Mia madre - Parrocchia Santa Maria Segreta
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Mia madre - Parrocchia Santa Maria Segreta
INTERVISTA A NANNI MORETTI Perché questo film e perché ha scelto un alter ego femminile? E’ ormai da tempo che non sono più protagonista, e felicemente. Volevo trasferire certe caratteristiche maschili a un personaggio femminile. Per me andava benissimo il ruolo del fratello, anche se per certe caratteristiche e il senso d’inadeguatezza mi ritrovo più nel personaggio di Margherita. La morte della madre è un passaggio importante nella vita di una persona, che volevo raccontare senza sadismo. A me è successo durante il montaggio di Habemus papam. La stanza del figlio , Caos calmo di cui è stato interprete, e ora Mia madre hanno una matrice comune, il tema della perdita. Ho difficoltà a teorizzare sul mio lavoro, spiegare rischia di confondere, invece di chiarire. Comunque a vent’anni non mi sarebbe venuto in mente di interpretare o dirigere film così, col tempo si pensa di più alla morte. Nel film c’è una specie di tormentone: l’attore deve stare dentro ma anche accanto al suo personaggio. Lo pensa anche lei? E’ una cosa che dico anch’io ai miei attori, non è una presa in giro di Brecht. Penso che l’attore non debba essere a una sola dimensione. Per esempio, quando s’incazza, Margherita non è che urla e basta, c’è anche del dolore, c’è sempre qualcos’altro. Margherita è il suo alter ego, ma nel film dirige una pellicola poco “morettiana”: una media produzione, con scioperi, fabbriche. Volevo che ci fosse uno stacco tra la vita privata di Margherita, fluida e delicata, e un film molto strutturato. Lei è sempre da un’altra parte (sul lavoro pensa alla mamma, dalla mamma pensa alla figlia...) mentre il film che gira è un blocco solido. Era quello che volevo. Il senso di inadeguatezza di Margherita è anche il suo? Sono parecchi anni che faccio questo lavoro ma non ho acquisito freddezza e sicurezza, il giorno prima delle riprese faccio gli stessi sogni di quando ero ragazzo (ritrovarmi impreparato sul set, qualcosa che non funziona o che manca…). Il senso d’inadeguatezza lo conosco molto bene. Prima pensavo che con il tempo mi sarebbe cresciuto “il pelo sullo stomaco” e invece mi accorgo che succede il contrario, più tempo passa più il disagio cresce. MIA MADRE REGIA Nanni Moretti INTERPRETI Margherita Buy Nanni Moretti John Turturro Giulia Lazzarini SCENEGGIATURA Nanni Moretti FOTOGRAFIA Arnaldo Catinari Filmografia MONTAGGIO Clelio Benevento Habemus papam (2011) DURATA 106’ La stanza del figlio (2001) ORIGINE Italia 2015 Mia madre (2015) Il caimano (2006) Aprile (1998) Caro diario (1993) La cosa (1990) Palombella rossa (1989) La messa è finita (1985) Bianca (1984) Sogni d’oro (1981) Ecce bombo (1978) Io sono un autarchico(1976) IL REGISTA Nanni Moretti, è nato a Brunico dove i suoi genitori erano in vacanza. Due sono le sue grandi passioni: il cinema e la pallanuoto. Una volta terminato il liceo, Moretti decide che la sua strada è quella del cinema, vende la sua collezione di francobolli e acquista una cinepresa in Super8 con cui gira Come parli frate?, reinterpretazione de "I promessi sposi" raccontata dal punto di vista di Don Rodrigo. Il debutto nel lungometraggio arriva nel 1976, con Io sono un autarchico. Dopo una parte in Padre Padrone dei fratelli Taviani, Moretti è pronto per il secondo film e nel 1978 esce Ecce Bombo. Girato con mezzi professionali, in 16mm, il film sarà presentato in concorso al Festival di Cannes e avrà un grande successo di pubblico. Con questi primi due film, Moretti racconta senza filtri una generazione, una disillusione, la politica di quegli anni, mentre nel 1981 vince il Gran Premio della Giuria a Venezia con Sogni d'oro, sterzando verso un intimismo autorefererenziale intessuto di società e di politica. Nel 1984 esce Bianca, uno dei film più iconici e amati di Moretti. Nel 1986 Nanni diventa il Don Giulio di La messa è finita, vincendo l'Orso d'argento al Festival di Berlino. Per amore del