Le piante nel Vangelo: il lino

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Le piante nel Vangelo: il lino
Un argomento al mese su cui riflettere: Novembre 2009
Le piante nel Vangelo:
il lino
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n.8
Il lino è una pianta della famiglia delle lina-cee e può
raggiungere poco più di un metro di altezza. Apparentemente
fragile e insignificante, nell'antichità era però considerata la
regina delle fibre tessili.
Coltivata largamente dagli Egizi, Babilonesi e Fenici è la
pianta da cui l'uomo, fin dagli albori della civiltà, estrasse fibra
vegetale cellulosica per uso tessile. L'utilizzo delle fibre di lino
per la tessitura risale infatti a circa 10.000 anni fa. Resti di reti
da pesca in lino e capi di vestiario, sono stati ritrovati anche in
Svizzera, in insediamenti di palafitte risalenti all'età della
pietra.
Scritti egiziani antichi testimoniano la coltivazione del lino, il
suo uso come indumento sacro e profano; lenzuoli funebri si
sono conservati sino ai nostri giorni, insieme alle mummie.
Pitture sulla coltivazione del lino si trovano "a ornamento delle
piramidi nella Valle dei Re e testimoniano1 quanto questa
pianta fosse importante.
Il lino è una pianta annuale, riprodotta da seme, caratterizzata
nella sua fioritura da graziosi fiori azzurri con dei petali ovali.
Le fibre tessili si ricavano dagli steli, allorquando la pianta
subisce una serie di lavorazioni, dalla macerazione alla
stigliatura, che permettono di estrarre e separare dalle fibre
tessili le parti legnose dello stelo e quindi separare le fibre a
«lungo tiglio» (da 60 a 90 cm) da quelle corte, chiamate
«stoppe» (da 10 a 15 cm). La fibra viene quindi pettinata,
distesa, stirata, accoppiata e attorcigliata più volte. Oltre le
sue fibre, anche le qualità farmacopee del lino erano ben note in tutto il vicino Oriente antico: messi in acqua,
i semi di lino si gonfiano liberando della mucillaggine che è una sostanza caratteristica del lino, capace di
assorbire una grande quantità di liquido. Il decotto di semi si usa anche in erboristeria come emolliente, negli
stati infiammatori intestinali, risulta essere un ottimo rimedio naturale in caso di affezioni dell'apparato
respiratorio e fasciature si utilizzavano in passato in caso di reumatismi e foruncolosi. I semi di lino sono un
ottimo foraggio per il bestiame e l'estratto d'olio, ricavato dai semi, è utilizzato nella fabbricazione di colori,
vernici e inchiostri.
La «sacralità» dell'indumento di lino
II prodotto tessile ricavato dal lino, come accennato sopra, fu utilizzato sin dall'epoca dei faraoni e, anche
dalle pagine bibliche si evince che i personaggi di alto rango indossaci vano abiti di lino, quale segno del loro
lignaggio e potere.
La Bibbia racconta di come il secondo segno distintivo, e quindi simbolico dell'investitura di Giuseppe, quale
ufficiale del faraone con poteri plenipotenziari sull'Egitto, prevedesse proprio un abito di lino finissimo,
consegnategli dal faraone stesso: «Ecco io ti metto a capo di tutto il paese d'Egitto. Il faraone si tolse di
mano l'anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile
d'oro» (Gen 41,41-42).
I versetti citati sono la prima ricorrenza biblica nella quale s'incontra il termine «lino finissimo», tradotto con
«bisso». Anche se, come attestato da dipinti e da scritti antichi, il lino godeva di una diffusa coltivazione, a
nessuno sfugge il significato simbolico di una tale investitura: un ex schiavo, qual era Giuseppe, viene
rivestito di lino finissimo e tutto ciò direttamente dal faraone.
È un'informazione preziosa da parte dell'autore sacro; infatti nell'antico Egitto solo il sacerdote e il faraone
vestivano di lino. Comprendiamo così a quale alta dignità e considerazione il faraone avesse elevato
Giuseppe.
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I testi post-esilici della Bibbia, l'Esodo e il Levitico, riferiscono, forse a imitazione di quanto accadeva in
Egitto, che il vestiario del sommo sacerdote doveva essere confezionato esclusivamente di lino.
Quali sono i pregi del lino per l'uomo biblico? Quali significati egli attribuiva a questi indumenti?
Sostanzialmente, il candore del bianco e la sua leggerezza e resistenza al contempo; inoltre, il suo essere
esclusivo indumento dì casta è forse il mistero di un segreto nascosto nei due principali termini ebraici che
indicano «lino».
A differenza della lana di capra, o di cammello, o di montone, il candore del bianco del lino è offerto dalla
natura, spontaneamente, senza il ricorso alla tintura e, secondo la simbologia cromatica, il colore bianco
allude alla purità, alla luce e alla gloria.
