Relazione_Conf_PN_29_03_2012

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Relazione_Conf_PN_29_03_2012
Identità e Innovazione
Atti della conferenza del 29 marzo 2012 tenuta a Pordenone
Aspetti economici del federalismo:
Sommario
1 – Premessa: le origini
2 – La necessità di federalismo
3 - Federalismo in Europa: Scozia, Spagna, Germania
4 - IL federalismo tedesco: un modello per la UE?
5 - La storia recente del federalismo italiano
6 – Federalismo, questione meridionale e settentrionale scontro senza sintesi
7 – Sviluppo delle infrastrutture e spostamento dei poli di sviluppo
8 - Il potere del commercio e della finanza mondiale sulla governance degli stati sovrani
9 – La regionalizzazione della PAC
10 - Regioni e federalismo
11 – Il futuro del federalismo italiano
1 – Premessa: le radici del federalismo: la nascita degli stati federali
Lo statuto albertino e la carta costituzionale dello Stato liberale
Due caratteri distintivi:
i)
è breve: nel senso che si limita a prescrivere l'assetto istituzionale degli organi statali, mentre la
parte relativa ai diritti fondamentali dei cittadini è limitata ad una mera proclamazione di principio, senza
disposizioni relative alla concreta attuazione degli stessi;
ii)
è flessibile: cioè non sono previsti procedimenti aggravati per la revisione della
Costituzione, che può essere modificata con il procedimento legislativo ordinario. In concreto, modificare la
Costituzione diventava semplice come emanare delle leggi ordinarie.
Le premesse del federalismo le troviamo nei principi dello statuto albertino dove le funzioni dello Stato
liberale sono limitate a compiti di difesa e ordine pubblico: l'intervento in economia è volto e limitato a
garantire che i soggetti economici si muovano ed operino secondo la legge di mercato, secondo la dottrina
economica del laissez faire (liberismo).
Lo Stato Liberale è intrinsecamente laico, in virtù della separazione delle sfere di influenza tra potere
pubblico e forme di religione organizzata (es.: "Libera Chiesa in Libero Stato" (Cavour tra i principali ispiratori
del liberalismo) questa formula garantisce una maggiore democrazia poiché concede agli individui di ispirare
la loro esistenza ai principi dell'autonomia, etica e spirituale senza essere condizionati da ideologie religiose
ed principi paternalistici a sfondo autoritario .
L’esigenza di una nuova riflessione su alcuni nodi cruciali della governance come la finanza regionale deriva
dalla necessità di assicurare che l’implementazione del “federalismo” si traduca nel reale riconoscimento di
una potestà tributaria di questi enti e, particolarmente, nella valorizzazione di quegli spazi di autonomia
impositiva da implementarsi nelle regioni a statuto speciale.
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2 – La necessità di federalismo
Determinanti economici del federalismo.
Secondo K. Ohmae gli stati nazionali sono ormai un dinosauro vicino alla morte. Non solo essi
hanno perso in larga parte la capacità di determinare le scelte localizzative e di controllare il mercato
finanziario e la politica monetaria, ma spesso non sono più neppure in grado ormai di generare
attività economiche, finendo così per perdere il ruolo che essi avevano sia sul piano esterno
nell'organizzazione dell'economia internazionale, che sul piano interno nella distribuzione del reddito
per garantire il benessere dei cittadini.
La caduta del Muro di Berlino e la conseguente unificazione tedesca, la guerra del Golfo,
accompagnata dalla fine del comunismo sovietico e lo “sbilanciamento” del sistema mondiale, le bolle
speculative del 2008, 2009 il fallimento del sistema bancario USA hanno contribuito a stimolare nei
governanti europei la necessità di accelerare il processo di integrazione politica, fase necessaria per gestire
il processo di unificazione monetaria forse avvenuto in modo eccessivamente rapido. Negli anni 1992 e 1993
sono stati fissati, nel rispetto delle disposizioni contenute nel Trattato di Maastricht, parametri economici e
vincoli di bilancio con i quali gli Stati membri avrebbero dovuto elaborare un nuovo ordinamento economico
basato su principi di maggiore autonomia affidando la gestione della politica monetaria ad un’Autorità
centrale europea appositamente costituita: la Banca Centrale Europea
In diverse parti del mondo si vanno formando realtà economiche, vere e proprie regioni-stato, che dialogano
tra di loro by-passando gli stati ai quali appartengono, costituendo dei mercati autonomi di beni e servizi in
forte ascesa. La formazione di questo nuovo arcipelago di città-stato e di stati-regione spinge verso la
disintegrazione politica, che coinvolge lo stato nazione e il vecchio ordine mondiale, determinando tensioni e
rivendicazioni autonomistiche, da cui scaturiscono nuove comunità internazionali e nuove relazioni.
Tra i maggiori stati federali del mondo si annoverano gli Stati Uniti d'America, il Brasile, la Russia, l'India, il
Canada, la Svizzera, l'Austria, la Germania e il Belgio. Alcuni di questi stati sono di grandi dimensioni
(extraeuropei) mentre in Europa si osserva che l’ordinamento federale ha prodotto risultati ottimi in alcuni
paesi ed ha evidenziato i contrasti etnici in altri.
