Scarica PDF - Cinematografo

Transcript

Scarica PDF - Cinematografo
MENSILE N.6 GIUGNO 2015 € 3,50
Cannes
IL GUSTO DEL
CINEMA
Dalla tavola allo
schermo. Piatti e
film prelibati
JURASSIC WORLD FA ANCORA
GOLA. COMPLICE IL PRODUTTORE
STEVEN SPIELBERG
Quando i premi
non fanno
la differenza.
Ecco gli
imperdibili di
questa
edizione
Bryce Dallas
Howard e Chris
Pratt nel kolossal
di Colin
Trevorrow
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
SPECIALE
68
SMART TV
PC
TABLET
SMARTPHONE
Porsche consiglia
Porsche consiglia
Dati riferiti ai modelli GTS: Consumi ciclo combinato: da 10,7 a 8,2 l/100 km. Emissioni CO2: da 249 a 190 g/km.
Picchi, curve e accelerazioni.
Il tuo elettrocardiogramma.
I modelli GTS di Porsche.
Entra nella Community.
Scopri i modelli GTS: Boxster, Cayman, 911, Panamera e Cayenne.
Entra nella Community GTS per trovare gli itinerari più emozionanti
e condividerli con tutti gli appassionati Porsche.
Porsche Italia Spa, Padova corso Stati Uniti 35, Telefono 049/8292911. www.porsche.it
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Punti di vista
1XRYDVHULH$QQRQJLXJQR
,QFRSHUWLQD%U\FH'DOODV+RZDUGH&KULV3UDWWLQ
Jurassic World
Seguici anche su
FACEBOOK
&LQHPDWRJUDIRLW
(QWH6SHWWDFROR
TWITTER
#FLQHPDWRJUDIR,7
YOUTUBE
(QWH6SHWWDFROR
L’Italia non s’è mesta
',5(7725(5(63216$%,/(
Ivan Maffeis
Verrebbe da direFKHLOSLDWWRSLDQJH,²OPGL0RUHWWL*DUURQHH
6RUUHQWLQRLQ&RQFRUVRDO)HVWLYDOGL&DQQHVVRQRWRUQDWLD
FDVDDPDQLYXRWH$QFKHLouisianaGL0LQHUYLQLQHOODVH]LRQH8Q
&HUWDLQ5HJDUGqVWDWRHVFOXVRGDOSDOPDUqV(SSXUHO¬,WDOLDQRQ
qVWDWDGHOWXWWRGLPHQWLFDWDVHMia madreVLDJJLXGLFDLO3UHPLR
GHOOD*LXULD(FXPHQLFDFRQLOFRUWRPHWUDJJLRVaricellaLOJLRYDQH
)XOYLR5LVXOHRKDLQFDQWDWRODJLXULDGHOOD6HPDLQHGHOD&ULWLTXH
1RQVRORL²OPLWDOLDQLSDVVDWLD&DQQHVKDQQRUDFFROWRJOLDSSODXVL
GHOSXEEOLFRHLOSODXVRGHOODFULWLFDGLPRVWUDQGRGLVDSHUVL
LPSRUUHVXOODVFHQDQD]LRQDOHHLQWHUQD]LRQDOH/¬,WDOLDQ3DYLOLRQ
GL&DQQHVKDTXLQGLUDSSUHVHQWDWRXQDWDYRODLPSRUWDQWHVXOOD
TXDOHFHOHEUDUHHGDUHYLVLELOLWjDLQRVWUL$XWRULHDOOHLVWLWX]LRQL
FKHSURPXRYRQRLOQRVWURFLQHPD7UDOHSRUWDWHDQFKHTXHOOH
DVVLFXUDWHGDOOD)RQGD]LRQH(QWHGHOOR6SHWWDFRORLQQDQ]LWXWWR
FRQODSUHVHQ]DTXDOL²FDWDGHOO¬LQWHUDUHGD]LRQHGHOODRivista
TXLQGLFRQXQDVHULHGLLQL]LDWLYHHLQFRQWULFXOWXUDOLWUDFXLOD
SUHVHQWD]LRQHGL7HUWLR0LOOHQQLR)LOP)HVWQHOVHJQRGHOGLDORJR
WUDFXOWXUHHUHOLJLRQL
&$325('$7725(
Marina Sanna
5('$=,21(
Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio
Sammarco
&217$77,
[email protected]
$57',5(&725
Alessandro Palmieri
HANNO COLLABORATO
$QJHOD%RVHWWR2ULR&DOGLURQ*LDQOXLJL
&HFFDUHOOL3LHWUR&RFFLD6LOYLR'DQHVH/DXUD
'HOOL&ROOL$OHVVDQGUR'H6LPRQH%UXQR)RUQDUD
*LDQORUHQ]R)UDQ]u*LXVHSSH*DULD]]R0DUFR
/HWL]LD0DVVLPR0RQWHOHRQH)UDQFR0RQWLQL
5REHUWR1HSRWL0DQXHOD3LQHWWL(PDQXHOH
5DXFR*LRUJLR6LPRQHOOL0DUFR6SDJQROL&KLDUD
6XSSOL]L
REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA
1GHOOXJOLR
,VFUL]LRQHDO52&QGHO
STAMPA
7LSRJUD²D6753UHVV6UO9LD&DUSL
3RPH]LD50
)LQLWDGLVWDPSDUHQHOPHVHGLPDJJLR
MARKETING E ADVERTISING
(XUHND6UO9LD/6RGHULQL0LODQR
7HO)D[
&HOO
HPDLOLQIR#HXUHNDLGHDLW
DISTRIBUTORE ESCLUSIVO
0(3(0LODQR
ABBONAMENTI
$%%21$0(1723(5/¬,7$/,$QXPHULHXUR
$%%21$0(1723(5/¬(67(52QXPHULHXUR
&&,QWHVWDWRD)RQGD]LRQH(QWHGHOOR6SHWWDFROR
PER ABBONARSI
DEERQDPHQWL#HQWHVSHWWDFRORRUJ
7HO
PROPRIETA’ ED EDITORE
35(6,'(17(
La costruzione
dell’Albero
della Vita a
Expo 2015
Il medesimo spirito FLSRUWDRUDD([SR0LODQR
Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita
GRYHQHOO¬(GLFROD&DULWDV,QWHUQDWLRQDOLV
DEELDPRDOOHVWLWR§LQFROODERUD]LRQHFRQ
LO&HQWUR6SHULPHQWDOHGL&LQHPDWRJUD²D
&LQHWHFD1D]LRQDOHHFRQLOSDWURFLQLRGHO
0L%$&7§ODPRVWUDIRWRJUD²FDItalian Film
Food Stories$WWUDYHUVRIRWRGLVFHQD
©UXEDWHªVXOVHWGL²OPLQGLPHQWLFDELOL
SURSULRODWHPDWLFDGHOFLERFLDFFRPSDJQD
QHOULSHUFRUUHUHODVWRULDGHOQRVWUR3DHVH8JR7RJQD]]L0DUFHOOR
0DVWURLDQQL6RSKLD/RUHQ&ODXGLD&DUGLQDOH1LQR0DQIUHGL
9LWWRULR*DVVPDQH7RWzVRQRDOFXQLGHLSURWDJRQLVWLGHOSHUFRUVR
GHOODPRVWUDPDO¬DWWRUHSULQFLSDOHqORVSLULWRGLFRQGLYLVLRQHGHOOD
WDYRODOLQIDGLYLWDQXWULPHQWRQRQVRORSHULFRUSLFROODQWHGHOOH
IDPLJOLHHGHOODVRFLHWj
Ivan Maffeis
',5(7725(
Antonio Urrata
8)),&,267$03$
XI²FLRVWDPSD#HQWHVSHWWDFRORRUJ
&2081,&$=,21((69,/8332
Franco Conta - [email protected]
&225',1$0(1726(*5(7(5,$
Marisa Meoni - [email protected]
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
9LD$XUHOLD5RPD
7HO)D[
DPPLQLVWUD]LRQH#HQWHVSHWWDFRORRUJ
Un assaggio della mostraqDGLVSRVL]LRQHGLWXWWLVXOVLWR ZZZLWDOLDQ²OPIRRGVWRULHVFRPGRYHqRVSLWDWRDQFKH©,OJXVWR
GHOFLQHPDªORVSHFLDOHFKHDUULFFKLVFHLOQXPHURGHOODRivista che
DYHWHWUDOHPDQLXQ¬RSSRUWXQLWjLUULSHWLELOH§FRPHVFULYH*LDQOXFD
$UQRQH§GLLQWDYRODUHXQGLVFRUVRVXFRPH©LOFLQHPDDEELDVDSXWR
LQWUDWWHQHUHFRQODFXFLQDXQGLDORJRIHFRQGRFDSDFHRUDGL
UHVWLWXLUHLOPRPHQWRFRQYLYLDOHLQWXWWDODVXDULFFKH]]DFXOWXUDOH
RUDGLWUDWWDUORDOOHJRULFDPHQWHIDFHQGRQHXQLQJUHGLHQWH
HVVHQ]LDOHSHUQDUUD]LRQLFKHSDUODQRd’altroª
$VVRFLDWRDOO¬863,
8QLRQH6WDPSD3HULRGLFD,WDOLDQD
,QL]LDWLYDUHDOL]]DWDFRQLOFRQWULEXWRGHOOD
'LUH]LRQH*HQHUDOH&LQHPD0LQLVWHURGHL
%HQLHGHOOH$WWLYLWj&XOWXUDOLHGHO7XULVPR
/DWHVWDWDIUXLVFHGHLFRQWULEXWLVWDWDOLGLUHWWL
GLFXLDOODOHJJHDJRVWRQ
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
5
S N G C I S I N D A C AT O N A Z I O N A L E G I O R N A L I S T I C I N E M AT O G R A F I C I I TA L I A N I
SOMMARIO
GIUGNO 2015
26
8 In vetrina
News e tendenze: Giovanni
Veronesi on air
12 Brividi di genere
Gli orrori di José Mojica Marins
14 Taormina si rinnova
Edizione 61 del festival. Al
Teatro Antico anteprime, China
Day e rassegna cubana
16 Arrivederci Cannes
Luci e ombre sulla Croisette,
verdetto discutibile. Ecco i
nostri colpi di fulmine
IL PARCO È
APERTO
12
54
26 COVER STORY
Dinosauri allo sbaraglio
Viaggio nello spaventoso Jurassic
World, il primo blockbuster di
quest’estate. Con Bryce Dallas
Howard e Chris Pratt
33 SPECIALE
Saziare lo sguardo
Cinema e cibo, assioma
indissolubile. 34 Ciak, si mangia!
38 Quattro salti in pellicola
44 Ossessione italiana
46 Piccolo schermo, grande
piatto 50 A mozzichi e
bocconi
INCUBO BRASILEIRO
16
54 Ritratti
Il postino suona sempre due
volte, ma non solo: Lana
Turner
IL DOPO FESTIVAL
33
SUL FILO DI LANA
75
57,²OPGHOPHVH
Recensioni, anteprime, colpi di
fulmine
72 Dvd, Blu-ray & Serie Tv
In salotto Birdman, la stagione
completa di Fargo e anniversari
da collezione
78 Borsa del cinema
FILM DA
MANGIARE
CASINÒ DI
SCORSESE
80 Libri
82 Colonne sonore
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
7
inVetrina
DFXUDGL Gianluca Arnone
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
Italia Fuori Onda
“Il nostro non è un paese per giovani”:
parola di Giovanni Veronesi.
Che denuncia alla radio l’esodo di una
JHQHUD]LRQHSHQVDQGRJLjDO²OP
ranquilli, l’Italia
si svuota.
Oltre 100mila
connazionali
sono andati all’estero nel
2014, più degli stranieri
entrati: “La generazione
dei 30enni di oggi
destinata a sparire dai
radar: 100.000 emigrati
all’anno son tanti, in dieci
anni fa un milione”.
A suonare l’allarme non è la politica
(sic!) ma un regista di commedie,
Giovanni Veronesi, che da un anno
insieme a Max Cervelli (nella foto)
conduce su Rai Radio2 Non è un
paese per giovani (lun-ven, 12.00
- 13.30), dove molti ragazzi italiani
raccontano la propria esperienza di
espatriati in cerca di fortuna.
Il quadro è sconfortante.
Drammatico! Questo davvero non è
un paese per giovani. Dei 100.000
che se ne vanno ogni anno, solo il
30% torna. Fortuna che l’Europa
sta diventando una grande nazione.
I ragazzi ormai vanno da Parigi
a Londra con due ore di treno.
L’Europa la stanno facendo loro.
Che cosa trovano lontano da casa?
Facilitazioni. A Bruxelles se vuoi
mettere su un’attività, in una
settimana ottieni tutti i permessi.
Qui ci vogliono 6-7 mesi e bisogna
vedere se te li danno. I giovani sono
8
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
vittime della burocrazia. In Italia
sentono di essere un peso, all’estero
il futuro.
Che cosa perdono?
Si sradicano. Tagliano via affetti,
famiglie, frantumano un territorio.
Perché hai deciso di raccontare
tutto questo in radio?
La radio è più intima, è come se ti
arrivasse dentro. Alla radio posso
dire delle cose che normalmente non
potrei mai dire in un’intervista o in tv.
E dalla radio nascerà il mio prossimo
´OP
Ovvero?
Non è un paese per giovani. S’intitola
come il programma. Parte da uno
speaker radiofonico che forse viene
licenziato, forse si trova in mezzo
a un ginepraio strano. In ogni caso
la radio sarà la voce narrante che
accompagnerà la storia dei ragazzi
che espatriano. Non ho ancora deciso
se la decisione di lasciare l’Italia sarà
LO´QDOHGHO´OPRXQPRPHQWRGL
passaggio.
Gli attori?
Nessuno di famoso. Li ho trovati
facendo i provini in trasmissione.
Il protagonista si chiama Alessio
D’Amico, è molto bravo.
Quando inizi le riprese?
Devo ancora accertarmi che ci sia una
SURGX]LRQH6HJDUDQWLVFRFKHLO´OP
fa ridere me lo fanno fare. Altrimenti
è dura. E stavolta non garantisco.…
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
9
inVetrinaNews
Che succede in città? Eventi speciali, digitali,
on stage e live: tutto quello che non puoi e non devi perdere
Il cartellone
La Bohème
Take That Live!
Dall’Arena 02 di
Londra il concerto
della band
britannica
Una delle composizioni
più popolari di
Puccini rivive in
uno spettacolo che
promette di fare la
storia della Royal
Opera House. In diretta
il 10 giugno.
Il 9 giugno, in diretta
dall’Arena 02 di Londra, il
live dei Take That invaderà
le sale di tutto il mondo (in
Italia grazie a The Space)
con un’esplosione di colori,
QXPHULGLGDQ]DFRUHRJUD´H
eccezionali, tandem che
volano sospesi sopra il
pubblico e poi ancora
sfere incendiate, fuochi
DUWL´FLDOLHXQ­LPSURYYLVD
tempesta al coperto. “Sarà
una notte speciale per noi,
stiamo pensando a molte
sorprese”, ha dichiarato la
band.
Grateful Dead
In diretta dal Soldier
Field di Chicago,
lunedì 6 luglio (ore
19.30), Fare Thee Well
il concerto che celebra
i 50 anni di carriera
della storica rock band
americana.
Guglielmo Tell
L’ultimo capolavoro di
Rossini in una sfarzosa
e provocatoria
versione in diretta
Live dal debuttante
Damiano Michieletto.
In diretta dal Royal
Opera House il 5 luglio.
Le vie del cinema
A Milano i titoli di Cannes, Venezia, Locarno e Torino
Scorpions
Forever and a Day
celebra i 50 anni degli
Scorpions. Riviviamo
la loro storia attraverso
immagini esclusive,
interviste, ricordi e
tanta musica. 16, 17
giugno.
Terminator
Torna nelle sale (30
giugno e 1° luglio)
dopo più di 30 anni, il
cult di James Cameron
che tra le altre cose
ebbe il merito di
lanciare Arnold
Schwarzenegger.
10
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Da venerdì 12 a giovedì 18 giugno,
le sale milanesi ospitano anche
quest’anno “Le vie del cinema”. I
´OPGDLIHVWLYDOLQWHUQD]LRQDOLGL
Cannes, Venezia, Locarno e Torino,
un’occasione unica per vedere, in
DQWHSULPDQD]LRQDOH´OPG­DXWRUH
in lingua originale con sottotitoli in
LWDOLDQR5LFFDODVHOH]LRQHGL´OPGDO
68esimo Festival di Cannes.
© 2014 Whiplash, LLC. All Rights Reserved
Disponibile dal 10 Giugno
SMART TV
PC
TABLET
SMARTPHONE
ANDROID
IOS
WIN8
brividi di genere
I FESTIVAL
a cura di Massimo Monteleone
Agenda del mese:
ecco gli appuntamenti
da non perdere
FESTIVAL –
1 BIOGRAFILM
INTERNATIONAL
CELEBRATION OF LIVES
Località Bologna, Italia
Periodo 5-15 giugno
Tel. (051) 4070166
WebELRJUD²OPLW
Mail LQIR#ELRJUD²OPLW
Resp. Andrea Romeo
FILM
2 CAMAIORE
FESTIVAL
Località Camaiore (Lucca),
Italia
Periodo 10-14 giugno
Tel. 3286840979
Web FDPDLRUH²OPIHVWLYDO
wordpress.com
Mail IHVWLYDOFDPDLRUH²OP#
gmail.com
Resp. Roberto Merlino
DI CINEMA A
3 PARLARE
CASTIGLIONCELLO
IL POTERE HA PAURA
Marins: il pioniere dell’horror brasiliano che terrorizzò la dittatura
Località Castiglioncello
(Livorno), Italia
Periodo 16-20 giugno
Tel. (0586) 724287 opp.
724298
Web comune.rosignano.
livorno.it
Mail [email protected].
livorno.it
Resp.3DROR0HUHJKHWWL
4 MOSTRA
INTERNAZIONALE DEL
NUOVO CINEMA
Località 3HVDUR,WDOLD
Periodo 20-27 giugno
di Giuseppe Gariazzo
osé Mojica Marins è una
leggenda e nel 2016
compirà 80 anni. Brasiliano,
autore di horror salutarmente
“malati”, creatore di un personaggio mitico da lui stesso
interpretato, il becchino Zé
do Caixão, Mojica Marins è
stato un pioniere dell’horror
nel suo paese e un cineasta
indipendente e autodidatta.
Con i suoi testi grondanti sesso e morte, profanazione e
sadismo, cannibalismo e allucinazioni, ha fatto infuriare le
istituzioni e subìto, negli anni
Sessanta della nascente dit-
J
tatura, le manipolazioni della
FHQVXUD$OO¬LQWHUQRGLXQD²OPRJUD²D SUROL²FD GXH VRQR
i lavori imprescindibili, che
fondano la poetica della crudeltà esplorata da un regista
capace di ideare mondi fantastici, al tempo stesso molto
realistici, da budget minimi:
À meia noite levarei sua alma
(1964) e il seguito Esta noite encarnarei no teu cadáver
(1966). Cappello a cilindro e
mantello neri, unghie lunghissime e arcuate, Zé do Caixão
va in cerca delle sue vittime,
bramando la donna ideale in
grado di dargli l’erede perfetto.
