunali del territorio”.
Ci pare che il Tavolo per il lavoro, partito con buone intenzioni e prospettive, in verità si sia arenato
e non sia riuscito ad ottenere gli obiettivi proposti.
Perché? Quali ostacoli incontra?
“Il tavolo per il lavoro è la risposta responsabile di
tutto il mondo sindacale e delle imprese per tentare
di porre un argine ad una crisi drammatica per le
imprese e i lavoratori, di fronte alla irresponsabile
assenza della politica e di coloro che hanno compiti di
governo a livello nazionale, regionale e territoriale.
In questi quattro lunghi anni di crisi la politica è rimasta sorda ai ripetuti appelli del mondo del lavoro.
La politica ha continuato ad occuparsi di se stessa,
in una logica autoreferenziale, totalmente scollegata
dai bisogni delle persone. Il limite nell’azione del tavolo per il lavoro è dato dal fatto che nelle sue possibilità c’è protestare, evidenziare problemi, proporre
soluzioni; ma non c’è il potere di decidere, che spetta
alla politica. Ed è sull’irresponsabilità e sull’immobilismo della politica che si sono infranti fino ad ora
l’impegno e la mobilitazione che per mesi ha messo in
campo il Tavolo per il lavoro.
“Siamo adesso alla vigilia di una lunga stagione elettorale che da settembre arriverà fino alle amministrative di maggio 2013. Può il nostro territorio attendere questi tempi? Possono i lavoratori e le imprese
sopportare il peso della crisi per un altro anno, senza
compromettere definitivamente la tenuta di quel che
resta del nostro assetto produttivo ed occupazionale?
Noi riteniamo di no. Per questa ragione occorre che il
Sindacato confederale siracusano riprenda in prima
persona la guida del movimento di lotta, indicando la
strada e gli obiettivi da raggiungere sia ai lavoratori
che allo stesso Tavolo per il lavoro. Le prossime settimane possono essere ancora utili e decisive per sbloccare alcuni importanti progetti dell’area industriale e
del sistema delle infrastrutture dei trasporti stradali
e autostradali. Abbiamo ancora la possibilità di dare
un segnale di fiducia a chi rischia di perdere il lavoro,
ai tanti cinquantenni che lo hanno perso e ai moltissimi giovani che aspettano ancora di entrare nel mondo
del lavoro. Dobbiamo quindi rilanciare l’azione del
sindacato e dello stesso Tavolo per il lavoro e rivolgerci al Governo Nazionale ed in particolare ai Ministri
Passera e Barca, dalle cui mani passa buona parte del
futuro di questa provincia”.
Finora, con 57mila euro l’anno, in sei anni si recuperava l’investimento e per gli altri 14 forti guadagni
Pingui affari col fotovoltaico per una ventina di poderi tra Noto e Palazzolo
ma i finanziatori bloccano tutto temendo il Quinto Conto Energia (-30%)
L’affaire fotovoltaico ha investito negli anni la provincia in ogni settore.
È capitato, per esempio, che gruppi imprenditoriali
– non necessariamente siciliani – abbiano deciso di
investire, insieme a società produttrici di pannelli
fotovoltaici rigorosamente straniere, in progetti
fotovoltaici su annessi agricoli (magazzino, stalla,
deposito attrezzi). Per questo motivo hanno contattato general contractors (o intermediatori) locali
che si sono occupati di acquisire clienti che fossero
proprietari di terreni destinati ad annessi agricoli e imprenditori agricoli. Conditio sine qua non,
quest’ultima: per evitare le spese aggiuntive per la
concessione edilizia.
Quali i termini del contratto?
Il general contractor, che ha la responsabilità operativa, si occupa di tutte le fasi della costruzione
dell’annesso agricolo, generalmente un capannone
metallico (dalla presentazione del progetto edilizio
all’impianto dei pannelli fotovoltaici sul tetto, alla
richiesta d’allaccio alla rete).
Il capannone avrà una superficie di 550 mq, corrispondente a un tetto di 700 mq, su cui installare un
impianto di pannelli fotovoltaici per una produzione di energia elettrica pari a 100 kW: rispettare queste misure è necessario perché in tal modo l’allaccio
alla rete può, in teoria, avvenire a bassa tensione,
cioè al contatore esistente, e quindi non implica costi aggiuntivi. Se la produzione energetica fosse più
elevata, infatti, bisognerebbe allacciarsi alla cabina
MT (con costi proporzionali alla sua distanza) –
eventualità che diventerebbe dirimente.
L’imprenditore agricolo è proprietario del capannone (che potrà utilizzare secondo le sue esigenze)
ma cede il diritto di superficie del tetto alla società
che investe per 20 anni. La società che ha deciso di
investire si assume tutti gli oneri dell’investimento,
è vero, ma percepirà gli incentivi statali per venti
anni. Perché, se è vero che scopo primario del Conto Energia è incentivare lo sviluppo e la diffusione
dell’energia solare e fotovoltaica, è anche vero che
gli incentivi statali hanno avuto il sapore del guadagno a prescindere dalla produzione di energia da
fonte rinnovabile e non inquinante.
A dimostrazione di ciò basta fare un paio di calcoli.
Per la costruzione di un capannone e l’impianto dei
pannelli fotovoltaici, come quelli sopra descritti,
è necessario investire circa 300.000,00 euro. Stando al Terzo Conto Energia (entrato in vigore con il
DM 6 agosto 2010) la tariffa incentivante è di 0,338
euro per ogni kWh prodotto. In Sicilia la produzione
annua riferita ad un kW è circa 1.700 kWh. uiPerDi
conseguenza con 100 kW si producono in un anno
170.000 kWh. Applicando la tariffa di 0,338, il risultato economico è di circa 57.000 euro. In sostanza:
in sei anni si recuperano i soldi investiti; dal settimo
anno in avanti la società investitrice, per altri 14
anni, incasserà mediamente 50.000,00 euro all’anno
con un guadagno di circa un milione di euro.
E fin qui tutto bene. Sembra che nella zona tra Pa-
lazzolo e Noto siano state contattate una cinquantina di aziende agricole: 40 si sono dette interessate,
10 progetti del tipo illustrato sono stati velocemente
realizzati, per 5 si è arrivati alla firma preliminare,
per altri 5 si era al completamento della documentazione necessaria. Vacche grasse, insomma. Fino a
che i finanziatori – non siculi né sicani, lo ribadiamo
– decidono di bloccare l’iter. Perché? Perché – sebbene il 12 maggio 2011 sia stato pubblicato il D.M.
05/05/2011 (Quarto Conto Energia), che ha definito
il nuovo meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici
riguardante gli impianti che entrano in esercizio
dopo il 31 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2016
– ci si aspetta già l’approvazione del Quinto Conto
Energia che, nelle sue bozze ridurrebbe l’incentivo
statale del 30%.
E in questi termini – è chiaro – l’investimento non
sarebbe conveniente.
Alessandra Privitera
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
Alcuni con molte perdite di vite umane. Non comprendiamo come si possa ignorarli
Il giornalista: “Gli impianti di GNL non hanno mai dato problemi”
Ecco l’elenco degli incidenti nella filiera aggiornato al 2006
Cleveland, Ohio, USA 20.10.1944
(incendio dei serbatoi di stoccaggio)
Esplode impianto GNL: 131 morti - 225 feriti - 79 case distrutte - 2 fabbriche - 217 auto - 680 senzatetto.
Quattro serbatoi di stoccaggio, uno cilindrico e due sferici, erano stati
riempiti fino alla massima capacità in vista dell’arrivo dell’inverno. Il
serbatoio cilindrico improvvisamente cedette rilasciando tutto il suo
contenuto nelle strade e nelle fogne vicine (6200 mc di GNL). Una nuvola
di gas si infiammò ed il fuoco avvolse il serbatoio e le case vicino. Dopo
20 minuti quando il fuoco iniziale era quasi spento, uno dei serbatoi sferici si rovesciò; il suo contenuto evaporò incendiandosi.
Circa 130 persone morirono ed un’area di circa 12 ettari fu completamente devastata. Una crepa nel guscio interno del serbatoio cilindrico
aveva portato alla sua rottura; una volta rotto il guscio interno il muro
esterno di acciaio al carbonio si fratturò facilmente a contatto con GNL.
Il serbatoio cilindrico si rovesciò poiché si reggeva su sostegni non resistenti al fuoco. La tecnologia del GNL rimase ferma fino al 1960 ed i
serbatoi da allora furono costruiti con acciaio al 9% di nichel circondati
da muri di contenimento.
Methane Princess, 1965 (perdita di GNL)
Il tubo con il quale veniva scaricato GNL fu disconnesso prima che si esaurissse completamente il liquido che riuscì a passare da una valvola non perfettamente chiusa. Acqua di mare venne versata nell’area interessata dalla
fuoriuscita; si crearono comunque fratture sul ponte della nave.
Jules Verne, Maggio 1965 (fuoriuscita di GNL)
Al quarto caricamento della nave in Algeria, una fuoriuscita di GNL,
causata dall’eccessivo riempimento di un serbatoio, produsse una frattura nel serbatoio stesso. La causa dell’incidente non è mai stata adeguatamente spiegata ma è associata alla rottura degli strumenti di misurazione del livello del liquido nel serbatoio e all’inesperienza dell’equipaggio.
La Spezia, Italia 1971 (fuoriuscita di GNL)
La nave gasiera di GNL EssoBrega era attraccata nel porto da circa un
mese in attesa di poter scaricare il suo carico di GNL in un serbatoio di
stoccaggio. 18 ore dopo il riempimento del serbatoio ci fu un improvviso
aumento di pressione nel serbatoio che causò la fuoriuscita di vapore di
GNL dalle valvole di sicurezza e la nube rimase in aria alcune ore. Il coperchio del serbatoio fu leggermente danneggiato. Si stima che uscirono
fuori dal serbatoio circa 2.000 tonnellate di vapore di GNL. Non ci fu
nessun incendio. Questo incidente fu causato da un fenomeno chiamato “rollover” che accade quando due diversi tipi di GNL aventi diversa
densità e temperatura entrano in contatto. L’improvvisa miscelazione di
questi due gas produce un rilascio di grandi volumi di vapori che possono compromettere la capacità di emissione delle valvole di sicurezza sul
coperchio del serbatoio.
Montreal, Quebec, Canada, 1972 (esplosione nella camera di controllo)
Il 27 maggio 1972 ci fu un’esplosione nell’impianto di liquefazione. L’incidente è accaduto nella camera di controllo a causa di un ritorno di gas
naturale dal compressore alla linea dell’azoto; l’azoto veniva utilizzato
per le operazioni di raffreddamento. Le valvole dell’azoto che erano state
aperte durante l’operazione di raffreddamento non si chiusero completamente dopo l’operazione; ciò causò una eccessiva pressurizzazione del
compressore ed il gas naturale entrò in contatto con l’azoto. La rottura
del compressore compromise anche gli strumenti pneumatici di controllo che cominciarono a richiamare il gas naturale all’interno della camera
di controllo. L’esplosione avvenne quando un operatore provò ad accendere una sigaretta.
Staten Island, USA, 1973
(esplosione all’interno di un serbatoio di stoccaggio a terra)
Un fuoco scoppiò in un serbatoio di GNL fuori servizio che era in riparazione. 40 operai che vi lavoravano all’interno morirono; il serbatoio veniva usato per stoccare il gas algerino; la copertura del serbatoio
crollò a causa delle fiamme. Nonostante gli accurati sistemi di controllo
un cortocircuito di un macchinario usato per la manutenzione provocò
l’innesco di una sacca residua di gas ed una serie di reazioni a catena.
Aquarius, settembre 1977 (fuoriuscita di GNL)
Durante il riempimento del serbatoio della nave ci fu una fuoriuscita di
125.000 mc di GNL dal tubo con cui si effettuava il caricamento. L’incidente potrebbe essere stato causato da difficoltà nel sistema di controllo
del livello del liquido nel serbatoio. Sorprendentemente il coperchio di
acciaio del serbatoio non subì nessun danno.
Das Island, Emirati Arabi Uniti, marzo 1978
(fuoriuscita di GNL da una tubazione)
Questo incidente avvenne a causa della rottura di un tubo di collegamento allacciato nella parte inferiore di un serbatoio di stoccaggio. Il
serbatoio era del tipo a doppio guscio con un muro interno di acciaio al
9% di nichel mentre quello esterno di acciaio al carbonio. La fuoriuscita
di vapore dal guscio esterno del serbatoio formò una nuvola più pesante
dell’aria; fortunatamente non prese fuoco. Da quel momento i serbatoi a
Das Island sono stati totalmente rimpiazzati con nuovi serbatoi dotati
di aperture solo sulla parte sommitale ed un muro esterno in cemento
armato precompresso; le aperture posizionate in alto sono divenute la
pratica standard nella tecnologia dei serbatoi per GNL.
Cove Point, Maryland, USA, 1979 (perdita di GNL)
Da una pompa ad alta pressione si verificò una perdita di GNL che trovò
sfogo in un condotto elettrico; il gas si accumulò nella scatola elettrica
all’interno della centralina di trasformazione. Quando l’impiegato aprì
il circuito per fermare la pompa si verificò l’innesco con conseguente
esplosione. L’impiegato morì ed un altro rimase seriamente ferito.
Mostafà Ben Bouliad, aprile 1979 (perdita di GNL da una valvola)
Mentre una nave gasiera di GNL con serbatoio di 125.000 metricubi scaricava a Cove Point, una valvola di controllo si ruppe rilasciando una piccola
quantità di GNL. Si verificarono crepe sul ponte della nave. Le vibrazioni
della nave e del sistema di pompaggio sembrano essere stata la causa del
cedimento di un bullone della valvola di sicurezza. Da allora furono installati maggiori sistemi di sicurezza e valvole di controllo più sicure.
Bontang, Indonesia, 1983 (esplosione di uno scambiatore di calore)
Il 14 aprile avvenne una grande esplosione di GNL. La rottura di uno
scambiatore di calore in un terminal GNL causò una grave esplosione.
La rottura avvenne a causa di una pressione troppo elevata dello scambiatore di calore causata da una valvola chiusa sulla linea di scarico. Tutti i sistemi di sicurezza per la rilevazione della pressione erano connessi
a questa linea. La pressione del gas nello scambiatore, che lavora a 250
psig (17 bar circa), raggiunse i 500 psig (34 bar circa) causando la sua
rottura. Frammenti e pezzi meccanici furono proiettati a 50 metri dallo
scambiatore.
Nevada Test Site, Mercury, NV, 1987 (nube di GNL)
Si verificò l’innesco di una nube di vapore di GNL durante un test a scala
reale. Si stava studiando l’efficacia di alcune tecniche per ridurre l’estensione delle dispersioni di nubi di vapori di GNL. La nube si infiammò
incidentalmente durante il quinto test causando danni alle apparecchiature utilizzate durante i test.
Bachir Chilani, 1990 (frattura del guscio di un serbatoio)
Si verificò una frattura nel guscio interno di un serbatoio da 130.000
metri cubi della nave gasiera. La frattura interna del guscio si presentò in
una parte della struttura della nave che è soggetta a grandi sollecitazioni
che accompagnano i sovraccarichi sul guscio durante le mareggiate. La
frattura della placcatura interna del guscio provocò l’ingresso di acqua
di mare nello spazio dietro l’isolamento del carico.
Est dello Stretto di Gibilterra, 2002
(collisione gasiera con sottomarino nucleare)
Collisione tra la Norman Lady, una nave gasiera GNL, e il sottomarino
nucleare U.S.S. Oklahoma City. Per fortuna la nave aveva da poco scaricato il carico di GNL a Barcellona in Spagna. I danni ad entrambe le
imbarcazioni sono stati limitati e sono stati causati dal periscopio.
Skikda, Algeria, 20.1.2004 (esplode impianto GNL: 27 morti - 74 feriti)
ANSA Esplode petrolchimico - Il 19 gennaio si è verificata una esplosione
di una parte dell’impianto di produzione di GNL, che ha innescato una
densa nube di vapore; sono state necessarie 8 ore per estinguere l’incendio. L’esplosione ed il fuoco hanno distrutto una porzione dell’impianto
causando la morte di 27 operai, 74 feriti e danni anche molto al di fuori
dei confini dell’impianto. L’impianto di Skikda è costituito da sei unità
di produzione di GNL detti “treni”, da serbatoi di stoccaggio di GNL e
da edifici amministrativi. Il fuoco ha distrutto 3 treni di produzione ma
non ha danneggiato né i rimanenti 3 treni né i serbatoi di stoccaggio.
Inizialmente le cause dell’incidente sono state attribuite al mal funzionamento di una caldaia di produzione di vapore ma successive gli investigazioni hanno ipotizzato una perdita di GNL da una tubazione dovuta
ad una insufficiente manutenzione.
Belgio, 31.7.2004 (Esplode un gasdotto di GNL: 15 morti - 200 feriti)
TG3 - Un gasdotto di GNL della Fluxy è esploso uccidendo 15 persone
in Belgio.
Norvegia, settembre 2004 (una gasiera si è incagliata a nord di Bergen)
I motori della nave si erano fermati e le ancore erano inutilizzabili a
causa delle condizioni di tempesta. Comunque due rimorchiatori erano
riusciti ad agganciare e rimorchiare la nave quando questa era arrivata
a solo 30 metri dalle rocce. Erano stati fatti i preparativi per evacuare le
800 persone residenti dell’isola di Fedje, per paura che la nave potesse
esplodere nel caso di collisione con le rocce.
Nigeria, 30.8.2005 Nigeria (esplode un gasdotto di GNL: 11 dispersi,
27 chilometri quadri inghiottiti dall’inferno)
Un gasdotto di GNL interrato è esploso a Kalakama, una comunità di
pescatori Ogoloma nella regione del Okrika nel Rivers State. L’inferno
ha inghiottito 27 chilometri quadri. Undici persone disperse. La fauna,
pesci e crostacei tipici dell’ambente delle mangrovie, e la flora acquatiche
sono andati completamente distrutti. L’esplosione è stata così grande
che è stata sentita dagli abitanti dell’isola di Okrika e dall’area di Borikiri di Port Harcourt.
India, settembre 2005 (incidente di una gasiera al molo)
Un vento di 40 nodi ha determinato un incidente al terminal GNL Petronet a Dahej quando i rimorchiatori della gasiera GNL Disha hanno urtato il molo. La gasiera LNG è stata dismessa dopo lo scarico del
GNL. Petronet sta valutando i danni.
Isola Elba, marzo 2006 (perdina di nave gasiera al molo)
Una fuoriuscita potenzialmente disastrosa è accaduta quando la gasiera
GNL Golar Freeze ha scaricato il gas liquido al terminal GNL Southern
presso l’isola Elba. La nave ha rotto gli ormeggi e si è allontanata dalla
banchina. Il porto è stato chiuso per 36 ore. La Guardia Costiera e i tecnici della FERC (Federal Energy Regulatory Commission) hanno aperto
un’inchiesta.
Trinidad & Tobago, maggio e giugno 2006 (incendio in impianto GNL)
Un altro incidente è accaduto all’impianto Atlantic GNL a Point Fortin. Lo scoppio e l’incendio è dovuto ad una guarnizione che ha ceduto.
L’incidente non ha provocato feriti o danni all’impianto. Secondo il rapporto dei vigili del fuoco, quando la guarnizione ha ceduto è scoppiato
l’incendio. Un dipendente ha avvertito un funzionario della sicurezza che
ha spento le fiamme. In un altro incidente i dipendenti sono stati evacuati
dopo che uno di loro era stato colpito da una connessione che è saltata.
Tre giorni prima l’impianto 11 era stato chiuso per 6 ore quando è stata
scoperta una perdita di gas da un tubo.
Giordania, luglio 2006 (incendio sviluppato su nave gasiera)
Una gasiera GNL ha avuto un incendio quando scaricava il GNL a Aqaba. Sono rimaste ferite 12 persone. Quattro di queste persone erano vigili del fuoco. È stata necessaria un’ora per riportare la situazione sotto
controllo. Gli atri feriti erano dell’equipaggio della gasiera. La nave è
stata subito evacuata ed è stata trainata dalla banchina ad un porto nel
Mar Rosso in quanto aveva scaricato soltanto la metà del suo carico. Si
sta indagando sulle cause dell’incidente.
Quanto all’osservazione che, a proposito di Brindisi “…ogni giorno la
solerte burocrazia pugliese poneva un nuovo problema…”, ci pregiamo
di rispondere con una immagine che vale più di mille parole e che raffigura quella che è stata chiamata “burocrazia pugliese” e che a noi sembra il
popolo pugliese in procinto di armare una rivoluzione!
Dissentiamo da quanto riportato nell’articolo allorchè vi si dice “…il
rigassificatore di Priolo sarà costruito come se (e non è così) si trovasse in
zona sismica a più alto rischio.”.
Da ciò dissentiamo per due motivi.
Primo: perché nel progetto non è affatto prevista la realizzazione di
isolatori sismici (quali quelli dei rigassificatori esistenti in Giappone).
Secondo: perché è solo frutto di assoluta disinformazione in merito. A
tal proposito alleghiamo la carta sismica d’Italia dell’INGV nella quale
il buon Cusimano potrà facilmente identificare l’area del siracusano sita
proprio nel puntino più scuro della stessa (il colore più scuro indica il
massimo rischio sismico) e il voto n. 341/91 del CRU (Consiglio Regionale Urbanistico) nel quale è statuito che la nostra area va riclassificata
S12 (CIOÈ MASSIMO RISCHIO SISMICO).
Se ciò non bastasse, si vada a rivedere un po’ di storia della Sicilia e si
chiarisca come un sisma come quello del 1693 sia atto solo a fare il solletico ad un impianto che i “Campieri delle politica” tentano ad ogni costo
di sostenere (a dispetto della volontà popolare) e ad esclusivo vantaggio
dei proponenti e loro soci in affari che beneficerebbero della delibera n.
178/2005 dell’Autorità per l’Energia e il Gas, grazie alla quale i gestori
percepirebbero dallo Stato Italiano (cioè dai suoi cittadini) il 71% dei
ricavi di riferimento per 20 anni anche in caso di inutilizzo dell’impianto
(ottima trovata per derubare i cittadini).
E allora, tirando le somme:
1. Pericolo intrinseco all’impianto: elevatissimo (infatti è citato nell’elenco degli impianti a rischio di incidente rilevante)
2. Pericolo estrinseco industriale: inaccettabile come dimostrano i continui incidenti della fatiscente ERG Nord
3. Pericolo sismico: Inaccettabile per quanto abbiamo sopra esposto e
motivato.
4. Pericolo bellico: enorme, in quanto il porto di Augusta è porto militare e a Palombara e Cava Sorciaro vi sono i depositi NATO.
5. Pericolo attentati: elevatissimo data la potenzialità distruttiva
dell’impianto e il rifiuto della Ionio Gas di interrare i serbatoi.
6. Danno economico inestimabile per via della delibera 178/05 sopra
citata.
7. Opportunità di lavoro praticamente inesistenti
8. Convenienza solo per proponenti e loro “campieri”
Ora mi permetto di ripetere le parole con cui Cusimano conclude il suo
articolo: “Ma è davvero questo che interessa?”
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
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Un editoriale e una seconda pagina intera dedicata a fare le meraviglie dell’impianto senza parlare di sicurezza
A Lelio Cusimano del Giornale di Sicilia rispondiamo che un rigassificatore
alla ERG Nord non suscita “qualche apprensione” ma la paura di un disastro
di *EUGENIO BONOMO
La pregevole penna di Lelio Cusimano, per la stima
che abbiamo in Lui e per l’inesatta informazione sicuramente fornitagli quale presupposto del suo articolo comparso a pag. 2 del Giornale di Sicilia del
6 giugno 2012, merita sicuramente risposta, al fine
di integrare l’informazione del pubblico con notizie
certe, documentate e universalmente condivise nonché di indirizzare su corretto percorso l’opera giornalistica dell’autore dell’articolo che, da persona
seria e capace qual è, sicuramente vorrà rettificare
gli errori nei quali riteniamo sia stato indotto da
erronea o incompleta informazione.
La proposta della Ionio Gas di realizzare un rigassificatore da 450.000 m3 di GNL all’interno della
ERG nord (per intenderci, proprio il sito che, oltre
alle decine e decine di incidenti minori con i quali
si esibisce in una suggestiva serie di spettacoli pirotecnici, fece bella mostra di sé il 30 aprile 2009
con un incendio di dimensioni faraoniche che fu
osservato agevolmente anche da Catania e dintorni)
non suscita “qualche apprensione”, come scritto dal
giornalista nel suo articolo, bensì la certezza delle
potenzialità devastanti di quell’impianto se posto
in quel sito e la netta opposizione delle popolazioni
dell’area, manifestata con due referendum consultivi
esitati in due NO all’impianto con oltre il 98% di
NO a Priolo e col 96,2% di NO a Melilli.
Sposta le cose di poche virgole il conto dei votanti
e aventi diritto al voto riportato nella stessa pagina, in quanto i referendum consultivi comunali
sono normati dalla legge n. 1 del 10 febbraio 2004
la quale, all’art. 28 recita: “Il referendum è valido
indipendentemente dal numero di aventi diritto al
voto che vi hanno partecipato”. Circa lo scarto fra
aventi diritto e votanti, invitiamo l’ottimo Cusimano a rileggere l’articolo comparso su “La Stampa”
pochi giorni dopo la celebrazione del referendum
di Melilli e nel quale si parla della testimonianza
di molte donne di Melilli le quali riferirono che i
loro mariti erano stati minacciati di perdere il posto
qualora si fossero recati a votare.
