Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
La sera sta calando. Scende giù lenta come una colata d'inchiostro. Tra
poco non si vedrà nulla a parte i quadrati gialli delle finestre.
Io me ne sto seduto su una panchina dei giardini pubblici. Una
panchina piena di scritte oscene. Scritte che parlano soprattutto di sesso,
di ragazze dalle labbra aspiratutto e latenti omosessuali che senza
saperlo bramano di essere sodomizzati come pecore sarde.
Il sesso è dappertutto. Sulle panchine. In tv. Sui cartelloni della
pubblicità. Su Internet. Più passano i tempi, più questa cosa diventa
palese. Tra poco all'essere umano non interesserà che quello: scopare. E
il mondo si trasformerà in un enorme testicolo penzolante nello spazio.
Comunque, se sto qui seduto su questa panchina non è per leggere le
porcate che ci sono scritte col pennarello indelebile, ma perché ho un
appuntamento. Devo vedermi col Druido.
Il Druido - vero nome Giovanni Guinelli - è un ex tossico diventato
spacciatore. Un tempo si faceva di eroina. Poi, un giorno ha rischiato di
morire di overdose e allora si è deciso ad andare in comunità. Lì si è
ripulito. Ha passato qualche tempo a confezionare borsette e scarpe
sempre nella comunità, come terapia di recupero, poi, una volta uscito, si
è lanciato nel business della droga. Questa volta dalla parte di chi vende,
non di chi compra.
Il Druido dice che la droga è come il prezzemolo in cucina: c'è e ci
sarà sempre. Non esiste un mondo senza droga. E' impensabile tanto
quanto un mondo senza sesso.
L'essere umano è di per sé un tossico, dice il Druido. E' nella sua
natura farsi, come lo è cagare e pisciare. E' solo questione di tempi,
continua il sapientone. Solo questione di evoluzione. Il prossimo uomo,
il pronipote dell'attuale homo sapiens sarà l'homo tossicus, un uomo
fatto di droga: eroina al posto del sangue, cocaina prodotta dal cervello e
mucose che secernono acido lisergico anziché saliva.
Homo tossicus...
Bah!
Chissà se le cose andranno veramente così.
Io, invece, come vi stavo dicendo, penso che l'uomo diventerà sempre
più un essere sessuale e che il prossimo a dominare questo mondo sarà
l'homo eroticus. O l'homo segaiolus.
Sto pensando queste scemenze quando sento un rumore di passi. E'
lui. Il mio amico spacciatore. Lo riconosco. Vedo la sua ombra, lunga e
dinoccolata, farsi strada nel buio, attraverso le luci dei lampioni. Quando
mi raggiunge, ha stampato in faccia il solito sorriso da stordito. Forse
non si è ripreso mai del tutto dalle pere, quello lì.
- Ciao merda, come va? -, chiede.
- Bene, ragazzo dello zoo di Berlino, e tu? -, chiedo io.
Il Druido scrolla le spalle.
- Solito andazzo.
- Venduta molta droga, oggi?
- Bah, non particolarmente. Dai alzati, facciamo due passi.
Mi alzo dalla porno-panchina e, insieme al mio amico, m'inoltro
lungo il vialetto che serpeggia tra i giardini pubblici
- Ma cos'è che va forte come droga adesso, la coca? -, chiedo.
Il Druido sbuffa. Non gli piace parlare di lavoro, soprattutto con un
pivello come me, che più che canne non si è mai fatto.
- Sì, la coca va sempre forte. Però adesso stanno tornando anche gli
acidi.
- Ah sì? Gli acidi?
Il Druido annuisce. - La gente non è più quella degli anni Ottanta,
fissata col grano e la carriera. La coca va sempre perché è performante,
ti aiuta ad avere successo, ma adesso sta tornando alla ribalta l'idea del
viaggio psichedelico. Del trip lisergico in stile anni Sessanta. E così gli
acidi spingono di brutto sul commercio.
- Ma che effetto provocano esattamente gli acidi?
- Ti fanno vedere posti e cose che non ci sono.
- Tipo cosa, quali posti?
- E che ne so? Qualsiasi cosa. Perché non ne provi uno così lo scopri
da te?
Sto per dire al Druido che non mi va di provare uno dei suoi acidi,
che non mi fido perché sfigato come sono finirei per provare quello
marcio, che mi fulmina il cervello per sempre, quando davanti a noi
compare qualcosa che, in teoria, non dovrebbe esserci. Qualcosa che
dovrebbe esserci solo se avessimo ingerito entrambi un acido. E questa
cosa è una nave spaziale.