La tintura è un processo culturale, un'opera dell'uomo, non di Dio; l'uomo con artifici vari, cerca di riprodurre i
colori della natura. Fonti storiche riferiscono che la tintura, pur necessaria, era considerata insana; per cui le
antiche tintorie erano collocate alla periferia delle città poiché, con i loro composti, spesso a base di orina, di
per sé scarsamente igienici, appestavano le città.
Tale fatto spiegherebbe I perché il lino è divenuto il prodotto tessile per l’eccellenza per gli indumenti
sacerdotali. II lino, che appartiene al mondo vegetale, non è il risultato della tosatura, considerata forse
come un'appropriazione indebita dell'uomo; in un certo senso un'operazione «violenta». Ancora oggi,
nonostante i moderni macchinari, spesso dopo la tosatura si notano sulla pelle degli animali ferite
sanguinolenti e spesso macchie di sangue si vedono ancora dopo diversi lavaggi nella lana grezza. Per lo
stesso motivo per cui è fatto divieto all'uomo biblico di erigere altari in pietra tagliata dal ferro, perché questo
è sinonimo di violenza, simbolo della guerra per eccellenza, così forse fu fatto divieto ai sacerdoti di
indossare abiti che non fossero «naturali», innocenti, diremmo noi moderni.
La leggerezza e la resistenza del lino erano qualità ben note agli antichi: il lino è composto per il 70% di
cellulosa, per cui era considerato come una sorta di «oro tessile» che assorbe, in modo naturale, l'umidità e
lascia traspirare la pelle. Immaginiamo quindi quanto questa qualità fosse apprezzata in quelle latitudini!
In Ezechiele 44,17 si parla dei paramenti sacerdotali e troviamo, tra le righe, il motivo di questa scelta:
«Quando entreranno nelle porte del cortile interno indosseranno abiti di lino, non vi sarà sul loro corpo lana,
mentre essi faranno il loro servizio nelle porte del cortile interno e nel tempio. Avranno sulle loro teste mitre
di lino e pantaloni di lino cingeranno i loro lombi e non si cingeranno con materia che fa sudare».
Il lino poi, rispetto agli altri filati allora conosciuti, eccelle per la sua resistenza alla trazione; in pratica non si
lacera facilmente e questo dovette sembrare un altro ottimo motivo per sceglierlo quale indumento sacrale.
Un vestito che si lacera addosso al sacerdote, proprio durante i movimenti liturgici, sarebbe stato
inopportuno. Queste considerazioni, di ordine pratico ma anche di status sociale, fecero sì che il lino
assurgesse a tanta importanza.
Forse però c'è dell'altro, che è velato e nascosto dalle lettere ebraiche che compongono il termine «lino». I
capitoli 28 e 39 del libro dell'Esodo e il capitolo 6 del Levitico descrivono con precisione i paramenti del
sommo sacerdote Aronne e quelli dei suoi figli, alternando l'espressione «lino finissimo» e «lino».
In ebraico esistono cinque termini sinonimici per dire «lino», tra questi analizziamo i primi due che appaiono
nella Bibbia. Il primo è shesh, cioè «lino fino». Questa parola è composta da un'unica lettera, ripetuta due
volte: sh (shin) e sh (shin). Per forma grafica, questa lettera, nella scrittura ebraica, assomiglia al petalo del
lino.
Per significato simbolico la lettera shin evoca, alla memoria di ogni ebreo, la parola Shad-day ovvero
«Onnipotente». È proprio questa lettera che è incisa sui tefillin «filatteri» che gli ebrei, durante la preghiera
feriale, portano sulla parte alta della fronte e intorno al braccio sinistro. Il modo di legarli e avvolgerli sul
dorso della mano riproduce questa lettera e la scatolina di pelle nera sulla fronte porta proprio incisa questa
lettera.
L'ebreo, indossando ogni mattino i filatteri, ossia la shin, è come se volesse avvolgersi di Dio: indossare
«abiti di lino», scritto con la parola shesh è, in un certo senso, come «rivestirsi di Dio».
Il lino quindi, non solo per le sue qualità estrinseche racchiuse nel materiale, ma anche per quelle
intrinseche racchiuse nell'immateriale, altamente simboliche, contenute nella parola che lo indica, venne
scelto, non a caso, come tessuto per i paramenti sacerdotali.
Il secondo nome, usato prevalentemente dal Levitico è baci, termine generico per «lino»; la radice della
parola «separazione, segregazione, solitudine» (lebad).
«Lino», in questo senso, allude allo stato del sacerdote: colui che si separa, per la legge di purità, dal resto
della comunità, in segno di consacrazione. Il libro dell'Esodo descrive la costruzione della «Dimora» o
«Tabernacolo», un'abitazione a forma di tenda, sorretta da un'impalcatura di legno che formava il luogo
santo e il «Santo dei Santi».
