non paga l`ici il locatario con patto di futura vendita di un alloggio

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non paga l`ici il locatario con patto di futura vendita di un alloggio
NON
PAGA L’ICI IL LOCATARIO CON PATTO DI FUTURA VENDITA DI UN
ALLOGGIO DELLO I.A.C.P.
Con l’arresto che si annota la Corte di cassazione1 ha segnato, con posizione molto innovativa,
un punto importante a favore della tesi che, sul tema della soggettività passiva all’imposta comunale
sugli immobili degli assegnatari di alloggi di edilizia economico-popolare i quali hanno ottenuto
l’abitazione in esito ad un procedimento articolatosi in una serie di momenti fondamentali dall’assegnazione in locazione con patto di futura vendita fino al definitivo negozio di assegnazione - ha
escluso l’esistenza in capo al (temporaneo) conduttore di qualsivoglia diritto reale sull’immobile che,
solo, poteva giustificare obblighi impositivi a suo carico.
Com’è noto l’art. 1 D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504 fissa, quale presupposto dell’imposta … il
possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi
compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa.
La definizione giuridica del soggetto passivo d’imposta è recata dal successivo art. 3 che lo
individua nel … proprietario di immobili di cui al comma 2 dell'articolo 1 ... ovvero (nel) … titolare di diritto reale di
usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi....
Questa disposizione, nel dare esclusiva rilevanza alla sussistenza di un diritto reale sull'immobile,
indirettamente conferma che il significato da attribuire al termine possesso, utilizzato nella preliminare
definizione del presupposto d'imposta, non può essere quello di mera disponibilità del bene sulla base
di un titolo personale di godimento, perché il possesso rileva, in tale contesto normativo, in ragione
della titolarità di quelle situazioni giuridiche soggettive, a carattere reale, che la legge elenca
Peraltro, l'art. 58, lettera a), D.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, ha ampliato la platea dei soggetti
passivi prevedendo, con la novella dell'art. 3 D.lgs. n. 504 del 1992, che il tributo colpisca il proprietario
di beni immobili, quali fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, nonché i titolari dei diritti reali di
usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie, mentre, per gli immobili concessi in locazione
finanziaria, incardina la soggettività passiva in capo al locatario, radicandola, ai fini dell’imposta che
occupa, al momento della consegna dell’immobile oggetto del contratto di leasing, e ciò tanto nel caso
di immobili acquistati dal locatore, quanto nel caso di fabbricati realizzati dalla società di leasing per
conto del locatario2.
La novità di maggiore rilievo recata dalla novella normativa concerne l'attribuzione della
qualifica di soggetto passivo nei confronti dei titolari dei diritti reali di enfiteusi e di superficie e degli
utilizzatori di immobili concessi in locazione finanziaria3.
Nell’originaria versione, infatti, l’art. 3 statuiva, letteralmente, che, per gli immobili concessi in
superficie, enfiteusi o locazione finanziaria, soggetto passivo era il concedente con diritto di rivalsa,
rispettivamente, sul superficiario, enfiteuta o locatario.
Attualmente, invece, la titolarità di detti diritti reali vale a costituire il presupposto impositivo
che legittima l’applicazione, da parte del comune nel cui ambito territoriale è posto l’immobile, del
tributo.
Mette conto sottolineare che, per l’imposta comunale sugli immobili, non opera, diversamente
dagli altri tributi, in particolare indiretti e successori, alcuna forma di solidarietà passiva tra i
comproprietari/contitolari di diritti reali, perché ciascun soggetto passivo è tenuto a versare,
Merita ricordare che la stessa sezione della Corte, sempre presieduta dal Dott. Riggio, ponendosi anche allora in contrasto
con l’orientamento espresso dal Ministero delle finanze e con precedenti decisioni della stessa giurisprudenza di legittimità,
aveva sancito con la Cass. 16 novembre 2004 n. 21644, che, ai fini ICI, i terreni, pur se inclusi in zone edificabili nel PRG
adottato ed approvato, finché non vengono approvati i piani attuativi, o fin quando sono vigenti le norme di salvaguardia,
non possono essere considerati immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio e, conseguentemente, devono essere ritenuti
agricoli.
2 Circ. Dip. Entrate, Dir. Centr. Fisc. Lo c., 18 maggio 1999 n. 109.
3 L’attuale soggettività passiva del locatario risponde, secondo qualche Autore, alla logica economica del contratto che, in
sostanza, tende a favorire l’acquisto dell’immobile, garantendone il finanziamento e l’immediato uso.
