Sorriso smagliante
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Sorriso smagliante
ODONTOSTOMATOLOGIA Sorriso smagliante Appunti di odontostomatologia Con la gentile collaborazione del gruppo sbobina di Odontostomatologia: Cibarelli Francesca D’Aniello Roberta Granozio Giovanni Saraceno Federica 1 ODONTOSTOMATOLOGIA ANATOMIA DEL DENTE E DEL PARADONTO Le funzioni principali dei denti sono: - Triturazione degli alimenti, al fine di facilitarne il successivo processo digestivo; Articolazione della parola, basti pensare che i denti sono i responsabili della produzione dei suoni delle consonanti dette “dentali”; Mantenimento dell’estetica facciale. L’elemento dentario è composto da una corona dentaria e da radici. Il punto di passaggio tra corona e radice viene detto colletto. Sia la corona che le radici sono costituite da tessuti diversi. Classicamente la corona è composta: - nella sua parte più esterna dallo smalto; nello strato sottostante dalla dentina; in profondità dalla cavità pulpare e dall’asse vascolo-nervoso. La caratteristica peculiare dell’elemento dentario è rappresentata dalla possibilità di essere sostituito mediante un elemento implantare: da ormai 40 anni abbiamo infatti a disposizione una struttura protesica, un impianto di metallo (titanio) che può essere inserito nell’osso (osteointegrazione), e che opportunamente ricostruito, protesizzato, è in grado di vicariare l’elemento dentario. L’impianto è stato sviluppato in modo da poter essere il più simile possibile al dente, e infatti soffre anche delle stesse malattie di cui può soffrire il dente: non può soffrire di carie (essendo una struttura sintetica), ma soffre di malattia peri-implantare, che è l’omologo della malattia parodontale. L’abbiamo accennato ora per sottolineare che la peculiarità di questo sistema è appunto la connessione tra un “esterno” e un “interno”. Per “esterno” noi intendiamo la cavità orale, che è un ambiente settico fin dalla nascita; per “interno” intendiamo il sistema di supporto delle radici (o un sistema impiantare ad osteointegrazione in caso di sostituzione mediante un impianto) in cui ci deve essere assoluta assenza di batteri. 2 ODONTOSTOMATOLOGIA Pertanto ci deve essere un sistema di attacco molto efficace in grado di bloccare questi batteri, interrompendo questa continuità tra i due elementi. Le radici sono contenute in una cavità ossea detta alveolo e fissate a questa tramite il legamento alveolo dentario che va dal cemento alla parete interna dell’alveolo o cortex alveolaris. La radice è composta da: - cemento radicolare; - dentina radicolare; - asse neuro-vascolare. Il cemento è una sostanza molto simile all’osso, ma con una differenza fondamentale: non è un tessuto cambiale (che cambia continuamente, come l’osso). Nell’interfaccia di mantenimento, quindi, è presente da un lato un tessuto osseo, tessuto cambiale (in particolare l’osso alveolare della mandibola e del mascellare superiore), e dall’altro lato il cemento, tessuto non cambiale. Nell’interfaccia tra i due è presente il legamento parodontale, o legamento alveolodentario (a livello dell’articolazione alveolo-dentaria, o gonfosi). Il colore della corona è bianco-azzurro nei decidui e di un bianco tendente al giallo nei permanenti. Questa coloritura è dovuta all’usura dello smalto e per aumentata mineralizzazione della dentina. In condizioni fisiologiche, il margine della gengiva è situato all’altezza del colletto dentario. Tuttavia, vi sono delle condizioni patologiche, in cui si parla di: - gengiva ipertrofica, quando il colletto è posto più in basso; gengiva in recessione quando il colletto è posto più in alto. Per corona clinica intendiamo quella parte della struttura dentaria posta al di sopra del margine gengivale in recessione. Le radici possono essere mono o pluriradicolari e hanno una forma diversa, caratteristica propria degli elementi dentari. Il cavo pulpare si estende dalla corona all’estremità apicale della radice dove la polpa si continua attraverso il formane apicale, col fascio vascolonervoso del dente. Il cavo pulpare è delimitato dalla dentina. La dentina è presente sia nella corona, dove è rivestita dallo smalto, sia nella radice, dove è rivestita da cemento. Il cavo pulpare si divide in camera pulpare a livello della corona e in canale radicolare a livello delle radici. Il legamento parodontale ha varie funzioni: - innanzitutto come gli altri legamenti esso ha la funzione di mantenere bene il dente nella sua sede; è inoltre un ammortizzatore, poiché serve a disperdere funzionalmente le forze occlusali (le sue fibre sono tutte disposte radialmente alle strutture radicolari quindi permette di assorbire le forze e ridistribuirle in modo più omogeneo su tutta la superficie ossea). 3 ODONTOSTOMATOLOGIA Questi due elementi non sono quelli fondamentali, come dimostra l’implantologia. Gli impianti, infatti, non hanno il legamento parodontale ma non soffrono della mancanza di queste due caratteristiche. Grazie all’osteointegrazione, infatti, si viene a creare un legame biochimico tra la superficie ossea e il biossido di titanio della superficie impiantare che riesce perfettamente a mantenere il dente in sede, nonostante l’assenza del legamento parodontale. Inoltre anche senza il sistema di ammortizzazione del legamento parodontale gli impianti funzionano perfettamente (studi ci dicono che la sopravvivenza dell’impianto a 10 anni arriva anche al 92 – 94 %). La funzione fondamentale del legamento parodontale, invece, sta nel fatto di “separare” le due strutture, quella cambiale dell’osso e quella non cambiale del cemento. In assenza di questa separazione infatti gli osteoclasti dell’osso riassorbono anche il cemento, e non esistendo più (dopo l’embriogenesi) i cementoblasti, le aree assorbite vengono riempite da osso. Si va incontro quindi a riassorbimento della radice dentaria e rizalisi, con perdita dell’elemento dentario. L’apice dentario della superficie radicolare è quello che viene attraversato dall’asse neuro-vascolare, che va poi a costituire la polpa dentaria (volgarmente detto il “nervo”), struttura fondamentale poiché la sintomatologia di patologie come carie o pulpiti viene trasmessa tramite questa terminazione nervosa. Le strutture che servono a mantenere l’elemento dentario in sede sono le strutture parodontali (“circondanti l’elemento dentario”). Esse sono quattro: osso alveolare, legamento parodontale, cemento radicolare e gengiva. Dei primi tre abbiamo già parlato. La gengiva è costituita dai tessuti molli parodontali. Essa può essere cheratinizzata o non cheratinizzata. Per definizione la gengiva è il tessuto disposto intorno all’elemento dentario. Lo stesso tessuto, ma disposto intorno ad un elemento implantare assume il nome di “mucosa masticatoria” (nonostante sia identico alla gengiva). La gengiva è quindi quella mucosa che ricopre il processo alveolare ed il colletto dei denti. Distinguiamo: - - gengiva libera o marginale: va dal margine gengivale alla base del solco gengivale fisiologico e circonda, senza essere adesa, il dente con il quale forma il solco gengivale fisiologico; gengiva aderente: dalla base del solco gengivale fisiologico alla giunzione mucogengivale, aderisce al cemento del colletto ed all’osso alveolare sottostante senza interposizione di uno strato adiposo. Il solco gengivale fisiologico è lo spazio virtuale che separa il dente dalla gengiva marginale o libera ed ha una profondità pari all’altezza della gengiva marginale (0,5-2 mm). 