Sissignore.
Un Ufo. Un oggetto non identificato manco per il cazzo.
- Vedi anche tu quello che vedo io? -, domanda il Druido, esterrefatto.
- Cazzo se lo vedo, Druido, proprio davanti a noi! -, rispondo.
- Ma che roba è?
- Un'astronave, mi sembra.
- Sì, sembrerebbe anche a me... Ma che ci fa qui, un'astronave?
Domanda più che legittima, quella del mio amigo. Cosa ci fa
un'astronave parcheggiata nella piazzola di un quartiere di periferia?
Cosa ci fa un mezzo proveniente dalle profondità amene del cosmo
infinito sul pianeta Terra, più precisamente in una nazione chiamata
Italia, appartenente all'emisfero occidentale del suddetto pianeta; ancor
più precisamente nella piazzola del giardini pubblici del comune di
Casalpusterlengo in provincia di Milano, regione Lombradia?
Mistero.
- Forse gli alieni son venuti qui per provare i tuoi acidi -, dico.
- Non sparare cazzate -, fa il Druido, - piuttosto avviciniamoci.
- Avviciniamoci? E perché vuoi avvicinarti? Non è prudente.
- Chi se ne frega della prudenza! Non capita tutti i giorni di imbattersi
in un disco volante, dai, vediamo più da vicino com'è fatto.
Seguendo i passi del mio amico, mi avvicino al disco volante. Mentre
lo faccio, mentre cammino, penso a tutti i dischi volanti che ho visto
nella mia vita. Cioè quelli che ho visto alla tele e al cinema. Sono
parecchi. A sette anni, ad esempio, al cinema avevo visto Star Wars e
quindi avevo visto lo shuttle imperiale, poi il Millenium Falcon di Ian
Solo e l'Imperial Star Destroyer, la mega astronave dell'Impero, quella
che non finisce più di passare sullo schermo, per intenderci.
Poi, avevo visto Incontri ravvicinati del terzo tipo dove l'astronave
era simile a una trottola gigante e multicolore che si avvicinava
lentamente alla Terra coprendo tutta la volta celeste. In Star Trek, invece,
la nave comandata dal capitano Kirk, l'Enterprise, mi aveva sempre fatto
pensare a un cucchiaio gigante.
Ad ogni modo, ne sono passati parecchi, per i cieli della mia infanzia
e della mia giovinezza, di dischi volanti finti, ma come questo qui che
vedo posato a due passi da me, nessuno.
E già, perché 'sto disco volante, atterrato a Casalpusterlengo, sempre
ammesso che disco volante sia, è veramente strano.
Prima di tutto è lucido. Lucido come uno specchio. Poi non ha
spigoli. Ha una forma tutta sinuosa. Vien quasi voglia di accarezzarlo,
sembra quasi il fianco di una donna. E poi non ha finestre, né porte. Non
si capisce da dove uno dovrebbe entrare e da dove uscire.
Ci giriamo attorno, io e il Druido, a questo affare che sarà grande più
o meno quanto un tir.
- Siamo sicuri che si tratta proprio di un disco volante? -, domanda
lui.
- Nessuno ce lo garantisce -, rispondo, - ma cos'altro potrebbe essere?
- Già, cos'altro potrebbe essere... Però non vedo porte. Da dove si
entra, secondo te?
- Non lo so, Druido. E' inutile che continui a farmi domande alle quali
non posso rispondere. Magari gli alieni che guidano questo coso sono
radiazioni.
- Radiazioni?
- Sì. Onde elettromagnetiche che possono attraversare le pareti senza
bisogno di una porta da aprire e chiudere. Non lo so, cazzo. Sei tu quello
che si faceva di eroina. Tu dovresti formulare ipotesi fantascientifiche,
non io.
- Guarda!
Il Druido ha allungato un dito per sfiorare la parete del disco e il dito
l'ha attraversata. Letteralmente. Mezzo indice destro del mio amico è
come risucchiato oltre quella specie di scocca a specchio.
- Prova anche tu!
Alzo un braccio e, lentamente, sfioro con la mano l'ufo e sento la
parete tiepida e gelatinosa, al tatto, simile a un budino. Un budino che,
sotto la pressione del mio dito, invece di spappolarsi si flette e poi lo
risucchia il mio dito, come se ne fosse ghiotto.
