ten. col. amedeo bianchi
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TEN. COL. AMEDEO BIANCHI La deposizione del ten. Col. Amedeo Bianchi, capo della 1° sezione del controspionaggio del Sifar, è quanto di più smaccato esista in termini di teorizzazione dell’illegalità. Egli fa sua l’affermazione che i servizi segreti militari debbono sempre “sapere tutto di tutti” e non si vergogna a dirlo. Quando il presidente Beolchini gli chiede se si sia reso conto dello “snaturamento del Servizio”, che anziché occuparsi di minacce alla sicurezza si occupava di schedare i cittadini, con grande ingenuità e somma sfida al senso del ridicolo, il t.colonnello Bianchi risponde che “conoscere alcuni aspetti negativi della vita privata di determinate personalità può essere utile ai fini dei compiti di istituto riguardanti la sicurezza”. Secondo Beolchini, la sua testimonianza è reticente, tanto che decide di riascoltarlo in un’altra seduta. Ma la musica non cambia. Ad un certo punto Bianchi sbotta con un’affermazione da ufficiale borbonico: “Sono un ufficiale e quindi devo essere creduto sulla parola”. Ma il presidente continua a ritenerlo reticente e lo congeda affermando che “se proprio non sa niente di tutto ciò che accadeva intorno a lui, vuol dire che non ha le qualità per dirigere un Ufficio così importante”. Quella del ten. Col. Amedeo Bianchi è una delle figure più barbine mai fatte da un ufficiale davanti alla commissione. Verbale della seduta del 19 gennaio 1967 Sono presenti: il generale C.a. Aldo Beolchini (Presidente), il generale C.a. Umberto Turrini (Membro), il dottor Andrea Lugo (Membro), il col. pilota Antonio Podda (Segretario). Viene ascoltato il t.colonnello Cc. Amedeo Bianchi, capo della 1a Sezione dell'Ufficio "D". Il presidente espone i compiti affidati alla Commissione e i motivi che hanno determinato la sua convocazione, e chiede al t.colonnello Bianchi di esporre brevemente le attribuzioni e le attività della la Sezione dell'Ufficio "D". Il t.colonnello Bianchi fa una rapida esposizione sull'ordinamento, sul funzionamento e sui compiti della sua Sezione. Il presidente chiede notizie sui fascicoli personali, sulle pratiche particolari e sui criteri per i quali si è passati dalla vera attività di istituto all'attività di informazione su particolari nominativi che niente avevano a che fare con la sicurezza. Il t.colonnello Bianchi dichiara che nel 1959 il capo Ufficio, per rispondere a particolari esigenze nella trattazione del carteggio, dispose che, per tutte le informazioni che pervenivano, dovevano essere impiantati i fascicoli relativi alle persone nominate in ciascuna. Il capo Ufficio, con tale direttiva, intendeva perseguire il principio che un Servizio informazioni doveva conoscere «tutto di tutti» in senso generale. Il presidente precisa che non è importante, ai fini della indagine, sapere da quando vennero istituiti i fascicoli in quanto può anche essere considerato un metodo di lavoro, ma è essenziale conoscere da quando e come mai nei suddetti fascicoli veniva inserito del materiale informativo che niente aveva a che fare con i compiti di istituto. Il t.colonnello Bianchi afferma che le direttive prevedevano di seguire l'attività di persone che in qualche modo potevano interessare l'Ufficio "D". Il presidente contesta tale affermazione, citando alcuni casi in cui venne seguita l'attività di persone che non interessavano la sicurezza o il Cs. Chiede inoltre se l'interessato si è reso conto che, ad un certo momento, ci sia stata una evoluzione nelle attività dell'Ufficio "D" e precisamente una dilatazione verso forme diverse da quelle istituzionali. Il t.colonnello Bianchi conviene che ci sia stata evoluzione in tutto il campo dello spionaggio. La attribuisce ad una conseguenza dell’attenuazione dello spirito di amor patrio e di spirito nazionale verificatasi in questi ultimi tempi, per cui l'indagine esplorativa doveva essere estesa a una massa più vasta di cittadini. Il presidente non concorda sul concetto espresso e cita i casi del ritrovamento di fascicoli relativi a persone assolutamente al di fuori di alcun dubbio circa la loro serietà, patriottismo e affidamento. Insiste nel chiedere se si sia reso conto dei motivi per cui il numero di detti fascicoli andava continuamente aumentando per investire persone il cui comportamento niente aveva a che fare con la sicurezza