Ma torniamo al pregevole articolo. Nessuno oggi
vorrebbe pagare così tanto per la bolletta del gas.
In questo siamo d’accordo con Cusimano, ma non
Incidente del 20.12.2011
Incidente del 9.06.2011
intravediamo il nesso con il discorso de quo, in
quanto, appositamente interrogata in più occasioni sull’argomento, la Ionio Gas ha chiaramente (ed
onestamente) specificato che nessuno sconto potrà
mai esserci sulle bollette del gas qualora l’impianto
fosse realizzato.
Su un altro punto siamo d’accordo: “Pochi sono
disposti a ragionare pacatamente su questi temi”,
anche se fra questi pochi non ci siamo certo noi che
mille volte abbiamo chiesto incontri pubblici con la
Ionio Gas e mille volte ce li siamo visti negare; non
vi sono certo i Cittadini di Melilli, Priolo, Augusta,
Siracusa e buona parte della Sicilia Orientale che
non vogliono un impianto che potrebbe farli finire
come polli (per aver subito passivamente la volontà
di poteri forti) arrosto (per le apocalittiche conseguenze di un probabilissimo incidente autoctono o
trasmesso al rigassificatore dai fatiscenti impianti
circostanti). Sicuramente vi sono individui di dubbia moralità e di dubbia inclinazione per l’interesse
pubblico, che ogni giorno fanno un gran vociàre
sostenendo mendacemente (e consapevolmente) che
quell’impianto è sicuro e che porterà benessere e
lavoro. Quando la stessa società proponente ci dice
che a regime vi saranno circa 140 posti di lavoro (e
non è detto che si tratti di NUOVI posti di lavoro)
ci fa solo ridere l’esito del bilancio rischio-beneficio.
Allorchè il giornalista si chiede “Quali garanzie
di fornitura regolare per il futuro?” ci obbliga a
ricordargli che, nel caso dei rigassificatori, essi dipendono dalle capacità di fornitura dei paesi “liquefattori” (fra questi, principalmente Libia Algeria e
Russia, proprio quelli citati dal giornalista quali
paesi dai quali un rigassificatore dovrebbe renderci
meno dipendenti (sic!).
Ci risulta da fonti incontrovertibili, che la capacità
di fornitura dei paesi liquefattori è già insufficiente
per coprire i fabbisogni dei 53 rigassificatori esistenti sul pianeta (va notato che in Italia ne sono
stati progettati 15. Ben strana proporzione!) il che
significa che con 15 rigassificatori in Italia ci troveremmo a dover competere con gli altri per la fornitura ingaggiando una sorta di asta al rialzo per
poterci accaparrare le forniture. Altro che prezzi
competitivi! Altro che “…condizioni migliori affrancandosi del potere del venditore”. La verità è
esattamente opposta e antitetica.
Il giornalista parla di “domande senza risposte dal-
le quali dipende la qualità della nostra vita”. Ebbene si tratta di domande dalle quali dipende non già
la sua qualità, ma la nostra stessa vita. E le risposte
ci sono. Le hanno date i Cittadini interessati con 2
referendum, così come indicato e normato dalla dai
più ignorata Convenzione di Aahrus recepita dall’Italia con Legge 108/2001 che legittima le popolazioni interessate a rifiutare o accogliere la proposta.
Il giornalista ci spiega che le navi gasiere svuotano
il metano in grandi cilindri in cemento e acciaio interrati, ma dimentica di riferire ciò che se conosce il
progetto sa a memoria, e cioè che i tre serbatoi della
Ionio Gas hanno un diametro di 80 metri e sono alti
50 metri, come dimentica di riferire al pubblico che
il Governatore Lombardo ha chiesto l’interramento
dei serbatoi ma la Ionio Gas ha rifiutato di farlo.
Gravissima lacuna quella di Cusimano allorchè riferisce (non essendone certamente informato) che
gli impianti di GNL non hanno mai dato problemi,
come non ne hanno dati le gasiere. A suo beneficio
riportiamo di seguito l’elenco degli incidenti verificatisi dal 1944 ad oggi fra gasiere rigassificatori
e liquefattori.
*Comitato melillese No Rigassificatore
La multinazionale pretende di chiedere l’annullamento dei brevetti depositati dalla Ecotecnologie
La Procura di Siracusa ha chiesto di bloccare la vendita dei Sunny Island
e quella milanese ha aperto un fascicolo nei confronti della tedesca SMA
di GIUSEPPE DE SANTIS
Le aziende ed i privati tedeschi sono gli unici ad
avere le casse piene di liquidità: così potrebbero cominciare la loro opera di definitiva colonizzazione
economico-finanziaria.
“A Berlino sta sfuggendo l’occasione di mettere le
mani su quello che avanza dei gioielli greci e sta studiando il modo per conquistare, economicamente
parlando, tutto il Sud Europa, Italia compresa. La
macchina tedesca macina soldi a ripetizione e le sue
aziende produttive non solo sono riuscite a non farsi
scalfire dalla crisi, ma hanno anche accumulato una
ricchezza invidiabile. Lo stesso vale per le famiglie:
il patrimonio finanziario privato in Germania, dice
la Bundesbank, ha toccato i 4.715 miliardi di euro,
un livello mai raggiunto prima. I tedeschi insomma,
non sanno più dove investire i loro soldi”, spiega Antonio Spampinato su Libero. E così i crucchi hanno
studiato un piano: quello di invaderci. Prima di fare
un passo avanti sui titoli europei, Angela Merkel
vuole imporre agli Stati del Sud di aprire le porte
agli investitori esteri. E aziende e privati tedeschi
sono gli unici ad avere le casse piene di liquidità:
sta tutto, nero su bianco, in un dossier svelato dallo
Spiegel.
La Ecotecnologie è impegnata a difendere contro
una multinazionale tedesca (SMA) le privative brevettuali per quanto riguarda il Riutilizzatore, macchina copiata dalla Teutonica fabbrica vendendo in
Italia il Sunny Island. La suddetta multinazionale
inoltre, pretende di chiedere l’annullamento dei
brevetti depositati dalla Ecotecnologie con la pretestuosa scusa che le macchine che abbiamo progettato
e produciamo non hanno i presupposti di Novità ed
Inventiva , considerando l’UIBM (Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi) una succursale di Berlino. La
Procura di Siracusa ha chiesto di bloccare la vendita dei Sunny Island e la Procura di Milano ha aperto
un fascicolo nei confronti della SMA. A tuttoggi ci
difendiamo da questa prepotenza che come al solito
vede i teutonici tentare di dominare l’Europa per
tre volte in un Secolo .
Giuseppe De Santis
www.ecotecnologie.org
www.electronicenergyreutilizer.com
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
Delittuoso inserire tre altri serbatoi da 450.000 m3 di gas senza misure di precauzione antisismica
Oltre un migliaio in Italia gli stabilimenti industriali a rischio rilevante
Alcuni di essi a Priolo Gargallo in area ad altissima pericolosità sismica
di MARINA DE MICHELE
Immagini del terremoto avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1990
Un territorio estremamente vulnerabile il nostro,
non solo perché posto esattamente sopra quella
scarpata maltese che costituisce la linea, instabile, di congiunzione tra la placca africana e quella
euroasiatica, in grado di generare terremoti catastrofici, con effetti devastanti e danni migliaia di
volte superiori rispetto a quelli che hanno piegato
la regione emiliana, ma soprattutto per la presenza
di stabilimenti industriali e chimici a Rischio di Incidente Rilevante, in gergo tecnico i RIR. È intorno
a questa problematica che si è accesa la discussione
anche in Parlamento sin dal settembre scorso. Punto di partenza: una normativa del tutto inefficace,
datata, insufficiente, oggetto di una interrogazione
parlamentare presentata dalla Commissione Ambiente della Camera e di una successiva risoluzione
con l’intenzione (!) di prevenire per quanto possibile
ogni rischio nell’amara consapevolezza che solo il
nostro Paese, in Europa, ancora non ha provveduto
a eliminare un ritardo che potrebbe rivelarsi drammatico.
Da una parte quindi il territorio italiano è stato
“mappato” con precisione per il rischio sismico o da
maremoto ma dall’altra non si è provveduto a dettare norme certe per una progettazione antisismica e
di protezione da eventi catastrofici per gli impianti
chimici RIR, diversamente da quanto si è fatto sia
per le costruzioni civili che per gli impianti nucleari. Eppure si sa che tanto i serbatoi di gas naturale
liquefatto di grandi dimensioni (con volumi fino a
150.000 m3 ed oltre), costituiti da un serbatoio interno in acciaio criogenico ed un rivestimento esterno in cemento, quanto i serbatoi di stoccaggio sferici
o cilindrici presenti negli stabilimenti petrolchimici, hanno spesso riportato gravi danni a seguito di
eventi sismici. Si tratta di strutture particolarmente
vulnerabili proprio per la grande massa di fluido disposta in essi ad una notevole altezza dal suolo che li
rende particolarmente instabili e la loro pericolosità è anche rapportata al numero in cui sono presenti
in ciascun stabilimento. Se poi si aggiunge il fatto
che per lo più questi impianti sono stati realizzati
negli anni sessanta si comprende quali debbano essere i motivi di preoccupazione.
Ma anche per le nuove installazioni accade che la
valutazione sul rischio risulti ormai non adeguatamente supportata dalle più moderne tecnologie e da
studi avanzati che invece consentirebbero di ridurre tale vulnerabilità sismica, degli impianti vecchi
come nuovi, a costi contenuti e comunque di ben
altra entità rispetto a quelli che ogni volta occorre affrontare quando l’evento si sia già verificato o
nell’emergenza, oltre naturalmente alla prioritaria
prevalenza della tutela della stessa vita umana.
In Italia sono oltre un migliaio gli stabilimenti industriali RIR soggetti agli obblighi del decreto legislativo conosciuto come Seveso II - nei quali, cioè,
sono presenti sostanze potenzialmente pericolose in
quantità tali da superare determinate soglie, molti
dei quali soggetti all’AIA (autorizzazione ambientale integrata) - e alcuni di essi sono situati in aree
ad elevata pericolosità sismica, proprio come quella
di Priolo-Gargallo, area colpita nel 1693 da uno dei
più devastanti terremoti verificatisi in Italia, più
violento di quello di Messina e Reggio Calabria del
1908 (M = 7,2), che (come l’altro) generò anche un
maremoto di elevata entità. Un rischio che si ritiene
altamente probabile anche oggi. In questo scenario
quasi apocalittico si pensa di inserire 3 serbatoi da
450.000 m3 di gas senza neanche aver previsto nella
progettazione, a quanto risulta, le indispensabili
misure di precauzione antisismica sebbene inutili
anch’esse se si appurasse che realmente l’area dell’insediamento dell’impianto è soggetta al fenomeno
della liquefazione del terreno contro cui ogni espediente risulterebbe inefficace.
E a tutto questo si aggiunge la beffa del decreto di
riforma della Protezione civile in cui si decide che
non sarà più lo Stato, cioè la collettività, a risarcire
i danni dovuti a calamità naturali, così frequenti nel
nostro Paese, ma il cittadino stesso che avrà provveduto a tutelarsi con una bella costosissima assicurazione. Le Assicurazioni ringraziano, noi cittadini
restiamo attoniti.
Nelle recenti amministrative, a Melilli, il partito è andato in coalizione con PD e Grande Sud
Spaccatura interna nella SEL di Siracusa? Il segretario regionale
“Dove qualcuno prova a fare il furbo siamo fermamente intervenuti”
Le elezioni amministrative hanno messo a dura
prova l’unità interna di questo partito che conta
numerosissimi simpatizzanti. Agli inizi di marzo
a Canicattini, prima ancora che il Circolo locale si
pronunciasse, si diffuse la notizia che SEL avrebbe
appoggiato – insieme a PDL, PID, MPA, La Destra, Grande Sud – il candidato sindaco dott. pediatra Paolo Tuccitto, zio (dicono) del coordinatore
del Circolo locale di SEL. A Melilli una lista civica,
Sinistra Ecologica Libera, usa simbolo e acronimo
del partito di Niki Vendola per appoggiare il candidato, eletto sindaco, Pippo Cannata, insieme a PD
e Grande Sud, scatenando il putiferio interno tanto
da indurre il Direttivo Regionale a diffondere un
duro e chiaro comunicato stampa il 17 aprile: «Sinistra Ecologia e Libertà non partecipa alle prossime
elezioni amministrative di Melilli. In tutte le elezioni amministrative che si stanno svolgendo in Sicilia
il nostro partito è impegnato a sostenere coalizioni e
candidati che rappresentano un’idea di cambiamento e di discontinuità con il passato; a Melilli è chiaro
che nessuna delle candidature in campo rappresenta
questi elementi, per questo motivo non sosterremo
nessuno dei candidati sindaco. Per noi solo il centrosinistra è in grado di rappresentare un’alternativa per il governo; non è pensabile ritenere di poter
governare per cambiare il territorio con gli uomini
e le forze politiche che hanno rappresentato la storia
del malgoverno di questa terra».
Il rompicapo è sempre lo stesso: quali schieramenti
appoggiare? In virtù di quali principi?
Perché, se l’art. 7 dello Statuto nazionale di SEL è
chiaro – a decidere la composizione delle liste per
le elezioni comunali e circoscrizionali e le alleanze
politiche è l’assemblea del circolo e, in caso di più
circoli di uno stesso comune, le liste per le elezioni
comunali sono decise dalla riunione congiunta delle
Assemblee dei circoli, ivi compresi quelli di lavoro,
di studio e tematici che insistono nel comune (comma 5) – è pur vero che tutta la provincia si è sentita
coinvolta in questa tornata elettorale e molti iscritti
a SEL hanno sentito l’obbligo morale di ribadire
come appoggiare vecchi personaggi della politica
significasse rinnegare il progetto innovativo di SEL:
ossia la rottura rispetto al passato.
Ne parliamo con Erasmo Palazzotto, Segretario
Regionale Sinistra Ecologia e Libertà, a Siracusa
in occasione dell’incontro Elezioni in Sicilia: prove
di una alternativa, organizzato dal Circolo Agorà
presso l’Hotel del Santuario lo scorso venerdì 15.
Cosa è successo a SEL nella tornata elettorale di
maggio?
«SEL si è mossa in maniera uniforme a livello regionale. Noi abbiamo sostenuto candidati sindaci e
coalizioni di centro sinistra che avessero un profilo
chiaro: quello del cambiamento. Lo abbiamo fatto
in tutta la Sicilia e, dove non è stato possibile creare
una larga alleanza di centro-sinistra, siamo intervenuti con coalizioni civiche coraggiose: due esempi
importanti sono stati Barcellona Pozzo di Gotto e
Pozzallo (in quest’ultimo il PD si era alleato con il
PdL); abbiamo sconvolto tutti i pronostici con la
vittoria di due candidati outsider che venivano fuori dalla società civile e non dalla politica. Questo è
successo anche a Siracusa».
Solo dopo i rumors dei Circoli che sottolineavano
certe incoerenze…
«Ci siamo espressi in modo chiaro e diretto: senza
creare malintesi. Nel caso di Melilli, la lista aveva
un nome molto simile a SEL ma noi del partito non
eravamo impegnati in campagna elettorale. La realtà melillese di SEL è davvero troppo piccola (c’è
solo qualche iscritto) perché si potesse parlare di un
impegno del partito. Tra l’altro questa lista melillese appoggiava un candidato dell’UdC, già assessore
nelle precedenti amministrazioni, e noi non avremmo mai potuto sostenere operazioni di questo tipo:
non per una questione ideologica ma perché questo
partito rappresenta un elemento di continuità con il
passato che noi di SEL vogliamo, invece, rompere».
Esiste un disposto regionale che vieta apparentamenti di SEL con UDC e MPA?
«Nell’ultimo congresso regionale di SEL è stato approvato un atto dispositivo per affermare che SEL è
impegnata a ricostruire il centro-sinistra e che non
parteciperà ad esperienze amministrative insieme
alle forze che sostenevano la maggioranza di gover-
no regionale in quel momento (UdC e PD)”.
Il circolo tematico “Ambiente & Territorio” di
Siracusa tiene a ribadire che in nessuna competizione elettorale saranno disposti a votare liste con
candidati che non rispecchino l’art 1 dello statuto,
non incarnino alla lettera il progetto di Sinistra
Ecologia e Libertà, non rappresentino realmente
il territorio; perché «è arrivato il momento che
SEL inizi a dimostrare la diversità dagli altri
partiti così come tutti invocano, ma che mai nessuno ha tracciato, è arrivato il momento che SEL
diventi davvero un partito per la gente, aperto e
democratico». Cosa pensa di questo ennesimo ammonimento dal basso?
«I compagni della provincia di Siracusa possono
stare tranquilli: nelle nostre liste ci saranno sempre
persone per bene che rispecchiano i valori fondativi di Sinistra Ecologia e Libertà e che avranno un
forte legame con il territorio. Il Circolo Tematico
“Ambiente e Territorio” fa bene a ribadire questo
concetto ma non corriamo alcun pericolo e lo abbiamo dimostrato nella recente tornata elettorale
amministrativa: dove qualcuno prova a fare il furbo
– come è accaduto a Melilli – siamo intervenuti. E
in questa occasione, dove votavano circa 2 milioni
di siciliani e 150 comuni, abbiamo dato prova della
nostra forza: al netto della questione di Palermo che
porta con sé un’anomalia, perché abbiamo scelto di
rispettare l’esito delle primarie e abbiamo preferito
pagare il prezzo della coerenza, comunque vincolando il PD a non scivolare verso le forze del Terzo
Polo. In Sicilia, quindi, SEL è cresciuta e si afferma
come il principale partito a sinistra del PD».
Alessandra Privitera
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Severo giudizio della Corte dei Conti: “Non si sono visti né i portacontainer né il traffico “ro-ro”
Diluvio di critiche alla Port Authority di Augusta per le occasioni mancate
I cinesi vanno altrove e le tratte per Malta “senza profitto economico”
di CARMELO DIMAURO
Gli avvenimenti che hanno riguardato il porto di Augusta nelle ultime settimane non ci aiutano a dipanare
quel groviglio di incertezze che lo avvolge da anni. I risultati dell’audit realizzato dalla Corte dei conti europea, infatti, raccontano di una realtà che ancora fatica
a trovare il rilancio definitivo.
Il report, pubblicato nel maggio del 2012, analizza le
modalità con cui è avvenuta “la gestione degli investimenti dei fondi strutturali e del fondo di coesione nei
porti marittimi” dell’Unione Europea per il periodo
2000 – 2006 e rivolge al porto di Augusta una sonora bocciatura. Scrive infatti la Corte dei conti, a proposito delle opere relative al secondo lotto del porto
commerciale, che “l’infrastruttura è stata completata
nel 2006, ma il porto rimane inutilizzato, dato che non
si è materializzato né il previsto traffico di container
né il traf­fico “ro-ro” (dall’inglese “roll-on/roll-off”,
è una sigla che indica il trasporto di merci attraverso
imbarcazioni simili a traghetti - ndr). Una terza estensione del porto è prevista a breve, al fine di completare
i lavori sulle ban­chine relativi a un nuovo terminal per
container e di collegare il porto alla rete ferroviaria.”
Eppure, i tentativi di far decollare il terminal augustano come scalo “ro- ro” non sono mancati. Si è mossa
anche la Grimaldi Holding, un colosso nel mondo dello
shipping, nel tentativo di attivare una linea tra Augusta e Civitavecchia. Una prova che però, sin dall’inizio,
ha sollevato parecchi dubbi tra gli addetti ai lavori
“per la difficoltà a reperire e stabilizzare quel minimo
di carico necessario alla profittabilità economica del
collegamento”, come sottolineato dalla rivista “Trasporto Europa” nel gennaio di quest’anno. Sembra,
inoltre, che la Grimaldi abbia messo definitivamente
da parte l’idea, tanto è vero che la nave “Audacia”,
destinata ad effettuare la tratta, è stata noleggiata ad
una compagnia turca per implementare i trasporti tra
Costanza in Romania e Pendik in Turchia.
Ancor meno prestigioso il destino della “Erica M.” imbarcazione noleggiata dalla società Polaris di Modica
per effettuare una tratta “ro-ro” con Malta che, come si
apprende proprio da “Trasporto Europa”, si trova nel
porto de La Valletta “sequestrata dall’autorità maritti-
ma a causa degli ingenti debiti accumulati dalla società
armatrice con i fornitori”.
La replica dell’Autorità Portuale di Augusta ai rilievi
dell’Unione Europea non si è fatta attendere, anzi il
presidente Garozzo ha prontamente sottolineato che
le opere, il cui mancato utilizzo ha determinato il giudizio negativo della Corte, sono solo propedeutiche a
quelle che verranno realizzate con i finanziamenti POR
2007 – 2013 e con cui si dovrebbe completare l’opera,
evidenziando anche un certo ottimismo in merito al
buon esito delle procedure di finanziamento.
Il severo giudizio della Corte dei conti è intervenuto,
inoltre, in un periodo in cui, dopo un lungo silenzio,
ad Augusta si torna a parlare di rilancio del porto grazie a due convegni organizzati in proposito in meno di
due settimane. Entrambi i seminari, però, hanno detto
poco in merito alle prospettive concrete di sviluppo
dello scalo, limitandosi a sottolineare le grandi potenzialità del bacino megarese e ad annunciare iniziative
future. In questo contesto, si può ben cogliere il senso
dell’accorata protesta del consigliere comunale Giusep-
pe Di Mare il quale, appena pochi giorni fa, ha stigmatizzato i tanti e retorici interventi sul tema evidenziando che “dopo diversi anni dall’ istituzione della Port
Authority, dopo anni di annunci e promesse si torna
nuovamente a parlare di porto moderno e dinamico, di
piano regolatore portuale, di fondi europei da sbloccare, di apertura a nuovi traffici, in realtà siamo ai titoli
di coda di una storia molto triste che sta vedendo il nostro porto sempre più perdere il ruolo di rilevanza che
gli spetta, dovuto al fallimento di una classe politica
e non solo, incapace o in malafede, che non ha saputo
tutelare lo sviluppo del porto augustano”.
Si rinnova quindi la girandola di polemiche, speranze, illusioni e delusioni che da sempre caratterizza la
storia dello scalo megarese. Nel tentativo di fare chiarezza su questo tema, abbiamo incontrato due imprenditori che hanno quell’esperienza internazionale
che permette loro di valutare al meglio le opportunità
e le sfide che lo scalo megarese è chiamato ad affrontare nei prossimi anni.
“Sono stato parte del Comitato Portuale per più di un anno, dal febbraio
2011 all’aprile 2012 – esordisce Bruno
Ferreri – chiamato dalla Provincia di
Siracusa a rappresentarla, come tecnico, in quell’organismo.”
Alla pubblicazione dell’audit della Corte dei conti
europea sono seguite diverse polemiche, qual è la sua
opinione in merito?
“Il problema in questione scaturisce da responsabilità
della precedente amministrazione dell’Autorità Portuale. La presidenza attuale non ha fatto altro che portare
a termine il lavoro già iniziato in precedenza. Quanto
accaduto non è una sua colpa.”
A che punto è la revisione del piano regolatore del porto e quali sono i progetti su cui si lavora?
“E’ già stato redatto un piano regolatore di massima,
approvato anche dal comitato portuale. L’elaborato
è attualmente oggetto di studio da parte di aziende
specializzate e, non appena il progetto sarà definitivo,
sarà sottoposto alla valutazione degli enti locali competenti. Un passo molto importante, per completare
l’ampliamento del porto, sarà compiuto con l’inclusione
nella zona commerciale di Punta Cugno di un’area che,
attualmente, è di pertinenza della marina militare e che
il presidente sta cercando di acquisire. Un altro progetto importante, previsto dal nuovo piano regolatore,
riguarda la realizzazione di una banchina commerciale
per il transhipment sul lato sud della diga foranea, nei
pressi dell’imboccatura del porto. Questa banchina sarà
lunga 2 chilometri e larga 500 metri, che poi verranno
raddoppiati con un secondo progetto, e sarà realizzata
grazie a dei cassoni in cemento armato colmati con i
fanghi derivati dalla bonifica del porto. La realizzazione di questa banchina è di fondamentale importanza,
infatti, in quella zona del porto si raggiungono fondali
anche di 27 metri, ideali per le grandi portacontainer di
pescaggio fino a 20 metri che in questo periodo si stanno costruendo in Cina.
“Il terminal ci permetterà di realizzare quell’hub di cui
parlano in tanti. Tra i progetti che potrebbero far decollare il porto vi è anche quello di recuperare le aree
dismesse nella zona industriale ed integrare il porto
con la linea ferroviaria. Ovviamente, la realizzazione
di questi progetti dipende fortemente dalla possibilità
concreta di ottenere dei finanziamenti e dal buon esito
della realizzazione del corridoio 1.”
Sono passati oltre 30 anni dalla realizzazione del
primo lotto del porto commerciale e ancora la struttura non è decollata. Lei ritiene che ci siano ancora
prospettive concrete per l’affermazione del terminal
augustano nel mercato internazionale?