Nel 2008, dopo tanti rinvii,
Mojica Marins è riuscito a
concludere quella che aveva
pensato come una trilogia
realizzando Encarnação do
Demônio (Incarnazione del
Demonio), folgorante danza
macabra delle sue ossessioni,
dagli insetti ai dettagli di mani
e occhi, dai corpi femminili ai
resti umani. Rigirando, inoltre, una scena che nel 1966 fu
FRVWUHWWR D PRGL²FDUH 3UHQdendosi, a distanza di tempo,
la rivincita su chi lo osteggiò.
tel. (06) 4456643
(riferimento a Roma)
Web SHVDUR²OPIHVWLW
Mail LQIR#SHVDUR²OPIHVWLW
Resp.3HGUR$UPRFLGD
5 FANTAFESTIVAL
Località Roma, Italia
Periodo 22 giugno - 9
settembre
Tel. (06) 8841246 / 8413721
Web fanta-festival.it
Mail [email protected]
Resp.$GULDQR3LQWDOGL
Alberto Ravaglioli
CINEMA RITROVATO
6 ILLocalità
Bologna, Italia
Gli imperdibili
À MEIA NOITE LEVAREI SUA
ALMA (1964)
Il becchino
Zé do Caixão
esordisce sullo
schermo.
12
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
ESTA NOITE ENCARNAREI
NO TEU CADÁVER (1966)
Torna il
personaggio
interpretato dal
regista.
ENCARNAÇÃO DO DEMÔNIO
(2008)
La trilogia si
chiude con nuove
visioni, ancora
più infernali.
Periodo 27 giugno - 4 luglio
Tel. (051) 2194814
Web cinetecadibologna.it/
cinemaritrovato2015
Mail ilcinemaritrovato@
cineteca.bologna.it
Resp. Gian Luca Farinelli
FILM FESTIVAL
7 ISCHIA
Località Ischia, Italia
Periodo 27 giugno - 4 luglio
Tel. (081) 984588
Web LVFKLD²OPIHVWLYDOLW
Mail LQIR#LVFKLD²OPIHVWLYDOLW
Resp. Michelangelo Messina,
Enny Mazzella
Typewriter Edition
Bret Easton Ellis, Los Angeles.
eventi
L’amore per l’Italia, la promozione del
cinema che verrà, l’attenzione al
pubblico: ecco perché il festival
siciliano va preservato e rilanciato
di Tiziana Rocca*
Taormina,
CHE
PASSIONE!
14
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
l’anno in cui il Taormina
FilmFest compie sessanta anni più uno, ovvero supera l’importante traguardo della 60esima
edizione e si prepara a un nuovo decennio. Dal 2012, l’anno in cui la produzione è stata affidata alla Agnus
Dei Tiziana Rocca Production, è stato portato avanti un lavoro molto
particolare con un piano editoriale e
un piano marketing studiati ad hoc
affinché il Festival del Cinema di
Taormina diventasse il volano per la
cultura e il made in Italy e allo stesso
tempo riportasse star e major hollywodiane nel nostro paese, creando
anche un importante indotto nella
Regione Siciliana.
In queste ultime quattro edizioni sono stati raggiunti molti obiettivi.
Prima di tutto abbiamo operato in
modo che le maggiori Istituzioni italiane di promozione del cinema fossero di nuovo presenti all’interno di
una manifestazione internazionale
che come scopo ha, e deve avere, la
promozione della cultura cinematografica italiana. Con l’ANICA, l’Istituto Luce-Cinecittà, l’ICE, il Nuovo
Imaie abbiamo fatto, e continuiamo
a costruire, preziosi e collaborativi
eventi speciali utili per portare il nostro cinema al di là dei nostri confini,
con collaborazioni e reciproche conoscenze. Nelle passate edizioni ci
sono state sezioni dedicate alla Russia e all’Argentina con incontri mirati
al mercato delle coproduzioni, quest’anno sarà protagonista il China
Day, oltre a una rassegna di film dedicata a Cuba, organizzata dalla
Fondazione Ente dello Spettacolo.
La 61esima edizione, poi, grazie a un
accordo con l’Istituto Italiano di Cultura (Italian Cultural Institute) a Los
Angeles e il suo direttore Valeria Rumori, il Consolato Generale Italiano
di LA e l’ICE, sarà presentata a Los
Angeles con una rassegna di film italiani e siciliani di produzione indipendente. L’idea nasce per promuovere il cinema italiano all’estero con
particolare attenzione ai film realizzati da autori siciliani e porterà in
America anche il film vincitore del
premio “Cariddino d’Oro” assegnato
2015
dalla Giuria dell’AGISCUOLA durante
la 61° edizione del TaorminaFilmFest.
Ma il Festival di Taormina ha tra i
suoi obiettivi anche quello di essere
“promotore” del cinema italiano che
verrà. Quest’anno sarà presentato in
anteprima il nuovo film dei fratelli
Vanzina Torno indietro e cambio vita.
Grazie, anche, alla sezione “Pre-visioni/Lavori in corso” in cui i protagonisti raccontano in anteprima film
e progetti italiani della prossima stagione e grazie alla TaoClass e al
Campus il nostro cinema verrà presentato a un pubblico d’eccezione,
quello dei giovani: spettatori di domani. Ed è proprio ai giovani che
molta parte della nostra manifestazione è rivolta, non solo attraverso le
citate sezioni ma anche grazie alla
Giuria Speciale di Giovani (è la stessa
dei David di Donatello), che voterà il
miglior film italiano presente al Festival assegnando il “Cariddino d’Oro”, grazie all’accordo con AGISCUOLA presieduta da Luciana Della Fornace. La 61esima edizione vede sul
palcoscenico anche la nuova sezione
TaoEdu che, in accordo e in collaborazione con il Garante per l’infanzia,
proporrà film dedicati a un pubblico
di ragazzi.
Per chiudere, nel TaorminaFilmFest
c’è tanta passione, tanta energia (ovviamente tanto sudore, tanta fatica)
per promuovere le cose belle della
nostra Italia, della nostra Sicilia.
Amore per il cinema, per la bellezza,
per l’arte, per i giovani, amore per la
vita, insomma.
* General Manager TaorminaFilmFest
Tiziana Rocca festeggia a Taormina
Quest’anno sarà protagonista il
China Day, oltre a una rassegna di
film dedicata a Cuba
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
15
Cannes 68
Le ragioni di una
sconfitta, le ipotesi
di una vittoria. In
una selezione non
sempre all’altezza
dei suoi autori
di Marina Sanna foto Pietro Coccia
SCONTENTI E
16
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Questo non è nazionalismo,
bensì un moto di orgoglio per i nostri film.
Saranno parole abusate ma nulla impedisce di
scriverlo ancora una volta: è incredibile che Nanni
Moretti, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino non
abbiano vinto nulla. Tre film belli, coraggiosi, con
attori straordinari, e certo non dimentichiamo
l’altro italiano, Roberto Minervini con Louisiana in
Un Certain Regard, di cui abbiamo già scritto nel
numero precedente, rimasti a mani vuote.
Insomma, ci chiediamo: è davvero questione di
gusti? La risposta della giuria del 68mo Festival di
Cannes sembra un po’ forzata, proprio nell’anno
in cui questi registi si sono confrontati con il
mondo intero, usando generi, temi, linguaggi mai
esplorati fino ad ora. Almeno così in profondità.
Allora, la vittoria francese nella stagione
produttiva di maggiore debolezza ci sembra fuori
luogo. La Palma a Jacques Audiard, per Dheepan,
un’opera debole e irrisolta, fa più male che bene a
un autore che è in fase calante, dopo il successo
di Il profeta. Che cosa avranno visto i fratelli Coen
in Chronic per dargli il premio alla sceneggiatura,
quando la storia è la parte meno forte? Dividere
SODDISFATTI
Vincent Lindon,
migliore attore.
Sopra Jacques
Audiard, Palma
d'Oro. Pagina
accanto da
sinistra: László
Nemes, Gran
Premio; Maïwenn
regista per la
Bercot e Tim
Roth con Michel
Franco
ex aequo la Palma tra Rooney Mara (superlativa
in Carol di Todd Haynes) ed Emmanuelle Bercot
in Mon roi di Maïwenn appare bizzarro. Almeno
quanto la Palma a Vincent Lindon per un film
piatto e senz’anima, La loi du marché di Stéphane
Brizé. Mentre abbiamo pianto per Michael Caine
in Youth, applaudito Benicio Del Toro nel Sicario
di Denis Villeneuve, salutato con sorpresa la bella
performance di Colin Farrell in The Lobster di
Yorgos Lanthimos (Premio della Giuria, l’unico
che avevamo predetto). Nel palmarès ideale Son
of Saul avrebbe dovuto vincere la Camera d’Or
per l’esordio più folgorante visto a Cannes, e
invece ha preso il Gran Premio della Giuria. Su
The Assassin, Palma alla regia, di Hou HsiaoHsien non abbiamo nulla da dire. Un’opera
gelida, bellissima e indecifrabile. Pensiamo che le
giurie abbiano un compito importante, che siano
del tutto imprevedibili. Che i verdetti possano
essere spiazzanti e a volte invece sono il frutto di
un gioco di squadra. Quindi, forse, un membro
italiano avrebbe fatto la differenza.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
17
The Best of
LEGENDA:
5: da Palma 4: ottimo 3: buono
Da Carol al
Figlio di Saul
passando
per The
Assassin e
Mountains
May Depart.
I titoli che
abbiamo
amato di
più
di Gianluca Arnone,
Bruno Fornara, Federico
Pontiggia, Valerio
Sammarco, Marina
Sanna
18
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
MOUNTAINS
MAY DEPART
NON RIUSCIAMO ANCORA A CAPIRE
come sia stato possibile che dal
palmarès sia rimasto fuori il film di Jia
Zhangke. Magniloquente mélo pop,
epopea sulle speranze e sul farsi di
una Cina a cavallo tra il 1999 e il 2025
(con destinazione Australia),
Mountains May Depart parte da Go
West dei Pet Shop Boys,
passa attraverso Take
Care della popstar
hongkonghese Sally Yeh
e ritorna a Go West. Per
compiere questo
viaggio, Jia utilizza tre
blocchi temporali (19992014-2025) e tre formati
4
differenti (1.33 – 1.85 – 2.39),
adattando lo schermo al “progresso”
dei suoi protagonisti. Un ballo di
gruppo per avvicinarsi al nuovo
millennio. Un triangolo emotivo per
separarsi dalla giovinezza. Tao (Zhao
Tao) è corteggiata dai suoi due amici
d’infanzia, Zhang (Zhang Yi) e Liangzi
(Liang Jing Dong). Il primo, destinato
ad un avvenire di ricchezza, è il
classico yuppie sfrontato e sicuro di
sé, il secondo – taciturno e riflessivo –
lavora in una miniera di carbone. La
scelta della ragazza, dolorosa,
determinerà il futuro di tutti,
compreso quello del suo figlio
venturo, Dollar. Magnifico.
V.S.
Cannes 68
IL FIGLIO DI SAUL
5
OTTOBRE 1944, campo di
Auschwitz-Birkenau, Saul
Auslander, ungherese, fa parte di
un Sonderkommando: ebreo,
aiuta le SS nello sterminio,
ovvero accompagna altri ebrei
nelle camere a gas, li rassicura, li
fa spogliare per la doccia che
non ci sarà. Poi, estrae i cadaveri,
li mette nei forni e pulisce. Ogni
giorno, ogni ora, la routine
dell’Olocausto, ma quando
scopre nel cadavere di un
ragazzo dai capelli scuri il
proprio figlio… L’esordio alla
regia dell’ungherese László
Nemes ridà nuovo nitore alla
Shoah al cinema, e non è
flusso ininterrotto
della storia, senza
cornici, flashback e
didascalie nei quali
comprenderli. Non devono
distrarci dalla magnifica cascata
di immagini che il film regala:
tutto – dai paesaggi incantevoli
della Mongolia al tessuto delle
vesti, dai colori che in certi
momenti sembrano prendere
fuoco sullo schermo alle luci
create dalla superba fotografia
di Mark Lee Ping-Bin – è
visione, epifania, incantesimo,
trasporto. Cinema al grado più
alto di erotismo.
G.A.
impresa da poco: formato
dell’immagine quasi quadrato,
macchina a mano, l’Inferno nella
semi-soggettiva di Saul, quella
della dannazione. Non ci sono
campi totali, solo inquadrature
ravvicinate, forzatamente parziali,
inconcludenti, ma sentiamo tutto:
pure l’odore dei cadaveri bruciati.
Basato sulle testimonianze di
membri dei Sonderkommando
raccolte nei Rotoli di Auschwitz,
nella geometria della morte del
campo affiora la certezza: Son of
Saul è uno zombie movie. Il 27
gennaio 2016, Giornata della
Memoria, in sala. Straordinario.
F.P.
THE ASSASSIN
IN THE ASSASSIN il ricorso
all’action e agli effetti speciali,
punti fermi del wuxiapian,
lasciano il posto a un incanto
puramente contemplativo,
un’immersione estetica in un
mondo astratto, riemerso dalle
lontananze del tempo. La storia
non è semplice da seguire, per i
tanti personaggi che occupano la
scena e perché Hou Hsiao-Hsien
non offre troppe spiegazioni. Gli
eventi accadono e scivolano nel
4
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
19
The Best of
ARABIAN NIGHTS
4
LOUISIANA
Con Louisiana, Roberto
Minervini, italiano che
vive in America,
conferma il talento che
s’intuiva sin dall’esordio
con The Passage: primo
capitolo di una trilogia
texana chiusasi con Stop
the Pounding Heart.
Durissimo, due capitoli
che si parlano:
Louisiana, dove gli
emarginati tentano di
sopravvivere alla
disperazione della vita
quotidiana, amandosi e
drogandosi con la stessa
intensità. In Texas, invece,
gruppi paramilitari
organizzati si preparano
a un futuro colpo di
Stato. Minervini ha girato
sei mesi, in realtà sono
anni che si documenta,
montando storie vere e
dolenti, con un
linguaggio che lui stesso
definisce istintivo e
primordiale, che non
appartiene al genere
documentario né a quello
di finzione. Il suo
“dono” è una “sensibilità”
straordinaria, che gli
permette di raccontare
senza filtri, in questo
caso l’altra faccia
dell’America.
M.S.
20
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
CHE STORIE POTREBBE RACCONTARE, sul Portogallo di oggi,
una rediviva Sheherazade? La fanciulla che, nelle Mille e una
notte, proponeva al crudele re una storia dopo l’altra per tener
lontana la morte, viene ingaggiata da Miguel Gomes, e incaricata
di continuare a intessere un racconto dopo l’altro, per uno
(“L’inquieto”), due (“Il desolato”), tre film (“L’incantato”). Sei ore
di avventure e riflessioni dentro la storia del Portogallo di questi
anni, funestati dalla crisi, dalla troika europea, dalla povertà e
dalla disoccupazione. Gomes e Sheherazade compongono un
polittico a scomparti: nella pala centrale c’è la gente in
difficoltà, come gli operai senza lavoro dei cantieri navali, la
cui storia apre il film, mescolata con un’altra storia, inattesa,
quella di un apicoltore che combatte l’invasione delle
malvagie vespe cinesi. Le tante tessere del mosaico non
si ricompongono, lasciano dei vuoti tra racconti
accennati o marginali, storie esplosive (la balena
spiaggiata!), eventi presi dalla piccola cronaca di
paese come il gallo processato perché canta di
notte (libertà di canto!). Fino ai magnifici
fringuellatori che vivono per allevare fringuelli
(darwiniani!) che sappiano cantare e cantare
per mettere un po’ di felicità in povere
stanze. Uno due tre film diseguali: ora belli
e sorridenti, ora smarriti e scomposti,
innocenti o affilati. Gomes non ha paura
a mostrarsi sperso, miserabile e
sublime. Come il suo paese.
B.F.
TROI SOUVENIRS DE MA JEUNESSE
4
Cannes 68
4
SICARIO
GLI È ARRIVATA UNA SCENEGGIATURA, e Denis
Villeneuve ha fatto il solito film: esiste una legge, e
qual è, quella statale o quella morale o quale altra
ancora? La donna che canta, Prisoners e ora Sicario,
che dagli Zeloti arriva al Messico qui e ora: droga,
cartelli e guerra transfrontaliera, tra Juárez e
Phoenix. Il player è la CIA che per operare negli
States – la soluzione è la pecca principale dello
script – ha bisogno di un utile idiota della FBI:
aggiungete un apostrofo rosa, l’idiota del Bureau è
Emily Blunt, pesce piccolo, ignaro e, sì, ignavo tra
gli squali Josh Brolin e lui, il title role, Benicio Del
Toro. Gira da dio, Denis, e l’esfiltrazione da Juárez è
poesia adrenalinica pura: non c’è da stupirsi che
l’abbiano voluto per riesumare Blade Runner, c’è da
credere che possa diventare il nuovo Michael Mann.
Dal 17 settembre al cinema.
F.P.
4
IL PROTAGONISTA si
chiama Paul Dédalus. E il film
è labirintico, con
innumerevoli svolte, ritorni,
avanzamenti, soprassalti,
incroci, biforcazioni. Dédalus
fa venire subito in mente
Joyce e il suo Ritratto
dell’artista da giovane (1916,
l’edizione italiana dell’Adelphi
si intitola proprio Dedalus).
Desplechin mette come titolo
al suo film un innocente Tre
ricordi della mia giovinezza.
In realtà i ricordi sono molti
di più, un’infinità, una marea
di ricordi a ondate
successive. Diviso in capitoli,
il film parte dall’infanzia di
Paul, passa al suo viaggio in
Russia, a Minsk, all’incontro e
alla lunga storia con Esther,
fino al Paul uomo fatto
(Mathieu Amalric). Chi è
Paul? Difficile dirlo e il film
non vuole certo rispondere
alla domanda. Paul è Paul ed
è tanti Paul. Trois souvenirs
de ma jeunesse non è uno di
quei biopic che prendono in
carico la vita di un
personaggio, la raccontano
per filo e per segno,
sostengono la linearità di un
percorso e lo svolgersi di un
filo senza strappi. Il viaggio
di Dédalus/Ulisse è
segmentato, mosso, abitato
da incontri e scontri, è
raccontato da Desplechin
con intensità, scarti e
sobbalzi da giocoliere. La
vita non è un lungo fiume
tranquillo.