Per un po', io e il Druido rimaniamo così, a fissarci, ognuno col suo
indice ficcato nel disco volante, poi lui dice: - Proviamo a ficcare anche
il resto, che dici?
- Cioè? Che intendi per "resto"? -, chiedo.
- Proviamo a entrare. Nessun cane spaziale ha ancora azzannato il
mio indice, dall'altra parte. Forse se entriamo non ci succederà nulla.
- Non so se è una buona idea, Druido.
- Beh, io lo faccio, ciao!
Alle parole, il mio amico fa seguire i fatti. Puntando deciso la parete,
in un solo passo, ci finisce dentro. Si lascia risucchiare. La parete,
nell'inglobarlo, ha come un sussulto, tipo una bocca che rutta dopo aver
digerito un boccone, poi torna muta e immobile come prima.
Per un attimo rimango anche io immobile a fissare la mia immagine
riflessa in modo deforme sul disco, poi mi lascio risucchiare.
Mica posso lasciare quello stordito solo dentro aun ufo.
Cosa c'è dall'altra parte?
Non una cabina di pilotaggio alla Guerre Stellari, non una plancia
alla Star Trek, ma un deserto. Sissignore. Io e il Druido attraversiamo la
parete del disco per sbucare in un deserto. Una landa arida e desolata.
Ci voltiamo e il disco è alle nostre spalle, esattamente come lo
avevamo visto prima di oltrepassarlo, solo illuminato a giorno perché in
cielo c'è il sole, non la luna.
- Ma... ma che roba è questa? -, dice il Druido.
- Sembrerebbe un deserto -, rispondo.
- Ma com'è possibile che dentro a un disco volante ci sia un deserto?
- Forse non ci troviamo in un vero deserto, ma in una sala di
simulazione.
- Una sala di simulazione?
- Sì, tipo il ponte ologrammi dell'Enterprise, hai presente?
Il Druido scuote la testa. - No che non ho presente. A 20 anni, mentre
tu ti facevi le seghe e guardavi la tele, io mi facevo le pere al parco,
ricordi? Spiega un po' 'sta storia del ponte ologrammi...
- In Star Trek ogni tanto l'equipaggio andava sul ponte ologrammi per
svagarsi, una specie di grande sala dove era possibile ricreare scenari di
vario tipo. Una spiaggia. Un bosco. Una città antica. Il set di un film a
luci rosse. Quello che volevi. Non si trattava solo di una riproduzione
visiva, anche materiale, tramite la cosiddetta conversione della materia.
- E secondo te noi saremmo su un ponte ologrammi?
- Non lo so, è solo un'ipotesi.
- Sai che facciamo per scoprire se le cose stanno così oppure no?
- No, che facciamo?
- Cominciamo a camminare. Se siamo dentro un salone, un cesso o in
un qualsiasi altro ambiente chiuso, prima o poi finiremo con lo sbattere
contro la parete, giusto?
- Sì, giusto, direi.
- Bene, allora che aspettiamo? Mettiamoci in marcia.
Il Druido muove i primi passi.
Ancora una volta io lo guardo indeciso se seguirlo oppure no. Certo è
che se questa è una simulazione di deserto, si tratta di una simulazione
maledettamente riuscita, mi dico guardando la piana arida, cosparsa di
sabbia e sassi, e il sole che brucia in cielo.
Dopodiché mi metto in marcia. Raggiungo il mio amico e
riprendiamo a parlare.
- Senti Druido.
- Che c'è?
- Ma cos'è che si prova a farsi una pera di ero?
Il Druido sospira. Come vi ho già spiegato, non si sbottona molto
quando si parla di droga.
- In che senso, cosa si prova?
- Beh, che sensazioni ti da. Devono essere sensazioni belle, dato che
un sacco di gente si faceva negli anni Ottanta...
- Non solo negli anni Ottanta, magari non te ne sei accorto, ma la
gente continua a farsi anche adesso.
- Sì, ma le pere andavano forte negli anni Ottanta più che adesso.
- Vero. Ora ci sono modalità di assunzione meno invasive di un ago in
vena.
- Comunque, cos'è che provavi quando ti sparavi una pera? Ti
scoccerebbe dirmelo?
- Ma perché ti interessa saperlo?
Scrollo le spalle. - Così. E' una cosa che mi sono sempre chiesto. Ho
conosciuto un sacco di ragazzi fregarsi la vita con l'ago. Ragazzi in
gamba, o comunque non degli idioti integrali, e mi sono sempre chiesto
cos'avesse l'eroina per fregarli così, per convincerli a rovinarsi.