4 ODONTOSTOMATOLOGIA Il cemento costituisce l’apparato di attacco del dente all’osso alveolare, insieme alle fibre parodontali. È costituito da tessuto mesenchimale calcificato che ricopre la superficie radicolare dei denti nel quale si inseriscono le fibre parodontali. Il cemento, come l’osso alveolare, è attraversato dalle fibre di collagene del legamento parodontale, che assumono l’aspetto di fibre di Sharpey calcificate che costituiscono il sistema di fibre estrinseche del cemento attraversandolo obliquamente. Le fibre intrinseche del cemento sono prodotte dai cementoblasti, sono parallele all’asse lungo del dente e si incrociano con le prime. Il cemento è caratterizzato da una deposizione continua nel corso degli anni che ne aumenta lo spessore e non va incontro a riassorbimento. Il legamento parodontale va dal cemento alla cortex alveolaris. Sono quattro gruppi di fibre che vanno dal cemento cervicale alla cortex alveolaris: - dall’alto in basso; orizzontali; oblique dal basso in alto; periapicali con disposizione raggiata. Tali fibre hanno un decorso ondulante per assicurare al dente la sua mobilità fisiologica. Il legamento riceve innervazione dolorifica, tattile, pressoria e propriocettiva. L’osso alveolare è costituito da: - corticale esterna; osso spugnoso intermedio; corticale interna a o cortex alveolaris. La lamina dura è perforata da numerosi canali di Volkmann, attraverso i quali i vasi e i nervi passano dall’osso al legamento parodontale. CENNI DI EMBRIOLOGIA Gli elementi dentari originano dalla lamina dentaria (costituita da cellule mesodermiche), che si approfonda a ferro di cavallo nello stomodeo. Queste cellule vanno a costituire la primitiva papilla dentaria, che poi si trasformerà nella cosiddetta “campana di Williams”, a forma appunto di campana, che avvolge la parte embriologica della polpa dentaria. Le radici quindi crescono intorno alla struttura vascolo-nervosa, e si chiudono con l’apice radicolare intorno ad essa (non è la struttura vascolo-nervosa a penetrare nell’elemento dentario!). NOMENCLATURA 5 ODONTOSTOMATOLOGIA E’ fondamentale per poter descrivere i danni subiti dagli elementi dentari ad esempio in caso di incidente al pronto soccorso (per motivi medico-legali). Abbiamo diversi tipi di nomenclature. Un primo metodo, secondo l’OMS, prevede: - Innanzitutto una suddivisione in arcata superiore (mascellare) e arcata inferiore (mandibolare); Un’ulteriore suddivisione di ogni arcata in un lato destro e uno sinistro; Un sistema di numerazione di ogni dente secondo il quale il numero 1 è assunto dall’incisivo centrale (l’incisivo laterale assume il numero 2, il canino il numero 3, e così via). Un secondo metodo prevede l’identificazione di ogni elemento dentario con un numero di due cifre. Il primo numero corrisponde a quello del quadrante. Il primo quadrante per convenzione è il superiore di destra. Si procede poi in senso orario (superiore di sinistra, inferiore di sinistra e inferiore di destra). Il secondo numero sarà invece quello proprio di ogni elemento dentario. Discorsivamente, invece, gli elementi dentari saranno indicati come: incisivo centrale, incisivo laterale, canino, primo e secondo premolare, primo, secondo e terzo molare (specificando l’arcata e il lato). Nel nord America invece abbiamo un altro tipo di numerazione, che indica gli elementi dentari con un numero da 1 a 32 seguendo sempre il senso dei quadranti (dal superiore destro in senso orario fino all’inferiore destro). Questo può creare una serie di problemi nell’interpretazione dei referti, poiché ad esempio, parlando del dente numero “12” potremmo riferirci sia all’incisivo laterale di destra dell’arcata superiore (nomenclatura europea), sia al primo premolare di sinistra dell’arcata superiore (nomenclatura americana). ORIENTAMENTO DEI PUNTI NELLO SPAZIO Oltre alla nomenclatura dei singoli elementi dentari dobbiamo stabilire i punti cardinali ai quali ci riferiamo per orientarci. Non parliamo infatti di “alto” o “basso” (concetti relativi, quando parliamo dei denti, a causa della presenza di un’arcata superiore e una inferiore). 6 ODONTOSTOMATOLOGIA Parliamo invece di“coronale” (facendo riferimento alla corona) e di “apicale” (facendo riferimento all’apice radicolare), concetti oggettivi. Inoltre mentre in anatomia parliamo “mediale”, qui parleremo di “mesiale”, riferendoci a tutto quello che è orientato verso la linea mediana (quella che passa tra i due incisivi superiori e i due incisivi inferiori). La linea mediana dal punto di vista estetico e funzionale, in ortodonzia, andrebbe allineata con la glabella. E’ possibile avere una linea mediana (o linea inter-incisiva) “spostata in toto” da un lato o dall’altro ma “allineata” perché gli incisivi centrali superiori e inferiori sono “in asse” tra loro, ma non con il profilo del volto, ovvero con la linea passante per la glabella e le apofisi geni mandibolare. Se invece la linea mediana è allineata col profilo del volto parliamo di “linea mediana centrale”. Tutto quello che si avvicina alla linea mediana è mesiale, mentre tutto quello che vi si allontana è detto distale. Abbiamo infine un linguale, un palatale, e un vestibolare (o buccale). 7 ODONTOSTOMATOLOGIA DENTIZIONE DECIDUA E’ composta soltanto da 10 elementi ad arcata: incisivi centrali, incisivi laterali, canini, primi e secondi molari decidui. Questi denti decidui occupano lo spazio per solamente alcuni denti permanenti (fino ai due premolari), anche se il diametro mesio-distale dell’arcata decidua è maggiore rispetto allo spazio poi occupato da questi denti permanenti. Questo accade perché il primo molare permanente che erompe distalmente ai molari da latte, ha così una “spazio di deriva” (leewayspace) grazie al quale può migrare, dopo che siano sovvenuti i due premolari permanenti, scivolando fino a serrare tutti gli spazi rimasti. Nomenclatura dei denti decidui In questo caso i quadranti sono 5, 6, 7 e 8, seguendo la solita disposizione in senso orario (dal quadrante superiore destro all’inferiore destro). Come nella dentizione permanente, il numero del quadrante sarà seguito dal numero del dente in questione (dall’1 al 5). TEMPISTICA DI ERUZIONE I tempi di eruzione dei denti sono estremamente variabili (come si è constatato negli ultimi decenni grazie all’aumento del campione valutato: cento anni fa’ si riteneva che i tempi fossero molto più definiti a causa della povertà dei dati in possesso dei dentisti). Ad ogni modo in ordine di tempo gli elementi che entrano nell’arcata dentaria