Untitled - I.C. Verdellino

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Untitled - I.C. Verdellino
Introduzione
Il laboratorio “Zingonia si tinge giallo”, adattando alla scuola secondaria di primo grado un percorso ideato
dalla professoressa Tullia Piccoli, ha cercato di avvicinare gli alunni della seconda b alla scrittura
creativa. L'idea che ha ispirato e sostenuto il laboratorio è stata quella di aiutare i nostri giovani scrittori a
vincere la vertigine e il disorientamento che provoca la pagina bianca, fornendo una serie di suggerimenti
da seguire e di modelli cui ispirarsi. Il percorso, infatti, prevedeva la realizzazione di un racconto articolato
in diciotto sequenze con il supporto di una serie di materiali che comprendevano testi scritti da altri
studenti
negli
anni
passati e
brani
tratti
dai
classici
della letteratura gialla.
Si è cercato quindi di sovvertire la vetusta regola in base alla quale a scuola è sempre vietato copiare.
Scrivere infatti significa anche imitare i grandi scrittori o più modestamente il compagno di banco che ha
avuto un'idea interessante, in una dialettica tra innovazione e tradizione che produce risultati inattesi
anche per gli insegnanti più sfiduciati e cinici.
Il giallo inoltre, in quanto genere letterario che concede dignità di essere rappresentati a sentimenti quali
l'invidia, il risentimento e il rancore riesce ad assolvere una funzione sociale e terapeutica.
In un contesto, come quello della seconda media, in cui la conflittualità tra gli alunni aumenta, e i
sentimenti verso gli insegnanti non sono sempre improntati alla cordialità e all'affetto, scrivere un racconto
giallo aiuta a sublimare le pulsioni aggressive indirizzandole verso un obiettivo socialmente utile: la
creazione di testi che possiedono un valore letterario.
Detto più banalmente: Vuoi lapidare il tuo compagno di banco perché ti ha rubato una matita? Vorresti
bucare le gomme a quel professore che soffoca con note e brutti voti il tuo élan vital? Con il laboratorio sul
giallo scopri che è molto meglio trasformare i nemici nelle vittime predestinate della tua storia. Eviti la
galera, non ti sporchi di sangue e la soddisfazione è forse anche più intensa. In fondo anche Dante, tenuto
conto delle necessarie proporzioni, non ha fatto altro che scrivere una storia grazie alla quale ha potuto
mandare all'Inferno i suoi nemici.
In questo modo abbiamo risparmiato liti, colluttazioni, contestazioni, gomme d'auto, onerose parcelle di
avvocati. Ma anche matite e penne.
Sì, perché il laboratorio è stato interamente realizzato senza versare una goccia di inchiostro e senza
contribuire alla deforestazione del pianeta. La classe seconda b si è trasformata in una classe virtuale,
sfruttando le risorse gratuite della piattaforma Moodle (di questi tempi l'open source e la gratuità dei
programmi sono una condizione imprescindibile).
Lascio a voi giudicare i risultati. In allegato troverete sedici racconti gialli della seconda b che grondano
crimini e sangue e quindi adatti a stomaci robusti.
Anche se, tra tutti i crimini che si possano immaginare, il delitto più grave sarebbe quello di non leggerli.
Professor Giovanni Macchione
L'ACQUA ROSSA DELLA PISCINA DEI BROWN – LUCA MERISIO
New York, Manhattan.
Quella dei Brown era la villa più bella del quartiere molto ricco di Manhattan, una villa tutta bianca dotata
di una terrazza enorme dove i Brown trascorrevano le serate estive in famiglia.
Ma quello che metteva più invidia al vicinato era la splendida piscina sul retro della villa: era molto grande,
il bordo era di un bel colore topazio e tutto intorno la pavimentazione si colorava di azzurro acquamarina.
Il fondo era bianco a differenza di quello della vasca idromassaggio che era blu oltremare, con alcune
piastrelle disposte in modo da formare la scritta "BROWN". All'idromassaggio si poteva accedere tramite
una scaletta in pietra. Nella gigantesca piscina ovale galleggiavano quattro bellissimi materassini gonfiabili e
al di fuori della piscina erano posizionate delle sedie a sdraio con tanto di ombrellone. La piscina era anche
dotata di un fantastico trampolino flessibile ad altezza regolabile per salti mozzafiato. Per non parlare del
gazebo bianco neve che gli stava a fianco, dove Mrs Brown serviva cocktail ghiacciati al marito e ai suoi due
figli; il gazebo era collegato alla casa tramite l'enorme vetrata.
Nella villa a fianco di quella dei Brown, viveva il signor Rooney con sua moglie e il suo magnifico cane
pastore. Il signor Rooney era un uomo di poche parole ma andava molto d’accordo con i Brown tanto che le
due famiglie si frequentavano molto.
Lui era molto alto, circa un paio di metri, e robusto come un orso bruno, aveva un fisico ben scolpito,
probabilmente per il lavoro che faceva : il guardiacaccia; il suo naso sembrava una grossa patata e i suoi
grossi occhi marroni ricordavano due enormi castagne. La testa era calva, liscia e lucida come una palla da
bowling, ma quando doveva presentarsi ad un appuntamento galante o anche solo a cena dai Brown
indossava un folto parrucchino marrone.
Sotto tutti quei muscoli, guadagnati con il duro lavoro, si nascondeva un animo gentile, infatti all'apparenza
poteva sembrare un grosso omone cattivo ma il vero signor Rooney era una persona educata e disponibile
che dedicava parte del suo tempo libero come volontario del canile della zona. Era ben voluto da tutto il
vicinato si vestiva da Babbo Natale per far felici i bimbi del quartiere.
Mr. Rooney era uscito in cortile per fumare una sigaretta, era nuvoloso, stava per mettersi a piovere, sua
moglie non c'era, infatti era andata col cane a casa di amiche.
Fu proprio quando iniziarono a cadere le prime gocce che grazie alla luce che passava dalla finestra vide
l'ombra di un uomo alle sue spalle, si girò di colpo col cuore in gola e si ritrovò faccia a faccia con un uomo
vestito di nero; appena mister Rooney tentò di scappare l' uomo lo inseguì. Rooney scavalcò la staccionata
del suo cortile ma appena si trovò dall' altra parte, nel giardino dei Brown, il suo aggressore gli saltò
addosso.
Dopo qualche secondo di lotta intensa il signor Rooney si liberò sferrando un potente calcio sulle costole
del suo aggressore, e iniziò urlare "Brown!! Brown!!" sperando in qualche soccorso da parte della famiglia
dei vicini, ma fu tutto vano perchè sulla W di Brown il povero Mr Rooney vene colpito dalla pallottola
partita dalla pistola dell' aggressore. A quel punto la vittima si accasciò a terra e con un secondo colpo di
pistola fu segnata la fine di Mr. Brown e il suo cadavere fu gettato nella piscina dei Brown, la cui acqua
subito cominciò a colorarsi di rosso. Soddisfatto l'assassino si allontanò dolorante per il calcio subito.
Fu il mattino dopo che il detective James Bond venne avvisato mediante una telefonata che nella notte si
era verificato un omicidio nel quartiere di Manhattan.
James era di media altezza e magro, aveva i capelli castano chiaro molto corti. Sopra alle sue grosse spalle
c' era una piccola testa rotonda con piccoli occhi verdi e un naso altrettanto piccolo con la punta all'insù; la
cosa che più lo rappresentava era la cicatrice sul collo, ricordo di una sparatoria di qualche anno prima con
un killer, l' unico che gli era sfuggito e per questo suo unico fallimento provava ancora una grande rabbia.
Colleghi e amici lo consideravano molto simpatico, al contrario della moglie dalla quale aveva divorziato a
causa del lavoro che non permetteva che i due si vedessero più di un'ora al giorno.
Era una persona molto riflessiva anche se a volte amava agire d' istinto; aveva un ordine mentale rigoroso,
cosa che però il suo ufficio non dimostrava per niente.
Il suo era lo studio più a est della caserma di polizia, era inoltre uno dei più piccoli; appena vi si entrava sulla
destra si notava subito l'attaccapanni dove appendeva il suo cappotto a quadri che usava tutte le mattine.
La cosa che saltava più all'occhio era però la scrivania posizionata in fondo alla stanza, era molto
disordinata, su di essa vi erano appoggiati: un PC nero un portapenne colmo di biro, matite, graffette, spille
e gomme. Per non parlare delle gigantesche pile di fogli e fascicoli che quasi rendevano difficile riuscire a
vedere in faccia il detective James; accanto alla scrivania c'era una gigantesca bacheca dove erano appesi
una miriade di fogli, foglietti e fogliettini, probabilmente i ragionamenti fatti per risolvere il caso
precedente.
Sotto alla bacheca c' era un cestino talmente pieno di palline di carta che spesso uscivano cadendo a
terra. Dall' altra parte della stanza una grande finestra si affacciava su una delle vie principali della città
dove la quantità di auto era incalcolabile come i fogli sulla scrivania di James.
Il mattino dopo Bond appena entrato in ufficio alzò la cornetta e disse: "Buongiorno, qui parla l'ispettore
James posso esserle utile?"
Dall' altra parte un uomo disse: "Chiamo per riferirle di aver trovato un cadavere. "
"Mi dica ,tutto,cosa è successo?"
L'uomo rispose:" Ero uscito ad annaffiare le piante, quando a un tratto ho notato che l'acqua della mia
piscina era rossa, mi sono avvicinato e ho visto un corpo che galleggiava a faccia in giù."
L'ispettore domandò:" Riconosce per caso la vittima?"
"No, non l'ho mai......"
"Signore? Siete ancora lì?"
Dall' altra parte l'uomo singhiozzando esclamò: "Oh mio Dio! Certo che lo conosco, è Rooney, il mio vicino
di casa." E scoppiò in un pianto disperato.
Dopo che James riuscì a tranquillizzarlo riprese a rivolgergli altre domande:" Allora da dove mi chiama? E
chi è lei?"
"Sono il signor Philip Brown e la chiamo dalla zona East Village di Manhattan via Martin Luther King."
"Ok, ha toccato il cadavere?"
"No no, certo che no; ho riconosciuto che è Rooney dal tatuaggio sulla spalla."
Mentre James finiva di scrivere i suoi appunti e usciva dall'ufficio concluse la telefonata dicendo "Resti lì,
sto arrivando!”
Bond ci impiegò poco ad arrivare sul posto insieme alla scientifica e impiegò ancor meno a trovare i
principali indizi: alcune chiazze di sangue a pochi metri dalla piscina e altre invece sul bordo della piscina
stessa. Ma ci fu un indizio molto strano che saltò agli occhi di Bond: due orme, una era un' impronta di
calce; e l'altra di uno stivale da giardino che, dopo aver verificato, risultò essere del signor Brown, che
quindi diventò il primo sospettato.
Bond chiese ad un agente della scientifica di prelevare un campione della calce ritrovata vicino alle chiazze
di sangue, inoltre notò anche le impronte di due grosse mani parallele alle piccole chiazze di sangue più
lontane dalla piscina e la cosa gli fece pensare a una lotta furibonda nella quale la vittima si trovava sotto e
il suo aggressore sopra e le impronte delle mani potevano far pensare che la vittima si fosse liberata e
avesse spinto l'aggressore che probabilmente aveva appoggiato le mani per sorreggersi.
Mentre Brown si disperava, un po' per la perdita dell'amico e un po' per essere il primo sospettato, Bond
scostando il nastro giallo e nero posizionato dalla polizia e facendosi strada tra gli uomini della scientifica,
arrivò alla piscina e vide il corpo galleggiare in acqua e due buchi di proiettile belli evidenti, il primo al
ventre e il secondo alla testa. Vedendo la scena pensò subito che l'aggressore avesse sparato il secondo
colpo per assicurarsi della morte della sua vittima.
Fu un attimo dopo che il nostro commissario notò tra le chiazze di sangue un mozzicone di sigaretta che,
con delle pinze, prese e depositò in un sacchetto di plastica trasparente affidandolo all'agente della
scientifica al quale aveva consegnato anche la calce e al quale disse: "Portale al dottor Odginse, digli che
sono da parte mia e che voglio i risultati delle analisi entro due giorni al massimo." L'agente annuì.
Fu così che James, dopo aver incaricato la scientifica di portare il corpo in laboratorio; se ne andò portando
con se il signor Brown, il primo sospettato di questo nuovo caso.
Tornò in ufficio con il suo block notes pieno di appunti e schizzi della scena del crimine, si sedette alla
scrivania e avviò la chiamata alla moglie del signor Rooney. Una volta avvisata dell' accaduto, la invitò a
calmarsi e a recarsi alla centrale di polizia per qualche domanda.
La donna arrivò di lì a poco, tristissima col viso pallido e gli occhi così rossi che sembrava dovesse scoppiare
a piangere nuovamente da un momento all'altro.
I due si recarono nella sala interrogatori, e James andò dritto al punto chiedendole se il marito avesse
litigato o avesse cattivi rapporti con qualcuno, a questa domanda la donna rispose senza farsi molti scrupoli
dicendo: "Bob andava d'accordo con tutti, era un brav' uomo ma pensandoci bene l'unica persona che lo
odiava era il capo cantiere della squadra nella quale lavorava. L’uomo, infatti, aveva chiesto il permesso di
disboscare un'area alla periferia Nord di New York, ma mio marito, da buon guardia caccia che era, aveva
rifiutato e il capocantiere si era infuriato con lui." "Mi sa dire il suo nome?" chiese James "Sì, si chiama
George." "George Stevenson" aggiunse la donna.
A questo punto James uscì dalla sala interrogatori e incontrò il dottor Odginse, che con mostruoso anticipo
gli aveva portato i risultati delle analisi e che gli spiegò che il DNA trovato sulla sigaretta corrispondeva a
quello della figlia dei Brown, la calce risultava non una calce normale ma di ottima qualità dalla quale si
otteneva un cemento più resistente, e che nella zona era usato solo da una squadra di operai che lavorava
in un cantiere alla periferia Nord di New York. Ed ecco che questi indizi portavano al capo cantiere che
aveva litigato con Rooney come aveva raccontato la moglie.
Quando tornò nel suo ufficio, il telefono squillò , prima di rispondere pensò a quando mai sarebbe finita
quella giornata; era la dottoressa Temperans Brennan che chiamava dal laboratorio per comunicargli la
causa della morte. La vittima era morta a causa di un colpo d 'arma da fuoco alla fronte provocato da un
calibro 9. Bond ringraziò e si lasciò cadere sulla sedia stanco e pensieroso, sembrava facile chiudere il caso,
ma per esperienza sapeva che quando le cose apparivano facili in realtà non lo erano affatto.
Proprio in quel momento entrò nell' ufficio l'assistente di James, Sili But, appena tornato dalle ferie, i due
dopo una pacca sulla spalla e uno sguardo di intesa andarono a bere un caffè e parlarono del nuovo caso.
Appena Bond finì di aggiornare il collega, nonché amico dai tempi dell'accademia, si salutarono e andarono
ognuno a casa propria giusto il tempo di riposare un poco.
La mattina dopo Bond, dopo aver buttato giù dal letto l'assistente But ,che non si era presentato puntuale
al lavoro, decise come prima cosa di interrogare colui che tenevano sotto custodia, il signor Brown.
Ci volle molto a portare Brown nella "sala della verità", come But chiamava la sala interrogatorio, ma una
volta dentro i due agenti cominciarono a fare domande:
"Abbiamo trovato la sua impronta vicino alla scena del delitto, come me lo spiega?"
"Io..io ero uscito per annaffiare le piante"
"Alle cinque e trenta del mattino?"
"Lo giuro ....davvero!"
"Chissà perchè il mio istinto e la mia esperienza non le vogliono credere. Lei sta mentendo signore!" disse
Bond con tono di disprezzo nei confronti di Brown, con l’intento di intimorirlo.
A questo punto intervenne But, che disse: "Lascia fare a me Bond", e con tono calmo But disse "Brown,
Bond ha ragione, lei mente, allora mi vuole dire perchè c'è una sua impronta sulla scena del delitto?"
"Ok, ero arrabbiato con Rooney per come mi aveva risposto quando gli chiesi di abbassare il volume della
tv, lo ammetto".
"Tanto da ucciderlo?" disse Bond
"No no, assolutamente no, ero uscito per domandargli scusa e sì l'ho fatto alle cinque perchè non volevo
che nessuno sapesse che avevo litigato con lui, ma quando uscii vidi ciò per cui ho chiamato la polizia"
"OK grazie, lei può andare" concluse But.
Dissero a Brown che lo avrebbero accompagnato a casa ma che dovevano portare alla centrale pure sua
figlia, Brown chiese una spiegazione e But disse che sua figlia era tra i sospettati. Brown esclamò: "La mia
piccola?! Oh mio Dio, no ...no lei non può averlo fatto!"
Fu esattamente mezz'ora dopo che ebbe inizio l'interrogatorio di Cathy Brown al quale prese parte solo But
perchè per Bond era uno spreco di tempo, pensava che non sarebbe mai stata Cathy, allora rimase dall'altra
parte del vetro spia.
But con fare deciso, depose il sacchettino contenente il mozzicone sul tavolo e disse:
"Questo signorina Cathy è un mozzicone di sigaretta trovato sulla scena del crimine, e dall'esame del DNA
sappiamo che appartiene a lei".
"Ok, vi dirò tutto, ma non ditelo a mio padre, intesi?" disse con tono agitato la figlia di Brown.
"Intesi" rispose But.
Allora Cathy con voce più tranquilla disse: "La finestra della mia camera dà sulla piscina, stavo fumando di
nascosto, perchè i miei non vogliono; mio padre è entrato in camera a rimproverarmi per il brutto voto che
ho preso nel test di chimica, allora per non farmi scoprire ho lanciato il mozzicone dalla finestra, tutto qui"
raccontò la signorina Brown.
A questa frase But salutò e uscì dicendo "Almeno lei è sincera" e se ne andò.
I due agenti si trovarono in corridoio e mentre Bond sorseggiava del caffè disse: "Bene, rimangono due
probabili assassini" e But chiese "Come mai due?" "Mr. Brown non mi ha convinto".
Erano le 16:47, quando incrociarono Odginse che gli riferì di aver trovato del tessuto catarifrangente usato
per i giubbotti da cantiere sotto le scarpe di Rooney.
Fu così che presero la pistola, la infilarono nel fodero, e si diressero al cantiere del signor Stevenson.
Una volta sul posto chiesero ai muratori dove trovare Stevenson; loro spaventati dissero che si era recato al
furgone per prendere degli utensili, andarono al furgone e lo trovarono, Bond mostrò il distintivo, e
Stevenson chiese: "Ispettore cos'è successo?"
"Avanti non facciamo i pagliacci Stevenson, conosce Rooney dico bene?"
"Sì, come mai me lo chiede? Cosa gli è successo?"
"E' morto assassinato, e sulla scena del delitto abbiamo trovato della calce , utilizzata solo da voi nella
zona"
"Ci dica, ha subito traumi ultimamente?"
"Non sono autorizzato a dirvelo, non senza un mandato" rispose il capo cantiere.
"Ma non ci vuole un mandato per fare questo" e sferrò un pugno alle costole del sospettato, il quale fece
un grugnito per il dolore.
But a questo punto disse "Possiamo vedere il suo cappotto catarifrangente Stevenson?"
"Ripeto no, non senza un mandato!" disse convinto, ma James estrasse dalla tasca interna del suo cappotto
il mandato.
Allora Stevenson indicò dove si trovava il suo giubbotto, Bond lo guardò e vite che vi era un piccolo buco e
l'orma dello scarpone di Rooney.
Così tra se e se disse "Bene lo abbiamo trovato!"
"Si è lui l'assassino, ha ucciso Mr. Rooney perchè aveva rifiutato la costruzione del progetto di Stevenson
nella sua area di bosco, allora dopo un lotta furibonda al quale Stevenson aveva rimediato qualche costola
rotta lo uccise e lo gettò nella piscina dei Brown" pensò di sfuggita Bond.
Allora dichiarò in arresto Stevenson ma a questa frase di Bond da dietro l'angolo sbucò un muratore che
con il cacciavite aggredì But che si salvò grazie ai suoi riflessi procurandosi solo un piccolo taglio alla spalla,
mise a terra il muratore e puntandogli la pistola alla testa lo ammanettò dichiarandolo in arresto per
aggressione ad un agente federale.
Mentre accadeva tutto ciò l'assassino di Rooney stava scappando col furgone inseguito dall'auto di Bond e
si dirigeva verso il centro di New York, l'inseguimento durò parecchio, Stevenson sparò anche all'auto di
Bond e gli ruppe il finestrino, ma fu proprio passando per il finestrino rotto, mentre i due veicoli erano uno
di fianco all' altro, che James entrò nell'abitacolo del furgone dell'assassino e dopo averlo disarmato fermò
il veicolo.