cinema, e per salvaguardare sempre più la sua autonomia, Moretti fonda nel 1987 una società di produzione, la Sacher Film: primi film tagati Sacher saranno Notte italiana di Carlo Mazzacurati e Domani accadrà di Daniele Luchetti. I grandi amori giovanili di Moretti si fondono nel 1989 in Palombella rossa, un capolavoro surreale politico e intimo a tempo stesso. L'anno dopo, Moretti racconta la trasformazione del PCI di Occhetto in La cosa, e nel 1991 è protagonista de Il portaborse di Luchetti. Nel 1993 si apre una parentesi diaristica con Caro Diario (miglior regia al Festival di Cannes), cui nel 1998 segue Aprile: nei film Moretti interpreta sé stesso e parla della sua vita e della sua visione del mondo e della politica. Il Terzo Millennio si apre col meno morettiano del suoi film: La stanza del figlio, Palma d'oro al Festival di Cannes 2001 in cui è uno psicanalista alle prese con la morte accidentale del figlio adolescente. Nel 2006, gira Il Caimano, che ruota attorno alla figura di Silvio Berlusconi e che per la prima volta lo vede in un ruolo da non protagonista. Nel 2008 è sceneggiatore e protagonista di Caos calmo, che farà scalpore per via di un'inedita scena di sesso tra Nanni e Isabella Ferrari. Torna a Cannes, nel 2011 con Habemus Papam, il film che racconta di un pontefice neoeletto che non se la sente di affrontare la responsabilità e che anticipa incredibilmente le dimissioni di Papa Benedetto XVI. Nel 2015 torna ancora una volta a Cannes con Mia madre, ottenendo un grande successo di pubblico . LA TRAMA Margherita sta girando un film impegnato sulla crisi economica italiana dove si racconta lo scontro tra gli operai di una fabbrica e la nuova proprietà che promette tagli e licenziamenti. Oltre a dover gestire la complessità del set corale di un film politico, deve fare i conti con le bizze della star italo-americana che ha scelto per interpretare il ruolo del nuovo proprietario; un attore in crisi, ostaggio della sua maschera di divo, qui esasperata dal provincialismo del cinema italiano. Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico in ossequio alla tradizione famigliare impressa dalla nonna (insegnante di latino e greco), ha un amante, attore nel film impegnato, mollato all'inizio delle riprese, e una vita confusa, solitaria e complicata. La concentrazione, richiesta per girare un film così difficile, è minacciata dalle istanze del privato e dall'ombra sempre più densa della possibile morte della madre che la costringe a un confronto difficile e doloroso, soprattutto con se stessa e con il fratello Giovanni, un ingegnere posato che si è preso un periodo di aspettativa dal lavoro per accudire la madre malata di cuore, ricoverata con poche speranze in un ospedale della capitale. Maturità e consapevolezza in questo Moretti di Fabio Ferzetti Il Messaggero Nanni Moretti affronta e rielabora la malattia di sua madre, per decenni amatissima professoressa di latino, in uno dei suoi film più sorvegliati e toccanti. Prima mossa giusta: affidare il ruolo della protagonista a Margherita Buy, tenendo per sé la parte quasi di spalla del fratello ingegnere, anima razionale del film. È la Buy infatti a fare la regista, come in tanti altri fim di Moretti, da Sogni d’oro a Il Caimano. È lei a farsi carico delle tipiche angosce e nevrosi morettiane. Lei che sta girando il classico film impegnato italiano su una fabbrica che chiude, con Turturro nei panni del “padrone” americano. Lei che dà vita agli inconfondibili momenti ilarotragici a cui il cinema di Moretti ci ha abituati da sempre, ma con un surplus inedito di drammaticità, che la presenza di Moretti probabimente avrebbe inibito. Seconda mossa giusta: la presenza di John Turturro. Il grande attore e regista italoamericano, fa infatti un divo fatuo, smemorato, incapace di ricordare una sola battuta (ma pronto a rimorchiare quella bionda venuta a prenderlo all’aeroporto senza capire che si tratta della regista!), e i suoi scontri continui sul set garantiscono al film il contrappunto comico di cui la