In America, nel periodo successivo alla guerra di indipendenza, i tredici stati organizzarono un congresso a
Philadelphia (1787) con l'intenzione di concepire una struttura statale in grado di assicurare il superamento
dei particolarismi locali che sembravano impedire il decollo economico della giovane nazione. La soluzione
federalista, esposta in una serie di scritti da John Jay, Alexander Hamilton e James Madison, e soprattutto
Alexis de Tocqueville si basava sull'istituzione di una forma di governo in cui i singoli stati un principio di
decentramento amministrativo volto a tutelare gli interessi dei cittadini avrebbero mantenuto il controllo su
alcune funzioni d’interesse generale come l'istruzione pubblica, l'amministrazione della giustizia, il calendario
delle festività, il regolamento della coscrizione, l'organizzazione economica, delegando a un governo
federale appositamente nominato il coordinamento della difesa, il controllo della moneta unica, la
costituzione di una suprema Corte d'appello, la possibilità di legiferare in materia di interessi economici
nazionali.
3 - Federalismo in Europa: Scozia, Spagna, Germania
(Articolo di F. Martire 16/03/2012 pubblicato in Europa Mondo e Politica)
Nel 1963 il giurista e politico federalista francese Guy Héraud pubblicava il libro L’Europe des éthnies, un
testo fondamentale per lo studio delle minoranze etniche e delle cosidette ‘nazioni senza stato’ che
compongono il complesso tessuto del vecchio continente. Il sogno di Héraud – un incubo per altri –
consisteva nella ristrutturazione politica dell’Europa in funzione delle etnie componenti il territorio anziché
sulla base degli Stati come li conosciamo noi oggi. Storici e politologi continuano ancora oggi a dibattere
animatamente sul pensiero e sulla proposta di Héraud e dei suoi maestri e allievi (Denis de Rougemont e
Alexandre Marc)
Un fatto di rilevanza attuale è l’annuncio arrivato da Londra ed Edinburgo alcune settimane fa dopo la netta
vittoria degli indipendentisti dello Scottish National Party di Alex Salmond alle ultime elezioni parlamentari
scozzesi sul referendum di indipendenza della Scozia dal Regno Unito.
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Il dibattito in Gran Bretagna è ora sul contenuto del quesito referendario: David Cameron preme per una
domanda netta, sì o no all’indipendenza, mentre Alex Salmond preme per l’introduzione della cosidetta
opzione di devo max (o full fiscal autonomy) che consiste sostanzialmente in una completa indipendenza
fiscale e finanziaria pur mantenendo la Scozia all’interno dei confini del Regno Unito: una sorta di ipotesi
federale ‘estrema’ che godrebbe, stando ai sondaggi, di grande appoggio in Scozia.
Spagna. Nel paese iberico vivono almeno tre grandi gruppi minoritari – Baschi, Catalani e Galiziani – due dei
quali (Baschi e Catalani) fortemente schierati per l’indipendenza dal Regno. In Catalonia le piattaforme
popolari separatiste hanno organizzato nel corso del 2009 e 2010 perfino delle consultazioni referendarie
per chiedere ai catalani cosa ne pensassero dell’indipendenza, soprattutto dopo la parziale bocciatura dello
statuto di autonomia locale da parte del Tribunale Costituzionale Spagnolo: una decisione che, a detta di
molti esperti, ha ucciso nella culla il progetto di una Spagna federale, plurale e multinazionale. Non molto
diversa la situazione nei Paesi Baschi. Dopo l’abbandono delle armi da parte di ETA il dibattito
sull’indipendenza sta prendendo una nuova piega in Euskadi, con persino il presidente del Partito Socialista
locale (ufficiamente ‘unionista’), Jesús Eguiguren, che parla di ‘Costituzione basca’.
4 - IL federalismo tedesco: un modello per la UE?
La nascita del federalismo tedesco precede quella dello Stato: per quasi un millennio la storia federativa
tedesca è stata quella di diverse entità politiche, prive di un unico punto di riferimento, come invece furono
Parigi e Londra, ma con una moltitudine di centri minori, trasformatisi gradualmente in Stati durante l’età
moderna.
Dopo la riunificazione del 3 ottobre 1990 il funzionamento del federalismo in Germania, basato sul
«bicameralismo imperfetto», è diventato più complesso: alcuni criticano l’inadeguatezza dell’eccessivo
particolarismo regionale, definendo la Germania «uno Stato unitario camuffato», altri hanno bollato invece la
Bundesrepublik come «uno Stato dalla mera facciata federale», dietro la quale vi è il forte potere
centralistico del Bundesregierung.
Quello tedesco è l’unico ordinamento a struttura federale che fa parte del sistema comunitario fin dalla
nascita della Comunità europea: per questo la Germania ha sperimentato prima degli altri Stati federali i
problemi peculiari che l’integrazione europea ha comportato e ancora implica per un’organizzazione
complessa, basata su una pluralità di centri e livelli di governo, e più degli altri ha proposto soluzioni
normative per conciliare decentramento interno e accentramento comunitario
Perché la Germania possa partecipare al processo di unificazione europea, l’Ue deve adeguarsi ai medesimi
principi inviolabili su cui si fonda l’ordinamento tedesco; un’ulteriore garanzia ideologica è data dalla
previsione dell’impossibilità di ulteriori trasferimenti di sovranità all’Unione senza il consenso dei Länder.
