Un servizio umano, pedagogico e spirituale
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Un servizio umano, pedagogico e spirituale
MARZO 2013 NO 55 JESUIT REFUGEE SERVICE Un servizio umano, pedagogico e spirituale SUDAFRICA p.4 LIBANo p.7 INDIA p.10 COLOMBIA p.18 CIAD p.19 Jesuit Refugee Service MARZO 2013 Foto di copertina Un programma di istruzione del JRS a Guéréda, in Ciad (Peter Balleis SJ/JRS) Servir è disponibile in italiano, francese, inglese e spagnolo. È pubblicato due volte l’anno dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). DIREZIONE Peter Balleis SJ NUMERO 55 In questo numero: Editoriale Fede, speranza e capacità di riemergere dalla sofferenza 3 Sudafrica Angeli al lavoro4 Il tuo sostegno per i più vulnerabili 6 Libano/Siria Mantenere vivo uno spirito speciale 7 REDAZIONE Danielle Vella India “Pensavo che qui sarei stata più al sicuro” PRODUZIONE Malcolm Bonello Nord Africa/Europa Il divario fra le parole dell’UE e le sue azioni 10 13 FEDE E PROTEZIONE Internazionale La centralità della fede16 Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati è un’organizzazione cattolica internazionale creata nel 1980 da Pedro Arrupe SJ. La sua missione è accompagnare, servire e difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati. Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 Colombia Liberi dalla paura 18 Riflessione | Ciad L’incontro di due mondi 19 Mostra fotografica (ultima di copertina) La mia vita da rifugiato 20 [email protected] www.jrs.net Abbreviazioni Le seguenti abbreviazioni sono usate in questo numero 2 ACNUR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ONG Organizzazione non governativa UE Unione europea editoriale Ciad Fede, speranza e capacità di riemergere dalla sofferenza A un primo sguardo, questo numero di Servir è triste. La guerra in Siria sta diventando più violenta che mai e il numero di morti, sfollati e rifugiati è in crescita costante. La popolazione siriana si sente in qualche modo dimenticata dal resto del mondo. I rifugiati urbani malati o anziani nascosti nei quartieri poveri di Johannesburg sono anch’essi dimenticati. A Delhi, le rifugiate chin che lottano in solitudine per sopravvivere sono altamente esposte al rischio di violenze sessuali. Sembra non esserci fine alla sofferenza. Eppure, andando a leggere in profondità le storie dei rifugiati, si trovano grande speranza e capacità di riemergere dalla sofferenza. Per me, accompagnare Mama Marceline e Mama Jeanine per le strade di Johannesburg è stato come camminare con due angeli. Altri possono non riconoscere Marceline e Jeanine come tali, ma il rifugiato malato che riceve la loro visita sa molto bene che sono messaggere di amore e portano parole di speranza e incoraggiamento. Lo stesso si può dire dei membri delle équipe in Siria, che rischiano la propria vita per aiutare gli altri, per portare vestiti invernali, coperte e cibo a chi ne ha bisogno e per offrire un sostegno scolastico. Come riescono donne che hanno sofferto così tanto a continuare ad aiutare chi soffre? Le stesse Marceline e Jeanine sono rifugiate che hanno perso la loro casa e delle persone care. Cosa spinge le donne in Colombia, che hanno visto e vissuto così tanta violenza, a lavorare per la riconciliazione? Cosa fa sì che le équipe del JRS in Siria, composte sia da musulmani sunniti e alauiti sia da cristiani, lavorino insieme al servizio dei loro compatrioti? La fonte profonda di questa capacità di resistere alla disperazione è la Fede, la fede nella vita, negli altri... per molti è la fede nel Creatore della vita, che ha fatto tutti gli esseri umani con la stessa dignità e la stessa capacità di servire e amare gli altri. Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS 3 accompagnare Sudafrica Angeli al lavoro Peter Balleis SJ, direttore internazionale del JRS (Peter Balleis SJ/JRS) 4 La differenza è troppo evidente per essere ignorata. Sono arrivato a Johannesburg subito dopo aver visitato Georgetown, una prestigiosa università gesuita negli Stati Uniti dove ho tenuto una conferenza su un programma di istruzione universitaria, frutto della collaborazione tra il JRS e le università americane. È una bella iniziativa rivolta a giovani rifugiati determinati e di talento, che promette risultati concreti e positivi. Oggi, in un altro mondo, sto accompagnando Jeanine e Marceline, due infermiere congolesi, nel loro giro quotidiano di visite ai rifugiati vulnerabili. Queste due donne, a loro volta rifugiate, costituiscono l’équipe di assistenza a domicilio del JRS a Johannesburg. La nostra prima tappa è in un quartiere povero dove incontriamo un uomo nigeriano, “perso” per anni a Johannesburg. Il diabete l’ha reso quasi cieco ed è in attesa di un’operazione agli occhi. Il suo sguardo ingrigito accoglie Jeanine e Marceline, che parlano con lui, si assicurano che stia prendendo le medicine e lasciano i soldi per il cibo e l’affitto. La tappa seguente è una vecchia casa coloniale in rovina affittata da diverse famiglie congolesi. Le stanze buie e sovraffollate rivelano grande povertà ma anche grande dignità. Sono pulite e i pochi beni delle famiglie sono impilati con cura. I rifugiati scelgono di vivere insieme perché essere tanti è più sicuro, poichè la xenofobia è un problema molto diffuso in Sudafrica. Qui ci sono persone con bisogni enormi, con un vissuto di indicibili sofferenze, violenze e perdite. Le vedove lottano per sopravvivere, da sole, con tutti i rischi che questo implica. Ci sono persone che a causa della malattia o di una disabilità non possono neanche lasciare la casa. In un’altra abitazione vive un’anziana madre che mendica sulle strade per poter pagare l’affitto. Vive con suo figlio, che è in terapia per un tumore. Si sono dovuti spostare molte volte perché non riuscivano a pagare l’affitto, avendo già difficoltà a trovare denaro per il cibo. Cerco nella tasca la banconota da cento dollari che so di avere e la porgo alla donna. Sudafrica accompagnare Jeanine, a sinistra, e Marceline. (Peter Balleis SJ/JRS) La “famiglia accecata” vive in un’altra zona: madre, padre e due bambini sono stati letteralmente accecati dalle sostanze chimiche durante un attacco alla loro casa a Kinshasa. Vivono nella loro stanza, a letto, per tutto il tempo. Il bambino riesce a vedere qualcosa – uno