Stevenson riuscì a fuggire ancora per una ventina di metri ma a Bond bastò sparare un colpo vicino al
capocantiere che per la paura si chinò a terra arrendendosi, a questo punto Bond ammanettando
Stevenson potè dire la classica frase che si utilizza nelle procedure di arresto" La dichiaro in arresto per
l'omicidio di Bob Rooney ha il diritto di restare in silenzio, tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei
in tribunale davanti al giudice" e fu così che Stevenson, con la lacrime agli occhi, venne portato via"
L'udienza impiegò poco a decidere la pene per i due arrestati: all'assassino furono dati tre anni di carcere
mentre all'aggressore di But vennero dati sei mesi, anche se per But e Bond tre anni per l'assassino
parevano un po' pochi andarono felici a brindare alla risoluzione di questo nuovo caso con il dottor
Odginse.
LA VILLA DEI COOPER – SUSANNA KAUR
Irlanda, Mullingar
Le vie di Mullingar erano vuote a parte qualche uomo ubriaco che cercava di arrivare a casa senza
traballare troppo; faceva freddo e non poco, per essere metà Agosto già pioveva, si potevano sentire le
gocce picchiare contro l'asfalto del cemento. Ma non c'era da stupirsi. Mullingar, trovandosi in Irlanda, era
molto fredda. Mullingar non era una città tanto affollata. Di giorno, c'erano poche persone che andavano a
lavorare e qualche bambino che, quando spuntava il sole, giocava al parco o nel giardino di casa. A
Mullingar c'era una villa, una vecchia villa situata nella parte più isolata della cittadina, la villa era molto
grande, fatta di legno ormai rovinato con qualche trave rotta, le grandi finestre di vetro anch’esse rotte. La
porta principale era chiusa, come blindata, attorno all'entrata vi erano larghe colonne che la circondavano,
come fossero uno scudo, e il grande cancello arrugginito era chiuso, eccezion fatta per una piccola
apertura. Giravano strane voci su di essa, dicevano che qualcuno ci abitasse, dicevano che ogni sera, la luce
di una delle camere del piano di sopra si accendevano, ogni volta la stanza in cui si accendeva la luce
cambiava, dicevano anche che avevano visto una figura femminile dagli occhi verdi, girovagare per il
giardino di notte.
Una giovane ragazza stava camminando lungo il marciapiede scrostato davanti alla vecchia villa, la ragazza
sembrava avesse 16 anni, era bassina, forse era alta 1,60, lunghi capelli neri come la pece divisi in boccoli le
ricadevano morbidi sulle spalle. La pelle pallida come quella di una bambola di porcellana la faceva
sembrare molto fragile, sembrava che se la avessero toccata si sarebbe rotta, gli occhi della ragazza erano
azzurri, un azzurro che avrebbe fatto invidia sia al mare che al cielo, le labbra carnose a cuore erano rosee e
leggermente gonfie, il suo labbro inferiore era tra i denti bianchi della ragazza, il naso a patata era rosso per
il freddo come le guance paffute.
Dei skinny jeans chiari le fasciavano le gambe magre mentre ai piedi portava delle converse bianche, un
lungo cappotto marroncino le ricadeva lungo i fianchi quasi coprendo interamente il suo piccolo corpo, una
sciarpa dai vari colori le fasciava perfettamente il collo con una parte di essa che ricadeva lungo la schiena
facendola sembrare un serpente tutto colorato, alle orecchie si potevano vedere dei piccoli orecchini e
delle cuffiette bianche, le piccole mani della ragazza stringevano il cappotto per ripararsi maggiormente dal
freddo e un piccolo tatuaggio a forma di ancora ricopriva il terzo dito della mano della ragazza.
La piccola ragazza camminava tranquillamente lungo il marciapiede scrostato, agli occhi della ragazza tutto
sembrava così affascinante, anche un semplice marciapiede, si chiedeva sempre in quante e quali persone
ci avessero camminato. Per lei era ormai un'abitudine chiedersi sempre le cose. La piccola ragazza rivolse la
sua attenzione alla vecchia villa davanti a lei, e sorrise domandandosi quale famiglia abitasse lì. Poi vide
l'apertura che attraversava il cancello arrugginito, era piccola, ma ci poteva passare, così si incamminò
verso il vecchio cancello e passò attraverso l'apertura graffiandosi il palmo della mano, cosa alla quale non
diede troppa importanza. Infatti si guardò la mano un attimo, giusto per osservare la profondità del taglio,
per poi portare il palmo della mano sulle sue labbra e succhiare come un vampiro il sangue. Il sapore
metallico del liquido pervase la bocca della ragazza facendole fare una smorfia disgustata, dopo essersi
assicurata che il sangue avesse cessato di uscire si incamminò verso il portone che però trovò sbarrato.
Allora la piccola ragazza in preda alla curiosità fece il giro della casa per vedere se c'era un'apertura o una
porta, magari aperta, nel retro della villa. La ragazza attraversò il giardino osservando ogni parte di esso,
vedendo che era trascurato e mal ridotto capì che nella casa non c'era nessuno e che tutte quelle cose
dette sulla villa erano false. La ragazza finalmente trovò un'apertura abbastanza larga e lunga per lei, tutte
quelle che aveva trovato erano piccolissime, aveva trovato anche una porta, ma era anche essa blindata, la
ragazza attraversò l'apertura entrando così nella villa, si guardò intorno e vide diverse cose, come quadri
rovinati o mobili rotti, ma un'oggetto catturò l'attenzione della ragazza. Un libro. Un libro depositato su un
vecchio tavolo di legno rotondo, che ci faceva qui un libro? si chiese la ragazza, si avvicinò al tavolo e afferrò
il libro rigirandolo tra le mani, stava per leggere una parte di esso ma un dolore lancinante si diffuse sulla
schiena della ragazza facendola cadere per terra, una pozza di sangue circondò velocemente il piccolo
corpo della ragazza, la piccola ragazza cercò di alzarsi ma dopo qualche tentativo la sua vista si offuscò,
l'unica cosa che sentì prima di sprofondare nelle tenebre fu una voce tanto leggera che non seppe capire se
era maschile o femminile.
Una chiamata da una donna che aveva ritrovato il cadavere della ragazza nella vecchia villa raggiunse il
telefono del detective Hill, un uomo sui 25 anni che stava tranquillamente seduto sulla sua sedia girevole
nera nel suo studio, lo studio del detective Michael Hill non era niente male, uno studio molto moderno e
bello, le pareti erano colorate di bianco, un colore semplice, inutile e vuoto, così lo riteneva Michael Hill, le
larghe finestre di vetro erano perfettamente lucide, la scrivania di legno era abbastanza in disordine per
colpa dei vari documenti che vi erano depositati sopra, la porta era di legno come la scrivania, solo di un
colore più scuro, le piastrelle bianche e lucide come le finestre di vetro, un telefono stava sulla scrivania con
qualche libro o quadernino, una libreria anch'essa di legno stava attaccata a una parete, era
completamente piena di libri, alcuni erano molto vecchi con la copertina rovinata altri ancora nuovi. Su un
davanzale vi era depositato 'Cime tempestose', un libro che aveva affascinato molto Michael Hill.
Il giovane detective stava seduto sulla sua sedia girevole nera a osservare i vari documenti, era vestito
normalmente, con un completo nero, cravatta nera, una camicia bianca abbottonata fino al collo e ai piedi
portava degli stivaletti neri, la pelle pallida come la neve, gli occhi verde chiaro, quasi trasparente
esaminavano i vari documenti, le labbra carnose erano torturate dai suoi denti bianchi, il naso a patata, le
sopracciglia aggrottate davano l'impressione che fosse molto concentrato, i capelli scuri gli ricadevano sulla
fronte, le lunghe dita pallide tenevano una penna nera. Sul terzo dito della mano sinistra si poteva
benissimo vedere una X e nel pollice invece un'ancora. Probabilmente erano dei tatuaggi fatti da giovane;
Michael Hill pensava che i tatuaggi fossero un'arte, pensava che un corpo tatuato fosse un libro che in pochi
sanno leggere. Il detective era alto, molto, forse era alto 1,85 o anche di più, le spalle larghe lo facevano
sembrare uno con cui non si deve scherzare, ma lui era completamente diverso da come gli altri lo
vedevano, era un uomo felice, solare e ragionevole, possedeva una mente lucida, dotata di una logica
infallibile, amava osservare e pensava che ogni cosa avesse la sua storia e che osservandola forse si sarebbe
riusciti a capirne almeno una parte.
Il telefono che era depositato sulla scrivania squillò facendo sobbalzare Michael che, mordendosi il labbro
inferiore, allungò il braccio e afferrò la cornetta del telefono portandosela all'orecchio per poi rispondere
"Pronto?" rispose Michael Hill con tono duro e neutro
"P-parlo con Michael Hill?" chiese una voce femminile flebilmente dall'altra parte della linea
"Si, lei è?" chiese Michael mantenendo il suo tono duro e neutro.
"Jennifer Cox, la chiamo perchè mio figlio di sei anni per sbaglio ha buttato la sua palla nel giardino della
vecchia villa, allora ci è andato e io l'ho dovuto seguire, appena arrivati nel giardino abbiamo trovato la
palla ma abbiamo sentito un odore davvero sgradevole che proveniva dall'interno della vecchia villa, mio
figlio essendo curioso di sapere cosa ci fosse all'interno di essa ci è entrato passando attraverso una buca
mentre io ho cercato di fermarlo ottenendo scarsi risultati e varie lamentele da parte di mio figlio. Così ho
ceduto e l'ho seguito, ma appena siamo entrati abbiamo visto...”
la voce della donna d'un tratto divenne tremante, tanto da non riuscire a finire la frase per colpa dei
singhiozzi e delle lacrime che le scendevano lungo le guance, le immagini della povera ragazza
continuavano a venirle in mente, non ce la faceva più, si era allontanata il più possibile da quella stanza
portando con se il figlio nel giardino.
"Signora, la prego di continuare, cosa ha visto?" chiese preoccupato il detective Hill
"i-io ho visto un cadavere, era di una giovane ragazza" sussurrò debolmente la donna ancora scossa dai
singhiozzi.
"lei è lì?" chiese Michael.
"S-si" balbettò la donna.
"arrivo subito" disse velocemente Michael per poi riattaccare e correre fuori dal suo studio.
il detective raggiunse la vecchia villa dove vide una donna sui 30 anni tenere per mano un piccolo bambino
di 6 anni. La donna, Jennifer, aveva dei lunghi capelli biondi come il grano, gli occhi erano azzurri con
qualche sfumatura di verde e leggermente arrossati per colpa del pianto, il naso era alla francese, la pelle
pallida, come il latte e il trucco era colato. Indossava dei semplici jeans e un maglione azzurro chiaro. Il
bambino, era biondo come la madre, gli occhi invece erano marroni, probabilmente presi dal padre, era
adorabile, le guance erano paffute e rosse, le labbra sottili erano dipinte di rosso mentre il suo naso a punta
era arricciato, indossava un giubbotto rosso, un cappellino blu, una sciarpa nera e dei pantaloni pesanti
grigi. Il detective si avviò verso di loro dando ogni tanto occhiate in giro. Jennifer appena si accorse della
presenza del detective lo salutò con un sorriso tirato.
"Salve detective Hill" disse debolmente Jennifer Cox, il detective ricambiò educatamente.
"Questo è mio figlio" si rivolse al detective per poi posare il suo sguardo sul piccolo bimbo che teneva
saldamente la mano della madre, essa si abbassò e sussurrò qualcosa all'orecchio del bambino che annuì
timidamente.
"C-ciao, io sono James" disse timidamente James facendo un piccolo cenno con la mano, il detective pensò
che fosse adorabile, allora si presentò anche lui affettuosamente.
"Bene, mi può raccontare cosa è successo di preciso?" chiese il detective ritornando serio.
"Certo" disse la madre di James per poi passarsi una mano tra i capelli biondi.
"Io e mio figlio eravamo in un parco non molto lontano da qui, lui aveva portato il pallone da calcio allora io
lo lasciai correre per il parco e giocare, si era fatto tardi e per James era ora di tornare a casa, allora decisi di
fare la strada che portava più velocemente a casa, James per strada giocava col pallone e lo tirava ovunque,
non c'era pericolo dato che non passano macchine da queste parti, allora lo lasciai fare, ad un certo punto il
piccolo mi richiamò dicendomi che il pallone era finito nel giardino della vecchia villa e si mise a piangere,
per fermare il suo pianto decisi di ridargli il pallone, lo recuperammo ma James sentì un odore sgradevole
venire dall'interno della villa, essendo curioso ci entrò da una fessura abbastanza larga, io tentai di fermarlo
ma non ci riuscii allora mi arresi e lo seguii, appena entrammo vedemmo un cadavere disteso vicino un
mobile dove c'era un vecchio libro, dopo, beh chiamai lei e la polizia" disse con voce tremante.
Il detective annuì e entrò nella vecchia villa dove la polizia scientifica fotografava il cadavere della ragazza,
gironzolando per la villa l'unica cosa che trovò fu un accendino che mise in una bustina trasparente per poi
andare a chiedere informazioni a Jennifer, attraversò il lungo corridoio e raggiunse Jennifer mentre era
seduta su una poltrona con la testa tra le mani e il bambino accanto a lei.
"Signora" la richiamò Michael. Jennifer alzò di scatto la testa rivelando gli occhi rossi e lucidi.
"Mi dica" rispose gentilmente Jennifer asciugandosi una lacrima.
"Volevo farle un po’ di domande se non le dispiace" disse.
"Oh, certo che no" disse e sorrise falsamente mentre il detective si sedette sulla poltrona davanti alla sua.
"Bene, per caso ha visto qualcuno entrare o uscire?" chiese il detective.
"Sì" si fermò un attimo "era un uomo sui 40 anni ed era pieno di piercing e tatuaggi" continuò "ah, e ho
anche visto il padre della ragazza da queste parti qualche ora prima dell'omicidio e con lui c'era anche un
ragazzo biondo, penso sia il suo ragazzo di nome Cameron, sua madre me ne aveva parlato" disse con voce
tremante.
"Quindi lei conosce i genitori della vittima?" chiese curioso Michael.
"Sì, erano i miei vicini prima che si trasferissero a Londra, sono ritornati qui a Mullingar per una piccola
vacanza" disse debolmente Jenifer facendo incrociare le sue dita con quelle piccole di James.
"Va bene, la ringrazio" disse Michael Hill prima di uscire e dirigersi verso la centrale. Aveva abbastanza
indizi.
Il detective Hill era curioso e ansioso, aveva invitato a venire alla centrale i tre sospettati, aveva paura di
aver sbagliato persone ma era abbastanza sicuro che almeno uno di loro era il colpevole, ci aveva pensato
molto, che cosa ci faceva il padre della vittima nel luogo del delitto prima che avvenisse l'omicidio? E il suo
ragazzo invece? Che c'entrassero qualcosa con l'uomo che gli aveva descritto Jenifer? Era confuso, ma
sapeva che sarebbe riuscito a risolvere anche questo caso. Lui ne era sicuro. Sapeva che il ragazzo della
vittima si chiamava Cameron Jackson, il padre Robert Jones e la madre Alison Jones e aveva anche scoperto
che la vittima si chiamava Emily Jones, i genitori della donna appena vennero a conoscenza della perdita
della ragazza ne rimasero traumatizzati, la madre scoppiò in un pianto disperato mentre il padre restò
impassibile, cosa che fece insospettire Michael.
Cameron fece una finta faccia triste che Michael seppe riconoscere come un 'finto dispiaciuto', si vedeva
davvero tanto che la faccia dispiaciuta fatta da Cameron era finta. Un bussare insistente alla porta fece
risvegliare Michael dai suoi pensieri, sono arrivati, pensò Michael e mormorò un 'avanti', un uomo pieno di
tatuaggi e piercing entrò seguito da un poliziotto, sembrava davvero arrabbiato l'uomo, aveva la mascella
serrata e un profondo cipiglio, i suoi occhi erano marroni e scrutavano la stanza con disprezzo mentre le
labbra formavano una linea dura.
"Detective Hill, siamo qui per l'interrogatorio" parlò il poliziotto.
"si certo, incominciamo" disse Michael Hill mentre il poliziotto si sedette accanto a lui, evidentemente
doveva fare domande con lui.
Infatti il poliziotto incominciò a fare domande facendo innervosire il primo sospettato che non rispondeva
infastidito dal tono del poliziotto, Michael si era stufato, allora disse al poliziotto che poteva incominciare
lui stesso a fare domande, Michael avrebbe usato un tono calmo, non severo come quello del poliziotto, lui
sapeva bene che non avrebbe avuto senso se avesse usato lo stesso tono del poliziotto, perchè tanto non
avrebbe risposto, il detective interruppe il poliziotto con un cenno per poi rivolgersi al sospettato.
"come ti chiami?" chiese. Per lui era un'informazione base il nome, serviva per collegare tutto.
"Jack Green"disse con nonchalance mentre il detective lo osservava attentamente.
"che ci facevi nella vecchia villa?" chiese.
"vuoi dire nella villa dei Cooper?" chiese Jack alzando un sopracciglio.
"Sì" disse tranquillamente Michael, lui sapeva benissimo che quella era la villa dei Cooper, infatti ora
dovrebbe essere disabitata.
"Fatti miei" disse tranquillamente Jack.
"Ma sono anche fatti miei non trovi? Devo risolvere questo caso e ho bisogno che tu mi dia le informazioni
che mi servono" disse con lo stesso tono Michael, che sapeva essere davvero insistente.
"Va bene" sbuffò Jack "ero lì per incontrarmi con una persona ok?"
"Mh-mh, chi dovevi incontrare?"chiese curiosamente.
"Questi non sono fatti tuoi!" ringhiò Jack.
"io invece penso di sì, dato che mi servono informazioni" disse con tono severo Michael.
"Robert Jones e Camero Jackson" mormorò ormai arreso Jack.
"Bene, abbiamo finito" disse Michael soddisfatto mentre il poliziotto portò via Jack e fece entrare Cameron
e Robert. Robert sembrava molto nervoso mentre Cameron era impassibile anche se nei suoi occhi si
poteva leggere il panico
"Salve, accomodatevi pure" disse educatamente Michael.
"Io sono il detective Michael Hill, voi dovreste essere il fidanzato e il padre di Emily, giusto?" disse mentre
Robert annuì.
"Ex ragazzo" disse infastidito Cameron.
"Bene, possiamo incominciare" disse Michael e i due annuirono.
"Cosa ci facevate dalle parti della vecchia villa?" chiese facendo la stessa domanda che aveva fatto a Jack
"Dovevamo...uh" incominciò Cameron ma non trovò le parole per continuare.
"Dovevamo incontrare Jack Green" disse sicuro Robert.
"Perchè?" chiese il detective Hill.
"Gli dovevamo delle cose" disse con voce tremante Cameron mentre Robet si mangiava le unghie dal
nervoso.
"Posso sapere cosa?" chiese Michael.
"No" disse Robert mentre Cameron scosse la testa.
"Bene, ho finito, arrivederci" disse Michael facendo alzare Cameron e Robert che si avviarono verso la porta
per poi uscire.
Michael gemette frustrato per poi massaggiarsi le tempie e riflettere trovando un senso a tutto quello che
gli avevano detto Jack Green, Robert Jones e Cameron Jackson.
Michael Hill ragionava, continuava e continuava, si chiedeva chi fosse veramente Jack, quell'uomo
nascondeva qualcosa, e ci sarebbe arrivato. “Jack Green” sussurrò Michael, “Jack era un uomo che non
aveva molta pazienza, e ha ammesso che era nella villa dei Cooper per prendere qualcosa, soldi?
Ovviamente Cameron e il padre della vittima c'entravano, avevano chiaramente detto che dovevano
qualcosa a Jack, sicuramente per qualcosa che aveva fatto e per la quale aveva chiesto soldi in compenso.”
Michael ci era arrivato, ora tutto si collegava: la reazione negativa di Cameron quando il detective aveva
menzionato la ragazza, il padre e Cameron che girovagavano nelle vie della villa, Jack che doveva prendere
quello che gli dovevano Cameron e il padre, il padre della vittima che era rimasto impassibile. Tutto era
chiaro. Cameron e il padre avevano chiesto di uccidere la figlia a Jack, quest'ultimo aveva chiesto soldi per il
gesto compiuto.
Ora Michael doveva scoprire il movente, allora decise di chiedere spiegazioni alla madre della vittima, prese
la macchina e raggiunse la piccola villetta dove vi erano i genitori di Emily, la donna che aprì la porta era
Jennifer, il detective la guardò accigliato, cosa ci faceva Jennifer Cox nella casa dei Jones?