delle istituzioni. Il t.colonnello Bianchi afferma di aver sempre seguito le direttive superiori. Il presidente contesta che le informazioni riguardavano il più delle volte la situazione familiare dei titolari dei fascicoli che non avevano alcuna attinenza con la sicurezza, ma piuttosto il sapore del pettegolezzo e dello scandalo. L'interessato ammette che ciò è vero. Il presidente chiede se per caso si sia reso conto di questo snaturamento del Servizio. Il t.colonnello Bianchi afferma che conoscere alcuni aspetti negativi della vita privata di determinate personalità può essere utile ai fini dei compiti di istituto riguardanti la sicurezza. Il presidente dichiara di non concordare assolutamente e chiede se siano mai state impartite direttive scritte su tale attività. Il t.colonnello Bianchi risponde affermando che: • le direttive generali venivano impartite in occasione del rapporto annuale; • la Sezione non ha mai ricevuto direttive particolari su tale attività di indagine; • la Sezione non prese mai iniziative del genere, né diede ordini al riguardo; • la Sezione riceveva dai Centri le informazioni e provvedeva a smistarle nei vari fascicoli; • il capo Sezione non era a conoscenza delle direttive impartite ai Centri per la raccolta delle informazioni. Il presidente chiede se l'interessato si sia reso conto che negli ultimi tempi (1965-66) l'attività di Cs era stata quasi soffocata da altre attività particolari che nulla avevano a che fare con la sicurezza e la tutela del segreto. Il t.colonnello Bianchi afferma di non essersene reso conto in quanto la complessità del suo lavoro era tale che lo costringeva a rimanere al livello dei suoi compiti senza permettergli di valutare gli intendimenti dei superiori. Il presidente ritiene inaccettabile una tale affermazione, dato che lavorando in tale settore è impossibile non fare delle valutazioni di merito sulla effettiva natura della attività svolta che si allontanava di gran lunga da quella prevista nei compiti istituzionali, e pertanto è impossibile credere che il capo Sezione ignorasse la distorsione in atto degli obiettivi informativi. Fa qualche esempio di persone fascicolate che non avevano niente a che fare con la sicurezza. Il t.colonnello Bianchi insiste nell'affermare che mai diede direttive intese a raccogliere informazioni particolari su personalità politiche. Il presidente chiede notizie circa l'identità, il reclutamento, l'assegnazione e il funzionamento delle fonti. L'interessato fa una rapida esposizione su quanto viene chiesto. Non può parlare dell'identità delle fonti dato che non conosce le persone dirette e i nominativi. Il presidente mette in visione all'interessato alcuni fascicoli di personaggi politici in cui appaiono dei "profili" ad essi riferentisi. Accade che nello stesso fascicolo vi siano "profili positivi" e "profili negativi". È evidente che l’uno o l'altro erano diretti in direzioni opposte, a seconda degli interessi contingenti. Chiede notizie al riguardo. II t.colonnello Bianchi risponde di non sapere nulla circa la destinazione delle informazioni, né della loro utilizzazione. Il presidente chiede di conoscere chi ordinava le informazioni a carattere personale e i motivi che le determinavano. L'interessato risponde di non sapere nulla. Il presidente dichiara di non concepire come un t.colonnello dei Carabinieri, capo Sezione, voglia far credere che le sua attività era quella di raccogliere e conservare delle informazioni, cioè era una attività da maresciallo archivista. Il t.colonnello Bianchi ribatte, affermando che la sua attività è stata sempre impostata sul piano tecnico e che pertanto ha sempre ignorato ciò che accadeva ai livelli più elevati. L'impianto dei fascicoli era marginale rispetto alla più vasta e impegnativa attività generale della Sezione. Non ha valutato mai l'importanza dei fascicoli e il loro contenuto. Il presidente fa osservare che la disciplina della tenuta e consultazione del carteggio era molto approssimativa e basata sulla fiducia, e chiede se si rese conto di tale disordine. L'interessato risponde che si rese conto di tale irregolarità e che a suo tempo propose la costituzione di una Sezione archivio. Conferma che il funzionamento dell'Archivio era regolato da rapporti di fiducia. Il presidente chiede all'interessato come abbia reagito quando ha saputo ciò che è successo di recente circa la