“Augusta ha una posizione logistica ideale. Si trova
infatti a metà strada tra Suez e Gibilterra e potrebbe
essere competitiva anche nei confronti di Rotterdam,
poiché permetterebbe un risparmio di ben 14 giorni di
navigazione per le navi che provengono dall’oriente.
“Il progetto è quindi valido. C’è sicuramente un ritardo
molto grave, ma questo non vuol dire che non si debba
portate a termine il progetto. Sappiamo tutti benissimo
che l’industria petrolchimica sta perdendo terreno e che
siamo in un lungo periodo di deindustrializzazione, lo
sviluppo delle aree commerciali è una valida alternativa per creare un’economia sostitutiva. Poi, l’attività di
transhipment non crea di per sè grande economia, ma è
anche vero che non tutte le merci arrivano finite, spesso
si tratta di materie prime o semilavorati su cui noi potremmo intervenire per completare il ciclo ed arrivare
a produrre prodotti finiti, creando così una nuova economia.”
A suo parere, il fallimento delle linee ro – ro è il segno
di una inadeguatezza infrastrutturale ed organizza-
tiva del porto, oppure crede che quelle linee siano del
tutto fuori mercato?
“Per capire in pieno il problema è bene sottolineare che
le linee ro-ro, che includano anche il trasporto passeggeri, godono normalmente di finanziamenti statali.
Quello di Augusta, però, non beneficiava di tali agevolazioni, per cui il rischio d’impresa nella gestione di tali
tratte ricadeva completamente su chi voleva investire.
L’iniziativa non è decollata forse perché gli imprenditori non sono riusciti a chiudere dei contratti con i trasportatori.”
Che ne pensa della possibilità di integrare il porto di
Augusta con altri porti, attraverso una regia unica
che includa l’intera Sicilia orientale, a quali risultati
può portare questa iniziativa?
“I sistemi di territorio sono importanti ed abbiamo
esempi in cui si sono ottenuti ottimi risultati come nel
caso dei porti di Savona e La Spezia o nell’hinterland
marchigiano, del resto anche l’Europa ci chiede di fare
sistema tra i porti e con i territori, in modo da sfruttare
al meglio le risorse disponibili. Un punto di forza per la
nostra realtà è la vicinanza con l’interporto di Bicocca e
l’aeroporto di Catania. Una piena integrazione ci metterebbe davvero in grado di essere competitivi.”
Alla luce delle polemiche degli ultimi
tempi, quale crede possa essere il futuro del porto di Augusta? Lo ritiene
competitivo sullo scenario internazionale?
“Per valutare la competitività del porto di Augusta, occorre partire dalla distinzione tra il traffico petrolchimico e i traffici diversi. Il primo dipende da fattori non
governabili localmente, sui quali le imprese portuali
non possono incidere in alcun modo. I traffici diversi da
quello petrolchimico, invece, potrebbero dipendere dalla nostra capacità di offrire servizi appetibili. La macchina portuale oggi è organizzata in modo tale da servire il traffico petrolchimico, ma questo non vuol dire che
non si possano servire in maniera adeguata anche altre
industrie. I servizi portuali classici ad Augusta sono
modernissimi e molto efficienti, e facilmente potrebbero
prestarsi ad attività diverse. La partita, quindi, si gioca
sul fronte dei traffici non legati al petrolchimico.”
Il porto commerciale è stato pensato oltre 30 anni fa
e ancora non è pienamente operativo, ritiene ancora strategica la scelta di fare di Augusta un hub del
transhipment?
“A mio parere l’idea di sviluppo del porto basata sulla
realizzazione di terminal o banchine per i containers,
su cui oggi si sta lavorando, non è la migliore. In questo
mercato, infatti, la concorrenza si gioca sui centesimi di
euro. Inoltre, da pochi anni, nei paesi del nord Africa
sono stati realizzati dei terminal molto grandi e molto
moderni con i quali è difficile competere a causa del bassissimo costo della mano d’opera e dei minori vincoli
burocratici. Del resto, anche il rilancio del sito di Gioia
Tauro, oggi in sofferenza e a rischio di chiusura, si fondò su accordi sindacali che stabilirono retribuzioni agevolate. La concorrenza internazionale nel mediterraneo
è ormai insostenibile ed il mercato dei containers è molto volubile. In ogni caso, è un bene che si porti avanti
il progetto, così almeno si costruiscono le banchine e si
attrezza il porto con quelle infrastrutture, necessarie
a qualunque tipo di sviluppo, di cui attualmente non è
provvisto. Un porto intelligente deve essere progettato
in maniera elastica, raccogliendo le sfide dei mercati. Porti monotematici, che fanno fatica a rivisitare la
propria attitudine, non fanno molta strada soprattutto
nella nostra area.”
Su quali attività si dovrebbe investire per il rilancio
della portualità ad Augusta?
“Uno dei settori su cui si potrebbe puntare è quello della cantieristica navale, su cui non sono mai state spese
grandi energie. Ad Augusta abbiamo diverse realtà im-
portanti la cui attività è però limitata dalla mancanza di
banchine adatte all’ormeggio di navi di grandi dimensioni. In linea generale, occorre investire su attività che
non siano dipendenti dal mercato petrolifero e che non
siano facilmente duplicabili altrove. Un altro esempio
è quello della movimentazione di prodotti refrigerati.
Si tratta di un’attività più complessa dei containers che
necessita di un certo know how, inoltre solo a Salerno,
Genova e Barcellona vi sono terminal allestiti per questa attività. Un altro settore su cui si potrebbe investire
è quello relativo alla movimentazione degli oli vegetali,
che hanno importanti applicazioni industriali nell’alimentazione o nella cosmetica, e sono merci pregiate.
In Italia vi è solo un terminal a Genova, piccolo e con
poco pescaggio, un terminal più grande si trova a Rotterdam, dove si scaricano gli oli e si trasferiscono via
treno o camion in giro per l’Europa. Qui avremmo le
condizioni ideali per questo tipo di traffico.”
Tra gli strumenti che sembrano maggiormente necessari per il rilancio del porto vi è il piano regolatore. Quello attuale viene giudicato da molti obsoleto.
“Solo adesso, con la gestione attuale dell’Autorità
Portuale se ne sta discutendo anche in seno al comitato portuale. So che è stato affidato uno studio ad una
società esterna, ma non ne sappiamo molto in realtà.
Immagino che, non appena il progetto sarà pienamente definito, venga condiviso con gli operatori del
porto. Ritengo sia utile che il piano regolatore portuale, prima di divenire esecutivo, sia condiviso con
la portualità.”
In questo contesto di razionalizzazione dell’uso degli spazi portuali, si pone anche il problema dell’utilizzo delle strutture già costruite ma ancora non
utilizzate in pieno.
“È fondamentale, ad esempio, intervenire per recuperare la nuova darsena, oggi utilizzata pochissimo, che
potrebbe ospitare il centro operativo dei servizi portuali. Si è già parlato in passato di cercare una sistemazione più consona agli uffici dei servizi portuali e le autorità competenti avevano individuato nelle strutture
del porto commerciale già costruite a Punta Cugno la
sede ideale, anche per ragioni di sicurezza nello sbarco
dei marittimi. In questo modo, però, si rischierebbe di
allontanare sia gli operatori del porto che i marittimi
dalla città, con ripercussioni gravi nei confronti dell’economia locale e costi maggiori per le attività produttive. Anche il presidente Garozzo condivide questa idea
ed ha chiesto agli operatori portuali di riunirsi per
trovare una soluzione e formulare una proposta, noi ci
stiamo già muovendo”.
Bruno Ferreri: “Non è colpa di Garozzo ma dell’Autorità precedente”
Mastroviti (Assoporto Augusta): “Abbiamo servizi modernissimi”
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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In un odg votato dall’ARS: “Si sospendano le nomine a 15 giorni dallo scioglimento degli ATO”
Reportage dal fronte dell’acqua, Lombardo rilancia i commissari
ma i Comuni, anche Noto e Rosolini, irremovibili: “Niente consegna”
di CONCETTO ROSSITTO
Si è riaccesa, in questo mese di giugno, la battaglia
per l’acqua. Ha riaperto le ostilità il presidente della
Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che, nella
sua qualità di assessore (ad interim) dell’energia e
dei servizi di pubblica utilità, ha nominato l’architetto Giuseppe Taverna Commissario ad acta per
l’ATO di Agrigento, in sostituzione dell’Assemblea
dei Sindaci, col compito di rivedere ed approvare
una nuova articolazione tariffaria. Lombardo ha
inoltre nominato altri Commissari ad acta che dovrebbero procedere - entro il termine perentorio di
sessanta giorni - alla consegna delle infrastrutture
idriche, fognarie e depurative dei comuni di Buscemi, Canicattini Bagni, Carlentini, Cassaro, Ferla,
Francofonte, Lentini, Melilli, Palazzolo Acreide,
Rosolini e Sortino.
Non si è fatta attendere la contromossa del popolo
dell’acqua: il 13 giugno, l’Assemblea Regionale Siciliana ha votato un odg presentato dall’on.le Panepinto e da altri suoi colleghi. Tale odg impegna il
Governo della Regione a sospendere i commissariamenti per la consegna delle reti e degli impianti al
gestore del servizio idrico. Sono interessati a questo
provvedimento alcuni Comuni della provincia di
Agrigento e quelli della nostra provincia aretusea,
sopra elencati.
A nostro modesto avviso, il rinnovo dei commissariamenti rappresenta un errore politico dalle
conseguenze devastanti sull’immagine di Lombardo. Lo fa apparire come un fuscello al vento, ora
pronto a varare una legge regionale che prevede la
ripubblicizzazione, ora troppo sensibile ai richiami delle lobby, che mirano comunque ad ottenere il
controllo delle risorse idriche (e del lucroso servizio
relativo alla loro fornitura, in regime di monopolio di fatto). Lombardo ha già dovuto incassare
recentemente l’invalidazione di una prima ondata
di commissari, poiché l’atto di nomina risultava
clamorosamente illegittimo, in quanto firmato da
un funzionario non più detentore del potere di firma. Si trattava di un errore amministrativo o di un
furbo escamotage? Forse quelle nomine erano state
fatte in tal modo per compiacere le lobby dell’acqua,
senza però che si volesse determinare l’effetto della
consegna degli impianti? Non lo possiamo sapere.
Ma ora Lombardo ci riprova, in un clima politico
diverso, dopo che il PD non lo sostiene più. E allora
si può star certi che non ci saranno nuove imperfezioni formali o sostanziali, che possano determinare una nuova invalidazione degli atti. Anche perché,
ammesso che di errore si sia trattato la prima volta,
perseverare non sarebbe certo possibile. E Lombardo non è uno sprovveduto.
Ci riprova, dunque, anche per far capire che, senza
condizionamenti da parte di una forza politica che
lo ha appoggiato (purtroppo!), si sente più libero di
schierarsi apertamente a favore degli interessi delle
lobby e dei potenti. O forse proprio per sottolineare
la sua alleanza con il fronte dei furbi e delle lobby.
Ma forse è proprio questo il clamoroso errore di
valutazione politica. Il popolo dell’acqua, assolutamente trasversale rispetto alle posizioni dei partiti,
non gliela perdonerà e non potrà perdonare ai politicanti schierati con lui questa porcata compiuta
a danno degli interessi dei cittadini, sempre più incazzati per una crisi che avanza minacciosa, sempre
più assillati da prelievi e sacrifici imposti da chi non
sa far pagare nulla alla casta ed ai furbastri, sempre
più dissanguati da bollette pazze, errate, gonfiate,
calcolate su consumi presunti… e da servizi sempre
più costosi.
A conferma di questa considerazione si può citare la
dichiarazione rilasciata alla stampa da Pippo Incatasciato del MpA di Rosolini, che si è opposto fieramente alla cessione degli impianti.: «Meglio aprire
un contenzioso che dare il via libera alla consegna
della rete idrica e fognaria, cosa che comporterebbe
rincari per la popolazione, a fronte di inefficienze
e mancati investimenti. Prova ne è quel che accade
nei Comuni vicini con bollette pazze, reti obsolete
e quant’altro. Sulla questione Sai 8 manteniamo la
barra ferma e preannunciamo azioni, anche eclatanti, pur di impedire la privatizzazione».
Noto si schiera contro SAI8
Ma anche l’evoluzione della situazione politica di
Noto, in relazione al tema dell’acqua, conferma che
Lombardo ha clamorosamente toppato. A Noto,
appena un mese fa, veniva celebrata, con qualche
soddisfazione di troppo, la sigla di un protocollo
d’intesa fra SAI8 e l’Amministrazione. Si sperava che le varie proteste e i malumori dei cittadini
potessero essere placati con il conferimento di un
ruolo di controllo alla Aspecon. Ma non è stato
così. E il Consiglio Comunale, all’unanimità, ha
dovuto tener conto, in un documento votato all’unanimità il 13 giugno, di varie inadempienze e di
innumerevoli angherie perpetrate dal gestore privato. Così si è passati, in appena un mese, da un clima
cordiale d’intesa (sia pure attraverso un protocollo
che prevedeva controlli sull’operato del gestore) ad
un clima ben diverso, decisamente più teso, da conflitto imminente o già dichiarato. Il consiglio, alla
fine della seduta, si è impantanato su una questione
divertente. Qualcuno, per una questione di mera
logica, voleva che in calce alla richiesta di rimedi,
interventi, adempimenti… si mantenesse una condizione: ove in un lasso di tempo stabilito le richieste
non vengano integralmente esaudite, si dà mandato
al sindaco di adoperarsi presso l’ATO per una immediata risoluzione del contratto di affidamento
del servizio a SAI8. Qualche altro consigliere voleva
che si togliesse la condizione e che si desse comunque mandato al sindaco, da subito, di pretendere
dall’ATO (o dal commissario) la risoluzione dell’affidamento. Giusta anche questa richiesta (data la
natura di certi inadempimenti non più sanabili,
come quello relativo alla fidejussione, che doveva
essere interamente disponibile sin dal giugno 2008,
cioè entro quattro mesi dopo la firma del contratto)!
Ma allora perché mantenere nel documento l’elencazione delle doglianze? Lo si sarebbe potuto ridurre
all’essenziale: la richiesta di risoluzione!
Per non destrutturare il documento, predisposto
dai capigruppo, si è preferito lasciare la condizione: si subordina cioè la richiesta di risoluzione al
mancato adempimento di tutte le richieste, ma si ha
tuttavia la certezza che SAI8 non potrà più adempiere. E la cosa più simpatica è che qualche consigliere
non si sottrae alla firma del documento, pur dicendo di condividerlo nello spirito più che nella lettera. Lascia intuire di credere poco negli effetti, ma
non riesce a sottrarsi al dovere di firmarlo, perché
sa che sarebbe un tradimento palese degli interessi
dei cittadini. Purtroppo la seduta non era “aperta”:
si poteva solo assistere, ma non intervenire. Peccato! Avremmo chiesto volentieri a quel consigliere
(Bosco, già presente nel CdA dell’ATO) come mai
l’Autorità di controllo non sia intervenuta a tempo
debito per invalidare il contratto, considerato che
l’inadempimento al dettato della clausola risolutoria doveva essere rilevato sin da giugno 2008. Da ex
componente del CdA di tale Autorità di controllo
(l’ATO idrico), avrebbe dovuto fornire a tutti una
risposta convincente.
L’ATO… Cu l’ha ccriatu! Ddicalufici!
Ma l’ATO, come è ben noto a tutti, non ha mai funzionato bene e non ha svolto le sue funzioni di Autorità di controllo, altrimenti avrebbe dovuto sollevare la questione sin dal giugno 2008 e far valere
da allora la clausola risolutoria, defenestrando o,
meglio, stracquando SAI8. E invece è stato necessario l’intervento ripetuto e martellante dei cittadini e
della stampa libera come La Civetta per richiamare
l’attenzione di tutti e per rendere di dominio pubblico certe inadempienze. Rispetto alle quali solo l’Assemblea dei Sindaci ha assunto le posizioni giuste,
mentre il CdA ha cercato spesso di ostacolare, anche
con l’astensionismo, iniziative doverose contro il gestore. Ci chiediamo allora a cosa sia servito in realtà
l’ATO, questo ATO di Siracusa. Al quale, secondo
il pluricommissario Cardaci, servono addirittura
altri 17 dipendenti, che dovrebbero essere assunti in
un prossimo futuro.
L’incredibile notizia è riferita da un noto quotidiano nell’edizione di venerdì 15 giugno. La pianta organica dell’ente dovrebbe essere costituita da
«un dirigente amministrativo, uno tecnico e uno
contabile». Tre dirigenti! E poi ancora da: «un funzionario categoria D5 con alta professionalità per
l’attività legale, un amministrativo, un contabile
e due tecnici tutti di categoria D3». E non è finita:
«un istruttore amministrativo, uno contabile e sei
tecnici di categoria C1». E infine, immancabilmente, «un collaboratore B1 con funzioni di autista e di
usciere». E se ci sarà l’autista, dobbiamo presumere
che debba anche esserci l’auto di servizio: l’auto blu.
L’esigenza delle nuove assunzioni avrebbe come
presupposto la prospettiva che «tutti i Comuni del
comprensorio, entro breve tempo, consegneranno
gli impianti». Ma se questo dovesse accadere (e ci
auguriamo di no), semmai dovrebbe aumentare il
numero di dipendenti di SAI8. Ci riesce difficile capire un tale aumento della mole di lavoro dell’ATO.
Ci piacerebbe invece che la magistratura contabile
verificasse la congruità delle risorse umane impiegate attualmente nelle varie Autorità d’ambito. Forse
verrebbero fuori delle cose interessanti. Forse la privatizzazione sta servendo a interessi clientelari, che
vengono doppiamente soddisfatti: presso gli ATO e
presso vari gestori, per gratitudine di questi verso
la mala politica.
Ma una cosa ci preme sottolineare. Forse i sostenitori della privatizzazione si stanno inebriando prima del tempo. Infatti l’ideazione di questo nuovo
organico sarà sicuramente precedente rispetto alla
notizia dell’OdG votato dall’ARS, di cui abbiamo
dato notizia sopra. Non sappiamo se Lombardo rispetterà tale OdG. Ma certamente tale documento
ha un suo peso consistente e, se fossimo al suo posto,
lo terremmo nella dovuta considerazione.
ATO in scadenza: posti d’imbarco last minute.
Leggiamo proprio nell’OdG stilato da Giovanni
Panepinto e votato dall’Assemblea che “il 30 giugno
è il termine per lo scioglimento degli ATO, previsto
da una norma nazionale”. Dunque non ci sembra
affatto certo che i commissari questa volta eseguiranno il mandato, stante la sospensione imposta con
OdG votato dall’ARS, né ci sembra certo l’avvenire
degli ATO, visto che la loro scadenza è imminente. Certo è sempre possibile che Lombardo ignori
l’OdG, assumendosi la responsabilità di scavalcare
la volontà dei parlamentari, così come è possibile
che la scadenza degli ATO venga trascurata in Sicilia o venga prorogata con provvedimento in extremis, ma non ci faremmo prendere dalla fregola di
gonfiare l’ATO di dipendenti. Proprio la vigilia della loro scadenza! Anzi, non ci penseremmo neppure,
considerati i sacrifici che gli italiani siamo chiamati
a fare. Ma questo la casta non lo ha ancora capito e
vorrebbe continuare a moltiplicare le mangiatoie e
le mammelle da spremere. E si illude di poter istituire altri posti di lavoro, anziché sforzarsi di far
lavorare i troppi dipendenti, spesso assunti per motivi clientelari. Sarebbe interessante avviare un’inchiesta conoscitiva per accertare quanti dipendenti
lavorino (e ce ne sono sicuramente tanti) e quanti
percepiscano uno stipendio che non meritano.
Tornando al pluricommissario Cardaci, ci pare
opportuno chiedere ai Sindaci resistenti ed agli altri Sindaci neoeletti (che i cittadini costringono a
schierarsi contro SAI8 o che già in campagna elettorale hanno mietuto consensi grazie a posizioni
inequivocabilmente assunte contro gli interessi del
gestore) se non ritengano opportuno verificare se
il pluricommissario non sia andato al di là delle
proprie competenze (annullando qualche delibera
dell’Assemblea, che dovrebbe comunque rispettare anche nella sua funzione di sostituto del Presidente) e, soprattutto, se non sia incorso in qualche
omissione, trascurando di dar seguito alla diffida,
motivatamente (a nostro avviso) spiccata da Bono
nell’ottobre 2010. A noi sembra che il mese di tempo
concesso da Bono per la produzione della fidejussione inesistente sia trascorso ben 20 volte. E, da profani, riteniamo che quell’atto di diffida e di messa in
mora probabilmente potrebbe risultare ancora valido, in quanto suffragato o supportato da decisioni
dell’Assemblea, non impugnabili o non invalidabili
da parte del commissario.
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Reg. Trib. di Siracusa
n° 1509 del 25/08/2009
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Abbiamo depennato quelli nati prima del 1930 e taluni che sappiamo deceduti, nessuna P5 a Siracusa
È un segreto di Pulcinella chi sono e quanto sono potenti i massoni
della nostra provincia, basta digitare su google e i nomi eccoli qua
di MONICA LANAIA
Il suo simbolo è un compasso intersecato a una squadra.
Ha fatto la fortuna di vari libri di Dan Brown. Nell’immaginario collettivo evoca antichi rituali, rigide gerarchie, uomini che determinano le sorti della società. La
massoneria, ancora oggi, fa notizia.
Gli storici sostengono che gli albori della massoneria
risalgono al XVIII secolo – anno 1717, precisamente,
Londra – , mentre i massoni raccordano la nascita del
gruppo al IX secolo a. C.: Hiram, un fonditore di bronzo abile, intelligente e capace, fu incaricato, secondo la
leggenda, della costruzione del Tempio di Salomone.
Originariamente, dunque, la massoneria era composta
da architetti e costruttori (non a caso, i simboli della
squadra e del compasso erano i loro utensili e, non a
caso, il termine ‘massone’ deriva dal francese francmaçon, cioè libero muratore): era la cosiddetta massoneria operativa. Successivamente, vennero ammessi
nella corporazione anche sacerdoti, medici e scrivani:
erano i massoni speculativi o di teoria.
In Italia, i gruppi massonici sono svariati: il Grande
Oriente d’Italia è quello con più adepti e accetta solo
uomini, così come la Gran Loggia Regolare d’Italia; la
Gran Loggia d’Italia, invece, accetta donne e uomini;
inoltre, vi sono la Gran Loggia Phoenix degli ALAM,
la Federazione italiana dell’Ordine Massonico Misto
“Le droithumain”, la Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia; seguono moltissime altre logge minori,
nate da scissioni da logge maggiori. Ogni loggia è retta
da un Maestro Venerabile, eletto tra i fratelli che abbiano raggiunto il grado di maestro massone (il terzo
grado iniziatico, dopo quello di apprendista muratore
e compagno d’arte); più logge formano un Oriente e più
Orienti una provincia massonica; tutte le logge formano un’Obbedienza, presieduta dal Gran Maestro, eletto
dai Maestri Venerabili di tutte le logge.
Leggende, simbolismi, intrighi come quelli de “Il simbolo perduto” di Dan Brown? La domanda è: quanto,
in concreto, influiscono queste corporative – più o meno
segrete – sulla nostra società?
Garibaldi, Crispi, Zanardelli, Carducci, Pascoli, Diaz,
Badoglio furono massoni. Non Mazzini, il dato storico
è appurato, ma la massoneria ebbe una sicura influenza sull’unità d’Italia, quantomeno “favorì la coesione
tra i futuri italiani che partecipavano a logge sparse su
tutta la penisola, creò un collante tra uomini, progetti
e città”, come afferma Giuliano di Bernardo, fondatore e primo Gran Maestro della Gran Loggia Regolare
d’Italia.
Sia chiaro, nella massoneria non vi è nulla di illegale:
l’articolo 18 della nostra Costituzione riconosce e tutela il diritto di associazione dei cittadini, senza autorizzazione, per fini non vietati dalle leggi. Il secondo
comma dell’articolo 18, però, specifica: le associazioni
segrete sono vietate.
Le logge massoniche presenti nel nostro ordinamento
hanno assunto lo status di associazioni non riconosciu-
te, previsto dall’articolo 36 del codice civile. In questo
senso, la massoneria non ha nulla di negativo: è un
ordine che mira al ‘perfezionamento dell’umanità’, che
raggruppa adepti che condividono determinati principi
morali, etici e spirituali, quali la necessità di conoscere
se stessi (nosce te ipsum) e ricercare la verità, la fratellanza tra gli uomini senza distinzione di nazionalità,
razza o credenze, la lotta contro ogni forma di ignoranza; la massoneria, non essendo una religione, lascia
liberi i propri affiliati e proclama la libertà dell’uomo,
pur riconoscendo un ente creatore, il Grande Architetto dell’Universo (analogo a quello dei deisti illuministi).
In teoria, la massoneria vieta di parlare di politica.
Ed ecco la dolente nota. Cosa accade quando gruppi
più o meno massonici, più o meno segreti, più o meno
accomunati da quei principi di fratellanza e libertà, si
fondono con interessi politico-economici?
