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MENSILE N.6 GIUGNO 2015 € 3,50 Cannes IL GUSTO DEL CINEMA Dalla tavola allo schermo. Piatti e film prelibati JURASSIC WORLD FA ANCORA GOLA. COMPLICE IL PRODUTTORE STEVEN SPIELBERG Quando i premi non fanno la differenza. Ecco gli imperdibili di questa edizione Bryce Dallas Howard e Chris Pratt nel kolossal di Colin Trevorrow Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano SPECIALE 68 SMART TV PC TABLET SMARTPHONE Porsche consiglia Porsche consiglia Dati riferiti ai modelli GTS: Consumi ciclo combinato: da 10,7 a 8,2 l/100 km. Emissioni CO2: da 249 a 190 g/km. Picchi, curve e accelerazioni. Il tuo elettrocardiogramma. I modelli GTS di Porsche. Entra nella Community. Scopri i modelli GTS: Boxster, Cayman, 911, Panamera e Cayenne. Entra nella Community GTS per trovare gli itinerari più emozionanti e condividerli con tutti gli appassionati Porsche. Porsche Italia Spa, Padova corso Stati Uniti 35, Telefono 049/8292911. www.porsche.it rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Punti di vista 1XRYDVHULH$QQRQJLXJQR ,QFRSHUWLQD%U\FH'DOODV+RZDUGH&KULV3UDWWLQ Jurassic World Seguici anche su FACEBOOK &LQHPDWRJUDIRLW (QWH6SHWWDFROR TWITTER #FLQHPDWRJUDIR,7 YOUTUBE (QWH6SHWWDFROR L’Italia non s’è mesta ',5(7725(5(63216$%,/( Ivan Maffeis Verrebbe da direFKHLOSLDWWRSLDQJH,²OPGL0RUHWWL*DUURQHH 6RUUHQWLQRLQ&RQFRUVRDO)HVWLYDOGL&DQQHVVRQRWRUQDWLD FDVDDPDQLYXRWH$QFKHLouisianaGL0LQHUYLQLQHOODVH]LRQH8Q &HUWDLQ5HJDUGqVWDWRHVFOXVRGDOSDOPDUqV(SSXUHO¬,WDOLDQRQ qVWDWDGHOWXWWRGLPHQWLFDWDVHMia madreVLDJJLXGLFDLO3UHPLR GHOOD*LXULD(FXPHQLFDFRQLOFRUWRPHWUDJJLRVaricellaLOJLRYDQH )XOYLR5LVXOHRKDLQFDQWDWRODJLXULDGHOOD6HPDLQHGHOD&ULWLTXH 1RQVRORL²OPLWDOLDQLSDVVDWLD&DQQHVKDQQRUDFFROWRJOLDSSODXVL GHOSXEEOLFRHLOSODXVRGHOODFULWLFDGLPRVWUDQGRGLVDSHUVL LPSRUUHVXOODVFHQDQD]LRQDOHHLQWHUQD]LRQDOH/¬,WDOLDQ3DYLOLRQ GL&DQQHVKDTXLQGLUDSSUHVHQWDWRXQDWDYRODLPSRUWDQWHVXOOD TXDOHFHOHEUDUHHGDUHYLVLELOLWjDLQRVWUL$XWRULHDOOHLVWLWX]LRQL FKHSURPXRYRQRLOQRVWURFLQHPD7UDOHSRUWDWHDQFKHTXHOOH DVVLFXUDWHGDOOD)RQGD]LRQH(QWHGHOOR6SHWWDFRORLQQDQ]LWXWWR FRQODSUHVHQ]DTXDOL²FDWDGHOO¬LQWHUDUHGD]LRQHGHOODRivista TXLQGLFRQXQDVHULHGLLQL]LDWLYHHLQFRQWULFXOWXUDOLWUDFXLOD SUHVHQWD]LRQHGL7HUWLR0LOOHQQLR)LOP)HVWQHOVHJQRGHOGLDORJR WUDFXOWXUHHUHOLJLRQL &$325('$7725( Marina Sanna 5('$=,21( Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco &217$77, [email protected] $57',5(&725 Alessandro Palmieri HANNO COLLABORATO $QJHOD%RVHWWR2ULR&DOGLURQ*LDQOXLJL &HFFDUHOOL3LHWUR&RFFLD6LOYLR'DQHVH/DXUD 'HOOL&ROOL$OHVVDQGUR'H6LPRQH%UXQR)RUQDUD *LDQORUHQ]R)UDQ]u*LXVHSSH*DULD]]R0DUFR /HWL]LD0DVVLPR0RQWHOHRQH)UDQFR0RQWLQL 5REHUWR1HSRWL0DQXHOD3LQHWWL(PDQXHOH 5DXFR*LRUJLR6LPRQHOOL0DUFR6SDJQROL&KLDUD 6XSSOL]L REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA 1GHOOXJOLR ,VFUL]LRQHDO52&QGHO STAMPA 7LSRJUD²D6753UHVV6UO9LD&DUSL 3RPH]LD50 )LQLWDGLVWDPSDUHQHOPHVHGLPDJJLR MARKETING E ADVERTISING (XUHND6UO9LD/6RGHULQL0LODQR 7HO)D[ &HOO HPDLOLQIR#HXUHNDLGHDLW DISTRIBUTORE ESCLUSIVO 0(3(0LODQR ABBONAMENTI $%%21$0(1723(5/¬,7$/,$QXPHULHXUR $%%21$0(1723(5/¬(67(52QXPHULHXUR &&,QWHVWDWRD)RQGD]LRQH(QWHGHOOR6SHWWDFROR PER ABBONARSI DEERQDPHQWL#HQWHVSHWWDFRORRUJ 7HO PROPRIETA’ ED EDITORE 35(6,'(17( La costruzione dell’Albero della Vita a Expo 2015 Il medesimo spirito FLSRUWDRUDD([SR0LODQR Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita GRYHQHOO¬(GLFROD&DULWDV,QWHUQDWLRQDOLV DEELDPRDOOHVWLWR§LQFROODERUD]LRQHFRQ LO&HQWUR6SHULPHQWDOHGL&LQHPDWRJUD²D &LQHWHFD1D]LRQDOHHFRQLOSDWURFLQLRGHO 0L%$&7§ODPRVWUDIRWRJUD²FDItalian Film Food Stories$WWUDYHUVRIRWRGLVFHQD ©UXEDWHªVXOVHWGL²OPLQGLPHQWLFDELOL SURSULRODWHPDWLFDGHOFLERFLDFFRPSDJQD QHOULSHUFRUUHUHODVWRULDGHOQRVWUR3DHVH8JR7RJQD]]L0DUFHOOR 0DVWURLDQQL6RSKLD/RUHQ&ODXGLD&DUGLQDOH1LQR0DQIUHGL 9LWWRULR*DVVPDQH7RWzVRQRDOFXQLGHLSURWDJRQLVWLGHOSHUFRUVR GHOODPRVWUDPDO¬DWWRUHSULQFLSDOHqORVSLULWRGLFRQGLYLVLRQHGHOOD WDYRODOLQIDGLYLWDQXWULPHQWRQRQVRORSHULFRUSLFROODQWHGHOOH IDPLJOLHHGHOODVRFLHWj Ivan Maffeis ',5(7725( Antonio Urrata 8)),&,267$03$ XI²FLRVWDPSD#HQWHVSHWWDFRORRUJ &2081,&$=,21((69,/8332 Franco Conta - [email protected] &225',1$0(1726(*5(7(5,$ Marisa Meoni - [email protected] DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE 9LD$XUHOLD5RPD 7HO)D[ DPPLQLVWUD]LRQH#HQWHVSHWWDFRORRUJ Un assaggio della mostraqDGLVSRVL]LRQHGLWXWWLVXOVLWR ZZZLWDOLDQ²OPIRRGVWRULHVFRPGRYHqRVSLWDWRDQFKH©,OJXVWR GHOFLQHPDªORVSHFLDOHFKHDUULFFKLVFHLOQXPHURGHOODRivista che DYHWHWUDOHPDQLXQ¬RSSRUWXQLWjLUULSHWLELOH§FRPHVFULYH*LDQOXFD $UQRQH§GLLQWDYRODUHXQGLVFRUVRVXFRPH©LOFLQHPDDEELDVDSXWR LQWUDWWHQHUHFRQODFXFLQDXQGLDORJRIHFRQGRFDSDFHRUDGL UHVWLWXLUHLOPRPHQWRFRQYLYLDOHLQWXWWDODVXDULFFKH]]DFXOWXUDOH RUDGLWUDWWDUORDOOHJRULFDPHQWHIDFHQGRQHXQLQJUHGLHQWH HVVHQ]LDOHSHUQDUUD]LRQLFKHSDUODQRd’altroª $VVRFLDWRDOO¬863, 8QLRQH6WDPSD3HULRGLFD,WDOLDQD ,QL]LDWLYDUHDOL]]DWDFRQLOFRQWULEXWRGHOOD 'LUH]LRQH*HQHUDOH&LQHPD0LQLVWHURGHL %HQLHGHOOH$WWLYLWj&XOWXUDOLHGHO7XULVPR /DWHVWDWDIUXLVFHGHLFRQWULEXWLVWDWDOLGLUHWWL GLFXLDOODOHJJHDJRVWRQ giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 5 S N G C I S I N D A C AT O N A Z I O N A L E G I O R N A L I S T I C I N E M AT O G R A F I C I I TA L I A N I SOMMARIO GIUGNO 2015 26 8 In vetrina News e tendenze: Giovanni Veronesi on air 12 Brividi di genere Gli orrori di José Mojica Marins 14 Taormina si rinnova Edizione 61 del festival. Al Teatro Antico anteprime, China Day e rassegna cubana 16 Arrivederci Cannes Luci e ombre sulla Croisette, verdetto discutibile. Ecco i nostri colpi di fulmine IL PARCO È APERTO 12 54 26 COVER STORY Dinosauri allo sbaraglio Viaggio nello spaventoso Jurassic World, il primo blockbuster di quest’estate. Con Bryce Dallas Howard e Chris Pratt 33 SPECIALE Saziare lo sguardo Cinema e cibo, assioma indissolubile. 34 Ciak, si mangia! 38 Quattro salti in pellicola 44 Ossessione italiana 46 Piccolo schermo, grande piatto 50 A mozzichi e bocconi INCUBO BRASILEIRO 16 54 Ritratti Il postino suona sempre due volte, ma non solo: Lana Turner IL DOPO FESTIVAL 33 SUL FILO DI LANA 75 57,²OPGHOPHVH Recensioni, anteprime, colpi di fulmine 72 Dvd, Blu-ray & Serie Tv In salotto Birdman, la stagione completa di Fargo e anniversari da collezione 78 Borsa del cinema FILM DA MANGIARE CASINÒ DI SCORSESE 80 Libri 82 Colonne sonore giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 7 inVetrina DFXUDGL Gianluca Arnone Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze Italia Fuori Onda “Il nostro non è un paese per giovani”: parola di Giovanni Veronesi. Che denuncia alla radio l’esodo di una JHQHUD]LRQHSHQVDQGRJLjDO²OP ranquilli, l’Italia si svuota. Oltre 100mila connazionali sono andati all’estero nel 2014, più degli stranieri entrati: “La generazione dei 30enni di oggi destinata a sparire dai radar: 100.000 emigrati all’anno son tanti, in dieci anni fa un milione”. A suonare l’allarme non è la politica (sic!) ma un regista di commedie, Giovanni Veronesi, che da un anno insieme a Max Cervelli (nella foto) conduce su Rai Radio2 Non è un paese per giovani (lun-ven, 12.00 - 13.30), dove molti ragazzi italiani raccontano la propria esperienza di espatriati in cerca di fortuna. Il quadro è sconfortante. Drammatico! Questo davvero non è un paese per giovani. Dei 100.000 che se ne vanno ogni anno, solo il 30% torna. Fortuna che l’Europa sta diventando una grande nazione. I ragazzi ormai vanno da Parigi a Londra con due ore di treno. L’Europa la stanno facendo loro. Che cosa trovano lontano da casa? Facilitazioni. A Bruxelles se vuoi mettere su un’attività, in una settimana ottieni tutti i permessi. Qui ci vogliono 6-7 mesi e bisogna vedere se te li danno. I giovani sono 8 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 vittime della burocrazia. In Italia sentono di essere un peso, all’estero il futuro. Che cosa perdono? Si sradicano. Tagliano via affetti, famiglie, frantumano un territorio. Perché hai deciso di raccontare tutto questo in radio? La radio è più intima, è come se ti arrivasse dentro. Alla radio posso dire delle cose che normalmente non potrei mai dire in un’intervista o in tv. E dalla radio nascerà il mio prossimo ´OP Ovvero? Non è un paese per giovani. S’intitola come il programma. Parte da uno speaker radiofonico che forse viene licenziato, forse si trova in mezzo a un ginepraio strano. In ogni caso la radio sarà la voce narrante che accompagnerà la storia dei ragazzi che espatriano. Non ho ancora deciso se la decisione di lasciare l’Italia sarà LO´QDOHGHO´OPRXQPRPHQWRGL passaggio. Gli attori? Nessuno di famoso. Li ho trovati facendo i provini in trasmissione. Il protagonista si chiama Alessio D’Amico, è molto bravo. Quando inizi le riprese? Devo ancora accertarmi che ci sia una SURGX]LRQH6HJDUDQWLVFRFKHLO´OP fa ridere me lo fanno fare. Altrimenti è dura. E stavolta non garantisco.… giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 9 inVetrinaNews Che succede in città? Eventi speciali, digitali, on stage e live: tutto quello che non puoi e non devi perdere Il cartellone La Bohème Take That Live! Dall’Arena 02 di Londra il concerto della band britannica Una delle composizioni più popolari di Puccini rivive in uno spettacolo che promette di fare la storia della Royal Opera House. In diretta il 10 giugno. Il 9 giugno, in diretta dall’Arena 02 di Londra, il live dei Take That invaderà le sale di tutto il mondo (in Italia grazie a The Space) con un’esplosione di colori, QXPHULGLGDQ]DFRUHRJUD´H eccezionali, tandem che volano sospesi sopra il pubblico e poi ancora sfere incendiate, fuochi DUWL´FLDOLHXQLPSURYYLVD tempesta al coperto. “Sarà una notte speciale per noi, stiamo pensando a molte sorprese”, ha dichiarato la band. Grateful Dead In diretta dal Soldier Field di Chicago, lunedì 6 luglio (ore 19.30), Fare Thee Well il concerto che celebra i 50 anni di carriera della storica rock band americana. Guglielmo Tell L’ultimo capolavoro di Rossini in una sfarzosa e provocatoria versione in diretta Live dal debuttante Damiano Michieletto. In diretta dal Royal Opera House il 5 luglio. Le vie del cinema A Milano i titoli di Cannes, Venezia, Locarno e Torino Scorpions Forever and a Day celebra i 50 anni degli Scorpions. Riviviamo la loro storia attraverso immagini esclusive, interviste, ricordi e tanta musica. 16, 17 giugno. Terminator Torna nelle sale (30 giugno e 1° luglio) dopo più di 30 anni, il cult di James Cameron che tra le altre cose ebbe il merito di lanciare Arnold Schwarzenegger. 10 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Da venerdì 12 a giovedì 18 giugno, le sale milanesi ospitano anche quest’anno “Le vie del cinema”. I ´OPGDLIHVWLYDOLQWHUQD]LRQDOLGL Cannes, Venezia, Locarno e Torino, un’occasione unica per vedere, in DQWHSULPDQD]LRQDOH´OPGDXWRUH in lingua originale con sottotitoli in LWDOLDQR5LFFDODVHOH]LRQHGL´OPGDO 68esimo Festival di Cannes. © 2014 Whiplash, LLC. All Rights Reserved Disponibile dal 10 Giugno SMART TV PC TABLET SMARTPHONE ANDROID IOS WIN8 brividi di genere I FESTIVAL a cura di Massimo Monteleone Agenda del mese: ecco gli appuntamenti da non perdere FESTIVAL – 1 BIOGRAFILM INTERNATIONAL CELEBRATION OF LIVES Località Bologna, Italia Periodo 5-15 giugno Tel. (051) 4070166 WebELRJUD²OPLW Mail LQIR#ELRJUD²OPLW Resp. Andrea Romeo FILM 2 CAMAIORE FESTIVAL Località Camaiore (Lucca), Italia Periodo 10-14 giugno Tel. 3286840979 Web FDPDLRUH²OPIHVWLYDO wordpress.com Mail IHVWLYDOFDPDLRUH²OP# gmail.com Resp. Roberto Merlino DI CINEMA A 3 PARLARE CASTIGLIONCELLO IL POTERE HA PAURA Marins: il pioniere dell’horror brasiliano che terrorizzò la dittatura Località Castiglioncello (Livorno), Italia Periodo 16-20 giugno Tel. (0586) 724287 opp. 724298 Web comune.rosignano. livorno.it Mail [email protected]. livorno.it Resp.3DROR0HUHJKHWWL 4 MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA Località 3HVDUR,WDOLD Periodo 20-27 giugno di Giuseppe Gariazzo osé Mojica Marins è una leggenda e nel 2016 compirà 80 anni. Brasiliano, autore di horror salutarmente “malati”, creatore di un personaggio mitico da lui stesso interpretato, il becchino Zé do Caixão, Mojica Marins è stato un pioniere dell’horror nel suo paese e un cineasta indipendente e autodidatta. Con i suoi testi grondanti sesso e morte, profanazione e sadismo, cannibalismo e allucinazioni, ha fatto infuriare le istituzioni e subìto, negli anni Sessanta della nascente dit- J tatura, le manipolazioni della FHQVXUD$OO¬LQWHUQRGLXQD²OPRJUD²D SUROL²FD GXH VRQR i lavori imprescindibili, che fondano la poetica della crudeltà esplorata da un regista capace di ideare mondi fantastici, al tempo stesso molto realistici, da budget minimi: À meia noite levarei sua alma (1964) e il seguito Esta noite encarnarei no teu cadáver (1966). Cappello a cilindro e mantello neri, unghie lunghissime e arcuate, Zé do Caixão va in cerca delle sue vittime, bramando la donna ideale in grado di dargli l’erede perfetto. Nel 2008, dopo tanti rinvii, Mojica Marins è riuscito a concludere quella che aveva pensato come una trilogia realizzando Encarnação do Demônio (Incarnazione del Demonio), folgorante danza macabra delle sue ossessioni, dagli insetti ai dettagli di mani e occhi, dai corpi femminili ai resti umani. Rigirando, inoltre, una scena che nel 1966 fu FRVWUHWWR D PRGL²FDUH 3UHQdendosi, a distanza di tempo, la rivincita su chi lo osteggiò. tel. (06) 4456643 (riferimento a Roma) Web SHVDUR²OPIHVWLW Mail LQIR#SHVDUR²OPIHVWLW Resp.3HGUR$UPRFLGD 5 FANTAFESTIVAL Località Roma, Italia Periodo 22 giugno - 9 settembre Tel. (06) 8841246 / 8413721 Web fanta-festival.it Mail [email protected] Resp.$GULDQR3LQWDOGL Alberto Ravaglioli CINEMA RITROVATO 6 ILLocalità Bologna, Italia Gli imperdibili À MEIA NOITE LEVAREI SUA ALMA (1964) Il becchino Zé do Caixão esordisce sullo schermo. 12 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 ESTA NOITE ENCARNAREI NO TEU CADÁVER (1966) Torna il personaggio interpretato dal regista. ENCARNAÇÃO DO DEMÔNIO (2008) La trilogia si chiude con nuove visioni, ancora più infernali. Periodo 27 giugno - 4 luglio Tel. (051) 2194814 Web cinetecadibologna.it/ cinemaritrovato2015 Mail ilcinemaritrovato@ cineteca.bologna.it Resp. Gian Luca Farinelli FILM FESTIVAL 7 ISCHIA Località Ischia, Italia Periodo 27 giugno - 4 luglio Tel. (081) 984588 Web LVFKLD²OPIHVWLYDOLW Mail LQIR#LVFKLD²OPIHVWLYDOLW Resp. Michelangelo Messina, Enny Mazzella Typewriter Edition Bret Easton Ellis, Los Angeles. eventi L’amore per l’Italia, la promozione del cinema che verrà, l’attenzione al pubblico: ecco perché il festival siciliano va preservato e rilanciato di Tiziana Rocca* Taormina, CHE PASSIONE! 