Un servizio umano, pedagogico e spirituale

Transcript

Un servizio umano, pedagogico e spirituale
MARZO 2013
NO 55
JESUIT REFUGEE SERVICE
Un servizio umano,
pedagogico e spirituale
SUDAFRICA
p.4
LIBANo
p.7
INDIA
p.10
COLOMBIA
p.18
CIAD
p.19
Jesuit Refugee Service
MARZO 2013
Foto di copertina
Un programma di istruzione del JRS a
Guéréda, in Ciad (Peter Balleis SJ/JRS)
Servir è disponibile in italiano,
francese, inglese e spagnolo. È
pubblicato due volte l’anno dal
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
(JRS).
DIREZIONE
Peter Balleis SJ
NUMERO 55
In questo numero:
Editoriale
Fede, speranza e capacità di riemergere dalla sofferenza
3
Sudafrica
Angeli al lavoro4
Il tuo sostegno per i più vulnerabili
6
Libano/Siria
Mantenere vivo uno spirito speciale 7
REDAZIONE
Danielle Vella
India
“Pensavo che qui sarei stata più al sicuro”
PRODUZIONE
Malcolm Bonello
Nord Africa/Europa
Il divario fra le parole dell’UE e le sue azioni
10
13
FEDE E PROTEZIONE
Internazionale
La centralità della fede16
Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
è un’organizzazione cattolica
internazionale creata nel 1980 da
Pedro Arrupe SJ. La sua missione è
accompagnare, servire e difendere la
causa dei rifugiati e degli sfollati.
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma,
Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
Colombia
Liberi dalla paura 18
Riflessione | Ciad
L’incontro di due mondi
19
Mostra fotografica (ultima di copertina)
La mia vita da rifugiato 20
[email protected]
www.jrs.net
Abbreviazioni
Le seguenti abbreviazioni sono usate in questo numero
2
ACNUR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
ONG Organizzazione non governativa
UE Unione europea
editoriale
Ciad
Fede, speranza e capacità di riemergere dalla sofferenza
A un primo sguardo, questo
numero di Servir è triste.
La guerra in Siria sta
diventando più violenta che mai
e il numero di morti, sfollati e
rifugiati è in crescita costante.
La popolazione siriana si sente
in qualche modo dimenticata dal
resto del mondo.
I rifugiati urbani malati o
anziani nascosti nei quartieri
poveri di Johannesburg sono
anch’essi dimenticati. A Delhi,
le rifugiate chin che lottano in
solitudine per sopravvivere sono
altamente esposte al rischio di
violenze sessuali. Sembra non
esserci fine alla sofferenza.
Eppure, andando a leggere in
profondità le storie dei rifugiati,
si trovano grande speranza e
capacità di riemergere dalla
sofferenza. Per me, accompagnare
Mama Marceline e Mama Jeanine
per le strade di Johannesburg
è stato come camminare con
due angeli. Altri possono non
riconoscere Marceline e Jeanine
come tali, ma il rifugiato malato
che riceve la loro visita sa molto
bene che sono messaggere
di amore e portano parole di
speranza e incoraggiamento. Lo
stesso si può dire dei membri
delle équipe in Siria, che rischiano
la propria vita per aiutare gli
altri, per portare vestiti invernali,
coperte e cibo a chi ne ha
bisogno e per offrire un sostegno
scolastico.
Come riescono donne che
hanno sofferto così tanto a
continuare ad aiutare chi soffre?
Le stesse Marceline e Jeanine
sono rifugiate che hanno perso
la loro casa e delle persone care.
Cosa spinge le donne in Colombia,
che hanno visto e vissuto così
tanta violenza, a lavorare per la
riconciliazione? Cosa fa sì che le
équipe del JRS in Siria, composte
sia da musulmani sunniti e
alauiti sia da cristiani, lavorino
insieme al servizio dei loro
compatrioti? La fonte profonda
di questa capacità di resistere alla
disperazione è la Fede, la fede
nella vita, negli altri... per molti
è la fede nel Creatore della vita,
che ha fatto tutti gli esseri umani
con la stessa dignità e la stessa
capacità di servire e amare gli
altri.
Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS
3
accompagnare
Sudafrica
Angeli al lavoro
Peter Balleis SJ,
direttore internazionale del JRS
(Peter Balleis SJ/JRS)
4
La differenza è troppo evidente
per essere ignorata. Sono arrivato
a Johannesburg subito dopo
aver visitato Georgetown, una
prestigiosa università gesuita negli
Stati Uniti dove ho tenuto una
conferenza su un programma di
istruzione universitaria, frutto
della collaborazione tra il JRS e
le università americane. È una
bella iniziativa rivolta a giovani
rifugiati determinati e di talento,
che promette risultati concreti e
positivi.
Oggi, in un altro mondo,
sto accompagnando Jeanine
e Marceline, due infermiere
congolesi, nel loro giro quotidiano
di visite ai rifugiati vulnerabili.
Queste due donne, a loro volta
rifugiate, costituiscono l’équipe
di assistenza a domicilio del JRS a
Johannesburg.
La nostra prima tappa è in un
quartiere povero dove incontriamo
un uomo nigeriano, “perso” per
anni a Johannesburg. Il diabete
l’ha reso quasi cieco ed è in attesa
di un’operazione agli occhi. Il suo
sguardo ingrigito accoglie Jeanine
e Marceline, che parlano con lui,
si assicurano che stia prendendo
le medicine e lasciano i soldi per il
cibo e l’affitto.
La tappa seguente è una vecchia
casa coloniale in rovina affittata
da diverse famiglie congolesi. Le
stanze buie e sovraffollate rivelano
grande povertà ma anche grande
dignità. Sono pulite e i pochi
beni delle famiglie sono impilati
con cura. I rifugiati scelgono di
vivere insieme perché essere tanti
è più sicuro, poichè la xenofobia
è un problema molto diffuso in
Sudafrica.
Qui ci sono persone con bisogni
enormi, con un vissuto di indicibili
sofferenze, violenze e perdite. Le
vedove lottano per sopravvivere,
da sole, con tutti i rischi che questo
implica. Ci sono persone che a causa
della malattia o di una disabilità
non possono neanche lasciare la
casa.
In un’altra abitazione vive
un’anziana madre che mendica sulle
strade per poter pagare l’affitto.
Vive con suo figlio, che è in terapia
per un tumore. Si sono dovuti
spostare molte volte perché non
riuscivano a pagare l’affitto, avendo
già difficoltà a trovare denaro per il
cibo. Cerco nella tasca la banconota
da cento dollari che so di avere e la
porgo alla donna.
Sudafrica
accompagnare
Jeanine, a sinistra, e Marceline. (Peter Balleis SJ/JRS)
La “famiglia accecata” vive in
un’altra zona: madre, padre e due
bambini sono stati letteralmente
accecati dalle sostanze chimiche
durante un attacco alla loro casa
a Kinshasa. Vivono nella loro
stanza, a letto, per tutto il tempo.
Il bambino riesce a vedere qualcosa
– uno dei suoi occhi è stato curato
– e prepara un po’ da mangiare.