Succede che sorge una P2. L’originaria Propaganda
massonica era una loggia del Grande Oriente d’Italia,
fondata alla fine del XIX secolo, per garantire maggiore segretezza agli affiliati più importanti; la Propaganda Due nacque, invece, dopo la seconda guerra
mondiale e, nel 1975, Licio Gelli ne divenne Maestro venerabile. Gelli riunì
vari esponenti politici e amministrativi e contribuì alla redazione
del cosiddetto piano di rinascita
democratica: l’idea era quella
di introdurre un autoritarismo
legale, al posto degli apparati
democratici.
Lo scandalo fu grande e, nel 1981,
la corte centrale del Grande Oriente
di Italia espulse Gelli dal gruppo massonico.
Alla P2 seguì la P3: fra gli indagati anche il coordinatore del Pdl Verdini, il senatore Dell’Utri, il coordinatore
del Pdl della Campania Cosentino, svariati magistrati
e politici. L’accusa: associazione segreta (in violazione
del secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione)
che sarebbe servita da punto di riferimento per vari
imprenditori e politici per ‘pilotare processi e influire
sulle nomine dei componenti degli organi dello stato’.
L’inchiesta, partita da vari impianti per la produzione
di energia eolica in Sardegna, ha messo in luce un ingente giro di soldi finiti in parte nella banca di Verdini (il
Credito Cooperativo Fiorentino), in parte all’estero per
ottenere gli appalti per l’eolico.
E, chiaramente, alla P3 è seguita la P4: associazione a
delinquere, reati contro la pubblica amministrazione e
l’amministrazione della giustizia. Indagati il deputato
Papa del Pdl e Bisignani; quest’ultimo – già membro
della loggia P2 di Gelli, già condannato nella sentenza
Enimont (era il postino della maxi-tangente), già grande amico di Gianni Letta – sembra sempre comparire
dietro ogni questione importante, dietro ogni mossa
politica e ogni ascesa economica (da ultimo, per dirne
una, si mormora sia amico del neo direttore generale
della Rai, Gubitosi).
Infine, tornando agli aspetti leciti della massoneria,
esiste il Gruppo Bilderberg: si tratta di un incontro
annuale al quale partecipano politici, esponenti dell’economia e della finanza, banchieri, imprenditori, giornalisti; tra i membri italiani si annoverano gli Agnelli,
De Benedetti, Ferruccio De Bortoli, Lilli Gruber,
Mario Draghi e Mario Monti, Prodi, Tremonti, Carlo
Rossella, Tronchetti Provera, Ignazio Visco. Si entra
solo se invitati (infatti, pare che lo staff della security
abbia malmenato l’europarlamentare Borghezio che si
era impuntato ad assistere alla riunione), le date e i luoghi degli incontri sono pubblicizzati, ma la stampa non
è ammessa e nulla trapela dei contenuti del meeting. I
temi trattati sono vari: economici, militari, politici; le
location hotel di lusso in Europa o negli Stati Uniti; le
teorie del complotto mai sopite tra i ‘comuni mortali’
che non partecipano agli incontri (in primis Borghezio:
“E’ una società segreta che prende decisioni rilevanti
senza il controllo popolare”).
La prima conferenza si tenne nel 1954,
appunto presso l’Hotel de Bilderberg
in Olanda; nel 2011, la sede è stata
Saint-Moritz, mentre quest’anno
l’incontro si è svolto a Washington i primi di giugno. Perfezionamento dell’umanità, in
ossequio a principi di libertà e
fratellanza o manovre politiche
occulte? Teoria del complotto, democrazia borderline, decisioni prese
all’insaputa dei più? Quanto sopravvivono gli ideali della massoneria, sempre più
inquinati dagli interessi immanenti?
Cos’è, oggi, la massoneria? Ma soprattutto, chi sono i
massoni? Anzi, chi sono i massoni della nostra città?
Che a Siracusa e nei comuni della provincia alcuni
adepti ostentassero la loro adesione è dimostrato dai
simboli massoni in bassorilievo sulle pareti d’ingresso
dei palazzi e palazzotti del capoluogo e dei comuni.
Anche a Palazzolo Acreide, lungo il corso, ce n’è uno
con scultura di squadra e compasso. Ma, negli ultimi
decenni, a vantarsene erano sempre di meno per la diffusa convinzione popolare di logge appartate, di riti
coi cappucci, di pratiche esoteriche. Nelle chiacchiere
da bar la massoneria, anche quella siracusana, sapeva
di pi qualcosa finalizzata a favorire carriere e affari.
Insomma, si aveva la sensazione che sempre più gli affiliati cercassero di starsene al coperto, lontani da occhi
indiscreti.
E invece scoprire chi sono i massoni di questa provincia
non è difficile, anzi è un segreto di Pulcinella: è sufficiente digitare su Google ‘elenco massoni italiani’ per
trovare la lista. Ecco i siracusani, con l’avvertenza che
abbiamo depennato quelli nati prima del 1930 (in ragione della veneranda età) e taluni che sappiamo sicuramente scomparsi, mentre degli altri non conosciamo chi
sia ancora in vita:
Paolo Ambrogio, nato nel 1938; Giovanni Annino,
nato nel 1949, avvocato; Roberto Annino, 1961; Franco Arcostanzo, 1930, assicuratore; Balistreri (nome
mancante, ndr), nato nel 1940 ad Augusta; Giuseppe
Belvedere, nato nel 1951 a Francofonte; Santo Bengasi,
classe 1945, commerciante; Vittorio Broggi, pensionato; Italo Buffardece, pensionato; Giancesare Cacciola,
1942, impiegato; Maurizio Cantarella, nato nel 1959
a Carlentini; Angelo Carnemolla, 1943 impiegato;
Corrado Carnemolla, nato nel 1940 a Noto, imprenditore; Giampiero Castelli, 1956, libero professionista; Francesco Casto, 1937, medico; Antonino Cianci, 1931,commerciante; Giovanni Conigliaro, 1948,
commerciante; Giuseppe Consiglio, 1953; Nunzio Di
Bartolo nato nel 1955 a Palazzolo Acreide, radiologo;
Carmelo Di Mauro nato nel 1955 ad Augusta, impiegato (solo una omonimia con il nostro collaboratore); Paolo Dugo, 1948, impiegato; Giovanni Esposito, 1932;
Salvatore Esposito, 1959; Ciro Fede Catania, nato
nel 1936 a Noto; Alfonso Felicella, 1939, impiegato;
Pasquale Fransoni, 1944, rappresentante; Francesco
Gallo, nato nel 1945 a Palazzolo Acreide, avvocato;
Paolo Gallo, nato nel 1952 a Palazzolo Acreide, imprenditore; Carmelo Gennaro, impiegato; Sebastiano
Geraci, pensionato; Francesco Grande, nato nel 1935
a Rosolini, insegnante. Emanuele Imbrò, commercialista; Luigi Lacagnina, agente di viaggi; Michele Lamia,
nato nel 1948 a Melilli, impiegato; Giacinto Lo Faro,
1956; Salvatore Lucifora, 1939; Maurizio Macrì nato
nel 1960; Vincenzo Majorca, 1931; Giovanni Marischi,
medico; Sebastiano Maugeri, 1952; Paolo Menta, 1931,
assicuratore; Antonio Messina, classe 1937, avvocato;
Vincenzo Mezzasalma, 1943, impiegato; Antonio
Nicoletta nato nel 1941 a Floridia, impiegato; Carlo
Panico; Roberto Pasqua nato nel 1954 ad Augusta,
procuratore legale; Michele Patti; Antonio Pennuto
nato a Belvedere, industriale; Luigi Piccione, avvocato; Francesco Picone, 1947, impiegato; Pili (nome
mancante, ndr), nato nel 1932 ad Augusta; Armando
Pizzo, nato a Palazzolo Acreide, architetto; Sebastiano
Purpura, 1944, doganiere; Antonio Randazzo, 1956;
Gaetano Russo; Francesco Saetta, 1958, procuratore
legale; Sebastiano Salonia; Biagio Scandurra, 1948,
medico; Antonino Scandurra, 1950; Roberto Scarselli,1947, imprenditore; Gaetano Scimò Gaetano, 1933,
impiegato; Giuseppe Scimò; Pietro Sesta, commerciante; Salvatore Sesta, commerciante; Sicari (nome
mancante, ndr), nato nel 1933 ad Augusta; Francesco
Sullo nato a Palazzolo Acreide; Angelo Trigilio, nato
nel1960 a Francofonte, medico; Giuseppe Paolo Tringali, nato nel 1952 ad Augusta, medico; Vincenzo Valvo nato a Palazzolo Acreide, avvocato.
ll sacerdote: “Il Corpo di Cristo”. Fui invasa da una forza devastante
Infransi gli specchi dell’apatia, deposi il regno del nulla. Urlai: “Amen”
I canti producevano un certo calore in quella piccola
sala amena. Parlavano di Dio e di uomini ingrati che
ne sfigurano l’essenza portando senza merito il nome
insolentito di “Cristiani”.
La mensa di nudo cemento troneggiava al centro
dell’ambiente, addobbata da qualche mesto niveo fiore
e tutti noi, seduti attorno, fungevamo da diadema vivo
e travagliato per le invocazioni del presbitero che levava
le braccia al cielo, aprendo la sua ampia tunica bianca
in un solenne saluto. Eravamo soli al centro della notte
e ognuno custodiva in sé una favilla particolare di dubbio o di speranza, di orgoglio o di oppressione… Sola,
io vedevo in me il fuoco ridursi a fiaccola, la fiaccola a
brace, la brace a cenere; impotente, osservavo il ricamo
dei paramenti per impedirmi di scrutare più a fondo
nel mio intimo: mi imponevo il nulla.Parole mistiche
e sferzanti mi frustavano l’anima, ma presto fuggivano
all’acre contatto con il mio cuore logoro e indolente.
Poi un vento arido, crudele, mi trapassò lo spirito,
cancellando da me ogni traccia di Dio. Mi ritrovai
sola, a combattere contro dei fantasmi più forti di me,
aggrappata ad una caduca rupe, ad un velo che mi si
era disteso sugli occhi, appannandone l’orizzonte. Ma
il velo si squarciò con uno spasimo sordo e penetrante.
Provai il vuoto. Chiamai “Dio”, “Signore”, “Gesù”,
ma trovai solo altre oniriche illusioni che mi si para-
rono davanti costringendomi al mendace disincanto di
chi nasconde a se stesso la propria identità per appropriarsi della fallace nomina di adulto. Lottai contro un
nemico che non conoscevo, o che non volevo individuare in me stessa. Le lacrime mi ingrossarono le palpebre,
si impigliarono tra le ciglia e scesero giù lungo il viso,
mentre il mio petto era scosso da violenti singhiozzi.
Ero sconvolta, strappata, contratta; il mio corpo era
una scatola vuota, il cui contenuto era stato gettato in
pasto ai cani, e non sapevo il perché. Vedevo una croce;
vi ero inchiodata, legata, condannata. Eppure volevo
distruggerla, smembrarla pezzo a pezzo, annodarne le
viscere, come lei in quel momento faceva con me. Tutti
mi guardavano sconcertati: io tremavo, battevo i denti e mi fregavo le braccia, come se fosse appena morto
qualcuno a me caro. Nessuno capiva che ero appena
morta io. Ero distesa sul velluto corvino, dilaniata da
un dolore spasimante, atroce, che mi consumava a poco
a poco. Poi, come la diapositiva di un vecchio film, passò davanti a me il sacerdote, distribuendo il pane. Alzò
l’ostia davanti ai miei occhi e disse: “Corpo di Cristo”.
Fui invasa da una forza devastante che inondò di luce
tutto quel vuoto che mi aveva pervaso. Infransi gli
specchi dell’apatia, deposi il regno del nulla. Urlai:
“Amen”.
Maria Emanuela, 14 anni
10
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
Dai pochi euro della presidenza Cosvis ai 215 mila annui in una società che fattura 94,6 milioni
La carriera di Assenza, manager della Sogesid dallo stipendio d’oro
che l’anno scorso ha distribuito 203 consulenze per 4,4 milioni
di MARINA DE MICHELE
Fa girare un fiume di denaro ma di essa anche a Siracusa si parla poco. Eppure al vertice della Sogesid c’è proprio un siracusano: l’avvocato Vincenzo
Assenza voluto dal Ministro dell’Ambiente, oggi ex,
Stefania Prestigiacomo, si dice, per motivi “familiari”. È uno dei manager dagli stipendi d’oro, di quelli
caduti sotto il mirino della cosiddetta ”antipolitica”. I suoi sostanziosi emolumenti sono dovuti anche
al fatto che somma in sè una doppia carica: quella di
presidente della società e insieme di amministratore
delegato, una sovrapposizione espressamente consentita dallo statuto.
La sua remunerazione arriva così, come si può leggere nell’elenco reso pubblico dal ministro Brunetta, alla quota di 144 mila euro l’anno, ma si tratterebbe di una riduzione rispetto ai precedenti 184
mila (anche per i super manager è tempo di sacrifici!). In altri atti però, quelli della Corte dei Conti, il
compenso riportato per le funzioni di presidente è di
27 mila euro e di 230 mila per quelle di amministratore delegato cui va aggiunto un emolumento variabile, di importo annuo lordo massimo pari al 30%
del compenso fisso, che spetta in caso di raggiungimento integrale degli obiettivi annuali definiti dal
Consiglio di Amministrazione, o in misura minore
in caso di raggiungimento solo parziale degli obiettivi stessi. Forse è alla luce di queste variabili che si
spiega la cifra di 215.123 (netti?) di cui si è ultimamente parlato ma qualsiasi calcolo preciso appare
impossibile.
Solo una voce comunque rispetto ai costi complessi-
vi del consiglio di amministrazione della Sogesid: 5
membri, in carica per tre esercizi - quello attuale è in
carica dal mese di aprile 2011 (triennio 2011-2013) –
(3 su designazione del Ministero dell’ambiente e 1
ciascuno su designazione rispettivamente del Ministero dell’economia e di quello delle infrastrutture
ma si badi bene indicati “sulla base di determinati
requisiti etici e di professionalità”), che nel bilancio
pesano per 311 mila euro. Tra di loro l’avvocato Luigi Pelaggi, capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente, che per la pluralità di incarichi
viene considerato “persona ubiquitaria e supercapace: avvocato a Roma, commissario all’emergenza
idrica alle Eolie, membro del CdA di Sogesid e del
CdA dell’Acea di Roma”, personaggio emergente,
molto discusso e senza il quale sembra che il ministro non abbia mai fatto nulla. A definirlo un epiteto: “il Bertolaso delle emergenze ambientali”.
Tra le voci del bilancio circostanza curiosa è che
sia lo stesso cda, attraverso un proprio “comitato
interno”, a stabilire le remunerazioni cui hanno
diritto i consiglieri, 13.300 euro ciascuno, e ancora più inspiegabile, alla luce delle informazioni in
nostro possesso, il fatto che i membri del comitato,
in quanto investiti di tale gravoso compito, percepiscano altri 4.050 euro.
Ma poi si deve retribuire anche il Presidente del Collegio sindacale, e sono altri 25 mila per le funzioni di controllo contabile (la società non ha infatti
l’obbligo della redazione del bilancio consolidato) e
quello degli altri due membri: 18.076 euro. Fanno
un totale di 61.152.
Invece, nell’organismo di vigilanza, nominato dal
Consiglio di amministrazione, le cui funzioni sono
appunto quelle di “vigilare sul funzionamento e
l’osservanza del modello di organizzazione e di curarne l’aggiornamento”, il compenso è di 20 mila
euro per il Presidente e di 14.460 e 80 centesimi per
gli altri due membri.
Però “i componenti degli organi sociali non percepiscono gettoni di presenza dei quali (sic) lo statuto
(art. 19, comma 2) pone un espresso divieto”: alleluia!
Niente si dice dei compensi del Dirigente preposto
alla redazione dei “documenti contabili societari”
(sempre scelto dal consiglio di amministrazione) e
di altre figure di secondo piano.
E questa è solo la struttura apicale. Per fortuna la
Sogesid dà lavoro a un bel po’ di persone con “indici
molto bassi di assenteismo progressivamente e notevolmente diminuiti dal 2007 al 2012” si riferisce
con una certa soddisfazione. Gli ultimi dati certificati, quelli del 2009 e 2010, vedono un aumento dei
lavoratori a tempo determinato da 48 a 64 unità e a
tempo indeterminato da 40 a 48.
Il costo del lavoro è così passato dai 5.803 milioni
del 2009 ai 7.128 milioni del 2010, e ancora il problema non è questo perchè “oltre al personale con
rapporto di lavoro dipendente, la società fa largo
uso di collaborazioni con contratto a progetto e
a partita Iva” ma - si dice - grazie a una riduzione
dovuta a processi di stabilizzazione per eliminare
potenziali contenziosi ‘con elevata probabilità di
soccombenza’ ” dal 2009 al 2010 siamo scesi dalle
372 alle 336 collaborazioni.
Questo nel 2010, perché dal sito istituzionale risultano 203 consulenze assegnate l’anno scorso, 57 ancora attive, per un valore complessivo di 4 milioni e
359 mila euro: in media 21.500 euro a incarico, quasi sempre di durata inferiore a un anno. Consulenze
tra le più disparate ma soprattutto assegnate per la
redazione di studi, piani, programmi, progetti relativi a tematiche idriche, ambientali, di bonifica e
dissesto idrogeologico, incarichi legali e altro.
Eppure, se anche l’incidenza del costo del lavoro sul
bilancio consuntivo è pari al 37%, ciò che conta è
l’andamento del portafoglio commesse, passato dal
valore di 54.808.137 euro nel 2009 a 94.633.680 nel
2010. Una bella crescita non c’è che dire.
Secondo il PD, progettazione esecutiva e direzione lavori alla Sogesid confliggono con i controlli ministeriali
Una SpA potentissima che ha attività in molti settori dell’Ambiente
e può fare tutto in quasi assoluta libertà, tipo modello Bertolaso
Ma cos’è la Sogesid? Di cosa si occupa? Che cosa ha
a che fare con la nostra provincia?
La Sogesid è una società per azioni (di proprietà
del Ministero dell’Economia) nata nel 1994 per la
gestione, in regime di concessione, degli impianti
idrici prima detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno.
Con l’esaurirsi dei compiti relativi a questa funzione, un primo ampliamento di competenze si ha nel
1995 quando la legge 341 ne modifica la missione
rendendola organismo strumentale del Ministero
delle Infrastrutture e Trasporti, per le funzioni di
istruttoria, supporto tecnico, organizzazione e
monitoraggio nel settore idrico. Così la società ha
esteso la sua attività al resto d’Italia, effettuando
la ricognizione dello stato delle infrastrutture acquedottistiche, fognarie e depurative in 27 Ambiti
Territoriali Ottimali - un’area che comprende 1.935
comuni e una popolazione residente di circa 18,5
milioni di abitanti – e predisponendo i Piani d’Ambito per 25 ATO.
Ma è nel dicembre 2006 il vero cambio di passo. È
la legge 296 infatti a conferire alla Sogesid la sua
attuale fisionomia, rendendola strumentale anche
“alle esigenze e finalità del Ministero dell’Ambiente
e della tutela del territorio e del mare”. Con la modifica dell’art. 4 dello statuto sociale vengono indicate
tutte le nuove mansioni e le attività tecniche ad essa
attribuite in alcuni settori. In realtà si tratta di tutti
i settori del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Mare e del Territorio (risorse idriche, bonifiche,
rifiuti, difesa del suolo, protezione della natura, sviluppo sostenibile, salvaguardia ambientale, ecc.) e
di alcuni del Ministero delle infrastrutture (accordi
di programma per il trasferimento delle risorse idriche, completamento ed integrazione degli schemi
idrici, fognari ed irrigui, ecc.).
La Sogesid può veramente fare di tutto, ma soprattutto lo può fare in quasi assoluta libertà.
Viene infatti previsto che la società, in quanto società “in house” del Ministero dell’ambiente, può non
solo tramite convenzioni fornire assistenza e prestazione di servizi ma anche, da stazione appaltante,
non avere l’obbligo di ricorrere all’esperimento di
procedure di evidenza pubblica.
Siamo di fronte al modello bertolasiano della Protezione civile ed è infatti proprio su questo aspetto
che si sono concentrate le molte critiche provenienti
da più parti, sebbene proprio la sua natura, anche
secondo le autorità comunitarie chiamate in causa,
renderebbe tutto ciò lecito.
Ma ovviamente, per rispondere alle tante funzioni inerenti al suo oggetto sociale, non avendo allo
scopo una dotazione stabile di personale, la società
non può che ricorrere a contratti di progettazione,
studio, consulenze, affidamenti esterni. Il costo di
questi servizi nel 2009 ha inciso sul valore di produzione per il 59% (12.849 Meuro) e del 62% sui costi
totali, mentre nel 2010, con lieve flessione, rispettivamente per il 56% (11.341 Meuro) e per il 58%.
Alcuni deputati del PD hanno recentemente presentato al governo un’interpellanza parlamentare per
sapere se sia opportuno da una parte, per favorire
un regime di libera concorrenza, imporre ad enti
locali e regioni di limitare il ricorso a procedure
di affidamento in house, dall’altra lasciare libera la
Sogesid di effettuare essa stessa attività di progettazione esecutiva e direzione lavori in palese conflitto
d’interessi con i compiti autorizzativi e di controllo
attribuiti al Ministero dell’Ambiente. Un’entrata
a gamba tesa nel libero mercato della concorrenza
quindi, che sottrarrebbe le sempre più residue possibilità di lavoro a chi opera nel settore dell’ingegneria ambientale, professionisti e imprese, grazie a
una presenza invadente e non controllata.
Non solo: la Sogesid, in quanto non compresa nell’elenco degli enti inseriti nel conto consolidato della
pubblica amministrazione, è svincolata anche dalle
norme sul contenimento della spesa pubblica il che
significa non riconoscere alcun limite alla sua potenzialità di spesa, nessun cappio come quello del
patto di stabilità cui sono invece sottoposte le altre
pubbliche amministrazioni.
E suona quindi come una boutade la considerazione sui risparmi operati dalla società in merito alle
relazioni pubbliche, ai convegni, alle mostre, pari
nel 2009 a 10.148,25 euro (somma inferiore al 50%
di quella sostenuta nel 2007 per le stesse finalità:
quindi nel 2007 si erano spese oltre 20mila euro per
pubblicità e rappresentanza!) e diminuite nell’anno
2010 a 7.915,85. O anche il fatto che la Società abbia
provveduto a dotarsi di autovetture di cilindrata
inferiore a quelle già acquisite per il Presidente e
l’Amministratore delegato – che poi sono la stessa
persona e si spera quindi che, date le due diverse funzioni, non siano necessarie due autovetture diverse
- e per il Direttore Generale.
Infine l’ultimo elemento di preoccupazione: quello
che la Sogesid, più che sovrapporsi ad altri organismi duplicandone le funzioni, li fagociti direttamente. Già nel luglio del 2008 un deputato dello stesso
schieramento della Prestigiacomo, Ugo Lisi, tramite un’interrogazione parlamentare aveva chiesto al
ministro di mettere in liquidazione la società o “in
alternativa, di porre in essere azioni per ridefinire
il piano industriale della stessa, in modo da evitare
possibili sovrapposizioni o duplicazioni di strutture o organismi pubblici”. A distanza di qualche
mese, prima il parlamentare Roberto Della Seta, e
poi altri deputati tra cui Ermete Realacci del Pd, ne
avevano chiesto la soppressione o quantomeno il ridimensionamento, ancora una volta al fine di evitare
“sovrapposizioni di competenze con quelle proprie
dell’lspra” nonché una presa di distanza da attività
fumose e incomprensibili come la “costituzione di
un Polo ambientale della conoscenza”.
A differenza degli enti di ricerca infatti la Sogesid si
presenta sul mercato con una forza contrattuale decisamente maggiore rispetto alle altre concorrenti
avendo la possibilità di risparmiare su tempi e trasparenza, libera com’è di non indire gare d’appalto e
di poter poggiare su una filiera di subappalti lontani da ogni controllo grazie a quel sistema che ha già
mostrato il meglio di sé con gli scandali che hanno
travolto la Protezione civile.
Dopo aver di fatto accorpato le funzioni dell’Icram
(Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare), piccolo ente di ricerca da
molti considerato un gioiello della scienza ambientale italiana per l’alta professionalità del suo personale, confluito nel 2008 nell’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) insieme
all’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e
per i servizi tecnici) e all’Infis (Istituto Nazionale
per la Fauna e Selvatica), la Sogesid sembra voler
fagocitare lo stesso Ispra con una “sovrapposizione
di ruoli e di attività contraddittoria rispetto all’esigenza di utilizzare al meglio le risorse umane, tecniche ed economiche della pubblica amministrazione”
– come si legge nell’ultima interrogazione dei parlamentari del PD.
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
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Nel SIN di Priolo sono state già effettuate le attività previste nella Convenzione con il Commissario
Nelle bonifiche gli appetitosi interessi della Sogesid nel Siracusano
dalla rimozione dei sedimenti nel porto di Augusta a penisola Magnisi
È la Sicilia uno dei campi di gioco della Sogesid.