14 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 l’anno in cui il Taormina FilmFest compie sessanta anni più uno, ovvero supera l’importante traguardo della 60esima edizione e si prepara a un nuovo decennio. Dal 2012, l’anno in cui la produzione è stata affidata alla Agnus Dei Tiziana Rocca Production, è stato portato avanti un lavoro molto particolare con un piano editoriale e un piano marketing studiati ad hoc affinché il Festival del Cinema di Taormina diventasse il volano per la cultura e il made in Italy e allo stesso tempo riportasse star e major hollywodiane nel nostro paese, creando anche un importante indotto nella Regione Siciliana. In queste ultime quattro edizioni sono stati raggiunti molti obiettivi. Prima di tutto abbiamo operato in modo che le maggiori Istituzioni italiane di promozione del cinema fossero di nuovo presenti all’interno di una manifestazione internazionale che come scopo ha, e deve avere, la promozione della cultura cinematografica italiana. Con l’ANICA, l’Istituto Luce-Cinecittà, l’ICE, il Nuovo Imaie abbiamo fatto, e continuiamo a costruire, preziosi e collaborativi eventi speciali utili per portare il nostro cinema al di là dei nostri confini, con collaborazioni e reciproche conoscenze. Nelle passate edizioni ci sono state sezioni dedicate alla Russia e all’Argentina con incontri mirati al mercato delle coproduzioni, quest’anno sarà protagonista il China Day, oltre a una rassegna di film dedicata a Cuba, organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. La 61esima edizione, poi, grazie a un accordo con l’Istituto Italiano di Cultura (Italian Cultural Institute) a Los Angeles e il suo direttore Valeria Rumori, il Consolato Generale Italiano di LA e l’ICE, sarà presentata a Los Angeles con una rassegna di film italiani e siciliani di produzione indipendente. L’idea nasce per promuovere il cinema italiano all’estero con particolare attenzione ai film realizzati da autori siciliani e porterà in America anche il film vincitore del premio “Cariddino d’Oro” assegnato 2015 dalla Giuria dell’AGISCUOLA durante la 61° edizione del TaorminaFilmFest. Ma il Festival di Taormina ha tra i suoi obiettivi anche quello di essere “promotore” del cinema italiano che verrà. Quest’anno sarà presentato in anteprima il nuovo film dei fratelli Vanzina Torno indietro e cambio vita. Grazie, anche, alla sezione “Pre-visioni/Lavori in corso” in cui i protagonisti raccontano in anteprima film e progetti italiani della prossima stagione e grazie alla TaoClass e al Campus il nostro cinema verrà presentato a un pubblico d’eccezione, quello dei giovani: spettatori di domani. Ed è proprio ai giovani che molta parte della nostra manifestazione è rivolta, non solo attraverso le citate sezioni ma anche grazie alla Giuria Speciale di Giovani (è la stessa dei David di Donatello), che voterà il miglior film italiano presente al Festival assegnando il “Cariddino d’Oro”, grazie all’accordo con AGISCUOLA presieduta da Luciana Della Fornace. La 61esima edizione vede sul palcoscenico anche la nuova sezione TaoEdu che, in accordo e in collaborazione con il Garante per l’infanzia, proporrà film dedicati a un pubblico di ragazzi. Per chiudere, nel TaorminaFilmFest c’è tanta passione, tanta energia (ovviamente tanto sudore, tanta fatica) per promuovere le cose belle della nostra Italia, della nostra Sicilia. Amore per il cinema, per la bellezza, per l’arte, per i giovani, amore per la vita, insomma. * General Manager TaorminaFilmFest Tiziana Rocca festeggia a Taormina Quest’anno sarà protagonista il China Day, oltre a una rassegna di film dedicata a Cuba giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 15 Cannes 68 Le ragioni di una sconfitta, le ipotesi di una vittoria. In una selezione non sempre all’altezza dei suoi autori di Marina Sanna foto Pietro Coccia SCONTENTI E 16 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Questo non è nazionalismo, bensì un moto di orgoglio per i nostri film. Saranno parole abusate ma nulla impedisce di scriverlo ancora una volta: è incredibile che Nanni Moretti, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino non abbiano vinto nulla. Tre film belli, coraggiosi, con attori straordinari, e certo non dimentichiamo l’altro italiano, Roberto Minervini con Louisiana in Un Certain Regard, di cui abbiamo già scritto nel numero precedente, rimasti a mani vuote. Insomma, ci chiediamo: è davvero questione di gusti? La risposta della giuria del 68mo Festival di Cannes sembra un po’ forzata, proprio nell’anno in cui questi registi si sono confrontati con il mondo intero, usando generi, temi, linguaggi mai esplorati fino ad ora. Almeno così in profondità. Allora, la vittoria francese nella stagione produttiva di maggiore debolezza ci sembra fuori luogo. La Palma a Jacques Audiard, per Dheepan, un’opera debole e irrisolta, fa più male che bene a un autore che è in fase calante, dopo il successo di Il profeta. Che cosa avranno visto i fratelli Coen in Chronic per dargli il premio alla sceneggiatura, quando la storia è la parte meno forte? Dividere SODDISFATTI Vincent Lindon, migliore attore. Sopra Jacques Audiard, Palma d'Oro. Pagina accanto da sinistra: László Nemes, Gran Premio; Maïwenn regista per la Bercot e Tim Roth con Michel Franco ex aequo la Palma tra Rooney Mara (superlativa in Carol di Todd Haynes) ed Emmanuelle Bercot in Mon roi di Maïwenn appare bizzarro. Almeno quanto la Palma a Vincent Lindon per un film piatto e senz’anima, La loi du marché di Stéphane Brizé. Mentre abbiamo pianto per Michael Caine in Youth, applaudito Benicio Del Toro nel Sicario di Denis Villeneuve, salutato con sorpresa la bella performance di Colin Farrell in The Lobster di Yorgos Lanthimos (Premio della Giuria, l’unico che avevamo predetto). Nel palmarès ideale Son of Saul avrebbe dovuto vincere la Camera d’Or per l’esordio più folgorante visto a Cannes, e invece ha preso il Gran Premio della Giuria. Su The Assassin, Palma alla regia, di Hou HsiaoHsien non abbiamo nulla da dire. Un’opera gelida, bellissima e indecifrabile. Pensiamo che le giurie abbiano un compito importante, che siano del tutto imprevedibili. Che i verdetti possano essere spiazzanti e a volte invece sono il frutto di un gioco di squadra. Quindi, forse, un membro italiano avrebbe fatto la differenza. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 17 The Best of LEGENDA: 5: da Palma 4: ottimo 3: buono Da Carol al Figlio di Saul passando per The Assassin e Mountains May Depart. I titoli che abbiamo amato di più di Gianluca Arnone, Bruno Fornara, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco, Marina Sanna 18 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 MOUNTAINS MAY DEPART NON RIUSCIAMO ANCORA A CAPIRE come sia stato possibile che dal palmarès sia rimasto fuori il film di Jia Zhangke. Magniloquente mélo pop, epopea sulle speranze e sul farsi di una Cina a cavallo tra il 1999 e il 2025 (con destinazione Australia), Mountains May Depart parte da Go West dei Pet Shop Boys, passa attraverso Take Care della popstar hongkonghese Sally Yeh e ritorna a Go West. Per compiere questo viaggio, Jia utilizza tre blocchi temporali (19992014-2025) e tre formati 4 differenti (1.33 – 1.85 – 2.39), adattando lo schermo al “progresso” dei suoi protagonisti. Un ballo di gruppo per avvicinarsi al nuovo millennio. Un triangolo emotivo per separarsi dalla giovinezza. Tao (Zhao Tao) è corteggiata dai suoi due amici d’infanzia, Zhang (Zhang Yi) e Liangzi (Liang Jing Dong). Il primo, destinato ad un avvenire di ricchezza, è il classico yuppie sfrontato e sicuro di sé, il secondo – taciturno e riflessivo – lavora in una miniera di carbone. La scelta della ragazza, dolorosa, determinerà il futuro di tutti, compreso quello del suo figlio venturo, Dollar. Magnifico. V.S. Cannes 68 IL FIGLIO DI SAUL 5 OTTOBRE 1944, campo di Auschwitz-Birkenau, Saul Auslander, ungherese, fa parte di un Sonderkommando: ebreo, aiuta le SS nello sterminio, ovvero accompagna altri ebrei nelle camere a gas, li rassicura, li fa spogliare per la doccia che non ci sarà. Poi, estrae i cadaveri, li mette nei forni e pulisce. Ogni giorno, ogni ora, la routine dell’Olocausto, ma quando scopre nel cadavere di un ragazzo dai capelli scuri il proprio figlio… L’esordio alla regia dell’ungherese László Nemes ridà nuovo nitore alla Shoah al cinema, e non è flusso ininterrotto della storia, senza cornici, flashback e didascalie nei quali comprenderli. Non devono distrarci dalla magnifica cascata di immagini che il film regala: tutto – dai paesaggi incantevoli della Mongolia al tessuto delle vesti, dai colori che in certi momenti sembrano prendere fuoco sullo schermo alle luci create dalla superba fotografia di Mark Lee Ping-Bin – è visione, epifania, incantesimo, trasporto. Cinema al grado più alto di erotismo. G.A. impresa da poco: formato dell’immagine quasi quadrato, macchina a mano, l’Inferno nella semi-soggettiva di Saul, quella della dannazione. Non ci sono campi totali, solo inquadrature ravvicinate, forzatamente parziali, inconcludenti, ma sentiamo tutto: pure l’odore dei cadaveri bruciati. Basato sulle testimonianze di membri dei Sonderkommando raccolte nei Rotoli di Auschwitz, nella geometria della morte del campo affiora la certezza: Son of Saul è uno zombie movie. Il 27 gennaio 2016, Giornata della Memoria, in sala. Straordinario. F.P. THE ASSASSIN IN THE ASSASSIN il ricorso all’action e agli effetti speciali, punti fermi del wuxiapian, lasciano il posto a un incanto puramente contemplativo, un’immersione estetica in un mondo astratto, riemerso dalle lontananze del tempo. La storia non è semplice da seguire, per i tanti personaggi che occupano la scena e perché Hou Hsiao-Hsien non offre troppe spiegazioni. Gli eventi accadono e scivolano nel 4 giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 19 The Best of ARABIAN NIGHTS 4 LOUISIANA Con Louisiana, Roberto Minervini, italiano che vive in America, conferma il talento che s’intuiva sin dall’esordio con The Passage: primo capitolo di una trilogia texana chiusasi con Stop the Pounding Heart. Durissimo, due capitoli che si parlano: Louisiana, dove gli emarginati tentano di sopravvivere alla disperazione della vita quotidiana, amandosi e drogandosi con la stessa intensità. In Texas, invece, gruppi paramilitari organizzati si preparano a un futuro colpo di Stato. Minervini ha girato sei mesi, in realtà sono anni che si documenta, montando storie vere e dolenti, con un linguaggio che lui stesso definisce istintivo e primordiale, che non appartiene al genere documentario né a quello di finzione. Il suo “dono” è una “sensibilità” straordinaria, che gli permette di raccontare senza filtri, in questo caso l’altra faccia dell’America. M.S. 20 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 CHE STORIE POTREBBE RACCONTARE, sul Portogallo di oggi, una rediviva Sheherazade? La fanciulla che, nelle Mille e una notte, proponeva al crudele re una storia dopo l’altra per tener lontana la morte, viene ingaggiata da Miguel Gomes, e incaricata di continuare a intessere un racconto dopo l’altro, per uno (“L’inquieto”), due (“Il desolato”), tre film (“L’incantato”). Sei ore di avventure e riflessioni dentro la storia del Portogallo di questi anni, funestati dalla crisi, dalla troika europea, dalla povertà e dalla disoccupazione. Gomes e Sheherazade compongono un polittico a scomparti: nella pala centrale c’è la gente in difficoltà, come gli operai senza lavoro dei cantieri navali, la cui storia apre il film, mescolata con un’altra storia, inattesa, quella di un apicoltore che combatte l’invasione delle malvagie vespe cinesi. Le tante tessere del mosaico non si ricompongono, lasciano dei vuoti tra racconti accennati o marginali, storie esplosive (la balena spiaggiata!), eventi presi dalla piccola cronaca di paese come il gallo processato perché canta di notte (libertà di canto!). Fino ai magnifici fringuellatori che vivono per allevare fringuelli (darwiniani!) che sappiano cantare e cantare per mettere un po’ di felicità in povere stanze. Uno due tre film diseguali: ora belli e sorridenti, ora smarriti e scomposti, innocenti o affilati. Gomes non ha paura a mostrarsi sperso, miserabile e sublime. Come il suo paese. B.F. TROI SOUVENIRS DE MA JEUNESSE 4 Cannes 68 4 SICARIO GLI È ARRIVATA UNA SCENEGGIATURA, e Denis Villeneuve ha fatto il solito film: esiste una legge, e qual è, quella statale o quella morale o quale altra ancora? La donna che canta, Prisoners e ora Sicario, che dagli Zeloti arriva al Messico qui e ora: droga, cartelli e guerra transfrontaliera, tra Juárez e Phoenix. Il player è la CIA che per operare negli States – la soluzione è la pecca principale dello script – ha bisogno di un utile idiota della FBI: aggiungete un apostrofo rosa, l’idiota del Bureau è Emily Blunt, pesce piccolo, ignaro e, sì, ignavo tra gli squali Josh Brolin e lui, il title role, Benicio Del Toro. Gira da dio, Denis, e l’esfiltrazione da Juárez è poesia adrenalinica pura: non c’è da stupirsi che l’abbiano voluto per riesumare Blade Runner, c’è da credere che possa diventare il nuovo Michael Mann. Dal 17 settembre al cinema. F.P. 4 IL PROTAGONISTA si chiama Paul Dédalus. E il film è labirintico, con innumerevoli svolte, ritorni, avanzamenti, soprassalti, incroci, biforcazioni. Dédalus fa venire subito in mente Joyce e il suo Ritratto dell’artista da giovane (1916, l’edizione italiana dell’Adelphi si intitola proprio Dedalus). Desplechin mette come titolo al suo film un innocente Tre ricordi della mia giovinezza. In realtà i ricordi sono molti di più, un’infinità, una marea di ricordi a ondate successive. Diviso in capitoli, il film parte dall’infanzia di Paul, passa al suo viaggio in Russia, a Minsk, all’incontro e alla lunga storia con Esther, fino al Paul uomo fatto (Mathieu Amalric). Chi è Paul? Difficile dirlo e il film non vuole certo rispondere alla domanda. Paul è Paul ed è tanti Paul. Trois souvenirs de ma jeunesse non è uno di quei biopic che prendono in carico la vita di un personaggio, la raccontano per filo e per segno, sostengono la linearità di un percorso e lo svolgersi di un filo senza strappi. Il viaggio di Dédalus/Ulisse è segmentato, mosso, abitato da incontri e scontri, è raccontato da Desplechin con intensità, scarti e sobbalzi da giocoliere. La vita non è un lungo fiume tranquillo. B.F. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 21 The Best of JOURNEY TO THE SHORE 4 I FANTASMI DI KUROSAWA non fanno più paura. Sono i nostri cari tornati per un ultimo saluto, un chiarimento, una scusa non data. Come il marito di Muzuki, rientrato a casa dopo tre anni. Già morto, ma pronto a un ultimo viaggio insieme a una moglie incredula, ma non troppo. Non c’è da stupirsi del resto, le interferenze tra regno dei vivi e dei morti sono continue, talvolta inavvertite. Ma devono essere sanate. L’ultimo Kurosawa si apre uno spiraglio chiudendo un portone, quello che separa i due mondi. Dall’alto di uno stile mai così controllato, di un sentire mai così quieto, invita il Giappone del dopo Fukushima a guardare avanti, a liberarsi delle proprie pulsioni nichilistiche, a salutare, dire addio, seppellire i propri morti, ricominciare. Vivere, come in quel film indimenticabile, di un altro Kurosawa. G.A. AMY AMY WINEHOUSE, chi era costei? Finita nel Club 27, era una cantante jazz, ma il rock la divorava dentro. Il suo percorso lo ricostruisce con accesso totale a testimonianze, esibizioni e registrazioni quell’Asif Kapadia che già aveva inquadrato Ayrton Senna. Amy fa venire i brividi: non per la forma, ma per la storia della ragazza ebrea di Londra Nord, con la sua voglia di vivere e l’incapacità, tra padri e fidanzati sbagliati, di sopravvivere. Altro che Back to Black, quando la senti oggi, ti piglia lo stomaco, e non se ne va: Amy per sempre. F.P. 22 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 4 Cannes 68 4 CAROL CHI HA LETTO CAROL di Patricia Highsmith sa che era molto difficile catturare l’essenza di questa storia d’amore senza tempo e vagamente autobiografica. Todd Haynes, che ha un debole per i mélo, ci è riuscito appieno. Cate Blanchett, la sofisticata Carol, e Therese, Rooney Mara, la giovane folgorata da quella visione ai grandi magazzini, sono entrambe incantevoli. Ma Therese è straordinaria. Da lei sgorgano inconsapevoli e sempre più abbaglianti le emozioni: sorpresa, sconcerto, paura e infine completo abbandono. Haynes incornicia questa storia in quadri perfetti, con i costumi di Sandy Powell, senza sbagliare una nota. Riprende le due magnifiche attrici attraverso finestre, specchi, riflessi. Gabbie di vetro in cui sono rinchiuse e poi scompaiono quando sono insieme. I primi piani malinconici e potenti, come la forza che le attira una verso l’altra inesorabilmente. Perché siamo nel ‘53 e Carol è sposata, Therese, invece, possiede una macchina fotografica con cui cattura momenti, espressioni: Carol. Libera, sorridente, felice. Ci sono scene di grande bellezza e un finale assolutamente perfetto. M.S. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 23 The Best of CEMETERY OF SPLENDOUR 5 LA TRACCIA da cui parte Cemetery of Splendour è un fatto realmente accaduto qualche anno fa in un villaggio nel Nord della Thailandia, dove diversi soldati erano stati ospedalizzati a causa di una misteriosa forma di narcolessia. Apichatpong riporta il fatto a una dimensione squisitamente autobiografica, ambientandolo nella sua città natia, Khon Kaen, e facendone il pretesto di un viaggio trasognato e nostalgico, limpido e ironico, sulle tracce dei luoghi cari, dei volti gentili, dei miti e delle superstizioni che di lì a poco verranno travolti dalla ruspa del tempo. Senza rinunciare alla stoccata politica – quei soldati sopiti non tradiscono forse l’utopia di chi vorrebbe addormentare la dittatura? – e al proprio manifesto poetico: il plot è solo un inizio da cui partire per riedificare il mondo, fluidificarlo, coglierlo nell’incessante mutazione che lo vede transitare senza soluzione di continuità dal reale al magico, dall’onirico al mitologico. Fantasmi ed epifanie, cimeli e meraviglie, materia e magia, in un’unica e indimenticabile esperienza sensoriale: in questo cimitero di splendore il cinema non smette mai di rinascere. G.A. TAKLUB IL REGISTA FILIPPINO Brillante Mendoza, dopo lo splendido Thy Womb, ci porta stavolta a Tacloban dopo il devastante tifone Haiyan che, nel 2013, costò la vita a 6.245 persone, con quasi 30.000 feriti e oltre 1.000 dispersi. C’è un prima (che non vediamo) e un dopo nel film (al Certain Regard), un hic et nunc affidato alle storie di tre personaggi: Bebeth (la solita, immensa, Nora Aunor), Larry (Julio Diaz) e il più giovane Erwin (Aaron Rivera). Chi i propri figli (la donna), chi la propria moglie 4 di Angela Bosetto 24 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 (l’uomo), chi i propri genitori (il ragazzo): tutti loro hanno perso qualcuno. Tutti loro, ognuno a suo modo, cercano di portare avanti la propria vita con ciò che (e con chi) gli è rimasto, senza perdere di vista mai, neanche per un attimo, il senso del “bene” comune, la dignità di un popolo che, nel microcosmo di una collettività costretta in tendopoli o bidonville, continua a saper tenere in equilibrio sentimenti individuali e unità d’intenti. Un cinema-vita dentro cui perdersi ancora una volta, che meritava quanto meno il Concorso. V.S. Taormina, Teatro Antico sabato 27 giugno 2015 MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO COVER STORY Fascino primitivo di Gianlorenzo Franzì Il parco preistorico riapre alla saga la magia perduta. 