B.F.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
21
The Best of
JOURNEY TO THE SHORE
4
I FANTASMI DI KUROSAWA
non fanno più paura. Sono i
nostri cari tornati per un ultimo
saluto, un chiarimento, una
scusa non data. Come il marito
di Muzuki, rientrato a casa dopo
tre anni. Già morto, ma pronto a
un ultimo viaggio insieme a una
moglie incredula, ma non
troppo. Non c’è da stupirsi del
resto, le interferenze tra regno
dei vivi e dei morti sono
continue, talvolta inavvertite.
Ma devono essere sanate.
L’ultimo Kurosawa si apre uno
spiraglio chiudendo un portone,
quello che separa i due mondi.
Dall’alto di uno stile mai così
controllato, di un sentire mai
così quieto, invita il Giappone
del dopo Fukushima a guardare
avanti, a liberarsi delle proprie
pulsioni nichilistiche, a salutare,
dire addio, seppellire i propri
morti, ricominciare. Vivere,
come in quel film
indimenticabile, di un altro
Kurosawa.
G.A.
AMY
AMY WINEHOUSE, chi era
costei? Finita nel Club 27, era
una cantante jazz, ma il rock la
divorava dentro. Il suo percorso
lo ricostruisce con accesso
totale a testimonianze, esibizioni
e registrazioni quell’Asif Kapadia
che già aveva inquadrato Ayrton
Senna. Amy fa venire i brividi:
non per la forma, ma per la
storia della ragazza ebrea di
Londra Nord, con la sua voglia di
vivere e l’incapacità, tra padri e
fidanzati sbagliati, di
sopravvivere. Altro che Back to
Black, quando la senti oggi, ti
piglia lo stomaco, e non se ne va:
Amy per sempre.
F.P.
22
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
4
Cannes 68
4
CAROL
CHI HA LETTO CAROL di Patricia Highsmith
sa che era molto difficile catturare l’essenza di
questa storia d’amore senza tempo e
vagamente autobiografica. Todd Haynes, che
ha un debole per i mélo, ci è riuscito appieno.
Cate Blanchett, la sofisticata Carol, e Therese,
Rooney Mara, la giovane folgorata da quella
visione ai grandi magazzini, sono entrambe
incantevoli. Ma Therese è straordinaria. Da lei
sgorgano inconsapevoli e sempre più
abbaglianti le emozioni: sorpresa, sconcerto,
paura e infine completo abbandono. Haynes
incornicia questa storia in quadri perfetti, con i
costumi di Sandy Powell, senza sbagliare una
nota. Riprende le due magnifiche attrici
attraverso finestre, specchi, riflessi. Gabbie di
vetro in cui sono rinchiuse e poi scompaiono
quando sono insieme. I primi piani malinconici
e potenti, come la forza che le attira una verso
l’altra inesorabilmente. Perché siamo nel ‘53 e
Carol è sposata, Therese, invece, possiede una
macchina fotografica con cui cattura momenti,
espressioni: Carol. Libera, sorridente, felice. Ci
sono scene di grande bellezza e un finale
assolutamente perfetto.
M.S.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
23
The Best of
CEMETERY OF SPLENDOUR
5
LA TRACCIA da cui parte
Cemetery of Splendour è un
fatto realmente accaduto
qualche anno fa in un villaggio
nel Nord della Thailandia, dove
diversi soldati erano stati
ospedalizzati a causa di una
misteriosa forma di narcolessia.
Apichatpong riporta il fatto a
una dimensione squisitamente
autobiografica, ambientandolo
nella sua città natia, Khon
Kaen, e facendone il pretesto di
un viaggio trasognato e
nostalgico, limpido e ironico,
sulle tracce dei luoghi cari, dei
volti gentili, dei miti e delle
superstizioni che di lì a poco
verranno travolti dalla ruspa
del tempo. Senza rinunciare
alla stoccata politica – quei
soldati sopiti non tradiscono
forse l’utopia di chi vorrebbe
addormentare la dittatura? – e
al proprio manifesto poetico: il
plot è solo un inizio da cui
partire per riedificare il mondo,
fluidificarlo, coglierlo
nell’incessante mutazione che
lo vede transitare senza
soluzione di continuità dal
reale al magico, dall’onirico al
mitologico. Fantasmi ed
epifanie, cimeli e meraviglie,
materia e magia, in un’unica e
indimenticabile esperienza
sensoriale: in questo cimitero di
splendore il cinema non smette
mai di rinascere.
G.A.
TAKLUB
IL REGISTA FILIPPINO Brillante
Mendoza, dopo lo splendido
Thy Womb, ci porta stavolta a
Tacloban dopo il devastante
tifone Haiyan che, nel 2013,
costò la vita a 6.245 persone,
con quasi 30.000 feriti e oltre
1.000 dispersi. C’è un prima
(che non vediamo) e un
dopo nel film (al Certain
Regard), un hic et nunc
affidato alle storie di tre
personaggi: Bebeth (la
solita, immensa, Nora
Aunor), Larry (Julio Diaz) e il
più giovane Erwin (Aaron
Rivera). Chi i propri figli (la
donna), chi la propria moglie
4
di Angela Bosetto
24
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
(l’uomo), chi i propri genitori (il
ragazzo): tutti loro hanno perso
qualcuno. Tutti loro, ognuno a
suo modo, cercano di portare
avanti la propria vita con ciò
che (e con chi) gli è rimasto,
senza perdere di vista mai,
neanche per un attimo, il senso
del “bene” comune, la dignità di
un popolo che, nel microcosmo
di una collettività costretta in
tendopoli o bidonville, continua
a saper tenere in equilibrio
sentimenti individuali e unità
d’intenti. Un cinema-vita dentro
cui perdersi ancora una volta,
che meritava quanto meno il
Concorso.
V.S.
Taormina, Teatro Antico
sabato 27 giugno 2015
MUSEO NAZIONALE
DELLE ARTI
DEL XXI SECOLO
COVER STORY
Fascino
primitivo
di Gianlorenzo Franzì
Il parco preistorico riapre
alla saga la magia perduta.
26
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
i cancelli, con una missione: restituire
Ecco Jurassic World
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
27
COVER STORY
così che va il mondo: il cinema da blockbuster
gira ormai al ritmo di reboot. Non che questo
sia necessariamente un male: se prima il remake era (eccetto alcuni, sporadici casi) sinonimo di
robaccia, adesso riprendere un film del passato, rifarlo e magari nel caso delle grandi saghe azzerarle e far
ripartire la storia da (quasi) zero può voler dire, spesso, iniettare nuova linfa, nuovi spunti, nuova vita in
qualcosa che era morto.
Oggi succede sempre più spesso che i blockbuster, i
film da grande distribuzione macina-incassi abbiano
un’anima anche bella: è successo con Halloween, passato da Carpenter al nuovo cantore del Male rosso
sangue Rob Zombie; con Il pianeta delle scimmie, che
dalla sua parabola discendente è sorprendentemente
riemerso con due ottimi reboot e sequel; sta per accadere con Alien - che però non ha mai perso smalto
-, e l’11 giugno, dopo ventidue anni, prepariamoci a
tornare sull’isola Nublar. Proprio lì, dove tutto è iniziato, il giovane Colin Trevorrow ha deciso di ambientare
Jurassic World, un sequel diretto di Jurassic Park,
ignorando quindi (pratica comune, in questi casi) i
due seguiti.
Di un quarto film se ne parlava già pochi mesi dopo
l’uscita del primo non diretto da Spielberg: fu lui stesso, nel giugno del 2002, ad ammettere di avere alcune idee in mente per le quali avrebbe voluto Joe
Johnston, regista del capitolo 3, nuovamente alla regia. Sam Neill, protagonista del capostipite, sarebbe
dovuto tornare a vestire i panni del suo Alan Grant,
ma l’idea svanì cosi come altre (ad esempio, far migrare i dinosauri verso la terraferma o far tornare i
personaggi del primo film); ma da allora, si è ininterrottamente lavorato ad una pre-produzione che è finita solo pochi mesi fa.
La sceneggiatura, riscritta più volte, pare però aver
trovato la sua migliore forma raccontando del parco,
che nei primi anni aveva calamitato milioni di visitatori. Il mondo però si è ormai abituato anche ai dinosauri riportati in vita grazie ai progressi della scienza
e della genetica, così per far crescere l’affluenza gli
scienziati creano un Indominus Rex (in origine, Diabolus Rex), dinosauro geneticamente ibridato da varie
specie: le ripercussioni, manco a dirlo, saranno terrificanti.
Continuare a girare intorno all’idea originale di Crichton vuol dire inevitabilmente girare sempre intorno
alla stessa idea di trama: solo la bravura del regista, e
il numero di twist narrativi della storia, possono far la
differenza. In passato, lo stesso Spielberg con Il mon-
È
28
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Chris Pratt con Colin
Trevorrow. Sotto
Bryce Dallas Howard
in una scena del film
e ancora Pratt
Si tratta di
un sequel diretto
del capostipite,
con il temibile
Indominus Rex
protagonista
do perduto (1997), secondo capitolo del fortunato
franchise, non riuscì che a girare un film denso con
più di un’ombra di déjà vu: giocando con gli stereotipi
del genere e con i processi di accumulazione narrativa, Spielberg pigiò l’acceleratore sul versante horror
per un film che era dichiaratamente nato per la pressione dei fan e da un libro, sempre di Crichton, scritto
già con la sicurezza di una sua trasposizione su grande schermo. Forse nel Mondo perduto la dimensione
narrativa dei preistorici predatori era più approfondita: di certo, il film riuscì meglio del terzo, Jurassic
Park III, arrivato nel 2001 e diretto da Johnston (oggi
celebre per aver firmato uno dei più bei cinecomics
tratti dalla Marvel, Captain America: Il primo vendica-
tore), ma il processo di consunzione sembrò automatico, e la formula parascientifica non bastava più.
Oggi il cinema è profondamente cambiato rispetto a
soli dieci anni fa: riuscirà Jurassic World - interpretato
da una splendidamente sofisticata Bryce Dallas
Howard, da sempre raffinata interprete di storie intense ed originali; e da un beffardo Chris Pratt, novello Indiana Jones del cinema d’avventura grazie al suo
ruolo perfetto in Guardiani della Galassia, che sarà
Owen Grady, raptor whisperer, studioso del comportamento degli animali preistorici – a restituire la magia a una saga che, a distanza di due decenni, sa ancora suscitare con forza travolgente quel senso di
meraviglioso che solo il vero cinema ha?
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
29
COVER STORY L’intervista
Cercatori
di dinosauri
Fino a oggi i paleontologi si sono limitati
a cercare, campionare e illustrare i reperti:
“Domani potremmo anche riportarli in
vita”, parola di Simone Maganuco
di Gianlorenzo Franzì
30
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Simone Maganuco è paleontologo
presso il Museo di Storia Naturale di
Milano, in collaborazione volontaria ai
fini di ricerca; e collabora con artisti, illustratori e scultori per la realizzazione
di allestimenti, mostre e ricostruzioni a
grandezza naturale di dinosauri e altri
animali preistorici, come un’interfaccia
fra le scoperte scientifiche e la divulgazione al pubblico.
Bryce Dallas
Howard e Chris
Pratt. Accanto il
paleontologo
Simone Maganuco
Cos’è, spiegando ad un profano, la paleontologia?
La paleontologia è una scienza che si
occupa dello studio delle tracce del
passato giunte fino ad oggi, e il suo oggetto è il fossile. Il paleontologo ha
quattro compiti: cercare i reperti; capire
cosa sono, studiarli e pubblicarli; comunicare le scoperte al pubblico; e infine
aiutare gli illustratori a “riportare in vita”
le creature di questo mondo perduto.
L’interazione fra scienza e arte, oggi, è
l’unico modo per far rivivere il passato
più remoto. Il passo successivo, che per
adesso però è fantascienza, è trovare
altri modi per resuscitare i dinosauri
riallacciandosi alla clonazione e all’ingegneria genetica. Jurassic Park è stato
un pioniere del campo. Crichton è stato
uno dei primi a parlarne documentandosi anche molto bene. I suoi libri hanno una formazione scientifica eccellente: mettono insieme una serie di dati
reali che poi sconfinano nella fantascienza il cui impianto narrativo risultava così realistico proprio per la solidità
delle sue basi.
Quindi è relativamente plausibile l’assunto di partenza del film di Spielberg?
Sulla carta sì, ma il problema è che ogni
singolo passaggio comporta in seguito
problematiche che rendono irrealizzabile il tutto. Ad esempio, occorrerebbe
trovare dell’ambra che effettivamente
risale al periodo dei dinosauri che vediamo nel film; poi, proprio una zanzara
o altro insetto ematofago dovrebbe
aver succhiato sangue di dinosauro e
non di altri mammiferi; e anche il sangue all’interno dell’insetto non dovrebbe essere fossilizzato, non dovrebbe essere solo un’impronta carboniosa… infine, il materiale genetico potrebbe essere fin troppo degradato.
Partendo dalla base della ricreazione
genetica di un dinosauro, sarebbe eticamente giusto? E potrebbe ambien-
tarsi nel nostro ecosistema un animale
preistorico?
Potrebbe sicuramente ambientarsi perché il mondo è cambiato ma non così
tanto; e poi erano animali “vincenti”, nel
senso che sapevano sopravvivere. Piuttosto, penso potrebbero avere problemi
per quanto riguarda la carenza di difese
immunitarie, troppo deboli rapportate
al nostro ambiente. Dal punto di vista
etico il discorso è invece più complicato
e rimane tutto alla coscienza degli
scienziati, non è possibile dire con esattezza cosa sia “giusto” e cosa no. Lo
scienziato che ha supervisionato il film,
Jack Thorne, da qualche anno sta studiando il DNA degli uccelli (che sono i
discendenti più diretti dei dinosauri)
per riportare in vita una specie di “pollosauro”, per far ricomparire in esso delle caratteristiche ancestrali che si sono
perse nel tempo, come ad esempio i
denti o le dita libere.
Esistevano dinosauri in Italia? Ci sono
tracce?
Sì, più di quanto si poteva pensare. Innanzitutto, ovunque nel mondo si vada
a cercare si trovano reperti fossili. In Italia, c’è un cucciolo di dinosauro carnivoro in provincia di Benevento; un erbivoro grosso come una mucca vicino a
Trieste; un carnivoro piuttosto grosso,
ma meno del T-Rex in Lombardia; e
tante, tante impronte, come quelle della
Puglia ad Altamura, che dimostrano come ci siano stati passaggi di branchi di
animali di cui ancora, in Italia, non abbiamo trovato resti.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
31
VE DI CINEMA -
PALAZZO
5a E D I Z I O N E
IO 2015
IL CINEMA NAOIN
CHIUDE M
VIENI
IN VACANZA
AL CINEMA I C A
D E L L’ I N D U S
U N TA M E N TO
ATO G
TRIA CINEM
RAF
CONCEPT BY
APP
IL GRANDE
GIUGNO - 3 LUGL
PHOTO STEFANO CARDONE
GIORNATE ESTI
- RICCIONE - 30
DEI CONGRESSI
SEGRETERIA
ESPOSITIVA
UNA PRODUZIONE DI
www.cinegiornate.it
MACCHERONI © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI DAVID CAGNAZZO
Il gusto
del cinema
Il vecchio fiore all’occhiello
del cinema tricolore oggi
risulta
appassito:
forsedella bocca: storia
Gli occhi
più grandi
remunerativo, ma sempre
ragionata – e mangiata – della sinestesia più
meno appagante
succulenta che c’è, quella tra cibo e film
di Roy Menarini
a cura di Marina Sanna hanno collaborato Gianluca Arnone, Laura Delli Colli, Roberto Nepoti, Federico Pontiggia, Giorgio Simonelli
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
33
TUTTI A TAVOLA
Buon pranzo, buona visione: quando le esperienze
si sovrappongono e condividono gli stessi piaceri
IL FERROVIERE © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI DIVO CAVICCHIOLI
di Gianluca Arnone
Ciak, si
34
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Sophia Loren in La
donna del fiume di
Mario Soldati
(1955)
mangia!
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
35
TUTTI A TAVOLA
L
IL GATTOPARDO © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI G.B. POLETTO
’
Expo di Milano, evento che
la Fondazione Ente dello
Spettacolo segue da vicino
con una mostra ad hoc
allestita presso lo stand
Caritas, ci offre
un’opportunità irripetibile: “intavolare”
un discorso sul cibo, la cucina, la
gastronomia, attraverso l’esperienza
filmica. In un momento in cui l’arte
culinaria si staglia (e si appiattisce)
sull’intero orizzonte multimediale,
colonizzando format televisivi,
rivitalizzando l’offerta editoriale e
seminando blog specializzati, il cinema
sembra il medium meno permeabile,
ma anche il terreno di confronto più
stimolante. A differenza della tv – che
con i suoi innumerevoli talent show
sulla cucina ha finito per piegare
l’universo gastronomico alle proprie
logiche discorsive, profondamente
agoniche e competitive – e della rete –
dove l’oggetto culinario asseconda una
irrefrenabile pulsione narcisistica che
esibisce il piatto e la ricetta attraverso i
social e i blog dedicati – il cinema ha
saputo intrattenere con la cucina un
dialogo fecondo, capace ora di
restituire il momento conviviale in tutta
la sua ricchezza culturale, ora di
trattarlo allegoricamente, facendone un
ingrediente essenziale per narrazioni
che parlano d’altro.
Vedere, mangiare: preistoria e rituale
Del resto cinema e cibo, vedere e
mangiare, sono intimamente connessi.
Entrambi piaceri, pure se si rivolgono a
sensi diversi (il che è vero in parte:
anche l’occhio vuole la sua parte).
Qualcuno potrebbe obiettare che il
cibo costituisce un bisogno: se non
mangio, muoio. Nemmeno il cinefilo più
In Mostra all’Expo
La Mostra Fotografica Italian Film
Food Stories, allestita dalla
Fondazione Ente dello Spettacolo in
collaborazione con il Centro
Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale in occasione di
36
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
sfegatato potrebbe dire altrettanto del
cinema. Eppure c’è nell’arte una
necessità che, pur non essendo vitale
biologicamente parlando, è essenziale a
un livello più profondo: l’anima. L’arte è
nutrimento spirituale, tanto quanto il
cibo lo è per il nostro corpo. Non a caso
le due cose sono legate fin dalla
preistoria: l’uomo del paleolitico non ha
forse dipinto scene di caccia sulle pareti
delle grotte di Lascaux? L’urgenza della
rappresentazione e l’esigenza di cibarsi
erano già allora strettamente irrelate.
Ma le connessioni sono molteplici. Sia il
cinema che la cucina sono
fondamentalmente esperienze sociali,
di condivisione: i film si guardano
insieme ad altre persone, così come si
mangia in compagnia. Ecco perché è
tanto difficile ancora oggi, che pure
viviamo in culture solipsistiche, vedere
qualcuno andare al cinema da solo o
Expo Milano 2015
(1° maggio - 31 ottobre 2015),
nell’Edicola Caritas Internationalis
(Lotto S2), si compone di 24 foto
selezionate all’interno della Fototeca
del CSC. La mostra è realizzata con il
patrocinio della DG Cinema-MiBACT e
la collaborazione di Istituto Luce-
Julie & Julia con
Meryl Streep, nella
pagina accanto Helen
Mirren in Amore,
cucina e curry
Si tratta
di rituali
imparentati
all’origine,
segnati da
tre momenti
comuni:
preparazione,
presentazione
e consumo
sedersi al tavolo del ristorante in beata
solitudine. Così come viene spontaneo
associare un sentimento di tristezza
all’esperienza individuale e privata della
fruizione, tanto dei film quanto del cibo.
