2. LA DONNA SCOMPARSA (Anna Lamonaca) Le

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2. LA DONNA SCOMPARSA (Anna Lamonaca) Le
2. LA DONNA SCOMPARSA
(Anna Lamonaca)
Le era piaciuta dal primo momento, non si trattava di attrazione fisica, ma era qualcosa
d’inspiegabile, quella ragazza aveva una fierezza nello sguardo che non aveva mai visto, un
orgoglio che la portava a superare le sue tangibili difficoltà.
Quello che l’aveva colpito di quell’affascinante donna silenziosa, era il suo modo di essere lontana
dal mondo, ma allo stesso tempo riuscire a percepirne ogni minimo dettaglio, da quando l’aveva
conosciuta non poteva fare a meno di staccare lo sguardo da lei, amava guardarla mentre seduta in
archivio si dedicava con dedizione alle sue carte, mentre con grazia e delicatezza le sfogliava
oppure quando scriveva e ruotava la matita sui fogli di quel quaderno che usava come “voce” e che
portava sempre con sé. Uno dei gesti che gli piaceva di più era quello che Anastasia faceva quando
sollevava i suoi capelli ramati in uno chignon, era allora che avrebbe voluto essere uno dei suoi
boccoli, adagiarsi impalpabilmente nell’incavo del suo collo e restare li per un po’, godendo di quel
contatto quasi materno. Molto spesso i loro occhi si erano incontrati in uno sguardo carico di
sentimento e ciò che lo invaghiva era il suo modo di avvicinare il viso al suo per leggergli le labbra,
strizzava gli occhi proprio come in quel momento, per cercare di capire ciò che lui le diceva. Spesso
per non sembrare un ebete tentava di giustificarsi, una volta lei aveva scritto sul suo quaderno:
«Perché mi guardi così?».
E lui di rimando: «Hai una cosa sul viso, forse una pagliuzza» ed aveva fatto finta di scostarla, poi
avevano riso insieme.
Fuori dal portone della questura aveva iniziato a piovigginare, una pioggerellina improvvisa di
marzo, che irrompe anche se il cielo è sereno e guasta i piani di chi si illude che quella non sia una
brutta giornata. I due condividevano un solo ombrello, Orlando sentiva il contatto della mano calda
di Anastasia sul suo braccio e guardava quegli occhi verdi scrutarlo mentre le diceva: «Stammi
vicina altrimenti ci bagniamo». Lei non aveva risposto, non poteva in quel momento, ma aveva
annuito guardandolo negli occhi in un modo che gli toglieva il fiato e così stretti, sotto un piccolo
ombrellino pieghevole, attraversarono la strada ed entrarono nel bar.
Un’ondata d’aria calda e un profumo intenso di caffè e brioche li investì. Il bar a quell’ora non era
molto frequentato, Mario il barista, conosceva tutti gli impiegati della questura, appena li vide li
salutò con allegria: «Ciao Splendore!» rivolgendosi ad Anastasia e poi girandosi verso l’ispettore:
«Cosa bevi Orlando, il solito caffè? E tu Anastasia?».
Orlando annuì, mentre lei aveva estratto il suo taccuino ed aveva scritto: «un latte macchiato
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tiepido, per favore». Il ragazzo si mise subito all’opera, servendo il caffè e una tazza di caffèlatte
con sopra disegnato un cuoricino per Anastasia, che di rimando gli aveva sorriso.
«Allora “splendore” oggi sei più bella del solito cosa mi racconti di nuovo? Non è che ti sei
innamorata?».
Anastasia gli rispose con una scritta sul suo quaderno: «Scemo! Cosa ti viene in mente?» e poi
erano scoppiati a ridere.
Intanto con la tazza fumante di caffè tra le mani la mente di Orlando era volata ad una discussione
che aveva avuto la settimana precedente con il suo migliore amico Marco:
«Secondo me sei impazzito. Una sordomuta, come credi che possa essere la vita con una donna
simile? Secondo me sei pazzo! Ti sei fatto allucinare da quella testolina rossa, è carina, ma guardati
intorno, il mondo è pieno di donne pronte a cadere ai tuoi piedi e tu come al solito tenti di
complicarti la vita con una handicappata, ma tu sei proprio matto Orlando!» gli aveva intimato
Marco con uno sguardo serioso.
Di rimando lui gli aveva subito risposto un po’ infastidito:
«Le voglio molto bene, non posso neanche dire quanto, lei è così forte e allo stesso tempo dolce.
Riesce a farmi sentire speciale. È inutile che lo racconti a te sei solo uno stronzo, un superficiale,
cosa vuoi capirci tu dell’amore?! Anastasia è diversa» voltandogli le spalle per mascherare il
rossore che aveva in volto.