Il Druido smette di camminare. Per alcuni secondi il suo sguardo si fa
assente, poi muove il braccio tutt'intorno.
- Osserva il panorama che ci circonda...
Seguo il suo braccio che circonda la piana desertica, l'orizzonte che
confina col cielo azzurro, solcato qua e là da qualche straccio di nuvola.
- Immagina che questo sia veramente un ponte ologrammi e tu possa
arredarlo a tuo modo, costruirci la realtà che più ti piace, quale
sceglieresti?
- Beh, prima di tutto renderei il tutto più verde -, dico. - Farei
spuntare qualche albero qua e là, poi tirerei su un bel castello, sì, una
lussuosa residenza in stile medievale dove vivere con gran spreco di
spazi e di lussi. Poi, riempirei tutto questo spazio di belle donne
completamente accessibili, praticamente un harem a mia disposizione,
ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
- Insomma, per te la felicità è la Playboy Mansion di Hugh Hefner.
- Direi di sì.
- Bene -, commenta il Druido, - sappi che questa tua idea di felicità
non si avvicina nemmeno di un grado a quella che ti può infondere una
pera di eroina.
- Gesù... non riesco a immaginare qualcosa di più bello di quello che
ti ho appena descritto!
- E' proprio questo il problema: la felicità, le sensazioni che ti procura
l'ero, non possono essere descritte o intuite, solo vissute. Quel senso di
leggerezza e calore, quell'ondata di calma, quella piena di estasi che ti
riempie il corpo dopo che hai abbassato lo stantuffo, è qualcosa che a
parole non si può esprimere. Hai mai letto la Divina Commedia?
- Sì, al liceo. Che c'entra la Divina Commedia con l'eroina?
- Io non l'ho mai letta. Ai tempi del liceo ero già impegnato a farmi le
pere invece di andare a scuola. Comunque, una volta avevo parlato con
un tossico molto colto. Uno che era stato professore di Lettere. Ebbene,
questo tizio, tra una pera e l'altra, si era messo a parlare di Dante
Alighieri. Dante che nella Divina Commedia dopo aver visitato l'Inferno
e il Purgatorio arriva in Paradiso. In Paradiso scala la volta celeste fino a
giungere al punto più alto, dove risiede Dio. E lo vede, Dio. Il problema
è che non riesce a descriverlo sulla pagina. Di lui, Dante riesce a dire
davvero poche cose, che gli appare come un punto di luce e basta. Ecco,
la stessa cosa vale per l'eroina. Che effetto fa, mi chiedi? E io ti
rispondo: ti riempie di calore e di calma, ma di più non riesco a
spiegarti. O la vivi o non la vivi.
- Capisco.
- Però posso dirti come ci si sente dopo che ci si è fatti una pera -, il
Druido riprende a camminare e io con lui, - ci si sente delle merde, ecco
come. Ci si sente come se un tir ti fosse passato sopra.
Il Druido smette di parlare e si ferma ancora.
- Che c'è? -, dico.
- Senti, secondo me non siamo in un ponte ologrammi: stiamo
camminando e sparando cazzate da almeno cinque minuti -, dice lui.
- Già. Se fossimo sul ponte ologrammi dell'Enterprise avremmo già
preso a craniate il muro come minimo cento volte.
- Ma allora dove siamo? E che cos'era esattamente quella cosa che
abbiamo visto nel parco? Un disco volante o altro?
Mi gratto la testa. A questo punto non saprei cosa rispondere.
- Forse un portale -, butto lì.
- Un portale? -, chiede il Druido.
- Boh, può darsi. Perché no? Un portale che ci ha portato in un'altra
dimensione: questa.
- Tipo Stargate?
- Bravo, tipo Stargate. Lo vedi, Druido, che tra una pera e l'altra, pure
tu hai trovato il tempo di vedere un po' di tele?
- Ehi, guarda là! -, il mio amico alza un braccio a indicare un punto
dell'orizzonte.
Seguo la direttrice del suo indice e allora individuo una sagoma, una
cosa nera che sfiora la piatta linearità dell'orizzonte. Potrebbe essere
qualsiasi cosa da quella distanza.
- C'è qualcosa laggiù -, dice, - dai, velocizziamo il passo, vediamo di
che si tratta.
Riprendiamo a camminare, questa volta con una falcata più decisa di
prima.
Passo dopo passo la sagoma acquista forma e colore. Diventa stretta e
lunga e bianca, di un bianco sporco, arrugginito dal tempo. A circa
duecento metri di distanza capiamo che quella cosa è una specie di torre.