26 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 i cancelli, con una missione: restituire Ecco Jurassic World giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 27 COVER STORY così che va il mondo: il cinema da blockbuster gira ormai al ritmo di reboot. Non che questo sia necessariamente un male: se prima il remake era (eccetto alcuni, sporadici casi) sinonimo di robaccia, adesso riprendere un film del passato, rifarlo e magari nel caso delle grandi saghe azzerarle e far ripartire la storia da (quasi) zero può voler dire, spesso, iniettare nuova linfa, nuovi spunti, nuova vita in qualcosa che era morto. Oggi succede sempre più spesso che i blockbuster, i film da grande distribuzione macina-incassi abbiano un’anima anche bella: è successo con Halloween, passato da Carpenter al nuovo cantore del Male rosso sangue Rob Zombie; con Il pianeta delle scimmie, che dalla sua parabola discendente è sorprendentemente riemerso con due ottimi reboot e sequel; sta per accadere con Alien - che però non ha mai perso smalto -, e l’11 giugno, dopo ventidue anni, prepariamoci a tornare sull’isola Nublar. Proprio lì, dove tutto è iniziato, il giovane Colin Trevorrow ha deciso di ambientare Jurassic World, un sequel diretto di Jurassic Park, ignorando quindi (pratica comune, in questi casi) i due seguiti. Di un quarto film se ne parlava già pochi mesi dopo l’uscita del primo non diretto da Spielberg: fu lui stesso, nel giugno del 2002, ad ammettere di avere alcune idee in mente per le quali avrebbe voluto Joe Johnston, regista del capitolo 3, nuovamente alla regia. Sam Neill, protagonista del capostipite, sarebbe dovuto tornare a vestire i panni del suo Alan Grant, ma l’idea svanì cosi come altre (ad esempio, far migrare i dinosauri verso la terraferma o far tornare i personaggi del primo film); ma da allora, si è ininterrottamente lavorato ad una pre-produzione che è finita solo pochi mesi fa. La sceneggiatura, riscritta più volte, pare però aver trovato la sua migliore forma raccontando del parco, che nei primi anni aveva calamitato milioni di visitatori. Il mondo però si è ormai abituato anche ai dinosauri riportati in vita grazie ai progressi della scienza e della genetica, così per far crescere l’affluenza gli scienziati creano un Indominus Rex (in origine, Diabolus Rex), dinosauro geneticamente ibridato da varie specie: le ripercussioni, manco a dirlo, saranno terrificanti. Continuare a girare intorno all’idea originale di Crichton vuol dire inevitabilmente girare sempre intorno alla stessa idea di trama: solo la bravura del regista, e il numero di twist narrativi della storia, possono far la differenza. In passato, lo stesso Spielberg con Il mon- È 28 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Chris Pratt con Colin Trevorrow. Sotto Bryce Dallas Howard in una scena del film e ancora Pratt Si tratta di un sequel diretto del capostipite, con il temibile Indominus Rex protagonista do perduto (1997), secondo capitolo del fortunato franchise, non riuscì che a girare un film denso con più di un’ombra di déjà vu: giocando con gli stereotipi del genere e con i processi di accumulazione narrativa, Spielberg pigiò l’acceleratore sul versante horror per un film che era dichiaratamente nato per la pressione dei fan e da un libro, sempre di Crichton, scritto già con la sicurezza di una sua trasposizione su grande schermo. Forse nel Mondo perduto la dimensione narrativa dei preistorici predatori era più approfondita: di certo, il film riuscì meglio del terzo, Jurassic Park III, arrivato nel 2001 e diretto da Johnston (oggi celebre per aver firmato uno dei più bei cinecomics tratti dalla Marvel, Captain America: Il primo vendica- tore), ma il processo di consunzione sembrò automatico, e la formula parascientifica non bastava più. Oggi il cinema è profondamente cambiato rispetto a soli dieci anni fa: riuscirà Jurassic World - interpretato da una splendidamente sofisticata Bryce Dallas Howard, da sempre raffinata interprete di storie intense ed originali; e da un beffardo Chris Pratt, novello Indiana Jones del cinema d’avventura grazie al suo ruolo perfetto in Guardiani della Galassia, che sarà Owen Grady, raptor whisperer, studioso del comportamento degli animali preistorici – a restituire la magia a una saga che, a distanza di due decenni, sa ancora suscitare con forza travolgente quel senso di meraviglioso che solo il vero cinema ha? giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 29 COVER STORY L’intervista Cercatori di dinosauri Fino a oggi i paleontologi si sono limitati a cercare, campionare e illustrare i reperti: “Domani potremmo anche riportarli in vita”, parola di Simone Maganuco di Gianlorenzo Franzì 30 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Simone Maganuco è paleontologo presso il Museo di Storia Naturale di Milano, in collaborazione volontaria ai fini di ricerca; e collabora con artisti, illustratori e scultori per la realizzazione di allestimenti, mostre e ricostruzioni a grandezza naturale di dinosauri e altri animali preistorici, come un’interfaccia fra le scoperte scientifiche e la divulgazione al pubblico. Bryce Dallas Howard e Chris Pratt. Accanto il paleontologo Simone Maganuco Cos’è, spiegando ad un profano, la paleontologia? La paleontologia è una scienza che si occupa dello studio delle tracce del passato giunte fino ad oggi, e il suo oggetto è il fossile. Il paleontologo ha quattro compiti: cercare i reperti; capire cosa sono, studiarli e pubblicarli; comunicare le scoperte al pubblico; e infine aiutare gli illustratori a “riportare in vita” le creature di questo mondo perduto. L’interazione fra scienza e arte, oggi, è l’unico modo per far rivivere il passato più remoto. Il passo successivo, che per adesso però è fantascienza, è trovare altri modi per resuscitare i dinosauri riallacciandosi alla clonazione e all’ingegneria genetica. Jurassic Park è stato un pioniere del campo. Crichton è stato uno dei primi a parlarne documentandosi anche molto bene. I suoi libri hanno una formazione scientifica eccellente: mettono insieme una serie di dati reali che poi sconfinano nella fantascienza il cui impianto narrativo risultava così realistico proprio per la solidità delle sue basi. Quindi è relativamente plausibile l’assunto di partenza del film di Spielberg? Sulla carta sì, ma il problema è che ogni singolo passaggio comporta in seguito problematiche che rendono irrealizzabile il tutto. Ad esempio, occorrerebbe trovare dell’ambra che effettivamente risale al periodo dei dinosauri che vediamo nel film; poi, proprio una zanzara o altro insetto ematofago dovrebbe aver succhiato sangue di dinosauro e non di altri mammiferi; e anche il sangue all’interno dell’insetto non dovrebbe essere fossilizzato, non dovrebbe essere solo un’impronta carboniosa… infine, il materiale genetico potrebbe essere fin troppo degradato. Partendo dalla base della ricreazione genetica di un dinosauro, sarebbe eticamente giusto? E potrebbe ambien- tarsi nel nostro ecosistema un animale preistorico? Potrebbe sicuramente ambientarsi perché il mondo è cambiato ma non così tanto; e poi erano animali “vincenti”, nel senso che sapevano sopravvivere. Piuttosto, penso potrebbero avere problemi per quanto riguarda la carenza di difese immunitarie, troppo deboli rapportate al nostro ambiente. Dal punto di vista etico il discorso è invece più complicato e rimane tutto alla coscienza degli scienziati, non è possibile dire con esattezza cosa sia “giusto” e cosa no. Lo scienziato che ha supervisionato il film, Jack Thorne, da qualche anno sta studiando il DNA degli uccelli (che sono i discendenti più diretti dei dinosauri) per riportare in vita una specie di “pollosauro”, per far ricomparire in esso delle caratteristiche ancestrali che si sono perse nel tempo, come ad esempio i denti o le dita libere. Esistevano dinosauri in Italia? Ci sono tracce? Sì, più di quanto si poteva pensare. Innanzitutto, ovunque nel mondo si vada a cercare si trovano reperti fossili. In Italia, c’è un cucciolo di dinosauro carnivoro in provincia di Benevento; un erbivoro grosso come una mucca vicino a Trieste; un carnivoro piuttosto grosso, ma meno del T-Rex in Lombardia; e tante, tante impronte, come quelle della Puglia ad Altamura, che dimostrano come ci siano stati passaggi di branchi di animali di cui ancora, in Italia, non abbiamo trovato resti. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 31 VE DI CINEMA - PALAZZO 5a E D I Z I O N E IO 2015 IL CINEMA NAOIN CHIUDE M VIENI IN VACANZA AL CINEMA I C A D E L L’ I N D U S U N TA M E N TO ATO G TRIA CINEM RAF CONCEPT BY APP IL GRANDE GIUGNO - 3 LUGL PHOTO STEFANO CARDONE GIORNATE ESTI - RICCIONE - 30 DEI CONGRESSI SEGRETERIA ESPOSITIVA UNA PRODUZIONE DI www.cinegiornate.it MACCHERONI © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI DAVID CAGNAZZO Il gusto del cinema Il vecchio fiore all’occhiello del cinema tricolore oggi risulta appassito: forsedella bocca: storia Gli occhi più grandi remunerativo, ma sempre ragionata – e mangiata – della sinestesia più meno appagante succulenta che c’è, quella tra cibo e film di Roy Menarini a cura di Marina Sanna hanno collaborato Gianluca Arnone, Laura Delli Colli, Roberto Nepoti, Federico Pontiggia, Giorgio Simonelli giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 33 TUTTI A TAVOLA Buon pranzo, buona visione: quando le esperienze si sovrappongono e condividono gli stessi piaceri IL FERROVIERE © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI DIVO CAVICCHIOLI di Gianluca Arnone Ciak, si 34 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Sophia Loren in La donna del fiume di Mario Soldati (1955) mangia! giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 35 TUTTI A TAVOLA L IL GATTOPARDO © ARCHIVIO DELLA FOTOTECA DEL CSC - CINETECA NAZIONALE - FOTO DI G.B. POLETTO ’ Expo di Milano, evento che la Fondazione Ente dello Spettacolo segue da vicino con una mostra ad hoc allestita presso lo stand Caritas, ci offre un’opportunità irripetibile: “intavolare” un discorso sul cibo, la cucina, la gastronomia, attraverso l’esperienza filmica. In un momento in cui l’arte culinaria si staglia (e si appiattisce) sull’intero orizzonte multimediale, colonizzando format televisivi, rivitalizzando l’offerta editoriale e seminando blog specializzati, il cinema sembra il medium meno permeabile, ma anche il terreno di confronto più stimolante. A differenza della tv – che con i suoi innumerevoli talent show sulla cucina ha finito per piegare l’universo gastronomico alle proprie logiche discorsive, profondamente agoniche e competitive – e della rete – dove l’oggetto culinario asseconda una irrefrenabile pulsione narcisistica che esibisce il piatto e la ricetta attraverso i social e i blog dedicati – il cinema ha saputo intrattenere con la cucina un dialogo fecondo, capace ora di restituire il momento conviviale in tutta la sua ricchezza culturale, ora di trattarlo allegoricamente, facendone un ingrediente essenziale per narrazioni che parlano d’altro. Vedere, mangiare: preistoria e rituale Del resto cinema e cibo, vedere e mangiare, sono intimamente connessi. Entrambi piaceri, pure se si rivolgono a sensi diversi (il che è vero in parte: anche l’occhio vuole la sua parte). Qualcuno potrebbe obiettare che il cibo costituisce un bisogno: se non mangio, muoio. Nemmeno il cinefilo più In Mostra all’Expo La Mostra Fotografica Italian Film Food Stories, allestita dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale in occasione di 36 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 sfegatato potrebbe dire altrettanto del cinema. Eppure c’è nell’arte una necessità che, pur non essendo vitale biologicamente parlando, è essenziale a un livello più profondo: l’anima. L’arte è nutrimento spirituale, tanto quanto il cibo lo è per il nostro corpo. Non a caso le due cose sono legate fin dalla preistoria: l’uomo del paleolitico non ha forse dipinto scene di caccia sulle pareti delle grotte di Lascaux? L’urgenza della rappresentazione e l’esigenza di cibarsi erano già allora strettamente irrelate. Ma le connessioni sono molteplici. Sia il cinema che la cucina sono fondamentalmente esperienze sociali, di condivisione: i film si guardano insieme ad altre persone, così come si mangia in compagnia. Ecco perché è tanto difficile ancora oggi, che pure viviamo in culture solipsistiche, vedere qualcuno andare al cinema da solo o Expo Milano 2015 (1° maggio - 31 ottobre 2015), nell’Edicola Caritas Internationalis (Lotto S2), si compone di 24 foto selezionate all’interno della Fototeca del CSC. La mostra è realizzata con il patrocinio della DG Cinema-MiBACT e la collaborazione di Istituto Luce- Julie & Julia con Meryl Streep, nella pagina accanto Helen Mirren in Amore, cucina e curry Si tratta di rituali imparentati all’origine, segnati da tre momenti comuni: preparazione, presentazione e consumo sedersi al tavolo del ristorante in beata solitudine. Così come viene spontaneo associare un sentimento di tristezza all’esperienza individuale e privata della fruizione, tanto dei film quanto del cibo. Nell’uno e nell’altro caso ci pare si tratti di un impoverimento. La natura collettiva del pasto e della visione deriva della loro vocazione comunicativa, fatta di ruoli, regole e retoriche precise, che discendono da una tradizione e si radicano nell’esperienza. Non a caso si usano espressioni come rituale del cibo o ci si riferisce al cinema parlando di liturgia laica. L’italiano crea poi ulteriori associazioni: non è curioso che per la settima arte si parli di messa in scena? È una coincidenza ricca di suggestioni. Dopotutto, se nella celebrazione eucaristica si spezza il pane perché ne prendano tutti, nello spettacolo Cinecittà, ANEC, Roma Lazio Film Commission, Casa del Cinema, Avvenire, TV2000 e Radio InBlu. Da Catene (1949) a L’audace colpo dei soliti ignoti (1959), da Il Gattopardo (1963) a Maccheroni (1985), i mattatori del cinema italiano si ritrovano grazie al cibo, strumento di trasmissione cinematografico il mondo frantumato dal montaggio e ricondotto all’Uno dall’autore viene “fruito” dal pubblico. Cibo e cinema sono poi rituali segnati da tre momenti comuni: la preparazione, la presentazione e il consumo. A maggior ragione oggi con la diffusione di una ristorazione apertamente scenografica, in cui sempre più spesso il piano del cibo si intreccia a quello del racconto verbale. Un processo che coinvolge lo chef (chiamato ad esporre le sue creazioni al cliente), il consumatore (interlocutore privilegiato del patto comunicativo) e persino i menù, sempre meno un elenco di portate e sempre più percorso discorsivo, sensoriale e memoriale. Un’abbuffata retorica La cucina possiede una sua retorica, legata indissolubilmente ai concetti di valoriale capace di ricucire senza dolore le naturali separazioni e i contrasti generazionali. È a tavola, infatti, che il nostro cinema rinnova tradizioni culturali, slancio vitale, solidarietà e senso della condivisione. Su www.italianfilmfoodstories.com, si può visitare virtualmente la mostra, creazione, piacere, condivisione, ospitalità. Una retorica che il dispositivo cinematografico sembra assimilare e rilanciare, declinandone gli elementi specifici in relazioni mitiche, antropologiche, simboliche. La retorica del training di Julie & Julia, Chocolat o La finestra di fronte, dove la trasmissione di conoscenze non resta confinata a tavola. La retorica femminista di Ricette d’amore, che prevede un percorso di emancipazione in contesti normalmente appannaggio degli uomini. La retorica etnica di Amore, cucina e curry, dove la gastronomia è il collante delle diversità culturali. La retorica sentimentale, delle storielle d’amore tra i fornelli. Quella erotica, dove l’assaggio e la degustazione diventano assaggio e degustazione dell’altro. Simbolicamente, persino letteralmente: ne Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante di Greenaway, il marito è costretto dalla moglie a mangiare il corpo cucinato dell’amante. Perché non sempre la retorica del cibo è retorica di vita: ne La grande abbuffata di Ferreri, cibarsi fino a morire è l’espediente allegorico per denunciare gli eccessi di una borghesia abulica e destinata al suicidio. Eccezioni, perché quasi sempre mangiare è bello, è sano, è sacro. Come in Kramer contro Kramer, che si apre e si chiude con due scene speculari e agli antipodi, con il protagonista Ted intento a preparare la colazione al figlio: risultato disastroso nell’incipit, perfettamente riuscito nel finale. O come nel Pranzo di Babette, in cui l’umile eroina spende la sua vincita alla lotteria per preparare un pranzo come si deve ai dodici commensali. Un autentico apologo del dono, un inno alla convivialità della tavola, dove l’unico buon pranzo ammesso è quello con (e per) gli altri. accedere a video, extra e a questo speciale della Rivista del Cinematografo, in italiano e inglese. La realizzazione di Italian Film Food Stories è stata resa possibile dal contributo degli sponsor UP Europe, SIPOL, SEA, Varigrafica Alto Lazio e Press Up. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 37 MANUALE ESSENZIALE Dal ragù di Little Italy alla mozzarella in carrozza e le pizzelle napoletane: gli ingredienti segreti di ricette imperdibili di Laura Delli Colli 4 salti in pellicola 38 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Il Film Quei bravi ragazzi La ricetta del ragù che Quei bravi ragazzi si godono a tavola tra un omicidio e una sparatoria, sembra sia esattamente quella che Martin Scorsese ha visto cucinare alla mamma. La racconta in un documentario (Italianamerican, del ’74) in cui ha raccolto dai genitori testimonianze sulla sua storia familiare a cominciare dalla cucina. Anno 1990 Regia Martin Scorsese La ricetta Ragù di Little Italy Ingredienti: 200 gr. di polpa di manzo magra, 200 gr. di polpa di vitella, 3/4 salsicce, un pezzo d’osso non spugnoso (meglio la parte del collo), aglio, cipolla, 500 gr. di pelati di pomodoro (o 2 bottiglie di passata densa), olio, sale, pepe, 1 cucchiaino di zucchero, basilico. Per le polpettine: 1 uovo, pane raffermo, 1 tazza di latte, 100 gr. di parmigiano grattugiato. Preparazione Soffriggere aglio e cipolla tagliata sottile in una padella dai bordi alti. Rosolarvi la carne mischiando insieme il macinato, le salsicce (bucate prima di essere messe in pentola) e l’osso. Togliere la carne e aggiungere al soffritto la polpa di pomodoro, il sale, il pepe e il cucchiaino di zucchero portando ad ebollizione e aggiungendo, se occorre, un bicchiere d’acqua. Quando il sugo comincerà ad addensare rimettere nella padella tutta la carne e far cuocere a fuoco lentissimo per almeno 40 minuti. Togliere di nuovo la carne e tritarla aggiungendo alla polpa uovo, pane ammollato nel latte, parmigiano e un cucchiaio della salsa di pomodoro ottenuta per legare il tutto. Fare delle polpettine piccole e rimetterle a cuocere per 1/4 d’ora nel sugo. E alla fine condire abbondantemente la pasta. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 39 MANUALE ESSENZIALE Il Film Roma Nella Roma di Fellini i sapori della cucina tradizionale diventano protagonisti quanto gli attori. Più che un film Roma è una grande abbuffata in Anno 1972 Regia Federico Fellini La ricetta Spaghetti ‘cacio e pepe’ Ingredienti: Ingredienti: 350 gr. di spaghetti, 100 gr. di pecorino romano grattugiato, sale, pepe. Preparazione Il Film I soliti ignoti Nel film di Monicelli una delle più simpatiche bande di ladri del cinema di tutti i tempi: sognano il colpo della vita ma si consolano alla fine con un piatto di pasta e ceci. Perché la pasta e ceci? Semplice: era uno dei piatti preferiti di Marcello Mastroianni. Che al momento di girare, sul set, la propose al posto della pasta e fagioli prevista nella sceneggiatura. Anno 1958 Regia Mario Monicelli La ricetta Pasta e ceci Ingredienti: 150 gr. di pasta (cannolicchi, lasagnette o pasta mista per minestre), 200 gr. di ceci, 1 spicchio d’aglio, un rametto di rosmarino, olio d’oliva, sale, pepe, dado vegetale (mezzo, o un misurino scarso se in polvere), conserva di pomodoro. Preparazione 40 Tenere i ceci a bagno in acqua (meglio insieme al rosmarino) per 12 ore, poi lessarli in acqua appena salata, scolarli e frullarne una parte insieme a un po’ d’acqua di cottura. Soffriggere poi i ceci interi e quelli frullati in un’ombra d’olio d’oliva con lo spicchio d’aglio intero e una punta di conserva di pomodoro. Allungare il soffritto con l’acqua di cottura e aggiungere dado, eventualmente sale e rosmarino. Far cuocere per un quarto d’ora. La pasta può essere cotta in questa minestra oppure a parte in acqua leggermente salata. Si può aggiungere una spolverata di pepe. Per una versione veloce, si possono usare ovviamente anche i ceci in scatola ma non andranno lessati e al posto dell’acqua di cottura si utilizzerà brodo di dado vegetale. rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Cuocere gli spaghetti al dente in acqua salata e mantecarli velocemente in un misto di pecorino e pepe. Se il cacio e pepe è fatto bene basta mantecare gli spaghetti saltandoli in una padella a fondo largo senza aggiungere né acqua né olio. Nel caso in cui tendessero ad ammassarsi, la pasta può essere cui si fa indigestione allegramente alla maniera di Trimalcione e con il gusto dei banchetti più ingordi. Una mangiata che si apre col “cacio e pepe”. mantecata con una goccia d’acqua tiepida evitando il classico filo d’olio a crudo. Il Film La ciociara Nel capolavoro di Vittorio De Sica, Oscar per Sophia Loren, una delle storie più significative del neorealismo italiano. Non c’è gusto né tavola nel film ma nel ricordo di Sophia una memorabile cucina ciociara, con la “carbonara” assaggiata per la prima volta, insieme a De Sica, proprio durante le riprese del film. Anno 1960 Regia Vittorio De Sica La ricetta Spaghetti alla carbonara Ingredienti: 350 gr. di spaghetti, 3 uova, 150 gr. di guanciale (o pancetta affumicata) olio d’oliva, cipolla, parmigiano grattugiato, sale, pepe nero. Pecorino romano grattugiato Preparazione Soffriggere in poco olio guanciale (o la pancetta a dadini) e cipolla a fettine sottilissime, sbattere le uova in una terrina con poco sale e mescolarle lentamente con il parmigiano grattugiato, fino a ottenere un composto cremoso, unendo eventualmente anche il pecorino. Cuocere la pasta (in acqua salata) molto al dente. Mantecare gli spaghetti, ben scolati, in una padella dal bordo alto, con il guanciale (o la pancetta soffritta) e con il composto d’uovo e formaggio preparato in precedenza: solo qualche attimo sul fuoco e una buona mescolata con cucchiaio e forchettone di legno. Servire con una spolverata di pepe nero appena macinato. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 41 MANUALE ESSENZIALE Fiore all’occhiello Una menzione a parte merita Il pranzo di Babette (1987), film che ha fatto storia (e cucina) IL MENÙ: Brodo di tartaruga Blinis Dermidoff Cailles en sarcophage Insalata radicchio e noci Formaggi misti Savarin Caffè con tartufi al rum Friandises: pinolate, frollini, amaretti VINI Amontillado bianco ambra Champagne Veuve Clicquot Ponsardin SAVARIN Ingredienti 400 gr. farina, 4 uova, latte, 150 gr. burro, 25 gr. lievito di birra, 1 cucchiaio di zucchero, 1 presa di sale (facoltativa), 1 stampo da budino Per bagnare il dolce 1 l. d’acqua, 500 gr. di zucchero, una bustina di vanillina, 2 bicchieri di rum. Per la guarnizione: 1 cucchiaio di gelatina di frutta (meglio di albicocche), 500 gr. di panna montata, 250 gr. di frutti di bosco o, come nella ricetta originale, 42 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo una selezione di frutta candita. Setacciare la farina in una terrina e aggiungere il lievito sciolto nel latte. Aggiungere quindi le uova, lavorando pazientemente il composto con una frusta finché non sarà ben amalgamato. Unire quindi il burro e lavorare ancora per un minuto, quindi formare la classica “palla” d’impasto e lasciarla lievitare ben coperta. Una volta lievitato, l’impasto dovrà essere ancora lavorato per qualche minuto, incorporando a questo punto il burro, un pizzico di sale, lo zucchero. Riempire quindi per 1/3 lo stampo classico da budino, ben imburrato e infarinato, e far lievitare ancora. Infornare a 180° per 30 minuti quindi togliere dallo stampo e lasciare il Savarin a bagno finché non sarà ben imbevuto proprio come un grande babà napoletano. giugno 2015 Il Film L’oro di Napoli La bella Sophia con la regia di Vittorio De Sica (L’oro di Napoli, racconta al marito di aver perso l’anello (che in realtà ha dimenticato a casa dell’amante) proprio nella pasta della pizza. Sophia impasta e il marito cuoce. E la pizza è quella tradizionale napoletana, fritta nell’olio bollente… Anno 1954 Regia Vittorio De Sica La ricetta Pizzelle napoletane Ingredienti: Acqua, farina e un po’ di lievito di birra. Per la pastella: alici, una padella d’olio (tradizionalmente d’oliva), sale. Preparazione Preparare la pastella sciogliendo il lievito nell’acqua tiepida e aggiungendo poi la farina (e altra acqua). Ottenuta una pasta morbida, farla lievitare e salarla mentre viene lavorata. Unire le alici alla pasta. Quindi preparare tante piccole pizzette, tagliando la pasta stesa con il fondo di un bicchiere, o con una piccola scodella rovesciata e friggerle nell’olio bollente. Scolarle quando sono ben dorate e lasciarle asciugare sulla carta da frittura. Una variante ugualmente saporita si può ottenere con un po’ di pasta d’acciughe, ben sciolta a freddo nell’olio di frittura. Questa è la ricetta tradizionale delle pizze che a Napoli si chiamano “pizzelle”. Il Film Big Night La storia divertente dell’apertura di un ristorante italiano in America da parte di due cuochi immigrati. Una commedia agrodolce come la ricetta della caponata. Anno 1996 Regia Campbell Scott e Stanley Tucci La ricetta Caponata Ingredienti: 6 melanzane, una cipolla grande, passata densa, sedano, capperi sotto sale (ben sciacquati), una bustina di pinoli, zucchero e aceto per l’agrodolce, olio d’oliva, sale e pepe. Preparazione Lavare le melanzane e tagliarle a dadini, rosolarle nell’olio d’oliva senza farle ammorbidire troppo. Versare in un tegame la cipolla, il sedano tagliato a rondelle, e il pomodoro (almeno 500 gr. di passata). Far cuocere 1/4 d’ora circa finché gli odori non saranno visibilmente teneri. Aggiungere le melanzane, i capperi e i pinoli, sale e pepe. Rimettere sul fuoco ancora per qualche minuto finché il tutto non si amalgami bene e solo alla fine versare nelle melanzane la miscela di zucchero e aceto fatta sciogliere prima in un pentolino sul fuoco. Mischiare la caponata e far raffreddare. Si può anche eliminare l’agrodolce sostituendo i pinoli e i capperi con le olive. Il Film Ladri di biciclette La mozzarella in carrozza è protagonista di un momento particolarmente teso del film: Antonio ha appena trovato lavoro ma gli hanno rubato la bicicletta e a sua volta, disperato, pensa di rubarne un’altra. In trattoria, squattrinato, è digiuno, ma spende i pochi soldi che ha per ordinare al figlio una mozzarella in carrozza, mentre il pensiero corre alla bicicletta rubata. Anno 1948 Regia Vittorio De Sica La ricetta Mozzarella in carrozza Ingredienti: 8 fette di mozzarella tagliate in quattro fette, pancarrè, 2 uova, 2 cucchiai di farina, sale, olio per friggere, latte. Preparazione Togliere la crosta al pancarrè, mettere ogni fetta di mozzarella tra due fette, ritagliandola a misura della fetta. Sbattere quindi le uova con il latte, salare, e immergervi i sandwich di mozzarella, dopo averli infarinati. È il momento di passare alla frittura in olio bollente, facendo scolare bene la mozzarella dorata sulla carta per fritti. Una curiosità: la mozzarella in carrozza viene meglio se si usa la bufala perché, anche se più grassa, è meno acquosa. A Napoli nella mozzarella in carrozza si mette spesso un filetto di acciuga. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 43 MENÙ TRICOLORE L a storia del cinema inizia con un treno che entra alla stazione, degli operai che escono dalla fabbrica e… con un bimbo che mangia la pappa (Le repas de bebé dei fratelli Lumière). Da allora il cibo, smaterializzato sullo schermo, è sempre stato un indicatore sociale: come forse avrebbe detto Roland Barthes (traslando dal campo dell’abbigliamento a quello dell’alimentazione), al contempo un’“umanità” e un “argomento”. Nel cinema italiano più che in tanti altri. Per il neorealismo il cibo-nutrimento è un indice di realtà. All’inizio soprattutto come carenza, carestia: vedi il razionamento con le “tessere” o il mercato nero al tempo del rosselliniano Roma città aperta o, poco più tardi, quel Riso amaro che per Giuseppe De Sanctis e per la mondina Silvana Mangano rappresenta, più che un alimento, uno strumento di schiavitù. Non ha meno importanza, però, nel campo della comicità: sull’esempio del suo antesignano Pulcinella, Totò è sempre afflitto da una fame cronica, sogna spaghetti e, se va in trasferta dal Sud a Milano (Totò, Peppino e... la malafemmina), si porta appresso prosciutti e altri generi di conforto da appendere al soffitto. Per non dire dell’Onorevole Angelina, al secolo Anna Magnani nell’omonimo film di Luigi Zampa, troppo presa dalla passione politica per scolare la pasta al momento debito. Quella degli anni Cinquanta è ancora un’Italia povera, ossessionata dal cibo. Vedi Capannelle (l’attore Carlo Pisacane) che nei Soliti ignoti di Mario Monicelli si consola del mancato “colpo grosso” mangiando pasta e ceci e, un paio d’anni dopo (Audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy), muore d’indigestione dopo un’epica scorpacciata. E tuttavia c’è già chi vuole distinguersi: Moriconi Nando detto “l’americano” che, in Un americano a Roma di Steno, prima disdegna la pasta lasciatagli da mamma per prepararsi un “mangiare ‘mericano” con salse e altre schifezze; salvo poi, disgustato, spingerlo da parte e “distruggere” a morsi gli italianissimi “macaroni”. Arrivano gli anni ’60, quelli del boom economico e della “dolce vita”. L’italiano, che si sente più ricco, comincia a darsi arie e a fare il difficile, anche a tavola. Il cibo viene esibito come prova di benessere e di opulenza: nelle case dei ricchi, e magari inappetenti (La dolce vita, Una vita difficile), o nelle trattorie dove un italiano non ancora perseguitato dall’equazione Ossessione Il cibo, smaterializzato sullo schermo, è sempre stato un indicatore sociale. Nel nostro Paese più che in tanti altri di Roberto Nepoti In alto a sinistra Audace colpo dei soliti ignoti © Archivio della Fototeca del CSC - Cineteca Nazionale - Foto di Leo Massa. In mezzo Anna Magnani e qui accanto Il medico e lo stregone © Archivio della Fototeca del CSC - Cineteca Nazionale - Foto di Pierluigi Praturlon 44 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 dieta=benessere si concede ai piaceri della tavola ben oltre il bisogno biologico (Il sorpasso e altre cento commedie italiane dell’epoca, spesso col golosissimo Alberto Sordi). La mitica “mezza porzione” (sempre abbondante) delle trattorie romane compare soprattutto al passato: per esempio nei flashback di C’eravamo tanto amati. Il cui regista, Ettore Scola, ha fornito un’autentica epitome degli italiani a tavola, dei loro gusti e dei loro vezzi: dai riti intimi, raccontati attraverso i decenni, della Famiglia, film che si svolge soprattutto intorno alla tavola, alle cene in piedi degli intellettuali borghesi della Terrazza, fino all’umanità distribuita nei tavoli della trattoria gestita da Fanny Ardant nella Cena. Al punto che, a proposito di questi film scoliani, verrebbe la tentazione di parlare di “trilogia del cibo”. Altro gran cerimoniere di pranzi e cene del nostro cinema è Pupi Avati, nella cui filmografia il cibo è mezzo rituale per introdurre le persone alla conoscenza reciproca: pensiamo, in contesti e tempi molto diversi, al monumentale pranzo di venti portate, tutto emiliano, di Storia di ragazzi e ragazze e al più tardo La cena per farli conoscere. Non sempre, però, il cibo è allegria, convivialità, piacere. Mastica bocconi amari Marco Ferreri nella Grande abbuffata (nome poi, alquanto impropriamente, saccheggiato da ristoranti e siti gourmet), film epocale del 1973 in cui il regista mette in scena in forma allegorica i disastri del consumismo edonista in fase di irresistibile ascesa. Mangiare, per i quattro amici isolati in una casa a ingozzarsi di piatti prelibati (quello interpretato da Ugo Tognazzi è uno chef), non è più uno strumento di vita e di piacere, ma di autodistruzione. In anni più recenti la rappresentazione schermica