Sulla base di questi presupposti si può comprendere l’importante e molto criticata sentenza del
Bundesverfassungsgericht del 1993 sui limiti Secondo tale verdetto i principi cardine della Costituzione
tedesca e, soprattutto, il principio democratico espresso nella funzione legislativa del parlamento
eletto dai cittadini, impediscono trasferimenti di sovranità all’Unione che oltrepassino il limite
intangibile di tali principi. Ciò significa, quindi, che il postulato democratico del Grundgesetz non
impedisce la partecipazione tedesca a un’organizzazione sovranazionale detentrice di sovranità, ma
implica che tale partecipazione sia subordinata all’esistenza di una legittimazione popolare del
processo decisionale dell’organizzazione all’integrazione europea, nota come «sentenza Maastricht»..
Bisogna dunque chiedersi se questo sistema federale stia dando risposte rapide e sufficientemente flessibili
alle diverse istanze politico-economiche, e se queste pongano la Germania come indiscusso punto di
riferimento istituzionale del processo di allargamento dell’Unione Europea in senso federalista, l’unico
modello peraltro concretamente realizzabile nel Vecchio continente, in luogo di una lontana unione politica,
guidata da un governo centrale dotato di ampi poteri.
LO sviluppo storico del federalismo in Italia
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La UE percepita in modo fastidioso
(i regolamenti, le quote latte) ma tutto sommato dalle conseguenze limitate, oggi appare in tutta la sua
evidenza con la moneta unica, le istituzioni economico-finanziarie che progressivamente sostituiscono il
ruolo mancante della politica, la costituzione del Direttorio Franco-Tedesco che vengono legittimati dalla
mancanza di una leadership e proteggono i loro interessi commerciali.
Il processo di unificazione europea è lontano dall’essere compiuto: il Parlamento europeo rappresenta poco
più che un organo istituzionale di rappresentanza formale dei diversi stati, al quale nessun stato vuol cedere
quote di sovranità nazionale mentre la Commissione ha evidenziato l’aspetto burocratico della governance e
la BCE ha evidenziato l’aspetto impositivo della finanza con il rispetto della parità di bilancio.
Gli avvenimenti dimostrano una inevitabile trasformazione nelle modalità di fare politica più che nelle
strategie e visioni di lungo periodo come si è osservato nel periodo delle gradi utopie degli anni 60
(Schuman, Adenauer, De Gasperi); si cercano aggiustamenti di breve periodo come dimostrano i direttori, le
intese bi o multilaterali. In assenza di una regia politica unitaria prevalgono gli interessi economici delle parti
col tentativo di scaricare sulla UE i fallimenti ed i costi delle politiche locali a cui pongono rimedio la Banca
Centrale Europea e l’FMI col primariato della finanza sulla politica.
Questo mette in evidenza la necessità di una strategia politica ed economica decentrata dando maggior
voce alle autonomie locali. IL federalismo è la espressione di entità territoriali autonome che riconoscono
l'autorità costituzionalmente stabilita di uno stato sovrano che concede autonomia alle comunità locali che si
autorganizzano gestendo la maggior parte delle funzioni che presiedono la vita civile: istruzione, sanità,
ordine pubblico mentre l'amministrazione centrale esercita i suoi poteri (di solito relativi a difesa e politica
estera) negli spazi lasciati liberi dalle autonomie locali.
Si tratta di un processo che parte dall’alto per muoversi verso il basso, e che tipicamente descrive quanto è
avvenuto in Italia nel 1947. In Italia si parla di un federalismo istituzionale leggero, che si riduce
sostanzialmente alla soppressione del Senato e nella sua sostituzione con un Consiglio delle regioni, come
in Germania, di federalismo fiscale, che significa estendere l’autonomia delle regioni anche al campo fiscale.
5 - Il federalismo in Italia: Cattaneo, Mazzini, Rossi, Spinelli, Miglio
In Italia il pensiero federalista si diffonde durante il Risorgimento, soprattutto per opera di Carlo Cattaneo e
Giuseppe Mazzini. Fu il Cattaneo a suggerire per primo la opportunità di rivolgere conte
stualmente l'attenzione non soltanto all'Europa ma anche alla riorganizzazione dei poteri all'interno dello
stato, con lo scopo evidente di creare un contrappeso al centralismo, in una prospettiva di forte autonomia
regionale. Costruzione di una federazione di stati europei e nello stesso tempo realizzazione del
federalismo infranazionale rappresentavano per il Cattaneo due aspetti di uno stesso problema, da
affrontare in parallelo e in maniera armonica. Egli faceva riferimento ad una entità regionale vista come
espressione territoriale di una comunità caratterizzata da specifica identità socio-economica e culturale e
articolata più che su unità fisiche, sui poli urbani, considerati motore dell'organizzazione territoriale, vista
come processo in evoluzione.