Un edificio cilindrico costruito con un materiale che sembra acciaio
riverniciato.
Alla base della torre c'è una porta.
Smetto di camminare a pochi metri dalla soglia. Il Druido se ne
accorge e mi guarda. - Che c'è?
- Che hai intenzione di fare adesso? -, domando.
- Beh, entrare in quel coso.
- Quindi hai intenzione di bussare alla porta, e caso mai nessuno
venisse ad aprire, di aprirla tu la porta, e casomai la porta fosse chiusa a
chiave, di sfondarla, sei disposto a fare tutto questo pur di entrare in quel
coso, come lo chiami tu...
Il Druido scrolla le spalle. - Sì che problema c'è?
- Ma non hai paura? Pensaci: siamo passati da un lugubre crepuscolo
di periferia a questa piana desertica assolata in meno di un secondo,
attraversando quella specie di disco volante che forse non è nemmeno un
disco volante. Siamo qui, davanti a questo strano edificio dentro cui
potremmo trovare chiunque. Non hai paura che una volta aperta la porta
potremmo imbatterci in una specie di mostro alieno che ci disintegra a
suon di scorregge laser?
Il Druido mi fissa pensieroso. Sbatte le palpebre un paio di volte. No, non ho paura che un alieno mi annienti con una scoreggia laser e sai
perché? Non mi interessa vivere.
Sto per ribattere qualcosa quando lui mi anticipa, appoggiando una
mano sulla spalla.
- Vedi, è il dramma di noi ex tossici non essere più interessati alla
vita. Puoi ripulirti, non bucarti più, puoi persino rifarti una vita con tanto
di moglie e figli, che se hai provato l'eroina, tutto il resto finirà col
sembrarti merda. Niente che possa capitarmi in questa vita pareggerà
mai i conti, in quanto a sensazioni, con un ago in vena. Ora, capisci
perché non ho paura di trovare un alieno, oltre la porta, che mi annienti
con una scoreggia laser?
- Gesù, Druido, ma che stai dicendo?
- Ti sto dicendo la verità, amico. Tu, invece, fai bene ad aver paura.
Fai bene a tenertela stretta la vita e a non correre rischi. Perché questa
con cui nasciamo, è l'unica vita che ci è dato vivere. Quindi, bello mio, ti
capisco se non vuoi seguirmi. Se non vuoi oltrepassare quella soglia. Più
che comprensibile. Torna pure indietro. Torna al disco volante, rientraci
e torna da dove siamo venuti, il nostro quartiere. Hai la mia
approvazione.
Detto ciò, il Druido solleva una mano, sospinge la porta che,
evidentemente non è chiusa a chiave, e varca la soglia.
Io rimango lì, in piedi, alcuni secondi, indeciso sul da farsi.
Poi... secondo voi cosa faccio?
L'interno della torre è vuoto, a parte una scala a chiocciola.
Io e il Druido saliamo e arriviamo a un piano rialzato dove, di contro
alla parete, si trova un'enorme capsula trasparente, delle dimensioni di
una piccola bara. Dentro, galleggia una creatura. Una creatura strana, da
brivido, per certi versi umana, ma non si tratta di un uomo, potete
giurarci.
Non è un uomo, quel coso lì, prima di tutto per le dimensioni: deve
misurare qualcosa come un metro e 20 non di più.
Poi non lo è per le orecchie che sono triangolari e larghe come quelle
di un cane, e si allungano ai lati della testa simili ad alettoni.
Infine quella cosa, non è un uomo per via dell'uccello che gli penzola
tra le gambe. Un appendice mostruosa, una vera e propria terza gamba
che arriva a metà delle ginocchia.
Però, per tutto il resto, questo mostriciattolo potrebbe anche esserlo,
un uomo. Nel senso che come un uomo ha due braccia, due gambe che
terminano rispettivamente in mani e piedi. E poi ha un collo, tra le
spalle, su cui spicca la faccia, e ha pure una pancia e al centro un
ombelico.
- Che razza di creatura schifosa è questa? -, domanda il Druido,
girando intorno alla bara di vetro.
- Giuro che non lo so. Questa volta non so proprio cosa risponderti,
Druido -, dico, per metà affascinato, per metà orripilato dall'essere
singolare.
- Sembrerebbe un nano deforme, oppure un topo, un topo con delle
sembianze umane.
- O un uomo con delle sembianze di topo.
- Qualunque cosa sia, sembra morto.