del cibo si parcellizza, secondo i casi, tra convivialità, penuria, rituale sociale e parodia delle mode salutiste e delle diete a uso dei comici popolari (per fare un esempio Sette chili in sette giorni con Carlo Verdone e Renato Pozzetto). Chi conserva fiducia nelle virtù socializzanti, e addirittura rigenerative, del cibo è Ferzan Ozpetek. Rientra nel primo caso il suo Le fate ignoranti, dove un gruppo di amici forma una piccola comunità che si riunisce soprattutto davanti a piatti preparati con amore. E se è a tavola che la famiglia Cantone di Mine vaganti (non a caso proprietaria di un pastificio) gestisce le proprie dinamiche interne, Giovanna - la protagonista della Finestra di fronte trova nell’alta pasticceria dell’anziano Simone non solo una possibilità di riscatto, ma anche il sapore prezioso della conoscenza. Altro gran cerimoniere è Pupi Avati: mangiare è un mezzo rituale per introdurre le persone italiana La cena per farli conoscere di Pupi Avati, sopra Mine vaganti di Ferzan Ozpetek giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 45 INGREDIENTI CATODICI In principio fu il Viaggio nella valle del Po di Soldati, poi venne la sazietà ’70-‘90, infine ecco l’appetito Millennial: da MasterChef alla Prova del cuoco, come ti servo la tv Viaggio nella valle del Po; sopra Antonella Clerici nella Prova del cuoco e accanto MasterChef I n principio - era il 1957 e la tv aveva in Italia solo tre anni di vita - fu un viaggio, il famoso Viaggio nella valle del Po. In 12 puntate Mario Soldati fissava su pellicola (la registrazione su nastro magnetico non era ancora possibile) la sua ricerca di cibi genuini - come recitava il titolo del programma dalle valli alpine del Piemonte fino al delta del grande fiume. Scorrevano così sui teleschermi, ancora rari ma già in grado di creare fenomeni di costume, immagini di cucine e trattorie, di cantine e caseifici, di osti e cuoche di campagna, chiamati a illustrare la ricetta dei “tajarin” (le tagliatelle all’uovo tipiche delle Langhe) e della salama da sugo, ghiottoneria ferrarese. Nasceva così un programma televisivo di culto, discusso, apprezzato e parodiato (Tognazzi e Vianello non persero l’occasione) fin dalla sua prima apparizione, ma destinato a restare nella memoria e nella storia, un classico capace di ispirare, nell’anno del suo cinquantena- Piccolo schermo, 46 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 rio, due rivisitazioni: una prodotta da Rai 2 con il tocco elegante e colto di Edmondo Berselli e l’altra nata nell’ambito dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. Poi, dopo questo exploit iniziale, il tema del cibo restò a lungo ai margini dei discorsi e dei palinsesti televisivi. Nei decenni successivi si ricordano solo qualche appuntamento domenicale con la strana coppia Ave Ninchi e Luigi Veronelli, nei primi anni Settanta, in Rai, la presenza fissa, dagli anni Ottanta, di Wilma De Angelis nelle nuove vesti di cuoca su una rete ancora “minore” come Telemontecarlo e, infine, nei Novanta, le incursioni tra le sagre e le tipicità gastronomiche dei borghi italiani proposte da Davide Mengacci nella Domenica del villaggio di Rete 4. Con l’inizio del nuovo secolo, invece, esplode improvviso, inatteso il boom dei programmi culinari. La loro presenza diffusa in lungo e in largo, su moltissime reti pubbliche e private, generaliste e tematiche, free e pay e in vari punti nevralgici e dei palinsesti si trasforma in fenomeno di costume, gradito, amato, vissuto con passione da ampie fette di pubblico, ma anche giudicato eccessivo, invasivo, privo di veri contenuti e per certi versi inspiegabile, nonostante le approfondite analisi di valenti studiosi. Senza addentrarci in questo ambito problematico e nei suoi aspetti sociologici e antropologici, è evidente che l’affermazione dei programmi che mettono a tema e in scena il cibo e la cucina è riconducibile alla grande piatto di Giorgio Simonelli giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 47 INGREDIENTI CATODICI Esplode improvviso il boom dei programmi culinari. E si trasforma in fenomeno di costume, amato, gradito, vissuto con passione da ampie fette di pubblico nuova logica produttiva del format, con la sua inesorabile efficienza. Sintetizzando e schematizzando si possono osservare, nella vastissima produzione televisiva, tre grandi forme (e formule) di rappresentazione del cibo. La prima e forse più celebre è quella del talent, un po’ game show e un po’ reality, che mette alcuni aspiranti cuochi in competizione tra loro e sottoposti al giudizio di famosi chef. Ne deriva uno spettacolo che deve il suo successo a varie componenti: il racconto biografico, alla maniera del reality, la gara con le emozioni della vittoria o dell’esclusione, il divismo dei giudici, l’appeal visivo, figurativo e cromatico delle composizioni, esaltato da una fase della cucina divenuta fondamentale in questo tipo di show, l’impiattamento. Il prodotto emblematico di questa linea è il celebre MasterChef, format internazionale e grande successo di Sky Italia. Poi c’è la forma tutorial, una sorta di recupero minimalista, molto minimalista della funzione pedagogica della tv classica. Ma se in quei gloriosi tempi la tv pubblica si preoccupava di diffondere tra i cittadini la conoscenza dei massimi sistemi, della storia nazionale, della letteratura, del sapere scientifico, oggi ci si accon48 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 tenta di fornire indicazioni utili a una corretta e appetitosa elaborazione dei piatti casalinghi, una divulgazione “cotta e mangiata”, per citare il titolo di uno dei programmi più popolari e rappresentativi di quest’area. Infine, un po’ a cavallo tra game e tutorial si presenta la fortunatissima esperienza del cooking show, ben rappresentata dalla celebre Prova del cuoco condotta da Antonella Clerici: un confronto, assai meno drammatico di quello messo in scena dai talent, tra piatti preparati da professionisti, illustrati nei dettagli della loro preparazione e sottoposti a giudizio per un pubblico che può vivere il tutto come fonte di immedesimazione e di ispirazione. Si accennava al fatto che in questa vicenda di grandi successi televisivi non mancano elementi di ambiguità e di contraddizione. Per esempio il paradosso di un’esperienza, quella del cibo, che si basa su due sensi, il gusto e l’olfatto, che sono del tutto negati alla fruizione televisiva, un paradosso da cui deriva l’eccesso di attenzione agli aspetti visivi e cromatici dei piatti presenti nella tv e nelle tendenze che ha indotto. O ancora lo strano e complicato percorso fatto da questi programmi e che ha visto un paese di grande tradizione gastronomica come l’Italia importare i format di maggior successo (MasterChef ma anche La prova del cuoco) da mondi assai meno ricchi di risorse e di creatività in questo campo. Ed è per questa ragione che non si può fare a meno di citare, in conclusione di questo viaggio tra le cucine televisive, il prodotto italiano forse più interessante, anche se un po’ trascurato. Si tratta di Benvenuti a tavola, una fiction di media serialità che, lungo i 34 episodi delle due serie andate in onda su Canale 5, racconta i contrasti economici e professionali, culturali e caratteriali, ma anche gli intrecci familiari e sentimentali che nascono tra due ristoratori dirimpettai in una piazza milanese. A dispetto di un punto di partenza, il Nord vs Sud che fa da sottotitolo, prevedibile e assai sfruttato dal cinema italiano degli ultimi anni, la fiction si rivela originale nei personaggi e nei toni, interpretata da un gruppo di attori a loro agio nelle parti, puntuale nei riferimenti gastronomici, garantiti dalla supervisione di un famoso chef, per nulla manichea nella rappresenta- zione di due scuole di cucina diverse. Il felice esito dell’operazione non nasce, questa volta, dall’adattamento ai gusti nazionali di un format sperimentato in altre parti del mondo, ma dalla valorizzazione di un progetto molto italiano, persino con un tocco di milanesità e in sintonia, nelle allusioni al dibattito gastronomico contemporaneo, a prodotti cinematografici recenti e interessanti come i francesi Chef o La cuoca del presidente. Sopra, MasterChef per senior e junior. A lato, da sinistra a destra, Chef, La cuoca del Presidente e Benvenuti a tavola giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 49 SAPORI DAL MONDO A mozzichi e bocconi Dalla Nutella gigante di Bianca alla Ricotta pasoliniana, otto cine-assaggi di gusto e sostanza di Federico Pontiggia* GALLINE IN FUGA di Peter Lord, Nick Park (2000) Disse una volta Alexandre Dumas: “Amo gli animali, odio le bestie”. Massima utilizzabile sia nei riguardi di Galline in fuga che dell’Olocausto: gli animali, tali o ridotti in quello stato, si trovano sempre dietro un filo spinato; i carnefici hanno la stessa bestialità. Una bestialità, purtroppo, molto umana. E un cibo – le galline – la cui umanizzazione ribadisce l’antropofagia dell’Olocausto. L’allegoria è qui fondamentale: non lo sterminio di una specie sull’altra, ma lo sterminio di una specie su se stessa, quella umana. Per cui la fuga non può non essere volo liberatore verso un paradiso terrestre dopo un inferno altrettanto terrestre. 50 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 CHOCOLAT di Lasse Hallström (2000) Arriva trasportata dal vento come Julie Andrews in Mary Poppins la dolce Vianne (Juliette Binoche), con una mantella da Cappuccetto Rosso: sono gli orizzonti della fiaba e della magia quelli di Chocolat, in cui il cioccolato ha il gusto sempre particolare di una felicità universale. La stanca tranquillità di Lansquenet sarà sconvolta da un profluvio di cacao, cioccolatini e tazze di cioccolata, preparati secondo ricette che affondano le proprie radici in un passato magico. Ovvi, quindi, la sponsorizzazione della Lindt e l’irresistibile desiderio di cioccolato di cui è preda lo spettatore. BIANCA di Nanni Moretti (1984) Le aspirazioni ideali di Michele Apicella (Nanni Moretti) continuano a non trovare appagamento, l’angoscia esistenziale aumenta: insonne, cerca vanamente rifugio in un mega-barattolo di Nutella. Proprio i dolci costituiscono una grande passione, vissuta da Michele con la consueta intransigenza maniacale. Basti pensare all’amaro sarcasmo con cui apostrofa il padre di un suo alunno colpevole di scavare il Mont Blanc, rovinandolo così irrimediabilmente, e di non conoscere la Sachertorte, dolce morettiano per antonomasia. La cupa rassegnazione che esprime per questo misfatto è entrata nella memoria collettiva: “E continuiamo così: facciamoci del male”. LA RICOTTA di Pier Paolo Pasolini - Episodio del film Ro.Go.Pa.G (1963) Cristo è spesso un “povero Cristo”. Come tale, però, non ha il dono di moltiplicare pani e pesci, ma la volontà è la stessa: quella che spinge Stracci a dare il proprio pranzo alla famiglia, riservando per sé solo la speranza che gli vada bene, che il suo stomaco si riempia. Con la pancia piena viene “inchiodato” sulla croce e con la pancia piena muore, davanti a “spettatori” che non se ne accorgono nemmeno. LA GRANDE ABBUFFATA di Marco Ferreri (1973) Il cibo, esagerato fino al paradosso, implode nelle sua fattualità ed esplode nella sua consequenzialità fecale. Le feci non sono ancora sul vassoio apocalittico del Salò pasoliniano: la storia (causa-effetto) non è ancora stravolta, ma già segna il passo in un metabolismo senza futuro. I peti di Michel sono il canto del cigno di una classe sociale votata all’autoestinzione. L’autoimposizione governa il grottesco universo della villa: si mangia perché così si è deciso, si fa sesso perché bisogna farlo. L’ineluttabilità delle scelte è l’ineluttabilità del destino a cui ci si è votati: non si può, ma si deve morire di cibo. giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 51 SAPORI DAL MONDO COME L’ACQUA PER IL CIOCCOLATO di Alfonso Arau (1992) IL PROFUMO DELLA PAPAYA VERDE di Tran Anh Hung (1993) Si consideri il piatto principe del film: quaglie ai petali di rosa, che Tita, ispirata dalla defunta tata, cucina con i fiori che Pedro le ha donato. L’effetto sui commensali è quasi comico: occhi che iniziano a lacrimare, sudorazione eccessiva e, addirittura, nel caso dell’altra sorella Gertrude, un vero e proprio attacco di passione che la spinge ad abbandonare la sala in preda ai fumi dell’eros. E il fumo, o meglio, il fuoco si materializza davvero, con le fiamme che la costringono ad abbandonare la doccia in cui aveva cercato “sollievo”. Mui impara a cucinare aiutata da una serva-mamma: arte culinaria perennemente d’occasione, quella di compiacere il palato dei padroni. Ma il cibo preparato da Mui si carica subito di sentimento: affetto per la famiglia in cui lavora; amore per Khuyen, nei cui confronti i piatti di Mui rivelano intenti castamente seduttivi. Si consideri come la fidanzata costringa Khuyen a portarla al ristorante e a rinunciare alla cena – ottima per sua stessa ammissione – che Mui aveva preparato. Mentre all’inizio il dedicarsi alla preparazione dei pasti è sintomo e simbolo di servitù, da ultimo la medesima arte si configura come potere, capace di infrangere le divisioni sociali e superare la ricca concorrenza (la fidanzata di Khuyen). MANGIARE, BERE, UOMO, DONNA di Ang Lee (1994) L’afflato minimalista del regista e cosceneggiatore si desume anche nella scelta del titolo, di epigrammatica elementarità, che nel film è completato dalle parole “cibo” e “sesso”, affiancate con un chiaro intento: cibo come metafora dei sentimenti, di cui il sesso costituisce una metonimia. Chu, dal passato glorioso di chef e di padre, sta perdendo il palato, quasi a stigmatizzarne il deterioramento del rapporto con le figlie, in particolare con la secondogenita, quella che rimpiange di più il passato dorato con il padre e quella più pronta a segnalare gli errori che questi compie tra i fornelli, sottoposto com’è agli infidi tranelli del palato. 52 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Il cibo segna anche il discrimine tra “buoni” e “cattivi”: mentre per i primi è puro piacere disincarnato, assoluto tripudio del gusto e dell’olfatto, i secondi – in particolare Rosaura – reagiscono male al cibo, di cui vengono a conoscere i soli aspetti negativi (obesità, alitosi, flatulenza e, da ultimo, fatali complicazioni gastro-intestinali). Potremmo parlare di manicheismo del palato e non suonerebbe stonato. *Le schede sono estratte dal libro Livio Giorgioni Federico Pontiggia - Marco Ronconi, La grande abbuffata. Percorsi cinematografici tra trame e ricette, Effatà, Cantalupa (TO) 2002 HOLD-UP FILMS & PRODUCTIONS E LILIES FILMS PRESENTANO UNA PURA MERAVIGLIA LE MONDE UNA VERA OPERA D’ARTE THE GUARDIAN FOLGORANTE LES INROCKUPTIBLES dalla regista di TOMBOY DIAMANTE NERO un film di céline sciamma dal 18 giugno al cinema PER VISUALIZZARE I CONTENUTI EXTRA DEL FILM SCARICA L’APP DI AR-CODE E INQUADRA L’IMMAGINE RITRATTI di Orio Caldiron Lana suona sempre due volte Divismo patinato e provocante bellezza: la consacrazione della Turner con il capolavoro noir di Tay Garnett 54 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 C’ In apertura Lana Turner nel ritratto di Marco Letizia. Sopra in una scena de Il postino suona sempre due volte C’era una volta la vecchia Hollywood, fabbrica di sogni ma anche di stelle. Costruite dai sarti e dai parrucchieri, dai fotografi e dagli addetti stampa, alimentate dai pettegolezzi dei giornali a caccia di gossip. Chi meglio di Lana Turner incarna questo divismo patinato che deve tutto o quasi al maquillage e al guardaroba? Senza dimenticare la provocante bellezza che ne fa l’emblema del glamour, il biondo oggetto del desiderio nell’ultima fiammata del cinema hollywoodiano prima della tv. Nasce a Wallace nell’Idaho l’8 febbraio 1921, ma dopo la morte del padre si trasferisce con la madre a Los Angeles. Scoperta per caso da un cronista in un drugstore, debutta nel cinema in piccole parti fino a che nel ’38 non viene scritturata dalla Metro-Goldwyn-Mayer. Si fa notare in Le fanciulle delle follie (1941), il musical dove è la “Ziegfeld girl” che crolla ubriaca ai piedi della sfarzosa scala a spirale. La consacrazione arriva con Il postino suona sempre due volte (1946), il capolavoro noir di Tay Garnett. Sin da quando entra in scena – asciugamano in testa, gambe nude, rossetto vistoso, unghie laccate – Cora rivela tutto il calamitoso magnetismo della sua presenza. Nell’atmosfera claustrofobica dell’autogrill, decisa a liberarsi del marito con l’aiuto dell’amante, si muove sull’ambiguo crinale tra verità e menzogna, amore e morte. Altrettanti cortocircuiti della sua contraddizione esistenziale, richiamati dai luminosi vestiti