Nell’uno e nell’altro caso ci pare si tratti
di un impoverimento. La natura
collettiva del pasto e della visione
deriva della loro vocazione
comunicativa, fatta di ruoli, regole e
retoriche precise, che discendono da
una tradizione e si radicano
nell’esperienza. Non a caso si usano
espressioni come rituale del cibo o ci si
riferisce al cinema parlando di liturgia
laica. L’italiano crea poi ulteriori
associazioni: non è curioso che per la
settima arte si parli di messa in scena?
È una coincidenza ricca di suggestioni.
Dopotutto, se nella celebrazione
eucaristica si spezza il pane perché ne
prendano tutti, nello spettacolo
Cinecittà, ANEC, Roma Lazio Film
Commission, Casa del Cinema,
Avvenire, TV2000 e Radio InBlu.
Da Catene (1949) a L’audace colpo dei
soliti ignoti (1959), da Il Gattopardo
(1963) a Maccheroni (1985), i mattatori
del cinema italiano si ritrovano grazie
al cibo, strumento di trasmissione
cinematografico il mondo frantumato
dal montaggio e ricondotto all’Uno
dall’autore viene “fruito” dal pubblico.
Cibo e cinema sono poi rituali segnati
da tre momenti comuni: la
preparazione, la presentazione e il
consumo. A maggior ragione oggi con
la diffusione di una ristorazione
apertamente scenografica, in cui
sempre più spesso il piano del cibo si
intreccia a quello del racconto verbale.
Un processo che coinvolge lo chef
(chiamato ad esporre le sue creazioni al
cliente), il consumatore (interlocutore
privilegiato del patto comunicativo) e
persino i menù, sempre meno un elenco
di portate e sempre più percorso
discorsivo, sensoriale e memoriale.
Un’abbuffata retorica
La cucina possiede una sua retorica,
legata indissolubilmente ai concetti di
valoriale capace di ricucire senza
dolore le naturali separazioni e i
contrasti generazionali. È a tavola,
infatti, che il nostro cinema rinnova
tradizioni culturali, slancio vitale,
solidarietà e senso della condivisione.
Su www.italianfilmfoodstories.com, si
può visitare virtualmente la mostra,
creazione, piacere, condivisione,
ospitalità. Una retorica che il
dispositivo cinematografico sembra
assimilare e rilanciare, declinandone
gli elementi specifici in relazioni
mitiche, antropologiche, simboliche.
La retorica del training di Julie & Julia,
Chocolat o La finestra di fronte, dove
la trasmissione di conoscenze non
resta confinata a tavola. La retorica
femminista di Ricette d’amore, che
prevede un percorso di
emancipazione in contesti
normalmente appannaggio degli
uomini. La retorica etnica di Amore,
cucina e curry, dove la gastronomia è
il collante delle diversità culturali. La
retorica sentimentale, delle storielle
d’amore tra i fornelli. Quella erotica,
dove l’assaggio e la degustazione
diventano assaggio e degustazione
dell’altro. Simbolicamente, persino
letteralmente: ne Il cuoco, il ladro, sua
moglie e l’amante di Greenaway, il
marito è costretto dalla moglie a
mangiare il corpo cucinato
dell’amante. Perché non sempre la
retorica del cibo è retorica di vita: ne
La grande abbuffata di Ferreri, cibarsi
fino a morire è l’espediente allegorico
per denunciare gli eccessi di una
borghesia abulica e destinata al
suicidio. Eccezioni, perché quasi
sempre mangiare è bello, è sano, è
sacro. Come in Kramer contro Kramer,
che si apre e si chiude con due scene
speculari e agli antipodi, con il
protagonista Ted intento a preparare
la colazione al figlio: risultato
disastroso nell’incipit, perfettamente
riuscito nel finale. O come nel Pranzo
di Babette, in cui l’umile eroina
spende la sua vincita alla lotteria per
preparare un pranzo come si deve ai
dodici commensali. Un autentico
apologo del dono, un inno alla
convivialità della tavola, dove l’unico
buon pranzo ammesso è quello con (e
per) gli altri.
accedere a video, extra e a questo
speciale della Rivista del
Cinematografo, in italiano e inglese.
La realizzazione di Italian Film Food
Stories è stata resa possibile dal
contributo degli sponsor UP Europe,
SIPOL, SEA, Varigrafica Alto Lazio e
Press Up.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
37
MANUALE ESSENZIALE
Dal ragù di Little Italy alla mozzarella in carrozza e le pizzelle
napoletane: gli ingredienti segreti di ricette imperdibili
di Laura Delli Colli
4 salti in pellicola
38
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Il Film Quei bravi ragazzi
La ricetta del ragù che Quei
bravi ragazzi si godono a tavola
tra un omicidio e una sparatoria,
sembra sia esattamente quella che
Martin Scorsese ha visto cucinare
alla mamma. La racconta in un
documentario (Italianamerican,
del ’74) in cui ha raccolto dai
genitori testimonianze sulla sua
storia familiare a cominciare dalla
cucina.
Anno 1990 Regia Martin Scorsese
La ricetta
Ragù di Little Italy
Ingredienti: 200 gr. di polpa di
manzo magra, 200 gr. di polpa di
vitella, 3/4 salsicce, un pezzo
d’osso non spugnoso (meglio la
parte del collo), aglio, cipolla, 500
gr. di pelati di pomodoro (o 2
bottiglie di passata densa), olio,
sale, pepe, 1 cucchiaino di
zucchero, basilico. Per le
polpettine: 1 uovo, pane raffermo,
1 tazza di latte, 100 gr. di
parmigiano grattugiato.
Preparazione
Soffriggere aglio e cipolla
tagliata sottile in una padella dai
bordi alti. Rosolarvi la carne
mischiando insieme il macinato,
le salsicce (bucate prima di
essere messe in pentola) e
l’osso. Togliere la carne e
aggiungere al soffritto la polpa
di pomodoro, il sale, il pepe e il
cucchiaino di zucchero portando
ad ebollizione e aggiungendo, se
occorre, un bicchiere d’acqua.
Quando il sugo comincerà ad
addensare rimettere nella
padella tutta la carne e far
cuocere a fuoco lentissimo per
almeno 40 minuti. Togliere di
nuovo la carne e tritarla
aggiungendo alla polpa uovo,
pane ammollato nel latte,
parmigiano e un cucchiaio della
salsa di pomodoro ottenuta per
legare il tutto. Fare delle
polpettine piccole e rimetterle a
cuocere per 1/4 d’ora nel sugo. E
alla fine condire
abbondantemente la pasta.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
39
MANUALE ESSENZIALE
Il Film Roma
Nella Roma di Fellini i sapori della
cucina tradizionale diventano
protagonisti quanto gli attori. Più che
un film Roma è una grande abbuffata in
Anno 1972 Regia Federico Fellini
La ricetta
Spaghetti ‘cacio e pepe’
Ingredienti: Ingredienti: 350 gr. di
spaghetti, 100 gr. di pecorino romano
grattugiato, sale, pepe.
Preparazione
Il Film I soliti ignoti
Nel film di Monicelli una delle più simpatiche bande
di ladri del cinema di tutti i tempi: sognano il colpo
della vita ma si consolano alla fine con un piatto di
pasta e ceci. Perché la pasta e ceci? Semplice: era
uno dei piatti preferiti di Marcello Mastroianni. Che al
momento di girare, sul set, la propose al posto della
pasta e fagioli prevista nella sceneggiatura.
Anno 1958 Regia Mario Monicelli
La ricetta
Pasta e ceci
Ingredienti: 150 gr. di pasta (cannolicchi, lasagnette o
pasta mista per minestre), 200 gr. di ceci, 1 spicchio
d’aglio, un rametto di rosmarino, olio d’oliva, sale,
pepe, dado vegetale (mezzo, o un misurino scarso se
in polvere), conserva di pomodoro.
Preparazione
40
Tenere i ceci a bagno in acqua (meglio insieme al
rosmarino) per 12 ore, poi lessarli in acqua appena
salata, scolarli e frullarne una parte insieme a un po’
d’acqua di cottura. Soffriggere poi i ceci interi e
quelli frullati in un’ombra d’olio d’oliva con lo
spicchio d’aglio intero e una punta di conserva di
pomodoro. Allungare il soffritto con l’acqua di
cottura e aggiungere dado, eventualmente sale e
rosmarino. Far cuocere per un quarto d’ora. La pasta
può essere cotta in questa minestra oppure a parte
in acqua leggermente salata. Si può aggiungere una
spolverata di pepe. Per una versione veloce, si
possono usare ovviamente anche i ceci in scatola
ma non andranno lessati e al posto dell’acqua di
cottura si utilizzerà brodo di dado vegetale.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Cuocere gli spaghetti al dente in acqua
salata e mantecarli velocemente in un
misto di pecorino e pepe. Se il cacio e
pepe è fatto bene basta mantecare gli
spaghetti saltandoli in una padella a
fondo largo senza aggiungere né acqua
né olio. Nel caso in cui tendessero ad
ammassarsi, la pasta può essere
cui si fa indigestione allegramente alla
maniera di Trimalcione e con il gusto
dei banchetti più ingordi. Una mangiata
che si apre col “cacio e pepe”.
mantecata con una goccia d’acqua
tiepida evitando il classico filo d’olio a
crudo.
Il Film La ciociara
Nel capolavoro di Vittorio De Sica, Oscar per Sophia Loren, una
delle storie più significative del neorealismo italiano. Non c’è gusto
né tavola nel film ma nel ricordo di Sophia una memorabile cucina
ciociara, con la “carbonara” assaggiata per la prima volta, insieme a
De Sica, proprio durante le riprese del film.
Anno 1960 Regia Vittorio De Sica
La ricetta
Spaghetti alla carbonara
Ingredienti: 350 gr. di spaghetti, 3 uova, 150 gr. di guanciale (o
pancetta affumicata) olio d’oliva, cipolla, parmigiano grattugiato,
sale, pepe nero. Pecorino romano grattugiato
Preparazione
Soffriggere in poco olio guanciale (o la pancetta a dadini) e cipolla
a fettine sottilissime, sbattere le uova in una terrina con poco sale e
mescolarle lentamente con il parmigiano grattugiato, fino a
ottenere un composto cremoso, unendo eventualmente anche il
pecorino. Cuocere la pasta (in acqua salata) molto al dente.
Mantecare gli spaghetti, ben scolati, in una padella dal bordo alto,
con il guanciale (o la pancetta soffritta) e con il composto d’uovo e
formaggio preparato in precedenza: solo qualche attimo sul fuoco e
una buona mescolata con cucchiaio e forchettone di legno. Servire
con una spolverata di pepe nero appena macinato.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
41
MANUALE ESSENZIALE
Fiore all’occhiello
Una menzione a parte merita Il pranzo
di Babette (1987), film che ha fatto
storia (e cucina)
IL MENÙ:
Brodo di
tartaruga
Blinis Dermidoff
Cailles en
sarcophage
Insalata
radicchio e noci
Formaggi misti
Savarin
Caffè con tartufi
al rum
Friandises:
pinolate, frollini,
amaretti
VINI
Amontillado
bianco ambra
Champagne
Veuve Clicquot
Ponsardin
SAVARIN
Ingredienti
400 gr. farina, 4
uova, latte, 150 gr.
burro, 25 gr.
lievito di birra,
1 cucchiaio di
zucchero, 1 presa
di sale
(facoltativa),
1 stampo da
budino Per
bagnare il dolce
1 l. d’acqua, 500
gr. di zucchero,
una bustina di
vanillina,
2 bicchieri di rum.
Per la guarnizione:
1 cucchiaio di
gelatina di frutta
(meglio di
albicocche), 500
gr. di panna
montata, 250 gr.
di frutti di bosco
o, come nella
ricetta originale,
42
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
una selezione di
frutta candita.
Setacciare la
farina in una
terrina e
aggiungere il
lievito sciolto nel
latte. Aggiungere
quindi le uova,
lavorando
pazientemente il
composto con una
frusta finché non
sarà ben
amalgamato.
Unire quindi il
burro e lavorare
ancora per un
minuto, quindi
formare la classica
“palla” d’impasto
e lasciarla lievitare
ben coperta. Una
volta lievitato,
l’impasto dovrà
essere ancora
lavorato per
qualche minuto,
incorporando a
questo punto il
burro, un pizzico
di sale, lo
zucchero.
Riempire quindi
per 1/3 lo stampo
classico da
budino, ben
imburrato e
infarinato, e far
lievitare ancora.
Infornare a 180°
per 30 minuti
quindi togliere
dallo stampo e
lasciare il Savarin
a bagno finché
non sarà ben
imbevuto proprio
come un grande
babà napoletano.
giugno 2015
Il Film L’oro di Napoli
La bella Sophia con la regia di Vittorio De
Sica (L’oro di Napoli, racconta al marito di
aver perso l’anello (che in realtà ha
dimenticato a casa dell’amante) proprio
nella pasta della pizza. Sophia impasta e il
marito cuoce. E la pizza è quella tradizionale
napoletana, fritta nell’olio bollente…
Anno 1954 Regia Vittorio De Sica
La ricetta
Pizzelle napoletane
Ingredienti: Acqua, farina e un po’ di lievito
di birra. Per la pastella: alici, una padella
d’olio (tradizionalmente d’oliva), sale.
Preparazione
Preparare la pastella sciogliendo il lievito
nell’acqua tiepida e aggiungendo poi la
farina (e altra acqua). Ottenuta una pasta
morbida, farla lievitare e salarla mentre viene
lavorata. Unire le alici alla pasta. Quindi
preparare tante piccole pizzette, tagliando la
pasta stesa con il fondo di un bicchiere, o
con una piccola scodella rovesciata e
friggerle nell’olio bollente. Scolarle quando
sono ben dorate e lasciarle asciugare sulla
carta da frittura. Una variante ugualmente
saporita si può ottenere con un po’ di pasta
d’acciughe, ben sciolta a freddo nell’olio di
frittura. Questa è la ricetta tradizionale delle
pizze che a Napoli si chiamano “pizzelle”.
Il Film Big Night
La storia divertente dell’apertura di un ristorante italiano in
America da parte di due cuochi immigrati. Una commedia
agrodolce come la ricetta della caponata.
Anno 1996 Regia Campbell Scott e Stanley Tucci
La ricetta
Caponata
Ingredienti: 6 melanzane, una cipolla grande, passata densa,
sedano, capperi sotto sale (ben sciacquati), una bustina di
pinoli, zucchero e aceto per l’agrodolce, olio d’oliva, sale e pepe.
Preparazione
Lavare le melanzane e tagliarle a dadini, rosolarle nell’olio d’oliva
senza farle ammorbidire troppo. Versare in un tegame la cipolla,
il sedano tagliato a rondelle, e il pomodoro (almeno 500 gr. di
passata). Far cuocere 1/4 d’ora circa finché gli odori non
saranno visibilmente teneri. Aggiungere le melanzane, i capperi
e i pinoli, sale e pepe. Rimettere sul fuoco ancora per qualche
minuto finché il tutto non si amalgami bene e solo alla fine
versare nelle melanzane la miscela di zucchero e aceto fatta
sciogliere prima in un pentolino sul fuoco. Mischiare la caponata
e far raffreddare. Si può anche eliminare l’agrodolce sostituendo
i pinoli e i capperi con le olive.
Il Film Ladri di biciclette
La mozzarella in carrozza è
protagonista di un momento
particolarmente teso del film:
Antonio ha appena trovato lavoro
ma gli hanno rubato la bicicletta e a
sua volta, disperato, pensa di
rubarne un’altra. In trattoria,
squattrinato, è digiuno, ma spende i
pochi soldi che ha per ordinare al
figlio una mozzarella in carrozza,
mentre il pensiero corre alla
bicicletta rubata.
Anno 1948 Regia Vittorio De Sica
La ricetta
Mozzarella in carrozza
Ingredienti: 8 fette di mozzarella
tagliate in quattro fette, pancarrè,
2 uova, 2 cucchiai di farina, sale,
olio per friggere, latte.
Preparazione
Togliere la crosta al pancarrè,
mettere ogni fetta di mozzarella tra
due fette, ritagliandola a misura
della fetta. Sbattere quindi le uova
con il latte, salare, e immergervi i
sandwich di mozzarella, dopo averli
infarinati. È il momento di passare
alla frittura in olio bollente, facendo
scolare bene la mozzarella dorata
sulla carta per fritti. Una curiosità: la
mozzarella in carrozza viene meglio
se si usa la bufala perché, anche se
più grassa, è meno acquosa. A
Napoli nella mozzarella in carrozza
si mette spesso un filetto di acciuga.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
43
MENÙ TRICOLORE
L
a storia del cinema inizia con un treno che entra
alla stazione, degli operai che escono dalla fabbrica e… con un bimbo che mangia la pappa (Le repas de bebé dei fratelli Lumière). Da allora il cibo,
smaterializzato sullo schermo, è sempre stato un
indicatore sociale: come forse avrebbe detto Roland Barthes (traslando dal campo dell’abbigliamento a quello
dell’alimentazione), al contempo un’“umanità” e un “argomento”. Nel cinema italiano più che in tanti altri. Per il neorealismo
il cibo-nutrimento è un indice di realtà.
All’inizio soprattutto come carenza, carestia: vedi il razionamento con le “tessere” o il mercato nero al tempo del rosselliniano Roma città aperta o, poco più tardi, quel Riso amaro che
per Giuseppe De Sanctis e per la mondina Silvana Mangano
rappresenta, più che un alimento, uno strumento di schiavitù.
Non ha meno importanza, però, nel campo della comicità:
sull’esempio del suo antesignano Pulcinella, Totò è sempre afflitto da una fame cronica, sogna spaghetti e, se va in trasferta
dal Sud a Milano (Totò, Peppino e... la malafemmina), si porta
appresso prosciutti e altri generi di conforto da appendere al
soffitto. Per non dire dell’Onorevole Angelina, al secolo Anna
Magnani nell’omonimo film di Luigi Zampa, troppo presa dalla
passione politica per scolare la pasta al momento debito.
Quella degli anni Cinquanta è ancora un’Italia povera, ossessionata dal cibo. Vedi Capannelle (l’attore Carlo Pisacane) che nei
Soliti ignoti di Mario Monicelli si consola del mancato “colpo
grosso” mangiando pasta e ceci e, un paio d’anni dopo (Audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy), muore d’indigestione
dopo un’epica scorpacciata. E tuttavia c’è già chi vuole distinguersi: Moriconi Nando detto “l’americano” che, in Un americano a Roma di Steno, prima disdegna la pasta lasciatagli da
mamma per prepararsi un “mangiare ‘mericano” con salse e altre schifezze; salvo poi, disgustato, spingerlo da parte e “distruggere” a morsi gli italianissimi “macaroni”.