storia ha bisogno. Terza mossa giusta: Giulia Lazzarini. Signora del teatro italiano, poco frequentata dal nostro cinema, sempre avaro con chi calca i palcoscenici, l’attrice milanese poco a poco si impadronisce quasi del film. Dopo tutto è la sua malattia a essere in primo piano, è lei che fa emergere la vera personalità della Buy, le sue rigidezze, le sue nevrosi. Ed è proprio l’imminenza di quella morte a scatenare un gioco di sogni, ricordi, fantasie, che tra set e ospedale, passando per la casa ormai deserta della madre malata, ci porta dentro tutti i personaggi del film, con leggerezza e insieme con profondità, ma soprattutto con una maturità e una consapevolezza nuove nel cinema di Moretti. Mai così a suo agio nel tenere insieme tanti personaggi, proprio perché ha l’intelligenza di farsi da parte. Senza rinunciare ai suoi tratti più tipici. Senza grandi invenzioni o novità formali ma con una concentrazione, un’energia, un controllo nuovi. Eemoziona il Moretti più intimo di Paolo Mereghetti Corriere della Sera Come sono lontani gli anni in cui Nanni Moretti poteva definirsi uno «splendido quarantenne»! E non certo perché adesso il regista di anni ne abbia 61, ma perché è sempre più difficile rivendicare la gratificante distanza di allora tra sé e un mondo che «splendido» non era. Film dopo film, Moretti aveva costruito un «personaggio» certo della propria intangibilità da compromessi e immoralismi, capace di guardare a se stesso con l’orgoglio (e la superbia) di chi non doveva fare i conti con niente e nessuno. Le prime crepe si sono viste con Habemus Papam: dubbi pubblici e politici, sull’incapacità, attraverso la figura del Papa neoeletto, ad assumere un ruolo che altri volevano attribuirgli (ricordate il movimento dei «girotondi» e il sogno accarezzato da molti che Moretti ne diventasse il leader?). Adesso Mia madre scava più a fondo e rivela un Moretti che, attraverso la regista alter-ego del film, confessa i suoi dubbi e le sue incertezze anche private. Con una sincerità insospettata nell’apodittico Michele Apicella. La protagonista del nuovo film è infatti una donna, Margherita (interpretata dalla Buy), che rischia di essere schiacciata da tutta una serie di problemi: sta girando un film il cui protagonista, fatto venire dall’America (John Turturro), non si ricorda le battute e sembra refrattario ad ascoltare i suoi consigli; la madre (Giulia Lazzarini) è ricoverata in ospedale con serissimi problemi cardio-respiratori, tanto che i medici disperano di salvarla; la figlia tredicenne ne vuol sapere del latino e del ginnasio a cui l’hanno iscritta; e sul fronte sentimentale un ex marito, un amante lasciato da poco, sembra esserci solo solitudine. Per fortuna c’è il fratello maggiore Giovanni (Moretti), calmo e riflessivo tanto lei è tesa e nervosa, che sceglie di lasciare il lavoro per stare vicino alla madre ed è pronto ad offrirle il proprio buon senso e la propria comprensione. Scegliendo uno stile di riprese volutamente sottotono e mescolando tempi e modi del racconto, dove passato e presente si intrecciano a realtà e sogni, Moretti cambia radicalmente il tono dei suoi film precedenti e costringe lo spettatore a interrogarsi continuamente sulla verità di quello che sta vedendo. O meglio: sull’esatta collocazione temporale e spaziale di un racconto che pur procedendo per successivo «accumulo» di personaggi e situazioni, sceglie di farlo con la maggior economia di mezzi possibile. Ne esce un film sprovvisto di quella consequenzialità logica che forse ci aspetteremmo e che aggiunge ogni volta una tessera a un mosaico che trova il proprio senso strada facendo. All’inizio questo procedimento fatica ad ingranare. La scelta di «togliere» invece che di «aggiungere» scivola a volte in una certa programmatica freddezza e viene il dubbio che il regista si sia imbarcato in una personalissima (e distillata) versione di 8 ½: le disavventure del film e delle sue riprese, con i dubbi sul proprio mestiere e le proprie scelte, con gli incidenti di percorso e di lavorazione (alcune volte anche molto comiche), sembrano soffocare tutto. Ma piano piano il baricentro del film si sposta verso l’introspezione e una (inaspettata) confessione in pubblico che stupisce e colpisce. La sceneggiatura, firmata dal regista prende un percorso inaspettato. Almeno per il Moretti d’antan. Non che manchino frecciate e graffi, come la squallida «dolce vita» che l’attore americano insegue su tavolini lontanissimi da ogni «grande bellezza» o le pose da regista che Moretti fa mutuare alla Buy da se stesso (comprese le ossessioni brechtiane sul personaggio-attore), ma prende il sopravvento un disincanto struggente e malinconico, dove finisce per essere più importante la coscienza dei propri limiti che non il dramma incombente della morte. Perché è proprio a partire dalla finitezza umana della genitrice che il film (e Moretti) si interrogano sulle proprie azioni, le proprie scelte, i propri atti. Con un bilancio lontanissimo dal trionfalismo passato e con un’apertura sul futuro («Al domani» sono le ultime parole del film) che promette molto. Fra il cinema e la vita di Valerio Caprara Il Mattino Geneticamente immodificabile, il cinema di Moretti “è” Moretti, non può che coincidere con la persona. Non solo per il gusto, lo stile, gli interessi, prerogative naturali di quasi tutti gli artisti, ma per l’ingente travaso autobiografico metodicamente messo in scena da “Io sono un autarchico” fino all’odierno “Mia madre”. L’idea portante del soggetto di quest’ultimo si basa, però, sull’affidamento del proprio personaggio a un alter ego femminile, la Margherita regista impegnatissima dalle riprese di un film mentre la madre, ricoverata in ospedale, sta spegnendosi a causa di una grave malattia. Le riprese riguardano un greve apologo operaista ben poco intonato alle sue corde; ma i comportamenti, i rovelli psicologici, ideologici e professionali e soprattutto le idiosincrasie della donna sono al 100% copyright del sessantunenne regista, che si riserva invece il ruolo, mai così sobrio in carriera, del premuroso e più equilibrato fratello. L’opzione narrativa del film appare esplicita e semplice: il repertorio narcisistico caro ai fan del cosiddetto morettismo viene blandamente preso di mira per interposta persona e la preoccupata trans-protagonista indotta a pronunciare un bel po’ delle note, sprezzanti, paradossali, autosarcastiche battute senza la rete di protezione abitualmente concessa a Moretti. La dolorosa prova della morte della madre (curiosamente Moretti ha tramandato poco o nulla del padre, mentre non è la prima volta che chiama in causa la genitrice professoressa Apicella) è raccontata con mano ferma, tonalità a tratti ripetitive, buone recitazioni del trio Buy, Lazzarini e Moretti e accompagnamento musicale triste ma non troppo funereo. Più che a causa dell’espediente suddetto, però, “Mia madre” cerca il sigillo d’autore lasciando praterie di pellicola all’invadente, travolgente, irrefrenabile performance di Turturro nella parte del divo americano ingaggiato da Margherita, metafora vivente non solo dello stress supplementare inflitto alla malcapitata, ma anche dell’astio, nutrito da Moretti per i ritmi, i riti e le manipolazioni di fiction richiesti dal proprio mestiere. Sinceramente angosciata, Margherita/Nanni si affanna a dirci che il cinema non è la vita, anche perché l’attore hollywoodiano ne fornisce un esempio lampante, vaneggiando in nome dei Santi protettori Wenders, Kubrick, Welles o Fellini. Difficile capire una volta per tutte se il contrasto tra la parte esilarante e gigionesca e quella commossa e commovente, arriva a fondersi in una compiuta armonia. Se, insomma, le confessioni del demiurgo (“mi chiedete di tutto, ma io non capisco niente”, “perché mai sul set mi date sempre retta”) e i momenti forzati per risultare toccanti (la nipotina che arriva ad amare l’odiato latino per amore della nonna morente, Margherita che finisce stoicamente di girare dopo avere appreso la ferale notizia) riusciranno a sedimentarsi, a diventare universali.