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separatamente dagli altri4, l'imposta gravante sul valore della quota di comproprietà o con titolarità,
giusta quanto prescritto dall’art.10, comma 1, del decreto istitutivo dell’imposta (cfr. circ. Dip. Entrate,
Dir. Centr. Fisc. Loc, 24 maggio 1995 n. 151/E).
Il punto controverso riguarda, nel caso che occupa, la qualificazione dell’utilizzo dell’alloggio da
parte del futuro acquirente: se riconducibile al genus locazione e, come tale, inidonea a costituire in capo
al locatario obblighi tributari, ovvero assimilabile ad un diritto reale di godimento (usufrutto, uso,
abitazione, superficie, enfiteusi) e perciò soggetto all’ICI.
Il contratto di locazione con patto di futura vendita (o locazione con clausola di trasferimento
della proprietà) può essere definito come un negozio a formazione progressiva, in quanto si articola
attraverso due fondamentali passaggi: la contestuale stipula di un contratto di locazione e di un
preliminare di vendita, avente per oggetto il medesimo bene, e la stipula del contratto di compravendita
alla scadenza della locazione.
Peraltro la vexata quaestio, stavolta giurisdizionalmente risolta in senso favorevole al contribuente,
sembra ancora lontana dal conoscere una soluzione pacifica.
Da una parte infatti copiosa giurisprudenza di merito5, ha ripetutamente affermato che la
locazione con patto di futura vendita non è un contratto traslativo della proprietà, in quanto tale effetto
non è voluto dalle pa rti né in via immediata, né quale automatica conseguenza del verificarsi di
determinati eventi futuri e, quindi, il trasferimento della proprietà avviene per effetto del contratto di
compravendita, che costituisce un momento successivo a quello di stipula del contratto di locazione.
Tale interpretazione aveva già ricevuto un avallo in sede di legittimità con la Cass. civ, sez. I, 24
luglio 1993 n. 8312, con la quale la Corte di cassazione aveva con chiarezza affermato che, in tema di
assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita, il trasferimento della proprietà
dell'alloggio non si determina automaticamente con l'esercizio della facoltà di riscatto, non applicandosi
ad essa l'art. 52 L. n. 457 del 1978, relativo al trasferimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica
assegnati in locazione semplice, né con il completo pagamento del prezzo, ma solo quando sia stata
perfezionata l'attività negoziale implicante il riconoscimento, da parte dell'istituto, dell'esistenza dei
presupposti fissati dalla legge per l'esercizio del diritto al trasferimento medesimo; con la conseguenza
che l'ente proprietario o gestore conserva, fino a detto trasferimento, il potere di rilevare ragioni di
decadenza dai diritti collegati all'assegnazione, che, nel caso oggetto di lite dinanzi alla Corte, si erano
sostanziate nella mancata occupazione dell'alloggio da parte dell'assegnatario e nella illecita
(sub)locazione dello stesso a terzi.
Pertanto, ai fini tributari, qualora un alloggio concesso in locazione con patto di futura vendita e
riscatto venga, dopo il tempo previsto, pattiziamente assegnato in proprietà al conduttore, il
trasferimento dell'immobile si realizza solo con quest'ultimo atto e ciò anche nel caso in cui nello stesso
negozio si dichiari che avviene con effetto ex tunc .
Di contrario avviso si sono mostrati quanti, in sede giurisdizionale6, hanno consacrato il
principio secondo il quale il contratto di locazione con patto di futura vendita, in forza del quale, al
termine della durata della locazione, si verifica l´acquisto dell´alloggio assegnato dallo Iacp, senza
ulteriori oneri per l´assegnatario, non può essere qualificato come contratto di sola locazione, perché il
Il Ministero delle finanze ha tuttavia chiarito, con la risol. 30 luglio 1998 n. 95 che, anche in assenza della disposizione
regolamentare di cui alla lettera i) dell'art. 59 D.lgs. n. 446 del 1997 (per la quale spetta ai singoli comuni stabilire che si
considerano regolarmente eseguiti i versamenti effettuati da un contitolare anche per conto degli altri) l’ente locale
impositore può considerare, limitatamente ai primi anni di applicazione dell'ICI, il versamento dell'imposta eseguito
congiuntamente, come se fosse suddiviso in tanti versamenti effettuati da ciascun contitolare proporzionalmente alla propria
quota di possesso, con conseguente inapplicabilità della sanzione connessa a siffatta modalità di esecuzione del pagamento.