decidua sono: 8 ODONTOSTOMATOLOGIA - gli incisivi centrali inferiori; gli incisivi laterali inferiori contemporaneamente agli incisivi centrali superiori; gli incisivi laterali superiori; i primi molari; i canini; i secondi molari. Il canino è un elemento che entra sempre un po’ in ritardo nella dentatura, nonostante sia centrale. La sostituzione dei denti da latte con quelli permanenti inizia intorno ai 6-7 anni, con gli incisivi centrali inferiori. In realtà però, il primo dente permanente ad erompere (sia in arcata inferiore che in arcata superiore) è il primo molare, elemento di cui solitamente la madre non si accorge proprio perché non è preceduto dalla caduta di un dente da latte. E’ molto importante conoscere questo soprattutto dal punto di vista della prevenzione della carie (spesso i genitori non si preoccupano delle carie dei denti da latte dei bambini, e qui c’è il rischio che carie anche molto avanzate del primo molare permanente vengano sottovalutate). Il primo molare erompe distalmente all’ultimo deciduo, all’età di 6-7 anni, più o meno alla stessa età in cui avviene la permuta degli incisivi centrali inferiori. Una delle domande più frequenti da parte dei genitori a tal riguardo è “gli incisivi inferiori del bambino stanno erompendo interiormente, deve fare ortodonzia?”. La risposta è si, e prima viene incominciata l’ortodonzia e meglio è. Inoltre è un’ortodonzia molto semplice. Successivamente erompono gli incisivi centrali superiori, poi in ordine: incisivi laterali inferiori, incisivi laterali superiori, canini inferiori, premolari, canini superiori. All’età di 13 anni erompono poi i secondi molari e 9 ODONTOSTOMATOLOGIA infine intorno ai 18 anni (ma con una grandissima variabilità temporale) erompono i terzi molari. Movimenti eruttivi Durante il processo di eruzione dentaria distinguiamo tre movimenti: - pre-eruttivi; eruttivi; post-eruttivi. I movimenti pre-eruttivi sono movimenti preparatori destinati a collocare i denti in posizione più favorevole ai successivi movimenti eruttivi in direzione occlusale. I movimenti eruttivi sono quei movimenti con i quali i denti migrano dall’interno delle ossa fino al piano occlusale. Tali movimenti possono essere dovuti a 4 meccanismi: - per progressivo sviluppo delle radici; per pressione vascolare; deposizione e riassorbimento selettivo del tessuto osseo che circonda il dente; trascinamento del dente in direzione occlusale da parte delle cellule o delle fibre del legamento parodontale. I movimenti post-eruttivi sono compiuti dal dente dopo che esso ha raggiunto la sua posizione funzionale sul piano occlusale. Tali movimenti compensano la crescita dei mascellari, la continua usura occlusale e l’usura interprossimale. La corretta eruzione dei denti permanenti è direttamente collegata alla perdita dei decidui corrispondenti. La pressione del dente permanente in eruzione determina il riassorbimento radicolare del dente deciduo ad opera degli odontoclasti. TEMPISTICA DI FORMAZIONE La corona dentaria in realtà si forma molto prima rispetto all’epoca di eruzione. E’ importantissimo considerare questo elemento nella valutazione delle alterazioni, anche solo cromatiche, dell’elemento dentario che possono verificarsi in seguito: - - all’utilizzo di tetracicline, che può causare delle strie caratteristiche; all’ipersomministrazione di fluoro, che dà luogo alla cosiddetta “fluorosi dentale”: Avviene in seguito alla continua assunzione di acque troppo ricche di fluoro, e provoca la comparsa di caratteristiche strie sull’elemento dentario. Questo era un fenomeno molto tipico intorno agli anni ’40 e ’50 nell’area vesuviana, mentre oggi è pressoché scomparso; a patologie sistemiche sia genetiche che acquisite che vanno ad interferire con la formazione strutturale dei vari componenti dell’elemento dentario (ad esempio la “amelogenesi imperfetta, o la “dentinogenesi imperfetta”). 10 ODONTOSTOMATOLOGIA Queste alterazioni non sono sovrapposte all’epoca di eruzione dell’elemento dentario ma all’epoca di formazione (somministrando la tetraciclina a un bambino di 6 anni non dovremo aspettarci alterazioni degli incisivi centrali inferiori: avremo queste alterazioni se il bambino aveva assunto il farmaco anni prima, quando quei denti si stavano formando!). Dopo la corona dentaria si formano le radici, che sviluppandosi pian piano dal basso, fanno erompere l’elemento dentario, imprimendo la cosiddetta “spinta eruttiva”. 11 ODONTOSTOMATOLOGIA ANOMALIE DENTARIE Per anomalie dentarie, si intendono ogni alterazione dell’aspetto esterno, della struttura interna o della topografia di uno o più denti decidui o permanenti, derivante da un disturbo che può essere geneticamente determinato, congenito o acquisito. Tra le anomalie dentarie abbiamo un primo gruppo che include: anomalie di numero, di volume, di forma, di sede, di posizione e di eruzione. Un secondo gruppo invece include anomalie di sviluppo e struttura di origine genetica o acquisita. I fattori che possono intervenire durante l’odontogenesi ad alterare il normale sviluppo dentario sono: - fattori di ordine generale: ereditarietà, costituzione, agenti chimici, malattie infettive, ecc…; fattori di ordine locale: traumi, interventi chirurgici sui mascellari, processi infettivi, disarmonie dento-basali, squilibri muscolari ed abitudini viziate. Anomalie di numero:iperdonzie Nelle anomalie di numero abbiamo iperdonzie e ipodonzie (numero maggiore o inferiore di denti). A tal proposito abbiamo una “iperdonzia falsa” quando vi è la persistenza dell’elemento dentale deciduo che simula un’iperdonzia. Ciò avviene quando l’elemento permanente erompe in un’altra sede: la perdita dell’elemento deciduo, infatti, è data dal riassorbimento della radice dell’elemento deciduo da parte del follicolo dentario dell’elemento permanente man mano che cresce dalla zona apicale. Se l’elemento permanente erompe in un’altra zona, quindi, non è in grado di riassorbire la radice dell’elemento deciduo, che in questo modo, non cade, persistendo nell’arcata (bisognerà estrarlo). La vera iperdonzia, invece, si ha quando è presente un vero e proprio elemento dentario in più, per un’anomalia a livello embriologico: la papilla dentaria si è divisa e ha dato origine a un altro elemento. Un’iperdonzia classica è il mesiodens, cioè un abbozzo di elemento dentario di forma conoide che è posizionato al centro dei due incisivi centrali superiori. 