A essere rigorosi, sono i tendaggi, fatti di lino, e non la struttura di legno, che costituiscono la dimora del
Signore e il materiale usato era appunto shesh moshzar, ossia «lino filato, lino ritorto» (Es 26-28; 36; 39). I
In segno di rispetto e in corrispondenza al tendaggio della Dimora, anche i sacerdoti erano vestiti di
indumenti di lino, per esprimere così la sintonia con la santità di Dio. Il Tabernacolo è un santuario (miqdash)
dove Dio abita (shakhan/shekhinà) in mezzo al suo popolo. Il significato di questo «dimorare», è reso
evidente dalla descrizione del Tabernacolo stesso. Dio è continuamente presente nel Tabernacolo portatile.
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Là «incontra» il suo popolo e cammina in mezzo a loro (Lv 26,12).
Per l'autore veterotestamentario la forma e il materiale (lino, in questo caso) è inseparabile dal suo
significato spirituale, espresso velatamente dal nome ebraico shesh e bad, analizzato sopra.
Nella letteratura profetica l'abbigliamento di lino diventa uno status quo degli esseri celesti (Ez 9,2-3.11;
10,2.6-7; 40,17; Dn 10,5-7) che l'apocalittica neotestamentaria riprenderà.
Non è poi un caso che gli Esseni, stante alle notizie desunte da Giuseppe Flavio, da Filone d'Alessandria,
nonché da Plinio il Vecchio, indossavano vesti bianche di lino.
I manoscritti di Qumran, relativi proprio a questa setta e risalenti a un periodo che va dal II secolo a.C. al I
secolo d.C, riferiscono che gli Esseni vivevano nella spasmodica attesa dell'arrivo del Messia.
In quel giorno, è scritto nella Regola della Comunità (Regola dell'Assemblea; Documento di Damasco;
Regola della Guerra) ci sarà una battaglia finale tra Gog e Magog, tra i «figli della luce» e i «figli delle
tenebre». In quel giorno poi la shekhinà, ovvero la «Presenza» di Dio, si realizzerà: gli angeli di Dio
combatteranno insieme ai membri della Comunità questa battaglia epocale tra il bene e il male. Nulla perciò
deve turbare lo stato di purità fino a quel momento, altrimenti gli angeli abbandonerebbero il campo.
La purità rituale era quindi la via attraverso la quale gli Esseni svolgevano la loro vita contemplativa,
segregati dal resto del mondo, giudicato corrotto, in un luogo asettico e puro per definizione: il deserto.
In questo loro «isolarsi, separarsi» (lebad, di cui sopra) ci risulta ora chiaro il motivo per cui indossassero
abiti di lino: questi avrebbero denotato simbolicamente la loro separazione «bad» e la loro purità «shin».
Forse per questo l'iconografia cristiana, recante la figura di Gesù con vesti bianche, mette in risalto il suo
essere sacerdote e pertanto può e deve vestirsi di lino.
Il lino nel libro dell'Apocalisse
Anche nella letteratura apocalittica neotestamentaria appare il simbolismo del lino: «Vidi aprirsi nel cielo il
tempio che contiene la Tenda della Testimonianza; dal tempio uscirono i sette angeli che avevano i sette
flagelli, vestiti di lino puro, splendente, e cinti al petto di cinture d'oro» (Ap 15,5-6).
L'indumento descritto dall'autore dell'Apocalisse è tipicamente sacerdotale, desunto chiaramente dal libro del
Levitico (Lv 16,4.23.32) - vestiario del sommo sacerdote per il rito del kippur («espiazione»).
Anche l'esercito del Messia (e 19) indossa «lino bianco» e cavalca su bianchi cavalli: «Vidi il cielo aperto, ed
ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava "Fedele" e "Verace"; egli giudica e combatte con
giustizia. I suoi occhi sono come fiamma di fuoco, ha sul capo molti diademi; porta scritto un nome che
nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli
eserciti del cielo lo seguono con cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro» (Ap 19,11-14).
Il Messia descritto in questo testo è asperso di sangue (19,13 - cf Is 63,1), ma con queste parole Giovanni
vorrà forse far riferimento al sangue purificante ed espiatorio dell'Agnello (7,14; 1,5).
Simbolo della fede è il lavare, il diventare bianchi nel sangue dell'Agnello. Il color bianco è da interpretare
come lo splendore («doxa») del cielo e vittoria sul male. Al rosso delle coperture e delle vesti della bestia (e
12) si contrappone efficacemente il bianco del cavaliere divino e della comunità celeste.
Attraverso le immagini apocalittiche traspare il pensiero cultuale. Che l'autore apocalittico citando lo scarlatto
demoniaco si rifaccia all'antica predicazione profetica penitenziale contro l'empia opulenza, risulta da 17,4;
18,12.16: «Ahi! Ahi! Grande città, avvolta di lino, in porpora e scarlatto, adorna di monili d'oro, perle e pietre
preziose» (18,16). Ogni forma di lusso ricade nell'anticristia-nesimo ed è destinata alla condanna nel giudizio
escatologico di Dìo.
a cura di Sandro Imparato
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