Fino al 2008 spettava al Ministero occuparsi della
gestione dei fondi stanziati per la tutela dell’ambiente, per far applicare quel principio di civiltà
che vorrebbe che a pagare per i disastri ambientali, per inquinamento e dissesto, fossero, così come
accade in qualsiasi altro settore, i responsabili dei
fatti. Ma nell’accordo di programma del novembre
2008, chissà perchè, ad occuparsi delle bonifiche del
Sin Priolo (sito di interesse nazionale) viene chiamata proprio la Sogesid insieme, ma si fa per dire,
con l’Ispra, l’Iss e l’Arpa Sicilia. Un settore appetibile, estremamente appetibile quello delle bonifiche
sull’intero territorio nazionale. 50 le aree di interesse che necessitano di interventi di bonifica urgenti:
36 industriali, 8 discariche, 6 con inquinamento da
amianto. 316 i Comuni coinvolti che in termini di
popolazione significano circa 7 milioni di abitanti.
Le risorse finanziarie stimate per le bonifiche (relative a 41 siti) ammontano a circa 3 miliardi di euro.
Il protocollo d’intesa per i progetti che riguardano
la bonifica dei fondali della rada di Augusta viene
sottoscritto a Roma nel luglio 2011 dal Ministero
dell’Ambiente, da quello delle infrastrutture, dalla
Regione, dal commissario per le bonifiche in Sicilia,
Dario Ticali, dall’Autorità portuale di Augusta,
con Aldo Garozzo, e dalla Sogesid, presieduta da
Vincenzo Assenza.
Il protocollo assegna proprio alla Sogesid l’incarico
per la progettazione con una copertura finanziaria
già disponibile di 34.500 milioni di euro, cui si aggiungono 50 milioni del ministero dei Trasporti che
rientrano nell’Accordo di programma per realizzare
le infrastrutture del porto di Augusta. Siamo ben
lontani dai 770 milioni stimati per l’intervento nel
suo complesso, ma si può iniziare. Il protocollo per
risolvere “salomonicamente” l’ostacolo posto dalle
industrie del petrolchimico, per nulla intenzionate
ad assumere l’onere della responsabilità dell’inquinamento e soprattutto della spesa, prevede “opportunamente” un iter che anticipi “l’attività di bonifica su un primo stralcio della rada, per dare seguito
alle istanze presentate dalla Procura sulla base di
una specifica relazione che, pur sottolineando che
meglio sarebbe non toccare nulla, apre all’ipotesi
di una rimozione di circa un milione di metri cubi
di sedimenti”. Un quantitativo destinato a raddoppiare, secondo molti, e d’altra parte i sedimenti troveranno la loro sistemazione nelle casse di colmata
che serviranno per la costruzione di nuove banchine
commerciali. Qui si realizza magnificamente la sinergia tra Ministero dell’ambiente e Ministero delle
infrastrutture, anzi meglio: qui può trovare la sua
massima manifestazione la professionalità espressa
dalla Sogesid.
I due interventi, quello di bonifica e quello di realizzazione delle infrastrutture, devono procedere
contemporaneamente, all’unisono.
In attesa di acquisire più specifiche informazioni
sullo stato dei lavori, sugli appalti eventualmente
avviati, ciò che è certo, perché ufficiale, è che nel
SIN di Priolo sono state già effettuate le attività
previste nella Convenzione sottoscritta con il Commissario Delegato, in particolare, una prima stesura del progetto di messa in sicurezza e bonifica della
falda acquifera prospiciente la Rada di Augusta e
lo studio di fattibilità già consegnato al Ministero
dell’ambiente. Al fine di consentire la progettazione
preliminare è stato anche redatto il piano di indagini geognostiche, geotecniche ed ambientali, che
hanno consentito la redazione della progettazione
della messa in sicurezza della falda ed è stato redatto
il documento preliminare alla progettazione per la
riqualificazione delle aree a terra per la miticoltura
e degli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei
sedimenti del Porto Piccolo e del Porto Grande di
Siracusa. Queste le date delle consegne: il 22 marzo
2011 il progetto preliminare della falda prospicente
la Rada di Augusta, il 6 aprile il progetto preliminare di bonifica della falda all’esterno della rada di
Augusta e il 20 luglio il progetto definitivo della
bonifica della falda prospicente la Rada di Augusta
nonchè il il progetto preliminare (IIª fase) della bonifica a sud della Penisola Magnisi. Per quanto poi
concerne la bonifica dei sedimenti della Rada di Augusta, la Sogesid ha predisposto per il Commissario
buona parte del progetto preliminare della cassa di
colmata e dei dragaggi.
Per le attività di progettazione, direzione lavori,
compensi RUP, validazione progetti, collaudo delle
opere, sono stati previsti 6,65 mln, di cui 1,09 mln
di competenza 2011.
Un lavoro corposo quindi, che ricalca quasi passo
passo quanto la Sogesid sta realizzando anche nel
porto di Taranto (sperando che laddove necessario
si operino gli opportuni distinguo e non si cada in
effetti specchio come accaduto in passato nella predisposizione di altri piani ambientali).
Quali imprese o quali studi tecnici abbiano materialmente elaborato tutto ciò è un mistero, tutto
da scoprire. Vengono alla mente però gli ultimi
avvenimenti che hanno riguardato il SIN Trieste. È
una cronaca del marzo scorso: protagonista l’ex sottosegretario all’ambiente Roberto Menia di Futuro
e libertà. «Il ministro Corrado Clini – commenta
Menia - usa parole forti: “mercato” a proposito delle bonifiche. Ma dice il vero. C’era un giro di professionisti espertissimi che arrivavano al ministero con
le loro soluzioni… Si chiedevano i soldi del danno
ambientale, e i lavori di bonifica venivano affidati
alla Sogesid. Tutto si lega. Mi risulta che ora vi siano indagini in corso su Sogesid… Si parlava di una
stima del “danno” elaborata dal Ministero stesso.
Impossibile, io dissi, il Ministero non ha fatto nessuna stima. Si scoprì che era stata redatta da uno
studio “legato” al Ministero dell’Ambiente...”.
Innovativo progetto degli allievi dello “Juvara” premiato dalla Provincia di Siracusa
Muratore: “Sul web un’autentica agenzia di lavoro per i diversabili
Si presentano alle imprese come persone su cui costruire competenze”
Tra i concorsi patrocinati dai ministeri alle Attività Produttive e alla Pubblica Istruzione e proposti
dall’ufficio Artigianato Industria Commercio della
Provincia Regionale di Siracusa vi è il “Crea l’impresa” che rappresenta un momento importante per la
crescita individuale degli studenti nel campo dell’imprenditorialità agevolando nei giovani il processo
dell’auto-imprenditorialità e favorendo la nascita di
nuove imprese giovanili. I ragazzi delle scuole provinciali partecipanti hanno redatto un piano d’impresa
su un prodotto da loro stessi individuato e sul quale
una commissione ad hoc ha poi valutato e scelto di premiare il miglior business plan. Tra questi, in seconda
posizione, si sono classificati gli allievi dell’Istituto
“F.Juvara” di Siracusa con un lavoro che ha proposto
la costituzione di una società di servizio denominata
“Superabile”, con l’obiettivo di utilizzare una piattaforma gratuita che presenti candidati diversamente
abili al mondo delle imprese e che permetterà di valorizzare l’unicità dei candidati agli occhi delle aziende.
In una società ricca di leggi che tutelano le differenze
ed una realtà che non sempre le applica, la scuola dimostra ancora di fare la differenza con le sue proposte,
i suoi giovani e chi li segue. Si tratta di un’idea tutta
siracusana che non sarebbe male che le aziende locali
attenzionassero. Ne abbiamo parlato con il professore
tutor Antonio Muratore.
Professore Muratore, da dove nasce l’idea di questo
progetto?
“Nei primi giorni del mese di marzo dell’anno 2012
navigando su internet abbiamo potuto leggere il seguente articolo: “I disabili sono un peso, siamo aziende e non servizi sociali!” e addirittura un gruppo su
Facebook (e un sito web) invitano a cacciare gli handicappati dalle imprese. Ma è solo una “trollata”, ben
fatta. La lettura dell’articolo sopra riportato, vero o
falso che sia, ha aperto in noi una discussione e fatto
sorgere molteplici interrogativi sull’effettiva possibilità di un cambiamento culturale, secondo cui ogni
persona, disabile o normodotata, può ugualmente
essere produttiva se inserita in un posto di lavoro che
sia compatibile con le proprie capacità e competenze.
In tale contesto si inserisce la creazione di un’agenzia
di lavoro per disabili”.
Parliamo dell’idea imprenditoriale
“Premesso quanto detto in precedenza a proposito
della nascita dell’idea imprenditoriale, la realtà produttiva da realizzare nel nostro territorio riguarda
la nascita di una piattaforma gratuita che presenta
candidati diversamente abili al mondo delle imprese.
L’intento imprenditoriale è preciso: uscire dal circolo
vizioso della “bacheca” e presentare invece delle perso-
ne sulle quali costruire competenze mirate. La bacheca
costringe spesso i disabili ad accettare qualifiche non
in linea con la loro preparazione, con le loro aspirazioni e, soprattutto, con le loro potenzialità. Il servizio
di inserimento lavorativo sarà dedicato soltanto alle
persone diversamente abili che, stufe di accettare qualifiche basse nonostante le proprie capacità lavorative,
sceglieranno di mettere in luce le proprie competenze,
garantendo la massima attenzione e il massimo impegno ad occupare i propri candidati. Si tratterà di un
servizio nuovo, che permetterà di valorizzare come mai
prima la personalità e l’unicità dei candidati agli occhi
delle aziende. Il servizio sarà completamente gratuito
per i candidati disabili che vorranno inserire il proprio
curriculum e le proprie credenziali.”
In che modo si realizzerà il progetto?
“I candidati potranno parlare di loro direttamente
alle aziende, di quelli che sono e delle loro propensioni
e capacità, che non necessariamente corrispondono al
loro curriculum. Per la persona disabile l’inserimento nel lavoro è uno strumento determinante per la
definizione della propria identità personale e sociale,
così come lo è per ogni individuo. In particolare per
la persona con disabilità trovare un “giusto” lavoro
significa costruire i presupposti per una adeguata autostima, per una capacità effettiva di relazione oltre
che un grande incentivo a raggiungere e consolidare
autonomie personali e sociali. A tal fine i candidati
dovranno iscriversi ad un apposito sito web e descrivere le proprie attitudini, capacità e inserire il proprio
curriculum formativo e lavorativo. All’interno del
portale non vi sarà una semplice bacheca per l’incontro di domanda e offerta, ma si cercherà di presentare
al meglio ciascun candidato, come prima d’ora difficilmente ai disabili è stato possibile fare. Una delle
voci più importanti del curriculum sarà infatti quella
denominata “Vi parlo di me”, ed avrà lo scopo di dare
al candidato quello spazio di espressione che troppe
volte gli viene negato. Il sito, accessibile secondo gli
standard W3C, sarà completamente gratuito, anche in
caso di assunzione”.
12
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
Anche il Governo dei Tecnici cade nel tranello di curare l’immagine e comincia a partorire solo slogan
Una scuola votata al “primo” privilegia la mediocrità, non il merito
perchè mira a blasonarsi nel territorio con il nome di un vincitore
di GIAMBATTISTA TOTIS
Dopo un decennio di disinvolta politica scolastica
dal governo dei tecnici viene una proposta: valorizziamo il merito e premiamo le scuole e gli studenti migliori: ”Ce lo chiede l’Europa della cultura e
del lavoro”. Secondo il provvedimento allo studio,
in ogni singola scuola superiore verrà premiato lo
«studente dell’anno». E, inoltre, si vorrebbero premiare le scuole “migliori”. Resta da capire quali
sono le scuole migliori. Sono quelle che hanno ragazzi eccellenti, perchè seguiti dalle famiglie e provenienti da ceti sociali forti, o quelle che riscattano e formano ragazzi che senza il lavoro di quella
scuola sarebbero costretti all’emarginazione e alla
malavita? Per valutare una scuola bisogna valutare
le condizioni di partenza dei suoi alunni, le caratteristiche della zona di riferimento in termini di
estrazione sociale, di storie legate alle famiglie di
appartenenza ecc.
Che bisogna introdurre un sistema di valutazione
delle scuole è indubbio, poiché oggi nulla è fatto
in tal senso, ma quella annunciata è una strada che
appare un po’ demagogica... La questione è troppo
importante e seria per uscirsene con un annuncio
generico e pieno di insidie.
In realtà L’Europa chiede qualcosa di diverso da
quanto letto sulla stampa: chiede un sistema di valutazione serio, provvedimenti urgenti per il recupero
di chi resta indietro, strumenti e risorse per migliorare le scuole. L’Ocse, infine, ci chiede di investire
sull’aggiornamento e la riqualificazione dei docenti. Interventi esclusivamente mirati a incentivare
la competizione e garantire l’eccellenza per pochi
danno un’idea sbagliata e diversa dalla scuola della
Costituzione che, all’art 3, prevede una comunità
educante che recupera chi resta indietro e contemporaneamente stimola i migliori.
In un momento di vera emergenza , qual è quello che
stiamo vivendo, sarebbe più utile fare ciò che fanno
le famiglie: guardano a quanti soldi hanno in tasca
per darsi delle priorità, a partire dai bisogni dei più
piccoli e dei più deboli. La priorità, in questo momento, si chiama lotta alla dispersione scolastica,
soprattutto nelle periferie urbane. Questa insistenza
nell’ipotizzare un modello competitivo, senza nulla
per le emergenze e i bisogni di tutti, sembra perseguire un disegno che vede una scuola di qualità per
pochi e un nuovo vecchio modello di avviamento
professionale per tanti.
Secondo il ministro, perseguire l’eccellenza, premiare i migliori studenti, le migliori scuole avrà il
vantaggio di motivare i meno bravi, per emulazione; tutto vorrebbe concorrere a far nascere anche nel
nostro Paese l’idea che la buona istruzione procura
buon lavoro, sconfiggendo la demotivazione di studenti e docenti. La scuola è presa in considerazione,
quindi, in una logica di sviluppo, il che non è sbagliato e la proposta sembra sinceramente orientata
al bene della scuola. E tuttavia le perplessità sono
tante.
Nelle misure prospettate molto è dato per scontato;
la stessa idea di merito non è ben chiara, parola ambigua che copre di tutto: dall’impegno personale,
al talento naturale, al privilegio sociale; il merito
dovrebbe in realtà emergere dopo che sono state
alleviate le principali cause di ‘selezione naturale’
che portano alla dispersione scolastica e all’abbassamento del livello degli studi e dell’insegnamento.
Il ministro dovrebbe fare emergere dai suoi provvedimenti il nesso che non può non esserci fra l’élite
dei bravi e la società che, nel suo complesso, deve
essere composta da più persone istruite.
Andrebbe sottolineato, poi, più correttamente e
senza ipocrisie, che è la società, non solo la scuola, a dover valorizzare il merito, per permettere al
Paese di crescere avvalendosi di quelle competenze
e conoscenze maturate sui banchi. A che serve eccellere a scuola se il merito non viene poi riconosciuto
nella società e le professioni si ereditano per via familiare o per via amicale? I giovani, non vedendo
riconosciuto il proprio merito, fuggiranno con le
loro conoscenze ad arricchire un altro Paese, come,
purtroppo, avviene oggi.
Un’indagine presentata al convegno dei giovani di
Confindustria, rielaborando dati di Bankitalia,
Istat e Censis, rileva che quasi la metà dei giovani
trova lavoro solo grazie alla famiglia o agli amici.
Su 13 milioni di under 35, nove vivono ancora a casa
con i genitori e solo in due milioni hanno dei figli. A
tre anni dalla laurea il 26% non ha ancora un impie-
go e il salario medio per gli under 35 è di 1.123 euro,
cifra che scende a 1.000 per le donne. La fotografia dei giovani italiani rimanda una società ancora
molto familistica, dove scuola e lavoro appaiono
come universi non comunicanti. I salari sembrano
crescere solo con l’anzianità di servizio e non con il
merito e i giovani vengono esclusi dai posti di dirigenza. Infatti, tra i laureati che riescono a trovare
lavoro il 43% lo fa grazie a familiari e amici, il 10%
inizia un’attività autonoma e solo il 3% ci riesce tramite l’università o la scuola. E tra gli occupati con
meno di 35 anni solo il 3,8% è un libero professionista, solo il 2,3% ricopre posizioni dirigenziali e solo
lo 0,5% è imprenditore.
Il mercato è chiuso per i più giovani: alla poca flessibilità in entrata (un ragazzo di 25 anni in Italia ha
il 25% di possibilità di trovare lavoro, contro il 35%
della Germania e il 45% Gran Bretagna) corrisponde una elevata flessibilità in uscita (la probabilità di
transizione da occupazione a disoccupazione a 25
anni è del 6,3% in Italia contro il 4,1% della Germania), che diminuisce drasticamente però dopo i 35
anni (al 2,1% contro il 4% della Germania). L’Italia
è il Paese dei divari territoriali e sociali: un bambino nato al Nord partirà con un vantaggio di 68
punti nelle competenze Ocse-Pisa rispetto ad uno
studente del Sud, che tra carenza di servizi educativi
0-6 anni e mancanza di scuole a tempo pieno avrà
complessivamente frequentato due anni di scuola in
meno.
Nei Paesi in cui si registra una minore mobilità sociale, come l’Italia, si limita la produttività e la crescita economica. Infatti, l’Unione europea non chiede al nostro Paese di sfornare più eccellenze all’anno
ma di alzare complessivamente il livello di istruzione della popolazione, dimezzando la dispersione
scolastica e raddoppiando la percentuale di giovani
laureati entro il 2020. La scuola deve lavorare per
recuperare divari e svantaggi, far avere a ciascuno
studente adeguati livelli di apprendimento, conoscenza e competenza per continuare ad apprendere
per tutta la vita e per potersi confrontare con i propri coetanei europei in uno scenario globale. Per
premiare chi eccelle occorre prima offrire a tutti le
stesse opportunità.
Bisogna avviare un esame critico di quel che è ormai
diventato un paradigma dei governi italiani: mettere mano al riordino della scuola, con esiti spesso
confusi, che tagliano risorse peggiorando la qualità
del servizio, che provano a introdurre valutazioni di
merito con regole che, nel fare graduatorie di scuole,
burocratizzano il giudizio sul merito invece di renderlo trasparente.
Una scuola che è votata al “primo” è una scuola che
rischia di essere votata alla mediocrità, non al merito, perché spronata non a formare molti studenti ma
a blasonarsi con il nome di un vincitore. La scuola,
quella pubblica in primo luogo, perché scuola dalla
quale devono uscire cittadini competenti e con senso
civico, dovrebbe avere come prima vocazione quella
di neutralizzare il più possibile fattori esterni al valore individuale, cioè portare ragazzi di ogni classe
sociale e con diversi punti di partenza culturale ad
amare la conoscenza, a scoprire la propria vocazione, ad apprendere a formulare giudizi per poter
scegliere con cognizione di cause e responsabilità.
Il ministro, comunque, a seguito del dibattito seguito alle sue dichiarazioni ha corretto la rotta
precisando: “Non parlerei di merito ma di valorizzazione delle capacità e dell’impegno in un contesto
solidale” poichè “non tutti hanno la stessa capacità
e non tutti mettiamo lo stesso impegno nelle cose.
Dobbiamo valorizzare le capacità e l’impegno. Poi
possiamo fare analisi più dettagliate” portando ad
esempio quei Paesi che “valorizzano lo sforzo della
persona, analizzano da dove partono e dove arrivano che è diverso dal valorizzare l’obiettivo finale
che viene raggiunto”. Si tratta, se alle parole seguiranno fatti concreti, concetti importanti perché ad
essere valorizzato non sarebbe solo lo studente che
consegue il miglior risultato in termini assoluti ma
anche quello che realizza il migliore differenziale
nei livelli di apprendimento raggiunti nel tempo.
Impresa non facile, ma decisiva per rendere la scuola
italiana più equa: operazione che si basa non tanto
sulla (ulteriore) valorizzazione di pochi bravissimi
quanto sull’innalzamento dei livelli medi di apprendimento e sulla riduzione della distanza tra i più
bravi e i meno bravi.
l presidente avv. Frasca: “Finirà come nella RCA, nelle zone più a rischio si pagherà di più”
Consumatori Uniti: “Un balzello l’assicurazione obbligatoria
della propria abitazione per tutelarsi dai terremoti e altre calamità”
“No all’assicurazione sulle calamità. Lo
Stato toglie ai cittadini per dare alle assicurazioni?”
È questo il commento dell’avvocato Francesco Frasca, presidente dell’associazione a tutela dei
consumatori “Consumatori Uniti”, sul decreto legge
che prevede per i cittadini il pagamento di un’ulteriore
ennesima tassa. Si tratta di una sorta di “appropriazione indebita” in favore delle assicurazioni, presentata
come uno “strumento di modernizzazione”. “In pratica - prosegue l’avvocato Francesco Frasca - assistiamo
a un ulteriore lauto aiuto alle assicurazione S.p.A. E a
una ulteriore beffa a tutti noi cittadini-consumatori.
“Il Prof. Monti ha introdotto una privatizzazione uni-
ca nel genere: il risarcimento dei danni da terremoti o
altre catastrofi naturali passa alle assicurazioni.
Lo Stato, infatti, non pagherà più i danni delle case colpite e/o danneggiate da eventi naturali, chi ha i mezzi
economici per proteggersi si dovrà assicurare con una
assicurazione privata, chi non ha mezzi economici…
perderà i risparmi di una vita!
“Cari consumatori – precisa il professionista - oggi
purtroppo non è il 1° di Aprile e questa non è nemmeno
una nuova puntata di scherzi a parte, ma è l’ennesimo
decreto, rectius balzello, del 17 maggio 2012”. L’avvocato Frasca inoltre ravvisa nel citato decreto un’ulteriore disuguaglianza sociale e territoriale: “Quali
assicurazioni sarebbero disposte ad assicurare una casa
o un’azienda contro il pericolo di crolli per sisma all’Aquila o nell’Irpinia? Quale compagnia assicurativa si
dichiara pronta ad assicurare una casa contro il rischio
di calamità naturali sita a Sarno? Gli abitanti delle
zone maggiormente a rischio pagherebbero gli stessi
primi assicurativi di tutti gli altri assicurati o, piuttosto, come avviene già per la r.c.a., avremmo disparità
territoriale nell’applicazione del pagamento del premio
assicurativo? Il buon Monti anziché pensare a tagliare,
tassare, dimezzare, cancellare, perché non istituisce
una serie di borse di studio in favore dei giovani più
meritevoli per effettuare una serie di studi-progetti sulla fragilità sismica e non solo, di tutto il nostro territorio? Il Vesuvio, per esempio, è un vulcano che, prima o
poi, è destinato a riprendere la sua “mortale” attività,
il Prof. Monti come intende affrontare questa futura
calamità? Intende prevenirla liberando per esempio
tutte le abitazioni che circondano il vulcano o intende
piuttosto assicurarla? A quali costi di vite umane?”
L’avvocato Frasca saluta il governo Monti con una semplice domanda: “Le assicurazioni saranno in grado di
affrontare le calamità naturali e di far tornare in vita i
futuri sfortunati o forse è meglio lanciare appropriati
studi sismici e ambientali sul territorio e sulla sicurezza degli edifici presenti nelle zone a rischio? Per questa
domanda non si chiami però un altro tecnico; la consulenza, questa volta, è gratuita”.
Corrado Fianchino
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
e-mail: [email protected]
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Scompaiono la manutenzione del verde pubblico e lo svuotamento dei pozzi neri. Chi se ne occuperà?
L’arch. Patti: “Quello che balza agli occhi nel bando di igiene urbana
è la riduzione dei servizi a fronte di un consistente aumento del costo”
di MARINA DE MICHELE
Discussione complessa quella sul bando per i servizi
di igiene urbana, e ne comprendiamo bene i motivi.
Sono in gioco interessi enormi e già in passato sono
cadute addirittura le Giunte su una materia così spinosa. A bocce di nuovo ferme, mentre si discute su
iniziative che poi, con buone probabilità, resteranno sulla carta – la raccolta differenziata miracolosamente al 45% sin dal primo anno, anzi no meglio
pensare al 35% ma tra due anni e intanto parliamo
di rifiuti zero, un piano anche per la raccolta dei rifiuti speciali con l’assorbimento del personale Prosat ma senza aggravio di costi, una modifica al regolamento Tarsu senza parlare di Tia facendo credere
che i cittadini risparmieranno mentre è pressochè
certo che così non sarà se si conoscono i meccanismi
della nuova tariffa, e altre amenità del genere – proviamo a individuare alcune delle criticità presenti
nel bando, che non si sa se e quando si discuterà nel
merito in consiglio, con l’architetto Giuseppe Patti
di SOS Siracusa. “In verità non si comprende se ci
sia l’intenzione di discutere dell‘iter del bando in
consiglio comunale. Preferisco comunque non entrare per il momento nello specifico della proposta
in sè per sè perchè qualunque soluzione risulterebbe
migliorativa rispetto alla situazione attuale, anche
se si ha la sensazione, sgradevole, che si voglia cucire
un abito fatto apposta per qualche vecchia conoscenza. Mi interessa di più la parte che riguarda il
quadro economico“.
E la prima valutazione?
“Quella che balza subito agli occhi: una riduzione
dei servizi a fronte di un aumento del costo.