In seguito all'unità d'Italia e alla costituzione di uno stato unitario e centralista (scelta dovuta anche a
obiettive esigenze burocratiche e amministrative), le idee federaliste declinarono. Ernesto Rossi durante il
confino stilò, con Altiero Spinelli, il Manifesto di Ventotene (1941), atto di fondazione del Movimento
federalista europeo, e fu in seguito membro del Partito d'azione che portò alla nascita di organismi
internazionali: Società delle Nazioni, Organizzazione delle Nazioni Unite e il Consiglio d'Europa.
Tra le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano" il pool di professori coordinati da
Miglio - v'era il rafforzamento del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la
fine del bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat
tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la
camera dei deputati. Secondo il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero
garantito all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei partiti e
salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di diritto.
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Nel 1990 si avvicinò alla Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste della
Lega Nord-Lega Lombarda (da allora a Miglio fu attribuito l'appellativo lombardo di Profesùr), per quattro
anni (dal 1990 al 1994) lavorò per il partito con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. In questo
periodo elaborò un progetto di riforma federale fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità
federale e a quella delle macroregioni o cantoni (del Nord o Padania, del Centro o Etruria, del Sud o
Mediterranea, oltre alle cinque regioni a statuto speciale). La costituzione migliana prevedeva l'elezione di un
governo direttoriale composto dai governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque
regioni a statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due tornate
elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese.
Dal momento in cui è stata costituita la UE col trattato di Roma si assiste ad un lento inesorabile
spostamento della governance dai singoli stati alla UE incluso l’Italia. Galli della Loggia parla di questo
fenomeno in modo critico affermando un’europa che succhia linfa vitale allo stato nazionale ed erode le basi
stesse della democrazia. La democrazia langue se lo stato nazionale cede sovranità ad entità supposte
superiori specie se all’interno della unione non c’è equilibrio fra i vari stati. (Galli della Loggia)
L'immigrazione, la protezione dell'ambiente, la politica estera e di difesa, le regole per la finanza (oggi i
capitali si spostano col computer), sono sfide che viaggiano molto sopra la testa degli Stati nazionali. Per
non parlare della lotta alla criminalità, tanto necessaria per far uscire l'Italia dalle strette attuali: la mafia dei
colletti bianchi non si ferma alle dissolte dogane. Se le decisioni, come scrive Galli, escono dalla discussione
nello Stato nazionale, non è perché l'Europa le avoca a sé, ma perché spesso esse possono solo a livello
europeo essere affrontate (Bragantini, Corriere della Sera)
Il Governo Berlusconi ha provveduto a nominare con la Legge 111/2011una apposita Commissione
presieduta dal Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica Prof. Enrico Giovannini con il compito di fare
una comparazione a livello europeo delle amministrazioni pubbliche. Un ordinamento amministrativo a 4
livelli è piuttosto diffuso. Il problema è come coordinarli
Regioni. In Italia sono 21 (con Trento e Bolzano province autonome), 11 in Belgio, 39 in Germania, 19 in
Spagna, 26 in Francia, 12 in Olanda, 9 in Austria. Passiamo alle Province: 107 in Italia, 429 in Germania, 59
in Spagna e 100 in Francia.
Comuni: l’Italia ne ha 8.101, 12.379 la Germania, 8.111 la Spagna e 36.683 la Francia che vanta una
solidissima tradizione di centralismo”.
Dirigismo o laissez faire:
in quale misura lo stato italiano può concedere autonomia giuridica, fiscale decisionale alle entità territoriali
che lo compongono (regioni, province, comuni ) in modo che lo sviluppo del paese sia l’espressione piena
delle potenzialità locali pur nel rispetto dei principi di equità e di sussidiarietà che governano la vita civile del
paese?
Il dibattito sul federalismo, ovvero su un diverso assetto politico- amministrativo da dare al nostro Paese, è
tornato prepotentemente alla ribalta sul piano politico oltre che sul piano culturale negli anni a noi più recenti.
Il fenomeno è comune ad altre realtà, europee e non, e, pur presentandosi in forme e intensità diverse, si
inserisce nel contesto di crisi economica e politica, di accentuazione degli squilibri territoriali del mutamento
delle direttrici di sviluppo a cui occorre dare al più presto una risposta.
Il federalismo e il regionalismo si presentano, dunque, come espressione di un processo di ridefinizione dei
ruoli istituzionali che, attraverso i fenomeni di deindustrializzazione e di reindustrializzazione, disoccupazione
diffusa, perdita delle garanzie sociali, crea nuovi squilibri e nuovi disagi, incertezze che trovano l'elemento
catalizzatore nella difesa delle culture regionali.
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6 – Federalismo, questione meridionale e settentrionale scontro senza sintesi
In Italia il concetto di federalismo viene interpretato in negativo da coloro che vedono nello stato nazionale il
rifugio tradizionale una sorta di ombrello verso un mondo diventato complicato e pericoloso il cui ruolo di
intermediazione tra il locale e il globale, è ancora necessario per la competitività del sistema-paese. Le tesi
meridionaliste si basano sulla contraddizione che il Nord ha impoverito il Sus e nonostante ciò credono nello
stato centralista.