- No, non è morto. Guarda, ogni tanto muove le labbra e poi... la
schiena, qui dietro... ci sono come dei piccoli taglietti, sembrano... sì,
sembrano branchie!
Il Druido fa il giro della capsula e osserva la schiena insieme a me. Hai ragione, ha le branchie, proprio come un pesce! Che schifo!
- Secondo me sta respirando. E' immerso in una specie di sonno
ipnotico, come gli astronauti in Alien, che per buona parte del viaggio,
dormono dentro a delle canere iperbariche simili a questa.
- Sì, in effetti ha l'aria di uno che sta ronfando, 'sto scherzo di natura...
Però non abbiamo ancora capito che cos'è...
Sposto l'attenzione dall'essere nella capsula all'ambiente che ci
circonda. La stanza è illuminata da una finestra circolare che si apre sul
muro. Sotto la finestra si trova un tavolo e una seggiola dallo schienale
molto ampio, simile a quello su cui siedono i cardinali. Noto che sul
tavolo ci sono dei fogli. Mi avvicino. Indago con l'occhio. I fogli
sembrano antichi papiri, ampi e arrotolati alle estremità. Sono segnati
con una strana calligrafia, tipo geroglifici egizi, figure più che lettere di
un alfabeto.
- Che stai guardando? -, il Druido si avvicina, - Che è 'sta roba?
- Appunti, immagino.
- Che strana scrittura!
- Già. Guarda quante piccole spirali e quei cerchietti, sembrano tanti
soli. E poi quelle specie di scheletrini lì che sembrano assumere tante
pose.
- Tipo quelle del Kamasutra.... Ehi, guarda, qui c'è una specie di
cannocchiale.
Il Druido mi indica uno strumento, accanto alla scrivania, sollevato
su un tre piedi, che in effetti somoglia a un cannocchiale. Un cilindro
molto lungo, stretto a una estremità e largo a un'altra. E' piegato
diagonalmente, di modo da affacciarsi oltre la finestra rotonda. Mi piego
per guardare attraverso l'estremità inferiore. Con mio grande stupore,
l'immagine che vedo proiettata sull'altra lente è quella della panchina
piena di scritte oscene dove poco prima stavo aspettando il Druido. Sì, il
cannocchiale inquadra il mio quartiere, la panchina, il viale che
serpeggia attorno al parco e il crepuscolo.
- Che cosa vedi? -, domanda il mio amico.
- Non ci crederai, ma vedo il nostro quartiere.
- Che cosa? Fa' vedere.
Anche il Druido guarda attraverso il cannocchiale.
- Porcaputtana, è vero! Ma... ma... dove siamo? Chi è quel nano nella
capsula?
Azzardo un'ipotesi. - Forse siamo in un'altra dimensione.
- Tu dici?
- Potrebbe essere. Il disco volante, come ti dicevo prima, è un portale.
Una finestra tra il nostro universo e questo. Noi ci siamo entrati, o
meglio, lo abbiamo varcato e siamo finiti qui. In un mondo per certi
versi simile al nostro, ma diverso. Un mondo desertico, dove le case
sembrano enormi cisterne, gli uomini sono omuncoli superdotati e
quando dormono, non lo fanno stesi sul letto, ma dentro a un cilindro
pieno d'acqua.
- Mi sembra una spiegazione verosimile, la tua -, commenta il
Druido.
- Oppure siamo nel futuro -, continuo.
- Nel futuro?
Annuisco. - Nel 2700. O ancora più avanti, nel 3999. Oppure nel
milionesimo anno dopo Cristo. L'uomo si è evoluto ed è diventato quella
specie di ranocchietto lì, nella capsula. Un nano con un uccello che a
confronto John Holmes sembra un ermafrodito. Un nano brutto, ma
intelligente, capace di costruire cannocchiali che guardano nel passato e
portali che ti ci conducono.
Dopo queste mie parole, il Druido guarda l'omuncolo nella capsula,
poi sposta lo sguardo intorno.
- Però non vedo droga, qui -, dice.
- E allora?
- Non vedo aghi, né limoni, né cucchiai, e neppure cartine per fare
una canna. Non vedo niente.
- E che c'è di strano, se non vedi droga, qui dentro?
- Ho sempre pensato che l'uomo si sarebbe evoluto e la droga sarebbe
diventata parte del suo organismo.
- Ah, già, la storia dell'homo tossicus.