dei suoi occhi è stato curato – e prepara un po’ da mangiare. Marceline e Jeanine li visitano regolarmente per assisterli, pulire la stanza e dar loro i soldi per il cibo e l’affitto. Esse sono tutto ciò che la famiglia ha. Le due infermiere, oltre a essere compassionevoli, sono anche molto professionali. Scrivono un breve rapporto su ogni visita a domicilio, che viene firmato dal beneficiario, e ogni cosa è documentata. Il loro lavoro dura tutta la settimana – tre giorni di visite a domicilio e due in ufficio – e consiste anche nel facilitare l’accesso dei rifugiati ai servizi sociali e sanitari. Jeanine e Marceline mi dicono che lasciano il proprio numero di cellulare ai rifugiati, che le possono chiamare in qualsiasi momento, giorno e notte. Se ricevono una chiamata d’emergenza nella notte, non escono da sole per ragioni di sicurezza ma per prima cosa al mattino vanno a rispondere ai bisogni più urgenti. “Non andiamo in vacanza, siamo sempre qui”, affermano. Nonostante il magnifico lavoro che svolgono e gli enormi bisogni a cui rispondono, il loro budget è limitato, al punto che alle volte non hanno abbastanza soldi per aiutare gli assistiti. Perfino il rimborso dei costi di trasporto è un problema. In effetti, è molto difficile trovare fondi per progetti di questo genere: un lavoro invisibile con persone invisibili. Alcuni dei rifugiati moriranno, e Marceline e Jeanine li accompagneranno fino alla fine. Ma non c’è solo oscurità, la dedizione di questi due angeli porta frutti visibili. Un rifugiato visita sorridente l’ufficio del JRS; tutti sono davvero fieri di lui perché può tornare a camminare: quando le infermiere l’hanno incontrato era vicino alla morte perché aveva l’HIV e non riceveva alcun trattamento. Chiedo a Marceline e Jeanine cosa le sostiene, da dove riescono a trarre la loro motivazione, la loro compassione e la loro pazienza. Sanno cosa significa, è la risposta. In quanto rifugiate, hanno a loro volta una tragica storia da raccontare. “Sono la nostra gente”. Alla fine della giornata sono colmo di ammirazione, per questo definisco Marceline e Jeanine angeli. Il poco tempo passato con loro è indimenticabile, sia per i drammatici bisogni dei rifugiati, sia per la loro determinazione a fare tutto il possibile per aiutarli. Il vero spirito del JRS è, è sempre stato e deve rimanere questo: aiutare i rifugiati dimenticati, quelli assistiti da nessuno, servirli e difendere i loro diritti al meglio delle nostre capacità. 5 accompagnare Sudafrica Il tuo sostegno per i più vulnerabili Cari amici, L’anno scorso Jeanine e Marceline hanno aiutato circa 30 rifugiati, giovani e anziani, che erano seriamente ammalati e privi di assistenza. Almeno altri 60 sono sulla lista d’attesa del loro servizio di assistenza a domicilio. Ricevendo più fondi, Jeanine e Marceline potrebbero aiutare molti più pazienti che altrimenti finirebbero affamati, sfrattati o, senza cure continuative, peggiorerebbero fino a morire. Quest’anno, puoi contribuire a far sì che 100 rifugiati ammalati a Johannesburg non debbano preoccuparsi per l’alloggio, abbiano cibo sufficiente e ricevano assistenza medica. Inoltre, è stato chiesto al JRS di gestire un progetto simile a Pretoria e i fondi necessari saranno ancora maggiori. Ecco come puoi aiutare: CIBO ALLOGGIO 50 ¤ FORNISCONO CIBO PER UN PAZIENTE PER UN MESE. 125 ¤ GARANTISCONO ALLOGGIO PER UN ANNO A UNA MADRE SINGLE CON DUE FIGLI. ASSISTENZA MEDICA TRASPORTI 70 ¤ COPRONO I COSTI OSPEDALIERI DI “ACCESSO AL TRATTAMENTO” DUE VOLTE AL MESE PER UN ANNO PER UN PAZIENTE; 120 ¤ COPRONO I COSTI DI UNA TERAPIA CONTRO IL TUMORE IN UN OSPEDALE PUBBLICO PER UNA PERSONA PER SEI MESI. 70 ¤ COPRONO I COSTI DEI TRASPORTI PUBBLICI PER UN PAZIENTE PER RECARSI IN OSPEDALE DUE VOLTE AL MESE PER UN ANNO. PER I PAZIENTI TROPPO AMMALATI PER USARE IL TRASPORTO PUBBLICO, SONO NECESSARI 150 ¤ PER PORTARLI ALL’OSPEDALE DUE VOLTE AL MESE PER SEI MESI. Visita jrs.net per gli ultimi rapporti e jrs.net/donate per fare una donazione online. In alcuni paesi si può usufruire delle detrazioni fiscali donando attraverso le nostre organizzazioni partner. Ulteriori informazioni sul nostro sito. INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS Allego una donazione di: Il mio assegno è allegato Cognome: Nome: Indirizzo: Città: Codice postale: Fax: Email: Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS 6 PER BONIFICI BANCARI Banca: Banca Popolare di Sondrio, Circonvallazione Cornelia 295, 00167 Roma, Italia Ag. 12 Nome del conto: JRS Numero del conto per euro: Paese: Telefono: Grazie IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 Numero del conto per dollari USA: IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 Libano/Siria servire Nuova Aleppo, un quartiere all’estremità occidentale della città di Aleppo dove vivono molti sfollati interni. (JRS Siria) Mantenere vivo uno spirito speciale Zerene Haddad, responsabile per la comunicazione del JRS Medio Oriente La strada verso il villaggio libanese di Kafar Zabad è stretta e costellata di buche e profonde pozzanghere. Kafar Zabad, un tempo un tranquillo villaggio nella valle della Bekaa, vicino al confine con la Siria, sta ospitando 150 famiglie siriane fuggite dalle violenze del loro paese. All’ultimo distributore di benzina prima del villaggio, un ragazzo ci ferma per chiedere un passaggio. Si chiama Abdulhakim, è siriano e ci parla liberamente. Abdulhakim dice di avere 15 anni – sembra molto più giovane – e di vivere a Kafar Zabad nella casa di sua cugina. “I miei genitori sono ancora in Siria, nella nostra fattoria vicino a Damasco. Un giorno ero fuori casa e una granata è caduta a meno di 50 metri da me. Non sono rimasto ferito solo perché le cose sono volate al di sopra della mia testa. In quel momento ho deciso che non potevo più vivere in quel modo, così sono partito con mio fratello maggiore e siamo arrivati in Libano.” Con il prolungarsi del conflitto siriano, la valle della Bekaa sta accogliendo decine di migliaia di rifugiati. Le stime dicono che entro maggio 2013 circa 500mila rifugiati siriani avranno raggiunto il Libano, una cifra prossima al 12,5% della popolazione libanese. Benché molte ONG in Libano si occupino di rifugiati siriani, diversa è la situazione nelle aree ritenute non sicure, come Kafar Zabad. Verso la fine dell’anno Info point La guerra in Siria, ormai al suo terzo anno, ha provocato almeno 70mila morti. Migliaia di rifugiati fuggono ogni giorno verso il Libano, la Turchia, l’Iraq e la Giordania. Cibo e riparo restano le priorità maggiori in Siria, dove quattro milioni di persone, tra cui 2,5 milioni di sfollati, hanno urgente bisogno di aiuto. Attivo a Damasco, Aleppo e Homs, il JRS raggiunge un numero sempre crescente di famiglie, 7.400 nel solo mese di gennaio. Le équipe svolgono visite a domicilio, distribuiscono generi di prima necessità e offrono istruzione e sostegno psicosociale. La mensa mobile ad Aleppo prepara quotidianamente 15mila pasti per i centri di assistenza della città, mentre a Damasco si preparano 400 pasti ogni giorno a una scuola rifugio. 