bianchi e dai cupi abiti neri. Subito dopo nei Tre moschettieri (1948) di George Sidney è una strepitosa Milady, il cuore nero dell’avventura. Ma solo Il bruto e la bella (1952), lo straordinario film sul cinema di Vincente Minnelli, le offre una delle rare occasioni dove sotto la perfezione del trucco affiora la bravura dell’attrice. La glaciale compostezza della star s’incrina quando il cinico produttore di cui è innamorata la tradisce. Sconvolta, corre via in macchina piangendo disperata, mentre suonano i clacson e lampeggiano i fari delle altre auto. Sul finire degli anni cinquanta, concluso il lungo sodalizio con la Metro, torna in auge con I peccatori di Peyton (1957) di Mark Robson, il fortunato fumettone sulle ipocrisie della provincia americana che conferma la sua torrida sensualità. Nel ’58 la vita privata s’incontra con la cronaca nera. Cheryl, la figlia quindicenne avuta dal secondo marito, uccide nella casa di Beverly Hills il gangster Johnny Stompanato con cui la madre ha una tempestosa relazione. In tribunale sarà assolta per legittima difesa anche grazie alla testimonianza della mamma che i maligni considerano la sua migliore interpretazione. Lo specchio della vita (1959) – il classico del melodramma firmato Douglas Sirk che nel conflitto famigliare sembra alludere al tragico avvenimento – riscuote un enorme successo. A lungo lontana dal set, muore il 29 giugno 1995 a Century City, California. L’anno prima al Festival di San Sebastián era avvenuta la sua ultima apparizione ufficiale, vestita di rosso fuoco a bordo di una Mercedes bianca. Oggetto del desiderio, emblema del glamour giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 55 Sandro Parenzo presenta non è mai troppo tardi... per inseguire i propri sogni MorganFreeman DianeKeaton Ruth&Alex l’amore cerca casa dal 25 giugno al cinema IN COLLABORAZIONE CON ruthealex.libero.it I TOP 5 58 al Cinema OTTIMO BUONO SUFFICIENTE MEDIOCRE SCARSO The Tribe 61 Diamante nero 66 È arrivata mia figlia 67 Le regole del caos 69 Terminator Genisys 63 67 Pitch Perfect 2 Eisenstein in Messico 65 Youth - La giovinezza 68 58 The Tribe 61 Diamante nero 63 Eisenstein in Messico 65 Youth – La giovinezza 66 È arrivata mia figlia 67 Le regole del caos 67 Pitch Perfect 2 68 Wolf Creek 2 69 Preview I Minions Terminator Genisys Pixels 3D Pan Mission: Impossible Rogue Nation Ant-Man Wolf Creek 2 giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 57 i film del mese L'operazione di Slaboshpytskiy è sensoriale e sottilmente politica 58 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 THE TRIBE Arancia meccanica in un istituto ucraino per sordomuti: un esordio folgorante In sala Regia Myroslav Slaboshpytskiy Con Grigoriy Fesenko, Yana Novikova Genere Drammatico (132’) L a parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello. Prendiamo in prestito “le parole” di Gesualdo Bufalino perché ci aiutano a capire meglio quale intenzione sia sottesa a un’operazione stramba e straordinaria come The Tribe. Non un film sui non udenti, come qualcuno ha sostenuto prendendo alla lettera il côte (un istituto per sordomuti in Ucraina), e nemmeno un film muto – preciso, prezioso semmai il lavoro sul sonoro – ma uno che rifiuta la parola. Meglio, la nega. Non vale il preteso rispetto per l’oggetto del discorso – il sordomuto e la lingua dei segni – a giustificare la scelta del regista ucraino Myroslav Slaboshpytskiy di non utilizzare sottotitoli esplicativi. È un atto deliberato, politico, non a favore di ma contro. E in effetti, a chi nega la parola Slaboshpytskiy se non allo spettatore? E che audace ribaltamento è mai questo, di un mondo che sovverte le gerarchie consolidate e improvvisamente taglia fuori i padroni della lingua dal sistema (di comunicazione) dominante, ponendoli in una posizione di svantaggio? Una mossa – quella della sottrazione della parola – che fa il paio con quell’altra, la sparizione del primo piano. Slaboshpytskiy elimina così i due classici tutori del vedere. Lavora solo su campi lunghi, campi medi, piani sequenza e carrellate a distanza di sicurezza. Guarda e ci fa guardare come da un oblò, de-territorializzando le immagini e costringendo più volte lo spettatore a sperimentare una libertà, dunque una responsabilità, di visione totale. Bullismo, prostituzione, emarginazione e sogni di fuga di un gruppo di giovanissimi non udenti ucraini – come in una sorta di Arancia meccanica sordomuta – sono il perfetto contraltare tematico di quest’esperienza caotica, violenta e generativa che è la formazione ex novo del pubblico, cui il regista riaffida il potere di nominare le immagini e deciderne senso e destino. Un disegno radicale, che rivela una coscienza estetica e morale inimmaginabile per un esordiente. Lo sguardo etologico, l’uso consapevole degli elementi minimi del linguaggio cinematografico – il gesto, l’inquadratura, l’angolo, la luce – e l’approccio squisitamente teorico non fanno però di The Tribe un film gelido e respingente. Il fascino di questo lavoro è proprio nel sottile e misterioso meccanismo emozionale che attiva, nell’enigma inscritto nella visione, nella sfrontata nudità con cui abbraccia senza compromessi primigeni impulsi di vita. Fondamentale l’adesione al progetto degli attori, tutti non professionisti. Vincitore del Gran Premio della 53. Semaine de la critique e di molti altri premi internazionali, The Tribe è destinato a echeggiare a lungo nella memoria, nonostante tutti i suoi silenzi o forse proprio a motivo di questi. GIANLUCA ARNONE giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 59 DIAMANTE NERO Potere, identità e gender in un coming of age di grande sensibilità (politica) In uscita Regia Céline Sciamma Con Karidja Touré, Assa Sylla Genere Drammatico (113’) NONOSTANTE gli indiscutibili traguardi messi a segno dall’emancipazione, il cinema dominante resta maschio, bianco, adulto e di estrazione borghese. Un’affermazione solo apparentemente contraddetta da un mercato saturo di prodotti per teenager, in verità pilotato da vecchi e scaltri produttori. Per trovare una differenza, nel senso più apocalittico del termine, bisogna guardare agli indipendenti, specie se di sponda francese. Sarà un caso, ma nel giro di un paio di mesi sono arrivati da Oltralpe due coming of age di straordinaria energia, sensibilità e vividezza: a maggio The Fighters, adesso questo Diamante nero, che a dispetto del titolo è un’autentica perla. Lo ha diretto la sceneggiatrice e regista Céline Sciamma, la stessa che si era fatta apprezzare per Naissance des pieuvres e Tomboy, di cui questa terza prova sembra giusto il medio proporzionale. C’è il tumulto delle personalità in divenire tipico degli adolescenti, contenuto tra una linea gotica che separa e un confine incerto che dilaga e permette ogni scavalcamento. C’è la guerra, fisica e allegorica, contro i padri e le madri e i fratelli maggiori; ci sono i corpi e il lavoro sui corpi, campi di forze tra spinte metamorfiche concorrenti; c’è una labile e quasi impercettibile definizione di gender. Col fatto poi che il film è tutto ambientato in una banlieue “nera” di Parigi, in un’appendice africana, patriarcale e tribale dell’Occidente, il discorso sul sesso acquista una spiccata valenza politica. Femminista. Mai sottolineata, semmai affidata all’evidenza delle immagini, sempre pulite, rigorose, concettualmente geometriche. Apparecchiate per quattro piccole donne che sono anche quattro grandi attrici (bellissime quando cantano Rihanna), a partire dallo straordinario Diamante protagonista, Karidja Touré. Occhioni dolci non ingannino: la sua Vic è una tosta, è un’altra fighter, è puro voler essere. Dove potere e volere sono verbi declinati unicamente al maschile, non c’è posto per lei. Solo un esilio che lascia ben sperare. GIANLUCA ARNONE Dopo l’ottimo Tomboy, Céline Sciamma si conferma giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 61 Made in Italy THE COMFORT SHOW w w w. c i n e a r r e d o i t a l i a . c o m EISENSTEIN IN MESSICO I dieci giorni del Genio a Guanajuato: più invenzione che storia, firmata Greenaway In sala Regia Peter Greenaway Con Elmer Bäck, Luis Alberti Genere Drammatico (105’) NEL TALAMO SONTUOSO al centro di una enorme stanza-palcoscenico (la storia sul piedistallo della Storia), il massimo cineasta di tutti i tempi perde con stupore temperato d’ironia la verginità omosessuale, scopre l’amore per un elegante messicano insegnante di religioni comparate e respinge sia il capitalismo dei produttori del nuovo film sia la schiavitù culturale del suo paese comunista. Nei 10 giorni che Eisenstein trascorse a Guanajuato (2131 ottobre 1931) Peter Greenaway vede, sente, documenta, proietta una frattura esistenziale, un’estroversione e un’espansione del Genio. Una certa anima russa, letteraria (Tolstoj e Dostoevskij) e sociale (il principio della rivoluzione di libertà) che risuonava riconvertita nell’ordinamento sovietico, in un nuovo linguaggio (chiaro, esplosivo, in Sciopero, La corazzata Potemkin, Ottobre e Il vecchio e il nuovo) riscopre se stessa nel viaggio in Occidente, approdato alla sensualità, all’oblomovismo messicano: si scopre viva, trova un’identità, una verità della persona finalmente a scapito del personaggio, l’istituzione istituita nella dittatura stalinana. Non è che con Greenaway ci sia spazio per biografismo e aneddoto: assume l’iconografia generale (l’estrosità dei ritratti, le sequenze celebri, il bestiario dei personaggi d’epoca) la smonta e la raggiunge ancora immaginando il fervore, le emozioni, i passaggi, le crisi, che la motivano. Bellissimo il rimontaggio di Eisenstein e il teschio dopo la telefonata-confessione con la segretaria Pera. Come sempre la scena e il corpo, cioè Eros e Thanatos, informano l’architettura concettuale dello schermo e compongono uno sguardo cubista sull’oggetto. Tutto vero (i disegni erotici, il vestito bianco, gli incontri, telegrammi e lettere). Tutto falso (il resto). Cioè, così fu. “La Storia non esiste”, dice Greenaway, “esiste l’invenzione”. Nel richiamo all’attenzione creativa del cinema, all’enigma estetico, non è un film per tutti. Ma chi fa film per tutti? Spielberg, e non è detto. Greenaway fa Greenaway. SILVIO DANESE Come sempre la scena è il corpo, Eros e Thanatos giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 63 YOUTH - LA GIOVINEZZA Elegia del tempo perduto. Tronfio, scoppiettante e pop: Sorrentino al meglio In sala Regia Paolo Sorrentino Con Michael Caine, Harvey Keitel Genere Commedia (118’) LA TRAMA di Youth sembra uscita da un romanzo del ‘900: due vecchi amici, un compositore in pensione (Michael Caine) e un regista in procinto di girare il suo “film-testamento” (Harvey Keitel), si ritrovano in un sanatorio svizzero tipo Montagna incantata. Giorni di relax. Chiacchiere, passeggiate, ricordi. E materiale umano: donne in crisi di nervi (Rachel Weisz), star hollywoodiane con l’ego trafitto (Paul Dano), monaci tibetani pronti a levitare, glorie del cinema passate alla tv (Jane Fonda), Maradona versione bonzo e Miss Universo (Madalina Ghenea). Caine che ricorda Jep Gambardella, Keitel Sorrentino. C’è il confronto generazionale, il tempo andato, l’arte e il suo contorno. C’è la vita e la morte. Temi risolti a colpi di aforismi. Drammaturgia del profondismo. Trucco, effetto scenico anche questo. L’illusione di godere di qualcosa di serio e importante e il sollievo di essersi sbagliati (chi vorrebbe essere considerato importante al giorno d’oggi fino al punto da essere preso sul serio?) La critica storce il naso? Lui allarga la platea del suo cinema, continuando a vendergli l’Opera al prezzo di un concerto da stadio. Con Luca Bigazzi continua a costruire cattedrali nel deserto: architetture visive esteriormente ricche, iper-barocche, dentro vuote. Manierismo fatto stile, che non smette di cercare la stupefazione, la performance. Movimento e fluidità, consonanza e rottura: tutto è tempo musicale, ritmica della messa in scena, persino l’immagine delle mucche nei campi. Il cinema di Sorrentino è un’infiammazione estetica, un gioco al bello e al brutto con tifo da ultrà. Tra chi ammira la Matrioska e chi vi guarda dentro. Resta dannatamente divertente. Lo stupore ha bisogno dell’ironia per distruggere ciò che l’altro crea. Perché esploda la bolla di bellezza diventata troppo grande. Ricordate? Di bellezza si può morire. Parossismo e vanificazione. Fellini soffiato via da Peter Sellers e preso a calci da Monicelli, il regista che si lancia dal balcone. Capita anche qui. Persino una boutade può essere vera. GIANLUCA ARNONE Caine ricorda Gambardella, Keitel Sorrentino giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 65 i film del mese È ARRIVATA MIA FIGLIA! La miglior commedia all’italiana dell’anno è questo film brasiliano: fatevi sotto! In sala Regia Anna Muylaert Con Regina Casé, Camila Márdila Genere Commedia (110’) LA MIGLIORE COMMEDIA all’italiana degli ultimi mesi è un film brasiliano, È arrivata mia figlia!, scritto e diretto da Anna Muylaert, interpretato dalla star nazionale Regina Casé. Come per i nostri insuperati antenati, la ricetta è semplice quanto preziosa: la Muylaert ha il dono del paradigma, ovvero estrae da una storia particolare lo stato dell’arte di una società intera, di un Paese colto nel suo difficile rifarsi. Se più di qualche anno fa bisognava mollare il proprio figlio per lavare le scale dei padroni a centinaia di chilometri di distanza, oggi si può studiare e tenerlo con sé, perché qualcuno lo curerà al tuo posto: Ordem e Progresso, direbbe la 66 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 bandiera. La regista la onora senza indorare la pillola, piuttosto drappeggiando le difficoltà del percorso: la portabandiera è Val (Casé, super), governante a tempo pieno presso un’agiata coppia paulista, di cui ha cresciuto il figlio Fabinho (Michel Joelsas). L’arrivo della propria figlia Jéssica (Camila Márdila, che freschezza!), che deve sostenere un test d’ingresso all’università, sconvolge la vita di Val e dei suoi datori di lavoro, perché in casa non è arrivata solo un’indomita ragazzina, ma l’emancipazione, e la libertà… È il Brasile qui e ora, che nell’espansivo, e non endemico, divario tra ricchi e poveri tiene la mano alla classe media, quella che dal proletariato prova ad affacciarsi sui libri e un futuro migliore: stiamo con Val e Jéssica, bella e brava tanto da essere “scambiata” per un ratto che inquina l’acqua della piscina... Ma il futuro è con lei, il presente lotta di classe al femminile: misura, sapore, senso del ritmo e occhio lungo sulle dinamiche socioeconomiche, sul quadrato c’è anche la Muylaert, perché è arrivata mia figlia, ci si augura, lo possa dire il Brasile intero. Da godere in famiglia e, se ne conoscete uno, con lo sceneggiatore di turno del nostro cinemino: c’è tanto da imparare da questa commedia all’italiana, da questa saudade per il bel tempo italico che fu. Provare per credere. E sperare. FEDERICO PONTIGGIA Ordem e progresso, Anna Muylaert sventola la bandiera PITCH PERFECT 2 Poche idee, ma buone: funziona il sequel della Banks ancora meravigliosa oltretutto, che ha capito che una donna dev’essere padrona del suo destino da quelle parti. Quindi prima produttrice, e adesso anche regista di Pitch Perfect 2, che funziona meno del primo episodio, perché manca la novità, ha una sceneggiatura farraginosa, episodica, con delle inutili lungaggini. Ma fa ridere, tanto, e la musica è piacevole, anche se le performance sono meno efficaci, c’è da dirlo, a causa di una regia e un montaggio molto più statici. In compenso Anna Kendrick ha dei siparietti irresistibili, Rebel Wilson è strabordante, ma la cosa migliore sono i duetti dei commentatori, John Michael Higgins e la stessa Banks. Irresistibili e corrosivi, meriterebbero uno spin off. E non perdete i titoli di coda. ALESSANDRO DE SIMONE MAGARI SI RISCHIA di essere banali o fraintesi, ma il Girl Power della mini saga di Pitch Perfect (e visto il successo c’è da aspettarsi un terzo episodio) è molto piacevole. Un bel gruppo di ragazze che affronta bene la commedia musicale, viaggiando sulla lama del rasoio di una comicità che resta sempre quel giusto passo indietro al pecoreccio, diretto da un’attrice che ha fatto bene i conti con la sua bellezza a Hollywood. Brava Elizabeth Banks, In sala Regia Elizabeth Banks Con Anna Kendrick, Rebel Wilson Genere Musicale (115’) LE REGOLE DEL CAOS Passioni fioriscono nei giardini di Versailles. Con esiti alterni In sala Regia Alan Rickman Con Kate Winslet, Helen McCrory Genere Drammatico (112’) PER UNA VOLTA, un titolo italiano non fuorvia lo spettatore: rispetto all’originale A Little Chaos (Un po’ di caos), la versione nostrana