5 Cfr. tra le altre C.T.C. 15 marzo 1985 n. 2561; id., sez. XIX, 9 marzo 1988 n. 2365; id., sez. VII, 6 marzo 2003 n. 1523;
C.T.P. II grado di Pisa, sez. IV, 15 settembre 1989 n. 278.
6 Cfr. Cass, sez I, 3 giugno 1992 n. 6800, nonché, più di recente, la pronuncia 13 maggio 2004 n. 18294, depositata il 10
settembre 2004 in Serv. Docum. Econ. Trib., http://dt.finanze.it, con la quale la medesima sez. trib. della Suprema Corte, sulla
scia dell’orientamento già assunto con le precedenti Cass. 12 giugno 1999 n. 5802, 2 luglio 1999 n. 6809, 10 luglio 1999 n.
7273 e 1 agosto 2002 n. 11460, ha affermato, con motivazione invero scarna, che l’assegnatario, anche provvisorio, di
alloggio di cooperativa edilizia è soggetto passivo dell’ICI anche se non è stato ancora stipulato l’atto notarile di
trasferimento della proprietà in suo favore, poiché l’art. 1 D.lgs. n. 504 del 1992 stabilisce che presupposto dell’applicazione
dell’imposta è il possesso di fabbricati .
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canone corrisposto contiene anche una parte del corrispettivo per la vendita dell´immobile e ciò
legittima la presunzione circa la sussistenza in capo al conduttore della titolarità di una posizione
giuridica sostanzialmente coincidente con il diritto di abitazione.
Invero, nel diritto tributario, il trasferimento di alloggio realizzato attraverso l’assegnazione in
locazione con patto di futura vendita ha sempre conosciuto un trattamento difforme rispetto al regime
dettato in ambito civilistico e per il quale la traslazione del dominio tra le parti si verifica, sempre e solo,
con la formazione di un negozio sanzionante il trasferimento definitivo dal locatore-promittente al
conduttore-promissario; così, per l’Invim, l’art. 2, comma 3, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e, per
l’IVA, l’art.2, comma 2, n. 2, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, concordano sul punto equiparando la
locazione con clausola di trasferimento della proprietà alla compravendita assoggettando la prima al
medesimo trattamento fiscale previsto per la seconda.
Analogamente, per le imposte sui redditi, l’immobile si considera trasferito già al momento della
stipula del contratto preliminare.
L’art. 109, comma 2, lett. a), del TUIR, infatti, da un lato prevede che la locazione con clausola
di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti è assimilata alla vendita con riserva di
proprietà, mentre, dall'altro, stabilisce che, ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza dei
corrispettivi derivanti dalle cessioni di beni immobili, si fa sempre riferimento alla data di stipulazione
dell'atto, a prescindere dalle eventuali clausole di riserva della proprietà.
La conseguenza di tale previsione normativa è che al momento della stipula del preliminare si
assumerà, ai fini fiscali, il prezzo di cessione con l'evidenziazione dell'eventuale plusvalenza o
minusvalenza.
Simmetricamente, il reddito fondiario prodotto dal fabbricato successivamente alla stipula del
contratto di locazione, dovrà far carico al conduttore/promittente acquirente e non al
locatore/promittente alienante7
Per l’imposizione sui redditi i criteri di imputazione si rinvengono nell’art. 26 TUIR, a mente del
quale rileva il possesso di immobili … a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale …, tuttavia,
con diverse risoluzioni8, l’amministrazione ha precisato che l'obbligo di dichiarare i redditi dei fabbricati
assegnati a riscatto o con patto di futura vendita incombe sugli assegnatari; … ciò in quanto, nel caso in
questione, viene configurato un rapporto non di mera locazione ma di assegnazione, nel quale se é pur vero che gli effetti
traslativi della proprietà sono rinviati al momento della stipulazione e trascrizione del contratto di vendita, immediato é il
trapasso del possesso dell'immobile all'assegnatario che, ferma restando l'impossibilità di trasferire ad altri l'immobile
stesso, esercita tutti gli altri poteri tipici del diritto di proprietà. Invero, una volta fatta l'assegnazione, ben difficilmente
potrebbe affermarsi che l'IACP possa ancora esercitare le potestà che costituiscono il contenuto fondamentale del diritto di
proprietà: il diritto di alienare e quello di godere del bene. Né potrebbe eccepirsi che il godimento dell'immobile da parte
dell'IACP avviene attraverso la riscossione dei frutti (canoni di locazione) atteso che i frutti medesimi vengono riscossi in
conto capitale, in vista della definitiva assegnazione. Quest'ultima considerazione fa apparire i canoni non quale reddito
dell'IACP ma come pagamento del prezzo di assegnazione.