12 ODONTOSTOMATOLOGIA Molto spesso la sua posizione è palatale, quindi l’approccio per la rimozione chirurgica sarà palatale. E’ tuttavia una struttura che non dà problemi nel tempo, e quindi può essere mantenuta a lungo. Abbiamo poi invece situazioni con numerosi denti soprannumerari che non possono quindi essere ospitati in arcata, associate molto spesso a sindromi importanti che coinvolgono lo scheletro (es: disostosi cleidocranica). Quindi, le iperdonzie possono essere dovute a: - denti supplementari: ripetono la forma e la funzione del dente contiguo; - denti soprannumerari: risultano atipici, più piccoli e rudimentali (mesiodens, paramolare e distomolare). Tali alterazioni prediligono la mascella superiore e la diagnosi si effettua con esame clinico e radiografia che mette in evidenza anche gli eventuali denti inclusi. Tra le cause genetiche di iperdonzia bisogna ricordare la disostosi cleidocranica. La disostosi cleido-cranica è una malattia ereditaria autosomica dominante con iperdontia eclatante di denti permanenti associata a: - ipoplasia di una o entrambe le clavicole; ritardo di ossificazione delle suture craniche con abnorme crescita del neurocranio. La terapia è chirurgica con eliminazione degli elementi dentari in sovrannumero. Anomalie di numero in difetto Allora, parleremo di: - - anodontia quando vi è l’assenza di tutti gli elementi dentari e viene distinta in agenodontia quando mancano tutti i decidui e ablastodontia quando a mancare sono tutti i permanenti; oligodontia quando il numero dei denti è minore alla metà; ipodontia quando il numero degli elementi dentari è compreso tra la metà ed il numero normale, in questo caso per i decidui si parla di atelegenodontia, per i permanenti di ateleblastodontia. Parliamo di agenesie quando vi è una mancanza reale o apparente dell’elemento dentario: reale quando l’elemento dentario manca effettivamente, apparente quando l’elemento dentario non è visibile ma c’è, ovvero quando vi è una ritenzione (anomala eruzione). Quando vi è agenesia del deciduo, automaticamente avremo anche agenesia del permanente. Non è vero però il contrario: è possibile che il deciduo si sviluppi, ma il permanente no. Quindi o si ha un numero di cellule alterato, o è la posizione ad essere anomala. Per quanto riguarda la frequenza con la quale si presentano queste anomalie, in generale a livello del mascellare superiore si verifica più frequentemente l’agenesia dell’incisivo 13 ODONTOSTOMATOLOGIA laterale, poi del terzo molare e poi del secondo premolare. A livello della mandibola invece gli elementi dentari più frequentemente interessati sono i terzi molari e poi i secondi premolari (agenesie reali). Per quanto riguarda le agenesie apparenti (ritenzioni o inclusioni dentarie) sia a livello del mascellare superiore che a livello della mandibola gli elementi dentari più frequentemente implicati sono i terzi molari, poi il canino e poi il secondo premolare. La caratteristica degli elementi dentari implicati (incisivi laterali e canino, secondi premolari, terzi molari) è quella di essere gli elementi terminali, distali, della fila. Questo ha una sua logica in quanto questi elementi possono o trovare lo spazio eruttivo occupato (più frequente nel terzo molare, a causa della sua tempistica di eruzione) e ciò avviene raramente, oppure, molto più facilmente, essendo quell’elemento il terminale della fila, cioè l’ultima papilla dentaria che “si stacca” da ogni gruppo, facilmente la sua posizione può risultare anomala. Le inclusioni dentarie possono essere dovute a: - la presenza di un ostacolo nel canale di eruzione, ad esempio un tumore benigno; un’inclinazione della papilla dentaria, che causa la formazione dell’elemento dentario secondo un asse alterato (ad esempio, orizzontale). In questo caso la causa può essere correlata a una lesione traumatica subita in età infantile che ha provocato lo spostamento della papilla; oppure la causa può essere di tipo infettivo (ascesso a carico dei denti decidui). A causa di questa inclinazione acquisita il dente in formazione prende in questo modo la “strada sbagliata” e nel momento in cui la radice si sarà formata (apice radicolare) arresterà la sua progressione. Radiograficamente si parla di chiusura degli apici radicolari: quando ciò avviene significa che non c’è più spinta eruttiva e pertanto il dente non eromperà più. Ritornando alle anomalie di numero in difetto, l’eziologia è da ricercare in: - evoluzione della razza, infatti vi sono denti che durante l’evoluzione vanno scomparendo; ereditarietà; disendocrinie, soprattutto patologie tiroidee ed ipofisarie; distruzione del germe, per traumi, osteomielite, ecc…. La diagnosi si effettua con un Rx che permette di distinguere l’agenesia di un elemento dentario dalla sua inclusione. Infine, anomalie di elementi dentari in difetto si hanno anche nella displasia ectodermica, caratterizzata da anomalie di alcuni organi o apparati di derivazione ectodermica. Distinguiamo due forme: 14 ODONTOSTOMATOLOGIA - displasia ectodermica anidrotica o D.E.A., rara, X-linked; displasia ectodermica idropica o D.E.I., più frequente, autosomica dominante. Anomalie di sede In questo caso vi è la mancanza dei normali rapporti topografici che un elemento dentario ha con la sua sede abituale. I possibili fattori etiopatogenetici sono: - anomala posizione originaria del germe dentario; mancanza di uno spazio in arcata per deciduo che permane oltre i limiti fisiologici di permuta; perdita precoce di un deciduo con perdita dello spazio per il permanente corrispondente; difettoso rapporto proporzionale tra la porzione ossea basale e la porzione dentoalveolare delle ossa mascellari (disarmonia dento-basale). Vi sono differenti tipi di anomalie di sede: - ectopia: l’elemento dentario è situato vicino alla sede abituale, in posizione vestibolare, linguale o palatina; trasposizione: due denti contigui invertono in modo reciproco la loro posizione; eterotopia: elemento etero topico situato in sede lontana da quella abituale. Se si trova al di fuori del cavo orale si parlerà di migrazione. Anomalie di posizione Presenza di elementi dentari che, pur occupando la propria sede abituale, si collocano in arcata con deviazioni assiali dirette nelle tre direzioni dello spazio. Quindi parleremo di: - versione: inclinazione di un dente verso il lato vestibolare o palatino, in avanti o mesio-versione o indietro o disto-versione; inversione: posizione del dente invertita, con la radice verso la cresta alveolare e la corona verso la base dell’alveolo, si accompagna costantemente ad inclusione; rotazione: il dente ruota attorno il suo asse longitudinale; intrusione: la corona del dente si presenta su di un piano più basso rispetto al piano occlusale; estruzione: il margine coronale è situato più in alto rispetto al piano occlusale, spesso per mancanza dell’elemento dentario antagonista dell’arcata opposta. Anomalie di forma Possono essere a carico della corona, con cuspidi accessorie, delle radici e dell’endodonto. 