Arrivano gli anni ’60, quelli del boom economico e della “dolce vita”. L’italiano, che si sente più ricco, comincia a darsi arie
e a fare il difficile, anche a tavola. Il cibo viene esibito come
prova di benessere e di opulenza: nelle case dei ricchi, e magari inappetenti (La dolce vita, Una vita difficile), o nelle trattorie dove un italiano non ancora perseguitato dall’equazione
Ossessione
Il cibo, smaterializzato sullo
schermo, è sempre stato un
indicatore sociale. Nel nostro Paese
più che in tanti altri
di Roberto Nepoti
In alto a sinistra Audace colpo dei soliti ignoti © Archivio della
Fototeca del CSC - Cineteca Nazionale - Foto di Leo Massa. In mezzo
Anna Magnani e qui accanto Il medico e lo stregone © Archivio della
Fototeca del CSC - Cineteca Nazionale - Foto di Pierluigi Praturlon
44
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
dieta=benessere si concede ai piaceri della tavola ben oltre
il bisogno biologico (Il sorpasso e altre cento commedie italiane dell’epoca, spesso col golosissimo Alberto Sordi). La
mitica “mezza porzione” (sempre abbondante) delle trattorie romane compare soprattutto al passato: per esempio nei
flashback di C’eravamo tanto amati. Il cui regista, Ettore
Scola, ha fornito un’autentica epitome degli italiani a tavola,
dei loro gusti e dei loro vezzi: dai riti intimi, raccontati attraverso i decenni, della Famiglia, film che si svolge soprattutto
intorno alla tavola, alle cene in piedi degli intellettuali borghesi della Terrazza, fino all’umanità distribuita nei tavoli
della trattoria gestita da Fanny Ardant nella Cena. Al punto
che, a proposito di questi film scoliani, verrebbe la tentazione di parlare di “trilogia del cibo”.
Altro gran cerimoniere di pranzi e cene del nostro cinema è
Pupi Avati, nella cui filmografia il cibo è mezzo rituale per
introdurre le persone alla conoscenza reciproca: pensiamo,
in contesti e tempi molto diversi, al monumentale pranzo di
venti portate, tutto emiliano, di Storia di ragazzi e ragazze
e al più tardo La cena per farli conoscere. Non sempre,
però, il cibo è allegria, convivialità, piacere. Mastica bocconi
amari Marco Ferreri nella Grande abbuffata (nome poi, alquanto impropriamente, saccheggiato da ristoranti e siti
gourmet), film epocale del 1973 in cui il regista mette in
scena in forma allegorica i disastri del consumismo edonista in fase di irresistibile ascesa. Mangiare, per i quattro
amici isolati in una casa a ingozzarsi di piatti prelibati
(quello interpretato da Ugo Tognazzi è uno chef), non è più
uno strumento di vita e di piacere, ma di autodistruzione.
In anni più recenti la rappresentazione schermica del cibo
si parcellizza, secondo i casi, tra convivialità, penuria, rituale sociale e parodia delle mode salutiste e delle diete a uso
dei comici popolari (per fare un esempio Sette chili in sette
giorni con Carlo Verdone e Renato Pozzetto). Chi conserva
fiducia nelle virtù socializzanti, e addirittura rigenerative, del cibo è Ferzan Ozpetek. Rientra
nel primo caso il suo Le fate ignoranti, dove
un gruppo di amici forma una piccola comunità che si riunisce soprattutto davanti a
piatti preparati con amore. E se è a tavola
che la famiglia Cantone di Mine vaganti (non a caso proprietaria di un pastificio) gestisce le proprie dinamiche interne, Giovanna - la protagonista della Finestra di fronte trova nell’alta pasticceria dell’anziano Simone non solo una
possibilità di riscatto, ma anche il sapore prezioso della conoscenza.
Altro gran
cerimoniere è
Pupi Avati:
mangiare è un
mezzo rituale per
introdurre le
persone
italiana
La cena per farli
conoscere di Pupi Avati,
sopra Mine vaganti di
Ferzan Ozpetek
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
45
INGREDIENTI CATODICI
In principio fu il Viaggio nella valle del Po di Soldati, poi
venne la sazietà ’70-‘90, infine ecco l’appetito Millennial: da
MasterChef alla Prova del cuoco, come ti servo la tv
Viaggio nella valle del Po;
sopra Antonella Clerici
nella Prova del cuoco
e accanto MasterChef
I
n principio - era il 1957 e la tv
aveva in Italia solo tre anni di vita - fu un viaggio, il famoso
Viaggio nella valle del Po. In 12
puntate Mario Soldati fissava su
pellicola (la registrazione su nastro magnetico non era ancora possibile) la sua ricerca di cibi genuini - come recitava il titolo del programma dalle valli alpine del Piemonte fino al
delta del grande fiume. Scorrevano così sui teleschermi, ancora rari ma già in
grado di creare fenomeni di costume,
immagini di cucine e trattorie, di cantine e caseifici, di osti e cuoche di campagna, chiamati a illustrare la ricetta
dei “tajarin” (le tagliatelle all’uovo tipiche delle Langhe) e della salama da sugo, ghiottoneria ferrarese. Nasceva così un programma televisivo di culto, discusso, apprezzato e parodiato (Tognazzi e Vianello non persero l’occasione) fin dalla sua prima apparizione,
ma destinato a restare nella memoria
e nella storia, un classico capace di
ispirare, nell’anno del suo cinquantena-
Piccolo schermo,
46
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
rio, due rivisitazioni: una prodotta da
Rai 2 con il tocco elegante e colto di
Edmondo Berselli e l’altra nata nell’ambito dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. Poi, dopo questo exploit iniziale, il tema del cibo restò a
lungo ai margini dei discorsi e dei palinsesti televisivi. Nei decenni successivi
si ricordano solo qualche appuntamento domenicale con la strana coppia Ave
Ninchi e Luigi Veronelli, nei primi anni
Settanta, in Rai, la presenza fissa, dagli
anni Ottanta, di Wilma De Angelis nelle
nuove vesti di cuoca su una rete ancora
“minore” come Telemontecarlo e, infine, nei Novanta, le incursioni tra le sagre e le tipicità gastronomiche dei borghi italiani proposte da Davide Mengacci nella Domenica del villaggio di
Rete 4.
Con l’inizio del nuovo secolo, invece,
esplode improvviso, inatteso il boom
dei programmi culinari. La loro presenza diffusa in lungo e in largo, su moltissime reti pubbliche e private, generaliste e tematiche, free e pay e in vari
punti nevralgici e dei palinsesti si trasforma in fenomeno di costume, gradito, amato, vissuto con passione da ampie fette di pubblico, ma anche giudicato eccessivo, invasivo, privo di veri
contenuti e per certi versi inspiegabile,
nonostante le approfondite analisi di
valenti studiosi. Senza addentrarci in
questo ambito problematico e nei suoi
aspetti sociologici e antropologici, è
evidente che l’affermazione dei programmi che mettono a tema e in scena
il cibo e la cucina è riconducibile alla
grande piatto
di Giorgio Simonelli
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
47
INGREDIENTI CATODICI
Esplode
improvviso il
boom dei
programmi
culinari. E si
trasforma in
fenomeno di
costume,
amato, gradito,
vissuto con
passione da
ampie fette di
pubblico
nuova logica produttiva del format,
con la sua inesorabile efficienza.
Sintetizzando e schematizzando si
possono osservare, nella vastissima
produzione televisiva, tre grandi forme
(e formule) di rappresentazione del cibo. La prima e forse più celebre è
quella del talent, un po’ game show e
un po’ reality, che mette alcuni aspiranti cuochi in competizione tra loro e
sottoposti al giudizio di famosi chef.
Ne deriva uno spettacolo che deve il
suo successo a varie componenti: il
racconto biografico, alla maniera del
reality, la gara con le emozioni della
vittoria o dell’esclusione, il divismo dei
giudici, l’appeal visivo, figurativo e cromatico delle composizioni, esaltato da
una fase della cucina divenuta fondamentale in questo tipo di show, l’impiattamento. Il prodotto emblematico
di questa linea è il celebre MasterChef,
format internazionale e grande successo di Sky Italia. Poi c’è la forma tutorial, una sorta di recupero minimalista, molto minimalista della funzione
pedagogica della tv classica. Ma se in
quei gloriosi tempi la tv pubblica si
preoccupava di diffondere tra i cittadini la conoscenza dei massimi sistemi,
della storia nazionale, della letteratura,
del sapere scientifico, oggi ci si accon48
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
tenta di fornire indicazioni utili a una
corretta e appetitosa elaborazione dei
piatti casalinghi, una divulgazione
“cotta e mangiata”, per citare il titolo
di uno dei programmi più popolari e
rappresentativi di quest’area.
Infine, un po’ a cavallo tra game e tutorial si presenta la fortunatissima esperienza del cooking show, ben rappresentata dalla celebre Prova del cuoco
condotta da Antonella Clerici: un confronto, assai meno drammatico di quello messo in scena dai talent, tra piatti
preparati da professionisti, illustrati nei
dettagli della loro preparazione e sottoposti a giudizio per un pubblico che
può vivere il tutto come fonte di immedesimazione e di ispirazione. Si accennava al fatto che in questa vicenda di
grandi successi televisivi non mancano
elementi di ambiguità e di contraddizione.
Per esempio il paradosso di un’esperienza, quella del cibo, che si basa su
due sensi, il gusto e l’olfatto, che sono
del tutto negati alla fruizione televisiva,
un paradosso da cui deriva l’eccesso di
attenzione agli aspetti visivi e cromatici dei piatti presenti nella tv e nelle tendenze che ha indotto. O ancora lo strano e complicato percorso fatto da questi programmi e che ha visto un paese
di grande tradizione gastronomica come l’Italia importare i format di maggior successo (MasterChef ma anche
La prova del cuoco) da mondi assai
meno ricchi di risorse e di creatività in
questo campo.
Ed è per questa ragione che non si
può fare a meno di citare, in conclusione di questo viaggio tra le cucine
televisive, il prodotto italiano forse più
interessante, anche se un po’ trascurato. Si tratta di Benvenuti a tavola, una
fiction di media serialità che, lungo i
34 episodi delle due serie andate in
onda su Canale 5, racconta i contrasti
economici e professionali, culturali e
caratteriali, ma anche gli intrecci familiari e sentimentali che nascono tra
due ristoratori dirimpettai in una piazza milanese.
A dispetto di un punto di partenza, il
Nord vs Sud che fa da sottotitolo, prevedibile e assai sfruttato dal cinema
italiano degli ultimi anni, la fiction si
rivela originale nei personaggi e nei
toni, interpretata da un gruppo di attori a loro agio nelle parti, puntuale
nei riferimenti gastronomici, garantiti
dalla supervisione di un famoso chef,
per nulla manichea nella rappresenta-
zione di due scuole di cucina diverse.
Il felice esito dell’operazione non nasce, questa volta, dall’adattamento ai
gusti nazionali di un format sperimentato in altre parti del mondo, ma dalla
valorizzazione di un progetto molto
italiano, persino con un tocco di milanesità e in sintonia, nelle allusioni al
dibattito gastronomico contemporaneo, a prodotti cinematografici recenti e interessanti come i francesi Chef o
La cuoca del presidente.
Sopra, MasterChef per
senior e junior. A lato, da
sinistra a destra, Chef, La
cuoca del Presidente e
Benvenuti a tavola
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
49
SAPORI DAL MONDO
A mozzichi e bocconi
Dalla Nutella gigante di Bianca alla Ricotta
pasoliniana, otto cine-assaggi di gusto e sostanza
di Federico Pontiggia*
GALLINE IN FUGA
di Peter Lord, Nick Park (2000)
Disse una volta Alexandre Dumas:
“Amo gli animali, odio le bestie”.
Massima utilizzabile sia nei riguardi di
Galline in fuga che dell’Olocausto: gli
animali, tali o ridotti in quello stato, si
trovano sempre dietro un filo spinato; i
carnefici hanno la stessa bestialità. Una
bestialità, purtroppo, molto umana. E
un cibo – le galline – la cui
umanizzazione ribadisce l’antropofagia
dell’Olocausto. L’allegoria è qui
fondamentale: non lo sterminio di una
specie sull’altra, ma lo sterminio di una
specie su se stessa, quella umana. Per
cui la fuga non può non essere volo
liberatore verso un paradiso terrestre
dopo un inferno altrettanto terrestre.
50
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
CHOCOLAT
di Lasse Hallström
(2000)
Arriva trasportata dal
vento come Julie
Andrews in Mary
Poppins la dolce
Vianne (Juliette
Binoche), con una
mantella da
Cappuccetto Rosso:
sono gli orizzonti
della fiaba e della
magia quelli di
Chocolat, in cui il
cioccolato ha il gusto
sempre particolare di
una felicità universale.
La stanca tranquillità
di Lansquenet sarà
sconvolta da un
profluvio di cacao,
cioccolatini e tazze di
cioccolata, preparati
secondo ricette che
affondano le proprie
radici in un passato
magico. Ovvi, quindi,
la sponsorizzazione
della Lindt e
l’irresistibile desiderio
di cioccolato di cui è
preda lo spettatore.
BIANCA
di Nanni Moretti (1984)
Le aspirazioni ideali di Michele Apicella (Nanni Moretti) continuano a non
trovare appagamento, l’angoscia esistenziale aumenta: insonne, cerca
vanamente rifugio in un mega-barattolo di Nutella. Proprio i dolci
costituiscono una grande passione, vissuta da Michele con la consueta
intransigenza maniacale. Basti pensare all’amaro sarcasmo con cui apostrofa il
padre di un suo alunno colpevole di scavare il Mont Blanc, rovinandolo così
irrimediabilmente, e di non conoscere la Sachertorte, dolce morettiano per
antonomasia. La cupa rassegnazione che esprime per questo misfatto è
entrata nella memoria collettiva: “E continuiamo così: facciamoci del male”.
LA RICOTTA
di Pier Paolo Pasolini - Episodio del film Ro.Go.Pa.G (1963)
Cristo è spesso un “povero Cristo”. Come tale, però, non ha il
dono di moltiplicare pani e pesci, ma la volontà è la stessa:
quella che spinge Stracci a dare il proprio pranzo alla famiglia,
riservando per sé solo la speranza che gli vada bene, che il suo
stomaco si riempia. Con la pancia piena viene “inchiodato” sulla
croce e con la pancia piena muore, davanti a “spettatori” che
non se ne accorgono nemmeno.
LA GRANDE ABBUFFATA
di Marco Ferreri (1973)
Il cibo, esagerato fino al paradosso, implode nelle
sua fattualità ed esplode nella sua
consequenzialità fecale. Le feci non sono ancora
sul vassoio apocalittico del Salò pasoliniano: la
storia (causa-effetto) non è ancora stravolta, ma
già segna il passo in un metabolismo senza
futuro. I peti di Michel sono il canto del cigno di
una classe sociale votata all’autoestinzione.
L’autoimposizione governa il grottesco universo
della villa: si mangia perché così si è deciso, si fa
sesso perché bisogna farlo. L’ineluttabilità delle
scelte è l’ineluttabilità del destino a cui ci si è
votati: non si può, ma si deve morire di cibo.
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
51
SAPORI DAL MONDO
COME L’ACQUA PER IL CIOCCOLATO
di Alfonso Arau (1992)
IL PROFUMO DELLA PAPAYA VERDE
di Tran Anh Hung (1993)
Si consideri il piatto principe del film:
quaglie ai petali di rosa, che Tita, ispirata
dalla defunta tata, cucina con i fiori che
Pedro le ha donato. L’effetto sui commensali
è quasi comico: occhi che iniziano a
lacrimare, sudorazione eccessiva e,
addirittura, nel caso dell’altra sorella
Gertrude, un vero e proprio attacco di
passione che la spinge ad abbandonare la
sala in preda ai fumi dell’eros. E il fumo, o
meglio, il fuoco si materializza davvero, con
le fiamme che la costringono ad
abbandonare la doccia in cui aveva cercato
“sollievo”.
Mui impara a cucinare aiutata da una serva-mamma: arte culinaria
perennemente d’occasione, quella di compiacere il palato dei padroni.
Ma il cibo preparato da Mui si carica subito di sentimento: affetto per la
famiglia in cui lavora; amore per Khuyen, nei cui confronti i piatti di Mui
rivelano intenti castamente seduttivi. Si consideri come la fidanzata
costringa Khuyen a portarla al ristorante e a rinunciare alla cena –
ottima per sua stessa ammissione – che Mui aveva preparato. Mentre
all’inizio il dedicarsi alla preparazione dei pasti è sintomo e simbolo di
servitù, da ultimo la medesima arte si configura come potere, capace
di infrangere le divisioni sociali e superare la ricca concorrenza (la
fidanzata di Khuyen).
MANGIARE, BERE, UOMO, DONNA
di Ang Lee (1994)
L’afflato minimalista del regista e cosceneggiatore si desume anche
nella scelta del titolo, di epigrammatica elementarità, che nel film è
completato dalle parole “cibo” e “sesso”, affiancate con un chiaro
intento: cibo come metafora dei sentimenti, di cui il sesso costituisce
una metonimia. Chu, dal passato glorioso di chef e di padre, sta
perdendo il palato, quasi a stigmatizzarne il deterioramento del
rapporto con le figlie, in particolare con la secondogenita, quella che
rimpiange di più il passato dorato con il padre e quella più pronta a
segnalare gli errori che questi compie tra i fornelli, sottoposto com’è
agli infidi tranelli del palato.
52
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Il cibo segna anche il discrimine tra “buoni”
e “cattivi”: mentre per i primi è puro piacere
disincarnato, assoluto tripudio del gusto e
dell’olfatto, i secondi – in particolare
Rosaura – reagiscono male al cibo, di cui
vengono a conoscere i soli aspetti negativi
(obesità, alitosi, flatulenza e, da ultimo, fatali
complicazioni gastro-intestinali). Potremmo
parlare di manicheismo del palato e non
suonerebbe stonato.