7 servire Libano/Siria Abed Moubayed ha lavorato in passato col JRS in Siria e fa ora parte dell’équipe in Libano. “Mi ritrovo molto nello spirito di accompagnamento del JRS. A volte è più importante passare semplicemente del tempo con una famiglia piuttosto che fornire beni materiali.” (JRS Libano) scorso, il JRS ha effettuato una valutazione dei bisogni in diverse zone di Beirut e della valle della Bekaa, scegliendo di concentrare i propri sforzi nelle aree dove i siriani erano del tutto privi di assistenza. Nel novembre 2012, quando il JRS ha condotto una valutazione a Kafar Zabad, nel villaggio c’erano circa 30 famiglie siriane; a febbraio erano diventate 150. Il JRS ha cominciato a operare a Kafar Zabad, a Beirut e nella zona turistica di Jbeil - la famosa città antica di Biblo - dove sono state identificate circa 200 famiglie siriane bisognose di sostegno. Un’équipe del JRS, formata in gran parte da siriani rifugiati in Libano, distribuisce generi di prima necessità e svolge visite a domicilio. Sally , la coordinatrice del JRS a Kafar Zabad, si occupa delle nuove famiglie che arrivano, ne identifica i bisogni e distribuisce loro gli aiuti, come materassi, coperte, prodotti per l’igiene e cibo. Sally aveva progetti diversi. 8 Quando fuggì da Damasco verso il Libano, con sua madre e i suoi fratelli, trovò il lavoro dei suoi sogni in una compagnia aerea regionale. Poi ricevette una telefonata: le era stato negato il permesso di lavoro e la compagnia aerea non poteva assumerla, una storia comune a molti siriani in cerca di lavoro in altre nazioni arabe. “Contavo molto su quel lavoro; poi ho incontrato un dottore siriano, mi ha parlato delle famiglie che vivevano qui in condizioni disperate”, racconta Sally. “Ho scritto su Facebook un commento in un gruppo per siriani in Libano, una cosa tira l’altra e così sono entrata in contatto con il JRS.” Il nostro giovane amico, Abdulhakim, è riuscito a trovare lavoro in un negozio di computer, dove guadagna 80mila lire libanesi (quasi 40 euro) alla settimana. “Certo che voglio andare a scuola”, dice, “ma non ci sono posti disponibili. Ho sentito che qualcuno aprirà una scuola per i Il deposito del JRS nella valle della Bekaa, in Libano. (JRS Libano) rifugiati siriani a Kafar Zabad e mi piacerebbe andarci.” La lingua impedisce alla maggior parte dei bambini siriani di frequentare la scuola libanese. L’istruzione in Libano è in francese o in inglese, mentre in Siria è in arabo. Il JRS sta cominciando a Kafar Zabad un programma semestrale di apprendimento accelerato per 130 bambini siriani. Gli insegnanti siriani e libanesi mirano a portare i loro allievi a un livello sufficiente di inglese, francese e matematica così che possano frequentare le scuole libanesi nel prossimo anno scolastico. Se avrà successo, il programma sarà riproposto in altre aree. L’équipe libanese, come quella in Siria, è composta da persone di fedi diverse che vogliono servire i bisognosi e sono attratte dall’etica del JRS. Abed Moubayed, assistente del direttore del progetto, è arrivato in Libano da Aleppo, dove aveva aiutato a coordinare le operazioni di prima Libano/Siria servire Vorrei chiedervi, e sono sicura che già lo facciate senza che vi si chieda: potete pregare per noi? La Siria è stanca. Noi siamo stanchi. Non riesco a capire perché ci stiamo uccidendo tra noi, e per di più in nome di Dio. Quale Dio ama il gusto del sangue? Quante lezioni dobbiamo ricevere prima di capire? Non possiamo semplicemente imparare dagli errori delle altre nazioni? Perché siamo così ciechi? Mantengo la speranza, la speranza dell’amore, anche se è piuttosto piccola, ma la conservo ancora e non sono riusciti a portarmela via. Possono uccidere i nostri corpi ma non le nostre anime, le nostre menti, i nostri sogni e la nostra speranza. LOLA JRS SIRIA Un uomo riceve generi di prima necessità in un punto di distribuzione del JRS a Nuova Aleppo. (JRS Siria) assistenza del JRS nel 2012. “Continuo a lavorare con il JRS in Libano perché per me è come una grande famiglia e perché aiutiamo tutti senza discriminazioni”, dice Abed. Quando è stato costretto a lasciare il suo paese, Abed ha portato con sé non solo la sua preziosa esperienza ma anche lo spirito unico dell’équipe del JRS in Siria. E non è il solo: “È incredibile che più della metà dei responsabili della nostra équipe in Libano sia collegata al centro Deir Vartan di Aleppo [il centro del JRS, ora distrutto]. Tutti noi abbiamo lavorato, fatto volontariato o seguito corsi nel centro. Lo spirito speciale di Deir Vartan è rimasto con noi e ci ha riuniti qui in Libano.” Cari amici e care famiglie di tutto il mondo Volontarie aiutano a distribuire coperte, materassi e altri aiuti a Nuova Aleppo. (JRS Siria) La perdita di vite di cui sono stato testimone fra gli studenti - il futuro della nostra nazione - che cercavano di studiare nonostante ospitassero gli sfollati rifugiati nei dormitori universitari, tutti in lotta per qualcosa da mangiare o una coperta per riscaldarsi, mi ha lasciato senza parole. Non riesco a credere che simili atrocità possano ancora accadere. Siamo fortunati a vivere in un mondo in cui possiamo documentare le nostre vite con terribile precisione, tanto che la maggior parte dei forum sui media non sa più cosa fare per noi. Noi, studenti dell’università di Aleppo, abitanti di Aleppo e cittadini della Siria, supplichiamo il mondo intero di condannare senza riserva gli atroci atti di barbarismo perpetrati quasi quotidianamente contro i cittadini della Siria. Possa la vostra condanna andare al di là delle sole parole. Tariq Hulou, del JRS Siria, in seguito alle due esplosioni all’università di Aleppo che hanno provocato almeno 87 vittime il 15 gennaio 2013. 