Marceline e Jeanine li visitano
regolarmente per assisterli, pulire
la stanza e dar loro i soldi per il cibo
e l’affitto. Esse sono tutto ciò che la
famiglia ha.
Le due infermiere, oltre a essere
compassionevoli, sono anche molto
professionali. Scrivono un breve
rapporto su ogni visita a domicilio,
che viene firmato dal beneficiario, e
ogni cosa è documentata.
Il loro lavoro dura tutta la
settimana – tre giorni di visite
a domicilio e due in ufficio – e
consiste anche nel facilitare
l’accesso dei rifugiati ai servizi
sociali e sanitari.
Jeanine e Marceline mi dicono
che lasciano il proprio numero di
cellulare ai rifugiati, che le possono
chiamare in qualsiasi momento,
giorno e notte. Se ricevono una
chiamata d’emergenza nella notte,
non escono da sole per ragioni di
sicurezza ma per prima cosa al
mattino vanno a rispondere ai
bisogni più urgenti. “Non andiamo
in vacanza, siamo sempre qui”,
affermano.
Nonostante il magnifico lavoro
che svolgono e gli enormi bisogni
a cui rispondono, il loro budget è
limitato, al punto che alle volte non
hanno abbastanza soldi per aiutare
gli assistiti. Perfino il rimborso dei
costi di trasporto è un problema.
In effetti, è molto difficile trovare
fondi per progetti di questo genere:
un lavoro invisibile con persone
invisibili. Alcuni dei rifugiati
moriranno, e Marceline e Jeanine li
accompagneranno fino alla fine.
Ma non c’è solo oscurità, la
dedizione di questi due angeli porta
frutti visibili. Un rifugiato visita
sorridente l’ufficio del JRS; tutti
sono davvero fieri di lui perché
può tornare a camminare: quando
le infermiere l’hanno incontrato
era vicino alla morte perché
aveva l’HIV e non riceveva alcun
trattamento.
Chiedo a Marceline e Jeanine
cosa le sostiene, da dove riescono
a trarre la loro motivazione, la loro
compassione e la loro pazienza.
Sanno cosa significa, è la risposta.
In quanto rifugiate, hanno a
loro volta una tragica storia da
raccontare. “Sono la nostra gente”.
Alla fine della giornata sono
colmo di ammirazione, per questo
definisco Marceline e Jeanine
angeli. Il poco tempo passato con
loro è indimenticabile, sia per i
drammatici bisogni dei rifugiati,
sia per la loro determinazione a fare
tutto il possibile per aiutarli. Il vero
spirito del JRS è, è sempre stato
e deve rimanere questo: aiutare i
rifugiati dimenticati, quelli assistiti
da nessuno, servirli e difendere i
loro diritti al meglio delle nostre
capacità.
5
accompagnare
Sudafrica
Il tuo sostegno per i più vulnerabili
Cari amici,
L’anno scorso Jeanine e Marceline hanno aiutato circa 30 rifugiati, giovani e anziani, che erano seriamente ammalati e
privi di assistenza. Almeno altri 60 sono sulla lista d’attesa del loro servizio di assistenza a domicilio. Ricevendo più fondi,
Jeanine e Marceline potrebbero aiutare molti più pazienti che altrimenti finirebbero affamati, sfrattati o, senza cure
continuative, peggiorerebbero fino a morire.
Quest’anno, puoi contribuire a far sì che 100 rifugiati ammalati a Johannesburg non debbano preoccuparsi per l’alloggio,
abbiano cibo sufficiente e ricevano assistenza medica. Inoltre, è stato chiesto al JRS di gestire un progetto simile a
Pretoria e i fondi necessari saranno ancora maggiori. Ecco come puoi aiutare:
CIBO
ALLOGGIO
50 ¤ FORNISCONO CIBO PER UN PAZIENTE PER
UN MESE.
125 ¤ GARANTISCONO ALLOGGIO PER UN ANNO A
UNA MADRE SINGLE CON DUE FIGLI.
ASSISTENZA MEDICA
TRASPORTI
70 ¤ COPRONO I COSTI OSPEDALIERI DI “ACCESSO AL
TRATTAMENTO” DUE VOLTE AL MESE PER UN ANNO
PER UN PAZIENTE;
120 ¤ COPRONO I COSTI DI UNA TERAPIA CONTRO
IL TUMORE IN UN OSPEDALE PUBBLICO PER UNA
PERSONA PER SEI MESI.
70 ¤ COPRONO I COSTI DEI TRASPORTI PUBBLICI PER
UN PAZIENTE PER RECARSI IN OSPEDALE DUE VOLTE
AL MESE PER UN ANNO. PER I PAZIENTI TROPPO
AMMALATI PER USARE IL TRASPORTO PUBBLICO, SONO
NECESSARI 150 ¤ PER PORTARLI ALL’OSPEDALE DUE
VOLTE AL MESE PER SEI MESI.
Visita jrs.net per gli ultimi rapporti e jrs.net/donate per fare una donazione
online. In alcuni paesi si può usufruire delle detrazioni fiscali donando attraverso
le nostre organizzazioni partner. Ulteriori informazioni sul nostro sito.
INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS
Allego una donazione di:
Il mio assegno è allegato
Cognome:
Nome:
Indirizzo:
Città: Codice postale:
Fax:
Email:
Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS
6
PER BONIFICI BANCARI
Banca:
Banca Popolare di Sondrio,
Circonvallazione Cornelia 295,
00167 Roma, Italia
Ag. 12
Nome del conto:
JRS
Numero del conto per euro:
Paese:
Telefono:
Grazie
IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05
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IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410
Codice SWIFT/BIC: POSOIT22
Libano/Siria
servire
Nuova Aleppo, un quartiere all’estremità occidentale della città di Aleppo
dove vivono molti sfollati interni. (JRS Siria)
Mantenere vivo uno spirito speciale
Zerene Haddad, responsabile per la comunicazione del JRS Medio Oriente
La strada verso il villaggio libanese
di Kafar Zabad è stretta e costellata
di buche e profonde pozzanghere.
Kafar Zabad, un tempo un
tranquillo villaggio nella valle
della Bekaa, vicino al confine con
la Siria, sta ospitando 150 famiglie
siriane fuggite dalle violenze del
loro paese.
All’ultimo distributore di
benzina prima del villaggio, un
ragazzo ci ferma per chiedere un
passaggio. Si chiama Abdulhakim,
è siriano e ci parla liberamente.
Abdulhakim dice di avere 15
anni – sembra molto più giovane –
e di vivere a Kafar Zabad nella casa
di sua cugina. “I miei genitori sono
ancora in Siria, nella nostra fattoria
vicino a Damasco. Un giorno ero
fuori casa e una granata è caduta a
meno di 50 metri da me. Non sono
rimasto ferito solo perché le cose
sono volate al di sopra della mia
testa. In quel momento ho deciso
che non potevo più vivere in quel
modo, così sono partito con mio
fratello maggiore e siamo arrivati
in Libano.”
Con il prolungarsi del conflitto
siriano, la valle della Bekaa sta
accogliendo decine di migliaia
di rifugiati. Le stime dicono che
entro maggio 2013 circa 500mila
rifugiati siriani avranno raggiunto
il Libano, una cifra prossima al
12,5% della popolazione libanese.