15 ODONTOSTOMATOLOGIA Anomalie di volume Distinguiamo: - gigantismo o macrodontia; taurodontismo: dente con corona ampia, radici brevi, camera pulpare estesa, senza il fisiologico restringimento, fino all’apice pulpare; nanismo o microdontia. Anomalie di sviluppo In alcuni casi, vi possono essere delle anomalie durante lo sviluppo che possono determinate delle modificazioni del normale aspetto del dente: - perla dello smalto: piccola escrescenza tondeggiante, in prossimità del colletto vicino la giunzione smalto cementizia; fusione: tra due denti e può interessare tutto il dente o solo singole parti; geminazione: suddivisione incompleta del germe dentario; concrescenza: fusione delle radici per noxa intervenuta tardivamente; dens in dente o dente invaginato: sviluppo di una parte del dente all’interno di un altro dente. Anomalie di struttura Le anomalie di struttura sono il risultato di disturbi che hanno coinvolto l’elemento dentario durante la fase di mineralizzazione, con conseguente anomalia dello smalto, della dentina o di entrambi. Sono causate da: - carenze vitaminiche; alterazioni ormonali; malattia esantematiche come morbillo e varicella; tossici esogeni; fattori genetici. Tra le anomalie dello smalto vi è l’Amelogenesi Imperfetta in cui si ha uno sfaldamento di questa struttura. Viene ereditata come tratto autosomico-dominante. Sicuramente, le anomalie più importanti sono quelle dovute a fattori tossici esogeni. La fluorosi è causata dall’assunzione di fluoro a concentrazioni superiori a 16 ODONTOSTOMATOLOGIA 1,5-2 ppm durate l’istogenesi dei tessuti duri del dente, specie dei pemanenti. I denti appaiono dicromici con una superficie screziata. La somministrazione di tetracicline può determinare pigmentazioni antiestetiche ed indelebili dei tessuti dentari. Vi sono bande giallo chiare o giallo brunastre. È causata da somministrazione di tetracicline a dosi elevate alle donne nell’ultimo trimestre di gravidanz a o al bambino nei primi anni di vita. L’ipoplasia da radioterapia è caratterizzata da erosioni giallo brunastre sulla parete vestibolare con progressivo avanzamento verso i tessuti profondi fino a creare crateri simil cariosi. 17 ODONTOSTOMATOLOGIA PATOLOGIE DELL’ERUZIONE Per quanto riguarda la patologia dell'eruzione, distinguiamo: - anomalia del tempo di eruzione; inclusioni dentarie; disodontiasi del terzo molare. Anomalie del tempo di eruzione Per anomalie del tempo di eruzione si intende la disinclusione in cavità orale dell’elemento dentario in epoca non fisiologica, precoce o tardiva. Ciò può essere dovuto a fattori causali locali o generali. Tra i fattori causali locali vi sono: - formazione iniziale del germe precoce o tardiva; sviluppo del germe rapido o lento rispetto al fisiologico; situazione del germe dentario rispetto al futuro piano occlusale (profonda o superficiale). I fattori causali generali riguardano turbe endocrine e vitaminiche che interferiscono con lo sviluppo dei tessuti mineralizzati dell’organismo. Se un elemento dentario erompe sull’arcata alcuni anni dopo il limite massimo fisiologico consentito per la sua eruzione, tale elemento dentario, in questo lasso di tempo, va considerato come incluso. Soltanto ad eruzione avvenuta esiste la constatazione di un’eruzione ritardata. Inclusioni dentarie Distinguiamo un’inclusione patologica ed un’inclusione fisiologica. Nell’inclusione patologica vi è la mancata eruzione in cavità orale di un elemento dentario oltre i limiti di tempo per la sua fisiologica eruzione. Nell’inclusione fisiologica vi è la normale presenza nei mascellari di un elemento dentario prima dell’epoca fisiologica della sua eruzione nel cavo orale. Dal punto di vista clinico, vi è l’assenza di un dente sull’arcata dentaria sia in inclusione patologica che fisiologica e all’Rx, nell’inclusione patologica vi è il dente incluso completamente sviluppato, mentre in quella fisiologica si nota solo la corona che già è sviluppata e calcificata. L’inclusione può interessare sia i decidui che i permanenti e può essere: - - completa: suddivisa in endossea, con il dente completamente incluso nelle ossa mascellari, e osteo-mucosa, nella quale il dente supera in parte il limite alveolare e viene ricoperto dai tessuti molli; incompleta: il dente si presenta in cavità orale con una parte della sua corona. 18 ODONTOSTOMATOLOGIA Inoltre possiamo distinguere in: - totalmente incluso: il sacco pericoronarico del dente non comunica con la cavità orale; parzialmente incluso: il sacco pericoronarico, non più integro, presenta una comunicazione col cavo orale. Per l’eziopatogenesi distinguiamo: - Cause legate al germe dentario: • lontananza dalla sede di eruzione: la gemma dentaria è posizionata più distalmente e gli apici radicolari si chiudono prima che il dente possa erompere; • Ritardi dello sviluppo; • Posizione anomala; • Fusione di elementi dentari vicini. - Cause legate al dente: • Macrodonzia (situazione molto rara); • Anomalie radicolari; • Anomalie di posizione che il dente può assumere nel suo cammino eruttivo. - Cause legate ai tessuti circostanti: • Persistenza dei decidui; • Mancanza di spazio; • Flogosi; • Tumori; • Cisti. - Cause di ordine generale: • Fattori ereditari; • Deficit nutrizionali (nella nostra società molto rari); • Infezioni; • Turbe endocrine. Gli elementi dentari che restano più facilmente inclusi sono gli ultimi elementi di orgni gruppo o meglio gli ultimi denti ad erompere in ciascun settore. L’inclusione pura di un elemento dentario in assenza assoluta di qualsiasi complicanza non è da considerarsi una malattia vera e propria (portatori asintomatici di inclusione). Le principali Complicanze delle inclusioni dentarie sono: - - complicanze meccaniche: i denti inclusi possono provocare malposizione dei denti già erotti con conseguenti diastemi, rotazioni e versioni. La pressione esercitata da un elemento dentario incluso sulle radici o sul colletto dei denti vicini può provocare rizalisi,ulcerazioni da decubito con carie secondaria; Complicanze nervose: disturbi a distanza di origine riflessa su plesso cervicale,brachiale,intercostali,precordiali (il trigemino è altamente reflessogeno, con sintomatologia nevralgica del territorio della II o III branca del trigemino, dolore localizzato alla sede dell’inclusione); 19 ODONTOSTOMATOLOGIA - - Complicanze infettive: pericoronarite o infiammazione del sacco pericoronario. Può avvenire per via ematogena o per trauma che lede il sacco. L’infezione è a carico dei germi presenti nel cavo orale. Possono dar luogo ad ascessi, flemmoni, sinusiti mascellari ecc….; Complicanze generali: l’elemento incluso può rappresentare un focus per una sindrome focale a distanza con varie manifestazioni (endocardite); Complicanze displastiche: cisti follicolari. La diagnosi si effettua con l’esame obiettivo, che mostra l’assenza di un elemento dentario e l’Rx (diagnosi definitiva). Per quanto riguarda la terapia abbiamo varie scelte operative: - non intervenire in assenza di complicanze, controlli periodici; rimuovere e autotrapiantare il dente incluso qualora esista sull’arcata uno spazio sufficiente; rimuovere il dente incluso; recuperare funzionalmente il dente incluso. Disodontiasi del terzo molare La mancanza di spazio riguarda (come già detto) soprattutto i terzi molari inferiori, questo a causa della tempistica di eruzione. Questo perché il secondo molare erompe intorno ai 12 anni, e bisogna quindi aspettare i 18 anni prima che il terzo molare erompa: in questo gran lasso di tempo “tutti i giochi sono già fatti” ed è per questo che questi elementi possono