«Cos’ha di speciale?» ribadì Marco con tono stizzito.
«Sa farti sentire il suo affetto, starti vicino… ci sono cose che riesce a trasmettermi solo con uno
sguardo più che nessun altro». Aveva chiuso la conversazione per evitare di litigare, ma Marco lo
aveva incalzato:
«Non sei normale lo dico sempre!» ma poi sorrise smorzando i toni della discussione.
Marco era un buon amico e certe cose le capiva, sapeva che con quella ramanzina era andato a
scuotere sentimenti profondi, impenetrabili forse quello non era il momento adatto per parlare di
quelle cose. Orlando stava vivendo un brutto periodo, sua madre stava male e non aveva voluto
infierire ulteriormente.
L’ispettore Metelli era figlio unico di due genitori molto premurosi e amorevoli, ma molto anziani,
la madre lo aveva avuto in tarda età ed aveva visto quel figlio sempre come una sorta di miracolo,
un dono di Dio. Il padre e la madre lo avevano accudito e cresciuto con amore, avevano gioito con
lui per i suoi traguardi professionali e, visto la pericolosità del suo lavoro, sempre con una certa
riluttanza, cercando di proteggerlo da tutti e da tutto. Lui dal canto suo, era invece sempre stato un
ribelle, sprezzante del pericolo, dotato di una forte dedizione alla difesa dei deboli. L’unico punto
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dolente era sua madre, era molto legato a lei. Purtroppo si era ammalata, Alzheimer, i suoi ricordi
stavano sbiadendo lasciandola imprigionata in un mondo sospeso in cui passato e presente spesso si
mescolavano e allora Orlando diventava nelle fantasie della donna un estraneo e lei agli occhi del
figlio appariva come una sorta di fantasma, questa cosa lo intristiva molto. Mentre era preso da
questi pensieri, una voce squillante aveva urlato animosamente:
«Oh mio Diooo! Orlandoo! Ma sei tu Orlando Metelli! Sei proprio tu! Non posso crederci!».
Orlando si girò di scatto. Era entrata una ragazza, alta e snella con i capelli castani ondulati, una
gonna e una camicia a fiori. Di primo acchito Orlando aveva stentato a identificarla, ma poi man
mano che si avvicinava, aveva affinato lo sguardo, riconoscendo in lei Jessica, una sua vecchia
compagna di università, una delle più belle del suo corso, spigliata, intraprendente….
«Jessica! Jessica Contini! Da quanti anni! Non riesco a crederci… sei sempre la stessa! Il tempo
non passa mai per te!». Le disse Orlando sorridendo. In un attimo gli si era avvicinata e lo aveva
stretto in un abbraccio.
«Non riesco a crederci! Orlando! È una vita che non ci vediamo! Come stai? Che bello vederti!».
Orlando avrebbe voluto restare un po’ in compagnia di Anastasia, ma Jessica lo aveva travolto da
una raffica di parole e non riusciva a liberarsi.
«Come sta’ tua madre? Che ci fai qui? Questa è una tua amica? Posso conoscerla? Ciao Piacere io
sono Jessica un’amica di Orlando!».
Anastasia continuava a guardarla con uno sguardo un po’ ostile, senza fare il minimo cenno di
assenso. Era certo che si sentiva in imbarazzo, per cui Orlando rispose frettolosamente per lei:
«È una mia collega, il suo nome è Anastasia» cercando di non andare oltre con la conversazione e
cambiando discorso per non far sentire la ragazza fuori luogo.
Anastasia dal canto suo era seduta in un angolino ed avrebbe preferito scomparire in quel momento,
non sopportava quella ragazza così ciarliera e quella situazione la faceva sentire a disagio, scrutava
Jessica per cercare di capire cosa i due si stessero dicendo, non le piaceva quando due persone non
la inserivano in una conversazione, Jessica era molto attraente, disinvolta, con un sorriso da prima
donna.
Estrasse il suo quaderno e iniziò a scrivere.
I due non fecero caso a lei, presi dai loro discorsi poi, quando Jessica andò via, Orlando si scusò per
l’invadenza della sua amica.
«Scusami, era solo una scocciatrice, veniamo a noi, mi sembri seria, c’è qualcosa che non va?».
Anastasia avrebbe voluto piangere, ma si limitò a scrivere:
«Tranquillo, va tutto bene… mi sembravate molto in confidenza… non ho voluto disturbarvi»
mostrandoglielo senza guardarlo negli occhi.
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«Sicura che va tutto bene?».
Anastasia si limitò a scrivere:
«Sono molto preoccupata per un nuovo caso».