Benché molte ONG in Libano
si occupino di rifugiati siriani,
diversa è la situazione nelle aree
ritenute non sicure, come Kafar
Zabad. Verso la fine dell’anno
Info point
La guerra in Siria, ormai al suo terzo
anno, ha provocato almeno 70mila
morti. Migliaia di rifugiati fuggono
ogni giorno verso il Libano, la
Turchia, l’Iraq e la Giordania. Cibo e
riparo restano le priorità maggiori
in Siria, dove quattro milioni di
persone, tra cui 2,5 milioni di sfollati,
hanno urgente bisogno di aiuto.
Attivo a Damasco, Aleppo e Homs,
il JRS raggiunge un numero sempre
crescente di famiglie, 7.400 nel solo
mese di gennaio. Le équipe svolgono
visite a domicilio, distribuiscono
generi di prima necessità e offrono
istruzione e sostegno psicosociale.
La mensa mobile ad Aleppo prepara
quotidianamente 15mila pasti per
i centri di assistenza della città,
mentre a Damasco si preparano
400 pasti ogni giorno a una scuola
rifugio.
7
servire
Libano/Siria
Abed Moubayed ha lavorato in passato col JRS in Siria e fa ora parte dell’équipe in Libano.
“Mi ritrovo molto nello spirito di accompagnamento del JRS. A volte è più importante passare
semplicemente del tempo con una famiglia piuttosto che fornire beni materiali.” (JRS Libano)
scorso, il JRS ha effettuato una
valutazione dei bisogni in diverse
zone di Beirut e della valle della
Bekaa, scegliendo di concentrare
i propri sforzi nelle aree dove i
siriani erano del tutto privi di
assistenza.
Nel novembre 2012, quando il
JRS ha condotto una valutazione
a Kafar Zabad, nel villaggio
c’erano circa 30 famiglie siriane;
a febbraio erano diventate 150.
Il JRS ha cominciato a operare a
Kafar Zabad, a Beirut e nella zona
turistica di Jbeil - la famosa città
antica di Biblo - dove sono state
identificate circa 200 famiglie
siriane bisognose di sostegno.
Un’équipe del JRS, formata in
gran parte da siriani rifugiati in
Libano, distribuisce generi di prima
necessità e svolge visite a domicilio.
Sally , la coordinatrice del JRS a
Kafar Zabad, si occupa delle nuove
famiglie che arrivano, ne identifica
i bisogni e distribuisce loro gli aiuti,
come materassi, coperte, prodotti
per l’igiene e cibo.
Sally aveva progetti diversi.
8
Quando fuggì da Damasco verso
il Libano, con sua madre e i suoi
fratelli, trovò il lavoro dei suoi
sogni in una compagnia aerea
regionale. Poi ricevette una
telefonata: le era stato negato il
permesso di lavoro e la compagnia
aerea non poteva assumerla, una
storia comune a molti siriani in
cerca di lavoro in altre nazioni
arabe.
“Contavo molto su quel lavoro;
poi ho incontrato un dottore
siriano, mi ha parlato delle famiglie
che vivevano qui in condizioni
disperate”, racconta Sally. “Ho
scritto su Facebook un commento
in un gruppo per siriani in Libano,
una cosa tira l’altra e così sono
entrata in contatto con il JRS.”
Il nostro giovane amico,
Abdulhakim, è riuscito a trovare
lavoro in un negozio di computer,
dove guadagna 80mila lire libanesi
(quasi 40 euro) alla settimana.
“Certo che voglio andare a
scuola”, dice, “ma non ci sono
posti disponibili. Ho sentito che
qualcuno aprirà una scuola per i
Il deposito del JRS nella valle della Bekaa,
in Libano. (JRS Libano)
rifugiati siriani a Kafar Zabad e mi
piacerebbe andarci.”
La lingua impedisce alla
maggior parte dei bambini siriani
di frequentare la scuola libanese.
L’istruzione in Libano è in francese
o in inglese, mentre in Siria è in
arabo. Il JRS sta cominciando
a Kafar Zabad un programma
semestrale di apprendimento
accelerato per 130 bambini
siriani. Gli insegnanti siriani e
libanesi mirano a portare i loro
allievi a un livello sufficiente di
inglese, francese e matematica
così che possano frequentare le
scuole libanesi nel prossimo anno
scolastico. Se avrà successo, il
programma sarà riproposto in altre
aree.
L’équipe libanese, come quella
in Siria, è composta da persone
di fedi diverse che vogliono
servire i bisognosi e sono attratte
dall’etica del JRS. Abed Moubayed,
assistente del direttore del
progetto, è arrivato in Libano
da Aleppo, dove aveva aiutato a
coordinare le operazioni di prima
Libano/Siria
servire
Vorrei chiedervi, e sono
sicura che già lo facciate
senza che vi si chieda: potete
pregare per noi?
La Siria è stanca.
Noi siamo stanchi.
Non riesco a capire perché
ci stiamo uccidendo tra noi,
e per di più in nome di Dio.
Quale Dio ama il gusto del
sangue?
Quante lezioni dobbiamo
ricevere prima di capire? Non
possiamo semplicemente
imparare dagli errori delle
altre nazioni? Perché siamo
così ciechi?
Mantengo la speranza, la
speranza dell’amore, anche
se è piuttosto piccola, ma la
conservo ancora e non sono
riusciti a portarmela via.
Possono uccidere i nostri
corpi ma non le nostre
anime, le nostre menti,
i nostri sogni e la nostra
speranza.
LOLA
JRS SIRIA
Un uomo riceve generi di prima necessità in un punto di distribuzione del JRS a Nuova Aleppo. (JRS Siria)
assistenza del JRS nel 2012.
“Continuo a lavorare con il JRS in
Libano perché per me è come una
grande famiglia e perché aiutiamo
tutti senza discriminazioni”, dice
Abed.
Quando è stato costretto a
lasciare il suo paese, Abed ha
portato con sé non solo la sua
preziosa esperienza ma anche
lo spirito unico dell’équipe del
JRS in Siria. E non è il solo: “È
incredibile che più della metà dei
responsabili della nostra équipe in
Libano sia collegata al centro Deir
Vartan di Aleppo [il centro del JRS,
ora distrutto]. Tutti noi abbiamo
lavorato, fatto volontariato o
seguito corsi nel centro. Lo spirito
speciale di Deir Vartan è rimasto
con noi e ci ha riuniti qui in
Libano.”
Cari amici e care famiglie di tutto il mondo
Volontarie aiutano a distribuire coperte,
materassi e altri aiuti a Nuova Aleppo. (JRS Siria)
La perdita di vite di cui sono stato
testimone fra gli studenti - il
futuro della nostra nazione - che
cercavano di studiare nonostante
ospitassero gli sfollati rifugiati
nei dormitori universitari, tutti in
lotta per qualcosa da mangiare o
una coperta per riscaldarsi, mi ha
lasciato senza parole. Non riesco a
credere che simili atrocità possano
ancora accadere. Siamo fortunati a
vivere in un mondo in cui possiamo
documentare le nostre vite con
terribile precisione, tanto che la
maggior parte dei forum sui media
non sa più cosa fare per noi. Noi,
studenti dell’università di Aleppo,
abitanti di Aleppo e cittadini della
Siria, supplichiamo il mondo intero di
condannare senza riserva gli atroci
atti di barbarismo perpetrati quasi
quotidianamente contro i cittadini
della Siria. Possa la vostra condanna
andare al di là delle sole parole.