"Salve detective, cosa ci fa qui?" chiese con voce roca per il pianto Jennifer.
"Salve, sono qui per vedere la signora Jones" disse e Jennifer accennò un sorriso prima di farlo entrare. Era
una casa piccola ma molto accogliente, nel piccolo salotto c'era un divano di pelle bianco, una TV al plasma
era attaccata al muro davanti al divano, sotto la TV c'era un camino dove il fuoco ardeva, vari oggetti erano
sul tavolino davanti al divano: fazzoletti, libri mezzi aperti, schede di chi sa cosa sparse, un bicchiere e una
bottiglia di acqua. Dalla grande finestra si poteva vedere la neve scendere piano piano, come piccole piume
bianche che scendono per poi arrivare sulla terra e perdere il loro colore bianco puro sporcandosi.
"Dov'è la signora Jones?" chiese Michael a Jennifer
"Sta arrivando, era andata un attimo in bagno" disse Jennifer con sulle gambe James che guardava
interessato il fuoco ardere nel camino. Un libro mezzo aperto depositato sul tavolo davanti al divano attirò
l'attenzione di Michael, c'erano delle frasi evidenziate in giallo, preso dalla curiosità Michael si avvicinò
lentamente al libro e incominciò a leggere le frasi evidenziate. 'Hai di fronte una triste alternativa,
Elizabeth. Da oggi dovrai essere un'estranea per uno dei tuoi genitori. Tua madre non vorrà più vederti se
non sposi Mr.Collins, e io non vorrò più vederti se lo sposi.' Poi ne lesse un'altra 'Avrei certamente potuto
sorvolare sul suo orgoglio se non mi avesse offesa.' Il libro era una vecchia copia Orgoglio e pregiudizio.
Perchè aveva sottolineato quelle frasi? Cosa può significare? Michael prese il libro e andò nella pagina
iniziale dove c'era scritto il nome della proprietaria del libro: Emily Jones, il libro era della vittima, ma cosa
volevano dire quelle frasi?
Dei leggeri passi si avvicinarono al salotto rivelando una chioma nera. La signora Jones. Alison Jones, così si
chiamava la madre della vittima, era una donna sui 35 anni, aveva lunghi capelli neri e leggermente mossi,
la pelle pallida e gli occhi neri, il naso a patata e le labbra carnose, la figlia era esattamente la copia della
madre a parte gli occhi che aveva ereditato dal padre.
"Salve signora Jones"sorrise calorosamente Michael alla povera signora distrutta davanti a lui "Salve
detective Hill" sorrise debolmente Alison che si chiese cosa ci facesse li il detective.
"Sono qui per un po' di domande, se non le dispiace ovviamente" disse Michael e Alison ansimò, cosa
voleva chiederle? Era già distrutta e non aveva voglia di parlare della figlia ormai defunta, ma non avrebbe
mai detto di no al detective per rispetto e educazione.
"Oh"sussurrò Alison ma poi si riprese "Va bene"disse e fece accomodare Michael sul divano
"Perchè sua figlia ha sottolineato quelle frasi su quel libro?" incominciò Michael.
Alison deglutì e rispose "Ha sottolineato la prima frase, perchè il suo futuro era progettato da noi, avrebbe
dovuto sposarsi con Cameron quando sarebbe diventata più grande, ma so benissimo che amava un'altra
persona che ora si trova a Londra" disse lentamente Alison mentre Michael si accigliò.
"Di chi sta parlando?" chiese Michael
"Di un suo compagno di nome Jacob, lui è il cattivo ragazzo, quello tutto tatuato, pieno di piercing e
trasgressivo, il loro era amore, sì, ma io non lo potevo accettare, non accettavo la loro relazione, ormai era
tutto progettato, lei si sarebbe sposata con Cameron e avrebbe formato una famiglia con lui, Jacob si
sarebbe trovato un'altra ragazza" disse Alison.
"E la seconda frase invece?" chiese Michael ancora perplesso.
"Penso si riferisca a qualcosa che è successo con Jacob" disse Alison.
"Capisco, Cameron era contrario al matrimonio?" chiese Michael quando tutto incominciò a collegarsi.
"Si, a Cameron non è mai piaciuta Emily, la ha sempre odiata con il padre"
"Cosa? Quindi il padre odia Emily?" chiese incredulo Michael.
"Purtroppo sì, non gli è mai andato giù il fatto di avere una figlia" sospirò tristemente.
"Grazie per aver risposto alle mie domande, sa dove si trovano Cameron e suo marito?" chiese alzandosi
dal divano morbido Michael.
"Si, mio marito è andato al supermercato mentre Cameron dovrebbe essere a casa"
"Grazie ancora, arrivederci" disse Michael andando verso la porta seguito da Alison e Jennifer che durante
tutta la conversazione era stata con la testa bassa a giocare con le dita di suo figlio.
"E’ stato un piacere detective Hill" sorrise tristemente Alison. "Arrivederci"dissero in coro Alison e Jennifer.
Michael arrivato nel suo studio invitò a venire in centrale Cameron, Jack e Robert. Aveva collegato tutto,
aveva ormai risolto il caso. Era certo di averlo risolto. Ma era davvero così? Si sarebbe scoperto dopo,
Michael sapeva che c'era ben altro, e lo avrebbe fatto confessare, Jack nascondeva qualcosa, era un tipo
strano e misterioso. Bussarono alla porta e Michael si affrettò a fare entrare i tre sospettati, Jack era
abbastanza scocciato, Cameron indifferente e Robert arrabbiato.
"Perchè ci ha convocati?" chiese Cameron.
"Ho scoperto chi è stato a uccidere Emily" disse semplicemente Michael.
"Ah...chi è stato allora?" chiese evidentemente in panico Robert.
"Voi" rispose senza troppi giri di parole mentre i tre sospettati sgranarono gli occhi.
"Cosa diavolo sta dicendo?! Ci sono prove?! "ringhiò Jack.
"Ovviamente" rispose con tono neutro Michael.
"Bene! Mostracele allora!" urlò frustrato Jack.
"Con piacere" ghignò Michael e andò a prendere l'accendino trovato nella vecchia villa. "Lo vedete questo?
Ti ricorda qualcosa Jack?" chiese Michael mentre tre poliziotti entrarono.
"Il mio accendino..." sussurrò Jack "Già, la polizia scientifica ha fatto di tutto per trovare di chi fosse questo
accendino caduto sul pavimento della vecchia villa, e indovina un po’? Era tuo "Disse severamente Michael
"Non sono stupido sapete? So benissimo come è andata: Cameron e Robert hanno incaricato Jack di
uccidere la vittima offrendogli soldi, Jack ha seguito Emily fino a quando non è entrata nella villa, Jack è
stato più veloce e è entrato prima conoscendo bene l'ambiente in cui si trovava, ma, gli è caduto un
accendino mentre scendeva per assassinare Emily" Disse Michael e Jack digrignò i denti dalla rabbia, un
poliziotto robusto più di Jack gli si avvicinò e gli mise le manette per sicurezza.
"Come fa a dire così! Non ha prove contro di noi! Io sono suo padre dannazione, non potrei mai fare una
cosa del genere, e Cameron è il suo ragazzo e la ama!"
"Invece ho prove!" gridò Michael "Signor Jones, lei odia sua figlia e ne ho avuto la conferma quando sua
moglie me lo ha detto! Cameron, tu invece non la ami! Alison mi ha chiaramente detto che tu la odi perchè
vi sareste dovuti sposare in futuro, è così, confessate!" disse Michael.
"Va bene! Mi arrendo, è così ok?" gridò Cameron "Si, è tutto vero" annuì Robert ormai con la testa bassa
per la vergogna.
"Jack! Tu mi devi altre confessioni" Michael si rivolse a Jack studiando attentamente la sua espressione
cupa.
"Ti sbagli" disse Jack senza guardarlo.
"Io non credo proprio, confessa Jack, sei in trappola ormai"
Jack sbuffò" Va bene, la ragazza di cui parlano che gironzola di notte nei giardini della vecchia villa è una
ragazza che ho rapito, contento?!" disse con amarezza Jack.
"Dove si trova la ragazza?" chiese Michael.
"Nella vecchia villa, l'unica stanza ancora pulita e in piedi" rispose.
"Bene, portateli via" disse Michael.
"No! Vai al diavolo! Dannazione io non andrò in prigione!" Gridò Cameron ma i poliziotti non gli diedero
ascolto e lo portarono via con gli altri due. Il caso era stato risolto, e questo era l'importante. Michael Hill
aveva di nuovo risolto un caso.
LA GELOSIA PORTA MALI ESTREMI - NICOLE CARLOTTI
Era una cupa notte di Dicembre. La città di Madrid era tutta illuminata dalle mille luci disposte su venti file
da quattro. Si sentivano i tanti rumori delle macchine e del traffico di città.
I colori accesi del circo di Ginius si notavano a chilometri di distanza. Il circo era posizionato proprio nel
centro città di Madrid. Era tutto pieno di colori, con delle luci che si accendevano ogni ora per cinque
minuti; l'insegna era tutta colorata, rossa, blu, arancione e sopra c'era scritto "ENTRATE NEL CIRCO PIU'
BELLO DI MADRID, GINIUS!". La struttura aveva la forma di una cupola, con delle strisce arancioni e rosa
fluorescenti che si notavano anche da lontano.
All'interno c'erano metri e metri di attrezzature per il circo. Appena si entrava ci si imbatteva in una striscia
che si apriva automaticamente e conduceva all'interno del circo. Il pavimento era in legno di acero, color
azzurro; e le pareti erano color sabbia con dei rilievi a onda verso l'esterno, sembrava di essere in spiaggia.
Appesa in aria c'era la rete trasparente con il filo per l'equilibrista. In basso c'erano le palline tutte colorate
del giocoliere con il suo cappello a pois blu e neri e il naso rosso finto. C'era anche un cerchio infuocato
d'argento con davanti una gabbia con un mantello sopra... chissà cosa conteneva? C'era anche una vasca
d'acqua molto alta con una chiave depositata sul fondo, mentre sopra la vasca c'era un trampolino lungo un
metro e mezzo di color verde.
Sul soffitto c'erano diciotto luci disposte in sei file da tre che si illuminavano ogni cinque minuti emanando
nell'aria un' odore di bruciato; i colori delle luci erano diciotto, uno diverso dall'altro, e creavano un
perfetto contrasto armonioso.
Il circo era pieno di colori accesi e c'erano molte attrezzature che servivano per intrattenere il pubblico.
Un trapezista dei sei che in quel momento erano presenti nel circo, aveva uno strano corpo ed
un'espressione insolita. Aveva il viso sereno, come se si stesse rilassando, molto abbronzato e a forma di
ovale. la bocca era sottile e purpurea, mentre il naso era a uncino e molto irregolare.
Gli occhi erano marroni a mandorla con un' espressione grigia, molto triste. Le orecchie erano ovali e molto
delicate, aveva degli orecchini con il teschio sopra; il teschio era brillante e molto scuro, con una scritta in
basso non molto leggibile. I capelli erano arruffati, crespi e di due colori: rossi e marroncini chiari. Tra i
capelli aveva un pettine rosa con delle finiture in oro e con delle macchie rosse.
Aveva una schiena gobba, molto irregolare e una corporatura magra, quasi anoressica. Sembrava che non
mangiasse da mesi, ma nonostante ciò era molto agile e tra quelle corde dell'attrezzatura del circo
svolazzava con grande abilità e leggerezza.
Parlava attraverso un microfono e non si capiva bene se quella fosse la sua voce o un'alterazione creata dal
microfono. La voce che si sentiva era molto grave, anche molto lamentevole e parecchio stridula.
Dopo un po' nel circo non si notava più il trapezista, infatti era sdraiato sul letto, quando scorsi un'ombra di
un uomo con un machete molto affilato, in quel momento decisi di andarmene per la paura. Quando
rientrai di nuovo nella stanza il trapezista era sdraiato sul pavimento avvolto nelle coperte e con un nastro
in bocca, morto. Del sangue gli usciva dalle narici, dalla bocca e dal resto del corpo.
Era stato pugnalato, tre volte nel petto e una nella schiena. L'assassino non aveva lasciato molte tracce; ma
si notò subito una ciocca di capelli sulla scrivania. Probabilmente quando l'aggressore aveva ucciso il
trapezista si era colpito per sbaglio i capelli e si era tagliato una ciocca. Quella ciocca era bionda e lunga,
quindi non poteva trattarsi di un uomo, ma non si poteva mai dire.
In conclusione il trapezista morì dissanguato sul pavimento alle ore 14.39.
Chiamai subito il detective Luise Jackson. Luise Jackson, soprannominato J-J giocherellava con la pipa nel
suo ufficio. Il suo ufficio era color nero all'interno con dei teschi sulle pareti; il pavimento era grezzo e di
color sabbia con delle crepe qua e là. Era un ambiente molto grande, con due finestre e a forma di
rettangolo. Appena si entrava si vedeva un divano nero in pelle che pareva essere stato morsicato; due
sedie color rosso stavano davanti alla scrivania del detective e c'erano quadri di persone morte, propria
sopra delle lampade.
La scrivania di J-J era tutta piena di fogli e medaglie che aveva vinto nel corso del tempo praticando karate e
l'autodifesa. C'era un piccolo tavolino dove stavano sedute delle bambole di pezza arancioni con del sangue
che usciva dalla testa e della bocca; andai lì vicino e capii che quello era ketchup, non sangue vero.
J-J aveva sei figli, tre maschi e tre femmine. Era sposato da ben diciassette anni con Margarita La Sveglia e
non aveva mai litigato con lei. Aveva un' aria dominante, molto fiera e un sorriso stampato sulla faccia.
Aveva dei grossi baffi che gli incorniciavano la bocca, erano color marrone scuro. Due occhi a mandorla
rossi fuoco e dei capelli pieni di gel con un cappello a quadretti rossi e blu.
Aveva partecipato a delle associazioni per diventare detective come Lcchannel e Blasural. Con quel ricavato
si era comprato tutto il suo studio da detective ed il palazzo dove ora lui abitava; in via Santus Bayer.
J-J stava seduto sulla sedia della sua scrivania quando squillò il telefono.
-Pronto- disse con fermezza
-Pronto, vorrei segnalare un omicidio a Madrid, fate in fretta, o sverrò anche io dalla paura... si muova per
cortesia- disse la donna con molta paura.
JJ rispose -Signora si calmi. Faccia un respiro profondo, e rimanga dov'è adesso, non si muova- rispose J-J
cercando di calmarla
-Va bene, ma faccia in fretta, perché il cadavere perde molto sangue- ribattei io cercando di accelerare i
tempi
-In che via si trova lei adesso?- chiese J-J.
-Mi trovo al circo di Ginius, a Madrid- rispose la donna.
-Stia immobile, sto arrivando- affermò J-J.
-Faccia in fretta- rispose la donna mettendo giù la cornetta del telefono pubblico.
J-J si alzò dalla sedia, si mise il cappotto e subito corse in macchina riflettendo sul caso.
Arrivati nel luogo dell'omicidio il detective J-J cominciò subito a ispezionare la zona.
Sul cadavere c'era una striscia di sangue di colore diverso, non sapendo se appartenesse a lui il detective lo
mandò subito in laboratorio. Il sangue infatti non era del cadavere, ma della sua ex moglie; capì subito che
il sangue non era del trapezista morto, perché il sangue diventa più scuro solo quando si assumono alcolici,
infatti il trapezista morto era astemio. Il sangue quindi non era del trapezista, ma di Rihanna, la sua ex
moglie che aveva divorziato, perché diceva che era maleducato e la picchiava sempre. Rihanna era stata
quindi maltrattata dal trapezista.
Un altro indizio era l'orecchino perso dal probabile omicida. Era a forma di stella rosa e blu. Anch'esso fu
spedito subito nel laboratorio per controllare a chi risalivano le tracce sull'orecchino. Purtroppo non si capì
bene di chi fossero, perché colui o colei che indossava quel paio di orecchini, sfortunatamente, indossava
anche dei guanti. Sotto il corpo del cadavere c'era un pezzo di stoffa che risaliva al costume di scena dei
vari trapezisti, non era però del trapezista morto, perché questi era l'unico a non indossare quel costume,
ma uno di colore bianco e nero. L'investigatore lo portò di persona nel suo studio e arrivò ad una
conclusione: quel pezzo di stoffa era un pezzo del costume che indossava Gregory Marcèl. Il rivale del
trapezista; Marcèl era geloso del fatto che il produttore dello spettacolo del circo non avesse scelto lui
come solista sul pezzo delle giravolte su una ruota, cosa che a ciascuno dei trapezisti usciva benissimo.
Marcèl fu uno dei sospettati per la gelosia nei confronti del trapezista morto.
Sulla scrivania della camera del trapezista c'era una lattina di coca - cola. Il detective cosparse la lattina di
farina e poi usò la sua torcia rileva impronte, che non tutti i detective utilizzano, ma solo i più professionali.
Trovò delle impronte digitali; il probabile omicida doveva aver sbattuto sulla lattina e dalla fretta aveva
lasciato delle impronte digitali, senza guanti. Una volta esaminate le impronte, si scoprì che risalivano a
Alice Brugatti, la vicina di casa del trapezista. Alice era vecchia, e si lamentava sempre del troppo baccano
del trapezista, quando dava delle feste. Alice odiava con tutto il suo cuore il trapezista, per questo era una
sospettata dell'omicidio.
Tornai nello studio del detective J-J, notai che stava parlando con Alice Brugatti, una dei possibili omicidi.
Capii che dovevano iniziare gli interrogatori. Dopo circa venti minuti arrivò Rihanna, che fu la prima
interrogata.
Con J-J c'era anche Meringa Nice. Meringa Nice era un’apprendista che doveva ancora apprendere alcune
tecniche per diventare un bravo detective e questo era un buon metodo per farle imparare. Meringa Nice
fece entrare Rihanna nella stanza degli interrogatori, la fece sedere e iniziò ad interrogarla. Meringa Nice
aveva un metodo un po' strano, lo ammetto. Era partito in quarta rivolgendo a Rihanna varie domande
riguardo all'omicidio. J-J intervenne subito e prese il sopravvento lasciando da parte il signor Nice.
-Salve signora Rihanna. Lei sa, perché è qui?- incominciò J-J
-In effetti no- rispose Rihanna.
-Lei è qui, perché il 20 dicembre è morto il suo ex marito Lucìen De La Fuerte, lei sa qualcosa riguardo a
Lucìen?- chiese J-J.
-Non sapevo di questo grave incidente. Mi dispiace per Lucìen- disse -Io e Lucìen non avevamo un bel
rapporto, divorziai con lui circa 3 anni fa. Lui mi trattava sempre male, mi faceva del male e mi doveva
ancora dei soldi per il divorzio. Ma le giuro signor J-J che io non ho ucciso Lucìen, anche perché io ci tenevo
a lui- ridisse Rihanna.
-Dove si trovava il pomeriggio del 20 dicembre?- J-J interruppe così il silenzio.
-Ero in un bar con degli amici, rimasi fino a mezzanotte e dopo tornai a casa a dormire con un mio amicofinì Rihanna
-Quindi non è stata lei ad ucciderlo?- chiese per ultimo J-J.
-No- finì Rihanna.
J-J e Meringa salutarono Rihanna e fecero entrare subito dopo Marcèl.
-Si accomodi Marcèl- disse Mr. Nice. Marcèl entrò tutto intimorito.
-Perché io sono qua? Cos'ho fatto? Io non centro nulla con la morte di Lucìen... ops volevo dire... arrivederci
devo scappare- disse Marcèl.
-Bloccalo Meringa- Urlò a squarcia gola J-J -Lei mio caro Marcèl sa qualcosa, mi racconti tutto quello che sa-Va bene.- ribattè Marcèl -Lo ammetto, io e Lucìen non eravamo molto amici, ma non l' ho ucciso io. In quel
momento io ero sul palco-E perché allora sulla scena del crimine abbiamo trovato un pezzo del suo costume di scena?- rispose
incuriosito J-J.
-Perché prima della morte di Lucìen io ero entrato nella sua stanza per mettergli del lassativo dentro il
bicchiere appoggiato sulla sua scrivania, ma mentre lo stavo versando entrò Lucìen e io scappai dalla
finestra. Solo che mentre corsi via mi si strappò un pezzo di costume che rimase attaccato sulla scena del
crimine, perché inciampai nelle sue scarpe-Quindi lei sa chi lo ha ucciso?- disse J-J
-...- Marcèl non diede nessun segno di vita e stette zitto.
-Bene, può andare- disse J-J.
Dopo quel colloquio J-J rimase molto insospettito da Marcèl. Dopo poco arrivò Brugatti.