sottrazione dei fascicoli. Il t.colonnello Bianchi dichiara che se avesse potuto immaginare ciò che è successo si sarebbe comportato diversamente. Il presidente fa osservare che nella trattazione delle pratiche conservate in archivio non vennero seguite le norme di sicurezza previste dalla nostra regolamentazione. L'interrogato obietta che le pratiche di cui si parla non avevano alcuna classifica di segretezza e quindi potevano essere trattate in via normale. Il presidente non concorda poiché le pratiche dell'Ufficio "D" conservate in archivio, per il loro contenuto, debbono essere considerate altamente classificate anche se materialmente non è apposto su di esse alcun timbro che ne definisca la segretezza. Il presidente ribatte il concetto che non vennero applicate le cautele inerenti al trattamento di materiale segreto. Il presidente passa a trattare un altro argomento: chiede all'interessato se gli risulti se in un giorno del mese di marzo 1966 ci sia stata nella Sezione una attività molto intensa o comunque anormale. Il t.colonnello Bianchi risponde affermativamente, accennando ad un’indagine urgente richiesta dal capo Servizio per valutare ai fini della sicurezza il Personale del Cnen. Il maggiore Liberati della Sezione si trattenne in ufficio per questi lavori insieme ad alcuni sottufficiali durante le ore notturne. Il presidente chiede come mai nell'espletamento di questo lavoro. l'Archivio non venne interessato Il t.colonnello Bianchi chiarisce che non sempre l'Archivio viene interessato del disbrigo del normale lavoro. Infatti molto del carteggio esistente al "D" rimane in custodia alle Sezioni e in special modo quello relativo all'anno in corso. Il generale Turrini chiede se gli risulti che dal gennaio al marzo 1966 ci sia stata un’attività piuttosto frenetica di movimento e consultazione di fascicoli nell'ambiente Archivio, 1a Sezione. Il t.colonnello Bianchi afferma che ebbe la sensazione di questo intenso movimento di fascicoli a cavallo del periodo della formazione del governo. Non ci fece caso perché in ogni circostanza simile accadeva lo stesso. Il presidente chiede se abbia idea a chi andavano questi fascicoli e che uso ne veniva fatto. Il t.colonnello Bianchi dichiara di non sapere nulla. Certamente i fascicoli andavano al capo Servizio, forse per accertare i dati biografici dei candidati al governo. Il presidente obietta che per questo bastava leggere i giornali. Il t.colonnello Bianchi afferma che questa è la sua opinione ma non pretende sia la verità. Il generale Turrini osserva che molti fascicoli consultati non riguardavano personalità politiche o interessate alla crisi di governo in atto ma altre persone estranee a tale avvenimento. Il t.colonnello Bianchi afferma di non sapere nulla al riguardo. Il presidente osserva che l'interessato non ha detto tutto quello che sa e che si è mostrato molto reticente. Si ripropone di convocarlo ancora se sarà necessario. Gli raccomanda la massima riservatezza su quanto è stato trattato e poi lo congeda. Verbale della seduta del 6 febbraio 1967 Sono presenti: il generale C.a. Aldo Beolchini (Presidente), il generale C.a. Umberto Turrini (Membro), il dottar Andrea Lugo (Membro), il col. pilota Antonio Podda (Segretario). Viene interrogato per la seconda volta il t.colonnello Cc. Amedeo Bianchi, capo della la Sezione dell'Ufficio "D". Il presidente osserva che, leggendo il verbale del precedente interrogatorio del 19-1-1967, è rimasto perplesso alle dichiarazioni del t.colonnello Bianchi dove limitava la sua attività di ufficio al ruolo di passacarte o di archivista. Esaminando gli atti si rileva invece che le sue attribuzioni erano molto più importanti. Qualche volta firmava dei documenti per il capo Ufficio, aveva quindi delle responsabilità dirette. Si deve dedurre quindi che se tace su avvenimenti passati lo fa perché ha paura delle sue azioni oppure perché ha timore di qualcosa. La Commissione ha l'incarico di indagare sulle attività passate dell'Ufficio "D": se l'interessato aiuta questo lavoro di indagine, fornendo tutti i dettagli sulla organizzazione e sul funzionamento della Sezione, collabora attivamente al raggiungimento dello scopo, se invece si ostina a tacere ci va di mezzo la sua responsabilità diretta. Passa poi ad esaminare casi particolari. Nel precedente interrogatorio il t.colonnello Bianchi affermò che direttiva generale