Tariq Hulou, del JRS Siria, in seguito
alle due esplosioni all’università
di Aleppo che hanno provocato
almeno 87 vittime il 15 gennaio
2013.
9
servire
India
“Pensavo che qui sarei stata più al sicuro”
Molly Mullen, consulente per la comunicazione, JRS Internazionale
La maggior parte delle donne non
vuole parlarne. Dopo tutto, non
c’è niente da dire. “Sì, gli uomini ci
toccano”. “Gli uomini ci afferrano
quando andiamo al mercato”. “Gli
uomini ci dicono che dobbiamo
loro i nostri corpi perché siamo
venute nel loro paese”.
Per le donne sole della
comunità chin di Nuova Delhi,
le molestie fanno parte della
loro vita quotidiana in India.
Senza conoscere la lingua, prive
di risorse, di informazioni sui
propri diritti e di stato legale, le
donne hanno poche possibilità di
denunciare questi casi.
La città accoglie 20mila
rifugiati, di cui 12mila
provenienti dallo Stato Chin, la
regione più povera della Birmania,
appena oltre il confine con l’India.
I chin, in gran parte cristiani,
sono una delle minoranze etniche
della Birmania e sono da tempo
oggetto di persecuzione da parte
dei militari birmani. I richiedenti
asilo chin parlano di lavori e
reclutamenti forzati, di stupri,
arresti arbitrari, torture, omicidi e
altri abusi.
Il JRS ha cominciato a operare
nella comunità chin nel 2011,
fornendo corsi di taglio e cucito
alle donne, molte delle quali sono
sole. Alcune di esse guadagnano
2.800 rupie (circa 40 euro) al mese
nelle fabbriche di abbigliamento,
e il JRS spera che possano
guadagnarsi da vivere facendo lo
stesso lavoro da casa, con delle
nuove macchine da cucire.
Non si tratta solo di avere un
reddito, è anche di una questione
di sicurezza. La gran parte delle
donne di questa comunità non
ha abbastanza soldi per andare al
mercato e va in cerca di cibo dopo
mezzanotte, quando i mercati
sono chiusi e gli scarti delle
verdure sono stati gettati a terra.
Alcune vanno in gruppo, per
proteggersi, ma non sempre basta.
“Delhi non è sicura per le
donne. I giovani locali ci toccano
e ci molestano in vari modi, la
gente ci deruba. Sono obbligata ad
andare al mercato dopo le 11 di
sera per cercare cibo tra gli scarti,
ma so che corro il rischio di essere
molestata”, racconta Elizabeth*,
una madre sola che adesso
guadagna soldi cucendo abiti per
bambini con una macchina da
cucire affittata da una ONG.
Le molestie e le aggressioni
sessuali sono terribilmente diffuse
in India. Le proteste di massa
provocate dallo stupro di gruppo
Il primo corso di cucito del JRS di Delhi rivolto alle rifugiate chin nelle periferie della città. Diciannove donne si sono diplomate dopo sette mesi e hanno
ricevuto una macchina da cucire e tessuti per cominciare a lavorare da casa. (Molly Mullen/JRS)
10
India
servire
Info point
Dopo lo spostamento del suo
ufficio a Delhi nel 2011, il JRS Asia
meridionale ha iniziato a cercare
modi per aiutare i rifugiati chin
nella città. Il JRS ha incontrato i
leader e le organizzazioni della
comunità chin e l’ACNUR per
identificare i quartieri che non
ricevevano aiuti. In attesa dei
risultati di una ricerca effettuata
tra 800 chin, il JRS ha iniziato dei
corsi di taglio e cucito e fornisce
due corsi di inglese per adulti
ai membri della comunità. Alle
famiglie in difficoltà e alle donne
sole vengono forniti aiuti finanziari
e assistenza medica.
(Molly Mullen/JRS)
e dall’omicidio di una ragazza
di 23 anni di Delhi a dicembre
hanno portato l’attenzione sulla
mancanza di protezione da parte
della polizia e sulla sua apatia e
insensibilità verso questo genere
di crimini.
Grazie alla protesta
dell’opinione pubblica, è stata
promulgata una legge che
ripristina la corte speciale per
i casi di presunto stupro e che
rende più severe le pene; ma le
donne che denunciano le violenze
sessuali rimangono poche e molti
dei colpevoli non saranno mai
incriminati. Tuttavia, il numero di
denunce per stupro è cresciuto da
2.487 nel 1971 a 24.206 nel 2011.
Nel 2012, nella sola Delhi, ci sono
state 600 denunce. Non ci sono
statistiche riguardo alle violenze
sessuali ai danni di donne
rifugiate in India.
“Questo è un problema che
tocca ogni donna a Delhi”, afferma
Rini, una volontaria di Burmese
Women’s Development (BWD),
un’organizzazione gestita a livello
comunitario dalle rifugiate.
“Le donne indiane vengono
molestate di continuo. Io
sono indiana e posso almeno
rispondere al molestatore o
andare alla polizia, ma le donne
rifugiate non possono parlare
con gli agenti. Se lo fanno, la non
vengono ascoltate e finiscono per
sentirsi ancora più emarginate.”
In un’indagine del 2012 su
30 ufficiali di polizia, il primo
punto di contatto per una vittima
di abusi sessuali, 17 hanno
dato la colpa alla ragazza. “Le
ragazze del Darjeeling e del Nepal
sono arrivate qui per vendersi.
Vanno con gli uomini per soldi,
poi quando i soldi non sono
abbastanza, diventa uno stupro”,
ha affermato Try Rajpal Yadav, un
ufficiale superiore, ripreso dalla
11
servire
India
telecamera nascosta.
Non c’è da stupirsi che le
operatrici di BWD, con cui il JRS
ha collaborato per avviare i corsi
di taglio e cucito, affermino di
avere più notizie loro sui casi di
abusi sessuali, parlando con le
persone nei quartieri periferici di
Delhi, che non la polizia.
Secondo Sawmte, responsabile
finanziaria di BWD, il numero
di volte che una donna sola
può chiedere a un amico di
accompagnarla al mercato
è limitato; secondo Chheri,
coordinatrice dell’assistenza per
i casi di violenza contro le donne,
è meglio se gli uomini non vanno.
“Se un uomo prova a difenderci,
attira solo più uomini locali che
causano ancor maggiore violenza”,
afferma.