Adriano Giannola, presidente Svimez (giornata di studio del 30 maggio alla Camera dedicata al Nord
e Sud Italia a 150 anni dall’unità) afferma che nel 1860 il reddito Nord-Sud era più o meno
equivalente, oggi il reddito del sud è il 59% del Nord e la disoccupazione è quasi tripla. Le distanze si
sono accentuate negli anni recenti della crisi: fra il 2007 e il 2013 il Nord ha perso il 4% del PIL, il Sud
l’8% e per il 2012 un calo del 2%; nel 2050 ci saranno due milioni di giovani in meno al Sud. Il
governo non può fare lo sviluppo dice Gianfranco Polillo sottosegretario all’Economia, lo sviluppo lo
fanno le imprese se trovano un terreno imprenditoriale fertile, forza lavoro qualificata, finanziamenti
e mercati di sbocco.
Nella critica al federalismo di stampo nordista c’è una forte tendenza a ideologizzare e politicizzare il
movimento attraverso le esasperazioni del separatismo delle spinte xenofobe ed altro mentre passa in
secondo piano la richiesta di autodeterminazione a gestire le proprie risorse secondo un approccio
bottom-up che è la vera espressione democratica dello sviluppo locale.
Dopo 150 anni permangono le contraddizioni dello sviluppo Nord-Sud mentre al sud un sistema malavitoso
continua a strozzare l’economia meridionale e permane un sistema assistenziale che assicura solo un
sistema clientelare e rafforza la criminalità. Il Cardinale Ravasi in un Convegno a Palermo parla e si rivolge
ad una nuova generazione che consideri la legalità come componente non estrinseca o di convenienza ma
come valore strutturale della società e della persona.
il federalismo è la forma di ordinamento dello Stato in condizione di andare oltre il centocinquantesimo
anniversario dell’Unità d’Italia. Un tema, quindi, attuale visto l’evoluzione di questi temi in questo particolare
periodo storico. (Maria Provenzano nato a Casole Bruzio (CS). Autore del testo Federalismo Devolution
Secessione. Ritorno al futuro...la storia continua”, il titolo del volume, edito da Luigi Pellegrini editore).
L’Italia è uno stato in crisi d’identità. Si parla da anni di federalismo da instaurare in Italia, ma
impropriamente perché federalismo ha il significato di un processo di unificazione di più realtà statali diverse
che avviano un processo di convergenza verso una realtà statuale unica, che si forma attraverso la rinuncia
da parte delle unità statuali originarie di quote di sovranità su varie materie.
Il pallino del federalismo è stato per almeno 20 anni, pressoché esclusivamente nelle mani della Lega Nord,
partito nato con l’obiettivo di portare il federalismo in Italia e poi sfociato in un populismo destrorso ai limiti
del ridicolo. E anche se il dibattito a livello accademico avanzava in varie materie – dall’economia alla
sociologia, dal diritto agli studi di integrazione europea – la classe politica era soggiogata dall’azione
leghista, passata rapidamente dalle posizioni federaliste a quelle più oltranziste dell’indipendentismo
padano.
Le nuove teorie sullo sviluppo locale nonché la crisi politico-economica degli anni Ottanta, culminata con la
perdita di credibilità delle istituzioni, hanno riportato in primo piano la richiesta di una trasformazione di tipo
federale dello stato italiano.
Ad un federalismo solidale fa esplicito riferimento anche la Chiesa (Ravasi) che, pur considerando ora il
capitalismo e il mercato funzionale al progresso, li finalizza però alla promozione della persona umana,
attraverso istituzioni capaci di valorizzare la socialità del lavoro, riscoprendo così il pensiero di don Sturzo, il
quale si opponeva allo statalismo al fine di far prevalere nella politica e nell'economia la moralità intesa come
socialità dell'agire.
Nuove proposte del welfare state
Di fronte al fallimento cerca di cambiare pelle. Cameron sostiene l’idea di una società di individui, di famiglie
e associazioni mutualistiche, di imprese sociali e di volontariato, con «l'obiettivo di creare un clima sociale
che rafforzi le comunità e la gente locali, costruendo una big society che prenderà il potere dalle mani dei
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politici per darlo al popolo», così nelle parole alte e velleitarie di Cameron il costruire un mondo diverso, dal
basso, scommettendo sulla buona i stella delle comunità locali.
Pertanto, lo stato deve delegare molti suoi servizi a organizzazioni volontarie, cooperative, istituzioni
benefìche: quindi, non fine del welfare state, ma sua rifondazione, senza
ricreare passività e dipendenza, ma valorizzando e finanziando l'autonomia organizzativa delle comunità
locali. Un'idea neo-roosveltiana, per certi versi. Del resto, anche in Italia, specialisti di welfare come Massimo
Paci (2011) hanno sostenuto la prospettiva di un welfare locale, di seconda generazione che si focalizzi su
politiche in grado di rafforzare la capacità di azione individuale.