mette in luce il cuore del secondo film di Alan Rickman, a 17 anni da L’ospite d’inverno. Da una parte la formalità, il protocollo e il rispetto delle norme sociali e di corte, dall’altra la follia nel senso passionale e nel senso sociale del termine. Nel raccontare la storia della costruzione del giardino della reggia di Versailles e del rapporto tra il progettista Le Notre, la giardiniera De Barra e re Luigi XIV, Rickman – su sceneggiatura di Alison Deegan e Jeremy Brock – non si limita solo alla dicotomia tra formalità e trasgressione in chiave di racconto, ma cerca di inserirla anche nella messinscena, provando a far irrompere nell’accademismo britannico del cinema in costume una brezza di imprevisto, toni più sporchi, scelte di regia più bizzarre. Ci riesce solo a metà, appesantendo il ritmo mano a mano e perdendo la rotta verso il finale, superfluamente tragico. Ma sono difetti che si possono sopportare, soprattutto alla luce del brio che qua e là filtra e della prova degli attori, soprattutto delle attrici: una Kate Winslet di alto livello e una sorprendente Helen McCrory (Madame Le Notre). EMANUELE RAUCO giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 67 i film del mese WOLF CREEK 2 Nuovo capitolo che supera per tensione il precedente: deboli di stomaco astenersi In sala Regia Greg McLean Con John Jarratt, Ryan Corr Genere Horror (107’) RITROVIAMO Mick Taylor (John Jarratt) dove l’avevamo lasciato. A bordo del suo furgone mezzo scassato, lo psicopatico corre lungo l’outback australiano pronto a lasciarsi dietro un’interminabile scia di sangue. Il cacciatore di turisti non è pago, e non lo è nemmeno il talentuoso Greg McLean che ne riprende le esecuzioni, nel sequel del suo fortunatissimo Wolf Creek. Ispirato alle gesta efferate di Ivan Milat, questo numero due supera per virtuosismo, tensione e raccapriccio il precedente, regalando ai fan dell’horror una vera e propria delizia, indigesta d’altra parte per i deboli di stomaco. Punto di forza dell’operazione è ancora una volta l’efficace lavoro sugli elementi 68 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 atipici del genere, come l’uso intelligente degli spazi aperti, dell’esterno giorno e dei piani lunghissimi, a conferma di come si possa costruire una buona suspense senza porte che cigolano, stretti corridoi e buie location. Inedita anche la cura dei caratteri, assassino in primis: mente totalmente deviata ma ricca di sfaccettature, Mick Taylor è un cacciatore abile, un predatore spietato, un nazionalista convinto, un bifolco senza speranza, un astuto criminale, un uomo a suo modo serafico, lucido, intelligente. Sospettiamo che se non passasse il suo tempo a maciullare giovani e ignari visitatori, potrebbe persino essere utile alla civiltà. Ed è in fondo questo rompicapo psichiatrico a renderlo così inquietante e così interessante. Dal canto suo McLean non lesina sorprese, non si perde in chiacchiere, non sa cos’è il politicamente corretto. Costruito su una struttura a grappolo, senza veri protagonisti, dove ogni personaggio trascina nella rovina il successivo, questo film è ostentatamente forma e inequivocabilmente sostanza. Spettacolo e realismo. Per quanto arraffi prestiti (Duel) e sciorini omaggi (Hostel), possiede una personalità tutta sua. Qualcosa tra l’estetico e il ributtante, il quotidiano e l’inaudito. Sconcertante e contraddittorio, come solo può essere l’anima dei mostri. Mostri veri, figli di questo mondo. GIANLUCA ARNONE Sorprende l’efficace lavoro sugli elementi atipici dell’horror i film del mese preview a cura di Manuela Pinetti TERMINATOR GENISYS PAN PIXELS 3D TERMINATOR (Arnold Schwarzenegger) è tornato, ma tutto quel che ricordate della tetralogia scifi girata tra il 1984 e il 2009 si è ora svolto in maniera differente, grazie a questo reboot che riscrive eventi e personaggi attraverso nuovi viaggi nel tempo e che fonda anche l’inizio di una nuova trilogia. Alla regia c’è Alan Taylor (I Soprano, Mad Men, Homicide), alla sceneggiatura – anche - James Cameron. PRIMA DI ESSERE l’eroico ed eterno bambino che conosciamo, Peter Pan viveva in un orfanotrofio. Una notte è rapito dal pirata Barbanera e condotto sull’Isola che non c’è, un luogo magico dove il piccolo Peter affronterà molti pericoli ma troverà anche il divertimento, e farà ovviamente conoscenza con un giovane Capitan Uncino. Sesto lungometraggio per Joe Wright, già regista di Espiazione e Anna Karenina. CHI DICE che i videogiochi degli anni ottanta fossero meno violenti di quelli di oggi sarà costretto a ricredersi. In Pixels 3D la Terra viene attaccata da Pac-Man, Donkey Kong et similia: gli alieni hanno scambiato una capsula del tempo inviata nello spazio nel 1982, e contenente frammenti di videogiochi arcade, per una dichiarazione di guerra. Ispirato all’omonimo cortometraggio francese del 2010. Regia Alan Taylor Con A. Schwarzenegger, E. Clarke Regia Joe Wright Con Hugh Jackman, Levi Miller Regia Chris Columbus Con Adam Sandler, Kevin James ANT-MAN MISSION: IMPOSSIBLE MINIONS ROGUE NATION SCOTT LANG (Paul Rudd) è un ladro che entra in possesso di una sostanza che gli consente di rimpicciolirsi fino alle dimensioni di una formica, aumentando allo stesso tempo la propria forza fisica. Proteggere il segreto di questa straordinaria tecnologia, aiutare il suo mentore Hank Pym (Michael Douglas) e trasformarsi in un supereroe sarà per Scott un’unica cosa. Ant-Man è il dodicesimo film del Marvel Cinematic Universe. TOM CRUISE torna per la quinta volta ad interpretare l’agente della IMF Ethan Hunt. Stavolta il nemico da sconfiggere è un’organizzazione di assassini che vuole distruggere proprio l’IMF, e per annientarla sarà necessario un meticoloso lavoro di squadra. Il film è stato girato, come i precedenti quattro della serie, in varie location sparse per il mondo, tra cui Marrakech, Londra e Vienna. Regia Peyton Reed Con Paul Rudd, Michael Douglas Regia Christopher McQuarrie Con Tom Cruise, Jeremy Renner I PICCOLI SERVITORI di cattivi vivono ritirati in Antartide – ma sono pronti a tornare – dopo aver combinato pasticci su pasticci ai loro temibili padroni, tra cui faraoni dell’antico Egitto e un inedito Napoleone Bonaparte. Ma pure coi tirannosauri non era andata granché bene. Eh sì, perché i Minions esistono dall’alba dei tempi, guadagnandosi questo spin off dei due lungometraggi d’animazione Cattivissimo Me. Regia Pierre Coffin, Kyle Balda Con le voci di Sandra Bullock, Jon Hamm giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 69 Dvd /// Blu-ray /// SerieTv /// Borsa del cinema /// Libri /// Colonne sonore TELE A CURA DI VALERIO SAMMARCO DA NON PERDERE Birdman e Cobain. Poi Julianne Moore da Oscar in Still Alice IN QUESTO NUMERO Conversazioni con Orson Welles, il noir francese, La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock FARGO La serie In Dvd la stagione completa La classe dei classici Colin Firth tra le spie Edizioni anniversario Social Surfing Se il sound è Fury 73 74 75 79 82 TELECOMANDO /// Dvd e Blu-ray ///-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Birdman Finalmente il capolavoro di Iñárritu. Approfondimenti negli extra È stato tra i titoli più acclamati della stagione, Birdman di Alejandro G. Iñárritu. Accolto molto favorevolmente in apertura allo scorso Festival di Venezia e trionfatore agli Oscar (4 statuette, tra cui miglior film e miglior regia), il film – dall’11 giugno in Blu-ray e Dvd (extra: approfondimenti e chiacchierata con regista e attore protagonista) – segue da vicino Riggan Thomson (Michael Keaton): stella del cinema tramontata – fino agli inizi dei ’90 iconico supereroe dietro il costume di Birdman -, oggi, a 60 anni suonati, l’attore tenta di ricostruirsi un’immagine partendo da un testo di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. L’esordio a Broadway si avvicina, ma l’impresa 72 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 è ardua: alle continue discussioni con l’amico, produttore, avvocato (Zach Galifianakis) si aggiunge la difficile gestione del nuovo arrivato Mike (Edward Norton), attore talentuoso ma uomo impossibile, per non parlare del rapporto conflittuale con la figlia Sam (Emma Stone) e della difficile relazione con la collega di palco Laura (Andrea Riseborough). Oltretutto, c’è qualcuno da cui Riggan proprio non riesce a liberarsi: Birdman, il suo alter ego, che non smette un secondo di incitarlo a mollare tutto e ritornare a “volare”. Straordinario, anche e soprattutto grazie alla fotografia di Emmanuel Lubezki. DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Laclasse deiclassici a cura di Bruno Fornara Donne e veleni Douglas Sirk, futuro maestro di melodrammi, si cimenta in un bel noir matrimoniale e casalingo. Inizio sconcertante: la ricca e disorientata signora Alison (Colbert) si sveglia nella cuccetta di un treno che va a Boston, si spaventa, non sa come sia finita lì, si era addormentata nel suo letto a New York. Nella borsetta ha la pistola del marito (Ameche) che la aspetta a casa, è ferito a un braccio e vuole farla visitare da uno psichiatra: dice che è stata lei, la sera prima, a sparargli. Entrano in scena Daphne, un falso psichiatra che arriva sparisce riappare sparisce di nuovo come è già sparito il maggiordomo, lo psichiatra vero, una Barby sciocchina, un matrimonio a Chinatown, un braccialetto di smeraldi, il ponte di Brooklyn, anche lo “ngape” (cos’è?) e una “giungla” in casa, una chiave galeotta persa davanti alla porta, la pagina comica del Times. C’è la cupidigia in due battute. Lui (chi?): “Quando siamo insieme abbiamo tutto”. Lei (chi?): “Abbiamo molto ma non tutto”. Comunque sia, nel film c’è tanto. Di Douglas Sirk Con Claudette Colbert, Don Ameche Genere Noir (Usa, 1948) Distr. CG Home Video giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 73 TELECOMANDO /// Dvd & Blu-ray ///-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Cobain Mommy Un anno dopo il trionfo a Cannes (dove si aggiudicò il premio della Giuria ex aequo con Godard) arriva in homevideo Mommy di Xavier Dolan, con interviste, scene tagliate e materiali video dal Festival negli extra. Interpretato da una straordinaria Anne Dorval, il film del genietto canadese segue da vicino questo rapporto sui generis tra un adolescente problematico e sua madre, “costretta” a riprenderselo dopo l’ennesimo incidente da lui causato nell’istituto psichiatrico che lo “ospita”. Affetto da una sindrome di deficit dell’attenzione, Steve irromperà in maniera devastante nella sua vita. Montage of Heck DISTR. CG HOME VIDEO Kingsman Un’organizzazione super segreta recluta un semplice ma promettente ragazzo di strada nell’ultra competitivo programma di addestramento dell’agenzia, proprio nel momento in cui una terribile minaccia arriva da un singolare genio della tecnologia. Matthew Vaughn dirige Colin Firth, Michael Caine e Samuel L. Jackson in questo adrenalinico e divertente action. In Blu-ray e Dvd dal 18 giugno, con “Kingsman: Secret Service esce allo scoperto”, featurette di 90 minuti che permette di approfondire al meglio l’iconico stile del film, i combattimenti, i gadget e molto altro nei contenuti speciali. DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E. 74 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 D opo l’uscita evento di fine aprile, arriva in homevideo (Blu-ray e Dvd, dal 10 giugno) l’atteso documentario sul leader dei Nirvana, Kurt Cobain. Diretto da Brett Morgen, che ha iniziato a lavorarci nel 2007, è il primo doc realizzato in collaborazione con la famiglia Cobain che ha permesso al team di accedere ai propri archivi personali: filmati casalinghi inediti, registrazioni, disegni, fotografie, pagine di diario, demo, ricordi personali, di famiglia e testi di canzoni. “Cobain poteva essere sincero ed emoti- vo, ma anche ironico e sarcastico. Era dolce e amaro ed era anche incredibilmente spiritoso. Il film dovrà riflettere il suo spirito”. Missione (quasi) compiuta, al netto di una durata forse eccessiva (132’): qui e là manca qualche brano fondamentale, ma il senso dell’operazione era quello di portare alla ribalta soprattutto il background di Cobain, iniziando dai difficili anni d’infanzia. Comunque da vedere, Come as you are… DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Fargo - La serie La prima stagione completa, ricca di extra Hungry Hearts Viviane Purtroppo senza extra, arriva in homevideo dal 25 giugno Hungry Hearts di Saverio Costanzo, già apprezzato alla scorsa Mostra di Venezia, dove venne premiato per la doppia interpretazione di Alba Rohrwacher e Adam Driver. Tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso, il film racconta la storia di un amore, quello tra l’italiana Mina e l’americano Jude, messo a dura prova dall’arrivo di un bebè. Mina si convince che il suo sarà un bambino “speciale”: deve essere protetto dall’inquinamento del mondo esterno. Ma svezzarlo secondo le sue convinzioni sarà pericoloso… Dall’amore all’orrore, il passo è più breve di quanto si possa credere. Terzo film di una trilogia sulle relazioni di coppia e familiari realizzata dai cineasti israeliani Ronit e Shlomi Elkabetz, sorella e fratello, Viviane arriva in Dvd (dal 4 giugno). L’occasione è buona per recuperare questa nuova pagina importante del cinema israeliano: il film racconta il calvario giuridico di Viviane, che per divorziare dal marito ha bisogno del consenso di quest’ultimo davanti alla Corte rabbinica. Insieme al suo avvocato, la donna deve affrontare una lunga lotta per la sua libertà: combattere l’atteggiamento ottuso del marito, ascoltare i testimoni chiamati a deporre e scontrarsi con procedure assurde ed incomprensibili. DISTR. 01 DISTRIBUTION Dopo aver vinto due Golden Globes e tre Emmy Awards, Fargo – La serie è finalmente disponibile in Dvd dall’11 giugno. Ideata da Noah Hawley, non è la trasposizione televisiva in dieci episodi della pellicola omonima bensì un’opera originale che mantiene lo spirito e le atmosfere surreali tipiche dei fratelli Coen. Definita black dramedy, cioè un mix tra drama e black comedy, la serie offre ai telespettatori un cocktail perfetto di suspense, humour e satira esilarante. Ambientata nel 2006 nel freddo Minnesota, precisamente nelle cittadine di Bemidji e Duluth, Fargo – La serie racconta la storia di Lorne Malvo, un violento assassino che trascina un sempliciotto assicuratore senza successo in un suo piano criminale. Ad indagare sulle malefatte dei due individui l’intraprendente e brillante agente di polizia Molly Solverson. Interpretata da Billy Bob Thornton, Martin Freeman, Allison Tolman e Colin Hanks (il figlio di Tom), la serie è arricchita da numerosi contenuti speciali, per scoprire i segreti del dietro le quinte di una delle produzioni più apprezzate degli ultimi anni. DISTR. 