Hai voglia di parlarne? All’inizio la ragazza sembrava un po’ titubante poi avvicinò le mani alla
penna e iniziò a scrivere su una pagina pulita, con la sua calligrafia infantile e un po’ tondeggiante:
«Si tratta di una donna scomparsa, i genitori hanno denunciato la sua sparizione, il compagno li ha
avvertiti circa due giorni fa, vivevano insieme in un appartamentino in centro. Venerdì sera, dopo
cena i due hanno avuto una discussione. Lui è uscito di casa intorno alle 20.00 e quando è ritornato
ha trovato un biglietto, sul quale c’era scritto - vado via, non riesco ad andare avanti, non cercarmi,
non riuscirai a trovarmi, ho bisogno di scoprire me stessa, di ricominciare una nuova vita».
«Perché non ha denunciato subito la scomparsa?».
Anastasia riprese a scrivere.
«Subito aveva pensato che la donna fosse uscita per fare una passeggiata e schiarirsi le idee, quando
non è rincasata era convinto che si fosse fermata a dormire dai propri genitori o da un’amica, era
troppo tardi per poter verificare dove fosse, avrebbe svegliato inutilmente tutti, quindi di rimandare
la cosa al giorno dopo».
«E il giorno dopo perché non ha allertato la questura?».
Anastasia tirò un sospiro e scrisse:
«L’uomo asserisce di aver provato a telefonarle e di aver trovato il telefono spento, poiché non era
la prima volta che la donna si allontanava da casa dopo una discussione, ha sottovalutato la cosa
recandosi al lavoro, sperando nel ritorno della compagna. Solo la sera, dopo essere rincasato, si
decise a telefonare ai genitori di lei e loro sporsero denuncia in questura».
«Cosa ne pensano gli inquirenti?» scandì bene Orlando, in modo da farsi comprendere dalla
ragazza.
«Gl’inquirenti sono convinti che si tratti di un allontanamento volontario, ma io non credo sia così.
Non si può sparire nel bel mezzo della notte uscendo di casa a piedi senza portare via nessun
indumento. Ho visto quell’uomo Orlando, ho scrutato i suoi occhi, non mi piace, mi fa paura».
Anastasia aveva iniziato a tremare.
Orlando finse di non vedere quel tremore e si limitò a dire.
«È tardi Anastasia, dobbiamo rientrare in questura, ma ti prometto che parleremo ancora di questo
caso e soprattutto ti aiuterò ad avvalorare i tuoi sospetti con le mie indagini, adesso cerca di non
pensare a nulla, la cosa più importante nel nostro lavoro è non lasciarsi coinvolgere dagli
avvenimenti. Ogni giorno spariscono tantissime donne, alcune si allontanano volontariamente altre,
nella maggior parte dei casi, le ritroviamo morte, vittime di violenza e soprusi, molto spesso sono
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martiri di uno sconosciuto o di un familiare. Tante donne che provano a vivere i loro sentimenti a
pieno e si ritrovano ingabbiate in un incubo, da cui non possono, né sanno scappare, un incubo fatto
di privazioni e vessazioni fisiche e morali, storie senza via d’uscita».
La ragazza lo guardava attentamente, era concentrata a leggere le sue labbra e allora Orlando
rallentò un po’ il ritmo per dare maggiore incisività a quello che diceva:
«Noi siamo qui per difenderle, spesso ci riusciamo, molte volte no. Bisogna avere il cuore duro. So
che per te è difficile, ma devi provarci».
Si fermò un attimo per accertarsi che lei avesse capito, poi si alzò di scatto:
«Adesso andiamo».
Aveva tagliato corto, in verità neanche lui era troppo abituato al suo mestiere, spesso finiva per
portare a casa il suo lavoro e per questo motivo gran parte delle sue storie d’amore divenivano
fallimentari, finiva per concentrarsi sui casi così tanto che smarriva sé stesso, dimenticava date,
ricorrenze, appuntamenti
Guardò per un attimo fuori dalla finestra, aveva smesso di piovere ed era un vero peccato perché
avrebbe voluto stringerla forte a sé dato che tremava, era ancora sconvolta da quello che gli aveva
raccontato, ma in quel momento doveva limitarsi ad essere freddo e duro nel suo personaggio,
sapeva che per Anastasia lui non era altro che un amico, e questo doveva limitarsi ad essere, però
giurò a sé stesso che l’avrebbe aiutata a risolvere il mistero di quella donna scomparsa, uno strano
caso che aveva colpito ed insospettito pure lui, ma che in quel momento era meglio sminuire per
non aggravare la preoccupazione della ragazza. Chiesero il conto.
«Pago io» questa volta la scritta sul quaderno di Anastasia era a caratteri cubitali. Non servirono a
nulla le rimostranze di Orlando, Anastasia fermò la mano del collega pronta sul portafoglio.