facilmente trovare “il parcheggio occupato”. Inoltre, il percorso di eruzione del terzo molare è molto particolare, e prende il nome di Curva di Capdepont. Questo perché il nucleo di crescita della mandibola, facendo crescere la mandibola cranialmente, trascina con sé la papilla dentaria del terzo molare. Il terzo molare in formazione viene quindi trascinato distalmente e cranialmente, e per erompere deve descrivere una curva (Curva di Capdepont). Essendo quindi già poco lo spazio di eruzione (spazio compreso tra il secondo molare e la branca montante della mandibola), nel suo percorrere la curva il terzo molare può andare a scontrarsi contro le radici del secondo molare interrompendo quindi il suo percorso (esempio di inclusioni orizzontali del terzo molare), oppure può cominciare a “sterzare” molto più presto, esagerando la curva (disto-versioni del terzo molare). Tutto ciò è causato dalla mancanza di spazio correlata alla tempistica di eruzione. Ovviamente tutto ciò è dovuto alla spinta selettiva dell’evoluzione: i nostri antenati (10 milioni di anni fa’) avevano 4 molari, oggi noi ne abbiamo 3 e forse saremo destinati ad averne di meno. Questo a causa della diversa alimentazione: attualmente noi facciamo un tipo di alimentazione per cui la masticazione necessita in realtà solo di pochi elementi 20 ODONTOSTOMATOLOGIA dentari. Le prime ricostruzioni con impianti, infatti, presentavano soltanto 10 elementi per arcata (si fermavano al secondo premolare)! Per il primo di alimentazione che facciamo i due premolari sono più che sufficienti ad assicurare la triturazione del cibo. Quindi in caso di non eruzione del terzo molare non ci sono problemi, e anzi la spinta selettiva è a favore dello sviluppo del neurocranio piuttosto che dello splancnocranio. Le principali complicanze sono: - - - Pericoronarite e sue complicanze: • pericoronarite congestiva semplice: dolore in regione retromolare inasprito da masticazione, edema e arrossamento della mucosa; • pericoronarite suppurativa: dolore più intenso irradiato all’orecchio, serramento delle mascelle per contrattura antalgica del massetere e pterigoideo interno. Disfagia e difficoltà nella masticazione. Possibile raccolta ascessuale sottomucosa. Complicanze a carico dei tessuti cellulari sottocutaneo e sottomucoso: • evoluzione della pericoronarite con pus che scolla gli spazi sottomucosi e diffonde agli spazi vicini (spazio tra massetere e angolo della mandibola, ascessi peritonsillari, sottotonsillari, nel pilastro anteriore del faringe, tra buccinatore e faccia esterna del corpo della mandibola) creando una tumefazione localizzata. Dolore irradiato all’orecchio, serramento dei mascellari, linfadenite sottomascellare. Comprimendo la tumefazione si fa percorrere il pus lungo il cammino inverso rispetto a quello compiuto all’atto della migrazione, quindi questo fuoriuscirà dal cappuccio mucoso che ricopre il terzo molare in disodontiasi. Complicanze a carico della mucosa: • Gengivite ulcero membranosa o neurotrofica, monolaterale e omolaterale al dente in disodontiasi. Le turbe trofiche della mucosa gengivale sono di natura riflessa per irritazione della componente vegetativa della III branca del trigemino, prodotte dal terzo molare in disodontiasi, causano deficit trofici e zone di minor resistenza che facilitano l’impianto di flora fusospirillare responsabile della gengivite ulcero membranosa. 21 ODONTOSTOMATOLOGIA MALOCCLUSIONI Per quanto riguarda poi la disposizione degli elementi dentari e il modo in cui l’arcata superiore e l’arcata inferiore si rapportano, c’è da dire che bisogna fare molta attenzione perché ci sono molte discussioni aperte in questo campo. L’ortodonzia si fonda proprio sulla possibilità di spostamento degli elementi dentari a livello del mascellare superiore e della mandibola ma essa presenta un limite: la posizione delle ossa. Non si può portare un dente al di fuori dello spazio osseo. Quindi è questo il vero limite dell’ortodonzia, e non l’età. L’ortodonzia infatti si può fare sempre, a qualunque età: l’elemento che consente lo spostamento del dente è il legamento parodontale. Durante l’ortodonzia infatti noi abbiamo un fronte di pressione e un fronte di detenzione. Sul fronte di pressione avviene il riassorbimento (ma il legamento resta sempre integro), sul fronte di detenzione il legamento traziona il margine osseo. Quindi l’ortodonzia è sempre possibile, l’unico prerequisito è che si sia chiuso l’apice dentario: il movimento va fatto ad apice chiuso altrimenti si va a creare un’alterazione morfologica della radice. Quindi se in un bambino alcuni denti si sono già formati ed altri no noi potremo andare a spostare solo quelli già formati. Come abbiamo già detto poi, il grande limite dell’ortodonzia è rappresentato dalla posizione dei “contenitori”, ovvero le ossa (mascellare superiore e mandibolare). Se esse si trovano in una posizione non corretta bisogna andare ad agire chirurgicamente spostando “il contenitore”. Questo chirurgia è effettuata dai chirurghi maxillo facciali e prende il nome di “chirurgia ortognatodontica”. Pertanto solitamente la gestione di un’anomalia di tipo occlusale è combinata: da un lato abbiamo la gestione dentaria (spostamento dei denti) e dall’altro lato una gestione chirurgica maxillo facciale (spostamento delle basi ossee). Ciò che si va ad esaminare è innanzitutto l’allineamento della linea mediana. Si analizza poi il grado di copertura degli elementi dell’arcata inferiore da parte dell’arcata superiore (in visione frontale): - se gli elementi dell’arcata inferiori non sono visibili parliamo di morso coperto; se invece vi è una situazione di beanza tra i margini incisali, o vediamo tutto l’elemento inferiore parliamo di parliamo di morso aperto. Fisiologicamente le cuspidi vestibolari dei molari vestibolarmente rispetto alle cuspidi dei molari inferiori. superiori devono sporgere Nel caso in cui si verifichi la situazione opposta si parla di morso crociato (crossbite). 