Software Libero Pensiero Libero

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Software Libero Pensiero Libero
RICHARD STALLMAN
SOFTWARE LIBERO
PENSIERO LIBERO
VOLUME PRIMO
Raramuri
Sono super-maratoneti, detengono ogni record mondiale di corsa dai 100 km
in su, ma vivono nell’anonimato e nella povertà più profondi nella Sierra
Madre del Messico del Nord. Sono gli indios Tarahumara, una tribù dimenticata dai bianchi, da essi considerati il diavolo, e dal loro stesso Dio. Si sono
dati un nome poetico, Raramuri, «piedi che corrono», perché su queste lunghissime distanze volano come se volessero salire al cielo.
Non c’è nessuno che li batta, perché per loro i piedi sono delle ali. Vivono di
agricoltura e di una strana caccia, quella ai cervi, non con l’arco e le frecce
ma coi piedi, la loro unica arma: sfiancano gli animali correndo loro dietro
giorni e giorni, finché la preda non si abbatte esausta. Roba da leggenda...
Ennio Caretto
“Corriere della Sera” - 31/07/2002
Foto di copertina: Kerth Dannemiller (Corriere della Sera)
Introduzione
Un esperimento globale per l’affermazione della libertà
Offrire al mondo programmi informatici che possano essere liberamente
usati e copiati, modificati e distribuiti, gratis o a pagamento. Questa
la scommessa lanciata nell’ormai lontano 1984 da Richard Matthew
Stallman. Qualcosa (apparentemente) impossibile perfino a concepirsi, in un’epoca in cui informatica era (ed è) sinonimo di monopoli, produzioni industriali, mega-coporation. Un approccio tanto semplice
quanto rivoluzionario, il concetto stesso di software libero, che ci riporta finalmente con i piedi per terra. E la cui pratica quotidiana è ispirata a un principio anch’esso basilare ma troppo spesso dimenticato: la
libera condivisione del sapere, qui e ora, la necessità di (ri)prendere in
mano la libertà individuale di creare, copiare, modificare e distribuire qualsiasi prodotto dell’ingegno umano. Ponendo così le condizioni
per un ribaltamento totale proprio di quell’apparato pantagruelico che
ha piegato l’attuale ambito informatico alla mercé di un pugno di colossi, inarrivabili e monopolistici.
Nella rapida trasformazione degli equilibri in gioco nell’odierna rivoluzione tecnologica e industriale, il software libero va dunque scardinando certezze antiche, aprendo al contempo le porte a scenari del tutto nuovi e inimmaginabili. Senza affatto escluderne i riflessi nel mondo della piccola e grande imprenditoria e a livello commerciale: basti
ricordare l’ampio utilizzo del sistema operativo GNU/Linux (spesso
indicato, in maniera imprecisa, solo come ‘Linux’) sia su macchine
high-end come pure su quelle più economiche e dispositivi portatili vari,
mentre il 70 per cento dei server web su internet girano su Apache, pro3
gramma di software libero. Considerando insomma la centralità assunta dal software in quanto comparto industriale strategico all’interno di
una poliedrica età dell’informazione, c’è da scommettere che la rivoluzione innescata da Richard Stallman continuerà a produrre un’onda
assai lunga negli anni e nei decenni a venire.
Predisposto all’isolamento sociale ed emotivo, fin da ragazzo Stallman
dimostra un’acuta intelligenza unita a una sviscerata attrazione per le
discipline scientifiche. Laureatosi in fisica ad Harvard nel 1974, alla
carriera di accademico frustrato preferisce l’ambiente creativo degli
hacker che danno vita al Laboratorio di Intelligenza Artificiale presso
il prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston.
Si tuffa così nella cultura hacker di quegli anni, imparando i linguaggi
di programmazione e lo sviluppo dei sistemi operativi. È qui che, poco
più che ventenne, scrive il primo text editor estendibile, Emacs. Ma
soprattutto abbraccia lo stile di vita anti-burocratico, creativo e insofferente di ogni autorità costituita, tipico della prima generazione di
computer hacker al MIT. Nei primi anni ‘60 si deve a costoro, ad esempio, la nascita di Spacewar, il primo video game interattivo, che includeva tutte le caratteristiche dell’hacking tradizionale: divertente e
casuale, perfetto per la distrazione serale di decine di hacker, dava però
concretezza alle capacità di innovazione nell’ambito della programmazione. Ovviamente, era del tutto libero (e gratuito), di modo che il
relativo codice venne ampiamente condiviso con altri programmatori.
Pur se non sempre queste posizioni di apertura e condivisione erano
parimenti apprezzate da hacker e ricercatori “ufficiali”, nella rapida
evoluzione del settore informatico i due tipi di programmatori finirono per impostare un rapporto basato sulla collaborazione, una sorta di
una relazione simbiotica. La generazione successiva, cui apparteneva
Richard Stallman, aspirava a calcare le orme di quei primi hacker, particolarmente a livello etico. Onde potersi definire tale, all’hacker era
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richiesto qualcosa in più che scrivere programmi interessanti; doveva
far parte dell’omonima cultura e onorarne le tradizioni in maniera
analoga alle corporazioni medievali, pur se con una struttura sociale
non così rigida. Scenario che prese corpo in istituzioni accademiche d’avanguardia, quali MIT, Stanford e Carnegie Mellon, emanando al
contempo quelle norme non ancora scritte che governavano i comportamenti dell’hacker – l’etica hacker.
Proprio per garantire massima consistenza e aderenza a tale etica, dopo
non poche vicissitudini, all’inizio del 1984 Stallman lascia il MIT per
dedicarsi anima e corpo al lancio del progetto GNU e della successiva
Free Software Foundation. Come scrive Sam Williams nella biografia
‘ufficiosa’ di Stallman (Codice Libero, Apogeo, 2003), il «passaggio
di Richard Matthew Stallman da accademico frustrato a leader politico nel corso degli ultimi vent’anni, testimonia della sua natura testarda e della volontà prodigiosa, di una visione ben articolata sui valori
di quel movimento per il software libero che ha aiutato a costruire». A
ciò va aggiunta l’alta qualità dei programmi da lui realizzati man
mano, «programmi che ne hanno cementato la reputazione come sviluppatore leggendario». Un attivismo spietato, il suo, sempre al servizio della libertà di programmazione, di parola, di pensiero. Non certo casualmente alla domanda se, di fronte alla quasi-egemonia del
software proprietario, oggi il movimento del software libero rischi di
perdere la capacità di stare al passo con i più recenti sviluppi tecnologici, Stallman non ha dubbi: «Credo che la libertà sia più importante del puro avanzamento tecnico. Sceglierei sempre un programma libero meno aggiornato piuttosto che uno non-libero più recente, perché
non voglio rinunciare alla libertà personale. La mia regola è, se non
posso condividerlo, allora non lo uso».
Questo in estrema sintesi il percorso seguito finora dall’ideatore del
movimento del software libero, rimandando ulteriori approfondimen5
ti alle risorse segnalate in appendice. Ma per quanti hanno scarsa familiarità con simili dinamiche e con lo Stallman-pensiero, oppure per chi
vuole esplorare tematiche più ampie, questa collezione di saggi è certamente l’ideale. Primo, perché copre vent’anni di interventi pubblici da
parte di colui che viene (giustamente) considerato il “profeta” del software libero. Secondo, perché nella raccolta vengono sottolineati gli aspetti
sociali dell’attività di programmazione, chiarendo come tale attività possa creare davvero comunità e giustizia. Terzo, perché nel panorama dell’informazione odierna spesso fin troppo rapida e generica, ancor più in
ambito informatico, è vitale tenersi correttamente aggiornati su faccende calde, tipo le crescenti potenzialità del copyleft (noto anche come “permesso d’autore”) oppure i pericoli dei brevetti sul software. La raccolta
riporta inoltre una serie di documenti storici cruciali: il “Manifesto
GNU” datato 1984 (leggermente rivisto per l’occasione), la definizione
di software libero, la spiegazione del motivo per cui sia meglio usare la
definizione ‘software libero’ anziché ‘open source’. Il tutto mirando ad un
pubblico il più vasto possibile: “non occorre avere un background in computer science per comprendere la filosofia e le idee qui esposte”, come recita infatti la nota introduttiva del libro originale – Free Software, Free
Society: Selected Essays of Richard M. Stallman.
L’edizione italiana di quest’ultima è stata scomposta in due distinti
volumi: quello che avete per le mani, dove sono raccolte le prime due
sezioni della versione inglese, verrà seguito a breve da un secondo con i
testi rimanenti. Tra questi, vanno fin d’ora segnalate le trascrizioni di
alcuni importanti interventi dal vivo di Stallman (quali “Copyright e
globalizzazione nell’epoca delle reti informatiche” e “Software libero:
libertà e cooperazione”), oltre al testo integrale delle varie licenze GNU,
a partire dalla più affermata, la GPL, General Public License.
Si è optato per due volumi italiani onde rendere più agile e godibile
l’intera opera originale, considerando lo spessore e la complessità spesso
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presenti nei vari saggi. Presi nella loro interezza, questi forniranno al
lettore un quadro ampio e articolato su questioni pressanti, non soltanto per l’odierno ambito informatico. Proprio perché Stallman non
si risparmia affatto, gettando luce sul passato e soprattutto sul futuro
di tematiche al crocevia tra etica e legge, business e software, libertà
individuale e società trasparente.
Senza infine dimenticare come a complemento del tutto sia già attiva
un’apposita area sul sito web di Stampa Alternativa (http://www.stampalternativa.it/freesoft/index.html) dove circolano interventi vari in
tema di software libero e dove troverà spazio l’intera versione italiana
del libro. Oltre naturalmente alle relative modifiche, ovvero le segnalazioni di lettori e utenti riguardo errori, contributi, aggiornamenti e
quant’altro possibile. Il materiale qui raccolto sarà ulteriormente disponibile sul sito dell’Associazione Software Libero, il quale ospita il gruppo dei traduttori italiani dei testi del progetto GNU (http://www.softwarelibero.it/gnudoc/) che ha validamente contribuito alla stesura di questo lavoro. Un lavoro, va detto nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, portato avanti interamente via internet tra i vari soggetti coinvolti,
dalla fase di progettazione a quella di consegna dei materiali definitivi,
e ricorrendo al software non proprietario per quanto possibile.
Un progetto in evoluzione continua, quindi, in sintonia con la pratica di massima apertura e condivisione su cui vive e prospera il movimento del software libero a livello globale – espressione concreta di un
esperimento teso all’affermazione della libertà di tutti e di ciascuno.
Bernardo Parrella
<[email protected]>
marzo 2003
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Parte Prima
Il progetto GNU
e il software libero
Il progetto GNU
La prima comunità di condivisione del software
Quando cominciai a lavorare nel laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT [Massachusetts Institute of Technology] nel 1971,
entrai a far parte di una comunità in cui ci si scambiavano i programmi, che esisteva già da molti anni. La condivisione del software non si limitava alla nostra comunità; è una cosa vecchia quanto
i computer, proprio come condividere le ricette è antico come l’arte culinaria. Ma noi lo facevamo più di chiunque altro.
Il laboratorio di Intelligenza Artificiale usava un sistema operativo
a partizione di tempo (timesharing) chiamato ITS (Incompatible
Timesharing System) che il gruppo di hacker del laboratorio aveva
progettato e scritto in linguaggio assembler per il Digital PDP-10,
uno dei grossi elaboratori di quel periodo. Come membro di questa comunità, hacker di sistema nel gruppo laboratorio, il mio compito era quello di migliorare il sistema.
Non chiamavamo il nostro software “software libero”, poiché questa espressione ancora non esisteva, ma proprio di questo si trattava. Ogni volta che persone di altre università o aziende volevano
convertire il nostro programma per adattarlo al proprio sistema e
utilizzarlo, gliene davamo volentieri il permesso. Se si notava qualcuno usare un programma sconosciuto e interessante, gli si poteva
sempre chiedere di vederne il codice sorgente, in modo da poterlo
leggere, modificare, o cannibalizzarne alcune parti per creare un
nuovo programma.
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L’uso del termine “hacker” per indicare qualcuno che “infrange i
sistemi di sicurezza” è una confusione creata dai mezzi di informazione. Noi hacker ci rifiutiamo di riconoscere questo significato, e
continuiamo a utilizzare il termine nel senso di “uno che ama programmare, e a cui piace essere bravo a farlo”1.
La comunità si dissolve
La situazione cambiò drasticamente all’inizio degli anni ‘80, con la
dissoluzione della comunità hacker del laboratorio d’Intelligenza
Artificiale seguita dalla decisione della Digital di cessare la produzione del computer PDP-10. Nel 1981 la Symbolics, nata da una
costola del laboratorio stesso, gli aveva sottratto quasi tutti gli
hacker e l’esiguo gruppo rimasto fu incapace di sostenersi (il libro
Hackers di Steve Levy narra questi eventi, oltre a fornire una fedele ricostruzione della comunità ai suoi albori [in italiano: Hackers,
Shake Edizioni Underground, 1996]). Quando nel 1982 il laboratorio di Intelligenza Artificiale acquistò un nuovo PDP-10, i sistemisti decisero di utilizzare il sistema timesharing non libero della
Digital piuttosto che ITS. Poco tempo dopo la Digital decise di cessare la produzione della serie PDP-10. La sua architettura, elegante e potente negli anni ‘60, non poteva essere estesa in modo naturale ai maggiori spazi di intervento che andavano materializzandoÈ difficile dare una definizione semplice di qualcosa talmente variegato come l’hacking,
ma credo che la maggior parte degli “hacks” abbiano in comune la giocosità, la bravura e
l’esplorazione. Perciò hacking vuol dire esplorare i limiti di quel che è possibile fare, in uno
spirito di scaltra giocosità. Quelle attività che evidenziano queste caratteristiche conquistano il valore di hacking. Si può aiutare a correggere le interpretazioni poco corrette ponendo la semplice distinzione tra intrusioni nei sistemi di sicurezza e hacking – usando il termine “cracking” per tali intrusioni. Coloro che si dedicano a quest’attività vengono definiti “cracker”. Alcuni di loro potrebbero anche essere degli hacker, come altri potrebbero giocare a scacchi o a golf; ma la maggior parte non lo sono. – On Hacking, RMS, 2002.
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si negli anni ‘80. Questo stava a significare che quasi tutti i programmi che formavano ITS divenivano obsoleti. Ciò rappresentò
l’ultimo chiodo conficcato nella bara di ITS; 15 anni di lavoro andati in fumo.
I moderni elaboratori di quell’epoca, come il VAX o il 68020, avevano il proprio sistema operativo, ma nessuno di questi era libero:
si doveva firmare un accordo di non-diffusione persino per ottenerne una copia eseguibile.
Questo significava che il primo passo per usare un computer era
promettere di negare aiuto al proprio vicino. Una comunità cooperante era vietata. La regola creata dai proprietari di software proprietario era: «se condividi il software col tuo vicino sei un pirata.
Se vuoi modifiche, pregaci di farle».
L’idea che la concezione sociale di software proprietario – cioè il
sistema che impone che il software non possa essere condiviso o
modificato – sia antisociale, contraria all’etica, semplicemente sbagliata, può apparire sorprendente a qualche lettore. Ma che altro
possiamo dire di un sistema che si basa sul dividere utenti e lasciarli senza aiuto? Quei lettori che trovano sorprendente l’idea possono aver data per scontata la concezione sociale di software proprietario, o averla giudicata utilizzando lo stesso metro suggerito dal
mercato del software proprietario. I produttori di software hanno
lavorato a lungo e attivamente per diffondere la convinzione che c’è
un solo modo di vedere la cosa.
Quando i produttori di software parlano di “difendere” i propri
“diritti” o di “fermare la pirateria”, quello che dicono è in realtà
secondario. Il vero messaggio in quelle affermazioni sta nelle assunzioni inespresse, che essi danno per scontate; vogliono che siano
accettate acriticamente. Esaminiamole, dunque.
Un primo assunto è che le aziende produttrici di software abbiano
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il diritto naturale indiscutibile di proprietà sul software e, di conseguenza, abbiano controllo su tutti i suoi utenti. Se questo fosse
un diritto naturale, non potremmo sollevare obiezioni, indipendentemente dal danno che possa recare ad altri. È interessante notare che, negli Stati Uniti, sia la costituzione che la giurisprudenza
rifiutano questa posizione: il diritto d’autore non è un diritto naturale, ma un monopolio imposto dal governo che limita il diritto
naturale degli utenti a effettuare delle copie.
Un’altra assunzione inespressa è che la sola cosa importante del
software sia il lavoro che consente di fare – vale a dire che noi utenti non dobbiamo preoccuparci del tipo di società in cui ci è permesso vivere.
Un terzo assunto è che non avremmo software utilizzabile (o
meglio, che non potremmo mai avere un programma per fare questo o quell’altro particolare lavoro) se non riconoscessimo ai produttori il controllo sugli utenti di quei programmi. Quest’assunzione avrebbe potuto sembrare plausibile, prima che il movimento
del software libero dimostrasse che possiamo scrivere quantità di
programmi utili senza bisogno di metterci dei catenacci.
Se rifiutiamo di accettare queste assunzioni, giudicando queste questioni con comuni criteri di moralità e di buon senso dopo aver messo al primo posto gli interessi degli utenti, tenendo conto che gli
utenti vengono prima di tutto, arriviamo a conclusioni del tutto differenti. Chi usa un calcolatore dovrebbe essere libero di modificare
i programmi per adattarli alle proprie necessità, ed essere libero di
condividere il software, poiché aiutare gli altri è alla base della società.
Una difficile scelta morale
Una volta che il mio gruppo si fu sciolto, continuare come prima
fu impossibile. Mi trovai di fronte a una difficile scelta morale.
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La scelta facile sarebbe stata quella di unirsi al mondo del software
proprietario, firmando accordi di non-diffusione e promettendo di
non aiutare i miei compagni hacker. Con ogni probabilità avrei
anche sviluppato software che sarebbe stato distribuito secondo
accordi di non-diffusione, contribuendo così alla pressione su altri
perché a loro volta tradissero i propri compagni.
In questo modo avrei potuto guadagnare, e forse mi sarei divertito
a programmare. Ma sapevo che al termine della mia carriera mi sarei
voltato a guardare indietro, avrei visto anni spesi a costruire muri
per dividere le persone, e avrei compreso di aver contribuito a rendere il mondo peggiore.
Avevo già sperimentato cosa significasse un accordo di non-diffusione per chi lo firmava, quando qualcuno rifiutò a me e al laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT il codice sorgente del programma di controllo della nostra stampante (l’assenza di alcune
funzionalità nel programma rendeva oltremodo frustrante l’uso della stampante). Per cui non mi potevo dire che gli accordi di nondiffusione fossero innocenti. Ero molto arrabbiato quando quella
persona si rifiutò di condividere il programma con noi; non potevo far finta di niente e fare lo stesso con tutti gli altri.
Un’altra possibile scelta, semplice ma spiacevole, sarebbe stata quella di abbandonare l’informatica. In tal modo le mie capacità non
sarebbero state mal utilizzate, tuttavia sarebbero state sprecate. Non
sarei mai stato colpevole di dividere o imporre restrizioni agli utenti di calcolatori, ma queste cose sarebbero comunque successe.
Allora cercai un modo in cui un programmatore potesse fare qualcosa di buono. Mi chiesi dunque: c’erano un programma o dei programmi che io potessi scrivere, per rendere nuovamente possibile
l’esistenza di una comunità?
La risposta era semplice: innanzitutto serviva un sistema operativo.
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Questo è difatti il software fondamentale per iniziare a usare un
computer. Con un sistema operativo si possono fare molte cose;
senza, non è proprio possibile far funzionare il computer. Con un
sistema operativo libero avremmo potuto avere nuovamente una
comunità in cui hacker possono cooperare e invitare chiunque a
unirsi al gruppo. E chiunque sarebbe stato in grado di usare un calcolatore, senza dover cospirare fin dall’inizio per sottrarre qualcosa
ai propri amici.
Essendo un programmatore di sistemi, possedevo le competenze
adeguate per questo lavoro. Così, anche se non davo il successo per
scontato, mi resi conto di essere la persona giusta per farlo. Scelsi
di rendere il sistema compatibile con Unix, in modo che fosse portabile, e che gli utenti Unix potessero passare facilmente a esso. Il
nome GNU fu scelto secondo una tradizione hacker, come acronimo ricorsivo che significa “GNU’s Not Unix” [GNU non è Unix].
Un sistema operativo non si limita solo al suo nucleo, che è proprio
il minimo per eseguire altri programmi. Negli anni ‘70, qualsiasi
sistema operativo degno di questo nome includeva interpreti di
comandi, assemblatori, compilatori, interpreti di linguaggi, debugger, editor di testo, programmi per la posta e molto altro. ITS li aveva, Multics li aveva, VMS li aveva e Unix li aveva. Anche il sistema
operativo GNU li avrebbe avuti.
Tempo dopo venni a conoscenza di questa massima, attribuita al
sapiente ebraico Hillel:
Se non sono per me stesso, chi sarà per me?
E se sono solo per me stesso, che cosa sono?
E se non ora, quando?
La decisione di iniziare il progetto GNU si basò su uno spirito simile.
Essendo ateo, non seguo alcuna guida religiosa, ma a volte mi trovo ad ammirare qualcosa che qualcuno di loro ha detto.
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“Free” come libero
Il termine “free software” [il termine ‘free’ in inglese significa sia
gratuito che libero] a volte è mal interpretato: non ha niente a che
vedere col prezzo del software; si tratta di libertà. Ecco, dunque, la
definizione di software libero. Un programma è software libero per
un dato utente se:
• l’utente ha la libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo;
• l’utente ha la libertà di modificare il programma secondo i propri bisogni (perché questa libertà abbia qualche effetto in pratica,
è necessario avere accesso al codice sorgente del programma, poiché apportare modifiche a un programma senza disporre del codice sorgente è estremamente difficile);
• l’utente ha la libertà di distribuire copie del programma, gratuitamente o dietro compenso;
• l’utente ha la libertà di distribuire versioni modificate del programma, così che la comunità possa fruire dei miglioramenti
apportati.
Poiché “free” si riferisce alla libertà e non al prezzo, vendere copie
di un programma non contraddice il concetto di software libero. In
effetti, la libertà di vendere copie di programmi è essenziale: raccolte di software libero vendute su CD-ROM sono importanti per
la comunità, e la loro vendita è un modo di raccogliere fondi importante per lo sviluppo del software libero. Di conseguenza, un programma che non può essere liberamente incluso in tali raccolte non
è software libero.
A causa dell’ambiguità del termine “free” [vale solo per l’inglese], si
è cercata a lungo un’alternativa, ma nessuno ne ha trovata una valida. La lingua inglese ha più termini e sfumature di ogni altra, ma
non ha una parola semplice e non ambigua che significhi libero;
“unfettered” è la parola più vicina come significato [termine di tono
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aulico o arcaico che significa libero da ceppi, vincoli o inibizioni].
Alternative come “liberated”, “freedom” e “open” hanno altri significati o non sono adatte per altri motivi [rispettivamente liberato,
libertà, aperto].
Software GNU e il sistema GNU
Sviluppare un intero sistema è un progetto considerevole. Per raggiungere l’obiettivo decisi di adattare e usare parti di software libero tutte le volte che fosse possibile. Per esempio, decisi fin dall’inizio di usare TeX come il principale programma di formattazione di
testo; qualche anno più tardi, decisi di usare l’X Window System
piuttosto che scrivere un altro sistema a finestre per GNU.
Per questi motivi, il sistema GNU e la raccolta di tutto il software
GNU non sono la stessa cosa. Il sistema GNU comprende programmi che non sono GNU, sviluppati da altre persone o gruppi
di progetto per i propri scopi, ma che possiamo usare in quanto
software libero.
L’inizio del progetto
Nel gennaio 1984 lasciai il mio posto al MIT e cominciai a scrivere software GNU. Dovetti lasciare il MIT, per evitare che potesse
interferire con la distribuzione di GNU come software libero. Se
fossi rimasto, il MIT avrebbe potuto rivendicare la proprietà del
lavoro, e avrebbe potuto imporre i propri termini di distribuzione,
o anche farne un pacchetto proprietario. Non avevo alcuna intenzione di fare tanto lavoro solo per vederlo reso inutilizzabile per il
suo scopo originario: creare una nuova comunità di condivisione
di software. A ogni buon conto, il professor Winston – allora
responsabile del laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT – mi
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propose gentilmente di continuare a utilizzare le attrezzature del
laboratorio stesso.
I primi passi
Poco dopo aver iniziato il progetto GNU, venni a sapere del Free University Compiler Kit, noto anche come VUCK (la parola olandese
che sta per “free” inizia con la V, “vrij”). Era un compilatore progettato per trattare più linguaggi, fra cui C e Pascal, e per generare codice binario per diverse architetture. Scrissi al suo autore chiedendo se
GNU avesse potuto usarlo. Rispose in modo canzonatorio, dicendo
che l’università era sì libera, ma non il compilatore. Decisi allora che
il mio primo programma per il progetto GNU sarebbe stato un compilatore multilinguaggio e multipiattaforma.
Sperando di evitare di dover scrivere da me l’intero compilatore,
ottenni il codice sorgente del Pastel, un compilatore multipiattaforma sviluppato ai Laboratori Lawrence Livermore. Il linguaggio supportato da Pastel, in cui il Pastel stesso era scritto, era una
versione estesa del Pascal, pensata come linguaggio di programmazione di sistemi. Io vi aggiunsi un frontend per il C, e cominciai il
porting per il processore Motorola 68000, ma fui costretto a rinunciare quando scoprii che il compilatore richiedeva diversi megabyte di memoria sullo stack, mentre il sistema Unix disponibile per il
processore 68000 ne permetteva solo 64K.
Mi resi conto allora che il compilatore Pastel interpretava tutto il
file di ingresso creandone un albero sintattico, convertiva questo in
una catena di “istruzioni”, e quindi generava l’intero file di uscita
senza mai liberare memoria. A questo punto, conclusi che avrei
dovuto scrivere un nuovo compilatore da zero. Quel nuovo compilatore è ora noto come Gcc; non utilizza niente del compilatore
Pastel, ma riuscii ad adattare e riutilizzare il frontend per il C che
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avevo scritto. Questo però avvenne qualche anno dopo; prima,
lavorai su GNU Emacs.
GNU Emacs
Cominciai a lavorare su GNU Emacs nel settembre 1984, e all’inizio
del 1985 cominciava a essere utilizzabile. Così potei iniziare a usare
sistemi Unix per scrivere; fino ad allora, avevo scritto sempre su altri
tipi di macchine, non avendo nessun interesse a imparare vi né ed.
A questo punto alcuni cominciarono a voler usare GNU Emacs, il
che pose il problema di come distribuirlo. Naturalmente lo misi sul
server ftp anonimo del computer che usavo al MIT (questo computer, “prep.ai.mit.edu”, divenne così il sito ftp primario di distribuzione di GNU; quando alcuni anni dopo andò fuori servizio, trasferimmo il nome sul nostro nuovo ftp server). Ma allora molte delle persone interessate non erano su Internet e non potevano ottenere una copia via ftp, così mi si pose il problema di cosa dir loro.
Avrei potuto dire: «trova un amico che è in rete disposto a farti una
copia». Oppure avrei potuto fare quel che feci con l’originario
Emacs su PDP-10, e cioè dir loro: «spediscimi una busta affrancata e un nastro, e io te lo rispedisco con sopra Emacs». Ma ero senza lavoro, e cercavo un modo di far soldi con il software libero. E
così feci sapere che avrei spedito un nastro a chi lo voleva per 150
dollari. In questo modo, creai un’impresa di distribuzione di software libero, che anticipava le compagnie che oggi distribuiscono interi sistemi GNU basati su Linux.
Un programma è libero per tutti?
Se un programma è software libero quando esce dalle mani del suo
autore, non significa necessariamente che sarà software libero per
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chiunque ne abbia una copia. Per esempio, il software di pubblico
dominio (software senza copyright) è software libero, ma chiunque
può farne una versione modificata proprietaria. Analogamente,
molti programmi liberi sono protetti da diritto d’autore, ma vengono distribuiti con semplici licenze permissive che permettono di
farne versioni modificate proprietarie.
L’esempio emblematico della questione è l’X Window System. Sviluppato al MIT e pubblicato come software libero con una licenza
permissiva, fu rapidamente adottato da diverse società informatiche.
Queste aggiunsero X ai loro sistemi Unix proprietari, solo in forma
binaria, e coperto dello stesso accordo di non-diffusione. Queste
copie di X non erano software più libero di quanto lo fosse Unix.
Gli autori dell’X Window System non ritenevano che questo fosse un
problema, anzi se lo aspettavano ed era loro intenzione che accadesse.
Il loro scopo non era la libertà, ma semplicemente il “successo”, definito come “avere tanti utenti”. Non interessava loro che questi utenti
fossero liberi, ma solo che fossero numerosi.
Questo sfociò in una situazione paradossale, in cui due modi diversi di misurare la quantità di libertà risultavano in risposte diverse
alla domanda «questo programma è libero?». Giudicando sulla base
della libertà offerta dai termini distributivi usati dal MIT, si sarebbe dovuto dire che X era software libero. Ma misurando la libertà
dell’utente medio di X, si sarebbe dovuto dire che X era software
proprietario. La maggior parte degli utenti di X usavano le versioni proprietarie fornite con i sistemi Unix, non la versione libera.
Il permesso d’autore [copyleft] e la GNU GPL
Lo scopo di GNU consisteva nell’offrire libertà agli utenti, non solo
nell’ottenere ampia diffusione. Avevamo quindi bisogno di termini di distribuzione che evitassero che il software GNU fosse tra21
sformato in software proprietario. Il metodo che usammo si chiama copyleft.
Il permesso d’autore [copyleft] usa le leggi sul diritto d’autore
[copyright], ma le capovolge per ottenere lo scopo opposto: invece
che un metodo per privatizzare il software, diventa infatti un mezzo per mantenerlo libero.
Il succo dell’idea di permesso d’autore consiste nel dare a chiunque
il permesso di eseguire il programma, copiare il programma, modificare il programma e distribuirne versioni modificate, ma senza
dare il permesso di aggiungere restrizioni. In tal modo, le libertà
essenziali che definiscono il “free software” sono garantite a chiunque ne abbia una copia, e diventano diritti inalienabili.
Perché un permesso d’autore sia efficace, anche le versioni modificate devono essere libere. Ciò assicura che ogni lavoro basato sul
nostro sia reso disponibile per la nostra comunità, se pubblicato.
Quando dei programmatori professionisti lavorano su software
GNU come volontari, è il permesso d’autore che impedisce ai loro
datori di lavoro di dire: «non puoi distribuire quei cambiamenti,
perché abbiamo intenzione di usarli per creare la nostra versione
proprietaria del programma».
La clausola che i cambiamenti debbano essere liberi è essenziale
se vogliamo garantire libertà a tutti gli utenti del programma. Le
aziende che privatizzarono l’X Window System di solito avevano apportato qualche modifica per portare il programma sui loro
sistemi e sulle loro macchine. Si trattava di modifiche piccole
rispetto alla mole di X, ma non banali. Se apportare modifiche
fosse una scusa per negare libertà agli utenti, sarebbe facile per
chiunque approfittare di questa scusa.
Una problematica correlata è quella della combinazione di un programma libero con codice non libero. Una tale combinazione sareb22
be inevitabilmente non libera; ogni libertà che manchi dalla parte
non libera mancherebbe anche dall’intero programma. Permettere
tali combinazioni aprirebbe non uno spiraglio, ma un buco grosso
come una casa. Quindi un requisito essenziale per il permesso d’autore è tappare il buco: tutto ciò che venga aggiunto o combinato
con un programma protetto da permesso d’autore, dev’essere tale
che il programma risultante sia anch’esso libero e protetto da permesso d’autore.
La specifica implementazione di permesso d’autore che utilizziamo
per la maggior parte del software GNU è la GNU General Public
License [licenza pubblica generica GNU], abbreviata in GNU
GPL. Abbiamo altri tipi di permesso d’autore che sono utilizzati in
circostanze specifiche. I manuali GNU sono anch’essi protetti da
permesso d’autore, ma ne usano una versione molto più semplice,
perché per i manuali non è necessaria la complessità della GPL.
Nel 1984 o 1985, Don Hopkins, persona molto creativa, mi mandò
una lettera. Sulla busta aveva scritto diverse frasi argute, fra cui questa: “Permesso d’autore – tutti i diritti rovesciati”. Utilizzai l’espressione “permesso d’autore” [copyleft] per battezzare il concetto di
distribuzione che allora andavo elaborando.
La Free Software Foundation
Man mano che l’interesse per Emacs aumentava, altre persone parteciparono al progetto GNU, e decidemmo che era di nuovo ora di
cercare finanziamenti. Così nel 1985 fondammo la Free Software
Foundation (FSF), una organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo di software libero. La FSF fra l’altro si prese carico della distribuzione dei nastri di Emacs; più tardi estese l’attività aggiungendo
sul nastro altro software libero (sia GNU che non GNU) e vendendo manuali liberi.
23
La FSF accetta donazioni, ma gran parte delle sue entrate è sempre
stata costituita dalle vendite: copie di software libero e servizi correlati. Oggi vende CD-ROM di codice sorgente, CD-ROM di programmi compilati, manuali stampati professionalmente (tutti con
libertà di ridistribuzione e modifica), e distribuzioni Deluxe (nelle
quali compiliamo l’intera scelta di software per una piattaforma a
richiesta).
I dipendenti della Free Software Foundation hanno scritto e curato la
manutenzione di diversi pacchetti GNU. Fra questi spiccano la libreria C e la shell. La libreria C di GNU è utilizzata da ogni programma
che gira su sistemi GNU/Linux per comunicare con Linux. È stata sviluppata da un membro della squadra della Free Software Foundation,
Roland McGrath. La shell usata sulla maggior parte dei sistemi
GNU/Linux è Bash, la Bourne Again Shell, che è stata sviluppata da
Brian Fox, dipendente della FSF.
Finanziammo lo sviluppo di questi programmi perché il progetto
GNU non riguardava solo strumenti di lavoro o un ambiente di
sviluppo: il nostro obiettivo era un sistema operativo completo, e
questi programmi erano necessari per raggiungere quell’obiettivo.
[“Bourne Again Shell” è un gioco di parole sul nome “Bourne
Shell”, che era la normale shell di Unix; “Bourne again” richiama
l’espressione cristiana “born again”, “rinato” (in Cristo)].
Il supporto per il software libero
La filosofia del software libero rigetta in particolare una diffusa pratica commerciale, ma non è contro il commercio. Quando un’impresa rispetta la libertà dell’utente, c’è da augurarle ogni successo.
La vendita di copie di Emacs esemplifica un modo di condurre affari col software libero. Quando la FSF prese in carico quest’attività,
dovetti trovare un’altra fonte di sostentamento. La trovai nella ven24
dita di servizi relativi al software libero che avevo sviluppato, come
insegnare argomenti quali programmazione di Emacs e personalizzazione di GCC, oppure sviluppare software, soprattutto adattamento di GCC a nuove architetture.
Oggi tutte queste attività collegate al software libero sono esercitate
da svariate aziende. Alcune distribuiscono raccolte di software libero su CD-ROM, altre offrono consulenza a diversi livelli, dall’aiutare gli utenti in difficoltà, alla correzione di errori, all’aggiunta di
funzionalità non banali. Si cominciano anche a vedere aziende di
software che si fondano sul lancio di nuovi programmi liberi.
Attenzione però: diverse aziende che si fregiano del marchio “open
source” in realtà fondano le loro attività su software non libero che
funziona insieme con software libero. Queste non sono aziende di
software libero, sono aziende di software proprietario i cui prodotti attirano gli utenti lontano dalla libertà. Loro li chiamano “a valore aggiunto”, il che riflette i valori che a loro farebbe comodo che
adottassimo: la convenienza prima della libertà. Se riteniamo che
la libertà abbia più valore, li dovremmo chiamare prodotti “a libertà
sottratta”.
Obiettivi tecnici
L’obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se
GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su Unix, avrebbe
avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare, sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà.
Tuttavia risultò naturale applicare al lavoro le regole classiche di
buona programmazione; per esempio, allocare le strutture dati
dinamicamente per evitare limitazioni arbitrarie sulla dimensione
dei dati, o gestire tutti i possibili codici a 8 bit in tutti i casi ragionevoli.
25
Inoltre, al contrario di Unix che era pensato per piccole dimensioni di memoria, decidemmo di non supportare le macchine a 16 bit
(era chiaro che le macchine a 32 bit sarebbero state la norma quando il sistema GNU sarebbe stato completo), e di non preoccuparci di ridurre l’occupazione di memoria a meno che eccedesse il
megabyte. In programmi per i quali non era essenziale la gestione
di file molto grandi, spingemmo i programmatori a leggere in
memoria l’intero file di ingresso per poi analizzare il file senza doversi preoccupare delle operazioni di I/O.
Queste decisioni fecero sì che molti programmi GNU superassero
i loro equivalenti Unix sia in affidabilità che in velocità di esecuzione.
Donazioni di computer
Man mano che la reputazione del progetto GNU andava crescendo, alcune persone iniziarono a donare macchine su cui girava Unix.
Queste macchine erano molto utili, perché il modo più semplice
di sviluppare componenti per GNU era di farlo su di un sistema
Unix così da sostituire pezzo per pezzo i componenti di quel sistema. Ma queste macchine sollevavano anche una questione etica: se
fosse giusto per noi anche solo possedere una copia di Unix.
Unix era (ed è) software proprietario, e la filosofia del progetto
GNU diceva che non avremmo dovuto usare software proprietario. Ma, applicando lo stesso ragionamento per cui la violenza è
ammessa per autodifesa, conclusi che fosse legittimo usare un pacchetto proprietario, se ciò fosse stato importante nel crearne un
sostituto libero che permettesse ad altri di smettere di usare quello
proprietario.
Tuttavia, benché fosse un male giustificabile, era pur sempre un
male. Oggi non abbiamo più alcuna copia di Unix, perché le abbia26
mo sostituite con sistemi operativi liberi. Quando non fu possibile sostituire il sistema operativo di una macchina con uno libero,
sostituimmo la macchina.
L’elenco dei compiti GNU
Mentre il progetto GNU avanzava, e un numero sempre maggiore
di componenti di sistema venivano trovati o sviluppati, diventò utile stilare un elenco delle parti ancora mancanti. Usammo questo
elenco per ingaggiare programmatori che scrivessero tali parti, e l’elenco prese il nome di elenco dei compiti GNU. In aggiunta ai componenti Unix mancanti inserimmo nell’elenco svariati progetti utili di programmazione o di documentazione che a nostro parere non
dovrebbero mancare in un sistema operativo veramente completo.
Oggi non compare quasi nessun componente Unix nell’elenco dei
compiti GNU; tutti questi lavori, a parte qualcuno non essenziale,
sono già stati svolti. D’altro canto l’elenco è pieno di quei progetti
che qualcuno chiamerebbe “applicazioni”: ogni programma che
interessi a una fetta non trascurabile di utenti sarebbe un’utile
aggiunta a un sistema operativo.
L’elenco comprende anche dei giochi, e così è stato fin dall’inizio:
Unix comprendeva dei giochi, perciò era naturale che così fosse
anche per GNU. Ma poiché non c’erano esigenze di compatibilità
per i giochi, non ci attenemmo alla scelta di giochi presenti in Unix,
preferendo piuttosto fornire un elenco di diversi tipi di giochi
potenzialmente graditi agli utenti.
La licenza GNU per le librerie
La libreria C del sistema GNU utilizza un tipo speciale di permesso
d’autore, la “Licenza Pubblica GNU per le Librerie”, che permette l’u27
so della libreria da parte di software proprietario. Perché quest’eccezione? Non si tratta di questioni di principio: non c’è nessun principio che dica che i prodotti software proprietari abbiano il diritto di
includere il nostro codice (perché contribuire a un progetto fondato
sul rifiuto di condividere con noi?). L’uso della licenza LGPL per la
libreria C, o per qualsiasi altra libreria, è una questione di strategia.
La libreria C svolge una funzione generica: ogni sistema operativo
proprietario e ogni compilatore includono una libreria C. Di conseguenza, rendere disponibile la nostra libreria C solo per i programmi
liberi non avrebbe dato nessun vantaggio a tali programmi liberi,
avrebbe solo disincentivato l’uso della nostra libreria.
C’è un’eccezione a questa situazione: sul sistema GNU (termine che
include GNU/Linux) l’unica libreria C disponibile è quella GNU.
Quindi i termini di distribuzione della nostra libreria C determinano se sia possibile o meno compilare un programma proprietario per
il sistema GNU. Non ci sono ragioni etiche per permettere l’uso di
applicazioni proprietarie sul sistema GNU, ma strategicamente sembra che impedirne l’uso servirebbe più a scoraggiare l’uso del sistema
GNU che non a incoraggiare lo sviluppo di applicazioni libere.
Ecco perché l’uso della licenza LGPL è una buona scelta strategica
per la libreria C, mentre per le altre librerie la strategia va valutata
caso per caso. Quando una libreria svolge una funzione particolare che può aiutare a scrivere certi tipi di programmi, distribuirla
secondo la GPL, quindi limitandone l’uso ai soli programmi liberi, è un modo per aiutare gli altri autori di software libero, dando
loro un vantaggio nei confronti del software proprietario.
Prendiamo come esempio GNU Readline2, una libreria scritta per
2 La libreria GNU Readline fornisce una serie di funzioni utilizzabili da applicazioni che
consentono all’utente la modifica della linee di comando man mano che queste vengono
composte.
28
fornire a Bash la modificabilità della linea di comando: Readline è
distribuita secondo la normale licenza GPL, non la LGPL. Ciò probabilmente riduce l’uso di Readline, ma questo non rappresenta
una perdita per noi; d’altra parte almeno una applicazione utile è
stata resa software libero proprio al fine di usare Readline, e questo
è un guadagno tangibile per la comunità.
Chi sviluppa software proprietario ha vantaggi economici, gli autori di
programmi liberi hanno bisogno di avvantaggiarsi a vicenda. Spero che
un giorno possiamo avere una grande raccolta di librerie coperte dalla
licenza GPL senza che esista una raccolta equivalente per chi scrive
software proprietario. Tale libreria fornirebbe utili moduli da usare
come i mattoni per costruire nuovi programmi liberi e costituendo un
sostanziale vantaggio per la scrittura di ulteriori programmi liberi.
[Nel 1999 la FSF ha cambiato nome alla licenza LGPL che ora si
chiama “Lesser GPL”, GPL attenuata, per non suggerire che si tratti della forma di licenza preferenziale per le librerie].
Togliersi il prurito?
Eric Raymond afferma che «ogni buon programma nasce dall’iniziativa di un programmatore che si vuole togliere un suo personale prurito». È probabile che talvolta succeda così, ma molte parti
essenziali del software GNU sono state sviluppate al fine di completare un sistema operativo libero. Derivano quindi da un’idea e
da un progetto, non da una necessità contingente.
Per esempio, abbiamo sviluppato la libreria C di GNU perché un
sistema di tipo Unix ha bisogno di una libreria C, la Bourne Again
Shell (Bash) perché un sistema di tipo Unix ha bisogno di una shell,
e GNU tar perché un sistema di tipo Unix ha bisogno un programma tar. Lo stesso vale per i miei programmi: il compilatore
GNU, GNU Emacs, GDB, GNU Make.
29
Alcuni programmi GNU sono stati sviluppati per fronteggiare specifiche minacce alla nostra libertà: ecco perché abbiamo sviluppato gzip come sostituto per il programma Compress, che la comunità aveva perduto a causa dei brevetti sull’algoritmo LZW3. Abbiamo trovato persone che sviluppassero LessTif, e più recentemente
abbiamo dato vita ai progetti GNOME e Harmony per affrontare
i problemi causati da alcune librerie proprietarie (come descritto
più avanti). Stiamo sviluppando la GNU Privacy Guard per sostituire i diffusi programmi di crittografia non liberi, perché gli utenti non siano costretti a scegliere tra riservatezza e libertà.
Naturalmente, i redattori di questi programmi sono coinvolti nel loro
lavoro, e varie persone vi hanno aggiunto diverse funzionalità secondo le loro personali necessità e i loro interessi. Tuttavia non è questa
la ragione dell’esistenza di tali programmi.
Sviluppi inattesi
All’inizio del progetto GNU pensavo che avremmo sviluppato l’intero sistema GNU e poi lo avremmo reso disponibile tutto insieme, ma le cose non andarono così.
Poiché i componenti del sistema GNU sono stati implementati su
un sistema Unix, ognuno di essi poteva girare su sistemi Unix molto prima che esistesse un sistema GNU completo. Alcuni di questi
programmi divennero diffusi e gli utenti iniziarono a estenderli e a
renderli utilizzabili su nuovi sistemi: sulle varie versioni di Unix,
incompatibili tra loro, e talvolta anche su altri sistemi.
Questo processo rese tali programmi molto più potenti e attirò finanziamenti e collaboratori al progetto GNU; tuttavia probabilmente
ritardò di alcuni anni la realizzazione di un sistema minimo funzio3
L’algoritmo Lempel-Ziv-Welch è usato per la compressione dei dati.
30
nante, perché il tempo degli autori GNU veniva impiegato a curare
la compatibilità di questi programmi con altri sistemi e ad aggiungere nuove funzionalità ai componenti esistenti, piuttosto che a proseguire nella scrittura di nuovi componenti.
GNU Hurd
Nel 1990 il sistema GNU era quasi completo, l’unica parte significativa ancora mancante era il kernel. Avevamo deciso di implementare il nostro kernel come un gruppo di processi server che
girassero sul sistema Mach. Mach è un micro-kernel sviluppato alla
Carnegie Mellon University e successivamente all’Università dello
Utah; GNU Hurd è un gruppo di server (o “herd of gnus”: mandria di gnu) che gira su Mach svolgendo le funzioni del kernel Unix.
L’inizio dello sviluppo fu ritardato nell’attesa che Mach fosse reso
disponibile come software libero, come era stato promesso.
Una ragione di questa scelta progettuale fu di evitare quella che sembrava la parte più complessa del lavoro: effettuare il debugging del
kernel senza un debugger a livello sorgente. Questo lavoro era già
stato fatto, appunto in Mach, e avevamo previsto di effettuare il
debugging dei server Hurd come programmi utente con GDB. Ma
questa fase si rivelò molto lunga, e il debugging dei server multithread che si scambiano messaggi si è rivelato estremamente complesso. Per rendere Hurd robusto furono così necessari molti anni.
Alix
Originariamente il kernel GNU non avrebbe dovuto chiamarsi
Hurd; il suo nome originale era Alix – come la donna di cui ero
innamorato in quel periodo. Alix, che era amministratrice di sistemi Unix, aveva sottolineato come il suo nome corrispondesse a un
31
comune schema usato per battezzare le versioni del sistema Unix:
scherzosamente diceva ai suoi amici: «qualcuno dovrebbe chiamare un kernel come me». Io non dissi nulla ma decisi di farle una sorpresa scrivendo un kernel chiamato Alix.
Le cose non andarono così. Michael Bushnell (ora Thomas), principale autore del kernel, preferì il nome Hurd, e chiamò Alix una
parte del kernel, quella che serviva a intercettare le chiamate di sistema e a gestirle inviando messaggi ai server che compongono Hurd.
Infine io e Alix ci lasciammo e lei cambiò nome; contemporaneamente la struttura di Hurd veniva cambiata in modo che la libreria
C mandasse messaggi direttamente ai server, e così il componente
Alix scomparve dal progetto. Prima che questo accadesse, però, un
amico di Alix si accorse della presenza del suo nome nel codice sorgente di Hurd e glielo disse. Così il nome raggiunse il suo scopo.
Linux e GNU/Linux
GNU Hurd non è pronto per un uso non sperimentale, ma per fortuna è disponibile un altro kernel: nel 1991 Linus Torvalds sviluppò
un kernel compatibile con Unix e lo chiamò Linux. Attorno al
1992, la combinazione di Linux con il sistema GNU ancora incompleto, produsse un sistema operativo libero completo (naturalmente combinarli fu un notevole lavoro di per sé). È grazie a Linux
che oggi possiamo utilizzare una versione del sistema GNU.
Chiamiamo GNU/Linux questa versione del sistema, per indicare
la sua composizione come una combinazione del sistema GNU col
kernel Linux.
Le sfide che ci aspettano
Abbiamo dimostrato la nostra capacità di sviluppare un’ampia
gamma di software libero, ma questo non significa che siamo
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invincibili e inarrestabili. Diverse sfide rendono incerto il futuro
del software libero, e affrontarle richiederà perseveranza e sforzi
costanti, talvolta per anni. Sarà necessaria quella determinazione
che le persone sanno dimostrare quando danno valore alla propria libertà e non permettono a nessuno di sottrargliela. Le quattro sezioni seguenti parlano di queste sfide.
Hardware segreto
Sempre più spesso, i costruttori di hardware tendono a mantenere
segrete le specifiche delle loro apparecchiature; questo rende difficile la scrittura di driver liberi che permettano a Linux e XFree864
di supportare nuove periferiche. Anche se oggi abbiamo sistemi
completamente liberi, potremmo non averli domani se non saremo
in grado di supportare i calcolatori di domani. Esistono due modi
per affrontare il problema. Un programmatore può ricostruire le
specifiche dell’hardware usando tecniche di reverse engineering.
Oppure si può scegliere hardware supportato dai programmi liberi: man mano che il nostro numero aumenta, la segretezza delle specifiche diventerà una pratica controproducente.
Il reverse engineering è difficile: avremo programmatori sufficientemente determinati da dedicarvisi? Sì, se avremo costruito una forte consapevolezza che avere programmi liberi sia una questione di
principio e che i driver non liberi non sono accettabili. E succederà
che molti di noi accettino di spendere un po’ di più o perdere un
po’ più di tempo per poter usare driver liberi? Sì, se il desiderio di
libertà e la determinazione a ottenerla saranno diffusi.
XFree86 è un programma che fornisce un ambiente desktop che interfaccia con le periferiche dell’hardware, quali mouse e tastiera; gira su molte piattaforme diverse.
4
33
Librerie non libere
Una libreria non libera che giri su sistemi operativi liberi funziona come una trappola per i creatori di programmi liberi. Le funzionalità attraenti della libreria fungono da esca; chi usa la libreria
cade nella trappola, perché il programma che crea è inutile come
parte di un sistema operativo libero (a rigore, il programma potrebbe esservi incluso, ma non funzionerebbe, visto che manca la libreria). Peggio ancora, se un programma che usa la libreria proprietaria diventa diffuso, può attirare altri ignari programmatori nella
trappola.
Il problema si concretizzò per la prima volta con la libreria Motif5,
negli anni ‘80. Sebbene non ci fossero ancora sistemi operativi liberi, i problemi che Motif avrebbe causato loro erano già chiari. Il progetto GNU reagì in due modi: interessandosi presso diversi progetti di software libero perché supportassero gli strumenti grafici X liberi in aggiunta a Motif, e cercando qualcuno che scrivesse un sostituto libero di Motif. Il lavoro richiese molti anni: solo nel 1997 LessTif, sviluppato dagli “Hungry Programmers”, divenne abbastanza
potente da supportare la maggior parte delle applicazioni Motif.
Tra il 1996 e il 1998 un’altra libreria non libera di strumenti grafici, chiamata Qt, veniva usata in una significativa raccolta di software libero: l’ambiente grafico KDE.
I sistemi liberi GNU/Linux non potevano usare KDE, perché non
potevamo usare la libreria; tuttavia, alcuni distributori commerciali di sistemi GNU/Linux, non scrupolosi nell’attenersi solo ai programmi liberi, aggiunsero KDE ai lori sistemi, ottenendo così sistemi che offrivano più funzionalità, ma meno libertà. Il gruppo che
sviluppava KDE incoraggiava esplicitamente altri programmatori a
usare Qt, e milioni di nuovi “utenti Linux” non sospettavano mini5
Motif è un’interfaccia grafica e manager di finestre che gira su X Windows.
34
mamente che questo potesse costituire un problema. La situazione
si faceva pericolosa.
La comunità del software libero affrontò il problema in due modi:
GNOME e Harmony.
GNOME (GNU Network Object Model Environment, modello di ambiente per oggetti di rete) è il progetto GNU per l’ambiente grafico (desktop). Intrapreso nel 1997 da Miguel de Icaza
e sviluppato con il supporto di Red Hat Software, GNOME si
ripromise di fornire funzionalità grafiche simili a quelle di KDE,
ma usando esclusivamente software libero. GNOME offre anche
dei vantaggi tecnici, come il supporto per svariati linguaggi di programmazione, non solo il C++. Ma il suo scopo principale era la
libertà: non richiedere l’uso di alcun programma che non fosse
libero.
Harmony è una libreria compatibile con Qt, progettata per rendere possibile l’uso del software KDE senza dover usare Qt.
Nel novembre 1998 gli autori di Qt annunciarono un cambiamento di licenza che, una volta operativo, avrebbe reso Qt software libero. Non c’è modo di esserne certi, ma credo che questo fu in
parte dovuto alla decisa risposta della comunità al problema posto
da Qt quando non era libero (la nuova licenza è scomoda e iniqua,
per cui rimane comunque preferibile evitare l’uso di Qt)6.
Come risponderemo alla prossima allettante libreria non libera?
Riuscirà la comunità in toto a comprendere l’importanza di evitare la trappola? Oppure molti di noi preferiranno la convenienza alla
libertà, creando così ancora un grave problema? Il nostro futuro
dipende dalla nostra filosofia.
Nel settembre 2000 Qt venne ri-ridistribuito sotto la GNU GPL, il che ha sostanzialmente risolto questo problema.
6
35
Brevetti sul software
Il maggior pericolo a cui ci troviamo di fronte è quello dei brevetti sul software, che possono rendere inaccessibili al software libero
algoritmi e funzionalità per un tempo che può estendersi fino a
vent’anni. I brevetti sugli algoritmi di compressione LZW furono
depositati nel 1983, e ancor oggi non possiamo distribuire programmi liberi che producano immagini GIF compresse. Nel 1998
un programma libero per produrre audio compresso MP3 venne
ritirato sotto minaccia di una causa per violazione di brevetto.
Ci sono modi per affrontare la questione brevetti: possiamo cercare prove che un brevetto non sia valido oppure possiamo cercare
modi alternativi per completare ugualmente il lavoro. Ognuna di
queste tecniche, però, funziona solo in certe circostanze; quando
entrambe falliscono, un brevetto può obbligare tutto il software libero a rinunciare a qualche funzionalità che gli utenti desiderano. Cosa
dobbiamo fare quando ciò accade?
Chi fra noi apprezza il software libero per il valore della libertà
rimarrà comunque dalla parte dei programmi liberi; saremo in grado di svolgere il nostro lavoro senza le funzionalità coperte da brevetto. Ma coloro che apprezzano il software libero perché si aspettano che sia tecnicamente superiore probabilmente grideranno al
fallimento quando un brevetto ne impedisce lo sviluppo. Perciò,
nonostante sia utile parlare dell’efficacia pratica del modello di sviluppo “a cattedrale”7, e dell’affidabilità e della potenza di un dato
programma libero, non ci dobbiamo fermare qui; dobbiamo parlare di libertà e di principi.
Probabilmente intendevo scrivere “del modello a bazaar”, poiché era questa l’alternativa
nuova e inizialmente controversa.
7
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Documentazione libera
La più grande carenza nei nostri sistemi operativi liberi non è nel
software, quanto nella carenza di buoni manuali liberi da includere nei nostri sistemi. La documentazione è una parte essenziale di
qualunque pacchetto software; quando un importante pacchetto
software libero non viene accompagnato da un buon manuale libero, si tratta di una grossa lacuna. E di queste lacune attualmente ne
abbiamo molte.
La documentazione libera, come il software libero, è una questione di libertà, non di prezzo. Il criterio per definire libero un manuale è fondamentalmente lo stesso che per definire libero un programma: si tratta di offrire certe libertà a tutti gli utenti. Deve essere permessa la redistribuzione (compresa la vendita commerciale),
sia in formato elettronico che cartaceo, in modo che il manuale possa accompagnare ogni copia del programma.
Autorizzare la modifica è anch’esso un aspetto cruciale; in generale, non credo sia essenziale permettere alle persone di modificare
articoli e libri di qualsiasi tipo. Per esempio, non credo che voi o io
dobbiamo sentirci in dovere di autorizzare la modifica di articoli
come questo, articoli che descrivono le nostre azioni e il nostro punto di vista.
Ma c’è una ragione particolare per cui la libertà di modifica è cruciale per la documentazione dei programmi liberi. Quando qualcuno esercita il proprio diritto di modificare il programma, aumentandone o alterandone le funzionalità, se è coscienzioso modificherà
anche il manuale, in modo da poter fornire una documentazione
utile e accurata insieme al programma modificato. Un manuale che
non permetta ai programmatori di essere coscienziosi e completare il loro lavoro, non soddisfa i bisogni della nostra comunità.
Alcuni limiti sulla modificabilità non pongono alcun problema; per
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esempio, le richieste di conservare la nota di copyright dell’autore
originale, i termini di distribuzione e la lista degli autori vanno
bene. Non ci sono problemi nemmeno nel richiedere che le versioni modificate dichiarino esplicitamente di essere tali, così pure
che intere sezioni non possano essere rimosse o modificate, finché
queste sezioni vertono su questioni non tecniche. Restrizioni di
questo tipo non creano problemi perché non impediscono al programmatore coscienzioso di adattare il manuale perché rispecchi il
programma modificato. In altre parole, non impediscono alla comunità del software libero di beneficiare appieno dal manuale.
D’altro canto, deve essere possibile modificare tutto il contenuto tecnico del manuale e poter distribuire il risultato in tutti i formati usuali, attraverso tutti i normali canali di distribuzione; diversamente, le
restrizioni creerebbero un ostacolo per la comunità, il manuale non
sarebbe libero e avremmo bisogno di un altro manuale.
Gli sviluppatori di software libero avranno la consapevolezza e la
determinazione necessarie a produrre un’intera gamma di manuali
liberi? Ancora una volta, il nostro futuro dipende dalla nostra filosofia.
Dobbiamo parlare di libertà
Stime recenti valutano in dieci milioni il numero di utenti di sistemi GNU/Linux quali Debian GNU/Linux e Red Hat Linux. Il
software libero ha creato tali vantaggi pratici che gli utenti stanno
approdando a esso per pure ragioni pratiche.
Gli effetti positivi di questa situazione sono evidenti: maggior interesse a sviluppare software libero, più clienti per le imprese di
software libero e una migliore capacità di incoraggiare le aziende a
sviluppare software commerciale libero invece che prodotti software proprietari.
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L’interesse per il software, però, sta crescendo più in fretta della coscienza della filosofia su cui è basato, e questa disparità causa problemi. La nostra capacità di fronteggiare le sfide e le
minacce descritte in precedenza dipende dalla determinazione
nell’essere impegnati per la libertà. Per essere sicuri che la nostra
comunità abbia tale determinazione, dobbiamo diffondere l’idea presso i nuovi utenti man mano che entrano a far parte della comunità.
Ma in questo stiamo fallendo: gli sforzi per attrarre nuovi utenti nella comunità sono di gran lunga maggiori degli sforzi per
l’educazione civica della comunità stessa. Dobbiamo fare
entrambe le cose, e dobbiamo mantenere un equilibrio fra i due
impegni.
“Open Source”
Parlare di libertà ai nuovi utenti è diventato più difficile dal 1998,
quando una parte della comunità decise di smettere di usare il termine “free software” e usare al suo posto “open source”.
Alcune delle persone che suggerirono questo termine intendevano
evitare che si confondesse “free” con “gratis”, un valido obiettivo.
D’altra parte, altre persone intendevano mettere da parte lo spirito
del principio che aveva dato la spinta al movimento del software
libero e al progetto GNU, puntando invece ad attrarre i dirigenti e
gli utenti commerciali, molti dei quali afferiscono a una ideologia
che pone il profitto al di sopra della libertà, della comunità, dei
principi. Perciò la retorica di “open source” si focalizza sulla possibilità di creare software di buona qualità e potente, ma evita deliberatamente le idee di libertà, comunità, principio.
Le riviste che si chiamano “Linux...” sono un chiaro esempio di ciò:
sono piene di pubblicità di software proprietario che gira sotto
39
GNU/Linux; quando ci sarà il prossimo Motif o Qt, queste riviste
avvertiranno i programmatori di starne lontano o accetteranno la
sua pubblicità? L’appoggio delle aziende può contribuire alla comunità in molti modi; a parità di tutto il resto è una cosa utile. Ma
ottenere questo appoggio parlando ancor meno di libertà e principi può essere disastroso; rende ancora peggiore lo sbilanciamento
descritto tra diffusione ed educazione civica.
“Software libero” (free software) e “sorgente aperto” (open source)
descrivono più o meno la stessa categoria di software, ma dicono
cose differenti sul software e sui valori. Il progetto GNU continua
a usare il termine “software libero” per esprimere l’idea che la libertà
sia importante, non solo la tecnologia.
Provaci!
La filosofia di Yoda (“Non esiste provarci”) suona bene, ma per
me non funziona. Ho fatto la maggior parte del mio lavoro angustiato dal timore di non essere in grado di svolgere il mio compito e nel dubbio, se fossi riuscito, che non fosse sufficiente per
raggiungere l’obiettivo. Ma ci ho provato in ogni caso perché nessuno tranne me si poneva tra il nemico e la mia città. Sorprendendo me stesso, qualche volta sono riuscito.
A volte ho fallito, alcune delle mie città sono cadute; poi ho trovato un’altra città minacciata e mi sono preparato a un’altra battaglia. Con l’andar del tempo ho imparato a cercare le possibili
minacce e a mettermi tra loro e la mia città, facendo appello ad
altri hacker perché venissero e si unissero a me.
Oggigiorno spesso non sono da solo. È un sollievo e una gioia quando vedo un reggimento di hacker che scavano trincee per difendere il confine e quando mi rendo conto che questa città può sopravvivere; per ora. Ma i pericoli diventano più grandi ogni anno, e ora
40
Microsoft ha esplicitamente preso di mira la nostra comunità. Non
possiamo dare per scontato il futuro della libertà; non diamolo per
scontato! Se volete mantenere la vostra libertà dovete essere pronti
a difenderla.
La versione originale inglese di questo saggio è apparsa nel libro Open Sources: Voices from the Open Source Revolution (O’Reilly, 1999), e in italiano
in Open Sources: Voci dalla rivoluzione open source (Apogeo, 1999).
Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected
Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
41
Il manifesto GNU
Il manifesto GNU venne scritto all’inizio del progetto GNU, per stimolarne la partecipazione e il sostegno. Nei primi anni è stato aggiornato in maniera ridotta per documentarne gli sviluppi, ma oggi sembra
meglio lasciarlo inalterato per come lo ha visto la maggior parte della
gente. Da allora, ci siamo accorti di alcuni equivoci comuni che l’uso di
una diversa terminologia potrebbe aiutare a evitare. Nel corso degli anni
sono state aggiunte delle note a chiarimento di tali equivoci.
Cos’è GNU? Gnu non è Unix!
GNU, che sta per “Gnu’s Not Unix” (Gnu Non è Unix), è il nome
del sistema software completo e Unix-compatibile che sto scrivendo
per distribuirlo liberamente a chiunque lo possa utilizzare1. Molti altri
volontari mi stanno aiutando. Abbiamo gran necessità di contributi
in tempo, denaro, programmi e macchine.
Fino a ora abbiamo un editor Emacs fornito di Lisp per espanderne i comandi, un debugger simbolico, un generatore di parser com1 Qui la scelta delle parole è stata poco accurata. L’intenzione era che nessuno dovesse pagare per il permesso di usare il sistema GNU. Ma le parole non lo esprimono chiaramente, e
la gente le interpreta spesso come asserzione che GNU debba sempre essere distribuito in
forma gratuita o a basso prezzo. Non è mai stato questo l’intento; più oltre il manifesto parla della possibile esistenza di aziende che forniscano il servizio di distribuzione a scopo di
lucro. Di conseguenza ho imparato a distinguere tra “free” nel senso di libero e “free” nel
senso di gratuito. Il software libero è il software che gli utenti sono liberi di distribuire e
modificare. Alcuni lo avranno gratuitamente, altri dovranno pagare per ottenere le loro
copie, e se dei finanziamenti aiutano a migliorare il software tanto meglio. La cosa importante è che chiunque ne abbia una copia sia libero di cooperare con altri nell’usarlo.
42
patibile con yacc, un linker e circa 35 utility. È quasi pronta una
shell (interprete di comandi). Un nuovo compilatore C portabile e
ottimizzante ha compilato se stesso e potrebbe essere pubblicato
quest’anno. Esiste un inizio di kernel, ma mancano molte delle
caratteristiche necessarie per emulare Unix. Una volta terminati il
kernel e il compilatore sarà possibile distribuire un sistema GNU
utilizzabile per lo sviluppo di programmi. Useremo TeX come formattatore di testi, ma lavoriamo anche su un nroff. Useremo inoltre il sistema a finestre portabile libero X. Dopo di che aggiungeremo un Common Lisp portabile, il gioco Empire, un foglio elettronico e centinaia di altre cose, oltre alla documentazione in linea.
Speriamo di fornire, col tempo, tutte le cose utili che normalmente si trovano in un sistema Unix, e anche di più.
GNU sarà in grado di far girare programmi Unix, ma non sarà identico a Unix. Apporteremo tutti i miglioramenti che sarà ragionevole fare basandoci sull’esperienza maturata con altri sistemi operativi. In particolare, abbiamo in programma nomi più lunghi per
i file, numeri di versione per i file, un filesystem a prova di crash,
forse completamento automatico dei nomi dei file, supporto indipendente dal terminale per la visualizzazione e forse col tempo un
sistema a finestre basato sul Lisp, attraverso il quale più programmi Lisp e normali programmi Unix siano in grado di condividere
lo schermo. Sia C che Lisp saranno linguaggi per la programmazione di sistema. Per le comunicazioni vedremo di supportare
UUCP, Chaosnet del MIT e i protocolli di Internet.
GNU è inizialmente orientato alle macchine della classe
68000/16000 con memoria virtuale, perché sono quelle su cui è
più facile farlo girare. Lasceremo agli interessati il lavoro necessario
a farlo girare su macchine più piccole.
Vi preghiamo, per evitare confusioni, di pronunciare la ‘G’ nella
43
parola ‘GNU’ quando indica il nome di questo progetto [questa
avvertenza serve a chiarire che in inglese “GNU” va pronunciato
con la g dura, gh-nu, piuttosto che come “new”, niu; identica la
pronuncia italiana].
Perché devo scrivere GNU
Credo che il punto fondamentale sia che, se a me piace un programma, io debba condividerlo con altre persone a cui piace. I venditori di software usano il criterio “divide et impera” con gli utenti, facendo sì che non condividano il software con altri. Io mi rifiuto di spezzare così la solidarietà con gli altri utenti. La mia coscienza non mi consente di firmare un accordo per non rivelare informazioni o per una licenza d’uso del software. Ho lavorato per anni
presso il Laboratorio di Intelligenza Artificiale per resistere a queste tendenze e ad altri atteggiamenti sgradevoli, ma col tempo queste sono andate troppo oltre: non potevo rimanere in una istituzione dove ciò viene fatto a mio nome contro la mia volontà. Per
poter continuare a usare i computer senza disonore, ho deciso di
raccogliere un corpus di software libero in modo da andare avanti
senza l’uso di alcun software che non sia libero. Mi sono dimesso
dal Laboratorio di Intelligenza Artificiale per togliere al MIT ogni
scusa legale che mi impedisca di distribuire GNU.
Perché GNU sarà compatibile con Unix
Unix non è il mio sistema ideale, ma non è poi così male. Le caratteristiche essenziali di Unix paiono essere buone e penso di poter
colmare le lacune di Unix senza rovinarne le caratteristiche. E adottare un sistema compatibile con Unix può risultare pratico anche
per molti altri.
44
Come sarà reso disponibile GNU
GNU non è di pubblico dominio. A tutti sarà permesso di modificare e ridistribuire GNU, ma a nessun distributore sarà concesso di
porre restrizioni sulla sua ridistribuzione. Questo vuol dire che non
saranno permesse modifiche proprietarie (18k caratteri). Voglio essere sicuro che tutte le versioni di GNU rimangano libere.
Perché molti altri programmatori desiderano essere d’aiuto
Ho trovato molti altri programmatori molto interessati a GNU che
vogliono dare una mano.
Molti programmatori sono scontenti della commercializzazione del
software di sistema. Li può aiutare a far soldi, ma li costringe in generale a sentirsi in conflitto con gli altri programmatori, invece che
solidali. L’atto di amicizia fondamentale tra programmatori è condividere programmi; le politiche di commercializzazione attualmente in uso essenzialmente proibiscono ai programmatori di trattare gli altri come amici. Gli acquirenti del software devono decidere tra l’amicizia e l’obbedienza alle leggi. Naturalmente molti decidono che l’amicizia è più importante. Ma quelli che credono nella
legge non si sentono a proprio agio con queste scelte. Diventano
cinici e pensano che programmare sia solo un modo per fare soldi.
Lavorando e utilizzando GNU invece che programmi proprietari,
possiamo comportarci amichevolmente con tutti e insieme rispettare la legge. Inoltre GNU è un esempio che ispira gli altri e una
bandiera che li chiama a raccolta perché si uniscano a noi nel condividere il software. Questo ci può dare una sensazione di armonia
che sarebbe irraggiungibile se usassimo software che non sia libero.
Per circa la metà dei programmatori che conosco è una soddisfazione importante, che il denaro non può sostituire.
45
Come si può contribuire
Chiedo ai produttori di computer donazioni in denaro e macchine, e ai privati donazioni in programmi e lavoro.
Donare delle macchine può far sì che su di esse giri ben presto
GNU. Le macchine devono essere sistemi completi e pronti all’uso approvati per l’utilizzo in aree residenziali e non devono richiedere raffreddamento o alimentazione di tipo sofisticato.
Ho conosciuto moltissimi programmatori desiderosi di contribuire a GNU a metà tempo. Per la gran parte dei progetti, un lavoro
a metà tempo distribuito risulterebbe troppo difficile da coordinare, perché le varie parti scritte indipendentemente non funzionerebbero insieme. Ma per scrivere un sostituto di Unix questo problema non si pone, perché un sistema Unix completo contiene centinaia di programmi di servizio, ognuno con la propria documentazione separata, e con gran parte delle specifiche di interfaccia date
dalla compatibilità con Unix. Se ogni partecipante scrive un solo
programma da usare al posto di una utility di Unix, il quale funzioni correttamente al posto dell’originale su un sistema Unix, allora questi programmi funzioneranno bene una volta messi assieme.
Anche considerando qualche imprevisto dovuto a Murphy2, assemblare tali componenti è un lavoro fattibile. Il kernel invece richiederà una più stretta cooperazione, e verrà sviluppato da un gruppo
piccolo e affiatato.
Donazioni in denaro possono mettermi in grado di assumere alcune
persone a tempo pieno o a metà tempo. Lo stipendio non sarà alto
rispetto agli standard dei programmatori, ma io cerco persone per le
quali lo spirito della comunità GNU sia importante quanto il dena2 Questo è un riferimento alla “Legge di Murphy”, una legge umoristica secondo la quale,
qualora esista la possibilità che qualcosa vada male, allora andrà male.
46
ro. Io lo vedo come un modo di permettere a degli appassionati di
dedicare tutte le loro energie al lavoro su GNU senza essere costretti
a guadagnarsi da vivere in un altro modo.
Perché tutti gli utenti dei computer ne trarranno beneficio
Una volta scritto GNU, ognuno potrà avere liberamente del buon
software di sistema, così come può avere l’aria3.
Questo significa molto di più che far risparmiare a ciascuno il costo
di una licenza Unix: vuol dire evitare l’inutile spreco di ripetere ogni
volta lo sforzo della programmazione di sistema. Queste energie
possono essere invece impiegate ad avanzare lo stato dell’arte.
I sorgenti completi del sistema saranno a disposizione di tutti. Di
conseguenza, un utente che abbia necessità di apportare dei cambiamenti al sistema sarà sempre in grado di farlo da solo o di commissionarne le modifiche a un programmatore o a un’impresa. Gli
utenti non saranno più in balìa di un solo programmatore o di una
impresa che, avendo la proprietà esclusiva dei sorgenti, sia la sola a
poter fare le modifiche.
Le scuole avranno la possibilità di fornire un ambiente molto più
educativo, incoraggiando gli studenti a studiare e migliorare il
software di sistema. I laboratori di informatica di Harvard avevano
una politica per cui nessun programma poteva essere installato nel
sistema senza che i sorgenti fossero pubblicamente consultabili, e
la praticarono rifiutandosi effettivamente di installare alcuni programmi. Questo comportamento mi è stato di grande ispirazione.
Infine, scompariranno le necessità burocratiche di tener conto di
Questo è un altro punto dove non sono riuscito a distinguere chiaramente tra i due significati di “free”. La frase, così com’è, non è falsa – si possono ottenere gratuitamente copie del
software GNU, o dagli amici o attraverso la rete. Ma in effetti suggerisce un’idea sbagliata.
3
47
chi sia il proprietario del software di sistema e di chi abbia il diritto di farci cosa.
Ogni sistema per imporre tariffe d’uso di un programma, comprese le licenze d’uso per le copie, è sempre estremamente costoso in
termini sociali a causa del complesso meccanismo necessario per
decidere quanto (cioè per quali programmi) ognuno debba pagare,
e solo uno stato di polizia può costringere tutti all’obbedienza.
Immaginate una stazione spaziale dove l’aria deve essere prodotta
artificialmente a un costo elevato: far pagare ogni litro d’aria consumato può essere giusto, ma indossare la maschera col contatore
tutto il giorno e tutta la notte è intollerabile, anche se tutti possono permettersi di pagare la bolletta. E le videocamere poste in ogni
dove per controllare che nessuno si tolga mai la maschera sono
offensive. Meglio finanziare l’impianto di ossigenazione con una
tassa pro capite e buttar via le maschere.
Copiare un programma in tutto o in parte è tanto naturale per un
programmatore quanto respirare ed è altrettanto produttivo.
Dovrebbe essere altrettanto libero.
Alcune obiezioni facilmente confutabili agli obiettivi GNU
“La gente non lo userà se è gratuito, perché non potrà avere l’assistenza”.
“Un programma deve essere a pagamento, per poter fornire supporto adeguato”.
Se la gente preferisse pagare per GNU più l’assistenza piuttosto che
avere GNU gratis senza assistenza, allora un’impresa che fornisse
assistenza a chi si è procurato GNU gratis potrebbe operare con
profitto.
Si deve distinguere tra il supporto sotto forma di lavoro di pro48
grammazione e la semplice gestione. Il primo non è ottenibile da
un venditore di software. Se il problema non è sentito da un numero sufficiente di clienti allora il venditore dirà al cliente di arrangiarsi.
Per chi deve poter contare su questo tipo di supporto l’unica soluzione è di disporre dei sorgenti e degli strumenti necessari, in
modo da poter commissionare il lavoro a chi sia disposto a farlo,
invece che rimanere in balìa di qualcuno. Con Unix il prezzo dei
sorgenti rende ciò improponibile per la maggior parte delle imprese. Con GNU questo sarà invece facile. Si darà sempre il caso che
non siano disponibili persone competenti, ma questo non potrà
essere imputato al sistema di distribuzione. GNU non elimina
tutti i problemi del mondo, solo alcuni.
Allo stesso tempo, gli utenti che non sanno nulla di computer hanno bisogno di manutenzione, cioè di cose che potrebbero fare facilmente da soli ma che non sono in grado di fare.
Servizi di questo genere potrebbero essere forniti da aziende che
vendono solo gestione e manutenzione. Se è vero che gli utenti sono
disposti a pagare per un prodotto con servizio, allora saranno anche
disposti a pagare per il servizio avendo avuto il prodotto gratuitamente. Le aziende di servizi si faranno concorrenza sul prezzo e sulla qualità; gli utenti d’altra parte non saranno legati a nessuna di
esse in particolare. Nel frattempo, coloro che non avranno bisogno
del servizio saranno sempre in grado di usare il programma senza
pagare il servizio.
“Non si può raggiungere molta gente senza pubblicità, e per finanziarla si deve far pagare il programma”.
“È inutile reclamizzare un programma gratuito”.
Ci sono molte forme di pubblicità gratuita o a basso costo che pos49
sono essere usate per informare un gran numero di utenti di computer riguardo a cose come GNU. Ma può essere vero che la pubblicità può raggiungere molti più utenti di microcomputer. Se fosse veramente così, una ditta che reclamizzasse il servizio di copia e
spedizione per posta di GNU a pagamento dovrebbe aver abbastanza successo commerciale da rientrare dai costi della pubblicità
e da guadagnarci. In questo modo, pagano la pubblicità solo gli
utenti che ne beneficiano.
D’altro canto, se molta gente ottiene GNU da amici e queste aziende non hanno successo, vorrà dire che la pubblicità non era necessaria per diffondere GNU. Perché tutti questi difensori del libero
mercato non vogliono lasciare che sia il libero mercato a decidere?4.
“La mia azienda ha bisogno di un sistema operativo proprietario
per essere più avanti della concorrenza”.
Con GNU, i sistemi operativi non rientreranno più fra gli elementi
di concorrenza. La vostra azienda non potrà essere concorrenziale
in quest’area, ma egualmente non potranno esserlo i concorrenti.
Vi farete concorrenza in altre aree, mentre in questa godrete di
mutui benefici. Se vendete sistemi operativi non apprezzerete
GNU, ma è un problema vostro. Se avete un’attività di altro tipo,
GNU vi può evitare di essere spinti nel costoso campo della vendita di sistemi operativi.
Mi piacerebbe che lo sviluppo di GNU fosse sostenuto da dona4 La Free Software Foundation raccoglie la maggior parte dei suoi fondi da un servizio di
distribuzione, anche se è più un ente senza fini di lucro che un’azienda. Se nessuno sceglie
di ottenere copie del software ordinandole alla FSF, questa sarà impossibilitata a proseguire la propria opera. Ma questo non vuole dire che siano giustificate restrizioni proprietarie
per costringere gli utenti a pagare. Se una piccola frazione degli utenti ordina le sue copie
dalla FSF, questo sarà sufficiente per tenerla a galla. Quindi chiediamo agli utenti di aiutarci in questo modo. Hai fatto la tua parte?
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zioni da parte di numerosi produttori e utenti, riducendo così la
spesa per tutti5.
“Ma i programmatori non meritano una ricompensa per la loro
creatività?”.
Se qualcosa merita una ricompensa questo è il contribuire al bene
sociale. La creatività può essere un contributo al bene sociale, ma
solo nella misura in cui la società è libera di usarne i risultati. Se i
programmatori meritano una ricompensa per la creazione di programmi innovativi, allora con la stessa logica meritano una punizione se pongono restrizioni all’uso di questi programmi.
“Un programmatore non dovrebbe poter chiedere una ricompensa
per la sua creatività?”.
Non c’è niente di male nel chiedere di esser pagati per il proprio
lavoro, o mirare a incrementare le proprie entrate, fintanto che non
si utilizzino metodi che siano distruttivi. Ma i metodi comuni nel
campo del software, al giorno d’oggi, sono distruttivi.
Spremere denaro dagli utenti di un programma imponendo restrizioni sull’uso è distruttivo perché riduce i modi in cui il programma può essere usato. Questo diminuisce la quantità di ricchezza che
l’umanità ricava dal programma. Quando c’è una scelta deliberata
di porre restrizioni, le conseguenze dannose sono distruzione deliberata.
La ragione per cui un buon cittadino non usa questi metodi distruttivi per diventare più ricco è che, se lo facessero tutti, diventeremmo tutti più poveri a causa delle distruzioni reciproche. Questa è
etica kantiana, la Regola Aurea: poiché non mi piacciono le conse5 Un gruppo di imprese di software ha recentemente costituito dei finanziamenti per sostenere la manutenzione del nostro compilatore C.
51
guenze che risulterebbero se tutti impedissero l’accesso alle informazioni, devo considerare sbagliato che uno lo faccia. In particolare, il desiderio di una ricompensa per la propria creatività non giustifica il privare il mondo nel suo insieme di tutta o parte di questa
creatività.
“Ma i programmatori non moriranno di fame?”.
Potrei rispondere che nessuno è obbligato a fare il programmatore.
La maggior parte di noi non è in grado di andare per strada a fare
il mimo, ma ciò non vuol dire che siamo condannati a passare la
vita per strada a fare i mimi, e morire di fame. Facciamo un altro
lavoro.
Ma è la risposta sbagliata, perché accetta l’assunzione implicita di
chi pone la domanda, e cioè che senza proprietà del software non
è possibile pagare ai programmatori il becco di un quattrino. Un’assunzione del tipo tutto o niente.
La vera ragione per cui i programmatori non moriranno di fame è
che sarà per loro egualmente possibile essere pagati per programmare, solo non pagati così tanto come ora.
Porre restrizioni sulle copie non è l’unico modello di affari nel campo del software. È il modello più comune perché è il più redditizio.
Se fosse vietato, o rifiutato dagli utenti, l’industria del software si
sposterebbe su altri modelli organizzativi, adottandone altri ora
meno comuni. Ci sono sempre numerosi modi per organizzare un
qualunque tipo di affari.
Probabilmente, programmare nel nuovo modello organizzativo
non sarà più così redditizio come lo è ora. Ma questo non è un argomento contro il cambiamento. Che gli addetti alle vendite ricevano i salari che ora ricevono non è considerata un’ingiustizia. Se i
programmatori avessero gli stessi stipendi (in pratica guadagnerebbero molto di più), non sarebbe nemmeno quella un’ingiustizia.
52
“Ma le persone non hanno diritto di controllare come la loro creatività viene usata?”.
Il “controllo sull’uso delle proprie idee” in realtà costituisce un controllo sulle vite degli altri; e di solito viene usato per rendere più
difficili le loro vite.
Le persone che hanno studiato con cura i vari aspetti del diritto alla
proprietà intellettuale (come gli avvocati) dicono che non c’è alcun
diritto intrinseco alla proprietà intellettuale. I tipi dei supposti diritti alla proprietà intellettuale riconosciuti dal governo furono creati
da specifici atti legislativi per scopi specifici.
Per esempio, la legislazione sui brevetti fu introdotta per incoraggiare gli inventori a rivelare i dettagli delle loro invenzioni. Lo scopo era avvantaggiare la società, più che avvantaggiare gli inventori.
A quel tempo la validità di 17 anni per un brevetto era breve se confrontata con la velocità di avanzamento dello stato dell’arte. Poiché
i brevetti riguardano solo i produttori, per i quali il costo e lo sforzo degli accordi di licenza sono piccoli in confronto all’organizzazione della produzione, spesso i brevetti non costituiscono un gran
danno. E non ostacolano la gran parte degli individui che usano
prodotti coperti da brevetto.
L’idea del copyright non esisteva in tempi antichi, quando gli autori copiavano estesamente altri autori in opere non narrative. Questa pratica era utile, ed è il solo modo attraverso cui almeno parte
del lavoro di alcuni autori è sopravvissuto. La legislazione sul copyright fu creata espressamente per incoraggiare l’originalità. Nel
campo per cui fu inventata, cioè i libri, che potevano essere copiati a basso costo solo con apparecchiature tipografiche, non fece molto danno e non pose ostacoli alla maggior parte dei lettori.
Tutti i diritti di proprietà intellettuale sono solo licenze concesse
dalla società perché si riteneva, correttamente o meno, che conce53
derle avrebbe giovato alla società nel suo complesso. Ma data una
situazione particolare dobbiamo chiederci: facciamo realmente
bene a concedere queste licenze? Che atti permettiamo di compiere con esse?
Il caso dei programmi ai giorni nostri differisce enormemente da
quello dei libri un secolo fa. Il fatto che la via più facile per passare una copia di un programma sia da persona a persona, che il programma abbia un codice sorgente e un codice oggetto che sono cose
distinte, e infine il fatto che un programma venga usato più che letto e gustato, combinandosi creano una situazione in cui qualcuno
che impone un copyright minaccia la società nel suo insieme, sia
materialmente che spiritualmente, una situazione in cui quel qualcuno non dovrebbe farlo, che la legge lo permetta o no.
“La competizione fa sì che le cose siano fatte meglio”.