Margaret* è fuggita dallo
Stato Chin quando aveva 17
anni, passando il confine
verso il Mizoram. Si è recata a
Nuova Delhi perché è la sola
città indiana dove i richiedenti
asilo che non vivono nei campi
possono registrarsi con l’ACNUR
e ricevere qualche forma di
protezione legale. Adesso ha
21 anni e afferma che Delhi è
troppo pericolosa, vuole tornare
nel Mizoram con i suoi amici e
lavorare in una fattoria finché
non sarà sicuro fare ritorno in
Birmania. Guadagneranno molti
meno soldi ma almeno, affermano,
vivranno in una comunità più
sicura in cui conosceranno i loro
vicini.
“Prima pensavo davvero che
sarei stata più al sicuro qui che in
Birmania, ma adesso non lo so”,
ha affermato Margaret.
Scarti di verdura lungo le strade di un quartiere
di Nuova Delhi. Il JRS fornisce corsi di taglio e
cucito alle donne chin di questo quartiere in modo
che non debbano cercare cibo durante la notte.
(Molly Mullen/JRS) * I nomi sono stati modificati.
Testimonianza
Sono arrivata dalla Birmania quando
avevo 17 anni, attraverso il Mizoran e
poi a Delhi. Mi sono subito registrata
con l’ACNUR. Sono sola, tutta la mia
famiglia è rimasta in Birmania. Abito
con alcuni amici, ma ci sono molte
persone nella casa. Le persone con
cui sto sono come parenti, ma con
molte altre persone nella casa ci sono
problemi.
A volte in questo quartiere
la gente mi infastidisce, mi grida
contro chiamandomi “nepalese,
nepalese”. Non usiamo vestiti indiani
e riconoscono che siamo stranieri.
Una sera ero andata al mercato e
tre uomini si sono avvicinati a me e
hanno cominciato a urlare “nepalese”
strattonandomi. Ho iniziato a gridare
finché una donna indiana è uscita in
strada e si sono fermati; allora si sono
12
allontanati un po’, continuando a
guardarmi.
Come donna sola, la vita è
difficile. Lavoro nel quartiere,
tagliando abiti per un sarto e
guadagnando 2.800 rupie al mese, ma
ne pago 2mila per l’affitto.
Prima pensavo davvero che sarei
stata più al sicuro qui che in Birmania,
ma adesso non so. Se ho un problema,
chi può aiutarmi? Se mi ammalo, chi
mi aiuta? Devo comunque lavorare e
badare alla casa.
In Birmania vivevo con i miei
genitori e non avevo tutte queste
preoccupazioni. Ma quando sono
arrivata in India, ho dovuto crescere
in fretta; in quattro anni ho affrontato
tante difficoltà.
Se i miei genitori mi vedessero
adesso, non mi riconoscerebbero.
Nord Africa/Europa
difendere
Il divario fra le parole dell’UE e le sue azioni
Philip Amaral, responsabile per l’advocacy e la comunicazione del JRS Europa
Il Marocco e l’Algeria, e la loro
vasta distesa di deserto, sono una
terra di nessuno per i rifugiati e i
migranti che aspirano a una vita
di libertà e sicurezza in Europa.
Dopo un viaggio lungo e pericoloso
nel Sahara, è solo arrivando nel
Nord Africa che capiscono che la
promessa di una protezione in
Europa è tanto illusoria quanto un
miraggio nel deserto.
Prendete la storia di Fabrice,
che viene dal Camerun. Nel 2004,
lui e i suoi compagni si sono
persi nella zona meridionale del
deserto algerino, dopo essere
stati abbandonati dai trafficanti
che avevano pagato perché li
portassero fino al Mediterraneo.
La polizia algerina li ha trovati ma,
invece di aiutarli, ha gettato sabbia
nella poca acqua che avevano
e li ha abbandonati. Fabrice ha
camminato per giorni. Altri sono
crollati e non si sono più rialzati.
Lui ha perso coscienza ma è stato
miracolosamente trovato da
un nomade del deserto che l’ha
portato in un campo in Niger.
“Così tante persone muoiono nel
deserto”, dice Fabrice. “Non potete
neanche cominciare a immaginare.
Muoiono, i loro corpi vengono
coperti dalla sabbia e il mondo si
dimentica che siano mai esistiti.”
Una vita in perenne transito
La storia di Fabrice è documentata,
insieme a molte altre, in un
rapporto pubblicato dal JRS
Europa nel dicembre 2012 dal
titolo Lives in Transition (Vite in
transito). Il rapporto è basato su
interviste a rifugiati e migranti
che sono bloccati in una situazione
di perenne transito in Marocco e
Algeria.
Sebbene entrambe le nazioni
abbiano ratificato la Convenzione
sui rifugiati del 1951, nessuna
delle due ha una legge sull’asilo.
In Marocco, l’Ufficio per i rifugiati
e gli apolidi non funziona dal
2004, e l’ACNUR è lasciata sola a
determinare lo status di rifugiato e
a difendere i diritti di base.
Tuttavia, lo status di rifugiato
dato dall’ACNUR non sempre
viene riconosciuto. Il JRS Europa
ha documentato casi in cui la
polizia marocchina ha arrestato
persone con lo status di rifugiato
e le ha portate al confine col
deserto algerino. L’ACNUR cerca di
Così tante persone
muoiono nel
deserto. Non potete
neanche cominciare
a immaginare.
Abitanti di Tangeri guardano verso l’Europa.
(Andrew Galea Debono)
13
difendere
Nord Africa/Europa
La recinzione che separa il Marocco dalla città spagnola di Ceuta. (Andrew Galea Debono)
intervenire, ma spesso non può fare
niente perché le retate si svolgono
durante la notte.
I migranti e i rifugiati sono
trattati come cittadini di serie B.
Michelle ha raccontato al ricercatore
del JRS Europa che quando chiede
l’elemosina per strada i marocchini
spesso la insultano e le dicono di
andare a lavorare. “Ma quando
cerco un lavoro mi chiedono se ho i
documenti in regola, e quando dico
di no mi rispondono che non c’è
lavoro. A volte la polizia marocchina
mi ferma e devo usare tutti i soldi
che ho per togliermi dai guai ed
evitare di essere rispedita a Oujda
[sul confine con l’Algeria].”
In Algeria si riesce a trovare
lavoro nel mercato nero, dove lo
sfruttamento è la regola. Ismail,
un migrante dalla Costa d’Avorio,
conosce molto bene i rischi di questi
lavori. “A volte le persone vengono
arrestate perché non hanno
documenti validi o perché lavorano
in modo irregolare. Ma secondo loro
come dovremmo sopravvivere?”
Molti migranti ricorrono
all’occupazione abusiva di edifici
abbandonati perché non possono
14
permettersi di pagare un affitto.
Il nostro ricercatore ha incontrato
Matias, un giovane di 32 anni della
Guinea Equatoriale, e Jean, un
giovane di 22 anni del Camerun, in
un edificio non terminato a Boush
Bouk, un quartiere di Algeri. La loro
stanza era senza porta e fungeva da
camera da letto, da sala, da cucina
e da bagno. Era una delle stanze
migliori della zona: almeno aveva
tutti e quattro i muri.
Di fronte a una contraddizione
Nel 2012 l’Unione europea ha
vinto il premio Nobel per la pace.
Il presidente della Commissione
europea, José Manuel Barroso,
ha affermato che il premio
“permetterà all’Europa di
contribuire a modellare un mondo
migliore in linea con i valori della
libertà, della democrazia, dei diritti
umani e dello stato di diritto”.