9 servire India “Pensavo che qui sarei stata più al sicuro” Molly Mullen, consulente per la comunicazione, JRS Internazionale La maggior parte delle donne non vuole parlarne. Dopo tutto, non c’è niente da dire. “Sì, gli uomini ci toccano”. “Gli uomini ci afferrano quando andiamo al mercato”. “Gli uomini ci dicono che dobbiamo loro i nostri corpi perché siamo venute nel loro paese”. Per le donne sole della comunità chin di Nuova Delhi, le molestie fanno parte della loro vita quotidiana in India. Senza conoscere la lingua, prive di risorse, di informazioni sui propri diritti e di stato legale, le donne hanno poche possibilità di denunciare questi casi. La città accoglie 20mila rifugiati, di cui 12mila provenienti dallo Stato Chin, la regione più povera della Birmania, appena oltre il confine con l’India. I chin, in gran parte cristiani, sono una delle minoranze etniche della Birmania e sono da tempo oggetto di persecuzione da parte dei militari birmani. I richiedenti asilo chin parlano di lavori e reclutamenti forzati, di stupri, arresti arbitrari, torture, omicidi e altri abusi. Il JRS ha cominciato a operare nella comunità chin nel 2011, fornendo corsi di taglio e cucito alle donne, molte delle quali sono sole. Alcune di esse guadagnano 2.800 rupie (circa 40 euro) al mese nelle fabbriche di abbigliamento, e il JRS spera che possano guadagnarsi da vivere facendo lo stesso lavoro da casa, con delle nuove macchine da cucire. Non si tratta solo di avere un reddito, è anche di una questione di sicurezza. La gran parte delle donne di questa comunità non ha abbastanza soldi per andare al mercato e va in cerca di cibo dopo mezzanotte, quando i mercati sono chiusi e gli scarti delle verdure sono stati gettati a terra. Alcune vanno in gruppo, per proteggersi, ma non sempre basta. “Delhi non è sicura per le donne. I giovani locali ci toccano e ci molestano in vari modi, la gente ci deruba. Sono obbligata ad andare al mercato dopo le 11 di sera per cercare cibo tra gli scarti, ma so che corro il rischio di essere molestata”, racconta Elizabeth*, una madre sola che adesso guadagna soldi cucendo abiti per bambini con una macchina da cucire affittata da una ONG. Le molestie e le aggressioni sessuali sono terribilmente diffuse in India. Le proteste di massa provocate dallo stupro di gruppo Il primo corso di cucito del JRS di Delhi rivolto alle rifugiate chin nelle periferie della città. Diciannove donne si sono diplomate dopo sette mesi e hanno ricevuto una macchina da cucire e tessuti per cominciare a lavorare da casa. (Molly Mullen/JRS) 10 India servire Info point Dopo lo spostamento del suo ufficio a Delhi nel 2011, il JRS Asia meridionale ha iniziato a cercare modi per aiutare i rifugiati chin nella città. Il JRS ha incontrato i leader e le organizzazioni della comunità chin e l’ACNUR per identificare i quartieri che non ricevevano aiuti. In attesa dei risultati di una ricerca effettuata tra 800 chin, il JRS ha iniziato dei corsi di taglio e cucito e fornisce due corsi di inglese per adulti ai membri della comunità. Alle famiglie in difficoltà e alle donne sole vengono forniti aiuti finanziari e assistenza medica. (Molly Mullen/JRS) e dall’omicidio di una ragazza di 23 anni di Delhi a dicembre hanno portato l’attenzione sulla mancanza di protezione da parte della polizia e sulla sua apatia e insensibilità verso questo genere di crimini. Grazie alla protesta dell’opinione pubblica, è stata promulgata una legge che ripristina la corte speciale per i casi di presunto stupro e che rende più severe le pene; ma le donne che denunciano le violenze sessuali rimangono poche e molti dei colpevoli non saranno mai incriminati. Tuttavia, il numero di denunce per stupro è cresciuto da 2.487 nel 1971 a 24.206 nel 2011. Nel 2012, nella sola Delhi, ci sono state 600 denunce. Non ci sono statistiche riguardo alle violenze sessuali ai danni di donne rifugiate in India. “Questo è un problema che tocca ogni donna a Delhi”, afferma Rini, una volontaria di Burmese Women’s Development (BWD), un’organizzazione gestita a livello comunitario dalle rifugiate. “Le donne indiane vengono molestate di continuo. Io sono indiana e posso almeno rispondere al molestatore o andare alla polizia, ma le donne rifugiate non possono parlare con gli agenti. Se lo fanno, la non vengono ascoltate e finiscono per sentirsi ancora più emarginate.” In un’indagine del 2012 su 30 ufficiali di polizia, il primo punto di contatto per una vittima di abusi sessuali, 17 hanno dato la colpa alla ragazza. “Le ragazze del Darjeeling e del Nepal sono arrivate qui per vendersi. Vanno con gli uomini per soldi, poi quando i soldi non sono abbastanza, diventa uno stupro”, ha affermato Try Rajpal Yadav, un ufficiale superiore, ripreso dalla 11 servire India telecamera nascosta. Non c’è da stupirsi che le operatrici di BWD, con cui il JRS ha collaborato per avviare i corsi di taglio e cucito, affermino di avere più notizie loro sui casi di abusi sessuali, parlando con le persone nei quartieri periferici di Delhi, che non la polizia. Secondo Sawmte, responsabile finanziaria di BWD, il numero di volte che una donna sola può chiedere a un amico di accompagnarla al mercato è limitato; secondo Chheri, coordinatrice dell’assistenza per i casi di violenza contro le donne, è meglio se gli uomini non vanno. “Se un uomo prova a difenderci, attira solo più uomini locali che causano ancor maggiore violenza”, afferma. Margaret* è fuggita dallo Stato Chin quando aveva 17 anni, passando il confine verso il Mizoram. Si è recata a Nuova Delhi perché è la sola città indiana dove i richiedenti asilo che non vivono nei campi possono registrarsi con l’ACNUR e ricevere qualche forma di protezione legale. Adesso ha 21 anni e afferma che Delhi è troppo pericolosa, vuole tornare nel Mizoram con i suoi amici e lavorare in una fattoria finché non sarà sicuro fare ritorno in Birmania. Guadagneranno molti meno soldi ma almeno, affermano, vivranno in una comunità più sicura in cui conosceranno i loro vicini. “Prima pensavo davvero che sarei stata più al sicuro qui che in Birmania, ma adesso non lo