Il paradigma della competizione è la gara: premiando il vincitore
incoraggia ognuno a correre più veloce. Quando veramente il capitalismo funziona in questo modo, fa un buon lavoro; ma chi lo
difende ha torto nell’asserire che agisce sempre così. Se i corridori
dimenticano il motivo per cui è offerto il premio e si concentrano
solo sul vincere non curandosi di come, possono trovare altre strategie, come ad esempio attaccare gli altri concorrenti. Se i corridori si azzuffano, arrivano tutti in ritardo al traguardo.
Il software proprietario e segreto è l’equivalente morale dei corridori che si azzuffano. Triste a dirsi, l’unico arbitro che abbiamo pare
non muovere alcuna obiezione alle zuffe, al più le regolamenta
(“ogni dieci metri puoi tirare un pugno”). Dovrebbe invece dividerli e penalizzarli anche se solo provassero a combattere.
“Ma senza un incentivo economico non smetterebbero tutti di programmare?”.
54
In realtà molta gente programmerebbe senza alcun incentivo economico. Programmare ha un fascino irresistibile per alcune persone, solitamente per quelli che ci riescono meglio. Non mancano
certo i musicisti professionisti che insistono pur non avendo speranza di guadagnarsi da vivere suonando.
Ma in realtà questa domanda, benché posta spesso, non è appropriata. La paga per i programmatori non sparirà, semplicemente
diminuirà. Quindi la domanda corretta è: “qualcuno si metterà mai
a programmare per un minore incentivo economico?”.
La mia esperienza dice che sì, ci si metterà.
Per più di dieci anni molti tra i migliori programmatori del mondo hanno lavorato nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale per
molti meno soldi di quanti ne avrebbero potuti ricevere in ogni altro
posto. Hanno avuto soddisfazioni non economiche di moltissimi
tipi, ad esempio fama e riconoscenza. E la creatività è anche divertente, un premio di per sé.
Poi molti se ne sono andati quando hanno avuto la possibilità di
fare lo stesso interessante lavoro per un mucchio di soldi.
Ciò che i fatti mostrano è che la gente programma per altre ragioni che
non siano il denaro; ma se viene data la possibilità di fare la stessa cosa
per un mucchio di soldi, allora cominceranno ad aspettarseli e a richiederli. Le organizzazioni che pagano poco sono svantaggiate in confronto a quelle che pagano molto, ma non sarebbero necessariamente
in questa posizione se quelle che pagano molto fossero bandite.
“Abbiamo un disperato bisogno dei programmatori. Se ci chiedono di smettere di aiutare i nostri vicini dobbiamo obbedire”.
Non si è mai così disperati da dover obbedire a questo genere di
pretese. Ricorda: milioni in difesa, ma non un centesimo in tributi [è una famosa frase di George Washington].
55
“I programmatori devono guadagnarsi da vivere in qualche modo”.
A breve termine è vero. Ma ci sono un’infinità di modi in cui i programmatori possono guadagnarsi da vivere senza vendere i diritti
d’uso dei programmi. Questo metodo è comune ai giorni nostri
perché porta la maggior quantità di denaro a programmatori e
aziende, non perché sia l’unica strada per guadagnarsi da vivere. È
facile trovarne altre, nel caso lo si voglia.
Ecco una serie di esempi:
- Un produttore che immette sul mercato un nuovo computer
pagherà per il porting dei sistemi operativi sul nuovo hardware.
- I servizi a pagamento di insegnamento, gestione e manutenzione
possono impiegare dei programmatori.
- Persone con idee nuove possono distribuire i programmi gratuitamente chiedendo donazioni agli utenti soddisfatti, o vendendo
servizi di gestione. Ho incontrato persone che già lavorano con
successo in questo modo.
- Utenti con necessità simili possono formare gruppi e pagare. Un
gruppo potrebbe stipulare un contratto con un’impresa di programmazione per scrivere i programmi che i membri del gruppo
vorrebbero usare.
Tutti i tipi di sviluppo possono essere finanziati da una Tassa per il
Software:
• Supponiamo che chiunque compri un computer debba pagare un
x per cento del costo del computer come tassa per il software. Il
governo girerebbe questi fondi a un’agenzia come la NSF [più o
meno l’equivalente del nostro CNR] per impiegarli nello sviluppo del software.
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• Ma se è lo stesso acquirente a fare una donazione per lo sviluppo
del software, potrebbe ottenere un credito nei confronti di queste
tasse. Potrebbe fare una donazione a un progetto di sua scelta –
tipicamente, scelto perché spera di usarne i risultati quando questo verrà completato. Potrebbe ottenere un credito per ogni donazione fatta, fino al valore totale della tassa che dovrebbe pagare.
• Il gettito complessivo di questa tassa potrebbe essere deciso dal
voto di chi la paga, pesato secondo l’ammontare pagato.
Le conseguenze:
• La comunità degli utenti di computer sosterrebbe lo sviluppo del
software.
• La comunità sceglierebbe il livello di sostegno necessario.
• Gli utenti che fossero interessati a sapere su che progetto vengano spesi i loro soldi avrebbero la possibilità di gestire personalmente la cosa.
Nel lungo periodo, rendere liberi i programmi è un passo verso l’epoca della fine del bisogno, quando nessuno sarà obbligato a lavorare molto duramente solo per guadagnarsi di che vivere. La gente
sarà libera di dedicarsi ad attività divertenti, come programmare,
dopo aver passato le dieci ore settimanali necessarie in compiti come
legiferare, fare consulenza familiare, riparare i robot e prevedere il
moto degli asteroidi. Non ci sarà bisogno di guadagnarsi da vivere
con la programmazione.
Abbiamo già ridotto moltissimo la quantità di lavoro che la società
nel suo complesso deve fare per ottenere la sua produttività attuale, ma poco di questo si è tradotto in benessere per i lavoratori perché è necessario accompagnare l’attività produttiva con molta attività non produttiva. Le cause principali sono la burocrazia e gli sforzi a tutto campo contro la concorrenza. Il software libero ridurrà di
57
molto questo drenaggio di risorse nell’area della produzione del
software. Dobbiamo farlo affinché i guadagni tecnici in produttività si traducano in meno lavoro per noi.
Originariamente scritto nel 1984. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
58
La definizione
di software libero
Sosteniamo questa definizione di software libero per indicare chiaramente ciò che deve essere vero di un particolare programma
software perché sia considerato software libero.
Il “software libero” è una questione di libertà, non di prezzo. Per
capire il concetto, bisognerebbe pensare alla “libertà di parola” e non
alla “birra gratis” [il termine ‘free’ in inglese significa sia ‘gratuito’
che ‘libero’, in italiano il problema non esiste].
L’espressione “software libero” si riferisce alla libertà dell’utente di
eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il
software. Più precisamente, esso si riferisce a quattro tipi di libertà
per gli utenti del software:
• Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0).
• Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle
proprie necessità (libertà 1). L’accesso al codice sorgente ne è un
prerequisito.
• Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo
(libertà 2).
• Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente
i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga
beneficio (libertà 3). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
Un programma è software libero se l’utente ha tutte queste libertà.
In particolare, se è libero di ridistribuire copie, con o senza modi59
fiche, gratis o addebitando delle spese di distribuzione a chiunque
e ovunque. Essere liberi di fare queste cose significa (tra l’altro) che
non bisogna chiedere o pagare nessun permesso.
Bisogna anche avere la libertà di fare modifiche e usarle privatamente nel proprio lavoro o divertimento senza doverlo dire a nessuno. Se si pubblicano le proprie modifiche, non si deve essere tenuti a comunicarlo a qualcuno in particolare o in qualche modo particolare.
La libertà di usare un programma significa libertà per qualsiasi tipo
di persona od organizzazione di utilizzarlo su qualsiasi tipo di sistema informatico, per qualsiasi tipo di attività e senza dover successivamente comunicare con lo sviluppatore o con qualche altra entità
specifica.
La libertà di ridistribuire copie deve includere le forme binarie o
eseguibili del programma e anche il codice sorgente, sia per le
versioni modificate che non modificate. (La distribuzione di programmi in forma eseguibile è necessaria per consentire un’agevole installazione dei sistemi operativi liberi). È legittimo anche
se non c’è alcun modo di produrre una forma binaria o eseguibile, ma si deve avere la libertà di ridistribuire tali forme nel caso
si trovi o si sviluppi un modo per farlo.
Affinché le libertà di fare modifiche e di pubblicare versioni migliorate abbiano senso, si deve avere accesso al codice sorgente del programma. Perciò, l’accessibilità al codice sorgente è una condizione
necessaria per il software libero.
Queste libertà per essere reali devono essere irrevocabili fin tanto
che non si fa qualcosa di sbagliato: se lo sviluppatore del software
ha il potere di revocare la licenza anche senza che l’utente sia causa
di tale revoca, il software non è libero.
Tuttavia, certi tipi di regole sul come distribuire il software libero
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sono accettabili quando non entrano in conflitto con le libertà principali. Per esempio, il permesso d’autore [copyleft] è (detto in due
parole) la regola per cui, quando il programma è ridistribuito, non
è possibile aggiungere restrizioni per negare ad altre persone le
libertà principali. Questa regola non entra in conflitto con le libertà
principali, anzi le protegge.
Indipendentemente dal fatto che si siano ottenute copie di software GNU a pagamento o gratuitamente, si ha sempre la libertà di
copiare e cambiare il software, e anche di venderne copie.
“Software libero” non vuol dire “non-commerciale”. Un programma libero deve essere disponibile per uso commerciale, sviluppo
commerciale e distribuzione commerciale. Lo sviluppo commerciale di software libero non è più inusuale: questo software commerciale libero è molto importante.
Regole su come fare un pacchetto di una versione modificata sono
accettabili, a meno che esse in pratica non blocchino la libertà di
distribuire versioni modificate. Regole del tipo «se rendi disponibile il programma in questo modo, lo devi rendere disponibile
anche in quell’altro modo» possono essere pur esse accettabili, con
le stesse condizioni. (Si noti che tale regola lascia ancora aperta la
possibilità di distribuire o meno il programma). È anche accettabile che la licenza richieda che, se avete distribuito una versione modificata e un precedente sviluppatore ne richiede una copia, dobbiate inviargliene una.
Nel progetto GNU, noi usiamo il “copyleft” [permesso d’autore]
per proteggere queste libertà legalmente per tutti. Ma esiste anche
software libero senza copyleft. Crediamo che ci siano importanti
ragioni per cui sia meglio usare il permesso d’autore, ma se un programma è software libero senza il permesso d’autore, possiamo
comunque utilizzarlo.
61
Qualche volta le leggi sul controllo delle esportazioni e le sanzioni
sul commercio possono limitare la libertà di distribuire copie di programmi verso paesi esteri. I programmatori non hanno il potere di
eliminare o di aggirare queste restrizioni, ma quello che possono e
devono fare è rifiutare di imporle come condizioni d’uso del programma. In tal modo, le restrizioni non influiranno sulle attività e
sulle persone al di fuori della giurisdizione degli stati che applicano tali restrizioni.
Quando si parla di software libero, è meglio evitare di usare espressioni come “gratuito”, perché esse pongono l’attenzione sul prezzo, e
non sulla libertà. Parole comuni quali “pirateria” implicano opinioni che speriamo non vogliate sostenere. [Al riguardo, il secondo volume dei saggi conterrà il testo Termini da evitare]. Abbiamo inoltre stilato un elenco di traduzioni del termine “free software” in varie lingue (http://www.gnu.org/philosophy/fs-translations.html).
Infine, si noti che criteri come quelli indicati in questa definizione
di software libero richiedono un’attenta interpretazione. Per decidere se una determinata licenza software si qualifichi come licenza
per il software libero, noi la consideriamo basata su questi criteri al
fine di determinare se corrisponde al loro spirito così come alle precise parole. Se una licenza include restrizioni irragionevoli, la rifiutiamo, anche se in questi criteri non anticipiamo il problema. Qualche volta le richieste di una licenza sollevano un problema che
richiede un’analisi dettagliata, oltre a discussioni con un avvocato
prima di poter decidere se la richiesta sia accettabile. Quando raggiungiamo una conclusione riguardo a un nuovo problema, spesso
aggiorniamo questi criteri per fare in modo che sia più facile capire perché determinate licenze siano adeguate o meno.
Se siete interessati a sapere se una determinata licenza abbia le caratteristiche per essere una licenza di software libero, consultate il nostro
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elenco delle licenze (http://www.gnu.org/licenses/license-list.html). Se
la licenza che vi interessa non vi è elencata, potete interpellarci inviandoci un’e-mail a <[email protected]>.
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
63
Perché il software
non dovrebbe avere
padroni
La tecnologia dell’informazione digitale contribuisce al progresso
mondiale rendendo più facile copiare e modificare le informazioni. I computer promettono di rendere questo più facile per tutti
noi.
Non tutti vogliono che sia così facile. Il sistema del copyright [diritto d’autore] dà ai programmi software dei “proprietari”, molti dei
quali mirano a nascondere i potenziali vantaggi del software ad altri.
Vorrebbero essere i soli a poter copiare e modificare il software che
usiamo.
Il sistema del diritto d’autore è nato e cresciuto con la stampa, una
tecnologia per la produzione di massa di copie. Il copyright si adatta bene a questa tecnologia perché pone restrizioni solo ai produttori di massa di copie. Non riduce le libertà dei lettori di libri. Un
lettore ordinario, che non possiede una sua tipografia, può copiare
i libri solo a mano e pochi lettori sono stati perseguiti per questo.
La tecnologia digitale è più flessibile della stampa tipografica: quando l’informazione è in forma digitale, la si può copiare facilmente
per condividerla con altri. Questa grande flessibilità si adatta male
ad un sistema come quello del diritto d’autore. Questo spiega le
misure sempre più sgradevoli e draconiane che vengono oggi usate
per far rispettare il diritto d’autore sul software. Consideriamo queste quattro regole della Software Publishers Association (SPA):
• Propaganda massiccia per dire che è sbagliato disobbedire ai proprietari per aiutare gli amici.
64
• Richieste insistenti di informatori che forniscano informazioni su
compagni di lavoro e colleghi.
• Incursioni (con l’aiuto della polizia) in scuole e uffici, durante le
quali viene detto alle persone che devono provare che non fanno
copie illegali.
• Citazione in giudizio (da parte del governo degli Stati Uniti, su
richiesta della SPA) di persone come David LaMacchia del MIT,
non per aver copiato software (non è stato accusato di averne
copiato), ma per avere lasciato senza sorveglianza strumenti per la
copia e per non averne censurato l’uso. (Il 27 gennaio 1975 il caso
su David LaMacchia è stato archiviato e non è stato ancora presentato appello).
Tutte queste quattro pratiche assomigliano a quelle usate nella ex
Unione Sovietica dove ogni fotocopiatrice aveva una guardia per
impedire le copie proibite e dove le persone dovevano copiare le
informazioni in segreto e passarsele di mano in mano come “samizdat”. Naturalmente c’è una differenza: il motivo per il controllo dell’informazione nell’Unione Sovietica era politico; negli Stati Uniti
il motivo è il profitto. Quello che ci riguarda sono le azioni, non il
loro motivo. Ogni tentativo di bloccare la condivisione delle informazioni, quale ne sia il motivo, porta agli stessi metodi e alla stessa severità.
I proprietari di software usano vari tipi di argomenti per ottenere il
potere di controllare in che modo usiamo l’informazione.
L’uso dei nomi
I proprietari di software usano sia parole calunniose come “pirateria” e “furto”, sia terminologia tecnica come “proprietà intellettuale” e “danneggiamento”, per suggerire al pubblico una certa linea
65
di pensiero, un’analogia semplicistica fra i programmi e gli oggetti
fisici.
Le nostre idee e intuizioni a proposito della proprietà di oggetti
materiali riguardano se sia giusto portar via un oggetto a qualcuno.
Non si applicano direttamente al fatto di fare una copia di qualcosa. Ma i proprietari ci chiedono di applicarle lo stesso.
Esagerazioni
I proprietari di software dicono che subiscono “danni” o “perdite
economiche” quando gli utenti copiano i programmi per conto
loro. Ma la copia non ha un effetto diretto sul proprietario e non
danneggia nessuno. Il proprietario ha una perdita solo quando chi
ha fatto la copia ne avrebbe acquistata una da lui se non l’avesse
copiata.
Una piccola riflessione ci mostra che la maggior parte di queste persone non avrebbe comprato la copia. Tuttavia i proprietari calcolano le loro “perdite” come se invece tutti ne avrebbero comprato una.
Questa è, a metterla gentilmente, esagerazione.
La legge
I proprietari spesso descrivono la legislazione vigente e le dure sanzioni con cui possono minacciarci. Implicito in questo approccio c’è
il suggerimento che la legge attuale riflette un’idea indiscutibile della moralità, e allo stesso tempo siamo invitati a vedere queste sanzioni come fatti di natura per i quali non si può biasimare nessuno.
Questa linea argomentativa non è progettata per affrontare un pensiero critico; è intesa a rafforzare il modo di pensare comune.
È ovvio che non è la legge che decide cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ogni americano dovrebbe sapere che, quaranta anni fa, era
66
contro la legge, in molti stati, che una persona di colore si sedesse
in un autobus nei posti anteriori; ma solo i razzisti avrebbero detto che fosse sbagliato sedersi lì.
Diritti naturali
Gli autori spesso rivendicano un legame speciale con i programmi
che hanno scritto e affermano che, come conseguenza, i loro desideri e i loro interessi rispetto al programma superano quelli di chiunque altro, perfino quelli di tutto il resto del mondo. (In genere sono
le aziende, non gli autori, che detengono il copyright sul software,
ma ci si aspetta che non si faccia caso a questa differenza).
Per quelli che lo propongono come un assioma etico – l’autore è
più importante di voi – posso solo dire che io stesso, noto autore
di software, lo considero una fandonia.
Ma in generale è probabile che si provi simpatia solo per la rivendicazione dei diritti naturali, per due ragioni.
Una ragione è la forzata analogia con gli oggetti materiali. Quando mi cucino degli spaghetti reclamerò se a mangiarli è qualcun
altro, perché non posso più mangiarmeli io. La sua azione mi danneggia esattamente nello stesso modo in cui favorisce chi li mangia; solo uno di noi può mangiare gli spaghetti, così la domanda è:
chi? La più piccola differenza fra di noi è sufficiente a spostare l’ago della bilancia da un punto di vista etico.
Ma se viene eseguito o modificato un programma che ho scritto io,
questo riguarda voi direttamente e me solo indirettamente. E se date
una copia a un vostro amico, questo riguarda voi e il vostro amico
molto di più di quanto riguardi me. Io non dovrei avere il potere
di dirvi di non fare queste cose. Nessuno dovrebbe averlo.
La seconda ragione è che è stato detto che i diritti naturali dell’autore sono una tradizione accettata e indiscussa della nostra società.
67
Ma a guardare la storia, è vero l’opposto. L’idea dei diritti naturali
degli autori è stata discussa e fermamente respinta quando venne
stesa la Costituzione degli Stati Uniti. Ecco perché la Costituzione
permette soltanto un sistema di diritto d’autore e non lo richiede;
ecco perché dice che il diritto d’autore deve essere temporaneo. Stabilisce anche che lo scopo del diritto d’autore è di promuovere il
progresso, non di premiare l’autore. Il copyright premia infatti in
qualche modo l’autore e più ancora l’editore, ma è inteso come un
mezzo per modificare il loro comportamento.
La tradizione radicata nella nostra società è che il diritto d’autore
riduce i diritti naturali del pubblico, e questo può essere giustificato solo per il bene del pubblico.
Economia
L’ultimo argomento usato per l’esistenza di proprietari del software è che questo porta alla produzione di più software.
Al contrario degli altri, questo argomento almeno usa un approccio legittimo al problema. È basato su un fine valido: soddisfare gli
utenti del software. Ed empiricamente è chiaro che le persone producono di più se vengono pagate bene per farlo.
Ma l’argomento economico ha un difetto: è basato sull’assunto che
la differenza è solo questione di quanti soldi dobbiamo pagare. Presuppone che la “produzione di software” sia ciò che vogliamo, sia
che il software abbia proprietari sia che non li abbia.
Le persone accettano prontamente questo assunto perché si accorda con le nostre esperienze relative agli oggetti materiali. Si consideri un panino, per esempio. Si può avere uno stesso panino sia gratis che a pagamento. In questo caso la sola differenza è la cifra che
si paga. Sia che lo si debba pagare o meno, il panino avrà lo stesso
sapore, lo stesso valore nutritivo e in entrambi i casi lo si potrà man68
giare solo una volta. Che il panino sia stato acquistato da un proprietario o meno non ha conseguenze dirette su niente eccetto che
sulla quantità di denaro che si avrà successivamente.
Ciò vale per qualunque oggetto materiale – il fatto che abbia o meno
un proprietario non riguarda direttamente ciò che è o ciò che ci si
può fare se lo si acquista.
Ma il fatto che un programma abbia un proprietario ha molte conseguenze su ciò che è e su ciò che si può fare con una copia, quando se ne compra una. La differenza non è solo una questione di
denaro. Il sistema di proprietà del software incoraggia i proprietari
del software a produrre qualcosa, ma non quello di cui la società ha
realmente bisogno. E causa un intangibile inquinamento etico che
ha conseguenze su tutti noi.
Di cosa ha bisogno la società? Ha bisogno di una informazione che
sia realmente disponibile ai suoi cittadini - per esempio programmi
che si possano leggere, correggere, adattare e migliorare, non soltanto usare. Ma quello che viene consegnato di solito dai proprietari del
software è una scatola nera che non si può studiare o cambiare.
La società ha anche bisogno di libertà. Quando un programma ha
un proprietario, gli utenti perdono la libertà di controllare parte
della loro stessa vita.
Ma soprattutto la società ha bisogno di stimolare nei propri cittadini lo spirito di cooperazione volontaria. Quando i proprietari del
software ci dicono che aiutare i nostri vicini in maniera naturale è
“pirateria”, essi inquinano lo spirito civico della nostra società.
Questo è il motivo per cui diciamo che il software libero è una questione di libertà, non di prezzo.
L’argomento economico a favore dei proprietari di software è sbagliato, ma la questione economica è reale. Alcune persone scrivono
software utile per il piacere di scriverlo o per ammirazione e amo69
re; ma se vogliamo più software di quanto già si scriva, bisogna raccogliere fondi.
Da dieci anni gli sviluppatori di software libero provano vari metodi
per trovare fondi, con un certo successo. Non c’è bisogno di far diventare tutti ricchi, il reddito medio di una famiglia americana, circa
35.000 dollari annui, ha dimostrato di essere un incentivo sufficiente per molti lavori che sono meno soddisfacenti del programmare.
Per anni, fin quando un’associazione lo ha reso non necessario, mi
sono guadagnato da vivere con miglioramenti a richiesta del software libero che avevo scritto. Ciascun miglioramento è stato aggiunto alla versione standard rilasciata e reso così disponibile al pubblico. I clienti mi pagavano perché lavorassi sui miglioramenti che
volevano loro, piuttosto che sulle funzionalità che altrimenti avrei
considerato di più alta priorità.
La Free Software Foundation (FSF), una fondazione senza scopo di
lucro per lo sviluppo del software libero, raccoglie fondi con la vendita di CD-ROM, magliette, manuali, e confezioni Deluxe di GNU
(che gli utenti sono liberi di copiare e modificare), e anche con
donazioni. Attualmente ha un organico di cinque programmatori,
più tre impiegati che gestiscono gli ordini postali.
Alcuni sviluppatori di software libero guadagnano offrendo servizi di
supporto. Cygnus Support, che ha circa 50 impiegati [quando questo articolo è stato scritto, nel 1994], stima che circa il 15 per cento
delle attività del suo personale riguarda lo sviluppo del software libero – una percentuale rispettabile, per una società di software.
(Cygnus Support ha continuato ad avere successo, ma poi ha accettato investimenti esterni, è diventata avida, e ha iniziato a sviluppare software non-libero. Infine è stata acquistata da Red Hat, che ha
ri-ridistribuito gran parte di quei programmi come software libero).
Un gruppo di imprese che comprende Intel, Motorola, Texas Instru70
ments e Analog Devices si sono unite per finanziare il continuo sviluppo del compilatore libero GNU per il linguaggio C. Nel frattempo il compilatore GNU per il linguaggio Ada viene finanziato dalla
US Air Force, che ritiene questa la modalità di spesa più efficace per
ottenere un compilatore di alta qualità. [Il finanziamento della US
Air Force è finito un po’ di tempo fa; il compilatore GNU Ada è ora
in servizio e la sua manutenzione è finanziata commercialmente].
Tutti questi sono piccoli esempi; il movimento del software libero è
ancora piccolo e ancora giovane. Ma in questo paese [gli USA] l’esempio di radio sostenute dagli ascoltatori mostra che è possibile
sostenere una grande attività senza costringere gli utenti a pagare.
Come utenti di computer oggi ci si può trovare ad usare un programma proprietario. Se un amico ti chiede una copia sarebbe sbagliato rifiutare. La cooperazione è più importante del diritto d’autore. Ma una cooperazione nascosta e segreta non contribuisce a
rendere giusta la società. Una persona dovrebbe aspirare a vivere
una vita onesta, apertamente e con fierezza, e questo comporta dire
“No” al software proprietario.
Meritate di poter cooperare apertamente e liberamente con altre
persone che usano software. Meritate di poter imparare come funziona il software e con esso di insegnare ai vostri studenti. Meritate di poter assumere il vostro programmatore favorito per aggiustarlo quando non funziona.
Meritate il software libero.
Originariamente scritto nel 1994. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
71
Cosa c’è in un nome?
I nomi trasmettono significati; la scelta che facciamo dei nomi
determina il significato di ciò che diciamo. Un nome inappropriato comunica agli interlocutori un’idea sbagliata. Una rosa, qualsiasi nome abbia, avrebbe comunque un buon profumo, ma se la chiamiamo penna, gli interlocutori saranno piuttosto disorientati quando la utilizzeranno per scrivere. E se chiamiamo “rose” le penne,
può darsi che gli interlocutori non capiscano a che cosa servano. Se
chiamiamo “Linux” il nostro sistema operativo, verrà trasmessa
un’idea sbagliata dell’origine, storia e scopo del sistema. Se lo chiamiamo GNU/Linux, verrà trasmessa (anche se non in dettaglio)
un’idea accurata.
Questo è forse importante per la nostra comunità? È importante
che si conoscano l’origine, la storia e lo scopo del sistema? Sì, perché chi dimentica la storia è spesso condannato a ripeterla. Il Mondo Libero che si è sviluppato intorno a GNU/Linux non è sicuro; i
problemi che ci hanno portato a sviluppare GNU non sono stati
completamente eliminati e minacciano di ripresentarsi.
Quando spiego perché è più appropriato chiamare il sistema operativo “GNU/Linux” invece che “Linux”, a volte ottengo questa
risposta:
“Ammesso che il Progetto GNU meriti riconoscimento per questo
lavoro, vale davvero la pena di preoccuparsi quando non gli viene
dato credito? La cosa importante non è forse che il lavoro sia stato
fatto, non chi l’abbia fatto? Dovete rilassarvi, essere orgogliosi del
lavoro ben fatto e non preoccuparvi del riconoscimento”.
72
Questo sarebbe un saggio consiglio, se solo la situazione fosse questa – se il lavoro fosse terminato e fosse il momento di rilassarsi. Se
soltanto questo fosse vero! Ma le sfide abbondano e questo non è il
momento di ipotecare il futuro. La forza della nostra comunità sta
nel dedicarsi alla libertà e alla cooperazione. Utilizzare il nome
GNU/Linux è un modo perché le persone si ricordino e informino gli altri di questi obiettivi.
È possibile scrivere del buon software libero senza pensare a
GNU; parecchio buon lavoro è stato fatto anche nel nome di
Linux. Ma “Linux” è stato associato fin dalla sua creazione a una
filosofia che non è vincolata alla libertà di cooperare. E avremo
ancora più problemi a farlo associare allo spirito comunitario, dal
momento che il nome viene utilizzato sempre di più dal mondo
degli affari.
Una grande sfida al futuro del software libero viene dalla tendenza delle società che distribuiscono “Linux” ad aggiungere
software non libero a GNU/Linux nel nome della convenienza e
del potere. Lo fanno tutti gli sviluppatori delle maggiori distribuzioni commerciali: tra queste, solamente Red Hat offre un prodotto in CD completamente libero, ma non lo si trova in nessun
negozio; le altre società non producono nemmeno qualcosa del
genere. La maggior parte delle società non permette di identificare chiaramente i pacchetti non liberi delle loro distribuzioni;
molte perfino sviluppano software non libero e lo aggiungono al
sistema.
La gente giustifica l’inserimento di software non libero in nome della “popolarità di Linux”, dando in effetti maggior valore alla popolarità rispetto alla libertà. Talvolta viene ammesso apertamente. Per
esempio la rivista Wired, dice Robert McMillan, editore di Linux
Magazine, “percepisce che lo spostamento verso il software open
73
source dovrebbe essere alimentato da decisioni tecniche piuttosto
che politiche”. E l’amministratore delegato (CEO) di Caldera ha
apertamente esortato gli utenti ad abbandonare l’obiettivo della
libertà e a lavorare invece per la “popolarità di Linux”.
Inserire software non libero nel sistema GNU/Linux può aumentarne la popolarità, se per popolarità intendiamo il numero di persone che utilizza alcuni GNU/Linux insieme a software non libero. Ma, allo stesso tempo, incoraggia implicitamente la comunità
ad accettare software non libero come fatto positivo e a dimenticare l’obiettivo della libertà. Non ha senso guidare più velocemente
per poi uscire di strada.
Quando l’“add-on” non libero è una libreria o uno strumento di
programmazione, può diventare una trappola per gli sviluppatori
di software libero. Quando scrivono del software che dipende dal
pacchetto non libero, il loro software non può essere parte di un
sistema completamente libero.
(In passato le librerie grafiche Motif e Qt hanno intrappolato in
questo modo grandi quantità di software libero, creando problemi
la cui soluzione ha richiesto anni. Il problema Qt è risolto perché
oggi Qt è libero; il problema Motif non è ancora completamente
risolto, dal momento che il suo sostituto libero, LessTif, ha bisogno di qualche rifinitura – offritevi volontari! L’implementazione
Java non libera e le librerie Java non standard della Sun vanno ora
causando un problema analogo, e la loro sostituzione con software
libero è attualmente un importante sforzo di GNU).
Se la nostra comunità continua a muoversi in questa direzione,
potrebbe mutare il futuro di GNU/Linux in un mosaico di componenti liberi e non liberi. Fra cinque anni avremo sicuramente
ancora moltissimo software libero; ma se non faremo attenzione
sarà a malapena utilizzabile senza il software non libero con cui gli
74
utenti si aspettano di trovarlo. Se succederà, la nostra campagna per
la libertà sarà fallita.
Se rilasciare alternative libere fosse semplicemente un problema di
programmazione, la soluzione di problemi futuri potrebbe diventare più facile dal momento che aumentano le risorse per lo sviluppo della nostra comunità. Ma dovremo affrontare ostacoli che
minacciano di renderla più difficile: le leggi che proibiscono il
software libero. Dato che i brevetti sul software sono in aumento e
leggi come il DMCA (Digital Millennium Copyright Act) vengono utilizzate per proibire lo sviluppo del software libero per importanti compiti come guardare un DVD o ascoltare una trasmissione
RealAudio, per combattere i formati di dati brevettati e segreti non
avremo altro modo se non rifiutare i programmi non liberi che li
utilizzano.
(Il Digital Millennium Copyright Act del 1998 punta ad aggiornare le leggi statunitensi in tema di copyright; tra le questioni ivi
incluse troviamo norme relative alla circonvenzione della protezione di sistemi a tutela del copyright, uso legittimo, responsabilità dei
fornitori di servizi online. Per ulteriori dettagli sul DMCA, si veda
più avanti il testo L’interpretazione sbagliata del copyright – una serie
di errori).
Affrontare queste sfide richiederà molti sforzi di diverso genere. Ma
ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno, per fronteggiare qualsiasi
tipo di sfida, è ricordare l’obiettivo della libertà di cooperare. Non
possiamo aspettarci che il solo desiderio di avere del software potente e affidabile motivi le persone a impegnarsi molto. Abbiamo bisogno del tipo di determinazione che si ha quando si combatte per la
libertà e la comunità, la determinazione a continuare per anni e a
non mollare.
Nella nostra comunità, questo obiettivo e questa determinazione
75
provengono principalmente dal Progetto GNU. Siamo noi quelli
che parlano della libertà e della comunità come qualcosa su cui non
cedere; le organizzazioni che parlano di “Linux” normalmente non
lo dicono. Le riviste su “Linux” sono normalmente piene di annunci che pubblicizzano il software non libero; le società che mettono
insieme dei pacchetti “Linux” aggiungono al sistema software non
libero; altre società “supportano Linux” con applicazioni non libere; gli user group di “Linux” invitano normalmente i fornitori a presentare queste applicazioni. È probabile che anche persone di rilievo della nostra comunità si imbattano nell’idea di libertà e nella
determinazione che c’è nel Progetto GNU.
Ma quando le persone vi si imbattono, sentono che riguarda anche
loro?
Chi sa che sta utilizzando un sistema proveniente dal Progetto
GNU riesce a vedere una relazione diretta tra se stesso e GNU. Non
sarà automaticamente d’accordo con la nostra filosofia, ma vedrà
almeno un motivo per pensarci seriamente. Al contrario, chi si considera un “utente Linux” e crede che il Progetto GNU “abbia sviluppato strumenti che si sono rivelati utili per Linux”, percepisce
normalmente soltanto una relazione indiretta tra sé e GNU. Questo tipo di persona potrebbe semplicemente ignorare la filosofia
GNU quando vi si imbatte.
Il Progetto GNU è idealistico e chiunque incoraggi l’idealismo oggi
deve affrontare un grande ostacolo: l’ideologia prevalente incoraggia a rifiutare l’idealismo in quanto “irrealizzabile”. Il nostro idealismo è stato estremamente pratico: è il motivo per cui abbiamo un
sistema operativo GNU/Linux libero. Chi ama questo sistema deve
sapere che è il nostro idealismo divenuto reale.
Se “il lavoro” fosse davvero già terminato, se non ci fosse niente in
gioco oltre al riconoscimento, forse sarebbe più saggio lasciar cade76
re la questione. Ma non siamo in questa posizione. Per stimolare le
persone a fare il lavoro che deve essere fatto, abbiamo bisogno che
ci venga riconosciuto il lavoro fatto finora. Per favore aiutateci, chiamando GNU/Linux il sistema operativo.
Originariamente scritto nel 2000. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
77
Perché “software
libero” è da preferire
a “open source”
Mentre il software libero chiamato in qualunque altro modo offrirebbe le stesse libertà, fa una grande differenza quale nome utilizziamo: parole differenti hanno significati differenti.
Nel 1998, alcuni sviluppatori di software libero hanno iniziato a
usare l’espressione “software open source” (http://www.opensource.org) invece di “software libero” per descrivere quello che fanno.
Il termine “open source” è stato rapidamente associato a un approccio diverso, una filosofia diversa, valori diversi e perfino un criterio
diverso in base al quale le licenze diventano accettabili. Oggi il
movimento del Software Libero e il movimento dell’Open Source
sono due movimenti diversi con diversi punti di vista e obiettivi,
anche se possiamo lavorare, e in effetti lavoriamo, insieme su alcuni progetti concreti.
La differenza fondamentale tra i due movimenti sta nei loro valori, nel loro modo di guardare il mondo. Per il movimento Open
Source, il fatto che il software debba essere Open Source o meno è
un problema pratico, non un problema etico. Come si è espresso
qualcuno, “l’Open Source è una metodologia di sviluppo; il Software Libero è un movimento di carattere sociale”. Per il movimento
Open Source, il software non libero è una soluzione non ottimale.
Per il movimento del Software Libero, il software non libero è un
problema sociale e il software libero è la soluzione.
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La relazione tra il movimento del Software Libero e il movimento Open Source
Il movimento del Software Libero e quello Open Source sono come
due partiti politici all’interno della comunità del Software Libero.
Negli anni ‘60 i gruppi radicali si sono fatti la reputazione di essere faziosi: le organizzazioni si dividevano per disaccordi sui dettagli della strategia da utilizzare e poi si odiavano reciprocamente. O per lo meno questa è l’immagine che si ha di essi, vera o falsa che sia.
La relazione tra il movimento del Software Libero e quello Open
Source è semplicemente l’opposto di questa situazione. Siamo in
disaccordo sui principi di base, ma siamo più o meno d’accordo
sugli aspetti pratici. Perciò possiamo lavorare e in effetti lavoriamo assieme su molti progetti specifici. Non vediamo il movimento Open Source come un nemico. Il nemico è il software proprietario.
Noi non siamo contro il movimento Open Source, ma non vogliamo essere confusi con loro. Riconosciamo che hanno contribuito alla nostra comunità, ma noi abbiamo creato questa comunità
e vogliamo che si sappia. Vogliamo che quello che abbiamo realizzato sia associato con i nostri valori e la nostra filosofia, non
con i loro. Vogliamo che ci sentano, non vogliamo sparire dietro
a un gruppo con punti di vista diversi. Per evitare che si pensi che
facciamo parte del movimento Open Source, ci preoccupiamo di
evitare di utilizzare il termine “open” per descrivere il software
libero, o il suo contrario, “closed”, per parlare di software non
libero.
Quindi, per favore, menzionate il movimento del Software Libero quando parlate del lavoro che abbiamo fatto e del software che
abbiamo sviluppato – come il sistema operativo GNU/Linux.
79
I due termini a confronto
Il resto di questo articolo confronta i due termini “software libero”
e “open source”. Spiega perché il termine “open source” non risolve i problemi, anzi di fatto ne crea alcuni.
Ambiguità
L’espressione “software libero” ha un problema di ambiguità [il termine “free” in inglese può significare sia “libero” sia “gratis”, in italiano non succede]: un significato non previsto, “software che si può
avere senza spendere niente” corrisponde a quell’espressione altrettanto bene del significato previsto, cioè software che dà all’utente
certe libertà. Abbiamo risolto questo problema pubblicando una
definizione più precisa di software libero, ma questa non è la soluzione perfetta. Non può eliminare completamente il problema.
Sarebbe meglio un termine corretto e non ambiguo, presupponendo che non ci siano altri problemi.
Sfortunatamente, tutte le alternative in inglese presentano problemi. Abbiamo considerato molte alternative che ci sono state suggerite, ma nessuna è così completamente “corretta” che sia una buona idea sceglierla. Tutte le soluzioni proposte per “software libero”
hanno un qualche tipo simile di problema semantico, se non peggio, incluso “software open source”.
La definizione ufficiale di “software open source”, come pubblicata dalla Open Source Initiative, si avvicina molto alla nostra definizione di software libero; tuttavia, per certi aspetti è un po’ più
ampia, ed essi hanno accettato alcune licenze che noi consideriamo
inaccettabilmente restrittive per gli utenti. Tuttavia, il significato
ovvio di “software open source” è «puoi guardare il codice sorgente». Questa è una espressione meno vigorosa di “software libero”;
80
include il software libero, ma include anche software semi-libero
come ad esempio Xv e perfino qualche software proprietario, inclusa Qt nella sua licenza originale (prima della QPL).
Questo significato ovvio di “open source” non è quello inteso dai
suoi sostenitori. Il risultato è che la maggior parte delle persone
fraintende quello che quei sostenitori sostengono. Ecco come lo
scrittore Neal Stephenson ha definito “open source”:
Linux è software “open source” e questo significa, semplicemente,
che chiunque può ottenere le copie del suo codice sorgente.
Non penso che abbia cercato deliberatamente di rifiutare o contrastare la definizione “ufficiale”. Penso che abbia semplicemente
applicato le convenzioni della lingua inglese per arrivare al significato. Lo stato del Kansas ha pubblicato una definizione simile:
«Utilizzare software open source (SOS). SOS è software il cui codice sorgente è disponibile liberamente e pubblicamente, anche se gli
specifici accordi di licenza variano relativamente a quanto sia permesso fare con quel codice».
Ovviamente, chi si occupa di open source ha cercato di affrontare
questo problema pubblicando una definizione precisa del termine,
proprio come abbiamo fatto noi per “software libero”.
Ma la spiegazione di “software libero” è semplice: chi ha capito il
concetto di “libertà di parola, non birra gratis” non sbaglierà più
[in inglese, l’espressione “free speech, not free beer” mette sinteticamente in contrasto i due significati della parola “free”]. Non c’è
un modo più breve per spiegare il significato di “open source” e
indicare chiaramente perché la definizione ovvia è quella sbagliata.
La paura della libertà
Il principale argomento a favore dell’espressione “software open
source” è che “software libero” può far sentire a disagio. Ed è vero:
81
parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità, così come di
convenienza, è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere
ignorate. Questo può causare imbarazzo e alcune persone possono
rifiutare l’idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.
Anni fa, gli sviluppatori di software libero si accorsero di queste reazioni di disagio e iniziarono a cercare una soluzione a questo problema. Pensarono che mettendo in secondo piano l’etica e la libertà
e parlando piuttosto dei benefici pratici immediati di qualche
software libero, sarebbero stati in grado di “vendere” il software più
efficacemente a una determinata utenza, in particolar modo alle
aziende. Il termine “open source” viene offerto come un modo per
venderne di più – un modo per essere “più accettabili alle aziende”.
Il punto di vista e i valori del movimento Open Source derivano da
questa decisione.
Questo approccio al problema ha dimostrato di funzionare, alle sue
condizioni. Oggi molte persone passano al software libero per ragioni puramente pratiche. Questa è una buona cosa, di per sé, ma non
è tutto quello che dobbiamo fare! Non basta attirare gli utenti verso il software libero: questo è solo il primo passo.
Prima o poi questi utenti saranno invitati a utilizzare nuovamente
software proprietario per alcuni vantaggi pratici. Un enorme numero di aziende cerca di offrire questa tentazione, e perché gli utenti
dovrebbero rifiutare? Solo se hanno imparato a valorizzare la libertà
che viene offerta loro dal software libero di per sé. Tocca a noi
diffondere quest’idea – e per farlo, dobbiamo parlare di libertà. Una
parte dell’approccio “teniamole tranquille” nei confronti delle
aziende può essere utile per la comunità, ma dobbiamo comunque
parlare molto di libertà.
Attualmente, è molto diffuso l’approccio “teniamole tranquille”,
82
ma non si parla abbastanza della libertà. La maggior parte delle persone coinvolte nel software libero parla molto poco della libertà –
di solito perché cerca di essere “più accettabile per le aziende”. I
distributori di software sono quelli che più seguono questa regola.
Alcune distribuzioni del sistema operativo GNU/Linux aggiungono pacchetti di software proprietario al sistema libero di base e invitano gli utenti a considerarlo un vantaggio, invece che un passo
indietro rispetto alla libertà.
Non riusciamo a rimanere alla pari rispetto all’afflusso di utenti di
software libero, non riusciamo a insegnare alle persone cosa siano
queste libertà e cosa sia la nostra comunità man mano che vi entrano. Questo è il motivo per cui software non libero (come lo era Qt
la prima volta che divenne popolare) e le distribuzioni di sistemi
operativi parzialmente non liberi, trovano un terreno così fertile.
Smettere di utilizzare la parola “libero” adesso sarebbe un errore.
Abbiamo bisogno che si parli di più, e non di meno, di libertà.
Che coloro che usano il termine “open source” portino più utenti alla
nostra comunità è senz’altro un contributo, ma significa che dobbiamo impegnarci ancora di più per portare il problema della libertà all’attenzione di quegli utenti. Dobbiamo dire “è software libero e ti dà
libertà!” sempre di più e più forte che mai.
Un marchio registrato può aiutare?
I sostenitori del “software open source” hanno tentato di rendere
questo un marchio registrato, pensando di poter così prevenire utilizzi scorretti. Il tentativo è fallito quando, nel 1999, la richiesta è
stata fatta decadere. Per cui lo status legale di “open source” è lo
stesso di quello del “software libero”: non esiste nessuna restrizione
legale per il suo utilizzo. Ho sentito, talvolta di persona, molte
aziende chiamare “open source” i loro pacchetti software anche se
83
questi non rientravano, per le loro caratteristiche, nella definizione
ufficiale.
Ma avrebbe davvero fatto questa grande differenza usare un termine che fosse un marchio registrato? Non necessariamente.
Le aziende inoltre hanno fatto annunci che danno l’impressione che
un programma sia “software open source” senza dirlo esplicitamente. Ad esempio, un annuncio di IBM riguardo a un programma che non rientrava nella definizione ufficiale diceva questo:
«Come è comune fare nella comunità open source, gli utenti della
... tecnologia saranno inoltre in grado di collaborare con IBM ...»
Questa frase non dice che il programma è “open source”, ma molti lettori non hanno notato quel dettaglio. (Devo comunque far
notare che IBM era sinceramente interessata a rendere questo programma software libero e ha successivamente adottato una nuova
licenza che lo rendeva tale e “open source”. Ma quando questo
annuncio è stato fatto, il programma non si qualificava come nessuno dei due).
Ed ecco come Cygnus Solutions, che fu creata come azienda di
software libero e successivamente estese la sua attività (per così dire)
al software proprietario, pubblicizzava alcuni prodotti software proprietari:
«Cygnus Solution è una azienda leader nel mercato open source e ha
appena lanciato due prodotti sul mercato [GNU/]Linux».
Diversamente da IBM, Cygnus non stava tentando di rendere questi pacchetti software libero e questi pacchetti non si avvicinavano
minimamente a poter essere definiti tali. Ma Cygnus non ha in realtà
detto che questo è “software open source”, ha soltanto utilizzato questo termine per dare quest’impressione a un lettore poco attento.
Queste osservazioni suggeriscono che un marchio registrato non
avrebbe risolto sul serio i problemi legati al termine “open source”.
84
Le errate interpretazioni di “open source”
La definizione di open source è abbastanza chiara ed è abbastanza
chiaro che il tipico programma non libero non rientra in questa
definizione. Quindi penserete che una “azienda Open Source” produca software libero (o qualcosa del genere), giusto? Non sempre è
vero, molte aziende stanno anche cercando di dargli un differente
significato.
All’incontro “Open Source Developers Day” svoltosi nell’agosto
1998, molti degli sviluppatori commerciali invitati dissero che erano intenzionati a creare come software libero (o “open source”) solo
una parte del loro lavoro. Il fulcro del loro business è lo sviluppo di
aggiunte proprietarie (software o documentazione) da vendere agli
utenti di questo software libero. Ci chiedono di considerarlo come
legittimo, come parte della nostra comunità, poiché parte del denaro viene donato per lo sviluppo di software libero.
In effetti, queste aziende tentano di guadagnare una favorevole
immagine “open source” per i loro prodotti software proprietari –
anche se questi non sono software “open source” – poiché hanno
una qualche relazione con il software libero o perché la stessa azienda mantiene anche un qualche software libero. (Il fondatore di una
azienda ha esplicitamente detto che avrebbero messo, nei pacchetti di software libero da loro supportati, un po’ del loro lavoro per
poter far parte della comunità).
Negli anni, molte aziende hanno contribuito allo sviluppo del
software libero. Alcune di queste aziende sviluppavano principalmente software non libero, ma le due attività erano separate. Per
questo potevamo ignorare i loro prodotti non liberi e lavorare con
loro sui progetti di software libero. Quindi potevamo poi onestamente ringraziarli per i loro contributi al software libero, senza parlare degli altri prodotti che portavano avanti.
85
Non possiamo fare altrettanto con queste nuove aziende, poiché
loro non lo accetterebbero. Queste aziende cercano attivamente di
portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro attività. Vogliono che noi consideriamo il loro software non libero
come se fosse un vero contributo, anche se non lo è. Si presentano
come “aziende open source” sperando che la cosa ci interessi, che le
renda attraenti ai nostri occhi e che ci porti ad accettarle.
Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se
fatta utilizzando il termine “software libero”. Ma le aziende non
sembrano utilizzare il termine “software libero” in questo modo.
Probabilmente la sua associazione con l’idealismo lo rende non
adatto allo scopo. Il termine “open source” ha così aperto tutte le
porte.
In una mostra specializzata di fine 1998, dedicata al sistema operativo spesso chiamato “Linux”, il relatore di turno era un alto dirigente di una importante azienda di software. Era stato probabilmente invitato poiché la sua azienda aveva deciso di “supportare”
questo sistema. Sfortunatamente, la forma di “supporto” consisteva nel rilasciare software non libero che funziona con il sistema –
in altre parole, utilizzava la nostra comunità come un mercato ma
non vi contribuiva affatto.
Disse: “Non renderemo mai il nostro prodotto open source, ma forse lo renderemo tale ‘internamente’. Se permetteremo al nostro staff
di supporto ai clienti di avere accesso al codice sorgente, potrà risolvere gli errori per i clienti e potremo quindi fornire un prodotto e un
servizio migliori”. (Questa non è la trascrizione esatta del discorso, poiché non avevo preso nota delle parole, ma rende comunque l’idea).
Alcune persone tra il pubblico mi dissero successivamente “non ha
capito il senso del nostro lavoro”. Era forse vero? Quale senso non
aveva colto?
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In realtà aveva colto il significato del movimento Open Source.
Questo movimento non dice che gli utenti dovrebbero avere libertà,
dice solo che permettendo a più persone di guardare il codice sorgente e di aiutare a migliorarlo, consentirà uno sviluppo più veloce e migliore. Il dirigente ha colto perfettamente quel significato:
non ha voluto utilizzare questo approccio nella sua interezza, utenti inclusi, pensando di utilizzarlo parzialmente all’interno della sua
azienda.
Il significato che non ha colto è quello che l’“open source” ha progettato di non sollevare: cioè che l’utente merita la libertà.
Diffondere l’idea della libertà è un lavoro difficile: ha bisogno del
vostro aiuto. Per questo il progetto GNU rimarrà legato al significato di “software libero”, per aiutare a diffondere l’idea di libertà.
Se sentite che libertà e comunità sono importanti in quanto tali –
non soltanto per la convenienza implicita in esse – unitevi a noi nell’utilizzare il termine “software libero”.
Joe Barr ha scritto un articolo intitolato “Live and let license” dove illustra il
proprio punto di vista su questo argomento: http://www.itworld.com/AppDev/350/LWD010523vcontrol4/
Originariamente scritto nel 1998. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Rilasciare software
libero se lavorate
all’università
All’interno del movimento del software libero, crediamo che gli
utenti informatici debbano godere della libertà di modificare e
distribuire il software che usano. Il termine “free”, riferito al software libero, indica la libertà: in altre parole, gli utenti hanno la libertà
di eseguire, modificare e ridistribuire il software. Il software libero
contribuisce alla conoscenza umana, al contrario di quanto fa il
software non libero. Le università dovrebbero perciò incoraggiare
il software libero per l’avanzamento della conoscenza umana, così
come dovrebbero incoraggiare ricercatori e studenti a pubblicare i
propri lavori.
Ahimè, molti amministratori universitari dimostrano una tendenza
caratterizzata dall’avidità verso il software (e verso la scienza); vedono nei programmi l’opportunità per trarne dei profitti, non per contribuire alla conoscenza umana. Gli sviluppatori di software libero
hanno dovuto far fronte a questa tendenza per almeno vent’anni.
Quando iniziai a sviluppare il sistema operativo GNU, il primo passo fu quello di lasciare il mio posto al MIT. Lo feci proprio per
impedire all’ufficio licenze del MIT di interferire con il rilascio di
GNU come software libero. Avevo pianificato un approccio preciso per licenziare programmi GNU in modo che fosse assicurato il
mantenimento delle versioni modificate come software libero, un
approccio concretizzatosi nella GNU General Public License
(GNU GPL), e non volevo supplicare l’amministrazione del MIT
perché me lo lasciasse fare.
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Nel corso degli anni, spesso esponenti universitari hanno contattato la Free Software Foundation per chiedere consiglio su come convincere gli amministratori che considerano il software soltanto
come qualcosa da vendere. Un buon metodo, applicabile anche a
progetti finanziati ad hoc, è basare il vostro lavoro su un programma già esistente rilasciato sotto la licenza GNU GPL. A quel punto potete dire agli amministratori: “Non possiamo rilasciare la versione modificata con una licenza che non sia la GNU GPL, qualsiasi altro modo violerebbe il diritto d’autore”. Quando l’immagine del dollaro sfumerà davanti ai loro occhi, generalmente acconsentiranno a rilasciarlo come software libero.
Potete anche chiedere aiuto allo sponsor che finanzia. Quando un
gruppo della NYU [New York University] sviluppò il compilatore
GNU Ada con i fondi della US Air Force, il contratto prevedeva
esplicitamente la donazione del codice risultante alla Free Software Foundation. Contrattate prima lo sponsor, poi chiarite gentilmente all’amministrazione dell’università che non è possibile rinegoziare l’accordo preso. Preferiranno avere un contratto per sviluppare software libero piuttosto che non averne affatto, così molto
probabilmente acconsentiranno.
Per tutto ciò che fate, sollevate presto la questione – sicuramente
prima che il programma sia stato sviluppato per metà. A questo
punto, l’università avrà ancora bisogno di voi e potrete giocare le
vostre carte: dite all’amministrazione che finirete il programma, lo
renderete utilizzabile, se accetterà per iscritto che sia software libero (e accoglierà la vostra scelta di licenziarlo come software libero).
In caso contrario, ci lavorerete sopra quel tanto che basta per scriverne una ricerca, e senza mai creare una versione sufficientemente evoluta da poter essere distribuita. Quando gli amministratori si
renderanno conto che la scelta è tra avere pacchetti di software libe89
ro che porteranno credito all’università o non avere proprio niente, generalmente sceglieranno la prima opzione.
Non tutte le università seguono politiche basate sull’avidità. La
politica comunemente seguita alla University of Texas prevede il
rilascio come software libero sotto GNU General Public License di
tutto il software sviluppato al suo interno. La Univates in Brasile e
l’International Institute of Information Technology di Hyderabad
(India) seguono entrambe una politica favorevole al rilascio di
software sotto GPL. Sviluppando prima il supporto per la facoltà,
potrete riuscire a instaurare una politica analoga nella vostra università. Presentatela come una questione di principio: l’università
ha la missione di stimolare l’avanzamento della conoscenza umana,
o il suo unico scopo è quello di perpetuare se stessa?
Qualunque approccio usiate, aiuta mostrarsi determinati e adottare una prospettiva etica, come facciamo nel movimento del software libero. Per trattare il pubblico in modo eticamente corretto, il
software dovrebbe essere libero – nel senso della libertà – per chiunque.
Molti sviluppatori di software libero professano ragioni strettamente pratiche per farlo: sostengono di voler consentire ad altri di
condividere e modificare il software come espediente per renderlo
potente e affidabile. Se questi valori vi spingono a sviluppare software libero, funzionante e utile, vi ringraziamo per il contributo. Ma
tali valori non vi offrono una forte presa per resistere quando gli
amministratori universitari tentano di convincervi a scrivere
software non-libero.
Possono, ad esempio, sostenere che: “Potremmo renderlo ancora
più potente e affidabile con tutto il denaro che potremmo farci”.
Questa pretesa può o meno rivelarsi valida alla fine, ma è dura da
confutare a priori. Possono suggerire una licenza che offra copie
90
“gratuite, esclusivamente a uso accademico”, sottintendendo così
che il pubblico generico non meriti la libertà e che ciò solleciterà la
cooperazione dei ricercatori, che è tutto quello di cui (dicono) avete bisogno.
Se partite da valori “pragmatici”, è difficile trovare una buona ragione per rifiutare queste proposte senza via d’uscita, ma potete riuscirci facilmente se basate la vostra fermezza su valori etici e politici. Cosa
c’è di positivo nel creare un programma potente e affidabile a spese
della libertà degli utenti? Non si dovrebbe applicare la libertà sia all’interno che all’esterno delle istituzioni accademiche? Le risposte sono
ovvie se la libertà e la comunità rientrano tra i vostri obiettivi. Il
software libero rispetta la libertà degli utenti, mentre il software non
libero la nega.
Non c’è nulla che rafforzi la vostra risolutezza come sapere che la
libertà della comunità dipende, in primo luogo, da voi stessi.
Originariamente scritto nel 2002. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Vendere software
libero
Molta gente crede che lo spirito del progetto GNU sia che non si
debba far pagare per distribuire copie del software, o che si debba
far pagare il meno possibile – solo il minimo per coprire le spese.
In realtà noi incoraggiamo chi ridistribuisce il software libero a far
pagare quanto vuole o può. Se vi sembra sorprendente, per favore
continuate a leggere.
Il termine “free’’ ha due legittimi significati comuni: può riferirsi
sia alla libertà che al prezzo. Quando parliamo di “free software’’,
parliamo di libertà, non di prezzo. Ci si rammenti di considerare
“free” come in “free speech” (libertà di parola) anziché in “free beer”
(birra gratis). In particolare, significa che l’utente è libero di eseguire il programma, modificarlo, e ridistribuirlo con o senza modifiche.
I programmi liberi sono talvolta distribuiti gratuitamente, e talvolta a un prezzo consistente. Spesso lo stesso programma è disponibile in entrambe le modalità in posti diversi. Il programma è libero indipendentemente dal prezzo, perché gli utenti sono liberi di
utilizzarlo.
Programmi non-liberi vengono di solito venduti a un alto prezzo,
ma talvolta un negozio vi darà una copia senza farvela pagare. Questo non rende comunque il software libero. Prezzo o non prezzo, il
programma non è libero perché gli utenti non hanno libertà.
Dal momento che il software libero non è una questione di prezzo,
un basso prezzo non vuol dire che il programma sia più libero o più
vicino a esserlo. Perciò, se state ridistribuendo copie di software libe92
ro, potreste anche venderle a un prezzo consistente e guadagnarci.
Ridistribuire il software libero è una attività buona e legale; se la
fate, potete anche trarne profitto.
Il software libero è un progetto comunitario, e chiunque vi dipenda dovrebbe cercare modalità per contribuire a costruire la comunità. Per un distributore il modo di farlo è dare parte del profitto
alla Free Software Foundation o a qualche altro progetto di sviluppo di software libero. Finanziando lo sviluppo, potete far progredire il mondo del software libero.
Distribuire software libero è un’opportunità per raccogliere fondi
per lo sviluppo. Non sprecatela!
Per contribuire ai fondi, avete bisogno di avere un sovrappiù. Se
fate pagare un prezzo troppo basso, non vi avanzerà niente per sostenere lo sviluppo.
Può un prezzo della distribuzione più alto danneggiare alcuni
utenti?
La gente talvolta si preoccupa del fatto che un alto compenso per
la distribuzione possa mettere il software libero fuori dalla portata
degli utenti che non hanno molto denaro. Con il software proprietario, un alto compenso fa esattamente questo – ma il software libero è diverso.
La differenza è che il software libero tende naturalmente a diffondersi, e ci sono molti modi per procurarselo.
Coloro che fanno incetta di software cercheranno in tutti i modi di
impedirvi di eseguire un programma proprietario senza pagare il
prezzo stabilito. Se questo prezzo è alto, sarà difficile per alcuni
utenti utilizzare il programma.
Con il software libero, gli utenti non devono pagare il costo della
distribuzione per utilizzare il software. Possono copiare il pro93
gramma, da un amico che ne abbia una copia o con l’aiuto di un
amico che abbia accesso alla rete. Oppure diversi utenti possono
unirsi, dividere il prezzo di un CD-ROM e a turno installare il
software. Un alto prezzo del CD-ROM non è un grosso ostacolo
quando il software è libero.
Può un prezzo della distribuzione più alto scoraggiare l’uso del
software libero?
Un altro problema comune è la popolarità del software libero. La
gente pensa che un prezzo alto per la distribuzione riduca il numero di utenti o che un prezzo basso è probabile che li incoraggi.
Questo è vero per il software proprietario – ma il software libero è
diverso. Con così tanti modi di procurarsi le copie, il prezzo del servizio di distribuzione ha meno effetto sulla sua popolarità.
Alla fine, il numero di persone che utilizza il software libero è determinato principalmente da quanto il software può fare, e dalla facilità di utilizzo. Molti utenti continueranno a utilizzare software proprietario se il software libero non può fare tutto ciò che essi vogliono. Perciò, se vogliamo aumentare il numero di utenti a lungo andare, dobbiamo soprattutto sviluppare più software libero.
Il modo più diretto per farlo è scrivere da sé il software libero o i
manuali necessari. Ma se voi li distribuite piuttosto che scriverli, il
miglior modo di aiutare è raccogliere i fondi perché altri li scrivano.
Anche l’espressione “vendere software” può confondere
A rigor di termini, “vendere” significa commerciare prodotti per
denaro. Vendere una copia di un programma libero è legale, e noi
lo incoraggiamo.
Tuttavia, quando la gente pensa di “vendere software”, di solito
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immagina di farlo nel modo in cui lo fa la maggior parte delle
società: facendo software proprietario piuttosto che libero.
Così, a meno che non vogliate fare precise distinzioni – come le fa
questo articolo – noi suggeriamo sia meglio evitare di utilizzare l’espressione “vendere software” e scegliere invece qualche altra espressione. Per esempio, potreste dire “distribuire software libero dietro
compenso” – che non è ambiguo.
Compensi alti o bassi, e la GPL GNU
Tranne che per una situazione particolare, la General Public Licence GNU (GPL GNU) non detta condizioni su quanto potete chiedere per distribuire una copia di software libero. Potete non chiedere niente, chiedere dieci lire, mille lire, o un miliardo di lire. Decidete voi, e il mercato, perciò non lamentatevi con noi se nessuno
vuole pagare un miliardo di lire per una copia.
L’unica eccezione si ha nel caso in cui i binari vengono distribuiti
senza il corrispondente codice sorgente completo. A coloro che lo
fanno la GPL GNU impone di fornire il codice sorgente a una successiva richiesta. Senza un limite al compenso per il codice sorgente, loro potrebbero stabilire un compenso troppo alto da pagare per
chiunque – per esempio, un miliardo – e così fingere di rilasciare il
codice sorgente che in realtà continuano a mantenere segreto. Perciò, in questo caso, dobbiamo mettere un limite al compenso del
sorgente, per assicurare la libertà dell’utente. In situazioni normali, tuttavia, non c’è nessuna giustificazione simile per limitare i compensi per le distribuzioni, perciò non li limitiamo.
Qualche volta le aziende, le cui attività oltrepassano il limite di quello che la GPL GNU permette, richiedono l’autorizzazione, dicendo di “non chiedere nessun pagamento per il software GNU” o
simili. In questo modo non vanno da nessuna parte. Il software libe95
ro riguarda la libertà, e far rispettare la GPL vuol dire difendere la
libertà. Quando difendiamo la libertà dell’utente, non siamo sviati da questioni secondarie come per esempio quanto compenso venga richiesto per una distribuzione. La libertà è il problema, l’intero
e solo problema.
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Il software libero
ha bisogno di
documentazione libera
Il più grande difetto nei sistemi operativi liberi non sta nel software – è la mancanza di buoni manuali liberi da poter includere in
questi sistemi. Molti dei programmi più importanti non hanno un
manuale completo. La documentazione è una parte essenziale di
qualunque pacchetto di software; quando un pacchetto importante di software libero è fornito senza un manuale libero, si ha una
grossa lacuna. A tutt’oggi abbiamo molte di queste lacune.
Una volta, molti anni fa, pensai di imparare il Perl. Presi una copia
di un manuale libero, ma lo trovai difficile da leggere. Quando chiesi alternative agli utilizzatori del Perl mi dissero che c’erano manuali introduttivi migliori – ma non erano liberi.
Come mai? Gli autori dei buoni manuali li avevano scritti per la
O’Reilly Associates che li pubblicava con termini restrittivi – divieto di copia, divieto di modificazione, sorgenti non disponibili – il
che li escludeva dalla comunità del software libero.
Non era la prima volta che accadeva questo tipo di cose, e (con grande perdita per la nostra comunità) non era neanche l’ultima. Gli editori di manuali proprietari da allora hanno indotto molti degli autori a porre limitazioni ai loro manuali. Molte volte ho sentito un utente di software GNU parlarmi entusiasticamente di un manuale che
stava scrivendo, che si aspettava avrebbe aiutato il progetto GNU –
ma poi le mie speranze si spezzavano, quando procedeva a spiegarmi che aveva firmato un contratto con un editore che ne avrebbe
ristretto l’uso cosicché non avremmo potuto usarlo.
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Dato che scrivere in un buon inglese è un’abilità rara fra i programmatori, possiamo permetterci a malapena di perdere manuali in questo modo.
La documentazione libera, come il software libero, è una questione di libertà, non di prezzo. Il problema con questi manuali
non era che la O’Reilly Associates imponesse un prezzo per le
copie stampate – che di per sé va bene (anche la Free Software
Foundation vende copie dei manuali GNU liberi). Ma i manuali GNU sono disponibili in forma sorgente, mentre questi manuali sono disponibili solo su carta. I manuali GNU vengono forniti con il permesso di copiarli e modificarli; i manuali del Perl no.
Il problema sono queste restrizioni.
I criteri per un manuale libero sono sostanzialmente gli stessi del
software libero: è questione di dare a tutti gli utenti certe libertà.
La redistribuzione (compresa quella commerciale) deve essere permessa, così il manuale potrà accompagnare ogni copia del programma, sia online che su carta. Anche il permesso di fare modifiche è cruciale.
Come regola generale non credo che sia essenziale per le persone
avere il permesso di modificare ogni sorta di articoli e libri. I problemi relativi agli scritti non sono necessariamente identici a quelli del software. Per esempio, non penso che io o voi siamo obbligati a dare il permesso di modificare articoli come questo in cui
descriviamo le nostre azioni e i nostri punti di vista.
Ma c’è una ragione particolare per cui la libertà di effettuare modifiche è cruciale per la documentazione del software libero. Quando le persone esercitano il loro diritto di modificare il software, e
aggiungono o cambiano funzionalità, se coscienziosamente cambiassero anche il manuale, potrebbero fornire documentazione
accurata e utilizzabile per il programma modificato. Un manuale
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che proibisce ai programmatori di essere coscienziosi e completare il lavoro, o che più precisamente richiede loro di scrivere da
capo un nuovo manuale se cambiano il programma, non risponde alle necessità della nostra comunità.
Mentre una proibizione generale sulle modifiche è inaccettabile,
alcuni tipi di limitazione sui metodi delle modifiche non pongono problemi. Ad esempio, vanno bene quelle di mantenere la nota
di copyright dell’autore originale, i termini di distribuzione, o la
lista degli autori. Non c’è problema anche nel richiedere che versioni modificate diano nota del loro essere tali, e anche che abbiano intere sezioni che non possono essere tolte o cambiate, fintanto
che hanno a che fare con argomenti non tecnici (alcuni manuali
GNU le hanno).
Questo tipo di restrizioni non sono un problema perché, dal punto di vista pratico, non impediscono al programmatore coscienzioso di adattare il manuale per corrispondere alle modifiche del
programma. In altre parole, non impediscono alla comunità del
software libero di fare pieno uso del manuale.
Tuttavia deve essere possibile modificare tutti i contenuti tecnici
del manuale, e distribuire il risultato attraverso tutti i mezzi consueti, attraverso tutti i canali usuali; altrimenti le restrizioni bloccherebbero la comunità, il manuale non sarebbe libero e così ci
servirebbe un altro manuale.
Sfortunatamente, è spesso difficile trovare qualcuno che scriva un
altro manuale quando esiste un manuale proprietario. L’ostacolo
è che molti utenti pensano che un manuale proprietario è sufficiente – così non vedono la necessità di scrivere un manuale libero. Non vedono che i sistemi operativi liberi hanno una lacuna
che deve essere riempita.
Perché gli utenti pensano che i manuali proprietari siano suffi99
cienti? Alcuni non hanno considerato il problema. Spero che questo articolo faccia qualcosa per cambiare tutto ciò.
Altri utenti considerano i manuali proprietari accettabili per le
stesse ragioni per cui molte persone considerano accettabile il
software proprietario: giudicano soltanto in termini pratici e non
usano la libertà come criterio. Queste persone hanno diritto alle
loro opinioni, ma poiché queste opinioni derivano da valori che
non includono la libertà, essi non sono di esempio per quelli di
noi che danno importanza alla libertà.
Per favore, spargete la voce riguardo a questo problema. Continuiamo a perdere manuali a favore di pubblicazioni proprietarie.
Se spargiamo la voce che i manuali proprietari non sono sufficienti, forse la prossima persona che vuole aiutare il progetto
GNU scrivendo documentazione si renderà conto, prima che sia
troppo tardi, che deve anzitutto renderla libera.
Incoraggiamo inoltre gli editori commerciali a vendere manuali
liberi con permesso d’autore invece di manuali proprietari. Una
maniera di far questo è di controllare i termini di distribuzione di
un manuale prima di comprarlo, e preferire manuali con permesso
d’autore [copyleft] a quelli senza permesso d’autore.
[Nota: La Free Software Foundation mantiene una pagina web che elenca
libri di documentazione libera pubblicati da altri editori,
http://www.gnu.org/doc/other-free-books.html]
Originariamente scritto nel 2000. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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La canzone
del software libero
Sulla melodia della canzone folk bulgara “Sodi Moma”.
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Le liriche in italiano:
Unitevi a noi e condividete il software,
Sarete liberi, hacker, sarete liberi
Qualche avido potrà fare mucchi di soldi,
È vero, hacker, è vero
Ma non potrà aiutare i vicini
Questo non va bene, hacker, non va bene
Quando avremo abbastanza software libero
A disposizione, hacker, a disposizione
Getteremo via quelle sporche licenze
Sempre più, hacker, sempre di più
Unitevi a noi e condividete il software,
Sarete liberi, hacker, sarete liberi
Originariamente scritto nel 1993. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Parte seconda
Copyright,
copyleft e brevetti
Il diritto di leggere
Tratto da “La strada verso Tycho”, raccolta di articoli sugli eventi precedenti la Rivoluzione Lunaria, pubblicata a Luna City nel 2096.
Per Dan Halbert, la strada verso Tycho si rivelò all’epoca del college – quando Lissa Lenz gli chiese in prestito il computer. Il suo si
era rotto e, a meno di non poterne usare un altro, avrebbe mancato la scadenza per la presentazione del progetto di metà corso. Non
osava chiederlo a nessun altro tranne Dan, ponendolo così di fronte a un grave dilemma. Dan aveva il dovere di aiutarla – ma una
volta prestatole il computer, Lissa avrebbe potuto leggerne ogni
libro. A parte il rischio di finire in carcere per molti anni per aver
consentito ad altri l’accesso a tali libri, inizialmente Dan rimase assai
colpito dall’idea stessa di una simile eventualità. Come chiunque
altro, fin dalle elementari gli era stato insegnato quanto fosse malvagio e sbagliato condividere i libri – qualcosa che soltanto i pirati
si azzardavano a fare.
Ed era impossibile che la SPA – la Software Protection Agency, l’Agenzia per la tutela del software – avesse mancato di smascherarlo.
Nel corso sul software, Dan aveva imparato che ogni libro era dotato di un apposito sistema di monitoraggio sul copyright in grado
di riportare all’Agenzia centrale per le licenze quando e dove ne fosse avvenuta la lettura, e da parte di chi. (Questi dati venivano poi
utilizzati nelle indagini per la cattura dei pirati della lettura, ma
anche per vendere ai grossisti i profili sugli interessi personali dei
singoli). La prossima volta che il suo computer fosse stato collegato al network centrale, l’Agenzia l’avrebbe scoperto. In quanto pro105
prietario del computer, sarebbe stato lui a subire la punizione più
pesante – per non aver fatto abbastanza nella prevenzione di quel
crimine.
Naturalmente non era affatto scontato che Lissa avesse intenzione
di leggere i libri presenti sul computer. Forse lo avrebbe usato soltanto per finire la relazione di metà corso. Ma Dan sapeva che la
sua condizione sociale non elevata le consentiva di pagare a malapena le tasse scolastiche, meno che mai le tariffe per l’accesso alla
lettura dei testi. Una situazione che comprendeva bene; lui stesso
era stato costretto a chiedere in prestito dei soldi per pagare le quote necessarie alla consultazione di tutte le ricerche disponibili. (Il
dieci per cento di tali quote andava direttamente agli autori delle
ricerche; poichè Dan puntava alla carriera accademica, poteva sperare di ripagare il prestito con la percentuale sulle proprie ricerche,
nel caso venissero consultate con una certa frequenza).
Solo più tardi Dan avrebbe appreso dell’esistenza di un’epoca passata in cui chiunque poteva recarsi in biblioteca a leggere articoli e
ricerche senza dover pagare nulla. E i ricercatori indipendenti avevano accesso a migliaia di pagine, pur in assenza di contributi governativi alle biblioteche. Ma negli anni ‘90 sia gli editori nonprofit
sia quelli commerciali iniziarono a imporre delle tariffe per la consultazione di quei materiali. A partire dal 2047, le biblioteche che
offrivano accesso pubblico e gratuito alle opere dei ricercatori non
erano altro che una memoria del passato.
Naturalmente esistevano vari modi per ingannare la SPA e l’Agenzia centrale per le licenze. Modalità del tutto illegali. Uno degli studenti che aveva seguito il corso sul software con Dan, Frank Martucci, era entrato in possesso di un programma illecito per il debugging [l’attività di collaudo del software], e lo aveva utilizzato per
disattivare il codice di monitoraggio del copyright per la lettura dei
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libri. Purtroppo era andato in giro a raccontarlo a troppi amici e
uno di loro l’aveva denunciato alla SPA in cambio di una ricompensa in denaro (gli studenti fortemente indebitati erano assai proni al tradimento). Nel 2047 Frank era in prigione, non per lettura
illegale, bensì per il possesso di un debugger.
In seguito Dan avrebbe saputo che tempo addietro a chiunque era
consentito il possesso di simili programmi. Circolavano liberamente persino su CD o tramite download via internet. Ma i comuni utenti presero a usarli per superare le restrizioni sul monitoraggio del copyright, e alla fine una sentenza giudiziaria stabilì come
questa fosse divenuta pratica comune nell’impiego di tali programmi. Di conseguenza, questi vennero dichiarati illegali e gli sviluppatori di debugger [programma per l’attività di collaudo del
software] condannati al carcere.
Pur se i programmatori avevano comunque bisogno di programmi per il debugging, nel 2047 i produttori ne distribuivano soltanto copie numerate, e unicamente a programmatori provvisti di
licenza e assicurazione ufficiali. Il debugger a disposizione di Dan
nel corso sul software era dotato di uno speciale firewall [sistema
a protezione di accessi non autorizzati], in modo da poter essere
utilizzato soltanto per gli esercizi in classe.
Onde superare le restrizioni sul monitoraggio del copyright, era
altresì possibile installare una versione modificata del kernel di sistema. Dan avrebbe poi scoperto l’esistenza di kernel liberi, perfino di
interi sistemi operativi liberamente disponibili, negli anni a cavallo del secolo. Ma non soltanto questi erano illegali, al pari dei
debugger – non era comunque possibile installarli senza conoscere
la password centrale del computer. Qualcosa che né l’FBI né il servizio-assistenza di Microsoft ti avrebbero mai rivelato.
Dan concluse che non avrebbe potuto semplicemente prestare il
107
computer a Lissa. Ma nemmeno poteva rifiutarsi di aiutarla, perché l’amava. Qualsiasi opportunità di parlare con lei lo riempiva di
gioia. E il fatto che avesse chiesto aiuto proprio a lui poteva significare che anche lei gli voleva bene.
Dan risolse il dilemma con una decisione perfino più impensabile
– le prestò il computer rivelandole la propria password. In tal modo,
se Lissa avesse letto i libri ivi contenuti, l’Agenzia centrale avrebbe
ritenuto che fosse Dan a leggerli. Si trattava pur sempre di un crimine, ma la SPA non avrebbe potuto scoprirlo in maniera automatica. Ciò avrebbe potuto avvenire soltanto dietro un’esplicita
denuncia di Lissa.
Naturalmente, se la scuola avesse scoperto che aveva rivelato la password personale a Lissa, entrambi avrebbero chiuso con la carriera
scolastica, a prescindere dall’utilizzazione o meno di tale password.
Qualsiasi interferenza con i dispositivi predisposti da un istituto
accademico sul monitoraggio nell’impiego dei computer da parte
degli studenti provocava delle sanzioni disciplinari. Non importava se si fossero arrecati o meno danni materiali – il crimine consisteva nel rendere difficile il controllo sui singoli da parte degli
amministratori locali. I quali potevano cioè presumere che tale
comportamento nascondesse ulteriori attività illegali, e non avevano bisogno di sapere quali fossero.
In circostanze simili generalmente gli studenti non venivano espulsi – almeno non in maniera diretta. Se ne impediva piuttosto l’accesso ai sistemi informatici dell’istituto, provocandone così l’inevitabile voto insufficiente in ogni corso.
Più tardi Dan avrebbe scoperto come una siffatta procedura fosse
stata implementata nelle università a partire dagli anni ‘80, quando gli studenti iniziarono a fare ampio uso dei computer accademici. In precedenza, le università seguivano una strategia diversa
108
per le questioni disciplinari, punendo soltanto le attività che provocavano danni materiali, non quelle che potevano suscitare appena dei sospetti.
Lissa non denunciò Dan alla SPA. La decisione di aiutarla condusse al loro matrimonio, e li spinse anzi a mettere in discussione quel
che era stato insegnato loro fin da piccoli riguardo la pirateria. I due
presero a documentarsi sulla storia del copyright, sulle restrizioni
sulla copia in vigore in Unione Sovietica e perfino sul testo originale della Costituzione degli Stati Uniti. Decisero poi di trasferirsi
su Luna, per unirsi agli altri che in maniera analoga gravitavano lontano dalla lunga mano della SPA. Quando nel 2062 scoppiò la rivolta di Tycho, il diritto universale alla lettura ne costituì subito uno
degli obiettivi prioritari.
109
Nota dell’autore
Il diritto di leggere è una battaglia che si va combattendo ai giorni nostri. Pur se potrebbero passare 50 anni prima dell’oscuramento dell’attuale stile di vita, gran parte delle procedure e delle norme specifiche descritte sopra sono state già proposte;
parecchie fanno parte integrante del corpo legislativo negli Stati Uniti e altrove. Nel 1998 il Digital Millenium Copyright Act
statunitense ha stabilito le basi legali per limitare la lettura e il
prestito di libri computerizzati (e anche altri materiali). Una
direttiva sul copyright emanata nel 2001 dall’Unione Europea
ha imposto analoghe restrizioni.
Esiste però un’eccezione: l’idea che l’FBI e Microsoft possano tenere segreta la password centrale di ogni personal computer, senza
informarne l’utente, non ha trovato spazio in alcun disegno di legge. In questo caso si stratta di una estrapolazione di quanto contenuto nel testo sul chip Clipper e in analoghe proposte sulle chiavi
di decifrazione avanzate dal governo statunitense. Ciò in aggiunta
a una tendenza in atto da tempo: con sempre maggior frequenza i
sistemi informatici vengono progettati per fornire agli operatori in
remoto il controllo proprio su quegli utenti che utilizzano tali sistemi.
È tuttavia evidente come ci si stia avviando verso un simile scenario. Nel 2001 il senatore Hollings, con il sostegno economico di
Walt Disney, ha presentato una proposta di legge denominata Security Systems Standards and Certification Act (ora sotto il nuovo
titolo di Consumer Broadband and Digital Television Promotion
Act) che prevede l’introduzione obbligatoria in ogni nuovo computer di apposite tecnologie atte a impedire ogni funzione di copia
e impossibili da superare o disattivare da parte dell’utente.
Nel 2001 gli Stati Uniti hanno avviato il tentativo di utilizzare il
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trattato denominato Free Trade Area of the Americas per imporre
le medesime norme a tutti i paesi dell’emisfero occidentale. Questo è uno dei cosiddetti trattati a favore del “libero commercio”, in
realtà progettati per garantire all’imprenditoria maggior potere nei
confronti delle strutture democratiche; l’imposizione di legislazioni quali il Digital Millenium Copyright Act è tipico dello spirito
che li pervade. La Electronic Frontier Foundation sta chiedendo a
tutti di spiegare ai propri governi i motivi per cui occorre opporsi
a questo progetto.
La SPA, che in realtà sta per Software Publishers Association, l’Associazione degli editori di software statunitensi, è stata sostituita in
questo ruolo simil-repressivo dalla BSA, Business Software Alliance, l’allenza per il software commerciale. Attualmente questa non
ricopre alcuna funzione ufficiale in quanto organo repressivo; ufficiosamente però agisce in quanto tale. Ricorrendo a metodi che
ricordano i tempi dell’ex-Unione Sovietica, la Business Software
Alliance invita gli utenti a denunciare amici e colleghi di lavoro.
Una campagna terroristica lanciata in Argentina nel 2001 minacciava velatamente quanti condividevano il software di possibili stupri una volta incarcerati.
Quando venne scritto il racconto di cui sopra, la Software Publishers Association stava minacciando i piccoli fornitori di accesso a
internet, chiedendo loro di consentire alla stessa associazione il
monitoraggio dei propri utenti. Sotto il peso delle minaccie, molti
fornitori d’accesso tendono ad arrendersi perchè impossibilitati ad
affrontare le conseguenti spese legali (come riporta il quotidiano
Atlanta Journal-Constitution, 1 ottobre 1996, pag. D3). Dopo essersi rifiutato di aderire a tale richiesta, almeno uno di questi fornitori, Community ConneXion di Oakland, California, ha subìto formale denuncia. L’istanza è stata successivamente ritirata dalla
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Software Publishers Association, ottenendo però l’approvazione di
quel Digital Millenium Copyright Act che le fornisce quel potere
che andava cercando.
Le procedure di sicurezza in ambito accademico sopra descritte
non sono frutto dell’immaginazione. Ad esempio, quando si inizia a usare un computer di un’università nell’area di Chicago, questo è il messaggio che viene stampato automaticamente:
“Questo sistema può essere utilizzato soltanto dagli utenti autorizzati. Coloro che ne fanno uso privi di apposita autorizzazione,
oppure in maniera a questa non conforme, possono subire il controllo e la registrazione, da parte del personale addetto, di ogni attività svolta sul sistema. Nel corso dell’attività di monitoraggo su usi
impropri degli utenti oppure durante la manutenzione del sistema,
possono essere monitorate anche le attività di utenti autorizzati.
Chiunque utilizzi questo sistema fornisce il proprio consenso esplicito al monitoraggio e viene avvisato che, nel caso ciò dovesse rivelare attività illegali o violazioni alle norme universitarie, il personale addetto potrà fornire le prove di tali attività alle autorità universitarie e/o agli ufficiali di polizia”.
Ci troviamo così di fronte a un interessante approccio al Quarto
Emendamento della Costituzione statunitense: forti pressioni contro chiunque per costringerlo a dichiararsi d’accordo, in anticipo,
sulla rinuncia a ogni diritto previsto da tale emendamento.
Questo il testo del Quarto Emendamento:
“Il diritto degli individui alla tutela della propria persona, abitazione, documenti ed effetti personali contro ogni perquisizione e
sequestro immotivato, non potrà essere violato e nessun mandato
verrà emesso se non nel caso di causa probabile, sostenuta da giu112
ramento o solenne dichiarazione, riguardanti in particolare la
descrizione del luogo soggetto a perquisizione, e gli individui o gli
effetti da sequestrare”.
Riferimenti:
- La White Paper dell’amministrazione USA: “Information Infrastructure Task Force, Intellectual property and the National Information Infrastructure: The Report of the Working Group on Intellectual Property Rights” (1995).
- Una spiegazione della suddetta White Paper: “The Copyright
Grab”, Pamuela Samuelson, Wired, gennaio 1996
(http://www.wired.com/wired/archive/4.01/white_paper_pr.htm).
- “Sold Out”, James Boyle, The New York Times, 31 marzo 1996
- “Public Data or Private Data”, The Washington Post, 4 novembre
1996.
- Union for the Public Domain, organizzazione mirata alla resistenza e al ribaltamento degli eccessivi ampliamenti di potere assegnato al copyright e ai brevetti (http://www.public-domain.org).
Questo saggio è stato pubblicato per la prima volta (nell’originale inglese)
sul numero di febbraio 1997 della rivista Communications of the ACM
(volume 40, numero 2). La Nota dell’autore è stata aggiornata nel 2002.
Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected
Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
113
L’interpretazione
sbagliata del copyright
una serie di errori
Qualcosa di strano e pericoloso sta accadendo alle legislazioni in
materia di copyright [diritto d’autore]. Come stabilito dalla Costituzione degli Stati Uniti, il copyright esiste a beneficio degli utenti – chiunque legga dei libri, ascolti della musica, guardi dei film o
utilizzi del software – non nell’interesse degli editori o degli autori. Tuttavia, anche quando la gente tende sempre più a rifiutare e
disubbidire alle restrizioni sul copyright imposte “a loro beneficio”,
il governo statunitense vi aggiunge ulteriori restrizioni, nel tentativo di intimorire il pubblico e costringerlo a ubbidire sotto la pressione di nuove e pesanti sanzioni.
In che modo le procedure sul copyright sono divenute diametralmente opposte agli obiettivi dichiarati? E come possiamo fare in
modo che tornino ad allinearsi con tali obiettivi? Per comprendere
la situazione, è bene partire dando un’occhiata alle radici delle leggi sul copyright degli Stati Uniti, il testo della stessa Costituzione.
Il copyright nella Costituzione statunitense
Nella stesura del testo della Costituzione, l’idea che agli autori
potesse essere riconosciuto il diritto al monopolio sul copyright
venne proposta – e rifiutata. I padri fondatori degli Stati Uniti partirono da una premessa diversa, secondo cui il copyright non è
un diritto naturale degli autori, quanto piuttosto una condizione artificiale concessa loro per il bene del progresso. La Costitu114
zione permette l’esistenza di un sistema sul copyright tramite il
seguente paragrafo (articolo I, sezione 8):
«Il Congresso avrà il potere di promuovere il progresso della scienza
e delle arti utili, garantendo per periodi di tempo limitati ad autori e
inventori il diritto esclusivo ai rispettivi testi scritti e invenzioni».
La Corte Suprema ha ripetutamente affermato che promozione del
progresso significa apportare dei benefici agli utenti delle opere sotto copyright. Ad esempio, nella causa Fox Film v. Doyal, la Corte
ha sostenuto:
«L’unico interesse degli Stati Uniti e l’obiettivo primario nell’assegnazione del monopolio [sul copyright] va cercato nei benefici
generali derivanti al pubblico dai lavori degli autori».
Questa decisione fondamentale illustra il motivo per cui nella
Costituzione statunitense il copyright non venga imposto, bensì soltanto consentito in quanto opzione possibile – e perché se ne ipotizza la durata per “periodi di tempo limitati”. Se si trattasse di un
diritto naturale, qualcosa assegnato agli autori perché lo meritano,
nulla potrebbe giustificarne la cessazione dopo un determinato
periodo, al pari dell’abitazione di qualcuno che dovesse divenire di
proprietà pubblica trascorso un certo tempo dalla sua costruzione.
Il “contratto sul copyright”
Il sistema del copyright funziona tramite l’assegnazione di privilegi e relativi benefici per editori e autori. Ma non lo fa nell’interesse di costoro, quanto piuttosto per modificarne il comportamento:
per fornire un incentivo agli autori a scrivere di più e agli editori a
pubblicare di più. In effetti, il governo utilizza i diritti naturali del
pubblico, a nome di quest’ultimo, come parte di una trattativa con115
trattuale finalizzata a offrire allo stesso pubblico un maggior numero di opere. Gli esperti legali definiscono questo concetto “contratto
sul copyright”. Qualcosa di analogo all’acquisto da parte del governo di un’autostrada o di un aeroplano usando i soldi dei contribuenti, con la differenza che qui il governo spende la nostra libertà
anziché il nostro denaro.
Ma l’esistenza di un tale contratto può davvero considerarsi un
buon affare per il pubblico? È possibile considerare molti altri accordi alternativi; qual’è il migliore? Ogni singola questione inerente le
procedure sul copyright rientra nel contesto di una simile domanda. Se non si comprende pienamente la natura di tale domanda,
tenderemo a prendere decisioni errate sulle varie questioni coinvolte.
La Costituzione autorizza l’assegnazione dei poteri del copyright
agli autori. In pratica, costoro tipicamente li cedono agli editori;
generalmente spetta a questi ultimi, non agli autori, l’esercizio di
tali poteri onde trarne la maggior parte dei benefici, pur se agli autori ne viene riservata una piccola porzione. Ne consegue che normalmente sono gli editori a spingere per l’incremento dei poteri
conferiti dal copyright. Onde offrire una riflessione più attenta sulla realtà del copyright, piuttosto che sui suoi miti, il presente saggio cita gli editori, anziché gli autori, come detentori dei poteri del
copyright. Ci si riferisce inoltre agli utenti delle opere sotto copyright con il termine di “lettori”, pur se non sempre s’intende l’azione di leggere, perché “utenti” è troppo astratto e lontano.
Primo errore: “il raggiungimento di un equilibrio”
Il contratto sul copyright pone il pubblico al primo posto: il beneficio per il lettore è un fine in quanto tale; i benefici (nel caso esistano) per gli editori non rappresentano altro che un mezzo per il
116
raggiungimento di quel fine. Gli interessi dei lettori e quelli degli
editori sono qualitativamente diseguali nelle rispettive priorità. Il
primo passo verso un’errata interpretazione sugli obiettivi del copyright consiste nell’elevare gli interessi degli editori al medesimo
livello d’importanza di quelli dei lettori.
Si dice spesso che la legislazione statunitense sul copyright mira al
“raggiungimento di un equilibrio” tra gli interessi degli editori e
quelli dei lettori. I sostenitori di questa interpretazione la presentano come una riproposizione delle posizioni di partenza affermate
nella Costituzione; in altri termini, ciò viene ritenuto l’equivalente del contratto sul copyright.
Ma le due interpretazioni sono tutt’altro che equivalenti: sono differenti a livello concettuale, come pure nelle implicazioni annesse.
L’idea di equilibrio dà per scontato che gli interessi di editori e lettori differiscano per importanza soltanto a livello quantitativo,
rispetto a “quanto peso” va assegnato a tali interessi e in quali circostanze questi vadano applicati. Allo scopo di inquadrare la questione in un simile contesto, spesso si ricorre al concetto di “partecipazione equa”; in tal modo si assegna il medesimo livello d’importanza a ciascun tipo d’interesse per quanto concerne le decisioni sulle procedure applicative. Questo scenario ripudia la distinzione qualitativa tra gli interessi degli editori e quelli dei lettori che
è alla radice della partecipazione del governo nelle trattative contrattuali sul copyright.
Le conseguenze di una simile alterazione della situazione appaiono
di ampia portata, perché la grande protezione del pubblico inclusa
nel contratto sul copyright – l’idea secondo cui i privilegi del copyright possano trovare giustificazione soltanto in nome dei lettori,
mai in nome degli editori – viene ripudiata dall’interpretazione del
“raggiungimento di un equilibrio”. Poichè l’interesse degli editori
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è considerato un fine in se stesso, può motivarne i privilegi sul copyright; in altre parole, il concetto di “equilibrio” sostiene che i privilegi possano trovare giustificazione in nome di qualche soggetto che
non sia il pubblico.
A livello pratico, la conseguenza di tale concetto di “equilibrio” consiste nel ribaltare l’onere di motivare i cambiamenti da apportare
alle legislazioni in materia. Il contratto sul copyright impegna gli
editori a convincere i lettori nel cedere loro determinate libertà. Praticamente l’idea di equilibrio capovolge quest’onere, perché in
genere non esiste alcun dubbio che gli editori trarranno beneficio
dai privilegi aggiuntivi. Così, a meno di non comprovare un danno arrecato ai lettori, sufficiente da “pesare di più” di tale beneficio, siamo inclini a concludere che agli editori vada garantito pressoché qualsiasi privilegio richiesto.
L’idea del “raggiungimento di un equilibrio” tra editori e lettori va
respinta, in quanto nega a questi ultimi la priorità cui hanno diritto.
Raggiungere un equilibrio con cosa?
Quando il governo acquista qualcosa per il pubblico, agisce in nome
di quest’ultimo; è sua responsabilità ottenere l’accordo più vantaggioso possibile – per il pubblico, non per gli altri soggetti coinvolti nella trattativa.
Ad esempio, quando firma un contratto con degli imprenditori edili per la costruzione di autostrade, il governo tende a spendere la minima quantità possibile di denaro pubblico. Le agenzie statali ricorrono a gare d’appalto competitive per spingere i prezzi al ribasso.
A livello pratico, il prezzo non può risultare pari a zero, perché gli
imprenditori non accettano contratti così bassi. Pur in assenza di
condizioni particolari, costoro hanno i medesimi diritti di ogni cittadino in una società libera, compreso quello di rifiutare contratti
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svantaggiosi; per un imprenditore anche l’offerta più bassa potrebbe rivelarsi sufficiente onde guadagnare qualcosa. Esiste quindi una
sorta di equilibrio. Ma non si tratta di un equilibrio deliberatamente
cercato tra due interessi che esigono considerazioni particolari. È
un equilibrio tra un obiettivo pubblico e le dinamiche del mercato. Il governo tenta di ottenere per i contribuenti motorizzati il
miglior contratto possibile nel contesto di una società libera e di un
libero mercato.
Nella trattativa contrattuale sul copyright, il governo spende la nostra
libertà anziché il nostro denaro. La prima è più preziosa del secondo,
motivo per cui la responsabilità del governo nello spenderla in maniera saggia e parsimoniosa è decisamente maggiore di quella relativa alle
spese economiche. Lo stato non deve mai porre gli interessi degli editori sullo stesso piano della libertà del pubblico.
Non “equilibrio” ma “scambio”
L’idea di raggiungere un equilibrio tra gli interessi dei lettori e quelli degli editori è la maniera sbagliata di giudicare le procedure sul
copyright, ma in realtà esistono due interessi da soppesare: entrambi riguardano i lettori. Questi hanno interesse nella propria libertà
per l’utilizzo delle opere pubblicate; a seconda delle circostanze,
possono inoltre avere interesse nell’incoraggiare la pubblicazione
tramite qualche sistema d’incentivazione.
Il termine “equilibrio”, nelle discussioni in tema di copyright, è
divenuto sinonimo di scorciatoia per l’idea di “raggiungere l’equilibrio” tra lettori ed editori. Di conseguenza, l’uso di tale termine
per indicare questi due interessi dei lettori provocherebbe confusione – c’è bisogno di un altro termine.
In generale, quando un’entità presenta due obiettivi in parziale conflitto tra loro e non è in grado di raggiungerli entrambi in maniera
119
completa, la situazione viene definita “scambio”. Pertanto, anziché
riferirci al “raggiungimento del giusto equilibrio” tra entità diverse, dovremmo parlare di “trovare il giusto scambio tra il consumo
e la conservazione della libertà”.
Secondo errore: privilegiare un unico aspetto
Il secondo errore delle politiche sul copyright consiste nell’adottare l’obiettivo di massimizzare la quantità di opere pubblicate, non
soltanto di incrementarle. L’erroneo concetto del “raggiungimento
del giusto equilibrio” aveva posto gli editori al medesimo livello dei
lettori; questo secondo errore li eleva molto al di sopra.
Quando compriamo qualcosa, generalmente non acquistiamo
l’intera quantità di articoli disponibili in magazzino o il modello più costoso. Preferiamo piuttosto risparmiare per ulteriori
compere, acquistando soltanto quanto ci occorre di una determinata merce, e scegliendo un modello di buon livello anziché
della qualità migliore in assoluto. Sulla base del principio della
diminuzione del profitto, spendere tutti i soldi per un unico articolo si rivela con tutta probabilità una gestione inefficiente delle risorse disponibili.
La diminuzione del profitto si applica al copyright come a qualsiasi acquisto. Le prime libertà che dovremmo scambiare sono quelle
di cui potremo fare più facilmente a meno, pur offrendo il maggiore incoraggiamento possibile alla pubblicazione. Mentre barattiamo le libertà aggiuntive via via più familiari, ci rendiamo conto
come ogni scambio comporti un sacrifico maggiore del precedente, portando al contempo un minore incremento all’attività letteraria. Assai prima che tale incremento raggiunga quota zero, possiamo ben dire che ciò non giustifica ulteriori aumenti di prezzo;
dovremmo quindi raggiungere un accordo che preveda l’aumento
120
del numero delle pubblicazioni in circolazione, senza tuttavia arrivare al massimo possibile.
L’accettazione dell’obiettivo di massimizzare la quantità delle pubblicazioni comporta il rifiuto aprioristico di tutti questi accordi più
saggi e vantaggiosi – tale posizione impone al pubblico di cedere
quasi tutta la propria libertà di utilizzo delle opere pubblicate, in
cambio di un incremento modesto delle pubblicazioni.
La retorica della massimizzazione
In pratica, l’obiettivo di massimizzare le pubblicazioni prescindendo dal prezzo imposto alla libertà si fonda sulla diffusa retorica secondo cui la copia pubblica sia qualcosa di illegale, ingiusto e intrinsecamente sbagliato. Ad esempio, gli editori definiscono “pirati” coloro che copiano, termine dispregiativo mirato
ad equiparare l’assalto a una nave e la condivisione delle informazioni con il vicino di casa. (Quel termine dispregiativo era già
stato impiegato dagli autori per descrivere quegli editori che avevano scovato dei modi legali per pubblicare edizioni non autorizzate; il suo utilizzo attuale da parte degli editori riveste un significato pressoché opposto). Questa retorica ripudia direttamente
le basi costituzionali a supporto del copyright, ma si presenta
come rappresentativa dell’inequivocabile tradizione del sistema
legale americano.
In genere la retorica del “pirata” viene accettata perché inonda a tal
punto tutti i media che pochi riescono ad afferrarne la radicalità. Si
dimostra efficace perché, se la copia a livello pubblico è fondamentalmente qualcosa di illegittimo, non potremmo mai obiettare alla richiesta degli editori di cedere quella libertà che ci appartiene. In altre parole, quando il pubblico viene sfidato a spiegare
perché gli editori non dovrebbero ottenere ulteriori poteri, il moti121
vo più importante di tutti – “vogliamo copiare” – subisce una degradazione aprioristica.
Ciò non lascia spazio per controbattere l’incremento di potere assegnato al copyright se non ricorrendo a questioni collaterali. Di conseguenza oggi l’opposizione al maggior potere del copyright poggia
quasi esclusivamente su tali questioni collaterali, e non osa mai citare la libertà di distribuire delle copie in quanto legittimo valore pubblico.
A livello pratico, l’obiettivo della massimizzazione consente agli editori di sostenere che “una determinata pratica sta portando alla riduzione delle vendite - o crediamo possa farlo – così riteniamo che ciò
sia causa della diminuzione di una quantità imprecisata di pubblicazioni, e di conseguenza occorre proibirla”. Siamo portati a credere all’oltraggiosa conclusione secondo cui il bene pubblico vada
misurato dalle vendite degli editori. Quello che va bene per i Grandi Media va bene per gli Stati Uniti.
Terzo errore: massimizzare il potere degli editori
Una volta riconosciuto agli editori l’assenso a una politica mirata
alla massimizzazione della quantità di pubblicazioni in circolazione, costi quel che costi, il passo successivo è quello di ritenere che
ciò significhi assegnare loro i massimi poteri possibili – ricorrendo
al copyright per regolamentare ogni impiego immaginabile di un’opera, oppure applicando altri strumenti legali dall’effetto analogo,
tipo le licenze accettate automaticamente dall’utente nel momento
in cui apre la confezione originale di un prodotto. Quest’obiettivo,
che implica l’abolizione di ogni uso legittimo e del diritto alla prima vendita, viene perseguito con forza a ogni livello governativo,
dai singoli stati USA alle organizzazioni internazionali.
Si tratta una procedura errata perché norme sul copyright eccessi122
vamente rigide impediscono la creazione di opere nuove e utili. Ad
esempio, Shakespeare prese in prestito la trama di alcuni suoi testi
teatrali da altri lavori in circolazione già da alcuni decenni; applicando a quell’epoca le odierne norme sul copyright, le sue opere
avrebbero dovuto considerarsi illegali.
Pur mirando alla maggiore quantità possibile di pubblicazioni,
volendo ignorarne il prezzo ai danni del pubblico, è sbagliato arrivarci massimizzando i poteri degli editori. Come mezzo per la promozione del progresso, ciò si rivela controproducente.
I risultati dei tre errori
L’attuale tendenza delle legislazioni sul copyright è quella di concedere agli editori maggiori poteri per periodi di tempo più lunghi.
Il principio concettuale del copyright, che emerge distorto a seguito della serie di errori sopra illustrati, raramente offre la base per
poter dire no a tale tendenza. A parole i legislatori sostengono l’idea del copyright al servizio del pubblico, mentre in realtà cedono
a qualunque richiesta degli editori.
Ad esempio, così si è espresso il senatore statunitense Hatch nel
1995, durante la presentazione del disegno di legge S. 483 finalizzato all’estensione dei termini del copyright di ulteriori 20 anni:
«Credo che oggi il punto sia quello di dare una risposta alla domanda se gli odierni termini del copyright possano tutelare adeguatamente gli interessi degli autori e alla questione connessa se quei termini possano continuare a fornire un sufficiente incentivo per la
creazione di nuove opere».
Questa legge ha esteso il copyright su opere già pubblicate, scritte
a partire dal 1920. La modifica è stata un regalo agli editori senza
alcun possibile beneficio per il pubblico, poichè è impossibile
123
aumentare in maniera retroattiva il numero di libri pubblicati allora. Tuttavia, ciò costa al pubblico una libertà oggi significativa – la
redistribuzione dei libri del passato.
La normativa estende inoltre il copyright di opere che devono essere ancora scritte. Per i lavori su commissione, il copyright durerà
95 anni invece degli attuali 75. In teoria ciò dovrebbe rivelarsi un
maggiore incentivo per la creazione di nuove opere; ma qualunque
editore che sostenga la necessità di un simile incentivo dovrebbe
motivarlo con le previsioni di bilancio fino all’anno 2075.
Inutile aggiungere che il Congresso non ha posto in dubbio gli
argomenti degli editori: la legislazione per l’estensione del copyright è stata approvata nel 1998. È stata chiamata Sonny Bono
Copyright Term Extension Act, riprendendo il nome di uno dei
proponenti poi scomparso in quell’anno. La vedova, che ne ha
proseguito il mandato parlamentare, ha rilasciato la seguente
dichiarazione:
«In realtà, Sonny voleva far durare il copyright all’infinito. Qualcuno dello staff mi ha informato che ciò violerebbe la Costituzione. Vi
invito tutti a lavorare con me per rafforzare le norme sul copyright
in ogni modo possibile. Come sapete, esiste anche una proposta di
Jack Valenti per farlo durare indefinitamente meno un giorno. Forse la commissione potrebbe prenderla in esame nel corso della prossima sessione congressuale».
La Corte Suprema ha accettato di esaminare la richiesta dell’annullamento di tali norme sulla base del fatto che un’estensione
retroattiva sia contraria all’obiettivo costituzionale della promozione del progresso.
Un’altra legge, approvata nel 1996, ha trasformato in reato grave la
copia, in quantità sufficientemente elevate, di qualsiasi lavoro pubblicato, anche nel caso di successiva distribuzione agli amici per
124
pura gentilezza. In precedenza ciò non veniva affatto considerato
reato negli Stati Uniti.
Una legislazione finanche peggiore, il Digital Millennium Copyright Act (DMCA), è stata progettata per imporre nuovamente protezioni anti-copia (detestate dagli utenti informatici), rendendo
reato ogni infrazione a tali protezioni, o perfino la pubblicazione di
informazioni sul modo di superarle. Questa legge dovrebbe essere
chiamata “Domination by Media Corporations Act” (legge per la
dominazione delle corporation dei media) perché consente di fatto agli editori la possibilità di scrivere leggi sul copyright a proprio
vantaggio. Queste norme permettono loro l’imposizione di qualsiasi tipo di restrizioni sull’utilizzo di un’opera, con le annesse sanzioni repressive, purché le opere siano dotate di qualche tipo di crittazione o di licenza onde poterle applicare.
Una delle tesi a sostegno di questa legge era che sarebbe servita
all’implementazione di un recente trattato mirato all’espansione dei
poteri del copyright. Il trattato è stato promulgato dalla World
Intellectual Property Organization, entità in cui dominano gli interessi dei detentori di copyright e di brevetti, con l’aiuto della pressione esercitata dall’amministrazione Clinton; poiché il trattato
non fa altro che ampliare il potere del copyright, è assai dubbio che
possa servire gli interessi del pubblico in altri paesi. In ogni caso, la
normativa andò ben oltre quanto richiesto dal trattato stesso.
Le biblioteche costituirono un elemento chiave nell’opposizione a
quella proposta, particolarmente riguardo alle norme che impedivano le varie forme di copia considerate “uso legittimo”. Come hanno risposto gli editori? L’ex deputato Pat Schroeder, attualmente
impegnato in azioni di lobby per conto della Association of American Publisher, l’Associazione degli editori statunitensi, ha sostenuto che “gli editori non possono aderire alle richieste [delle biblio125
teche]”. Poiché queste ultime chiedevano semplicemente di mantenere parte dello status quo, si potrebbe replicare chiedendosi
come abbiano fatto gli editori a sopravvivere fino a oggi.
Il parlamentare Barney Frank, nel corso di una riunione con il sottoscritto e altri oppositori della legge, mostrò fino a che punto sia stato
travisato il concetto di copyright incluso nella costituzione. Secondo
il deputato statunitense, occorreva stabilire urgentemente nuovi poteri, sostenuti da pene severe, perché “l’industria cinematografica è
preoccupata”, come pure “il settore discografico” e “altre industrie”.
Allora gli ho chiesto: «Ma ciò sarebbe forse a favore dell’interesse pubblico?». La sua replica è stata: «Perché mai tiri fuori l’interesse pubblico? Queste persone creative non devono cedere i propri diritti a favore dell’interesse pubblico!». Così “l’industria” viene identificata con le
“persone creative” cui dà lavoro, il copyright è trattato come un diritto che le appartiene e la costituzione viene completamente ribaltata.
IL DMCA è stato approvato nel 1998. Nella stesura finale si legge
che l’uso legittimo rimane formalmente tale, ma gli editori hanno
la facoltà di vietare tutto il software o l’hardware necessario per
poterlo mettere in pratica. Di fatto, l’uso legittimo viene proibito.
Sulla base di questa legge, l’industria cinematografica ha imposto
la censura sul software libero per la lettura e la visione dei DVD, e
perfino sulle relative informazioni. Nell’aprile 2001 il professor
Edward Felten della Princeton University, minacciato di denuncia
dalla Recording Industry Association of America (RIAA), ha ritirato una ricerca scientifica in cui illustrava quanto aveva imparato
sul sistema cifrato proposto per impedire l’accesso alla musica registrata.
Stiamo inoltre assistendo all’avvento di libri elettronici (e-book) che
cancellano molte delle libertà tipiche del lettore tradizionale – ad esempio, quella di prestare il libro a un amico, di rivenderlo a un libreria
126
dell’usato, di prenderlo in prestito da una biblioteca, di acquistarlo
senza dover fornire le proprie generalità al database aziendale, perfino
la libertà di poterlo rileggere. Generalmente i libri elettronici cifrati
impediscono tutte queste libertà – è possibile leggerli soltanto grazie
a un particolare software segreto, progettato per imporre simili restrizioni al lettore.
Non acquisterò mai uno di questi e-book crittati e protetti, e spero che anche voi li rifiuterete. Se un libro elettronico non offre le
medesime libertà di un tradizionale volume cartaceo, non accettatelo!
Chiunque diffonda in modo indipendente un software in grado di
leggere gli e-book cifrati rischia di andare in galera. Nel 2001 un
programmatore russo, Dimitry Sklyarov, venne arrestato mentre si
trovava negli Stati Uniti per intervenire a una conferenza, perché
aveva scritto un tale programma in Russia, dove ciò era pienamente legale. Ora anche la Russia sta varando una legge per vietare simili attività, e recentemente l’Unione Europea ne ha adottata una analoga.
Finora il mercato di massa dei libri elettronici si è dimostrato un
fallimento commerciale, ma non perché i lettori abbiano deciso di
difendere le proprie libertà; gli e-book sono poco interessanti per
altri motivi, tra cui la difficile lettura dei testi sul monitor del computer. A tempi lunghi non possiamo affidare la nostra tutela a questo felice incidente di percorso; il prossimo tentativo di promuovere gli e-book prevede l’utilizzo di “carta elettronica” – oggetti somiglianti ai comuni volumi all’interno dei quali scaricare libri elettronici crittati e protetti. Se questa superficie simile alla carta dovesse risultare più leggibile degli odierni monitor, saremo chiamati a
tutelare la nostra libertà onde poterla conservare. Nel frattempo gli
e-book vanno aprendosi un mercato di nicchia: la New York Uni127
versity e altri istituti richiedono agli studenti di acquistare i libri di
testo nel formato elettronico protetto.
L’industria dei media non è ancora soddisfatta. Nel 2001 il senatore Hollings, sovvenzionato dalla Disney, ha presentato una proposta di legge chiamata “Security Systems Standards and Certification
Act” (SSSCA), in seguito rinominata Consumer Broadband and
Digital Television Promotion Act, la quale prevede la presenza in
tutti i computer (e altri apparecchi digitali per la registrazione e la
lettura) di sistemi anti-copia imposti dal governo. Ciò rappresenta
l’obiettivo finale dell’industria, ma il primo punto all’ordine del
giorno mira a vietare qualunque dispositivo in grado di intervenire sulla sintonia della HDTV (High Definition TV, la TV digitale
ad alta definizione), a meno che non sia progettato in modo tale da
impedire all’utente di “manometterla” (ovvero, di modificarla a scopo personale). Poichè il software libero è tale proprio perché gli
utenti possano modificarlo, qui ci troviamo di fronte per la prima
volta a una proposta di legge che vieta esplicitamente il software
libero per determinate funzioni. Certamente seguiranno analoghi
divieti per ulteriori funzioni. Nel caso la Federal Communications
Commission statunitense dovesse adottare simili proposte, programmi di software libero già esistenti quali GNU Radio verrebbero censurati.
Occorre mobilitarsi a livello politico per bloccare queste normative (a partire dai seguenti siti web: http://www.digitalspeech.org e
http://www.eff.org).
Come arrivare a un contratto equo
Qual’è la maniera adeguata per stabilire una corretta politica del
copyright? Se quest’ultimo è un patto raggiunto a nome del pubblico, dovrebbe innanzitutto servire l’interesse pubblico. Il dovere
128
del governo, quando si appresta a smerciare la libertà pubblica, è
quello di vendere soltanto quanto necessario e al prezzo più caro
possibile. Come minimo dovremmo controbilanciare al massimo
l’estensione del copyright pur conservando un’analoga quantità di
pubblicazioni disponibili.
Poiché è impossibile raggiungere questo livello minimo di libertà
tramite gare d’appalto competitive, come nel caso dei progetti edilizi, quale strada conviene seguire?
Un metodo possibile consiste nel ridurre i privilegi del copyright in
maniera graduale e osservarne i risultati. Verificando se e quando si
raggiunge un livello misurabile nella diminuzione delle pubblicazioni, potremo capire quanto sia il potere del copyright effettivamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi del pubblico. Ciò va giudicato tramite l’osservazione diretta, non sulla base
di quanto gli editori ritengano debba accadere, perché questi hanno tutto l’interesse a esagerare le previsioni negative in caso ne venga ridotto in qualche modo il potere.
Le politiche sul copyright comprendono svariate dimensioni tra
loro indipendenti, le quali possono essere organizzate in maniera
separata. Dopo aver raggiunto il livello minimo relativo a una di
tali dimensioni, è sempre possibile ridurre altre dimensioni del
copyright pur mantenendo la voluta quantità di pubblicazioni.
Una dimensione importante del copyright riguarda la sua durata,
che tipicamente oggi è dell’ordine di un secolo. La limitazione del
monopolio sulla copia a dieci anni, a partire dalla data di pubblicazione di un’opera, potrebbe rivelarsi un buon passo iniziale. Un
altro aspetto del copyright – quello concernente la realizzazione di
lavori derivati – potrebbe invece continuare a esistere per un periodo più lungo.
Perché si parte dalla data di pubblicazione? Perché il copyright su
129
lavori inediti non limita direttamente la libertà dei lettori; avere la
libertà di copiare un’opera è qualcosa di fittizio quando non ne circolano degli esemplari. Consentire perciò maggior tempo per pubblicare qualcosa non procura alcun danno. Raramente gli autori
(che in genere prima della pubblicazione sono titolari del copyright) sceglieranno di ritardare la pubblicazione soltanto per estendere all’indietro l’esaurimento dei termini del copyright.
Perché dieci anni? Perché è una proposta adeguata; a livello pratico possiamo ritenere che questa riduzione produrrà scarso impatto
sulle odierne attività editoriali in generale. Per la maggior parte dei
settori e dei generi, le opere di successo sono molto remunerative
nel giro di qualche anno, e perfino tali opere di successo generalmente vanno fuori catalogo assai prima dei dieci anni. Anche per i
testi di consultazione generale, la cui vita d’utilità può estendersi
fino a parecchi decenni, un copyright di dieci anni dovrebbe risultare sufficiente: se ne pubblicano regolarmente nuove stesure
aggiornate, e gran parte dei lettori preferiranno acquistare l’ultima
edizione sotto copyright, anziché una versione di dominio pubblico del decennio precedente.
Dieci anni potrebbe comunque essere un periodo più lungo del
necessario: una volta sistemate le cose, potremmo provare un’ulteriore riduzione per meglio rifinire il sistema. Nel corso di una
discussione sul copyright durante una manifestazione letteraria,
dove proponevo il termine dei dieci anni, un noto autore di testi
fantastici che mi sedeva accanto protestò con veemenza, sostenendo che qualunque termine superiore ai cinque anni sarebbe stato
intollerabile.
Ma non c’è motivo di applicare la medesima durata a tutti i tipi di
lavori. Il mantenimento di una stretta uniformità per le politiche
sul copyright non è cruciale all’interesse pubblico, e già le legisla130
zioni correnti prevedono numerose eccezioni per impieghi e ambiti particolari. Sarebbe folle pagare per ogni progetto autostradale la
stessa somma necessaria per i progetti più difficili realizzati nelle
aree più costose del paese; parimenti folle sarebbe “pagare” ogni tipo
di produzione artistica al prezzo più caro in termini di libertà ritenuto necessario per un’opera specifica.
Così forse i romanzi, i dizionari, i programmi informatici, le canzoni, le sinfonie e i film dovrebbero seguire una durata diversa per
il copyright, in modo da poterla ridurre per ciascun genere al termine necessario a garantire la pubblicazione di un certo numero di
lavori. Forse i film che durano più di un’ora potrebbero avere un
copyright di vent’anni, considerandone le spese di produzione. Nel
mio settore, la programmazione informatica, tre anni dovrebbero
bastare, perché i cicli di produzione sono anche più brevi di un tale
periodo.
Un’altra dimensione delle politiche sul copyright riguarda l’estensione dell’uso legittimo: quelle modalità di riproduzione totale o
parziale di un lavoro, legalmente consentite anche quando l’opera
pubblicata è coperta da copyright. Il primo passo naturale nella
riduzione di questa dimensione del potere del copyright consiste
nel permettere la copia e la distribuzione tra i singoli individui a
livello occasionale, privato e in piccole quantità. In tal modo si eviterebbe l’intrusione della polizia nella vita privata della gente, pur
avendo probabilmente scarso effetto sulle vendite dei lavori pubblicati. (Potrebbe rivelarsi necessario intraprendere ulteriori passi
legali onde assicurarsi che le licenze incluse automaticamente nelle
confezioni originali dei prodotti non possano essere utilizzate in
sostituzione del copyright per limitare tali attività di copia). L’esperienza di Napster dimostra che dovremmo altresì consentire la
redistribuzione integrale non-commerciale a una comunità più
131
vasta – quando una parte così ampia del pubblico decide di copiare e condividere qualcosa, considerando assai utili simili pratiche,
ciò potrà essere bloccato soltanto ricorrendo a misure draconiane,
e il pubblico merita di avere quanto chiede.
Per i romanzi, e in generale per le opere d’intrattenimento, la redistribuzione integrale non-commerciale potrebbe dimostrarsi una
libertà sufficiente per i lettori. I programmi informatici, essendo
utilizzati per scopi funzionali (portare a termine determinati compiti), richiedono ulteriori libertà aggiuntive, compresa la pubblicazione di versioni migliorate. A motivazione delle libertà che dovrebbero avere gli utenti di software si veda il testo incluso in questo
stesso volume “La definizione di software libero”. Tuttavia, un compromesso accettabile potrebbe rivelarsi quello di rendere tali libertà
universalmente disponibili soltanto dopo un ritardo di due o tre
anni dalla data di pubblicazione del programma.
Questa serie di modifiche finirebbero per allineare il copyright con
la volontà del pubblico di usare le tecnologie digitali per copiare. Senza dubbio gli editori considereranno “sbilanciate” simili proposte;
potrebbero minacciare di prendere le proprie biglie e andarsene via,
ma non lo faranno sul serio, perché il gioco rimarrà comunque redditizio e sarà l’unico possibile.
Mentre si vanno considerando le possibili riduzioni ai poteri del copyright, dobbiamo accertarci che le varie aziende del settore non lo sostituiscano semplicemente con apposite licenze relative all’utente finale. Sarà necessario vietare l’uso di contratti mirati a imporre restrizioni sulla copia che vadano oltre quelle già previste dal copyright.
Nel sistema legale statunitense è pratica comune stabilire simili disposizioni su quanto previsto dai contratti non-negoziabili per settori di
grande consumo.
132
Una nota personale
La mia attività riguarda la programmazione informatica, non l’ambito giuridico. Mi sono interessato alle questioni legate al copyright perché è impossibile evitarle nel mondo delle reti informatiche
(essendo internet quella più vasta al mondo). In quanto utente di
computer e di reti informatiche per trent’anni, attribuisco molto
valore alle libertà che abbiamo abdicato, e a quelle che potremmo
perdere in futuro. In quanto autore, rifiuto la mistica romantica che
ci considera alla stregua di creature semidivine, immagine spesso
citata dagli editori a giustificare l’incremento di poteri sul copyright agli autori, i quali poi li trasferiscono agli stessi editori.
Per la gran parte questo saggio presenta fatti e ragionamenti facilmente verificabili, oltre a una serie di proposte su cui ciascuno di
noi può farsi una propria opinione. Chiedo tuttavia al lettore di
accettare un solo elemento basato sulla mia parola: autori come il
sottoscritto non meritano di avere poteri speciali sugli altri. Se qualcuno vuole ricompensarmi ulteriormente per il software o i libri che
ho scritto, accetto volentieri un assegno – ma vi invito a non rinunciare alla vostra libertà a nome mio.
Questa è la prima versione mai pubblicata di questo saggio, e fa parte del
libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,
GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
133
La scienza deve
mettere da parte
il copyright
Dovrebbe essere evidente che lo scopo dell’editoria scientifica è la diffusione delle conoscenze scientifiche, e che le relative pubblicazioni
esistono per facilitare un simile processo. Di conseguenza le norme
che regolamentano tale attività editoriale dovrebbero assecondare il
raggiungimento di quest’obiettivo.
Le regole attualmente in vigore, note come copyright, vennero stabilite all’epoca dell’invenzione della stampa, metodo intrinsecamente
centralizzato per la copia a livello di massa. Nel settore della stampa,
il copyright sugli articoli di queste pubblicazioni riguardava soltanto
gli editori, imponendo loro l’ottenimento del permesso per la pubblicazione dei materiali, e i potenziali plagiaristi. Ciò consentì a quell’attività editoriale di operare e diffondere conoscenza, senza interferire con l’utile attività di ricercatori e studenti, sia in quanto autori o
lettori dei testi. Si trattava di norme adeguate a quel sistema.
Tuttavia, la tecnologia moderna per l’editoria scientifica è il World
Wide Web. Quali le norme che possono garantire al meglio la massima diffusione di materiale e conoscenze scientifiche sul Web? Gli articoli andrebbero distribuiti in formati non-proprietari, garantendone
il libero accesso a tutti. E chiunque dovrebbe avere il diritto a crearne
dei mirror, ovvero a ripubblicarli altrove in versione integrale con gli
adeguati riconoscimenti.
Regole queste che andrebbero applicate sia a testi passati che futuri,
quando venga distribuito in formato elettronico. Ma non esiste alcun
bisogno reale di modificare l’attuale sistema di copyright relativo alle
134
pubblicazioni cartacee, poichè il problema non riguarda quel settore.
Sembra purtroppo che non tutti siano d’accordo con l’evidente verità
che ha aperto questo saggio. Numerosi editori di pubblicazioni scientifiche sembrano ritenere che lo scopo dell’editoria specializzata sia
quello di consentire loro quell’attività in modo da incassare le quote
di abbonamento da ricercatori e studenti. Un ragionamento meglio
noto come “confondere il fine con il mezzo”.
L’approccio di costoro è stato quello di impedire l’accesso perfino alla
lettura del materiale scientifico a quanti possono e sono disposti a
pagare per farlo. Si è ricorso alle leggi sul copyright, che rimangono in
vigore nonostante l’inadeguatezza rispetto alle reti informatiche, come
scusa per impedire ai ricercatori di scegliere nuove regole.
Nell’interesse della cooperazione scientifica e del futuro dell’umanità,
dobbiamo rifiutare alla radice un simile approccio – non soltanto i
sistemi di blocco realizzati su queste basi, ma anche le errate priorità
a cui sono ispirati.
Talvolta questi editori sostengono che l’accesso online richiede l’impiego di costosi server di alta potenza, e che devono imporre delle tariffe
onde pagare le relative spese. Questo “problema” è una conseguenza dell’analoga “soluzione”. Offriamo a tutti la libertà di creare dei mirror, e
saranno le biblioteche di ogni parte del mondo a occuparsi di tali mirror per far fronte alle richieste. Una soluzione decentralizzata che ridurrà
le necessità dell’ampiezza di banda e garantirà la rapidità d’accesso, tutelando al contempo i materiali di ricerca contro perdite accidentali.
Secondo gli editori, inoltre, lo stipendio dei redattori interni richiede
l’imposizione di tariffe per l’accesso ai materiali. Diamo per scontato
il fatto che i redattori vadano remunerati. La spesa per la revisione di
una comune ricerca varia tra l’uno e il tre per cento del costo necessario alla sua realizzazione. Una percentuale talmente ridotta non può
giustificare l’ostruzione nell’utilizzo dei risultati delle ricerche.
135
Al contrario, le spese di revisione potrebbero essere recuperate, ad
esempio, imponendo una tariffa per pagina a carico degli autori, i quali a loro volta verrebbero rimborsati dagli sponsor della ricerca. È probabile che costoro non sollevino obiezioni, visto che attualmente
sostengono spese ben più sostanziose per via delle tariffe a copertura
degli abbonamenti delle biblioteche universitarie alle varie pubblicazioni. Modificando il modello economico in modo che le spese di revisione siano a carico degli sponsor della ricerca, è possibile eliminare
l’apparente bisogno di limitare la visione dei materiali on-line. L’autore occasionale non affiliato con alcuna istituzione o azienda, e privo del sostegno di uno sponsor, potrebbe essere esente dalle spese di
revisione, i cui costi andrebbero aggiunti a quegli autori che operano
all’interno delle istituzioni.
Un’ulteriore giustificazione per l’imposizione di quote per accedere
alle pubblicazioni on-line concerne la conversione degli archivi cartacei in formato digitale. Occorre certamente portare a termine simili
progetti, ma dovremmo trovare modalità alternative per sostenerne le
spese, modalità che non prevedano simili restrizioni d’accesso. Il lavoro in se stesso non risulterà più difficoltoso, né produrrà la maggiorazione delle spese. È controproducente riversare gli archivi in formato
digitale per poi sprecarne i risultati limitandone l’accesso.
La Costituzione statunitense sostiene che il copyright esiste per “promuovere il progresso della scienza”. Quando è il copyright a impedire tale progresso, la scienza deve metterlo da parte.
Questo saggio è apparso per la prima volta nel 1991 sul sito
http://www.nature.com nella sezione Web Debates. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Cos’è il copyleft?
Il copyleft [permesso d’autore] è un metodo generale per realizzare un programma di software libero e richiedere che anche tutte le
versioni modificate e ampliate dello stesso rientrino sotto il software libero.
La maniera più semplice per rendere libero un programma è quella di
farlo diventare di pubblico dominio, senza copyright [diritto d’autore]. Ciò consente a chiunque di condividere tale programma e i relativi perfezionamenti, se questa è l’intenzione dell’autore. Ma così facendo, qualcuno poco incline alla cooperazione potrebbe trasformarlo in
software proprietario. Potrebbe apportarvi delle modifiche, poche o
tante che siano, e distribuirne il risultato come software proprietario.
Coloro che lo ricevono in questa versione modificata non hanno la stessa libertà riconosciuta loro dall’autore originale; è stato l’intermediario
a strappargliela.
L’obiettivo del progetto GNU è quello di offrire a tutti gli utenti la
libertà di ridistribuire e modificare il software GNU. Se l’intermediario potesse strappar via la libertà, potremmo vantare un gran
numero di utenti, ma privati della libertà. Di conseguenza, anziché
rendere il software GNU di pubblico dominio, lo trasformiamo in
“copyleft”.
Questo specifica che chiunque ridistribuisca il software, con o senza modifiche, debba passare oltre anche la libertà di poterlo copiare e modificare ulteriormente. Il copyleft garantisce che ogni utente conservi queste libertà.
Il copyleft fornisce inoltre ad altri programmatori l’incentivo ad
137
aggiungere propri contributi al software libero. Importanti programmi liberi, quali il compilatore GNU C++, esistono soltanto
grazie a tali incentivi.
Il copyleft aiuta altresì quei programmatori disposti a offrire contributi per migliorare il software libero a ottenerne il permesso.
Spesso costoro lavorano per aziende o università che sarebbero
disposte a quasi tutto pur di guadagnare qualcosa. Un programmatore potrebbe voler offrire alla comunità le proprie modifiche,
ma il datore di lavoro vorrebbe invece inserirle all’interno di un prodotto di software proprietario.
Quando gli spieghiamo che è illegale distribuirne versioni migliorate se non come software libero, generalmente il datore di lavoro
decide di diffonderle in quanto tali piuttosto che buttarle via.
Per trasformare un programma in copyleft, prima lo dichiariamo
sotto copyright; poi aggiungiamo i termini di distribuzione, strumento legale onde garantire a chiunque il diritto all’utilizzo, alla
modifica e alla redistribuzione del codice di quel programma o di
qualsiasi altro da esso derivato, ma soltanto nel caso in cui i termini della distribuzione rimangano inalterati. Così il codice e le libertà
diventano inseparabili a livello legale.
Gli sviluppatori di software proprietario ricorrono al copyright per
rubare agli utenti la propria la libertà; noi usiamo il copyright per
tutelare quella libertà. Ecco perché abbiamo scelto il nome opposto, modificando “copyright” in “copyleft”.
Il copyleft è un concetto generale; esistono svariate modalità per
definirne i dettagli. Nel progetto GNU, i termini specifici della
nostra distribuzione vengono indicati nella GNU General Public
License (Licenza Pubblica Generica GNU), spesso abbreviata in
GNU GPL. Al riguardo esiste l’apposita pagina che risponde alle
domande più frequenti (FAQ, Frequently Asked Questions:
138
http://www.gnu.org/licenses/gpl-faq.html). È inoltre possibile informarsi sul perché la Free Software Foundation riceva dei progetti sotto copyright da vari collaboratori (http://www.gnu.org/copyleft/whyassign.html).
Una forma alternativa di copyleft, la GNU Lesser General Public
License, nota con l’acronimo LGPL, viene applicata ad alcune librerie GNU, ma non a tutte. Inizialmente questa licenza era chiamata GNU Library GPL, ma ne abbiamo modificato il nome perché
quello precedente incoraggiava gli sviluppatori a usarla con maggior frequenza di quanto avessero dovuto. La GNU Library GPL,
è tuttora disponibile in formato HTML e testo, pur essendo stata
superata dalla LGPL.
La GNU Free Documentation License, abbreviata in FDL (Licenza per Documentazione Libera GNU) è una forma di copyleft stilata per l’utilizzo in manuali, libri di testo o altri documenti onde
garantire a chiunque l’effettiva libertà di copiare e ridistribuire tali
materiali, con o senza modifiche, sia a livello commerciale che noncommerciale. La licenza appropriata è inclusa in numerosi manuali e in ogni distribuzione del codice sorgente GNU.
La GNU GPL è progettata in modo da poter essere facilmente
applicata a ogni programma, qualora l’autore ne detenga il copyright. Per farlo non è necessario apportare modifiche a tale licenza,
basta aggiungere al programma una nota che faccia corretto riferimento al testo della GNU GPL.
Per rendere copyleft un programma usando la GNU GPL oppure
la GNU LGPL, occorre riferirsi alla pagina con le apposite istruzioni (http://www.gnu.org/copyleft/gpl-howto.html). È importante notare che, qualora si decida di fare uso della GPL, bisogna riportarne il testo per intero. Si tratta di un insieme integrale, di cui non
è consentita la copia parziale. (Analogo discorso per la LGPL).
139
Il ricorso agli stessi termini di distribuzione per programmi diversi tra loro ne facilita la copia del codice. Poichè tutti i programmi
seguono i medesimi termini di distribuzione, non occorre preoccuparsi se questi siano o meno compatibili. La LGPL comprende
una nota che consente la modifica dei termini di distribuzione per
aderire alla GPL normale, in modo da renderne possibile la copia
del codice in un altro programma già coperto dalla GPL.
Per rendere copyleft un manuale tramite la GNU FDL si consulti la
pagina delle relative istruzioni (http://www.gnu.org/copyleft/fdl-howto.html). Come nel caso della GNU GPL, occorre usare la licenza per
intero; non sono ammesse copie parziali.
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
140
Copyleft: idealismo
pragmatico
Ogni decisione presa nella vita emerge dai valori e dagli obiettivi
personali. Questi possono variare da individuo a individuo; la fama,
il denaro, l’amore, la sopravvivenza, il divertimento e la libertà, sono
soltanto alcuni degli obiettivi perseguiti da una brava persona.
Quando l’obiettivo è quello di aiutare tanto gli altri quanto se stessi, lo si definisce idealismo.
La mia attività nel campo del software libero è motivata da uno scopo idealistico: diffondere libertà e collaborazione. Voglio stimolare
la diffusione del software libero, sostituendo il software proprietario che vieta la cooperazione, per contribuire così al miglioramento della società.
Questa la motivazione centrale per cui la GNU General Public
License – il copyleft. (Quest’ultimo è anche definito permesso d’autore, mentre il copyright è il diritto d’autore). Tutto il codice
aggiunto a un programma coperto dalla GPL deve essere software
libero, anche se incluso in un file a parte. Rendo disponibile il mio
codice affinché venga utilizzato nel software libero, e non nel
software proprietario, in modo da incoraggiare altri programmatori a fare altrettanto.
La mia posizione è che, se gli sviluppatori di software proprietario
ricorrono al copyright per impedirci di condividere i programmi,
noi che preferiamo cooperare possiamo usare il copyright per offrire a ulteriori collaboratori un vantaggio particolare: diamo loro il
permesso di utilizzare il nostro codice.
Non tutti coloro che usano la GNU GPL puntano a un simile obiet141
tivo. Molti anni fa, a un amico venne chiesto di ridistribuire un programma già coperto da copyleft sotto termini non-copyleft, e la sua
risposta fu più o meno questa:
«Talvolta mi occupo di software libero, altre volte di software proprietario – ma in quest’ultimo caso, mi aspetto di essere retribuito».
Era disposto a spartire il proprio lavoro con una comunità che condivide il software, ma non vedeva alcun motivo di fare lo stesso con
un’azienda i cui prodotti avrebbero escluso tale comunità. Pur perseguendo uno scopo diverso dal mio, riconobbe l’utilità della GNU
GPL per il raggiungimento dei suoi obiettivi.
Per ottenere qualcosa al mondo, l’idealismo da solo non è sufficiente – occorre scegliere un metodo che ci consenta di raggiungere lo
scopo prefisso. In altri termini, bisogna essere “pragmatici”. La GPL
è pragmatica? Diamo un’occhiata ai suoi risultati:
Prendiamo il compilatore GNU C++. Perché esiste un compilatore C++ libero? Soltanto perché ciò viene stabilito dalla GNU GPL.
GNU C++ è stato sviluppato da un consorzio industriale, la MCC,
partendo dal compilatore GNU C.
Normalmente la MCC realizza prodotti quanto più proprietari possibile. Ma hanno distribuito il front end C++ come software libero, poichè secondo la GNU GPL questo era l’unico modo per
poterlo distribuire. Il front end C++ comprendeva parecchi nuovi
file, ma poiché erano stati progettati per essere collegati con GCC,
anch’essi dovevano aderire alla GPL. Il beneficio per la nostra comunità è evidente.
Passiamo a GNU Objective C. Inizialmente NeXT (sistema operativo creato da Steve Jobs, successivamente acquistato dalla Apple)
voleva farne un front end proprietario; proposero di distribuirlo
come file .o, lasciando agli utenti la possibilità di collegarlo con il
resto di GCC, ritenendo così di poter aggirare i requisiti della GPL.
142
Ma secondo il nostro avvocato, ciò non avrebbe potuto eludere tali
requisiti e non era consentito farlo. E così distribuirono il front end
Objective C come software libero.
Questi esempi si riferiscono a diversi anni fa, ma la GNU GPL continua a portarci sempre più software libero.
Molte delle librerie GNU rientrano sotto la GNU Library General
Public License, ma non per tutte è così. Una di queste librerie coperta dalla GNU GPL ordinaria è Readline, la quale implementa l’editing a linea di comando. Una volta ho scoperto un programma
non libero che prevedeva l’utilizzo di Redline, e dissi all’autore che
si trattava di un uso non consentito. Egli avrebbe potuto eliminare dal programma soltanto le funzionalità dell’editing a linea di
comando, ma in realtà decise di ridistribuirlo sotto la GPL. Ora è
un programma di software libero.
Non di rado i programmatori che mettono a punto dei miglioramenti a GCC (oppure a Emacs, Bash, Linux, o qualsiasi altro programma coperto dalla GPL) lavorano presso qualche azienda o università. Quando costoro vogliono ridistribuire quelle migliorie alla
comunità e vedere il proprio codice incluso nella versione del programma, il datore di lavoro potrebbe dire:
«Fermo lì – quel codice ci appartiene! Non vogliamo condividerlo
con altri; abbiamo deciso di trasformare la tua versione migliorata
in un prodotto di software proprietario».
È qui che arriva in soccorso la GNU GPL. Il programmatore chiarisce al datore di lavoro che un simile prodotto di software proprietario costituirebbe una violazione del copyright, e costui comprende di trovarsi davanti a due sole possibilità: distribuire il nuovo codice come software libero oppure non distribuirlo affatto.
Quasi sempre il programmatore ottiene carta bianca, e il codice viene inserito nella versione successiva del programma.
143
La GNU GPL non è sempre accondiscendente. Dice “no” ad alcune delle cose che talvolta si vogliono fare. Secondo alcuni utenti,
ciò sarebbe un elemento negativo – la GPL “esclude” degli sviluppatori di software proprietario che invece “occorre portare nella
comunità del software libero”.
Ma non siamo noi a escluderli dalla nostra comunità; sono loro
che scelgono di non entrarvi. La decisione di produrre software
proprietario significa scegliere di starne fuori. Farne parte vuol
dire unirsi e contribuire al lavoro collettivo; non possiamo “portarli nella comunità” se non vogliono unirsi a noi.
Quel che possiamo fare è offrire loro un incentivo a farne parte. La GNU GPL è progettata in modo da fornire loro un incentivo sulla base del software preesistente: «Se rendete libero il
vostro software, potrete usare questo codice». Naturalmente ciò
non basta per convincere tutti, ma talvolta funziona.
Lo sviluppo di software proprietario non porta benefici alla nostra
comunità, ma non di rado quei programmatori ci chiedono di passar loro qualcosa. Gli utenti di software libero possono dare qualche soddisfazione all’ego personale di quanti sviluppano software
libero – riconoscenza e gratitudine – ma la tentazione è molto forte quando un’azienda ti dice:
«Basta che tu ci consenta di includere il tuo pacchetto nel nostro
programma di software proprietario, e questo verrà utilizzato da
migliaia e migliaia di persone!».
La tentazione potrebbe essere davvero forte, ma a lungo termine è
meglio per tutti riuscire a resistere. È più difficile riconoscere le
lusinghe e le pressioni quando queste arrivano in maniera indiretta, tramite organizzazioni di software libero che hanno adottato
politiche favorevoli al software proprietario. Ne offrono un esempio l’X Consortium (e il suo successore, l’Open Group): finanziati
144
da produttori di software proprietario, per un decennio hanno cercato di convincere i programmatori a non usare il copyleft. Ora che
l’Open Group ha distribuito X11R6.4 come software non-libero,
quelli tra noi che hanno resistito sono contenti di averlo fatto.
(Nel settembre 1998, diversi mesi dopo il rilascio di X11R6.4 con
termini di distribuzione non liberi, l’Open Group ha fatto marcia
indietro, decidendo di ri-rilasciarlo sotto la medesima licenza di
software libero, priva del copyleft, usata per il precedente X11R6.3.
Ringrazio l’Open Group, ma il tardivo ripensamento non invalida
le nostre conclusioni sul fatto che fosse effettivamente possibile
aggiungere quelle restrizioni).
A livello pragmatico, pensare agli obiettivi a più lungo termine
rafforzerà la capacità di resistenza contro simili pressioni. Concentrando l’attenzione sulla libertà e sulla comunità che si può costruire rimanendo fermi sulle proprie posizioni, si rinsalda la volontà di
farcela. “Battiti per qualcosa o soccomberai per un nonnulla”.
E se i cinici mettono in ridicolo la libertà e la comunità... se i “realisti più intransigenti” sostengono che l’unico ideale possibile è il
profitto... basta ignorarli, e continuare a usare il copyleft.
Originariamente scritto nel 1998. Questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
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Il pericolo dei
brevetti sul software
Credo siate a conoscenza del mio lavoro a sostegno del software
libero. L’intervento odierno non riguarda questo tema, ma affronta la questione degli abusi legislativi tesi a trasformare lo sviluppo
del software in un’attività pericolosa. Questo è ciò che accade quando le norme sui brevetti vengono applicate al campo del software.
Il punto non è la brevettabilità del software. Una simile descrizione
sarebbe decisamente errata ed equivoca, perché non si tratta di brevettare dei programmi singoli. Se così fosse, non farebbe alcuna differenza, sarebbe qualcosa di fondamentalmente innocuo. La questione
riguarda invece la brevettabilità delle idee. Ciascun brevetto copre qualche idea. I brevetti sul software sono brevetti che coprono qualche idea
sul software, idee che prevediamo di usare nello sviluppo del software.
In tal senso ciò rappresenta un ostacolo pericoloso per lo sviluppo del
software nella sua interezza.
Forse avrete sentito qualcuno usare un termine ingannevole, “proprietà intellettuale”. Come potete notare, questa definizione è basata su un pregiudizio: dà per scontato che, qualunque sia il tema in
discussione, il modo di trattarlo è considerarlo una sorta di proprietà, mentre in realtà è soltanto una delle molte alternative disponibili. Il termine “proprietà intellettuale” si pone come pregiudiziale sulle questioni fondamentali di qualsiasi tematica ci si stia
occupando. Ciò non porta a considerazioni chiare e aperte.
Esiste un ulteriore problema in quel termine, il quale non ha nulla
a che fare con la promozione delle opinioni personali: è d’intralcio
nella comprensione perfino dei fatti. L’espressione “proprietà intel146
lettuale” viene usata come una sorta di panacea generale: raggruppa
insieme aree del tutto disparate del corpo legislativo quali il copyright (il diritto d’autore) e i brevetti, ambiti completamente diversi tra
loro che differiscono in ogni dettaglio. Nel mucchio finiscono anche
i marchi registrati, qualcosa di ulteriormente diverso, e altri elementi
in cui ci s’imbatte più di rado. Nessuno di questi settori ha nulla in
comune con gli altri. Storicamente hanno origini completamente
distinte; le rispettive legislazioni furono progettate in maniera indipendente; interessano ambiti diversi della vita e delle comuni attività. Le questioni di politica pubblica che sollevano non presentano
alcuna relazione tra loro, di modo che cercando di affrontarli come
un unico insieme è garantito il raggiungimento di conclusioni folli.
È letteralmente impossibile avere un’opinione motivata e intelligente sulla “proprietà intellettuale”. Perciò, se si vuole considerare la
questione con chiarezza, evitiamo di fare d’ogni erba un fascio.
Meglio affrontare il copyright di per sé, e poi occuparsi dei brevetti. Impariamo a conoscere le norme sul copyright, e separatamente
quelle sui brevetti.
Queste alcune delle maggiori differenze esistenti tra copyright e brevetti:
• Il copyright concerne i dettagli dell’espressione di un’opera, ma
non copre alcuna idea. I brevetti riguardano soltanto le idee e il
loro utilizzo.
• Il copyright è automatico. I brevetti vengono concessi dal relativo ufficio in risposta a un’apposita richiesta.
• I brevetti sono molto onerosi. In realtà le spese degli avvocati per
la stesura della richiesta sono perfino più esose della domanda stessa. Normalmente occorrono alcuni anni prima che la richiesta
venga presa in considerazione, anche se i vari uffici brevetti lavorano in maniera estremamente lenta nell’esame delle domande.
147
• La durata del copyright è tremendamente lunga. In alcuni casi si
arriva anche a 150 anni. I brevetti durano 20 anni, periodo breve rispetto alla vita umana ma comunque eccessivo per i ritmi di
un settore come quello del software. Basti pensare a 20 anni fa,
quando il PC era qualcosa di nuovo. Immaginiamo di dover essere costretti a sviluppare software utilizzando soltanto i concetti
conosciuti nel 1982.
• Il copyright copre unicamente la copia. Se qualcuno scrive un
romanzo che si scopre essere identico parola per parola a Via col
vento, potendo al contempo dimostrare di non averlo mai visto,
ciò rappresenterebbe un’ottima difesa contro ogni accusa di infrazione al copyright.
• Un brevetto è un monopolio assoluto sull’utilizzo di un’idea.
Anche potendo dimostrare di aver avuto quell’idea per conto proprio, ciò sarebbe del tutto irrilevante se quell’idea è stata già brevettata da qualcun altro.
Spero possiate dimenticarvi del copyright per il resto del mio intervento, perché parlerò invece dei brevetti, e le due questioni non
dovrebbero mai essere messe insieme - unica possibilità per comprendere con chiarezza le rispettive questioni legali. Pensiamo a cosa
potrebbe accadere nella comprensione della chimica pratica (o dell’arte culinaria) se dovessimo confondere l’acqua con l’etanolo.
Quando si sente qualcuno parlare del sistema dei brevetti, normalmente questo viene descritto dal punto di vista di chi speri di ottenere un brevetto - le procedure che bisognerebbe eventualmente
seguire per richiederlo, la sensazione che si proverebbe nel camminare per strada avendone uno in tasca, in modo da tirarlo fuori ogni
tanto e sbatterlo in faccia a qualcuno dicendo: «Dammi tutti i soldi che hai!».
C’è una ragione dietro questi pregiudizi, perché la maggior parte di
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quanti ci descrivono il sistema dei brevetti vanta qualche tipo di
interesse in tale sistema, perciò ce ne dipingono i tratti piacevoli.
Esiste un’ulteriore motivazione: il sistema dei brevetti somiglia
parecchio a una lotteria, perché soltanto una minima parte dei brevetti porta effettivamente qualche beneficio ai rispettivi possessori.
Non casualmente una volta la rivista The Economist lo ha paragonato a una “lotteria spreca-tempo”. Se avete dato un’occhiata alle
inserzioni pubblicitarie delle lotterie, avrete notato come queste ci
spingano sempre a pensare alla possibilità di vincere. Non invitano
certo a considerare l’eventualità di perdere, pur essendo questa la
probabilità più concreta. Lo stesso vale per il sistema dei brevetti:
vengono sempre presentati come un invito a considerarci tra i vincitori.
Per controbilanciare questa serie di pregiudizi, mi accingo a descrivere il sistema dei brevetti dal punto di vista delle vittime – ovvero, dal punto di vista di qualcuno che vuole sviluppare del software, ma è costretto a convivere con un sistema di brevetti sul software che potrebbe risultare in una denuncia.
Qual’è dunque la prima cosa da fare dopo aver avuto un’idea sul
tipo di programma che ci si appresta a scrivere? Tanto per cominciare, dovendo aver a che fare con il sistema dei brevetti, si potrebbe cercare di scoprire quali siano i brevetti che coprono il futuro
programma. Compito impossibile. Il motivo è che alcune delle
domande pendenti sono segrete. Possono essere pubblicate soltanto dopo un certo tempo dalla presentazione, qualcosa tipo 18 mesi.
Si tratta tuttavia di un periodo più che sufficiente per scrivere un
programma, e finanche per distribuirlo, senza poter conoscere se
sia già coperto da brevetto o meno, e rischiare di conseguenza la
denuncia.
Non è una faccenda puramente accademica. Nel 1984 venne realiz149
zato compress, un programma per la compressione dei dati. All’epoca non esistevano brevetti sull’algoritmo di compressione LZW usato in quel programma. Più tardi, nel 1985, l’ufficio statunitense diffuse un brevetto su tale algoritmo, e nel corso degli anni successivi
coloro che ne curavano la distribuzione iniziarono a ricevere minacce legali. Era impossibile per l’autore dell’algoritmo di compressione
prevedere che potesse subire una denuncia. Non aveva fatto altro che
usare un’idea trovata in una pubblicazione, proprio come era sempre
successo tra i programmatori. Non aveva capito che non era più possibile usare liberamente un’idea trovata in qualche pubblicazione.
Dimentichiamo questo problema. I brevetti approvati vengono
pubblicati dall’apposito ufficio, così da poterne reperire il lungo
elenco e vedere con esattezza cosa dicono. Ovviamente, in realtà è
impossibile leggere la lista per intero, perché ne comprende una
quantità enorme. Negli Stati Uniti esistono centinaia di migliaia di
brevetti sul software. Non c’è alcun modo di tener traccia di tutte
le aree coperte. L’unica possibilità è provare a cercare quelli più rilevanti.
Qualcuno sostiene che dovrebbe trattarsi di un compito semplice
nell’attuale epoca informatica. Si può ricorrere a ricerche per parole chiave e così via, ma ciò funziona soltanto fino a un certo punto. Si troveranno alcuni brevetti riguardanti l’area d’interesse, ma
non necessariamente tutti.
Ad esempio, c’era un brevetto sul software (che oggi potrebbe essere estinto) relativo alle operazioni di ricalcolo secondo l’ordine
naturale per i fogli di calcolo elettronici. In pratica ciò significa che,
facendo dipendere determinate celle da altre precedenti, si procede
sempre al ricalcolo di tutti gli elementi inseriti dopo quelli da cui
dipendevano, in modo che dopo ogni operazione il totale risulta
sempre aggiornato. Nei primi fogli di calcolo elettronici si proce150
deva dall’alto verso il basso, e facendo dipendere una cella da quella sottostante, impostando al contempo una serie di simili passaggi, occorreva ricalcolare il totale svariate volte per far propagare il
nuovo valore verso l’alto. (Si presupponeva che ogni elemento
dipendesse dalla cella sovrastante).
Allora qualcuno ha pensato, perché non rifare i calcoli in modo che
ogni valore venga ricalcolato immediatamente dopo quello da cui
dipende? Questo algoritmo è conosciuto col nome di ‘classificazione topologica’. Il primo riferimento che sono riuscito a trovare è
datato 1963. Il brevetto copriva diverse dozzine di modalità in cui
si poteva implementare la classificazione topologica.
Non era tuttavia possibile reperire tale brevetto cercando con “fogli
di calcolo elettronici”. Né lo si trovava provando con “ordine naturale” oppure “classificazione topologica”. La spiegazione non comprendeva nessuno di questi termini. Veniva in realtà descritto come
un metodo per “compilare formule in codici oggetto”. Quando lo
vidi per la prima volta non credevo fosse quello giusto.
Supponiamo di trovarci davanti a un elenco di brevetti e di volerci
rendere conto di quel che sia consentito fare. Quando si prova a
studiarne le descrizioni, si scopre che sono molto difficili da comprendere, poiché sono scritte in un tortuoso linguaggio legale il cui
significato è tutt’altro che facile da capire. Spesso quanto dice l’ufficio brevetti ha un significato diverso da quello apparente.
Negli anni ‘80 il governo australiano ha condotto una ricerca sul
sistema dei brevetti. La conclusione fu che, al di là delle pressioni
internazionali, non c’era alcun motivo per l’esistenza di un tale sistema – non portava alcun giovamento al pubblico – e ne raccomandava l’abolizione, se non fosse per le pressioni internazionali. Lo
studio riportava che gli ingegneri non cercavano neppure di leggere i brevetti per imparare qualcosa, consideratane la difficoltà di
151
comprensione. Veniva citata l’opinione di un ingegnere: “Non riesco a riconoscere le mie stesse invenzioni in linguaggio brevettese”.
Questo non è uno scenario teorico. Verso il 1990 un programmatore
di nome Paul Heckel denunciò la Apple, sostenendo che Hypercard
infrangeva un paio di suoi brevetti. Quando lo vide per la prima volta, gli sembrò che Hypercard non avesse nulla a che fare con quei brevetti, con le sue “invenzioni”. Non pareva simile a queste. Ma quando l’avvocato gli fece notare che quei brevetti potevano essere interpretati a coprire una parte di Hypercard, decise di attaccare la Apple.
Nel corso di un mio successivo intervento a Stanford menzionai quella circostanza, con Heckel presente tra il pubblico. Mi interruppe per
ribattere: “Non è vero, è solo che non compresi la portata della tutela legale!”. Io replicai: “Si, proprio quello che intendevo dire”.
Così, in pratica occorre spendere un sacco di tempo a parlare con gli
avvocati per capire quel che i brevetti proibiscono di fare. Alla fine
se ne usciranno con qualcosa tipo: “Se fai qualcosa in quest’area, sei
sicuro di perdere; se intervieni in quest’altra area (Stallman fa dei
gesti circolari con le mani), in sostanza si rischia di perdere; e se vuoi
essere davvero al sicuro, meglio star lontano da quest’area (facendo
gesti circolari più ampi). E tieni comunque conto che qualsiasi
denuncia comporta qualche elemento di rischio sostanziale”.
Ora che avete un terreno prevedibile su cui basare i vostri affari(!),
cosa pensate di fare? Bé, si può scegliere fra tre diverse eventualità,
ciascuna delle quali è applicabile in determinate circostanze. Eccole:
1) evitare il brevetto;
2) ottenere la licenza per il brevetto;
3) ribaltare il brevetto in tribunale.
Consentitemi di illustrare questi tre scenari per capire cosa li renda praticabili o meno.
152
Evitare il brevetto
“Evitare il brevetto” vuol dire non usare l’idea già coperta da qualche brevetto. Posizione semplice o difficile da seguire, dipende dal
tipo di idea in oggetto.
In alcuni casi, soltanto una funzione risulta brevettata. In tal caso
si può eludere il brevetto evitando di implementarla. Il punto sta
nell’importanza di tale funzione. In alcune situazioni, se ne può fare
a meno. Tempo fa gli utenti dell’elaboratore testi XyWrite vennero
notificati di un downgrade (declassamento) del programma. Ne fu
rimossa una funzione che consentiva la predefinizione delle abbreviazioni. Ovvero, quando si digitava un’abbreviazione seguita da un
carattere d’interpunzione, questa sarebbe stata immediatamente
sostituita dalla relativa espansione. In tal modo per alcune frasi lunghe era possibile definire l’abbreviazione, digitare soltanto quest’ultima e l’intera frase sarebbe apparsa nel documento. Gli sviluppatori mi scrissero riguardo questa opzione perché sapevano che
l’editor Emacs presentava una funzione analoga. Infatti ne faceva
parte fin dagli anni ‘70. Fu interessante perché ciò dimostrò che in
vita mia avevo avuto almeno un’idea meritevole di essere brevettata. Posso affermarlo con certezza, perché poco tempo dopo è proprio quel che fece qualcun altro!
In realtà gli sviluppatori considerarono tutte e tre le strategie. Prima tentarono di negoziare con il detentore del brevetto, il quale si
rivelò trattare in cattiva fede. Poi analizzarono le probabilità concrete di poter ribaltare il brevetto in tribunale. Alla fine decisero che
la cosa da fare fosse l’eliminazione di quella funzione. È possibile
farne a meno. Se l’elaboratore testi difetta di quest’unica opzione,
forse gli utenti continueranno a utilizzarlo ugualmente. Ma se le
mancanze cominciano ad accumularsi, alla fine si avrà un programma non troppo soddisfacente, ed è probabile venga ignorato.
153
In questo caso si trattava di un brevetto limitato su una funzione
assai specifica. Come la mettiamo con il brevetto in possesso di British Telecom sugli hyperlink [i link del world wide web] accoppiato con l’accesso tramite la comune chiamata telefonica? Il ricorso
agli hyperlink è assolutamente essenziale nell’odierno uso del computer, al pari della connessione via telefono. Come faremmo senza
tale opzione? Per chiarezza, questa non può neppure considerarsi
una singola funzione, bensì la combinazione di due opzioni arbitrariamente interconnesse tra loro. Qualcosa di analogo al possesso di un brevetto su divano e televisione in una stessa stanza.
Talvolta l’idea brevettata appare talmente vasta e basilare che praticamente finisce per coprire un intero settore. È ad esempio il caso
della crittazione a chiave pubblica, il cui brevetto statunitense è scaduto nel 1997. Fino ad allora fu quel brevetto a impedire per la
maggior parte il ricorso alla crittazione a chiave pubblica negli Stati Uniti. Un certo numero di programmi in corso di lavorazione
vennero bloccati – non furono mai realmente disponibili perché i
detentori del brevetto presero a minacciarne gli autori. Poi ne uscì
fuori uno, PGP, che inizialmente venne distribuito come software
libero. In questo caso sembra che i possessori del brevetto lasciarono passare del tempo prima di minacciare la denuncia, e a quel punto si resero conto della cattiva pubblicità che avrebbero potuto subire. Così imposero delle restrizioni, rendendolo disponibile soltanto per usi non-commerciali, onde impedirne l’eccessiva diffusione.
In tal modo, per un decennio e oltre l’uso della crittazione a chiave pubblica venne fortemente limitato. Non c’era modo di superare quel brevetto. Era impossibile inventarsi qualcos’altro per scrivere programmi di crittazione a chiave pubblica.
Altre volte viene brevettato un algoritmo specifico. Esiste ad esempio un brevetto su una versione ottimizzata del Fast Fourier Tran154
sform, grazie al quale quest’ultimo gira a velocità doppia. Per evitarlo basta usarne una comune versione, anche se questa parte del
programma impiegherà il doppio del tempo. Forse non è poi una
funzione così importante, forse ciò riguarda una parte minima del
tempo totale in cui gira il programma. Anche se è due volte più lento, può darsi che nessuno se ne accorga. Oppure, al contrario, il
programma non si lancerebbe affatto perché richiede il doppio del
tempo reale per operare come previsto. Gli effetti possono variare.
In qualche caso si può cercare un algoritmo migliore. Ciò può tornare utile o meno. Non potendo usare ‘compress’ all’interno del
progetto GNU, iniziammo a cercare un algoritmo alternativo adatto alla compressione dati [compress è una utility per i sistemi Unix
con algoritmo brevettato, per cui non poteva essere utilizzata nel
progetto GNU: il brevetto avrebbe posto una limitazione alla redistribuzione, rendendo impossibile distribuire il software con licenza GPL].
Qualcuno ci informò di averne uno disponibile; aveva scritto un
programma e decise di offrircelo come contributo. Eravamo sul
punto di distribuirlo. Per pura coincidenza mi capitò di vedere una
copia del New York Times che casualmente aveva la rubrica settimanale dedicata ai brevetti. (Non sfogliavo quel quotidiano più di
una volta ogni paio di mesi). Così inizio a dargli un’occhiata e leggo che qualcuno aveva ottenuto un brevetto per “aver inventato un
nuovo metodo per la compressione dei dati”. Decido che è meglio
capire come stanno le cose. Ne prendo una copia e scopro che tale
brevetto copriva proprio il programma che ci apprestavamo a distribuire nel giro di una settimana. Il programma morì prima ancora
di esser nato.
In seguito trovammo un altro algoritmo non coperto da brevetto.
Divenne il programma gzip, oggi l’efficace standard de facto per la
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compressione dati. Come algoritmo per essere usato in simili programmi, risultò perfetto. Chiunque volesse ricorrere alla compressione dei dati poteva usare gzip invece di compress.
Lo stesso algoritmo di compressione già brevettato LZW veniva
impiegato anche in formati per immagini, tra cui GIF. Ma in questo caso, poichè la gente non voleva semplicemente comprimere dei
dati bensì avere un’immagine che fosse possibile visualizzare con il
proprio software, si rivelò estremamente difficile trovare un algoritmo diverso. Non ci siamo ancora riusciti dopo 10 anni! Si, gli
utenti ricorrevano all’algoritmo ‘gzip’ con cui definire un altro formato per l’immagine, una volta piovute minacce di possibili denuncie per l’uso di file GIF. Quando iniziammo a dire in giro di smetterla di usare quei file GIF per passare all’altro formato, la replica
fu: “Non possiamo cambiare, il browser non supporta ancora il
nuovo formato”. Gli sviluppatori di browser ribatterono: “Non
abbiamo alcuna fretta, dopo tutto nessuno usa quel formato”.
In effetti la società ha dimostrato così tanta inerzia nell’utilizzo del
formato GIF che non siamo riusciti a convincere la gente a cambiare. In pratica il continuo ricorso della comunità a tale formato
forza tuttora i vari siti a farne uso, con il risultato che si rivelano
vulnerabili a possibili minacce legali.
Anzi, la situazione è ben più strana. In realtà sono due i brevetti che
coprono l’algoritmo LZW. L’ufficio brevetti non si è reso conto che
stava assegnando due brevetti su una medesima idea; non erano riusciti a esaminare adeguatamente le richieste. Ciò però poggia su una
buona ragione: occorre parecchio tempo per studiare con attenzione i due brevetti prima di rendersi conto che coprono veramente la
stessa cosa.
Se si fosse trattato di due brevetti su dei processi chimici, sarebbe
stato assai più semplice rendersene conto. Bastava identificare le
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sostanze impiegate, gli ingredienti e i risultati, quali le azioni concrete intraprese. Prescindendo dal modo in cui ciò veniva descritto,
si sarebbe visto di cosa si trattava e ci si sarebbe accorti della somiglianza. Se un’azione è puramente matematica, è possibile descriverla in molti modi anche assai diversi tra loro. Non appaiono simili neppure a livello superficiale. Bisogna comprenderli fino in fondo prima di accorgersi che stanno descrivendo qualcosa d’identico.
L’ufficio brevetti non ha abbastanza tempo. Alcuni anni fa l’ufficio
brevetti degli Stati Uniti dedicava mediamente 17 ore a ciascuna
richiesta presentata. Un periodo di tempo insufficiente per analizzarle con attenzione, ovvio quindi che si possano commettere errori come questo. Lo stesso è accaduto al programma menzionato
sopra, quello morto prima ancora di nascere. Anche quell’algoritmo
è coperto da due brevetti, entrambi rilasciati negli Stati Uniti; sembra si tratti di una circostanza nient’affatto insolita.
Evitare i brevetti può quindi essere semplice, oppure impossibile.
Se è semplice, può darsi che renda inutile il programma – dipende
dalla situazione specifica.
Vorrei puntualizzare un’altra questione. Talvolta un’azienda o un
consorzio riesce a imporre un formato o un protocollo come standard de facto. Nel caso tale formato o protocollo venga poi brevettato, è un vero e proprio disastro. Esistono perfino degli standard
ufficiali soggetti alle limitazioni dei brevetti. Nel settembre del 2001
ci fu una grande sollevazione politica quando il World Wide Web
Consortium propose di iniziare ad adottare degli standard coperti
da brevetti. La comunità si oppose, costringendoli a ripensarci. Il
consorzio fece marcia indietro, ribadendo che qualsiasi brevetto
doveva essere liberamente applicabile da chiunque e che gli standard dovevano essere liberi in modo che tutti potessero implementarli. Si trattò di una vittoria interessante. Credo che quella fu la
157
prima volta in cui un’organizzazione sugli standard prese quel tipo
di decisione. È normale per tali organizzazioni voler inserire all’interno degli standard qualche elemento coperto da brevetto, impedendo agli utenti di procedere liberamente all’implementazione.
Bisogna far pressione su entità organizzative analoghe per costringerle a modificare quelle norme.
Ottenere la licenza per il brevetto
La seconda possibilità, oltre quella di evitare il brevetto, consiste nell’ottenerne la licenza. Non è detto ciò possa essere necessariamente
un’opzione fattibile. Chi detiene il brevetto non deve offrirvi alcuna
licenza; non è obbligato a farlo. Dieci anni fa, la League for Programming Freedom ricevette una richiesta d’aiuto da parte di qualcuno la cui attività familiare riguardava la costruzione di macchine
per i giochi d’azzardo nei casinò, e già allora usavano i computer. Aveva ricevuto la lettera di un’altra azienda che minacciava: “Quel brevetto l’abbiamo noi. Non ti è consentito fare quelle cose. Smettila!”.
Decisi di dare un’occhiata a quel brevetto. Copriva una situazione
in cui un certo numero di computer venivano collegati in rete in
modo che ciascuna macchina fosse in grado di gestire più giochi
diversi e l’utente potesse giocarvi simultaneamente.
Si scopre così che l’ufficio brevetti ritiene davvero brillante la capacità di fare più di una cosa in contemporanea. Non si rendono conto che in campo informatico ciò rappresenta la maniera più ovvia
per generalizzare qualsiasi cosa. Lo hai fatto una volta, perciò adesso puoi rifarlo quante volte vuoi, si può creare una subroutine [una
funzione del programma]. Credono che se riesci a fare qualcosa più
di una volta, ciò in qualche modo significa che sei brillante e che
nessuno è in grado di tenerti testa, hai il diritto di dare ordini agli
altri come ti pare e piace.
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Comunque sia, al tipo in questione non venne offerta alcuna licenza. Fu costretto a smettere. Non poteva neppure permettersi le spese legali per il tribunale. Direi che quel particolare brevetto copriva un’idea piuttosto ovvia. È possibile che il giudice si fosse dichiarato d’accordo, ma non potremo mai saperlo perché non c’erano i
soldi per avviare il procedimento.
Tuttavia, parecchi possessori di brevetti sono soliti offrire le relative licenze. Ma spesso chiedono cifre salate. L’azienda in possesso del
brevetto per il ricalcolo secondo l’ordine naturale pretendeva il 5
per cento delle entrate lorde di ogni foglio di calcolo elettronico
venduto negli Stati Uniti. Qualcuno mi riferì che si trattava del
prezzo ridotto precedente l’eventuale denuncia – se fossero stati
costretti ad andare veramente in tribunale e avessero vinto, avrebbero preteso di più.
Può darsi che su uno specifico brevetto ci si possa permettere quel
5 per cento per la licenza, ma cosa succede quando occorrono le
licenze su 20 brevetti diversi per realizzare un certo programma? A
quel punto tutti i ricavi servono a pagare le licenze. Cosa succederebbe se fossero necessarie le licenze su 21 brevetti? Persone che operano nel settore mi hanno spiegato che a livello pratico due o tre di
tali licenze porterebbero al fallimento di qualsiasi attività.
Esiste una situazione in cui ottenere la licenza è un’ottima soluzione. Ovvero nel caso di una mega-corporation multinazionale. Dato
che queste aziende possiedono una gran quantità di brevetti, possono offrirsi le licenze a vicenda. In tal modo evitano gran parte del
danno insito nel sistema dei brevetti e usufruiscono soltanto degli
aspetti positivi.
Tempo fa l’IBM pubblicò sulla rivista Think – credo fosse il numero 5 del 1990 – un articolo sul pacchetto di brevetti aziendale, dove
si illustravano i due tipi di vantaggi derivanti alla stessa IBM dal
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possesso di 9.000 brevetti statunitensi. (Credo che oggi tale cifra
sia più ampia). Si trattava, primo, di incassarne le quote sui diritti,
e, secondo, di ottenere “accesso ai brevetti altrui”. Spiegavano come
quest’ultimo beneficio fosse notevolmente maggiore del primo. I
vantaggi derivanti all’IBM dalla possibilità di utilizzare le idee brevettate da altri equivaleva a dieci volte il beneficio diretto ottenuto
dall’offerta di licenze sui propri brevetti.
Cosa significa veramente tutto ciò? Quali vantaggi ricava l’IBM da
un simile “accesso ai brevetti altrui”? Si tratta in pratica del beneficio di essere esenti dai problemi provocati dal sistema dei brevetti.
Un sistema analogo a una lotteria: qualsiasi brevetto può finire in
un nonnulla, o rivelarsi una fortuna per alcuni detentori, oppure
un disastro per chiunque altro. Ma consideratene le ampie proporzioni, per l’IBM lo scenario risulta vantaggioso. Un’azienda simile è
in grado di valutare sia i danni sia i benefici di quel sistema. In questo caso, i guai causati da un tale sistema avrebbero superato di dieci
volte gli aspetti positivi.
Ho detto “avrebbero” perché, grazie allo scambio vicendevole
delle licenze, l’IBM può evitare ogni problema. Questi esistono
soltanto a livello potenziale, non si concretizzeranno mai per una
tale azienda. Eppure quest’ultima, calcolando i benefici derivanti dalla possibilità di evitarli, ne stima in dieci volte il valore del
denaro raccolto dai brevetti di cui è titolare.
Questo fenomeno del trasferimento reciproco delle licenze serve a
confutare un mito comune, quello del “genio morto di fame”, il
mito secondo cui i brevetti servano a “tutelare” il “piccolo inventore”. (Si tratta di termini di propaganda. Non andrebbero usati).
Questo lo scenario che ci troviamo di fronte: supponiamo che qualcuno abbia in mente un progetto “brillante”. Supponiamo che
abbia trascorso “anni in soffitta morendo di fame” nella stesura di
160
un progetto nuovo e meraviglioso di qualcosa, e ora vuole passare
a produrlo. Non è forse un’ingiustizia che qualche grande azienda
decida di fargli concorrenza, di rubargli il mercato e farlo “morire
di fame”?
Devo sottolineare che quanti lavorano nel settore dell’alta tecnologia generalmente non operano in proprio, che le idee non prendono forma nel vuoto – sono basate su quelle altrui – e che oggigiorno vantano ottime probabilità di ottenere un buon impiego qualora ne avessero bisogno. Perciò un tale scenario – il fatto che un’idea
brillante sia scaturita da qualcuno che lavora in solitudine – è inverosimile, così come impensabile è l’eventualità che sia in pericolo
di morire di fame.
È invece plausibile che qualcuno possa avere una buona idea che,
insieme ad altre 100 o 200, sia alla base della realizzazione di un qualche tipo di prodotto, e che le grandi aziende vogliano fargli concorrenza. Vediamo perciò cosa potrebbe accadere nel caso costui tenti di
usare un brevetto per bloccarle. Eccolo dire all’IBM: “No, non puoi
competere con me, quel brevetto è mio”. Al che l’IBM replica:
“Vediamo un po’ il tuo prodotto. Noi abbiamo questo brevetto, e
quest’altro, quest’altro, quest’altro, quest’altro, e quest’altro ancora,
rispetto ai quali il tuo prodotto commette delle infrazioni. Se credi
di poter controbattere a tutti questi brevetti in tribunale, sicuramente ne troveremo degli altri. Perché invece non ci cediamo reciprocamente le licenze?”. E allora al brillante inventore non resta che cedere: “Va bene, scambiamoci pure le licenze”. Così può rimettersi al
lavoro e portare a termine quel meraviglioso progetto. Ma lo stesso
fa l’IBM, la quale ottiene “l’accesso” al suo brevetto e anche il diritto a fargli concorrenza, il che significa che tale brevetto non lo ha
“tutelato” affatto. Non è questo l’obiettivo del sistema dei brevetti.