Vengono infatti eliminate alcune voci e non si sa chi
se ne occuperà nè come si procederà per individuare
l’impresa assegnataria. Per esempio la manutenzio-
ne del verde pubblico. Interessante però venire a sapere che, a fronte di una percentuale bassissima del
rapporto verde/abitante nella nostra città, si spendevano più di due milioni di euro“.
Scompare anche il servizio di svuotamento dei pozzi
neri: sembra si voglia dar adito alle lamentele dei
residenti del Plemmirio che hanno paventato per
tempo l’ipotesi di una nuova gestione, ovviamente
ben più costosa di questa, già di per sè lievitata considerevolmente.
“Infatti, sarebbe interessante capire quante chiamate sono state evase nel corso degli anni e cosa si
muova dietro. Così come sulla conduzione delle discariche controllate: anche su questa voce occorrerebbe fare maggiore chiarezza. È tutto molto vago,
molto confuso. Insomma vengono stralciati servizi
fondamentali ma che in ogni caso, dovendo necessariamente essere gestiti, rappresenterebbero un ulteriore costo per l’amministrazione comunale“.
Ma i costi salgono o scendono?
“In effetti, mentre sembrerebbe che si vada incontro
ad una diminuzione del costo del servizio, le uscite
aumentano almeno di quattro milioni di euro, soltanto in parte coperte dal contributo CONAI per il
conferimento nelle piattaforme dedicate della raccolta differenziata.
Raccolta differenziata che sui tre scenari ipotizzati (35% - 45% - 65%) vede aumentare il costo degli
investimenti e degli operatori di circa due milioni
di euro per ogni scaglione: altre esperienze italiane
hanno invece dimostrato che, benchè a livello iniziale i costi possono essere più alti, a regime si hanno
delle economie portate da una migliore gestione e
da un maggiore introito della raccolta differenziata. Non sono così convinto che sia necessario tale
maggior investimento in strutture e personale in
quanto non aumenterebbe il quantitativo di rifiuti
prodotti (fra parentesi un’aumentatata consapevolezza dei cittadini inevitabilmente porterebbe ad
una riduzione dei rifiuti) ma vi sarebbe soltanto un
diverso trattamento dei rifiuti: immagino quindi
una moderna e più efficiente gestione d’impresa. Infine, nei conti economici, si riscontra una difformità
tra il quntitativo di rifiuto trasportato e quello del
rifiuto conferito.
Di positivo invece, nelle discussioni di questi giorni,
l’idea di istituire, in questa fase così delicata, un osservatorio permanente sui rifiuti, sull’esperienza catanese, così da avviarsi veramente verso la strategia
“rifiuti zero” e supportare l’azione della pubblica
amministrazione con processi partecipati e partecipativi della cittadinanza“.
“Necessario un grande piano per l’abitare: una priorità assoluta per i lavoratori e i pensionati”
Zanghì (Sunia): “Costi altissimi per gli affitti e i giovani restano in famiglia
Abitazioni al limite dell’abitabilità per gli immigrati a prezzi di vera usura”
di MARINA DE MICHELE
L’essere proprietari della propria abitazione è sempre stato un fattore di riscontro del benessere economico
degli italiani e d’altra parte, più che in altri Paesi, questo sogno è quasi radicato nel nostro dna, un obiettivo per il quale si è disposti ad affrontare sacrifici e impegni a lunga scadenza. Ma non per tutti si tratta di
un’aspirazione possibile: un’ampia fascia di popolazione sa che non potrà mai raggiungere un tale obiettivo.
Per questi cittadini rimane la necessità di rivolgersi al mercato degli affitti e qui si
incontrano le difficoltà più incredibili: scarsa disponibilità di alloggi e proposte alle
stelle.
In realtà, come fa notare il Sunia-Cgil, mentre altrove in Europa, con livelli di edilizia in affitto molto più consistenti, si portano avanti progetti di incremento dell’offerta di abitazioni in locazione a canoni calmierati e sociali, qui da noi le risposte
sono affidate quasi esclusivamente a un mercato ingovernabile e senza regole che,
oltre a colpire i soggetti più deboli, ha riflessi negativi sulla stessa struttura produttiva del Paese. “Decine di migliaia di giovani sono impossibilitati a fuoriuscire dalla
famiglia e ciò comporta un ingessamento complessivo della società mentre si diffondono anche forme intollerabili di sfruttamento dei lavoratori migranti con un’offerta di abitazioni al limite della abitabilità e a prezzi da vera usura - ragiona Salvatore
Zanghì -. In un Paese con oltre il 70% di proprietari della propria abitazione, con un
patrimonio abitativo pubblico pari al 5% del totale, con la liquidazione di tutte le
altre grandi proprietà immobiliari che avevano alloggi in affitto a prezzi sostenibili,
è necessario un grande piano per l’abitare: una priorità assoluta per i lavoratori e i
pensionati”.
Ma questo Piano non deve significare un’ulteriore espansione delle città bensì, in un percorso di sviluppo sostenibile del Paese, rappresentare l’occasione per riqualificare edifici e tessuti urbani, dando vita ad un grande
progetto di inclusione sociale in contrasto ai fenomeni di ghettizzazione. “I bisogni abitativi possono essere
affrontati senza stravolgere scelte urbanistiche e senza continuare a consumare indiscriminatamente territorio. Questo non significa non costruire, ma avere il progetto più ambizioso di agire nelle città con l’obiettivo
di renderle più sostenibili in termini ambientali, di mobilità, di qualità e di costi, attraverso il recupero del
patrimonio esistente, la riqualificazione di edifici e spazi degradati o inutilizzati”.
In realtà la corsa alla casa, favorita inizialmente dall’alto livello degli affitti e dal contestuale abbassamento
dei tassi bancari, ha comportato un colossale trasferimento di risorse dal lavoro alla rendita fondiaria e
finanziaria (proprietari dei suoli, costruttori, istituti di credito), ma ha anche generato una crescita urbana
disordinata, con effetti pesanti sul paesaggio, sulla qualità della vita, sul welfare locale, sulla congestione e
il traffico e, in generale, sulla funzionalità delle città. L’abbandono di fatto della pianificazione urbanistica
e la subordinazione agli interessi immobiliari hanno favorito un’espansione irrazionale, contrassegnata da
milioni di edifici residenziali, capannoni industriali e centri commerciali. Senza dimenticare la piaga dell’abusivismo edilizio e i gravi e diffusi fenomeni di illegalità che interessano molte imprese del settore. “Eppure,
nonostante quattro milioni di abitazioni realizzate in poco più di un decennio, un numero elevatissimo di
alloggi invenduti e due milioni di edifici “fantasma”, l’emergenza abitativa è rimasta inalterata. Così, sull’altare della rendita, della speculazione edilizia e degli interessi della grande distribuzione, è stato sacrificato il
diritto all’abitare delle fasce sociali più deboli, si è limitata la mobilità sociale e territoriale, sono state penalizzate le potenzialità produttive e occupazionali del paese, sono state lasciate nell’abbandono e nel degrado
le periferie urbane.
Il fatto è che occorre riequilibrare il rapporto tra proprietà e affitto che soffre di una sorta di asimmetria
fiscale e finanziaria come dimostra il fatto che, mentre a beneficio delle famiglie in ritardo o insolventi nel pagamento delle rate del mutuo-casa è stato previsto un fondo
ad hoc (o, in alternativa, la rinegoziazione del debito), le famiglie in affitto sono state
lasciate senza tutela (a parte le eccezioni di qualche ente locale) quando non sono
più riuscite a sostenere le spese dell’abitazione, incorrendo in morosità incolpevoli,
anche quando il capofamiglia si è trovato disoccupato o in cassa integrazione. Ma
è necessario porre anche fine ad alcune scelte sbagliate del passato. Bisogna che nel
settore dell’edilizia residenziale pubblica gli alloggi siano riservati a famiglie che
hanno un reddito non sufficiente per accedere al mercato privato e, per costi e tipologia, devono rispondere alle esigenze di giovani, anziani, famiglie monoreddito,
favorendo il mix sociale.
La percentuale degli alloggi in affitto a canone sociale o agevolato non può essere
irrisoria (mediamente il 20%, più una quota di alloggi destinati a riscatto dopo 1015 anni) e il canone non deve superare il tasso di sforzo che può sopportare il reddito
familiare. Bisogna intervenire nelle politiche fiscali con la riduzione delle aliquote
dei vari tributi e delle imposte ipotecarie e catastali e con l‘aumento degli sgravi
fiscali per l’affitto concordato; nelle politiche urbanistiche con l‘utilizzo del patrimonio pubblico di aree ed
immobili attribuili agli Enti locali attraverso il processo di federalismo demaniale, l‘acquisizione di terreni
delle “aree a standard”, spesso sovradimensionate, da utilizzare per la costruzione di edilizia sociale in affitto; nelle politiche gestionali con il separare proprietà e gestione del patrimonio immobiliare affidando la
gestione a soggetti specializzati, puntare sull’economia di scala per ridurre i costi di manutenzione, abbattere
i costi energetici utilizzando la bio-edilizia e le moderne tecnologie per la produzione di fonti rinnovabili“.
Secondo Salvatore Zanghì e il Sunia per dar corso ad un programma di edilizia residenziale pubblica per un
periodo medio-lungo, è possibile partire dai fondi già stanziati. Le risorse del Piano di edilizia abitativa:
844.149.331,19 euro ripartiti tra le Regioni e in gran parte non utilizzati; le risorse del Fondo Investimenti
per l’abitare il cui patrimonio, alla chiusura del primo periodo di sottoscrizioni, ha raggiunto 2,028 miliardi
di euro (49,3% sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, 43,8% da altri investitori privati, 6,9% dal Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti). I fondi GESCAL che ancora giacciono come residui di alcune Regioni
presso la Cassa Depositi e Prestiti, nella misura di circa 1 miliardo di euro. I beni pubblici utilizzabili a seguito del percorso per realizzare il federalismo demaniale individuati in circa 12.000 immobili il cui utilizzo
deve concorrere anche ad una funzione sociale, evitando che il processo di valorizzazione cui sono sottoposti,
possa avere solo fini speculativi. E infine i fondi europei i quali, sebbene non specificatamente indirizzabili
a politiche abitative pubbliche, possono tuttavia concorrere a finanziare iniziative e progetti nel settore del
recupero urbano, nella direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione europea 2020 per
rilanciare il sistema economico e promuovere una crescita “intelligente, sostenibile e solidale”.
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Dopo la definitiva perimetrazione, intervento su Aiello e Granata per avere risposte dal Ministero
Il Parco degli Iblei rimedio per uscire dalla crisi economica dell’area
I vantaggi di un valido motore di economia sostenibile e durevole
di *PAOLO PANTANO
L’iter “burocratico” si è concluso. Dopo numerosi incontri nei vari Comuni e nelle sedi della Provincia
Regionale, la proposta definitiva di perimetrazione e di zonizzazione è stata ricevuta da due funzionarie
del Ministero in una Conferenza di Servizi Regionale presso l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente con la presenza dei rappresentati delle tre province interessate (Siracusa, Ragusa e Catania) e con
la presenza dell’Assessore Regionale al Territorio ed Ambiente.
Ma poi tutto si è fermato. Poiché il Comitato Promotore del Parco ha inviato, recentemente, al Ministero dell’Ambiente una lettera di sollecito e non ha avuto alcuna risposta, abbiamo chiesto all’on.
Francesco Aiello, neo Assessore Regionale, e all’on. Fabio Granata di intervenire presso il Ministero
dell’Ambiente e del Territorio perché, in attuazione del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 8
della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), si provveda al passaggio successivo che è di competenza, appunto, del Ministero e si definisca, così, l’iter vista anche l’utilità conclamata
del Parco ai fini della salvaguardia e tutela della biodiversità e delle rilevantissime opportunità per il
territorio. Nell’area, infatti, insiste una delle più grandi biodiversità d’Europa oltre a un patrimonio
storico ed etnoantropologico di primaria importanza.
In seguito alla documentazione fornita dal Comitato Promotore, il Ministero dell’Ambiente, a suo tempo, attivò le procedure per l’istituzione del Parco (in esecuzione al decreto legge 1 ottobre 2007, n° 159
e successive modificazioni della legge 29 nov. 2007, n° 222, all’art. 26, comma 4 septies) al fine di rilanciare un progetto che rappresenta un polmone tra le zone industriali di Priolo e Gela, un’opportunità
per l’economia agricola e turistica degli Iblei e un modello economico evoluto che evita l’abbandono delle
campagne e dei manufatti che insistono sul territorio. Fu rilevato che il Parco Nazionale degli Iblei
rappresenta non solo uno strumento di tutela e di salvaguardia delle sue caratteristiche paesaggistiche,
naturalistiche ed architettoniche ma può soprattutto costituire l’elemento propulsore di economia sostenibile e durevole per l’intera area degli Iblei, in grado di mettere a valore le straordinarie specificità delle
colture agricole ivi praticate, zootecniche, turistiche ed ambientali.
Nella sentenza n° 12 del 23 gennaio 2009 della Corte Costituzionale fu assegnata allo Stato, con il concerto della Regione Sicilia, la competenza per l’istituzione. Nelle motivazioni di questa sentenza fu
evidenziato che le zone individuate per l’insediamento di un Parco sono quelle la cui importanza naturalistica nazionale ed internazionale è tale da coinvolgere l’interesse dell’intera collettività nazionale. In
particolare venne precisato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un
interesse pubblico di valore costituzionale “primario” (facendo riferimento anche alla precedente sentenza n. 151 del 1986) ed “assoluto” (sentenza n. 641 del 1987) e deve garantire (come prescrive il diritto
comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Inoltre
“le finalità dell’istituzione delle aree protette, quali configurate dalla lettera a) del comma 3 dell’art.
1 della relativa legge quadro sulle aree protette n° 394/91 (e cioè la «conservazione di specie animali o
vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di
comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici
e idrogeologici, di equilibri ecologici»), fanno ritenere che per i parchi naturali nazionali, per i quali
«l’intervento dello Stato» è richiesto, ai sensi del comma 1 dell’art. 2, «ai fini della loro conservazione
per le generazioni presenti e future», debba considerarsi prevalente la specifica competenza legislativa
esclusiva statale relativa all’ecosistema”.
Le risorse naturali, l’ambiente, il paesaggio non sono stati considerati, fino ad oggi, un patrimonio collettivo, un bene economico. La loro sottrazione, il loro utilizzo distorto, la loro distruzione sono stati
visti come un passaggio obbligato verso la strada del progresso e della crescita economica. In quest’ottica, l’apporre tutele e riconoscimenti sul territorio è stato interpretato come un freno allo sviluppo.
Ma la situazione sta cambiando. Coniugare le esigenze di sviluppo economico e sociale con l’obiettivo di
conservare l’ambiente naturale è vista da molti come la sola strada da percorrere e un’opportunità che
raggiunge il suo massimo potenziale nelle aree naturali protette.
Sono il turismo, l’artigianato tradizionale, l’agricoltura, l’allevamento e la selvicoltura, i settori maggiormente coinvolti in questo processo e quelli che beneficiano dei vantaggi apportati da parchi e riserve.
Per l’agricoltura si tratta di seguire la strada tracciata dall’UE che ha già avviato interventi per uno sviluppo sostenibile. Già con il regolamento 2078/92 le aziende agricole che ricadevano per almeno il 30%
all’interno delle aree di parco o di pre-parco godevano di una riserva del 30% dei finanziamenti concessi
dall’UE relativi ai metodi di produzione agricola compatibile con le esigenze di protezione dell’ambiente
e con la cura dello spazio naturale. La Comunità europea promuove chi introduce l’agricoltura biologica,
chi si impegna a mantenere produzioni tradizionali tipiche (carrubo), chi interviene nella ricostruzione
di elementi naturali e paesaggistici (muri a secco). Con il Reg. 1259/99 e oggi con i regolamenti 1782/03
e 1783/03 vengono premiate le Buone Pratiche Agricole e Ambientali, la tutela di ambienti agricoli ad
alto valore naturale sottoposti a rischi, la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali
dei terreni agricoli. Ma anche la selvicoltura viene esaltata con le normative comunitarie a partire dalla 2080/92 fino ad arrivare al Reg. 1783/2003; incentivi sono stanziati a chi destina a bosco aree agricole
marginali. A tutto ciò si aggiungono gli interventi finanziari per le attività agricole e zootecniche compatibili con l’ambiente all’interno dei parchi e delle riserve regolati dalle leggi regionali 98/81 e 14/88.
Accanto ai vantaggi finanziari c’è poi quello, per le aziende nei parchi, di una migliore opportunità di
commercializzazione dei prodotti agricoli. E’, infatti, evidente l’effetto determinato dall’apposizione del
marchio del Parco sui prodotti in vendita. Si tratterebbe di un marchio che garantirebbe le genuinità e
la compatibilità ecologica di questi prodotti. Essi verrebbero ad essere identificati dal consumatore con
il Parco stesso, con un’immagine di produzione “pulita” e di alta qualità. Grazie a questa collocazione
sul mercato dei prodotti del Parco è possibile garantire un reddito più alto agli agricoltori e a tutti gli
operatori economici coinvolti.
Una vasta gamma di prodotti tipici e biologici possono essere coinvolti in un tale progetto: dal latte, ai
formaggi, al miele, dalla produzione di frutta e verdura alla trasformazione di queste, agli insaccati,
all’olio, ecc. con positivi effetti dal punto di vista economico.
Per rendere l’idea, i prodotti a denominazione di origine protetta sono in grado di sviluppare un fatturato di 8,5 miliardi di euro; il turismo ecologico movimenta 5 miliardi di euro con 5,7 milioni di presenze
ogni anno in 12.600 aziende agri-turistiche; le mete eno-gastronomiche sono scelte da 3,5 milioni di
turisti, una realtà economica forte per l’intero sistema Paese. E, attraverso le attività agricole non solo si
assicura l’economia locale, ma anche la protezione del paesaggio.
Ma è con l’ecoturismo che può essere potenziata questa valida alternativa per lo sviluppo socioeconomico
delle popolazioni che vivono nelle aree naturali. Il turismo naturalistico ha avuto un notevole impulso
negli ultimi anni (la crescita è del 12% annuo). Questo è dimostrato da una tendenza generale in atto
nella società contemporanea, dove è riscontrabile una più ampia attenzione verso le tematiche ambientali
e una maggiore “domanda di natura”. La UE ha sottolineato come l’attrazione per la natura, il paesaggio
e le peculiarità culturali costituiscono il cuore dello sviluppo dello sviluppo turistico.
La domanda di turismo rispettoso dell’ambiente, l’aumento dei turisti nei paesi del bacino del Mediterraneo previsti dal Blue Plan dell’United Nations Environment Programme (UNEP), l’inquinamento del
mare e l’alto grado di antropizzazione con la conseguente diminuzione della qualità ambientale delle coste fanno sì che nel prossimo futuro la richiesta di turismo nelle aree interne e naturali crescerà di molto.
Ma già i segnali sono forti ed eloquenti: 81 milioni di presenze turistiche nei comuni dei parchi nazionali, oltre il 7% del totale della spesa turistica italiana prodotta in ambiti territoriali interni ai parchi
con 5,4 miliardi di euro di consumi totali, oltre 100mila posti di lavoro attivati. Sono queste le cifre che
definiscono il turismo delle aree protette in Italia, un turismo nel quale i parchi rappresentano un sistema di valori dove ambiente, cultura e tradizione si integrano armonicamente in un modello di sviluppo
turistico compatibile, di forte sostegno all’economia locale e all’occupazione. Il flusso turistico che si
dirige verso le aree naturali protette, oltre all’agricoltura di qualità, rappresenta quindi la variabile più
importante dalla quale vengono a dipendere contemporaneamente la conservazione dell’ambiente e lo
sviluppo economico delle aree stesse. Da esso derivano effetti a caduta in campo economico ed occupazionale. Essendo l’ecoturismo una tipologia contraddistinta da uno scarsissimo consumo del territorio
e dalla realizzazione di strutture di “ospitalità diffusa”, caratterizzata dal ruolo principale assegnato
ai posti letto a rotazione, una particolare attenzione va al recupero e ripristino del patrimonio edilizio
esistente. Proprio dal riutilizzo delle strutture degli edifici, spesso risalenti a tempi lontani e parte integrante del paesaggio, con effetti positivi a favore dell’occupazione di manodopera locale impiegata in
lavori di ristrutturazione edile, può venire la risposta alla domanda crescente di un turismo slow e verde.
Si sviluppa così un nuovo tessuto economico, dove trovano spazio le attività legate al turismo (ricettività, ristorazione, artigianato, servizi) tutte impostate in chiave ecologica e compatibile e che offrono ai
propri visitatori un’articolata offerta ricettiva corredata anche da centri visita, musei, sentieri natura,
attività didattiche, percorsi eno-gastronomici.
La presenza del parco fa sì che si sviluppi una cultura imprenditoriale, premessa per la nascita di una rete
diffusa di microimprese. Questo modello di sviluppo appare particolarmente indicato per l’area degli
Iblei, dove tuttora si riscontrano diverse aree protette e vaste aree integre dal punto di vista ambientale,
anche agricole, caratterizzate dalla presenza di comuni piccoli o piccolissimi, che vivono uno stato di
progressivo abbandono. Grazie all’attività del parco, come avvenuto in tutte le aree protette italiane, è
possibile invertire la marginalità e l’isolamento, e diventare opportunità poiché rispondono perfettamente alla domanda sempre più forte di vacanza ecoturistica, improntata sull’autenticità, sulla qualità e
sull’armonia con la natura.
Grazie al parco si presenta quindi l’occasione di ampliare l’offerta turistica completando e diversificando
la gamma delle tipologie di vacanza, non più limitata a pochi e ristretti periodi dell’anno, non più limitata al binomio sole-mare, non più dequalificata dal punto di vista culturale e di qualità dei servizi resi.
Grazie al parco si mettono in vetrina anche i gioielli dell’agroalimentare finora trascurati.
Anche l’architettura rurale, le masserie, gli antichi palmenti e frantoi, gli abbeveratoi, le chiese rupestri,
le niviere, le edicole votive, le forme tipiche degli insediamenti umani, l’archeologia, i tratti del paesaggio, i muri a secco, vengono riscoperti, possibilmente restaurati e resi come un’importante risorsa
economica. Le aree interne possono così essere rivitalizzate, orientate ad una fruizione culturale e naturalistica non intensiva, e vengono avviate, infine, verso uno sviluppo che attende da troppo tempo. La
sfida posta dai parchi e dalle aree protette è quella di legare saldamente l’evoluzione del territorio ad una
gestione oculata delle risorse ambientali, culturali e sociali del nostro paese.
*Coordinatore Ecologisti, Reti Civiche e Verdi della prov. di Siracusa
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Per i convogli che fanno servizio al sud vengono utilizzate le carrozze più vecchie e più malmesse
Cronaca di un viaggio impossibile sul treno Roma-Siracusa
E i nostri politici dove sono? Già, ma loro viaggiano in aereo!
di CONCETTO ROSSITTO
Non si tratta di un viaggio d’altri tempi. La vicenda non riguarda uno dei grandi viaggiatori europei
che nel Settecento si spingevano avventurosamente
nelle regioni del sud, in cerca delle vestigia della
civiltà classica. L’odissea che sto per descrivere è assolutamente contemporanea: inizia la mattina del 5
giugno di quest’anno 2012. Alle ore 7,10 la grande
stazione di Roma Termini è già piuttosto animata,
ma non affollatissima. In meno di un minuto è possibile procurarsi il biglietto presso una delle varie
biglietterie automatiche presenti, senza dover fare
la fila. E ciò inietta nel viaggiatore una buona dose
di fiducia: qualcosa si sta modernizzando. Anzi, si
è già modernizzata. Il biglietto reca l’indicazione
esatta: treno723, carrozza 08, posto 32 corridoio.
Basta sollevare gli occhi al quadro annunci per rendersi conto che bisogna spostarsi al binario 12. E
al binario 12 il convoglio è già pronto. Che organizzazione! E che fortuna! La carrozza 8 è proprio
la prima, in fondo al binario, e risulta la più facile
da raggiungere.
Mi fermo per salutare l’amico che mi ha fornito il
passaggio in macchina, ma non c’è nulla da fare:
gentilissimo, come sempre, vuole portarmi la valigetta sino allo scompartimento. Un omaggio cavalleresco alla mia vecchiaia. Sale con me. Sistema il
bagaglio sull’apposita mensola in alto e mi saluta.
Fine della parte lieta: la porta del vagone è chiusa.
Breve corsa all’altro capo della vettura. Chiusa anche l’altra porta. Passaggio nella vettura successiva.
Porte chiuse anche lì. Mi raggiunge di nuovo, costernato: deve correre alla sua scuola di servizio. Non è
abituato ad arrivare in ritardo. Ci tiene a svolgere
con puntualità il suo lavoro. Picchiando sui vetri,
richiamiamo l’attenzione di un ferroviere che è sulla banchina. Prima non ci presta alcuna attenzione, poi si meraviglia dell’apprensione: le porte son
bloccate? E tanto noi siamo già sul treno! Caso mai
dovrebbero lamentarsi i passeggeri che non riescono
a salire…! Gli spieghiamo che uno di noi non deve
partire. E deve scendere in tutta fretta. E allora perché è salito a bordo? - chiede con strafottenza e con
aria quasi di rimprovero il ferroviere. Poco dopo si
allontana, incurante dei nostri ulteriori tentativi
di richiamare la sua attenzione. Il problema viene
risolto non si capisce come, prima della partenza
del treno, che però avviene con un quarto d’ora di
ritardo. La gentilezza di volermi accompagnare sin
sul treno e di voler disporre sull’apposita mensola la
mia valigia costerà al mio accompagnatore l’arrivo
in ritardo sul luogo di lavoro. Un costo piuttosto
sgradevole. Mi sento in colpa per non essermi opposto con maggiore decisione sua alla gentilezza.