Orlando dovette desistere con chiari segni di dissenso sul volto.
Il mistero della donna scomparsa
In una zona periferica di Roma, una donna stava piangendo, inzuppando le bende che aveva sugli
occhi, legata ed imbavagliata in una stanza buia. Era confusa, si sentiva intontita e dolorante, non
riusciva a ricordare come era giunta in quel luogo. Aveva una caviglia slogata e riusciva a percepire
soltanto il rumore del suo respiro che si faceva affannoso, un acre odore di muffa e disinfettante
permeava la stanza.
Non riusciva a sapere dov’era chiusa, perché si trovava in quel luogo e sentiva un forte dolore ai
polsi, forse aveva anche una costola spezzata. L’avevano condotta lì dopo averla sistemata nel retro
di un pulmino, e percorso una strada sterrata, l’aveva percepito dal rumore degli ammortizzatori
rotti che cigolavano e dai sobbalzi che la sballottavano di qua e di là.
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Poi, senza dire una parola, due persone l’avevano chiusa in quel luogo scuro e umido. Uno l’aveva
afferrata ai piedi e un’altra alle mani.
Era stesa su di un materasso e non riusciva a girarsi. Di tanto in tanto qualcuno entrava a portarle da
mangiare, non una parola, non un sibilo, limitandosi soltanto a imboccarla, e quando rifiutava un
boccone, la picchiavano. Ogni volta che assumeva cibo si sentiva male, la testa le doleva e uno
strano senso di nausea le pervadeva le membra, lasciandole un sensazione di mollezza che la
portava in una sorta di limbo. Aveva provato ad urlare quando le avevano tolto il bavaglio, ma non
poteva ribellarsi perché per tutta risposta le avevano sferrato un pugno in pieno volto
scaraventandola al lato opposto del materasso.
L’archivio della questura era per Anastasia il luogo perfetto in cui osservare, repertare, intuire la
possibile dinamica di un reato, di solito una denuncia la si presentava in forma orale, il pubblico
ufficiale redigeva un verbale ed archiviarlo era compito suo.
Quella mattina appena rientrata al lavoro dopo la pausa al bar con Orlando, trovò un gran fermento
di poliziotti che discutevano, muovendosi animosamente. Si fermò lungo il corridoio, cercando
d’interpretare il labiale.
Il cellulare della ragazza scomparsa era stato acceso, un sms vuoto era arrivato sul cellulare del
padre che era corso subito in commissariato a denunciare la cosa. Dietro a una scrivania, l’ispettore
Vitaloni cercava di calmare la madre di Lina Carrini, quello era il nome della ragazza scomparsa.
«Ispettore… lei deve aiutarmi a cercarla, qualcuno l’ha portata via…».
L’ispettore con fare accondiscendente cercava di calmarla:
«Gl’inquirenti stanno indagando in tutte le direzioni, stanno studiando il fascicolo e soprattutto
stanno investigando su tutto ciò che non è scritto nel dossier, il compagno, le amiche, le relazioni
sociali, persino dove andava a fare la spesa, la parrucchiera ed altro ancora».
Il padre della ragazza irruppe nella conversazione:
«Noi siamo qui… aspettiamo… ma non riusciamo a sapere nulla, ci tenete all’oscuro di tutto».
«In realtà ci sono novità, il messaggio che ci ha portato in visione ha attivato i nostri, essi si stanno
adoperando nella ricerca con il sistema d’intercettazione satellitare ed il cellulare ha agganciato una
cella che segue la linea della metropolitana in direzione della Stazione Termini» l’ispettore fece una
piccola pausa. «Dalla questura due volanti sono partite dirette al capolinea da cui non abbiamo
ricevuto più segnali, non si preoccupi, la troveremo».
Anastasia tornò verso l’archivio, decidendo di accendere il computer e cercare il file che riguardava
la denuncia di sparizione della ragazza. C’era anche una fotografia. Lina era una graziosa ragazza
bruna, occhi neri e tristi. Si fermò a guardarla per qualche secondo, poi scrisse sul suo quaderno:
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«Lina dove sei finita? Possibile che tu sia scomparsa nel nulla».
Un’ora più tardi Orlando le disse che le volanti erano tornate indietro senza aver ottenuto nessun
risultato.
I poliziotti avevano seguito il tragitto della metro fino al capolinea ritrovando il cellulare sotto un
sediolino.
Dopo la notizia di quel ritrovamento, Anastasia scrisse sul suo quaderno in modo che Orlando
potesse leggere:
«Due sono le ipotesi: Lina ha gettato il cellulare per non essere rintracciata oppure è chiaro che
qualcuno sta tentando di depistare le indagini».
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