Muovendo da tale premessa il Ministero aveva perciò rilevato che, godendo effettivamente
l’assegnatario del reddito dell'immobile, il presupposto impositivo si realizza in capo all’assegnatario
medesimo, indipendentemente dall’effettivo possesso a titolo di proprietà.
Nella sentenza in rassegna, al contrario, i Sommi Giudici scrivono che …. quello di cui era titolare
l'assegnatario era soltanto un diritto personale di credito nei confronti del proprio locatore, non un diritto reale che
insistesse in via diretta sul bene: non solo non era proprietario, ma neppure usufruttuario, né usuario, né enfiteuta, né
superficiario, né titolare del diritto di abitazione, né, in genere, di un qualsiasi diritto reale di godimento.
Non essendo né proprietario, né titolare di altro diritto reale di godimento di contenuto
parzialmente analogo a quello di proprietà il contribuente non poteva essere tenuto al pagamento
dell'imposta ICI.”
Secondo Cass. civ., sez. I, 3 giugno 1992 n. 6800, il contratto di locazione con patto di futura vendita non può essere
qualificato come contratto di sola locazione, perchè il canone corrisposto contiene anche una parte del corrispettivo per la
vendita dell´immobile.
8 Cfr., per tutte, risol. Min. Finanze – Imposte Dirette, 19 novembre 1981 prot. 2796.
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Peraltro il riferimento all’esistenza di un diritto personale di credito vantato dal conduttoreassegnatario nei confronti dell’Istituto titolare del diritto di proprietà conduce a trarre interessanti spunti
interpretativi attingendo alla giurisprudenza che si è pronunciata in esito alla natura di un altro diritto,
quello spettante al coniuge affidatario della casa coniugale in conseguenza del provvedimento del
giudice divorziale, per certi versi non dissimile da quello vantato dal conduttore-assegnatario.
Secondo questi giudici, che trovano il conforto di autorevole dottrina 9, quello spettante al
coniuge separato, lungi dall’essere un diritto reale sull’immobile, si qualifica come un mero diritto di
credito giacché il provvedimento giudiziale che omologa la separazione personale o determina la
cessazione degli effetti civili del contratto matrimoniale dei coniugi, non ha natura traslativa, ancorchè la
sentenza debba essere trascritto nei registri immobiliari ai fini pubblicistici.
Anche per questa fattispecie, come per il contratto di locazione con patto di futura vendita,
taluni rinvengono un’assimilabilità ad un diritto reale di abitazione, ma - e il discorso non cambia quale
che sia la fonte dell’assegnazione dell’alloggio - si ritiene che con questo ragionamento si pervenga ad
una interpretazione analogica della norma tributaria, parificando la posizione dell’assegnatario di
alloggio al titolare del diritto di abitazione e ciò in aperta violazione dell'art. 14 delle preleggi che vieta
l’analogia con riferimento alle norme di carattere speciale, quali sono appunto tutte le norme impositive
dell’ordinamento italiano.
E’ interessante notare che la soggettività passiva ai fini dell’applicazione dell’ICI degli Istituti
Autonomi per le Case Popolari ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale risolti negativamente
dalla Consulta con due diverse sentenze.
Con la prima, 11 giugno 1993 n. 37010, la Corte cost. risolveva negativamente la questione della
quale era stata investita dalla Regione Liguria11 che revocava in dubbio la costituzionalità dell'art. 7 del
più volte richiamato D.lgs. n. 504 del 1992, nella parte in cui non esentava dall'imposta le unità
immobiliari possedute dagli IACP.
Secondo la Regione la norma denunziata si poneva in palese violazione degli artt. 117, 118 e 119
Cost. in relazione all'art. 93 D.P.R. 27 luglio 1977 n. 616, del principio di ragionevolezza sancito dall'art.