Ma chi poteva prevedere l’incredibile blocco delle
portiere? Intanto è già possibile annusare un nuovo
inconveniente: prima che il convoglio si muova, in
ritardo, i passeggeri della carrozza 8 facciamo presente ad un altro operatore in divisa che si avverte
un forte odore plastica bruciata. Ci risponde che sicuramente si tratta della vernice esterna. Facciamo
presente che l’odore è di bruciato e non di vernice e
che non lo si avvertiva sino a 10 minuti prima. Non
c’è verso di convincerlo: per lui è sicuramente la
vernice. Possiamo stare tranquilli: non c’è proble-
ma – ci dice. Ma l’odore ci accompagna ancora per
qualche tempo dopo la partenza. Poi non lo si avvertirà più. Il viaggio prosegue. Giungiamo senza altri
problemi oltre Napoli, ma poi notiamo qualche
rallentamento di troppo. Prima dell’arrivo a Sapri,
l’altoparlante ci avverte di un inconveniente tecnico:
la carrozza 8 e il locomotore saranno sostituiti. Bisognerà trovare sistemazione nei vagoni successivi.
E infatti il capotreno ad un certo punto ci invita ad
avviarci, lungo il corridoio, verso le carrozze che seguono. Ciascuno potrà via via occupare i posti vuoti
che si troveranno in esse. Così i passeggeri diretti a
Siracusa ci troviamo disseminati in vagoni che non
sappiamo se hanno come meta Siracusa o Palermo.
Irritato, chiedo al Capotreno di dichiararmi tutto
quello che sta succedendo. Cortese e imbarazzato,
mi dice che mi raggiungerà dopo e intanto mi invita
a sedere su una poltrona di una carrozza che deve essere di prima classe, priva di scompartimenti. Contrariato, seguo il suo invito ed aspetto che si rifaccia
vivo, dubitandone. E invece si rifà vivo poco dopo,
chiedendomi cosa io gli voglia chiedere. Poiché ho
con me un registratorino digitale, gli chiedo di rilasciarmi una intervista sull’accaduto e sul funzionamento delle ferrovie. Con l’aria di un cane bastonato
mi dice che non è autorizzato a concedere interviste.
Comprende il disappunto mio e dei passeggeri, ma
precisa che non è colpa sua. Sta facendo tutto il possibile per ridurre gli inconvenienti.
Mi invita ad avviare una protesta alla direzione delle
ferrovie. Ma l’intervista proprio non può concederla. Obietto che il rimedio trovato presenta un inconveniente: bisognerà che egli avverta i passeggeri circa la destinazione dei singoli vagoni sui quali sono
stati distribuiti. Mi sembra felice di assicurarmi che
la cosa sarà fatta e che è suo preciso dovere… Taglio
la discussione. Ma mi sembra che non metta in conto
il disagio di una nuova trasmigrazione da parte dei
passeggeri diretti a Siracusa capitati in vagoni con
destinazione Palermo e viceversa. Il signore seduto
davanti a me prende per un attimo la parola per
mormorare una sorta di consolatoria: lei ha ragione, ma purtroppo va sempre peggio. Noto il logo
delle ferrovie sulla sua camicia azzurra e gli chiedo
se sia un operatore. Risponde affermativamente, ma
precisa di essere fuori servizio. Sta tornando alla
sua residenza, dopo aver concluso a il suo orario di
lavoro. Gli chiedo se sia disposto lui a rispondere
ad una intervista. No. Mi dice che non lo può fare
neanche lui, come mi ha già detto il capotreno. Conversando informalmente, si limita ad esporre delle
lamentele sulla qualità del servizio, che non gli va
bene. Gli chiedo se è solo una mia impressione che
la qualità del materiale rotabile impiegato a sud di
Roma sia più scadente rispetto alle carrozze ed alle
motrici in servizio altrove. Ammette che complessivamente è così, anche limitando il confronto a treni
analoghi. L’alta velocità è un’altra cosa.
Ma per i treni che fanno servizio al sud vengono
utilizzate le carrozze più vecchie e più malmesse. Ed
anche gli inconvenienti tecnici sono più frequenti.
Gli addetti al lavori – precisa - subiscono questa discutibile scelta e non ne sono affatto contenti. Ma
non possono farci niente. Dobbiamo essere i passeg-
geri a sporgere proteste. E a questo punto interviene
il signore anziano che mi siede accanto: dà ragione
all’operatore e al capotreno e mi sollecita a scrivere,
a denunciare, a protestare… Gli offro subito ascolto attento e spunti per altre considerazioni. Apprendo che è un dirigente delle ferrovie in pensione. Raccolgo la sua delusione per il modo in cui vengono
gestiti i trasporti ferroviari. Esprime giudizi su Cimoli, su Moretti… su precedenti amministratori, su
manager provenienti da altri settori, dalla Standa,
dal sindacato… digiuni in merito alle problematiche del trasporto ferroviario, ma assunti con stipendi da nababbi, di gran lunga più consistenti rispetto
a quelli attribuiti a dirigenti provenienti dalle fila
dell’azienda. Non condivide le scelte di fondo: puntare sulle tratte più redditizie e sull’alta velocità, per
lasciar deperire sempre più altre tratte e la qualità
del servizio. È fortemente critico nei confronti della scelta di spezzare in due l’Italia, sopprimendo il
treni a lunga percorrenza che andavano dalla Sicilia
alla Lombardia e al Piemonte.
Le ferrovie hanno contribuito non poco ad unire l’Italia, mentre oggi sono solo considerate come spezzoni diversi di una azienda, magari da dismettere o da
tagliare come rami secchi. Si tratta di una logica economicistica che non condivide affatto. Da una parte
la fuga in avanti verso l’alta velocità, che comunque
è una scelta apprezzabile; ma dall’altra il disimpegno
progressivo da altre tratte, una abdicazione al ruolo
di servizio pubblico. E su questo punto calca l’accento e richiama la mia attenzione. I frequenti disservizi sono gravissimi: si dovrebbe ipotizzare il reato di
interruzione di pubblico servizio. Vengono improvvisamente soppressi dei treni, senza preavviso, senza
trovare soluzioni alternative.
E i cittadini vengono sempre di più spinti o indotti a
scegliere sistemi di trasporto alternativo: l’aereo sui
lunghi percorsi (oltretutto a costi inferiori) e il mezzo gommato sui percorsi medio-brevi. Scelte assurde:
conosce il sistema ferroviario francese, quello inglese
e quello tedesco e sa che altrove la ferrovia si difende
bene rispetto alla concorrenza di altri mezzi. Anche
da noi sarebbe la stessa cosa, se solo lo si volesse.
E invece: scarsa manutenzione, scarsa pulizia, offerta sempre più limitata, soppressioni frequenti e
management da licenziare!
E i nostri politici dove sono? Già, ma loro viaggiano
in aereo! Non possono occuparsi di cose terra terra! Loro appartengono alla genìa fortunata degli
dei alati e si beano di ecatombi di risorse sacrificate
ingiustamente sugli altari della loro vanità presuntuosa. In altri termini, sono solo dei papponi in
cerca di stipendi da nababbi, di pensioni d’oro e di
mille prebende aggiuntive attraverso posti di sottogoverno in consigli di amministrazione e in consorzi
vari. Perché dovrebbero preoccuparsi del sistema di
trasporto dei comuni mortali o del popolo minuto?
Come dargli torto?
Nel frattempo noto che l’aria si è fatta quasi irrespirabile. Il mio interlocutore sorride. Ha visto? - mi
chiede - Hanno progettato questa carrozza di prima
classe con l’aria condizionata, senza considerare che
si potrebbe farne a meno in alcune stagioni. Nessuna presa d’aria! Nessun finestrino apribile, neanche
parzialmente. E non hanno previsto nessuna soluzione alternativa per un ricambio d’aria in caso di
guasto all’impianto. Ebbene, non funziona e si sta
peggio che in altre carrozze. Non dovrebbero far
viaggiare una carrozza concepita in questo modo,
se l’impianto non funziona. Ma ce la troviamo scaricata sulle tratte del sud. Qui siamo abituati al caldo!
E a sopportare tante altre cose. Troppe!
Intanto il mio pensiero vola alla tratta Siracusa-Catania, che è stata solo prorogata, ma che qualcuno ha
deciso che va soppressa. E al ponte della ferrovia Gela-Catania, caduto recentemente (l’8 maggio 2011),
per fortuna non durante il transito del treno locale.
E il quadro del sistema ferroviario, che stanno smembrando, differenziando, abbandonando… mi appare
come metafora di questa nostra povera Italia, divorata da un potere scellerato e da una casta di furbastri
in perenne combutta coi politici di turno. Sì che lo
scriverò un piccolo reportage sulla disavventura di
questo viaggio in treno! Sì che terrò conto dell’utile
suggerimento del mio saggio interlocutore, il quale
mi fa presente che i forconi dovrebbero bloccare il
traffico non sulle strade di Sicilia, ma sulle tratte autostradali e ferroviarie della Lombardia, sulla Milano-Brescia… per essere subito ascoltati. Voglio contribuire ad alimentare la giusta indignazione verso
una casta di politici ingordi e insipienti e verso le cricche di boiardi di stato, loro alleati, che rubano stipendi che non meritano e che stanno distruggendo tutto
ciò che viene loro affidato per meriti incomprensibili.
Ed oggi (7 giugno) apprendo che sono state affidate
dal potere politico altre laute mangiatorie senza tener
conto dei curricula. Certo! A che servono i curricula?
Basta essere complici e servitori zelanti della casta
predona e sciupona. E noi dovremmo essere garantiti
da personaggi a cui si affidano ad libitum authority al
solo scopo di creare paraventi rispetto alle responsabilità di una banda di politici imperdonabili? Che vadano al diavolo! L’antipolitica sono loro! Chi si limita
a protestare e a sensibilizzare i cittadini compie solo
una missione di riscossa dell’orgoglio civico. Saranno
schiacciati. Devono essere schiacciati.
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Chiamò il figlio “Miredo”, con le note del pentagramma, a significare l’amore per la musica
A cento anni dalla nascita di Francesco Patania, Siracusa ricorda
l’autore di “Sicilia”, “La me zita”, “Cummari unni iti ‘sta matina”
di CORRADO CARTIA
Amava tanto la musica che chiamò Mìredo il
suo figlio maschio, causando una non comune
reazione, mista a sorpresa e stupore, nell’ufficiale d’anagrafe che non voleva registrare quella
nascita non trovando quel nome nel calendario
in uso!
Francesco Patania, provetto musicista, dovette
faticare non poco per spiegare, pentagramma alla mano, che il suo grande amore per la
musica lo riversava ora sul figlio, chiamandolo
appunto con quelle tre note musicali.
Sono trascorsi cento anni dalla sua nascita,
avvenuta a Siracusa il 28 marzo 1909.
Musicista, direttore d’orchestra, studiò dapprima il clarinetto, passando al pianoforte e al
saxofono soprano. Figlio di gente di mare, da
ragazzo fu affidato alle cure del Rev. Canonico
dr. prof. Concetto Barreca, fondatore dell’Ospizio “Umberto I°“, dove ricevette l’educazione
scolastica musicale e dove fu avviato all’arte
grafica, ma cominciò presto a studiare il clarinetto, passando poi al pianoforte. Nel 1929 si
trasferisce a Taranto, dove studia armonia col
metodo Korsakov, e quindi va a La Spezia dove
si perfeziona, dedicandosi allo studio dell’orchestrazione di Paccagnella. Due anni dopo,
Francesco Pataria ritorna a Siracusa ed è invitato dal Maestro Alfredo Ceccherini, direttore
della Banda Musicale di Siracusa, come primo
sax contralto. Continua a studiare armonia col
metodo Mici di cui diventa, per la sua bravura e
talento, “allievo preferito”, tanto che lo stesso
Ceccherini lo volle come suo diretto collaboratore, entrando anche a far parte dei “Cori di
Val d’Anapo” dove incontra il poeta Salvatore
Grillo, col quale compone “Sicilia”, la canzone
“intramontabile” che gli darà il successo in
tutto il mondo, alla quale seguiranno, sempre in
collaborazione con Grillo, “Cummari unni iti
stamatina”, “Dispittusa”,”La me zita”.
Nel 1942 si trasferisce a Roma dove viene
assunto all’Istituto Poligrafico dello Stato in
cui gli viene offerta la direzione della Banda
SICILIA
Il maestro Francesco Patania
musicale di quell’istituto e l’organizzazione
degli spettacoli teatrali. Francesco Patania
entra in Vaticano e viene invitato a fare parte
della Guardia Palatina d’Onore di Sua Santità
e diventa sassofonista del complesso musicale pontificio. Compone, sempre con Grillo,
“Nostalgia d’amore”, “Te, Signore pietoso”,
”El tango marinero”, “E’ tornato Carnevale”,
“Anapo”, ”Bianca Vela”, ”Melita”, ”La canzone
del navigante”, “Carnevale a Siracusa”. Con
parole di Lazzarini compone “Mirella”, per
la figlia, “Dormi e sogna”, per la nipote. Tra
le tante sue opere si contano anche minuetti,
barcarole, pastorali.
Francesco Patania è Commendatore dell’Ordine
Costantiniano di S.Giorgio sotto la protezione
di San Basilio; ha vissuto a Lavinio, ed è morto
a Roma il 19 Maggio del 1996.
I
Li furasteri ca ‘n Sicilia sunnu
La guardunu cu’ granni maravigghia
Diciunnu ca nun c’è na tutti u munnu
‘n’isula ch’a la nostra s’assumigghia
La Conca d’oru è chista ca straluci!
Suttu la nivi Mungibeddu riri!
Spanni lu Faru la so janca uci!
L’Anapu scurri ‘n menzu li papiri…
Sicilia, Sicilia,
canta ‘na pasturedda;
Sicilia, Sicilia,
joca ‘na funtanedda.
L’aria e lu suli jnchiunu
L’arma di puisia
Sicilia, Sicilia,
tu si’ la patria mia!
II
L’aceddi pipitianu ‘a matinata
fra zàghiri d’aranci e minnuliti,
cu’ la vucidda ruci ‘nzuccarata
cantunu comu parrunu li ziti
Lu suli spunta e tutta la campagna
D’oru zicchinu pari raccamata;
li picure ddi supra la muntagana
rusicanu l’irbuzza ‘mbarsamata
Sicilia, Sicilia, ecc
III
L’amuri è ‘n focu ca nun fa faiddi
pirchì ‘nta l’arma cuva e nun si viri
cchiù capricciusu di li picciriddi
fa spancinziari ridi riri diri…
La picciuttedda ca ti vò cchiù beni
Sulu ‘n Sicilia tu la po’ truvari:
lu cori afflittu d’ammuri peni
idda sultantu sapi cunsulari.
Sicilia , Sicilia, ecc... ecc…
Il Presidente dell’Unione: “Sensazionalismo senza conoscere i risultati delle terapie riabilitative”
Calleri: “Spesso si ritiene che il cieco non debba saper fare nulla
Quando la competenza è bassa si alza solo il livello dello scandalo”
Riceviamo dal Presidente dell’Unione Ciechi di Siracusa, Sebastiano Calleri, una nota di precisazione
in merito allo scandalo scoppiato in questi giorni su
alcuni presunti non vedenti che hanno percepito per
anni le pensioni di invalidità pur essendo, secondo la
Procura della Repubblica e la Guardia di Finanza,
perfettamente in grado di vedere.
“Il fenomeno dei falsi invalidi e dei falsi ciechi – dice
il comunicato - è un dato oggettivo che nessuno può
negare. È presente a tutte le latitudini del territorio
nazionale e l’Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti ne è consapevole e da sempre combatte il fenomeno costituendosi, come parte civile, nei processi
penali contro i falsi ciechi: infatti ciò che viene usurpato dai falsi ciechi, viene tolto ai veri ciechi. Tuttavia, troppo spesso si grida al falso cieco con motivazioni ritenute logiche solo da chi non conosce la realtà
dei non vedenti, il loro quotidiano, la loro capacità di
adattamento e dunque integrazione.
“Nell’accezione comune si sostiene che una persona che pota un albero non può essere cieca, che una
persona che cammina speditamente con il bastone
bianco non può essere cieca, che una persona che fa
cenno con la mano al pullman di fermarsi non può
essere cieca e così via all’infinito. Tutta questa disinformazione è frutto del pregiudizio che da sempre
esiste nei confronti di chi non vede con il risultato di
essere considerati, volutamente, necessariamente solo
dei poveretti incapaci di fare qualunque cosa.
“In queste ultime ore un nuovo episodio del genere
si è verificato a Siracusa a conclusione delle indagini
effettuate dalla Procura con l’ausilio della Guardia
di Finanza. Ottimo lavoro ma, forse, tra queste 16
persone accusate di essere “falsi ciechi” si dovrebbe
anche considerare il grado di autonomia di ognuno
acquisita con la riabilitazione, la volontà reattiva e
positiva di ognuno di non arrendersi alle difficoltà, la
patologia stessa da cui ognuno è affetto che consente
una determinata autonomia nell’ambito della propria
vita personale e sociale.
“La casistica è davvero molto ampia e merita un’attenzione singolare piuttosto che generalizzata. Così
come l’informazione, divulgata da parte di chi non
è addetto ai lavori solo per fare notizia, clamore,
sensazionalità. Facile, davvero facile ma altrettanto
squallido quando si va a toccare la vita delle persone.
Questo vale per tutto. La discrezionalità, innanzitutto. Poi, se è il caso, anche il clamore.
“Anche qui, ci duole dirlo, è un problema eminente-
mente culturale e come per tutte le cose la cui conoscenza è molto bassa si cerca di alzare solo il livello
dello scandalo”.
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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La moneta, la crisi e… alcune opinioni di un cittadino pensante. Seconda parte (la prima il 6 maggio)
Una soluzione all’enorme debito pubblico potrebbe essere la Seisàchtheia
già adottata da Islanda e Argentina, ma ne va della credibilità internazionale
di CONCETTO ROSSITTO
Seisàchtheia (che letteralmente significa “scuotimento dei pesi / scrollamento dai pesi”) è il nome
con cui fu indicata la coraggiosa riforma introdotta
nell’Atene del VI sec. a.C. dal legislatore Solone. Si
trattò di un provvedimento che abolì i debiti già
contratti e che vietò che una situazione debitoria
potesse anche in futuro estendersi dai beni alle persone, cioè che si potesse arrivare alla schiavitù per
debiti, togliendo ad un cittadino, per insolvenza, la
libertà personale.
«Fu una decisione epocale - ricorda lo storico Luciano Canfora (Il mondo di Atene, Laterza) –. Alle
prese con una grave crisi, Solone, nei fatti, evitò
una guerra civile». Sempre Canfora fa notare che
«Il tema della cancellazione dei debiti è ricorrente nell’antichità, che a provvedimenti di tal genere
hanno fatto ricorso vari riformatori, soprattutto
quanti di essi professavano idee democratiche. «Ve
n’è un cenno anche nell’invocazione a “rimettere i
debiti” contenuta nel Padre Nostro. Dopotutto si
tratta di un modo per ridistribuire il reddito». Pare
inoltre che Solone si sia servito di un espediente che
oggi provocherebbe l’accusa di insider trading: spifferò in anticipo la notizia del provvedimento che
aveva in animo, rivelandolo a varie persone che si
affrettarono a comprare terre a debito, nella certezza di non dover poi pagarle. Fu un altro colpo
mancino per i possessori di latifondi! La notizia
viene fornita da Aristotele nella Costituzione degli
ateniesi. Il filosofo però la ritiene solo una calunnia
divulgata dalle persone danneggiate dal riformatore. Chissà. Potrebbe invece esserci del vero. Dispiacerebbe a qualcuno?
Oggi non si corre il rischio concreto di essere ridotti
in condizione di schiavitù, ma sostanzialmente ripagare in un arco di tempo, necessariamente non
breve, duemila miliardi di debito pubblico ai possessori di BOT e CCT e intanto continuare a pagare
gli interessi sul debito residuo (sino all’estinzione)
significherebbe essere schiacciati in una condizione
di indigenza generalizzata e togliere prospettive di
autorealizzazione alle giovani generazioni. Se non
è questa una sorta di schiavitù per debiti, poco ci
manca! Non riconoscere tale debito pubblico, contratto da politici precedenti, dai quali si dovrebbe
prendere la distanza come da criminali o da dissennati, sarebbe possibile? Lo hanno fatto l’Islanda e
l’Argentina. E stanno venendo fuori dalla crisi. Il
provvedimento sarebbe certamente ingiusto e foriero di conseguenze catastrofiche per la credibilità internazionale dell’Italia, poiché quel debito lo
abbiamo contratto non solo con creditori italiani,
ma anche con stranieri. Se i titoli del debito pubblico fossero in possesso solo di creditori italiani,
probabilmente la nostra situazione sarebbe meno
allarmante, in quanto somiglierebbe molto a quella
del Giappone, che ha un debito più consistente del
nostro, ma contratto solo con creditori giapponesi. In tal caso il debito potrebbe essere “incistato”
e neutralizzato con l’erogazione di interessi piuttosto bassi, ma questa strategia consentirebbe solo di
rinviare sine die la soluzione del problema. Infatti,
di fronte ad un perdurare della crisi o ad una prossima crisi, i creditori privati potrebbero richiedere in
massa la restituzione di quanto prestato allo Stato
e… sarebbero dolori.
La seisàchtheia reciderebbe drasticamente il nodo
gordiano. È praticabile anche nei confronti di creditori stranieri? A quale prezzo? In ogni caso sarebbe
un provvedimento ingiusto (in quanto danneggerebbe proprio quei cittadini che hanno avuto più
fiducia nello Stato e che gli hanno prestato i loro
risparmi), ma libererebbe le giovani generazioni da
una zavorra molto simile ad una schiavitù per debiti. È chiaro che un governo che osasse porla in essere
decreterebbe la sua fine. Non solo! Il responsabile
di un tale provvedimento farebbe bene a mettersi al
sicuro in qualche remoto angolo del mondo, magari sotto falsa identità. Per opportuna precauzione!
L’ipotesi non è tuttavia peregrina e recentemente è
stata ventilata, oltre che dall’intellettuale Luciano
Canfora, anche dal giudice Fernando Imposimato
in una sua nota apparsa recentemente su FB.
La seisàchtheia: ingiusta, improponibile, ma forse
domani… inevitabile.
In Italia nessuno avrà probabilmente il coraggio di
prendere una decisione simile a quella di Solone, anche se da essa potrebbero sortire effetti interessanti
per il futuro, oltre che una sollevazione dei danneggiati. I quali avrebbero ottime ragioni per lamentarsi, dopo aver avuto tanta fiducia nello Stato. Ma
se non si fa nulla è più probabile che si arrivi ad una
rivoluzione ad opera delle vittime della crisi e delle
ingiustizia attuali. Si sono già visti bagliori di fuochi di rivolta e non solo nei paesi del Maghreb (Algeria, Libia, Egitto), ma anche in Siria, in Europa
(indignados di Spagna) e in America (Occupy Wall
Street). E l’onda lunga della sollevazione potrebbe
essere alimentata dalla gravità della crisi che morde
sempre di più. Sino ad oggi considero comunque
improponibile (se non come ipotesi accademica)
questa soluzione soloniana, senza però escludere che
essa possa essere imposta dalle circostanze future:
non bisogna trascurare il fatto che essa possa divenire inevitabile. Nell’intento di scongiurare una
prospettiva rivoluzionaria, cercherò di ipotizzare
una strategia diversa dalla seisàchtheia. Si tratta
sempre di una ipotesi stramba e fuori di chiave, ma
certamente più condivisibile, almeno dai cittadini.
Indigesta per i poteri monetari!
(continua)
Già recuperati una tela del ‘700 di Santa Lucia alla Badia e quattro dipinti di notabili di Noto
Nel Laboratorio del Liceo Artistico Gagini in corso il restauro
del “Martirio di San Bartolomeo” della chiesa madre di Floridia
L’arte e il nostro territorio sono due entità strettamente
legate fra loro. Un patrimonio artistico, quello di Siracusa e della sua provincia (ma è un discorso che può
essere allargato a tutto il nostro paese), la cui nascita
può essere fatta risalire fino agli albori della civiltà
umana. Oggi, c’è davvero bisogno di far emergere questo importante patrimonio, rendendolo fruibile alla
comunità e al turismo in generale.