-Si accomodi Alice- e la fece sedere su una poltrona in sala interrogatori
-Salve Alice, cosa sa a riguardo dell'omicidio di Lucìen?- incominciò J-J.
-Chi è Lucìen?- disse Alice.
-Il suo vicino di casa- rispose Meringa.
-E' morto?- chiese Alice.
-Sì, signora- rispose J-J.
Alice scoppiò a piangere e subito dopo disse -Ah, sì, Lucìen, me lo ricordo. Faceva sempre un gran baccano.
Era sempre a casa da solo e organizzava molte feste. Quelle feste, per me, erano troppo rumorose e spesso
mi andavo a lamentare, ma non l'ho ucciso io, nonostante tutto io gli volevo molto bene, per me era come
un figlio.-Dove si trovava il pomeriggio del 20 dicembre?- chiese con voce grave J-J .
-Ero a letto, perché quel giorno ero malata, avevo la tosse e il mal di stomaco- ribatté Alice
-Va bene, grazie- disse J-J.
Dopo che Alice se ne andò J-J e Mr. Nice andarono a letto.
Appena fu mattina J-J e Mr. Nice si alzarono e cominciarono a riflettere sui tre interrogatori e su chi fosse il
colpevole.
Continuarono a pensare all'interrogatorio di Marcèl. Non sembrava affatto dispiaciuto o nemmeno
interessato della morte di Lucìen, al contrario mostrava quasi un piacere a sapere che era morto. Quando
gli facemmo le domande lui si girava o guardava l'orologio appeso nella sala interrogatori. Dopo tante ore
di riflessione, un giro di telefonate e qualche lacrime da parte dei suoi amici arrivarono ad una conclusione,
molto dolorosa.
Richiamarono i tre sospettati e spiegarono loro chi fosse stato ad uccidere Lucìen.
-Alice- disse Meringa. –Abbiamo parlato con dei suoi vicini di casa, ma nessuno sapeva dov'era lei, perciò
abbiamo chiesto alla sua badante Elizabeth che ci ha confermato che lei era malata quel giorno e quindi lei
non poteva esser era la colpevole. Può andare.
-Grazie mille- rispose Alice. Rimanete voi Marcèl, con la sua gelosia nei confronti di Lucìen, e lei Rihanna,
con i suoi debiti con Lucìen.
-Rihanna- disse J-J. –Abbiamo chiamato il barista e lui ci ha detto che lei non era lì a quell'ora, ma che ci
era stata. Quindi lei dov'era? -Ero uscita dal bar con dei miei amici e con loro andammo a giocare nel parco
della quattordicesima. Giuro, io amavo Lucìen, anche se mi doveva ancora dei soldi, io lo amavo.- rispose
Rihanna.
- Infatti, non è stata lei ad ucciderlo, può andare- disse J-J. E Rihanna se ne andò.
- E rimaniamo io e lei signor Marcèl, lei ha ucciso Lucìen, perché le aveva soffiato il posto di primo
trapezista, in quel caso la gelosia aveva preso il sopravvento.- disse Mr. Nice. Oramai per il trapezista
Marcèl, non c'era più scampo, fu costretto a confessare; non poteva nemmeno scappare, perchè il cortile
era circondato di guardie pronte ad ucciderlo in qualsiasi momento.
Marcèl disse - E' vero, lo confesso, sono stato io ad uccidere Lucìen. Volevo spegnere quel suo sorrisino
dalla faccia, solo per aver preso il primo posto di trapezista. Quel suo viso felice, mi dava troppo sui nervi e
mi dispiaceva anche non essere stato scelto io per il primo posto. Giuro che ora mi sono pentito.- Bene, così
quando sarà in carcere non cercherà di evadere - Finì J-J.
Marcèl fu arrestato e Mr. Nice fu promosso come detective ufficiale del distretto. J-J invece aggiunse un
caso risolto alla sua collezione, e pensò a suo papà che non voleva fargli intraprendere questa strada. J-J
disse a suo padre guardando in alto, nel cielo -Te l'avevo detto papà, fare l'astrologo nella vita non mi serve
a nulla. Guarda cosa sono diventato. THE END
LINDA LOCATELLI - IL CADAVERE NEL CASSONETTO
Era una notte buia e tenebrosa, le nuvole coprivano la luna e le stelle che non si vedevano affatto ed
intorno c'era un silenzio di tomba interrotto, ogni tanto, dal fruscio di qualche ramo o da
un cucu,cucu,cucu.. di
qualche
rapace
notturno.
Intorno tutto taceva.
Camminando vicino ad un fiumiciattolo si poteva notare la nebbia che si levava da esso.
Per le strade della città, infatti, c'era una fitta nebbia che non ti permetteva di vedere al di la del tuo naso e
spesso
le
persone
si
scontravano
fra
loro
o
sbattevano
contro
oggetti.
Era notte profonda ma c'era ancora molta gente per le strade...forse perchè c'era stata una fiera o un
raduno o, semplicemente, perchè la gente non aveva voglia di restarsene tappata in casa ad ammuffire.
I lampioni, ricoperti di ragnatele ed insetti che ci gironzolavano intorno attratti dall'unica fonte di luce in
quella notte così scura, cercavano di illuminare le strade ma con scarso risultato, la nebbia stava vincendo.
Ad un certo punto, dal portone di un palazzo uscì una donna vestita in modo elegante, sembrava appena
uscita da un colloquio di lavoro. Indossava una pelliccia di ermellino, delle scarpe col tacco color rosso
fuoco che si intonavano alla perfezione con il rossetto. La donna aveva capelli biondi, di media lunghezza e
visibilmente curati. Si vedeva che teneva davvero molto all'aspetto fisico ed estetico. L'eleganza con la
quale camminava era molto seducente. Pur portando una pelliccia ed il rossetto rosso, era una donna di
gran classe. Dalle sue orecchie pendevano due piccoli orecchini color oro tempestati di minuscoli e
luccicanti diamanti. L'unica cosa che spezzava il suo look erano i jeans strappati che le davano un aspetto
casual. Nell'insieme era bellissima. Con quel suo bel viso magro. i suoi occhi verdi truccati con un velo di
mascara e un po' di matita nera. Le sue labbra erano carnose e ricoperte da uno strato di rossetto rosso
fuoco che rendeva il tutto più accattivante. Il naso era piccolo e aquilino mentre le orecchie, che la donna
teneva ben nascoste dietro ai capelli, erano enormi. Era di corporatura magra anche se aveva delle spalle
molto ampie, doveva essere di certo un'ex nuotatrice. Camminava fiera di sè come un leone nella savana
con una piccola poscette sotto l'ascella. Chissà dove era diretta!!
Ad un tratto vide un'ombra riflessa nella pozzanghera di fronte a lei, era la sagoma di una donna tutta
incappucciata e vestita di nero. Il suo sguardo si posò sul machete che pendeva dalla cintura. Terrorizzata
cominciò a correre ma l'assassina l'afferrò dal braccio, prese il machete e le tagliò di netto la testa. Si
guardò intorno per assicurarsi che nessuno l'avesse vista poi mise il corpo della vittima e la testa in un sacco
nero che si caricò in spalla. Buttò la testa in un cassonetto, tagliò un braccio e lo buttò in un altro, una
gamba in un altro ancora, il busto in un quarto cassonetto ed il resto in una discarica. Pensava che così
sarebbe stato più difficile ricostruire il corpo e la dinamica dell'omicidio ma soprattutto che sarebbe stato
impossibile risalire all'assassino ed effettivamente la sua logica aveva un senso, sarebbe stato l'omicidio
perfetto se non ci fosse stato un testimone...
Un uomo, il giorno dopo,scese per andare a buttare la spazzatura e vide un braccio nel cassonetto così
chiamò un detective privato per risolvere il caso. Il detective si chiamava Gionathan Swifht. Era alto e
magro, aveva i capelli marroni e gli occhi dello stesso colore. In testa aveva un cappello a bombetta che
sembrava molto vecchio perchè era davvero molto logorato e scolorito in diversi punti. Aveva un'enorme
macchia proprio nella zona della fronte, sembrava di caffè...Era un tipo molto audace e decisamente
intelligente. Era uno di quei detective che si vedono nei film. Era una persona davvero molto ordinata, se
entravi nel suo studio ti spaventavi. Non c'era un solo granello di polvere fuori posto, tutto luccicava ed era
perfettamente in ordine.
Erano circa le cinque del mattino quando una chiamata raggiunse il telefono dell'investigatore...
-"Pronto,commissario?"
-"Pronto" rispose con voce ferma
-"Deve venire s-s-ssubito!!!!!!!!corraaa!!!!!!!"
-"Signora si calmi,mi racconti cosa è successo..."
-"Ok...allora stavo uscendo per andare al lavoro ma dovevo anche buttare la spazzatura così aprii il
cassonetto e mentre ci buttavo dentro il grosso sacco della spazzatura vidi una testa! Siii,era proprio una
testa in un lago di sangue! Ho preso un tale spavento!!!!!!!!!"
-"Mi dica dove si trova e arriverò subito"
-"Sono tra la Bel Rouse e l'Avrea, si sbrighi per favore!!"
-"Ok arrivo subito signora"
Una
volta
lì
il
detective
chiamò
la
scientifica
ed
iniziò
il
sopraluogo.
Esaminò bene la scena del crimine e notò dei segni di trascinamento e seguendoli cominciò a trovare dei
piccoli brandelli di sacco...continuò a seguire la scia e incontrò altri cassonetti con dentro altre parti del
corpo della vittima e una volta trovato tutto e ricomposto il corpo provò a cercare dei documenti, il
cellulare,
il
portafoglio
e
riuscì
a
trovare
il
cellulare
della
vittima.
Il detective lo fece esaminare dalla scientifica che gli disse che era di una certa Clara Sanders....un poliziotto
si incaricò di contattare la famiglia ma il detective sembrava distante, perso...in realtà si stava promettendo
e ripromettendo che avrebbe trovato il colpevole di un crimine così e che gliela avrebbe fatta pagare
cara....
Intanto il corpo era stato portato in laboratorio ma il detective prima di andare rimase a guardare la scena
del crimine e i suoi sforzi furono ripagati da due clamorosi indizi trovati.
Uno era un'impronta sul cassonetto, probabilmente il rapinatore aveva levato i guanti per aprire il
cassonetto lasciando un'impronta perfetta...da lì si sarebbe potuto risalire al colpevole!
Il secondo era una ciocca di capelli trovata poco distante dal brandello del corpo rinvenuto nel terzo
cassonetto!
Il
detective
era
davvero
contento!!
Una volta alla scientifica gli venne data un'altra buona notizia; sugli abiti della vittima avevano rilevato una
piccola goccia di saliva...L'assassino non era stato molto attento perchè aveva lasciato ben tre indizi...la
ciocca di capelli, la saliva e l'impronta...il detective era su di giri, pensava che il caso sarebbe stato una
passeggiata ma purtroppo non fu così....
Dopo aver fatto l'esame del DNA della saliva, dell'impronta e dei capelli il detective venne a conoscenza di
una cosa che lo stupì molto, i tre indizi appartenevano a tre persone diverse.
Allora il detective cominciò a contattare i tre indiziati e a fare gli interrogatori.
Il primo ad essere interrogato fu Max Della Torres (capelli) che venne subito in centrale. Il detective iniziò
con le domande:
-Salve
-Salve
-Mi potrebbe dire dove si trovava venerdì scorso?
-A comprare i regali di natale con la mia fidanzata, se vuole può controllare, le do il suo numero...
-Sì mi sarebbe utile grazie.
-Beh ora devo scappare, mi aspettano per pranzo, arrivederci, è stato un piacere!
-Ok arrivederci e grazie della disponibilità!!
Il detective prese appunti durante tutto l'interrogatorio e ovviamente si segnò il numero della fidanzata di
Max.
Il secondo interrogato fu Sarah Mattius, una ragazza alta e magra, con le spalle larghe da nuotatrice e il
viso dolce e solare.
-Buon pomeriggio detective, perchè mi ha fatto venire?
-buon pomeriggio anche a lei, la ho fatta venire perchè sul corpo di una vittima abbiamo trovato una goccia
della sua saliva perciò mi potrebbe dire dove si trovava venerdì scorso intorno alle 18.27?
-Certo! ero scesa a buttare la spazzatura...
- E come mai c'era la sua saliva sul corpo della vittima?
-Non ne ho idea, posso dirle però che quando sono scesa era già buio e non si vedeva un gran che, ho
buttato la spazzatura e ci ho sputato anche dentro perchè stavo per vomitare...c'era così un cattivo odore!
Comunque non ho guardato dentro al cassonetto ma intorno non c'era nessun cadavere....
- La ringrazio, mi è stata molto utile.
-Bene! ne sono felice! arrivederla commissario!
-Arrivederci!
Il detective aveva ancora
-Buona sera commissario.
un
interrogatorio
da
fare....Quello
di
Charli
Mastherpluf
-Buona sera.
-Abbiamo trovato le sue impronte su un cassonetto dove abbiamo trovato una vittima!
-Certo! butto sempre io la spazzatura del mio condominio ecco perchè c'erano solo le mie impronte!
-Può dimostrare quello che mi ha detto?
-Certamente,
-Lo farò.
chieda
a
tutti
quelli
che
abitano
in
Rue
Du
Batheu
al
numero
44.
-Bene, mi spiace ora devo proprio andare, vengono degli amici oggi e non ho ancora preparato nulla!
-ok vada pure, grazie mille!
Il detective aveva già le idee molto chiare su chi fosse il colpevole ma voleva verificare meglio, il caso stava
per essere risolto e il colpevole sbattuto in cella e gettata via la chiave!
Questi furono gli ultimi pensieri che attraversarono la mente del detective prima di cadere in un sonno
profondo....
Per il detective era arrivato il momento di chiudere il caso.
Quella notte il detective non riuscì a chiudere occhio...continuava a ripensare agli interrogatori...non
vedeva l'ora che diventasse mattina così avrebbe potuto chiamare la fidanzata di Max della Torres e subito
dopo di andare in rue du battheau, nel condominio di Charli Mastherpluf per vedere se era veramente solo
lui a buttare la spazzatura.
Un sacco di domande non gli davano tregua e il detective era esausto ma non riusciva a dormire....
il mattino seguente il detective chiamò la ragazza di Max:
-Pronto, chi parla?
-Sono un detective...
-Oh salve!
-Signora potrei farle qualche domanda?
-Ma certo, chieda pure!
-Ok,allora...4 giorni fa abbiamo trovato un cadavere in un cassonetto e vicino ad esso un capello del vostro
ragazzo.
-Sì?...
-Be’, lui ha detto che era con lei a fare compere il giorno del delitto...è effettivamente così?
-Un secondo, mi faccia riflettere....
-Certo, faccia pure con calma....
-NO! QUATTRO GIORNI FA NO....Aveva detto che doveva andare a comprarmi un regalo alla gioielleria qui
all'angolo ma poi sono andata al lavoro e non lo ho più visto fino al mattino dopo....
-Ok la ringrazio molto e le farò sapere se suo marito è colpevole oppure no...
-Ok, buona fortuna commissario...
-Grazie
Subito il detective andò a verificare se era davvero andato in quella gioielleria e scoprì che quel giorno non
era stato lì nessun uomo con quel nome...
Poi si precipitò in Rue du Battheau...
chiese a quasi tutti i coinquilini chi era che buttava la spazzatura e la risposta fu sempre la stessa: "la
buttiamo a turno, ogni coinquilino ha dei giorni in cui la deve buttare"
Chiese ad un signore dove abitasse Charli Mastherpluf e scoprì che abitava al 3° piano. Andò a suonare alla
sua porta e lo trovò in compagnia di Max della Torres!!!!!!!!!!
Ora tutto quadrava! L’omicidio non aveva agito da solo!!!!
il lavoro sporco lo aveva fatto Max, infatti aveva perso un capello ma il piano era stato ideato da Charli
Mastherpluf ecco perchè c'erano le sue impronte, quando era andato a verificare il lavoro compiuto da
Max non aveva indossato i guanti e così aveva lasciato le impronte....
Max lo aveva fatto solo perchè gli servivano soldi per comprare quel regalo alla sua ragazza e Charli
Mastherpluf lo avrebbe pagato pur di non fare il lavoro sporco.
Purtroppo erano stati scoperti e alla luce di quelle prove così schiaccianti Max decise di confessare. Tutto
era andato esattamente come aveva detto il detective!
Il commissario chiamò la polizia che portò i colpevoli in carcere e andò a dire alla terza indiziata l'accaduto.
il detective andò a dare la notizia ai vari familiari e poi si congedò.
EROS BACCALA’ – L’ASSASSINO NEL BOSCO
Era una cupa notte di dicembre, nel parco nazionale del Neto il solito via vai di persone popolava il viale
principale; c'era molta nebbia, soprattutto in quel parco dove c'era un lago che creava molta umidità. Dal
lato opposto al lago c'era una fitta boscaglia che di giorno rappresentava il più bell'ambiente del parco, ma
giravano molte voci che di notte questo bosco era abitato da delle belve che mangiavano le persone che si
avvicinavano troppo. Per questo tutti coloro che entravano nel parco tendevano a stare il più lontano
possibile da quel bosco. Le staccionate che c'erano sulla riva del lago erano di legno di quercia, molto
pregiato, però si trovavano ormai in una condizione di degrado; al centro del parco c'era un bar che non era
aperto da anni, infatti mancava la serratura e all'interno non c'era più nulla perché quel locale era stato
svaligiato più volte.
Ad un certo punto dal bosco spuntò un signore molto alto e cicciottello con un viso rugoso e ovale; a prima
vista poteva sembrare un uomo simpatico ma in realtà era un uomo molto introverso e solitario tanto cui
piaceva andare in quel bosco proprio perché così poteva rimanere solo. Aveva delle spalle strette con due
braccia e due mani molto magre e dritte; il petto era molto ampio mentre le gambe e i piedi, come le
braccia e le mani, erano magre e lunghe. Si vestiva sempre in jeans con una camicia quadretti rossa e una
maglietta blu a pois con delle scarpe di pelle, mentre quel giorno era vestito con abiti sportivi: infatti
indossava una felpa della Puma rossa e gialla con una maglietta a maniche corte rossa sopra a una
canottiera a righe, dei pantaloncini corti e delle scarpe da corsa.
Dietro di lui all’improvviso comparve un uomo armato di una mazza, i due si guardarono in faccia e
iniziarono a parlare di ciò che era successo nella loro vita, ad un tratto l'uomo prese un ramo molto
massiccio e i due iniziarono a colpirsi a vicenda. Dopo pochi minuti l'uomo fece cadere a terra il criminale
che subito estrasse una pistola, sparò e rialzatosi scappò nel bosco.
Il giorno dopo l'assassinio, un investigatore privato, che aveva il suo ufficio vicino a quel parco, ricevette
una chiamata da un signore. L'ufficio di quell'investigatore era molto cupo e pieno di candele; sulla parete
della porta d'entrata c'erano dei quadri di Sherlock Holmes, alla destra della porta c'era una libreria con
molti libri e sul lato opposto c'era una finestra con un divano. Al centro della stanza c'era una scrivania con
una sedia girevole per il detective e due poltrone molto comode per gli ospiti. Lì lavorava il signor Watson,
un signore molto alto, che era solito segnare i casi che riusciva a risolvere su un foglio e metterli in un
archivio dentro uno sgabuzzino che custodiva il ricordo dei suoi casi. Watson era sempre vestito di nero con
un giaccone in pelle e delle scarpe con il pelo, aveva sempre con sè una pipa e una foto del suo personaggio
preferito: Sherlock Holmes.
Watson subito alzò la cornetta e con voce decisa esclamò - Pronto - subito dopo una signora rispose - Salve,
è lei l'investigatore Watson? - lui esclamò con voce entusiasta -Si, sono io; c'è qualche problema? - e la
signora esclamò - Ho appena trovato un corpo vicino al bosco del parco del Neto; per l'amor del cielo venga
qui subito! - Watson in modo frettoloso rispose - Arrivo, non si muova da lì, e ricordi di non toccare il
cadavere. - Chiuse la chiamata e prese le chiavi del lucchetto della bicicletta, chiuse a chiave lo studio e si
diresse al parco.
Arrivato al parco Watson lasciò cadere a terra la bici e, con una camminata molto veloce, raggiunse la
signora con cui aveva parlato al telefono. La donna subito le mostrò il corpo. Watson si mise a cercare indizi
e non faticò a trovarli: un documento con il nome della vittima che si chiamava Giorgio, vicino al suo corpo
trovò una macchia di sangue e una mazza da baseball.