*Le schede sono estratte dal libro Livio Giorgioni Federico Pontiggia - Marco Ronconi, La grande
abbuffata. Percorsi cinematografici tra trame e ricette,
Effatà, Cantalupa (TO) 2002
HOLD-UP FILMS & PRODUCTIONS E LILIES FILMS
PRESENTANO
UNA PURA MERAVIGLIA
LE MONDE 
UNA VERA OPERA D’ARTE
THE GUARDIAN 
FOLGORANTE
LES INROCKUPTIBLES 
dalla regista di TOMBOY
DIAMANTE
NERO
un film di céline sciamma
dal 18 giugno al cinema
PER VISUALIZZARE I CONTENUTI EXTRA DEL FILM
SCARICA L’APP DI AR-CODE E INQUADRA L’IMMAGINE
RITRATTI
di Orio Caldiron
Lana
suona sempre
due volte
Divismo patinato e provocante
bellezza: la consacrazione
della Turner con il capolavoro
noir di Tay Garnett
54
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
C’
In apertura
Lana Turner nel
ritratto di Marco
Letizia. Sopra in
una scena de Il
postino suona
sempre due
volte
C’era una volta la vecchia Hollywood, fabbrica
di sogni ma anche di stelle. Costruite dai sarti
e dai parrucchieri, dai fotografi e dagli addetti
stampa, alimentate dai pettegolezzi dei
giornali a caccia di gossip. Chi meglio di Lana
Turner incarna questo divismo patinato che
deve tutto o quasi al maquillage e al
guardaroba? Senza dimenticare la provocante
bellezza che ne fa l’emblema del glamour, il
biondo oggetto del desiderio nell’ultima
fiammata del cinema hollywoodiano prima
della tv. Nasce a Wallace nell’Idaho l’8
febbraio 1921, ma dopo la morte del padre si
trasferisce con la madre a Los Angeles.
Scoperta per caso da un cronista in un
drugstore, debutta nel cinema in piccole parti
fino a che nel ’38 non viene scritturata dalla
Metro-Goldwyn-Mayer. Si fa notare in Le
fanciulle delle follie (1941), il musical dove è la
“Ziegfeld girl” che crolla ubriaca ai piedi della
sfarzosa scala a spirale.
La consacrazione arriva con Il postino suona
sempre due volte (1946), il capolavoro noir di
Tay Garnett. Sin da quando entra in scena –
asciugamano in testa, gambe nude, rossetto
vistoso, unghie laccate – Cora rivela tutto il
calamitoso magnetismo della sua presenza.
Nell’atmosfera claustrofobica dell’autogrill,
decisa a liberarsi del marito con l’aiuto
dell’amante, si muove sull’ambiguo crinale tra
verità e menzogna, amore e morte. Altrettanti
cortocircuiti della sua contraddizione
esistenziale, richiamati dai luminosi vestiti
bianchi e dai cupi abiti neri. Subito dopo nei
Tre moschettieri (1948) di George Sidney è
una strepitosa Milady, il cuore nero
dell’avventura. Ma solo Il bruto e la bella
(1952), lo straordinario film sul cinema di
Vincente Minnelli, le offre una delle rare
occasioni dove sotto la perfezione del trucco
affiora la bravura dell’attrice. La glaciale
compostezza della star s’incrina quando il
cinico produttore di cui è innamorata la
tradisce. Sconvolta, corre via in macchina
piangendo disperata, mentre suonano i
clacson e lampeggiano i fari delle altre auto.
Sul finire degli anni cinquanta, concluso il
lungo sodalizio con la Metro, torna in auge
con I peccatori di Peyton (1957) di Mark
Robson, il fortunato fumettone sulle ipocrisie
della provincia americana che conferma la sua
torrida sensualità. Nel ’58 la vita privata
s’incontra con la cronaca nera. Cheryl, la figlia
quindicenne avuta dal secondo marito, uccide
nella casa di Beverly Hills il gangster Johnny
Stompanato con cui la madre ha una
tempestosa relazione. In tribunale sarà assolta
per legittima difesa anche grazie alla
testimonianza della mamma che i maligni
considerano la sua migliore interpretazione.
Lo specchio della vita (1959) – il classico del
melodramma firmato Douglas Sirk che nel
conflitto famigliare sembra alludere al tragico
avvenimento – riscuote un enorme successo.
A lungo lontana dal set, muore il 29 giugno
1995 a Century City, California. L’anno prima al
Festival di San Sebastián era avvenuta la sua
ultima apparizione ufficiale, vestita di rosso
fuoco a bordo di una Mercedes bianca.
Oggetto del
desiderio, emblema
del glamour
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
55
Sandro Parenzo presenta
non è mai troppo tardi...
per inseguire i propri sogni
MorganFreeman
DianeKeaton
Ruth&Alex
l’amore cerca casa
dal 25 giugno al cinema
IN COLLABORAZIONE CON
ruthealex.libero.it
I TOP 5
58
al Cinema
OTTIMO BUONO SUFFICIENTE MEDIOCRE SCARSO
The Tribe
61
Diamante nero
66
È arrivata mia figlia
67
Le regole del caos
69
Terminator Genisys
63
67
Pitch Perfect 2
Eisenstein in Messico
65
Youth - La giovinezza
68
58 The Tribe
61 Diamante nero
63 Eisenstein in Messico
65 Youth – La giovinezza
66 È arrivata mia figlia
67 Le regole del caos
67 Pitch Perfect 2
68 Wolf Creek 2
69 Preview
I Minions
Terminator Genisys
Pixels 3D
Pan
Mission: Impossible Rogue Nation
Ant-Man
Wolf Creek 2
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
57
i film del mese
L'operazione
di Slaboshpytskiy
è sensoriale
e sottilmente
politica
58
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
THE TRIBE
Arancia meccanica in un istituto ucraino per sordomuti:
un esordio folgorante
In sala
Regia Myroslav Slaboshpytskiy
Con Grigoriy Fesenko, Yana
Novikova
Genere Drammatico (132’)
L
a parola è una chiave,
ma il silenzio è un
grimaldello. Prendiamo
in prestito “le parole” di
Gesualdo Bufalino perché ci
aiutano a capire meglio
quale intenzione sia sottesa
a un’operazione stramba e
straordinaria come The
Tribe. Non un film sui non
udenti, come qualcuno ha
sostenuto prendendo alla
lettera il côte (un istituto per
sordomuti in Ucraina), e
nemmeno un film muto –
preciso, prezioso semmai il
lavoro sul sonoro – ma uno
che rifiuta la parola. Meglio,
la nega. Non vale il preteso
rispetto per l’oggetto del
discorso – il sordomuto e la
lingua dei segni – a
giustificare la scelta del
regista ucraino Myroslav
Slaboshpytskiy di non
utilizzare sottotitoli
esplicativi. È un atto
deliberato, politico, non a
favore di ma contro. E in
effetti, a chi nega la parola
Slaboshpytskiy se non allo
spettatore? E che audace
ribaltamento è mai questo,
di un mondo che sovverte le
gerarchie consolidate e
improvvisamente taglia fuori
i padroni della lingua dal
sistema (di comunicazione)
dominante, ponendoli in una
posizione di svantaggio?
Una mossa – quella della
sottrazione della parola –
che fa il paio con quell’altra,
la sparizione del primo
piano. Slaboshpytskiy
elimina così i due classici
tutori del vedere. Lavora
solo su campi lunghi, campi
medi, piani sequenza e
carrellate a distanza di
sicurezza. Guarda e ci fa
guardare come da un oblò,
de-territorializzando le
immagini e costringendo più
volte lo spettatore a
sperimentare una libertà,
dunque una responsabilità,
di visione totale. Bullismo,
prostituzione,
emarginazione e sogni di
fuga di un gruppo di
giovanissimi non udenti
ucraini – come in una sorta
di Arancia meccanica
sordomuta – sono il perfetto
contraltare tematico di
quest’esperienza caotica,
violenta e generativa che è
la formazione ex novo del
pubblico, cui il regista riaffida il potere di nominare
le immagini e deciderne
senso e destino.
Un disegno radicale, che
rivela una coscienza estetica
e morale inimmaginabile per
un esordiente. Lo sguardo
etologico, l’uso consapevole
degli elementi minimi del
linguaggio cinematografico
– il gesto, l’inquadratura,
l’angolo, la luce – e
l’approccio squisitamente
teorico non fanno però di
The Tribe un film gelido e
respingente. Il fascino di
questo lavoro è proprio nel
sottile e misterioso
meccanismo emozionale
che attiva, nell’enigma
inscritto nella visione, nella
sfrontata nudità con cui
abbraccia senza
compromessi primigeni
impulsi di vita.
Fondamentale l’adesione al
progetto degli attori, tutti
non professionisti. Vincitore
del Gran Premio della 53.
Semaine de la critique e di
molti altri premi
internazionali, The Tribe è
destinato a echeggiare a
lungo nella memoria,
nonostante tutti i suoi silenzi
o forse proprio a motivo di
questi.
GIANLUCA ARNONE
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
59
DIAMANTE NERO
Potere, identità e gender in un coming of age di grande sensibilità (politica)
In uscita
Regia Céline Sciamma
Con Karidja Touré, Assa Sylla
Genere Drammatico (113’)
NONOSTANTE gli indiscutibili traguardi
messi a segno dall’emancipazione, il
cinema dominante resta maschio,
bianco, adulto e di estrazione borghese.
Un’affermazione solo apparentemente
contraddetta da un mercato saturo di
prodotti per teenager, in verità pilotato
da vecchi e scaltri produttori. Per
trovare una differenza, nel senso più
apocalittico del termine, bisogna
guardare agli indipendenti, specie se di
sponda francese. Sarà un caso, ma nel
giro di un paio di mesi sono arrivati da
Oltralpe due coming of age di
straordinaria energia, sensibilità e
vividezza: a maggio The Fighters,
adesso questo Diamante nero, che a
dispetto del titolo è un’autentica perla.
Lo ha diretto la sceneggiatrice e regista
Céline Sciamma, la stessa che si era
fatta apprezzare per Naissance des
pieuvres e Tomboy, di cui questa terza
prova sembra giusto il medio
proporzionale. C’è il tumulto delle
personalità in divenire tipico degli
adolescenti, contenuto tra una linea
gotica che separa e un confine incerto
che dilaga e permette ogni
scavalcamento. C’è la guerra, fisica e
allegorica, contro i padri e le madri e i
fratelli maggiori; ci sono i corpi e il
lavoro sui corpi, campi di forze tra
spinte metamorfiche concorrenti; c’è
una labile e quasi impercettibile
definizione di gender. Col fatto poi che
il film è tutto ambientato in una
banlieue “nera” di Parigi, in
un’appendice africana, patriarcale e
tribale dell’Occidente, il discorso sul
sesso acquista una spiccata valenza
politica. Femminista. Mai sottolineata,
semmai affidata all’evidenza delle
immagini, sempre pulite, rigorose,
concettualmente geometriche.
Apparecchiate per quattro piccole
donne che sono anche quattro grandi
attrici (bellissime quando cantano
Rihanna), a partire dallo straordinario
Diamante protagonista, Karidja Touré.
Occhioni dolci non ingannino: la sua Vic
è una tosta, è un’altra fighter, è puro
voler essere. Dove potere e volere sono
verbi declinati unicamente al maschile,
non c’è posto per lei. Solo un esilio che
lascia ben sperare.
GIANLUCA ARNONE
Dopo l’ottimo Tomboy, Céline
Sciamma si conferma
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
61
Made in Italy
THE COMFORT SHOW
w w w. c i n e a r r e d o i t a l i a . c o m
EISENSTEIN IN MESSICO
I dieci giorni del Genio a Guanajuato: più invenzione che storia, firmata Greenaway
In sala
Regia Peter Greenaway
Con Elmer Bäck, Luis Alberti
Genere Drammatico (105’)
NEL TALAMO SONTUOSO al centro di
una enorme stanza-palcoscenico (la
storia sul piedistallo della Storia), il
massimo cineasta di tutti i tempi perde
con stupore temperato d’ironia la
verginità omosessuale, scopre l’amore
per un elegante messicano insegnante
di religioni comparate e respinge sia il
capitalismo dei produttori del nuovo
film sia la schiavitù culturale del suo
paese comunista. Nei 10 giorni che
Eisenstein trascorse a Guanajuato (2131 ottobre 1931) Peter Greenaway vede,
sente, documenta, proietta una frattura
esistenziale, un’estroversione e
un’espansione del Genio. Una certa
anima russa, letteraria (Tolstoj e
Dostoevskij) e sociale (il principio della
rivoluzione di libertà) che risuonava
riconvertita nell’ordinamento sovietico,
in un nuovo linguaggio (chiaro,
esplosivo, in Sciopero, La corazzata
Potemkin, Ottobre e Il vecchio e il
nuovo) riscopre se stessa nel viaggio in
Occidente, approdato alla sensualità,
all’oblomovismo messicano: si scopre
viva, trova un’identità, una verità della
persona finalmente a scapito del
personaggio, l’istituzione istituita nella
dittatura stalinana. Non è che con
Greenaway ci sia spazio per
biografismo e aneddoto: assume
l’iconografia generale (l’estrosità dei
ritratti, le sequenze celebri, il bestiario
dei personaggi d’epoca) la smonta e la
raggiunge ancora immaginando il
fervore, le emozioni, i passaggi, le crisi,
che la motivano. Bellissimo il
rimontaggio di Eisenstein e il teschio
dopo la telefonata-confessione con la
segretaria Pera. Come sempre la scena
e il corpo, cioè Eros e Thanatos,
informano l’architettura concettuale
dello schermo e compongono uno
sguardo cubista sull’oggetto. Tutto
vero (i disegni erotici, il vestito bianco,
gli incontri, telegrammi e lettere). Tutto
falso (il resto). Cioè, così fu. “La Storia
non esiste”, dice Greenaway, “esiste
l’invenzione”. Nel richiamo
all’attenzione creativa del cinema,
all’enigma estetico, non è un film per
tutti. Ma chi fa film per tutti? Spielberg,
e non è detto. Greenaway fa
Greenaway.
SILVIO DANESE
Come sempre la scena è il
corpo, Eros e Thanatos
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
63
YOUTH - LA GIOVINEZZA
Elegia del tempo perduto. Tronfio, scoppiettante e pop: Sorrentino al meglio
In sala
Regia Paolo Sorrentino
Con Michael Caine, Harvey Keitel
Genere Commedia (118’)
LA TRAMA di Youth sembra uscita da
un romanzo del ‘900: due vecchi
amici, un compositore in pensione
(Michael Caine) e un regista in procinto
di girare il suo “film-testamento”
(Harvey Keitel), si ritrovano in un
sanatorio svizzero tipo Montagna
incantata. Giorni di relax. Chiacchiere,
passeggiate, ricordi. E materiale umano:
donne in crisi di nervi (Rachel Weisz),
star hollywoodiane con l’ego trafitto
(Paul Dano), monaci tibetani pronti a
levitare, glorie del cinema passate alla tv
(Jane Fonda), Maradona versione bonzo
e Miss Universo (Madalina Ghenea).
Caine che ricorda Jep Gambardella,
Keitel Sorrentino.
C’è il confronto generazionale, il tempo
andato, l’arte e il suo contorno. C’è la
vita e la morte. Temi risolti a colpi di
aforismi. Drammaturgia
del profondismo. Trucco, effetto scenico
anche questo. L’illusione di godere di
qualcosa di serio e importante e il
sollievo di essersi sbagliati (chi vorrebbe
essere considerato importante al giorno
d’oggi fino al punto da essere preso sul
serio?)
La critica storce il naso? Lui allarga la
platea del suo cinema, continuando a
vendergli l’Opera al prezzo di
un concerto da stadio. Con Luca Bigazzi
continua a costruire cattedrali nel
deserto: architetture visive
esteriormente ricche, iper-barocche,
dentro vuote. Manierismo fatto stile, che
non smette di cercare la stupefazione, la
performance. Movimento e fluidità,
consonanza e rottura: tutto è tempo
musicale, ritmica della messa in scena,
persino l’immagine delle mucche nei
campi. Il cinema di Sorrentino è
un’infiammazione estetica, un gioco al
bello e al brutto con tifo da ultrà. Tra chi
ammira la Matrioska e chi vi guarda
dentro. Resta dannatamente divertente.
Lo stupore ha bisogno dell’ironia per
distruggere ciò che l’altro crea. Perché
esploda la bolla di bellezza diventata
troppo grande. Ricordate? Di bellezza si
può morire. Parossismo e vanificazione.
Fellini soffiato via da Peter Sellers
e preso a calci da Monicelli, il regista che
si lancia dal balcone. Capita anche qui.
Persino una boutade può essere vera.
GIANLUCA ARNONE
Caine ricorda Gambardella,
Keitel Sorrentino
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
65
i film del mese
È ARRIVATA MIA FIGLIA!
La miglior commedia all’italiana dell’anno è questo film brasiliano: fatevi sotto!
In sala
Regia Anna Muylaert
Con Regina Casé, Camila Márdila
Genere Commedia (110’)
LA MIGLIORE COMMEDIA all’italiana
degli ultimi mesi è un film brasiliano, È
arrivata mia figlia!, scritto e diretto da
Anna Muylaert, interpretato dalla star
nazionale Regina Casé. Come per i
nostri insuperati antenati, la ricetta è
semplice quanto preziosa: la Muylaert
ha il dono del paradigma, ovvero
estrae da una storia particolare lo
stato dell’arte di una società intera, di
un Paese colto nel suo difficile rifarsi.
Se più di qualche anno fa bisognava
mollare il proprio figlio per lavare le
scale dei padroni a centinaia di
chilometri di distanza, oggi si può
studiare e tenerlo con sé, perché
qualcuno lo curerà al tuo posto:
Ordem e Progresso, direbbe la
66
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
bandiera. La regista la onora senza
indorare la pillola, piuttosto
drappeggiando le difficoltà del
percorso: la portabandiera è Val (Casé,
super), governante a tempo pieno
presso un’agiata coppia paulista, di cui
ha cresciuto il figlio Fabinho (Michel
Joelsas). L’arrivo della propria figlia
Jéssica (Camila Márdila, che
freschezza!), che deve sostenere un
test d’ingresso all’università, sconvolge
la vita di Val e dei suoi datori di lavoro,
perché in casa non è arrivata solo
un’indomita ragazzina, ma
l’emancipazione, e la libertà… È il
Brasile qui e ora, che nell’espansivo, e
non endemico, divario tra ricchi e
poveri tiene la mano alla classe media,
quella che dal proletariato prova ad
affacciarsi sui libri e un futuro migliore:
stiamo con Val e Jéssica, bella e brava
tanto da essere “scambiata” per un
ratto che inquina l’acqua della
piscina... Ma il futuro è con lei, il
presente lotta di classe al femminile:
misura, sapore, senso del ritmo e
occhio lungo sulle dinamiche
socioeconomiche, sul quadrato c’è
anche la Muylaert, perché è arrivata
mia figlia, ci si augura, lo possa dire il
Brasile intero. Da godere in famiglia e,
se ne conoscete uno, con lo
sceneggiatore di turno del nostro
cinemino: c’è tanto da imparare da
questa commedia all’italiana, da
questa saudade per il bel tempo italico
che fu. Provare per credere. E sperare.