Per la gran parte, le mega-corporation evitano i pericoli di tale siste161
ma; ne sperimentano principalmente i lati positivi. Questo il motivo per cui vogliono avere i brevetti sul software: saranno loro a trarne vantaggio. Ma ciò non funziona per il piccolo inventore o per
chi lavora in una piccola struttura. Possono provarci, ma il problema è che un’azienda di proporzioni limitate non arriverà mai a possedere una quantità adeguata di brevetti per riuscirci (cioè, costringere gli altri allo scambio reciproco delle licenze).
Ciascun brevetto punta in una certa area. Così se una piccola azienda possiede dei brevetti relativi a determinati settori, e laggiù (Stallman indica in una direzione diversa) c’è qualcuno che gliene punta uno contro e vuole tutti i soldi, alla piccola azienda non resta che
arrendersi. L’IBM può permetterselo, perché con 9000 brevetti
copre ogni settore; a prescindere dall’area in cui si operi, è probabile esista già un brevetto dell’IBM. Questa può così costringere
quasi sempre gli altri allo scambio reciproco delle licenze. Le piccole aziende possono riuscirci invece solo occasionalmente. Sostengono di volere i brevetti a scopo difensivo, ma non riescono mai ad
accumularne abbastanza da poterlo fare realmente.
Esistono tuttavia dei casi in cui neppure l’IBM può costringere
qualcuno a scambiare delle licenze a vicenda. Ovvero quando l’unica attività di un’impresa è quella di prendere un brevetto e spremere soldi dagli altri. Esattamente ciò che faceva l’azienda detentrice del brevetto per il ricalcolo secondo l’ordine naturale. L’unica
sua pratica consisteva nel minacciare gli altri di denuncia e incassare le quote di chi stava effettivamente sviluppando qualche prodotto.
Non esistono brevetti sulle procedure legali. Credo che gli avvocati comprendano bene gli affanni di avere personalmente a che fare
con il sistema dei brevetti. Il risultato è che diventa impossibile ottenere brevetti che possano costringere questo tipo di aziende allo
162
scambio reciproco. Così vanno in giro a spremere soldi agli altri.
Ma credo che entità quali l’IBM considerino ciò parte del prezzo
insito nell’attività commerciale, e si siano adattate di conseguenza.
Questo dunque il quadro sulle possibilità di ottenere la licenza di
un brevetto, cosa realizzabile o meno, e di cui è possibile o meno
sostenere il peso economico – il che ci porta alla terza strategia.
Ribaltare il brevetto in tribunale
Normalmente, qualsiasi cosa venga brevettata deve risultare nuova,
utile e non ovvia. (Questa la terminologia usata negli Stati Uniti;
credo che in altri paesi il linguaggio sia pressoché analogo). Naturalmente, quando entra in ballo l’ufficio brevetti inizia a dare la propria interpretazione di “nuovo” e “originale”. Si scopre così che
“nuovo” equivale a “non presente nel nostro archivio” e “non ovvia”
tende a significare “non ovvia per qualcuno con un quoziente d’intelligenza di 50” [per una persona comune è intorno ai 140].
Secondo qualcuno che studia la maggior parte dei brevetti sul
software assegnati negli Stati Uniti – almeno, una volta era solito
farlo, non so se riesce ancora a starci dietro – il 90 per cento non
avrebbe superato “l’esame di Crystal City”, per intendere che nel
caso gli addetti all’ufficio brevetti avessero deciso di passare in edicola e procurarsi qualche rivista d’informatica, avrebbero scoperto
come quelle idee fossero già note.
L’ufficio brevetti prende decisioni così chiaramente folli che non
occorre neppure essere aggiornati sulle ultima novità per rendersi
conto della loro assurdità. Ciò non si limita soltanto al software.
Una volta ho visto il famoso brevetto sul topo di Harvard, ottenuto dopo che i ricercatori locali avevano modificato geneticamente
il topo iniettandogli il gene portatore del cancro. Tale gene era già
conosciuto, e venne inserito ricorrendo a tecniche note all’interno
163
di una catena preesistente di cellule di topo. Il brevetto concesso
loro copriva l’inserimento di qualsiasi gene portatore di cancro in
qualunque mammifero usando un metodo qualsiasi. Non occorre
saper nulla di ingegneria genetica per rendersi conto di quanto ciò
sia ridicolo. Mi si dice che questo “eccesso di rivendicazione” sia
pratica comune, e che talvolta l’ufficio brevetti statunitense invita
i richiedenti a estendere ulteriormente il campo coperto dal brevetto. Praticamente si finisce per coprire il massimo possibile fino
a quando non ci si accorge di essere vicini a un’area certamente già
occupata da opere precedenti. Si cerca di arraffare quanto più territorio possibile dello spazio mentale a disposizione.
Quando i programmatori considerano molti brevetti sul software,
non possono far a meno di osservare: “quest’idea è ridicolmente
ovvia!”. I burocrati dei brevetti tirano fuori ogni tipo di scuse pur
di giustificare la loro ignoranza del pensiero dei programmatori.
Replicano così: “Bisogna però considerarla rispetto a come stavano
le cose dieci o venti anni fa”. Per poi scoprire che se portate alle
estreme conseguenze, simili posizioni diventano controproducenti. Qualsiasi cosa può apparire originale quando se ne scompongono i pezzi, quando la si analizza abbastanza a fondo. Semplicemente
svanisce ogni standard di ovvietà, o quantomeno si perde la capacità di giustificare qualunque standard di ovvietà o non ovvietà. A
quel punto, naturalmente, si finisce per descrivere tutti coloro che
possiedono un brevetto come dei brillanti inventori; di conseguenza, non possiamo mettere in discussione il loro diritto a imporci
cosa fare.
Se si decide di andare in tribunale, è probabile che i giudici mostrino maggiore attenzione alla questione della ovvietà o meno. Ma il
problema è che per arrivarci bisogna spendere milioni di dollari.
Ho sentito parlare di un caso, l’accusato ricordo era la Qualcomm,
164
in cui credo la sentenza finale fu di 13 milioni di dollari, la maggior parte dei quali servì a coprire l’onorario degli avvocati di
entrambe le parti. Rimasero un paio di milioni di dollari per il querelante (fu la Qualcomm a perdere la causa).
In un contesto più ampio, la questione della validità o meno di un
brevetto dipende dalle circostanze storiche. Meglio, da una gran
quantità di indizi storici, tipo cosa e quando venne pubblicato, il
materiale che si riesce a recuperare, quello non andato perduto, le
date precise e così via. È la presenza di un certo numero di prove
storiche a determinare la validità di un brevetto.
In realtà, è alquanto strano che British Telecom presentò domanda
nel 1975 per il brevetto sugli “hyperlink accoppiato alla connessione telefonica”. Credo fosse nel 1974 che il sottoscritto sviluppò
per la prima volta il pacchetto Info, grazie al quale è possibile collegare tra loro gli hyperlink, mentre gli utenti usavano il telefono
per accedere al sistema. Di fatto avevo realizzato un’invenzione precedente a quel brevetto. Questa è la seconda idea brevettabile che
so di aver avuto in vita mia.
Ma non credo di avere alcuna prova al riguardo. Non l’avevo considerata sufficientemente importante da pubblicarla. Dopo tutto,
l’idea di seguire gli hyperlink mi venne dalla dimostrazione dell’elaboratore creato da Doug Engelbart. Fu lui ad avere un’idea interessante da pubblicare. Quel che feci io, lo definii “ipertesto del
pover’uomo”, poiché dovetti implementarlo nel contesto del
TECO [acronimo per Text Editor and COrrector, era l’aggiornamento di un elaboratore testi per telescriventi, adattato da Stallman
alla macchina PDP-6 operante nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT, con innovazioni importanti per quei tempi, primi
anni ‘70, come i testi a tutto schermo]. Non risultò altrettanto
potente del suo ipertesto, ma almeno si dimostrò utile per naviga165
re nella documentazione, che era poi l’obiettivo finale. E per quanto concerne l’accesso via telefono al sistema, bé, funzionava così,
non mi venne in mente che esistesse una relazione particolare tra le
due cose. Non pensai di dover pubblicare una ricerca per dire: “Ho
realizzato l’ipertesto del pover’uomo, e indovinate un po’, c’è la linea
telefonica anche nel computer!”.
Sospetto non esista alcun modo per stabilire con esattezza la data
in cui riuscii a implementare tutto ciò. Venne forse pubblicato in
qualche modo? Bé, invitammo alcuni ospiti dal giro di ARPANET
a collegarsi online dalla nostra macchina – può darsi che navigando nella documentazione usando il pacchetto Info si siano accorti
della cosa. Se ce l’avessero chiesto, avrebbero scoperto l’esistenza
dell’accesso tramite la chiamata telefonica. Come è possibile notare, quindi, sono le circostanze storiche a determinare l’esistenza o
meno di un’opera precedente. Naturalmente esiste una pubblicazione sull’ipertesto curata da Engelbart che loro, gli imputati, si
apprestano a mostrare. Non credo tuttavia dica nulla sul fatto dell’accesso telefonico presente nel computer, per cui non è chiaro se
ciò potrà risultare sufficiente.
La possibilità di andare in tribunale per ribaltare il brevetto rappresenta un’opzione possibile. A causa delle spese necessarie, però,
viene considerata di rado pur potendo provare l’esistenza certa di
un’opera precedente che sembri sufficiente a ribaltare il brevetto.
Come risultato, un brevetto non valido, un brevetto che a livello
nominale non avrebbe dovuto esistere (come infatti dovrebbe essere per moltissimi brevetti), rappresenta un’arma pericolosa. Se qualcuno vi attacca con un brevetto non valido potrebbe davvero procurarvi grossi guai. Potreste bluffare tirando fuori un’opera precedente. Dipende dal fatto se ciò possa essere sufficiente per spaventarli. Potrebbero invece pensare, “Bé, stai soltanto bluffando, non
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ce la farai ad andare in tribunale, non puoi permettertelo, per cui
ti denunciamo lo stesso”.
Tutte e tre questi scenari costituiscono altrettante opzioni a disposizione, ma spesso è impossibile usarle. In pratica occorre affrontare un brevetto dopo l’altro. Ogni volta può darsi sia possibile ricorrere a una di tali opzioni, ma subito dopo c’è un altro brevetto e poi
un altro ancora. È come attraversare un campo minato. È difficile
che a ogni passo, a ogni decisione progettuale, si possa cadere su un
brevetto esistente, e per un raggio limitato è probabile non ci sia
alcuna esplosione. Ma le probabilità di riuscire ad attraversare
indenni il campo minato e sviluppare il programma che si ha in
mente senza mai inciampare in un brevetto, diminuiscono in
maniera direttamente proporzionale all’ampiezza del programma.
A questo punto, qualcuno è solito chiedermi: “Anche in altri settori esistono i brevetti, perché mai il software dovrebbe esserne esente?”. Notiamo la stranezza di questa supposizione, per cui in qualche modo saremmo tutti costretti a soffrire passando attraverso il
sistema dei brevetti. È come dire: “C’è gente che si prende il cancro, perché non dovresti averlo anche tu?”. Per come la vedo io, è
un bene che non tutti siano malati di cancro.
Ma dietro quest’aspetto si nasconde una domanda meno pregiudiziale, una buona domanda: il software è forse diverso da altri settori? Le politiche sui brevetti dovrebbero forse essere diverse per ciascun ambito? Se sì, perché mai?
Consideriamo l’intera questione: i brevetti hanno funzionalità
diverse a seconda dei settori, perché si comportano altrettanto
diversamente con i rispettivi prodotti.
A un estremo abbiamo l’industria farmaceutica, dove una determinata formula chimica ottiene il brevetto in modo tale che questo
copra un unico e singolo prodotto. Una nuova medicina non può
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essere coperta da un brevetto preesistente. Se dev’esserci un brevetto per questo nuovo prodotto, verrà assegnato a chiunque lo abbia
sviluppato.
Ciò è coerente con l’idea infantile del sistema dei brevetti che abbiamo oggi: se hai realizzato qualcosa di nuovo, te ne spetta “il brevetto”. L’idea è che a ciascun prodotto corrisponda un brevetto in
grado di coprire l’idea alla base di quel prodotto. In alcuni settori
tale scenario è vicino alla realtà; in altri assai lontano.
Il software rientra all’estremo opposto di questa seconda categoria: ciascun programma interseca numerosi brevetti. Ciò per via del fatto che
normalmente i pacchetti software sono di ampie dimensioni. Fanno
uso di molte idee diverse in combinazione tra loro. Se il programma
è nuovo e non soltanto copiato, allora è probabile ricorra a una differente combinazione di idee – inserite, ovviamente, all’interno di codice sorgente interamente riscritto, perché è impossibile limitarsi a enunciare tali idee e farle funzionare come per magia. Bisogna implementarle una dopo l’altra all’interno di quella combinazione.
Ne risulta che anche nella stesura di un programma si fa uso di molte idee differenti, ciascuna delle quali potrebbe essere stata brevettata da persone diverse. In ogni programma esistono perciò migliaia
di elementi, migliaia di punti vulnerabili potenzialmente già coperti dal brevetto di qualcuno.
Ecco perché i brevetti sul software tendono a ostacolare il progresso del software – il lavoro di sviluppo di un programma. Se fosse
“un brevetto, un prodotto”, allora i brevetti non impedirebbero lo
sviluppo di nuovi prodotti perché è impossibile che ciascuno di questi sia stato già brevettato da qualcuno. Ma quando un programma
è il risultato della combinazione di parecchie idee diverse, è assai
probabile che il nuovo prodotto (in parte o per intero) sia già coperto da qualche brevetto precedente.
168
Non a caso una recente indagine economica rileva proprio come
l’imposizione del sistema dei brevetti in un settore basato sull’innovazione per incrementi possa rallentarne il progresso. I sostenitori del sistema dei brevetti dicono: “Sì, è vero, possono nascere dei
problemi, ma ancora più importante è il fatto che i brevetti debbano promuovere l’innovazione, e ciò è talmente importante che non
importa quanti problemi possano provocare”. Naturalmente si
guardano bene dal dirlo ad alta voce perché è un’affermazione ridicola, ma implicitamente vogliono farci credere che fino a quando
il sistema dei brevetti riesce a stimolare il progresso, ciò supera qualsiasi costo possibile. Ma in realtà non esiste motivo per ritenere che
ciò sia effettivamente in grado di stimolare il progresso. Oggi esiste
un modello preciso a dimostrazione delle modalità con cui i brevetti possono rallentare il progresso. Il caso in cui applicare tale
modello descrive abbastanza bene il campo del software, un campo/sistema a innovazione incrementale.
Perché il software si trova all’estremità opposta dello spettro? Il
motivo è che nel software sviluppiamo oggetti matematici astratti.
Si può costruire un castello complicato e poggiarlo su una linea sottile, si reggerà perché non pesa nulla. In altri settori, si ha a che fare
con la perversità della materia, degli oggetti fisici. La materia è qualcosa di ben preciso. Possiamo tentare di modellarla, ma se il comportamento reale non corrisponde al modello predisposto allora
sono guai, perché la sfida consiste nel costruire oggetti materiali
capaci di funzionare sul serio.
Se voglio inserire un costrutto “if ” all’interno di un “while” non
devo preoccuparmi se il costrutto “if ” possa oscillare a una determinata frequenza e collida con il ciclo “while” provocando la rottura delle due strutture. [L’intero esempio è basato su “if ” e “while”, due costrutti usati nella programmazione]. Non ho bisogno di
169
preoccuparmi se ciò possa oscillare a una frequenza così alta da
indurre una iniezione di segnale che provochi un cambiamento di
valore di qualche altra variabile. Né devo preoccuparmi di quanta
corrente attraversi il costrutto “if ” e se questo possa dissiparla in
calore all’interno del ciclo “while”, o se possa verificarsi un calo di
voltaggio all’interno del ciclo “while” tale da impedire il funzionamento del costrutto “if ”. Neppure devo preoccuparmi del fatto che,
nel caso faccia girare il programma in un ambiente con acqua salata, il sale possa infilarsi tra il costrutto “if ” e il ciclo “while” e causare corrosione. [Il pubblico ride durante tutto il corso della descrizione].
Non devo preoccuparmi, quando utilizzo il valore di una variabile,
se stia superando il limite di fan-out utilizzandola 20 volte. Né devo
preoccuparmi della sua capacità massima, e se esista tempo sufficiente per caricarla alla giusta tensione.
Quando scrivo un programma, non ho bisogno di preoccuparmi di
come in seguito dovrò assemblare materialmente ogni copia del programma, e se possa riuscire ad avere spazio sufficiente per infilare
quel costrutto “if ” all’interno del ciclo “while”. Né devo preoccuparmi di come aprire l’apparato nell’eventualità di una rottura del
costrutto “if ” per rimuoverlo e sostituirlo con uno nuovo. Ci sono
così tanti problemi di cui non dobbiamo preoccuparci con il software; ciò rende sostanzialmente più semplice scrivere un programma
anziché progettare un oggetto materiale capace di funzionare.
Ciò potrà apparire strano, perché probabilmente avrete sentito dire
in giro quanto sia difficile progettare del software, e quanto sia complicato trovare soluzioni adeguate ai vari problemi. Non si tratta
della medesima questione che sto illustrando ora. Il confronto cui
mi riferivo riguarda i sistemi di software e quelli materiali aventi
una complessità analoga, un identico numero di componenti.
170
Ritengo che un sistema di software sia molto più facile da progettare di un sistema fisico. Ma l’intelligenza usata in questi campi
diversi è la stessa, e allora cosa facciamo quando ci troviamo a operare in un contesto semplice? Decidiamo di andare più avanti! Spingiamo al limite massimo le nostre capacità. Di fronte alla semplicità dei sistemi di dimensioni analoghe, ne aumentiamo la grandezza di dieci volte – allora sì che diventeranno difficili! Ecco cosa
facciamo: costruiamo sistemi di software molto più estesi, in termini di numero dei componenti, dei sistemi fisici.
Un sistema fisico il cui progetto preveda un milione di pezzi diversi diventa un megaprogetto. Un programma informatico che includa un milione di pezzi raggiunge forse le 300.000 righe di codice;
un pugno di persone impiegheranno un paio d’anni per scriverlo.
Non si tratta di un programma particolarmente gigantesco. Oggi
GNU Emacs conta svariati milioni di pezzi, credo. È composto da
un milione di righe di codice. Si tratta di un progetto realizzato
essenzialmente senza alcun tipo di sostegno economico, in gran parte scritto da varia gente nel proprio tempo libero.
Il software offre anche un altro grosso risparmio. Dopo aver progettato un prodotto fisico, il passo successivo concerne la costruzione della fabbrica dove produrlo. Operazione che potrà costare
milioni o decine di milioni di dollari, laddove per fare delle copie
di un programma è sufficiente digitare “copia”. Lo stesso comando
consente di copiare qualsiasi programma. Volendo copiare su un
CD, basta realizzare il master e spedirlo a un produttore di CD.
Qui verranno utilizzate le medesime apparecchiature impiegate per
copiare qualsiasi contenuto su un comune CD. Non bisogna
costruire una fabbrica specializzata capace di produrre ogni articolo specifico. Il tutto comporta una semplificazione enorme e la drastica riduzione dei costi nella fase di progettazione.
171
Un’azienda automobilistica, che spenderà 50 milioni di dollari nella costruzione della fabbrica in cui verrà prodotto un nuovo modello di autovettura, può assumere degli avvocati per occuparsi delle
trattative sulle licenze dei brevetti. Volendo, potranno anche risolvere felicemente eventuali denuncie legali. La progettazione di un
programma di analoga complessità potrà costare 50.000 o 100.000
dollari. Al confronto, le spese per trattare con il sistema dei brevetti sono schiaccianti – anzi, la progettazione di un programma avente le stesse complessità del progetto meccanico di un’autovettura
richiede forse un mese di lavoro. Di quante parti è composta un’automobile... meglio, un’automobile priva di sistemi computerizzati?
Ciò non vuol dire che sia facile progettare un buon modello, soltanto che questo non include poi così tante componenti.
(La trasmissione automatica è composta da circa 300-400 pezzi unici, e generalmente questa è la parte più complicata di un autoveicolo. La fase di progettazione della trasmissione può richiedere dai
sei mesi a un anno, e a quel punto ci vorrà ancora più tempo per
costruirla e renderla operativa. Invece un programma dotato di 500800 parti funzionanti sarà praticamente composto da 200-300
righe di codice, e probabilmente un buon programmatore impiegherà da un giorno a una settimana per realizzarlo, incluse prove e
collaudi).
Ne risulta che il software è veramente diverso da altri settori, perché quando si lavora con elementi matematici la progettazione di
qualcosa è infinitamente più semplice. Di conseguenza possiamo
realizzare regolarmente sistemi molto, molto più grandi grazie
appena a un paio di persone. Il risultato è che invece di essere vicini a “un brevetto, un prodotto”, ci troviamo in un sistema in cui
ciascun prodotto ingloba un’enorme quantità di idee che potrebbero essere già state brevettate.
172
Il modo migliore per illustrare questa situazione è l’analogia con le
sinfonie di musica classica. Anche una sinfonia è lunga e comprende
parecchie note diverse, e probabilmente usa un gran numero di idee
musicali. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se i governi dell’Europa del 1700 avessero deciso di promuovere il progresso della
musica sinfonica tramite l’attivazione di un ufficio brevetti per la
musica europea, con il compito di assegnare i brevetti a ogni tipo
di idea musicale che fosse possibile descrivere a parole.
Immaginiamo di trovarci verso il 1800 e di impersonare Beethoven
alle prese con la stesura di una sinfonia. Scoprirete ben presto come
metterne insieme una che non infranga nessun brevetto, sia qualcosa di assai più arduo che scrivere una buona sinfonia.
Quando ve ne lamentate, i vari detentori brevetti potrebbero
rispondere: “Ah, Beethoven, ti lamenti soltanto perché non hai idee
originali. Tutto quello che vuoi fare è rubare le nostre invenzioni”.
In realtà Beethoven ha un sacco di nuove idee musicali – ma deve
anche usarne parecchie tra quelle esistenti per rendere riconoscibile la sua musica, in modo che possa piacere agli ascoltatori, i quali
devono identificarla in quanto musica. Nessuno è talmente brillante da poter reinventare della musica completamente differente e
realizzare al contempo qualcosa a cui si voglia prestare ascolto. Pierre Boulez disse di volerci provare, ma quanta gente ne ascolta la
musica?
Nessuno è così brillante da poter reinventare tutta l’informatica, per
rifarla completamente da capo. Se qualcuno potesse riuscirci, il
risultato sarebbe talmente strano che gli utenti si rifiuterebbero di
utilizzarla. Quando consideriamo un elaboratore testi odierno, vi
scopriremo, credo, centinaia di funzioni diverse. Se qualcuno sviluppa un elaboratore testi nuovo e ben fatto, ciò vuol dire che presenta delle idee nuove, ma dovrà comprendere anche centinaia di
173
idee preesistenti. Nel caso fosse illegale usarle, risulterebbe impossibile realizzare un elaboratore testi innovativo. Poiché il lavoro dello sviluppo del software è così ampio, ne risulta che non abbiamo
alcun bisogno di schemi artificiali per incentivare nuove idee. Basta
avere qualcuno che voglia scrivere del software e l’ispirazione non
mancherà di arrivare. Se volete scrivere un programma di buon
livello, vi verranno sicuramente delle idee e troverete il modo di
applicarne alcune.
Visto che opero nel campo del software fin da prima dell’arrivo dei
relativi brevetti, di solito succedeva che la maggior parte degli sviluppatori pubblicava qualsiasi nuova idea ritenuta valida, per le
quali ritenevano di poter meritare qualche lode o riconoscimento.
Le idee troppo ridotte o non sufficientemente valide non venivano
pubblicate perché sarebbe stato sciocco farlo. Ora, si suppone che
il sistema dei brevetti debba incoraggiare la manifestazione delle
idee. In realtà in passato nessuno le custodiva gelosamente. È vero
che tenevano segreto il codice. In fondo scrivere codice rappresentava il grosso dell’attività. Non rivelavano il codice e ne pubblicavano le idee, in modo che gli sviluppatori potessero ottenerne qualche riconoscimento e sentirsi apprezzati.
Dopo l’introduzione del sistema dei brevetti, continuarono a tenerne segreto il codice brevettando al contempo le idee, e di fatto non
viene fatto assolutamente nulla per incoraggiare la diffusione delle
idee. Quello che veniva tenuto segreto allora rimane tale ora, ma le
idee che solitamente venivano pubblicate in modo che altri potessero usarle oggi è probabile vengano brevettate e tenute fuori portata per 20 anni.
Cosa può fare un paese per cambiare questa situazione? In che modo
dovremmo riformare l’attuale politica onde risolvere il problema?
Due sono i fronti che è possibile attaccare. Uno è il luogo fisico
174
addetto al rilascio dei brevetti, l’omonimo ufficio. L’altro è laddove tali brevetti trovano applicazione. Questa faccenda riguarda quel
che copre effettivamente un brevetto.
Un modo è quello di stabilire un buon criterio per l’assegnazione dei
brevetti. Ciò può funzionare in un paese che finora non ha ancora
autorizzato il ricorso ai brevetti sul software, come accade ad esempio nella maggior parte dei paesi europei. Una buona soluzione per
l’Europa sarebbe semplicemente quella di rafforzare con chiarezza le
norme dell’ufficio brevetti europeo, che stabiliscono la non brevettabilità del software. Attualmente l’Europa sta vagliando una direttiva
per i brevetti sul software. (Credo che tale direttiva sia di portata più
ampia, ma una delle implicazioni più importanti riguarda i brevetti
sul software). Sarebbe sufficiente modificarla ribadendo che le idee
sul software non possono essere coperte da brevetti, così da tenere
gran parte dei problemi fuori dall’Europa, fatta eccezione per alcuni
paesi che potrebbero trovarsi davanti a problemi interni, e uno di questi purtroppo è la Gran Bretagna (purtroppo per voi).
Un approccio simile non funzionerebbe negli Stati Uniti. Il motivo è che qui esiste già un’ampia quantità di brevetti sul software, e
qualsiasi mutamento nel criterio per l’assegnazione non potrà liberarsi di quelli precedenti.
(Quando parlo di “brevetti sul software” cosa intendo dire in realtà?
L’ufficio brevetti statunitense non divide ufficialmente i brevetti sul
software dagli altri. Così qualsiasi brevetto che è possibile applicare a qualche tipo di software viene considerato la base presumibilmente valida per poter denunciare chiunque scriva dei programmi.
I brevetti sul software sono brevetti che si possono potenzialmente
applicare al software, brevetti che potenzialmente possono motivare la denuncia contro chi sviluppa del software).
Così per gli Stati Uniti la soluzione dovrebbe materializzarsi trami175
te il cambiamento dell’applicabilità, dello scopo dei brevetti: affermando cioè che la pura implementazione del software, operante su
un hardware generico che in sé non infrange il brevetto, non è
coperta da alcun brevetto e non si può subire alcuna denuncia unicamente su tali basi. Questo è l’altro tipo di soluzione possibile,
mentre la prima, quella relativa ai tipi di brevetti che possono risultare validi, è una buona soluzione da applicare in Europa.
Quando negli Stati Uniti venne introdotto il sistema dei brevetti
non ci fu alcun dibattito politico. Anzi, non se ne accorse nessuno.
Per la maggior parte, neppure quanti operavano nel campo del
software ne presero nota. Nel 1981 una decisione della Corte Suprema prese in esame il brevetto su un procedimento per la lavorazione della gomma. Secondo la sentenza, il fatto che l’apparecchiatura in questione fosse dotata di computer e di programma come parte del processo per la lavorazione della gomma, non ne impediva la
brevettabilità. L’anno successivo, la corte d’appello che si occupa di
tutti i casi relativi ai brevetti chiarì meglio il concetto: l’esistenza di
un computer e di un programma rende il prodotto brevettabile. Il
fatto che all’interno di un oggetto qualsiasi ci sia un computer e un
programma, consente la brevettabilità di tale oggetto. Ecco perché
negli Stati Uniti piovvero le richieste di brevetti sulle procedure
commerciali: queste venivano eseguite tramite un computer e ciò
le rendeva brevettabili.
Così venne emanata quella sentenza, e subito dopo credo che il brevetto per il ricalcolo secondo l’ordine naturale fosse uno dei primi
a essere assegnato, se non addirittura il primo.
Per tutti gli anni ‘80 non ne sapemmo nulla. Fu intorno al 1990
che i programmatori statunitensi iniziarono a rendersi conto dei
pericoli cui andavano incontro con il sistema dei brevetti. Ho visto
come operava il settore prima di quel periodo e come lo fece dopo.
176
Dopo il 1990 non notai alcuna particolare accelerazione del progresso operativo.
Negli Stati Uniti non si ebbe alcun dibattito politico, ma in Europa se ne è avuto uno di ampie proporzioni. Parecchi anni fa vennero segnalate forti pressioni per apportare degli emendamenti al
trattato di Monaco che implementava l’ufficio europeo dei brevetti. Una clausola del documento stabilisce la non brevettabilità del
software. Le pressioni miravano a modificare tale clausola in modo
da iniziare a consentire i brevetti sul software. Ma la comunità si
accorse di questa manovra. Furono anzi gli sviluppatori e gli utenti di software libero a guidare le proteste. Non siamo solo noi a subire i pericoli del sistema dei brevetti. Ogni sviluppatore ne è minacciato, e lo stesso vale anche per gli utenti.
Ad esempio, Paul Heckel – dopo che la Apple non venne intimidita dalle sue minacce – avvertì che avrebbe preso a denunciarne gli
utenti. L’eventualità preoccupò non poco la Apple, la quale comprese che non poteva permettersi di lasciar denunciare i propri
clienti a quel modo, anche se in ultima analisi avrebbero vinto la
causa. Ma il punto è che anche gli utenti possono subire una denuncia, sia come modo per attaccare gli sviluppatori sia soltanto per
spremere loro dei soldi o provocare gravi danni. Tutti gli sviluppatori e gli utenti sono vulnerabili.
Ma in Europa è stata la comunità del software libero a organizzare
l’opposizione. Fu così che per due volte i paesi responsabili dell’ufficio europeo dei brevetti votarono no all’emendamento del trattato. Allora intervenne l’Unione Europea e le varie commissioni si
mostrarono divise sulla questione. Quella il cui compito riguarda
la promozione del software è contro i brevetti, almeno così pare,
ma non aveva potere decisionale su questo tema. Ne è responsabile la commissione sul libero mercato, e chi la presiede sembra favo177
revole ai brevetti sul software. In pratica tale commissione non ha
tenuto alcun conto delle posizioni espresse dal pubblico, proponendo una direttiva che consente i brevetti sul software.
Il governo francese ha già dichiarato la propria opposizione. Molta gente sta facendo pressione sui vari governi nazionali affinché si
oppongano ai brevetti sul software, ed è vitale iniziare a muoversi
anche qui in Gran Bretagna. Secondo Hartmut Pilch, uno dei leader europei nella battaglia contro i brevetti sul software, l’impeto
maggiore arriva dall’ufficio brevetti britannico, il quale è aprioristicamente a favore dei brevetti sul software. L’ufficio britannico ha
condotto una serie di consultazioni pubbliche, rivelatesi in maggioranza di segno contrario. Poi ha diffuso un documento in cui si
sostiene che la gente sembra apprezzare quei brevetti, ignorando
completamente le risposte ricevute dal pubblico. In ogni caso, la
comunità del software libero aveva avvisato gli utenti: “Per favore
inviate le risposte sia a loro che a noi”. Così hanno pubblicato tali
risposte, che in genere esprimevano opposizione. Sarebbe stato
impossibile desumere tutto ciò dal rapporto pubblicato dall’ufficio
brevetti britannico.
Questo ricorre spesso a un termine chiamato “effetto tecnico”. È
una definizione che può essere ampliata in maniera tremenda.
Dovremmo credere che questa stia a indicare che l’idea di un programma possa essere brevettata soltanto nel caso in cui si riferisca
a specifiche azioni fisiche. Se questa è l’interpretazione corretta, in
gran parte risolverebbe ogni problema. Se fosse davvero possibile
brevettare soltanto le idee di un programma effettivamente correlate allo specifico risultato tecnico, fisico brevettabile in assenza di
tale programma, ciò andrebbe bene. Il problema sta nel fatto che
quel termine può subire delle estensioni. Quel che si ottiene facendo girare un certo programma può essere descritto come un effet178
to fisico. In che modo quest’ultimo si differenzia da qualsiasi altro
risultato? Bé, lo è in quanto deriva da quel calcolo specifico. Di conseguenza l’ufficio brevetti britannico sta proponendo qualcosa che
sembra condurre per lo più alla soluzione del problema, ma che in
realtà offre carta bianca per poter brevettare quasi ogni cosa.
I responsabili dello stesso dipartimento sono coinvolti anche sulle
tematiche del copyright, che in realtà non c’entra nulla con i brevetti sul software, eccetto per il fatto che in questo caso se ne occupano le stesse persone. (Forse sono stati indotti dal termine “proprietà intellettuale” a mettere insieme le due questioni). Si tratta di
interpretare la recente direttiva dell’Unione Europea in tema di
copyright, normativa orribile tanto quanto il Digital Millennium
Copyright Act statunitense, pur se i singoli paesi hanno qualche
spazio di manovra sulla sua implementazione. La Gran Bretagna
vorrebbe massimizzare l’effetto tirannico della direttiva. Sembra che
sia un certo gruppo – forse il Ministero del Commercio e dell’Industria? – a meritare la nostra attenzione. È necessario monitorarne le attività, in modo da bloccare la creazione di nuove forme di
potere.
I brevetti sul software possono incastrare ogni sviluppatore e ogni
utente informatico in una nuova forma di burocrazia. Se gli imprenditori che utilizzano i computer riuscissero a comprendere il gran
numero di problemi che ciò finirà per provocare loro, sarebbero
pronti a dar battaglia, e sono sicuro che riuscirebbero a fermare queste iniziative. L’imprenditoria non ha alcuna voglia di farsi legare le
mani dalla burocrazia. Naturalmente, talvolta questa è utile al raggiungimento di obiettivi importanti. Esistono alcuni settori in cui
vorremmo che il governo britannico si fosse dimostrato più rigoroso nell’imporre maggiore burocrazia a certe aziende, come per lo
spostamento e il commercio di animali (onde rendere difficile la
179
diffusione della variante del morbo di Creutzfeldt-Jacob, meglio
noto come “mucca pazza”). Ma nei casi in cui ciò non persegue altro
scopo se non la creazione di monopoli artificiali in modo che qualcuno possa interferire con lo sviluppo dei programmi – spremendo denaro dagli sviluppatori e dagli utenti – allora dovremmo
opporre un rifiuto. Dobbiamo informare i dirigenti imprenditoriali
sulle conseguenze dei brevetti sul software nei loro confronti, così
da ottenerne il sostegno nella lotta contro i brevetti sul software in
Europa.
La battaglia non è ancora finita. Possiamo ancora vincerla.
Trascrizione dell’intervento tenuto all’Università di Cambridge, Londra,
il 25 marzo 2002. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free
Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
180
Appendice
Risorse utili
Per una buona infarinatura generale, è bene iniziare da questi libri italiani:
AA.VV., Open Sources: Voci dalla rivoluzione open source, Apogeo,
1999, euro 14,46 (disponibile anche online: http://www.apogeonline.com/libri/00545/scheda)
Mariella Berra e Angelo Raffaele Meo, Informatica Solidale: Storia e
prospettive del software libero, Bollati Boringhieri, 2001, euro 14,46
Sam Williams, Codice Libero (Free as in Freedom): Richard Stallman e
la crociata per il software libero, Apogeo, 2003, euro 14 (disponibile
anche online: http://www.apogeonline.com/libri/02108/scheda)
Per approfondimenti e aggiornamenti vari, meglio sbizzarrirsi sul
web. Questi sono alcuni dei maggiori siti da seguire, a partire ovviamente da quelli in inglese:
Free Software Foundation e GNU Project: http://www.fsf.org
Sito personale di Richard Stallman: http://www.stallman.org
Free Software Foundation Europe: http://www.fsfeurope.org/
Eurolinux alliance: http://www.eurolinux.org
Associazione Software Libero: http://www.softwarelibero.it
Software libero nella didattica: http://scuola.softwarelibero.org
PLUTO Free Software Users Group: http://pluto.linux.it
Associazione Software Libero: fondazione e storia
L’Associazione Software Libero (Assoli) è un’entità legale senza scopo di lucro che nasce nel novembre 2000 e che annovera, tra i suoi
obiettivi, la diffusione del software libero in Italia e una corretta infor183
mazione sull’argomento. Nel maggio 2002, diventa l’affiliata italiana
della Free Software Foundation Europe e, attraverso le sue liste (in
particolare [email protected] e [email protected]),
riesce a radunare circa duecento persone interessate a dibattere di
licenze, questioni legali, avvicinamento alla pubblica amministrazione e attività pubbliche a sostegno del software libero.
La decisione di creare Assoli nasce da una semplice constatazione: se
il software libero, dal punto di vista tecnico, ha iniziato ad attecchire ormai da qualche anno, non è accaduto altrettanto per la comprensione dei diversi tipi di licenza e per le conseguenze giuridiche
della loro adozione. Lo prova la confusione - ancora attuale anche
negli ambienti degli “addetti ai lavori” - verso termini come freeware, shareware, open source e software libero, utilizzati come sinonimi
quando invece le differenze che queste diverse forme di software hanno in termini di uso privato e aziendale, creazione di un mercato e
incentivo allo sviluppo tecnologico sono notevoli, specialmente in
un’ottica di lungo periodo.
Altra prova della diffusa mancanza di conoscenza sull’argomento è
stata la legge italiana sul diritto d’autore (n. 248/2000), legge dove
tutto il software è stato equiparato a quello proprietario, determinando così una effettiva difficoltà per la diffusione di software distribuito con licenze differenti. Gli ostacoli insorti al momento dell’entrata in vigore della legge sono stati in parte corretti dal regolamento
attuativo che segue di oltre un anno la nuova normativa e le recenti
modifiche a esso apportate, ma permangono ancora oggi problemi
alla diffusione del software libero, collegati a legislazioni potenzialmente restrittive, come la direttiva europea 2001/29/CE (European
Union Copyright Directive, Eucd).
I progetti
Eucd: le conseguenze e i pericoli (http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/index.shtml).
La campagna nasce per diffondere una maggiore conoscenza della
184
direttiva europea 2001/29/CE, più nota come European Union
Copyright Directive (Eucd). Il provvedimento introduce una serie di
novità legali nel campo del “diritto d’autore”, puntando unicamente
alla salvaguardia degli interessi economici dei grossi editori e dei produttori di software proprietario. I diritti degli utenti (e non solo) sono
messi completamente in secondo piano, se non addirittura calpestati. Le norme della direttiva mettono in grave pericolo il diritto alla
copia privata, la possibilità di usufruire delle opere in formato digitale (come e-book, dvd, cd musicali) secondo condizioni ragionevoli, la futura garanzia di poter accedere senza censure a documenti di
rilevanza storica, la possibilità di cedere o rivendere materiale digitale regolarmente acquisito, la possibilità di produrre software libero
interoperante, la libertà di ricerca e di espressione su Internet. L’applicazione dell’Eucd in Italia appare molto vicina, dato che è già pronto uno schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva. Esiste già una legge in vigore che applica le stesse norme previste
dall’Eucd: si tratta dello statunitense Digital Millennium Copyright
Act (DMCA. http://www.anti-dmca.org/).
Bollino Howto (http://www.softwarelibero.it/bollino/html/BollinoHOWTO.html).
Dal momento dell’approvazione della legge 248/2000, nota come
“legge del bollino”, e del successivo regolamento attuativo, molti
gruppi e osservatori hanno mosso varie critiche e osservazioni a questi testi, osservazioni incentrate su aspetti legati alla possibilità di una
reale applicazione della legge e ai diritti dei consumatori. Inoltre si
sono andate delineando difficoltà a cui sarebbero andate incontro piccole realtà produttive esistenti in Italia. Per questo, l’Associazione
Software Libero e il Lug Roma (http://www.lugroma.org/) hanno cercato di capire come far “convivere” il software libero con questa legge: sono avviati dei contatti con la sede centrale della Siae, con gli
organi preposti per discutere delle problematiche che l’interpretazione della legge pone in relazione alle opere libere e delle possibili solu185
zioni per rendere manifesta l’esclusione di questo genere di opere dall’ambito di applicazione della normativa. In seguito al primo incontro e alla luce dei chiarimenti avuti, l’Associazione Software Libero e
il progetto GNUtemberg! (http://www.gnutemberg.org/) hanno presentato, in luoghi e circostanze diversi, e ottenuto una richiesta di
esenzione. Sono seguiti i cd-rom e il materiale creato da numerosi
Lug (Linux User Group), distribuiti sul territorio nazionale. Il documento è stato scritto, revisionato e pubblicato con la volontà di favorire la conoscenza della legge e degli strumenti che questa mette a
disposizione per evitare l’applicazione del contrassegno.
Formati
Il progetto ha come obiettivo la definizione di formati di dati e di formati di dati liberi individuando quali siano le migliori applicazioni nell’ambito pubblico e privato. Ogni volta che si usa un applicativo software, vengono prodotti dati, generalmente memorizzati su hard disk,
floppy o altri supporti oppure inviati a un altro elaboratore via rete. Poiché i dati sono di proprietà dell’utente che li ha creati, è fondamentale
che egli possa disporre di essi, indipendentemente dal formato di
memorizzazione o di trasmissione utilizzato. In altre parole, l’utente
deve essere nella condizione di accedere ai propri dati conservando la
libertà di scelta del software da utilizzare. Affinché i dati siano utili, è
necessario che utenti differenti possano condividerli e utilizzarli, senza
alcun vincolo di dipendenza da un unico produttore. Dunque, un prerequisito nella creazione e nell’accesso ai dati è costituito da formati
chiari, facilmente accessibili e riutilizzabili all’interno di prodotti differenti. Benché il concetto di libertà dei formati di dati sia strettamente
correlato al concetto di libertà del software, una definizione di formati di dati liberi prescinde dalla natura del software essendo valida sia per
il software libero che per quello proprietario.
Dizionario libero (http://www.softwarelibero.it/progetti/dizionario/).
Il Progetto Dizionario Libero ha come obiettivo la realizzazione di un
186
dizionario italiano e di ulteriori strumenti linguistici disponibili al
pubblico sotto licenza libera. Uno degli aspetti in cui il software libero in italiano si è dimostrato più carente è quello della mancanza di
un vocabolario di qualità sufficientemente elevata. Oltre a ciò, manca in generale quello che invece è disponibile per molte altre lingue,
come un dizionario e una raccolta di sinonimi e contrari. Questo progetto mira a costruire le basi necessarie per colmare queste lacune e i
risultati saranno rilasciati con licenza libera (GPL, LGPL o FDL, a
seconda dei casi). Il primo passo è stato quello di creare una mailing
list di coordinamento ([email protected]) e qui si stabiliscono le modalità di evoluzione del progetto, obiettivi ulteriori e
modalità di realizzazione. Il secondo passo è la creazione di deposito
centralizzato per una lista di parole semplici, a cui diventi possibile
fare riferimento come punto di raccolta per la stesura del vocabolario. A questo si aggiungerebbe una procedura automatica per la raccolta di nuove parole, e procedure più o meno automatiche per la
relativa integrazione.
Storia del software libero in Italia (http://www.softwarelibero.it/progetti/storia/).
Scopo del progetto è l’individuazione e la descrizione dei personaggi
e dei momenti che hanno contribuito alla diffusione del software libero e del movimento di pensiero a esso collegato. Il lavoro, attualmente
in via di sviluppo, è aperto a interventi, suggerimenti, contributi, che
possono essere sottoposti all’indirizzo della mailing list di coordinamento, [email protected]
Le attività
Una parte importante del lavoro di Assoli è la partecipazione a conferenze ed eventi pubblici presentando quelli che sono i concetti filosofici e legali correlati al software libero. Inoltre, sono state portate
avanti iniziative in collaborazione con associazioni che si occupano
di argomenti simili. Tra queste, insieme alla Italian Linux Society
187
(ILS, http://www.linux.it/), ha sollecitato una raccolta di firme per
sostenere la discussione in parlamento del disegno di legge sul software libero: “Norme in materia di pluralismo informatico sulla adozione
e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella Pubblica Amministrazione” (XIV Legislatura Atto Senato
n. 1188, www.parlamento.it/leg/14/Bgt/Schede/Ddliter/16976.htm),
attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali del
Senato). In proposito, ha lavorato anche Promezio.net (http://openmind.promezio.net/), Opensource.it (http://www.opensource.it/disegnolegge.php) e ezboard (http://pub47.ezboard.com/fsicurezzanetfrm2.showMessage?topicID=68.topic).
Con Agnug (Associazione Gnug, http://www.gnug.it/) e alla sezione
italiana delle Free Software Foundation Europe (http://www.fsfeurope.org/), sostiene la campagna “Libera il tuo software!”
(http://www.liberailsoftware.org/) per la creazione di una rete di economia solidale a sostegno dello sviluppo del software libero. Il primo
obiettivo è favorire la realizzazione in tempi brevi della nuova versione di Samba, in grado di consentire una migrazione indolore dei server Windows Nt a Gnu/Linux piuttosto che a Windows 2000.
Assoli ha infine contribuito alla realizzazione delle mozioni comunali per l’introduzione del software libero e dei formati liberi con una
serie di gruppi consiliari italiani, tra cui Firenze, Torino e Bologna.
Per maggiori informazioni e contatti: http://www.softwarelibero.it/
188
Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
PARTE PRIMA:
Il progetto GNU e il software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
Il progetto GNU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Il manifesto GNU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
La definizione di software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Perché il software non dovrebbe avere padroni. . . . . . . . . . . . 64
Cosa c’è in un nome? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
Perché “software libero” è da preferire a “open source”. . . . . . 78
Rilasciare software libero se lavorate all’università . . . . . . . . . 88
Vendere software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
Il software libero ha bisogno di documentazione libera . . . . . 97
La canzone del software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
PARTE SECONDA:
Copyright, copyleft e brevetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
Il diritto di leggere. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’interpretazione sbagliata del copyright – una serie di errori .
La scienza deve mettere da parte il copyright . . . . . . . . . . . . .
Cos’è il copyleft? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Copyleft: idealismo pragmatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il pericolo dei brevetti sul software . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
105
114
134
137
141
146
APPENDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
eretica
direttore editoriale
Marcello Baraghini
Contro il comune senso del pudore, contro la morale codificata, controcorrente. Questa collana vuole abbattere i muri editoriali che ancora separano e nascondono coloro che non hanno voce. Siano i muri di un carcere o quelli, ancora più invalicabili e resistenti, della vergogna e del conformismo.
A cura di Bernardo Parrella e Associazione Software Libero
Traduzioni di Bernardo Parrella e Gruppo traduttori italiani
del progetto GNU
Titolo originale: Free Software, Free Society: The Selected Essays
of Richard M. Stallman
Copyright © 2002 Free Software Foundation, Inc.
Free Software Foundation
59 Temple Place, Suite 330,
Boston, MA 02111-1307, USA
Email: [email protected] Web: http://www.gnu.org
Si consente la copia letterale e la distribuzione di uno o di tutti gli
articoli di questo libro, nella loro integrità, a condizione che su ogni
copia sia mantenuta la citazione del copyright e questa nota.
A
M
P
A
A
L
N
R
E
Saggi scelti di Richard Stallman
Software libero
Pensiero libero
T
A
T
I
V
A
http://www.stampalternativa.it/
e-mail: [email protected]
S
T
progetto grafico
impaginazione
Anyone!
Littlered
© 2003 Nuovi Equilibri
su concessione della Free Software Foundation
C a s e l l a p o s t a l e 9 7 - 0 1 1 0 0 Vi t e r b o f a x 0 7 6 1 . 3 5 2 7 5 1
A t t e n z i o n e ! I manoscritti inviati all’editore non si restituiscono.
Non vengono forniti pareri e schede di lettura.
Non si considerano testi inviati per e-mail.
finito di stampare nel mese di aprile 2003
presso la tipografia
Graffiti
via Catania 8 - 00040 Pavona (Roma)
RICHARD STALLMAN
SOFTWARE LIBERO
PENSIERO LIBERO
VOLUME SECONDO
Libertà di software
e di pensiero, grazie!
Prosegue la presentazione italiana dei saggi e degli interventi più
significativi di Richard Matthew Stallman, fondatore del movimento del software libero. Come annunciato nel primo volume (maggio
2003), questo secondo tomo include i testi integrali delle varie licenze GNU, a partire dalla più affermata, la GPL, General Public
License, nonché le trascrizioni di alcuni importanti interventi dal
vivo di Stallman (quali “Copyright e globalizzazione nell’epoca delle reti informatiche” e “Software libero: libertà e cooperazione”). Viene così completata la versione nostrana di un libro originale – Free
Software, Free Society: Selected Essays of Richard M. Stallman – dove
vengono condensati oltre 20 anni di testi e interventi pubblici che
hanno modificato la nostra stessa concezione dell’informatica e della
tecnologia. Testi che, a scanso di equivoci, non si limitano a fare la
storia del movimento del software libero, ma gettano anzi forti luci
sul futuro di dinamiche al crocevia tra etica e legge, business e software, libertà individuale e società trasparente.
Questo secondo volume è inoltre arricchito da un’importante appendice: un documento in cui l’Associazione Software Libero aggiorna lo
scenario su alcuni temi di scottante attualità anche per la scena italiana: l’EUCD (European Union Copyright Directive), i brevetti sul
software, la pubblica amministrazione e il software libero. Si tratta
in pratica di tre cavalli di battaglia – avviati dall’Associazione ma
ovviamente aperti a chiunque voglia e vorrà coinvolgersi – attraverso i quali “scardinare, o almeno tentare, la visione imperante del3
l’informatica legata al pagamento delle licenze, alla mera esecuzione
dei programmi, alla limitazione delle informazioni per trasformare
gli utenti in ‘pigiatori’ di tasti e icone a cui manca però la conoscenza di fondo, quella che si cela dietro alle interfacce grafiche e che costituisce uno dei presupposti della libertà.”
In ambito più generale, va invece segnalata l’iniziativa legale avviata lo scorso marzo dalla ex-Caldera, ora nota come Santa Cruz Operation (SCO), contro IBM e altre aziende che fanno uso del sistema
GNU/Linux. Iniziativa che sembra porsi come una sfida lanciata
contro l’intero mondo dell’open source e del software libero, ovvero
mirata agli stessi utenti insieme a qualche big dell’industria informatica. Al riguardo è senz’altro il caso di riportare alcuni stralci della posizione assunta a fine giugno dalla Free Software Foundation
(FSF), in cui Eben Moglen, esperto legale e Consigliere Generale della stessa FSF, interviene su alcuni dettagli importanti:
“SCO accusa IBM di aver infranto i vincoli contrattuali tra le due
aziende e di aver incorporato in ciò che SCO chiama genericamente
“Linux” segreti industriali che riguardano la progettazione del sistema operativo UNIX. Quest’ultima affermazione è stata recentemente ampliata in dichiarazioni extragiudiziarie da parte del personale
di SCO e di alcuni suoi dirigenti che hanno specificato che “Linux”
incorpora materiale copiato da UNIX, violando il Copyright di SCO.
Un’affermazione di questo tenore è contenuta anche in una lettera che
SCO pare abbia inviato a 1500 tra le più grandi aziende al mondo
mettendole in guardia dall’utilizzo del Software Libero sulla base di
possibili responsabilità concernenti violazione di Copyright.”
Il testo di Eben Moglen (reperibile interamente in versione italiana:
http://www.it.gnu.org/philosophy/sco-statement.it.html) prosegue
sottolineando la confusione, apparentemente voluta, della posizione
4
di SCO rispetto all’utilizzo del termine “Linux” per intendere “tutto
il Software Libero” o “tutto il Software Libero che costituisce un sistema operativo simile a UNIX”. Aggiungendo come pur a fronte delle
contestazioni sul segreto industriale, le uniche mosse nella causa contro IBM, va comunque notato il “semplice fatto che SCO ha per anni
distribuito copie del kernel, Linux, come parte di sistemi
GNU/Linux. Tali sistemi sono stati distribuiti da SCO nel pieno
rispetto della GPL, e per ciò, includevano l’intero codice sorgente.”
Con una conclusione che offre una precisa presa di posizione della
FSF e dei sostenitori del software libero:
“Di fronte a questi fatti, le dichiarazioni pubbliche di SCO sono
quantomeno fuorvianti ed irresponsabili. SCO ha abilmente approfittato del lavoro di coloro che hanno fornito contributi da tutto il
mondo. Le loro attuali dichiarazioni pubbliche costituiscono un volgare abuso dei principi della comunità del Software Libero, da parte di un membro che ha utilizzato tutto il nostro lavoro per il proprio
tornaconto economico. La Free Software Foundation invita SCO a
ritirare le proprie sconsiderate ed irresponsabili dichiarazioni e di
provvedere a separare immediatamente i propri disaccordi commerciali con IBM dai propri doveri e le proprie responsabilità nei confronti della comunità del Software Libero.”
Da parte sua, Richard Stallman ha commentato qua e là la faccenda, ma senza eccessive preoccupazioni. Chiarendo, tra l’altro, punti
chiave come il seguente: “In una comunità di più di mezzo milione
di sviluppatori, non possiamo aspettarci che non avvengano mai casi
di plagio. Ma non è un disastro; possiamo scartare tale materiale e
proseguire. Se c’è materiale in Linux che è stato aggiunto senza il diritto legale di farlo, gli sviluppatori di Linux lo individueranno e lo sostituiranno. SCO non può usare i propri copyright, o i propri contratti
5
con altre parti, per sopprimere i legittimi contributi di migliaia di
altri soggetti. Lo stesso Linux non è più essenziale: il sistema GNU è
diventato popolare in congiunzione con Linux, ma oggi gira su due
kernel BSD e con il kernel GNU. La nostra comunità non può essere sconfitta da questa vicenda.”
Va aggiunto che, in piena estate 2003, le posizioni di media e industria, aziende e organizzazioni, addetti ai lavori e avvocati, a partire dalla scena statunitense per ampliarsi al resto del mondo, concordano su un fatto: l’iniziativa a tutto campo di SCO appare assurda,
immotivata e condannata alla sconfitta. L’impressione generale è che
l’ex-Caldera miri a risultati finanziariamente vantaggiosi, onde recuperare i diversi milioni di dollari persi sul mercato in anni recenti.
Ciò include varie possibilità, dall’acquisto da parte della stessa IBM
denunciata o altro gigante high-tech all’imposizione di licenze ad
aziende Linux e/o ai singoli utenti. Non a caso l’ultima mossa di SCO
è la registrazione di una nuova licenza di UnixWare avente come target gli utenti commerciali di Linux, e in cui si impone ai distributori di usarne il kernel soltanto in versione binaria, bloccando in pratica l’accesso al codice sorgente, dal kernel 2.4 in poi. Pur senza quantificare, al momento SCO propone insomma ad aziende e utenti di
pagare la licenza per il suo UnixWare 7.1.3, su cui girano sia applicazioni Linux che Unix. Comunque sia, finora tali iniziative non
hanno provocato alcuna ripercussione negativa a livello di mercato,
mentre le testate specializzate USA confermano che gli utenti non
paiono per nulla scossi dalle minacce di SCO, vere o presunte che siano. A ridosso di ferragosto, è infine arrivata l’attesa contro-denuncia
di IBM, la quale chiede in sostanza ai giudici dello Utah di archiviare la pratica vista la falsità delle accuse, imponendo anzi a SCO
un rimborso danni “compensatori e punitivi”, pur senza specificarne
l’ammontare.
6
In attesa di ulteriori sviluppi giudiziari o, forse meglio, del previsto
patteggiamento tra le parti in causa, la vicenda ribadisce innanzitutto la forza raggiunta dal movimento free software (e open source)
a livello commerciale, tale da replicare con fermezza anche a improvvise sfide legali ed eventuali ricadute a largo raggio. Un ambito complessivo in cui, oltre a difendersi in aula se e quando sarà il caso, restano più che valide le concezioni efficacemente illustrate da Richard
Stallman in queste stesse pagine. Per rafforzarsi ulteriormente, ribattere a simili accuse e affrontare adeguatamente ogni tipo di sfida futura, possiamo giurare su un fatto: il movimento continuerà ad evolversi in sintonia con le pratiche di massima apertura e condivisione
a livello globale che lo contraddistinguono da sempre. Espressione tanto concreta quanto catalizzante di un esperimento teso, ieri come oggi
e domani, all’affermazione della libertà di tutti e di ciascuno.
Bernardo Parrella
[email protected]
agosto 2003
7
8
Parte Prima
Libertà, società
e software
10
Possiamo fidarci
del nostro computer?
Da chi dovrebbe ricevere ordini il nostro computer? La maggior
parte della gente ritiene che il computer dovrebbe obbedire all’utente, non a qualcun altro. Con un progetto denominato “informatica fidata” (trusting computing), le grandi corporation dei
media, incluse l’industria cinematografica e quella musicale, insieme ad aziende informatiche quali Microsoft e Intel, stanno cercando di fare in modo che il computer obbedisca a loro anziché
all’utente. I programmi proprietari presentavano già delle funzioni ambigue, ma tale progetto le renderebbe universali.
Sostanzialmente software proprietario significa che l’utente non
può controllarne le funzionalità; né può studiarne il codice sorgente o modificarlo. Non deve sorprendere il fatto che qualche
sagace imprenditore trovi il modo di usare il proprio potere per
metterci in svantaggio. Microsoft lo ha fatto parecchie volte: una
versione di Windows era progettata per segnalare a Microsoft tutto il software presente sull’hard disk dell’utente; un recente upgrade “di sicurezza” per Windows Media Player imponeva l’assenso
dell’utente per nuove restrizioni. Ma Microsoft non è certo l’unica: il software di file sharing per la musica KaZaa è progettato in
modo che i suoi partner commerciali possano affittare ai propri
clienti l’uso del computer dell’utente. Spesso simili funzioni ambigue rimangono segrete, ma perfino quando se ne conosce l’esistenza, è difficile rimuoverle perché l’utente non ne possiede il
codice sorgente.
Nel passato questi erano incidenti isolati. “L’informatica fidata” li
11
renderebbe dilaganti. Una definizione più appropriata sarebbe
“informatica ingannevole” (treacherous computing), poiché il piano è progettato per assicurarsi che il computer disubbidisca sistematicamente all’utente. Anzi, è progettato per impedire al computer di operare come un computer per usi generici. Ogni operazione potrebbe richiedere un’autorizzazione esplicita.
L’idea tecnica alla base dell’informatica ingannevole è che il computer include un congegno per la cifratura e la firma digitale, le
cui chiavi vengono tenute segrete all’utente. (La versione Microsoft di tale sistema si chiama “Palladium”). I programmi proprietari useranno questo congegno per controllare quali altri programmi l’utente possa far girare, a quali documenti o dati può
accedere e in quali programmi possa trasferirli. Tali programmi
preleveranno in continuazione nuove autorizzazioni via Internet,
imponendole automaticamente all’utente. Se quest’ultimo non
consente al proprio computer di ottenere periodicamente nuove
regole da Internet, alcune capacità smetteranno automaticamente di funzionare.
Naturalmente, Hollywood e le aziende discografiche prevedono di
ricorrere all’informatica ingannevole per il “DRM” (Digital
Restrictions Management, gestione delle restrizioni digitali), in
modo che i video e la musica scaricata possano essere visti e ascoltati soltanto su un determinato computer. Risulterà del tutto
impossibile condividerli, almeno usando i file autorizzati ottenuti
da tali aziende. Noi, il pubblico, dovremmo avere sia la libertà sia
la capacità di condividere queste cose. (Prevedo che qualcuno troverà il modo di produrre delle versioni cifrate, di diffonderle online e condividerle, in modo che il DRM non potrà avere pieno successo, ma ciò non è una scusante per l’esistenza di tale sistema).
Negare la possibilità di condividere è già qualcosa di negativo, ma
12
c’è di peggio. Si prevede di usare procedure analoghe per email e
documenti – provocando la scomparsa dell’email entro due settimane, oppure consentendo la lettura dei documenti unicamente
sui computer di una sola azienda.
Immaginiamo di ricevere una email dal nostro datore di lavoro
che ci dica di fare qualcosa che consideriamo rischioso; un mese
dopo, quando scoppia qualche grana, non potremo usare quell’email per dimostrare che non siamo stati noi a prendere la decisione. “Metterlo per iscritto” non ci tutela quando l’ordine è scritto
con inchiostro (simpatico?) che scompare.
Immaginiamo di ricevere un’email in cui il nostro datore di lavoro voglia imporci una procedura illegale o moralmente equivoca,
come la distruzione dei documenti aziendali relativi a un’audizione fiscale, o lasciar passare senza verifiche una pericolosa minaccia al nostro paese. Oggi è possibile far arrivare il messaggio a un
giornalista e rendere pubblica quell’attività. Ma grazie all’informatica ingannevole, il giornalista potrebbe non leggere il documento, il suo computer rifiuterebbe di obbedirgli. L’informatica
ingannevole diventa il paradiso della corruzione.
Gli elaboratori di testi come Microsoft Word potrebbero ricorrere all’informatica ingannevole quando salvano i documenti, per
assicurarsi che non possano esser letti da nessun elaboratore di testi
rivale. Oggi dobbiamo scoprire i segreti del formato Word tramite laboriosi esperimenti onde poter realizzare elaboratori di testi
liberi capaci di leggere i documenti Word. Se quest’ultimo dovesse cifrare i documenti ogni volta che li salva, la comunità del
software libero non avrebbe alcuna possibilità di sviluppare
software in grado di leggerli – e anche se riuscissimo a farlo, simili programmi potrebbero essere dichiarati illegali sotto il Digital
Millennium Copyright Act.
13
I programmi che usano l’informatica ingannevole scaricheranno
in continuazione via Internet nuove regole per le autorizzazioni,
onde imporle automaticamente al nostro lavoro. Qualora a Microsoft, o al governo statunitense, non dovesse piacere quanto andiamo scrivendo in un documento, potrebbero diffondere nuove
istruzioni dicendo a tutti i computer di impedire a chiunque la
lettura di tale documento. Una volta scaricate le nuove istruzioni,
ogni computer dovrà obbedire. Il nostro documento potrebbe
subire la cancellazione retroattiva, in pieno stile “1984”. Lo stesso utente che lo ha redatto potrebbe trovarsi impossibilitato a leggerlo.
È il caso di riflettere sulle spiacevoli conseguenze dell’applicazione
dell’informatica ingannevole, studiarne le dolorose possibilità, e
decidere se sia il caso di accettarle o meno. Sarebbe stupido e inopportuno accettarle, ma il punto è che l’affare che si crede di fare
non potrà rivelarsi tale. Una volta dipendenti da quel programma,
non se ne potrà più fare a meno, e loro lo sanno bene; a quel punto, vi apporteranno delle modifiche. Alcune applicazioni faranno
automaticamente un upgrade che comporta cambiamenti funzionali – e non è possibile scegliere di rifiutare tale upgrade.
Oggi si possono evitare le restrizioni del software proprietario
facendone a meno. Usando GNU/Linux o un altro sistema operativo libero, ed evitando di installarvi sopra delle applicazioni
proprietarie, allora è l’utente a controllare cosa fa il computer. Se
un programma libero include una funzione dannosa, altri programmatori della comunità la toglieranno e se ne potrà usare la
versione corretta. Sarà inoltre possibile far girare applicazioni e
strumenti liberi su sistemi operativi non-liberi; ciò non offre piena libertà, ma molti utenti lo fanno.
L’informatica ingannevole pone a rischio l’esistenza stessa dei siste14
mi operativi liberi e delle applicazioni libere, perché potrebbe essere del tutto impossibile farle girare. Qualche versione dell’informatica ingannevole potrebbe richiedere che il sistema operativo
sia specificamente autorizzato da un’azienda particolare. Potrebbe
essere impossibile installare dei sistemi operativi liberi. Altre versioni dell’informatica ingannevole potrebbero richiedere che ciascun programma sia specificamente autorizzato da chi ha sviluppato il sistema operativo. Sarebbe impossibile per l’utente far girare dei programmi liberi su tale sistema. Se trovate il modo di farlo, e lo raccontate in giro, potrebbe essere un reato.
Negli Stati Uniti esistono già delle proposte legislative che vorrebbero imporre a tutti i computer di supportare l’informatica
ingannevole, con il divieto di collegare a Internet i vecchi computer. Una di queste è il CBDTPA (da noi definito Consume But
Don’t Try Programming Act, Legge per consumare ma senza cercare di programmare). Ma pur se non potranno costringerci legalmente a passare all’informatica ingannevole, ci sarà un’enorme
pressione perché venga accettata. Spesso oggi si usa il formato
Word per comunicare, nonostante ciò provochi un gran numero
di problemi (si veda, in inglese, http://www.gnu.org/no-wordattachments.html; in italiano: http://www.gnu.org/philosophy/no-word-attachments.it.html). Se soltanto una macchina
basata sull’informatica ingannevole fosse in grado di leggere i
documenti Word più recenti, molta gente finirà per adeguarvisi,
qualora considerino la questione puramente in termini individuali
(prendere o lasciare). Onde opporsi all’informatica ingannevole
dobbiamo unire le forze ed affrontare la situazione come una scelta collettiva.
Per ulteriori dettagli sull’informatica ingannevole, si veda (in
inglese) http://www.cl.cam.ac.uk/users/rja14/tcpa-faq.html.
15
Per bloccare l’informatica ingannevole occorre la mobilitazione di
un vasto numero di cittadini. C’è bisogno del vostro aiuto! La Electronic Frontier Foundation (www.eff.org) e l’organizzazione
Public Knowledge (www.publicknowledge.org) hanno avviato
una campagna di opposizione all’informatica ingannevole, e lo
stesso sta facendo il Digital Speech Project sponsorizzato dalla Free
Software Foundation (www.digitalspeech.org). Visitate questi siti
Web e cercate di sostenerne l’attività. Si può aiutare anche scrivendo agli uffici per i rapporti con il pubblico di Intel, IBM,
HP/Compaq, o qualsiasi altro produttore da cui abbiate acquistato un computer, spiegando loro che non volete subire pressioni per l’adozione di sistemi informatici “fidati” (trusted) e che
quindi non volete ne producano affatto. Ciò servirà a dare potere
ai consumatori. Se contate di scrivere lettere simili, inviatene copia
alle organizzazioni nominate sopra.
Post Scriptum:
Il progetto GNU distribuisce GNU Privacy Guard, programma per l’implementazione di firme digitali e cifratura a chiave
pubblica, che può essere usato per inviare email sicure e private. È utile esplorare il modo in cui GPG differisce dall’informatica fidata, e vedere cosa rende vantaggioso uno e così pericolosa l’altra.
Quando si usa GPG per l’invio di un documento cifrato, e si
ricorre a GPG per decodificarlo, il risultato è un documento
non cifrato che è possibile leggere, inoltrare, copiare e perfino
ri-cifrare onde essere inviato con sicurezza a qualcun altro.
Un’applicazione di informatica ingannevole ci consentirebbe di
leggere le parole sul monitor, ma non di produrre un documento non cifrato da utilizzare in altri modi. GPG, un pac16
chetto di software libero, mette le funzioni di sicurezza a disposizione degli utenti; sono questi ultimi a usare il programma.
L’informatica ingannevole è progettata per imporre le restrizioni sugli utenti; è tale informatica a usare gli utenti.
Questa è la prima versione mai pubblicata di questo saggio e fa parte del
libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa
nota.
17
Perché il software
dovrebbe essere
libero
Inevitabilmente l’esistenza del software solleva la domanda su
come dovrebbero essere prese le decisioni per il suo utilizzo. Supponiamo ad esempio che una persona in possesso di una copia di
un programma incontra qualcun altro che ne vorrebbe anch’egli
una copia. C’è la possibilità di copiare quel programma; a chi spetta la decisione se farlo o meno? Alle persone coinvolte? Oppure ad
un altro soggetto, definito il “proprietario”?
Gli sviluppatori di software tipicamente affrontano simili questioni sulla base dell’assunto che il criterio per la risposta sia quello di massimizzare i profitti degli stessi sviluppatori. Il potere politico dell’imprenditoria ha portato all’adozione da parte del governo sia di questo criterio sia della risposta degli sviluppatori. Ovvero, che esiste il proprietario del programma, tipicamente una corporation associata con il suo sviluppo.
Vorrei affrontare la medesima domanda sulla base di un diverso
criterio: la prosperità e la libertà del pubblico in generale.
Questa risposta non può essere decisa dall’attuale legislazione –
dovrebbe essere la legge a conformarsi all’etica, non viceversa. Non
spetta neppure alle pratiche correnti decidere su tale questione,
pur potendo queste suggerire possibili risposte. L’unico modo di
giudicare è considerare chi viene aiutato e chi danneggiato dal riconoscimento dei proprietari del software. In altri termini, si dovrebbe condurre un’analisi costi-benefici per conto della società nel suo
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complesso, prendendo in considerazione la libertà individuale
come pure la produzione di beni materiali.
Nel presente saggio illustrerò gli effetti dovuti all’esistenza dei proprietari, dimostrandone i risultati negativi. La mia conclusione è
che i programmatori hanno il dovere di incoraggiare gli altri a condividere, ridistribuire, studiare e migliorare il software che scriviamo: in altri termini, a scrivere software libero (“free software”).1
In che modo i proprietari giustificano il proprio potere
Quanti traggono benefici dall’attuale sistema in cui i programmi
sono considerati una proprietà, offrono due argomenti a sostegno
delle proprie tesi a favore di tale proprietà: l’argomento emotivo
e quello economico.
L’argomento emotivo funziona così: “Ci metto il sudore e l’anima
in questo programma. Viene da me, è mio!”
Quest’argomento non richiede una seria refutazione. La sensazione di attaccamento è qualcosa che i programmatori possono coltivare quando meglio si adatta loro; non è inevitabile. Consideriamo, ad esempio, con quanta decisione gli stessi programmatori siano soliti concedere con una firma tutti i diritti ad una grande corporation in cambio di uno stipendio; l’attaccamento emotivo scompare misteriosamente. All’opposto, consideriamo invece i grandi artisti e artigiani del Medioevo, che non si curavano
neppure di firmare le proprie opere. Per loro, il nome dell’artista
non era importante. Quello che contava era portare a compimento
quell’opera – e lo scopo cui era destinata. Questa la visione prevalente per centinaia di anni.
1
Il termine “free” in “free software” si riferisce alla libertà, non al prezzo
(‘free’ in inglese significa sia ‘libero’ sia ‘gratuito’); il prezzo pagato per la copia di un
programma libero può essere zero, basso oppure (raramente) piuttosto elevato.
19
L’argomento economico funziona così: “Voglio diventare ricco
(generalmente descritto in maniera poco accurata come ‘guadagnarsi da vivere’), e se non mi consentite di diventare ricco con la
programmazione, allora smetterò di scrivere programmi. Tutti gli
altri sviluppatori la pensano come me, per cui nessuno vorrà mai
programmare. E allora rimarrete senza alcun programma!” In
genere questa minaccia viene velata come un amichevole avviso
da una saggia fonte.
Più avanti spiegherò perché tale minaccia non è altro che bluff.
Prima vorrei affrontare un assunto implicito che acquista maggior
visibilità in un’altra formulazione dell’argomento.
Questa formulazione parte mettendo a confronto l’utilità sociale
di un programma proprietario con l’assenza di programmi, per poi
concludere che lo sviluppo di software proprietario è, nel suo insieme, qualcosa di benefico e andrebbe incoraggiato. L’errore qui
consiste nel contrapporre soltanto due scenari – software proprietario contro niente software – assumendo l’inesistenza di ulteriori possibilità.
Considerando un sistema di copyright sul software, lo sviluppo del
software viene solitamente connesso all’esistenza di un proprietario
che ne controlli l’utilizzo. Fintantoché esisterà questa connessione,
siamo spesso costretti a confrontarci con la scelta tra software proprietario o niente software. Tuttavia, tale connessione non è qualcosa di inerente o inevitabile; è una conseguenza della specifica decisione socio-legale che mettiamo in discussione: la decisione di avere dei proprietari. Presentare la scelta come tra software proprietario o niente software significa travisare la questione.
L’argomento contro l’esistenza di proprietari
La domanda in ballo è: “Lo sviluppo del software dovrebbe esse20
re connesso con l’esistenza di proprietari cui spetti limitarne l’utilizzo?”
Onde poter sciogliere il quesito, dobbiamo giudicare gli effetti sulla società di ciascuna delle due attività seguenti in maniera indipendente tra loro: l’effetto dello sviluppo del software (prescindendo dai relativi termini di distribuzione) e l’effetto derivante
dalla limitazione del suo utilizzo (assumendo che il software sia
stato sviluppato). Se una di queste attività dovesse risultare giovevole e l’altra dannosa, sarebbe bene lasciar andare tale connessione e optare soltanto per quella giovevole.
In altri termini, se limitare la distribuzione di un programma già
sviluppato risulta dannoso per la società in generale, allora lo sviluppatore etico rifiuterà una simile opzione.
Onde stabilire l’effetto di limitazioni nella condivisione, occorre
paragonare il valore sociale di un programma ristretto (ovvero,
proprietario) con quello dello stesso programma disponibile a
chiunque. Ciò significa mettere a confronto due mondi possibili.
L’analisi affronta anche il semplice argomento talvolta contrapposto a questo, secondo cui “il beneficio al vicino nel fornirgli o
fornirle la copia di un programma viene cancellato dal danno procurato al proprietario”. Questo contro-argomento assume che il
danno e il beneficio siano di proporzioni identiche. L’analisi include un raffronto fra tali proporzioni, per concludere che il beneficio risulta di gran lunga maggiore.
Per meglio illustrare l’argomento, applichiamolo ad un altro ambito: la costruzione di una rete stradale.
Tramite i pedaggi sarebbe possibile finanziare la costruzione di tutte
le strade. Ciò comporterebbe la presenza di appositi caselli a tutti gli
angoli. Un simile sistema risulterebbe di grande incentivo al miglioramento della rete stradale. Offrirebbe inoltre il vantaggio di costrin21
gere quanti usano quella specifica strada al pagamento del relativo
pedaggio. Eppure un casello per il pedaggio rappresenterebbe un’ostruzione artificiale alla fluidità di guida – artificiale perché non è una
conseguenza di come funzionano le strade o le autovetture.
Paragonando le strade libere e quelle a pedaggio sulla base della
loro utilità, scopriamo che (tutto il resto essendo identico) le strade senza caselli richiedono meno denaro per essere costruite e
gestite, sono più sicure e più efficienti nell’utilizzo.2
In un paese povero molti cittadini sarebbero impossibilitati a usare le strade a pedaggio. Perciò le strade senza caselli offrono alla
società maggiori benefici a costi minori; sono da preferire per la
società. Di conseguenza, la società dovrebbe scegliere di reperire i
finanziamenti in un altro modo, non tramite i caselli a pagamento. L’uso delle strade, una volta costruite, dovrebbe essere libero.
Quando i sostenitori dei caselli li propongono unicamente come
un modo per raccogliere denaro, distorcono la scelta a disposizione. È vero che i caselli a pedaggio portano soldi, ma provocano
anche altre conseguenze: in realtà degradano la strada. Una strada a pedaggio non è così positiva come una libera; pur offrendo
strade in numero maggiore o tecnicamente superiori, ciò non
sarebbe un miglioramento qualora dovesse comportare la sostituzione delle strade libere con quelle a pagamento.
Ovviamente la costruzione di una strada libera necessita di fondi,
che in qualche modo il pubblico è chiamato a sborsare. Tuttavia
2
Le questioni relative a inquinamento e congestioni di traffico non alterano questa
conclusione. Nel caso si volesse rendere più esosa la guida onde scoraggiarla in generale, è
svantaggioso farlo tramite dei caselli a pedaggio, i quali contribuiscono sia
all’inquinamento che al traffico. Molto meglio ricorrere a una tassa sulla benzina. Allo
stesso modo, la volontà di ottenere maggior sicurezza limitando la massima velocità
consentita non è un fattore rilevante; una strada ad accesso libero estende la velocità
media evitando fermate e ritardi, all’interno dei limiti di velocità designati.
22
ciò non implica l’inevitabilità del pedaggio. Noi che dobbiamo
comunque sostenerne le spese, ricaviamo maggior valore dal
nostro denaro acquistando una strada libera.
Non sto dicendo che una strada a pagamento sia peggiore di non
avere alcuna strada. Ciò sarebbe vero nel caso il pedaggio fosse talmente elevato da impedirne l’utilizzo quasi a tutti – procedura
questa improbabile per chi dovesse riscuotere il pedaggio. Tuttavia, finché i caselli provocano spreco e inconvenienti significativi,
è meglio raccogliere i fondi necessari in maniera meno limitante.
Applicando la medesima logica allo sviluppo del software, passerò
ora a dimostrare come l’esistenza di “caselli a pedaggio” per utili
programmi risulti assai esosa per la società: rende i programmi più
costosi da realizzare, più costosi da distribuire, meno soddisfacenti
ed efficaci da usare. Ne consegue che la costruzione dei programmi va incoraggiata in qualche altro modo. Proseguirò poi spiegando altri metodi per incoraggiare e (finché sia realmente necessario) per reperire fondi per lo sviluppo del software.
Il danno provocato dall’ostruzione del software
Consideriamo per un momento lo scenario in cui un programma
sia stato sviluppato, e ogni pagamento necessario al suo sviluppo
sia stato coperto; ora la società deve scegliere se renderlo proprietario oppure se garantirne condivisione e utilizzo liberi. Come
assunto, l’esistenza e la disponibilità del programma sono qualcosa di desiderabile.3
3
Un particolare programma informatico potrebbe essere considerato dannoso fino a
negarne la disponibilità, come è accaduto al database per dati personali Lotus
Marketplace, ritirato dal mercato a seguito della disapprovazione del pubblico. Gran parte
di quanto sostengo non si applica a casi simili, ma ha poco senso affermare la necessità di
un proprietario sulla base del fatto che quest’ultimo potrebbe limitare la disponibilità del
programma. Il proprietario non lo metterà mai completamente fuori commercio, come si
vorrebbe nel caso di un programma il cui impiego è considerato distruttivo.
23
Le restrizioni sulla distribuzione e sulla modifica del programma
non possono facilitarne l’utilizzo. Possono soltanto interferire.
Così l’effetto sarà soltanto negativo. Ma fino a che punto? E di che
tipo?
Questa ostruzione produce tre diversi livelli di danno materiale:
1. Un minor numero di persone usa il programma.
2. Nessun utente può adattare o aggiustare il programma.
3. Gli altri sviluppatori non possono imparare dal programma, né
usarlo come base per nuovi lavori.
Ciascun livello di danno materiale riflette una forma concomitante di danno psico-sociale. Ciò si riferisce all’effetto prodotto
dalle decisioni della gente sui successivi sentimenti, attitudini e
predisposizioni. Questi cambiamenti nel modo di pensare avranno poi un ulteriore effetto sulle relazioni con i concittadini, e
potranno causare conseguenze materiali.
I tre livelli di danno materiale fanno sprecare parte del valore che
il programma potrebbe offrire, ma non possono ridurlo a zero. Se
provocano lo spreco quasi totale del valore, allora scrivere il programma danneggia la società in misura pari allo sforzo necessario
per scriverlo. A ragione, un programma che produce dei guadagni
nelle vendite deve fornire qualche beneficio materiale diretto.
Tuttavia, considerando il concomitante danno psico-sociale, non
esistono limiti al danno causato dallo sviluppo del software proprietario.
Impedire l’uso dei programmi
Il primo livello di danno impedisce il semplice utilizzo del programma. La copia di un programma ha un costo marginale quasi
vicino a zero (e si può pagare tale costo facendola da soli), così che
in un mercato libero avrebbe un prezzo vicino a zero. Una licen24
za a pagamento è un disincentivo significativo nell’uso del programma. Se un programma molto utile è software proprietario,
verrà usato da un numero alquanto ridotto di persone.
È facile dimostrare che il contributo complessivo di un programma rispetto alla società risulta ridotto assegnandogli un proprietario. Ogni utente potenziale del programma, di fronte alla necessità di dover pagare per usarlo, potrebbe scegliere di pagare o
meno, o anche di rinunciare a utilizzarlo. Quando un utente sceglie di pagare, questo è un trasferimento di ricchezza a quota zero
tra due entità. Ma ogni volta che qualcuno decide di rinunciare
all’uso del programma, ciò danneggia quell’individuo senza giovare a nessuno. La somma di cifre negative e zeri risulta negativa.
Ma ciò non riduce l’ammontare di lavoro necessario per sviluppare il programma. Come risultato, viene ridotta l’efficacia dell’intero processo, ovvero la soddisfazione dell’utente ottenuta per
ogni ora di lavoro.
Ciò riflette una differenza cruciale tra le copie di un programma
e oggetti quali automobili, sedie o panini. Non esiste una macchina per copiare gli oggetti materiali al di fuori della fantascienza. Ma i programmi sono facili da copiare; chiunque è in grado di
produrne quante copie ne vuole con uno sforzo minimo. Ciò non
si applica agli oggetti materiali perché la materia si conserva: ogni
nuova copia dev’essere costruita dal materiale grezzo nella stessa
maniera con cui è stata costruita la prima copia.
Con gli oggetti materiali ha senso creare un disincentivo al loro
impiego, perché l’acquisto di un minor numero di oggetti significa minor materiale grezzo e minor lavoro per costruirli. È vero
che generalmente esiste anche un costo iniziale d’ammortamento, un costo di sviluppo, che viene frazionato lungo la fase di produzione. Ma finché il costo marginale della produzione è signifi25
cativo, l’aggiunta di una quota del costo di sviluppo non provoca
una differenza qualitativa. E non richiede restrizioni sulla libertà
dei comuni utenti.
Tuttavia l’imposizione di un prezzo su qualcosa che altrimenti
sarebbe libera rappresenta un cambiamento qualitativo. Una tariffa sulla distribuzione del software, imposta a livello centralizzato,
diventa un potente disincentivo.
Inoltre, la produzione centrale come viene praticata oggi è inefficace perfino in quanto mezzo per diffondere copie del software.
Questo sistema prevede la chiusura di dischi o nastri materiali
all’interno di pacchetti inutili, la loro spedizione in gran quantità
intorno al mondo, e il loro immagazzinamento per la vendita.
Questo costo viene presentato come una spesa di tale attività commerciale; in realtà, è parte dello spreco causato dall’esistenza dei
proprietari.
Danneggiare la coesione sociale
Supponiamo che una persona e il proprio vicino considerino utile
l’impiego di un certo programma. Con attenzione etica per il vicino, ci si dovrebbe rendere conto che un’adeguata gestione della situazione consentirà a entrambi di utilizzarlo. La proposta di consentire
l’uso del programma soltanto a uno dei due, impedendolo all’altro,
è divisoria; entrambi la considererebbero inaccettabile.
Firmare un tipico contratto per la licenza del software significa tradire il vicino: “Prometto di privare il mio vicino di questo programma in modo che possa averne una copia tutta per me”. Quanti optano per simili scelte subiscono una pressione psicologica interna per
giustificarle, diminuendo l’importanza di aiutare il vicino – in tal
modo, lo spirito pubblico ne soffre. Questo è il danno psicologico
associato con quello materiale di scoraggiare l’uso del programma.
26
Molti utenti riconoscono inconsciamente l’errore nel rifiuto a
condividere, così decidono di ignorare licenze e leggi, e condividere comunque il programma. Ma spesso si sentono in colpa per
averlo fatto. Sanno che devono infrangere la legge onde poter essere dei buoni vicini, ma rispettano ancora l’autorità giuridica, e
concludono che il fatto di essere dei buoni vicini (come sono in
effetti) è qualcosa di male o di cui vergognarsi. Anche questo è un
tipo di danno psicologico, che però si può evitare decidendo che
tali licenze e leggi non posseggono alcuna forza morale.
Anche i programmatori subiscono il danno psicologico di sapere
che a numerosi utenti non verrà consentito di utilizzare il proprio
lavoro. Ciò porta a un’attitudine di cinismo o diniego. Uno sviluppatore potrà descrivere in maniera entusiasta un lavoro che
considera tecnicamente eccitante; poi quando gli si chiede, “Mi
sarà permesso di usarlo?”, impallidisce e ammette che la risposta
è no. Per evitare di sentirsi scoraggiato, la maggior parte delle volte finisce per ignorare questo fatto oppure adotta un atteggiamento di cinica distanza mirato a minimizzarne l’importanza.