Vedendo che sulla mazza c'era il nome Alessandro chiese subito al fratello della vittima se la mazza era sua,
mentre Watson cercava Alessandro per il parco trovò la sua professoressa e facendogli qualche domanda
scoprì che aveva un valido motivo per uccidere Giorgio: non si impegnava a scuola. Prima di incontrare
Alessandro incontrò il vicino di casa, Raul, e dopo varie domande disse che Giorgio non gli piaceva perché
disturbava sempre con la musica altissima durante la notte. Finalmente incontrò Alessandro, il fratello, e gli
chiese dove si trovava la notte precedente e lui rispose - in questo parco con degli amici - Watson si
insospettì perché ognuno di loro aveva un alibi con delle persone che lo potevano confermare: la
professoressa era a scuola e aveva come testimoni gli altri docenti; il vicino era a casa a dormire e a
confermarlo c'era la sua famiglia e per quanto riguarda Alessandro confermavano il suo alibi gli amici.
Il giorno dopo, Watson, dal suo studio chiamò Alessandro e gli disse - potrebbe venire nel mio studio, le
devo parlare lui rispose - Arrivo subito, mi dia 5 minuti -.
Alessandro rispettando la promessa si presentò allo studio di Watson che gli offrì un caffè , subito dopo
iniziarono a parlare.
- Mi saprebbe dire perché vicino al corpo di suo fratello c'era una mazza da baseball, la sua mazza da
baseball - disse Watson
e Alessandro rispose - Non lo so, come le ho già detto io ero con i miei amici quindi non so niente Dopo attimi di silenzio Watson ribattè - saprebbe dirmi chi, secondo lei, potrebbe aver preso la sua mazza Alessandro pensò un po' e poi esclamò - L'unica persona può essere Giorgio, mio fratello. Watson pensò di avergli fatto abbastanza domande e lo fece tornare a casa. Dopo chiamò il vicino di casa
che fu disposto ad andare dal detective, una volta giunto nel suo studio subito gli chiese
- La notte dell'omicidio ha visto qualcuno uscire dalla casa della vittima con una mazza da baseball -
ed il vicino disse - no! Io, come le ho già detto, ero a casa mia a dormire Watson insospettito continuò Quella sera non è mai uscito di casa? Il vicino, furioso, gli rispose - no, non sono mai uscito di casa - dopo qualche secondo il vicino si alzò e se ne
andò.
Watson capì che non era un buon momento quindi non lo fermò, allora chiamò la terza ed ultima
sospettata: la professoressa di Giorgio. La professoressa era impegnata a scuola quindi decise di andare lui
da lei per parlarle, una volta a scuola andò in una stanza e aspettò la professoressa, dopo cinque minuti
arrivò quindi Watson che iniziò a parlare chiedendole:
- Lei, ha le chiavi di casa di Giorgio? La donna rispose - no, ma la sera dell'omicidio sì perché Giorgio mi aveva chiesto di portargli la sua mazza
da baseball Watson ripensando a quando l'aveva vista nel parco disse - Quando ci eravamo visti nel parco lei era sporca
di sangue sulle gambe, non c'entra qualcosa con l'omicidio? Lei esclamò subito - No, mi ero solo fatta male - poi se ne andò lasciando il detective da solo nella stanza.
Dopo alcuni giorni di riflessione il detective chiamò i tre sospettati e, una volta arrivati tutti, iniziò dicendo Tre sospettati e un colpevole solo - fece un attimo di pausa poi disse - Partiamo da lei Luca, vicino di casa,
lei ha un alibi perfetto con una quantità di ipotesi di movente piccolissima - detto questo gli indicò la porta
e lui se ne andò. Proprio mentre parlava con la professoressa Giorgio iniziò a correre scappando da Watson,
subito lo insegui, dopo dieci minuti lo fermò e lo fece arrestare dicendo - Detective uno omicida zero –
FILIPPO GIUBERTONI – OMICIDIO PER GELOSIA
Sulla cima di una collina di Saint-Tropez si poteva ammirare la villa dei signori più ricchi della città. La villa
era famosa per il fantastico parco che la circondava: un giardino dai mille profumi emanati dai fiori e per la
lussuosa piscina interrata che sembrava perdersi nell'orizzonte segnato dalla linea del mare.
La villa era stata di proprietà di una famiglia che si era arricchita grazie al commercio della lavanda, e gli
eredi l'avevano trasformata in una casa d'affittare per le vacanze per ricchi stranieri, soprattutto inglesi, alla
ricerca di un clima più mite. Dal viale alberato che collega la strada con la villa uscì una macchina sportiva:
era una Ferrari di ultimo modello, decapottabile e di colore rosso. Alla guida c'era un giovane uomo ben
vestito; indossava un berretto bianco per non farsi scompigliare i lunghi capelli biondi dal vento, gli occhiali
da sole con le lenti a specchio proteggevano gli occhi color azzurro chiaro; il naso aquilino arrossato dal
forte sole mediterraneo era diventato lentigginoso. La bocca era larga con le labbra strette e le due basette
definivano i contorni del viso.
Indossava una camicia di lino con le maniche rimboccate, sul polso sinistro si notava il Rolex d'oro, ricevuto
in regalo per la sua laurea; la camicia era color sabbia con le sue iniziali ricamate sul taschino. I suoi
pantaloni erano lunghi e neri e fasciavano le sue lunghe gambe toniche e muscolose: il suo fisico era
asciutto, tipico di chi gioca spesso a tennis.
La sua espressione era serena perché stava andando a prendere la sua fidanzata che arrivava da Boston per
le vacanze estive; l'autoradio trasmetteva la hit del momento che lui seguiva canticchiando.
Quando nel tardo pomeriggio arrivarono a casa lui lasciò entrare volutamente prima la ragazza, e quando
lei aprì si trovò davanti tutti i loro amici che la accolsero festosamente e la abbracciarono. Era stato il suo
fidanzato ad organizzare la festa a sorpresa per il suo ritorno; tra i tanti invitati c'erano amici cari, colleghi di
lavoro e vecchi compagni di scuola.
Nonostante fosse frizzante l'aria decisero di fare insieme il bagno nella grande piscina della villa, ma dopo
circa un quarto d'ora rientrarono tutti in casa perché non si resisteva fuori se bagnati. Accesero allora il
costoso impianto stereo e misero della musica moderna a massimo volume; non mancavano sul tavolo
patatine, hot dog, olive, pizzette, salatini, panini e alcool come birre, champagne, brut e superalcolici tra cui
tequila. Jacques, il fidanzato si era abbuffato e aveva bevuto troppo perché si vedeva che camminava
barcollando e non riusciva a parlare bene. Disse allora di dovere andare in bagno. Mentre si dirigeva verso il
bagno esterno costeggiando la piscina, comparve la sagoma di un uomo alto ed energico che lo spinse
improvvisamente e con forza in acqua.
Jacques cercò in qualche modo di rimanere a galla e uscire, ma le sue forze erano contrastate dall’effetto
dell’alcool e da una mano che continuava a spingergli la testa sott’acqua; così dopo qualche minuto perse
coscienza e morì annegato.
Intanto si era fatto tardi e la maggior parte degli invitati stava tornando a casa, mentre altri si stavano
chiedendo e si misero a cercare dove fosse finito Jacques. Un urlo fece uscire di corsa i pochi rimasti alla
festa, guardarono spaventati il corpo di Jacques inanimato che stava a galla.
Il turno di notte era passato tranquillamente e mancava circa un'ora all'arrivo del collega per il cambio. Per
rilassare la muscolatura mise le gambe sopra la sua scrivania quasi completamente occupata da fogli
sparpagliati e dal monitor del suo computer.
Improvvisamente arrivò una telefonata: una donna dal forte accento americano e dalla voce spaventata
denunciava la morte del fidanzato.
Dall'ufficio rispose il commissario Colombo: un uomo di mezza età il
cui cognome tradiva le chiare origini italiane; anche il suo aspetto era tipico italiano: era di statura media,
dalla carnagione e dai capelli scuri. Era nato e cresciuto in Francia, il suo accento e il tono della sua voce
erano tipici di un fumatore incallito di Gauloises.
-Pronto- iniziò il commissario alzando la cornetta del telefono;
-Eravamo a festeggiare, ad un certo punto non trovavo più il mio fidanzato e l'ho ritrovato in piscina morto!
Non sappiamo cosa fare_ urlò una voce acuta femminile.
Il commissario cercò di calmare la ragazza per farsi dire da dove stesse chiamando: Villa Mistral... come
tutti conosceva bene il posto, e intuì che alla festa fossero presenti persone ricche. Raccomandò infine alla
ragazza di non toccare il ragazzo e di non fare uscire gli invitati da casa sua.
Colombo si alzò dalla scrivania, andò in bagno a darsi una rinfrescata e mentre toglieva le chiavi dalla tasca
si accese una sigaretta.
Colombo partì subito dalla "géndarmerie" e con lui salì in macchina anche un poliziotto di nome Patrice
Cluseau esperto negli interrogatori, specialmente nella sua lingua madre. Il commissario non aveva scelto a
caso l'accompagnatore: della ragazza che aveva chiamato aveva sentito l'accento americano e appunto, il
paese di provenienza di Patrice erano gli Stati Uniti e sarebbe stato più facile per loro comprendere le
domande in inglese.
Appena furono scesi dalla macchina per entrare nella villa Patrice si mise sul collo una macchina fotografica
di ultima generazione mentre Colombo si diresse verso la ragazza che lo aveva telefonato e chiese dove
fosse il corpo di Jacques.
La ragazza indicò piangendo la piscina interrata, fu così che il commissario trovò il cadavere girato sulla
pancia a galla. iniziarono gli interrogatori di Patrice intanto che Colombo aveva portato il corpo fuori
dall'acqua e lo stava osservando attentamente.
Dialogando con ogni singolo invitato Patrice scoprì la relazione che Jacques aveva con loro. Infine
confrontandosi con il commissario formulò 3 ipotesi su chi fosse stato l’omicida e quale fosse stata la causa.
-
Il vicino Christian: avrebbe annegato Jacques perché durante l’estate le persone che avevano
affittato la villa tenevano la musica alta tutta la notte e lui che era dall’altra parte della strada non
sarebbe riuscito a riposarsi; loro l’avevano invitato per farsi perdonare ma forse non era il primo
anno che passava le sue vacanze disturbato dalla musica.
-
Cecille, la ex fidanzata di Jacques: avrebbe ucciso il giovane perché l’aveva tradita, accorgendosi
che voleva soltanto approfittare di lui per spendere tanti soldi e girare sulla Ferrari di Jacques.
-
Monsieur Le Bon: il titolare dell’impresa edile a cui Jacques doveva i soldi della ristrutturazione
della villa e anche le tasse. Avrebbe ucciso il ragazzo quindi per ragioni finanziarie.
I due investigatori decisero che avrebbero continuato il giorno successivo, ma portarono il corpo alla
scientifica mentre i sospettati in caserma per indagini approfondite.
Ritornato giorno, il commissario e Patrice fecero un resoconto di quello che avevano scoperto. Decisero
anche di fare domande più approfondite ai sospettati per capire dov'erano nel momento della morte di
Jacques. Colombo fece tre interrogatori diversi e fece entrare ognuno in una stanza dov'era presente una
guardia. Chiese dunque se avessero un alibi e si fece raccontare il legame che avevano con Jacques:
< Dov'era la notte del 3 luglio?! > -Alla festa insieme a Jacques- -Al bar visto che era sabato- -A firmare dei
fogli, sa io sono sempre impegnato anche fuori dall'ufficio dal lavoro.
< Qualcuno può confermarlo? > -Si, la sua ragazza e gli altri invitati- -No, non penso- -No ero a casa da
solo.
Queste furono le risposte dei tre sospettati: il vicino, la ex ragazza di Jacques e il titolare dell'impresa
edile; Il vicino Christian era l'unico a salvarsi. Restavano quindi il caso del tradimento e quello finanziario.
Pensando al movente che avrebbe potuto spingere o Cecille o LeBon ad uccidere Jacques, Colombo tornò a
casa a passo lento per cercare di scoprire l'omicida mettendo insieme tutti gli indizi trovati con il suo
collega Patrice. Di colpo si fermò e sbatté le palpebre, fece un respiro e iniziò a correre veloce anche se
sapeva che la sua età e la sua ossessione per il fumo non andavano a suo favore.
Era arrivato ad una conclusione e non voleva perdere tempo per smascherare l’assassino; voleva
smascherarlo quella sera! Convocò nel suo ufficio Cecille e monsieur LeBon. Loro, stanchi si stravaccarono
sulle 2 poltrone al centro della stanza disordinata e avevano addosso lo sguardo dei due poliziotti di guardia
e quello di Colombo.
Iniziò con voce seria – Vi ho convocato nel mio ufficio a questa tarda ora per smascherare l’omicidacontinuava – dopo un lungo ragionamento sono arrivato al colpevole e devo ammettere che è stato molto
astuto nel suo atto;
tutti e due avevate un buon motivo per far male a Jacques: LeBon per questioni di soldi e lei, mademoiselle
Cecille per ragioni sentimentali – Ma il titolare di una grande impresa avrebbe potuto ricorrere a una
denuncia, come appunto aveva fatto precedentemente alla morte di Jacques.
Lei, Cecille invece non aveva né l’alibi né una prova da usare per salvarsi dalla galera!La donna aveva saputo spegnere le telecamere della casa quando fece annegare Jacques perché aveva visto
l’elettricista montarle quando lei era passata di lì; nessuno avrebbe potuto vedere che era stata lei a tenere
la testa del ragazzo ubriaco sott’acqua. Lei non fece nulla tranne che alzarsi e porgere le mani ai poliziotti
per fare vedere che ormai non poteva fare più niente e che si era arresa.Dopo che ebbero portato via la
donna e che fu uscito LeBon, Colombo si sgranchì le braccia e mise le gambe allungate sulla scrivania
dicendo: - Mi sa che mi prenderò una birra visto che ho parlato più io che i sospettati agli interrogatori-.
SOFIA MILAN – L’OMICIDIO ALLE HAWAII
Il mare era molto calmo. Sulla spiaggia di Kualoa di O’ahu, nelle isole Hawaii, c’erano molti bagnanti e due
barche a vela che avevano appena attraccato. La spiaggia era circondata da una ricca, folta e rigogliosa
vegetazione, formata soprattutto da palme. Sulla costa c’erano bellissimi edifici, tra i quali si distinguevano
soprattutto alberghi molto recenti.
La spiaggia era molto frequentata soprattutto da turisti intenti a scattare foto. Alcuni turisti si dedicavano
alle immersioni o facevano surf su quell’acqua cristallina e limpida. Alcuni preferivano osservare i souvenirs
girando nei negozi, nei quali acquistavano soprattutto cappelli di paglia, camicie floreali e simpatici costumi.
Gli hawaiani sono un popolo molto vivace e che possiede una cultura molto antica. Allo stesso modo anche
le loro spiagge sono luoghi molto semplici ma per loro sono il luogo più bello del mondo.
Dalla spiaggia era possibile osservare le loro abitazioni, all’esterno esse mantenevano un aspetto semplice e
spoglio mentre all’interno erano moderne. Molte di queste case erano costruite sulla riva del mare. Mentre
le case private avevano mantenuto il loro rapporto con la storia e le tradizioni dell’isola, i palazzi più
recenti, per lo più alberghi, davano un tocco di originalità e modernità all’isola hawaiana.
In una delle barche che avevano appena attraccato al porto, un giovane pescatore stava sistemando la sua
rete da pesca che aveva utilizzato durante il suo raccolto del pesce. L’uomo era alto e magro, aveva un viso
liscio coperto da una barba e aveva dei capelli ricci color castani.
Gli occhi, chiari e cristallini. Il naso era piccolo, la bocca allungata ed era distesa in un ampio sorriso.
Sebbene la giovane età, l’uomo aveva braccia lunghe e muscolose e possedeva un corpo atletico. Le mani
erano minute, sull’anulare della mano sinistra, luccicava una fede d’oro. Le gambe erano lunghe e il suo
corpo magro era curiosamente sostenuto da due piedi molto grandi. Il suo abbigliamento era trascurato;
come d’abitudine, infatti, indossava jeans lunghi, una maglietta a maniche corte, parzialmente coperta da
un grembiule da pescatore.
Mentre era occupato a ripiegare le sue reti, l’uomo pensava al compleanno della figlia che avrebbe
festeggiato la sera di quello stesso giorno con la sua famiglia.
Il solo pensiero di ciò che lo attendeva aveva reso l’uomo molto felice. All’improvviso davanti a lui
comparve un uomo che porta sul volto una maschera. L’uomo cercò di colpirlo alle spalle con un coltello; il
pescatore, esperto in armi da taglio, estrasse dalla tasca dei jeans un coltellino. Quando entrambi si
guardarono negli occhi, il pescatore riconobbe subito l’identità del suo aggressore nonostante il suo viso
fosse nascosto dietro a una maschera e capì che era lì per ucciderlo.
A un certo punto i due si separarono e, entrambi, ne approfittarono per studiare le mosse dell'avversario.
L’aggressore ferì il pescatore al braccio. Il pescatore, ferito ad un braccio, si accasciò per un istante.
Immediatamente dopo si accorse che il dolore provocato dalla ferita rendeva le sue mosse meno
potenti. L’uomo perse l’equilibrio e cadde dalla barca. L'omicida riuscì a scappare senza che nessuno
cercasse di fermarlo e senza vedere quello che era successo l’istante prima.
Poco dopo un pescatore con un barattolo di vermi appena comprato, stava ritornando spensierato alla sua
barca attraccata vicino a quella della vittima. Mentre si avvicinava alla barca, vide il cadavere di un uomo
steso sull'acqua della riva e riconobbe in quel corpo il suo caro amico; preoccupato lo trascinò a riva e cercò
inutilmente di rianimarlo. Rassegnatosi corse a chiamare la polizia ma gli venne in mente di chiamare anche
un investigatore privato che riteneva essere il più famoso per antonomasia: Sherlock Holmes
Sherlock Holmes era sposato, proveniva dall’Inghilterra e si era trasferito in una tipica casa
hawaiana. Sherlock aveva una lunga esperienza come poliziotto e ora lavorava come investigatore privato
in un lussuoso ufficio nel centro della città dopo aver creato un’agenzia di investigazioni: la PCA, Accademia
di protezione civile.
Sherlock Holmes si trovava ora nel suo ufficio quando il telefono squillò.
L’investigatore alzò la cornetta e disse – Pronto, studio investigazione di Sherlock Holmes.
L’amico del pescatore molto agitato quasi urlò nel rispondergli – Investigatore, qua, c’è un cadavere...
- Stia calmo, parli più lentamente – aggiunse Sherlock – mi ripeta quello che ha detto con calma.
Il pescatore respirò profondamente e disse – investigatore, sono sulla spiaggia di Kualoa di O’ahu, vicino al
'Resort delle palme', mi trovo vicino al cadavere di un mio caro amico, Adam, un pescatore di qua...L’investigatore lo calmò dicendo che sarebbe arrivato subito e aggiunse
– Ma dove si trova ora il cadavere?
Il pescatore rispose – Si trova, qua, in riva al mare, privo di vita!”
L’investigatore confermò allora la promessa che sarebbe intervenuto il prima possibile.
L’investigatore confermò allora la promessa che sarebbe intervenuto il prima possibile.
Il pescatore aspettò con ansia l’arrivo di Sherlock e intanto camminava nervosamente andando avanti e
indietro. Quando arrivò l’investigatore e con lui la polizia, il pescatore corse subito da lui e gli disse
– Eccolo qui! - indicando il corpo riverso sulla spiaggia.
Poi entrambi si avvicinarono alla riva e videro il cadavere a metà lambito dall'acqua.
Sherlock Holmes cominciò subito a cercare indizi, mentre il pescatore lo seguiva. Sherlock notò che
qualcosa di affilato sbucava dalla sabbia, vide che era un coltello con la punta molto affilata e intrisa di
sangue. Sherlock quindi raccolse l’arma e la infilò in una busta di plastica trasparente per analizzarla. Il
pescatore intanto aveva chiamato la moglie della vittima; la donna stava preparando la cena quando venne
a sapere che il marito era morto. Sul momento rimase sotto shock, il pentolino traballante che teneva in
mano le scivolò via cadendo a terra e provocando un rumore che la riportò alla realtà. La donna corse
subito sul luogo del delitto, dove l’amico pescatore le mostrò il cadavere del marito. Scoppiò subito a
piangere, e Sherlock, cercò di tranquillizzarla. Quando la donna si calmò, l’investigatore le pose alcune
domande, ma lei non riuscì a rispondere.
Il pescatore, essendo amico della donna e suo vicino di casa, riferì a Sherlock che la donna e suo marito
litigavano molto spesso anche per motivi inutili e il marito quando era arrabbiato usciva di casa per andare
al mare a pescare.