FEDERICO PONTIGGIA
Ordem e progresso, Anna Muylaert
sventola la bandiera
PITCH PERFECT 2
Poche idee, ma buone: funziona il sequel della Banks
ancora meravigliosa oltretutto, che ha
capito che una donna dev’essere
padrona del suo destino da quelle
parti. Quindi prima produttrice, e
adesso anche regista di Pitch Perfect 2,
che funziona meno del primo episodio,
perché manca la novità, ha una
sceneggiatura farraginosa, episodica,
con delle inutili lungaggini. Ma fa
ridere, tanto, e la musica è piacevole,
anche se le performance sono meno
efficaci, c’è da dirlo, a causa di una
regia e un montaggio molto più statici.
In compenso Anna Kendrick ha dei
siparietti irresistibili, Rebel Wilson è
strabordante, ma la cosa migliore sono
i duetti dei commentatori, John
Michael Higgins e la stessa Banks.
Irresistibili e corrosivi, meriterebbero
uno spin off. E non perdete i titoli di
coda.
ALESSANDRO DE SIMONE
MAGARI SI RISCHIA di essere banali o
fraintesi, ma il Girl Power della mini
saga di Pitch Perfect (e visto il
successo c’è da aspettarsi un terzo
episodio) è molto piacevole. Un bel
gruppo di ragazze che affronta bene la
commedia musicale, viaggiando sulla
lama del rasoio di una comicità che
resta sempre quel giusto passo indietro
al pecoreccio, diretto da un’attrice che
ha fatto bene i conti con la sua bellezza
a Hollywood. Brava Elizabeth Banks,
In sala
Regia Elizabeth Banks
Con Anna Kendrick, Rebel Wilson
Genere Musicale (115’)
LE REGOLE
DEL CAOS
Passioni fioriscono nei
giardini di Versailles. Con
esiti alterni
In sala
Regia Alan Rickman
Con Kate Winslet, Helen McCrory
Genere Drammatico (112’)
PER UNA VOLTA, un titolo italiano non
fuorvia lo spettatore: rispetto
all’originale A Little Chaos (Un po’ di
caos), la versione nostrana mette in
luce il cuore del secondo film di Alan
Rickman, a 17 anni da L’ospite
d’inverno. Da una parte la formalità, il
protocollo e il rispetto delle norme
sociali e di corte, dall’altra la follia nel
senso passionale e nel senso sociale
del termine. Nel raccontare la storia
della costruzione del giardino della
reggia di Versailles e del rapporto tra il
progettista Le Notre, la giardiniera De
Barra e re Luigi XIV, Rickman – su
sceneggiatura di Alison Deegan e
Jeremy Brock – non si limita solo alla
dicotomia tra formalità e trasgressione
in chiave di racconto, ma cerca di
inserirla anche nella messinscena,
provando a far irrompere
nell’accademismo britannico del
cinema in costume una brezza di
imprevisto, toni più sporchi, scelte di
regia più bizzarre. Ci riesce solo a metà,
appesantendo il ritmo mano a mano e
perdendo la rotta verso il finale,
superfluamente tragico. Ma sono difetti
che si possono sopportare, soprattutto
alla luce del brio che qua e là filtra e
della prova degli attori, soprattutto
delle attrici: una Kate Winslet di alto
livello e una sorprendente Helen
McCrory (Madame Le Notre).
EMANUELE RAUCO
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
67
i film del mese
WOLF CREEK 2
Nuovo capitolo che supera per tensione il precedente: deboli di stomaco astenersi
In sala
Regia Greg McLean
Con John Jarratt, Ryan Corr
Genere Horror (107’)
RITROVIAMO Mick Taylor (John
Jarratt) dove l’avevamo lasciato. A
bordo del suo furgone mezzo scassato,
lo psicopatico corre lungo l’outback
australiano pronto a lasciarsi dietro
un’interminabile scia di sangue. Il
cacciatore di turisti non è pago, e non
lo è nemmeno il talentuoso Greg
McLean che ne riprende le esecuzioni,
nel sequel del suo fortunatissimo Wolf
Creek. Ispirato alle gesta efferate di Ivan
Milat, questo numero due supera per
virtuosismo, tensione e raccapriccio il
precedente, regalando ai fan dell’horror
una vera e propria delizia, indigesta
d’altra parte per i deboli di stomaco.
Punto di forza dell’operazione è ancora
una volta l’efficace lavoro sugli elementi
68
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
atipici del genere, come l’uso
intelligente degli spazi aperti,
dell’esterno giorno e dei piani
lunghissimi, a conferma di come si
possa costruire una buona suspense
senza porte che cigolano, stretti
corridoi e buie location. Inedita anche la
cura dei caratteri, assassino in primis:
mente totalmente deviata ma ricca di
sfaccettature, Mick Taylor è un
cacciatore abile, un predatore spietato,
un nazionalista convinto, un bifolco
senza speranza, un astuto criminale, un
uomo a suo modo serafico, lucido,
intelligente. Sospettiamo che se non
passasse il suo tempo a maciullare
giovani e ignari visitatori, potrebbe
persino essere utile alla civiltà. Ed è in
fondo questo rompicapo psichiatrico a
renderlo così inquietante e così
interessante. Dal canto suo McLean non
lesina sorprese, non si perde in
chiacchiere, non sa cos’è il
politicamente corretto. Costruito su una
struttura a grappolo, senza veri
protagonisti, dove ogni personaggio
trascina nella rovina il successivo,
questo film è ostentatamente forma e
inequivocabilmente sostanza.
Spettacolo e realismo. Per quanto
arraffi prestiti (Duel) e sciorini omaggi
(Hostel), possiede una personalità tutta
sua. Qualcosa tra l’estetico e il
ributtante, il quotidiano e l’inaudito.
Sconcertante e contraddittorio, come
solo può essere l’anima dei mostri.
Mostri veri, figli di questo mondo.
GIANLUCA ARNONE
Sorprende l’efficace lavoro sugli
elementi atipici dell’horror
i film del mese preview
a cura di Manuela Pinetti
TERMINATOR
GENISYS
PAN
PIXELS 3D
TERMINATOR (Arnold
Schwarzenegger) è tornato, ma tutto
quel che ricordate della tetralogia scifi girata tra il 1984 e il 2009 si è ora
svolto in maniera differente, grazie a
questo reboot che riscrive eventi e
personaggi attraverso nuovi viaggi nel
tempo e che fonda anche l’inizio di
una nuova trilogia. Alla regia c’è Alan
Taylor (I Soprano, Mad Men,
Homicide), alla sceneggiatura – anche
- James Cameron.
PRIMA DI ESSERE l’eroico ed eterno
bambino che conosciamo, Peter Pan
viveva in un orfanotrofio. Una notte è
rapito dal pirata Barbanera e
condotto sull’Isola che non c’è, un
luogo magico dove il piccolo Peter
affronterà molti pericoli ma troverà
anche il divertimento, e farà
ovviamente conoscenza con un
giovane Capitan Uncino. Sesto
lungometraggio per Joe Wright, già
regista di Espiazione e Anna Karenina.
CHI DICE che i videogiochi degli anni
ottanta fossero meno violenti di quelli
di oggi sarà costretto a ricredersi. In
Pixels 3D la Terra viene attaccata da
Pac-Man, Donkey Kong et similia: gli
alieni hanno scambiato una capsula
del tempo inviata nello spazio nel
1982, e contenente frammenti di
videogiochi arcade, per una
dichiarazione di guerra. Ispirato
all’omonimo cortometraggio francese
del 2010.
Regia Alan Taylor
Con A. Schwarzenegger, E. Clarke
Regia Joe Wright
Con Hugh Jackman, Levi Miller
Regia Chris Columbus
Con Adam Sandler, Kevin James
ANT-MAN
MISSION: IMPOSSIBLE MINIONS
ROGUE NATION
SCOTT LANG (Paul Rudd) è un ladro
che entra in possesso di una sostanza
che gli consente di rimpicciolirsi fino
alle dimensioni di una formica,
aumentando allo stesso tempo la
propria forza fisica. Proteggere il
segreto di questa straordinaria
tecnologia, aiutare il suo mentore
Hank Pym (Michael Douglas) e
trasformarsi in un supereroe sarà per
Scott un’unica cosa. Ant-Man è il
dodicesimo film del Marvel Cinematic
Universe.
TOM CRUISE torna per la quinta volta
ad interpretare l’agente della IMF
Ethan Hunt. Stavolta il nemico da
sconfiggere è un’organizzazione di
assassini che vuole distruggere
proprio l’IMF, e per annientarla sarà
necessario un meticoloso lavoro di
squadra. Il film è stato girato, come i
precedenti quattro della serie, in varie
location sparse per il mondo, tra cui
Marrakech, Londra e Vienna.
Regia Peyton Reed
Con Paul Rudd, Michael Douglas
Regia Christopher McQuarrie
Con Tom Cruise, Jeremy Renner
I PICCOLI SERVITORI di cattivi vivono
ritirati in Antartide – ma sono pronti a
tornare – dopo aver combinato
pasticci su pasticci ai loro temibili
padroni, tra cui faraoni dell’antico
Egitto e un inedito Napoleone
Bonaparte. Ma pure coi tirannosauri
non era andata granché bene. Eh sì,
perché i Minions esistono dall’alba dei
tempi, guadagnandosi questo spin off
dei due lungometraggi d’animazione
Cattivissimo Me.
Regia Pierre Coffin, Kyle Balda
Con le voci di Sandra Bullock, Jon Hamm
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
69
Dvd /// Blu-ray /// SerieTv /// Borsa del cinema /// Libri /// Colonne sonore
TELE
A CURA DI VALERIO SAMMARCO
DA NON PERDERE
Birdman e
Cobain. Poi
Julianne Moore
da Oscar in Still
Alice
IN QUESTO NUMERO
Conversazioni con Orson
Welles, il noir francese, La
mela di Cézanne e l’accendino
di Hitchcock
FARGO
La serie
In Dvd la stagione completa
La classe dei classici
Colin Firth tra le spie
Edizioni anniversario
Social Surfing
Se il sound è Fury
73
74
75
79
82
TELECOMANDO
/// Dvd e Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Birdman
Finalmente il capolavoro di Iñárritu.
Approfondimenti negli extra
È
stato tra i titoli più acclamati della
stagione, Birdman di Alejandro
G. Iñárritu. Accolto molto favorevolmente in apertura allo scorso Festival
di Venezia e trionfatore agli Oscar (4 statuette, tra cui miglior film e miglior regia), il film – dall’11 giugno in Blu-ray e
Dvd (extra: approfondimenti e chiacchierata con regista e attore protagonista) – segue da vicino Riggan Thomson
(Michael Keaton): stella del cinema tramontata – fino agli inizi dei ’90 iconico
supereroe dietro il costume di Birdman -,
oggi, a 60 anni suonati, l’attore tenta di
ricostruirsi un’immagine partendo da un
testo di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. L’esordio a Broadway si avvicina, ma l’impresa
72
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
è ardua: alle continue discussioni con l’amico, produttore, avvocato (Zach Galifianakis) si aggiunge la difficile gestione
del nuovo arrivato Mike (Edward Norton), attore talentuoso ma uomo impossibile, per non parlare del rapporto conflittuale con la figlia Sam (Emma Stone)
e della difficile relazione con la collega
di palco Laura (Andrea Riseborough). Oltretutto, c’è qualcuno da cui Riggan proprio non riesce a liberarsi: Birdman, il
suo alter ego, che non smette un secondo di incitarlo a mollare tutto e ritornare
a “volare”. Straordinario, anche e soprattutto grazie alla fotografia di Emmanuel
Lubezki.
DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Laclasse
deiclassici
a cura di Bruno Fornara
Donne e veleni
Douglas Sirk, futuro
maestro di melodrammi, si
cimenta in un bel noir
matrimoniale e casalingo.
Inizio sconcertante: la ricca
e disorientata signora
Alison (Colbert) si sveglia
nella cuccetta di un treno
che va a Boston, si
spaventa, non sa come sia
finita lì, si era
addormentata nel suo
letto a New York. Nella
borsetta ha la pistola del
marito (Ameche) che la
aspetta a casa, è ferito a
un braccio e vuole farla
visitare da uno psichiatra:
dice che è stata lei, la sera
prima, a sparargli. Entrano
in scena Daphne, un falso
psichiatra che arriva
sparisce riappare sparisce
di nuovo come è già
sparito il maggiordomo, lo
psichiatra vero, una Barby
sciocchina, un matrimonio
a Chinatown, un
braccialetto di smeraldi, il
ponte di Brooklyn, anche
lo “ngape” (cos’è?) e una
“giungla” in casa, una
chiave galeotta persa
davanti alla porta, la
pagina comica del Times.
C’è la cupidigia in due
battute. Lui (chi?):
“Quando siamo insieme
abbiamo tutto”. Lei (chi?):
“Abbiamo molto ma non
tutto”. Comunque sia, nel
film c’è tanto.
Di Douglas Sirk Con Claudette
Colbert, Don Ameche
Genere Noir (Usa, 1948)
Distr. CG Home Video
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
73
TELECOMANDO
/// Dvd & Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Cobain
Mommy
Un anno dopo il
trionfo a Cannes
(dove si aggiudicò il premio
della Giuria ex
aequo con Godard) arriva in homevideo
Mommy di Xavier Dolan, con
interviste, scene tagliate e materiali video dal Festival negli extra.
Interpretato da una straordinaria Anne Dorval, il film del genietto canadese segue da vicino
questo rapporto sui generis tra
un adolescente problematico e
sua madre, “costretta” a riprenderselo dopo l’ennesimo incidente da lui causato nell’istituto
psichiatrico che lo “ospita”. Affetto da una sindrome di deficit
dell’attenzione, Steve irromperà
in maniera devastante nella sua
vita.
Montage of Heck
DISTR. CG HOME VIDEO
Kingsman
Un’organizzazione
super segreta recluta un semplice
ma promettente
ragazzo di strada
nell’ultra competitivo programma di addestramento dell’agenzia, proprio nel
momento in cui una terribile
minaccia arriva da un singolare
genio della tecnologia. Matthew
Vaughn dirige Colin Firth, Michael Caine e Samuel L. Jackson
in questo adrenalinico e divertente action. In Blu-ray e Dvd
dal 18 giugno, con “Kingsman:
Secret Service esce allo scoperto”, featurette di 90 minuti che
permette di approfondire al meglio l’iconico stile del film, i
combattimenti, i gadget e molto
altro nei contenuti speciali.
DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E.
74
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
D
opo l’uscita evento di fine aprile,
arriva in homevideo (Blu-ray e
Dvd, dal 10 giugno) l’atteso documentario sul leader dei Nirvana, Kurt
Cobain. Diretto da Brett Morgen, che ha
iniziato a lavorarci nel 2007, è il primo
doc realizzato in collaborazione con la famiglia Cobain che ha permesso al team di
accedere ai propri archivi personali: filmati casalinghi inediti, registrazioni, disegni,
fotografie, pagine di diario, demo, ricordi
personali, di famiglia e testi di canzoni.
“Cobain poteva essere sincero ed emoti-
vo, ma anche ironico e sarcastico. Era
dolce e amaro ed era anche incredibilmente spiritoso. Il film dovrà riflettere il
suo spirito”. Missione (quasi) compiuta, al
netto di una durata forse eccessiva (132’):
qui e là manca qualche brano fondamentale, ma il senso dell’operazione era quello di portare alla ribalta soprattutto il
background di Cobain, iniziando dai difficili anni d’infanzia. Comunque da vedere,
Come as you are…
DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Fargo - La serie
La prima stagione completa, ricca di extra
Hungry Hearts
Viviane
Purtroppo senza extra, arriva in homevideo dal 25 giugno
Hungry Hearts di
Saverio Costanzo,
già apprezzato alla
scorsa Mostra di Venezia, dove
venne premiato per la doppia interpretazione di Alba Rohrwacher
e Adam Driver. Tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco
Franzoso, il film racconta la storia
di un amore, quello tra l’italiana
Mina e l’americano Jude, messo a
dura prova dall’arrivo di un bebè.
Mina si convince che il suo sarà
un bambino “speciale”: deve essere protetto dall’inquinamento
del mondo esterno. Ma svezzarlo
secondo le sue convinzioni sarà
pericoloso… Dall’amore all’orrore, il passo è più breve di quanto
si possa credere.
Terzo film di una
trilogia sulle relazioni di coppia e
familiari realizzata
dai cineasti israeliani Ronit e Shlomi
Elkabetz, sorella e fratello, Viviane arriva in Dvd (dal 4 giugno).
L’occasione è buona per recuperare questa nuova pagina importante del cinema israeliano: il
film racconta il calvario giuridico
di Viviane, che per divorziare dal
marito ha bisogno del consenso
di quest’ultimo davanti alla Corte
rabbinica. Insieme al suo avvocato, la donna deve affrontare
una lunga lotta per la sua libertà:
combattere l’atteggiamento ottuso del marito, ascoltare i testimoni chiamati a deporre e scontrarsi
con procedure assurde ed incomprensibili.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
Dopo aver vinto due Golden
Globes e tre Emmy Awards, Fargo
– La serie è finalmente disponibile
in Dvd dall’11 giugno. Ideata da
Noah Hawley, non è la
trasposizione televisiva in dieci
episodi della pellicola omonima
bensì un’opera originale che
mantiene lo spirito e le atmosfere
surreali tipiche dei fratelli Coen.
Definita black dramedy, cioè un mix tra drama e black
comedy, la serie offre ai telespettatori un cocktail
perfetto di suspense, humour e satira esilarante.
Ambientata nel 2006 nel freddo Minnesota,
precisamente nelle cittadine di Bemidji e Duluth, Fargo –
La serie racconta la storia di Lorne Malvo, un violento
assassino che trascina un sempliciotto assicuratore
senza successo in un suo piano criminale. Ad indagare
sulle malefatte dei due individui l’intraprendente e
brillante agente di polizia Molly Solverson. Interpretata
da Billy Bob Thornton, Martin Freeman, Allison Tolman e
Colin Hanks (il figlio di Tom), la serie è arricchita da
numerosi contenuti speciali, per scoprire i segreti del
dietro le quinte di una delle produzioni più apprezzate
degli ultimi anni.
DISTR. 20TH CENTURY FOX HOME ENTERTAINMENT
DISTR. MUSTANG
ANNIVERSARI
GRANDI TITOLI PER COMPLEANNI SPECIALI
Edizioni da non perdere
Da Casinò di Martin Scorsese allo Squalo di
Steven Spielberg
Per festeggiare il
compleanno di titoli
che hanno fatto la
storia, Universal distribuisce dal 10 giugno
in “Edizione Anniversario” e in Blu-ray
Apollo 13 di Ron Howard (20°
anniversario), Il gladiatore di Ridley Scott
(15° anniversario), Casinò di Martin
Scorsese (20° anniversario) e Lo squalo di
Steven Spielberg (40° anniversario).