76 Cost., con riguardo all'art. 4 L. delega 23 ottobre 1992 n. 421 e, infine, dell'art. 53 Cost.
La Corte, dopo aver dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7
D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, nella parte in cui non esenta dall'ICI gli immobili degli Istituti autonomi
case popolari, proposta con riferimento agli artt. 53, 117 e 118 della Carta costituzionale, non
rientrando la materia delle esenzioni dai tributi erariali nella detta sfera di competenza,
costituzionalmente garantita, osservava che doveva ritenersi rientrante nella discrezionalità del
legislatore statale la valutazione comparativa delle esigenze generali e di quelle regionali, con
conseguente infondatezza della questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 119 in ragione
degli effetti negativi della mancata esenzione sulle sue finanze, per i maggiori oneri da sopportare per
fronteggiare il disavanzo degli Istituti stessi
In data 3 giugno 1995, con propria ordinanza, era la C.T.P. di I grado di Como a denunciare
l’incostituzionalità degli artt. 1, 6 e 7 D.lgs. n. 504 del 1992, nonché dell'art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1,
2, 3, 6 e 7, L. 23 ottobre 1992 n. 421, deducendo la violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost., per la mancata
previsione dell'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili o, quanto meno, una disciplina
differenziata per quelli di proprietà degli Istituti autonomi case popolari.
Cfr. A Trabucchi, Istituzioni di Diritto Civile, Cedam, 1998, p. 290, per il quale il provvedimento del giudice del divorzio o
della separazione non ha le caratteristiche di atto ad effetto traslativo, ma meramente obbligatorio, facendo sorgere, in capo
al coniuge assegnatario, soltanto un diritto di credito, tanto che lo stesso giudice può imporre al coniuge obbligato di
prestare una idonea garanzia.
10 In Il Fisco, http://home.ilfisco.it.
11 L’interesse della Regione alla caducazione della norma era giustificato dalla circostanza c
he gli Istituti autonomi case
popolari sono enti strumentali della regione, la quale ne approva i bilanci ed è direttamente responsabile dei risultati
gestionali conseguiti, e l'unica entrata certa di tali istituti è data dai canoni di locazione, fissati a prezzo politico, e
dall'alienazione degli alloggi così, secondo la rimettente, per il pagamento dell'ICI, non basterebbero le entrate assicurate dai
canoni una volta detratte le spese di amministrazione e manutenzione straordinaria.
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I giudici costituzionali, con la Corte cost. 12 aprile 1996 n. 11312 dichiaravano manifestamente
infondati i dubbi di costituziona lità dedotti osservando, in sintesi, che l'ICI è un’imposta patrimoniale
dovuta in misura predeterminata che non si basa su indici di produttività e che per quanto attiene al
regime delle esenzioni, di cui all'art. 7 D.lgs. n. 504 del 1992, la Corte non può, pena una palese
intromissione nell'ambito della discrezionalità politica riservata alle Camere, surrogare il legislatore nelle
scelte di merito né introdurre, con apprezzamento equitativo, una qualche differenziazione, ricalcando
eventualmente il meccanismo delle riduzioni d'imposta introdotto dal successivo art. 8 del medesimo
decreto legislativo.
Quanto alla situazione gestionale degli Istituti autonomi case popolari, il giudice delle leggi
rammentava che l'art. 66, comma 9, D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito, con modificazioni, nella L.
29 ottobre 1993 n. 427, aveva disposto l'adeguamento dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica, prevedendo a tal fine l'intervento delle Regioni. Il Comitato interministeriale per
la programmazione economica, con propria delib. 13 marzo 1995, aveva fatto propria la
preoccupazione circa la grave situazione finanziaria in cui versano detti Istituti, anche a causa della mancata
attuazione, da parte di molte Regioni, del disposto del citato art. 66, comma 9, dettando i criteri per la
determinazione dei nuovi canoni ed autorizzando gli enti gestori ad applicarli ove ancora manchino i
provvedimenti regionali attuativi13.
Ciò, secondo la Consulta, avrebbe consentito di attenuare le difficoltà finanziarie degli Istituti
pur nella consapevolezza di un’urgente, attenta considerazione del Parlamento, del Governo e delle Regioni, stante
l’estrema delicatezza ed il particolare rilievo sociale della materia.
Concludendo, per la Suprema Corte la posizione giuridica dell’assegnatario di alloggio IACP si
traduce, in assenza di effetti traslativi ovvero costitutivi di diritti reali su beni altrui, che la locazione con
patto di futura vendita non vale a generare, nella mera titolarità di un personale diritto di credito
sull’immobile, da valere nei confronti dell’istituto proprietario, che non può surrettiziamente
determinare la costituzione di un diritto reale di godimento; da ciò l’insussistenza del presupposto al
quale ricondurre l’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili.
Fabio Petrone
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In Serv. Docum. Econ. Trib., http://dt.finanze.it.
V. punto 8.7 della cit. delib. C.I.P.E.
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