– Probabilmente anche oggi è andata così – disse Sherlock. Poi il pescatore fornì a Sherlock una
informazione molto utile: Giuly, prima di sposare Frank, era sposata con un uomo molto violento. Per
questo motivo la storia tra i due non era andata avanti e Giuly aveva deciso di divorziare. Dopo il divorzio la
donna si era messa insieme a Frank,ma anche con lui le cose non andavano bene.
Il detective cominciò a pensare che il sopralluogo e il colloquio con il pescatore aveva dato i suoi frutti. Ora
aveva tre indiziati: il pescatore stesso, Giuly e l’ex marito di Giuly.
Sherlock si diresse verso il suo ufficio e intanto la sua mente collegava le parole di Giusy a quelle del
pescatore amico di Frank. Si immaginava la scena del delitto come un puzzle a cui mancavano dei pezzi. Ad
un certo punto gli venne in mente che il pescatore che lo aveva chiamato gli aveva detto di aver visto il
cadavere di Frank mentre tornava alla sua barca. Allora prese il telefono e digitò il numero del pescatore.
Buongiorno, sono l’investigatore Sherlock Holmes, vorrei farle qualche domanda riguardo l’omicidio
del suo amico Frank, può gentilmente raggiungermi nel mio ufficio? – disse Sherlock.
-
Va bene, vengo subito – rispose il pescatore.
Sherlock lo aspettava con ansia, quando l’uomo arrivò, l’investigatore lo accolse con gentilezza offrendogli
del caffè che il pescatore rifiutò.
-
Che cosa vuole da me? – chiese il pescatore un po’ seccato.
Bene, io l’ho fatta venire qui, per farle delle domande sull’omicidio del suo amico Frank – replicò
Sherlock arrivando subito al dunque.
-
Ah, Frank – esclamò il pescatore.
-
Dove si trovava precisamente quando è avvenuto l’omicidio? – domandò Sherlock.
-
Come le ho già detto, ero andato a comprare un barattolo di vermi nel negozio di pesca qui vicino replicò il pescatore – Mi dispiace, ma adesso devo andare, sono stato invitato ad una cena e sono già in
ritardo, arrivederci – aggiunse il pescatore.
Sherlock lo salutò e lo ringraziò per essere venuto nel suo ufficio.
Il giorno dopo, l’investigatore, si immaginò nuovamente un puzzle. Ma questa volta mancava solamente un
pezzo. Sherlock si ricordò che durante il colloquio avuto con Giusy, la donna gli aveva detto che aveva un
ex-marito e quindi decise di chiamarla per saperne di più.
-
Pronto, sono l’investigatore Sherlock, volevo farle qualche domanda sul suo ex marito.
-
Sta parlando di Michael Smith – chiese la donna.
-
Sì, proprio lui, sa dirmi dove abita e quanti anni ha?
-
Ha 37 anni e abita in una villa in via College 72 – aggiunse Giusy.
Dopo aver ringraziato Giusy per le informazioni, l’investigatore raggiunse l’uomo nella casa in cui viveva.
Suonò alla porta e dopo alcuni minuti un uomo venne ad aprire.
-
Chi è? – chiese l’uomo.
Sono l’investigatore Sherlock Holmes, sono qui per farle alcune domande sull’omicidio avvenuto
pochi giorni fa.
-
Prego, entri pure – disse Michael.
-
Dove si trovava il giorno dell’omicidio alle 17:30? – domando Sherlock provato dalla stanchezza.
-
Ooh, vuole del caffè? Vedo che è molto stanco? – chiese Michael con premura.
L’investigatore accettò l’offerta. Mentre Michael preparava il caffè, Sherlock approfittando del fatto che
l’uomo era impegnato, iniziò a guardare le foto. In una di queste foto, collocata in un cornice posta sul
tavolo, sopra un centrino rosso, erano presenti lui e Giusy il giorno del matrimonio. Sherlock guardava
attentamente quella foto quando arrivò Michael con una tazza fumante di caffè.
-
Ecco qui il suo caffè – disse l’uomo.
-
Risponda alla mia domanda, dove si trovava alle 17:30 due giorni fa?
Michael rispose che era appena arrivato da un lungo viaggio in Europa. L’investigatore gli pose un’altra
domanda.
-
Lei era amico del marito della sua ex moglie.
-
Sì – rispose Michael – ma come fa a sapere che ero sposato?
-
Be’ qui c’è una foto del vostro matrimonio – continuò Sherlock – e lei e Giusy andavate d’accordo?
-
Eravamo una coppia molto unita – replicò Michael.
-
E come mai vi siete lasciati? – chiese Sherlock.
-
Ultimamente litigavamo spesso… quindi… - rispose Michael
Sherlock decise che non aveva bisogno di altre informazioni. Ringraziò l’uomo, gli augurò una buona
giornata e se ne andò.
L’investigatore cominciò a riflettere sui colloqui che aveva avuto con Michael e con gli altri indiziati. Iniziò a
mettere insieme gli indizi con le parole dei sospettati, immaginando un possibile movente per ciascuno di
loro. Si affidò al suo intuito e alla sua esperienza, utilizzando tutte le armi della logica. Era uno dei casi più
impegnativi che gli era capitato. L’assassino doveva essere molto astuto.
Cominciò a mettere insieme tutti i dati e gli indizi trovati fino a quando arrivò ad una conclusione. Così
decise di convocare nuovamente tutti e tre gli indagati nel suo ufficio. Telefonò e chiese loro di venire nel
suo ufficio immediatamente.
Appena arrivarono Sherlock li accolse e li fece sedere sulle poltrone davanti alla sua scrivania e spiegò loro
il motivo per il quale li aveva convocati. Poi analizzò i moventi di ciascuno di loro. E disse: “Tu, Giuly,
potresti aver ucciso Michael perché litigavi sempre con lui, ma eri troppo legata a tuo marito e da come hai
reagito alla notizia della sua morte è evidente che non eri consapevole dell’accaduto. Tu che pescavi spesso
insieme alla vittima, sicuramente non sei il colpevole, altrimenti non mi avresti chiamato e non mi avresti
parlato in quel modo. Il colpevole sei tu, Michael, tu hai ucciso Frank.” Michael all’inizio obiettò che era
innocente, disse che non era stato lui, ma dopo un po’, sentendosi incastrato, cercò di scappare. Correva
più veloce della luce per la paura di essere preso, ma inciampò su di una sedia a sdraio e si ruppe una
caviglia. La polizia arrivò subito e bloccò tutte le strade. Sherlock riuscì a prenderlo, gli mise le manette e lo
fece arrestare.
Sherlock dopo quello corsa ebbe un pensiero : “È molto meglio essere single che essere sposati, visti i rischi
che si corrono.”
ALAA EL REFAEI – IL VICOLO XX SETTEMBRE
Nel vicolo 20 novembre abitavano poche persone tra cui un signore molto strano. Nel vicolo c'era un parco
che sembrava il luogo dove vengono seppellite le persone morte. Le persone in quel vicolo erano
malinconiche e stranamente tutti facevano lo stesso lavoro. Di notte si sentivano strani rumori e allo
scoccare della mezzanotte si sentiva una persona che suonava il piano e parlava a bassa voce. Di mattina di
solito passava lo stesso gatto, e dopo mezzogiorno il vicolo sembrava deserto non c'era nessuno era come
se al mondo non ci fosse più un solo uomo. Infatti era abitata da poche persone perchè si diceva che era la
città più malinconica del mondo e che era infestata da fantasmi.
Su una panchina del parco era seduto un uomo. Quest'uomo era alto e aveva una corporatura robusta,
aveva capelli ricci, castani e poco curati. Aveva il viso rotondo e allungato, gli occhi grandi a forma di
mandorla, le sopracciglia folte e sottili, le orecchie a sventola. Le labbra erano grosse e screpolate, aveva il
naso a patata e la fronte era spaziosa.
A volte era gentile, ma era testardo come un mulo; gli piaceva molto lo sport ecco perchè si vestiva sempre
in modo sportivo. Questo uomo viveva nel vicolo 20 novembre, era malinconico come tutti gli altri, tutti i
giorni andava a correre al parco perchè gli ricordava il posto in cui da piccolo andava quando era triste o era
successo qualcosa tra i suoi genitori.
Era una notte buia e tempestosa l'uomo stava tornando dal lavoro in macchina quando sentì un rumore che
gli fece venire un infarto, sembrava una bomba ma era un colpo di pistola. Quando l'uomo arrivò a casa
sentì un altro rumore e salì di corsa a casa per la paura, chiuse tutte le porte e le finestre. Quella notte
l'uomo non chiuse occhio dalla paura rimase sveglio tutta la notte a pensare. Alle sette e mezza di mattina
l'uomo decise di andare al parco del villaggio, quando arrivò al parco si mise a correre per circa mezz'ora
poi si fermò un attimo a riposare; dopo si mise di nuovo a correre. Mentre correva notò un'ombra molto
strana che lo seguiva, l'uomo non avrebbe mai pensato che qualcuno avesse qualcosa contro di lui o che
addirittura volesse ucciderlo. Ad un tratto gli alberi cominciarono a muoversi; a quel punto l'uomo capì che
qualcuno lo stava inseguendo e si mise a correre velocemente, ma la persona che lo stava inseguendo gli
saltò addosso e lo uccise infilandogli il coltello nel cuore.
Tre giorni dopo la scomparsa dell'uomo un signore che passava di lì, lo vide e chiamò un investigatore
molto famoso: Paul Henderson. Il suo ufficio si trovava davanti a una scuola in provincia di Genova, la
parete alla sua destra era di colore nero, invece tutte le altre erano azzurre. Il pavimento era sempre
sporco, alla sua sinistra c'era un divano dall'aria strana e vicino al divano c'era una cassaforte con sopra dei
fogli. Le finestre avevano una strana forma ed erano di colore grigio, l'ufficio era pieno di scatole si vede
che si era trasferito da poco; ad ogni parete era attaccato un quadro, tranne in una cui erano attaccati dei
fogli con il nome e il crimine delle persone che avevano commesso qualcosa. Al centro della stanza c'era
una cattedra con davanti due sedie e vicino un tavolino piccolo con sopra la macchina espresso del caffè. La
stanza del detective non era molto pulita per la maggior parte delle volte era sporca o gocciolava qualcosa
dal soffitto che rendeva il pavimento scivoloso.
L'investigatore per lui era solito mettere una cravatta e una giacca in impermeabile. Aveva la faccia ovale,
gli occhi erano di un azzurro chiaro, il naso era a punta, aveva la bocca piccola e le orecchie erano a punta.
Era alto e magro, aveva le spalle sempre diritte e i suoi piedi erano fuori misura portava il quarantotto di
scarpe.
L'investigatore Paul Henderson alzò la cornetta
-Pronto-- disse l'investigatore con voce sicura.
- Lei è il detective Paul Henderson - chiese l'uomo con voce impaurita.
-Si sono io, mi dica cosa è successo - chiese l'investigatore.
-Sono vicino ad un cadavere cui è stata disegnata una x sul petto - rispose l'uomo.
-Mi dica dove si trova adesso - Chiese il detective con un tono incalzante.
-Mi trovo in un parco abbandonato del vicolo xx novembre - rispose l'uomo con voce insicura
-Aspetti lì arriverò tra poco-- disse l'investigatore.
-La ringrazio, ma si sbrighi per favore - disse l'uomo con voce tremante.
Allora l'investigatore confermò che sarebbe intervenuto il prima possibile.
Giunto sul luogo del delitto, il detective si mise a parlare con la persona che aveva trovato il corpo
chiedendogli informazioni sulla vittima. La persona disse che sapeva poche cose sulla vittima, ad esempio
che la maggior parte del tempo stava solo e che la mattina lo vedeva ma poi tutto il resto del giorno
scompariva, che era legato particolarmente alla sua famiglia tranne ai suoi fratelli.
Il detective iniziò a cercare tracce o indizi, si mise a esaminare il corpo e trovò una ciocca di capelli di colore
marrone, vicino al corpo della vittima una goccia di sudore e l'impronta digitale sull'arma usata contro la
vittima che era posata sul petto della vittima. L'investigatore non capiva che significato avesse la x sul
petto, ma non era la prima volta che vedeva qualcosa del genere; aveva già visto qualcosa di simile e aveva
un significato antico era come una maledizione contro qualcuno. Allora pensò che anche quella x sul petto
avesse un significato simile. Il detective riuscì a individuare tre persone sospette: il fratello perchè lo odiava
e riteneva che in qualsiasi cosa fosse migliore di lui e lo invidiava, la ex fidanzata perchè lasciandola le aveva
rovinato la reputazione e aveva detto che un giorno si sarebbe vendicata e un lavoratore che lavora con lui
perchè la vittima l'aveva fatto licenziare perchè corrompeva i clienti.
Il giorno seguente l'investigatore Paul Henderson andò nel suo studio pensando al caso del giorno
precedente. Era molto stanco non riusciva neanche a reggersi in piedi si vedeva che quella notte non aveva
dormito. Ma sapeva che doveva risolvere un caso, quindi chiamò la famiglia dell'uomo che era stato ucciso
per sapere dove abitava il fratello della vittima, la famiglia disse che il fratello abitava ad un kilometro di
distanza dalla casa della vittima in un piccolo paese nel vicolo sette novembre; dopo aver ottenuto
l'informazione l'investigatore ringraziò la famiglia e chiuse il telefono. Quando arrivò suonò il campanello e
il fratello della vittima lo fece accomodare, gli domandò in cosa poteva aiutarlo e l'investigatore iniziò
l'interrogatorio.
-Lei conosce il signor Marco Monti?---chiese il detective con voce sicura.
-Si è mio fratello, perchè questa domanda?-- disse il fratello della vittima.
-Suo fratello è morto lo sapeva?--chiese l'investigatore.
-No, non lo sapevo e non è che mi importi così tanto-- disse l'uomo con voce infastidita.
-perchè non le importa?-- chiese l'investigatore incuriosito.
-Io e mio fratello ci siamo sempre odiati in qualsiasi cosa si voleva far notare e mi metteva sempre da parte- rispose l'uomo dall'aria scocciata.
-Dove si trovava ieri alle 6:32 del mattino?-- chiese l'investigatore con voce squillante .
-Stavo dormendo come tutte le notti-- disse il fratello della vittima.
-Qualcuno lo può confermare?-- chiese il detective.
-Sì, i miei vicini-- disse l'uomo.
Allora il detective ringraziò l'uomo e lo salutò, ma prima di salutarlo gli chiese se sapesse dove abitava la ex
fidanzata del signor Marco Monti e l'uomo gli disse che anche lei abitava in quel paese e che la sua casa si
trovava nel vicolo successivo.
Quando arrivò vide una donna che stava rientrando a casa; allora andò da lei e le disse che doveva farle
delle domande. La signora lo fece accomodare e gli chiese se voleva qualcosa da bere e il detective disse
che avrebbe bevuto volentieri una tazza di tè caldo, poi si mise a guardare intorno e vide una foto della
signora con il signor Marco Monti.
-Ecco il suo tè--disse la signora
-Lei aveva una relazione con il signor Monti?-- chiese l'investigatore con voce sicura.
-Si e lei come fa a saperlo?-- chiese la donna.
-Si vede nella foto-- rispose il detective.
-Il suo ex fidanzato e stato ucciso lo sapeva?-- chiese l'investigatore.
-No non lo sapevo-- disse la signora scoppiando in lacrime.
-Dove si trovava ieri alle 6:32 del mattino?-- chiese l'uomo con voce squillante.
-Ero a casa di una mia amica, avevo passato la notte a casa sua--disse la donna.
-Mi può dire dove abita la sua amica?-- disse il detective.
-La mia amica si chiama Giorgia Carmello e abita non poco distante da qui-- rispose la signora dall'aria
infastidita.
L'investigatore ringraziò la signora e se ne andò sbattendo la porta. Il detective controllò il telefono della
vittima per rintracciare il collega della vittima che era stato licenziato e che aveva detto che un giorno si
sarebbe vendicato, quando lo rintracciò rimase sorpreso perchè aveva scoperto che uno dei sospettati era il
suo vicino Rodrigo Mendoza. Quando arrivò a casa del suo vicino suonò il campanello, il suo vicino lo fece
accomodare e gli chiese cosa volesse da lui.
-Lei conosce Marco Monti?-- chiese il detective con un'aria infastidita.
-Sì era un mio vecchio collega, è stato lui a farmi licenziare-- rispose l'uomo con voce squillante.
-Il signor Monti è morto ieri, lei ne sapeva qualcosa?-- disse l'investigatore.
-No non so niente e credo che gli stia bene, ho sempre avuto disprezzo verso Marco-- rispose l'uomo.
-Dove si trovava ieri alle 6:32 del mattino?-- chiese il detective.
-Ero a lavoro, di solito vado a lavorare presto-- disse il collega della vittima.
-Qualcuno lo può confermare?-- chiese l'investigatore con voce sicura.
-Sì un collega che lavora con me-- disse l'uomo.
-Mi dica come si chiama e dove abita il suo collega-- disse il detective.
-Si chiama Roberto e abita a dodici miglia da qui-- rispose l'uomo con voce infastidita.
Dopo aver finito l'investigatore torno nel suo studio e iniziò a riflettere sulle informazioni e sulle prove che
aveva trovato per riuscire a risolvere il caso.
L'investigatore sì alzo e iniziò a riflettere su chi potesse aver ucciso il signor Monti. Iniziò a mettere insieme
gli indizi e le informazioni che aveva raccolto dai sospettati, poi dalle tracce capì che forse non era stata
solo una persona ad uccidere il signor Monti e che probabilmente ci erano stati più omicidi. Dopo aver
riflettuto ancora sul caso giunse a una conclusione e convocò i tre sospettati nel suo ufficio.
Quando i sospettati arrivarono il detective li fece accomodare e iniziò e parlare:
-Buongiorno signori credo che vi stiate chiedendo perchè io vi abbia convocato-- disse il detective
-Sì ce lo stavamo chiedendo--risposero i sospettati.
-Vi ho convocato qui perchè ho scoperto chi è il colpevole o chi sono i colpevoli-- disse l'investigatore
-Ci sono più colpevoli? -- chiese un sospettato.
-Sì mio caro vicino di casa, ci sono più sospettati-- disse l'investigatore.
Dopo qualche minuto di silenzio il detective riprese a parlare e disse:
-Mio caro vicino lei non può essere stato perchè non aveva un movente così importante per uccidere il
signor Monti, poi lei ha detto che quella mattina stava dormendo e anche io lo posso confermare che lei
stava dormendo-- disse il detective con voce sicura.
-Ora passiamo a voi due, confessate lo so che siete stati voi!-- disse l'investigatore.
-Perchè dovremo essere stati noi ?-- chiesero gli altri due sospettati.
-Lei signora è la complice ha aiutato il fratello della vittima ad uccidere il signor Monti. Aveva detto che
quella mattina era al suo negozio, ma ho chiamato la sua amica che lavora con lei e mi ha detto che quella
mattina lei non era andata al lavoro. Poi lei provava grande odio per la vittima dopo che era stata lasciata
perchè le aveva rovinato la reputazione-- disse il detective.
-Invece lei, fratello della vittima quando le ho detto che suo fratello era morto ha dimostrato davvero molto
disinteresse, e poi mi aveva detto che era tornato molto tardi dal lavoro, ma ho chiamato i suoi vicini e
hanno detto che lei prima era a casa ed era con una donna che era la ex fidanzata di suo fratello e in quel
momento stavate complottando il piano per uccidere suo fratello perchè lei era geloso della popolarità di
suo fratello e voleva prendere il suo posto.
Alla fine gli omicidi confessarono, ma il fratello cercò di scappare e il detective gli corse dietro. Il fratello
della vittima correva veloce, molto veloce, però inciampò su una sedia così l'investigatore lo raggiunse e
venne arrestato con la ex fidanzata del signor Marco Monti.
Al detective venne in mente una cosa: "che è meglio essere figli unici che avere fratelli, dopo tutto quello
che si rischia, ma si ricordò che di fratelli ne aveva ben tre da sopportare".
ALISSA CARRETTA – LA CITTA’ SENZA TRACCIA
Era inverno ,forse uno degli inverni più freddi, gelidi, ventosi; nessuno si vedeva in giro, in quel paese
sconosciuto, perché se una persona avesse osato uscire si sarebbe ammalata. Quel piccolo paese, talmente
piccolo che nessuno lo conosceva, sembrava inesistente, infatti non se ne sentiva parlare nei giornali,
nessuno in giro lo aveva mai nominato, era talmente nascosto dalla neve che nessuno si era accorto di
questo paese.
Le case erano piccole, fatte di mattoni, di vari colori, ma molto accoglienti, avevano un grande giardino che
si estendeva per un bel pezzo di territorio, quasi tutte le casette avevano un cane, non esistevano palazzi.