22 ODONTOSTOMATOLOGIA In questi casi non parliamo di vere e proprie patologie, ma di disarmonie che possiamo decidere o meno di trattare. Se decidiamo di trattarle esse possono essere trattate o con lo spostamento dentario o con lo spostamento osseo e dentario combinati (a seconda della gravità). L’approccio chirurgico riguarda soprattutto le discrepanze in senso antero-posteriore, e in particolare quando il mandibolare supera il mascellare superiore. Ciò può essere dovuto o ad un’ipercrescita della mandibola, o ad una contrazione del mascellare, ma il più delle volte i due processi sono combinati, e mediante la chirurgia noi possiamo sistemare l’assetto osseo. Spesso la motivazione che porta il paziente a sottoporsi al trattamento della malocclusione è esclusivamente di tipo estetico, e non siamo in presenza di una sintomatologia di tipo doloroso e non vi sono ripercussioni sull’articolazione temporo-mandibilare. In questo caso non vi è la necessità di intervenire. Le mal occlusioni sono anomalie dento-scheletriche con alterazioni dei normali rapporti occlusali tra le arcate dentarie. Possono interessare le ossa mascellari Vengono distinte in: - Patologie scheletriche; Patologie dentoalveolari; Patologie miste. Utile, a questo punto è la Classificazione di Angle. In questa classificazione vengono fissati i parametri che consentono di classificare i rapporti occlusali patologici tra le arcate dentarie. Abbiamo 3 classi: - - classe I di Angle: normale rapporto occlusale (tuttavia non esclude la concomitante presenza di affollamento dentario o disarmonie scheletriche pure). Coincidenza tra la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore permanente ed il solco mesiovestibolare del primo molare inferiore permanente. Il canino permanente superiore andrà cosi ad occludere nello spazio compreso tra canino e premolare inferiore; classe II di Angle: posizionamento distale o posteriore della dentatura inferiore rispetto a quello assunto nella occlusione di classe I. In questa classe distinguiamo due divisioni: • divisione 1: rapporto molare di classe II con inclinazione vestibolare degli incisivi superiori; • divisione 2: rapporto molare di classe II con retro inclinazione o versione palatina degli stessi incisivi superiori; 23 ODONTOSTOMATOLOGIA - classe III di Angle: mesializzazione o spostamento anteriore dell’arcata inferiore rispetto al rapporto occlusale normale. Nel Morso incrociato anteriore gli incisivi inferiori si collocano al davanti dei corrispettivi superiori. Infine, tra le Deformità scheletriche ricordiamo: - - Prognatismo: abnorme protrusione di uno o di entrambi i mascellari. Il prognatismo esclusivo del mascellare superiore può riconoscere nella sua eziopatogenesi fattori locali come l’azione della respirazione orale o abitudini viziate quali il succhiamento del pollice. L’aspetto occlusale è quello delle classi II di Angle con aumento dell’overjet; Progenismo: nel prognatismo mandibolare si ha un aumento delle dimensioni anteroposteriori della mandibola. A livello incisale si manifesta con un’inversione dell’overjet (morso incrociato). Frequentemente associato a cause ereditarie o acromegalia. 24 ODONTOSTOMATOLOGIA MALATTIE PARODONTALI Sono malattie che coinvolgono i tessuti di supporto dell’elemento dentario. Come abbiamo già visto le strutture parodontali sono l’osso alveolare, il legamento parodontale, il cemento radicolare e la gengiva. Il dente, come già detto, presenta una parte interna e una parte esterna (per “esterno” intendiamo la cavità orale, per “interno” intendiamo il sistema di supporto delle radici), e le due parti sono ben separate dal cosiddetto attacco parodontale. L’attacco parodontale è una barriera che si viene a creare tra i due compartimenti, di cui noi non ci rendiamo conto clinicamente, nemmeno quando “sondiamo l’elemento dentario”. Il sondaggio è una manovra con cui noi andiamo a misurare la tasca parodontale inserendovi un righello metallico (un cilindro metallico graduato dalla punta smussa di 0,25 mm di diametro), parallelamente all’asse maggiore del dente con una pressione standardizzata (25 gr). Normalmente, nonostante l’esistenza di strumenti appositi per la misurazione della pressione, l’operatore dopo un po’ riesce a dosare la pressione autonomamente grazie all’esperienza. L’attacco parodontale è resistente alla forza meccanica, ma soprattutto alla forza biologica, non permettendo il passaggio dei batteri, normalmente presenti nel cavo orale (placca batterica). Esso è composto (ciò quindi non è visibile clinicamente ma istologicamente) da un attacco epiteliale e un attacco connettivale. L’attacco epiteliale è un attacco per contiguità. Le cellule sono strettamente connesse mediante desmosomi, costituendo così una solida barriera. Ciò che può andare a interrompere questa stretta connessione inter-cellulare è un’infiammazione (l’edema causa infatti la ridotta apposizione tra i margini cellulari). L’infiammazione può essere causata dalla scarsa igiene orale: la diretta conseguenza è l’insorgenza di gengivite. La gengivite si manifesta con arrossamento, sanguinamento e gonfiore delle gengive. Quindi se si mantiene bassa la soglia batterica con una buona igiene orale evitando l’infiammazione, l’attacco continua a funzionare correttamente poiché le giunzioni tra le cellule restano salde. L’attacco connettivale, invece, è un attacco per continuità. Le fibre del tessuto connettivo vanno ad inserirsi direttamente nel cemento radicolare, e spostandosi in direzione apicale vanno a costituire il legamento parodontale (che non va più dal tessuto connettivo alla struttura dentaria, ma dalla struttura dentaria al margine osseo). 25 ODONTOSTOMATOLOGIA Il classico impianto è costituito da una vite di titanio posizionata nell’osso, e una corona protesica avvitata su di essa mediante una vite di trasmissione. Nel caso dell’impianto è presente un attacco epiteliale, ma non è presente un attacco connettivale né il legamento parodontale, perché non c’è il cemento. Per definizione ciò che accade intorno all’impianto si chiama “osteointegrazione”, che istologicamente sta a indicare un contatto diretto tra osso e impianto, visibile mediante microscopia ottica. Non c’è quindi l’interposizione del legamento. Le fibre connettivali intorno all’impianto esistono, ma non sono funzionalmente orientate, e non si inseriscono nell’impianto (sono disposte parallelamente alla superficie dell’impianto e si chiudono a manicotto intorno ad esso). Anche in questo caso la tenuta meccanica dell’epitelio di attacco può venire meno in seguito ad una infiammazione. I batteri sono i protagonisti, poiché è la loro presenza massiva a causare edema, che riduce l’adesione cellulare, e in questo modo essi possono farsi strada tra i tessuti, andando a peggiorare ulteriormente l’infiammazione. L’osteoporosi può essere un elemento negativo per quanto riguarda il posizionamento di un impianto, sia per l’aumento di rimodellamento osseo, ma soprattutto per l’utilizzo dei bifosfonati, perché inibendo essi l’attività osteoclastica, inibiscono anche il processo di osteointegrazione (che necessita del rimodellamento osseo intorno all’impianto). Essi “congelano” la mandibola in questa situazione, ed è anche per questo che possono causare osteonecrosi della mandibola. La malattia paradontale è una malattia infettiva, causata da batteri, se noi ci liberiamo dei batteri la malattia non viene, questa è una cosa che è stata chiarita non molti anni (la malattia la conosciamo da secoli, la sua strutturazione solo nell’ultimo secolo). FASE INFIAMMATORIA - GENGIVITE Questo è il classico aspetto con accumulo di biofilm e di placca, ci sono calcoli di tartaro, la gengiva sia gonfia, edema, arrossamento ma soprattutto sanguinante al sondaggio, se noi andiamo a toccare la gengiva questa sanguina, e questo è la base di un classico circolo vizioso di chi è affetto dalla malattia, lascia accumulare batteri perché non si spazzola o si spazzola male e una volta raggiunto questo grado di concrezione calcarea, lo “spazzolamento” non asporta più niente ma spazzolare va a toccare la gengiva che sanguina e il soggetto non si spazzola più o si spazzola ancora meno perché pensa di ferirsi e quindi parte il circolo vizioso da cui non si esce più. Questa è la fase infiammatoria con questi segni costituisce la fase della gengivite che è uno stato della malattie (anche se adesso costituisce un gruppo a sé stante di malattie) ossia infiammazione della gengiva. Di per se la gengivite può anche essere uno stato cronico. Perché in realtà noi dobbiamo lavorare in over-treatment per evitare la fase successiva. A questa fase infiammatoria segue la fase distruttiva ossia la fase di parodontite. 