- Esatto. Ho sempre pensato che l'uomo del futuro avrebbe continuato
a consumare droga, ma droga che lui stesso, attraverso il suo organismo,
delle ghiandole speciali, produceva. Spacciatore e tossico in una sola
persona, questo pensavo. Invece, se veramente siamo nell'anno 1 milione
dopo Cristo come dici tu, e questo è un uomo del futuro, allora ho
toppato alla grande! Qui non vedo un solo grammo di hashish! E quel
tipo lì, che galleggia, non ha certo l'aria del tossico!
Mi avvicino al tipo che galleggia. Lo osservo meglio. Concentro la
mia attenzione su quel pene spropositato che, nell'acqua, si muove con la
lentezza di un prolungamento tentacolare.
Che abbia ragione io? Che l'uomo del futuro sia veramente un essere
erotico, un uomo per cui il sesso è diventato tutto? A giudicare da
quell'affare spropositato, potrebbe essere. Anche se il ranocchietto, come
lo chiama il Druido, a parte l'organo sessuale, non ha l'aria di un toro da
monta. Sembra piuttosto uno gnomo saggio. Uno gnomo che, nella sua
casa-cisterna scrive trattati e costruisce cannocchiali per guardare
attraverso il tempo.
Torno a osservare quei fogli segnati da ideogrammi incomprensibili.
Chissà cosa c'è scritto. Chissà cosa significano quei segni. Magari sono
il diario personale di questo nanetto... Oppure parlano di noi, me e il
Druido. Il nanetto ci stava osservando al cannocchiale e stava scrivendo:
"Vedo un tossico e un perdente camminare in un crepuscolo del XXI
secolo", chissà...
- Sai che ti dico?
Mi volto verso il mio amico. - No, che mi dici Druido?
- Che lo chiederemo direttamente a lui, chi è e dove siamo, se nel
futuro o in un'altra dimensione.
Il Druido indica la caspula di vetro.
- E come intendi chiederlo? -, domando, - Il nanetto sta dormendo.
Galleggia nel sonno. E' immerso nell'inconscienza. Vuoi svegliarlo
bussando contro il vetro?
- Pensavo a un intervento più drastico.
Il Druido impugna il cannocchiale come fosse una mazza. Non faccio
in tempo a dirgli di non farlo, che lui lo schianta contro la capsula. Al
primo colpo, il vetro scricchiola, s'incrina. La parete trasparente viene
percorsa da una crepa simile a un lampo, poi l'intera capsula esplode,
vomitando l'acqua sul pavimento, insieme all'omuncolo superdotato che
ci galleggiava dentro.
- Ma che cos'hai fatto, coglione! -, urlo.
Il Druido lascia cadere il cannocchiale dalle mani, forse disorientato
anche lui dal suo gesto.
Mi avvicinò al nanetto che è steso a pancia in su, con gli occhi
sbarrati e i piedi che sbattono come la pinna di un pesce che è stato tolto
dall'acqua.
Ha grandi occhi azzurri, il piccolo uomo, occhi dilatati dal terrore; il
terrore di me e il Druido, due sconosciuti, due creature a lui aliene, che
lo stanno fissando a loro volta, dopo averlo strappato dal suo bel sonno,
e dal terrore di stare per morire. Sì, è inevitabile che il nano muoia, come
lo è che muoia di asfissia un pesce lasciato all'asciutto.
- Sta crepando! - dico.
Il Druido cade in ginocchio. - Oddio!
- Ehi, amico, stai bene? Mi senti? Cosa possiamo fare? Non crepare,
non lasciarci! - urlo, sollevando la testa del piccolo uomo.
Quello, forse, cerca di dirci qualcosa. Mi stringe la manica della
giacca e apre le labbra, larghe e senza denti, ed emette dei versi, versi
che forse sono parole.
- Arrgh, off, coof, coff! -, dice, e poi mi sembra che aggiunga: Abebe sam clam...
Anzi, sono sicuro di sentirgli dire proprio quelle parole: "Abebe sam
clam...".
Parole di cui io non comprendo il significato, ovviamente.
Abebe sam clam.
Poi, il nano non aggiunge altro perché muore di asfissia. Il suo capo
si abbandona totalmente sul pavimento, gli occhi gli si chiudono e la
pelle gli si irrigidisce tutta.
- E' morto -, dico, posando a terra il cranio del poveretto e
rimettendomi in piedi.
- Sei sicuro? -, chiede il Druido.
- Certo che sono sicuro, razza di coglione, è morto! Lo hai ucciso!
