AGEVOLAZIONI PRIMA CASA: analisi dei profili

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AGEVOLAZIONI PRIMA CASA: analisi dei profili
AGEVOLAZIONI PRIMA CASA: analisi dei profili fiscali di una
fattispecie particolare di trasferimento immobiliare tra privati
di Alessandra Loiacono
Il governo italiano ha da tempo introdotto una serie di agevolazioni fiscali al fine di
incrementare e favorire l’acquisto di immobili da destinare ad uso abitativo.
I requisiti per accedere alle agevolazioni “prima
casa” sono i seguenti:
a) l’oggetto
dell’acquisto
deve
essere
un’abitazione non “di lusso”
(i criteri per cui un immobile viene considerato
“di lusso” o meno sono individuati dal d.m. 2
agosto 1969, in G.U. 218 del 27/08/1969)
b) l’immobile deve essere ubicato nel territorio
del Comune in cui l’acquirente ha o intende
stabilire la propria residenza entro 18 mesi
dalla stipula dell’atto d’acquisto, o nel Comune
dove l’acquirente svolge la propria attività
lavorativa
(questa condizione non è richiesta per il
personale delle Forze Armate e delle Forze di
Polizia);
c) l’acquirente non deve essere titolare, esclusivo
o in comunione col coniuge, di diritti di
proprietà, usufrutto, uso, abitazione di altra
casa di abitazione nel territorio del Comune in
cui è situato l’immobile da acquistare;
d) l’acquirente non deve essere titolare, neppure
per quote o in comunione legale, su tutto il
territorio nazionale, di diritti di proprietà,
uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà su
altra casa di abitazione acquistata, anche dal
coniuge, usufruendo delle agevolazioni per
l’acquisto della prima casa.
Il requisito della residenza non è richiesto per i
cittadini italiani residenti all’estero (iscritti all’AIRE),
per i quali deve trattarsi solamente di prima casa
posseduta sul territorio italiano, e per coloro che,
residenti in un determinato Comune, acquistino
l’immobile nel diverso Comune in cui svolgono la
principale attività lavorativa.
Le condizioni di cui alle lettere c) e d) e l’impegno a
stabilire la residenza, entro 18 mesi, da parte
dell’acquirente che non risieda nel Comune dove è
situato l’immobile che si acquista, devono essere
attestate con apposita dichiarazione da inserire
nell’atto di acquisto o in uno specifico atto integrativo,
redatto secondo le medesime formalità giuridiche del
precedente, nel caso in cui l’atto di acquisto, per
errore, non le riporti.
In particolare, se la parte
venditrice è un privato non
soggetto
ad
IVA,
l’agevolazione consiste nella
possibilità di versare:
 l’imposta di registro
con aliquota ridotta al 3%
del valore dell’immobile (in
luogo del 7% applicabile in
assenza
delle
citate
agevolazioni)
 le imposte ipotecarie
e catastali in misura fissa
(168 euro ciascuna) in luogo,
rispettivamente, del 2% e
dell’1%
in
assenza
di
agevolazioni.
In questo articolo si intende
analizzare il quadro fiscale
che si viene a creare
nell’ipotesi in cui oggetto
della vendita sia non un
immobile
perfettamente
ultimato nella sua costruzione
(come
evidentemente
presupposto dal d.m. 2 agosto
1969, in G.U. 218 del
27/08/1969) ma un immobile
che,
al
momento
della
vendita, sia ancora in corso di
costruzione
o
di
ristrutturazione.
Ci si chiede, quindi, se le
agevolazioni di cui sopra
valgano allo stesso modo per
l’acquirente di un immobile di
questo
genere
e,
per
contraltare, a quali oneri si trovi esposto il venditore.