dell'Ufficio era che bisognava «sapere tutto di tutti». I fatti hanno dimostrato che vi e stata una interpretazione estensiva di questo concetto. Chiede ancora una volta chi impartiva le direttive. La Sezione agiva su ordini dall'alto o di iniziativa. Il ten. col. Bianchi dichiara che ha trascorso un lungo periodo di tempo alla 1a Sezione. Ritiene di non aver avuto una responsabilità specifica di quello che avveniva nell'ambito dell'Ufficio "D". È vero che qualche volta firmava a nome del capo Ufficio in occasione di sua assenza la corrispondenza del suo settore, ma lo faceva perché espressamente autorizzato. Il presidente osserva che in quei casi la sua responsabilità era doppia. Il ten. col. Bianchi conferma le dichiarazioni già rese nel precedente interrogatorio. Lui si è mosso sempre nell'ambito essenzialmente tecnico. Ammette che in casi particolari vi è stato un contatto diretto fra capo Ufficio e unità operative. In questi casi la Sezione veniva a conoscenza dei contatti a operazioni concluse, sulla base degli atti. Il presidente mette in visione una pratica riguardante un’indagine privata sull'on. Bonomi il cui ordine di esecuzione diretto al Comando del Raggruppamento è firmato proprio dal ten. col. Bianchi. Chiede: • quale interesse avesse per il Servizio informazioni militari tale indagine di carattere privato; • una spiegazione sul fatto che la richiesta sia stata firmata da lui; ciò che fa supporre, contrariamente a quanto affermato dall'interessato, che la Sezione agiva di propria iniziativa. Il ten. col. Bianchi risponde: • le notizie richieste potevano interessare sotto l'aspetto della sicurezza dello Stato; • la lettera è firmata d'ordine del capo Ufficio. Il presidente passa poi a trattare l'argomento delle "fonti". Chiede al ten. col. Bianchi se egli fosse al corrente della identità delle fonti. Il ten. col. Bianchi risponde che egli conosceva le fonti solo sotto il nome di copertura ma ne ignorava l'identità. Il presidente chiede se i capi Centro conoscevano personalmente le fonti. Il ten. col. Bianchi dichiara che tale conoscenza era necessaria ai capi Centro che provvedevano al loro agganciamento e ai contatti diretti. Il presidente pone in visione la pratica riguardante lo scandalo dell'Aeroporto di Fiumicino e ne viene discusso il cronologico svolgimento. Chiede poi chi avesse dato ordine di seguire la pratica e a che cosa servisse. Il ten. col. Bianchi dichiara che gli ordini vennero impartiti direttamente dal capo Ufficio. Non può dire nulla di preciso sugli scopi che l'indagine si prefiggeva. Presume che la questione interessasse il ministro della Difesa giacché vi erano coinvolti alcuni ufficiali e il Demanio aeronautico. Ribadisce il concetto che, allorché veniva richiesta dal capo Ufficio una puntualizzazione su un fatto o su una persona, non veniva mai detto a che cosa o a chi serviva. Il presidente chiede al ten. col. Bianchi che parli su una indagine particolare condotta sull'on. Scelba. Il ten. col. Bianchi non ricorda alcuna indagine particolare sulla personalità politica citata all'infuori di qualche notizia di carattere biografico. Il presidente esamina un documento che si riferisce proprio all'on. Scelba. Vi sono delle notizie del 1961 e del 1962 in complesso di tenore positivo. Nel 1963 viene effettuata un’indagine particolare con fotografie, appostamenti, pedinamenti come se si trattasse di una spia pericolosa. Chiede perché sia stata condotta questa operazione. Il ten. col. Bianchi dichiara di non saperlo. Lui personalmente non ha ordinato tale indagine personale e si è limitato a raccogliere gli atti che gli sono pervenuti. Non sapeva che cosa accadeva al di fuori della sua Sezione perché la sua attività la svolgeva nell'ambito del suo ufficio. Il presidente obietta se fosse lecito perseguire un’attività completamente estranea all'ambito delle sue attribuzioni. Il ten. col. Bianchi dichiara che non ha fatto mai nulla fuori delle sue attribuzioni. Il presidente chiede se sia convinto che si svolgevano attività estranee ai compiti istituzionali. Il ten. col. Bianchi risponde, affermando che l'Ufficio non era diretto da lui. Il presidente pone all'esame un'altra pratica. # [omissis] Di tutte le notizie pervenute si fece una pratica voluminosa e i rapporti venivano riprodotti per essere inseriti nei singoli fascicoli dei personaggi coinvolti nella questione. Chiede