In Nord Africa questa
affermazione cade nella più
allarmante delle contraddizioni.
Dal 2010, diversi drammatici
cambiamenti hanno allargato il
divario tra le ambizioni dell’UE
e le sue azioni. I 20mila migranti
arrivati in Italia in seguito alla
rivoluzione tunisina sono stati
una patata bollente che nessun
governo dell’UE ha voluto toccare.
Le nazioni europee si sono mosse
velocemente per la guerra al
dittatore libico Gheddafi, ma poi
hanno reinsediato solo alcune
centinaia di rifugiati rispetto
alle centinaia di migliaia ricevute
dall’Egitto, dal Ciad e perfino dalla
Tunisia.
In Siria, l’attuale risposta
dell’UE è ugualmente rivelatrice.
Sebbene abbiano lodevolmente
donato più di 400 milioni di euro
in aiuti umanitari, le nazioni
dell’UE si tirano indietro di fronte
alla prospettiva di reinsediare
rifugiati nei loro territori. Così,
mentre le nazioni che confinano
con la Siria hanno ricevuto più di
un milione di rifugiati, solamente
20mila richiedenti asilo siriani
hanno raggiunto l’Europa.
Gli eventi tumultuosi nelle
aree vicine hanno portato l’UE
a intensificare i controlli lungo i
suoi confini meridionali, rendendo
quasi impossibile per i migranti
e i richiedenti asilo raggiungere
Nord Africa/Europa
l’Europa senza rischiare il viaggio
per mare. L’ACNUR ha definito il
2011 come “l’anno più letale” per
i migranti nel Mediterraneo, un
anno in cui quasi duemila persone
– quelle di cui si ha notizia certa –
sono morte.
Eventi di questo tipo non sono
nuovi. Un accordo bilaterale del
1992 tra Spagna e Marocco ha
chiuso brutalmente la frontiera
fra i due paesi. Da allora, qualsiasi
migrante che provi a raggiungere
le enclave spagnole di Ceuta
e Melilla è immediatamente
riportato indietro in Marocco. In
un incidente nel 2005 le guardie
marocchine hanno aperto il fuoco
su centinaia di migranti che
tentavano di scalare la recinzione
verso Melilla.
Nel 2006 Fabrice ha provato a
raggiungere Ceuta dal Marocco,
nuotando per due chilometri
e cercando allo stesso tempo
di aiutare una donna incinta
lungo il tragitto. Ma la donna è
svenuta. Mentre Fabrice lottava
disperatamente per salvarla,
la Guardia Civil spagnola li ha
individuati e issati a bordo della
nave. “Invece di portarci in salvo,
ci hanno riportati vicino alla riva
marocchina e ci hanno ributtati in
mare”, ricorda Fabrice. La donna
è sopravvissuta, ma ha perso il
bambino, grazie alle guardie di
frontiera che lavorano per una
nazione europea, parte della stessa
UE che ha vinto il premio Nobel
per la pace.
questa protezione venga fornita.
Qualsiasi accordo bilaterale tra
uno stato dell’UE e un paese terzo
deve contenere una clausola sui
diritti umani che protegga i diritti
fondamentali di tutti i migranti,
inclusi i diritti economici, sociali e
culturali. E i migranti non devono
essere portati con la forza verso
nazioni che non siano in grado di
proteggere i loro diritti.
Il primo e principale invito
che il JRS Europa rivolge ai
governi di Marocco e Algeria è di
implementare una propria legge
nazionale sull’asilo. Le persone
riconosciute come rifugiate non
devono essere deportate. Entrambi
i governi dovrebbero inoltre
permettere alle ONG di fornire
liberamente aiuto a chi ne ha
bisogno.
Molti migranti alla fine si
rassegnano a vivere in uno stato
di perenne transito per anni. Ma
alcuni cercheranno comunque di
raggiungere l’Europa, quali che
siano i rischi, sperando di avere
maggior fortuna. Un uomo ha
detto al JRS Europa: “Dio è con
me e mi proteggerà”. La sua fede
incrollabile di fronte alla miseria
è commovente. Speriamo che l’UE
faccia la sua parte.
difendere
Jesuit Refugee Service Europe
Experiences of
migrants living
in Morocco
and Algeria
Lives
in Transition
December 2012
Research by Andrew Galea Debono
Based on interviews with migrants in Casablanca, Rabat and Tangiers
in Morocco, and in Algiers, Oran and Tamanrasset in Algeria
Sul web
Potete scaricare il rapporto del
JRS Europa, Lives in Transition,
alla pagina www.jrs.net/
assets/Publications/File/
JRSEuropeLivesInTransition
Dec20121.pdf
Il progetto del JRS a Casablanca, chiamato
Service Accueil Migrantes (SAM), offre alle donne
corsi di lingua e altre attività, un asilo nido e un
sostegno per avviare piccole attività per produrre
reddito. (Andrew Galea Debono) Assumersi la responsabilità
Attraverso il rapporto, il JRS
Europa invita l’UE a essere
all’altezza degli ideali per cui è
stata premiata.
L’UE e i suoi stati membri
devono mettere in pratica
meccanismi che permettano di
identificare i migranti bisognosi
di protezione e assicurino che
15
difendere
Internazionale
Sfollati trovano riparo in una chiesa nel nord
dello Sri Lanka. (JRS Internazionale)
FEDE E
PROTEZIONE
La centralità della fede
Nel dicembre 2012 l’ACNUR ha dedicato il Dialogo sulle sfide in tema di protezione al legame tra fede e
protezione. Michael Gallagher SJ, rappresentante del JRS a Ginevra, ha partecipato all’organizzazione dell’incontro,
cui hanno preso parte Peter Balleis SJ, direttore internazionale del JRS, e Mitzi Schroeder, del JRS Stati Uniti.
Riconoscere che la fede gioca un
ruolo cruciale nell’esperienza dei
rifugiati è fondamentale per offrire
protezione.
Tutti convergevano su questa
verità durante il dialogo su fede e
protezione organizzato a Ginevra
dall’ACNUR, che ha analizzato la
centralità della fede per i rifugiati,
i punti di forza e le sfide cui
vanno incontro le organizzazioni
confessionali e le loro relazioni
con gli altri enti umanitari.
Tuttavia, l’ACNUR ha riconosciuto
la necessità di aumentare la
propria “conoscenza sulla fede” e
ha annunciato azioni per una più
profonda comprensione di questi
elementi.
“La fede contribuisce alla
protezione e al benessere dei
rifugiati molto più di quanto
si pensi”, ha affermato l’Alto
Commissario delle Nazioni Unite
per i Rifugiati, António Guterres,
all’incontro del 12 e 13 dicembre.
16
“Per la maggior parte delle
persone sradicate, poche cose
aiutano ad affrontare la paura, il
senso di perdita, la separazione
e la povertà come riesce a fare
la fede. Essa è anche cruciale
per la speranza e la capacità di
ricominciare”. Ignorare la fede
“significherebbe ignorare le sue
potenzialità nel preservare la
dignità e nel trovare soluzioni per le
persone di cui ci prendiamo cura”.