Sul punto, in materia di nuova costruzione, si sono più volte espresse sia l’Agenzia delle
Entrate che la Suprema Corte (cfr. circ. 1° marzo 2001 n. 19/E; circ. 12 agosto 2005 n. 38/E e
sentenze ivi menzionate) riconoscendo la spettanza dei benefici per l’acquisto della prima casa
anche agli immobili in corso di costruzione, purché in fieri siano presenti le caratteristiche di
abitazione non di lusso ed osservando come «la legge richiede che oggetto del trasferimento
sia un fabbricato “destinato ad abitazione”, ovverosia strutturalmente concepito per uso
abitativo, e non che lo stesso sia già idoneo a detto uso al momento dell’acquisto» (così Cass.
10 settembre 2004, n. 18300, richiamata dalla circ. n. 38/E).
Per quanto riguarda la differente ipotesi della ristrutturazione, invece, bisogna registrare
che un simile intervento dell’Amministrazione finanziaria manca, pur considerandola, la
Cassazione, fattispecie analoga all’ipotesi della nuova costruzione (sent. 18300 cit.).
Per formulare una soluzione al quesito è, allora, necessario mettere per un attimo da parte il
discorso circa gli incentivi fiscali alla vendita e, allargando l’ambito dell’indagine, cercare
preliminarmente di individuare, sul piano fiscale, come venga considerato l’intervento di
ristrutturazione edilizia.
A tal proposito può citarsi la circ. n. 12 del 1° Marzo 2007 in cui, pur se in tema di Iva,
l’Agenzia delle Entrate molto chiaramente si esprime per la sostanziale identità di disciplina
delle ipotesi di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, differenziando la prima dalla
seconda solo per il preventivo e necessario effettivo “inizio lavori”.
In conclusione, pertanto, anche nel caso di acquisto di un immobile destinato a divenire
“abitativo” a seguito di ristrutturazione e che presenti in fieri le caratteristiche di abitazione
non di lusso, all’acquirente dovrebbero essere concesse le c.d. agevolazioni “prima casa”, sul
presupposto che siano stati rilasciati i relativi permessi edilizi e che i lavori di
ristrutturazione siano effettivamente iniziati.
Venendo ora alla parte venditrice, è da rimarcare che proprio l’effettivo inizio dei lavori, ed il
conseguente accatastamento dell’unità immobiliare in categoria F3 (unità in corso di
costruzione e, vista la precedente argomentazione, si ritiene anche in corso di
ristrutturazione) è suscettibile di comportare, a suo carico, l’emersione di plusvalenze
tassabili.
Come noto, l’art. 67 Tuir assoggetta ad imposta sul reddito le plusvalenze realizzate mediante
cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni,
esclusi quelli acquistati per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte
del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad
abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze
realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione
edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.
Ciò vuol dire che, avendo equiparato il trattamento degli immobili ristrutturati a quello degli
immobili di nuova costruzione, il venditore di immobile in corso di ristrutturazione - si
presuppone, si ripete, che lo stesso sia venduto nel momento in cui venga raggiunto uno stato
di avanzamento effettivo dei lavori tale da configurarlo come diverso rispetto a quello
originario, in modo da permettere all’acquirente di invocare le agevolazioni “prima casa” –
conseguirà e sconterà una plusvalenza pari alla differenza del prezzo di vendita meno il costo
di acquisto del bene maggiorato delle spese ad esso inerenti. Più in particolare, con
riferimento al caso in esame, dovrà farsi riferimento al costo di acquisizione dell’immobile, ai
relativi oneri fiscali e spese notarili, nonché alle spese già sostenute per l’intervento di
ristrutturazione in corso.
La soluzione appena prospettata è, del resto, in linea con la finalità dell’art. 67 Tuir il quale,
intendendo assoggettare a tassazione i guadagni derivanti dalle cessioni di beni immobili poste
in essere con finalità speculativa, ne presume la ricorrenza dalla circostanza che l’arco
temporale intercorrente tra costruzione /ristrutturazione e vendita sia inferiore a cinque
anni.