Lo stato sociale del Novecento viene cambiato dalla globalizzazione e la contrapposizione a cui si assiste
oggi fra governo tecnico e sindacati dimostrano la necessità di adattare la rigidità della tutela delle classi più
deboli alla concorrenza di classi ancora più deboli e numerose dei paesi BRIC che in questi anni hanno
potuto disporre di opportunità di sviluppo grazie alla flessibilità dello sviluppo economico: facilità di
trasferimento tecnologico, desiderio di emancipazione sociale, costi del lavoro competitivi.
7 – Sviluppo delle infrastrutture e spostamento dei poli di sviluppo
La difficoltà della classe politica italiana, incapace di porsi obiettivi di lungo periodo frammentata nella difesa
delle varie corporazioni e di affrontare le tematiche dello sviluppo: delocalizzazione, infrastrutture,
invecchiamento e pensioni, costo del lavoro, fiscalità e rendite ed evasioni la difesa ad oltranza dello stato
sociale sembra destinata a fallire.
Tutto ciò mentre si stanno sviluppando nuovi interessi economici che coinvolgono l’Italia attraverso lo
sviluppo infrastrutturale di strade, autostrade aeroporti, porti oleodotti spesso occasione di contestazione che
rischiano di emarginare l’Italia dallo sviluppo del core network dei prossimo 20
Il Friuli è diventato un crocevia delle nuove linee di comunicazione che si sviluppano fra Nord e Sus e fra
Est ed Ovest. Esempio il corridoio Adriatico Baltico essenziale per i porti di Ts e Ve alcuni vogliono che
scenda lungo la Slovenia fino a Capodistria (hub concorrente), mentre il corridoio 5 ha visto recentemente il
commissario europeo Simpson a Trieste per cercare di rimuovere gli ostacoli.
Il passante di Mestre è diventato la intersezione fra le autostrade A4, A27, A28 potenziando i flussi fra Italia,
Austria e l’Europa orientale attraverso la Slovenia.
8 - Il potere del commercio e della finanza mondiale sulla governance degli stati sovrani
L’autonomia amministrativa dello stato deve oggi tener conto degli effetti di correnti di scambi commerciali e
movimenti finanziari enormi in grado di mandare in default uno stato manovrando sulle monete, sui fondi
d’investimento e sulla immagine del paese ai quali nessun stato nazionale può opporsi.
(Adriana Cerretelli, Sole 24 ore 29 marzo) In vent'anni, tra il 1990 e il 2010, la quota delle economie
avanzate nel commercio mondiale è crollata dal 75% al 55%. Nel 2011, per il ventesimo anno
consecutivo, la crescita dell'export degli emergenti ha surclassato quella dei Paesi sviluppati. Di
questo passo Cina e India, che oggi rappresentano l'11%, potrebbero in pochi anni più che
raddoppiare il loro peso nell'economia mondiale. Proiezioni dell’Fmi dicono che già nel 2010 il Pil pro
capite di Singapore ha abbondantemente battuto quello della Gran Bretagna. Che nel 2015, per
produzione di ricchezza nazionale la Corea del Sud supererà l'Italia. E che l’anno dopo Cina potrebbe
diventare la più grande economia del mondo che il Brasile è la sesta economia al mondo ed ha
superato il PIL di Italia e UK.
Tra l'effervescenza del Pacifico e il torpore continuato della crescita nella vecchia Europa, ci sono sinergie
possibili e la missione di Mario Monti in Asia appare per molti aspetti la scommessa giusta al momento
giusto. Tanto più dopo che, senza attendere il suo arrivo a Pechino, il presidente Hu Jintao ha esortato
imprenditori e autorità cinesi a investire in Italia. Recenti sondaggi dicono che la crisi dell'euro ha reso il
mercato unico ancora più attraenti per il business asiatico che, nei prossimi 12 mesi, prevede di dirigere il
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grosso degli investimenti (45%) in acquisizioni strategiche in Europa. Contro il 14% in Medio Oriente e il 7%
nel Nordamerica.
Per capacità di penetrazione sul mercato cinese solo il 7% del nostro export prende la strada di Pechino
contro il 48% della Germania. Siamo il quarto importatore UE (10% del totale), con il terzo maggior deficit
negli scambi dopo Olanda e Gran Bretagna nei primi 10 mesi del 2011.
Investimenti – L’Italia poco attraente verso la Cina
per esposizione sul mercato cinese l'Italia è al quinto posto, con 1089 milioni di euro nel 2010, neanche
troppo lontana dai 1.618 milioni della Germania, in testa alla scala UE. Gli investimenti cinesi in Italia invece
sono inesistenti: nel 2010 sono stati negativi per 20 milioni di euro contro flussi per 335 milioni in Germania,
190 in Olanda, in Belgio. Francia ferma a 25, Gran Bretagna a 10. Il sistema-Paese non ha saputo sfruttare
a fondo opportunità e promesse della globalizzazione. Ma anche e soprattutto perché troppo spesso il
sistema-Paese è assente all'estero. E quando mostra il suo biglietto da visita agli investitori stranieri, invece
di attirarli, tende a scoraggiarli quando non a respingerli. Il caso di British Gas e della sciagurata storia del
rigassifìcatore dì Brindisi è cronaca recentissima come il rigassificatore di Trieste.