Guterres ha invitato i leader
religiosi, i funzionari dell’ACNUR
e i rappresentanti delle ONG e dei
governi presenti a “riflettere sui
valori e sui principi comuni alle
diverse religioni che sostengono
l’idea di protezione e uniscono
noi e i nostri partner nell’azione
comune”. Evidenziando il terreno
comune alle diverse religioni
nell’ambito della protezione di
coloro che sono in cerca di rifugio,
ha affermato che il nostro stato di
diritto trova le sue radici nelle loro
antiche leggi.
I punti di forza inconfutabili
delle organizzazioni confessionali
sono stati rapidamente identificati,
considerato che esse forniscono
sostegno dal momento dello
sfollamento fino all’attuazione di
soluzioni durevoli.
In molti casi, le comunità
religiose locali sono le prime a cui
i rifugiati si rivolgono. Godendo
spesso di maggiore fiducia e
avendo una maggiore conoscenza
della situazione locale, si attivano
rapidamente e rimangono presenti
quando altri se ne vanno. Comunità
religiose di fedi differenti sono
presenti praticamente ovunque,
hanno strutture e legami col
territorio, condividono l’etica
dell’accoglienza e della protezione.
Guterres ha evidenziato due
aspettative delle organizzazioni
confessionali: “aiutare a creare e
rafforzare comunità di accoglienza
per i rifugiati” e “contribuire
Internazionale
in maniera più consistente a
raggiungere soluzioni durevoli”.
Due gruppi di lavoro hanno
discusso di questi temi, mentre
un terzo si è occupato della
cooperazione tra l’ACNUR e le
organizzazioni confessionali.
Le comunità religiose hanno un
grosso potenziale per trasformare il
diritto legale di asilo in realtà nelle
nazioni di accoglienza, attraverso
la ripresa, la riconciliazione,
la creazione di atteggiamenti
positivi, la lotta alla xenofobia e la
costruzione di relazioni.
La discussione ha portato a
identificare delle buone norme: le
comunità religiose devono unire le
forze per combattere la xenofobia,
cooperare con la polizia per
prevenire e denunciare i crimini
alimentati dall’odio e formare
congregazioni che creino comunità
di accoglienza.
È stato sottolineato il bisogno
di dialogo interreligioso per
promuovere una coesistenza
pacifica. Perché è assodato che “la
violenza e la persecuzione vengono
perpetrate anche in nome della
religione”, ha affermato Guterres,
aggiungendo che sono spesso i
politici a sfruttare la religione.
Sono emerse anche le difficoltà
che le organizzazioni confessionali
affrontano. Una è l’essere percepite
in modo negativo dagli altri enti
umanitari, che hanno il timore che
esse possano favorire i rifugiati
della propria confessione o che
possano fare proselitismo. C’è
stato accordo unanime sui principi
base dell’azione umanitaria,
imparzialità, non discriminazione,
uguaglianza e protezione verso
qualsiasi forma di imposizione di
condizioni. Uno dei partecipanti ha
affermato: “Rispondere al bisogno e
non al credo”.
Un altro ostacolo è la mancanza
di apprezzamento. Guterres ha
riconosciuto come l’ACNUR non
sempre colga appieno il potenziale
delle organizzazioni confessionali.
“L’indicazione più importante
di questi giorni è la necessità
difendere
per gli enti umanitari, incluso
l’ACNUR, di approfondire la propria
comprensione delle tradizioni
religiose nell’ambito delle varie
fedi.”
Il gruppo di lavoro che ha
aiutato a preparare l’incontro, di cui
fa parte il rappresentante del JRS
a Ginevra Michael Gallagher SJ, è
diventato un network ufficiale con
il compito di sviluppare il progetto
di alfabetizzazione religiosa rivolto
agli operatori dell’ACNUR e di
identificare le linee guida da seguire
nella collaborazione fra ACNUR
e organizzazioni confessionali.
Guterres ha inoltre appoggiato la
richiesta emersa durante l’incontro
riguardo la stesura di un codice di
condotta per i leader religiosi in
situazioni di sfollamento.
La speranza è che questo
incontro possa portare, nel
lungo termine, a una migliore
collaborazione non solo fra
l’ACNUR e le organizzazioni
confessionali, ma anche fra le stesse
organizzazioni.
Partecipanti al dialogo su fede e protezione organizzato dall’ACNUR nel dicembre 2012. (Jean-Marc Ferrè/ACNUR)
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
Il dialogo ha aiutato il JRS a comprendere meglio il proprio carattere di organizzazione confessionale internazionale e i propri
punti di forza:
• Poter contare su una solida rete internazionale di solidarietà, attraverso la collaborazione con i gesuiti e le chiese locali per
raggiungere rapidamente i rifugiati nelle situazioni di emergenza.
• Condividere i valori fondamentali con altre fedi: compassione, speranza, giustizia e ospitalità.
• Accogliere nelle proprie équipe in tutto il mondo persone di ogni fede.
• Fornire un servizio completo, definito dal nostro fondatore come umano, pedagogico e spirituale, che promuova speranza,
guarigione, riconciliazione e capacità di ricominciare.
• Ascoltare i rifugiati e dar loro la possibilità, quale che sia la loro fede, di parlare dell’azione di Dio nella loro storia.
• Fornire servizi pastorali ai rifugiati cattolici che ne sentano il bisogno, in modo distinto dal resto dei servizi offerti.
Peter Balleis SJ
17
difendere
Colombia
FEDE E PROTEZIONE
Liberi dalla paura
Oscar Javier Calderón Barragán, coordinatore del progetto del JRS a Cúcuta, racconta la storia di una
donna, segnata dal conflitto armato in Colombia, che ora lavora per la riconciliazione e la pace.
“Vorrei la pace, la pace per
sempre, mai più la guerra, mai più
uccisioni.” Per Concepción*, pace
significa essenzialmente giustizia e
riconciliazione e sono la sua speranza
e il suo desiderio più profondi. La
storia di Concepción è simile a quella
di molti altri colombiani, obbligati
a vagare da un posto all’altro per
sopravvivere, a causa dell’attività
incessante e sempre più distruttiva
dei gruppi armati nei loro territori.
Concepción è una contadina che
viveva nell’area intorno al fiume
Catatumbo, nel dipartimento di
Norte de Santander, nel nord-est
della Colombia. Con la sua famiglia
si trovò all’improvviso in mezzo
al conflitto e le persecuzioni e le
minacce costanti obbligarono tutti
loro a lasciare la propria casa per
raggiungere la città di Cúcuta, al
confine con il Venezuela. Ma il peggio
doveva ancora arrivare: il figlio di
Concepción “sparì” mentre si recava
al lavoro in una fattoria.
Nella sua ricerca della verità,
durante i processi istituiti nel 2005
dalla Legge di Giustizia e Pace,
Concepción si è trovata davanti
agli assassini di suo figlio. Quando
ha chiesto di riaverne il corpo,
un comandante paramilitare ha
ammesso la sua responsabilità
nell’omicidio ma ha dichiarato che il
corpo era stato gettato nel fiume ed
era impossibile ritrovarlo.