Nel caso in cui la vendita venga posta in essere senza che gli interventi di ristrutturazione
siano iniziati o a lavori appena iniziati, quando, quindi, l’immobile sia ancora censito come non
abitabile, si verrebbe a creare plusvalenza tassabile in capo al venditore solo se questi avesse
effettivamente acquisito l’immobile da meno di cinque anni senza averlo adibito ad abitazione
principale propria e della propria famiglia nell’arco di tempo intercorrente tra tale
acquisizione e la cessione.
Appare quindi evidente che l’intervento di ristrutturazione dell’immobile, nel momento in cui
venga posto in essere – o quantomeno iniziato - precedentemente alla sua vendita, sia
suscettibile di comportare un consistente vantaggio per la parte acquirente – la quale proprio
in virtù di questo può richiedere le agevolazioni fiscali connesse all’acquisto della prima casa –
mentre comporta, per la parte venditrice, l’emergere di plusvalenze tassabili che questa non
avrebbe dovuto scontare se avesse venduto l’immobile, di cui sia, per ipotesi, proprietaria da
più di cinque anni, allo stato di immobile non abitabile, quale censito prima dell’inizio dei lavori.
Questo il profilo fiscale della vicenda, di cui le parti terranno conto, nella maniera che
riterranno più opportuna, al momento della delineazione dell’accordo di vendita.
Per completare il discorso, è opportuno citare anche il caso in cui l’intervento di
ristrutturazione non si limiti alla mera sistemazione dell’immobile esistente ma ne comporti
l’ampliamento della volumetria entro il limite del 20% dell’originariamente esistente.
Tale operazione, qualificabile pur essa come “ristrutturazione” per il combinato disposto degli
artt. 3, comma 1, lett. d) e 3, comma 1, lett. e.6), d.p.r. 380/2001, influenza gli aspetti fiscali
della fattispecie della vendita di immobile, sia per la parte acquirente che per la venditrice.
Non c’è dubbio che l’acquirente di un immobile che, nel corso della ristrutturazione edilizia,
venga limitatamente ampliato nella sua estensione debba fruire dei medesimi sgravi fiscali di
cui godrebbe in assenza di intervento.
L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha in più di un’occasione ribadito che le agevolazioni “prima
casa” siano da applicare finanche al caso in cui un soggetto, già titolare di un immobile
acquistato usufruendo degli sgravi “prima casa”, proceda all’acquisto di un’ulteriore porzione
immobiliare, confinante e limitrofa a quella già posseduta, allo scopo di ampliarne l’estensione
(ris. n. 25 del 25 febbraio 2005; circ. n. 19/E del 1 marzo 2001). Sul presupposto che i locali
da annettere o di nuova realizzazione non configurino, né abbiano una consistenza tale da
poter configurare, una nuova unità immobiliare e che, dopo l’ampliamento, l’abitazione
complessivamente considerata rientri, per superficie e numero di vani, nella tipologia degli
alloggi non “di lusso” (di cui al c.m. 1968, cit.), la tesi contraria all’applicazione delle aliquote
ridotte sarebbe, nell’opinione dell’Amministrazione fiscale, contraria alla finalità della norma
istitutiva delle agevolazioni di cui in commento, tesa a facilitare l’accesso alla prima casa
(legge 22 aprile 1982, n. 168 e successive modificazioni).
CESSIONE DI CUBATURA
Per cessione di cubatura (o di volumetria) si
intende il contratto, a titolo oneroso, con il
quale il proprietario di un determinato terreno
cede al proprietario di un terreno contiguo, o
collegato, una certa quota (pari anche al 100%)
della facoltà di edificare.
Le due aree devono, come è facilmente
intuibile, trovarsi all’interno della medesima
zona urbanistica e l’atto con cui il proprietario
del fondo si impegna a non realizzare su di
esso la volumetria utile deve essere trascritto
sui pubblici registri immobiliari. L’Agenzia
delle Entrate, infatti, oltre a dichiararne
espressamente la legittimità, ha precisato
che, nella cessione di cubatura, «si verifica
l’acquisto di un diritto strutturalmente
assimilabile alla categoria dei diritti reali
immobiliari di godimento» (ris. n. 250948 del
17 agosto 1976).