Finanza mondiale e default
Black Rock la società di fondi d'investimento più grande al mondo a giugno 2011 considerava l'Italia il quinto
paese più rischioso al mondo, su una lista di 44 Stati. E lo scriveva nero su bianco. A dicembre, dopo il
cambio di Governo, ha però cambiato idea: oggi addirittura sovrappesa, dunque acquista oltre le proporzioni
normali, i titoli di Stato italiani.
BlackRock ha in gestione 3.513 miliardi di dollari. Insomma: maneggia somme pari a 1,5 volte il Pil italiano.
Le sue scelte sono dunque in grado di mobilitare una quantità enorme di denari sui mercati finanziari. Tanto
da far sorgere una domanda: BlackRock è in grado, solo per la stazza immensa, di influenzare i mercati
stessi? Le sue decisioni potrebbero avere influito nella crisi prima, e nella salvezza poi, dell'Italia?
Oltre ad avere in gestione 3.513 miliardi di dollari (di cui però la metà in forma passiva legata ad Etf,
BlackRock vende a 200 investitori di tutto il mondo (che hanno 9.500 miliardi di attivi) il suo software di
gestione dei rischi. Questo software è totalmente asettico: non dice -assicurano da BlackRock - come o dove
investire, ma scompone semplicemente i rischi di ogni portafoglio. Eppure, indirettamente il fondo più grande
al mondo (gestisce 3.500 miliardi $) è passato a dicembre dal pessimismo sull'Italia a sovrappesare iBTp),
mente, perché potrebbe influenzare le scelte di allocazione di 9.500 miliardi di dollari: a seconda di come
sono scelti i parametri -pur asettici - i 200 investitori potrebbero infatti comportarsi in maniera simile.
I fondi pensione secondo le stime di qualche anno fa di McKinsey - hanno in gestione nel mondo qualcosa
come 25 mila miliardi di dollari. I fondi comuni 18 mila miliardi. Le assicurazioni 16 mila miliardi. I fondi
sovrani 5mila miliardi. Denari non equamente distribuiti, ma concentrati in pochi giganti che ne controllano la
quota maggiore. Ci sono poi le grandi banche, che fanno girare - direttamente o indirettamente - la fetta
maggiore dei mercati finanziari: i primi 5 istituti americani detengono per esempio 310 mila miliardi di dollari
di derivati che possono influire sulla crisi e salvezza di interi stati aziende e banche.
Padroni del mercato (dati in miliardi di $):
Bank of America
Citigroup
JP Morgan
Barklay
HSBC
BPN Paribas
Deutsche Bank
Royal Bank of Scotland
2221
1935
2289
2167
2438
2523
2422
2099
Fondi Pimco
Fondi Fidelity
Fondi Vanguard
1300
1520
1600
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Agenzie di rating, trasparenza e conseguenze dei report
Veniamo così ai più famosi valutatori del mondo: le agenzie di rating. (Modys, Standard e Poor, Fitch) Loro
non investono, non muovono denari. Eppure, con i loro giudizi, influenzano le decisioni di milioni di
investitori. Motivo: tanti fondi sono vincolati, nei loro investiménti, dai rating e hanno nei documenti costitutivi
l'imperativo di tenere titoli valutati Tripla A (AnnachiaraMarcandalli, managing director di Cambridge
Associates). Quando Standard St Poor's ha declassato gli Stati Uniti, tanti hanno dovuto adeguare gli statuti
per non essere costretti a vendere T-Bond». Il giorno che cambiare gli statuti non sarà più possibile, sui TBond partiranno vendite forzate. Stesso discorso per i BTp italiani: se venissero ulteriormente declassati,
dall'attuale "BBB+", molti fondi sarebbero costretti a scaricarli. Tutto questo mette nelle mani delle agenzie di
rating un enorme potere: ammesso (e non concesso) che i loro giudizi siano tutti impeccabili, il rischio è che
in ogni caso le loro parole diventino profezie autoavveranti Sommando il loro potere a quello delle grandi
banche e dei grandi fondì, tutto questo pone rischi potenziali di stabilità Anche perché tutti questi soggetti,
sono in gran parte intrecciati da legami azionari l'uno all'altro.
9 – La regionalizzazione della PAC
Un forte potere centrale affidato alla Commissione che dispone delle linee direttrici della PAC e il demando
alle regioni delle questioni inerenti l’applicazione dei regolamenti e la pianificazione quinquennale della PAC
attraverso i piani di sviluppo regionale.
La regionalizzazione della Pac è prevista in due diversi gruppi di articoli, segnatamente all'articolo 58 e
seguenti ed all'articolo 64 e seguenti del regolamento Ce 1782/03 . Nel primo caso è disposta l'opportunità
della redistribuzione a livello regionale delle risorse agricole disponibili per il Paese ed una conseguente
ampia discrezionalità per la loro gestione; nel secondo, la possibilità della gestione regionale delle ipotesi di
disaccoppiamento parziale dell'aiuto diretto, prevista per i diversi settori.
In quest'ultimo caso, occorre tenere conto delle esigenze delle diverse agricolture, ma anche della necessità
di riaffermare il carattere nazionale delle filiere produttive. E' quindi utile, se non necessario, che le Regioni
esprimano un'indicazione solidale e coerente.