20TH CENTURY FOX HOME ENTERTAINMENT DISTR. MUSTANG ANNIVERSARI GRANDI TITOLI PER COMPLEANNI SPECIALI Edizioni da non perdere Da Casinò di Martin Scorsese allo Squalo di Steven Spielberg Per festeggiare il compleanno di titoli che hanno fatto la storia, Universal distribuisce dal 10 giugno in “Edizione Anniversario” e in Blu-ray Apollo 13 di Ron Howard (20° anniversario), Il gladiatore di Ridley Scott (15° anniversario), Casinò di Martin Scorsese (20° anniversario) e Lo squalo di Steven Spielberg (40° anniversario). Tutti e quattro, naturalmente, impreziositi da numerosi extra: Apollo 13 (Lost Moon: il trionfo di Apollo 13; Conquistando lo spazio: La Luna e dintorni; I fortunati 13: la storia degli astronauti; commento al film del regista Ron Howard e Jim e Marilyn Lovell); Il gladiatore (Commento al film del regista Ridley Scott, dell’editor Pietro Scalia e di Russell Crowe; Introduzione al film di Ridley Scott); Casinò (Commento al film di Martin Scorsese, Sharon Stone, Nicholas Pileggi ed altri; Scene eliminate; La Storia vive: gli autori dei veri crimini); Lo squalo (Scene eliminate e dietro le quinte; Il Making of; Lo squalo continua a lavorare: la leggenda dello squalo; Dal set; Gli archivi de Lo squalo). DISTR. UNIVERSAL PICTURES H. E. Still Alice Il film che è valso l’Oscar a Julianne Moore, disponibile in Dvd dal 4 giugno, con interviste ai registi e al cast negli extra. Tratto dal romanzo Still Alice. Perdersi della neuropsichiatra Lisa Genova, il film – diretto da Richard Glatzer (deceduto lo scorso marzo) e Wash Westmoreland – racconta la vita di Alice Howland, madre moglie e insegnante alla Columbia University alla quale, dopo alcuni episodi preoccupanti, viene diagnosticata una rara e precoce forma di Alzheimer. La vita di Alice, da quel momento, sarà improntata a combattere per salvare, quanto possibile, il ricordo di ciò che è stata e che è ancora. Nel cast anche Alec Baldwin e Kristen Stewart. DISTR. CG/GOOD FILM giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 75 TELECOMANDO /// Il futuro è oggi ///----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- N on solo la sala, non solo – non più – Blu-ray e Dvd. Il concetto di “home cinema” è ormai On Demand. Sky offre la possibilità di scegliere tra ben 1000 titoli, dagli action più spettacolari (come Transformers 4 – L’era dell’estinzione o Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie) ai family-movie come Maleficent e Dragon Trainer 2, fino ai cult d’autore come la “Trilogia” del Padrino di Francis Ford Coppola. Un’intera videoteca sempre a disposizione, gratis per gli abbonati Sky, che possono collegare il decoder My Sky a Internet e attivare Sky On Demand. Look at 1000 film on demand. Quando 76 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- the Sky e come vuoi, a casa tua giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 77 TELECOMANDO /// Borsa del cinema ///----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- TROPPE OPERE, POCHI INVESTIMENTI Auspicabile la realizzazione di un numero più contenuto di titoli, ma più ricchi finanziariamente e più strutturati nelle sceneggiature di Franco Montini L’ intervento diretto dello Stato a sostegno della produzione cinematografica continua a diminuire. Nel 2014, come rilevato nella ricerca Tutti i numeri del cinema italiano, annuale report a cura del Ministero dei Beni Culturali e dell’Anica, le risorse pubbliche messe a disposizione del settore hanno rappresentato poco più del 5% dell’investimento complessivo nella produzione. Tuttavia i film sostenuti, in quanto riconosciuti di interesse culturale nazionale o in quanto opere prime, sono stati più di ottanta. Esattamente 40 nel primo gruppo, con un investimento complessivo di 13,5 milioni di euro, cui si aggiungono 42 esordi per un ammontare di 6,75 milioni di euro. Il contributo medio per i film di interesse culturale è stato di 337mila euro e di poco più di 160 mila per le opere prime. Insomma il sostegno pubblico ad ogni singolo film, a causa di risorse sempre più esigue e del gran numero dei titoli finanziati, sta diventando sempre più modesto. Poiché in una situazione di generale crisi economica, non sembra ipotizzabile un aumento delle risorse pubbliche finalizzate al sostegno della produzione di film, diventa inevitabile selezionare con maggior rigore i titoli da finanziare, così da aiutare in maniera più sostanziosa i progetti realmente meritevoli. Nel 2014, come si ricava dalla già citata ricer- 78 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 Solo 80 produzioni su 200 hanno potuto contare su una vera distribuzione ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Surfing @marco_spagnoli Risveglio di primavera ca, in Italia si sono realizzati 201 film, 34 in più dell’anno precedente, ma l’investimento complessivo è diminuito, passando da 335 milioni a 323. In altre parole il budget con cui i film si producono si va riducendo, ma il fenomeno non è solo conseguenza della rivoluzione tecnologica esplosa con l’arrivo del digitale. Ben 69 film realizzati lo scorso anno hanno potuto contare su risorse inferiori a 200mila euro. Insomma in Italia si producono una pletora di film deboli, che in molti casi non riescono neppure ad approdare in sala o che in ogni caso sono condannati ad una programmazione più aleatoria che reale. Solo un’ottantina dei titoli realizzati lo scorso anno ha potuto contare su una vera distribuzione. Il fatto che il costo medio dei film italiani sia sempre più basso ha provocato un abbassamento della quota di mercato della produzione nazionale, non a caso, scesa nel 2014 al 27,2%, contro il 30,5 dell’anno precedente. È infatti dimostrato che i risultati al box office sono allineati alla linea dei costi: più i film costano, più incassano. Più si abbassa il costo di produzione più si abbassa l’incasso. Inoltre se può accadere che film costosi totalizzino meno del previsto, è di fatto impossibile, a causa della struttura del nostro mercato nazionale, che film poveri possano incassare cifre considerevoli. Inoltre per competere a livello internazionale è necessaria una certa potenza produttiva ed è proprio l’abbassamento del costo medio una delle ragioni della progressiva scomparsa della produzione italiana dai mercati stranieri, proprio mentre, grazie alle nuove norme in tema di tax credit, il cinema internazionale, e le grandi produzioni americane in particolare, sono tornate a girare nel nostro paese. In definitiva 200 film in un mercato, come quello italiano, bloccato da anni attorno ai 100 milioni di biglietti, rappresentano un numero assolutamente eccessivo. Sarebbe auspicabile la realizzazione di un numero più contenuto di titoli, ma più ricchi finanziariamente e più strutturati nelle sceneggiature. Sono bastati due trailer: lanciato il guanto di sfida Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder a stagione di presentazione dei pilot delle nuove serie americane coincide con quella dell’inizio dei grandi Festival e per i fan “twittatori seriali”, ma anche per gli addetti ai lavori più social, è il momento del cosiddetto ‘risveglio di primavera’. Dopo un inverno trascorso a commentare serie televisive al calduccio del focolare illuminato dal binge watching e della stagione dei premi ‘al coperto’ come Golden Globe, Oscar, Bafta ed Emmy, ecco il momento di uscire fuori sui tappeti rossi estivi ‘dandoci giù’ con abiti, film e casting delle nuove produzioni. Un momento in cui sulla piazza social del villaggio globale brilla il sole della primavera televisiva con volti abbronzati e nuove storie pronte per essere consumate prima della L tradizionale abbuffata di pettegolezzi estivi. Eppure il valore di queste discussioni sta diventando sempre meno lezioso e più rilevante di quello che si pensa: con i grandi budget allocati sui Social Media più che sulla stampa tradizionale, gli Studios guardano e analizzano con una certa attenzione i post e i like sulle varie piattaforme, perché quelle affermazioni più o meno fondate ed esagerate provengono dai loro consumatori. Il recente lancio dei trailer di Batman v Superman e Star Wars – Il risveglio della forza ha dato vita ad una vera e propria competizione stile Coppi–Bartali con un’analisi di costi, benefici e ricavi che dal mondo theatrical o dell’home entertainment investe anche quello del cosiddetto retail, ovvero negozi, in particolare di giocattoli, che possono quantificare in maniera abbastanza concreta i cosiddetti ‘mood’ e ‘buzz’ sulle produzioni che investono nelle franchise principali: basti pensare che Star Wars è tornata ad essere in meno di un anno una delle più apprezzate serie cinematografiche della storia del cinema, mentre solo qualche anno fa, per colpa della nuova trilogia, era scivolata molto in basso nella classifica generale di gradimento. In un mercato guidato dai consumatori, il pubblico è al centro dell’attenzione di tutti e ancora una volta i Social sono la chiave per interpretarne sogni e desideri. La domanda, però, resta? Il pubblico sa davvero quello che vuole e i Social costituiscono davvero un ‘vangelo’ laico per interpretarne il pensiero? giugno 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 79 /// Libri ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ TELECOMANDO L’infernale Orson Peter Biskind (a cura di) A pranzo con Orson. Conversazioni tra Henry Jaglom e Orson Welles Tra una forchettata e l’altra, Welles demolisce senza pietà tanti miti (Allen è “ripugnante”, Brando “salsiccione”, Chaplin “cretino”, Bogart “vigliacco”, Hitchcock “pigro megalomane”, Hoffman, Pacino e De Niro “nani etnici con la faccia strana”), ma ne loda altri: John Ford, Buster Keaton, Erich von Stroheim, Howard Hawks, Frank Capra, Jean Renoir, Gary Cooper e Alida Valli. Grazie alle conversazioni registrate a tavola, Jaglom non solo ci consegna un autoritratto involontario di Welles (“Non dirgli la verità su di me, Henry. Non la vogliono sapere. Lasciagli le loro fantasie”) e, insieme, la storia politicamente scorretta di Hollywood, ma uno dei libri sul cinema più feroci, cinici e divertenti dell’anno. (Adelphi, Pagg. 340, € 26,00) Come in uno specchio A tu per tu con Welles. La storia segreta e politicamente scorretta di Hollywood ANGELA BOSETTO Giù la Coppola Fabio Zanello (a cura di) Francis Ford Coppola: il romanticismo pre-digitale Edita da Historica col pratico formato “alla Castoro”, questa raccolta di saggi ripercorre l’intera carriera di uno degli indiscussi geni cinematografici del secondo dopoguerra del secolo scorso, e di un regista tutt’altro che arreso 80 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 all’avvento del nuovo millennio (e all’ascesa della figlia Sofia...). La cinematografia dell’“artigiano predigitale” Francis Ford Coppola, da Dementia 13 passando per The Conversation, Apocalypse Now, la trilogia del Padrino, i bellissimi e sfortunati anni ‘80 di One from the Heart e Tucker fino agli ultimi titoli, quasi sperimentali, è sviscerata nella sua interezza in 18 saggi affidati a 17 giovani critici più Zanello, che cura anche biografia e filmografia del regista italoamericano (coadiuvato da Arianna Pagliara). (Historica, pagg. 212, € 18,00) GIANLUIGI CECCARELLI InterNolan Massimo Zanichelli Christopher Nolan. Il tempo, la maschera, il labirinto L’ambiziosissimo Interstellar ha portato la fama autoriale di Nolan a livelli tali che ormai sembra quasi impossibile discuterne in modo pacato, senza venire attaccati da chi lo reputa un dio o da chi lo odia alla follia. Ma sino a che punto costoro (fan e detrattori) conoscono davvero il suo cinema, senza limitarsi alla mera componente stilistica e ai rompicapi narrativi? Zanichelli va oltre il luogo comune del “Nolan freddo e cerebrale”, per esplorarne le ossessioni che pulsano sotto la superficie glacialmente impeccabile delle pellicole e per capire come le emozioni si fondano con l’illusoria geometria della messa in scena. Da qualunque lato della barricata stiate, vi conviene leggerlo. Pure di più se vi trovate nel mezzo. (Bietti, Pagg. 290, € 20,00) ANGELA BOSETTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Orson Welles e Rita Hayworth in La signora di Shanghai gli esordi la critica li bolla come cialtroni, il pubblico affolla le sale. Gordiano Lupi, per il primo libro della sua collana “La Cineteca di Caino”, sceglie di raccontare proprio i due attori-autori figli dell’avanspettacolo e della sicilianità, maschere comiche dotate di ironia popolare e comicità intrisa di lotta antiborghese, costruita su improvvisazione e talento attoriale. Una scelta importante, capace di sottolineare come a volte il teatro di strada riesca a conquistare la scena e trasformarsi in un cinema “fatto con il cuore”, quindi da non dimenticare. (Il Foglio, pagg. 526, € 18,00) CHIARA SUPPLIZI Nero alla francese Denitza Bantcheva, Roberto Chiesi Il cinema noir francese. Mitologia, figure, autori Due come noi Gordiano Lupi Soprassediamo! Franco & Ciccio Story. Il cinema comicoparossistico di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia Chi sono Franco e Ciccio? Con i loro film hanno certamente avuto il (de)merito di sconvolgere gli schemi e trasformare radicalmente significato e costrutto della parodia, costituendo un unicum nel panorama italiano. Mentre fin da- Partendo dal presupposto secondo cui, più che un genere vero e proprio, il noir (a differenza del polar, ossia del poliziesco d’oltralpe) “è un connotato essenziale della fisionomia del cinema francese”, che gli autori trattano e raccontano in modo assai diverso rispetto ai colleghi americani, il volume ne propone un’ampia panoramica, riccamente illustrata, che da una parte ripercorre la mitologia stessa del noir, attraverso l’origine letteraria e i personaggi tipici (criminali, poliziotti, donne fatali e persone comuni giunte al punto di non ritorno), e dall’altra ne analizza la componente stilistico-tematica, riflettendo sia sulle sue contaminazioni, sia sui suoi tratti tipici: l’estetica, i luoghi, la solitudine. (Gremese, Pagg. 160, € 19,50) ANGELA BOSETTO Gattopardo Più bella “cosa” non c’è Imperdibile saggio sugli oggettiicona della settima arte di Chiara Supplizi L’accendino in Delitto per delitto (L’altro uomo) di Alfred Hitchcock Il cinema incanta e racconta storie trasportandoci in un mondo-altro, facendoci appassionare alle sue storie e identificare nei suoi personaggi. I film sono innanzitutto luoghi magici, territori del sogno “arredati” da oggetti quotidiani, sottratti miracolosamente all’oblio e al degrado, capaci di entrare a vario titolo nelle storie narrate. Che siano relegati sullo sfondo o inquadrati in primo piano, elementi del mondo naturale o manufatti, abbandonano il loro statuto di oggetti per diventare cose, assumere un ruolo nell’universo filmico e nella formazione dell’immaginario cinematografico. Antonio Costa, prendendo le mosse dall’intuizione godardiana contenuta nelle Histoire(s) du cinéma, dedica questo saggio agli oggetti-icona su cui gli spettatori proiettano affetti, concetti, simboli e significati profondi. Se la scacchiera che appare in Provaci ancora Sam ripropone ai più attenti lo stesso schema di quella di Casablanca; se accendini, borsette, bicchieri, file di bottiglie e occhiali/maschera, sottratti al pathos della narrazione, detengono il primato nei nostri ricordi hitchcockiani; e se alcuni oggetti nel cinema di Jane Campion sembrano come presentati agli occhi dello La mela di spettatore in un tempo sospeso, Cézanne e l’accendino di intrappolati prima di scivolare via, la Hitchcock sfida del cinefilo è certamente scoprirvi all’interno un mondo nascosto da esplorare dal punto di vista narrativo, plastico e simbolico. TELECOMANDO /// Colonne sonore ///-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- POLTERGEIST Un remake per catturare lo spirito che fu, compreso quello dello spartito demoniaco di Jerry Goldsmith (1982). L’ardua missione tocca a Marc Streitenfeld, che non demorde e firma il suo migliore score da Prometheus (2012). Curiosità, anche Prometheus è un sequel e l’originario Alien (1979) fu musicato sempre da Goldsmith. Se la maggioranza dei pezzi sono orchestrali, le voci qui vengono filtrate da un Mellotron nella direzione di “house sounds” piuttosto che della tradizionale orchestrazione. Un orrorifico effetto vintage: esame superato. F.P. IL “PREZZO” DEL SUCCESSO QUELLO DI FURY non sembra lo score di un film di guerra, e un primo ascolto può lasciare spiazzati. Ma occhio al compositore: Steven Price ha attirato enorme attenzione su di sé per la splendida colonna sonora di Gravity (ben oltre il sound design per cui era stato inizialmente ingaggiato). E l’operazione esula da genere e ambientazione, per riproporsi sostanzialmente identica. A Price interessa l’ansia da claustrofobia, il terrore che incombe dall’esterno all’(angusto) interno: se in Gravity la commistione tra immagini e musica creava un’irrazionale “claustrofobia spaziale”, qui il pericolo è tangibile, come pure il rifugio, fragile e robusto insieme (il carrarmato dei protagonisti). Nondimeno, le tecniche per evocare ansia restano le medesime di Gravity: l’utilizzo straniante dell’elettronica, come pure dei campionamenti, che in loop ripropongono suoni e rumori diegetici, è presente sin dall’iniziale, superba April, 1945. Price usa l’effettistica per andare dal generale (un contesto di caos bellico, come in Still in This Fight) alla solitudine interiore del singolo, passando dall’orchestra al piano solo, dal coro austero in background alla limpida voce femminile in primo piano (Refugees), fino al lirismo più puro (The Apartment), in attesa di una nuova esplosione di furia bellica. GIANLUIGI CECCARELLI 82 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo giugno 2015 PIAZZA VITTORIO! Ispirata alle commedie italiane ‘50-‘60, una colonna jazz, blues e etnica firmata dall’Orchestra di Piazza Vittorio: la maggior parte delle composizioni sono opera del tunisino Ziad Trabelsi, mentre dall’incontro con Ginevra Di Marco viene la bella F.P. Quando mi baci. ACCIDENTAL LOVE Dimenticate i Counting Crows, dimenticate la loro Accidentally in Love, composta per Shrek 2 (2004). Qui non c’è animazione, e non ci sono loro: il pastiche, meglio, il pasticcio di David O. Russell, che firma la regia con lo pseudonimo di Stephen Greene, punta sul compositore John Swihart, che non è uno di primo pelo ma nemmeno di primo livello, e una tracklist con Etta James (At Last) e La Traviata verdiana (Libiamo, libiamo ne’ lieti calici). Grandi nomi, ma la sostanza non cambia: la colonna sonora è come il film, accidentale, meglio, accidentata. F.P.