Questa esperienza di indicibile
dolore ha segnato profondamente
la vita di Concepción, al punto che
– secondo le sue stesse parole – “si è
liberata del tutto dalla paura”. Non ha
paura di scoprire la verità e persistere
18
nella ricerca della giustizia. Sebbene
capisca bene la fase di transizione
dei processi di giustizia colombiani,
non è questo il tipo di giustizia
che Concepción vuole. Nessuna
risarcimento potrà mai restituirle
suo figlio e i suoi sogni.
Ma le sue ferite stanno guarendo.
Da sette anni Concepción e
altre donne della sua comunità
si incontrano ogni settimana
e, attraverso l’ascolto attento e
rispettoso, il sostegno reciproco e
la preghiera, cercano di lenire l’un
l’altra le ferite lasciate dalla guerra.
Queste donne, coscienti dei loro
diritti, operano affinché tragedie
come le loro non si ripetano.
Impiegano parte del tempo che
passano insieme percorrendo le
strade della loro comunità in cerca
di altre donne che non abbiano
ancora intrapreso un percorso di
riconciliazione, per condividere la
loro ricerca e la loro opera per la
pace.
* Il nome è stato modificato.
Info point
Molte persone in Colombia sono
“scomparse”, vittime dei gruppi
armati nazionali – in particolare
paramilitari – in guerra da decenni. Fra
gli scomparsi ci sono attivisti dei diritti
umani, sindacalisti e giovani delle
zone rurali in conflitto. La Legge di
Giustizia e Pace del 2005 istituisce dei
processi speciali che prevedono pene
notevolmente ridotte per i paramilitari
accusati di crimini in cambio di
piene confessioni e di contributi al
risarcimento delle vittime. Ma, finora,
solo pochi di essi sono stati ritenuti
colpevoli e condannati.
Un laboratorio sulla memoria storica a
Cúcuta, in Colombia. Diventeresti “cieco”
se dimenticassi tutto ciò che è successo
– perdonare non vuol dire dimenticare.
(Holmes Villegas/JRS) Ciad
L’incontro di due mondi
riflessione
FEDE E PROTEZIONE
Suor Marie Hélène Dupré la Tour, JRS Ciad
Nel settembre 2011 sono arrivata
a Goz Beida, nel Ciad orientale,
per coordinare un progetto
del JRS di sostegno alle scuole
primarie per i bambini sfollati.
Presto ho percepito chiaramente
di essere in un paese musulmano.
Le donne portano il velo, le
conversazioni sono condite da
Amdullah! (sia ringraziato Dio),
Allebakhit! (Dio ti benedica),
Inchallah! (se Dio vuole).
La preghiera è impossibile da
ignorare, la vedi, la senti, la gente
si prostra nei luoghi pubblici.
L’amplificatore della vicina
moschea chiama alla preghiera
a tutte le ore. La sera, verso le
18:45, recito i salmi con un’altra
volontaria, suor Sabine, sullo
sfondo del canto del muezzin:
“Allah Akhbar!” Mi dico che le
invocazioni di queste due voci,
una splendida e involontaria
polifonia, devono fondersi in un
qualche punto tra la terra e il cielo
per essere così ricevute da colui al
quale sono dirette.
La preghiera è presente
anche nel lavoro. L’ho scoperto
durante uno dei primi incontri
della nostra équipe, quando nel
primo pomeriggio alcuni colleghi
hanno lasciato la stanza per una
ventina di minuti senza dire
nulla. All’inizio mi ha sorpreso
spprendere che erano andati a
pregare e ho pensato che fosse
poco professionale. Quando ho
chiesto spiegazioni, i miei colleghi
mi hanno aiutata a capire che
sebbene il Ciad sia uno stato
secolare, la preghiera è totalmente
integrata nella vita quotidiana.
Se l’Islam è onnipresente,
anche la tradizione cristiana
è una realtà per la presenza di
diverse agenzie umanitarie e di
ciadiani di altre regioni. Vedo un
rispetto reciproco tra tutti loro,
accompagnato da un considerevole
sforzo per superare ogni possibile
divisione.
Abbiamo deciso, come équipe,
di iniziare la giornata con una
breve preghiera, animata a turno
da ognuno di noi. I cristiani
fanno propri i versi del Corano,
mentre i musulmani condividono
l’“amen” alla fine della preghiera
“per Gesù Cristo nostro Signore”.
Facciamo affidamento gli uni sugli
altri, ponendo nelle mani di Dio
le attività che ci apprestiamo a
svolgere.
La sera, a volte, faccio visita alla
mia vicina Madame Marioma, una
donna pia e colta che mi racconta
la storia di Abramo, Gesù e Maria
in una versione più spettacolare
di quella che ho appreso dalla
Bibbia. Mi rendo conto di come
l’Islam abbia riscritto alcuni testi
biblici in modo più dettagliato
e, guardando più attentamente,
posso vedere come il narrare in
una maniera più drammatica
la rivelazione divina sia una
differenza essenziale tra l’Islam
e la tradizione giudeo-cristiana.
Eppure sono contenta della ricerca
di comunione che si è creata tra
me e Marioma attraverso questa
diversità di narrazione.
Questi momenti di
condivisione, insieme alla
preghiera personale quotidiana
senza la quale la mia vita e il
mio impegno con il JRS non
avrebbero senso, si sono fusi
sorprendentemente durante il
mio tempo qui. Anche se non
prego secondo le norme comuni a
Goz Beida, la mia fede cristiana è
pienamente sostenuta dalla loro
visibilità. È come un richiamo e un
invito a cedere al “Creatore di tutte
le cose” il suo giusto posto.
JRS Internazionale
19
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4,
00193 Roma, Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
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(per cortesia, rispedire al mittente
anche gli invii a indirizzi non più validi)
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St Aloysius Sports Complex,
50, Triq ix-Xorrox,
Birkirkara, Malta
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La mia vita da rifugiato, una mostra di fotografie
scattate da rifugiati in cinque paesi europei, è stata
esposta al Parlamento europeo dal 27 al 30 novembre
2012.
L’esposizione ha mostrato in modo chiaro agli attori
politici la prospettiva di coloro che più subiscono gli
effetti delle leggi europee sull’asilo e sull’immigrazione
che essi preparano. Nei mesi precedenti la mostra,
il JRS ha invitato i rifugiati in Italia, a Malta, in
Portogallo, in Romania e nel Regno Unito a partecipare
al progetto.
Gli uffici del JRS hanno collaborato con fotografi
e organizzazioni locali che hanno generosamente
offerto formazione, macchine fotografiche e aiuto
nell’elaborazione delle foto.
Grazie al loro sostegno, il cuore del progetto ha preso
forma: dare ai rifugiati la possibilità di mostrare il
mondo attraverso i loro occhi, scegliendo con quali
parole accompagnare le loro fotografie.
La mia vita da rifugiato
MOSTRA FOTOGRAFICA
Tra i più di 300 scatti ricevuti, 20 sono stati scelti
per la mostra, che è ora disponibile online alla
pagina http://www.flickr.com/photos/jrseurope/
sets/72157632178085052/