In quel paesino c'erano due piccoli market, un parchetto che era abbandonato da almeno una decina di
anni, quel parco era molto conosciuto tra gli abitanti di quel paese, c'erano sempre dei bambini che
giocavano felici; ora lo scivolo era consumato, aveva perso il suo colore (da rosso scuro fuoco,a un bianco
sbiadito) l'altalena aveva perso uno dei due sedili, probabilmente se lo era portato via il vento, ogni gioco
aveva un difetto. Nel paese c'era anche una chiesetta che all'esterno non sembrava una chiesa, ma una
casetta che era stata bombardata cento anni prima, i muri rovinati sembravano quelli delle civiltà antiche,
entrando dentro c'erano sei o cinque panchine, comprese quelle rovinate, il prete non c'era quasi mai
anche perché nessuno ci andava e se ci andavano delle persone erano solo delle vecchie anziane.
La scuola non c'era ed era brutto non vedere nessun bambino. Questo paese non aveva un nome e molti lo
chiamavano il paese misterioso, sembrava apparentemente molto noioso ma dietro le appareze questo
posto forse nascondeva qualcosa.
Il prete che celebrava la messa non era quasi mai presente nella piccola chiesa, Si vedeva di sfuggita,
abbassava sempre gli occhi, come se avesse paura delle persone, sembrava che venisse da un altro pianeta
sconosciuto. Aveva 70 anni, era alto un metro e settantacinque, il suo viso era ovale e un po' rotondo, i
capelli grigi lo facevano apparire ancora più vecchio e non si vedeva mai un capello muoversi, sembrava che
avesse messo l'attack ai capelli; gli occhi marroni che non aiutavano a capire se fosse felice perchè non ti
dicevano e non ti trasmettevano un bel niente; la bocca lunga e sottile di un rosa chiaro, il naso a patata, le
mani piene di rughe, con una pelle che sembrava secchissima, aveva piedi non troppo grandi e calzava il
numero 41, d'estate indossava dei sandali fuori moda e d'inverno delle bugatti stringate, indossava sempre
la stessa tunica, lunga e nera ed era robusto.
Lui, il prete, era a pregare, in quella chiesetta silenziosa, non si sentiva una mosca. Fino a quando si sentì un
passo poi due ed alla fine entrò un vecchio signore che dalla faccia sembrava ubriaco. Lui disse che volle
battezzarsi ma il prete disse che era ormai era anziano e che non aveva fatto gli altri sacramenti, allora il
vecchio perse la testa e diventò rosso come il fuoco e dalle sue grandi tasche prese una bottiglia di vetro di
birra e alzando la mano la tirò di improvviso al prete. Il prete cadde e il vecchio fece due passi indietro, il
prete alzò il gomito, non era del tutto morto, l'anziano lanciò un colpo di pistola e la vita del prete finì.
Subito il vecchio prese il sacco della spazzatura e mise il suo corpo dentro, avvolgendolo e scavò una grande
buca in un giardino, lo buttò e richiuse la buca con la terra.
La signore Elisa si affacciava sempre a la sua finestra,e il suo cane che era un pastore tedesco abbaiava
sempre e faceva molto rumore in quella via.Soprattutto quella notte molto fredda, Rex, il suo cane,
abbaiava a più non posso, Elisa non aveva mai visto il suo cane abbaiare così forte ed era un po'
inquietante. Lei uscii e vide che Rex abbaiava stando sullo stesso posto e guardando sempre nella stessa
direzione.il cane stanco di abbaiare iniziò a scavare e la signora stava lì a vedere cosa sarebbe uscito.
Avevano trovato il corpo del prete!.
Elisa chiamò il detective del piccolo paese, quello di cui tutti si fidavano.
Era
un
uomo
tutto
d'un
pezzo.
Aveva i capelli neri,leggermente mossi,modellati con il gel, gli occhi parevano di ghiaccio, chiari e vitrei,
senza espressione, il viso era squadrato. Era alto circa un metro e novanta e aveva le spalle larghe, come un
campione di nuoto. Sulla nuca aveva sempre un cappello color vinaccia che gli copriva il volto appena
accennava a muoversi. Indossava un soprabito marrone che arrivava fino alle scarpe di pelle opaca. dentro
il taschino interno del soprabito teneva sempre una penna d'argento e un block notes che utilizzava per
scriverci appunti e sospetti per non correre il rischio di dimenticarsene. Era un uomo semplice, abitudinario
che non riusciva mai a intraprendere qualcosa di nuovo se non nel lavoro, dove metteva in gioco ogni
giorno la sua vita...
Jack era appena arrivato e aveva appena concluso un suo impegno,fino a quando improvvisamente
sfiorando il cellulare squillò,la sua suoneria era molto musicale.
E con la fretta che aveva rispose senza pensarci due volte...
Sei Jack! sei Jack! -urlo con una voce molto forte e veloceSì sono proprio io! di cosa ha bisogno?-rispose l'investigatore con preoccupazione e sapendo già che si
trattava di una cosa molto graveE’ successo...è successo così d'improvviso e non riesco neanche a parlare-Elisa si era seduta sul suo divano
per non svenireHo tutto il tempo che vuole ma intanto fa un bel respiro e cerchi di raccontarmelo in modo sintetico...-disse
Jack
facendo
anche
lui
un
sospiroAllora, ero nel cuore della notte, mi svegliai dal baccano che faceva il mio cane, e allora io uscii e vidi Rex
iniziare a scavare....e poi, abbiamo trovato un cadavere. Ecco ora si trova proprio nel mio giardino, e dalla
paura non ho nemmeno dato uno sguardo!
Ok signora! mi sembra un caso molto difficile e ci vorrà un po' di tempo. Arriverò il prima possibile...-disse
con stanchezza.
Prese la sua macchina e si diresse velocemente alla villetta di Elisa.
La signora era terrorizzata e nel suo grande giardino, intorno c'erano delle persone che dicevano che forse
conoscevano la vittima. Certi dicevano che era il fruttivendolo che si vedeva alla mattina isolato; ma la
maggior parte riconoscendolo dalla tunica dissero che era il prete Giuseppe.
Allora Jack chiese se per favore tutta la gente poteva andare, in modo da poter raccogliere alcuni indizi. Era
evidente che si trattava di un prete, si vedeva soprattutto da come era vestito e dalla collana con la croce.
Vide i tagli e disse: "Certo, è ovvio, è stato colpito da una bottiglia di vetro, probabilmente di birra". Poi
senza pensarci un attimo andò in chiesa , seguito da Elisa , che non capiva dove stesse andando. C'era una
grossa pozza di sangue con dei cristallini di vetro. Sospettando del barista, andò da lui, che continuava con
tutta la sua forza a negare tutto. Ad un certo punto si rese conto che forse non era lui perché trovò tre
capelli grigi, e invece il barista li aveva arancioni; allora Jack si scusò.
Fece l’esame del Dna che mostrò che era il vecchio signore pazzo da 40 anni, per via di molti traumi, lo
conoscevano tutti perché era molto pericoloso e nessuno aveva coraggio di rivolgergli una parola.
Però Jack si accorse che risultava anche un’,altra persona perché lo sparo della pistola proveniva da un altra
persona.
Seduto nella sua poltrona a pensare e cercare di costruire la vicenda, decise di chiamare il barista.
Buongiorno, sono Jack l'unico investigatore di questo paesino!-disse con voce bassa
A sì buongiorno - disse il barista frettoloso, perché aveva il pensiero di che cosa centrasse lui
Sa che cosa è successo due giorni fa nella villetta numero 7?-chiese al barista con una voce molto seria
Certo che lo so e non so proprio perché hanno ucciso quel povero prete, però era ora che se ne andava
perché questo paese stava diventando più noioso di quello che è -rispose il barista facendo un sospiro di
gloria.
E...cosa vuole da me?-chiese il barista con voce insicura
Allora, abbiamo trovato dei cristallini di vetro infilati nel corpo di Giuseppe, il prete, e quei cristallini
provengono da una delle tue birre che vendi - disse con voce tranquilla.
Ma io le assicuro che non centro niente! - urlò Federico, il barista
Ma abbiamo anche scovato che nel dna, non c’entri solo tu ma anche il vecchio signore ubriaco, che va
sempre nel tuo bar - disse Jack con voce decisa.
Lo conosco molto bene però non ho mai osato parlagli- replicò Federico
Allora... raccontami tutto quello che è successo due giorni fa quando il vecchio era andato nel suo bar disse interessato l'investigatore
Stranamente quel giorno era venuto solo una volta, e il vecchio fece cadere molte sedie perché camminava
a zig zag, il vecchio con voce senza ritmo, disse se poteva prendere la birra nel secondo scaffale a destra, io
la presi e gli e la dai e lui se ne andò frettoloso senza darmi nemmeno i soldi - raccontò Federico
Ok, finalmente o capito un pezzo della storia; tu non centri e c'è la tua traccia perché tu ovviamente ai
lasciato un impronta sulla birra - rispose orgoglioso il detective, contento di aver trovato un pezzo della
vicenda
So anche che negli altri giorni successivi vidi il vecchio andare in un negozio e comprò una pistola e una
frusta, però due giorni fa lo vidi solo con la pistola. Quindi se stai cercando anche la persona che sparò al
prete, era sempre lui, il vecchio - rispose lui con entusiasmo.
Ok grazie molto, quindi ho composto quasi tutto il quadro,manca l'ultimo pezzo; però ormai so tutta la
storia perché è rimasto solo il vecchio - disse con sollievo Jack.
Ringraziò Federico e finalmente chiuse la chiamata.
ack si sedette e prese il suo classico taccuino che era pieno di appunti importanti che forse potevano
permettergli di arrivare a una conclusione. Si sedette nella sua poltrona e fece il suo solito sospiro,era
stanco però non poteva arrendersi proprio all'ultima fase.
Allora dopo che ebbe analizzato e studiato bene tutti i dati decise di chiamare i tre sospettati
Suonarono al campanello e Jack aprì,ma sorprendentemente il vecchio ubriaco non c'era,volle subito in
tutti i modi andare a casa sua e chiamarlo in modo da venire nell'ufficio di Jack.Federico(il barista)disse se
poteva andare lui con la polizia a prenderlo,per fargli vedere la strada oppure se non era lì,andare nel suo
bar,siccome quei due posti erano gli unici dove andava l'ubriaco.L'investigatore senza sospetto disse subito
di sì e dopo cinque minuti arrivò subito la polizia.
Federico li condusse verso casa sua dove provarono a suonare ma non rispose, però dalla sua finestra si
vedeva il suo volto,allora aprirono la porta che stranamente era aperta.Eccolo! disse Federico,e i poliziotti
lo fermarono.
Era sdraiato per terra con il vestito del prete e con la sua collana,era circondato da una pozza di sangue e da
tanti cristallini di vetro,con una birra mezza rotta.
Si era già risolto il caso,il vecchio si era punito siccome lui era stato l'assassino di una vittima;il detective
non aveva nessun altra spiegazione,il colpevole era lui!
CHIARA MARZIALI – L’OMICIDIO DELLA DONNA IN BIANCO
Era un freddo giorno d'autunno, aveva appena piovuto abbondantemente in quel vicolo a fondo chiuso,
tanto che si erano formate grandi pozzanghere di fango.
Le fabbriche che c'erano lì, ormai erano andate in fallimento, le loro finestre erano tutte rotte a causa dei
vandali che passavano di notte lanciando sassi, e le pareti erano scrostate, tutte grigie.
Dai tombini in mezzo alla strada, qualche volta uscivano dei ratti, che facevano spaventare le poche
persone che passavano. Non erano in molti a passare di lì a causa delle cose terribili che si raccontavano
su quel vicolo...
Infatti c'era chi diceva che durante la notte degli assassini si ritrovassero lì per mettersi d'accordo su chi
uccidere, chi invece diceva che quelle fabbriche fossero infestate da fantasmi, oppure c'era chi diceva che i
ratti che uscivano dai tombini, in verità, erano spie che volevano conquistare il mondo.
Quella mattina passò per quel vicolo una limousine, che si fermò di colpo davanti ad un marciapiede. La
macchina era appena stata lavata, infatti sui finestrini ci si poteva specchiare.
Da quella macchina uscì una signora tutta vestita di bianco, con un cappello molto grande e con una borsa
firmata. Dentro alla borsa c'era un volpino tutto bianco, da tutto questo si poteva capire che era una
signora a cui piaceva il bianco.
La limousine se ne andò e lei si sedette accarezzando un po' il suo cagnolino. Si tolse il cappello, i suoi
capelli erano bruni, con le punte dei capelli biondi, anche quelli erano appena stati lavati.
Incominciò a parlare con il suo cagnolino, e dal suo tono di voce si poteva capire il suo carattere: arrogante,
maleducato, viziato e antipatico.
Quella signora smise di parlare con il cagnolino, e un'ombra le si avvicinò di soppiatto.
Lei vide l'ombra e disse che lì non c'era più abbastanza posto per riposarsi con la sua cagnolina, allora prese
il suo cagnolino e andò verso l'uscita del vicolo, e l'ombra si sedette dov'era lei prima.
La signora si girò per vedere dov'era andata l'ombra, e vide che era seduta, subito dopo qualcuno la chiamò
al telefono, allora uscì dal vicolo parlando al telefono, ma appena si rigirò per vedere se era ancora là
seduto, vide che non c'era, e si ritrovò l'ombra davanti. Al telefono disse:" ti richiamo più tardi...", e mise il
cellulare nella borsa. Dopodiché chiese all'ombra cosa voleva da lei e dal suo cagnolino. Lui tirò fuori una
pistola dalla tasca, e la signora si spaventò e corse per cercare qualcuno che la potesse aiutare, ma in quel
vicolo non c'era nessuno.
Poi, un colpo di pistola la fece cadere in una pozza di sangue, facendole cadere la borsa con dentro il
cagnolino, per terra. L'assassino prese il cagnolino che stava piangendo, e lo lasciò davanti ad una casa che
subito lo portò in casa per curarlo.
L'assassino scappò, lasciando la signora lì, per terra, con il suo vestito bianco ormai sporco di sangue.
La polizia, dopo più o meno un'ora, passò di lì per controllare che fosse tutto apposto, e vide un corpo per
terra, e decise di condurre l'indagine.
Il marito della vittima, non soddisfatto delle indagini condotte dalla polizia, assunse un detective: Robert
Fiumara, un detective alto e robusto.
I suoi occhi erano marroni come l'ebano, e i suoi capelli erano ricci e biondi, non troppo lunghi. Indossava
sempre un cappello, alcuni dicevano che lo indossava per proteggere il suo grande cervello, infatti era
molto abile a trovare gli indizi e a formulare ipotesi.
Era anche giovane, molto altruista, infatti i colori che regnavano nel suo ufficio erano il viola e il giallo, la
sua scrivania era disordinata e piena di fogli con sopra tanti calcoli, perché gli piaceva risolvere problemi
matematici che si inventava personalmente.
Il marito, guardando in quel vicolo sua moglie per terra, chiamò l'investigatore Robert Fiumara.
Robert alzò la cornetta, e con sicurezza disse:- pronto-salve, sono nel vicolo De Carli, c'è stato un omicidio. Hanno ucciso mia moglie- rispose l'uomo.
In sottofondo, si sentivano alcuni cani che abbaiavano, e alcune voci della gente che era corsa sul posto.
-senta, stia calmo. Come si chiama lei?-io? Bhe, io mi chiamo...Stuart Send e sono il marito della vittima!-si, me lo aveva già detto...sto arrivando- rispose l'investigatore, prendendo un taccuino.
Robert giunse sul posto, e senza perdere tempo incominciò a indagare.
Vicino al corpo trovò un bossolo, così riuscirono a capire di che arma si trattasse.
Continuò a guardare per un po' la vittima, e prese la sua borsa, con dentro il suo cellulare e il suo
portafoglio. Robert scoprì che si chiamava Debora Salini, una tra le donne più ricche del paese. Scrutò a
lungo il suo cellulare, ma non vide nessun messaggio sospetto. Andò nella rubrica del telefono, e vide che la
sua ultima chiamata era da parte della sua migliore amica, che si chiamava Valentina Sellini, da lei chiamata
Sally.
Robert scrisse sul suo taccuino questo nome, ma appena alzò lo sguardo, vide che Stuart stava chiamando
qualcuno, allora si diresse verso di lui e gli chiese: "chiama qualcuno?", e Stuart rispose che stava
chiamando il suo autista, che aveva accompagnato lì la vittima, ma in quel momento era introvabile. Robert
disse: "per caso sa come si chiama?" e Stuart: "certo, Michael Whirpool".
Robert scrisse questo nome sul suo taccuino, e tornando a casa, chiamò il capo della polizia, un suo grande
amico, e gli chiese di aiutarlo a trovare il numero di telefono di Michael, perché quello di Valentina lo aveva
già recuperato grazie al cellulare di Debora.
Robert entrò nel suo studio e controllò le e-mail che aveva ricevuto, e vide una e-mail dal capo della polizia,
la aprì e vide il numero di Michael.
Lo chiamò nel suo studio: "Salve sono l'investigatore Robert Fiumara, venga nel mio studio al più presto
grazie" e Michael rispose:" arrivo". Michael arrivò da Robert, e gli chiese cosa era successo, e l'investigatore
gli spiegò tutto. Michael rimase sorpreso, e disse: "Io avevo accompagnato la signorina Debora fino a lì, poi
dato che ero fuori servizio a quell'ora sono tornato a casa".
"Se era fuori servizio, perché ha accompagnato la signorina Debora in quel luogo?" chiese Robert. "Mi
perdoni ma devo andare, arrivederci" disse Michael prendendo la sua borsa a tracolla.
Robert chiamò Valentina, l'amica della vittima. Essa arrivò subito, e appena entrata disse: "cosa succede?"
Robert le spiegò tutto, e le chiese dov'era stata il giorno prima, prima dell'omicidio, e lei disse: "ero in un
centro commerciale." "Qualcuno lo può provare?" chiese Robert. "No...non mi hanno dato lo scontrino",
Robert ringraziò Valentina per essere venuta, e scrisse qualcosa sul suo taccuino.
Per ultimo chiamò suo marito Stuart, che arrivò però dopo 30 minuti. Appena arrivato si sedette e disse:
"deve farmi qualche domanda?", "si, esatto. Dov'era lei ieri, prima dell'omicidio?" "ero a casa mia, stavo
preparando la tavola per quando Debora sarebbe tornata" disse Stuart. "E perché proprio in quel giorno le
preparò la tavola?" chiese Robert. "Prima non la preparavo perché tra me e Debora era tutto apposto".
"Come scusi?", chiese Robert, "il giorno prima avevamo discusso perché diceva che non facevo mai nessun
mestiere in casa." Robert ringraziò Stuart, e di nuovo scrisse sul suo taccuino un po' rovinato.
Robert si coricò nel letto, ma non chiuse occhio. Pensava agli indizi che aveva raccolto, poi prese un libro e
lesse 37 pagine di esso. Quel libro parlava di un crimine, simile a quello a cui stava lavorando, e appena
ebbe finito il terzo capitolo, capì tutto.
La mattina seguente chiamò i tre sospettati nel suo ufficio e disse: "per favore sedetevi". Loro si sedettero,
e Michael disse che doveva scappare, quindi se poteva fare in fretta. Robert gli disse: "vedo che è un uomo
impegnato", Michael annuì. Robert disse: "però so che non è stato lei a uccidere la signorina Debora. I suoi
vicini di casa mi hanno confermato che era tornato a casa sua, e che da lì non era più uscito". "Esatto,
proprio così" disse Michael.
"Non è stato neanche lei, Stuart, nonostante mi abbia detto una bugia...non aveva preparato la tavola per
sua moglie, al contrario, era con la sua migliore amica, la signorina Valentina qui presente" disse
l'investigatore. Stuart disse che era proprio così, ma in quel momento si pentiva di aver tradito
Debora nonostante il suo carattere.
A quel punto Valentina disse: "e così ti sei pentito di stare con me?". "Per favore non è il momento" disse
Stuart, mentre diventava tutto rosso. "Invece è il momento" disse Robert, " signorina Valentina, ho chiesto
ad ogni commesso che lavora nel centro commerciale se era andata lì, e nessuno l'ha vista, infatti ha ucciso
lei la signorina Debora, e le spiegherò anche il perché! Lei voleva toglierla di mezzo per tenere Stuart tutto
per sé, ma non si stava accorgendo di quello che faceva".
Stuart chiamò la polizia, che arrivò subito e arrestò Valentina, che mentre veniva arrestata urlava a Stuart;
"traditore che non sei altro!" piena di rabbia.
Robert, soddisfatto del suo lavoro disse: "questo caso si può definire risolto" lanciando il suo taccuino in
aria.