- Non volevo ucciderlo, volevo solo chiedergli dove aveva nascosto
la roba!
- Diosanto. Druido...
- Volevo chiedergli dove sta la roba. Dai, non riesco a credere che nel
futuro o in un'altra dimensione, la gente non si faccia! Non volevo
ucciderlo, volevo solo svegliarlo per chiedergli se siamo nel futuro o in
un mondo parallelo come pensavi tu, e dove tiene i panetti di hashish o
le bustine di coca o le palline con dentro l'ero, cazzo!
Guardo esterrefatto il mio amico. Questo tossico di merda diventato
spacciatore. Questo individuo non solo senza morale, ma senza cervello,
a cui la droga a bruciato tutti i neuroni, poi torno a guardare l'omuncolo.
Senza più vita. Morto. Purtroppo non c'è verso di resuscitarlo. Che sia
un uomo del futuro o un ominide di un'altra dimensione, per lui come
per me, la morte giunge una sola volta. E l'unica vita che ci è dato di
vivere, come il Druido mi stava dicendo prima in uno dei suoi rari
momenti di ragionevolezza, è quella con cui nasciamo.
- Andiamo -, dico.
- Andiamo dove? -, chiede il Druido.
- Via di qui, torniamo al nostro quartiere, alla nostra dimensione. Non
abbiamo più niente da fare in questa. Abbiamo già combinato abbastanza
danni.
- Ma... non controlliamo se c'è della droga qui dentro?
- Vaffanculo, io me la filo.
Detto ciò, senza aspettare che il Druido prenda una decisione, scendo
le scale ed esco dalla torre-cisterna.
M'incammino lungo la piana desertica. Dopo cinque minuti
raggiungo il disco o il diavolo che è. Prima di entrarci, mi volto. Il
Druido è alle mie spalle di un centinaio di metri. Alza un braccio,
sembra chiedermi di aspettarlo.
Muovo un passo e mi lascio risucchiare dalla parete a specchio.
Il passo successivo è già nel mio quartiere.
E' passato circa un mese da quella sera.
Io ho ripreso la mia vita di sempre e il Druido la sua.
Del disco volante non c'è più traccia. Probabilmente è sparito la sera
stessa in cui io e il Druido abbiamo fatto ritorno al nostro mondo.
Chissà come mai era comparso lì, quel disco, nei giardini pubblici di
Casalpusterlengo...
Chissà poi se era un disco volante o un portale...
Chissà se l'omuncolo nella torre-cisterna era un alieno, un uomo del
futuro o di un mondo parallelo.
Sono tanti gli aspetti inspiegabili di questa storia. Solo una cosa si è
incisa chiaramente nella mia memoria e nella mia coscienza: la morte di
quel poveretto. Ogni tanto ripenso a quel corpo da ranocchietto, che si
dibatteva sul pavimento prima di andarsene una volta per tutte.
La morte... In questo universo ambiguo, fatto di mondi paralleli, dove
forse, oltre all'uomo, ci sono altre forme di vita intelligente e passato,
presente e futuro si mescolano insieme, la morte, il decesso, lo
spegnimento delle sinapsi, l'arresto del battito cardiaco, l'estinzione del
flusso sanguigno nelle vene e nelle arterie, rimane l'unica certezza,
precisa, immutabile.
Ogni tanto, la notte, quando sto per addormentarmi, nel dormiveglia,
risento quelle parole, quella frase a me incomprensibile, detta dallo
scherzo di natura un secondo prima di morire.
"Abebe sam clam".
Mi sembra che giunga dall'inferno.
Chissà cosa significa. Forse "vi perdono", forse "maledetti" oppure
semplicemente "vaffanculo".
Un paio di sere fa ho rivisto il Druido. Era seduto sulla panchina
piena di scritte oscene che stava contrattando con un tipo, un
consumatore. Era buio, ma alla luce del lampione ho distinto la sua
mano che porgeva in quella del tipo un sacchettino annodato dopo che il
tipo gli aveva allungato una banconota. Quando il cliente se n'è andato,
mi sono avvicinato.
Il Druido mi ha notato, mi ha sorriso, e ha detto: - Allora, come va,
merda?
Io l'ho fissato diritto negli occhi, poi, con una voce spiritata, tipo
esorcista, ho ripetuto: - Abebe sam clam! Abebe sam clam! Abebe sam
clam!
Lui al terzo "abebe sam clam" non ce l'ha fatta più; si è alzato dalla
panchina ed è sparito nelle tenebre.
Non l'ho più rivisto.