Tutti e quattro, naturalmente, impreziositi
da numerosi extra: Apollo 13 (Lost Moon:
il trionfo di Apollo 13; Conquistando lo
spazio: La Luna e dintorni; I fortunati 13: la
storia degli astronauti; commento al film
del regista Ron Howard e Jim e Marilyn
Lovell); Il gladiatore (Commento al film
del regista Ridley Scott, dell’editor Pietro
Scalia e di Russell Crowe; Introduzione al
film di Ridley Scott); Casinò (Commento
al film di Martin Scorsese, Sharon Stone,
Nicholas Pileggi ed altri; Scene eliminate;
La Storia vive: gli autori
dei veri crimini); Lo
squalo (Scene eliminate e
dietro le quinte; Il Making
of; Lo squalo continua a
lavorare: la leggenda
dello squalo; Dal set; Gli
archivi de Lo squalo).
DISTR. UNIVERSAL PICTURES H. E.
Still Alice
Il film che è valso
l’Oscar a Julianne
Moore, disponibile in Dvd dal 4
giugno, con interviste ai registi e al
cast negli extra. Tratto dal romanzo Still Alice. Perdersi della
neuropsichiatra Lisa Genova, il
film – diretto da Richard Glatzer
(deceduto lo scorso marzo) e
Wash Westmoreland – racconta
la vita di Alice Howland, madre
moglie e insegnante alla Columbia University alla quale, dopo
alcuni episodi preoccupanti,
viene diagnosticata una rara e
precoce forma di Alzheimer. La
vita di Alice, da quel momento,
sarà improntata a combattere
per salvare, quanto possibile, il
ricordo di ciò che è stata e che
è ancora. Nel cast anche Alec
Baldwin e Kristen Stewart.
DISTR. CG/GOOD FILM
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
75
TELECOMANDO
/// Il futuro è oggi ///-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
N
on solo la sala, non solo – non
più – Blu-ray e Dvd.
Il concetto di “home cinema”
è ormai On Demand. Sky offre la possibilità di scegliere tra ben 1000 titoli, dagli action più spettacolari (come Transformers 4 – L’era dell’estinzione o
Apes Revolution – Il pianeta delle
scimmie) ai family-movie come Maleficent e Dragon Trainer 2, fino ai cult
d’autore come la “Trilogia” del Padrino
di Francis Ford Coppola.
Un’intera videoteca sempre a disposizione, gratis per gli abbonati Sky, che
possono collegare il decoder My Sky a
Internet e attivare Sky On Demand.
Look at
1000 film on demand. Quando
76
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
the Sky
e come vuoi, a casa tua
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
77
TELECOMANDO
/// Borsa del cinema ///-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
TROPPE OPERE, POCHI
INVESTIMENTI
Auspicabile la realizzazione di un numero più
contenuto di titoli, ma più ricchi finanziariamente
e più strutturati nelle sceneggiature
di Franco Montini
L’
intervento diretto dello Stato a sostegno della produzione cinematografica continua a diminuire. Nel 2014,
come rilevato nella ricerca Tutti i numeri
del cinema italiano, annuale report a cura
del Ministero dei Beni Culturali e dell’Anica, le risorse pubbliche messe a disposizione del settore hanno rappresentato poco
più del 5% dell’investimento complessivo
nella produzione. Tuttavia i film sostenuti,
in quanto riconosciuti di interesse culturale
nazionale o in quanto opere prime, sono
stati più di ottanta. Esattamente 40 nel primo gruppo, con un investimento complessivo di 13,5 milioni di euro, cui si aggiungono 42 esordi per un ammontare di 6,75
milioni di euro. Il contributo medio per i
film di interesse culturale è stato di 337mila
euro e di poco più di 160 mila per le opere
prime. Insomma il sostegno pubblico ad
ogni singolo film, a causa di risorse sempre
più esigue e del gran numero dei titoli finanziati, sta diventando sempre più modesto. Poiché in una situazione di generale
crisi economica, non sembra ipotizzabile
un aumento delle risorse pubbliche finalizzate al sostegno della produzione di film,
diventa inevitabile selezionare con maggior
rigore i titoli da finanziare, così da aiutare
in maniera più sostanziosa i progetti realmente meritevoli.
Nel 2014, come si ricava dalla già citata ricer-
78
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
Solo 80
produzioni su
200 hanno
potuto contare
su una vera
distribuzione
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Surfing
@marco_spagnoli
Risveglio di primavera
ca, in Italia si sono realizzati 201 film, 34 in
più dell’anno precedente, ma l’investimento
complessivo è diminuito, passando da 335
milioni a 323. In altre parole il budget con
cui i film si producono si va riducendo, ma il
fenomeno non è solo conseguenza della rivoluzione tecnologica esplosa con l’arrivo
del digitale. Ben 69 film realizzati lo scorso
anno hanno potuto contare su risorse inferiori a 200mila euro.
Insomma in Italia si producono una pletora
di film deboli, che in molti casi non riescono
neppure ad approdare in sala o che in ogni
caso sono condannati ad una programmazione più aleatoria che reale. Solo un’ottantina
dei titoli realizzati lo scorso anno ha potuto
contare su una vera distribuzione. Il fatto che
il costo medio dei film italiani sia sempre più
basso ha provocato un abbassamento della
quota di mercato della produzione nazionale, non a caso, scesa nel 2014 al 27,2%, contro il 30,5 dell’anno precedente. È infatti dimostrato che i risultati al box office sono allineati alla linea dei costi: più i film costano,
più incassano. Più si abbassa il costo di produzione più si abbassa l’incasso.
Inoltre se può accadere che film costosi totalizzino meno del previsto, è di fatto impossibile, a causa della struttura del nostro mercato nazionale, che film poveri possano incassare cifre considerevoli. Inoltre per competere a livello internazionale è necessaria una
certa potenza produttiva ed è proprio l’abbassamento del costo medio una delle ragioni della progressiva scomparsa della produzione italiana dai mercati stranieri, proprio
mentre, grazie alle nuove norme in tema di
tax credit, il cinema internazionale, e le grandi produzioni americane in particolare, sono
tornate a girare nel nostro paese.
In definitiva 200 film in un mercato, come
quello italiano, bloccato da anni attorno ai
100 milioni di biglietti, rappresentano un
numero assolutamente eccessivo. Sarebbe
auspicabile la realizzazione di un numero
più contenuto di titoli, ma più ricchi finanziariamente e più strutturati nelle sceneggiature.
Sono bastati due trailer: lanciato il guanto di sfida
Batman v
Superman:
Dawn of
Justice di Zack
Snyder
a stagione di
presentazione
dei pilot delle
nuove serie americane
coincide con quella
dell’inizio dei grandi
Festival e per i fan
“twittatori seriali”, ma
anche per gli addetti ai
lavori più social, è il
momento del
cosiddetto ‘risveglio di
primavera’. Dopo un
inverno trascorso a
commentare serie
televisive al calduccio
del focolare illuminato
dal binge watching e
della stagione dei
premi ‘al coperto’
come Golden Globe,
Oscar, Bafta ed Emmy,
ecco il momento di
uscire fuori sui tappeti
rossi estivi ‘dandoci
giù’ con abiti, film e
casting delle nuove
produzioni.
Un momento in cui
sulla piazza social del
villaggio globale brilla
il sole della primavera
televisiva con volti
abbronzati e nuove
storie pronte per
essere consumate
prima della
L
tradizionale abbuffata
di pettegolezzi estivi.
Eppure il valore di
queste discussioni sta
diventando sempre
meno lezioso e più
rilevante di quello che
si pensa: con i grandi
budget allocati sui
Social Media più che
sulla stampa
tradizionale, gli Studios
guardano e analizzano
con una certa
attenzione i post e i
like sulle varie
piattaforme, perché
quelle affermazioni più
o meno fondate ed
esagerate provengono
dai loro consumatori. Il
recente lancio dei
trailer di Batman v
Superman e Star Wars
– Il risveglio della forza
ha dato vita ad una
vera e propria
competizione stile
Coppi–Bartali con
un’analisi di costi,
benefici e ricavi che
dal mondo theatrical o
dell’home
entertainment investe
anche quello del
cosiddetto retail,
ovvero negozi, in
particolare di
giocattoli, che possono
quantificare in maniera
abbastanza concreta i
cosiddetti ‘mood’ e
‘buzz’ sulle produzioni
che investono nelle
franchise principali:
basti pensare che Star
Wars è tornata ad
essere in meno di un
anno una delle più
apprezzate serie
cinematografiche della
storia del cinema,
mentre solo qualche
anno fa, per colpa della
nuova trilogia, era
scivolata molto in
basso nella classifica
generale di
gradimento. In un
mercato guidato dai
consumatori, il
pubblico è al centro
dell’attenzione di tutti
e ancora una volta i
Social sono la chiave
per interpretarne sogni
e desideri. La
domanda, però, resta?
Il pubblico sa davvero
quello che vuole e i
Social costituiscono
davvero un ‘vangelo’
laico per interpretarne
il pensiero?
giugno 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
79
/// Libri ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
TELECOMANDO
L’infernale Orson
Peter Biskind (a
cura di)
A pranzo con
Orson.
Conversazioni
tra Henry Jaglom
e Orson Welles
Tra una forchettata e l’altra, Welles demolisce senza pietà tanti
miti (Allen è “ripugnante”, Brando “salsiccione”, Chaplin “cretino”, Bogart “vigliacco”, Hitchcock “pigro megalomane”, Hoffman, Pacino e De Niro “nani etnici con la faccia strana”), ma ne
loda altri: John Ford, Buster Keaton, Erich von Stroheim, Howard
Hawks, Frank Capra, Jean Renoir, Gary Cooper e Alida Valli.
Grazie alle conversazioni registrate a tavola, Jaglom non solo
ci consegna un autoritratto involontario di Welles (“Non dirgli la
verità su di me, Henry. Non la
vogliono sapere. Lasciagli le loro
fantasie”) e, insieme, la storia politicamente scorretta di Hollywood, ma uno dei libri sul cinema più feroci, cinici e divertenti dell’anno.
(Adelphi, Pagg. 340, € 26,00)
Come in uno specchio
A tu per tu con Welles. La storia segreta
e politicamente scorretta di Hollywood
ANGELA BOSETTO
Giù la Coppola
Fabio Zanello (a
cura di)
Francis Ford
Coppola: il
romanticismo
pre-digitale
Edita da Historica col pratico formato “alla Castoro”, questa raccolta di saggi ripercorre l’intera
carriera di uno degli indiscussi
geni cinematografici del secondo
dopoguerra del secolo scorso, e
di un regista tutt’altro che arreso
80
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
all’avvento del nuovo millennio
(e all’ascesa della figlia Sofia...).
La cinematografia dell’“artigiano
predigitale” Francis Ford Coppola, da Dementia 13 passando per
The Conversation, Apocalypse
Now, la trilogia del Padrino, i
bellissimi e sfortunati anni ‘80 di
One from the Heart e Tucker fino
agli ultimi titoli, quasi sperimentali, è sviscerata nella sua interezza in 18 saggi affidati a 17 giovani critici più Zanello, che cura
anche biografia e filmografia del
regista italoamericano (coadiuvato da Arianna Pagliara).
(Historica, pagg. 212, € 18,00)
GIANLUIGI CECCARELLI
InterNolan
Massimo
Zanichelli
Christopher
Nolan. Il tempo,
la maschera, il
labirinto
L’ambiziosissimo Interstellar ha portato la fama autoriale di Nolan a
livelli tali che ormai sembra quasi
impossibile discuterne in modo
pacato, senza venire attaccati da
chi lo reputa un dio o da chi lo
odia alla follia. Ma sino a che
punto costoro (fan e detrattori)
conoscono davvero il suo cinema, senza limitarsi alla mera
componente stilistica e ai rompicapi narrativi? Zanichelli va oltre
il luogo comune del “Nolan freddo e cerebrale”, per esplorarne le
ossessioni che pulsano sotto la
superficie glacialmente impeccabile delle pellicole e per capire
come le emozioni si fondano
con l’illusoria geometria della
messa in scena. Da qualunque
lato della barricata stiate, vi conviene leggerlo. Pure di più se vi
trovate nel mezzo.
(Bietti, Pagg. 290, € 20,00)
ANGELA BOSETTO
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Orson Welles e
Rita Hayworth in
La signora di
Shanghai
gli esordi la critica li bolla come
cialtroni, il pubblico affolla le sale. Gordiano Lupi, per il primo libro della sua collana “La Cineteca di Caino”, sceglie di raccontare proprio i due attori-autori figli
dell’avanspettacolo e della sicilianità, maschere comiche dotate di
ironia popolare e comicità intrisa
di lotta antiborghese, costruita su
improvvisazione e talento attoriale. Una scelta importante, capace
di sottolineare come a volte il
teatro di strada riesca a conquistare la scena e trasformarsi in un
cinema “fatto con il cuore”, quindi da non dimenticare.
(Il Foglio, pagg. 526, € 18,00)
CHIARA SUPPLIZI
Nero alla francese
Denitza
Bantcheva,
Roberto Chiesi
Il cinema noir
francese.
Mitologia, figure,
autori
Due come noi
Gordiano Lupi
Soprassediamo!
Franco & Ciccio
Story. Il cinema
comicoparossistico di
Franco Franchi e
Ciccio Ingrassia
Chi sono Franco e Ciccio? Con i
loro film hanno certamente avuto
il (de)merito di sconvolgere gli
schemi e trasformare radicalmente significato e costrutto della parodia, costituendo un unicum nel
panorama italiano. Mentre fin da-
Partendo dal presupposto secondo cui, più che un genere vero e
proprio, il noir (a differenza del
polar, ossia del poliziesco d’oltralpe) “è un connotato essenziale
della fisionomia del cinema francese”, che gli autori trattano e
raccontano in modo assai diverso
rispetto ai colleghi americani, il
volume ne propone un’ampia
panoramica, riccamente illustrata,
che da una parte ripercorre la
mitologia stessa del noir, attraverso l’origine letteraria e i personaggi tipici (criminali, poliziotti,
donne fatali e persone comuni
giunte al punto di non ritorno), e
dall’altra ne analizza la componente stilistico-tematica, riflettendo sia sulle sue contaminazioni,
sia sui suoi tratti tipici: l’estetica, i
luoghi, la solitudine.
(Gremese, Pagg. 160, € 19,50)
ANGELA BOSETTO
Gattopardo
Più
bella “cosa”
non c’è
Imperdibile saggio sugli oggettiicona della settima arte
di Chiara Supplizi
L’accendino in
Delitto per delitto
(L’altro uomo) di
Alfred Hitchcock
Il cinema incanta e racconta storie trasportandoci in
un mondo-altro, facendoci appassionare alle sue
storie e identificare nei suoi personaggi. I film sono
innanzitutto luoghi magici, territori del sogno
“arredati” da oggetti quotidiani, sottratti
miracolosamente all’oblio e al degrado, capaci di
entrare a vario titolo nelle storie narrate. Che siano
relegati sullo sfondo o inquadrati in primo piano,
elementi del mondo naturale o manufatti,
abbandonano il loro statuto di oggetti per diventare
cose, assumere un ruolo nell’universo filmico e nella
formazione dell’immaginario cinematografico.
Antonio Costa, prendendo le mosse dall’intuizione
godardiana contenuta nelle Histoire(s) du cinéma,
dedica questo saggio agli oggetti-icona su cui gli
spettatori proiettano affetti, concetti, simboli e
significati profondi. Se la scacchiera che appare in
Provaci ancora Sam ripropone ai più
attenti lo stesso schema di quella di
Casablanca; se accendini, borsette,
bicchieri, file di bottiglie e
occhiali/maschera, sottratti al
pathos della narrazione, detengono
il primato nei nostri ricordi
hitchcockiani; e se alcuni oggetti nel
cinema di Jane Campion sembrano
come presentati agli occhi dello
La mela di spettatore in un tempo sospeso,
Cézanne e
l’accendino di intrappolati prima di scivolare via, la
Hitchcock sfida del cinefilo è certamente
scoprirvi all’interno un mondo
nascosto da esplorare dal punto di
vista narrativo, plastico e simbolico.
TELECOMANDO
/// Colonne sonore ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
POLTERGEIST
Un remake per catturare lo spirito che
fu, compreso quello dello spartito
demoniaco di Jerry Goldsmith (1982).
L’ardua missione tocca a Marc
Streitenfeld, che non demorde e firma
il suo migliore score da Prometheus
(2012). Curiosità, anche Prometheus è
un sequel e l’originario Alien (1979) fu
musicato sempre da Goldsmith. Se la
maggioranza dei pezzi sono
orchestrali, le voci qui vengono filtrate
da un Mellotron nella direzione di
“house sounds” piuttosto che della
tradizionale orchestrazione. Un
orrorifico effetto vintage: esame
superato.
F.P.
IL “PREZZO” DEL SUCCESSO
QUELLO DI FURY non sembra lo score di un film
di guerra, e un primo ascolto può lasciare
spiazzati. Ma occhio al compositore: Steven Price
ha attirato enorme attenzione su di sé per la
splendida colonna sonora di Gravity (ben oltre il
sound design per cui era stato inizialmente
ingaggiato). E l’operazione esula da genere e
ambientazione, per riproporsi sostanzialmente
identica. A Price interessa l’ansia da claustrofobia,
il terrore che incombe dall’esterno all’(angusto)
interno: se in Gravity la commistione tra immagini
e musica creava un’irrazionale “claustrofobia
spaziale”, qui il pericolo è tangibile, come pure il
rifugio, fragile e robusto insieme (il carrarmato dei
protagonisti). Nondimeno, le tecniche per evocare
ansia restano le medesime di Gravity: l’utilizzo
straniante dell’elettronica, come pure dei
campionamenti, che in loop ripropongono suoni e
rumori diegetici, è presente sin dall’iniziale,
superba April, 1945. Price usa l’effettistica per
andare dal generale (un contesto di caos bellico,
come in Still in This Fight) alla solitudine interiore
del singolo, passando dall’orchestra al piano solo,
dal coro austero in background alla limpida voce
femminile in primo piano (Refugees), fino al
lirismo più puro (The Apartment), in attesa di una
nuova esplosione di furia bellica.
GIANLUIGI CECCARELLI
82
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
giugno 2015
PIAZZA VITTORIO!
Ispirata alle commedie
italiane ‘50-‘60, una
colonna jazz, blues e etnica
firmata dall’Orchestra di
Piazza Vittorio: la maggior
parte delle composizioni
sono opera del tunisino
Ziad Trabelsi, mentre
dall’incontro con Ginevra Di
Marco viene la bella
F.P.
Quando mi baci.
ACCIDENTAL LOVE
Dimenticate i Counting Crows,
dimenticate la loro Accidentally in
Love, composta per Shrek 2 (2004).
Qui non c’è animazione, e non ci sono
loro: il pastiche, meglio, il pasticcio di
David O. Russell, che firma la regia
con lo pseudonimo di Stephen
Greene, punta sul compositore John
Swihart, che non è uno di primo pelo
ma nemmeno di primo livello, e una
tracklist con Etta James (At Last) e La
Traviata verdiana (Libiamo, libiamo
ne’ lieti calici). Grandi nomi, ma la
sostanza non cambia: la colonna
sonora è come il film, accidentale,
meglio, accidentata.
F.P.