Ciò vuol dire anche che, in relazione alla
tassazione della fattispecie, ai fini delle
imposte indirette si dovrà applicare lo stesso
regime fiscale previsto per il trasferimento di
aree edificabili: se il cedente è soggetto
passivo I.v.a. (es. impresa), la cessione di
cubatura ne sconta l’imposta al 20% mentre le
imposte di registro, ipotecarie e catastali
sono in misura fissa pari a 168 euro ciascuna.
Se il cedente non è soggetto ad I.v.a. (es.
privato proprietario non esercente attività
commerciale) l’imposta di registro si applica
con aliquota pari all’8%, le imposte ipotecarie
e catastali con aliquota rispettivamente del
2% e dell’1%.
Ai fini delle imposte dirette, poi, essendo la
cessione di cubatura assimilabile alla cessione
di un diritto reale di godimento riguardante
un’area edificabile, si applicano le stesse
regole previste per il trasferimento di
quest’ultima: la plusvalenza va calcolata come
differenza proporzionale tra il corrispettivo
percepito ed il prezzo di acquisto originario
scorporandone il valore dell’area su cui verrà
realizzato l’ampliamento.
Le conseguenze più rilevanti della
fattispecie in esame ricadono, ancora una
volta, sulla parte venditrice e sono diverse
a seconda che la vendita avvenga
anteriormente alla effettuazione dei lavori
di ristrutturazione con ampliamento o in un
momento posteriore.
Nel caso in cui la vendita sia posta in
essere
prima
della
realizzazione
dell’ampliamento,
per
formulare
una
soluzione è necessario che si individui
esattamente il sito su cui verrà realizzato
l’intervento.
Nel caso in cui detto ampliamento vada ad
insistere su un’area confinante con il
fabbricato già esistente e censita
unitamente a questo, la relativa cessione
comporta una plusvalenza al pari di quella
conseguibile in un caso di cessione di
cubatura.
Nel caso in cui la suddetta area sia invece
catastalmente autonoma da quella su cui è
presente il fabbricato oggetto
di
ristrutturazione la relativa cessione
comporta,
per
il
venditore,
il
conseguimento di una plusvalenza da
cessione di terreno edificabile (art. 67
Tuir, comma 1, lett. b), da calcolarsi
indipendentemente
da
quella
eventualmente conseguibile per la cessione
congiunta del fabbricato.
Infine, il caso in cui il calcolo della
plusvalenza diventa più semplice e lineare si
ha quando il fabbricato venga venduto nel
momento in cui sia ancora in corso di
ristrutturazione ma l’ampliamento della sua
estensione sia già stato completato. In
questo caso il venditore sconta una
plusvalenza
(relativa
al
valore
dell’ampliamento
realizzato)
il
cui
ammontare rileva non disgiuntamente dalla
plusvalenza realizzata con la cessione
congiunta del fabbricato originario. In altre parole il costo inerente all’opera di ampliamento
già effettuata concorrerà ad aumentare il costo di costruzione/ristrutturazione del
fabbricato originario su cui calcolare la plusvalenza ex art. 68, comma 1, Tuir.
FONTI E RIFERIMENTI:
Quesito n. 212-2009/T, est. F. Raponi, in CNN Notizie del 25 marzo 2010;
Quesito n. 139-2009/T, est. A. Lomonaco, in CNN notizie del 6 ottobre 2009;
Studio n. 24/2002/T, est. G. Petrelli, in CNN Notizie del 10 giugno 2002;
Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 25/E del 25 febbraio 2005;
Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 105/E del 21 maggio 2007;
Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 23/E del 28 gennaio 2009;
Circolare Agenzia delle Entrate n. 19/E del 1 marzo 2001;
Circolare Agenzia delle Entrate n. 38/E del 12 agosto 2005;
Circolare Agenzia delle Entrate n. 12/E del 1 marzo 2007;