Fin dal periodo di Reagan4, la maggiore scarsità degli Stati Uniti
non riguarda l’innovazione tecnica, ma piuttosto la volontà di
lavorare insieme per il bene pubblico. Non ha alcun senso incoraggiare la prima a spese del secondo.
Impedire gli adattamenti personalizzati di programmi
Il secondo livello di danno materiale è l’impossibilità di adattare i
programmi. La facilità di modificare il software è uno dei suoi
grandi vantaggi rispetto alle vecchie tecnologie. Ma la gran parte
4
Ronald Reagan, il 40° Presidente degli Stati Uniti, è famoso per aver tagliato
numerosi programmi sociali. A lui si deve inoltre la creazione di una politica
economica, definita “trickle down economics” (economia che sgocciola), considerata da
molti un fallimento.
27
del software disponibile in ambito commerciale non può essere
modificato, neppure dopo averlo acquistato. È disponibile a scatola chiusa, prendere o lasciare, tutto qui.
Un programma che è possibile far girare è composto da una serie
di numeri dall’oscuro significato. Nessuno, neanche un buon programmatore, è in grado di modificare facilmente tali numeri onde
rendere il programma diverso in qualche modo.
Normalmente gli sviluppatori lavorano con il “codice sorgente” di
un programma, che è scritto in un linguaggio di programmazione
tipo Fortran o C. Ricorre a dei nomi per indicare i dati usati e le parti di un programma, e rappresenta le operazioni con simboli quali +
per le addizioni e - per le sottrazioni. È progettato per aiutare gli sviluppatori a leggere e modificare il programma. Ecco un esempio; un
programma per calcolare la distanza tra due punti su un piano:5
float
distance (p0, p1)
struct point p0, p1;
{
float xdist = p1.x - p0.x;
float ydist = p1.y - p0.y;
return sqrt (xdist * xdist + ydist * ydist);
}
Ecco lo stesso programma in formato eseguibile6, sul computer
che uso normalmente:
1314258944 -232267772 -231844864 1634862
5
Non è importante capire in che modo operi il codice sorgente; quel che è importante è
notare che tale codice sorgente viene scritto ad un livello di astrazione piuttosto
comprensibile.
6
Si noti l’incomprensibilità del codice eseguibile; è chiaramente più difficile capirne
qualcosa rispetto al codice sorgente di cui sopra.
28
1411907592 -231844736 2159150 1420296208
-234880989 -234879837 -234879966 -232295424
1644167167 -3214848 1090581031 1962942495
572518958 -803143692 1314803317
Il codice sorgente è utile (almeno potenzialmente) per chiunque
usi un programma. Ma alla maggioranza degli utenti non è concesso avere copie di tale codice. Normalmente il codice sorgente
di un programma proprietario viene tenuto segreto dal proprietario, prevenendo chiunque altro dall’impararne qualcosa. Gli utenti ricevono unicamente i file di numeri incomprensibili che il computer eseguirà. Ciò significa che soltanto il proprietario di un programma può modificarlo.
Una volta un’amica mi raccontò di aver lavorato come programmatore in una banca per circa sei mesi, scrivendo un programma
simile a qualcosa di commercialmente disponibile. Se avesse potuto avere il codice sorgente di quel programma commerciale, avrebbe potuto facilmente adattarlo alle necessità del caso. La banca era
disposta a pagare per questo, ma non le venne concesso – il codice sorgente era un segreto. Così fu costretta a lavorare in tal modo
per sei mesi, lavoro che fa parte del prodotto nazionale lordo ma
che in realtà fu uno spreco.
Intorno al 1977 il laboratorio di intelligenza artificiale del MIT
ricevette in regalo una stampante grafica dalla Xerox. Era gestita
da un software libero a cui aggiungemmo parecchie funzioni utili. Ad esempio, il software avrebbe notificato l’utente non appena
finito il lavoro di stampa. In caso di problemi, come l’inceppamento dei fogli o la mancanza di carta, il software ne avrebbe informato tutti gli utenti che avevano in corso una stampa. Queste funzioni facilitavano il corso delle operazioni.
Più tardi la Xerox diede al laboratorio una stampante più nuova e
29
veloce, una delle prime stampanti laser. Veniva gestita da un
software proprietario che girava su un apposito computer dedicato, in modo che non potemmo aggiungere alcuna delle nostre
opzioni favorite. Riuscimmo a sistemare l’invio di una notifica
quando la stampa veniva inviata al computer dedicato, ma non
quando avveniva effettivamente la stampa (e generalmente il ritardo era considerevole). Non c’era alcun modo di sapere quando il
lavoro veniva realmente stampato, si poteva solo indovinare. E
nessuno veniva informato nel caso di fogli incastrati, così spesso
la stampante finiva fuori uso per un’ora.
Il sistema di programmatori del laboratorio di intelligenza artificiale era in grado di sistemare simili problemi, probabilmente tanto quanto gli autori originari del programma. Ma la Xerox non aveva alcun interesse a risolverli, e scelse di impedircelo, di modo da
costringerci ad accettare tali problemi. Non vennero mai risolti.
Molti buoni programmatori hanno sperimentato una simile frustrazione. La banca poteva permettersi di risolvere il problema scrivendo un nuovo programma da zero, ma un comune utente, a prescindere dalle proprie capacità, può soltanto rinunciare.
La rinuncia provoca un danno psico-sociale – allo spirito della
fiducia in se stessi. È demoralizzante vivere in una casa che non si
può riarrangiare secondo i propri bisogni. Porta a rassegnazione e
scoraggiamento, che finiscono per colpire altri aspetti della vita di
una persona. Chi si trova in simili circostanze diventa infelice e
non fa un buon lavoro.
Immaginiamo come sarebbe qualora le ricette venissero trattate
alla stregua del software. Qualcuno potrebbe dire, “Come faccio
a modificare questa ricetta per toglierci il sale?” e il grande cuoco
risponderebbe, “Come osi insultare la mia ricetta, il prodotto del
mio cervello e del mio palato, cercando di interferire? Non pos30
siedi il giudizio necessario per poterla modificare e farla funzionare bene!”
“Ma il dottore mi ha detto di non mangiare cibi salati!”
“Sarò contento di farlo. La mia tariffa è di appena 50.000 dollari”. (Dato che il proprietario ha il monopolio sulle modifiche, la
tariffa tende ad essere elevata). “Però adesso non ho tempo. Sono
occupato con una commissione per il progetto di una nuova ricetta di biscotti per le navi con il Ministero della Marina. Potrò occuparmi di te fra un paio d’anni.”
Impedire lo sviluppo del software
Il terzo livello di danno materiale colpisce lo sviluppo del software. Solitamente questo era un processo evolutivo, in cui una persona ne riscriveva delle parti per una nuova funzione, e poi qualcun altro ne avrebbe riscritto altre parti per aggiungere un’altra
funzione; in alcuni casi, ciò andava avanti per un periodo di
vent’anni. Nel frattempo, parti del programma sarebbero state
“cannibalizzate” per dar forma alla nascita di ulteriori programmi.
L’esistenza di proprietari impedisce un’evoluzione di questo tipo,
rendendo necessario partire da zero nello sviluppo di un programma. Impedisce altresì a nuovi praticanti di studiare i programmi esistenti onde imparare tecniche utili o anche la struttura di programmi di ampie dimensioni.
I proprietari impediscono anche l’educazione. Ho incontrato brillanti studenti d’informatica che non avevano mai visto il codice
sorgente di un programma di ampie dimensioni. Possono essere
bravi a scrivere piccoli programmi, ma non potranno acquisire le
diverse capacità necessarie per scriverne di grandi se non possono
vedere come hanno fatto gli altri.
In ogni ambito intellettuale, è possibile raggiungere altezze mag31
giori stando sulle spalle di chi ci ha preceduti. Ma in genere ciò
non è più consentito nel campo del software – si può stare soltanto sulle spalle dei colleghi della propria azienda.
Il danno psico-sociale associato colpisce lo spirito della cooperazione scientifica, solitamente così solido tra i ricercatori al punto che
questi collaboravano anche quando i rispettivi paesi erano in guerra tra loro. Sulla base di questo spirito, gli oceanografi giapponesi
abbandonati in un laboratorio su un’isola del Pacifico conservarono con attenzione il lavoro svolto per i Marine statunitensi in arrivo, lasciando una nota per chiedere loro di prendersene cura.
I conflitti per denaro hanno distrutto quello che si era salvato nei
conflitti internazionali. Oggigiorno i ricercatori di molte discipline non pubblicano dati sufficienti nelle proprie ricerche onde consentire agli altri di replicare quegli esperimenti. Pubblicano soltanto quanto basta per fare in modo che i lettori possano meravigliarsi di quanto siano riusciti a ottenere. Ciò è sicuramente vero
per l’informatica, dove il codice sorgente dei programmi su cui si
scrive è generalmente segreto.
Non importa come si limiti la condivisione
Ho discusso finora gli effetti di prevenire la gente dall’attività di
copia, modifica e costruzione su un programma. Non ho specificato il modo in cui questa ostruzione viene portata avanti, perché
ciò non ne influenza la conclusione. Sia che ciò venga imposto tramite il divieto di copia, o il diritto d’autore, o le licenze, o la crittazione, o le schede ROM, o i numeri seriali sull’hardware, se riesce a impedirne l’utilizzo, allora procura dei danni. Gli utenti considerano comunque alcuni di questi metodi più sgradevoli di altri.
Io suggerirei che i metodi più odiosi sono quelli che raggiungono
lo scopo prefissato.
32
Il software dovrebbe essere libero
Fin qui ho illustrato il modo in cui la proprietà di un programma
– il potere di limitarne la modifica o la copia – sia d’intralcio. I
suoi effetti negativi sono diffusi e importanti. Ne consegue che la
società non dovrebbe avere proprietari per i programmi.
Un altro modo di comprenderlo è che ciò di cui abbisogna la
società è il software libero, e il software proprietario ne è un sostituto insoddisfacente. Incoraggiare i sostituti non è un modo razionale di ottenere ciò di cui abbisogniamo.
Vaclav Havel ci ha messo sull’avviso dicendo, “Lavorare per qualcosa perché è bene, non soltanto perché si ha possibilità di riuscire”. L’attività di realizzare software proprietario contiene possibilità di riuscita in termini ristretti, ma non è un bene per la società.
Perché si sviluppa il software
Se eliminiamo il copyright come mezzo per incoraggiare la gente
a sviluppare software, all’inizio se ne svilupperà di meno, ma tale
software risulterà maggiormente utile. Non è chiaro se la soddisfazione generale degli utenti sarà minore; ma se così fosse, oppure se volessimo incrementarla comunque, esistono altri modi per
incoraggiare lo sviluppo, proprio come esistono altri modi oltre i
caselli a pedaggio per raccogliere denaro per la costruzione di strade. Prima di illustrare le modalità con cui ciò può esser fatto, vorrei affrontare la questione di quanto incoraggiamento artificiale
sia davvero necessario.
Programmare è divertente
Ci sono alcuni tipi di lavori che pochi accetterebbero se non per
denaro; la costruzione di strade, ad esempio. Esistono altri campi
di studio e arte in cui esistono scarse possibilità di diventare ric33
chi, ma che la gente sceglie per il loro fascino o per il presunto
valore agli occhi della società. Gli esempi includono la logica matematica, la musica classica, l’archeologia e l’attivismo politico organizzato tra i lavoratori. La gente compete, più tristemente che
amaramente, per le poche posizioni pagate disponibili, nessuna
delle quali è remunerata granché. Qualcuno è perfino disposto a
pagare di tasca propria pur di lavorare in quel campo, se può permetterselo.
Un certo settore può trasformarsi nel giro di una notte se inizia ad
offrire la possibilità di diventare ricchi. Quando un lavoratore
diventa ricco, altri chiedono la medesima opportunità. Presto tutti potrebbero volere ingenti somme di denaro per fare quel che
erano soliti fare per il piacere. Trascorsi un altro paio d’anni, chiunque coinvolto in quel campo deriderà l’idea che si debba lavorare
in quel settore senza grossi ricavi economici. Spiegheranno ai pianificatori sociali che è possibile assicurare tali ricavi, assegnando
privilegi sociali, poteri e monopoli man mano che si renderà necessario.
Questo è il cambiamento avvenuto nel campo della programmazione informatica durante lo scorso decennio. Quindici anni fa7
giravano articoli sulla “computer-dipendenza”: gli utenti erano
“on-line” tutto il tempo e avevano vizi da cento dollari a settimana. In genere si accettava il fatto che la gente amava a tal punto la
programmazione da rompere non di rado il proprio matrimonio.
Oggi, in genere si accetta che nessuno farebbe il programmatore
se non in cambio di un lauto stipendio. La gente ha dimenticato
come stavano le cose quindici anni fa.
Anche se fosse vero che ad un certo punto la maggior parte della
gente lavorerà in un certo campo soltanto per un lauto stipendio,
7
Quindici anni prima della stesura di quest’articolo correva l’anno 1977.
34
lo scenario non deve necessariamente rimanere tale. La dinamica
del cambiamento può girare all’inverso, qualora la società fornisca l’input adatto. Se eliminiamo la possibilità di grandi ricchezze, allora dopo qualche tempo, una volta risistemate le attitudini
personali, la gente sarà nuovamente ansiosa di lavorare in quel
campo per la gioia di riuscire.
La domanda “Come fare a pagare i programmatori?” trova facile risposta una volta compreso che non si tratta di pagarli una
fortuna. Il semplice guadagnarsi da vivere è più facile da mettere insieme.
Finanziare il software libero
Le istituzioni che pagano i programmatori non devono essere i
produttori di software. Esistono già parecchie altre istituzioni in
grado di farlo.
I produttori di hardware considerano essenziale sostenere lo sviluppo del software pur non potendone controllare l’utilizzo. Nel
1970 gran parte del loro software era libero perché non si curavano di porre limitazioni. Oggi la crescente volontà di aderire a dei
consorzi dimostra che hanno compreso come possedere il software non è una cosa veramente importante per loro.
Le università svolgono numerosi progetti di programmazione.
Oggi spesso ne rivendono i risultati, ma non fu così negli anni ‘70.
Esiste forse alcun dubbio che le università svilupperebbero software libero qualora non fosse loro consentito di vendere il software?
Questi progetti potrebbero essere finanziati dagli stessi contratti e
borse di studio governativi che attualmente finanziano lo sviluppo di software proprietario.
Oggi è comune per i ricercatori universitari ottenere borse di studio per lo sviluppo di un sistema, realizzarlo fino quasi al punto
35
finale e definirlo “completato”, per poi fondare delle aziende in
cui portano davvero a compimento il progetto e lo rendono utilizzabile. Talvolta dichiarano “libera” la versione non finita; se sono
corrotti fino in fondo, ottengono invece una licenza esclusiva dall’università. Ciò non è certo un segreto, viene ammesso apertamente da ogni soggetto coinvolto. Eppure se i ricercatori non fossero esposti alla tentazione di comportarsi in questo modo, proseguirebbero tuttora le proprie ricerche.
Gli sviluppatori che scrivono software libero possono guadagnarsi da vivere vendendo servizi connessi al software. Io sono stato
assunto per portare il compiler GNU C su un nuovo hardware, e
per realizzare le estensioni dell’interfaccia-utente per GNU Emacs.
(Offrirò queste migliorie al pubblico una volta completate). Tengo anche dei corsi per cui vengo pagato.
Non sono il solo a lavorare in tal modo; oggi esiste una corporation di successo e in crescita che fa soltanto questi tipi di lavori.
Anche diverse altre aziende offrono supporto commerciale per il
software libero del sistema GNU. Questo è l’inizio dell’industria
a sostegno del software indipendente – un’industria che potrebbe
raggiungere dimensioni piuttosto ampie se il software libero
diventasse prevalente. Ciò offre agli utenti un’opzione generalmente non disponibile per il software proprietario, eccetto a chi è
molto ricco.
Nuove8 istituzioni quali la Free Software Foundation possono
altresì sostenere i programmatori.
Gran parte dei finanziamenti della Foundation arrivano dagli
acquirenti di dischi e nastri tramite posta. Il software sui nastri è
libero, il che significa che ogni utente ha libertà di copiarlo e modificarlo, ma in ogni caso molti pagano per averne delle copie.
8
Quest’articolo è stato scritto il 24 aprile 1992.
36
(Ricordiamoci che “free software” si riferisce alla libertà, non al
prezzo). Alcuni utenti già in possesso di una copia, ordinano i
nastri come modo per offrire l’obolo che secondo loro noi meritiamo. La Foundation riceve inoltre donazioni di una certa
ampiezza dai produttori di computer.
La Free Software Foundation è un ente senza fini di lucro, e i ricavi vengono spesi per ingaggiare quanti più programmatori possibile. Se fosse stata impostata come attività commerciale, distribuendo al pubblico lo stesso software libero per la medesima cifra
odierna, fornirebbe un’ottima fonte di sostentamento al suo fondatore.
Essendo la Foundation un ente senza fini di lucro, spesso i programmatori vi lavorano per metà della cifra che potrebbero chiedere altrove. Lo fanno perché siamo liberi dalla burocrazia, e perché sono soddisfatti nel sapere che il loro lavoro non subirà ostruzioni nell’utilizzo. Ma soprattutto lo fanno perché programmare
è divertente. In aggiunta, dei volontari non pagati hanno scritto
per noi molti programmi utili. (Abbiamo perfino scrittori tecnici
volontari).
Ciò conferma come la programmazione sia tra i campi più affascinanti di tutti, insieme alla musica e all’arte. Non dobbiamo
temere che non ci sarà gente che vorrà programmare.
Cosa devono gli utenti agli sviluppatori?
C’è una buona ragione per chi usa il software di sentirsi moralmente obbligati a contribuire al suo sostegno. Gli sviluppatori di
software libero contribuiscono alle attività degli utenti, e oltre che
giusto è nell’interesse a lungo termine degli stessi utenti dare loro
i finanziamenti per continuare.
Ciò tuttavia non si applica a chi sviluppa software proprietario, per37
ché l’ostruzionismo merita una punizione anziché una ricompensa.
Eccoci così di fronte a un paradosso: chi sviluppa software utile
ha diritto al sostegno degli utenti, ma qualsiasi tentativo di trasformare quest’obbligo morale in un requisito distrugge le basi
stesse di tale obbligo. Uno sviluppatore può meritare o richiedere
una ricompensa, ma non entrambe le cose.
Credo che di fronte a tale paradosso uno sviluppatore dotato di
senso etico deve fare in modo di meritare la ricompensa, ma
dovrebbe anche stimolare gli utenti alle donazioni volontarie. Alla
fin fine gli utenti impareranno a sostenere gli sviluppatori senza
costrizione, così come hanno imparato a sostenere le stazioni radio
e televisive pubbliche.
Cos’è la produttività del software?
Se il software fosse libero, esisterebbero ancora i programmatori,
ma forse in numero minore. Ciò sarebbe un male per la società?
Non necessariamente. Oggi le nazioni avanzate hanno meno agricoltori che nel 1900, ma non lo consideriamo un male per la
società, visto che un numero minore offre ai consumatori una
quantità maggiore di cibo. Ciò viene definito miglioramento produttivo. Il software libero richiederebbe un numero assai minore
di programmatori per soddisfare la domanda, per via dell’accresciuta produttività del software a tutti i livelli:
– Utilizzo più ampio di ciascun programma sviluppato.
– Capacità di adattare i programmi esistenti per la personalizzazione, invece di partire da zero.
– Migliore educazione dei programmatori.
– L’eliminazione dei doppioni nei progetti di sviluppo.
Quanti si oppongono alla cooperazione sostenendo che provocherebbe l’assunzione di un numero minore di programmatori van38
no in realtà opponendosi alla maggiore produttività. Eppure costoro generalmente accettano la credenza comune secondo cui l’industria del software necessiti di un incremento produttivo. Come mai?9
La “produttività del software” può avere due significati diversi: la
produzione complessiva dell’intero settore di sviluppo del software oppure la produttività di progetti individuali. La produttività
complessiva è quel che la società vorrebbe migliorare, e la maniera più diretta per farlo è eliminare gli ostacoli artificiali alla cooperazione che riducono tale produttività. Ma i ricercatori che studiano il campo della “produttività del software” si concentrano
unicamente sul secondo, limitato, significato del termine, dove il
miglioramento richiede difficili avanzamenti tecnologici.
La competizione è inevitabile?
È inevitabile che si cerchi di competere, di sorpassare i propri rivali nella società? Forse lo è. Ma la competizione in se stessa non è
dannosa; la cosa dannosa è il combattimento.
Esistono molti modi di competere. La competizione può consistere nel cercare di raggiungere sempre di più, di superare quel che
hanno fatto gli altri. Ad esempio, in passato c’era competizione tra
i maghi della programmazione – competizione per chi riusciva a
far fare al computer le cose più incredibili, o per chi riusciva a creare il programma più breve o più veloce per un particolare compi9
Secondo Eric Raymond, il 95% dei posti di lavoro dell’industria del software riguarda
la produzione di software personalizzato, nient’affatto previsto per la pubblicazione. Ne
consegue che pur assumendo lo scenario teorico peggiore, ovvero che non esisteranno posti
di lavoro per lo sviluppo di software libero (e già sappiamo che ne esistono alcuni), il
passaggio al software libero potrà avere uno scarso effetto sul numero totale di posti di
lavoro per il software. Esiste una gran quantità di spazio per chi voglia scrivere software
personalizzato e sviluppare software libero quando avanza tempo. Non esiste alcun
modo per sapere se la piena conversione al software libero porterebbe all’aumento o alla
diminuzione del numero di posti di lavoro nel campo del software.
39
to. Questo tipo di competizione può giovare a chiunque, fintantoché si mantiene lo spirito della buona lealtà sportiva.
La competizione costruttiva è sufficientemente competitiva da
spingerci a fare grandi sforzi. Un certo numero di persone stanno
gareggiando per essere i primi ad aver visitato tutti i paesi sulla terra; qualcuno spende anche una fortuna nel tentativo di riuscirci.
Ma non cercano di corrompere i capitani delle navi perché abbandonino i rivali su un’isola deserta. Sono contenti di lasciar vincere la persona più in gamba.
La competizione diventa lotta quando coloro che gareggiano iniziano a bloccarsi a vicenda invece di pensare al proprio avanzamento – quando “lasciar vincere la persona più in gamba” si trasforma in “lasciar vincere me stesso, più in gamba o meno che sia”.
Il software proprietario è dannoso, non perché sia una forma di
competizione, ma perché è una forma di combattimento tra i cittadini della società.
Nell’imprenditoria competizione non significa necessariamente
lotta. Ad esempio, quando due negozi di alimentari sono in competizione, i loro sforzi si concentrano sul miglioramento delle proprie operazioni, non sul sabotaggio del rivale. Ma ciò non dimostra un particolare attaccamento all’etica commerciale; piuttosto,
ha poco senso combattere in questo tipo di attività senza ricorrere alla violenza fisica. Non tutti i settori imprenditoriali condividono questa caratteristica. Tenere segrete informazioni che potrebbero aiutare tutti ad avanzare è una forma di combattimento.
L’ideologia commerciale non prepara la gente a resistere alla tentazione di lottare come forma di competizione. Alcuni tipi di combattimento sono stati vietati con legislazioni anti-monopolio, leggi sulla veridicità della pubblicità, e così via, ma anziché generalizzare ciò in un principio di rifiuto della lotta in generale, i diri40
genti hanno inventato altre forme di combattimento che non sono
specificamente proibite. Le risorse della società vengono sperperate nell’equivalente economico di una guerra civile tra fazioni.
“Perché non te ne vai in Russia?”
Negli Stati Uniti chiunque sostenga qualsiasi posizione diversa
dalla forma più estrema di laissez-faire egoistico ha sentito spesso
quest’accusa. Viene ad esempio usata contro i sostenitori di un
sistema nazionale d’assistenza sanitaria, come ne esistono in tutte
le altre nazioni industrializzate del mondo libero. Viene usata contro i sostenitori del sostegno pubblico alle arti, anch’esso universale nei paesi avanzati. In America l’idea che i cittadini abbiano
qualche obbligo nei confronti del bene pubblico viene identificata con il comunismo. Ma si tratta davvero di idee similari?
Il comunismo per come fu praticato nell’Unione Sovietica era un
sistema di controllo centralizzato dove tutta l’attività era irreggimentata, apparentemente per il bene comune, ma in realtà a vantaggio dei membri del partito comunista. E dove i dispositivi per
la copia erano sorvegliati da vicino onde evitare la copia illegale.
Il sistema americano del diritto d’autore sul software impone il
controllo centralizzato sulla distribuzione di un programma, e i
dispositivi per la copia sono sorvegliati tramite sistemi anti-copia
automatici onde evitare la copia illegale.
All’opposto, il mio lavoro punta alla costruzione di un sistema in
cui la gente sia libera di decidere sulle proprie azioni; in particolare, libera di aiutare i vicini, e libera di alterare e migliorare gli
strumenti che usano nella vita quotidiana. Un sistema basato sulla cooperazione volontaria e sulla decentralizzazione. Perciò, se
dovessimo giudicare le posizioni sulla somiglianza al comunismo
russo, sarebbero i proprietari di software a essere comunisti.
41
La questione delle premesse
In questo saggio parto dalla premessa che l’utente di software non
sia meno importante di un autore, o anche del datore di lavoro di
un autore. In altri termini, gli interessi e le necessità di tutti costoro hanno un uguale peso quando si tratta di decidere il miglior
corso d’azione. Questa premessa non è accettata a livello universale. Molti sostengono come il datore di lavoro di un autore sia
essenzialmente più importante di chiunque altro. Si dice, ad esempio, che lo scopo nell’avere proprietari di software è quello di dare
al datore di lavoro di un autore il vantaggio che merita – prescindendo dal modo in cui ciò possa influenzare il pubblico.
È inutile cercare di convalidare o confutare tali premesse. Ogni prova si basa su premesse condivise. Perciò gran parte di quanto vado
sostenendo è indirizzato soltanto a quanti condividono le premesse che uso, o almeno a quanti sono interessati a vederne le conseguenze. Per quanti ritengono che i proprietari siano più importanti di chiunque altro, questo saggio è semplicemente irrilevante.
Ma perché un gran numero di americani dovrebbe accettare una
premessa che eleva l’importanza di alcuni individui su chiunque
altro? In parte perché ci si basa sulla credenza che tale premessa
faccia parte della tradizione legale della società americana. Per
qualcuno, dubitare della premessa significa mettere in discussione le basi stesse della società.
È importante informare costoro che tale premessa non è parte della nostra tradizione legale. Né lo è mai stata.
Ovvero, la Costituzione dice che lo scopo del copyright è quello
di “promuovere il progresso della scienza e delle arti utili”. La Corte Suprema ha elaborato su quest’idea, affermando nella causa Fox
Film vs. Doyal che “l’unico interesse degli Stati Uniti e l’oggetto
primario nel conferire il monopolio [del copyright] risiede nei
42
benefici generali derivanti al pubblico dal lavoro degli autori”.
Non siamo obbligati a essere d’accordo con la Costituzione o con
la Corte Suprema. (A un certo punto, entrambi perdonarono la
schiavitù). Le loro posizioni non condannano la premessa sulla
supremazia del proprietario. Spero però che la consapevolezza per
cui ciò sia un assunto della destra radicale, piuttosto che un fatto
tradizionalmente riconosciuto, perderà il proprio fascino.
Conclusione
Ci piace pensare che la società incoraggi l’aiuto al vicino; ma ogni
volta che ricompensiamo qualcuno perché fa ostruzione, o lo
ammiriamo per la ricchezza accumulata in tal modo, stiamo
inviando il messaggio opposto.
L’accumulazione del software è una forma della nostra volontà
generale di non considerare il benessere della società a favore del
profitto personale. Possiamo notare questa mancanza di considerazione da Ronald Reagan a Jim Bakker10, da Ivan Boesky11 a
Exxon12, dalle banche fallite alle scuole fallite. Possiamo misurarla con la quantità di gente senza casa e di popolazione carceraria.
Lo spirito antisociale si nutre da solo, perché più ci rendiamo conto che gli altri non ci aiuteranno, più sembra futile aiutarli. Così
la società si trasforma in una giungla.
10
Negli anni ‘80 Jim Bakker raccolse milioni di dollari in televisione per i suoi gruppi
religiosi Heritage USA, PTL e Inspirational Network. Venne condannato a 45 anni di
carcere per frode via posta e banca per le campagne di raccolta fondi a favore di PTL.
11
Ivan Boesky fu mandato in prigione e multato per 100 milioni di dollari per trading
scorretto negli anni ‘80. Divenne famoso per aver detto una volta, “L’avarizia è un
bene. Voglio farvi sapere che ritengo salutare l’avarizia. Potete essere avari e sentirvi
comunque in pace con voi stessi”.
12
Negli anni ‘80 la Exxon Valdez provocò la più vasta fuoriuscita di petrolio al mondo
al largo delle coste dell’Alaska, causando danni immensi. Finora le multe e le operazioni
di pulizia gli sono costate oltre un miliardo di dollari.
43
Se non vogliamo vivere in una giungla, dobbiamo modificare il
nostro atteggiamento. Dobbiamo iniziare a veicolare il messaggio
che un buon cittadino è quello che coopera quando appropriato,
non quello che è bravo a prendere dagli altri. Spero che il movimento del software libero possa offrire dei contributi in tal senso:
almeno in un campo, sostituiremo la giungla con un sistema più
efficace che incoraggi e giri sulla cooperazione volontaria.
Originalmente scritto nel 1992, questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa
nota.
44
Diritto d’autore
e globalizzazione
nell’era delle reti
informatiche
Introduzione
David Thorburn, moderatore: Il relatore di oggi, Richard Stallman,
è una figura leggendaria del mondo informatico, e la mia esperienza nel tentativo di trovare un correlatore per condividere il
podio con lui è stata istruttiva. Un distinto professore del MIT mi
ha detto che Stallman va considerato al pari della figura carismatica di una parabola biblica – una sorta di aneddoto-lezione del
Vecchio Testamento. “Immagina”, mi ha detto, “un Mosè o un
Geremia – meglio, un Geremia”. Gli ho replicato: “Bene, davvero ammirevole. Ciò conferma la mia sensazione sul tipo di contributo che ha dato al mondo. Allora perché sei riluttante a dividere il podio con lui?” La sua risposta: “Come Geremia o Mosè,
ne sarei semplicemente sopraffatto. Non posso tenere un intervento insieme a lui, ma se mi avessi chiesto di nominare cinque
persone viventi nel mondo che hanno veramente aiutato tutti noi,
Richard Stallman sarebbe uno di questi.”
L’intervento di Stallman
Dovrei iniziare spiegando perché ho rifiutato il permesso alla trasmissione sul web di questo forum, nel caso la questione non fos45
se sufficientemente chiara: il programma impiegato per la trasmissione sul web richiede all’utente di prelevare determinato
software per poter ricevere il segnale. Questo software non è
software libero. È disponibile a costo zero ma soltanto come eseguibile, cioè una misteriosa sequenza di numeri.
Ciò che fa è segreto. Non lo si può studiare, non lo si può modificare, e certamente non se ne può pubblicare una versione modificata. E queste rientrano fra le libertà essenziali incluse nella definizione di “software libero”.
Così, se devo essere un onesto sostenitore del software libero, non
posso andare in giro a fare discorsi e poi spingere le persone ad
usare software non libero. Nuocerei alla mia stessa causa. E se non
dimostro di prendere i miei principi sul serio, non posso aspettarmi che altri li prendano sul serio.
Tuttavia il mio intervento non riguarda il software libero. Dopo
aver lavorato per anni nel movimento per il software libero e aver
visto la gente usare alcune parti del sistema operativo GNU, ho
iniziato a ricevere inviti per tenere interventi nei quali il pubblico
prese a chiedermi: “Bene, come è possibile ampliare le idee sulla
libertà per gli utenti del software ad altri tipi di cose?”
E naturalmente facevano domande stupide tipo, “Dovrebbe forse essere libero anche l’hardware?”, “Dovrebbe essere libero questo microfono?”
Cosa significa tutto ciò? Dovremmo essere liberi di copiarlo e
modificarlo? Per quanto riguarda le modifiche, una volta comprato il microfono, nessuno ci impedirà di modificarlo. E per
copiarlo, nessuno possiede una copiatrice di microfoni. Al di fuori di Star Trek, queste cose non esistono. Forse un giorno ci saranno analizzatori ed assemblatori nanotecnologici, e sarà realmente
possibile copiare un oggetto fisico, e allora il problema del se si è
46
liberi di farlo o meno comincerà ad essere davvero importante.
Vedremo aziende agricole che vorranno impedire alla gente di
copiare il cibo, e questo diventerà un problema politico importante, se mai esisterà una simile capacità tecnologica. Non so se
succederà, a questo punto si tratta soltanto di pura speculazione.
Ma per altri tipi di informazioni, il problema può essere sollevato
perché ogni tipo di informazione che può essere memorizzata su
un computer, presumibilmente, può essere copiata e modificata.
Così i problemi etici del software libero, i problemi del diritto di
un utente di copiare e modificare il software, sono identici a quelli relativi ad altri tipi di informazioni pubblicate. Non mi riferisco a informazioni private, diciamo, i dati personali, che non devono essere mai rese disponibili al pubblico. Parlo dei diritti di un
utente quando ottiene copie di cose pubblicate senza alcun tentativo di tenerle segrete.
La storia del copyright
Per meglio illustrare le mie idee in materia, vorrei rivedere la storia della distribuzione delle informazioni e del diritto d’autore. Nel
mondo antico, i libri erano scritti a mano con una penna, e chiunque sapesse leggere e scrivere poteva copiare un libro in maniera
efficace come chiunque altro. Probabilmente qualcuno che vi si
dedicava tutto il giorno, aveva imparato a farlo meglio, ma non
esisteva alcuna differenza sostanziale. E poiché le copie erano fatte una per volta, non c’era un grande valore economico. Fare dieci copie richiedeva dieci volte il tempo necessario per fare una
copia. Non esisteva alcuna costrizione verso la centralizzazione –
un libro poteva essere copiato ovunque.
A causa di questa tecnologia, poiché non imponeva che le copie
fossero identiche, nel mondo antico non esisteva una differenza
47
sostanziale tra copiare e scrivere un libro. Ci sono cose nel mezzo
che avevano senso. Comprendevano l’idea di un autore. Sapevano, diciamo, che una certa commedia era stata scritta da Sofocle,
ma tra scrivere un libro e copiare un libro, c’erano altre cose utili
che si potevano fare. Per esempio, si poteva copiare parte di un
libro, poi scrivere alcune parole nuove, copiare ancora e scrivere
alcune nuove parole e così via. Questo lo si definiva “scrivere un
commentario”. Si trattava di un’attività piuttosto comune, e questi commentari erano apprezzati.
Si poteva anche copiare un passaggio da un libro, poi scrivere altre
parole, e copiare un passaggio da un altro libro e scrivere ancora e
così via, e così si creava un compendio. Anche i compendi erano
molto utili. Ci sono opere che sono andate perdute, ma parti di
esse sono sopravvissute se riprese in altri libri che hanno avuto più
popolarità dell’originale. Forse si sono copiate le parti più interessanti, e così se ne sono fatte molte copie, ma non ci si è preoccupati di copiare l’originale, perché non era abbastanza interessante.
Ora, per quanto posso saperne, nel mondo antico non esistevano
cose come il diritto d’autore. Chiunque volesse copiare un libro
poteva farlo. Più avanti, è stata sviluppata la tecnica della stampa
e i libri hanno iniziato ad essere stampati. La stampa non è stata
solo un miglioramento quantitativo per copiare in maniera più
agevole. Ha influenzato i diversi tipi di copia in modo diverso perché ha introdotto una certa economia di scala. Occorreva lavorare parecchio per impostare la macchina tipografica, e assai meno
lavoro per fare molte copie identiche della pagina. Come risultato, la copia dei libri iniziò a diventare un’attività centralizzata di
produzione di massa. Probabilmente le copie di un certo libro
saranno state fatte soltanto in determinati luoghi.
48
Ciò significava inoltre che i comuni lettori non potevano copiare
i libri in maniera efficace. Ci si riusciva solo se si aveva una macchina per la stampa: era un’attività industriale.
Ora, nei primi secoli di vita della stampa, i libri stampati non hanno sostituito totalmente le copie fatte a mano. Se ne facevano
ancora, a volte dai ricchi e a volte dai poveri. I ricchi lo facevano
per avere una copia particolarmente bella che avrebbe dimostrato
quanto erano ricchi, e i poveri lo facevano perché forse non avevano abbastanza soldi per comprare una copia stampata, ma avevano tempo per copiare un libro a mano. Come dice la canzone,
“Il tempo non è denaro quando tutto ciò che hai è il tempo”.
Così, si facevano ancora copie a mano. Fu nel 1800, credo, che la
stampa divenne in realtà abbastanza economica da consentire
anche ai poveri di acquistare libri stampati, se sapevano leggere.
Ora, il diritto d’autore si è sviluppato insieme all’uso della stampa e, considerando questa tecnologia, ha avuto l’effetto di una
regolamentazione industriale. Non regolava quel che fosse concesso fare ai lettori; limitava ciò che potevano fare gli editori e gli
autori. Inizialmente in Inghilterra il diritto d’autore è stato una
forma di censura. Per pubblicare un libro bisognava avere il permesso del governo. Ma poi il concetto è cambiato. Con la Costituzione degli Stati Uniti, si giunse ad un’idea diversa sugli scopi
del diritto d’autore, e credo che tale idea venisse accettata anche
in Inghilterra.
Per la Costituzione statunitense venne proposto di assegnare il
copyright agli autori, un monopolio sulla copia dei propri libri.
Questa proposta fu respinta. Se ne adottò invece una fondamentalmente diversa e cioè che, per promuovere il progresso, il Congresso poteva stabilire eventualmente un sistema di diritti d’autore che avrebbe poi creato questi monopoli. Così i monopoli,
49
secondo la Costituzione statunitense, non esistono per il bene di
chi li possiede; esistono per promuovere il progresso della scienza.
I monopoli sono concessi agli autori come modalità per modificare il proprio comportamento onde fare qualcosa di utile per il
pubblico.
Così l’obiettivo è avere un maggior numero di libri scritti e pubblicati che gli altri possano poi leggere. E si ritiene che questo [il
copyright] contribuisca ad una maggiore attività letteraria, ad
ampliare la produzione di scritti scientifici e in altri campi, e che
la società possa imparare grazie a ciò. Questo è il fine da perseguire. La creazione di monopoli privati è stata solo un mezzo per
raggiungere un certo fine, e questo è un fine pubblico.
Nell’epoca della stampa il diritto d’autore era praticamente indolore perché si trattava di una regolamentazione industriale. Limitava soltanto le attività di editori ed autori. In senso stretto, anche
i poveri che copiavano i libri a mano potevano infrangere il diritto d’autore. Ma nessuno cercò mai di imporre il copyright nei loro
confronti perché venne considerato una regolamentazione a livello industriale.1
Inoltre, nell’era della stampa era semplice imporre diritto d’autore, perché andava applicato soltanto laddove esistesse un editore,
e gli editori, per la natura stessa della loro attività, si facevano conoscere. Se si cerca di vendere libri, bisogna dire al pubblico dove
andare a comprarli. Non si va nelle case di tutti ad imporre il diritto d’autore.
Infine, in quel contesto il diritto d’autore può essere stato un sistema benefico. Negli Stati Uniti il copyright viene considerato dagli
studiosi di legge un patto tra il pubblico e gli autori. Il pubblico
1
Gli statuti originali parlavano soltanto di editoria e stampa. Non esisteva alcuna
regolamentazione per la copia a mano – molto probabilmente perché la
regolamentazione riguardava l’industria.
50
scambia alcuni dei propri diritti naturali a fare copie, e in cambio
ottiene il beneficio di avere un maggior numero di libri scritti e
pubblicati.
Ora, si tratta di un patto vantaggioso? Be’, quando il pubblico non
può fare delle copie perché queste vengono fatte in maniera efficace solo con macchine per la stampa – e la maggior parte della
gente non possiede tali macchine – il risultato è che il pubblico
sta scambiando una libertà che non può esercitare, una libertà che
non è di nessun valore pratico. Perciò se si possiede qualcosa che
non è di primaria importanza o è inutile, e si ha la possibilità di
scambiarla per qualcos’altro di un qualche valore, ci si guadagna.
Ecco perché a quel tempo può darsi che il diritto d’autore sia stato un patto vantaggioso per il pubblico.
Ma il contesto va mutando, e ciò deve cambiare la nostra valutazione etica del diritto d’autore. Ora, i principi alla base dell’etica
non sono modificati dai progressi nella tecnologia; sono troppo
fondamentali per essere toccati da simili contingenze. Ma le nostre
decisioni su una determinata questione dipendono dalle conseguenze delle alternative disponibili, e le conseguenze di una certa
scelta possono cambiare quando cambia il contesto. Questo è ciò
che succede nell’area della legge sul copyright, perché l’epoca della stampa sta per chiudersi, lasciando gradualmente spazio all’era
delle reti informatiche.
Le reti informatiche e le tecnologie dell’informazione digitale ci
riportano ad un ambito più simile al mondo antico, dove chiunque sapesse leggere ed usare le informazioni poteva anche copiarle e poteva fare copie facilmente al pari di chiunque altro. Si tratta di copie perfette e valide quanto le copie che potrebbe fare
chiunque altro. Così la centralizzazione e l’economia introdotta
dalla stampa e da simili tecnologie va scomparendo.
51
Questo mutamento nel contesto generale cambia il modo in cui
funziona la legislazione in tema di diritto d’autore. Il copyright
non svolge più una funzione di regolamentazione dell’industria: è
diventata una restrizione draconiana imposta al pubblico. Originariamente tale legislazione voleva essere una restrizione imposta
agli editori a favore degli autori; oggi, all’atto pratico, è una restrizione imposta al pubblico a favore degli editori. Una volta il diritto d’autore era una pratica relativamente priva di effetti negativi,
che non suscitava discussioni, e non costituiva una limitazione per
il pubblico. Oggi ciò non è più vero. Se possedete un computer,
l’interesse primario degli editori è quello di imporvi delle restrizioni. Il diritto d’autore una volta era facile da far rispettare perché era una restrizione solo per gli editori, ed era facile trovarli per
esaminare quanto pubblicavano. Ora il diritto d’autore è una
restrizione su tutti e ciascuno di voi. Per imporne il rispetto occorre sorveglianza, intrusioni e pene severe, e stiamo osservando l’introduzione di queste misure nelle leggi degli Stati Uniti e di altri
paesi.
Il diritto d’autore era effettivamente uno scambio vantaggioso per
il pubblico, perché quest’ultimo dava in cambio delle libertà che
di fatto non poteva esercitare. Ma oggi il pubblico può esercitare
tali libertà. Cosa fate se avete un sottoprodotto che una volta non
vi serviva, eravate abituati a scambiarlo e improvvisamente ne scoprite un uso? Potete consumarlo o utilizzarlo. Cosa farete in pratica? Non lo scambiate affatto, ne tenete almeno una parte. E naturalmente questo è quanto vorrebbe fare la gente. È ciò che il pubblico fa ogniqualvolta gli viene data voce per esprimere la propria
preferenza, conserva una parte della propria libertà e la esercita.
Napster, in cui il pubblico decide di esercitare la libertà di copia
invece di rinunciarvi, è un grande esempio di questo principio. La
52
cosa naturale da farsi per rendere la normativa sul diritto d’autore adatta alla situazione odierna è ridurre l’ammontare di potere
nelle mani dei detentori del copyright, ridurre la quantità di restrizioni che essi impongono al pubblico, e aumentare la libertà conservata dalla gente.
Ma ciò non piace agli editori, i quali vogliono esattamente l’opposto. Gli editori intendono aumentare i poteri del diritto d’autore fino al punto in cui possano controllare rigidamente ogni utilizzo delle informazioni. Ciò ha portato a legislazioni che concedono un aumento di potere senza precedenti per i detentori del
copyright. Vengono così sottratte quelle libertà che il pubblico era
solito mantenere nell’era della carta stampata.
Consideriamo ad esempio gli e-book, i libri elettronici. Oggi vanno tremendamente di moda, è difficile evitarli. Mentre ero in Brasile ho preso un aereo e nella rivista a bordo c’era un articolo in
cui si prevedeva che entro 10 o 20 anni saremmo tutti passati agli
e-book. Chiaramente, questo tipo di campagna pubblicitaria è
pagata da qualcuno. Perché? Credo di saperlo. La ragione è che gli
e-book costituiscono l’opportunità per togliere alcune delle libertà
che i lettori della carta stampata hanno sempre avuto e continuano ad avere – la libertà, per esempio, di prestare un libro ad un
amico, o di prenderlo a prestito da una biblioteca pubblica, o di
venderne una copia ad un negozio di libri usati, o di comprarne
una copia in modo anonimo e senza dover inserire i dati dell’acquirente in un apposito database. E forse persino il diritto di leggerlo due volte.
Sono queste le libertà che gli editori vorrebbero eliminare, ma non
possono farlo per i libri stampati perché sarebbe una presa di potere troppo ovvia e provocherebbe una reazione generalizzata. E così
hanno trovato una strategia indiretta. Prima, ottengono una legi53
slazione che elimini questi diritti per gli e-book quando non ci
sono e-book; così non si crea alcuna controversia. Non esistono
lettori di libri elettronici a difendere le libertà a cui erano abituati. Obiettivo ottenuto con il Digital Millennium Copyright Act
del 1998. Successivamente hanno introdotto gli e-book, convincendo tutti a passare gradualmente dai libri stampati a quelli elettronici, e il risultato finale è che i lettori hanno perso quelle libertà
senza che ci sia stato un preciso momento in cui quelle libertà siano state sottratte e ci si potesse battere per conservarle.
Allo stesso tempo possiamo osservare analoghi tentativi per privare la gente delle proprie libertà nell’uso di altri tipi di opere pubblicate. Ad esempio, i film su DVD vengono cifrati in un formato considerato segreto – era stato progettato per essere segreto – e
l’unico modo per farsi dire dalle società cinematografiche il metodo di cifratura, in modo da poter costruire dei lettori DVD, era
firmare un contratto che obbligava a implementare determinate
restrizioni negli apparecchi, con il risultato di impedire al pubblico perfino l’esercizio dei propri diritti legali. A un certo punto
alcuni programmatori europei scoprirono il formato dei DVD e
scrissero un programma libero per leggerli.2 Ciò rese possibile utilizzare software libero e GNU/Linux per guardare un DVD regolarmente acquistato, il che è una cosa assolutamente legittima. È
giusto poterlo fare con software libero.
Ma le società cinematografiche non erano d’accordo, e portarono
la questione in tribunale. Sapete, l’industria cinematografica una
volta produceva un sacco di film con scienziati pazzi e qualcuno
diceva, “Ma, dottore, ci sono alcune cose che l’Uomo non dovrebbe conoscere”. Probabilmente queste società hanno visto troppi
dei loro film, perché sono giunte alla conclusione che il formato
2
Oggi esistono diversi pacchetti analoghi; il primo si chiamava “DeCSS”.
54
dei DVD fosse qualcosa che l’Uomo non doveva conoscere, e sono
riuscite ad ottenere una sentenza di censura totale sul software usato per leggere i DVD. È stato proibito persino l’inserimento di un
link ad un sito fuori dagli Stati Uniti dove è legale diffondere queste informazioni. La sentenza è già stata portata in appello. In tale
occasione ho presentato un documento di sostegno, e ne sono
orgoglioso, anche se in effetti sto giocando un ruolo minimo in
questa specifica battaglia.
Il governo degli Stati Uniti è intervenuto direttamente a sostegno
della parte avversa. Ciò non deve sorprendere se consideriamo in
primo luogo il motivo per cui è stato approvato il Digital Millennium Copyright Act. La ragione risiede nel sistema di finanziamento delle campagne elettorali che abbiamo negli Stati Uniti,
cioè essenzialmente una corruzione legalizzata in cui i candidati
vengono comprati dalle varie aziende prima ancora di essere eletti. E, ovviamente, conoscono bene i loro padroni – sanno per chi
stanno lavorando, e approvano quelle leggi che danno maggior
potere a tali aziende.
Non sappiamo come andrà a finire questa battaglia. Nel frattempo l’Australia ha approvato una legge simile e anche l’Europa si
appresta a farlo; il piano è di non lasciare alcun luogo al mondo
dove siano disponibili queste informazioni. Gli Stati Uniti rimangono comunque i primi nel tentativo di impedire al pubblico la
distribuzione di informazioni già pubblicate.
Gli Stati Uniti non sono tuttavia il primo paese per cui ciò rappresenti una priorità: era molto importante anche per l’Unione
Sovietica. Dove l’attività di fare copie non autorizzate e ridistribuirle era nota come Samizdat, e per debellare il fenomeno misero a punto una serie di metodi. Primo, guardie vicino ad ogni
dispositivo di copia, per controllare cosa venisse copiato e preve55
nire copie vietate. Secondo, dure punizioni per chiunque fosse
sorpreso in attività di copia illecita: si poteva essere spediti in Siberia. Terzo, incoraggiare la delazione, chiedendo a tutti di spiare
vicini e colleghi e riferire alla polizia dell’informazione. Quarto,
responsabilità collettiva: “Tu! Tu sei responsabile per quel gruppo
di persone! Se becco uno qualsiasi di loro a fare copie illegali, in
prigione ci vai tu. Quindi, è meglio se li controlli per bene”. E
quinto, la propaganda, a partire dall’infanzia, per convincere tutti che solo un acerrimo nemico del popolo rischierebbe di fare
copie illecite.
Oggi gli Stati Uniti stanno utilizzando tutti questi metodi. Primo,
agenti a guardia dei dispositivi di copia. Nelle copisterie ci sono
guardie umane per controllare cosa si copia. Ma costerebbe troppo ingaggiare degli esseri umani per fare lo stesso con gli utenti di
computer, il lavoro umano è troppo caro. Così hanno messo a
guardia dei robot. Questo è lo scopo del Digital Millennium
Copyright Act. L’unico modo per accedere a certi dati è inserire
nel computer un particolare software, che vi impedisce di copiare quegli stessi dati.
Oggi esiste un progetto per l’introduzione di tale software in ogni
hard disk, e in questo modo potreste trovarvi dei file a cui non
potete accedere, a meno di ottenere il permesso da qualche server
di rete. E il tentativo di aggirare quel software, o persino di dire
ad altri come aggirarlo, costituisce un crimine.
Secondo, punizioni dure. Alcuni anni fa, fare copie di qualcosa e
passarle a un amico giusto per aiutarlo, non costituiva reato; non
lo era mai stato negli Stati Uniti. Poi venne trasformato in un crimine, e si può essere incarcerati per anni solo per aver condiviso
qualcosa con il vicino.
Terzo, informatori. Avrete visto quelle pubblicità in TV e nella
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metropolitana di Boston che incitavano a denunciare i colleghi
alla polizia dell’informazione, ufficialmente nota come Software
Publishers Association.
Quarto, responsabilità collettiva. Negli Stati Uniti ciò è stato fatto cooptando i provider d’accesso a internet, rendendoli legalmente responsabili per tutto ciò che distribuiscono i loro utenti.
L’unico modo che hanno per non essere considerati comunque
responsabili è l’applicazione di una procedura non modificabile
per disconnettere l’utente o rimuovere l’informazione inviata
entro due settimane da un reclamo. Giusto qualche giorno fa ho
sentito che un sito di protesta contro alcune brutte pratiche di
Citybank è stato cancellato in questo modo. Oggigiorno, non si
fa nemmeno in tempo ad arrivare in tribunale: il vostro sito viene semplicemente fatto sparire.
E infine, la propaganda a cominciare dall’infanzia. È per questo
che si ricorre al termine “pirata”. Se ci pensate, qualche anno fa
tale termine veniva utilizzato per definire quegli editori che non
pagavano gli autori. Ma ora il significato è stato completamente
stravolto. Oggi viene applicato a quei membri del pubblico che
sfuggono al controllo degli editori. Viene usato per convincere la
gente che solo un nemico del popolo farebbe delle copie illegali.
Il termine trasmette il messaggio che “condividere qualcosa con il
vicino è moralmente equivalente ad attaccare una nave”. Spero che
non siate d’accordo con questa caratterizzazione, e se non lo siete, spero che vi rifiuterete di utilizzare il termine in tal senso.
Gli editori stanno comprando delle leggi onde dotarsi di maggiori poteri. Stanno inoltre estendendo la durata del diritto d’autore.
La Costituzione degli Stati Uniti dice che il copyright è valido per
un periodo di tempo limitato, ma gli editori vogliono farlo durare per sempre. Ma siccome ottenere una modifica costituzionale
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risulterebbe piuttosto difficile, hanno trovato un modo più semplice per raggiungere lo stesso risultato. Ogni 20 anni si estende
in maniera retroattiva il diritto d’autore di 20 anni. Così il risultato è che in ogni momento il diritto d’autore dura nominalmente per un periodo determinato e un giorno qualsiasi copyright è
destinato a terminare. Ma quel termine non verrà mai raggiunto
perché ogni 20 anni quel copyright verrà esteso di 20 anni; così
nessuna opera potrà mai tornare di pubblico dominio. Questa pratica è stata chiamata “perpetual copyright on the installment plan”,
copyright perpetuo nel progetto rateale.
La legge del 1998 che estende il diritto d’autore per ulteriori 20
anni è nota come il “Mickey Mouse Copyright Extension Act”3
perché uno dei suoi principali sponsor fu la Disney. Questa si rese
conto che il diritto d’autore su Topolino stava per scadere, qualcosa che andava assolutamente evitato perché da quel copyright
guadagnava molto denaro.
Globalizzazione
In effetti il titolo di questo intervento doveva essere “Diritto d’autore e Globalizzazione”. Per quanto riguarda la globalizzazione,
questa viene portata avanti tramite una serie di politiche implementate in nome dell’efficienza economica ovvero i cosiddetti
accordi per il libero commercio, che in realtà sono pensati per dare
potere alle imprese a scapito delle leggi e della politica. Non hanno nulla a che fare con il libero scambio, ma piuttosto con un trasferimento di potere: togliere il potere decisionale e legislativo ai
cittadini di qualsiasi paese possa plausibilmente tenere in considerazione i propri interessi, e assegnarlo alle imprese, che non ter3
Il titolo ufficiale è “The Sonny Bono Copyright Term Extension Act”.
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ranno nella minima considerazione l’interesse di quei cittadini.
Dal loro punto di vista, è la democrazia ad essere un problema e
questi accordi vengono stipulati per porvi fine. Ad esempio, il
NAFTA4 contiene dei provvedimenti che, mi sembra, consentono alle aziende di querelare un altro governo per sbarazzarsi di
qualche legge che ritengano stia interferendo con i loro profitti in
quel paese. Così le società straniere possono avere maggior potere dei cittadini di una nazione.
Sono in atto tentativi per ampliare queste posizioni oltre il NAFTA. È ad esempio questo uno degli obiettivi della cosiddetta “area
del libero scambio delle Americhe”, che mira ad estendere questo
principio a tutti i paesi sudamericani e caraibici, mentre l’accordo multilaterale sugli investimenti doveva estenderlo al mondo
intero.
Una cosa evidenziatasi negli anni ‘90 è che tali accordi hanno iniziato ad imporre il copyright in tutto il mondo, in maniera sempre più forte e restrittiva. Questi trattati non sono accordi per il
libero scambio. Sono in realtà accordi commerciali utilizzati per
fornire alle aziende il controllo sul commercio in tutto il mondo,
in modo da eliminare il libero scambio.
Quando nel 1800 gli Stati Uniti erano un paese in via di sviluppo, lo stato non riconosceva i diritti d’autore esteri. Questa fu una
decisione presa con attenzione, e si rivelò intelligente. Si convenne che, per gli Stati Uniti, il riconoscimento di quei diritti sarebbe stato semplicemente svantaggioso e avrebbe succhiato denaro
senza dimostrarsi particolarmente utile.
Oggi si dovrebbe applicare la stessa logica ai paesi in via di sviluppo, ma gli Stati Uniti hanno sufficiente potere per costringerli ad andare contro i propri interessi. In realtà è un errore parlare
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North American Free Trade Agreement.
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degli interessi delle nazioni in questo contesto. Infatti, sono sicuro che la maggior parte di voi sappia quanto sia sbagliato tentare
di giudicare l’interesse pubblico facendo la somma della ricchezza individuale. Se i lavoratori americani perdessero un miliardo di
dollari e Bill Gates ne guadagnasse due, sarebbero forse gli americani in generale più ricchi? Potrebbe dirsi un bene per l’America?
Se si considera solo la cifra totale, sembra lo sia. Tuttavia, l’esempio mostra in concreto che guardare al totale è il modo sbagliato
di giudicare, poiché Bill Gates non ha alcun bisogno di altri due
miliardi di dollari, ma la perdita di un miliardo di dollari da parte di chi non ha altrettanto denaro da cui partire può essere dolorosa. Dunque, discutendo su uno di questi trattati commerciali,
quando si sente qualcuno parlare degli interessi di questa o di quella nazione, non si fa altro che sommare le entrate di tutti i cittadini. I ricchi vengono sommati ai poveri. È solo una scusa per mettere in atto lo stesso inganno per farci ignorare l’effetto sulla distribuzione delle ricchezze all’interno del paese e il fatto che quegli
accordi la renderanno ancora più disomogenea, come è accaduto
negli Stati Uniti.
Non è quindi l’interesse degli Stati Uniti a giovarsi dell’inasprimento delle norme sul diritto d’autore in tutto il mondo. È solo
quello di alcuni imprenditori, molti dei quali vivono in quel paese, mentre altri risiedono altrove. Ciò non favorisce in alcun modo
l’interesse pubblico.
Ripensare il copyright
Ma cosa ha senso fare? Se crediamo nello scopo del diritto d’autore incluso, ad esempio, nella Costituzione degli Stati Uniti, cioè
quello di promuovere il progresso, quali linee politiche intelligenti
andrebbero seguite nell’era delle reti informatiche? Chiaramente,
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anziché aumentare i poteri del copyright dovremmo ridimensionarli in modo da offrire al pubblico un certo grado di libertà, con
cui trarre vantaggio dai benefici della tecnologia digitale e delle
reti informatiche. Ma fino a che punto si deve arrivare? È una
domanda interessante, poiché non credo sia necessario abolire
totalmente il diritto d’autore. L’idea di rinunciare ad alcune libertà
in cambio di un maggior progresso risulterebbe vantaggiosa ad un
certo livello, anche se il copyright tradizionale rinuncia a troppa
libertà. Ma per ragionare in maniera intelligente sulla questione,
la prima cosa da riconoscere è che non esiste alcun motivo per rendere tutto uniforme. Non c’è alcuna ragione per insistere nell’avere un unico accordo per ogni tipo di opere.
Anzi, questo è un caso già superato poiché esistono numerose eccezioni per la musica. La legislazione sul diritto d’autore considera
le opere musicali in maniera molto diversa tra loro. Ma i produttori ricorrono astutamente a un’arbitraria insistenza sull’uniformità. Prendono in esame alcuni casi particolari e sostengono degli
argomenti secondo cui, in quei casi particolari, sarebbe vantaggioso avere tutto questo diritto d’autore. Successivamente affermano che, per uniformità, le restrizioni applicate nei casi particolari devono essere estese al tutto. Così, chiaramente, scelgono un
caso particolare in cui possono produrre gli argomenti più forti,
anche se tale caso è piuttosto raro e non così importante nel contesto generale.
Ma forse, per quel caso specifico, è giusto che esista tutto quel
copyright. Non dobbiamo pagare lo stesso prezzo per ogni cosa
che compriamo. Spendere un migliaio di dollari per una macchina nuova sarebbe un ottimo affare, ma spenderne altrettanti per
una confezione di latte sarebbe, al contrario, un pessimo affare.
Di certo, in altre situazioni della vita, non si pagherebbe un prez61
zo speciale per tutto ciò che si compra. Perché farlo in questo caso?
Dobbiamo considerare le varie opere in maniera diversa tra loro,
e vorrei proporvi un possibile modo per farlo.
La prima serie di opere riguarda quelle funzionali – ovvero, opere il
cui utilizzo consente di portare a termine un qualche compito.
Questa categoria include ricette, programmi informatici, manuali e libri di testo, opere di consultazione come dizionari ed enciclopedie. Credo che per tutte queste opere funzionali la questione sia essenzialmente identica a quella del software e possano essere applicate le stesse conclusioni. Si dovrebbe avere la libertà di
pubblicarne anche una versione modificata, poiché è molto utile
modificare una di tali opere. Le necessità della gente non sono le
stesse per tutti. Se io scrivo un’opera affinché faccia qualcosa che
credo debba essere fatto, qualcun altro potrebbe avere un’idea
diversa al riguardo. E costui potrebbe voler modificare quell’opera per fargli fare ciò che è meglio per lui. A questo punto, altre
persone potrebbero avere le stesse esigenze di chi ha modificato
l’originale, e la versione modificata potrebbe andar bene anche per
loro. Chiunque cucini lo sa, e lo sa da centinaia di anni. È del tutto normale fare copie di ricette e distribuirle ad altri, ed è altrettanto normale modificare una ricetta. Se si cambia una ricetta e la
si prepara per gli amici e a loro piace, potrebbero chiedere “Posso
avere la ricetta?”. Allora si scriverà la propria versione della ricetta e se ne daranno copie agli amici. Questa è esattamente la stessa cosa che, molto tempo dopo, abbiamo iniziato a fare nella
comunità del software libero.
Ecco dunque una prima categoria di opere.
La seconda, tratta delle opere il cui obiettivo è diffondere il pensiero di determinate persone. Il loro intento è parlare di tali persone. Ciò include, ad esempio, memorie, saggi d’opinione, arti62
coli scientifici, offerte di compravendita, cataloghi di prodotti in
vendita. Il punto centrale di queste opere è che esprimono ciò che
qualcuno pensa, ha visto o crede. Modificarle significa mistificare quel che intende dire l’autore; modificare queste opere non è
attività socialmente utile. Perciò la copia letterale è l’unica cosa che
si può veramente essere autorizzati a fare.
La domanda successiva è: si dovrebbe avere il diritto di commerciare con tali copie letterali? Oppure è sufficiente la copia letterale senza fini di lucro? Come vediamo, qui si tratta di due attività
diverse tra loro, per cui affronteremo le due questioni in maniera
separata – il diritto di fare copie letterali a scopo non commerciale e quello di farle a scopo di lucro. Dunque, un buon compromesso potrebbe essere quello di avere copie commerciali coperte
dal diritto d’autore accordando però a tutti il diritto di farne copie
letterali non commerciali. In tal modo, il copyright sulle copie
commerciali, così come sulle versioni modificate – solo l’autore
può approvare una versione modificata – continuerà a produrre
lo stesso flusso di entrate fornito ora per sovvenzionare la scrittura di tali opere, in qualsiasi misura lo faccia.
Consentire la copia letterale non commerciale vuol dire che il
diritto d’autore non deve invadere più la casa di nessuno. Diventa nuovamente una regolamentazione industriale, facile da rinforzare e indolore, non richiedendo più punizioni draconiane e informatori per imporla. Così possiamo ottenere il massimo del beneficio del sistema attuale, evitandone buona parte dell’orrore.
La terza categoria riguarda le opere artistiche o di intrattenimento, in cui la cosa più importante è la sensazione che si prova nel
guardarle. In questo caso il problema della modifica è molto complesso poiché, se da un lato c’è l’idea che queste opere riflettono
la visione di un artista, modificandole se ne mistifica tale visione.
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Dall’altro lato, si ha il fatto che spesso esiste un processo di rielaborazione popolare, in base al quale attraverso le modifiche apportate da una serie di persone, si producono a volte dei risultati di
alto livello. Spesso anche per gli stessi artisti è utile attingere da
opere precedenti. Alcuni dei lavori di Shakespeare si basano su trame prese da opere altrui. Se fossero state in vigore le attuali leggi
sul diritto d’autore, queste opere sarebbero state illegali. La questione del cosa fare circa la pubblicazione di versioni modificate
di un’opera artistica o estetica è complessa, e per risolvere il problema forse dovremmo introdurre ulteriori suddivisioni della categoria. Ad esempio, il settore dei computer game potrebbe essere
trattato in maniera particolare, dove ognuno sarebbe libero di
pubblicarne versioni modificate. Ma forse un romanzo dovrebbe
essere trattato diversamente; in questo caso, forse la pubblicazione a scopo commerciale dovrebbe richiedere un accordo con l’autore originale.
Ora, se la pubblicazione commerciale di queste opere artistiche è
coperta da copyright, ciò fornirà la maggior parte delle entrate oggi
disponibili per sostenere gli autori e i musicisti, nella misura limitata in cui il sistema attuale li sostiene, visto che [tale sistema] svolge una pessima funzione. Potrebbe perciò trattarsi di un compromesso ragionevole, come nel caso precedente delle opere che rappresentano determinate persone.
Se si guarda al futuro, al tempo in cui l’era delle reti informatiche
sarà davvero iniziata, quando avremo superato questo stadio transitorio, si può immaginare per gli autori un altro metodo per far
soldi dalle proprie opere. Si pensi ad un sistema di pagamento digitale che consenta di ottenere denaro per il proprio lavoro. Possiamo immaginare un sistema di pagamento digitale che permetta di
inviare a qualcuno denaro attraverso Internet; ciò può essere rea64
lizzato in vari modi, utilizzando la crittografia, ad esempio. Si
immagini che sia consentita la copia letterale di queste opere artistiche, ma scritte in modo che, quando le si ascolti o le si legga o
le si guardi, in un angolino dello schermo appaia una finestrella
che dice “Premere questo pulsante per spedire un dollaro all’autore”, o al musicista o a chiunque sia. Questa finestra compare e
basta, non è invadente, sta nel suo angolino. Non dà fastidio, ma
è lì, a ricordarvi che è una buona cosa sostenere scrittori e musicisti.
Perciò, se l’opera che si sta leggendo o ascoltando piace, si può
pensare “Perché non dare un dollaro a questa gente? È solo un dollaro. Cosa vuoi che sia? Non mi mancherà di certo.” E così le persone cominceranno a spedire un dollaro. La cosa più bella di tutto ciò è che il meccanismo renderebbe la copia un alleato di autori e musicisti. Quando qualcuno ne invia a un amico una copia
per email, costui potrebbe spedire un dollaro. Se l’opera piace veramente, si potrebbe mandare un dollaro più di una volta e questo
dollaro sarebbe più di quanto gli autori guadagnano oggi quando
si acquista un loro libro o CD, poiché ora ricevono solo una piccola parte del guadagno. Gli stessi editori che chiedono il controllo
totale sul pubblico in nome di autori e musicisti, li stanno fregando da sempre.
Vi raccomando la lettura dell’articolo di Courtney Love sulla rivista online Salon, un articolo sui pirati che usano il lavoro dei musicisti senza pagarli. Questi pirati sono le case discografiche che
pagano ai musicisti il 4% dell’ammontare delle vendite, in media.
Ovviamente, i musicisti di successo hanno più potere: prendono
più del 4% delle loro ampie vendite, il che vuol dire che la maggior parte dei musicisti con un contratto di produzione riceve
meno del 4% delle loro vendite limitate.
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Ecco come funziona: la società discografica investe in pubblicità
e considera questa spesa un anticipo ai musicisti, anche se questi
ultimi non vedranno mai quei soldi. Perciò, in teoria, quando si
acquista un CD, parte di quel denaro dovrebbe andare ai musicisti, ma in pratica non sarà così. In realtà andrà a rimborsare le spese pubblicitarie e i musicisti vedranno parte di quel denaro solo se
otterranno molto successo.
I musicisti, naturalmente, firmano i contratti perché sperano di
essere tra i pochi fortunati ad avere un grande successo. Sostanzialmente vengono lusingati con l’offerta di una lotteria. Anche se
sono bravi, possono non essere così bravi e così sottili nel ragionamento da accorgersi della trappola. Perciò firmano e probabilmente quello che ottengono è solo la pubblicità. Allora, perché
non facciamo loro pubblicità in modo diverso, non attraverso un
sistema da complesso industriale che limita il pubblico e che ci
riempie di brutta musica facile da vendere? Invece, perché non far
sì che il naturale impulso dell’ascoltatore a condividere la musica
preferita diventi alleato dei musicisti? Se utilizziamo il riquadro
che appare sul monitor per inviare un dollaro ai musicisti, allora
le reti informatiche potrebbero essere il sistema per far loro pubblicità, la stessa pubblicità ora ottenuta tramite i contratti.
Dobbiamo riconoscere che l’attuale sistema del diritto d’autore
rende un cattivo servizio nel sostenere i musicisti, così come il
commercio mondiale produce un cattivo servizio nell’elevare gli
standard di vita nelle Filippine e in Cina. Esistono “aree imprenditoriali” estere in cui la gente lavora per aziende che li sfrutta e
tutti i prodotti sono fabbricati in aziende che sfruttano i dipendenti. La globalizzazione è un sistema assai poco efficace per elevare gli standard di vita all’estero. Diciamo che per produrre qualcosa uno statunitense viene pagato 20 dollari l’ora; per lo stesso
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lavoro, un messicano riceve forse 6 dollari al giorno. In quest’ultimo caso succede che a un lavoratore americano viene tolta una
notevole quantità di denaro, e una piccola frazione di questa, ovvero una minima percentuale, viene data a un messicano mentre il
resto va all’azienda. Perciò, se l’obiettivo è elevare gli standard di
vita dei lavoratori messicani, ecco un modo del tutto inefficace di
farlo.
È interessante notare come un identico fenomeno si riscontri nell’industria del copyright, la stessa idea generale. Nel nome di quei
lavoratori che certamente meritano qualcosa, si propongono
misure che riservano loro una minima parte sostenendo invece
prioritariamente il potere delle grandi società che controllano le
nostre vite.
Per sostituire un sistema valido, bisogna lavorare molto seriamente onde proporre un’alternativa migliore. Sapendo che il sistema
attuale è inefficace, non è così difficile trovare un’alternativa
migliore: lo standard con cui ci si confronta è oggi molto basso.
Dovremmo sempre ricordare tutto ciò, quando prendiamo in considerazione le problematiche sulla politica del diritto d’autore.
Penso di aver detto la maggior parte di quanto volevo dire. Vorrei
ricordarvi che domani in Canada è il Phone-In Sick Day.5
Domani inizierà un summit mirato alla firma dell’accordo sull’area di libero scambio per le Americhe, con l’intento di estendere
il potere delle grandi società in altri paesi. In Quebec sono previste grosse iniziative di protesta. Per bloccarle sono stati impiegati
metodi estremi. A molti americani viene impedito l’ingresso in
Canada attraverso quel medesimo confine che è loro permesso
oltrepassare in ogni altro momento. Con la più debole delle scu5
20 aprile 2001; iniziativa nazionale di protesta, in cui tutti i dipendenti prendono un
giorno di malattia dal lavoro.
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se, intorno al centro di Quebec è stata costruita una fortezza onde
impedire l’accesso ai dimostranti. Abbiamo visto utilizzare molti
sporchi trucchi contro la manifestazione pubblica di protesta
rispetto a questi trattati. Qualsiasi democrazia ci sia rimasta, dopo
aver tolto i poteri di governo ai governatori democraticamente
eletti per darli ad aziende e organismi internazionali non eletti,
qualsiasi cosa rimanga dopo tutto questo, potrebbe non sopravvivere alla repressione delle proteste pubbliche.
Ho dedicato 17 anni della mia vita a lavorare per il software libero e le annesse questioni. Non l’ho fatto perché penso che questo
sia il problema politico più importante al mondo. L’ho fatto perché ho ritenuto che fosse il settore in cui dovevo usare la mia competenza per fare del bene. Ma è successo che gli aspetti generali
della politica sono mutati e il maggior problema politico attuale
è contrastare la tendenza a dare potere all’imprenditoria nei confronti del pubblico e dei governi. Io considero il software libero e
i problemi correlati agli altri aspetti dell’informazione che ho
discusso oggi, come parte del problema principale. Perciò mi sono
trovato a lavorare indirettamente su tale questione. Spero di poter
dare il mio contributo a questa causa.
Sessione di domande e risposte
David Thorburn: Tra poco il pubblico potrà fare domande e commenti. Ma permettetemi di replicare brevemente. Mi sembra che
il consiglio pratico più incisivo ed importante che Stallman ci dà
abbia due elementi chiave. Uno è riconoscere che i vecchi presupposti ed usi del diritto d’autore sono inappropriati: vengono
messi in discussione e delegittimati dall’avvento del computer e
delle reti informatiche. Può sembrare ovvio, ma è fondamentale.
L’altro è riconoscere che l’era digitale esige che si riconsideri il
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modo in cui distinguiamo e valutiamo le diverse tipologie di lavoro intellettuale e creativo. Stallman ha sicuramente ragione sul fatto che certi tipi di imprese intellettuali abbiano bisogno più di
altre di essere protette dal copyright. Cercare di individuare sistematicamente questi diversi tipi o livelli di protezione del diritto
d’autore mi sembra un modo efficace di affrontare i problemi relativi al lavoro intellettuale posti dall’avvento del computer.
Ma penso di intravedere un altro tema che sta dietro a quanto ha
affermato Stallman e che non riguarda direttamente i computer,
ma più ampiamente le istituzioni democratiche e il potere che il
governo e le aziende esercitano in misura sempre maggiore sulla
nostra vita. Questo aspetto populista e anti-monopolista del
discorso di Stallman è interessante ma anche riduttivo e potenzialmente semplicistico. Ed è forse anche eccessivamente idealista.
Per esempio, come potrebbe sopravvivere un romanziere o un poeta o un autore di canzoni o un musicista o un autore di testi accademici in un mondo meraviglioso in cui le persone siano incoraggiate a pagare gli autori, ma non siano obbligate a farlo? In altre
parole, mi sembra che la differenza tra la pratica attuale e le possibilità visionarie su cui specula Stallman sia ancora enorme.
Concludo chiedendo a Stallman di approfondire maggiormente
alcuni aspetti del suo intervento, e in particolare di ampliare i concetti sul modo in cui potrebbero essere tutelati dal suo sistema di
copyright quelli che noi chiamiamo “creatori tradizionali”.
Richard M. Stallman: Prima di tutto, devo far notare che non
dovremmo utilizzare il termine “protezione” per descrivere le
incombenze del diritto d’autore. Il diritto d’autore limita le persone. “Protezione” è un termine di propaganda per le aziende che
detengono il copyright. Tale termine significa impedire la distru69
zione di qualcosa. Be’, non credo che una canzone venga distrutta se ne esistono più copie suonate più volte. Non penso nemmeno che un romanzo si distrugga se più persone ne leggono una
copia. Perciò non userei quel termine. Penso che porti ad identificarsi con la parte sbagliata.
Inoltre, pensare in termini di proprietà intellettuale è una cattiva
idea per due motivi: in primo luogo perché pregiudica la domanda cruciale in questo campo, che è: in che modo dovrebbero essere trattate queste cose? Dovrebbero essere trattate o meno come
qualche tipo di proprietà? Utilizzare il termine “proprietà intellettuale” per descrivere quest’ambito significa presupporre che la
risposta alla seconda domanda sia “sì”, che è questo, e non un altro,
il modo in cui la questione va considerata.
In secondo luogo, incoraggia una iper-generalizzazione. La proprietà intellettuale è un concetto onnicomprensivo per parecchi
sistemi legali diversi tra loro con origini indipendenti, come per
esempio diritti d’autore, brevetti, marchi registrati, segreti industriali e altro. Sono quasi completamente diversi tra loro, non hanno nulla in comune. Ma l’uso del termine “proprietà intellettuale” porta la gente a pensare erroneamente che esista un principio
generale di proprietà intellettuale da applicare a settori specifici,
presupponendo così che questi diversi campi di applicabilità della legge siano simili. Ciò porta non solo a pensare in modo confuso su quel che sia giusto fare, ma conduce anche alla mancata
comprensione di cosa dica realmente la legge, perché si suppone
che la legge sul copyright e la legge sui brevetti e la legge sui marchi registrati siano simili, mentre invece, di fatto, sono completamente diverse.
Se si vuole incoraggiare un’attenta riflessione e una corretta comprensione di quanto dice la legge, evitiamo il termine “proprietà
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intellettuale”. Si parli di diritto d’autore, o di brevetti, o di marchi registrati o di qualsiasi altro argomento si voglia. Ma non si
parli di proprietà intellettuale. Sarebbe assurdo avere un’opinione
sulla proprietà intellettuale. Non ho un’opinione sulla proprietà
intellettuale, ma ho opinioni sul diritto d’autore, sui brevetti e sui
marchi registrati, e sono diverse. Ci sono arrivato attraverso processi di pensiero diversi perché questi sistemi legali sono completamente diversi tra loro.
Ho fatto una digressione, ma era estremamente importante.
Adesso arrivo al dunque. Naturalmente ora non possiamo sapere
se funzionerà bene, se funzionerà chiedere agli utenti di pagare
volontariamente autori e musicisti preferiti. Una cosa ovvia è che
tale sistema funzionerà proporzionalmente al numero di persone
che utilizzeranno la rete e quel numero, si sa, aumenterà di vari
ordini di grandezza nei prossimi anni. Se lo provassimo oggi,
potrebbe fallire, ma questo non proverebbe nulla, perché potrebbe funzionare se il numero delle persone paganti fosse dieci volte
maggiore.
L’altra è che non abbiamo ancora a disposizione un tale sistema
digitale di pagamento in contanti, quindi oggi non siamo in grado di metterlo alla prova. Possiamo provare a fare qualcosa di simile. Esistono servizi tramite i quali è possibile pagare qualcuno, cose
come Pay Pal. Ma prima di poterlo fare, si devono affrontare un
mucchio di formalità e fornire i propri dati personali. E vengono
effettuate registrazioni sui destinatari dei pagamenti. Ci si può
fidare che non se ne abusi?
Non è il dollaro da pagare che potrebbe scoraggiare, ma i problemi connessi alle modalità di pagamento. L’idea generale è che
quando si vuole pagare qualcuno, dovrebbe essere facilissimo e
non dovrebbe esserci nulla che lo sconsigli se non la somma stes71
sa di denaro. E se la somma è abbastanza piccola, perché dovrebbe scoraggiare? Sappiamo comunque che i fan amano davvero i
musicisti e sappiamo che alcuni gruppi musicali che avevano ed
hanno un certo successo, come i Grateful Dead, hanno incoraggiato i propri fan a copiare e ridistribuirne la musica. Non
hanno avuto problemi a guadagnarsi da vivere con la loro musica per aver incoraggiato i fan a registrarla e a copiare le cassette. Ciò non ha neppure provocato riduzioni nella vendita di
dischi.
Stiamo gradualmente passando dall’epoca della stampa all’era
delle reti informatiche, ma ciò non può accadere in un giorno.
La gente continua ad acquistare molti dischi, e probabilmente
continuerà a farlo per molti anni ancora, forse per sempre. Finché si andrà avanti in questo modo, continuare semplicemente
ad applicare i diritti d’autore alla vendita commerciale di dischi
dovrebbe sostenere i musicisti quasi altrettanto bene di oggi.
Naturalmente, il sistema non è del tutto soddisfacente, ma almeno non sarà peggiore.
Domanda: [Un commento e una domanda riguardo la libertà di
download e il tentativo di Stephen King di vendere uno dei suoi
racconti a puntate sul web.]
Stallman: Si, è interessante sapere quello che ha fatto e cosa è accaduto. Quando ne sentii parlare la prima volta ero euforico. Pensavo, forse sta per fare un passo verso un mondo non basato sulla
volontà di tenere il pubblico in pugno. Poi ho visto che in realtà
scriveva per chiedere al pubblico di pagare. Per spiegare cosa ha
fatto, stava pubblicando un racconto a puntate, a rate, e diceva:
“se otterrò abbastanza denaro, ne scriverò ancora”. Una richiesta
che ben difficilmente poteva considerarsi tale. Era una minaccia
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contro il lettore. Diceva: “se non pagate siete cattivi, e se ci sono
troppi fra voi che si comportano male, semplicemente smetterò di
scrivere”.
Be’, chiaramente questo non è il modo di far sentire il pubblico
invogliato a mandarti dei soldi. Devi far sì che ti amino, non che
ti temano.
Stessa persona del pubblico: I dettagli sono che chiese ad una certa
percentuale di persone – non so esattamente, probabilmente
intorno al 90% – d’inviare una certa quantità di denaro, che, credo, fosse di un dollaro o due o qualcosa di quest’ordine di grandezza. Per scaricare il racconto bisognava fornire il proprio nome,
l’indirizzo e-mail e alcune altre informazioni, e se la percentuale
non fosse stata raggiunta dopo il primo capitolo, King disse che
non avrebbe diffuso il capitolo successivo. Era molto antagonistico nei confronti di quanti scaricavano il testo.
Domanda: Lo schema in cui non esiste diritto d’autore ma alle persone è richiesto di fare donazioni volontarie, non è aperto all’abuso da parte dei plagiari?
Stallman: No. Non è quello che ho proposto. Ricordate, sto proponendo l’esistenza di un diritto d’autore che copra la distribuzione commerciale e permetta solo la redistribuzione letterale non
commerciale. Così chiunque abbia modificato un’opera per mettere un puntatore al proprio sito invece che a quello dell’autore
reale, continuerebbe a violare il diritto d’autore e potrebbe essere
citato in giudizio esattamente come avviene oggi.
Domanda: Capisco. Quindi immagini comunque un mondo in
cui esista sempre il copyright?
Stallman: Si. Come ho detto, per questo tipo di opere. Non sosten73
go che dovrebbe essere permesso tutto. Sto proponendo di diminuire i poteri del diritto d’autore, non di abolirli.
Thorburn: Una domanda che mi è venuta in mente mentre stavi
parlando, Richard, e di nuovo adesso che stavi rispondendo a questa domanda, è perché non consideri i modi con cui il computer
può eliminare completamente l’intermediario – e che Stephen
King si è rifiutato di usare – per stabilire così una relazione personale.
Stallman: Certo, possono farlo, e infatti la donazione volontaria è
uno di questi modi.
Thorburn: Pensi davvero che questa modalità non debba passare
affatto tramite un editore?
Stallman: Assolutamente no. Spero di no, perché gli editori sfruttano gli autori in maniera terribile. Quando chiedi qualcosa ai rappresentanti degli editori su questo, loro dicono: “Be’, sì, se un
autore o un gruppo non vogliono passare attraverso di noi, non
gli viene legalmente richiesto di farlo”. Ma in realtà operano al
meglio per fare in modo che ciò non sia fattibile. Ad esempio, stanno proponendo dei formati multimediali con restrizioni sulla
copia, e per poter pubblicare in tali formati devi passare per i grandi editori perché non spiegano a nessuno come farlo. Sperano in
un mondo in cui tutti i riproduttori utilizzino questi formati e per
poter ottenere qualcosa da riprodurre sarà necessario passare dagli
editori. Così, anche senza nessuna legge che impedisca ad un autore o un musicista di pubblicare direttamente un’opera, la cosa non
sarebbe fattibile. C’è poi anche il richiamo di una possibile ricchezza. Dicono: “Ti faremo pubblicità e forse diventerai ricco
come i Beatles” (o qualsiasi altro gruppo a scelta). Naturalmente
74
solo a un numero minimo di musicisti potrà accadere quello che
è successo a loro. Ma ciò potrebbe indurli a firmare un contratto
che li imprigionerebbe per sempre.
Gli editori tendono ad essere molto scorretti nel rispetto dei contratti con gli autori. Per esempio, di solito i contratti dei libri stabiliscono che se un libro è esaurito i diritti tornano all’autore, e gli
editori non riescono a convivere bene con questa clausola. Spesso
bisogna costringerli a farlo. Be’, adesso stanno cominciando ad
usare le pubblicazioni elettroniche per dire che non si può esaurire un’edizione; così non dovranno mai restituire i diritti. La loro
idea è: quando l’autore non ha voce in capitolo, spingerlo a firmare, e da allora non avrà più potere; il potere rimane solo all’editore.
Domanda: Sarebbe bene avere delle licenze libere per diverse tipi
di opere che salvaguardino la libertà di tutti gli utenti di copiarle
nella maniera più appropriata per quel tipo di opera?