Dotazione finanziaria regionale con la quale si finanziano gli assi e le misure di piano.
In base a tutto questo sarà possibile operare una scelta importante che, per definizione, comporta l'adozione
di una indiscutibile e diretta responsabilità delle Regioni nell'indirizzo della spesa agricola. Una sfida, cioè,
che offrirebbe occasione di grande flessibilità all'applicazione della revisione di medio termine, ma che non
deve fare deflettere dalla necessità di interventi significativi ed omogenei per le filiere nazionali e dalla tutela
degli interessi diffusi e comuni delle imprese agricole. Sussidiarietà verticale richiesta da alcuni stati dell’Est
europeo per adeguare il loro sviluppo a quello dei paesi più avanzati
Il principio di sussidiarietà è contenuto nella riforma del commissario Ciolos che ha impostato una politica
agricola basata su un pagamento Ma da registrare c’è soprattutto l’ostilità al nuovo indirizzo ambientalista
della Pac (e in particolare alla misura che prevede di destinare il 7% dei terreni agricoli alla realizzazione di
siepi o ad altri interventi di interesse paesaggistico) da parte di diverse delegazioni (tra cui Repubblica Ceca,
Regno Unito, Slovacchia e anche il piccolo Lussemburgo) che hanno puntato l’indice sulle contraddizioni tra
le misure ambientali e la necessità di garantire maggiore competitività e soprattutto di soddisfare una
domanda mondiale crescente e garantire la sicurezza alimentare globale nei prossimi anni.
10 - Regioni e federalismo
Agli inizi degli anni Novanta del XX secolo il tema torna prepotentemente nel dibattito politico sulle riforme
istituzionali, soprattutto grazie all'affermazione di una nuova forza politica, la Lega Nord, che aveva posto al
centro del proprio programma una modificazione dello stato in senso federalista con differenziazioni politiche
dei vari soggetti (Bossi e il cerchio magico Calderoli, Salvini, Cota, Toso, Maroni).
Si tratta di una rivendicazione federale avanzata dalla Lega, fortemente autonoma (con una entità
transregionale la Padania una specie di Lander o di confederazione svizzera), con forte esigenza di
sussidiarietà verso le comunità locali (capacità di autogoverno esplicata sulle funzioni scuola, fiscalità,
sanità, scelta delle strategie di crescita e sviluppo.
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Le soluzioni si diversificano nelle regioni in cui è presente in modo più o meno incisivo il partito della Lega: in
Piemonte Cota deve affrontare il declino industriale della Fiat puntando su un modello reticolare che tenga
conto degli intrecci economici multinazionali e delle infrastrutture prima fra tutte la TAV che facilitando
movimenti di merci lungo l’asse Lisbona Kiev renderebbe strategica la posizione di Torino una città che sta
cambiando rapidamente pelle da città industriale a città del terziario.
La Lombardia si affida a Bossi e al cerchio magico per sviluppare una strategia autonomista un po’ ondivaga
dopo la separazione dal PDL ha le sue frange più radicali nel Nord dove la piccola imprenditoria vuole
affrancarsi dallo Stato centralista, tuttavia il consenso politico a Formigoni sembra per ora contrapporsi alle
richieste di secessione periodicamente avanzate dalla parte più fanatica del movimento. La corrente
bossiana si è indebolita anche a causa di comportamenti non ortodossi di suoi amministratori che ne hanno
inficiato la credibilità.
Il Veneto è la regione forse più spaccata: alla corrente Bossiana si contrappone alla corrente di Tosi più
orientata a risolvere problemi di ordine amministrativo e pubblico seguendo prassi istituzionali mentre il
governatore Zaia sembra seguire questo modo pragmatico di governo perseguendo un federalismo attento
ai problemi dell’agricoltura e dell’industria che sono settori importanti per l’economia locale.
Il Friuli per la sua storia vede diverse forme di federalismo ed autonomismo con diverse correnti che non
giocano a favore di un forte movimento identitario e autonomista. La difesa dei valori locali è forse più forte
che in altre regioni, la lingua o le lingue locali vengono salvaguardate anche come strumento di azione
politica oltrechè di identità locale.
I padri fondatori del movimento friulano sono Tessitori, ministro autore dello statuto regionale, D’Aronco
difensore strenuo della Università friulana, Schiavi, Baracetti, Checo Placereani ed altri.
L’aspetto culturale dell’autonomismo è un valore da difendere anche fra le diverse parti della regione
o con regioni confinanti come il Veneto che hanno una forte componente identitaria e che
conducono un’azione comune sul fronte dell’acqua, dell’energia, dello sviluppo infrastrutturale.
Feliciano Medeot direttore della società filologica friulana afferma che ciò che è importante è portare
l’identità nel proprio bagaglio culturale mentre d’Aronco afferma la validità della ibridazione delle tre
culture locali: germanica, slava, latina
Il Movimento “Front Furlan” per bocca di Federico Simeoni, dalla tendenze più radicali, parla di
autodeterminazione del popolo friulano e indipendentismo sui modelli di Scozia, e Catalugna.
Pordenone, 29 marzo 2012
Prof. Franco Rosa
Docente all’Università del Friuli.
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