quale ruolo abbia avuto in questa faccenda. Il ten. col. Bianchi dichiara di non aver svolto alcun ruolo. C'era un capo Ufficio che valutava queste notizie. Lui si è limitato a raccoglierle e archiviarle. Il presidente osserva che è inconcepibile che si dovessero raccogliere queste porcherie su un presidente del Consiglio. Lo considera responsabile di queste azioni. Mette successivamente in visione un'altra pratica che documenta come il Servizio si interessasse attivamente dell'elezione del presidente dell'Enpas. Chiede cosa ci fosse in comune con la sicurezza dello Stato. Perché ci si interessava di questi fatti. Il ten. col. Bianchi risponde, chiarendo che questi rapporti particolari pervenivano dal Raggruppamento e da tutti i Centri in 5 copie senza indicazioni della provenienza e senza classifica. Tre o più copie di tali rapporti venivano trattenute dal capo Ufficio che le diramava a persone che lui ignorava. Non sa assolutamente a chi andassero. Vuole poi chiarire che non intende sottrarsi ai suoi obblighi di collaborazione e ritiene di non avere alcuna responsabilità al riguardo. Il presidente osserva che l'interessato viene coinvolto in queste responsabilità perché compartecipe di questa attività che non poteva sfuggire al suo controllo di capo della 1a Sezione. Passa poi all'esame di un'altra pratica. Il Centro di Napoli è stato interessato per una indagine particolare sull'on. Leone. È pervenuta una serie di rapporti nel 1959-1960-1961. Questi "profili sono tutti positivi, nessuna macchia sul parlamentare. # [omissis] Sono tutte voci scandalistiche sulla persona del presidente del Consiglio. Cosa ha fatto il Servizio per tutelare la persona del capo del governo? Il ten. col. Bianchi dichiara di non sapere nulla al riguardo. Non conosce cosa fece in tale circostanza il capo Ufficio. Il presidente pone in visione un'altra pratica del Centro di Verona nella quale appaiono notizie scandalistiche sul dottor Freato. Il t.colonnello Bianchi ammette di esserne a conoscenza e di ricordare d'aver ricevuto ordini dal capo Ufficio di sospendere l'indagine. Il presidente non può non rilevare che questo è il primo caso che si presenta in cui il capo Ufficio abbia dato disposizione di sospendere un’inchiesta di carattere extra istituzionale. Chiede all'interessato se ne conosce il motivo. Il t.colonnello Bianchi dichiara di non conoscere il motivo di tale provvedimento. Il presidente mette in esame un'altra indagine a carattere scandalistico sulla Commissionaria Alfa Romeo di Bologna che si è protratta per lungo tempo. In tale indagine sono coinvolti l'on. Moro, l’on. Salizzoni e il dottor Freato. Chiede se sia al corrente di questa pratica. Il t.colonnello Bianchi non ha niente da dire. Il presidente osserva che l'interessato non dà la collaborazione richiesta, quindi è da ritenere reticente. Dalle sue risposte appare che presso la 1a Sezione egli sia un robot che non si rende conto di quello che succede intorno. In conseguenza si assume due tipi di responsabilità: la prima riguarda il suo comportamento passivo dinanzi alla Commissione, l'altra riguarda la sua compartecipazione alle distorsioni verificatesi nel Servizio. Il t.colonnello Bianchi dichiara ancora una volta di non sapere nulla di quello che gli si chiede. Tutto quello che sa lo ha detto. È un ufficiale e quindi deve essere creduto sulla parola. Il presidente insiste nel concetto che egli sia reticente. Se proprio non sa niente di tutto ciò che accadeva intorno a lui, vuol dire che non ha le qualità per dirigere un Ufficio così importante. Esprime il suo più vivo rincrescimento che un ufficiale dell'Arma si comporti in tale maniera. La Commissione si propone di salvaguardare il prestigio del Servizio individuando eventuali abusi ed eventuali responsabilità. Se non si collabora a questo scopo ogni sforzo sarà vano. Prima di congedarlo gli annunzia di avergli comminato gli arresti per il suo atteggiamento passivo. Il ten. col. Bianchi prima di allontanarsi desidera chiarire che la sua attività, quale capo Sezione, non va limitata o identificata solo nel settore dei fascicoli. Essa abbraccia vasti e complessi campi di azione di grande rilievo, sui quali potrebbe ampiamente soffermarsi. Nulla al contrario può dire in merito a questioni che ignora perché personalmente trattate o disposte dal capo Ufficio. NB: Le sottolineature sono redazionali