Stallman: Be’, qualcuno sta lavorando. Ma per opere non funzionali, una cosa non sostituisce l’altra. Prendiamo un’opera di
tipo funzionale, diciamo un elaboratore di testi. Bene, se qualcuno realizza un elaboratore di testi libero, lo si può usare, non
serve l’elaboratore di testi non libero. Ma non direi che una canzone libera possa sostituire tutte le canzoni non libere, o che un
racconto libero possa sostituire tutti i racconti non liberi. Per
questo tipo di opere le cose sono diverse. Penso perciò che dobbiamo semplicemente riconoscere come queste leggi non meritino di essere rispettate. Non è sbagliato condividere qualcosa
con il vicino, e se qualcuno dice che non puoi farlo, non bisogna dargli retta.
Domanda: A proposito delle opere funzionali, come si bilancia l’e75
sigenza di abolire il copyright con l’esigenza di incentivi economici per favorire lo sviluppo di queste opere funzionali?
Stallman: Possiamo notare che, prima di tutto, questi incentivi
economici sono molto meno necessari di quanto si fosse supposto. Basta guardare al movimento del software libero in cui
abbiamo più di 100.000 volontari a tempo ridotto che sviluppano software libero. Dunque esistono altri modi per raccogliere fondi, non sono basati sull’impedire al pubblico di copiare e modificare queste opere. Questa è l’interessante lezione data
dal movimento del software libero. A parte il fatto che offre un
modo per utilizzare il computer mantenendo la libertà di condividere e cooperare con altri, ci mostra anche che è semplicemente sbagliato presupporre che la gente non farebbe mai cose
simili senza dare loro poteri speciali per costringere gli altri a
pagarli. Molta gente è disposta a fare queste cose. Inoltre, considerando ad esempio la stesura di monografie che servono
come libri di testo in molti campi scientifici, tranne per quelle
piuttosto basilari, ci si accorge che in questo modo gli autori
non guadagnano nulla. Abbiamo un progetto di enciclopedia
libera che è, di fatto, un progetto commerciale di enciclopedia
libera, e sta facendo progressi. Avevamo un progetto per una
enciclopedia GNU, ma ci siamo uniti a quello commerciale quando hanno adottato la nostra licenza. In gennaio sono passati alla
Licenza per Documentazione Libera GNU per tutti gli articoli di
quell’enciclopedia. Così abbiamo detto, “Bene, uniamo le nostre
forze e invitiamo la gente a contribuire”. Si chiama NUPEDIA,
e ne trovate il link all’indirizzo http://www.gnu.org/encyclopedia. Così abbiamo esteso lo sviluppo comunitario di una base
libera di conoscenze utili dal software all’enciclopedia. Sono
piuttosto fiducioso che in tutte queste aree del lavoro funzio76
nale non serva un incentivo economico fino al punto di dover
rivedere l’uso di queste opere.
Thorburn: E a proposito delle altre due categorie [le opinioni di
un autore e l’intrattenimento]?
Stallman: Per le altre due categorie di opere, non saprei come fare.
Non so se un giorno si scriveranno romanzi senza preoccuparsi se
ci si faranno dei soldi o meno. In una società del dopo-scarsità, credo si preoccuperanno. Forse quello che dobbiamo fare per poter raggiungere una società del dopo-scarsità è liberarci dal controllo delle corporation sull’economia e sulle leggi. Così in effetti si tratta del
problema dell’uovo e della gallina. Cosa facciamo prima? Come possiamo ottenere un mondo dove le persone non debbano disperatamente rincorrere il denaro se non eliminando il controllo delle corporation? E come possiamo rimuovere tale controllo? Non lo so, ma
ecco perché sto tentando di proporre prima un sistema di copyright di compromesso e, successivamente, il pagamento volontario
sulla base di un tale sistema di compromesso come modo per procurare un reddito a chi scrive queste opere.
Domanda: Come ti aspetti in pratica di realizzare questo sistema
di diritto d’autore di compromesso sotto la stretta soffocante degli
interessi delle corporation sui politici americani, dovuti al sistema
di finanziamento delle campagne elettorali?
Stallman: Non saprei. Vorrei saperlo. È un problema terribilmente difficile. Se sapessi come risolvere questo problema, lo risolverei e niente al mondo mi renderebbe più fiero.
Domanda: Come si può lottare contro il controllo delle corporation? Perché, se consideriamo le somme di denaro attivato dalle
lobby aziendali nelle cause processuali, è enorme. Credo che il caso
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del DeCSS (Decryption of Contents Scrambling System) di cui
stai parlando, stia costando qualcosa come un milione e mezzo di
dollari alla difesa. Dio sa quanto stia costando alle corporation.
Hai una qualche idea di come avere a che fare con queste enormi
somme di denaro?
Stallman: Ho una proposta. Se suggerissi di boicottare totalmente i film, credo che la gente lo ignorerebbe. Lo considererebbero
troppo radicale. Perciò vorrei offrire un suggerimento leggermente diverso, ma che, alla fine, arriva quasi allo stesso risultato, e cioè:
non andate a vedere un film a meno che non abbiate un valido
motivo per pensare che è bello.
Questo condurrà in pratica allo stesso risultato di boicottare totalmente i film di Hollywood. Per estensione è quasi identico, ma
nelle intenzioni è molto diverso. Mi sono reso conto che molta
gente va al cinema per ragioni che non hanno nulla a che fare con
il fatto di ritenere valido quel film. Se cambiamo le nostre abitudini, se si va a vedere un film solo quando si ha qualche sostanziale ragione per pensare che sia valido, si toglierà loro un sacco di
soldi.
Thorburn: Una maniera per capire tutto questo discorso, penso, è riconoscere che quando una qualunque tecnologia radicale e potenzialmente rivoluzionaria fa la sua comparsa nella
società, si crea uno scontro su chi la controlla. Oggi stiamo ripetendo quello che è avvenuto in passato. Perciò da questo punto di vista può darsi che non ci sia motivo di disperare, o anche
solo di essere pessimisti, su quanto avverrà nel lungo periodo.
Ma a breve termine la lotta per il controllo dei testi e delle
immagini, su tutte le altre forme di informazione, sarà probabilmente dolorosa e pervasiva. Per esempio, come insegnante di
78
tecnologie della comunicazione il mio accesso alle immagini è
stato di recente limitato in una maniera mai vista prima. Se scrivo un saggio in cui voglio utilizzare immagini, tratte anche da
film, è diventato molto più difficile ottenere il permesso di utilizzarle, e i prezzi richiesti per usarle sono molto più elevati –
anche quando sostengo argomenti quali la ricerca intellettuale
e la categoria legale dell’uso legittimo (“fair use”). Per questo
ritengo che, in un momento di diffuse trasformazioni, le prospettive di lungo periodo possano non essere così sconvolgenti
come quanto accade a breve termine. Ma in ogni caso dobbiamo comprendere che l’insieme della nostra esperienza contemporanea è una versione rinnovata dello scontro per il controllo
delle risorse tecnologiche che è un principio ricorrente della
società occidentale.
È anche essenziale capire che la storia delle tecnologie più antiche è di per sé una materia complessa. L’impatto della stampa
in Spagna, per esempio, è radicalmente diverso dall’impatto
avuto in Inghilterra o in Francia.
Domanda: Una delle cose che mi sconcerta nelle discussioni sul
diritto d’autore è che spesso si comincia con: “Vogliamo un
cambiamento totale. Vogliamo sbarazzarci di ogni tipo di controllo”. Mi pare che a monte della suddivisione nelle tre categorie suggerite ci sia il riconoscimento che il copyright abbia
qualche senso. Alcuni critici dell’attuale sistema del diritto d’autore credono che in effetti bisognerebbe sostenerlo e farlo funzionare in modo molto più simile a brevetti e marchi registrati
per quanto riguarda la sua durata. Vorrei che il nostro ospite
commentasse questa strategia.
Stallman: Concordo sul fatto che abbreviare la durata del dirit79
to d’autore sia una buona idea. Non c’è assolutamente bisogno,
per quanto riguarda l’incoraggiamento alla pubblicazione, della possibilità che i diritti d’autore durino fino a 150 anni, cosa
possibile in alcuni casi con le attuali legislazioni. Ora, le aziende sostenevano che un diritto d’autore di 75 anni su un’opera
da loro pagata non fosse abbastanza lungo per renderne possibile la produzione. Vorrei sfidare queste aziende a presentare
proiezioni di bilancio per i prossimi 75 anni a partire da ora,
onde validare una simile affermazione. Quel che volevano davvero era semplicemente poter estendere il copyright sulle vecchie opere, in modo da poter continuare a restringerne l’utilizzo. Sinceramente mi sfugge come si possa incoraggiare una maggiore produzione di opere prodotte negli anni Venti estendendo oggi il diritto d’autore, a meno che tali aziende non abbiano una macchina del tempo da qualche parte. Certamente in
uno dei loro film avevano una macchina del tempo. Quindi forse è questo che li ha influenzati.
Domanda: Hai mai pensato di estendere il concetto di “uso legittimo”, e potresti chiarircene qualche sfumatura?
Stallman: L’idea di dare a tutti il permesso di fare copie integrali
per usi non commerciali, per due dei tre tipi di opere, certamente potrebbe essere intesa come un’estensione dell’uso legittimo
(“fair use”). È un concetto più ampio dell’attuale. Se l’idea è che
il pubblico rinunci a certe libertà per avere più progresso, allora si
può segnare il confine in vari punti diversi: quali libertà il pubblico abbandona e quali libertà mantiene?
Domanda: Per ampliare un attimo la discussione, in certi campi
dello spettacolo esiste il concetto di rappresentazione pubblica.
Così, ad esempio, il diritto d’autore non ci impedisce di cantare i
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canti natalizi al momento opportuno, ma impedisce la loro esecuzione in pubblico. E mi chiedo se non sarebbe utile espandere
l’uso legittimo, anziché alla copia letterale e non commerciale senza limiti, a qualcosa di più restrittivo ma comunque più ampio del
concetto attuale di “fair use”.
Stallman: Prima pensavo che ciò sarebbe stato sufficiente, ma poi
Napster mi ha convinto del contrario, perché gli utenti lo usano
per una ridistribuzione letterale non commerciale. Il server di
Napster, in sé, è un’attività commerciale, ma chi mette a disposizione il materiale lo fa senza scopo di lucro, ed avrebbe potuto
altrettanto facilmente metterlo a disposizione sui propri siti web.
L’incredibile eccitazione, interesse e utilizzo di Napster ne dimostra la grande utilità. Perciò ora sono convinto che si debba avere
il diritto a copie ridistribuite, non commerciali e letterali di qualsiasi cosa.
Domanda: Un’analogia suggeritami recentemente dall’intera
vicenda di Napster è quella di una biblioteca pubblica. Credo
che quanti abbiano seguito le discussioni su Napster devono
averla già sentita. Vorrei che la commentassi. A volte, quanti
difendono la posizione secondo cui Napster dovrebbe continuare senza restrizioni, sostengono qualcosa del tipo: “Quando
si va in una biblioteca pubblica e si prende in prestito un libro,
non lo si paga, e lo si può prendere in prestito decine, centinaia
di volte, senza alcun pagamento aggiuntivo. Perché Napster
sarebbe diverso?”
Stallman: Non è esattamente la stessa cosa. Ma bisogna sottolineare che gli editori vogliono trasformare le biblioteche pubbliche
in negozi “pay-per-use”. Quindi sono contro le biblioteche pubbliche.
81
Domanda: Queste idee sul copyright potrebbero suggerire nuove
soluzioni per certe questioni relative alle leggi sui brevetti, come
la produzione di farmaci generici a basso costo da usare in Africa?
Stallman: No, sono due cose completamente diverse. Le questioni sui brevetti sono completamente diverse da quelle sul
diritto d’autore. L’idea che abbiano qualcosa in comune è una
delle spiacevoli conseguenze dell’uso del termine “proprietà
intellettuale”, e della pressione a tentare di trattare alla stessa
stregua queste questioni, perché, come avete sentito, finora ho
parlato di questioni in cui il prezzo della copia non è l’elemento centrale. Ma qual è la questione cruciale a proposito della
produzione di farmaci per l’AIDS da usare in Africa? È il prezzo, null’altro che il prezzo.
Qui spunta fuori la questione di cui parlavo, perché la tecnologia dell’informazione digitale offre a ogni utente la possibilità di fare copie. Insomma, nulla può dare a tutti la capacità
di copiare dei medicinali. Io non sono capace di copiare un
medicinale che ho. E nessuno è capace; i medicinali non si fanno così. Quei medicinali si possono fare solo in grandi industrie e in effetti sono tutti prodotti in costose società centralizzate, sia i farmaci generici sia quelli importati dagli Stati Uniti. In ogni caso, sono destinati ad essere prodotti in un piccolo numero di aziende, e la questione è semplicemente quanto
costino e se siano disponibili ad un prezzo che gli africani possano permettersi.
Si tratta perciò di una questione terribilmente importante, ma
completamente diversa. Esiste un’unica area in cui emerge un
problema con i brevetti che in effetti è simile alle questioni concernenti la libertà di copia, cioè il settore dell’agricoltura. Poiché in effetti ci sono delle cose brevettate che possono essere
82
copie, più o meno, e sono gli esseri viventi. Si copiano quando
si riproducono. Non è necessariamente una copia esatta, c’è un
rimescolamento di geni. Ma il fatto è che da millenni i contadini sfruttano la capacità di autocopiarsi degli organismi viventi che coltivano. L’agricoltura consiste, essenzialmente, nel
copiare le cose che si sono coltivate e continuare a copiarle ogni
anno. Quando varietà vegetali e animali vengono brevettate,
quando dei geni vengono brevettati e utilizzati tra loro, il risultato è che i contadini non possono più comportarsi come hanno sempre fatto.
Un contadino canadese aveva una varietà brevettata che cresceva nel suo campo, e spiegò: “Non l’ho fatto apposta. Il polline
è stato trascinato dal vento, e i geni di quel polline sono entrati nel mio assortimento di piante”. Gli è stato risposto che ciò
non importava: doveva distruggerle in ogni caso. È un caso limite di quanto il governo possa appoggiare un monopolista.
Quindi credo che, seguendo gli stessi principi che applico alla
copia di cose sul computer, gli agricoltori dovrebbero avere l’indiscutibile diritto di mettere da parte i semi e di fare incroci con
il bestiame. Ci potrebbero forse essere brevetti che proteggano
i produttori di semi, ma non dovrebbero comunque influenzare l’operato dei contadini.
Domanda: Perché un modello abbia successo serve ben più di una
licenza. Puoi parlarcene?
Stallman: Certo. Ecco, non è che possa trovare tutte le risposte
giuste. Ma credo che l’idealismo abbia una parte essenziale nello
sviluppo di un’informazione libera e funzionale. Occorre capire
l’importanza di mantenere libera l’informazione, solo quando è
libera se ne può fare pieno uso: quando è limitata, è impossibile
83
farlo. Bisogna riconoscere che l’informazione non libera è un tentativo di dividerci, tenerci impotenti e sottometterci. Allora si
potrà afferrare il concetto: “Lavoriamo insieme per produrre
l’informazione che vogliamo usare, in modo che non sia sotto il
controllo di qualche persona potente che ci ordini cosa possiamo
farne”. Ciò offre una tremenda spinta [allo sviluppo della comunità del software libero]. Non so quanto potrebbe funzionare in
aree diverse, ma credo sia possibile farlo concretamente nel campo dell’istruzione, quando si cercano libri di testo. Ci sono tantissimi insegnanti al mondo, docenti che non lavorano in università prestigiose (magari insegnano alle superiori, o al college) dove
non scrivono né pubblicano un sacco di cose e non sono molto
ricercati.
Ma molti di loro sono brillanti. Molti conoscono bene le loro
materie e potrebbero scrivere libri di testo per molte discipline,
condividerli con il mondo intero e ricevere molti apprezzamenti
da chi avrà imparato da loro.
Domanda: È quanto avevo proposto. Ma, per combinazione,
conosco la storia dell’istruzione. È il mio lavoro: progetti educativi, elettronici, multimediali. E non sono riuscito a trovare neppure un esempio di questo tipo. Tu ne conosci qualcuno?
Stallman: No. Ho cominciato a proporre questa enciclopedia e a
seguire le risorse per l’apprendimento libero un paio di anni fa, e
credevo che ci sarebbero voluti una decina d’anni perché la cosa
cominciasse a funzionare. Invece già adesso abbiamo un’enciclopedia che funziona.
Quindi le cose stanno andando più velocemente di quanto sperassi. Credo che ci serva qualcuno che cominci a scrivere dei libri
di testo liberi.
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Scrivetene uno sulla vostra materia preferita, o scrivetene una parte. Scrivetene alcuni capitoli e sollecitate altri a finirlo.
Domanda: Veramente cercavo qualcosa di più. Quello che conta
in quest’ambiente è qualcuno che crei un’infrastruttura a cui
chiunque altro possa contribuire. Non c’è da nessuna parte un’infrastruttura a livello di scuola di base a cui contribuire per questo
tipo di materiali. Le informazioni si possono ottenere da molti
posti, ma non sono fornite sotto licenze libere, quindi non si possono usare per fare un libro di testo libero.
Stallman: Veramente non esiste un copyright sulle informazioni
in sé. Il diritto d’autore copre il modo in cui un’informazione è
scritta. Quindi si può imparare una materia da qualsiasi parte e
poi scrivere un libro di testo, e poi rendere quel libro di testo libero, se si vuole.
Domanda: Ma non posso scrivere da solo tutti i libri di testo di cui
uno studente ha bisogno nella sua carriera scolastica.
Stallman: Certo, è vero. Ma anch’io non ho scritto un intero
sistema operativo libero. Ho scritto qualche pezzo e invitato
altri ad unirsi e scrivere altri pezzi. Quindi, ho solo dato l’esempio. Ho detto: “Vado in questa direzione. Unitevi a me e
raggiungeremo l’obiettivo”. E si è unita abbastanza gente finché siamo riusciti a raggiungerlo. Può essere scoraggiante pensare in termini di “Come farò da solo a finire quest’immenso
lavoro?”. Quindi il punto è: non considerarlo in questo modo,
ma pensa a fare il primo passo e ti accorgerai che dopo averlo
fatto, altri faranno nuovi passi e, insieme, alla fine il progetto
sarà portato a termine.
Supponendo che l’umanità non si spazzi via da sola, il lavoro
85
che facciamo oggi per produrre l’infrastruttura educativa libera, la risorsa libera di apprendimento per il mondo, sarà utile
finché esisterà l’umanità.
Anche se ci volessero vent’anni per farla, cosa importa? Non
bisogna pensare alle dimensioni dell’intero lavoro, ma alle
dimensioni della parte che si vuol fare. Ciò dimostrerà a tutti
che è possibile crearla, e così altri faranno altre parti.
Questa è la trascrizione riveduta di un intervento tenuto durante il Communications Forum svoltosi al MIT il 19 aprile 2001, e fa parte del libro
Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,
GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
86
Software libero:
libertà
e cooperazione
Introduzione
Mike Uretsky: Sono Mike Uretsky della Stern School of Business. Sono anche uno dei condirettori del Center for Advanced
Technology. E a nome di tutti noi del Dipartimento d’informatica, sono qui a darvi il benvenuto. Vorrei fare alcuni commenti, prima di passare il microfono a Ed, che introdurrà il
nostro relatore.
Il ruolo di una università è quello di stimolare il dibattito e proporre discussioni interessanti. E il ruolo di una grande università è quello di proporre discussioni particolarmente interessanti. E questa specifica presentazione, questo seminario rientra in questa categoria. Trovo particolarmente interessanti le
discussioni sull’open source. In un certo senso.... [il pubblico
ride]
Richard M. Stallman: Io faccio software libero. L’open source è un
movimento diverso. [il pubblico ride] [applausi]
Mike Uretsky: Quando negli anni ‘60 sono entrato per la prima
volta in questo campo, praticamente il software era libero. E si
andava avanti seguendo dei cicli. Diventò libero, e poi i produttori di software, per la necessità di espandere il mercato, lo
spinsero in altre direzioni. Gran parte dello sviluppo che ebbe
87
luogo con l’arrivo del PC seguì esattamente il medesimo tipo di
ciclo.
C’è un filosofo francese molto interessante, Pierre Levy, che parla del movimento in questa direzione e del passaggio al cyberspazio non soltanto in quanto connesso alla tecnologia ma
anche alla ristrutturazione sociale, alla ristrutturazione politica,
tramite un cambiamento nel tipo di relazioni che miglioreranno il benessere dell’umanità. Speriamo che questo dibattito rappresenti un movimento in tale direzione, che questo dibattito
sia qualcosa che tagli attraverso le molte discipline che normalmente agiscono in solitudine all’interno dell’Università. Confidiamo in una discussione molto interessante. Ed?
Ed Schonberg: Sono Ed Schonberg del Dipartimento d’informatica presso il Courant Institute. Dò a tutti voi il benvenuto a quest’evento. In genere, e particolarmente qui, chi fa l’introduzione è
un aspetto inutile delle presentazioni pubbliche, ma in questo caso
in realtà presenta una qualche utilità, come Mike ha facilmente
dimostrato, perché un commento inaccurato di chi fa l’introduzione, ad esempio, può consentire [al relatore] di raddrizzare e correggere, [il pubblico ride] per rifinire in maniera considerevole i
parametri del dibattito.
Consentitemi perciò di fare la più breve introduzione possibile
a una persona che non ne ha bisogno. Richard è il perfetto esempio di qualcuno che, agendo a livello locale, ha iniziato a pensare a livello globale – a partire, parecchi anni fa, dai problemi
concernenti l’indisponibilità del codice sorgente dei driver della stampante al laboratorio di intelligenza artificiale del MIT.
Egli ha messo a punto una filosofia coerente che ha costretto
tutti noi a riesaminare le nostre idee su come viene prodotto il
software, su cosa significa proprietà intellettuale, e su cosa rap88
presenta in concreto la comunità del software. Diamo il benvenuto a Richard Stallman. [applausi]
Software libero: libertà e cooperazione
Richard M. Stallman: Qualcuno può prestarmi un orologio? [il
pubblico ride] Grazie. Vorrei ringraziare Microsoft per avermi fornito l’opportunità [il pubblico ride] di essere su questo podio. Nelle ultime settimane mi sono sentito come un autore il cui libro è
stato fortuitamente vietato da qualche parte.1 [il pubblico ride]
Eccetto per il fatto che tutti gli articoli sulla vicenda riportano in
maniera errata il nome dell’autore, perché Microsoft descrive la
GNU GPL come una licenza open source, e lo stesso ha fatto gran
parte della stampa. La maggior parte della gente, ovviamente
altrettanto in buona fede, non si rende conto che il nostro lavoro
non ha nulla a che fare con l’open source, che anzi abbiamo svolto la maggior parte di tale lavoro prima che il termine “open source” venisse perfino coniato.
Noi facciamo parte del movimento del software libero, e mi accingo a parlare su cosa sia il movimento del software libero, cosa significhi, quanto abbiamo fatto e, poichè quest’evento è in parte sponsorizzato da una School of Business, dirò qualcosa, più di quanto
sia solito fare, sulla relazione tra software libero e imprenditoria,
e su altri ambiti della vita sociale.
Ora, alcuni di voi non scriveranno mai programmi informatici,
ma forse cucinate. E se cucinate, a meno che non siate davvero
bravi, probabilmente userete delle ricette. E se usate delle ricette,
è probabile abbiate sperimentato di ricevere la copia di una ricetta da un amico che voglia condividerla. E probabilmente avrete
1
Meno di un mese prima, il vicepresidente di Microsoft, Craig Mundie, aveva tenuto
un intervento in cui attaccava il software libero (definendolo “open source”).
89
anche sperimentato, a meno che non siate dei completi neofiti,
l’atto di modificare una ricetta. Questa dice certe cose, ma non
dovete seguirla in maniera esatta. Se ne può omettere qualche
ingrediente. Aggiungervi dei funghi perché vi piacciono. Metterci meno sale perché il medico vi ha consigliato di ridurre il sale –
o quant’altro. Si possono anche apportare cambiamenti sostanziali, a seconda delle capacità individuali. E se avete modificato
qualcosa in una ricetta, e la preparate per degli amici, e a loro piace, un amico potrebbe dire, “Puoi darmi la ricetta?” E allora cosa
fate? Scrivete la vostra versione modificata della ricetta e ne date
una copia all’amico. Questa è la cosa naturale da fare con ricette
utili e funzionali di ogni tipo.
Una ricetta assomiglia molto a un programma informatico. E un
programma informatico è assai simile a una ricetta: una serie di
passaggi per arrivare al risultato che ci si è prefissi. Perciò è altrettanto naturale fare la stessa cosa con i programmi informatici –
passarne una copia agli amici. E apportarvi delle modifiche, perché il lavoro per cui era stato scritto non è esattamente quanto
vogliamo. Ha fatto un buon lavoro per qualcun altro, ma il nostro
lavoro è diverso. E, dopo averlo modificato, è probabile possa tornare utile ad altri. Forse costoro devono fare un lavoro simile al
nostro. Così ci chiederanno, “Posso averne una copia?” Naturalmente, se vogliamo essere gentili, gliene diamo una copia. È così
che si comporta una persona decente. Immaginiamo allora cosa
accadrebbe se le ricette venissero impacchettate dentro scatole
nere. Non se ne potrebbero vedere gli ingredienti usati, per non
parlare neppure di modificarli, e immaginando di averne fatto una
copia per un amico, vi chiamerebbero pirata e cercherebbero di
sbattervi in galera per anni. Un mondo simile creerebbe proteste
tremende da parte di tutti coloro che sono soliti scambiare ricet90
te. Ma questo è esattamente il mondo del software proprietario.
Un mondo in cui la comune decenza verso gli altri è proibita o
impedita.
Ora, come mi sono accorto di tutto ciò? Me ne sono reso conto
perché negli anni ‘70 ho avuto la buona fortuna di far parte di una
comunità di programmatori che condividevano il software. Le
radici di questa comunità possono essere rintracciate sostanzialmente fino agli albori dell’informatica. Tuttavia negli anni ‘70 era
un po’ raro trovare una comunità in cui si condivideva il software. Si trattava anzi di un caso estremo, perché nel laboratorio dove
lavoravo l’intero sistema operativo era software sviluppato dai
membri della comunità, e lo condividevamo con tutti. Chiunque
era il benvenuto nel venire a dare un’occhiata e prenderne una
copia, e farci quel che voleva. Su questi programmi non c’era alcuna nota di copyright. La cooperazione era il nostro modo di vivere. E ci sentivamo sicuri di vivere a quel modo. Non lottammo per
ottenerlo. Non dovemmo combattere per averlo. Vivevamo semplicemente in quel modo. E, per quanto ci riguardasse, avremmo
continuato a vivere così. C’era il software libero, ma non il movimento del software libero.
Ma poi la comunità fu distrutta da una serie di calamità che la colpirono. Alla fine fu spazzata via. Alla fine il computer PDP-10,2
che usavamo per ogni lavoro, venne messo fuori uso.
Il nostro sistema – denominato Incompatible Timesharing System
– fu scritto a partire dagli anni ‘60, perciò era scritto in linguaggio assembler. Negli anni ‘60 si usava tale linguaggio per scrivere
un sistema operativo. Ovviamente l’assembler vale per una particolare architettura informatica; se non viene più usato, tutto il
2
Programming Data Processor modello 10, un computer mainframe usato negli anni
’70 da molti importanti enti di ricerca e governativi.
91
lavoro svolto diventa polvere – è inutile. E questo è quanto avvenne nel nostro caso. I circa 20 anni di lavoro della nostra comunità
divennero polvere.
Ma prima che ciò accadesse, ebbi un’esperienza che mi preparò,
mi aiutò a capire cosa fare, perché ad un certo punto la Xerox diede al laboratorio di intelligenza artificiale, dove lavoravo, una
stampante laser, e fu un regalo stupendo, perché era la prima volta che qualcuno al di fuori della Xerox aveva una stampante laser.
Era molto veloce, stampava una pagina al secondo, assai precisa
sotto molti punti di vista, ma era inaffidabile, perché in realtà era
una fotocopiatrice per ufficio ad alta velocità modificata in stampante. E le fotocopiatrici s’incastrano, ma c’è qualcuno pronto a
sistemarle. La stampante s’incastrava e nessuno se ne accorgeva.
Così rimaneva bloccata per parecchio tempo.
Be’, ci venne un’idea per risolvere il problema. Modificarla in
modo che ogni volta che la stampante s’inceppava, il computer
che la gestiva poteva informarne la nostra macchina timesharing,
e far sapere agli utenti in attesa della stampa di andare a sistemare la stampante – perché se soltanto avessero saputo che era incastrata... ovviamente, se sei in attesa di una stampa e sai che la stampante è inceppata, non vuoi startene seduto ad aspettare per sempre, ti alzi e vai a sistemarla.
Ma a quel punto eravamo completamente bloccati, perché il
software che gestiva la stampante non era software libero. Era arrivato incluso nella stampante, era soltanto un file binario. Non
potevamo averne il codice sorgente; la Xerox non ci avrebbe fatto
avere il codice sorgente.
Così, nonostante le nostre capacità di sviluppatori – dopotutto avevamo scritto il nostro sistema timesharing – eravamo del tutto inadeguati ad aggiungere questa funzione al software della stampante.
92
Non ci restava che soffrire rimanendo in attesa. Per stampare qualcosa ci voleva un’ora o due, perché la maggior parte delle volte la
stampante s’inceppava. Aspettavi un’ora pensando, “So che finirà
per incastrarsi. Aspetterò un’ora e poi andrò a prendere la mia
stampa”, e allora ti rendevi conto che era rimasta incastrata per
tutto il tempo, nessun altro l’aveva sistemata. Così la rimettevi a
posto e aspettavi un’altra mezz’ora. Poi tornavi a controllare, e
vedevi che si era nuovamente inceppata, prima di eseguire il tuo
lavoro. Stampava per tre minuti e poi s’inceppava per trenta minuti. La frustrazione saliva alle stelle. Ma la cosa peggiore era sapere
che avremmo potuto risolvere la cosa, eppure qualcun altro, per
egoismo personale, ci bloccava, ci impediva di migliorare il software. Così, naturalmente, ce ne risentimmo.
Allora venni a sapere che qualcuno alla Carnegie Mellon University aveva una copia di quel software. Qualche tempo dopo mi ci
recai in visita, andai nel suo ufficio e gli feci, “Salve, vengo dal
MIT. Potrei avere una copia del codice sorgente della stampante?”
E lui replicò, “No, ho promesso che non ve l’avrei data.” [il pubblico ride] Rimasi di stucco. Ero talmente – talmente arrabbiato,
e non avevo alcuna idea su come ottenere giustizia. Tutto ciò che
riuscii a pensare fu di girarmi sui tacchi e uscire da quella stanza.
Forse ho sbattuto la porta. [il pubblico ride] E ripensandoci più
tardi, mi resi conto che non stavo osservando un tipaccio isolato,
ma un fenomeno sociale che era importante e colpiva parecchie
persone.
Fui fortunato, ne ebbi appena un assaggio. Altri dovevano farci i
conti tutto il tempo. Ci riflettei sopra a lungo. Vedete, quel tizio
aveva promesso di rifiutare ogni collaborazione con noi, i colleghi
del MIT. Ci aveva traditi. Ma non lo fece soltanto con noi. È probabile che abbia tradito anche te [indicando qualcuno tra il pub93
blico]. E credo che molto probabilmente abbia fatto lo stesso a te
[indicando qualcun altro tra il pubblico] [il pubblico ride]. Ed è
probabile lo abbia fatto anche a te [indicando una terza persona
tra il pubblico]. Probabilmente ha tradito la maggioranza dei presenti in questa sala – eccetto, forse, i pochi che non erano ancora
nati nel 1980. Perché aveva promesso di rifiutare ogni cooperazione praticamente con l’intera popolazione del pianeta terra. Aveva firmato un accordo di non divulgazione (“non-disclosure agreement”).
Ora, questo era il mio primo incontro diretto con un accordo di
non divulgazione, e m’insegnò una lezione importante – una lezione che è importante perché la maggioranza dei programmatori
non l’impara mai. Quello fu il mio primo incontro con un accordo di non divulgazione, e io ne ero la vittima. Io e l’intero laboratorio ne fummo le vittime. E la lezione che m’insegnò fu che gli
accordi di non divulgazione provocano delle vittime. Non sono
qualcosa d’innocente. Non sono innocui. La maggior parte dei
programmatori s’imbattono per la prima nell’accordo di non
divulgazione quando vengono invitati a firmarne uno. E c’è sempre qualche tentazione – qualche vantaggio che finiscono per ottenere se firmano. Così inventano qualche scusa. Dicono, “Be’, quel
tizio non riuscirà mai a ottenerne una copia in ogni caso, perché
quindi non dovrei unirmi alla cospirazione per impedirglielo?”
Dicono, “Si è sempre fatto così. Chi sono io per oppormici?” Dicono, “Se non lo firmo io, lo farà qualcun altro.” Scuse varie per mettere il bavaglio alla propria coscienza.
Ma quando qualcuno mi invitò a firmare un accordo di non divulgazione la mia coscienza era già sensibilizzata. Si ricordò di quanto fossi arrabbiato quando qualcuno promise di non aiutare me e
l’intero laboratorio a risolvere il problema. Non potevo voltarmi
94
dall’altra parte e fare la stessa identica cosa a qualcun altro che non
mi aveva mai arrecato alcun danno. Se qualcuno mi avesse chiesto di promettere di non condividere qualche informazione utile
con un odioso nemico, avrei detto di sì. Se qualcuno ha fatto qualcosa di male, lo merita. Ma gli estranei – non mi hanno fatto alcun
danno. Come possono meritare quel tipo di trattamento negativo?
Non puoi consentire a te stesso di trattare male praticamente tutti
e chiunque. A quel punto diventi un predatore sulla società. Così
risposi, “Grazie mille per avermi offerto questo bel pacchetto software. Ma in tutta coscienza non posso accettarlo sulla base delle condizioni richieste, perciò ne farò a meno. Grazie molte.” E così, non
ho mai firmato volontariamente un accordo di non divulgazione su
informazioni tecniche d’utilità generica come il software.
Esistono altri tipi d’informazioni che sollevano questioni etiche
diverse. Ad esempio, le informazioni personali. Se un’amica vuole raccontarmi quel che va accadendo tra lei e il suo ragazzo, e mi
chiede di non rivelarlo a nessuno, posso dirmi d’accordo nel mantenere il segreto, perché non si tratta di informazioni tecniche d’utilità generica.
Almeno, probabilmente non si tratta di informazioni generalmente utili [il pubblico ride]. Esiste una scarsa probabilità – e
comunque potrebbe essere possibile – che l’amica possa rivelarmi
qualche nuova strabiliante tecnica sessuale [il pubblico ride], e
allora sentirei il dovere morale [il pubblico ride] di informarne il
resto dell’umanità, in modo che tutti possano trarne beneficio.
Forse dovrei porre una condizione a quella promessa.
Qualora si trattasse soltanto di dettagli su chi voglia questa cosa,
e chi s’arrabbia contro chi, e robe da telenovela... tutto ciò posso
tenerlo in privato, ma non così per qualcosa di cui l’umanità possa beneficiare terribilmente, qualora ne fosse informata. Obietti95
vo della scienza e della tecnologia è quello di sviluppare informazioni utili per l’umanità, onde aiutare la gente a vivere una vita
migliore. Se promettiamo di non rivelare tali informazioni, se le
teniamo segrete, allora stiamo tradendo la missione della nostra
disciplina. E ciò, decisi, non dovrei farlo.
Ma nel frattempo la mia comunità si era frantumata, e mi ritrovai in una brutta situazione. Vedete, l’intero Incompatible Timesharing System divenne obsoleto, perché lo era il PDP-10, e così
non esisteva alcun modo per cui potessi continuare a lavorare in
quanto sviluppatore di un sistema operativo come avevo fatto fino
ad allora. Ciò dipendeva dal far parte di una comunità, dall’usare
il software della comunità e dal migliorarlo. Questa possibilità non
esisteva più, e ciò mi pose un dilemma morale. Cosa avrei fatto?
Perché la possibilità più ovvia consisteva nell’andare contro quella decisione che avevo preso. Accettare che le cose fossero diverse,
che dovevo semplicemente abbandonare quei principi e iniziare a
firmare accordi di non divulgazione per sistemi operativi proprietari, e molto probabilmente anche scrivere software proprietario.
Ma compresi che in tal modo avrei potuto divertirmi con il codice e guadagnare bene – soprattutto se l’avessi fatto al di fuori del
MIT – ma alla fine, osservando la mia carriera all’indietro avrei
detto, “Ho speso la vita a costruire muri che dividono la gente”, e
mi sarei vergognato di quella vita.
Così mi son messo alla ricerca di un’alternativa, e una era ovvia.
Avrei potuto lasciare il campo del software e mettermi a fare qualcosa d’altro. Non ero dotato di altre capacità particolari, ma sono
sicuro che avrei potuto fare il cameriere [il pubblico ride]. Non in
un ristorante di lusso, non mi avrebbero assunto, [il pubblico ride]
ma da qualche parte avrei fatto il cameriere. Molti sviluppatori mi
dicono, “Quelli che assumono i programmatori richiedono que96
sto, questo e questo. Se non lo faccio, morirò di fame”. È la terminologia che usano letteralmente. Be’, come cameriere non si
può morire di fame. [il pubblico ride] Così, in realtà, non si trovano affatto in pericolo. Ma – e questo è importante – talvolta tendiamo a giustificare qualcosa che danneggia gli altri sostenendo
che altrimenti a noi accadrà qualcosa di peggio. Se costoro stessero veramente morendo di fame, allora sarebbero giustificati a scrivere software proprietario [il pubblico ride]. Se qualcuno ti punta contro una pistola, allora direi che è perdonabile [il pubblico
ride]. Ma trovai il modo di sopravvivere senza dover fare qualcosa di poco etico, perciò quella scusa non si può usare. Però mi sono
reso conto che fare il cameriere non sarebbe stato divertente, e avrei
sprecato le mie capacità in quanto sviluppatore di sistemi operativi. Almeno avrebbe evitato di usare male tali capacità. Sviluppare software proprietario avrebbe significato usare male le mie capacità. Meglio perciò sprecarle che usarle male, ma non è davvero
una bella cosa.
Per queste ragioni, decisi di cercare altre alternative. Cosa può fare
qualcuno che sviluppa sistemi operativi per migliorare veramente
la situazione, per rendere migliore il mondo? E mi resi conto che
ciò di cui c’era bisogno era esattamente qualcuno capace di sviluppare sistemi operativi. Il problema, il dilemma, esisteva per me
e per chiunque altro, poiché tutti i sistemi operativi disponibili
per i computer moderni erano proprietari. I sistemi operativi liberi erano per computer vecchi e obsoleti, giusto? Così per i computer moderni – chi voleva avere un computer moderno e usarlo
era costretto a ricorrere a un sistema operativo proprietario. Perciò se uno sviluppatore avesse scritto un altro sistema operativo
per poi dire, “Venite tutti qui e condividete questo sistema, siete
i benvenuti” – ciò avrebbe offerto a chiunque un via d’uscita al
97
dilemma, un’alternativa. Compresi così che c’era qualcosa che
avrei potuto fare per risolvere il problema. Avevo proprio le capacità adatte per riuscirci. Ed era la cosa più utile che avessi potuto
immaginare di fare con la mia vita. Si trattava di un problema che
nessun altro stava cercando di risolvere. Se ne stava lì, a peggiorare, e non c’era nessuno tranne il sottoscritto. Così mi dissi qualcosa come, “Sono un eletto. Devo lavorarci sopra. Se non io, chi?”
Decisi perciò che avrei sviluppato un sistema operativo libero,
oppure sarei morto provandoci... di vecchiaia, naturalmente [il
pubblico ride].
Ovviamente dovevo decidere che tipo di sistema operativo sarebbe stato. Bisognava prendere delle decisioni di progettazione tecnica. Per una serie di motivi, optai per renderlo compatibile con
Unix. Prima di tutto, avevo appena visto diventare obsoleto un
sistema operativo che amavo davvero, perché scritto per un tipo
di computer specifico. Non volevo che accadesse di nuovo. Dovevamo avere un sistema portabile. Be’, Unix lo era. Perciò se ne avessi seguito il progetto, avrei avuto buone probabilità di realizzare
un sistema che sarebbe stato anch’esso portabile e funzionale. Inoltre, perché non renderlo compatibile nei dettagli? Il motivo è: gli
utenti odiano le modifiche incompatibili. Se avessi progettato il
sistema secondo le mie preferenze – cosa che mi sarebbe piaciuto
molto fare, ne sono certo – avrei prodotto qualcosa di non compatibile. I dettagli sarebbero stati diversi. Se avessi scritto un tale
sistema, la gente mi avrebbe detto, “È molto bello, ma incompatibile. Richiede troppo lavoro passare a questo. Non possiamo permetterci tanti problemi giusto per usare il tuo sistema invece di
Unix, per cui ce ne restiamo con Unix”.
Se avessi voluto creare concretamente una comunità di persone
che usavano questo sistema libero e traevano vantaggio dalla
98
libertà e dalla cooperazione, dovevo realizzare un sistema che la
gente avrebbe utilizzato, un sistema al quale sarebbe stato semplice passare, che non doveva cadere su un ostacolo simile appena
all’inizio. Rendere il sistema compatibile con Unix fece decidere
tutta la successiva progettazione, perché Unix è composto da molti pezzi che comunicano tra loro grazie a interfacce più o meno
documentate. Se si vuole essere compatibili con Unix occorre
quindi sostituire ciascun pezzo, uno ad uno, con un altro compatibile. Le rimanenti decisioni di progettazione rimangono all’interno di ciascun pezzo, e possono essere prese in seguito da chiunque decida di scrivere quel pezzo. Non devono essere decise all’inizio.
Tutto quel che dovemmo fare per iniziare a lavorare fu trovare un
nome al sistema. Noi hacker cerchiamo sempre qualche nome
divertente o strambo per un programma, perché riteniamo che
pensare alla gente che se la ride per il nome costituisca metà del
divertimento di scrivere il programma [il pubblico ride]. E abbiamo la tradizione degli acronimi ricorsivi, per dire che il programma che si sta scrivendo è in qualche modo analogo a un altro già
esistente. È possibile chiamarlo con un acronimo ricorsivo per
dire: questo non è quell’altro. Così, ad esempio, negli anni ‘60 e
‘70 esistevano troppi text editor Tico, e generalmente si chiamavano qualcosa-o-qualcos’altro TECO. Poi un hacker arguto
chiamò il proprio Tint, per Tint Is Not TECO (Tint non è TECO)
– il primo acronimo ricorsivo. Nel 1975 sviluppai il primo text
editor Emacs, e c’erano parecchie imitazioni di Emacs, ma una si
chiamava Fine, per Fine Is Not Emacs, e c’era Sine, per Sine Is Not
Emacs, e Eine, per Eine Is Not Emacs, e MINCE per Mince Is
Not Complete Emacs (questa era un’imitazione ridotta all’osso)
[il pubblico ride]. Poi Eine venne riscritto quasi completamente,
99
e la nuova versione fu chiamata Zwei, per Zwei Was Eine Initially (Zwei era Eine all’inizio).3
Mi misi così alla ricerca di un acronimo ricorsivo per Something
Is Not Unix (Qualcosa non è Unix). Provai tutte le 26 lettere dell’alfabeto (inglese) per scoprire che nessuna poteva formare una
parola. [il pubblico ride] Hmm, prova qualcos’altro. Usai una contrazione. In tal modo avrei avuto un acronimo a tre lettere, per
Something’s Not Unix. Provai le varie lettere, e venne fuori il termine “GNU” – la parola “GNU” è la più divertente della lingua
inglese. [il pubblico ride] Proprio così. Ovviamente il motivo per
cui è divertente sta nel fatto che secondo il dizionario si pronuncia “new” (nuovo). Ecco perché la si usa in parecchi giochi di parole. Ma devo informarvi che si tratta del nome di un animale che
vive in Africa. E la pronuncia africana aveva un suono come di un
clic. [il pubblico ride] Forse ce l’ha ancora. I colonizzatori europei, quando arrivarono lì, non si preoccuparono di imparare a pronunciare quel suono di clic. Lo lasciarono fuori, e scrissero una ‘g’
che stava a significare “qui dovrebbe esserci un altro suono che non
pronunciamo” [il pubblico ride]. Stanotte partirò per il Sud Africa, e li ho implorati, spero che riescano a trovarmi qualcuno che
possa insegnarmi a pronunciare GNU nel modo corretto, quando indica l’animale.
Ma quando si tratta del nostro sistema, la pronuncia corretta è
“guh-NEW” (guh-niu), con la ‘g’ dura. Se si parla del “new” (niu)
sistema operativo, la gente finirà col confondersi perché ci stiamo
lavorando ormai da 17 anni, per cui non è più così “new”, nuovo. [il pubblico ride] Ma è ancora, e sarà sempre, GNU, “guhNEW” – non importa quante persone lo chiameranno Linux per
errore [il pubblico ride].
3
Eine e Zwei significano uno e due in tedesco, rispettivamente.
100
Così nel gennaio 1984, lascio il mio posto al MIT per iniziare a
scrivere le varie parti di GNU. 4
Al MIT furono così bravi da consentirmi di usare le strutture interne. Allora pensai che avremmo scritto tutti i pezzi per costruire
l’intero sistema GNU, e poi avremmo annunciato, “Venite a prenderlo,” e la gente avrebbe iniziato a usarlo. Non è andata così. Le
prime parti che scrissi non erano altro che buone sostituzioni, con
un numero minore di bug, di alcuni pezzi di Unix, ma nulla di
particolarmente eccitante. Nessuno pareva interessato a volerli e a
installarli. Ma poi, nel settembre 1984, iniziai a scrivere GNU
Emacs, che era la mia seconda implementazione di Emacs, e prese a funzionare all’inizio del 1985. Potei usarlo per tutto il mio
lavoro di editing, il che fu un grande sollievo perché non avevo
alcuna intenzione di imparare a usare vi, l’editor di Unix. [il pubblico ride] Fino a quel momento, feci l’editing su qualche altra
macchina, e salvavo i file via rete, in modo che potessi fare dei test.
Ma quando GNU Emacs prese a girare abbastanza bene da consentirmi di usarlo, spuntò fuori altra gente che voleva usarlo.
Così dovetti occuparmi dei dettagli relativi alla distribuzione.
Ovviamente ne misi una copia nella directory dell’anonymous
FTP, e ciò andava bene per quanti erano in rete – bastava che prelevassero un file tar5 – ma c’erano anche parecchi programmatori
che nel 1985 non erano ancora in rete.
Mi mandavano email chiedendo, “Come posso averne un copia?”
Dovevo decidere come avrei replicato. Be’, avrei potuto dire:
“Voglio spendere il mio tempo scrivendo altro software GNU, non
a copiare nastri, perciò trova un amico che è su Internet, che abbia
4
È possibile leggere l’annuncio originario del progetto GNU nel testo “Il Manifesto GNU”.
Programma Unix per l’archiviazione. Integrato con gzip, rappresenta l’alternativa
GNU al formato di compressione non libero ZIP.
5
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voglia di fare il download e metterlo su nastro per te,” e sono sicuro che prima o poi avrebbero trovato qualche amico disposto a farlo. Avrebbero ottenuto quelle copie.
Ma ero senza lavoro. Anzi, fin da quando avevo lasciato il MIT
nel gennaio 1984 non avevo avuto alcun impiego. Stavo cercando il modo di fare dei soldi grazie a quanto andavo facendo con il
software libero, e perciò avviai un’attività commerciale di software libero. Diedi l’annuncio, “Mandami 150 dollari e ti spedisco
un nastro con Emacs.” E gli ordini presero ad arrivare. A metà
anno divennero regolari.
Ricevevo 8-10 ordini al mese. Se necessario, avrei potuto vivere
soltanto con questi, perché ho sempre vissuto con poco. Praticamente vivo come uno studente. E mi piace, perché significa che
non è il denaro a impormi cosa fare. Posso fare quel che ritengo
sia importante per me. Ciò mi ha consentito di fare quel che mi
sembrava valido. Sforzatevi seriamente di evitare di cadere in tutte le abitudini dello stile di vita dei tipici americani. Perché se lo
fate, allora sarà la gente con i soldi a imporvi cosa fare con la vostra
vita. Non sarete in grado di fare quello che è veramente importante per voi.
Le cose andavano bene, ma la gente mi chiedeva, “Cosa intendi
con software libero se costa 150 dollari? [il pubblico ride] Il motivo di queste domande stava nella confusione generata dai significati multipli del termine “free” in inglese. Un significato indica il
prezzo, e un altro la libertà. Quando parlo di software libero mi
riferisco alla libertà, non al prezzo. Pensiamo alla libertà d’espressione (“free speech”), non alla birra gratis (“free beer”). [il pubblico ride] Non avrei certo dedicato così tanti anni della mia vita per
esser certo che i programmatori guadagnassero di meno. Non è
questo il mio obiettivo. Sono un programmatore anch’io e non mi
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dispiacerebbe guadagnare bene. Non dedicherei la mia vita a far
soldi, ma non mi dispiace averne. Quindi, dato che l’etica è la stessa per chiunque, non sono neppure contrario al fatto che altri programmatori guadagnino bene. Non voglio che i prezzi siano bassi. Non è affatto questo il punto. La questione è la libertà. Libertà
per chiunque usi il software, che si tratti o meno di un programmatore.
A questo punto dovrei darvi la definizione di software libero.
Meglio passare ai dettagli concreti, perché è troppo vago dire soltanto “credo nella libertà”. Esistono così tante libertà in cui si può
credere, e sono in conflitto tra loro, perciò la vera domanda politica è: quali sono le libertà importanti, le libertà di cui occorre assicurare l’esistenza a tutti?
Vi darò la mia risposta a questa domanda relativamente all’area
dell’utilizzo del software. Un programma è “software libero” per
uno specifico utente quando quest’ultimo ha le seguenti libertà:
– Primo, libertà zero è la libertà di far girare il programma per qualsiasi scopo, in ogni modo che si vuole.
– Libertà uno è la libertà di aiutare se stessi a modificare il programma secondo le proprie necessità.
– Libertà due è la libertà di aiutare il vicino a distribuire copie del
programma.
– E libertà tre è la libertà di aiutare a costruire una comunità pubblicando una versione migliorata in modo che gli altri possano
trarre vantaggi dal proprio lavoro.
Se avete tutte queste libertà, il programma è software libero, per
l’utente – e ciò è cruciale. Ecco perché uso questa terminologia.
Lo spiegherò meglio più avanti, quando parlerò della Licenza Pubblica Generica GNU (GNU GPL), ma ora illustrerò cosa significa software libero, che è una questione più fondamentale.
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La libertà zero è piuttosto ovvia. Qualora all’utente non venga neppure concesso di far girare il programma come meglio preferisce,
si tratta di un programma decisamente restrittivo. Ma succede che
la maggior parte dei programmi concedono almeno la libertà zero.
E legalmente la libertà zero deriva come conseguenza della libertà
uno, due e tre – questo è il modo con cui funziona la legislazione
sul copyright. Così le libertà che distinguono il software libero dal
software comune sono le libertà uno, due e tre, per cui le illustrerò
a fondo e ne spiegherò l’importanza.
La libertà uno è la libertà di aiutare se stessi a modificare il software secondo le proprie necessità. Ciò potrebbe significare sistemare i bug presenti. Potrebbe significare aggiungere nuove funzioni.
Potrebbe significare crearne la versione per un computer diverso.
Potrebbe significare tradurne i messaggi d’errore in Navajo. Qualsiasi cambiamento l’utente voglia apportare, deve essere libero di
farlo.
È ovvio come gli sviluppatori professionisti possano fare uso di
tale libertà in maniera assai efficace, ma non sono i soli. Chiunque dotato di una comune dose d’intelligenza può imparare un
po’ di programmazione. Ci sono lavori difficili e altri facili, e la
maggioranza non imparerà abbastanza da fare i lavori difficili. Ma
parecchia gente può imparare a sufficienza per occuparsi dei lavori facili, proprio come 50 anni fa molti uomini americani hanno
imparato a riparare le automobili, situazione che consentì agli Stati Uniti di avere un esercito motorizzato nella seconda guerra mondiale e vincerla. È assai importante avere parecchie persone in grado di riparare qualcosa.
E se si tratta di qualche popolano, che non vuole saper nulla della tecnologia, ciò significa che probabilmente avrà un sacco di amici e potrà chiedere loro dei favori [il pubblico ride]. È probabile
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che alcuni di questi siano dei programmatori. Così potrà chiedere loro: “Potresti modificarlo per me? Puoi aggiungerci questa funzione?” Ecco allora che potranno essere in parecchi a beneficiare
di questa libertà.
Ora, se non avete tale libertà, ciò provoca danno materiale, concreto alla società. Ci rende prigionieri del nostro stesso software.
Ho spiegato cosa accadde con la stampante laser. Funzionava male,
e non potemmo ripararla, perché eravamo prigionieri di quel
software.
Ma ciò colpisce anche il morale della gente. Se l’uso del computer è continuamente frustrante, e la gente lo usa, la loro vita finirà
per essere frustrante, e se lo usano al lavoro, sarà quest’ultimo ad
essere frustrante, finiranno per odiarlo. E per autoproteggersi dalla frustrazione, si decide di fregarsene. Così ci troviamo davanti
persone la cui attitudine è, “Be’, oggi sono andato a lavorare. Non
devo fare altro. Se non compio progressi, il problema non è mio,
ma del datore di lavoro”. E quando ciò accade, è negativo per
costoro e negativo per la società come insieme. Questa è la libertà
uno, la libertà di aiutare se stessi.
La libertà due è la libertà di aiutare il vicino di casa distribuendo
copie di un programma. Per degli esseri in grado di pensare e imparare, la condivisione di conoscenze utili è un atto fondamentale di
amicizia. Quando si usa il computer, quest’atto di amicizia prende la forma di condivisione del software. Gli amici condividono
tra loro. Gli amici si aiutano a vicenda. È la natura stessa dell’amicizia. Anzi, questo spirito di buona volontà – lo spirito di aiutare il proprio vicino, volontariamente – è la risorsa più importante della società. È l’elemento di differenza tra una società vivibile e una giungla tipo cane-mangia-cane. Per migliaia d’anni quest’importanza è stata riconosciuta dalle maggiori religioni del
105
mondo, le quali cercano esplicitamente d’incoraggiare un simile
atteggiamento.
Quando andavo all’asilo, i maestri cercavano d’insegnarci quest’attitudine – lo spirito della condivisione – con delle applicazioni pratiche. Credevano che in tal modo l’avremmo imparato. Così
dicevano, “Se porti delle caramelle a scuola, non puoi tenertele per
te; devi condividerle con gli altri bambini”. La società è stata organizzata in modo da insegnare questo spirito di cooperazione. E
perché dovremmo farlo? Perché la gente non coopera del tutto.
Questo è un aspetto della natura umana, ma ce ne sono altri. Esistono molti altri aspetti della natura umana. Perciò, se si vuole una
società migliore bisogna incoraggiare lo spirito della condivisione.
Non si arriverà mai al 100%. Ciò è comprensibile. Occorre anche
prendersi cura di se stessi. Ma se in qualche modo ne ampliamo
la portata, sarà un bene per tutti.
Oggigiorno, secondo il governo statunitense, gli insegnanti
dovrebbero fare esattamente l’opposto. “Oh, Johnny, hai portato
del software a scuola. Non puoi condividerlo. No, condividere è
sbagliato. Condividere significa essere un pirata”. Cosa intendono quando dicono ‘pirata’? Sostengono che aiutare il vicino sia l’equivalente morale di attaccare una nave. [il pubblico ride]
Cosa avrebbero detto al riguardo Gesù o Budda? Scegliete pure il
vostro leader religioso preferito. Non so, forse Manson avrebbe
detto qualche altra cosa, [il pubblico ride] Chissà cosa direbbe Ron
Hubbard? Ma...
Domanda: [inascoltabile]
RMS: Certo, è morto. Ma non l’ammettono. Cosa?
Domanda: Lo stesso vale per gli altri, tutti morti. [il pubblico ride]
Anche Charles Manson è morto. Sono tutti morti, Gesù, Budda...
106
RMS: Si, è vero [il pubblico ride]. Credo allora che in tal senso
Ron Hubbard non sarebbe peggiore degli altri. Comunque...
Domanda: Ron Hubbard usava sempre il software libero – lo ha
liberato da Zanu [il pubblico ride].
RMS: Comunque, ritengo questo sia il motivo più importante perché il software debba essere libero: non possiamo permetterci di
inquinare la risorsa più importante della società. È vero che non si
tratta di una risorsa materiale come l’aria pulita e l’acqua pulita. È
una risorsa psico-sociale, ma è altrettanto concreta, e produce una
differenza tremenda sulle nostre vite. Le azioni che compiamo
influenzano il pensiero degli altri. Quando ce ne andiamo in giro
dicendo alla gente, “Non condividete tra voi”, se dovessero ascoltarci, avremo un effetto sulla società, e non sarebbe certo positivo.
Questa è la libertà due, la libertà di aiutare il proprio vicino.
Ah, inoltre, se tale libertà viene a mancare, ciò non provoca danno soltanto a questa risorsa psico-sociale, ma causa uno spreco –
un danno pratico, materiale. Se il programma ha un proprietario,
e costui organizza le cose in modo che ciascun utente debba pagare onde poterlo usare, qualcuno finirà per dire, “Vorrà dire che ne
farò a meno”. E ciò è uno spreco, spreco inflitto in maniera deliberata. La cosa interessante riguardo il software, naturalmente, è
che quantità minore non significa doverne fare di meno. Se c’è
meno gente che compra autovetture, se ne faranno di meno. C’è
un risparmio. Nel costruire una macchina, esistono delle risorse
da allocare o meno. Si può dire cioè che mettere un prezzo su
un’autovettura sia qualcosa di positivo. Previene la gente dall’usare molte risorse sprecate per costruire macchine che non sono veramente necessarie. Ma se ogni ulteriore macchina non richiedesse
alcuna risorsa, non ci sarebbe nulla di positivo nel risparmiarne la
107
costruzione. Per gli oggetti materiali, come le autovetture, bisognerà sempre usare delle risorse per costruirne un altro, per ogni
esemplare aggiuntivo.
Ma ciò non vale per il software. Chiunque può farne una copia. Ed
è talmente semplice farlo. Non occorre alcuna risorsa, eccetto un
minimo di elettricità. Non c’è nulla che possiamo risparmiare, nessuna risorsa da allocare in maniera migliore imponendo un disincentivo economico sull’uso del software. Spesso si trova gente che
prende le conseguenze di un ragionamento economico, basato su
premesse inapplicabili al software, cercando di trapiantarle da altri
ambiti della vita in cui si applicano quelle premesse, e le conclusioni possono essere valide. Non fanno altro che prendere tali conclusioni e ne assumono la validità anche per il software, quando
invece l’argomento è basato sul nulla, nel caso del software. In tal
caso le premesse non funzionano. È molto importante esaminare
il modo in cui si raggiungono le conclusioni, e su quali premesse
siano basate, per vedere se possano essere considerate valide o meno.
Così, questa è la libertà due, la libertà di aiutare il vicino.
La libertà tre è la libertà di aiutare a costruire la propria comunità
tramite la pubblicazione di una versione migliorata del software.
La gente mi diceva di solito, “Se il software è libero, allora nessuno verrà pagato per lavorarci sopra, perché mai qualcuno dovrebbe farlo?” Ovviamente facevano confusione tra i due diversi significati di ‘free’, tale ragionamento era basato su un’incomprensione di partenza. Ma in ogni caso questa era la loro teoria. Oggi possiamo confrontare tale teoria con dei fatti empirici, per constatare che centinaia di persone sono pagate per scrivere software libero, e oltre 100.000 lo fanno come volontari. Abbiamo un sacco di
gente che lavora sul software libero, per motivi diversi.
Quando diffusi per la prima volta GNU Emacs – il primo pezzo
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del sistema GNU che la gente prese davvero ad usare – e quando
iniziò ad avere degli utenti, dopo qualche tempo, ricevetti un messaggio che diceva, “Credo di aver visto un bug nel codice sorgente, ed ecco qui come sistemarlo.” E poi arrivò un altro messaggio,
“Questo è il codice per aggiungere una nuova funzione.” E poi un
altro bug, e un’altra funzione nuova. E così via finché ne fui sommerso in maniera talmente rapida che stava diventando un lavoro enorme soltanto riuscire a usare tutto quest’aiuto. Microsoft
non ha di questi problemi. [il pubblico ride]
Alla fine, il fenomeno attirò l’attenzione generale. Negli anni ‘80
parecchi di noi ritenevano che forse il software libero non sarebbe stato così efficace come il software non libero, perché non
avremmo avuto denaro sufficiente per pagare la gente coinvolta.
E naturalmente persone come il sottoscritto, a cui stanno a cuore
la libertà e la comunità, dicevano: “Be’, useremo comunque il
software libero.” Vale la pena di fare qualche sacrificio riguardo la
mera convenienza tecnica in cambio della libertà. Ma quel che la
gente iniziò a notare, verso il 1990, fu che il nostro software in
realtà era migliore. Era più potente e più affidabile delle alternative proprietarie.
All’inizio degli anni ‘90 qualcuno trovò il modo di misurare scientificamente l’affidabilità del software. Ecco cosa fece. Prese alcune serie diverse di programmi comparabili che eseguivano lavori
analoghi – gli stessi identici lavori – su sistemi differenti. Ciò grazie all’esistenza di certe utilità di base simili a Unix. E i lavori eseguiti erano più o meno gli stessi – ovvero, seguivano le specifiche
POSIX – in modo da essere identici in termini di risultati ottenuti; ma erano mantenuti da persone diverse, e scritti separatamente tra loro. Il codice era diverso. Così dissero, bene, prenderemo questi programmi e li faremo girare con dati a caso, e misu109
reremo quanto spesso si bloccano o funzionano male. Lo misurarono, e la serie di programmi più affidabile fu quella GNU. Tutte le alternative commerciali, che erano software proprietario,
risultarono meno affidabili. Così l’autore della ricerca la pubblicò
e ne informò tutti gli sviluppatori. Qualche anno dopo ripeté lo
stesso esperimento con versioni più recenti, e ottenne il medesimo risultato. Le versioni GNU si dimostrarono più affidabili.
Sapete, ci sono cliniche per il cancro e i servizi del 9116 che usano il sistema GNU, perché è così affidabile, e per loro l’affidabilità è decisamente importante.
Comunque, c’è perfino un gruppo di persone che usa questo particolare vantaggio come motivazione principale nel consentire agli
utenti di fare queste varie cose, di avere queste libertà. Se mi avete ascoltato, avrete notato come, parlando per il movimento del
software libero, parli di questioni etiche, e di quale tipo di società
vogliamo avere, su cos’è che rende positiva una società, come pure
sui vantaggi pratici, materiali. Sono entrambi questioni importanti. Questo è il movimento del software libero.
L’altro gruppo di persone – definito il movimento open source – cita
soltanto tali vantaggi pratici. Negano che si tratti di una questione di principio. Negano il riconoscimento alla libertà di condividere con il proprio vicino e di vedere come funziona il programma e di modificarlo se non ci piace. Sostengono tuttavia l’utilità
di consentire alla gente di fare tutto ciò. Così vanno dalle varie
aziende e dicono loro, “Potete fare più soldi se consentite alla gente di fare ciò.” Quel che possiamo vedere, in un certo senso, è che
spingono verso una direzione similare, ma per ragioni filosofiche
fondamentalmente, totalmente diverse.
6
In molte aree degli Stati Uniti il 911 è il numero telefonico per le chiamate
d’emergenza.
110
Sulla questione più profonda di tutte, quella etica, i due movimenti sono in disaccordo. Nel movimento del software libero
diciamo, “L’utente ha diritto a queste libertà. Non dovrebbero
impedirgli di fare queste cose.” Nel movimento open source dicono, “Si, possono impedirglielo se vogliono, ma cercheremo di convincerli a permettere all’utente di fare queste cose.” Be’, hanno
dato un contributo – hanno convinto un certo numero di aziende a diffondere parti sostanziali di software come software libero
nella nostra comunità. Il movimento open source ha contribuito
in maniera sostanziale alla comunità, e lavoriamo insieme [a loro]
su progetti pratici. Ma a livello filosofico esiste un disaccordo terribile.
Purtroppo il movimento open source è quello che ottiene il sostegno della maggioranza dell’imprenditoria, e quindi la gran parte
degli articoli sul nostro lavoro ci descrivono come open source, e
parecchia gente ritiene parimenti in buona fede che facciamo tutti parte del movimento open source. Ecco perché insisto con questa distinzione. Voglio farvi notare che movimento del software
libero, che ha creato questa comunità e ha sviluppato il sistema
operativo libero, è ancora qui – e che continueremo a batterci per
questa filosofia etica. Voglio farvelo sapere, in modo che non possiate informare erroneamente qualcun altro.
Ma anche perché così potete riflettere sulle vostre stesse posizioni.
Spetta a ciascuno di voi decidere quale movimento sostenere. Potete dichiararvi d’accordo con il movimento del software libero e
con le mie osservazioni. Potete dichiararvi d’accordo con il movimento open source. Potete dichiararvi in disaccordo con entrambi i movimenti. Tocca a voi decidere da che parte stare su queste
faccende politiche.
Ma nel caso siate d’accordo con il movimento del software libero
111
– se credete esista la questione della gente la cui vita è controllata
e diretta da simili decisioni, e volete dire la vostra al riguardo –
spero allora che vorrete dichiararvi d’accordo con il movimento
del software libero, e un modo per dimostrarlo è usare il termine
software libero (“free software”) e aiutare a informare gli altri della nostra esistenza.
Allora, la libertà tre è molto importante a livello sia pratico sia psico-sociale. La mancanza di tale libertà provoca danno pratico e
materiale, perché questa comunità di sviluppo non esisterebbe, e
non potremmo avere software potente e affidabile. Ma ciò causa
anche danno psico-sociale perché colpisce lo spirito della cooperazione scientifica – l’idea che stiamo lavorando insieme per l’avanzamento della conoscenza umana. Il progresso scientifico
dipende in modo cruciale dalla capacità di lavorare insieme. Oggigiorno, tuttavia, ci si imbatte spesso in piccoli gruppi di ricercatori che operano come fossero in guerra con ogni altra banda di
ricercatori e ingegneri. Ma se non condividono i dati a vicenda,
rimangono tutti bloccati.
Queste sono dunque le tre libertà che distinguono il software libero dal software comune. La libertà uno è la libertà di aiutare se
stessi, operando i cambiamenti necessari alle proprie esigenze. La
libertà due è la libertà di aiutare il proprio vicino distribuendo delle copie. E la libertà tre è la libertà di aiutare a costruire la propria
comunità apportando delle modifiche e pubblicandole per l’uso
altrui. Se esistono tutte queste libertà, il programma è software
libero per chi lo usa. Ora, perché lo definisco in tal modo rispetto a un utente specifico? Si tratta forse di software libero per te?
[indicando qualcuno tra il pubblico] È software libero per te?
[indicando qualcun altro tra il pubblico] Oppure per te? [indicando una terza persona tra il pubblico] Sì?
112
Domanda: Puoi illustrare meglio la differenza tra la libertà due e
la tre?
RMS: Be’, sono certamente correlate, perché non avendo affatto
la libertà di ridistribuzione, sicuramente non si potrà avere quella di ridistribuirne una versione modificata, ma si tratta di attività
diverse.
La libertà due è: l’utente ne fa una copia esatta, e la passa agli amici, in modo che anche costoro possano farne uso. O forse ne fa
delle copie identiche e le vende a un po’ di persone, e questi possono farne uso.
La libertà tre riguarda i miglioramenti apportati dall’utente – o
almeno, quelli che quest’ultimo ritiene tali e su cui anche altri si
dichiarano d’accordo. Questa è la differenza. Ah, c’è anche un altro
punto cruciale. Le libertà uno e tre dipendono dall’accesso al codice sorgente. Perché modificare un programma solo binario è estremamente difficile [il pubblico ride] – perfino cambiamenti stupidi come le quattro cifre per la data7 – se non si hanno i sorgenti.
Così per motivi impellenti, pratici, l’accesso al codice sorgente è
una pre-condizione, un requisito, per il software libero.
Perché allora definisco tale il software libero rispetto a un utente
specifico? Il motivo è che talvolta uno stesso programma può essere software libero per qualcuno, e non libero per altri. Siccome
questa potrebbe sembrare una situazione limite, vi farò un esempio così da chiarirne meglio le circostanze. Un grande esempio –
forse il più grande possibile – di questo problema fu il sistema X
Windows, sviluppato al MIT e diffuso sotto una licenza che lo
7
Ci si riferisce qui al problema “Y2K”, dove molti vecchi programmi riportavano
l’anno in due cifre; non era quindi chiaro se la data “00” indicasse il 2000 o il 1900, o
qualsiasi altro anno che finiva in 00. Svariati milioni di dollari vennero spesi per
riparare il problema in migliaia di sistemi informatici prima dell’anno 2000.
113
rese software libero. La versione con la licenza del MIT offriva
all’utente le libertà uno, due e tre. Per chi lo usava era software
libero. Ma tra quanti ne ottennero delle copie c’erano alcuni produttori che distribuivano sistemi Unix, e vi apportarono le modifiche necessarie per farlo girare sui quei sistemi. Probabilmente tali
modifiche interessavano appena qualche migliaio di righe su un
totale di centinaia di migliaia di righe. Così lo compilarono, misero i file binari nel sistema Unix e lo distribuirono sotto gli stessi
accordi di non divulgazione che coprono il resto del sistema Unix.
E allora milioni di persone ottennero queste copie. Avevano il
sistema X Windows, ma nessuna di queste libertà. Per quegli utenti non era software libero.
Così, il paradosso fu che X era software libero a seconda da dove
lo si misurava. Misurandolo tra il gruppo di sviluppatori, si diceva, “Io rispetto tutte queste libertà. È software libero.” Misurandolo tra gli utenti, si diceva “Hmmm, la maggioranza degli utenti non ha queste libertà. Non è software libero.” Per gli sviluppatori di X ciò non rappresentava un problema, poichè il loro obiettivo era semplicemente la popolarità – ego, sostanzialmente. Miravano a un grande successo professionale. Volevano sentirsi tipo,
“Ah, c’è un sacco di gente che usa il nostro software.” Ed era vero.
Molte persone usavano quel software ma non avevano libertà.
Be’, nel progetto GNU, se qualcosa di simile fosse accaduto al
software GNU, sarebbe stato un fallimento, perché il nostro obiettivo non era soltanto diventare popolari; lo scopo era dare libertà
alla gente, e incoraggiare la cooperazione, consentire alla gente di
cooperare. Ricordiamolo, non bisogna costringere mai nessuno a
cooperare con qualcun altro, ma occorre assicurarsi che a chiunque sia consentito cooperare, che tutti abbiano la libertà di farlo,
se così decidono. Se milioni di persone avessero usato le versioni
114
non libere di GNU, ciò non sarebbe stato affatto un successo. L’intera situazione sarebbe scaduta in qualcosa di ben lontano dalla
meta.
Così mi misi alla ricerca di un modo per impedire ciò. Il metodo
che misi a punto è definito “copyleft”. Viene chiamato copyleft
(permesso d’autore) perché è qualcosa di simile a prendere il copyright (diritto d’autore) e rigirarlo sottosopra. [il pubblico ride] A
livello legale, il copyleft funziona sulla base del copyright. Usiamo
le attuali leggi sul copyright ma in modo tale da raggiungere un
obiettivo molto diverso. Ecco cosa facciamo. Diciamo, “Questo
programma è sotto copyright.” E naturalmente ciò significa per
definizione che ne è vietata la copia, la distribuzione o la modifica. Ma poi diciamo, “L’utente è autorizzato a distribuirne delle
copie. L’utente è autorizzato a modificarlo. L’utente è autorizzato
a distribuirne versioni modificate e versioni ampliate. Può modificarlo in qualsiasi modo voglia”.
Esiste però una condizione. E la condizione, ovviamente, è il motivo per cui ci siamo dati la pena di fare tutto ciò, in modo da poter
aggiungere tale condizione. La condizione recita: Ogni volta che
l’utente distribuisce qualunque cosa che contenga una parte qualsiasi di questo programma, quell’intero programma deve essere
distribuito sotto gli stessi termini, niente di più e niente di meno.
L’utente può cambiare il programma e distribuirne una versione
modificata, ma quando lo fa, a quanti lo ricevono dall’utente spetta la medesima libertà che abbiamo dato a tale utente. E non soltanto per le parti che quest’ultimo ha copiato dal nostro programma, ma anche per le altre parti di tale programma che gli altri
hanno ricevuto dallo stesso utente. Per coloro che lo ricevono, il
programma nella sua interezza deve essere libero.
Le libertà di cambiare e ridistribuire questo programma diventano
115
diritti inalienabili – un concetto derivato dalla Dichiarazione d’Indipendenza statunitense. Diritti che vogliamo esser certi non vengano portati via all’utente. La licenza specifica che dà corpo all’idea di copyleft è la Licenza Pubblica Generica GNU (GNU GPL),
una licenza controversa perché in realtà possiede la forza di dire no
a coloro che vorrebbero fare i parassiti della nostra comunità.
Ci sono molte persone che non apprezzano gli ideali di libertà. E
sarebbero molto contente di prendere il lavoro che abbiamo fatto
per usarlo come spinta d’avvio nella distribuzione di un programma non libero e nell’allettare la gente a rinunciare alle proprie libertà. Il risultato sarebbe – se consentiamo alla gente di farlo – che dopo aver sviluppato questi programmi liberi, dovremmo costantemente competere con le versioni migliorate dei nostri
stessi programmi. Nient’affatto divertente.
Molta gente chiede anche, “Vorrei offrire il mio tempo per contribuire senza compenso alla comunità, ma perché dovrei offrire volontariamente il mio tempo per contribuire a migliorare il programma
proprietario di quell’azienda?” Qualcuno potrebbe perfino non ritenere che ciò sia un male, ma vogliono essere pagati per un simile
lavoro. Personalmente, preferisco piuttosto non farlo affatto.
Tuttavia entrambi questi gruppi di persone – quelli come me che
dicono, “Non voglio aiutare i programmi non liberi a mettere un
piede nella nostra comunità”, e quelli che sostengono, “Certo, sono
disposto a lavorare per loro, ma voglio essere pagato” – hanno una
buona ragione per usare la Licenza Pubblica Generica GNU. Perché questa dice a ogni azienda, “Non puoi soltanto appropriarti del
mio lavoro, e distribuirlo senza la libertà.” Mentre ciò viene consentito dalle licenze non copyleft, come quella per X Windows.
Questa dunque è la grande divisione tra le due categorie di software libero, a livello di licenza. Ci sono programmi sotto copyleft in
116
modo che la licenza tuteli la libertà del software per ciascun utente. E ci sono i programmi non coperti da copyleft per i quali sono
permesse versioni non libere. Qualcuno può prendere questi ultimi programmi e strapparne via la libertà. L’utente può ricevere
quel programma in una versione non libera.
Questo problema esiste ancor oggi. Ci sono ancora versioni non
libere di X Windows usate sui nostri sistemi operativi liberi. C’è
perfino dell’hardware che non è veramente supportato eccetto che
da una versione non libera di X Windows. E questo è un problema importante per la nostra comunità. Ciò nonostante non definirei negativamente X Windows. Direi che gli sviluppatori non
operarono al meglio. Ma diffusero comunque parecchio software
che tutti noi possiamo usare.
C’è molta differenza tra meno che perfetto e negativo. Esistono
molte gradazioni tra bene e male. Dobbiamo resistere alla tentazione di dire, se qualcuno non ha fatto la cosa assolutamente
migliore possibile, che è tutto negativo. Le persone che hanno sviluppato X Windows hanno fornito un grande contributo alla
comunità. Ma avrebbero potuto fare qualcosa di meglio. Avrebbero potuto mettere sotto copyleft alcune parti del programma
onde prevenire l’ulteriore distribuzione di quelle versioni che
negavano la libertà.
Ora, il fatto che la Licenza Pubblica Generica GNU difenda la
libertà dell’utente, ricorrendo alle leggi sul copyright per tutelare
la libertà dell’utente, è naturalmente il motivo per cui oggi Microsoft ci attacca. Microsoft vorrebbe davvero riuscire a prendere tutto il codice che scriviamo e metterlo in programmi proprietari,
qualcuno poi gli apporterà qualche miglioria... o forse tutto ciò di
cui hanno bisogno è soltanto qualche modifica incompatibile [il
pubblico ride].
117
Con la potenza del marketing, Microsoft non deve migliorarlo per
far sì che la propria versione soppianti la nostra. Gli basta renderlo diverso e incompatibile. E poi metterlo sulla scrivania di tutti
gli utenti. Perciò non gradiscono affatto la GNU GPL. Perché questa non consente loro di fare così. La GNU GPL non permette di
“abbracciare ed estendere.” Dice, se l’utente vuole condividere il
codice dei suoi programmi, può farlo. Ma deve condividere, e condividere allo stesso modo. Ogni cambiamento fatto dall’utente
dev’essere parimenti condiviso da tutti noi. Si tratta cioè di una
cooperazione a due canali, che è poi la vera cooperazione.
Molte aziende – anche quelle grandi tipo IBM e Hewlett-Packard
– hanno deciso di usare il nostro software su queste basi. IBM e
Hewlett-Packard hanno offerto miglioramenti sostanziali al
software GNU. E sviluppano altro software libero. Ma Microsoft
non vuole farlo, rinunciando così a ogni attività commerciale che
abbia a che fare con la GPL. Be’, se tale attività non includesse
IBM, Hewlett-Packard e Sun, allora forse avrebbero ragione [il
pubblico ride]. Ne parleremo meglio più avanti.
Vorrei concludere l’aspetto storico. Siamo partiti nel 1984 non soltanto per scrivere software libero ma anche per fare qualcosa di molto più coerente: sviluppare un sistema operativo che fosse interamente software libero. Ciò significava che avremmo dovuto scriverne un pezzo dopo l’altro. Naturalmente eravamo sempre alla
ricerca di scorciatoie. Un compito talmente vasto che la gente sosteneva che non saremmo mai stati capaci di portarlo a termine. Io
ritenevo che avevamo almeno una possibilità di completarlo, ma
ovviamente valeva la pena di cercare delle scorciatoie. Così continuavamo a guardarci intorno. Esistevano programmi scritti da altri
che avremmo potuto maneggiare in modo da adattarli, da inserirli qui dentro, e in tal modo evitare di doverli scrivere partendo da
118
zero? Ad esempio, il sistema X Windows. È vero che non era sotto copyleft, ma era software libero, quindi potevamo usarlo.
Ora, fin dal primo giorno avrei voluto mettere un sistema a finestre all’interno di GNU. Avevo scritto un paio di sistemi a finestra al MIT, prima di iniziare GNU. E così pur se nel 1984 Unix
non aveva un sistema a finestre, decisi che GNU l’avrebbe avuto.
Ma non arrivammo mai a scrivere un sistema a finestre GNU perché arrivò X. E allora feci: “Ottimo! Un grosso lavoro che non dobbiamo fare. Useremo X.” Dissi, prendiamo X e inseriamolo nel
sistema GNU. E faremo in modo che le altri parti di GNU operino bene con X, quando necessario. Poi trovammo nuovi pezzi di
software scritti da altri, come il formattatore di testi TeX, e qualche codice di libreria da Berkeley. A quei tempi esisteva Berkeley
Unix, ma non era software libero. Inizialmente questo codice di
libreria veniva da un gruppo diverso a Berkeley, che faceva ricerche
sul punto di fluttuazione. Così mettemmo insieme questi pezzi.
Nell’ottobre 1985 fondammo la Free Software Foundation. È il
caso di notare che fu il progetto GNU a venire prima. La Free
Software Foundation arrivò almeno due anni dopo l’annuncio del
progetto GNU. La Free Software Foundation è un ente senza fini
di lucro che raccoglie fondi per promuovere la libertà di condividere e modificare il software. Negli anni ‘80 una delle cose più
importanti che facemmo con i fondi raccolti fu assumere gente
per scrivere parti di GNU. E programmi essenziali, quali la shell
e la libreria C, vennero scritti in questo modo, come pure parti di
altri programmi. Il programma tar, che è assolutamente essenziale, pur se nient’affatto eccitante [il pubblico ride], è stato scritto
in questo modo. Credo lo stesso valga anche per il grep GNU. E
così ci avvicinavamo alla meta prefissata.
Nel 1991 mancava soltanto un pezzo importante, si trattava del
119
kernel. Ora, perché lasciai da parte il kernel? Probabilmente perché non importa granché in quale ordine si integrano i vari pezzi,
almeno a livello tecnico non importa. Devi comunque farli tutti.
E in parte perché speravo che saremmo partiti da un kernel trovato da qualche parte. E così fu. Trovammo Mach, che era stato sviluppato alla Carnegie Mellon. Non era il kernel intero, solo la metà
inferiore. Dovevamo perciò scrivere quella superiore; cose tipo il
file system, il codice di rete, e così via. Ma quelli che girano su Mach
sono essenzialmente programmi per utenti, i cui bug devono risultare facili da sistemare. Il debug si può fare contemporaneamente
con un vero debugger a livello di codice. Credevo che in tal modo
avremmo potuto fare in tempi brevi le parti di alto livello del kernel. Non andò così. Questi processi asincroni e plurilivelli, l’invio
di messaggi tra di noi, si dimostrarono molto difficili per il debug.
E il sistema basato sul Mach che usavamo aveva un terribile
ambiente per il debug, ed era inaffidabile. Impiegammo anni e anni
per far funzionare il kernel GNU.
Ma fortunatamente la comunità non doveva aspettare il kernel
GNU. Perché nel 1991 Linus Torvalds sviluppò un altro kernel
libero, chiamato Linux. Usò il buon vecchio progetto monolitico
e accadde che il suo funzionò in tempi molto più rapidi del nostro.
Forse questo fu uno degli errori che commisi: la decisione progettuale. Comunque, all’inizio non sapevamo nulla di Linux, perché Torvalds non ci contattò mai per parlarne, pur sapendo dell’esistenza del progetto GNU.
Ma l’annunciò ad altre persone e altrove in rete. E poi qualcun
altro si occupò di integrare Linux con il resto del sistema GNU,
arrivando a completare il sistema operativo libero. Sostanzialmente, realizzando la combinazione GNU più Linux.
Ma non avevano capito che era questo che stavano facendo. Dice120
vano, “Abbiamo un kernel – guardiamoci intorno per vedere quali altri pezzi possiamo trovare da mettere insieme al kernel.” Così
si guardarono intorno, ed ecco che tutto ciò di cui avevano bisogno era già disponibile. “Che bella fortuna,” andavano dicendo.
[il pubblico ride] “È tutto bell’e pronto. Possiamo trovare tutto
quanto ci occorre. Basta prendere tutte queste cose diverse e metterle insieme per avere un sistema.”
Non sapevano che la maggior parte di quanto trovarono erano pezzi del sistema GNU. Così non si accorsero che stavano integrando Linux nel varco del sistema GNU. Credevano di star costruendo un sistema derivante direttamente da Linux. Perciò lo chiamarono Linux. [Qualcuno tra il pubblico chiede] “Ma si tratta
forse di maggior fortuna che trovare il sistema X Windows e
Mach?” [Stallman replica e poi prosegue] Giusto. La differenza sta
nel fatto che gli sviluppatori di X e Mach non avevano l’obiettivo
di fare un sistema operativo libero completo. Eravamo soltanto
noi a volerlo fare. E il sistema esisteva grazie al nostro tremendo
lavoro. In realtà noi facemmo la parte più ampia del sistema rispetto a qualsiasi altro progetto. Non si trattò di una coincidenza, perché quella gente scrisse utili parti del sistema. Ma non lo fecero
perché volevano completare il sistema. Avevano altri motivi.
Quanti svilupparono X ritenevano che realizzare un sistema a finestre tramite la rete fosse un buon progetto, e lo era. E accadde che ci
fu d’aiuto nel realizzare un buon sistema operativo libero. Ma non è
quanto speravano quegli sviluppatori. Non ci pensavano neppure.
Fu un incidente. Un incidente benefico. Non sto sostenendo che
quanto fecero fosse mal fatto. Portarono a termine un ampio progetto di software libero. Un’ottima cosa da fare. Ma non avevano una
visione complessiva. Fu il progetto GNU a incarnare tale visione.