MAHDI AMBARI – L’OMICIDIO NEI CARAIBI
Era passata la mezzanotte a Trinidad, un'isola dei Caraibi. Sulla spiaggia c'erano capanne e degli uomini e
delle donne vestite in modo bizzarro che stavano per cominciare i propri riti. Dietro la spiaggia c'erano
molti boschi: la vegetazione cresceva di anno in anno ed era sempre più folta. Sulla sabbia c'erano molte
impronte, l'acqua era piena di squali e pesci di vari colori.
I chioschi erano addobbati con delle collane fatte di fiori, che ricordavano quelle hawaiiane. Sulle palme
non c'erano molti frutti, si poteva dedurre che essi venivano consumati velocemente durante la giornata.
Le foglie di palma, invece, erano state utilizzate in grandi quantità per fare le case degli abitanti, i chioschi e
gli ombrelloni.
I tronchi erano stati utilizzati per costruire le imbarcazioni che gli abitanti del luogo usavano per pescare,
venivano anche utilizzati per fare i tavoli e le sedie che servivano per ospitare i turisti, i nuovi cittadini o i
cittadini stessi. Con i tronchi degli alberi robusti erano state costruite anche le armi per cacciare nella folta
vegetazione piena di serpenti, iguane e altri animali... I Caraibi a prima vista sembrano una regione calma,
ma c'è sempre stato qualcosa di strano su quelle isole.
Il giorno dopo per quei chioschi passava un signore di alta statura, era magro, aveva un viso liscio e paffuto
come le guance di un neonato e aveva i capelli corti, lisci, e castani con gli occhi neri. Si capiva che era
imbarazzato perché il suo viso era diventato rosso e aveva gli occhi abbassati come se stesse contando i
suoi passi.
Aveva il naso intasato, a patata e piccolo e un piercing luccicava dall'orecchio destro. Aveva la bocca
allungata, le labbra screpolate e carnose. l'abbigliamento non era casual come tutte le persone che stavano
intorno a lui, ma, pur non essendo del posto, cercava di confondersi nella comunità. Indossava delle
infradito di color rosso chiaro.
Sembrava calmo e generoso. Seduto su di una delle sedie fatte in legno prese un cocktail con pompelmo
rosso e un spicchio d'arancia. I suoi gusti erano molto condizionati dai colori estivi per cui scelse il rosso e
l'arancione. Si comportava in modo strano con gli altri perché li guardava con attenzione. A un certo punto
il suo sguardo si spostò su un barista che stava preparando quelle bibite. I suoi comportamenti non erano
malvagi ma capii che c'era qualcosa di strano.
La sera, alle hawaii, giunti quasi alla fine della festa si iniziò il rito di ringraziamento agli dei per quello che
gli avevano fatto. Poco dopo la fine della cerimonia un hawaiiano andò a dormire velocemente perché
aveva molto sonno ed era stanco, una persona di nascosto andò dietro la sua capanna dopo aver visto
entrare il giovane. La persona entrò in casa, con uno sparo ravvicinato di pistola al cuore lo uccise e con un
colpo del fondo dell'arma da fuoco lo finì. Spaventato scaraventò la pistola a terra, tolse i guanti, li mise in
tasca e scappò via.
Il giorno seguente il corpo della vittima è stato ritrovato da una signora che per caso si trovò lì avvisando la
polizia. Loro decisero di passare il caso ad un detective molto bravo, il suo nome era Robert Pattinson,
un'uomo furbo e astuto che riesce sempre con gran facilità a risolvere i casi a cui gli vengono assegnati.
Robert era un'uomo di media statura, era gentile e simpatico, amava ricevere belle notizie e casi difficili da
risolvere come un SUDOKU esperto. Aveva un neo all'altezza dell''orecchio. Aveva un'aiutante che in realtà
era suo fratello gemello Michael Pattinson (che nessuno sapeva), i due abitavano in una villetta vicino ad
un'hotel, il più grande del vicinato .
Nel seminterrato della villetta schiera i due gemelli avevano il proprio studio, la parte assegnata a Michael
era disordinata invece la parte di Robert era tutta in ordine, il braccio destro di Robert cercava sempre di
tenere tutto in ordine ma ormai aveva preso l'abitudine e quindi l'altro fratello doveva stargli sempre dietro
almeno ogni cosa che lasciava in disordine c'era sempre Robert che gli diceva di mettere a posto.
Subito dopo la telefonata i due gemelli investigatori si recarono sul posto del delitto, la signora Brown
spaventata parlava ad interruzioni, quindi l'investigatore Michael la calmò. Dopo un po' di tempo gli
investigatori e la signora Brown trovarono accanto al corpo dell'uomo, dei capelli della zia del figlio Charlie
che misero in una busta di plastica trasparente, Robert chiese alla signora Brown che relazione aveva con la
vittima la suocera, lei gli rispose che non avevano tanto da dirsi o a parlare.
La signora Brown aveva dei figli a cui badare e quindi per motivi famigliari andò a casa, poi i due gemelli
trovarono delle impronte della signora Brown sul corpo dell'uomo, pensarono che loro due avevano tante
cose da dirsi essendo vicini di casa, quindi subito dopo presero dello scotch e lo incollarono sulle impronte
che si tolsero insieme a esso. Le impronte attaccate allo scotch le misero in un sacchetto di plastica più
piccolo, infine trovarono la catenella di compleanno del figlio Charlie.
Disse che adesso avevano i sospetti che cercavano: la zia di Charlie Emma, La signora Brown e il figlio
Charlie.
Gli investigatori Robert e Michael Pattinson si ritrovarono davanti al proprio studio alle 6:12, molto presto
come sempre e con aria addormentata i due entrarono e dopo essersi seduti incominciarono a pensare a
chi fosse l'assassino della vittima John. Robert andò a casa della signorina Brown per un interrogatorio,
arrivato a casa suonò il campanello luccicante, insieme a lui portò anche il suo blocknotes per prendersi gli
appunti importanti, quando la signora Brown aprì la porta i due si salutarono e la prima cosa che fece fu
guardarsi intorno, la seconda cosa che fece subito dopo fu far entrare senza farsi sentire il signor Pattinson
il più velocemente possibile.
-"Dove era la notte del 24 luglio signora Brown?"- disse con voce cupa.
-"Mi trovavo alla festa organizzata vicino all'hotel."- rispose senza quasi facendosi sentire.
-"Si confidava molto con lui?"- domandò quasi urlandolo.
-"Si, parlavo molto con lui"-, e iniziò a piangere.
Dopo aver ringraziato la signora Brown per la sua ospitalità e con le idee rinfrescate Robert ritornò nel suo
studio per rielaborare le sue ipotesi, invece Michael ricevette nel suo studio il figlio della vittima Charlie e
anche lui prese qualche appunto. Tornato nel suo studio, insieme attaccarono tutte le loro ipotesi sulla
bacheca e poi tornarono a casa.
Il giorno dopo i due gemelli investigatori tornarono nel proprio studio e dissero che mancava solo una
persona all'appello degli interrogatori: la zia di Charlie Emma, e quindi mentre sul luogo del delitto ci furono
ancora le forze dell'ordine, i due fratelli si recarono sul posto dell'omicidio e chiamarono anche la zia Emma
dicendole di venire davanti alla casa del cognato John.
Quando Emma capì che si trattava dell'assassinio del cognato scoppiò a piangere, dopo essersi calmata
michael e Robert le fecero un po' di domande sulla vittima.
-"Che rapporto aveva con lui?"- iniziò l'investigatore.
_"Non ci incontravamo quasi mai perché io vivo lontano da qui, per quello che ci vediamo una o due volte
ogni tre mesi."Dopo aver conversato per un bel po' la signora Emma andò a casa, invece i due fratelli tornarono a casa per
riposarsi e Robert pensò di aver un'ipotesi, forse l'ultima come quello di un puzzle irrisolto.
Il giorno dopo i due fratelli investigatori si ritrovarono davanti al proprio studio per riflettere su chi potesse
aver ucciso la vittima John, i tre sospettati avevano tutti degli alibi di ferro, quindi sarebbe stato difficile
capire chi avesse ucciso il papà di Charlie. Passata un'ora i due capirono chi era stato l'omicida e quindi
invitarono nel proprio studio i tre sospettati per informarli su chi poteva stare tranquillo e calmarsi e su chi
doveva preoccuparsi per il suo futuro, dopo una mezz'oretta entrarono tutti e tre e Michael diede loro un
tè caldo per rilassarsi un po'.
"Bene, forse sapete già perché vi abbiamo invitati qui nel mio ufficio?" chiese il signor Robert.
"Si!" risposero tutti e tre in coro.
"Adesso vi dirò in base agli indizi che abbiamo raccolto chi secondo noi ha ucciso John e la risposta è la zia
di Charlie, Emma!" disse soddisfatto Michael.
"Non è vero non sono stata io perché sono sua cognata!" ribatté Emma quasi urlando.
"Abbiamo capito che sei stata tu ad ucciderlo perché quando mi hai fatto entrare di nascosto a casa tua, ho
pensato che mi stessi nascondendo qualcosa come l'arma del delitto una pistola calibro 50 e una bottiglia
del sangue di John con scritto da buttare che tenevi nascosti nel cassetto in basso a destra della cucina, una
mossa molto astuta ma dovevi fare molto di più per non farmi accorgere ." disse convinto il signor Robert.
"Come hai fatto a saperlo che li avevo nascosti lì?" disse tutta pallida la zia di Charlie.
"Quando avevi fatto entrare il mio socio avevi per sbaglio lasciato il cassetto aperto e da quel momento
avevamo capito che eri tu ad aver ucciso il povero padre indifeso del ragazzo Charlie." disse felice Michael.
"No, mi avete incastrato." disse dispiaciuta e arrabbiata l'assassina.
"Perché l'hai fatto?" domandò il piccolo Charlie. Lei non volle rispondere quindi mentre la portavano in
tribunale per decidere quale pena farle scontare, tutti tornarono a casa. Michael e Robert bevevano un
caffè e visto che come sempre risolvettero il caso con una facilità sbalorditiva ridevano e scherzavano
tornando a casa.
LA RAGAZZA DAI CAPELLI CORVINI – DALILA
Era inverno. Forse uno tra i più freddi che si siano verificati in questi anni; io e la mia famiglia arrivammo in
un piccolo paese in provincia di Aosta per trascorrere le vacanza invernali.
Arrivammo a tarda sera, così potemmo ammirare un tramonto di color viola, che si appoggiava
sull'orizzonte; davanti ad esso riuscimmo ad ammirare degli alberi verdi con sfumature tendenti al viola e al
nero.Essi vennero preceduti da colline innevate, tendenti al rosa, poste intorno al paese.
In mezzo a questo paesaggio vidimo cipressi e abeti sparsi qua e là con colori chiari.
Le case furono addossate l'une alle altre, esse sembrarono piccole scatole dorate, le porte erano scure;
mentre le finestre erano molto piccole e quadrate di color nero.
Nel frattempo potemmo sentire le famiglie che si scambiavano parole all'interno delle loro abitazioni, e
contemporaneamente sentimmo l'odore dei cipressi e delle leccornie che le varie famiglie ebbero
preparato per cena.
Alla fine dopo aver contemplato tutto il paesaggio, mi accorsi che posta avanti a noi c'era una ragazza
che camminava lenta, con un'aria preoccupata e strana, che mi portò a pensare che in quelle due settimane
di permanenza non mi sarei mai annoiata.
La ragazza si portò le mani dietro la schiena, le dita intrecciate tra loro.
Inclinò il capo di lato e continuò a rimanere in religioso silenzio, senza distogliere lo sguardo attento per un
solo attimo.
Le iridi nere avevano un'aria cupa, fredda, a tratti forse stanca.
I capelli erano avvolti in una coda di cavallo, anch'essi corvini come gli occhi, e solo qualche ciuffo sfuggiva
all'elastico, andando a incorniciare con morbidezza una parte del suo viso.
Le sue labbra erano piccole e rosee, le guance leggermente arrossate a causa del freddo, così come la punta
del naso, rendendola quasi buffa a guardarla.
La corporatura era minuta, non sembrava possedere una particolare forza fisica, anzi, tutto il contrario,
appariva molto fragile.
La ragazza dai capelli neri iniziò a correre su per le scale inciampando numerose volte.
Dopo essersi seduta a guardarsi un film sul divano, si spensero le luci lasciando la casa nella totale oscurità
e la ragazza impaurita.
La giovane dopo aver sentito la porta aprirsi e chiudersi con un cigolio inquietante, rimase pietrificata
seduta sul divano e a un certo punto sentì una voce che gli sussurrava all'orecchio "Ciao" e il suo cuore
inizio a battere molto forte, subito dopo aver ascoltato,d'istinto la ragazza si mise a correre sbattendo
prima le gambe contro il tavolino che si trovava tra la cucina e il salotto, successivamente sbatté contro la
porta della cucina e subito dopo sbatté contro il comodino su cui posava il suo telefono, purtroppo la
giovane non riuscì ad arrivare al telefono, infatti, prima che potesse farlo, si conficcò in testa una
pallottola, uccidendola sul colpo.
L'assassino dopo aver commesso il delitto lasciò la casa in fretta e furia facendo cadere la pistola.
Il commissario Jack Hoston, mentre era immerso nelle sue scartoffie, ricevette una chiamata anonima.
"Parlo con il commissario Hoston?", chiese la voce all'altro capo del telefono per assicurarsi che stesse
parlando proprio con lui.
"Sì, sono io, mi dica", rispose.
"Ho sentito uno sparo! Anzi, non ne sono davvero sicuro, ma è molto probabile!", la voce era spaventata e
tremante.
"Le chiedo di calmarsi, per favore. Dove ha sentito questo sparo?"
"Mi trovo in via dei Gigli, signore! Credo che lo sparo sia venuto dall'abitazione al numero civico 3"
"Perfetto, sarò presto lì. Il suo nome è...?" chiese, ma non ricevette alcuna risposta. Subito dopo la
domanda, infatti, la persona aveva attaccato.
Jack Hoston una volta arrivato sul luogo del delitto fece un sopralluogo e prestando molta attenzione notò
che, nascosta in un angolino dietro il mobile su cui posava il telefono, c'era una pistola calibro 7, così senza
perdere tempo indossò dei guanti sterilizzati e raccolse l'arma, successivamente la consegnò alla polizia
scientifica che la esaminò; purtroppo l'analisi non diede nessun risultato.
Dopo una mezz'oretta per caso trovò appoggiato sul tavolino del salotto un diario, in seguito dopo aver
indossato altri guanti lo aprì e da li poté scoprire che nella vita privata della ragazza c'erano tre persone
che non avevano buoni rapporti con la vittima il suo ex Giacomo, la macellaia Mariella e la vecchietta
scorbutica Ginevra; così dopo averli intercettati li sottopose a un interrogatorio, anche esso senza risultati.
Per tale motivo fu costretto a chiedere informazioni al vicinato.
Bussando di porta in porta, dopo una decina di persone arrivò una svolta: la vicina Orietta di 67 anni disse
che di solito vedeva per le strade la ragazza insieme a un ragazzo di media corporatura, alto e molto forzuto
e a quanto pare sembrava un tipo che si ingelosiva molto spesso, anche perché la ragazza attirava
l'attenzione di molti uomini. Jack colse l'occasione e chiese alla signora se conoscesse le altre due persone,
ma purtroppo non aveva la minima idea di chi fossero Ginevra o Mariella.
Successivamente alla ventunesima porta incontrò un uomo di circa 45 anni, Hoston pose la stessa domanda
che fece a tutto il vicinato per l'ennesima volta e siccome la casa del quarantacinquenne era l'ultima sperò
avesse le risposte alle sue domande.
L'uomo con voce molto sicura rispose a tutte le domande e raccontò il problema che la ragazza dai capelli
corvini aveva con Ginevra e Mariella.
Il problema che aveva con la macellaia era cresciuto perché la corvina era vegetariana e faceva il possibile
per invogliare la gente a non acquistare da lei e fin dalla morte della ragazza i suoi profitti non andavano
bene infatti fu minacciata dalla banca di essere sfrattata.
Mentre con Ginevra era cresciuto solo perché la giovane si doveva sposare il figlio di lei ma per un cambio
di programma lo aveva abbandonato all'altare.
Dopo aver segnalato i tre sospettati Jack inviò ad essi una lettera su cui c'era scritto il luogo in cui si
dovevano far trovare, il numero della stanza in cui sarebbe avvenuto l'interrogatorio e la data nella quale si
dovevano presentare per essere sottoposti all'interrogatorio.
Il giorno che Houston aveva stabilito per l'inchiesta si rivelò un fallimento perché nessuno dei tre individui
diede risposte utili per risalire all'omicida.
Alle 9:54 si presentò all'ufficio di polizia Giacomo l'ex della dama purtroppo scomparsa.
Come prima cosa Jack mise a suo agio il sospettato per far uscire naturalmente le risposte alle domande
che gli avrebbe posto, dopo di che iniziò con la prima domanda:
- <Dove si trovava tra le 19.07 e le 19.57?> chiese l'inquirente
- l'accusato rispose < di solito a quell'ora mi trovo a lavoro >
- Jack ricambò e gli chiese < che rapporto aveva con la corvina? >
-Giacomo rispose < il rapporto tra me e la ragazza era normale, come qualsiasi rapporto tra una coppia >
-l'investigatore per porre fine all'interrogatorio fece un'ultima domanda < era molto geloso della sua
dama?>
-l'uomo rispose < la gelosia che provavo nei suoi confronti era giusta, la stessa che tutti i ragazzi provano
nei confronti delle loro donne>
Alla fine mandò via l'uomo e si scrisse qualche appunto sull'agenda.
Verso l'una e trentasei ebbe un colloquio con la macellaia Mariella:
L'inchiesta iniziò con una domanda che l'investigatore fece in modo diretto < aveva qualche problema con
la ragazza?>
La donna replicò mentendo < no, non c'era nessun problema >
Jack proseguì inquieto < dove si trovava tra le 19.07 e le 19.57? >
La signora avendo qualche timore per la voce grossa del poliziotto disse intimorita < in quell'ora mi trovavo
a casa di mia cognata per cena >
Jack Hoston notando l'insicurezza della signora pose fino all'interrogatorio con dieci parole:
SI TENGA PRONTA IN QUALSIASI MOMENTO PER UN EVENTUALE INTERROGATORIO.
Nel tardo pomeriggio ricevette Ginevra, la scorbutica vecchietta sempre irritata da qualcosa.
Hoston chiese pure a lei: < dove si trovava tra le 19.07 le 19.57? >
Scorbuticamente la donna rispose < mi trovavo nel centro della città >
Jack chiese < per quale motivo è arrabbiata >
Senza aspettare un secondo disse < ci sono molte cose e molti comportamenti che mi irritano >
Come sempre fece l'ultima domanda < aveva dei problemi con la ragazza dai capelli corvino? >
La zitella contrattaccò e disse < no, non avevo nessun problema con la ragazza, l'unico problema che avevo
riguardava il suo ragazzo che aveva abbandonato all'altare la mia nipotina >
Alla fine delle inchieste chiuse l'ufficio e tornò a casa con la testa tra mille pensieri.
Il giorno seguente Jack ritornò nel suo ufficio e nella più totale confusione riprese i documenti riguardanti
l'omicidio per il quale stava cercando una soluzione.
Rimase rinchiuso cinque ore nella sua agenzia prima di arrivare a una conclusione.
Arrivò nel suo ufficio alle 5.30 di mattina, prese in mano la scheda riguardante l'interrogatorio posto
a Giacomo, e dopo un'ora affermò che l'ex della persona scomparsa non aveva niente a che fare con la
storia dell'omicidio. Hoston pensò che la gelosia non potesse essere un motivo valido per arrivare ad
uccidere.
Così gli rimasero solo due sospettate.
Verso le 6.30 prese le due schede riguardanti Ginevra e Mariella e iniziò a pensare a entrambi i casi
contemporaneamente, tenendo conto anche dei loro comportamenti e del modo in cui rispondevano.
Verso le 10.30 arrivò a una conclusione, e scoprì che ad uccidere la ragazza corvina era stata una
collaborazione tra la zitella e la macellaia.
Le donne erano arrabbiate entrambe con lei a causa della sua bellezza, che portò il fidanzato della nipote
della zitella a lasciarla all'altare e a causa della sua campagna che invitava le persone a diventare
vegetariani e convinceva le persone a non comprare la carne di poveri animali morti ingiustamente, questo
portava sempre più gente a non acquistare nel suo negozio.
Alle 11.00 vennero arrestate le due collaboratrici, dopo un lungo processo durato due ore, esso finì con
l'ammissione delle colpevoli di aver ucciso la povera.
Dopo di esso l'investigatore poté andare alle Hawaii circondato da cocktail rinfrescanti e relax.