Purtroppo, la ricchezza di opere d’arte rappresenta,
paradossalmente, anche un limite. Sono tantissime le
opere che andrebbero conservate, restaurate, valorizzate e sono sempre pochi i fondi da destinare a questo
genere di attività. Con il risultato che un gran numero
di opere finisce in stato di abbandono totale, in condizioni che accelerano il degrado sino ad arrivare, in
molti casi, alla scomparsa dell’opera stessa. Si tratta,
in pratica, di perdere una parte della nostra identità
culturale. Conservazione, restauro e valorizzazione
delle opere devono diventare i tre punti di forza per evitare che si verifichino ancora tali situazioni. A questo
proposito, nel panorama culturale siracusano, c’è una
piccola ma meravigliosa realtà, all’interno del Liceo
Artistico Antonello Gagini. Si tratta del laboratorio
di restauro realizzato nelle sale dello stesso istituto superiore della nostra città.
Pochi, a Siracusa, sono al corrente della prestigiosa
storia di questa scuola, che percorre un arco di tempo
lungo ben 140 anni. L’istituto nasce, per iniziativa del
comune, nel 1872 come Scuola Serale di disegno per
operai. Ma già nel 1883, un Decreto Ministeriale ne
ordina la trasformazione in Scuola d’Arte Applicata
all’Industria. La scuola, così impostata, viene avviata
nel 1886, all’interno dei locali dell’ex Monastero del
Ritiro. Vengono impartite lezioni di disegno geometrico e ornamentale, elementi di disegno architettonico e
disegno di figura. Con il Regio Decreto del 31 agosto
1908, viene nuovamente riordinata, assumendo il nome
di Regia Scuola d’Arte applicata all’industria. Viene
impiantato un laboratorio di falegnameria e intaglio
del legno. I corsi divengono diurni, seguiti da un corso
serale. Nel 1924, l’istituto passa, finalmente, alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Sino ad
allora era stato sostenuto dalla Camera di Commercio
e Arti di Siracusa, dal Comune e dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. L’insegnamento
artistico viene presto integrato con alcune materie di
tipo culturale, per rendere più completa la formazione
degli studenti. Nel 2010, cambia ulteriormente l’ordinamento dell’Istituto Statale d’Arte Antonello Gagini,
divenuto Liceo Artistico.
La scuola, nel corso della sua storia, si evolve, seguendo i mutamenti in atto nella società, fino ad arrivare ai
giorni nostri. Vi è la necessità di porre in relazione l’arte con le nuove tecnologie. E’ altresì palese l’esigenza
di garantire agli studenti una cultura quanto più vasta
possibile e, al tempo stesso, altamente specializzata.
Questo alto grado di eccellenza e la capacità di sapersi
evolvere in linea con le esigenze dettate dai tempi hanno ricevuto, nel corso della storia, numerosi riconoscimenti. Tanto per fare un esempio, possiamo menzionare
la Medaglia d’Oro ricevuta all’Esposizione Universale
di Parigi nel 1900. Così come la Medaglia d’Oro alla
I Rassegna Internazionale di Tripoli. Ma questi sono
solo due esempi presi tra i molti riconoscimenti ottenuti dall’Istituto. E non vogliamo dilungarci oltre per
non togliere spazio al reale soggetto di questo articolo.
Oggi, in una delle sale al pian terreno dell’edificio che
ospita l’Istituto, si trova un laboratorio di restauro
molto ben attrezzato. Si tratta di un progetto sostenuto
dal prof. Nino Sicari, che abbiamo avuto il piacere e l’onore di conoscere, con l’appoggio del prof. Riccardo Sipala, in precedenza Dirigente scolastico, del D.S.G.A.
rag. Vincenzo Firullo, della prof.ssa Simonetta Arnone, attuale Dirigente scolastico e della D.S.G.A. dott.
Laura Interlando. Grazie allo stanziamento di finanziamenti da parte del Fondo Europeo per lo Sviluppo
della Regione del 2008, si è potuto procedere alla realizzazione di un laboratorio di restauro multidisciplinare, attrezzato con le apparecchiature più innovative,
ispirandosi all’ICR di Roma e all’Opificio delle pietre
dure di Firenze. In questo modo, la provincia e in particolar modo la città di Siracusa, possono usufruire
di una struttura pubblica in grado di procedere alla
diagnostica e al restauro di opere d’arte pittoriche, plastiche, lignee, ecc, a titolo gratuito o tramite collaborazione con aziende private, Enti pubblici e con la Curia.
Il prof. Nino Sicari è il vero coordinatore del progetto,
che si avvale della collaborazione di autorevoli esperti
esterni, accreditati presso la Sovrintendenza dei Beni
Culturali, come l’esperta restauratrice Teresa Tropea,
che conosciamo ormai da anni e con cui abbiamo avuto
anche il piacere di lavorare.
Il Laboratorio si propone di raggiungere un duplice
obiettivo. In primo luogo si tratta di restituire al nostro territorio il maggior numero di opere bisognose
di restauro, spesso e volentieri conservate in condizioni
tali da causarne il degrado e, in certi casi, la totale perdita. In secondo luogo, essendo coinvolto il Liceo Artistico, vi è anche una importante componente didattica,
poiché risultano interessati gli alunni del triennio,
selezionati tra i migliori, in qualità di assistenti degli
esperti che si occupano del restauro: l’approccio diretto al lavoro di restauro, l’emozione che si vive già solo
al contatto con l’opera d’arte, la responsabilità che ci si
assume e gli stimoli a proseguire negli studi in ambito
di Conservazione e Restauro costituiscono gli aspetti
più interessanti di questa parte didattica, nella speranza che da questo tipo di percorso si formino maestranze
specializzate in questo settore, con un ritorno dal punto di vista sociale per il nostro territorio.
Tra i lavori già eseguiti vogliamo ricordare il restauro della tela raffigurante S. Sebastiano, un dipinto del
‘700 esposto a Santa Lucia alla Badia; quattro tele rappresentanti i notabili di Noto, esposte attualmente nella biblioteca di Palazzo Nicolaci. E’ in corso, invece, il
restauro di una pala d’altare della chiesa madre di Floridia, raffigurante il martirio di S. Bartolomeo. L’opera venne dipinta nel 1796 dal pittore Paschalis Tosto.
Il progetto intende costituire un esempio, una traccia
che possa fungere da apripista ad altre scuole e realtà
formative, affinché iniziative simili possano sorgere in
altre città del nostro paese.
Come potete vedere, il lavoro è appena cominciato.
Luigi Mirabella
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Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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Il 26 giugno la presentazione della Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro
Valeria Tranchina: “Tutti insieme, imprese associazioni enti,
possiamo far compiere al sistema del welfare un salto di qualità”
di CONCETTA LA LEGGIA
È stato inaugurato il 29 maggio, presso la sede
della Regione Siciliana, il Tavolo Regionale per la
promozione della Carta per le Pari Opportunità e
l’Uguaglianza sul Lavoro. Una coalizione di istituzioni, associazioni imprenditoriali e sindacati che
sarà da oggi impegnata a diffondere in Sicilia una
moderna e inclusiva cultura del lavoro, libera da
ogni pregiudizio e preclusione e capace di valorizzare il talento in tutta la sua diversità. Il 26 giugno a
Siracusa la consigliera di parità, Valeria Tranchina,
presenterà in un incontro pubblico le amministrazioni, le aziende e le associazioni che hanno aderito
ed il perché di tale Carta e dei suoi spendibili effetti
e ricadute sul territorio provinciale. Ma cosa contiene tale Carta e da quali esigenze nasce? Come potrà
essere accolta e recepita dalle imprese locali? Quali reali ricadute avrà sulla provincia? Ne abbiamo
parlato proprio con Valeria Tranchina.
Che cosa è La Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro? Come è nata?
“La “Carta” nasce nell’ottobre del 2009, promossa
dall’ufficio della consigliera nazionale di parità, da
Aidda, Aidaf, Impronta etica, fondazione Sodalitas
e dall’Ucid e con l’adesione del ministero del Lavoro
e delle Politiche sociali e del ministero per le Pari
opportunità. Tra i suoi soci sostenitori iniziali vi
sono subito le organizzazioni sindacali nazionali,
Cgil Cisl Uil e Ugl; i primi a rispondere sono le associazioni datoriali regionali e provinciali con grandi
imprese quali Danone, Nestlè, Pirelli, St Microelectronics, la Rai, il Gruppo Poste Italiane, le Ferrovie, ma anche gli ordini professionali (avvocati,
medici) e tanti altri. La Carta é una dichiarazione di
intenti che le imprese sottoscrivono per contribuire
alla lotta contro tutte le forme di discriminazione
sul luogo di lavoro (genere, disabilità, etnia, fede
religiosa, orientamento sessuale), impegnandosi,
nel contempo, a valorizzare con azioni concrete la
diversità all’interno dell’organizzazione aziendale,
con particolare riguardo alle pari opportunità tra
uomo e donna. É un decalogo, un insieme di riferimenti valoriali e azioni concrete, per la diffusione
di una cultura aziendale e di politiche delle risorse
umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro
diversità. Essa nasce inizialmente guardando alle
imprese di ogni dimensione, poi l’impegno di noi
consigliere di parità nei territori ci ha fatto realizzare che é necessario aprirla alle Pubbliche Ammi-
nistrazioni, agli Enti Locali per motivi oggettivi,
per finalità diverse”.
Quali obiettivi si pone tale documento?
“Accendere ancora una volta i riflettori sulla questione di non discriminazione, sensibilizzare tutti
gli attori locali sul tema delle pari opportunità,
diffondere una cultura del lavoro moderna, individuare azioni concrete replicabili, far crescere culturalmente il nostro territorio”.
A cosa serviranno i Tavoli Regionali promossi in
Italia ed in Sicilia ed in che modo incideranno sulla
diffusione ed accettazione della “Carta per le pari
opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”?
“Le finalità principali dei Tavoli Regionali stanno
nella sensibilizzazione culturale attraverso l’informazione e nel monitoraggio ma - a mio parere –
dovrebbero puntare alla creazione di un contesto
favorevole di sinergia ove, con un ruolo di orientamento, indirizzino progetti finalizzati alle esigenze
di sviluppo dei territori secondo l’analisi reale del
fabbisogno della nostra popolazione”.
A Siracusa come si procederà? Quale ente ne sarà
capofila? Quando diverrà applicabile sul nostro
territorio?
“Prima la Carta, poi il Tavolo Regionale, rientrano
nell’ambito delle iniziative previste dal Programma
che il Fondo sociale europeo (Fse) – asse pari opportunità e non discriminazione – ha previsto per
promuovere nelle Regioni Obiettivo Convergenza il
principio alla base dell’asse.
Il fatto che Siracusa sia fra le ultime province siciliane a promuovere la Carta la dice lunga sulle remore
e le difficoltà trovate. Probabilmente non sono riuscita a trasmettere completamente in questi lunghi
mesi di impegno l’importanza e la novità culturale della Carta, ma mi si lasci passare anche che nel
nostro territorio provinciale, sia nel privato che nel
pubblico, si dà piu’ spazio alle dichiarazioni roboanti che ai fatti, più ai “farò domani” che ai “faccio
subito”.
“Ho invitato e contattato numerose pubbliche amministrazioni, associazioni datoriali, imprese, associazioni di volontariato, parecchi hanno condiviso e aderito, me ne aspetto altrettanti, perché voglio
scommettere sulla nostra provincia fatta di bravi
amministratori e bravi imprenditori”.
Quali ricadute sul nostro territorio lei e gli enti firmatari del documento vi aspettate di avere?
“Contribuire alla lotta contro le forme di discrimi-
nazione nei luoghi di lavoro, valorizzando le qualità individuali, in un momento di crisi economica
e sociale quale quello che stiamo vivendo significa,
per me e per molti, ricercare compatibili soluzioni
sociali, contribuendo alla competitività delle imprese e allo sviluppo economico. Tutti insieme, se
vogliamo, possiamo far compiere al sistema del welfare un salto di qualità. Questa adesione alla Carta
può essere il primo tassello per la costituzione di un
Tavolo provinciale per le politiche attive per le fasce svantaggiate del mercato del lavoro, per donne,
giovani, disabili, immigrati. Un passo avanti per
intervenire sulle emergenze sociali, iniziando dalle
donne che rappresentano un importante tassello su
cui si costruisce il nostro Welfare, così fragile e lacunoso di servizi, attraverso una governance territoriale costituita da quella Pubblica Amministrazione
di qualità - che già attua internamente buone prassi
ed esternamente progetti mirati - e quella Best Impresa di cui siamo orgogliosi, con la partecipazione
di quelle associazioni di volontariato che tanto impegno profondono per colmare le mancanze”.
In che modo la consigliera di parità e dunque lei,
consigliera Tranchina, per la nostra realtà potrà
concretamente agire su tale carta al fine di renderla attualizzabile?
“Ribadendo il mio impegno ad attuare politiche
che coinvolgano tutti i livelli del “sistema territorio”, ricercando la possibilità di strumenti reali
di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, con
azioni positive e di sostegno, costruendo un rapporto piu integrato tra sistema formativo e mondo del
lavoro, così da facilitare l’accesso dopo gli studi al
mercato del lavoro. Ma soprattutto, partendo già
dalla iniziativa di presentazione e promozione della Carta, che si farà il 26 giugno, per presentare al
nostro territorio le amministrazioni pubbliche, le
aziende e le associazioni che io definisco “di buona
volontà” che hanno aderito, socializzandone anche i
motivi, le modalità già attuate o da attuare. I buoni
esempi aiutano ed educano, tengo a sottolineare fra
le imprese l’Associazione Donne in Campo e nella
pubblica amministrazione il Dipartimento Azienda
Regionale Foreste Demaniali”.
In che modo sarà possibile coinvolgere le aziende
aretusee e perché esse dovrebbero aderire?
“La sottoscrizione della Carta per le imprese può
essere una sorta di fiore all’occhiello, può contribuire a sollecitare al proprio interno una migliore
collaborazione ai vari livelli, una definizione di
programmi “family friendly”, che le aziende piu’
lungimiranti hanno già attivato, la attuazione di
misure per i propri dipendenti rivolte alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, in cui
la conciliazione venga assunta come valore per determinare un benessere interno, mantenendo e rafforzando le esigenze di produttività e competitività.
Ad un Tavolo provinciale, invece, i vari protagonisti potrebbero costruire uno sviluppo sostenibile
e una coesione sociale oggi inesistente, rafforzando
il legame profondo esistente tra il territorio e la
competitività, basandosi sui saperi, le competenze e
le tradizioni che ci sono proprie in una visione di
insieme”.
Appello al nuovo parroco per destinare parte dei soldi versati dai fedeli durante il funerale del sacerdote
Per il busto marmoreo di padre Inserra il Comitato a presidenza Cimino
ha contattato notissimi scultori tra cui Marchese, Gagliardi, Campisi
È già al lavoro il Comitato costituitosi per iniziativa del giornalista Salvatore Cimino, presidente
dell’AVDD, con l’intento di onorare la memoria e
tener vivo il ricordo dell’opera di mons. Alfio Inserra, chiedendo la traslazione delle sue spoglie dal
cimitero di Francofonte, dove sono attualmente sepolte, a Siracusa nella Chiesa di Santa Rita di corso Gelobe dove fu parroco per cinquantuno anni e
la posa di un busto marmoreo davanti alla Chiesa
stessa. Intanto, nei giorni scorsi sono entrati a far
parte del Comitato del quale facevano già parte
il fratello e i nipoti di mons. Inserrra, personalità
del mondo politico, del mondo del giornalismo,
del mondo della scuola e fedeli di padre Inserra,
alcune importanti figure del clero siracusano fra
le quali mons. Giuseppe Greco, già vicario della
Diocesi, e i giornalisti cattolici mons. Pasquale
Magnano, padre Giuseppe Lombardo, direttore
del settimanale diocesano ”Cammino” (giornale
fondato da padre Inserra), padre Aurelio Russo,
segretario particolare dell’Arcivescovo mons. Pappalardo, e il giornalista Luca Marino, che fu molto
vicino a padre Inserra nel momento della fondazione del “Cammino”.
Intanto il presidente Cimino ha già preso contatti, con la dotta consulenza dell’art director prof.
Gianni Latino, con alcuni fra i più noti scultori
italiani (fra i quali Pietro Marchese dell’Accademia di Brera, Giuseppe Gagliardi e Franco Campisi) fra i quali il Comitato dovrà scegliere l’artista a
cui affidare l’incarico di realizzare il monumento.
Si è profilata anche la possibilità di stendere un
protocollo d’intesa fra il Comitato, l’AVDD e le
Accademie d’Arte di Brera, Catania e Siracusa per
una eventuale collaborazione al progetto per la
realizzazione dell’opera scultorea.
Il Comitato si augura, infine, che il nuovo parroco
di Santa Rita vorrà versare nel fondo per la realizzazione del monumento in onore di padre Inserra
una parte delle offerte che i fedeli nel giorno del
funerale del loro amatissimo parroco e guida spirituale per cinquant’anni hanno versato a suffragio della sua anima attraverso ben 400 attestati
di ”fiore che non marcisce” e che accolga di buon
grado la sistemazione, davanti all’ingresso della
Chiesa durante alcune domeniche, dei “gazebo”
dell’AVDD che raccoglieranno le firme dei fedeli
per richiedere la traslazione delle spoglie di padre
Inserra e le offerte per la realizzazione del suo busto marmoreo o in bronzo.
Salvatore Cimino
Anno IV n.12 - 17 giugno 2012
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“Non lo facciamo per lavoro, epperò riusciamo a farlo crescere e a registrare continui progressi”
Dall’1 al 5 agosto nel centro di Augusta Shortini, 500 corti dal mondo
Cacciaguerra: “È la nostra risposta a un contesto artisticamente arido”
di CARMELO DI MAURO
Inizia il conto alla rovescia che conduce all’apertura della sesta edizione di SHORTini, il festival di
cortometraggi che avrà luogo ad Augusta dal 1 al
5 di agosto. Ancora un mese e mezzo di febbrile attività organizzativa e promozionale, e si accenderanno le luci dei proiettori sulle locations prescelte
dall’organizzazione. Anche quest’anno sarà il centro storico di Augusta il luogo nevralgico dei tanti
momenti che segneranno il festival. Le proiezioni
principali si svolgeranno in piazza D’Astorga, per
alcune sere libera dalle auto in sosta e restituita
alla città, mentre le rassegne, gli incontri con gli
autori e gli eventi speciali saranno ospitati in piazza Turati, meglio conosciuta agli augustani come
piazza mercato o mercato del pesce, finalmente restaurata.
Saranno cinque giorni dedicati all’arte e alla cultura, durante i quali il festival intende diventare
un autentico “laboratorio culturale il cui scopo è
quello di trasformare Augusta nella città del cinema e dell’arte, capace di coinvolgere gli appassionati, i cittadini e i numerosi ospiti nazionali e internazionali”, come sostengono gli organizzatori.
A partire da questa edizione, la manifestazione
è organizzata dall’associazione “Quattroterzi” ,
presieduta da Jessica Spinelli, mentre Stefano Cacciaguerra sarà ancora il direttore artistico del festival. Lo abbiamo incontrato per sapere qualcosa
in più di questo evento, che negli anni si è affermato come un momento tra i più importanti del
panorama culturale della provincia e non solo.
“L’idea di realizzare un festival di corti ad Augusta
è nata nel 2004 da una iniziativa che ho condiviso
con Roberto Furnari ed Agostino Gulino – spiega
Cacciaguerra – amici appassionati di cinema con i
quali ho sviluppato anche i primi progetti di regia
e produzione. Io avevo già una buona esperienza
di festival, acquisita lavorando come proiezionista al festival di Siena, e mi faceva davvero rabbia
che ad Augusta non ci fosse un evento simile. Così
nel 2004 abbiamo realizzato la prima edizione di
SHORTini, svolta in una sola serata al mercato del
pesce, non un vero festival, ma una semplice rassegna di corti italiani e senza concorso. In quel periodo, anche grazie ad alcune trasmissioni televisive come “Corto 5”, vi era un certo interesse tra la
gente per i cortometraggi e questo aiutò la manifestazione. La seconda edizione si è tenuta nel 2006
in una location più istituzionale quale palazzo San
Biagio. Quella è stata la prima competizione, con
circa 40 corti italiani in concorso. L’edizione successiva, nel 2007, si è tenuta al teatro comunale ed
ha visto candidati al concorso nazionale ben 100
corti.”
Dopo quella esperienza però vi è stata una pausa
lunga ben tre anni, a cosa è stata dovuta?
“Sì, tre anni di pausa a causa di impegni personali,
di studio e di lavoro, ma dettati anche dalla necessità di dare al festival una struttura organizzativa
più stabile e complessa. Nacque anche per questo
motivo “Bivio Art” l’associazione che ha organizzato il festival fino alla scorsa edizione, la cui
La locandina dell’evento dello scorso anno
eredità è stata raccolta adesso da “Quattroterzi”,
un nuovo progetto artistico multidisciplinare. L’edizione del 2010 fu molto articolata e difficile da
organizzare, abbiamo anche dato vita al concorso
internazionale, con tutte le difficoltà che questo
comporta ed abbiamo anche avuto il nostro primo
ospite straniero, un giovane regista iraniano. È
stata comunque un’ottima edizione con 300 lavori
in concorso e tante nazioni rappresentate.”
L’anno successivo è quello in cui la manifestazione esce dal teatro e viene portata in piazza.
“L’idea di tenere il festival in piazza D’Astorga è
nata dal desiderio di stabilire un feeling ancora
più intenso con la città, facendo sentire la presenza
del festival nel cuore del centro storico di Augusta. Abbiamo anche dovuto affrontare nuove difficoltà, soprattutto di natura logistica, ma anche
quella edizione è andata bene, ne siamo stati molto
soddisfatti.”
E la prossima edizione?
“In fondo non avrà novità strabilianti. La location principale sarà sempre piazza D’Astorga, i
concorsi saranno sempre gli stessi a parte quello
dedicato alla Sicilia che si è deciso di non inserire
in programma, ci saranno momenti dedicati alla
musica ed alla cultura in senso lato. Questa edizione nasce, però, con nuovo ulteriore obiettivo. Non
vogliamo limitarci, infatti, a proporre un appuntamento culturale e dare il nostro contributo alla
rinascita del centro storico, ma dimostrare a tutti
che SHORTini è un evento che vuole essere presente in maniera stabile nel panorama culturale della
nostra città e non solo, che vuole crescere ed avere
un respiro internazionale sempre più ampio. Basti
pensare che in questa edizione le nazioni rappresentate saranno ben
15, dalla Bulgaria al
Giappone, passando
per gli Stati Uniti e
l’Iran, e che i corti
presentati alla selezione che precede il concorso sono stati circa
500, inviati da autori
e case di produzione di
tutto il mondo. Visti i
buoni successi degli ultimi anni, SHORTini
vuole proporsi anche
come vetrina ideale per
i nuovi talenti del cinema nazionale ed internazionale e per le più intriganti iniziative culturali. Ma
per riuscire a fare tutto al meglio è necessario il
pieno appoggio degli spettatori ed è importante
che ci sia un dialogo sempre più intenso con le istituzioni locali.”
Tra le iniziative più apprezzate all’interno festival vi è anche il concorso SHORTini Jr.
“Per la seconda edizione consecutiva proporremo
la rassegna “SHORTini Jr.”, un festival nel festival, rivolto ai ragazzi di età compresa tra i 10 ed
i 18 anni, grazie al quale intendiamo non solo far
avvicinare i più giovani al mondo del cinema, ma
dar loro anche la possibilità di esprimere il proprio talento proponendo i propri lavori. Abbiamo
già ricevuto diversi cortometraggi, un autentico
trionfo della creatività.”
Cosa rende questo festival diverso dai tanti altri?
“Soprattutto le motivazioni più profonde per cui è
stato organizzato. I festival vengono spesso organizzati per soddisfare l’egocentrismo del direttore
artistico, per pubblicità, per mere ragioni economiche. SHORTini, invece, nasce come risposta ad
un contesto culturalmente ed artisticamente arido.
Augusta è una realtà che produce artisti capaci e
di talento, che poi però vanno via, contribuendo
poco alla vita culturale della città, proprio come
accade nelle profonda provincia americana. Ma è
proprio in provincia che possono nascere le iniziative migliori, quando si lavora con professionalità.
Per noi l’organizzazione del festival non è un lavoro, malgrado questo riusciamo a farlo crescere ed a
vedere, di edizione in edizione, continui progressi,
ottenuti anche grazie all’ impegno di uno staff affiatato e di giovani stagisti entusiasti.”
Libera Informazione Libera Tutti
Incontro - dibattito
I nodi dell’informazione a Siracusa:
politica, magistratura,
avvocatura, imprenditoria
Siracusa, Antico Mercato
20 giugno 2012
ore 19:00
Interverranno:
Paolo Tuttoilmondo di Legambiente aderente SOS Siracusa
Marina De Michele vicedirettore de La Civetta di Minerva
Alberto Spampinato direttore di Ossigeno per l’informazione
Carmelo Maiorca direttore de L’isola dei cani
Aldo Mantineo segr. prov. Assostampa Siracusa
Gianfranco Monterosso giornalista
Coordinerà Pippo Ansaldi del Comitato Parchi
Durante il convegno verrà presentata la campagna di azionariato popolare a sostegno de La Civetta
CENTRO PIO LA TORRE
ACQUANUVENA · AVOLA
SIRACUSA
DECONTAMINAZIONE SICILIA
C I T TÀ
PartecipAgire Augusta
A P E RTA
AugustAmbiente Costituente Ecologista