E così noi riuscimmo a fare ogni piccolo pezzo che non aveva fat121
to nessun altro. Perché sapevamo che senza questi pezzi non
avremmo avuto un sistema completo. E pur essendo totalmente
noioso e poco romantico, come tar o mv8 [il pubblico ride], lo
facemmo.
Oppure ld – sapete, non c’è nulla di eccitante in ld, ma io ne ho
scritto uno [il pubblico ride]. E mi sono sforzato per far sì che
occupasse una quantità minima di disco I/O in modo da poter
essere più veloce e gestire programmi più ampi. Mi piace fare un
buon lavoro; mi piace migliorare varie cose nel programma mentre ci lavoro su. Ma la ragione per cui lo feci non era che avessi
delle idee per un ld migliore. Il motivo per cui lo feci era che avevamo bisogno di una versione che fosse libera. E non potevamo
aspettarci che lo facesse qualcun altro. Dovevamo farlo noi, o trovare qualcuno che lo facesse. Così, nonostante a questo punto sono
migliaia le persone e i progetti che hanno contribuito a questo
sistema, c’è un progetto alla base dell’esistenza stessa di tale sistema, ed è il progetto GNU. Sostanzialmente si tratta del sistema
GNU con altre cose aggiunte in seguito.
La pratica di chiamare il sistema Linux è stato un grave colpo per
il progetto GNU, perché normalmente non si riconosce a qualcuno quel che non ha fatto. Credo che Linux, il kernel, sia un pezzo di software libero assai utile, e ho soltanto cose buone da dire
al riguardo. In realtà, avrei un paio di cattiverie da dire su Linux.
[il pubblico ride] Ma in sostanza ho apprezzamenti positivi. Tuttavia, la pratica di definire il sistema GNU con “Linux” è proprio
un errore. Vorrei pregarvi di compiere il piccolo sforzo necessario
per chiamare il sistema GNU/Linux, aiutandoci così ad ottenere
parte del riconoscimento.
[Qualcuno tra il pubblico urla] “Vi serve una mascotte! Trova un
8
Un semplice programma per spostare o rinominare i file.
122
animale di peluche!” [Stallman risponde] Ne abbiamo uno. [La
persona replica] “E qual’è?” [Stallman risponde, provocando grandi risate] Abbiamo un animale, lo gnu. Giusto, quando disegnate un pinguino metteteci anche uno gnu di fianco. Ma conserviamo le domande per la fine. Devo parlare di altre cose.
Perché dunque mi preoccupo di questa faccenda? Perché credo valga la pena di disturbarvi e forse farvi una cattiva impressione [il
pubblico ride] sollevando la questione del riconoscimento? Quando lo faccio, qualcuno ritiene che è per soddisfare il mio ego, vero?
Naturalmente non vi sto chiedendo di chiamarlo “Stallmanix”,
giusto? [il pubblico ride] [applausi]
Vi chiedo di chiamarlo GNU perché voglio che il progetto GNU
ottenga il giusto riconoscimento. E c’è un motivo specifico per
questo, che è molto più importante del riconoscimento per chicchessia, in e per se stesso. Oggigiorno guardandosi intorno nella
nostra comunità la maggior parte della gente ne parla e ne scrive
senza mai menzionare GNU, e non citano mai neppure questi
obiettivi di libertà – questi concetti politici e sociali. Perché il luogo da cui arrivano tali concetti è GNU. Le idee associate con
Linux, la loro filosofia è molto diversa. Praticamente è la filosofia
apolitica di Linus Torvalds. Così, quando si ritiene che l’intero
sistema sia Linux, si tende a pensare: “Oh, tutto dev’essere stato
iniziato da Linus Torvalds. La sua filosofia è quella che dovremmo considerare con attenzione.” E quando sentono parlare della
filosofia GNU, dicono: “Ma ciò è così idealista, dev’essere terribilmente impraticabile. Io sono un utente Linux, non un utente
GNU.” [il pubblico ride]
Com’è ironico! Se soltanto sapessero! Se sapessero che il sistema
che piace loro – o, in alcuni casi, che amano e di cui vanno pazzi
– è la nostra filosofia idealista, politica resa in concreto.
123
Non sarebbero comunque d’accordo con noi. Ma almeno vedrebbero un motivo per prenderla sul serio, per rifletterci con attenzione, per darle una possibilità. Vedrebbero come ciò sia in relazione con la propria vita. Se si rendessero conto, “Uso il sistema
GNU. Ecco la filosofia GNU. Questa filosofia è la ragione per l’esistenza stessa del sistema che mi piace così tanto,” quantomeno
lo considererebbero con mente più aperta. Ciò non significa che
sarebbero tutti d’accordo. La gente pensa in modo diverso. Va bene
così – ciascuno dovrebbe ragionare con la propria testa. Ma voglio
che questa filosofia ottenga il beneficio del riconoscimento per i
risultati raggiunti.
Guardandosi intorno nella comunità, si noterà che quasi ovunque
le istituzioni definiscono il sistema Linux. Per lo più i giornalisti lo
chiamano Linux. Non è corretto, ma lo fanno. Lo stesso dicasi per
le varie aziende che impacchettano il sistema. E gran parte di quei
giornalisti, quando scrivono degli articoli, generalmente non la considerano una questione politica o sociale. Normalmente parlano di
una faccenda puramente commerciale o di quali aziende avranno
più o meno successo, che in realtà è una questione decisamente
minore per la società. E se consideriamo le aziende che impacchettano il sistema GNU/Linux per l’utenza, be’, la maggioranza lo chiama Linux. E tutte vi aggiungono software non libero.
La GNU GPL dice che se si prende del codice, e si tratta di codice da un programma coperto dalla GPL, e vi si aggiunge altro codice per fare un programma più ampio, quest’ultimo va diffuso nella sua interezza sotto la GPL. Ma si possono mettere altri programmi separati su uno stesso disco (hard disk o CD) e questi possono avere altre licenze. Ciò viene considerata una mera aggregazione e, sostanzialmente, la semplice distribuzione contemporanea di due programmi è qualcosa su cui non abbiamo nulla da
124
dire. Perciò non è vero – talvolta vorrei lo fosse – che se un’azienda usa un programma coperto dalla GPL all’interno di un prodotto questo debba essere completamente software libero. Non è
così, non raggiunge quest’ampiezza, questo scopo. Si tratta dell’intero programma. Se ci sono due programmi separati che comunicano tra loro a distanza ravvicinata, tipo inviandosi messaggi a
vicenda, allora sono legalmente separati, in generale. Queste aziende, quando aggiungono al sistema software non libero, danno agli
utenti un’idea molto sbagliata, a livello filosofico e politico. Dicono loro, “È bene usare software non libero. Lo mettiamo perfino
qui in aggiunta.”
Se diamo un’occhiata alle riviste sull’uso del sistema GNU/Linux,
in maggioranza hanno titoli quali “Linux qualcosa-o-qualcos’altro”. La maggior parte delle volte definiscono il sistema Linux. E
sono zeppe di annunci di software non libero che si può far girare sul sistema GNU/Linux. Questi annunci suggeriscono un messaggio comune. Dicono: “Il software non libero è un bene per l’utente. A tal punto che puoi persino pagare per averlo.” [il pubblico ride]
E li chiamano “pacchetti a valore aggiunto”, il che ne rivela i valori. Questa gente dice: Date valore alla convenienza pratica, non
alla libertà. Io non sono d’accordo con questi valori, per cui li chiamo “pacchetti a libertà sottratta.” [il pubblico ride] Perché, avendo installato un sistema operativo libero, allora si vive nel mondo
libero. Si apprezzano i benefici della libertà su cui abbiamo lavorato per anni onde garantirli all’utente. Quei pacchetti offrono
invece la possibilità di legarsi a una catena.
Se poi consideriamo le mostre specializzate dedicate all’uso del
sistema GNU/Linux, le chiamano tutte “Linux”. E sono piene di
stand che espongono software non libero, sostanzialmente ponen125
do il timbro d’approvazione sul software non libero. Così, quasi
ovunque si guardi nella comunità, le istituzioni appoggiano il
software non libero, negando completamente quell’idea di libertà
per cui fu sviluppato GNU. L’unico ambito in cui ci si imbatte
con l’idea di libertà è in connessione con GNU, e in connessione
con il software libero, il termine software libero. Ecco perché vi
chiedo: Per favore chiamate il sistema GNU/Linux. Per favore fate
sapere alla gente da dove arriva e perché esiste quel sistema.
Naturalmente, il solo uso di quel nome non significa offrirne una
spiegazione storica. Si possono inserire altri quattro caratteri e scrivere GNU/Linux; si possono dire due sillabe aggiuntive. Ma
GNU/Linux contiene meno sillabe di Windows 2000 [il pubblico ride]. Non si spiega granché agli altri, ma li si prepara a saperne di più su cos’è GNU, e così vedranno come sia collegato a loro
e alla propria vita. E ciò, indirettamente, può fare una differenza
tremenda. Per favore dateci una mano.
Avrete notato come Microsoft abbia definito la GPL una “licenza open source.” Non vogliono che la gente consideri la questione in termini di libertà. Si scopre che invitano la gente a pensare
in maniera ristretta, in quanto consumatori, e naturalmente a pensare neppure molto razionalmente in quanto tali, se si apprestano
a scegliere prodotti Microsoft. Ma non vogliono che la gente pensi in quanto cittadini o uomini di stato. Ciò risulterebbe avverso
per loro. Almeno è avverso al loro attuale modello commerciale.
Ora, come fa il software libero... be’, potrei illustrarvi la relazione tra
software libero e società. Un argomento secondario che potrebbe interessare alcuni di voi è la relazione tra software libero e imprenditoria.
In effetti, il software è tremendamente utile per l’imprenditoria.
Dopo tutto, nei paesi avanzati la maggioranza delle aziende fa uso
di software. Soltanto una minima parte lo sviluppa.
126
E il software libero è tremendamente vantaggioso per qualsiasi
azienda che fa uso di software, perché significa esserne in controllo.
Praticamente software libero significa che gli utenti sono in controllo di quello che fa il programma. Sia individualmente, se si
vuole esserlo, sia collettivamente, quando si vuole esserlo. Chiunque abbia motivo sufficiente per farlo, può esercitare qualche
influenza. Se non t’importa granché, non lo compri. Allora usi
quel che preferiscono gli altri. Ma se la cosa ti preme, allora puoi
dire la tua. Con il software proprietario, sostanzialmente non hai
voce in capitolo.
Con il software libero l’utente può modificare quel che vuole. E
non importa se in azienda non ci sono programmatori, va bene
così. Se si vogliono spostare le pareti di casa, non occorre essere
una ditta di costruzioni. Basta trovarne una e chiedere, “Quanto
volete per fare questo lavoro?” Volendo cambiare qualcosa nel
software che si usa, non occorre essere un’azienda di programmazione. Basta trovarne una e chiedere “Quanto volete per implementare queste funzioni? E quando potreste occuparvene?” E se
non possono farlo, si cerca qualcun altro.
Per l’assistenza c’è il mercato libero. Perciò ogni azienda interessata al supporto troverà un vantaggio tremendo nel software libero. Con il software proprietario il supporto è un monopolio, perché è una sola azienda ad avere il codice sorgente – o forse un piccolo numero di aziende che pagano un’esorbitante somma di
denaro per avere il codice sorgente, se si tratta dei sorgenti condivisi di un programma Microsoft – ma sono ben poche. Non esistono molte possibili fonti di assistenza per l’utente. E ciò significa che, a meno che non si tratti un vero gigante industriale, non
si curano di quell’utente. L’azienda di costui non è abbastanza
importante perché possano preoccuparsi delle sue perdite com127
merciali. Una volta che l’utente usa il programma, lo ritengono
incastrato nel dover chiedere loro il supporto, perché passare a un
programma diverso è un lavoro gigantesco. Così si finisce con cose
tipo pagare per il privilegio di segnalare un bug. E dopo aver pagato, dicono all’utente, “Bene, abbiamo preso nota della segnalazione. Nel giro di qualche mese potrai comprare l’aggiornamento
e vedrai se l’abbiamo sistemato o meno.” [il pubblico ride]
I fornitori di assistenza per il software libero non possono cavarsela così facilmente. Devono mostrarsi gentili con il cliente. Ovviamente si può anche ottenere un sacco di supporto gratis. Basta spiegare il problema in un messaggio su Internet. Può darsi che il giorno seguente si ottenga una risposta. Ma naturalmente non è affatto garantito. Per esserne certi, meglio mettersi d’accordo con un’azienda e pagarla. E questo è, naturalmente, uno dei modi in cui
funziona l’attività commerciale legata al software libero.
Un altro vantaggio del software libero per l’imprenditoria che fa
uso di software riguarda la sicurezza e la privacy. Vedete, quando
un programma è proprietario, è impossibile perfino dire come
opera in concreto.
Potrebbe avere delle funzioni inserite deliberatamente che non
piacciono all’utente, qualora ne fosse informato. Potrebbe avere
ad esempio una back door onde consentire allo sviluppatore di
accedere alla macchina dell’utente. Potrebbe spiare quanto si sta
facendo e ridistribuire queste informazioni. Non è insolito.
Qualche software Microsoft lo faceva. Ma non è soltanto Microsoft. Esistono altri programmi proprietari che spiano l’utente. E
quest’ultimo non può neppure dire se ciò avvenga o meno. Naturalmente anche assumendo la completa onestà dello sviluppatore, ogni programmatore compie degli errori. Potrebbero esserci
dei bug relativi alla sicurezza di cui nessuno ha colpa. Ma il pun128
to è: se non è software libero, l’utente non può trovarli. E non
può sistemarli.
Nessuno ha il tempo di verificare i sorgenti di ogni programma
che usa. Non lo fa nessuno. Ma con il software libero esiste
un’ampia comunità, e al suo interno c’è gente che controlla queste cose. Si può trarre vantaggio da quest’attività, perché se c’è
un bug accidentale, ce ne sono di sicuro, di tanto in tanto, in
ogni programma, qualcuno può trovarlo e sistemarlo. Ed è meno
probabile che la gente ci metta dentro apposta un Trojan horse,
o una funzione per spiare, se pensano di poter essere beccati. Gli
sviluppatori di software proprietario sanno di non poter essere
colti in flagrante. Possono farla franca senza che nessuno lo noti.
Ma uno sviluppatore di software libero deve tener conto che la
gente verificherà il codice e vedrà cosa c’è. Nella nostra comunità, sentiamo che è impossibile farla franca nel forzare una funzione nella gola degli utenti se questi non la gradiscono. Sappiamo che se agli utenti non piace, ne faranno una versione
modificata priva di tale funzione. E poi prenderanno tutti ad
usare questa versione.
Anzi, possiamo tutti ragionarci su, possiamo tutti prevedere ciò
abbastanza in anticipo che probabilmente non inseriremo quella
funzione. Dopo tutto, si tratta di scrivere un programma libero;
voglio che alla gente piaccia la mia versione; non voglio metterci
qualcosa che molte persone finiranno per odiare, e vedere un’altra versione modificata prendere il posto della mia. Così ci si rende conto che nel mondo del software libero l’utente è il re. Nel
mondo del software proprietario, il cliente non è il re. Perché non
è altro che un cliente. Non ha alcuna voce in capitolo nel software che usa.
In tal senso, il software libero è un nuovo meccanismo per far ope129
rare la democrazia. Il professor Lessig,9 ora a Stanford, ha fatto
notare che il codice opera come una specie di legislazione.
Chiunque riesca a scrivere quel codice che viene usato praticamente da tutti per ogni scopo e intento, sta scrivendo le leggi che
gestiscono la vita della gente. Con il software libero, tali leggi vengono scritte in maniera democratica. Non la forma classica di
democrazia – non abbiamo grandi elezioni e cose tipo, “Tutti
devono votare su come fare questa funzione” [il pubblico ride].
Invece diciamo, praticamente, quelli tra voi che vogliono lavorare all’implementazione della funzione in questo modo, procedano pure. E se qualcuno vuole lavorare all’implementazione della
funzione in quell’altro modo, lo faccia. In un modo o nell’altro la
cosa viene realizzata. E se parecchia gente la vuole in questo o quel
modo, è così che viene fatta. Tutti contribuiscono alla decisione
sociale compiendo semplicemente dei passi nella direzione che ciascuno preferisce.
E ognuno è libero di fare tanti passi quanti se ne vuole, a livello
personale. Un’azienda è libera di commissionare a qualcuno i passi che ritiene utile compiere. E dopo aver aggiunto tutte queste
cose, ciò indica la direzione in cui sta andando il software.
Spesso torna molto utile poter prendere dei pezzi da un programma già esistente – presumibilmente pezzi alquanto ampi, in genere – e poi scrivere in proprio una certa quantità di codice, onde
avere un programma che fa esattamente quanto ci occorre, che
costerebbe una gamba e un braccio da sviluppare nel caso bisognasse scriverlo da zero, se non fosse possibile cannibalizzare ampie
porzioni da qualche pacchetto di software libero preesistente.
Un’altra cosa derivante dal fatto che l’utente è il re, è che si tende
ad essere molto precisi rispetto a commutabilità e standardizza9
Lawrence Lessig ha scritto l’introduzione al volume originale inglese.
130
zione. Perché? Perché è quel che piace agli utenti. È probabile che
gli utenti rifiutino un programma che presenti incompatibilità
inutili. Talvolta c’è un determinato gruppo di utenti che ha davvero bisogno di un certo tipo di incompatibilità, e allora l’avranno. A posto così. Ma quando gli utenti vogliono aderire a uno
standard, noi sviluppatori dobbiamo seguirlo, e lo sappiamo. Al
contrario, se osserviamo gli sviluppatori di software proprietario,
spesso trovano vantaggioso il fatto di non seguire deliberatamente uno standard, e non perché ritengano in tal modo di offrire un
vantaggio all’utente, ma piuttosto perché così s’impongono all’utente, lo incastrano. E si scopre perfino che di tanto in tanto apportano modifiche al formato dei file, soltanto per costringere la gente a dotarsi della versione più recente.
Gli archivisti10 si stanno confrontando con un problema, che spesso non si può accedere ai file scritti su un computer di dieci anni
fa; vennero scritti con software proprietario che sostanzialmente
oggi è andato perduto. Se fossero stati scritti con software libero,
li si potrebbe aggiornare e far girare. E quel materiale non sarebbe perduto, non sarebbe inaccessibile. Recentemente ci si lamentava di questa situazione anche sulla National Public Radio,11
citando il software libero come soluzione. In effetti, usare un programma non libero per archiviare i propri dati è come nascondere la testa sottoterra.
Ho illustrato il modo in cui il software libero interessi la maggior
parte dell’imprenditoria. Ma come influisce su quella particolare
area ristretta che è l’attività commerciale del software stesso? Bene,
10
Numerosi archivisti conservano e condividono migliaia di file via Internet.
La National Public Radio è un ente privato e non-profit che, all’epoca di questo
intervento, conta 620 stazioni radio pubbliche che trasmettono quotidianamente notizie
e musica.
11
131
la risposta è che per lo più non ha alcuna influenza. E la ragione
è che il 90% dell’industria del software, da quanto mi si dice,
riguarda lo sviluppo di software personalizzato, software che non
è affatto destinato ad essere distribuito. Per il software personalizzato, questa questione, la questione etica di essere libero o proprietario, non sussiste. La faccenda è che, vedete, è consentito agli
utenti modificare e ridistribuire il software? Qualora esista un unico utente, il quale ne detiene i diritti, non c’è problema. Quell’utente è libero di fare tutte queste cose. In effetti, qualsiasi programma personalizzato sviluppato da un’azienda per usi interni è
software libero, fintantoché si ha il senso di insistere ad avere il
codice sorgente e tutti i diritti.
La questione praticamente non esiste per il software che opera in
un orologio da polso o in un forno a microonde o nel sistema d’accensione di un’automobile, perché si tratta di luoghi in cui non si
preleva alcun software da installare. Non è un vero computer, per
quanto riguarda l’utente, così non solleva simili questioni al punto tale da essere eticamente importanti. Per la maggior parte, l’industria del software andrà avanti proprio come ha sempre fatto. E
la cosa interessante è che una frazione così ampia di posti di lavoro riguarda tale industria, pur in mancanza di possibilità per attività commerciali di software libero, gli sviluppatori di software
libero potrebbero trovare impiego scrivendo software personalizzato. [il pubblico ride] Ce ne sono così tanti; la percentuale è talmente ampia.
Succede però che esiste un’imprenditoria del software libero. Esistono aziende di software libero, e alla conferenza stampa che
seguirà parteciperanno anche rappresentanti di un paio di tali
aziende. Naturalmente ci sono anche aziende che non si occupano di software libero ma che sviluppano utili parti di softwa132
re libero per la distribuzione, e il software libero che producono
è sostanziale.
Ora, come operano le aziende di software libero? Alcune di loro
vendono copie. L’utente è libero di copiare, ma tali aziende possono anche vendere migliaia di copie al mese. Altre vendono supporto e altri tipi di servizi. Personalmente, nella seconda metà degli
anni ‘80 ho venduto servizi di assistenza al software libero. Praticamente, dicevo, per 200 dollari l’ora posso modificare qualsiasi
cosa volete nel software GNU che ho scritto. Sì, era una tariffa
esosa, ma si trattava di un programma di cui ero l’autore, la gente avrebbe capito che avrei concluso il lavoro in molte meno ore.
[il pubblico ride] Mi guadagnai da vivere in tal modo. Anzi, guadagnai più di quanto avessi mai fatto prima. Ho anche tenuto dei
corsi. Continuai così fino al 1990, quando ricevetti un grosso premio12 e non dovetti più farlo.
Ma il 1990 fu quando si formò la prima corporation nell’imprenditoria del software libero, che fu Cygnus Support. Sostanzialmente la loro attività era dello stesso tipo di quanto avevo fatto io.
Sicuramente avrei potuto lavorare per loro, qualora ne avessi avuto bisogno. Non avendone bisogno, ritenni positivo per il movimento rimanere indipendente da qualsiasi azienda. In tal modo
avrei potuto dire cose buone e cattive sulle varie aziende di software libero e di software non libero, senza conflitti d’interesse. Così
avrei potuto servire meglio il movimento. Ma se avessi avuto bisogno di guadagnarmi da vivere, avrei lavorato per loro. È un’attività
commerciale etica. Per nessuna ragione mi sarei vergognato di lavo12
Il riferimento è al MacArthur Fellowship, definito da altri anche come “il sussidio
del genio”. Si tratta di un sussidio di sostentamento della durata di cinque anni, dato a
individui che mostrano meriti eccezionali e promettono di proseguire e migliorare il
proprio lavoro creativo.
133
rare con loro. E quell’azienda raggiunse dei guadagni netti nel primo anno di vita. Venne fondata con un capitale minimo, soltanto
il denaro dei tre fondatori. Continuò a crescere ogni anno e ad avere profitti ogni anno, finché divennero ingordi di denaro e cercarono investitori esterni, e rovinarono tutto. Ma ci furono svariati
anni di successo, prima di diventare ingordi.
Ciò illustra uno degli aspetti eccitanti del software libero. Il
software libero dimostra che non si ha bisogno di tirare su dei
capitali per sviluppare software libero. Se si hanno dei capitali,
si può assumere qualcuno per scrivere vario software. Ma si può
fare parecchio con un piccolo numero di persone. Anzi, la tremenda efficacia del processo di sviluppo del software libero è
una delle ragioni per cui è importante che il mondo passi al
software libero. Ciò inoltre smentisce quanto sostengono in
Microsoft, quando dicono che la GNU GPL è negativa perché
rende loro più difficile mettere insieme i capitali per lo sviluppo di software non libero e prendere il nostro software libero e
mettere il nostro codice nei loro programmi che non vogliono
condividere. Praticamente non abbiamo bisogno che raccolgano dei capitali in tal modo. Possiamo farcela comunque. Stiamo per farcela.
La gente era solita dire che non avremmo mai potuto avere un
sistema operativo libero completo. Ora l’abbiamo fatto e anche
molto di più. Direi che abbiamo raggiunto un ordine di grandezza superiore allo sviluppo di software ad uso generico sufficiente
a coprire le necessità del mondo intero. E ciò in un mondo in cui
oltre il 90% degli utenti ancora non usa software libero. Ciò in un
mondo dove oltre la metà di tutti i server Web del mondo girano
su GNU/Linux con Apache come server Web.
Domanda: Cos’hai appena detto, Linux?
134
RMS: Ho detto GNU/Linux.
Domanda: Davvero?
RMS: Sì, se parlo del kernel lo definisco Linux. È così che si chiama. Il kernel è stato scritto da Linus Torvalds, e dovremmo chiamarlo con il nome scelto da lui, per rispetto all’autore.
In generale, nell’imprenditoria la maggioranza degli utenti non
usa GNU/Linux. Gran parte dei comuni utenti ancora non usa il
nostro sistema. Quando lo faranno, dovremmo avere automaticamente 10 volte il numero di volontari e 10 volte il numero di clienti per le aziende di software libero degli attuali. Ciò ci porterà a
quell’ordine di grandezza. A questo punto, nutro molta fiducia
che riusciremo a farcela.
Ciò è importante perché Microsoft sembra voglia sentirci disperati. Dicono, “L’unico modo con cui poter avere software, l’unico
modo con cui si può avere innovazione, è dandoci potere. Consentiteci di dominarvi. Fateci controllare cosa potete fare con il
software che usate, in modo che possiamo spremervi un sacco di
soldi, e usarne una parte per sviluppare software, tenendo il resto
come guadagno”.
Be’, non dovremmo mai sentirci talmente disperati. Non dovremmo mai sentirci così disperati da rinunciare alla libertà. Sarebbe
molto pericoloso.
Un’altra cosa riguardo Microsoft, be’, non soltanto Microsoft, la
gente che non sostiene il software libero generalmente adotta un
sistema di valori dove l’unica cosa che conta sono i benefici pratici a breve termine: Quanti soldi riuscirò a fare quest’anno? Quale lavoro potrò concludere oggi? Pensieri a breve termine e pensieri ristretti. L’assunto è che è ridicolo immaginare che qualcuno
possa mai fare un sacrificio in nome della libertà.
135
Ieri13 molta gente ha tenuto discorsi sugli americani che hanno
fatto dei sacrifici per la libertà dei compatrioti. Alcuni di loro hanno fatto grandi sacrifici. Hanno sacrificato perfino la propria vita
per quei tipi di libertà di cui ognuno nel nostro paese ha sentito
parlare. (Almeno in alcuni casi; credo che occorra ignorare la guerra in Vietnam).
Ma fortunatamente conservare la libertà nell’uso del software non
richiede grandi sacrifici. Bastano sacrifici minimi, piccoli, come
imparare l’interfaccia a linee di comando, se ancora non abbiamo
un programma con interfaccia grafica. Come fare un lavoro in
questo modo, perché non abbiamo ancora un pacchetto di software libero per farlo in quell’altro modo. Come dare dei soldi a un’azienda che sta per sviluppare un certo pacchetto di software libero, in modo che lo si possa avere nel giro di qualche anno. Vari
piccoli sacrifici che tutti noi possiamo fare. E in tempi lunghi ne
avremo beneficiato anche noi. In realtà è più un investimento che
un sacrificio. Dobbiamo soltanto mantenere una prospettiva a
lungo termine per comprendere che è positivo per noi investire
nel miglioramento della società, senza fare i conti in tasca a chi
guadagna qualcosa a seguito di tale investimento.
A questo punto, direi di aver praticamente concluso.
Vorrei menzionare che un nuovo approccio all’attività commerciale del software libero viene proposto da Tony Stanco, da lui definito “sviluppatori liberi” (“Free Developers”), che include una certa struttura imprenditoriale che spera alla fine di pagare una parte degli utili a tutti gli autori di software libero aderenti a tale organizzazione. Ora stanno considerando la prospettiva di ottenere dei
grossi contratti governativi per lo sviluppo di software in India,
13
Il giorno prima era Memorial Day, la festività statunitense in cui si commemorano gli
eroi di guerra.
136
perché qui si apprestano a usare software libero come base di partenza, visti i tremendi risparmi di spesa.
E ora credo che dovrei sollecitare le vostre domande.
Sessione di domande e risposte
Domanda: In che modo un’azienda come Microsoft potrebbe
includere un contratto di software libero?
RMS: Veramente, Microsoft prevede di trasformare buona parte
della propria attività in servizi. E quel che pensano di fare è qualcosa di sporco e pericoloso, ovvero legare i servizi ai programmi,
uno all’altro, in una specie di zigzag. In modo che per usare questo servizio bisogna prima usare questo programma Microsoft, il
che significa che si avrà bisogno di quel servizio, quel programma
e così via... è tutto cucito insieme. Questo è il loro piano.
Ora, la cosa interessante è che la vendita di tali servizi non solleva la questione etica del software libero e del software non libero.
Potrebbe essere perfettamente corretto per loro avere un’attività
per le aziende che vendono quei servizi in rete. Tuttavia, quel che
Microsoft prevede di fare è usarle per imporre un blocco ancor più
grande, un monopolio ancora più ampio, sul software e sui servizi, e ciò veniva descritto in un recente articolo. Qualcun altro
sostiene che sta trasformando la rete nella Microsoft Company
Town.
E ciò ha una certa rilevanza perché i giudici del processo antitrust raccomandavano di dividere l’azienda – ma sotto un certo punto di vista ciò non avrebbe alcun senso, non porterebbe nulla di
positivo – in una parte per il sistema operativo e un’altra per le
applicazioni.
Ma dopo aver letto quell’articolo, credo possa tornare utile e efficace dividere Microsoft in due parti, un’azienda per i servizi e
137
un’altra per il software, imponendo a entrambe di operare a una
certa distanza tra loro. All’azienda dedicata ai servizi andrebbe
altresì imposto di pubblicare il codice delle interfacce impiegate,
in modo che chiunque possa scrivere un programma client per
comunicare con tali interfacce, e direi che simili servizi debbano
essere a pagamento. Be’, ciò sarebbe positivo. Questa è una faccenda completamente diversa.
Se Microsoft venisse divisa in tal senso... servizi e software, non
potrebbero usare il proprio software per far fuori la competizione
con i servizi Microsoft. E non sarebbero in grado di usare i propri
servizi per bloccare la competizione con il software Microsoft. Noi
potremmo creare il software libero, e forse gli utenti lo userebbero per parlare con i servizi Microsoft, e non ce ne preoccuperemo.
Perché, dopo tutto, nonostante Microsoft sia l’azienda di software proprietario che ha sottomesso la maggior parte di persone – gli
altri ne hanno sottomessi di meno, non che non ci abbiano provato, è soltanto che non sono riusciti a conquistarne così tanti. Il
problema non è Microsoft e soltanto Microsoft. Microsoft è l’esempio più eclatante del problema che stiamo cercando di risolvere, ovvero il software proprietario che ruba agli utenti la libertà
di cooperare e dare vita a una società etica. Per cui non dovremmo concentrarci troppo su Microsoft, anche se mi hanno offerto
l’opportunità di essere su questo podio. Ciò non li rende così
importanti. Non sono tutto per tutti.
Domanda: Prima parlavi delle differenze filosofiche tra open source e software libero. Come vedi la recente tendenza delle distribuzioni GNU/Linux verso l’esclusivo supporto di piattaforme Intel?
E il fatto che sembra che un numero sempre minore di sviluppatori scriva programmi in modo corretto, software che si compili
ovunque? E fa software che funziona unicamente su sistemi Intel?
138
RMS: Non vedo alcuna questione etica qui. Pur se, in effetti, talvolta le aziende produttrici portano il sistema GNU/Linux sulle
proprie macchine. Sembra che recentemente lo abbia fatto Hewlett-Packard. E non si sono curati di pagare per portarvi Windows,
perché sarebbe costato troppo. Ma per il supporto di GNU/Linux,
credo siano serviti cinque programmatori per qualche mese. Era
facilmente fattibile.
Naturalmente io incoraggio la gente a usare autoconf, un pacchetto GNU che facilita la portabilità dei progammi. Li incoraggio a fare così. Oppure quando qualcun altro sistema quel bug che
non compilava su una certa versione del sistema, e ti spedisce la
riparazione, dovresti inserirla. Ma non considero ciò come una
questione etica.
Domanda: Due commenti. Uno è: recentemente sei intervenuto
al MIT, ne ho letto la trascrizione. Qualcuno ha fatto una domanda sui brevetti, e tu hai risposto che “i brevetti sono una faccenda
completamente diversa. Non ho nulla da commentare al riguardo.”
RMS: Esatto. In realtà avrei molto da dire sui brevetti, ma ci vuole un’ora. [il pubblico ride]
Domanda: Volevo dire questo: Mi sembra che ci sia una questione da affrontare. Esiste un motivo per cui le aziende definiscono
sia i brevetti che i copyright come delle proprietà importanti nel
tentativo di far passare questo concetto, ovvero che vogliono usare il potere dello Stato per creare un monopolio per se stesse. Ciò
che accomuna queste cose non è che ruotino intorno alle medesime questioni, che la motivazione non è veramente una faccenda
di servizio pubblico, quanto quella dell’imprenditoria di arrivare
a un monopolio per i propri interessi privati.
139
RMS: Hai ragione sul fatto che vogliono questo. Ma esiste un ulteriore motivo perché insistono a usare il termine proprietà intellettuale. È che non vogliono incoraggiare la gente a pensare con
attenzione alle questioni del copyright o dei brevetti. Perché le leggi sul copyright e quelle sui brevetti sono totalmente differenti, e
gli effetti del copyright sul software e gli effetti dei brevetti sul
software sono completamente diversi tra loro.
I brevetti sul software sono una restrizione sui programmatori, vietando loro di scrivere certi tipi di programmi, diversamente da
quanto fa il copyright. Con il copyright, almeno se si è l’autore
del programma, se ne consente la distribuzione in proprio. Perciò
è assai importante separare le due questioni.
Hanno appena qualcosa in comune, a un livello minimo, e tutto
il resto è diverso. Vi invito quindi a incoraggiare una riflessione
chiara, o si discute di copyright oppure di brevetti. Ma non parliamo di proprietà intellettuale. Non ho opinioni su quest’ultima.
Ma ho opinioni sul copyright, sui brevetti e sul software.
Domanda: All’inizio hai detto che un programma informatico è
un linguaggio funzionale, come le ricette. Ma c’è un ampio divario per passare dalle ricette di cucina ai programmi informatici, e
dalla lingua inglese ai programmi informatici – la definizione di
“linguaggio funzionale” è molto ampia. Ciò sta provocando dei
problemi nel caso del DeCSS per i DVD.
RMS: Le questioni sono in parte simili ma in parte diverse, per le
cose che non sono funzionali in natura. Parte della questione può
essere trasferita ma non per intero. Purtroppo ci vorrebbe un’altra
ora per chiarirlo, non ho il tempo di farlo. Ma direi che tutte le
opere funzionali devono essere libere nello stesso senso del software. Intendo, libri di testo, manuali, dizionari, ricette, e via di seguito.
140
Domanda: Stavo pensando alla musica online. Esistono differenze e analogie in tutti questi casi.
RMS: Esatto. Direi che la libertà minima che dovremmo avere per
qualsiasi tipo di informazioni pubblicate sia la libertà di ridistribuirle a livello non commerciale, in integrale. Per opere funzionali, dobbiamo avere la libertà di pubblicare a livello commerciale una versione modificata, perché ciò è incredibilmente utile alla
società. Per opere non funzionali, lavori d’intrattenimento, o estetici, che esprimono il punto di vista di una persona, forse non
dovrebbero essere modificate. E forse ciò significa che è bene avere il copyright a coprirne la distribuzione commerciale.
Teniamo a mente che secondo la costituzione statunitense lo scopo del copyright è a beneficio del pubblico. È quello di cambiare
il comportamento di certe entità private, in modo che pubblichino più libri. E il beneficio è che la società può discutere sulle varie
questioni e trarne giovamento. E poi abbiamo la letteratura.
Abbiamo le opere scientifiche. Lo scopo è incoraggiare tutto ciò.
Il copyright non esiste a favore degli autori, per non parlare del
vantaggio degli editori. Costoro esistono a servizio dei lettori e di
tutti coloro che trarranno beneficio dalla comunicazione dell’informazione che avviene quando qualcuno scrive e altri leggono. E quest’obiettivo mi trova d’accordo.
Ma nell’epoca delle reti informatiche il metodo non è più sostenibile, perché oggi richiede leggi draconiane che invadono la privacy di chiunque e terrorizzano tutti. Anni di carcere per aver condiviso con il vicino. Non era così all’epoca della stampa. Allora il
copyright era una regolamentazione industriale. Poneva limitazioni agli editori. Oggi sono questi ultimi a imporre restrizioni al
pubblico. Il rapporto di potere è stato ribaltato di 180 gradi, pur
trattandosi della medesima legislazione.
141
Domanda: Cioè, potremmo avere la stessa cosa, tipo fare musica
da altra musica?
RMS: Giusto. Questa è un’interessante...
Domanda: E opere uniche, nuove, e ciò significa ancora parecchia
cooperazione.
RMS: Lo è. Credo che probabilmente richieda un qualche concetto di uso legittimo (“fair use”). Sicuramente prendere qualche
secondo di musica per usarlo in altri lavori, dovrebbe essere chiaramente un uso legittimo. Non saprei dire se i giudici siano d’accordo, ma dovrebbero. Ciò non comporterebbe alcun cambiamento sostanziale nel sistema in vigore finora.
Domanda: Cosa pensi della pubblicazione di informazioni pubbliche in formati proprietari?
RMS: Oh, non dovrebbe succedere. Il governo non dovrebbe mai
imporre ai cittadini di usare programmi non liberi per l’accesso, per
comunicare con il governo in qualsiasi modo, in qualunque contesto.
Domanda: Ho usato, ora lo dico, GNU/Linux...
RMS: Grazie. [il pubblico ride]
Domanda: ...per gli ultimi quattro anni. Una cosa che mi ha creato problemi e che è piuttosto essenziale, credo, per tutti noi, è poter
navigare sul Web.
RMS: Sì.
Domanda: Una cosa che è stata decisamente una debolezza nell’uso del sistema GNU/Linux riguarda la navigazione sul Web,
perché lo strumento più diffuso per farlo, Netscape...
142
RMS:... non è software libero.
Consentitemi di rispondere su questo. Voglio arrivare al punto, per
meglio chiarire la questione. Sì, c’è stata una forte tendenza a usare
Netscape Navigator sui sistemi GNU/Linux. Anzi, viene incluso in
tutti i sistemi commerciali. È una situazione ironica: abbiamo lavorato così duramente per fare un sistema operativo libero e ora, quando si va in un negozio, vi si trovano versioni di GNU/Linux, in maggioranza viene chiamato Linux, e non sono libere. Be’, per una parte lo sono. Ma poi c’è Netscape Navigator, e forse anche altri programmi non liberi. Così diventa difficile trovare un sistema veramente libero, a meno di non sapere bene cosa si stia facendo. O,
naturalmente si può non installare Netscape Navigator.
In realtà per molti anni sono esistiti dei browser Web liberi. C’è
un browser libero che ero solito usare, chiamato Lynx, è un browser non grafico, solo testuale. Ha un grosso vantaggio, nel senso
che non vedi la pubblicità. [il pubblico ride] [applausi]
In ogni caso, esiste un progetto grafico libero chiamato Mozilla,
che ora sta raggiungendo il punto in cui è possibile usarlo. E occasionalmente lo faccio.
Domanda: Konqueror 2.01 funziona molto bene.
RMS: Ecco un altro browser grafico libero. Finalmente stiamo
risolvendo il problema, credo.
Domanda: Puoi parlare delle divisioni filosofiche/etiche tra software libero e open source? Ritieni che siano inconciliabili [cambio di
nastro, manca la fine delle domanda e l’inizio della risposta]
RMS:... per la libertà e l’etica. O se basta dire, Spero che voi
imprenditori decidiate che è economicamente vantaggioso per voi
consentirci di fare queste cose.
143
Ma, come ho già detto, in molti lavori pratici non importa veramente quali siano le idee politiche di una persona. Quando costui si offre
di aiutare il progetto GNU, non gli diciamo: “Devi essere d’accordo
con le nostre idee politiche.” Gli diciamo che in un pacchetto GNU
devi definire il sistema GNU/Linux e chiamarlo software libero. Quel
che dici quando non hai a che fare con il progetto GNU è affar tuo.
Domanda: L’IBM ha lanciato una campagna diretta alle agenzie
governative, per vendere le loro grandi macchine nuove, usando
Linux come punto forte di vendita, loro dicono Linux.
RMS: Si, naturalmente si tratta di GNU/Linux. [il pubblico ride]
Domanda: Infatti! Ma vallo a dire al manager delle vendite. Non
sa nulla di GNU.
RMS: Il problema è che hanno già deciso con cura quel che vogliono dire onde trarne vantaggio. E la questione di cosa sia più accurato, o legittimo, o il modo corretto di descriverlo non è di primaria importanza per un’azienda come quella. Per qualche azienda minore, c’è un responsabile. E se il responsabile si mostra incline a considerare piccole questioni come questa, potrebbe decidere in
tal senso. Ma non una grande corporation. È una vergogna.
C’è un’altra questione più importante e più sostanziale su quanto va
facendo IBM. Dicono che stanno mettendo un miliardo di dollari
in “Linux.” Ma forse dovrei usare le virgolette anche per “in”, perché parte di quel denaro servirà a pagare persone che sviluppano
software libero. Ciò è un contributo concreto alla comunità. Ma con
altre parti si pagheranno persone per scrivere software proprietario,
o versioni di software proprietario che possano girare su
GNU/Linux, e ciò non è affatto un contributo alla nostra comunità.
Ma IBM sta ammucchiando tutto insieme. Parte potrebbe essere
144
pubblicità, che è un qualche tipo di contributo, pur se parzialmente errato. È una situazione complicata. Una parte di quanto vanno
facendo è un contributo, un’altra non lo è, e un’altra parte ancora lo
è in qualche modo ma non precisamente. E non si può soltanto
ammucchiare tutto insieme e dire, “Bene! Un miliardo di dollari dall’IBM.” [il pubblico ride] È una semplificazione eccessiva.
Domanda: Puoi parlare ancora un po’ delle idee che portarono alla
Licenza Pubblica Generica?
RMS: Le idee che portarono alla Licenza Pubblica Generica? In
parte volevo tutelare la libertà della comunità contro i fenomeni
che ho descritto con X Windows, che si sono verificati anche con
altri programmi liberi. Anzi, quando riflettevo su questa faccenda
X Windows non era stato ancora diffuso.
Ma avevo visto sorgere il problema in altri programmi liberi. TeX,
ad esempio. Volevo esser certo che tutti gli utenti avessero avuto
la libertà. Altrimenti, mi resi conto che avrei scritto un programma e forse un sacco di gente l’avrebbe usato, ma senza avere la
libertà. E qual’è il punto di fare così?
Ma l’altra questione su cui andavo riflettendo era che volevo dare
alla comunità la sensazione che non fosse uno zerbino, la sensazione che non potesse essere preda di un parassita qualsiasi che se ne
andava in giro. Se non si usa il copyleft, sostanzialmente si dice: [con
voce sommessa] “Prendi il mio codice, fanne quel che vuoi, non
dico no.” Così può avvicinarsi chiunque e dire: [con voce molto
decisa] “Ah, ne farò una versione non libera, me lo prendo.” Allora
probabilmente lo miglioreranno un po’, e quelle versioni non libere piaceranno agli utenti, finendo per sostituire le versioni libere. E
allora, cosa avremmo ottenuto? Avremmo soltanto fatto una donazione a qualche progetto di software proprietario.
145
E quando la gente si accorge di cosa succede, quando vede altri prendere quel che ho fatto io, senza dare nulla in cambio, può essere
demoralizzante. Non si tratta di pure congetture. L’ho visto accadere. Fu parte di quanto avvenne con la scomparsa della comunità
a cui appartenevo negli anni ‘70. Qualcuno prese a diventare poco
cooperativo. E ne assumemmo che stavano guadagnandoci sopra in
qualche modo. Certamente si comportavano come se stessero guadagnandoci sopra. Ci rendemmo conto come fosse possibile appropriarsi semplicemente della nostra cooperazione e non dar nulla in
cambio. E non potevamo far nulla per impedirlo. Fu molto scoraggiante. Ne discutemmo tra quelli che non gradivano la tendenza,
ma non ci venne in mente alcuna idea per bloccarla.
La GPL è progettata per bloccare ciò. Dice: Sì, sei benvenuto nella
nostra comunità e puoi usare questo codice. Puoi usarlo per ogni tipo
di lavoro. Ma se ne diffondi una versione modificata, devi farlo nella comunità, come parte di questa, come parte del mondo libero.
In effetti esistono ancora parecchi modi in cui è possibile trarre
vantaggio dal nostro lavoro senza contribuirvi, come il fatto di non
dover scrivere alcun software. Molta gente usa GNU/Linux e non
scrive alcun software. Non esiste alcun requisito perché l’utente
debba fare qualcosa per noi. Ma se si fa un certo tipo di cose, bisogna dare il proprio contributo. È questo che s’intende dicendo che
la comunità non è un zerbino. E credo che ciò abbia aiutato la
gente a rafforzarsi per dire, Non vogliamo essere calpestati dal primo che passa, ci difenderemo.
Domanda: Considerando il software libero ma non sotto copyleft,
visto che chiunque può prenderlo e renderlo proprietario, non è
possibile anche prenderlo, modificarlo e diffondere l’intero programma sotto la GPL?
146
RMS: Sì, è possibile.
Domanda: Allora ciò imporrebbe la GPL a tutte le copie future.
RMS: Derivanti da quel programma. Ecco perché in genere non
lo facciamo. Fatemi spiegare. Volendo, potevamo prendere X
Windows e farne una copia coperta dalla GPL con delle modifiche. Ma c’è un gruppo più ampio di gente che lavora a migliorare X Windows senza metterlo sotto GPL. Così, se lo avessimo fatto, ci saremmo divisi da loro (“forking”). E ciò non è un comportamento positivo nei loro confronti. Fanno parte della comunità, producono dei contributi.
Secondo, si sarebbe rivelato un boomerang, perché stanno lavorando su X assai più di quanto avremmo fatto noi. La nostra versione sarebbe stata inferiore alla loro, la gente non l’avrebbe usata, il che vuol dire, perché mai darsi la pena di farlo?
Se qualcuno apporta dei miglioramenti a X, gli direi di collaborare con il gruppo di sviluppo di X. Faglielo avere e lascia che lo usino a modo loro. Perché stanno sviluppando un pezzo di software
libero molto importante. È positivo per noi collaborare con loro.
Domanda: Eccetto che, considerando X in particolare, circa due anni
fa, X Consortium era ben addentro nell’open source non libero....
RMS: Be’, in realtà non era open source. Possono aver detto lo fosse,
non ricordo se lo dissero o meno. Ma non era open source. Era ristretto. Non lo si poteva distribuire a livello commerciale, credo. O non
se ne poteva distribuire commercialmente una versione modificata, o
qualcosa del genere. C’era una restrizione considerata inaccettabile sia
dal movimento del software libero sia da quello open source.
E sì, ciò è quanto si rischia quando si usa una licenza non copyleft. In effetti, X Consortium aveva una posizione molto rigida.
147
Dicevano: Se una parte anche minima del programma è sotto
copyleft, non lo distribuiremo affatto. Non lo inseriremo nella
nostra distribuzione.
In tal modo molte persone vennero pressate a non usare il copyleft. E il risultato fu che più tardi tutto il loro software rimase aperto e disponibile. Quando le stesse persone fecero pressione su uno
sviluppatore perché troppo permissivo, allora il gruppo di X disse:
“Va bene, ora possiamo porre delle restrizioni,” il che non era molto etico da parte loro. Ma considerata la situazione, vogliamo veramente danneggiare le nostre risorse per mantenere una versione
alternativa di X coperta dalla GPL? Non avrebbe alcun senso farlo. Ci sono molte altre cose che dobbiamo fare. Occupiamoci di
queste invece. Meglio collaborare con gli sviluppatori di X.
Domanda: Puoi commentare, GNU è un marchio registrato? Ed
è pratico includerlo come parte della Licenza Generica Pubblica
che consente i marchi registrati?
RMS: In realtà stiamo per richiedere la registrazione del marchio
per GNU. Ma non ha nulla a che fare con ciò. Sarebbe una storia lunga spiegarne il perché.
Domanda: Si potrebbe imporre di esporre il marchio nei programmi coperti dalla GPL.
RMS: No, non credo sia possibile. Le licenze coprono programmi
singoli. E quando un programma fa parte del progetto GNU, nessuno mente al riguardo. Il nome del sistema è una questione completamente diversa. È una faccenda laterale. Non vale la pena
discuterne ulteriormente.
Domanda: Se potessi premere un pulsante per costringere tutte le
aziende a rendere libero il proprio software, quale pulsante sarebbe?
148
RMS: Be’, lo userei soltanto per il software pubblicato. Credo che
la gente abbia il diritto a scrivere programmi privati e a farne uso.
E ciò include le aziende. Questa è una questione di privacy. È vero,
possono esserci delle volte in cui ciò sia sbagliato, come quando
qualcosa è terribilmente utile all’umanità e invece la si tiene segreta. È sbagliato, ma è un errore di tipo diverso. Si tratta di una faccenda diversa, pur riguardando la medesima area.
Sì, direi che tutto il software pubblicato debba essere libero. E
ricordiamolo, quando non è software libero, lo si deve all’intervento governativo. Il governo interviene per renderlo non libero.
Il governo crea poteri giuridici speciali da trasferire ai proprietari
dei programmi, in modo che questi possano chiamare la polizia
per impedirci di usare quei programmi in un certo modo. E con
questo, direi di terminare.
Ed Schonberg: L’intervento di Richard ha creato una quantità enorme di energia intellettuale. Vorrei suggerire che parte di questa
dovrebbe essere diretta per usare, e possibilmente per scrivere, software libero. Dovremmo chiudere rapidamente. Vorrei aggiungere che
Richard ha iniettato in una professione nota al pubblico generale per
un’apatia politica terminale, un livello di discussione politica e morale che, credo, sia senza precedenti nella nostra professione. E per questo gli dobbiamo davvero molto. [il pubblico applaude]
Questa è la trascrizione di un intervento tenuto alla New York University
il 29 maggio 2001. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free
Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
149
Termini da evitare
Ci sono vari termini ed espressioni che raccomandiamo di evitare perché risultano ambigui oppure implicano un’opinione che
speriamo non condividiate per intero.
Licenze tipo-BSD
L’espressione “licenza di tipo BSD” crea confusione perché fa un
solo fascio di licenze che presentano differenze importanti. Ad
esempio, la licenza BSD originale con la sua clausola pubblicitaria è incompatibile con la Licenza Pubblica Generica (GPL), mentre invece la nuova licenza BSD è compatibile con la GPL.
Per evitare confusioni, è meglio indicare la specifica licenza cui ci
si riferisce, evitando la vaga locuzione “di tipo BSD”.
Commerciale
È bene non usare “commerciale” come sinonimo di “non-libero”.
Ciò confonde due questioni del tutto diverse tra loro.
Un programma è commerciale se viene sviluppato come attività
imprenditoriale. Un programma commerciale può essere libero o
non-libero, a seconda della relativa licenza. Analogamente, un
programma sviluppato da una scuola o da un individuo può essere libero o non-libero sulla base della relativa licenza. Le due questioni, quale tipo di entità ha sviluppato il programma e quale la
libertà concessa agli utenti, sono indipendenti tra loro.
Nel primo decennio di attività del Movimento del Software Libero, i pacchetti di software libero erano quasi sempre non-commerciali; le componenti del sistema operativo GNU/Linux furono sviluppate da individui, da organizzazioni senza scopo di lucro
150
come la Free Software Foundation o da università. Ma negli anni
‘90 ha preso a circolare il software libero commerciale. Il software libero commerciale è un contributo per la nostra comunità, perciò dovremmo incoraggiarlo.
Ma quanti credono che “commerciale” significhi “non-libero”,
tenderanno a considerare contraddittoria la combinazione “libero commerciale”, scartando questa possibilità. Bisogna stare attenti a non utilizzare il termine “commerciale” in tal senso.
Contenuto
L’utilizzo del sostantivo “contenuto” (content) per descrivere opere scritte e di altro tipo create da un autore rivela un atteggiamento
specifico nei confronti di tali opere: le considera come beni di consumo intercambiabili il cui scopo è quello di riempire una scatola e far soldi. In realtà ciò significa considerare in maniera irrispettosa le opere stesse.
Coloro che usano questo termine sono spesso editori tesi ad ottenere un maggior potere nel copyright a nome degli autori (o “creatori”, come vanno definendoli) delle opere. Il termine “contenuto” ne rivela i sentimenti concreti.
Finché altri continuano ad usare l’espressione “fornitori di contenuto”, i dissidenti politici potranno sicuramente autodefinirsi
“fornitori di sconten(u)to”.
(In inglese “content” significa sia “contento” che “contenuto”).
Creatore
Applicare il termine “creatore” agli autori significa paragonarli
implicitamente a una deità (“il creatore”). Questo termine viene usato dagli editori per elevare la statura morale degli autori al di sopra
della gente comune, onde giustificare un maggior potere del copyright che gli editori possono esercitare a nome degli stessi autori.
151
Digital Rights Management (Gestione dei diritti digitali)
Il software per il “Digital Rights Management” in realtà è progettato per imporre restrizioni agli utenti di computer. Il ricorso al termine “diritti” in questo contesto è pura propaganda, mirata a farci
considerare inconsciamente la questione dal punto di vista dei pochi
che impongono tali restrizioni, ignorando al contempo quella dei
molti a cui le restrizioni vengono imposte. Buone alternative sono
espressioni quali “Digital Restrictions Management” (Gestione delle restrizioni digitali) e “handcuffware” (software-manette).
For free (gratuito)
Quando ci si riferisce a un programma di software libero (free
software), meglio non dire che è disponibile “for free”, gratuitamente. Questo termine (in inglese) significa specificamente “a costo
zero”. Il software libero è una questione di libertà, non di prezzo.
Spesso le copie di programmi di software libero sono disponibili
“for free”, a costo zero – ad esempio, tramite download via FTP.
Ma copie di programmi di software libero sono disponibili anche
a pagamento su CD-ROM; invece, le copie di software proprietario talvolta sono disponibili gratuitamente a fini promozionali
e alcuni pacchetti proprietari sono normalmente disponibili a
costo zero per determinati utenti.
Onde evitare confusioni, si può dire che il programma è disponibile “come software libero”.
Freeware
Evitiamo per favore il termine “freeware” come sinonimo di
“software libero” (free software). Il termine “freeware” veniva spesso usato negli anni ‘80 per indicare programmi rilasciati per la sola
esecuzione, senza renderne disponibili i codici sorgenti. Oggi tale
termine non indica alcuna specifica definizione generale.
152
Inoltre, per lingue diverse dall’inglese, è bene evitare di prendere
in prestito termini inglesi come “free software” o “freeware”. Cercate di utilizzare le espressioni spesso meno ambigue offerte dalla
vostra lingua. Questo un elenco di traduzioni raccomandate e non
ambigue per il termine “free software” in altre lingue:
Ceco: svobodny software
Coreano: ja-yu software
Danese: fri software OPPURE frit programmel
Esperanto: libera softwaro
Finnico: vapaa ohjelmisto
Francese: logiciel libre
Giapponese: jiyuu-na software
Indonesiano: perangkat lunak bebas
Islandese: frjls hugbnaur
Italiano: software libero
Norvegese: fri programvare
Olandese: vrije software
Polacco: wolne oprogramowanie
Portoghese: software livre
Slovacco: slobodny softver
Sloveno: prosto programje
Spagnolo: software libre
Svedese: fri programvara
Tedesco: freie Software
Turco: ozgur yazilim
Ungherese: szabad szoftver
Usando un termine nella vostra lingua, dimostrate che vi riferite
effettivamente alla libertà e non state semplicemente cercando di
scimmiottare qualche misterioso concetto straniero di marketing.
153
All’inizio, il riferimento alla libertà potrà sembrare strano o fastidioso ai vostri concittadini, ma quando ne considereranno il significato preciso, capiranno veramente di cosa si tratta.
Furto
I sostenitori del diritto d’autore spesso usano termini quali “rubato” e “furto” per descrivere le infrazioni al copyright. Allo stesso
tempo costoro ci chiedono di considerare il sistema giudiziario
come un’autorità in campo etico: se copiare è vietato, allora dev’essere qualcosa di male.
Perciò è pertinente ricordare che il sistema giuridico – almeno
negli USA – nega il concetto secondo cui l’infrazione al diritto
d’autore sia un “furto”. I sostenitori del copyright si appellano a
un’autorità... e presentano in maniera sbagliata quanto sostiene
tale autorità. L’idea secondo cui siano le leggi a stabilire ciò che è
giusto o sbagliato in generale è errata. Nel migliore dei casi, queste norme rappresentano il tentativo di ottenere giustizia: sostenere che siano le leggi a definire la giustizia o il comportamento
etico equivale a ribaltare completamente le cose.
Pirateria
Spesso gli editori descrivono l’attività proibita della copia come
“pirateria” (piracy). In questo modo, sottintendono che effettuare una copia illegale equivale eticamente all’assalto di navi in alto
mare, al rapimento e all’assassinio di quanti si trovano a bordo.
Se non ritenete che effettuare copie illegali sia analogo al rapimento e all’assassinio, forse preferirete evitare il ricorso al termine “pirateria” per descrivere tale pratica. In sostituzione, si possono usare espressioni neutre quali “copia proibita” o “copia non
autorizzata”. Alcuni potrebbero addirittura preferire un’espressione positiva come “condividere informazioni con il vicino”.
154
Proprietà intellettuale
Editori e avvocati amano descrivere il diritto d’autore come “proprietà intellettuale”. Questo termine contiene un presupposto
nascosto – che il modo più naturale di considerare la questione
della copia sia basato su un’analogia con gli oggetti fisici, e sull’idea di considerarli una proprietà.
Ma quest’analogia ignora la differenza cruciale esistente tra gli
oggetti materiali e l’informazione: l’informazione può essere
copiata e condivisa quasi senza sforzo, mentre ciò non è vero degli
oggetti materiali. Basare la riflessione su una tale analogia equivale a ignorare questa differenza.
Neppure il sistema giuridico statunitense accetta per intero l’analogia, poiché non tratta il copyright alla pari del diritto di proprietà relativo agli oggetti fisici.
Se non volete limitarvi a questo modo di pensare, è bene evitare
l’uso del termine “proprietà intellettuale” nelle vostre parole e
riflessioni.
Esiste un ulteriore problema con “proprietà intellettuale”: è un contenitore generico in cui vengono messi insieme svariati sistemi giuridici differenti, incluso il copyright, i brevetti, i marchi registrati e
altre cose che hanno pochissimo in comune tra loro. Questi sistemi
giuridici hanno origini separate, coprono attività diverse, operano
in maniera differente, e suscitano questioni diverse di politica pubblica. Se, ad esempio, imparate qualcosa riguardo le norme sul copyright, fareste bene a presumere che ciò non possa applicarsi alla legislazione sui brevetti, perché è quasi sempre così.
Trattandosi di legislazioni talmente diverse tra loro, il termine
“proprietà intellettuale” è un invito a fare una super-generalizzazione semplicistica. Qualsiasi opinione sulla “proprietà intellettuale” risulterà quasi sicuramente avventata. Ad un livello così
155
generico, è impossibile perfino prendere in considerazione le specificità di politica pubblica suscitate dalle norme sul copyright, o
le diverse questioni sollevate dalla legislazione sui brevetti o su uno
qualsiasi degli altri settori. Il termine “proprietà intellettuale” porta la gente a concentrarsi sul minimo aspetto comune di queste legislazioni differenti tra loro, vale a dire sul fatto che istituiscono una
serie di concetti astratti che possono essere acquistati e venduti, per
ignorarne l’aspetto centrale, ovvero le restrizioni che tali norme
impongono al pubblico e le conseguenze positive o negative che ne
risultano.
Onde riflettere con chiarezza sulle problematiche sollevate dai brevetti, dal diritto d’autore e dai marchi registrati, o anche soltanto
per conoscere il contenuto di queste norme, il primo passo è dimenticare di aver mai sentito il termine “proprietà intellettuale”. Meglio
invece presentare il tema come copyright, brevetti, o qualsiasi altra
legislazione specifica di cui si stia discutendo.
Secondo il professor Mark Lemley della University of Texas Law
School, l’uso generalizzato del termine “proprietà intellettuale” è
una moda recente, diffusasi a partire dalla fondazione dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (World Intellectual Property Organization) nel 1967.1 Quest’organizzazione rappresenta gli interessi dei detentori di copyright, di brevetti e di marchi registrati, ed esercita pressione sui governi per incrementarne il
potere. Uno dei trattati dell’organizzazione segue le direttive del
Digital Millennium Copyright Act, che negli Stati Uniti è stato usato per censurare l’impiego di utili pacchetti di software libero.2
1
Si veda la nota n. 123 alla sua recensione del libro di James Boyle, Romantic
Authorship and the Rhetoric of Property, pubblicata nel marzo 1997 nella Texas
Law Review.
2
Si veda http://www.wipout.net/ per la campagna contro la World Intellectual Property
Organization.
156
Protezione, tutela
Gli avvocati degli editori adorano ricorrere al termine “protezione” o “tutela” in riferimento al diritto d’autore. Questi termini
implicano l’idea di voler bloccare qualche distruzione o sofferenza; di conseguenza, incoraggiano la gente a identificarsi con il proprietario e con l’editore che traggono dei benefici dal copyright,
anziché con gli utenti che ne subiscono le restrizioni.
È facile evitare “protezione” o “tutela” per sostituirli invece con
altri termini. Ad esempio, anziché: “La tutela del copyright dura
molto a lungo”, si può dire: “Il copyright dura molto a lungo”.
Per criticare il diritto d’autore piuttosto che sostenerlo, basta ricorrere all’espressione “le restrizioni del copyright”.
RAND (reasonable and non-discriminatory)
Le entità incaricate di stabilire gli standard limitati dai brevetti che
vietano il software libero, in genere seguono la prassi di ottenere
licenze su tali brevetti dietro il pagamento di una somma fissa per
ogni copia di programma conforme. Spesso queste licenze vengono
indicate con il termine “RAND”, acronimo che sta per “ragionevoli
e non discriminatorie”(reasonable and non-discriminatory).
Il termine conferisce una rispettabilità apparente a una serie di licenze sui brevetti che normalmente non sono né ragionevoli né nondiscriminatorie. È vero che tali licenze non discriminano contro nessun particolare individuo, e tuttavia discriminano a sfavore della
comunità del software libero, e ciò le rende irragionevoli. Perciò, una
metà del significato di “RAND” è fuorviante mentre l’altra metà
esprime un pregiudizio. Le entità responsabili degli standard dovrebbero riconoscere che queste licenze sono discriminatorie e abbandonare l’uso dell’espressione “ragionevoli e non discriminatorie” per
descriverle. Finché non lo faranno, altri scrittori che non vogliono
essere associati a quella rispettabilità fasulla, bene farebbero a riget157
tare tale espressione. Accettarla e usarla soltanto perché le aziende che
detengono i brevetti l’hanno ampiamente diffusa significa consentire a tali aziende di imporre agli altri quelle opinioni. In sostituzione,
suggerisco l’espressione “uniform fee only”, soltanto dietro pagamento di una tariffa uniforme, o l’acronimo “UFO” (gioco di parole: UFO comunemente sta per unidentified flying objects, i dischi
volanti). È una descrizione accurata perché la sola condizione per
queste licenze è il pagamento di una tariffa uniforme per le royalties.
Regalare software
È fuorviante usare il termine “regalare” (give away) quando si vuole
intendere “distribuire un programma come software libero”. È lo
stesso problema già visto in “for free” (in inglese): implica che il punto in questione sia il prezzo, non la libertà. Un modo per evitare questa confusione consiste nel dire: “rilasciare come software libero”.
Vendere software
L’espressione “vendere software” è ambigua. In senso stretto, scambiare la copia di un programma libero con una somma di denaro
significa “vendere”, ma in genere si associa il termine “vendere”
alle restrizioni proprietarie nel successivo utilizzo del software. Per
essere più precisi, ed evitare confusioni, si può dire: “distribuire
copie di un programma dietro pagamento di una quota” oppure
“imporre restrizioni proprietarie sull’uso di un programma”, a
seconda di ciò cui ci si riferisce.
Originariamente scritto nel 1996, questa versione fa parte del libro Free
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU
Press, 2002.
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.
158
Parte Seconda
Le licenze
Licenza Pubblica
Generica (GPL)
del Progetto GNU
Versione 2, Giugno 1991
Copyright (C) 1989, 1991 Free Software Foundation, Inc.
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento di licenza, ma non ne è permessa la modifica.
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza Pubblica Generica, GPL. Non è pubblicata dalla Free Software Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i termini di
distribuzione del software che usa la licenza GPL. Solo la versione originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo ad ogni
modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua italiana a
comprendere meglio il significato della GPL.)
Preambolo
Le licenze della maggior parte dei programmi hanno lo scopo di
togliere all’utente la libertà di condividere e modificare il programma stesso. Viceversa, la Licenza Pubblica Generica GNU è
intesa a garantire la libertà di condividere e modificare il software libero, al fine di assicurare che i programmi siano liberi per tutti i loro utenti. Questa Licenza si applica alla maggioranza dei programmi della Free Software Foundation e ad ogni altro program160
ma i cui autori hanno deciso di usare questa Licenza. Alcuni altri
programmi della Free Software Foundation sono invece coperti
dalla Licenza Pubblica Generica Minore. Chiunque può usare
questa Licenza per i propri programmi.
Quando si parla di software libero (free software), ci si riferisce
alla libertà, non al prezzo. Le nostre Licenze (la GPL e la LGPL)
sono progettate per assicurarsi che ciascuno abbia la libertà di
distribuire copie del software libero (e farsi pagare per questo, se
vuole), che ciascuno riceva il codice sorgente o che lo possa ottenere se lo desidera, che ciascuno possa modificare il programma o
usarne delle parti in nuovi programmi liberi e che ciascuno sappia di potere fare queste cose.
Per proteggere i diritti dell’utente, abbiamo bisogno di creare delle restrizioni che vietino a chiunque di negare questi diritti o di
chiedere di rinunciarvi. Queste restrizioni si traducono in certe
responsabilità per chi distribuisce copie del software e per chi lo
modifica.
Per esempio, chi distribuisce copie di un programma coperto da
GPL, sia gratis sia in cambio di un compenso, deve concedere ai
destinatari tutti i diritti che ha ricevuto. Deve anche assicurarsi
che i destinatari ricevano o possano ottenere il codice sorgente. E
deve mostrar loro queste condizioni di licenza, in modo che essi
conoscano i propri diritti.
Proteggiamo i diritti dell’utente in due modi: (1) proteggendo il
software con un copyright, e (2) offrendo una licenza che dia il
permesso legale di copiare, distribuire e modificare il Programma.
Inoltre, per proteggere ogni autore e noi stessi, vogliamo assicurarci
che ognuno capisca che non ci sono garanzie per i programmi
161
coperti da GPL. Se il programma viene modificato da qualcun altro
e ridistribuito, vogliamo che gli acquirenti sappiano che ciò che
hanno non è l’originale, in modo che ogni problema introdotto da
altri non si rifletta sulla reputazione degli autori originari.
Infine, ogni programma libero è costantemente minacciato dai
brevetti sui programmi. Vogliamo evitare il pericolo che chi ridistribuisce un programma libero ottenga la proprietà di brevetti,
rendendo in pratica il programma cosa di sua proprietà. Per prevenire questa evenienza, abbiamo chiarito che ogni brevetto debba essere concesso in licenza d’uso a chiunque, o non avere alcuna restrizione di licenza d’uso.
Seguono i termini e le condizioni precisi per la copia, la distribuzione e la modifica.
Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica
0. Questa Licenza si applica a ogni programma o altra opera che
contenga una nota da parte del detentore del copyright che dica
che tale opera può essere distribuita sotto i termini di questa Licenza Pubblica Generica. Il termine “Programma” nel seguito si riferisce ad ogni programma o opera così definita, e l’espressione “opera basata sul Programma” indica sia il Programma sia ogni opera
considerata “derivata” in base alla legge sul copyright; in altre parole, un’opera contenente il Programma o una porzione di esso, sia
letteralmente sia modificato o tradotto in un’altra lingua. Da qui
in avanti, la traduzione è in ogni caso considerata una “modifica”.
Vengono ora elencati i diritti dei beneficiari della licenza.
Attività diverse dalla copiatura, distribuzione e modifica non sono
coperte da questa Licenza e sono al di fuori della sua influenza.
162
L’atto di eseguire il Programma non viene limitato, e l’output del
programma è coperto da questa Licenza solo se il suo contenuto
costituisce un’opera basata sul Programma (indipendentemente
dal fatto che sia stato creato eseguendo il Programma). In base alla
natura del Programma il suo output può essere o meno coperto
da questa Licenza.
1. È lecito copiare e distribuire copie letterali del codice sorgente
del Programma così come viene ricevuto, con qualsiasi mezzo,
a condizione che venga riprodotta chiaramente su ogni copia una
appropriata nota di copyright e di assenza di garanzia; che si mantengano intatti tutti i riferimenti a questa Licenza e all’assenza
di ogni garanzia; che si dia a ogni altro destinatario del Programma una copia di questa Licenza insieme al Programma.
È possibile richiedere un pagamento per il trasferimento fisico di
una copia del Programma, è anche possibile a propria discrezione
richiedere un pagamento in cambio di una copertura assicurativa.
2. È lecito modificare la propria copia o copie del Programma, o
parte di esso, creando perciò un’opera basata sul Programma, e
copiare o distribuire tali modifiche o tale opera secondo i termini
del precedente comma 1, a patto che siano soddisfatte tutte le condizioni che seguono:
a) Bisogna indicare chiaramente nei file che si tratta di copie modificate e la data di ogni modifica.
b) Bisogna fare in modo che ogni opera distribuita o pubblicata,
che in parte o nella sua totalità derivi dal Programma o da parti
di esso, sia concessa nella sua interezza in licenza gratuita ad ogni
terza parte, secondo i termini di questa Licenza.
163
c) Se normalmente il programma modificato legge comandi interattivamente quando viene eseguito, bisogna fare in modo che
all’inizio dell’esecuzione interattiva usuale, esso stampi un messaggio contenente una appropriata nota di copyright e di assenza
di garanzia (oppure che specifichi il tipo di garanzia che si offre).
Il messaggio deve inoltre specificare che chiunque può ridistribuire il programma alle condizioni qui descritte e deve indicare
come reperire questa Licenza. Se però il programma di partenza è
interattivo ma normalmente non stampa tale messaggio, non
occorre che un’opera basata sul Programma lo stampi.
Questi requisiti si applicano all’opera modificata nel suo complesso.
Se sussistono parti identificabili dell’opera modificata che non siano derivate dal Programma e che possono essere ragionevolmente considerate lavori indipendenti, allora questa Licenza e i suoi
termini non si applicano a queste parti quando queste vengono
distribuite separatamente. Se però queste parti vengono distribuite all’interno di un prodotto che è un’opera basata sul Programma, la distribuzione di quest’opera nella sua interezza deve avvenire nei termini di questa Licenza, le cui norme nei confronti di
altri utenti si estendono all’opera nella sua interezza, e quindi ad
ogni sua parte, chiunque ne sia l’autore.
Quindi, non è nelle intenzioni di questa sezione accampare diritti,
né contestare diritti su opere scritte interamente da altri; l’intento è
piuttosto quello di esercitare il diritto di controllare la distribuzione di opere derivati dal Programma o che lo contengano.
Inoltre, la semplice aggregazione di un’opera non derivata dal
Programma col Programma o con un’opera da esso derivata su di
un mezzo di memorizzazione o di distribuzione, non è sufficien164
te a includere l’opera non derivata nell’ambito di questa Licenza.
3. È lecito copiare e distribuire il Programma (o un’opera basata
su di esso, come espresso al comma 2) sotto forma di codice oggetto o eseguibile secondo i termini dei precedenti commi 1 e 2, a
patto che si applichi una delle seguenti condizioni:
a) Il Programma sia corredato del codice sorgente completo, in
una forma leggibile da calcolatore, e tale sorgente sia fornito secondo le regole dei precedenti commi 1 e 2 su di un mezzo comunemente usato per lo scambio di programmi.
b) Il Programma sia accompagnato da un’offerta scritta, valida per
almeno tre anni, di fornire a chiunque ne faccia richiesta una copia
completa del codice sorgente, in una forma leggibile da calcolatore, in cambio di un compenso non superiore al costo del trasferimento fisico di tale copia, che deve essere fornita secondo le regole dei precedenti commi 1 e 2 su di un mezzo comunemente usato per lo scambio di programmi.
c) Il Programma sia accompagnato dalle informazioni che sono state ricevute riguardo alla possibilità di ottenere il codice sorgente.
Questa alternativa è permessa solo in caso di distribuzioni non
commerciali e solo se il programma è stato ottenuto sotto forma
di codice oggetto o eseguibile in accordo al precedente comma B.
Per “codice sorgente completo” di un’opera si intende la forma
preferenziale usata per modificare un’opera. Per un programma
eseguibile, “codice sorgente completo” significa tutto il codice
sorgente di tutti i moduli in esso contenuti, più ogni file associato che definisca le interfacce esterne del programma, più gli script
usati per controllare la compilazione e l’installazione dell’eseguibile. In ogni caso non è necessario che il codice sorgente fornito
165
includa nulla che sia normalmente distribuito (in forma sorgente
o in formato binario) con i principali componenti del sistema operativo sotto cui viene eseguito il Programma (compilatore, kernel,
e così via), a meno che tali componenti accompagnino l’eseguibile.
Se la distribuzione dell’eseguibile o del codice oggetto è effettuata indicando un luogo dal quale sia possibile copiarlo, permettere la copia del codice sorgente dallo stesso luogo è considerata una
valida forma di distribuzione del codice sorgente, anche se copiare il sorgente è facoltativo per l’acquirente.
4. Non è lecito copiare, modificare, sublicenziare, o distribuire il
Programma in modi diversi da quelli espressamente previsti da
questa Licenza. Ogni tentativo di copiare, modificare, sublicenziare o distribuire il Programma non è autorizzato, e farà terminare automaticamente i diritti garantiti da questa Licenza. D’altra parte ogni acquirente che abbia ricevuto copie, o diritti, coperti da questa Licenza da parte di persone che violano la Licenza
come qui indicato non vedranno invalidata la loro Licenza, purché si comportino conformemente ad essa.
5. L’acquirente non è tenuto ad accettare questa Licenza, poiché
non l’ha firmata. D’altra parte nessun altro documento garantisce
il permesso di modificare o distribuire il Programma o i lavori derivati da esso. Queste azioni sono proibite dalla legge per chi non
accetta questa Licenza; perciò, modificando o distribuendo il Programma o un’opera basata sul programma, si indica nel fare ciò
l’accettazione di questa Licenza e quindi di tutti i suoi termini e
le condizioni poste sulla copia, la distribuzione e la modifica del
Programma o di lavori basati su di esso.
166
6. Ogni volta che il Programma o un’opera basata su di esso vengono distribuiti, l’acquirente riceve automaticamente una licenza
d’uso da parte del licenziatario originale. Tale licenza regola la
copia, la distribuzione e la modifica del Programma secondo questi termini e queste condizioni. Non è lecito imporre restrizioni
ulteriori all’acquirente nel suo esercizio dei diritti qui garantiti.
Chi distribuisce programmi coperti da questa Licenza non è
comunque tenuto a imporre il rispetto di questa Licenza a terzi.
7. Se, come conseguenza del giudizio di un tribunale, o di una
imputazione per la violazione di un brevetto o per ogni altra ragione (non limitatamente a questioni di brevetti), vengono imposte
condizioni che contraddicono le condizioni di questa licenza, che
queste condizioni siano dettate dalla corte, da accordi tra le parti
o altro, queste condizioni non esimono nessuno dall’osservazione
di questa Licenza. Se non è possibile distribuire un prodotto in un
modo che soddisfi simultaneamente gli obblighi dettati da questa
Licenza e altri obblighi pertinenti, il prodotto non può essere affatto distribuito. Per esempio, se un brevetto non permettesse a tutti quelli che lo ricevono di ridistribuire il Programma senza obbligare al pagamento di diritti, allora l’unico modo per soddisfare
contemporaneamente il brevetto e questa Licenza è di non distribuire affatto il Programma.
Se una qualunque parte di questo comma è ritenuta non valida o
non applicabile in una qualunque circostanza, deve comunque
essere applicata l’idea espressa da questo comma; in ogni altra circostanza invece deve essere applicato questo comma nel suo complesso.
Non è nelle finalità di questo comma indurre gli utenti ad infran167
gere alcun brevetto né ogni altra rivendicazione di diritti di proprietà, né di contestare la validità di alcuna di queste rivendicazioni; lo scopo di questo comma è unicamente quello di proteggere l’integrità del sistema di distribuzione dei programmi liberi,
che viene realizzato tramite l’uso di licenze pubbliche. Molte persone hanno contribuito generosamente alla vasta gamma di programmi distribuiti attraverso questo sistema, basandosi sull’applicazione fedele di tale sistema. L’autore/donatore può decidere di
sua volontà se preferisce distribuire il software avvalendosi di altri
sistemi, e l’acquirente non può imporre la scelta del sistema di
distribuzione.
Questo comma serve a rendere il più chiaro possibile ciò che crediamo sia una conseguenza del resto di questa Licenza.
8. Se in alcuni paesi la distribuzione o l’uso del Programma sono
limitati da brevetto o dall’uso di interfacce coperte da copyright,
il detentore del copyright originale che pone il Programma sotto
questa Licenza può aggiungere limiti geografici espliciti alla distribuzione, per escludere questi paesi dalla distribuzione stessa, in
modo che il programma possa essere distribuito solo nei paesi non
esclusi da questa regola. In questo caso i limiti geografici sono
inclusi in questa Licenza e ne fanno parte a tutti gli effetti.
9. All’occorrenza la Free Software Foundation può pubblicare revisioni o nuove versioni di questa Licenza Pubblica Generica. Tali
nuove versioni saranno simili a questa nello spirito, ma potranno
differire nei dettagli al fine di coprire nuovi problemi e nuove
situazioni.
Ad ogni versione viene dato un numero identificativo. Se il Pro168
gramma asserisce di essere coperto da una particolare versione di
questa Licenza e “da ogni versione successiva”, l’acquirente può
scegliere se seguire le condizioni della versione specificata o di una
successiva. Se il Programma non specifica quale versione di questa Licenza deve applicarsi, l’acquirente può scegliere una qualsiasi versione tra quelle pubblicate dalla Free Software Foundation.
10. Se si desidera incorporare parti del Programma in altri programmi liberi le cui condizioni di distribuzione differiscano da
queste, è possibile scrivere all’autore del Programma per chiederne l’autorizzazione. Per il software il cui copyright è detenuto dalla Free Software Foundation, si scriva alla Free Software Foundation; talvolta facciamo eccezioni alle regole di questa Licenza. La
nostra decisione sarà guidata da due finalità: preservare la libertà
di tutti i prodotti derivati dal nostro software libero e promuovere la condivisione e il riutilizzo del software in generale.
Nessuna garanzia
11. POICHÉ IL PROGRAMMA È CONCESSO IN USO GRATUITAMENTE,
NON C’È GARANZIA PER IL PROGRAMMA, NEI LIMITI PERMESSI DALLE VIGENTI LEGGI. SE NON INDICATO DIVERSAMENTE PER ISCRITTO,
IL DETENTORE DEL COPYRIGHT E LE ALTRE PARTI FORNISCONO IL
PROGRAMMA “COSÌ COM’È”, SENZA ALCUN TIPO DI GARANZIA, NÉ
ESPLICITA NÉ IMPLICITA; CIÒ COMPRENDE, SENZA LIMITARSI A QUESTO, LA GARANZIA IMPLICITA DI COMMERCIABILITÀ E UTILIZZABILITÀ
PER UN PARTICOLARE SCOPO.
L’INTERO RISCHIO CONCERNENTE LA
QUALITÀ E LE PRESTAZIONI DEL PROGRAMMA È DELL’ACQUIRENTE.
SE IL PROGRAMMA DOVESSE RIVELARSI DIFETTOSO, L’ACQUIRENTE SI
ASSUME IL COSTO DI OGNI MANUTENZIONE, RIPARAZIONE O CORREZIONE NECESSARIA.
169
12. NÉ IL DETENTORE DEL COPYRIGHT NÉ ALTRE PARTI CHE POSSONO MODIFICARE O RIDISTRIBUIRE IL PROGRAMMA COME PERMESSO IN QUESTA LICENZA SONO RESPONSABILI PER DANNI NEI
CONFRONTI DELL’ACQUIRENTE, A MENO CHE QUESTO NON SIA
RICHIESTO DALLE LEGGI VIGENTI O APPAIA IN UN ACCORDO SCRITTO.
SONO
INCLUSI DANNI GENERICI, SPECIALI O INCIDENTALI,
COME PURE I DANNI CHE CONSEGUONO DALL’USO O DALL’IMPOSSIBILITÀ DI USARE IL PROGRAMMA; CIÒ COMPRENDE, SENZA LIMITARSI A QUESTO, LA PERDITA DI DATI, LA CORRUZIONE DEI DATI, LE
PERDITE SOSTENUTE DALL’ACQUIRENTE O DA TERZI E L’INCAPACITÀ
DEL PROGRAMMA A INTERAGIRE CON ALTRI PROGRAMMI, ANCHE SE
IL DETENTORE O ALTRE PARTI SONO STATE AVVISATE DELLA POSSIBILITÀ DI QUESTI DANNI.
Fine dei termini e delle condizioni
Appendice: come applicare questi termini a nuovi programmi
Se si sviluppa un nuovo programma e lo si vuole rendere della maggiore utilità possibile per il pubblico, la cosa migliore da fare è rendere tale programma libero, cosicché ciascuno possa ridistribuirlo e modificarlo sotto questi termini.
Per fare questo, si inserisca nel programma la seguente nota. La
cosa migliore da fare è mettere la nota all’inizio di ogni file sorgente, per chiarire nel modo più efficiente possibile l’assenza di
garanzia; ogni file dovrebbe contenere almeno la nota di copyright e l’indicazione di dove trovare l’intera nota.
Una riga per dire in breve il nome del programma e cosa fa Copyright (C) anno nome dell’autore
Questo programma è software libero; è lecito redistribuirlo o modi170
ficarlo secondo i termini della Licenza Pubblica Generica GNU
come è pubblicata dalla Free Software Foundation; o la versione 2
della licenza o (a propria scelta) una versione successiva.
Questo programma è distribuito nella speranza che sia utile, ma SENZA ALCUNA GARANZIA; senza neppure la garanzia implicita di
NEGOZIABILITÀ o di APPLICABILITÀ PER UN PARTICOLARE SCOPO. Si veda la Licenza Pubblica Generica GNU per avere maggiori dettagli.
Questo programma deve essere distribuito assieme ad una copia della
Licenza Pubblica Generica GNU; in caso contrario, se ne può ottenere una scrivendo alla Free Software Foundation, Inc., 59 Temple
Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA
Si aggiungano anche informazioni su come si può essere contattati tramite posta elettronica e cartacea.
Se il programma è interattivo, si faccia in modo che stampi una
breve nota simile a questa quando viene usato interattivamente:
Orcaloca versione 69, Copyright (C) anno nome dell’autore Orcaloca non ha ALCUNA GARANZIA; per dettagli usare il comando
‘show g’. Questo è software libero, e ognuno è libero di ridistribuirlo secondo certe condizioni; usare il comando ‘show c’ per maggiori
dettagli.
Gli ipotetici comandi “show g” e “show c” mostreranno le parti
appropriate della Licenza Pubblica Generica. Chiaramente, i
comandi usati possono essere chiamati diversamente da “show g”
e “show c” e possono anche essere selezionati con il mouse o attraverso un menù, o comunque sia pertinente al programma.