so”, ha affermato Margaret. Scarti di verdura lungo le strade di un quartiere di Nuova Delhi. Il JRS fornisce corsi di taglio e cucito alle donne chin di questo quartiere in modo che non debbano cercare cibo durante la notte. (Molly Mullen/JRS) * I nomi sono stati modificati. Testimonianza Sono arrivata dalla Birmania quando avevo 17 anni, attraverso il Mizoran e poi a Delhi. Mi sono subito registrata con l’ACNUR. Sono sola, tutta la mia famiglia è rimasta in Birmania. Abito con alcuni amici, ma ci sono molte persone nella casa. Le persone con cui sto sono come parenti, ma con molte altre persone nella casa ci sono problemi. A volte in questo quartiere la gente mi infastidisce, mi grida contro chiamandomi “nepalese, nepalese”. Non usiamo vestiti indiani e riconoscono che siamo stranieri. Una sera ero andata al mercato e tre uomini si sono avvicinati a me e hanno cominciato a urlare “nepalese” strattonandomi. Ho iniziato a gridare finché una donna indiana è uscita in strada e si sono fermati; allora si sono 12 allontanati un po’, continuando a guardarmi. Come donna sola, la vita è difficile. Lavoro nel quartiere, tagliando abiti per un sarto e guadagnando 2.800 rupie al mese, ma ne pago 2mila per l’affitto. Prima pensavo davvero che sarei stata più al sicuro qui che in Birmania, ma adesso non so. Se ho un problema, chi può aiutarmi? Se mi ammalo, chi mi aiuta? Devo comunque lavorare e badare alla casa. In Birmania vivevo con i miei genitori e non avevo tutte queste preoccupazioni. Ma quando sono arrivata in India, ho dovuto crescere in fretta; in quattro anni ho affrontato tante difficoltà. Se i miei genitori mi vedessero adesso, non mi riconoscerebbero. Nord Africa/Europa difendere Il divario fra le parole dell’UE e le sue azioni Philip Amaral, responsabile per l’advocacy e la comunicazione del JRS Europa Il Marocco e l’Algeria, e la loro vasta distesa di deserto, sono una terra di nessuno per i rifugiati e i migranti che aspirano a una vita di libertà e sicurezza in Europa. Dopo un viaggio lungo e pericoloso nel Sahara, è solo arrivando nel Nord Africa che capiscono che la promessa di una protezione in Europa è tanto illusoria quanto un miraggio nel deserto. Prendete la storia di Fabrice, che viene dal Camerun. Nel 2004, lui e i suoi compagni si sono persi nella zona meridionale del deserto algerino, dopo essere stati abbandonati dai trafficanti che avevano pagato perché li portassero fino al Mediterraneo. La polizia algerina li ha trovati ma, invece di aiutarli, ha gettato sabbia nella poca acqua che avevano e li ha abbandonati. Fabrice ha camminato per giorni. Altri sono crollati e non si sono più rialzati. Lui ha perso coscienza ma è stato miracolosamente trovato da un nomade del deserto che l’ha portato in un campo in Niger. “Così tante persone muoiono nel deserto”, dice Fabrice. “Non potete neanche cominciare a immaginare. Muoiono, i loro corpi vengono coperti dalla sabbia e il mondo si dimentica che siano mai esistiti.” Una vita in perenne transito La storia di Fabrice è documentata, insieme a molte altre, in un rapporto pubblicato dal JRS Europa nel dicembre 2012 dal titolo Lives in Transition (Vite in transito). Il rapporto è basato su interviste a rifugiati e migranti che sono bloccati in una situazione di perenne transito in Marocco e Algeria. Sebbene entrambe le nazioni abbiano ratificato la Convenzione sui rifugiati del 1951, nessuna delle due ha una legge sull’asilo. In Marocco, l’Ufficio per i rifugiati e gli apolidi non funziona dal 2004, e l’ACNUR è lasciata sola a determinare lo status di rifugiato e a difendere i diritti di base. Tuttavia, lo status di rifugiato dato dall’ACNUR non sempre viene riconosciuto. Il JRS Europa ha documentato casi in cui la polizia marocchina ha arrestato persone con lo status di rifugiato e le ha portate al confine col deserto algerino. L’ACNUR cerca di Così tante persone muoiono nel deserto. Non potete neanche cominciare a immaginare. Abitanti di Tangeri guardano verso l’Europa. (Andrew Galea Debono) 13 difendere Nord Africa/Europa La recinzione che separa il Marocco dalla città spagnola di Ceuta. (Andrew Galea Debono) intervenire, ma spesso non può fare niente perché le retate si svolgono durante la notte. I migranti e i rifugiati sono trattati come cittadini di serie B. Michelle ha raccontato al ricercatore del JRS Europa che quando chiede l’elemosina per strada i marocchini spesso la insultano e le dicono di andare a lavorare. “Ma quando cerco un lavoro mi chiedono se ho i documenti in regola, e quando dico di no mi rispondono che non c’è lavoro. A volte la polizia marocchina mi ferma e devo usare tutti i soldi che ho per togliermi dai guai ed evitare di essere rispedita a Oujda [sul confine con l’Algeria].” In Algeria si riesce a trovare lavoro nel mercato nero, dove lo sfruttamento è la regola. Ismail, un migrante dalla Costa d’Avorio, conosce molto bene i rischi di questi lavori. “A volte le persone vengono arrestate perché non hanno documenti validi o perché lavorano in modo irregolare. Ma secondo loro come dovremmo sopravvivere?” Molti migranti ricorrono all’occupazione abusiva di edifici abbandonati perché non possono 14 permettersi di pagare un affitto. Il nostro ricercatore ha incontrato Matias, un giovane di 32 anni della Guinea Equatoriale, e Jean, un giovane di 22 anni del Camerun, in un edificio non terminato a Boush Bouk, un quartiere di Algeri. La loro stanza era senza porta e fungeva da camera da letto, da sala, da cucina e da bagno. Era una delle stanze migliori della zona: almeno aveva tutti e quattro i muri. Di fronte a una contraddizione Nel 2012 l’Unione europea ha vinto il premio Nobel per la pace. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha affermato che il premio “permetterà all’Europa di contribuire a modellare un mondo migliore in linea con i valori della libertà, della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto”. In Nord Africa questa affermazione cade nella più allarmante delle contraddizioni. Dal 2010, diversi drammatici cambiamenti hanno allargato il divario tra le ambizioni dell’UE e le sue azioni. I 20mila migranti arrivati in Italia in seguito alla rivoluzione tunisina sono stati una patata bollente che nessun governo dell’UE ha voluto toccare. Le nazioni europee si sono mosse velocemente per la guerra al dittatore libico Gheddafi, ma poi hanno reinsediato solo alcune centinaia di rifugiati rispetto alle centinaia di migliaia ricevute dall’Egitto, dal Ciad e perfino dalla Tunisia. In Siria, l’attuale risposta dell’UE è ugualmente rivelatrice. Sebbene abbiano lodevolmente donato più di 400 milioni di euro in aiuti umanitari, le nazioni dell’UE si tirano indietro di fronte alla prospettiva di reinsediare rifugiati nei loro territori. Così, mentre le nazioni che confinano con la Siria hanno ricevuto più di un milione di rifugiati, solamente 20mila richiedenti asilo siriani hanno raggiunto l’Europa. Gli eventi tumultuosi nelle aree vicine hanno portato l’UE a intensificare i controlli lungo i suoi confini meridionali, rendendo quasi impossibile per i migranti e i richiedenti asilo raggiungere Nord Africa/Europa l’Europa senza rischiare il viaggio per mare. L’ACNUR ha definito il 2011 come “l’anno più letale” per i migranti nel Mediterraneo, un anno in cui quasi duemila persone – quelle di cui si ha notizia certa – sono morte. Eventi di questo tipo non sono nuovi. Un accordo bilaterale del 1992 tra Spagna e Marocco ha chiuso brutalmente la frontiera fra i due paesi. Da allora, qualsiasi migrante che provi a raggiungere le enclave spagnole di Ceuta e Melilla è immediatamente riportato indietro in Marocco. In un incidente nel 2005 le guardie marocchine hanno aperto il fuoco su centinaia di migranti che tentavano di scalare la recinzione verso Melilla. Nel 2006 Fabrice ha provato a raggiungere Ceuta dal Marocco, nuotando per due chilometri e cercando allo stesso tempo di aiutare una donna incinta lungo il tragitto. Ma la donna è svenuta. Mentre Fabrice lottava disperatamente per salvarla, la Guardia Civil spagnola li ha individuati e issati a bordo della nave. “Invece di portarci in salvo, ci hanno riportati vicino alla riva marocchina e ci hanno ributtati in mare”, ricorda Fabrice. La donna è sopravvissuta, ma ha perso il bambino, grazie alle guardie di frontiera che lavorano per una nazione europea, parte della stessa UE che ha vinto il premio Nobel per la pace. questa protezione venga fornita. Qualsiasi accordo bilaterale tra uno stato dell’UE e un paese terzo deve contenere una clausola sui diritti umani che protegga i diritti fondamentali di tutti i migranti, inclusi i diritti economici, sociali e culturali. E i migranti non devono essere portati con la forza verso nazioni che non siano in grado di proteggere i loro diritti. Il primo e principale invito che il JRS Europa rivolge ai governi di Marocco e Algeria è di implementare una propria legge nazionale sull’asilo. Le persone riconosciute come rifugiate non devono essere deportate. Entrambi i governi dovrebbero inoltre permettere alle ONG di fornire liberamente aiuto a chi ne ha bisogno. Molti migranti alla fine si rassegnano a vivere in uno stato di perenne transito per anni. Ma alcuni cercheranno comunque di raggiungere l’Europa, quali che siano i rischi, sperando di avere maggior fortuna. Un uomo ha detto al JRS Europa: “Dio è con me e mi proteggerà”. La sua fede incrollabile di fronte alla miseria è commovente. Speriamo che l’UE faccia la sua parte. difendere Jesuit Refugee Service Europe Experiences of migrants living in Morocco and Algeria Lives in Transition December 2012 Research by Andrew Galea Debono Based on interviews with migrants in Casablanca, Rabat and Tangiers in Morocco, and in Algiers, Oran and Tamanrasset in Algeria Sul web Potete scaricare il rapporto del JRS Europa, Lives in Transition, alla pagina www.jrs.net/ assets/Publications/File/ JRSEuropeLivesInTransition Dec20121.pdf Il progetto del JRS a Casablanca, chiamato Service Accueil Migrantes (SAM), offre alle donne corsi di lingua e altre attività, un asilo nido e un sostegno per avviare piccole attività per produrre reddito. (Andrew Galea Debono) Assumersi la responsabilità Attraverso il rapporto, il JRS Europa invita l’UE a essere all’altezza degli ideali per cui è stata premiata. L’UE e i suoi stati membri devono mettere in pratica meccanismi che permettano di identificare i migranti bisognosi di protezione e assicurino che 15 difendere Internazionale Sfollati trovano riparo in una chiesa nel nord dello Sri Lanka. (JRS Internazionale) FEDE E PROTEZIONE La centralità della fede Nel dicembre 2012 l’ACNUR ha dedicato il Dialogo sulle sfide in tema di protezione al legame tra fede e protezione. Michael Gallagher SJ, rappresentante del JRS a Ginevra, ha partecipato all’organizzazione dell’incontro, cui hanno preso parte Peter Balleis SJ, direttore internazionale del JRS, e Mitzi Schroeder, del JRS Stati Uniti. Riconoscere che la fede gioca un ruolo cruciale nell’esperienza dei rifugiati è fondamentale per offrire protezione. Tutti convergevano su questa verità durante il dialogo su fede e protezione organizzato a Ginevra dall’ACNUR, che ha analizzato la centralità della fede per i rifugiati, i punti di forza e le sfide cui vanno incontro le organizzazioni confessionali e le loro relazioni con gli altri enti umanitari. Tuttavia, l’ACNUR ha riconosciuto la necessità di aumentare la propria “conoscenza sulla fede” e ha annunciato azioni per una più profonda comprensione di questi elementi. “La fede contribuisce alla protezione e al benessere dei rifugiati molto più di quanto si pensi”, ha affermato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, all’incontro del 12 e 13 dicembre. 