Se necessario, si deve anche far firmare al proprio datore di lavo171
ro (per chi lavora come programmatore) o alla propria scuola, per
chi è studente, una “rinuncia al copyright” per il programma. Ecco
un esempio con nomi fittizi:
Yoyodinamica SPA rinuncia con questo documento ad ogni diritto sul
copyright del programma ‘Orcaloca’ (che s’inchina davanti ai compilatori) scritto da Giovanni Smanettone.
firma di Pinco Pallino, 1 Aprile 1989
Pinco Pallino, Presidente
I programmi coperti da questa Licenza Pubblica Generica non
possono essere incorporati all’interno di programmi proprietari.
Se il proprio programma è una libreria di funzioni, può essere più
utile permettere di collegare applicazioni proprietarie alla libreria.
Se si ha questa intenzione consigliamo di usare invece la GNU
Library General Public License.
172
Licenza Pubblica
Generica Attenuata
(LGPL)
del progetto GNU
Versione 2.1, Febbraio 1999
Copyright © 1991, 1999 Free Software Foundation, Inc.
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307, USA
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento di licenza, ma non ne è permessa la modifica.
[Questa è la prima versione rilasciata della Licenza Pubblica Generica Attenuata, e conta come successore della Licenza Pubblica
Generica per Librerie del Progetto GNU, versione 2, da cui la versione numero 2.1]
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza Pubblica Generica Attenuata, LGPL. Non è pubblicata dalla
Free Software Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i
termini di distribuzione del software che usa la licenza LGPL. Solo
la versione originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo ad ogni modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua
italiana a comprendere meglio il significato della LGPL.)
Preambolo
Le licenze della maggior parte dei programmi hanno lo scopo di
togliere all’utente la libertà di condividere e modificare il pro173
gramma stesso. Viceversa, le Licenze Pubbliche Generiche GNU
sono intese a garantire la libertà di condividere e modificare il
software libero, al fine di assicurare che i programmi siano liberi
per tutti i loro utenti.
Questa Licenza, la Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL),
si applica a specifici pacchetti software, tipicamente librerie, della Free Software Foundation e di altri autori che decidono di usare questa Licenza. Chiunque può usare questa licenza, ma suggeriamo prima di valutare attentamente se questa licenza, piuttosto
che la normale Licenza Pubblica Generica, sia la migliore strategia da usare per ogni specifico caso, sulla base delle seguenti spiegazioni.
Quando si parla di software libero (free software), ci si riferisce alla
libertà, non al prezzo. Le nostre Licenze Pubbliche Generiche sono
progettate per assicurarsi che ciascuno abbia la libertà di distribuire copie del software libero (e farsi pagare per questo, se lo si
vuole); che ciascuno riceva il codice sorgente o che, se vuole, possa ottenerlo; che ciascuno possa modificare il programma o usarne delle parti in nuovi programmi liberi; e che ciascuno sappia di
poter fare queste cose.
Per proteggere i diritti dell’utente, abbiamo bisogno di imporre
restrizioni che vietino ai distributori di negare tali diritti o di chiedere agli utenti di rinunciarvi. Queste restrizioni si traducono in
determinate responsabilità a carico di chi distribuisce copie del
software o di chi lo modifica.
Ad esempio, chi distribuisce copie di una libreria LGPL, sia gratis sia in cambio di un compenso, deve concedere ai destinatari
tutti i diritti che ha ricevuto. Deve anche assicurarsi che i destinatari ricevano o possano ottenere il codice sorgente. Se è stato
collegato altro codice alla libreria, deve fornire tutti questi codi174
ci ai destinatari, in modo che essi possano ricollegarli alla libreria dopo averla modificata e ricompilata. E deve mostrar loro
queste condizioni della licenza, in modo che essi conoscano i
propri diritti.
Tuteliamo i diritti dell’utente in due modi: (1) proteggendo la
libreria attraverso il copyright, e (2) offrendo una licenza che dia
il permesso legale di copiare, distribuire e modificare la libreria.
Per proteggere ogni distributore, vogliamo rendere assolutamente chiaro che non esistono garanzie per la licenza libera. Inoltre,
se la licenza viene modificata da qualcun altro e ridistribuita, gli
acquirenti dovrebbero essere informati che quanto in loro possesso non è la versione originale, in modo che ogni problema eventualmente introdotto da altri non danneggi la reputazione dell’autore originario.
Infine, l’esistenza di ogni programma libero è costantemente sotto la minaccia dei brevetti sul software. Vogliamo esser certi che
una azienda non possa effettivamente porre restrizioni sugli utenti di un programma libero tramite l’uso di licenze restrittive di
qualche proprietario di brevetto. Perciò insistiamo sul fatto che
qualsiasi licenza di brevetto ottenuta per una versione della libreria debba risultare coerente con la piena libertà d’uso specificata
in questa licenza.
La maggior parte del software GNU, incluse alcune librerie, è
coperto dalla normale Licenza Pubblica Generica (GPL) del Progetto GNU. Questa licenza, la Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL), si applica a certe librerie specifiche ed è assai diversa dalla Licenza Pubblica Generica normale. Questa licenza viene
usata per determinate librerie in modo da permettere il collegamento di tali librerie a programmi non liberi.
Quando un programma è collegato con una libreria, sia statica175
mente che usando una libreria condivisa, legalmente parlando la
combinazione dei due elementi è un lavoro combinato, un derivato della libreria originale. Perciò la normale Licenza Pubblica
Generica permette tale collegamento solo se l’intera combinazione risulta conforme ai propri criteri di libertà. La Licenza Pubblica Generica Attenuata consente criteri più rilassati per collegare
altro codice alla libreria.
Questa licenza viene definita la Licenza Pubblica Generica «Attenuata» perché fa meno per proteggere la libertà dell’utente rispetto alla normale Licenza Pubblica Generica. Essa fornisce inoltre
minori vantaggi agli sviluppatori di software libero nella competizione con programmi non liberi. Questi svantaggi sono la ragione per cui usiamo la Licenza Pubblica Generica per molte librerie. Tuttavia, la Licenza Pubblica Generica Attenuata fornisce dei
vantaggi per certe circostanze speciali.
Ad esempio, in rare occasioni, può presentarsi la necessità particolare di incoraggiare l’uso più ampio possibile di una determinata libreria, in modo che divenga uno standard de facto. Onde
raggiungere quest’obiettivo, i programmi non liberi devono essere in grado di utilizzare la libreria. Un caso più frequente è che la
libreria libera svolga lo stesso compito di librerie non libere molto usate.
In questa situazione, ha poco senso limitare la libreria libera al solo
software libero, quindi utilizziamo la Licenza Pubblica Generica
Attenuata.
In altri casi, il permesso di usare una specifica libreria in programmi non liberi consente a un maggior numero di persone l’uso di un’ampia quantità di programmi liberi. Per esempio, il permesso di utilizzare la libreria C del Progetto GNU in programmi
non liberi consente a molte più persone di usare l’intero sistema
176
operativo GNU, come pure della sua variante più comune, il sistema operativo GNU/Linux.
Sebbene la Licenza Pubblica Generica Attenuata tuteli la libertà
degli utenti in misura minore, garantisce all’utente di un programma collegato alla Libreria la libertà e i mezzi per eseguire tale
programma usando una versione modificata della Libreria.
Seguono i termini e le condizioni precise per la copia, la distribuzione e la modifica. Si faccia molta attenzione alla differenza tra
“opera basata sulla libreria” e “opera che usa la libreria”. La prima
contiene codice derivato dalla libreria, mentre la seconda deve
essere combinata con la libreria per poter funzionare.
Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica
Questa Licenza si applica a ogni libreria software o altro programma che contenga una nota posta dal detentore del copyright
o da altro soggetto autorizzato in cui si specifichi che tale libreria
o programma vada distribuito secondo i termini della Licenza
Pubblica Generica Attenuata (definita anche “questa Licenza”).
Per “libreria” s’intende una raccolta di funzioni software e/o dati
preparati in modo da poter essere facilmente collegati con programmi applicativi (che utilizzano alcune di queste funzioni e dati)
così da formare degli eseguibili.
Il termine “Libreria” usato da qui in poi si riferisce a ogni tipo di
libreria software o opera che sia stata distribuita in questi termini. L’espressione “un’opera basata sulla Libreria” indica sia la Libreria sia ogni opera derivativa come definito dalla legge sul diritto
d’autore: ovvero, un’opera contenente la Libreria o una sua parte,
sia inalterata sia con modifiche e/o tradotta direttamente in un
altro linguaggio. (Da qui in avanti, la traduzione viene inclusa senza limitazioni nel termine “modifica”.)
177
Per “codice sorgente” di un’opera s’intende la forma di codice usato di preferenza per apportare modifiche. Per una libreria, il codice sorgente completo è il codice sorgente di tutti i moduli contenuti, più ogni file associato per la definizione delle interfacce, più
gli script utilizzati per controllare la compilazione e l’installazione della libreria.
Attività diverse dalla copia, distribuzione e modifica non sono
coperte da questa Licenza e sono al di fuori della sua influenza.
L’atto di eseguire un programma che usa la Libreria non viene limitato, e l’output di tale programma è coperto da questa Licenza solo
nel caso in cui il contenuto costituisce un’opera basata sulla Libreria (indipendentemente dal fatto che sia stato creato utilizzando
la Libreria). Se ciò corrisponda o meno al vero, dipende da cosa
fa la Libreria e da cosa fa il programma che usa la Libreria.
1. È lecito copiare e distribuire copie letterali del codice sorgente
completo della Libreria così come viene ricevuto, con qualsiasi mezzo, a condizione che venga riprodotta chiaramente su ogni copia
un’appropriata nota per il copyright e per la mancanza di garanzie;
che si mantengano intatti tutti i riferimenti a questa Licenza e all’assenza di ogni garanzia; e che si distribuisca una copia di questa Licenza insieme alla Libreria. Si può richiedere un pagamento per il trasferimento fisico di una copia, ed è anche possibile, a propria discrezione, offrire a pagamento una garanzia aggiuntiva.
2. È consentito modificare la propria copia o le copie della Libreria o qualsiasi sua parte, creando in questo modo un’opera basata
sulla Libreria, e copiare o distribuire tali modifiche o tale opera
secondo i termini del precedente comma 1, purché vengano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
178
a) L’opera modificata deve essere a sua volta una libreria software.
b) Bisogna inserire nei file modificati una chiara nota in cui si spieghi che avete cambiato il file e riporti la data di ogni modifica.
c) Occorre fare in modo che l’opera venga concessa nella sua interezza in licenza gratuita ad ogni terza parte sotto i termini di questa Licenza.
d) Se una funzionalità della Libreria modificata implica che una
funzione o una tabella dati vengano forniti da un programma
applicativo che usa tale funzionalità, in casi diversi dal passaggio
di argomenti quando la funzionalità viene invocata, allora bisogna accertarsi al meglio delle proprie possibilità che, nel caso l’applicazione non fornisca tale funzione o tabella, la funzionalità possa operare comunque ed esegua qualsiasi parte della propria funzione abbia ancora senso.
(Ad esempio, la funzione di una libreria per il calcolo delle radici
quadrate ha un fine ben determinato indipendente dall’applicazione. Di conseguenza, il sotto-comma 2d richiede che ogni funzione fornita dall’applicazione o dalla tabella usata da tale funzione debbano essere opzionali: Qualora l’applicazione non le fornisca, la funzione radice quadrata deve comunque poter calcolare le
radici quadrate.)
Questi requisiti si applicano all’opera modificata nella sua interezza. Se sezioni identificabili di questa opera non sono derivate
dalla Libreria e possono essere ragionevolmente considerate indipendenti e opere separate in quanto tali, allora questa Licenza, e i
suoi termini, non si applicano a quelle sezioni che vengano distribuite come opere separate. Ma quando tali sezioni sono distribuite
in blocco come parte di un’opera basata sulla Libreria, la distri179
buzione dell’opera completa deve essere rilasciata sotto i termini
di questa Licenza, i cui permessi per successivi licenziatari si estendono all’opera completa, e quindi ad ogni sua parte, indipendentemente da chi l’abbia scritta.
Così l’intento di questa sezione non è quello di accampare o contestare alcun diritto su opere scritte interamente da altri; piuttosto, l’intento è quello di esercitare il diritto al controllo della distribuzione di lavori derivati o collettivi basati sulla Libreria in questione.
In aggiunta, la semplice aggregazione con la Libreria di un’altra
opera non basata sulla Libreria (o anche con un’opera basata sulla
Libreria) su un mezzo di memorizzazione o distribuzione, non
implica che l’altra opera ricada sotto l’influenza di questa Licenza.
3. È lecito decidere di applicare a una copia della Libreria i termini della normale Licenza Pubblica Generica GNU (GNU GPL)
al posto di questa Licenza. Per farlo, è necessario cambiare tutti i
riferimenti a questa Licenza, in modo che rimandino alla normale Licenza Pubblica Generica GNU versione 2, anziché a questa
Licenza. (Se dovesse essere pubblicata una versione della Licenza
Pubblica Generica GNU successiva alla 2, volendo si può specificare questa nuova versione). Non va cambiato nessun altro riferimento o nota. Una volta operato questo cambiamento su una
determinata copia, esso diviene irreversibile e la Licenza Pubblica
Generica GNU si applica a tutte le successive copie e opere derivate create a partire da tale copia. Questa opzione torna utile qualora si voglia copiare parte del codice della Libreria in un programma che non è una libreria.
4. È consentito copiare e distribuire la Libreria (o parti o derivati
di essa, come espresso dal comma 2) sotto forma di codice ogget180
to o eseguibile secondo i termini dei precedenti commi 1 e 2, a
condizione che venga allegato il corrispondente codice sorgente
completo, in formato leggibile dal calcolatore, distribuito secondo quanto stabilito dai commi 1 e 2 su un mezzo comunemente
utilizzato per lo scambio di software.
Nel caso la distribuzione di codice oggetto dovesse avvenire tramite accesso alla copia da un determinato luogo, allora l’offerta di
analogo accesso per copiare il codice sorgente dal medesimo luogo soddisfa il requisito di distribuzione del codice sorgente, anche
se terze parti non sono obbligate a copiare il sorgente insieme al
codice oggetto.
5. Un programma che non contenga alcun derivato di nessuna
porzione della Libreria, ma è progettato per lavorare con la Libreria attraverso compilazione o collegamento con questa, viene definito “un’opera che usa la Libreria”. Tale opera, isolata, non è derivata dalla Libreria, e pertanto ricade al di fuori dell’influenza di
questa Licenza.
Tuttavia, collegando “un’opera che usa la Libreria” con quest’ultima si crea un eseguibile che è derivato dalla Libreria stessa (poiché ne contiene delle parti), piuttosto che “un’opera che usa la
Libreria”. Di conseguenza, il codice eseguibile è coperto da questa Licenza. Il comma 6 illustra i termini per la distribuzione di
questo tipo di eseguibili.
Quando “un’opera che usa la Libreria” utilizza materiale da un file
di header che fa parte della Libreria, il codice oggetto dell’opera
può essere un’opera derivata dalla Libreria anche se il codice sorgente non lo è. Per determinare questa condizione risulta particolarmente significativo il fatto che l’opera possa essere compilata
181
senza la Libreria, oppure nel caso l’opera sia una libreria essa stessa. La soglia per determinare questa distinzione non viene stabilita in modo preciso dalla legge.
Se tale file oggetto utilizza solo parametri numerici, schemi di
strutture dati e accessori, e piccole macro-funzioni o piccole funzioni in linea (lunghe al massimo 10 righe), allora l’uso del file
oggetto non è sottoposto a restrizioni, indipendentemente dal fatto che sia o meno un’opera derivata a livello legale. (Eseguibili che
contengano tale codice oggetto in aggiunta a porzioni della Libreria sono comunque regolati dal comma 6).
Altrimenti, nel caso l’opera sia derivata dalla Libreria, si può distribuire il codice oggetto dell’opera in base ai termini del comma 6.
Ogni eseguibile contenente quell’opera ricade comunque sotto i
termini del comma 6, prescindendo dal fatto che siano direttamente collegati o meno alla Libreria stessa.
6. Come eccezione al comma precedente, si può combinare o collegare “un’opera che usa la Libreria” con quest’ultima onde creare
un’opera che contenga porzioni della Libreria, e distribuire tale
opera secondo termini di propria scelta, purché questi termini
consentano la modifica dell’opera ad uso privato e il reverse engineering per il debugging delle modifiche.
Occorre includere in ogni copia dell’opera una chiara nota in cui si
specifichi l’utilizzo della Libreria e il fatto che la Libreria e il suo
impiego vengono regolati da questa Licenza. È obbligatorio fornire una copia di questa Licenza. Se durante l’esecuzione l’opera visualizza le note di copyright, insieme a queste bisogna mostrare le note
di copyright della Libreria, oltre al riferimento diretto ad una copia
di questa Licenza. È inoltre necessario fare una delle seguenti cose:
182
a) Fornire insieme all’opera il codice sorgente completo della Libreria in un formato leggibile dal calcolatore, comprese tutte le modifiche apportate (che devono essere distribuite secondo i termini previsti dai commi 1 e 2); e, nel caso l’opera sia un eseguibile collegato con la Libreria, fornire “l’opera che usa la Libreria” con il codice
oggetto e/o sorgente completo, in modo che l’utente possa modificare la Libreria e poi ricollegare il tutto onde produrre un eseguibile modificato contenente la Libreria modificata. (È assodato che l’utente che dovesse cambiare il contenuto dei file di definizione della Libreria non sarà necessariamente in grado di ricompilare l’applicazione per usare tali definizioni modificate).
b) Usare un appropriato meccanismo di condivisione delle librerie per collegare la Libreria. Un meccanismo appropriato è quello
che (1) durante l’esecuzione utilizza una copia della libreria già
presente nel computer dell’utente, anziché copiare le funzioni della libreria nell’eseguibile, e (2) funzionerà correttamente con una
versione modificata della libreria, se l’utente ne installa una, fintanto che la versione modificata non sia compatibile a livello di
interfaccia con la versione con la quale è stata creata l’opera.
c) Allegare all’opera un’offerta scritta, valida per almeno 3 anni,
per la fornitura allo stesso utente dei materiali specificati nel precedente sotto-comma 6a, ad un costo non superiore a quello di
distribuzione.
d) Se la distribuzione dell’opera viene effettuata tramite accesso
alla copia da un luogo specifico, va offerto analogo accesso alla
copia dei materiali sopra specificati dallo stesso luogo.
e) Verificare che l’utente abbia già ricevuto una copia di questi
materiali o che gliene sia già stata trasferita una copia.
183
Per un eseguibile, bisogna fornire ogni dato o programma di utilità necessario per ricreare l’eseguibile che forma “l’opera che usa
la Libreria”. Tuttavia, come eccezione particolare, tra i materiali
da distribuire non vanno necessariamente inclusi tutti quelli normalmente distribuiti (in forma sorgente o binaria) con i principali
componenti (compilatore, kernel e così via) del sistema operativo
sul quale funziona l’eseguibile, a meno che tali componenti non
siano distribuiti insieme all’eseguibile.
Può accadere che questo requisito contraddica le restrizioni dettate da licenze di altre librerie proprietarie normalmente non fornite con il sistema operativo.
Queste incongruenze comportano l’impossibilità di utilizzare
insieme tali librerie e la Libreria in un eseguibile da distribuire.
7. È possibile inserire in un’unica libreria delle funzionalità che
sono un’opera basata sulla Libreria, di fianco ad altre funzionalità non regolate da questa Licenza, e distribuire questa libreria
combinata, purché venga comunque consentita la distribuzione separata dell’opera basata sulla Libreria e delle altre funzionalità di libreria, e posto che vengano rispettate le seguenti due
condizioni:
a) Insieme alla libreria combinata, occorre fornire una copia della stessa opera basata sulla Libreria, non combinata con nessun’altra funzionalità di libreria. Questa deve essere distribuita
rispettando i termini enunciati sopra.
b) Affiancare alla libreria combinata una chiara nota in cui viene
specificato che parte di essa è un’opera basata sulla Libreria, spiegando altresì dove trovare la versione non combinata della stessa
opera.
184
8. Non è consentito copiare, modificare, rilicenziare, collegare con
o distribuire la Libreria se non nei termini espressamente enunciati in questa Licenza. Qualsiasi tentativo di copiare, modificare,
rilicenziare, collegare con o distribuire la Libreria sotto altri termini non è valido e terminerà automaticamente i diritti ricevuti
con questa Licenza. Tuttavia, ai quei soggetti che avessero ricevuto copie, o diritti, sotto i termini di questa Licenza non verrà terminata la licenza fintanto che tali soggetti ne rimangano in piena
conformità.
9. L’utente non è tenuto ad accettare questa Licenza, poichè
non l’ha firmata. In ogni caso, nessun altro documento garantisce il permesso di modificare o distribuire la Libreria o le opere da essa derivate. Queste azioni sono proibite dalla legge per
chi non accetta questa Licenza. Di conseguenza, modificando
o distribuendo la Libreria (o qualsiasi opera basata sulla Libreria), si indica l’accettazione di questa Licenza in tal senso, e
quindi di tutti i suoi termini e condizioni relativamente a
copia, distribuzione e modifica della Libreria o di opere basate su questa.
10. Ogni volta che la Libreria (o un’opera basata sulla Libreria)
viene distribuita, il ricevente ottiene automaticamente una licenza d’uso da parte del licenziatario originario che regola la copia, la
distribuzione, la modifica e il collegamento con la Libreria secondo i termini e le condizioni ivi specificate. Non è consentito
imporre ulteriori restrizioni ai riceventi nell’esercizio dei propri
diritti qui garantiti. Chi distribuisce programmi coperti da questa
Licenza non è comunque tenuto a imporne il rispetto nei confronti di terze parti.
185
11. Se, a seguito di una sentenza di tribunale o di una imputazione per violazione di brevetto o per qualsiasi altro motivo (non limitatamente a questioni di brevetti), vengano imposte all’utente, sia
dal tribunale sia da accordi tra le parti o altro, delle condizioni in
contrasto con quanto stabilito da questa Licenza, tali condizioni
non esimono alcun soggetto dal rispetto di questa Licenza. Nel
caso non sia possibile distribuire un programma in un modo da
soddisfare simultaneamente gli obblighi dettati da questa Licenza
e altri obblighi ad essa pertinenti, non si potrà procedere ad alcuna distribuzione. Se, ad esempio, un brevetto vietasse a tutti quelli che ricevono direttamente o indirettamente la Libreria, la sua
ridistribuzione senza pagamento di diritti, allora l’unico modo per
rispettare contemporaneamente tale brevetto e questa Licenza è
quello di non distribuire affatto la Libreria.
Se una parte qualsiasi di questo comma venga ritenuta non valida
o inapplicabile in una qualunque circostanza specifica, deve comunque essere applicato quanto espresso in questo comma, e in ogni
altra circostanza va applicato questo comma nel suo complesso.
Non rientra nelle finalità di questo comma indurre l’utente ad
infrangere alcun brevetto né altre rivendicazioni sul diritto di proprietà, né di contestare la validità di tali rivendicazioni. L’obiettivo di questo comma è unicamente quello di proteggere l’integrità
del sistema di distribuzione dei programmi liberi implementato
tramite l’utilizzo di licenze pubbliche. Molte persone hanno generosamente contribuito alla vasta gamma di programmi distribuiti attraverso questo sistema, basandosi sulla fedele applicazione di
tale sistema. Spetta soltanto all’autore/donatore decidere se preferisca o meno distribuire il software tramite altri sistemi, e l’utente non può imporre tale scelta.
186
Questo comma punta a chiarire fino in fondo ciò che crediamo
sia una conseguenza del resto di questa Licenza.
12. Se in alcuni paesi la distribuzione o l’impiego della Libreria
sono limitati da brevetti o da interfacce coperte da copyright, il
detentore del copyright originario che pone la Libreria sotto questa Licenza può aggiungere esplicite limitazioni geografiche alla
distribuzione onde escluderne tali paesi, in modo da consentire la
distribuzione soltanto in quei paesi non inclusi in queste restrizioni. In tal caso, le limitazioni geografiche vengono incorporate
a tutti gli effetti nel testo di questa Licenza.
13. Di quando in quando Free Software Foundation potrebbe
pubblicare versioni nuove o riviste della Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL). Tali versioni saranno simili a questa nello
spirito, ma potranno differire nei dettagli al fine di coprire problemi e situazioni nuove.
A ciascuna versione viene assegnato un numero identificativo. Se
la Libreria specifica di essere coperta da una particolare versione
di questa Licenza e “da qualsiasi versione successiva, l’utente può
scegliere di aderire alle condizioni della versione specificata o a
quelle di una successiva. Se la Libreria non specifica il numero della versione, l’utente può optare per una versione qualsiasi tra quelle pubblicate dalla Free Software Foundation.
14. Nel caso si voglia incorporare parti della Libreria in altri programmi liberi le cui condizioni di distribuzione siano incompatibili con queste, si può scrivere all’autore per chiederne l’autorizzazione. Per il software sotto il copyright della Free Software Foundation, occorre contattare quest’ultima; talvolta facciamo delle
187
eccezioni a queste regole. La nostra decisione sarà guidata da due
finalità: preservare la libertà di tutti i prodotti derivati dal nostro
software libero e promuovere la condivisione e il riutilizzo del
software in generale.
Nessuna garanzia
15. POICHÈ LA LIBRERIA VIENE CONCESSA CON LICENZA GRATUITA,
NON ESISTE ALCUNA GARANZIA PER LA LIBRERIA, NEI LIMITI CONSENTITI DALLE VIGENTI LEGGI. SE NON INDICATO DIVERSAMENTE
PER ISCRITTO, IL DETENTORE DEL COPYRIGHT E LE ALTRE PARTI
FORNISCONO IL PROGRAMMA “COSÌ COM’È”, SENZA ALCUN TIPO DI
GARANZIA, NÉ ESPLICITA NÉ IMPLICITA; CIÒ INCLUDE, SENZA LIMITARSI A QUESTO, LA GARANZIA IMPLICITA DI COMMERCIABILITÀ E
UTILIZZABILITÀ PER UNO SCOPO PARTICOLARE. TUTTI I RISCHI SU
QUALITÀ E PRESTAZIONI DELLA LIBRERIA SONO A CARICO DELL’UTENTE. SE LA LIBRERIA DOVESSE RIVELARSI DIFETTOSA, L’UTENTE SI
ASSUME L’ONERE DI OGNI MANUTENZIONE, RIPARAZIONE O CORREZIONE NECESSARIA.
16. NÉ IL DETENTORE DEL COPYRIGHT, NÉ ALTRE PARTI AUTORIZZATE A MODIFICARE E/O RIDISTRIBUIRE LA LIBRERIA SECONDO
QUANTO STABILITO IN QUESTA LICENZA, SONO RESPONSABILI IN
ALCUN MODO PER EVENTUALI DANNI NEI CONFRONTI DELL’UTENTE, A MENO CHE CIÒ NON SIA RICHIESTO DALLE LEGGI VIGENTI O
SIA SPECIFICATO IN UN ACCORDO SCRITTO. SONO INCLUSI DANNI
GENERICI, SPECIALI O INCIDENTALI, COME PURE I DANNI CONSEGUENTI DALL’USO O DALL’IMPOSSIBILITÀ DI USARE LA LIBRERIA
(INCLUSO, MA SENZA LIMITARSI A QUESTO, LA PERDITA E LA CORRUZIONE DEI DATI, LE PERDITE SOSTENUTE DALL’UTENTE O DA TERZE PARTI E L’INCAPACITÀ DA PARTE DELLA LIBRERIA DI INTERAGIRE
188
CON ALTRO SOFTWARE), ANCHE NEL CASO IL DETENTORE O LE ALTRE
PARTI SIANO STATE AVVISATE DELL’EVENTUALITÀ DI TALI DANNI.
Fine dei termini e delle condizioni
Come applicare questi termini a nuove librerie
Se si sviluppa una nuova libreria, e la si vuole rendere della maggiore utilità possibile per il pubblico, la cosa migliore è renderla
libera, in modo che chiunque possa ridistribuirla e modificarla sotto questi termini (o, alternativamente, sotto i termini della normale Licenza Pubblica Generica).
Per applicare questi termini, basta inserire nella libreria le seguenti note. La procedura migliore è inserirle all’inizio di ogni file sorgente, per chiarire nel modo più efficace possibile l’assenza di
garanzie; e ciascun file dovrebbe contenere almeno la nota di copyright e l’indicazione di dove poter reperire la nota per esteso.
Una riga per indicare il nome della libreria e dare un’idea di cosa faccia.
Copyright (C) anno nome dell’autore
Questa libreria è software libero; ne è concessa la ridistribuzione o la
modifica secondo i termini della Licenza Pubblica Generica Attenuata GNU come pubblicata dalla Free Software Foundation; si può
scegliere a piacimento la versione 2.1 della Licenza oppure una qualsiasi versione successiva.
Questa libreria è distribuita nella speranza possa mostrarsi utile, ma
SENZA ALCUNA GARANZIA; senza neppure la garanzia implicita di COMMERCIABILITÀ o APPLICABILITÀ PER UN PAR189
TICOLARE SCOPO. Per maggiori dettagli si veda la Licenza Pubblica Generica Attenuata GNU.
Insieme a questa libreria, l’utente dovrebbe aver ricevuto copia della
Licenza Pubblica Generica Attenuata GNU; in caso contrario, si può
contattare la Free Software Foundation, Inc., 59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307, USA
È inoltre il caso di aggiungere informazioni per poter essere contattati tramite posta elettronica e cartacea.
Se necessario, occorre far firmare al proprio datore di lavoro (per
chi lavora come programmatore) o al proprio istituto, per gli studenti, una “rinuncia al copyright” per la Libreria. Ecco un esempio contenente nomi fittizi:
Yoyodinamica SPA rinuncia con questo documento ad ogni diritto sul
copyright della libreria ‘Orcaloca’ (una libreria per girarsi i pollici)
scritto da Giovanni Smanettone.
firma di Pinco Pallino, 1 Aprile 1990
Pinco Pallino, Presidente
Questo è tutto!
190
Licenza per
Documentazione
Libera (FDL)
del Progetto GNU
Versione 1.1, Marzo 2000
Copyright (C) 2000 Free Software Foundation, Inc.
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento di licenza, ma non ne è permessa la modifica.
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza per Documentazione Libera, FDL. Non è pubblicata dalla Free
Software Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i termini di distribuzione del software che usa la licenza FDL. Solo la
versione originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo
ad ogni modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua italiana a comprendere meglio il significato della FDL.)
0. Preambolo
Lo scopo di questa licenza è di rendere un manuale, un testo o
altri documenti scritti “liberi” nel senso di assicurare a tutti la
libertà effettiva di copiarli e redistribuirli, con o senza modifiche,
a fini di lucro o no. In secondo luogo questa licenza prevede per
autori ed editori il modo per ottenere il giusto riconoscimento del
191
proprio lavoro, preservandoli dall’essere considerati responsabili
per modifiche apportate da altri.
Questa licenza è un “copyleft”: ciò vuol dire che i lavori che derivano dal documento originale devono essere ugualmente liberi. È
il complemento alla Licenza Pubblica Generale GNU, che è una
licenza di tipo “copyleft” pensata per il software libero.
Abbiamo progettato questa licenza al fine di applicarla alla documentazione del software libero, perché il software libero ha bisogno di documentazione libera: un programma libero dovrebbe
accompagnarsi a manuali che forniscano la stessa libertà del
software. Ma questa licenza non è limitata alla documentazione
del software; può essere utilizzata per ogni testo che tratti un qualsiasi argomento e al di là dell’avvenuta pubblicazione cartacea.
Raccomandiamo principalmente questa licenza per opere che
abbiano fini didattici o per manuali di consultazione.
1. Applicabilità e definizioni
Questa licenza si applica a qualsiasi manuale o altra opera che contenga una nota messa dal detentore del copyright che dica che si
può distribuire nei termini di questa licenza. Con “Documento”,
in seguito ci si riferisce a qualsiasi manuale o opera. Ogni fruitore è un destinatario della licenza e viene indicato con “voi”.
Una “versione modificata” di un documento è ogni opera contenente il documento stesso o parte di esso, sia riprodotto alla lettera che con modifiche, oppure traduzioni in un’altra lingua.
Una “sezione secondaria” è un’appendice cui si fa riferimento o
una premessa del documento e riguarda esclusivamente il rapporto dell’editore o dell’autore del documento con l’argomento gene192
rale del documento stesso (o argomenti affini) e non contiene nulla che possa essere compreso nell’argomento principale. (Per esempio, se il documento è in parte un manuale di matematica, una
sezione secondaria non può contenere spiegazioni di matematica).
Il rapporto con l’argomento può essere un tema collegato storicamente con il soggetto principale o con soggetti affini, o essere
costituito da argomentazioni legali, commerciali, filosofiche, etiche o politiche pertinenti.
Le “sezioni non modificabili” sono alcune sezioni secondarie i cui
titoli sono esplicitamente dichiarati essere sezioni non modificabili, nella nota che indica che il documento è realizzato sotto questa licenza.
I “testi copertina” sono dei brevi brani di testo che sono elencati
nella nota che indica che il documento è realizzato sotto questa
licenza.
Una copia “trasparente” del documento indica una copia leggibile da un calcolatore, codificata in un formato le cui specifiche sono
disponibili pubblicamente, i cui contenuti possono essere visti e
modificati direttamente, ora e in futuro, con generici editor di testi
o (per immagini composte da pixel) con generici editor di immagini o (per i disegni) con qualche editor di disegni ampiamente
diffuso, e la copia deve essere adatta al trattamento per la formattazione o per la conversione in una varietà di formati atti alla successiva formattazione. Una copia fatta in un altro formato di file
trasparente il cui markup è stato progettato per intralciare o scoraggiare modifiche future da parte dei lettori non è trasparente.
Una copia che non è trasparente è “opaca”.
Esempi di formati adatti per copie trasparenti sono l’ASCII puro
193
senza markup, il formato di input per Texinfo, il formato di input
per LaTex, SGML o XML accoppiati ad una DTD pubblica e
disponibile, e semplice HTML conforme agli standard e progettato per essere modificato manualmente. Formati opachi sono
PostScript, PDF, formati proprietari che possono essere letti e
modificati solo con word processor proprietari, SGML o XML per
cui non è in genere disponibile la DTD o gli strumenti per il trattamento, e HTML generato automaticamente da qualche word
processor per il solo output.
La “pagina del titolo” di un libro stampato indica la pagina del
titolo stessa, più qualche pagina seguente per quanto necessario a
contenere in modo leggibile, il materiale che la licenza prevede che
compaia nella pagina del titolo. Per opere in formati in cui non
sia contemplata esplicitamente la pagina del titolo, con “pagina
del titolo” si intende il testo prossimo al titolo dell’opera, precedente l’inizio del corpo del testo.
2. Copie letterali
Si può copiare e distribuire il documento con l’ausilio di qualsiasi mezzo, per fini di lucro e non, fornendo per tutte le copie questa licenza,
le note sul copyright e l’avviso che questa licenza si applica al documento, e che non si aggiungono altre condizioni al di fuori di quelle
della licenza stessa. Non si possono usare misure tecniche per impedire o controllare la lettura o la produzione di copie successive alle
copie che si producono o distribuiscono. Però si possono ricavare
compensi per le copie fornite. Se si distribuiscono un numero sufficiente di copie si devono seguire anche le condizioni della sezione 3.
Si possono anche prestare copie e con le stesse condizioni sopra
menzionate possono essere utilizzate in pubblico.
194
3. Copiare in notevoli quantità
Se si pubblicano a mezzo stampa più di 100 copie del documento, e la nota della licenza indica che esistono uno o più testi copertina, si devono includere nelle copie, in modo chiaro e leggibile,
tutti i testi copertina indicati: il testo della prima di copertina in
prima di copertina e il testo di quarta di copertina in quarta di
copertina. Ambedue devono identificare l’editore che pubblica il
documento. La prima di copertina deve presentare il titolo completo con tutte le parole che lo compongono egualmente visibili
ed evidenti. Si può aggiungere altro materiale alle copertine. Il
copiare con modifiche limitate alle sole copertine, purché si preservino il titolo e le altre condizioni viste in precedenza, è considerato alla stregua di copiare alla lettera.
Se il testo richiesto per le copertine è troppo voluminoso per essere riprodotto in modo leggibile, se ne può mettere una prima parte per quanto ragionevolmente può stare in copertina, e continuare nelle pagine immediatamente seguenti.
Se si pubblicano o distribuiscono copie opache del documento in
numero superiore a 100, si deve anche includere una copia trasparente leggibile da un calcolatore per ogni copia o menzionare
per ogni copia opaca un indirizzo di una rete di calcolatori pubblicamente accessibile in cui vi sia una copia trasparente completa del documento, spogliato di materiale aggiuntivo, e a cui si possa accedere anonimamente e gratuitamente per scaricare il documento usando i protocolli standard e pubblici generalmente usati. Se si adotta l’ultima opzione, si deve prestare la giusta attenzione, nel momento in cui si inizia la distribuzione in quantità elevata di copie opache, ad assicurarsi che la copia trasparente rimanga accessibile all’indirizzo stabilito fino ad almeno un anno di
195
distanza dall’ultima distribuzione (direttamente o attraverso
rivenditori) di quell’edizione al pubblico.
È caldamente consigliato, benché non obbligatorio, contattare
l’autore del documento prima di distribuirne un numero considerevole di copie, per metterlo in grado di fornire una versione
aggiornata del documento.
4. Modifiche
Si possono copiare e distribuire versioni modificate del documento rispettando le condizioni delle precedenti sezioni 2 e 3, purché la versione modificata sia realizzata seguendo scrupolosamente questa stessa licenza, con la versione modificata che svolga il
ruolo del “documento”, così da estendere la licenza sulla distribuzione e la modifica a chiunque ne possieda una copia. Inoltre nelle versioni modificate si deve:
* A. Usare nella pagina del titolo (e nelle copertine se ce ne sono)
un titolo diverso da quello del documento, e da quelli di versioni
precedenti (che devono essere elencati nella sezione storia del
documento ove presenti). Si può usare lo stesso titolo di una versione precedente se l’editore di quella versione originale ne ha dato
il permesso.
* B. Elencare nella pagina del titolo, come autori, una o più persone o gruppi responsabili in qualità di autori delle modifiche nella versione modificata, insieme ad almeno cinque fra i principali
autori del documento (tutti gli autori principali se sono meno di
cinque).
* C. Dichiarare nella pagina del titolo il nome dell’editore della
versione modificata in qualità di editore.
* D. Conservare tutte le note sul copyright del documento originale.
196
* E. Aggiungere un’appropriata licenza per le modifiche di seguito alle altre licenze sui copyright.
* F. Includere immediatamente dopo la nota di copyright, un avviso di licenza che dia pubblicamente il permesso di usare la versione modificata nei termini di questa licenza, nella forma mostrata
nell’addendum alla fine di questo testo.
* G. Preservare in questo avviso di licenza l’intera lista di sezioni
non modificabili e testi copertina richieste come previsto dalla
licenza del documento.
* H. Includere una copia non modificata di questa licenza.
* I. Conservare la sezione intitolata “Storia”, e il suo titolo, e
aggiungere a questa un elemento che riporti al minimo il titolo,
l’anno, i nuovi autori, e gli editori della versione modificata come
figurano nella pagina del titolo. Se non ci sono sezioni intitolate
“Storia” nel documento, createne una che riporti il titolo, gli autori, gli editori del documento come figurano nella pagina del titolo, quindi aggiungete un elemento che descriva la versione modificata come detto in precedenza.
* J. Conservare l’indirizzo in rete riportato nel documento, se c’è,
al fine del pubblico accesso ad una copia trasparente, e possibilmente l’indirizzo in rete per le precedenti versioni su cui ci si è
basati. Questi possono essere collocati nella sezione “Storia”. Si
può omettere un indirizzo di rete per un’opera pubblicata almeno quattro anni prima del documento stesso, o se l’originario editore della versione cui ci si riferisce ne dà il permesso.
* K. In ogni sezione di “Ringraziamenti” o “Dediche”, si conservino il titolo, il senso, il tono della sezione stessa.
* L. Si conservino inalterate le sezioni non modificabili del documento, nei propri testi e nei propri titoli. I numeri della sezione
o equivalenti non sono considerati parte del titolo della sezione.
197
* M. Si cancelli ogni sezione intitolata “Riconoscimenti”. Solo
questa sezione può non essere inclusa nella versione modificata.
* N. Non si modifichi il titolo di sezioni esistenti come “miglioria”
o per creare confusione con i titoli di sezioni non modificabili.
Se la versione modificata comprende nuove sezioni di primaria
importanza o appendici che ricadono in “sezioni secondarie”, e
non contengono materiale copiato dal documento, si ha facoltà di
rendere non modificabili quante sezioni si voglia. Per fare ciò si
aggiunga il loro titolo alla lista delle sezioni immutabili nella nota
di copyright della versione modificata. Questi titoli devono essere diversi dai titoli di ogni altra sezione.
Si può aggiungere una sezione intitolata “Riconoscimenti”, a patto che non contenga altro che le approvazioni alla versione modificata prodotte da vari soggetti – per esempio, affermazioni di revisione o che il testo è stato approvato da una organizzazione come
la definizione normativa di uno standard.
Si può aggiungere un brano fino a cinque parole come Testo
Copertina, e un brano fino a 25 parole come Testo di Retro Copertina, alla fine dell’elenco dei Testi Copertina nella versione modificata. Solamente un brano del Testo Copertina e uno del Testo di
Retro Copertina possono essere aggiunti (anche con adattamenti) da ciascuna persona o organizzazione. Se il documento include già un testo copertina per la stessa copertina, precedentemente aggiunto o adattato da voi o dalla stessa organizzazione nel nome
della quale si agisce, non se ne può aggiungere un altro, ma si può
rimpiazzare il vecchio ottenendo l’esplicita autorizzazione dall’editore precedente che aveva aggiunto il testo copertina.
L’autore/i e l’editore/i del “documento” non ottengono da questa
licenza il permesso di usare i propri nomi per pubblicizzare la ver198
sione modificata o rivendicare l’approvazione di ogni versione
modificata.
5. Unione di documenti
Si può unire il documento con altri realizzati sotto questa licenza,
seguendo i termini definiti nella precedente sezione 4 per le versioni modificate, a patto che si includa l’insieme di tutte le Sezioni Invarianti di tutti i documenti originali, senza modifiche, e si
elenchino tutte come Sezioni Invarianti della sintesi di documenti nella licenza della stessa.
Nella sintesi è necessaria una sola copia di questa licenza, e multiple sezioni invarianti possono essere rimpiazzate da una singola
copia se identiche. Se ci sono multiple Sezioni Invarianti con lo
stesso nome ma contenuti differenti, si renda unico il titolo di ciascuna sezione aggiungendovi alla fine e fra parentesi, il nome dell’autore o editore della sezione, se noti, o altrimenti un numero
distintivo. Si facciano gli stessi aggiustamenti ai titoli delle sezioni nell’elenco delle Sezioni Invarianti nella nota di copyright della sintesi.
Nella sintesi si devono unire le varie sezioni intitolate “storia” nei
vari documenti originali di partenza per formare una unica sezione intitolata “storia”; allo stesso modo si unisca ogni sezione intitolata “Ringraziamenti”, e ogni sezione intitolata “Dediche”. Si
devono eliminare tutte le sezioni intitolate “Riconoscimenti”.
6. Raccolte di documenti
Si può produrre una raccolta che consista del documento e di altri
realizzati sotto questa licenza; e rimpiazzare le singole copie di questa licenza nei vari documenti con una sola inclusa nella raccolta,
199
solamente se si seguono le regole fissate da questa licenza per le
copie alla lettera come se si applicassero a ciascun documento.
Si può estrarre un singolo documento da una raccolta e distribuirlo
individualmente sotto questa licenza, solo se si inserisce una copia
di questa licenza nel documento estratto e se si seguono tutte le
altre regole fissate da questa licenza per le copie alla lettera del
documento.
7. Raccogliere insieme a lavori indipendenti
Una raccolta del documento o sue derivazioni con altri documenti
o lavori separati o indipendenti, all’interno di o a formare un archivio o un supporto per la distribuzione, non è una “versione modificata” del documento nella sua interezza, se non ci sono copyright per l’intera raccolta. Ciascuna raccolta si chiama allora “aggregato” e questa licenza non si applica agli altri lavori contenuti in
essa che ne sono parte, per il solo fatto di essere raccolti insieme,
qualora non siano però loro stessi lavori derivati dal documento.
Se le esigenze del Testo Copertina della sezione 3 sono applicabili a queste copie del documento allora, se il documento è inferiore ad un quarto dell’intero aggregato i Testi Copertina del documento possono essere piazzati in copertine che delimitano solo il
documento all’interno dell’aggregato. Altrimenti devono apparire nella copertina dell’intero aggregato.
8. Traduzioni
La traduzione è considerata un tipo di modifica, e di conseguenza si possono distribuire traduzioni del documento seguendo i termini della sezione 4. Rimpiazzare sezioni non modificabili con
traduzioni richiede un particolare permesso da parte dei detento200
ri del diritto d’autore, ma si possono includere traduzioni di una
o più sezioni non modificabili in aggiunta alle versioni originali
di queste sezioni immutabili. Si può fornire una traduzione della
presente licenza a patto che si includa anche l’originale versione
inglese di questa licenza. In caso di discordanza fra la traduzione
e l’originale inglese di questa licenza la versione originale inglese
prevale sempre.
9. Termini
Non si può applicare un’altra licenza al documento, copiarlo,
modificarlo, o distribuirlo al di fuori dei termini espressamente
previsti da questa licenza. Ogni altro tentativo di applicare un’altra licenza al documento, copiarlo, modificarlo, o distribuirlo è
deprecato e pone fine automaticamente ai diritti previsti da questa licenza. Comunque, per quanti abbiano ricevuto copie o abbiano diritti coperti da questa licenza, essi non ne cessano se si rimane perfettamente coerenti con quanto previsto dalla stessa.
10. Revisioni future di questa licenza
La Free Software Foundation può pubblicare nuove, rivedute versioni della Licenza per Documentazione Libera GNU volta per
volta. Qualche nuova versione potrebbe essere simile nello spirito
alla versione attuale ma differire in dettagli per affrontare nuovi
problemi e concetti. Si veda http://www.gnu.org/copyleft.
Ad ogni versione della licenza viene dato un numero che distingue la versione stessa. Se il documento specifica che si riferisce ad
una versione particolare della licenza contraddistinta dal numero
o “ogni versione successiva”, si ha la possibilità di seguire termini
e condizioni sia della versione specificata che di ogni versione successiva pubblicata (non come bozza) dalla Free Software Founda201
tion. Se il documento non specifica un numero di versione particolare di questa licenza, si può scegliere ogni versione pubblicata
(non come bozza) dalla Free Software Foundation.
ADDENDUM: Come usare questa licenza per i vostri documenti
Per applicare questa licenza ad un documento che si è scritto, si
includa una copia della licenza nel documento e si inserisca il
seguente avviso subito dopo la pagina del titolo:
Copyright (c) anno nome.
È garantito il permesso di copiare, distribuire e/o modificare questo
documento seguendo i termini della Licenza per Documentazione
Libera GNU, Versione 1.1 o ogni versione successiva pubblicata dalla Free Software Foundation; con le Sezioni Non Modificabili ELENCARNE I TITOLI, con i Testi Copertina ELENCO, e con i Testi di
Retro Copertina ELENCO. Una copia della licenza è acclusa nella
sezione intitolata “Licenza per Documentazione Libera GNU”.
Se non ci sono Sezioni non Modificabili, si scriva “senza Sezioni
non Modificabili” invece di dire quali sono non modificabili. Se
non c’è Testo Copertina, si scriva “nessun Testo Copertina” invece di “il testo Copertina è ELENCO”; e allo stesso modo si operi per il Testo di Retro Copertina.
Se il vostro documento contiene esempi non banali di programma in codice sorgente si raccomanda di realizzare gli esempi contemporaneamente applicandovi anche una licenza di software
libero di vostra scelta, come ad esempio la Licenza Pubblica Generale GNU, al fine di permetterne l’uso come software libero.
202
Parte Terza
Risorse utili
ASSOLI: Progetti
operativi in Italia
e in Europa
Introduzione
L’Associazione Software Libero (http://www.softwarelibero.it/)
nasce nel novembre 2000 ponendosi come scopi di base la corretta informazione e la diffusione della conoscenza secondo quanto definito nel 1984 da Richard Stallman all’atto della creazione
della Free Software Foundation: libertà di utilizzo del software,
libertà di studio, libertà di modifica, libertà di ridistribuzione. Il
tutto poggia su un presupposto: l’accesso al codice sorgente.
Sono stati sufficienti tre anni di attività perché fosse chiaro come
le principali minacce a questo genere di libertà non derivassero
esclusivamente dalle holding dell’informatica, promulgatrici dagli
Anni Ottanta in avanti di una politica di chiusura delle informazioni. Le minacce, ad oggi, arrivano anche dalle istituzioni che, in
ritardo e a volte con scarsa cognizione di causa, legiferano sotto la
spinta di lobby interessate alla preservazione dei propri privilegi
di mercato. Ed ecco che non si va più solo a ledere la libertà di sviluppo del software, elemento che già di per sé dovrebbe indurre a
una riflessione, ma anche le libertà fondamentali dei cittadini,
identificabili con quella di espressione e parola. Perché provvedimenti come la brevettazione delle invenzioni immateriali (che
coincide con il software) e la direttiva europea sull’armonizzazione del diritto d’autore insinuano proprio questo genere di rischi.
Danneggiando sviluppatori e utenti, tecnici e profani.
204
Ma a volte capita anche che un movimento nato spontaneamente agli albori dell’era digitale e poi ufficializzatosi per difendersi
dalle aggressioni delle regole del business, qual è il software libero, penetri le mura di quelle stesse istituzioni portando, seppur
lentamente e con difficoltà di comprensione, i propri valori al
vaglio di amministrazioni centrali e periferiche. Contribuendo
così non solo alla veicolazione del proprio messaggio intrinseco,
ma anche a una maggiore democratizzazione degli enti pubblici
attraverso l’accesso ai dati e alle informazioni. E, non ultimo, a
volte anche al superamento del gap tecnologico tra il primo mondo, l’Occidente industrializzato e potente, e gli altri mondi, quelli dai capitali limitati e dall’assenza di tecnologia capillare o, quanto meno, diffusa.
Sono questi i motivi per cui di seguito vengono presentati tre progetti dell’Associazione Software Libero, tre cavalli di battaglia
attraverso i quali scardinare, o almeno tentare, la visione imperante dell’informatica legata al pagamento delle licenze, alla mera
esecuzione dei programmi, alla limitazione delle informazioni per
trasformare gli utenti in ‘pigiatori’ di tasti e icone a cui manca però
la conoscenza di fondo, quella che si cela dietro alle interfacce grafiche e che costituisce uno dei presupposti della libertà.
Parte dei testi riportati sono presenti sul sito dell’Associazione,
sono liberamente consultabili e altrettanto liberamente sono veicolabili secondo quanto riportato in calce alle pagine web: “la
copia letterale e la distribuzione del materiale qui raccolto nella
sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che
questa nota sia riprodotta (se non diversamente indicato)”.
EUCD (European Union Copyright Directive)
L’EUCD viene contrassegnata come legge comunitaria 29/2002,
205
e le sue intenzioni sono l’armonizzazione della disciplina relativa
al diritto d’autore. Peccato che tale provvedimento, recepito in Italia a fine marzo 2003 per decreto legislativo ed entrato in vigore
il 29 aprile successivo, non miri tanto a tutelare chi, teoricamente, dovrebbe beneficiare dalla sua introduzione, cioé gli autori. Il
suo obiettivo è invece la preservazione di benefici già esistenti
(quelli imposti di fatto dalle multinazionali dell’informatica e dell’entertainment, tanto per citarne due) e semmai radicalizzarli
attraverso recrudescenze legislative.
L’EUCD è la direttiva della Comunità europea nata per uniformare la legislazione sul diritto d’autore in vigore nei Paesi membri. Si
tratta di un argomento estremamente importante per la società, perché ogni persona ha a che fare con il diritto d’autore ogni volta che
accede ad una qualunque opera, documento o informazione.
Il diritto d’autore è un insieme di leggi che forniscono agli autori alcune prerogative sulle proprie creazioni (come il monopolio sulla riproduzione). L’esistenza di tali leggi è giustificata dal
fatto che esse incoraggiano la produzione di nuove opere, favorendo la diffusione del sapere e il progresso sociale:
(http://www.biblio.liuc.it:8080/biblio/liucpap/pdf/44.pdf ).
L’EUCD introduce nuove norme che ampliano il diritto d’autore,
ma di fatto ne contraddicono le finalità positive. Concede nuovi privilegi legali ai colossi del settore, senza però offrire alcuna nuova
garanzia agli utenti. Questa impostazione sposta il bilanciamento
dei diritti e dei doveri, favorendo i grossi produttori a spese di tutti coloro che, in vario modo, utilizzano le moderne tecnologie. Contiene quindi molte norme pericolose, tutte riconducibili a un problema fondamentale: la tutela legale per le “misure tecnologiche di
protezione”, ovvero per i sistemi che regolano l’accesso e la copia di
206
materiali coperti da diritto d’autore. La “tutela legale” implica che
ogni tentativo di aggirare queste misure diventa reato.
Sancisce quindi un nuovo potere per gli editori: quello di ricorrere a sistemi digitali che stabiliscono in che modo gli utenti possano utilizzare le opere possedute (come e-book, CD contenenti
musica o dati, DVD).
Questo significa che domani assisteremo alla diffusione di e-book
a tempo, che diventano inutilizzabili dopo un certo periodo, e non
possono essere stampati o ceduti a parenti o amici; CD musicali
che non si possono copiare, o memorizzare sul computer o sul lettore MP3 portatile; film in DVD che si possono guardare solo in
certi Paesi e con certi sistemi operativi; programmi che automaticamente cancellano dal proprio PC i file ritenuti “illegali”; computer, periferiche e sistemi operativi che si rifiutano di leggere dati
ritenuti “non autorizzati”. L’elenco potrebbe continuare ed è
potenzialmente molto ampio. Una applicazione estensiva di questi sistemi potrà togliere agli utenti ogni controllo sul funzionamento delle macchine in loro possesso.
Non si tratta di semplici ipotesi: tutto questo avviene già oggi. Ma
l’EUCD richiede che gli Stati europei difendano queste misure
tecnologiche, creando leggi apposite: domani, quindi, ogni tentativo di aggirare le vessazioni di questi sistemi di protezione potrebbe essere punito con il carcere; chi crea programmi che leggono
certi tipi di file potrebbe commettere un reato; anche chi solamente discute su come evitare una limitazione tecnologica potrebbe rischiare la galera. Le persone accusate potrebbero essere punite anche se non avessero mai commesso atti oggi illeciti perché
ritenuti violazioni del diritto d’autore.
Con l’applicazione dell’EUCD, alcuni casi recentemente balzati
all’onore delle cronache avrebbero avuto conseguenze diverse: il
207
creatore del DeCSS sarebbe stato condannato; chi ha scoperto come
superare le limitazioni dei CD anti-copia usando un pennarello
sarebbe un criminale; anche chi utilizza o semplicemente rende note
queste invenzioni correrebbe il rischio di ritorsioni legali.
Negli Stati Uniti questo scenario è già realtà, a causa del Digital
Millennium Copyright Act (DMCA): una legge che ha permesso
a varie aziende di ottenere arresti, intimidazioni e censure che hanno colpito utenti, programmatori, ricercatori. E le norme del
DMCA sono le stesse previste dall’EUCD.
Con le norme introdotte dalla direttiva, diventa illegale l’aggiramento di tutte le “misure tecnologiche” (anche se facilmente superabili) che regolano l’accesso e la copia delle opere digitali, e diventa illegale l’offerta di informazioni e servizi, o la creazione di programmi che possano facilitare tale aggiramento. Gli autori/editori possono proibire agli utenti di cedere o rivendere le opere digitali, come software o e-book, regolarmente acquistate attraverso
Internet, e possono controllarne qualunque diffusione.
Agli utenti non viene riconosciuta alcuna garanzia di poter utilizzare in modo ragionevole le opere in formato digitale. Il riconoscimento legale delle “misure tecnologiche” di protezione sancisce, di fatto, l’introduzione di un nuovo privilegio per i detentori
dei diritti sulle opere: la possibilità di poter influire sull’utilizzo
delle opere stesse. Infatti le “misure tecnologiche” dichiarate intoccabili dall’EUCD potrebbero imporre restrizioni estremamente
severe per gli utenti, ed esse non potrebbero essere aggirate per
alcun motivo. Si pensi ai film in DVD che possono essere guardati solamente in certi Paesi, agli e-book che non possono essere
stampati, o ai cosiddetti “CD anti-copia” che non possono essere
ascoltati su computer: queste vere e proprie truffe ai danni degli
utenti verrebbero protette dalla legge, e rese inaggirabili.
208
A rischio anche la possibilità di scegliere quale software utilizzare
per gestire i propri dati. La creazione di software interoperante
richiede il superamento delle misure tecnologiche che proteggono i formati dati. Questa procedura è indispensabile per creare,
per esempio, programmi che leggano i DVD, o altri documenti
(anche di propria creazione) criptati, protetti da password o
comunque memorizzati con alterazioni (anche molto semplici)
che ne impediscano una lettura diretta. L’aggiramento delle misure tecnologiche, tuttavia, è vietato dall’EUCD – e quindi la direttiva di fatto riserva ad una sola azienda la possibilità di creare applicazioni che gestiscano un formato dati da essa creato. Gli utenti
potrebbero perdere qualunque possibilità di scelta.
Verrebbe altresì negata la possibilità di cedere o rivendere i materiali digitali ottenuti attraverso Internet. Questo rende impossibile la nascita di un mercato degli e-book o del software “usati”, che
porti a una riduzione dei prezzi come avvenuto nel mercato del
libro tradizionale. Inoltre, ogni documento diffuso via Internet
potrebbe essere censurato in qualunque momento dalla sua fonte, l’autore o l’editore, e nessuna delle persone che ne abbia ottenuto legalmente una copia avrebbe il diritto di renderla nota in
alcun modo. Questo pone dei gravi rischi alla futura possibilità di
accesso a materiale di rilevanza storica e documentaristica.
Sarà impossibile sapere se i programmi utilizzati siano sicuri o
meno. Le informazioni sulle falle e difetti (bug) del software
potrebbero agevolare l’aggiramento di “misure tecnologiche”
difettose. Tali informazioni potrebbero essere quindi censurate, e
gli utenti potrebbero essere tenuti all’oscuro dei problemi dei programmi utilizzati – con grande vantaggio di varie aziende produttrici di software proprietario, non più costrette a correggere i
problemi dei propri prodotti.
209
La libertà di espressione su Internet sarà in grave pericolo. Qualunque informazione in grado di agevolare l’elusione di misure tecnologiche potrebbe essere dichiarata illegale, con gravi conseguenze
sulla libertà di espressione e di stampa. Inoltre, le informazioni e i
programmi resi illegali dall’EUCD potrebbero essere rimossi da
Internet in modo estremamente rapido, con atti di censura che non
richiedono l’intervento di un tribunale. Infatti, a causa della già citata direttiva sul commercio elettonico, ogni ISP (Internet Service
Provider) che ospita le pagine Web degli utenti verrebbe di fatto
costretto a soddisfare le richieste di oscuramento (più o meno motivate) provenienti dalle grosse aziende. Agli utenti verrebbero lasciate ben poche garanzie e possibilità di sfuggire alla censura.
Agli sviluppatori viene proibita la creazione di software in grado
di interoperare con altri programmi e sistemi operativi proprietari: per produrre software interoperante, infatti, è necessario studiare il comportamento del software originario, aggirando le misure tecnologiche che rendono difficoltosa la lettura dei formati di
scambio dei dati. Ma l’EUCD rende illegale questa pratica di aggiramento – e quindi un’azienda che subisca la concorrenza di un
nuovo programma in grado di gestire gli stessi dati potrebbe
denunciarne il creatore per il reato di “elusione di misure tecnologiche”. Uno sviluppatore che superi una misura tecnologica per
garantire l’interoperabilità potrebbe essere incarcerato, anche se
egli non avesse mai compiuto alcuna violazione del diritto d’autore. Inoltre, i programmi (liberi e non) ritenuti scomodi da qualche azienda potrebbero essere rimossi da Internet con una semplice telefonata intimidatoria all’ISP che ne ospita il sito, magari
con l’accusa di essere degli strumenti in grado di agevolare l’elusione di misure tecnologiche. Tutto questo porta direttamente al
monopolio legale sui formati dei dati.
210
Da notare, infine, che gli studi su crittografia e sicurezza sono basati essenzialmente sull’analisi della robustezza del software e degli
algoritmi; questa analisi viene effettuata eseguendo dei tentativi di
aggiramento delle misure tecnologiche di protezione. Purtroppo,
tale pratica è vietata dall’EUCD – ed anche la comunicazione dei
dati su questi studi è dichiarata illegale, e censurabile con estrema
facilità. Chiunque aggiri delle misure tecnologiche, o diffonda
informazioni su questo argomento, potrebbe essere arrestato, pur
senza aver mai compiuto violazioni del diritto d’autore.
Tali limitazioni rappresentano un evidente ostacolo alla libertà di
ricerca, e frenano inevitabilmente i progressi nel campo della crittografia e della sicurezza informatica: fino ad oggi, queste attività
sono state svolte alla luce del sole, ed hanno portato enormi benefici per il miglioramento del software disponibile; ma, a causa dei
divieti previsti dall’EUCD, le ricerche su crittografia e sicurezza
diventerebbero sostanzialmente illegali e per questo verrebbero
trattate solo “sotterraneamente”, per scopi tutt’altro che leciti (gli
stessi che l’EUCD cerca di contrastare).
EUCD in Italia
Per l’Italia il pericolo appare assai concreto e vicino: infatti è diventato esecutivo il decreto legislativo per il recepimento dell’EUCD.
Essendo nato da una delega ottenuta dal Governo, il decreto finale
potrebbe essere approvato senza alcuna discussione in Parlamento.
Da quando ha iniziato a circolare, la bozza del decreto ha destato
notevole interesse per un suo aspetto in particolare: gli aumenti di
prezzo previsti per i supporti di memorizzazione come CD-R e
CD-RW, causati da un incremento delle tasse destinate alla SIAE.
La rivista AFDigitale ha addirittura indetto una petizione on-line
per l’annullamento dei rincari (http://www.edisport.it/edi211
sport/afdigitale/petizione.nsf/Editoriale?Openpage). Tuttavia,
per quanto estremamente discutibile, la questione rincari appare
paradossalmente il problema meno grave della bozza di decreto
legislativo. Tale decreto, infatti, comprende sopprattutto le pericolose innovazioni previste dall’EUCD:
– rende estremamente problematica e complessa la tutela dei diritti degli utenti, specie contro gli abusi legati a “misure tecnologiche” troppo restrittive;
– rende pericolosa e potenzialmente illegale la produzione di
software interoperante, specie se libero: i creatori di applicazioni
poco gradite a qualche grosso produttore di software proprietario
rischiano fino a tre anni di carcere;
– rende illegale la ricerca su crittografia e sicurezza informatica: lo
schema di decreto legislativo vieta l’aggiramento di “misure tecnologiche” e la diffusione di informazioni sull’argomento, senza
alcuna tutela per la ricerca scientifica;
– vieta di cedere o rivendere il materiale digitale acquistato via
Internet, con i rischi già illustrati per la futura possibilità di accesso al sapere.
Grazie ad una delega ottenuta dal Governo, tale decreto è giunto
in tempi brevi ad una forma definitiva ed esecutiva, senza dibattito parlamentare. Purtroppo, il clamore attorno ai (discutibilissimi) aumenti di prezzo ha posto in secondo piano altri aspetti decisamente più importanti e preoccupanti dello schema di decreto
legislativo: esso, infatti, rappresenta il recepimento dell’EUCD
nella legislatura italiana, ed introduce tutte le pericolose innovazioni previste dalla direttiva.
Per ulteriori dettagli, incluse le modifiche al decreto proposte da
Assoli, oltre che per seguire i futuri sviluppi della questione:
http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/index.shtml
212
Brevetti sul software
“Proteggiamo l’innovazione in Europa: no ai brevetti software” è
il titolo dell’appello ai parlamentari europei diffuso in appoggio
all’iniziativa intrapresa da FFII (Free Information Infrastructure,
http://ffii.org/), associazione non-profit di Monaco di Baviera che
si dedica alla maggior diffusione possibile dell’informazione sull’elaborazione dei dati. Un’azione, quella partita dalla Germania,
sostenuta in Italia da Assoli, anche se nel caso specifico si appoggia al sito http://swpat.xsec.it/ e all’ufficio dell’europarlamentare
Marco Cappato. Già dall’intestazione dell’appello si evince il bersaglio: la brevettazione delle opere immateriali e, più nello specifico, del software.
Un pericolo che in Europa è alla sua terza apparizione e che va a
insidiare gli articoli 52.2 e 52.3 della Convenzione di Monaco
(Convenzione sulla concessione di brevetti europei, Cbe), approvata il 5 ottobre 1973. Il primo tentativo coincide con i lavori della Conferenza di Parigi (14-25 giugno 1999). Il secondo si ripresenta meno di un anno e mezzo più tardi con la Conferenza di
Monaco (20-29 novembre 2000). Entrambi non hanno sortito
l’effetto desiderato.
In risposta al terzo tentativo, lanciato a settembre, Assoli ha raccolto il testimone europeo diffondendo la “Richiesta di azione”
proposta negli altri paesi e sollecitando piccole e medie imprese e
professionisti attivi nel campo del software libero a firmare l’appello ai parlamentari europei contro i brevetti.
La proposta della Commissione Europea sulla brevettabilità delle
innovazioni nel software richiede che il Parlamento Europeo, i
governi degli stati membri ed altre figure politiche diano una chiara risposta. Le maggiori preoccupazioni riguardano diversi fatti:
– l’Ufficio Europeo per i Brevetti (UEB), in contraddizione con
213
il testo e lo spirito della legge, abbia garantito decine di migliaia
di brevetti sulle idee riguardanti la programmazione e gli affari,
che chiameremo “brevetti sul software”;
– la Comissione Europea (CEC) sta esercitando pressioni affinché questi brevetti siano legalizzati e resi applicabili in tutta Europa. Nel fare ciò, la CEC sta ignorando il chiaro e ben argomentato appello della grande maggioranza di professionisti del software, compagnie, scienziati ed economi;
– la CEC basa la sua proposta su una bozza di documento scritta
apparentemente dalla Business Software Alliance (BSA), una organizzazione statunitense guidata da poche grandi compagnie, come
Microsoft, che ha un considerevole interesse su tale argomento,
dato che attualmente il 60% dei brevetti per il software accordati
dall’UEB sono detenuti da compagnie statunitensi;
– i brevetti sul software interferiscono con il diritto d’autore su
questo e per i creatori di software tendono a portare all’espropriazione piuttosto che alla protezione della loro proprietà. Dei numerosi studi economici esistenti, nessuno conclude che i brevetti sul
software portino ad una maggiore produttività, innovazione, diffusione del sapere o siano, in qualche altro modo, macro-economicamente vantaggiosi. La brevettabilità del software proposta da
CEC/BSA, inoltre, porta a diverse inconsistenze all’interno del
sistema dei brevetti e annulla le centrali assunzioni su cui si basa.
Come risultato, ogni cosa diventa brevettabile e non ci può più
essere alcuna sicurezza legale;
– le istituzioni del sistema europeo dei brevetti non sono in alcun
modo soggette significativamente ad un controllo democratico.
La divisione tra potere legislativo e giudiziario non è sufficiente ed
in particolare l’UEB sembra essere terreno fertile per gli abusi e la
pratica dell’illegalità.
214
Per queste ragioni, gli appelli delle varie Associazioni avanzano le
seguenti richieste:
– sollecitiamo il Parlamento ed il Consiglio Europeo a rifiutare la
proposta direttiva COM(2002)92 2002/0047;
– sollecitiamo il Parlamento Europeo a trovare un modo per obbligare l’UEB a rifondarsi, per come è intesa la brevettabilità, sulle
sue linee guida d’indagine del 1978 o un equivalente, in modo da
reinstaurare la corretta interpretazione della CBE;
– suggeriamo che un tribunale europeo indipendente sia obbligato a riesaminare su richiesta di un qualunque cittadino un qualsiasi brevetto che a prima vista possa sembrare accordato sulla base
di una scorretta interpretazione delle direttive sulla brevettabilità
dell’EPC, e che l’UEB, in tali casi, sia obbligata a rimborsare ai
precedenti detentori del brevetto tutte le tasse da loro pagate;
– sollecitiamo i legislatori, sia a livello europeo che nazionale,
affinché approvino il corrente testo dell’EPC e considerino la sua
riapplicazione in accordo alla proposta (http://swpat.ffii.org/stidi/epc52/index.de.html), ciò fino a quando sarà ritenuto necessario, in modo da evitare interpretazioni scorrette da parte dei tribunali;
– proponiamo che il Parlamento ed il Consiglio Europeo considerino di rendere palesi i limiti della brevettabilità nel caso del
software e delle creazioni dell’ingegno emanando una direttiva
europea secondo le linee delle contro-proposte disponibili su
http://swpat.ffii.org/stidi/javni/index.de.html e
http://swpat.ffii.org/papri/eubsaswpat0202/index.en.html#prop
– chiediamo che ogni proposta di legge (incluse le proposte della
direttiva CEC e le regole create dai precedenti giuridici) riguardante la brevettabilità sia verificata attraverso un sistema di prove
costituito da esempi di applicazione del brevetto, in modo da vede215
re al di là di ogni dubbio se ciò porterà effettivamente i risultati desiderati e non lascerà spazio ad alcuna interpretazione sbagliata;
– proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato Permanente sulla Brevettabilità, con lo scopo di assicurare che i brevetti siano accordati solo nelle condizioni in cui questi vadano nella direzione del pubblico interesse. Questo comitato dovrebbe essere composto da persone del MEP ed indipendenti, esperti in vari
campi dell’ingegno quali matematica, informatica, scienze naturali, ingegneria, economia, epistemiologia, etica e giurisprudenza. Il
numero dei detentori di brevetti, funzionari dell’ambiente o altre
persone le cui entrate e carriere dipendano dalla comunità dei brevetti, deve essere mantenuto esiguo (ad esempio il 10-20%). Il comitato dovrà controllare ogni legge sui brevetti così come le interpretazioni che gli uffici brevetti e i tribunali ne faranno. Inoltre dovrà
istituire incontri, proporre studi specifici sugli effetti del sistema dei
brevetti e stimolare una ricerca correlata nel modo più aperto e
inclusivo possibile. Il comitato dovrebbe segnalare al Parlamento
Europeo in che misura la realtà dei brevetti è conforme alla teoria
ed agli obiettivi di politica pubblica della Comunità Europea e dei
relativi membri. Il lavoro di questo comitato dovrà rivolgersi verso
le preoccupazioni sollevate dal Comitato del Parlamento Europeo
per gli Affari Legali ed il Mercato Interno per il Controllo di Qualità nell’UEB, come espresso nella discussione sulla regolamentazione comunitaria sui brevetti COM(2000)0412;
– proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato d’inchiesta per investigare sulle varie accuse di comportamenti irregolari tenuti da coloro che propongono le direttive sulla brevettabilità
del software e delle opere d’ingegno all’UEB ed al CEC, come la
loro stretta collaborazione con una limitata cerchia di potenze, il
loro ragionare incoerente ed il loro apparente disprezzo dei princi216
pi democratici e legali, e di proporre misure per una riforma in modo
da prevenire il ritorno di questi fenomeni nel futuro;
– riteniamo che, almeno fino a quando i problemi nell’UEB non
saranno risolti, ogni nuova regolamentazione, come Brevetto comunitario, sia implementata attraverso istituzioni differenti dall’UEB.
Per ulteriori dettagli, nonchè per seguire i futuri sviluppi della questione: http://swpat.ffii.org/ e http://swpat.xsec.it/
Pubblica Amministrazione
Il software libero sta diventando un argomento sempre più spesso collegato alla pubblica amministrazione. La conferma più istituzionale a questa affermazione deriva dalle indicazioni contenute nell’“Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione”:
(http://www.innovazione.gov.it/ita/comunicati/open_source/ind
agine_commissione_os.pdf ). Un documento frutto del lavoro
della Commissione ministeriale di indagine sull’open source, presieduta da Angelo Raffaele Meo, docente al Politecnico di Torino,
che dà un rilievo ufficiale all’argomento.
L’argomento, tuttavia, non è nuovo. E se anche l’Aipa (Autorità per
l’informatica nella pubblica amministrazione), nel maggio 2002,
aveva rilasciato uno studio dal titolo “Il software Open Source
(OSS), scenario e prospettive” curato da Francesco Grasso
(http://www.aipa.it/servizi%5B3/notizie%5B2/scenariooss.pdf ),
la comunità del software libero si interroga da tempo sui rapporti e sui vantaggi per la cosa pubblica dalla sua adozione. Da questo presupposto, scaturisce anche il progetto di Assoli “Il Software Libero per la Pubblica Amministrazione” il cui contenuto è illustrato nella sua introduzione.
217
“L’Associazione Software Libero constata con soddisfazione che la
pubblica amministrazione italiana, a vari livelli, sta favorendo l’adozione del software libero tramite appositi provvedimenti volti a
rimuovere ostacoli alla sua diffusione, o lo promuove attivamente
riconoscendone l’importanza strategica. Gli enti pubblici locali e
nazionali che vorrebbero impegnarsi su questa strada, però, rischiano di essere ostacolati dalla carenza di informazione sul tema. Vista
la delicatezza del dibattito che si è ormai esteso al di fuori della comunità, per coinvolgere media ed importanti organi politici, l’Associazione costituisce un gruppo di lavoro, che si propone di raccogliere
sistematicamente le fonti di conoscenza sull’argomento, e di diffonderle comunicando direttamente con stampa e organi politici. Come
primo passo per facilitare il lavoro è stata creata una mailing list di
discussione e coordinamento all’indirizzo: [email protected]”.
Il documento prosegue indicando quelli che, nell’opinione di Assoli, sono i cardini – riportati integralmente – su cui confrontarsi e
discutere. Prima di procedere nella loro presentazione, va ricordato
che l’Associazione, per mantenere aggiornata l’evoluzione della questione, ha avviato anche due sezioni che si occupano di monitorare
rispettivamente il dibattito e quanto viene pubblicato.
Un numero sempre maggiore di amministrazioni locali e nazionali privilegiano, con appositi atti di legge, il software libero nell’utilizzo all’interno delle proprie infrastrutture informatiche.
Ricordiamo in breve i benefici principali attribuiti all’adozione del
software libero da parte degli enti pubblici:
– La promozione dello sviluppo economico locale: il modello di sviluppo e vendita del software libero è, infatti, un modello collaborativo e diffuso, che consente a una pluralità di attori economici di
beneficiarne (sviluppatori, imprese di servizi, utenti). I costi di acquisto del software, infatti, si spostano dalle licenze alla personalizza218
zione, consentendo lo sviluppo di imprese locali di servizi. Questo
può rilanciare un’economia nazionale del software, mentre finora
molti paesi erano costretti ad importare costosi pacchetti dall’estero.
– La trasparenza e la sicurezza: il fatto di poter disporre del codice sorgente dei programmi con cui vengono memorizzati e trattati i dati dei cittadini offre la possibilità di verificare la sicurezza
delle applicazioni software. La disponibilità del sorgente a una
vasta comunità di programmatori interessati a testarlo comporta
notevoli vantaggi nella risoluzione di problemi, senza dover attendere le soluzioni ufficiali emesse dai produttori.
– La condivisibilità del software: il fatto di poter mettere a disposizione di altri enti pubblici il software sviluppato da un ente, nell’ottica di promozione del bene comune che è propria di questo
settore; questa possibilità è garantita dalle licenze software “libere”, in conformità alla legge n. 340 del 24 novembre 2000 (art.
25, comma I) che richiedeva proprio questo in ogni contratto di
acquisto software stipulato da un ente pubblico, legge ampiamente disattesa anche perché poco nota.
– L’ereditarietà del software: il fatto di poter cambiare fornitore
senza dover perdere l’investimento fatto; grazie agli standard aperti utilizzati nel software libero infatti tutti i professionisti IT, utilizzando linguaggi comuni, possono lavorare sulle applicazioni sviluppate in precedenza da altri. Diventa così più semplice mettere
in concorrenza i propri fornitori (non è un caso che il modello di
sviluppo proprietario o chiuso abbia generato un impressionante
monopolista), quando si hanno le specifiche e la documentazione relative al codice software.
Per ulteriori dettagli e aggiornamenti:
http://www.softwarelibero.it/pa/
Associazione Software Libero, luglio 2003
219
Indice
Libertà di software e di pensiero, grazie! . . . . . . . . . . . . . . . .
3
PARTE PRIMA:
Libertà, società e software. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
Possiamo fidarci del nostro computer?. . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Perché il software dovrebbe essere libero . . . . . . . . . . . . . . . . 18
Diritto d’autore e globalizzazione nell’era delle reti informatiche 45
Software libero: libertà e cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Termini da evitare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
PARTE SECONDA:
Le licenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
Licenza Pubblica Generica (GPL) del progetto GNU . . . . . . 160
Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL) del Progetto GNU. 173
Licenza per Documentazione Libera (FDL) del Progetto GNU . 191
PARTE TERZA:
Risorse utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203
ASSOLI: Progetti operativi in Italia e in Europa . . . . . . . . . . 204
eretica
direttore editoriale
Marcello Baraghini
Contro il comune senso del pudore, contro la morale codificata, controcorrente. Questa collana vuole abbattere i muri editoriali che ancora separano e nascondono coloro che non hanno voce. Siano i muri di un carcere o quelli, ancora più invalicabili e resistenti, della vergogna e del conformismo.
Saggi scelti di Richard Stallman
Software libero
Pensiero libero
E
Traduzioni di Bernardo Parrella e Gruppo traduttori italiani
del progetto GNU
Titolo originale: Free Software, Free Society: The Selected Essays
of Richard M. Stallman
Copyright © 2002 Free Software Foundation, Inc.
Free Software Foundation
59 Temple Place, Suite 330,
Boston, MA 02111-1307, USA
Email: [email protected] Web: http://www.gnu.org
Si consente la copia letterale e la distribuzione di uno o di tutti gli
articoli di questo libro, nella loro integrità, a condizione che su ogni
copia sia mantenuta la citazione del copyright e questa nota.
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progetto grafico
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A cura di Bernardo Parrella e Associazione Software Libero
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© 2004 Nuovi Equilibri
su concessione della Free Software Foundation
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A t t e n z i o n e ! I manoscritti inviati all’editore non si restituiscono.
Non vengono forniti pareri e schede di lettura.
Non si considerano testi inviati per e-mail.
finito di stampare nel mese di gennaio 2004
presso la tipografia
Graffiti
via Catania 8 - 00040 Pavona (Roma)
ERETICA
L’ARTE DELLA GIOIA
di G. Sapienza
REBIBBIA RHAPSODY
di Echaurren e Fioravanti
SNATCH COMICS
di JD Jachini
UOMINI SU UOMINI
di M.B. Bianchi
STORIE DI SOGNI
E MALATTIE
di I. Majore
SI VIVE SOLO DUE VOLTE
di C. Castaneda
TAXI BROUSSE
di M. Aime
CUORE DI PULP
di Giovannini & Tentori
PER RAGAZZE DI COLORE...
di N. Shange
IL MANIFESTO DI
UNABOMBER
CHI HA VERAMENTE
COSTRUITO LE PIRAMIDI
E LA SFINGE
di Giacobbo & Luna
ERESIE PSICHEDELICHE
di AA.VV.
TUTTO VERO! MEMBRI DI
PARTITO
di A. Selvaggi
PICCOLI ERGASTOLI
di Echaurren & Fioravanti
RUBA QUESTO LIBRO
di A. Hoffman
LUCI ROSSE
di D. Soffiati
NON PROVATE A DEFINIRCI
di AA.VV.
L’OBBEDIENZA NON È PIÙ
UNA VIRTÙ
di L. Milani
PAPALAGI
di Tuiavii di Tiavea
CASTANEDA E LE
STREGHE DEL NAGUAL
SCIAMANI DELLE DUE
AMERICHE
APOCALISSE GIOIOSA
di T. McKenna
MONDO HACKER 1.0
di A. Forni
HOTEL CALIFORNIA
di A. Azzaroni
KATANGA CHE SORPRESA!
LINGUE
di AA.VV.
BANCA BASSOTTI
di G. Cloza
COSÌ PARLÒ BALAUSTRA
di Vercillo & Zecchino
SOMMI PECCATORI
di A. Cavoli
CREDERE OBBEDIRE
COMBATTERE
di C. Galeotti
CANNABIS, NON SOLO
FUMO
di B. Parrella
LA NOTTE DI STALIN
di P. Pieri
NEOPAGANESIMO
di AA.VV.
CORSARI VERDI
di S. Apuzzo
UN LETTO DI RISO
di AA.VV.
COME UCCISI MIA MADRE
di L. Puliti
EXTRATERRESTRI
di T.C. Lethbridge
I SIGNORI
DELLA TRANSIZIONE
di A. Segre
SESSO ANNUNCIATO
di B.J. Loz
CONTROARREDATURA
di S. Ricciardi
GIORDANO BRUNO
IL PROCESSO
E LA CONDANNA
di A. Castronovo
PIOGGIAFANGOMERDA
SOLEBLUES
di M. Rossi
DEPUTATI A FAR RIDERE
di C.A. Colombo
SOGNI AMERICANI
di Sapphire
IL LIBRO È NUDO
di F. Del Moro
QUESTA È L’AFRICA
di G.A. Rolla
BAMBINI ASSASSINI
a cura di Giovannini e Tentori
PINO ZAC
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QUATTRO SBERLE
IN PADELLA
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LA VENDETTA
DEL RISPARMIATORE
di G. Cloza
DONNE COL PISELLO
di K. Valli Bentivoglio
L’ANTICRISTO
di F. Nietzsche
WACO – UNA STRAGE
DI STATO AMERICANA
di C. Stagnaro
PERCHÉ GLI INGLESI
NON USANO IL BIDET?
di P. Guagliumi
ERESIA PURA
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IN AMORE VINCE IL CANE
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SIGNORA EROINA
di A. Bongusto
IO, ULTRAS
di A. Arena
CORPI ESTRANEI
di P. Echaurren
LA NOTTE DEGLI
STRAMURTI VIVENTI
di E. Verrengia
EDITORI A PERDERE
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ASSASSINATI
di S. Carnazzi
BLOC BOOK
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ROMA DIVINA
di P. Ravasenga
CAMERATA TOPOLINO
di A. Barbera
IL PAROLIFERO
di I. Capizzi
MANUALE PRATICO
DELLA DONNA PADANA
di N. Bresciani
FIDO NON SI FIDA
di S. Apuzzo e E. Meyer
PALESTINESI
di J. Genet
ROGHI FATUI
di A. Petta
VADO, L’AFFONDO E
TORNO
di M. La Ferla
SESSO DENARO POTERE
di Osho
OMOCIDI
di A. Pini
IL SENSO DELLA VITA È
NON ROMPERE I COGLIONI
PARTO DI TESTA
di A. Barocci
di G. Nardella
PELLE DI TERRA
di V. Bottaro
MANUALE PER
DIFENDERSI DAI
GIORNALISTI
di C. Draghi
FUMA PURE
SCIENZA SENZA SENSO
LE PAROLE DELLA TERRA
di L. Veronelli - P. Euchaurren
I FIGLI DI BABELE
di V. Ruotolo
L’ULTIMO COLPO DI
HORST FANTAZZINI
di P. Diamante
di S. Milloy
CEFALONIA
DOPPIA STRAGE
di L. Caroppo
MACHI
DI CARTA
di A. Torreguitart Ruiz
ERBA MEDICA
SELVATICO E COLTIVATO
Rete Bioregionale Italiana
LA MARIJUANA FA BENE
FINI FA MALE
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PORNO ITALIA
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Associazione Canapa Terapeutica
ECCHIME
di V. Cavallo
VITE MINIME
di D. Boccardi
IO SONO GESÙ CRISTO
di A. Artaud
DA FIUME A ROMA
ADDIO, MAREMMA BELLA
di A. Cavoli
RACCONTI CONTRO TUTTI
di M. Twain
SOFTWARE LIBERO
PENSIERO LIBERO - Vol. 2
di R. Stullman
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