16 “Per la maggior parte delle persone sradicate, poche cose aiutano ad affrontare la paura, il senso di perdita, la separazione e la povertà come riesce a fare la fede. Essa è anche cruciale per la speranza e la capacità di ricominciare”. Ignorare la fede “significherebbe ignorare le sue potenzialità nel preservare la dignità e nel trovare soluzioni per le persone di cui ci prendiamo cura”. Guterres ha invitato i leader religiosi, i funzionari dell’ACNUR e i rappresentanti delle ONG e dei governi presenti a “riflettere sui valori e sui principi comuni alle diverse religioni che sostengono l’idea di protezione e uniscono noi e i nostri partner nell’azione comune”. Evidenziando il terreno comune alle diverse religioni nell’ambito della protezione di coloro che sono in cerca di rifugio, ha affermato che il nostro stato di diritto trova le sue radici nelle loro antiche leggi. I punti di forza inconfutabili delle organizzazioni confessionali sono stati rapidamente identificati, considerato che esse forniscono sostegno dal momento dello sfollamento fino all’attuazione di soluzioni durevoli. In molti casi, le comunità religiose locali sono le prime a cui i rifugiati si rivolgono. Godendo spesso di maggiore fiducia e avendo una maggiore conoscenza della situazione locale, si attivano rapidamente e rimangono presenti quando altri se ne vanno. Comunità religiose di fedi differenti sono presenti praticamente ovunque, hanno strutture e legami col territorio, condividono l’etica dell’accoglienza e della protezione. Guterres ha evidenziato due aspettative delle organizzazioni confessionali: “aiutare a creare e rafforzare comunità di accoglienza per i rifugiati” e “contribuire Internazionale in maniera più consistente a raggiungere soluzioni durevoli”. Due gruppi di lavoro hanno discusso di questi temi, mentre un terzo si è occupato della cooperazione tra l’ACNUR e le organizzazioni confessionali. Le comunità religiose hanno un grosso potenziale per trasformare il diritto legale di asilo in realtà nelle nazioni di accoglienza, attraverso la ripresa, la riconciliazione, la creazione di atteggiamenti positivi, la lotta alla xenofobia e la costruzione di relazioni. La discussione ha portato a identificare delle buone norme: le comunità religiose devono unire le forze per combattere la xenofobia, cooperare con la polizia per prevenire e denunciare i crimini alimentati dall’odio e formare congregazioni che creino comunità di accoglienza. È stato sottolineato il bisogno di dialogo interreligioso per promuovere una coesistenza pacifica. Perché è assodato che “la violenza e la persecuzione vengono perpetrate anche in nome della religione”, ha affermato Guterres, aggiungendo che sono spesso i politici a sfruttare la religione. Sono emerse anche le difficoltà che le organizzazioni confessionali affrontano. Una è l’essere percepite in modo negativo dagli altri enti umanitari, che hanno il timore che esse possano favorire i rifugiati della propria confessione o che possano fare proselitismo. C’è stato accordo unanime sui principi base dell’azione umanitaria, imparzialità, non discriminazione, uguaglianza e protezione verso qualsiasi forma di imposizione di condizioni. Uno dei partecipanti ha affermato: “Rispondere al bisogno e non al credo”. Un altro ostacolo è la mancanza di apprezzamento. Guterres ha riconosciuto come l’ACNUR non sempre colga appieno il potenziale delle organizzazioni confessionali. “L’indicazione più importante di questi giorni è la necessità difendere per gli enti umanitari, incluso l’ACNUR, di approfondire la propria comprensione delle tradizioni religiose nell’ambito delle varie fedi.” Il gruppo di lavoro che ha aiutato a preparare l’incontro, di cui fa parte il rappresentante del JRS a Ginevra Michael Gallagher SJ, è diventato un network ufficiale con il compito di sviluppare il progetto di alfabetizzazione religiosa rivolto agli operatori dell’ACNUR e di identificare le linee guida da seguire nella collaborazione fra ACNUR e organizzazioni confessionali. Guterres ha inoltre appoggiato la richiesta emersa durante l’incontro riguardo la stesura di un codice di condotta per i leader religiosi in situazioni di sfollamento. La speranza è che questo incontro possa portare, nel lungo termine, a una migliore collaborazione non solo fra l’ACNUR e le organizzazioni confessionali, ma anche fra le stesse organizzazioni. Partecipanti al dialogo su fede e protezione organizzato dall’ACNUR nel dicembre 2012. (Jean-Marc Ferrè/ACNUR) Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati Il dialogo ha aiutato il JRS a comprendere meglio il proprio carattere di organizzazione confessionale internazionale e i propri punti di forza: • Poter contare su una solida rete internazionale di solidarietà, attraverso la collaborazione con i gesuiti e le chiese locali per raggiungere rapidamente i rifugiati nelle situazioni di emergenza. • Condividere i valori fondamentali con altre fedi: compassione, speranza, giustizia e ospitalità. • Accogliere nelle proprie équipe in tutto il mondo persone di ogni fede. • Fornire un servizio completo, definito dal nostro fondatore come umano, pedagogico e spirituale, che promuova speranza, guarigione, riconciliazione e capacità di ricominciare. • Ascoltare i rifugiati e dar loro la possibilità, quale che sia la loro fede, di parlare dell’azione di Dio nella loro storia. • Fornire servizi pastorali ai rifugiati cattolici che ne sentano il bisogno, in modo distinto dal resto dei servizi offerti. Peter Balleis SJ 17 difendere Colombia FEDE E PROTEZIONE Liberi dalla paura Oscar Javier Calderón Barragán, coordinatore del progetto del JRS a Cúcuta, racconta la storia di una donna, segnata dal conflitto armato in Colombia, che ora lavora per la riconciliazione e la pace. “Vorrei la pace, la pace per sempre, mai più la guerra, mai più uccisioni.” Per Concepción*, pace significa essenzialmente giustizia e riconciliazione e sono la sua speranza e il suo desiderio più profondi. La storia di Concepción è simile a quella di molti altri colombiani, obbligati a vagare da un posto all’altro per sopravvivere, a causa dell’attività incessante e sempre più distruttiva dei gruppi armati nei loro territori. Concepción è una contadina che viveva nell’area intorno al fiume Catatumbo, nel dipartimento di Norte de Santander, nel nord-est della Colombia. Con la sua famiglia si trovò all’improvviso in mezzo al conflitto e le persecuzioni e le minacce costanti obbligarono tutti loro a lasciare la propria casa per raggiungere la città di Cúcuta, al confine con il Venezuela. Ma il peggio doveva ancora arrivare: il figlio di Concepción “sparì” mentre si recava al lavoro in una fattoria. Nella sua ricerca della verità, durante i processi istituiti nel 2005 dalla Legge di Giustizia e Pace, Concepción si è trovata davanti agli assassini di suo figlio. Quando ha chiesto di riaverne il corpo, un comandante paramilitare ha ammesso la sua responsabilità nell’omicidio ma ha dichiarato che il corpo era stato gettato nel fiume ed era impossibile ritrovarlo. Questa esperienza di indicibile dolore ha segnato profondamente la vita di Concepción, al punto che – secondo le sue stesse parole – “si è liberata del tutto dalla paura”. Non ha paura di scoprire la verità e persistere 18 nella ricerca della giustizia. Sebbene capisca bene la fase di transizione dei processi di giustizia colombiani, non è questo il tipo di giustizia che Concepción vuole. Nessuna risarcimento potrà mai restituirle suo figlio e i suoi sogni. Ma le sue ferite stanno guarendo. Da sette anni Concepción e altre donne della sua comunità si incontrano ogni settimana e, attraverso l’ascolto attento e rispettoso, il sostegno reciproco e la preghiera, cercano di lenire l’un l’altra le ferite lasciate dalla guerra. Queste donne, coscienti dei loro diritti, operano affinché tragedie come le loro non si ripetano. Impiegano parte del tempo che passano insieme percorrendo le strade della loro comunità in cerca di altre donne che non abbiano ancora intrapreso un percorso di riconciliazione, per condividere la loro ricerca e la loro opera per la pace. * Il nome è stato modificato. Info point Molte persone in Colombia sono “scomparse”, vittime dei gruppi armati nazionali – in particolare paramilitari – in guerra da decenni. Fra gli scomparsi ci sono attivisti dei diritti umani, sindacalisti e giovani delle zone rurali in conflitto. La Legge di Giustizia e Pace del 2005 istituisce dei processi speciali che prevedono pene notevolmente ridotte per i paramilitari accusati di crimini in cambio di piene confessioni e di contributi al risarcimento delle vittime. Ma, finora, solo pochi di essi sono stati ritenuti colpevoli e condannati. Un laboratorio sulla memoria storica a Cúcuta, in Colombia. Diventeresti “cieco” se dimenticassi tutto ciò che è successo – perdonare non vuol dire dimenticare. (Holmes Villegas/JRS) Ciad L’incontro di due mondi riflessione FEDE E PROTEZIONE Suor Marie Hélène Dupré la Tour, JRS Ciad Nel settembre 2011 sono arrivata a Goz Beida, nel Ciad orientale, per coordinare un progetto del JRS di sostegno alle scuole primarie per i bambini sfollati. Presto ho percepito chiaramente di essere in un paese musulmano. Le donne portano il velo, le conversazioni sono condite da Amdullah! (sia ringraziato Dio), Allebakhit! (Dio ti benedica), Inchallah! (se Dio vuole). La preghiera è impossibile da ignorare, la vedi, la senti, la gente si prostra nei luoghi pubblici. L’amplificatore della vicina moschea chiama alla preghiera a tutte le ore. La sera, verso le 18:45, recito i salmi con un’altra volontaria, suor Sabine, sullo sfondo del canto del muezzin: “Allah Akhbar!” Mi dico che le invocazioni di queste due voci, una splendida e involontaria polifonia, devono fondersi in un qualche punto tra la terra e il cielo per essere così ricevute da colui al quale sono dirette. La preghiera è presente anche nel lavoro. L’ho scoperto durante uno dei primi incontri della nostra équipe, quando nel primo pomeriggio alcuni colleghi hanno lasciato la stanza per una ventina di minuti senza dire nulla. All’inizio mi ha sorpreso spprendere che erano andati a pregare e ho pensato che fosse poco professionale. Quando ho chiesto spiegazioni, i miei colleghi mi hanno aiutata a capire che sebbene il Ciad sia uno stato secolare, la preghiera è totalmente integrata nella vita quotidiana. Se l’Islam è onnipresente, anche la tradizione cristiana è una realtà per la presenza di diverse agenzie umanitarie e di ciadiani di altre regioni. Vedo un rispetto reciproco tra tutti loro, accompagnato da un considerevole sforzo per superare ogni possibile divisione. Abbiamo deciso, come équipe, di iniziare la giornata con una breve preghiera, animata a turno da ognuno di noi. I cristiani fanno propri i versi del Corano, mentre i musulmani condividono l’“amen” alla fine della preghiera “per Gesù Cristo nostro Signore”. Facciamo affidamento gli uni sugli altri, ponendo nelle mani di Dio le attività che ci apprestiamo a svolgere. La sera, a volte, faccio visita alla mia vicina Madame Marioma, una donna pia e colta che mi racconta la storia di Abramo, Gesù e Maria in una versione più spettacolare di quella che ho appreso dalla Bibbia. Mi rendo conto di come l’Islam abbia riscritto alcuni testi biblici in modo più dettagliato e, guardando più attentamente, posso vedere come il narrare in una maniera più drammatica la rivelazione divina sia una differenza essenziale tra l’Islam e la tradizione giudeo-cristiana. Eppure sono contenta della ricerca di comunione che si è creata tra me e Marioma attraverso questa diversità di narrazione. Questi momenti di condivisione, insieme alla preghiera personale quotidiana senza la quale la mia vita e il mio impegno con il JRS non avrebbero senso, si sono fusi sorprendentemente durante il mio tempo qui. Anche se non prego secondo le norme comuni a Goz Beida, la mia fede cristiana è pienamente sostenuta dalla loro visibilità. È come un richiamo e un invito a cedere al “Creatore di tutte le cose” il suo giusto posto. JRS Internazionale 19 Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 Servir è redatto, prodotto e stampato a Malta Mittente (per cortesia, rispedire al mittente anche gli invii a indirizzi non più validi) Jesuit Refugee Service Malta, St Aloysius Sports Complex, 50, Triq ix-Xorrox, Birkirkara, Malta www.jrs.net Design by La mia vita da rifugiato, una mostra di fotografie scattate da rifugiati in cinque paesi europei, è stata esposta al Parlamento europeo dal 27 al 30 novembre 2012. L’esposizione ha mostrato in modo chiaro agli attori politici la prospettiva di coloro che più subiscono gli effetti delle leggi europee sull’asilo e sull’immigrazione che essi preparano. Nei mesi precedenti la mostra, il JRS ha invitato i rifugiati in Italia, a Malta, in Portogallo, in Romania e nel Regno Unito a partecipare al progetto. Gli uffici del JRS hanno collaborato con fotografi e organizzazioni locali che hanno generosamente offerto formazione, macchine fotografiche e aiuto nell’elaborazione delle foto. Grazie al loro sostegno, il cuore del progetto ha preso forma: dare ai rifugiati la possibilità di mostrare il mondo attraverso i loro occhi, scegliendo con quali parole accompagnare le loro fotografie. La mia vita da rifugiato MOSTRA FOTOGRAFICA Tra i più di 300 scatti ricevuti, 20 sono stati scelti per la mostra, che è ora disponibile online alla pagina http://www.flickr.com/photos/jrseurope/ sets/72157632178085052/