26 ODONTOSTOMATOLOGIA FASE DI PARODONTITE La fase in cui abbiamo la distruzione del legamento paradontale (oltre all’osso alveolare), che non è più riparabile (anche se oggi esistono delle tecniche di “rigenerazione guidata” o si prendono le staminali) perché è un organo delicato composto da cellule difficili da riprodurre, perché hanno un ciclo di crescita molto lento, infatti a seguito di una ferita chirurgica mentre l’epitelio ricresce in 2 giorni, il legamento paradontale ne impiega ben 21! Con quale rapporto abbiamo la progressione della fase? Sappiamo che 1/3 dei siti sanguinanti andranno incontro a distruzione. Quale? Non lo sappiamo. È questo è l’unico modo con cui posso fare terapia e prevenzione perché faccio terapia della gengivite e prevenzione della fase deostruente, attualmente è l’unico modo. In realtà noi trattiamo anche i 2/3 che non andranno nella fase destruente ma comunque li trattiamo per la gengivite, che è una patologia che effettivamente hanno, così gli togliamo l’alitosi, il sanguinamento, infiammazione ecc… Tutti i siti che si trovano in gengivite possono andare incontro a parodontite, ma non è una progressione certa. Tutti i siti che si trovano in parodontite sono sicuramente passati per la gengivite; quindi è importante vedere la gengivite non più come uno stato ma come una patologia a se stante; il momento infiammatorio a volte è così rapido che si passa direttamente alla fase distruttiva. Non tutti i siti che sono in gengivite vanno in parodontite ma tutti quelli che sono passati in fase di parodontite sono passati per la gengivite. Eziologia Le lesioni in corso di malattia paradentale sono determinate dalla placca mucobatterica, mentre la patologia è aggravata, ma non determinata da: - - - trauma occlusale; fattori sistemici fisiologici (pubertà, gravidanza); fattori sistemici patologici (malattie sistemiche); fattori batterici: • placca muco batterica; • materia alba; • tartaro. fattori predisponenti all’accumulo di placca mucobatterica: • fattori anatomici; • intasamento alimentare; • odontoiatria scorretta. fattori meccanici: • spazzolamento scorretto; • respirazione orale; • trauma occlusale. 27 ODONTOSTOMATOLOGIA La placca mucobatterica è un conglomerato di batteri, cellule epiteliali e polimorfonucleati tenuti assieme da una matrice intercellulare di carboidrati e proteine, fortemente aderente ai denti. L’accumulo di placca determina gengivite in tutti i soggetti e parodontite in alcuni. L’eliminazione della placca si accompagna all’arresto della malattia. La placca è composta da: - acqua (80%); parte solida (20%). La parte solida a sua volta è costituita da: - batteri 15%; matrice 4 % (70% carboidrati e glicoproteine, 15% lipidi, 15% altro); leucociti 0,5 %; cellule epiteliali 0,5%. La placca si deposita prevalentemente nelle zone in cui l’autodetersione ad opera delle guance, delle labbra e della lingua è meno efficace, cioè solco gengivale e solchi e fessure occlusali degli elementi dentari. Si deposita sia in sede sopragengivale che sottogengivale. Non è visibile (ad eccezione dei casi in cui è presente in quantità notevole), ma può essere evidenziata da sostanze rivelatrici quali l’eritrosina. La Materia alba è una patina lattescente e molle visibile ad occhio nudo, che si accumula nella regione cervicale del dente. È costituita da: - batteri; cellule epiteliali desquamate; leucociti. Non è organizzata ed è poco aderente alle superfici dentarie Per quanto riguarda la placca, la sua organizzazione è composta di più fasi: - La superficie dentaria viene ricoperta in pochi minuti da un film idrofilico di glicoproteine salivari (pellicola acquisita); la pellicola acquisita permette l’adesione dei batteri alla superficie dentaria; la placca si aggrega per adsorbimento di batteri dalla saliva e per moltiplicazione dei batteri adsorbiti; i batteri aderiscono prima in forma reversibile poi irreversibile per cui la placca diviene aderente dopo circa 24 ore; i batteri mediante la loro azione enzimatica sintetizzano dai mono e disaccaridi alimentari, i polisaccaridi che formano la matrice organica della placca (glucani); ai primi strati di placca aderente costituiti da Streptococchi e actinomiceti per lo più, si aggregano altre specie Gram + e – dotate di minore adesività e sotto la gengiva anche specie non aderenti e specie dotate di mobilità (costituiscono la placca non aderente). Si distingue una placca: 28 ODONTOSTOMATOLOGIA - sopragengivale; sottogengivale a sua volta divisa in una porzione aderente alla superficie dentaria ed una non aderente contenuta dai tessuti molli. La Placca sottogengivale non aderente è costituita da forme maggiormente parodontogene, prevalentemente Gram -, mobili, anaerobie o anaerobie facoltative, asaccarolitiche. È specificatamente patogena per il parodonto ed è a contatto con l’epitelio sulculare e giunzionale. Se la placca fisiologica non viene rimossa meccanicamente essa supera i 100 strati cellulari ed assume caratteristiche patogene determinando l’insorgenza della gengivite. In alcuni soggetti un viraggio patogeno della placca e un’alterata risposta immunitaria possono far evolvere la gengivite in una parodontite. Il Tartaro è il deposito calcificato aderente alle superfici dentarie che si forma per calcificazione della placca. E’ patogeno per la irregolarità e la porosità della sua superficie che favorisce il deposito di placca e ne ostacola l’allontanamento. La placca mucobatterica comincia a calcificare dopo 8-12 ore dalla sua formazione e dopo 2 settimane risulta calcificata all’80%,ma la sua cristallizzazione si completa dopo mesi. La precipitazione di Sali di calcio dalla saliva nella placca mucobatterica avviene con un duplice meccanismo: - - meccanismo fisiochimico: al momento della sua escrezione nel cavo orale la saliva contiene CO 2 ad una tensione di 60 mmHg a fronte di una tensione di CO 2 orale molto più bassa; questa differenza di tensione determina una perdita di CO 2 salivare con un aumento del pH salivare,che favorisce la precipitazione del fosfato di calcio; meccanismo batterico: i batteri attraverso un’azione di deaminazione e transaminazione, determinano la precipitazione delle glicoproteine salivari, che da un lato contribuisce alla formazione della placca e dall’altro riduce la solubilità dei Sali di calcio presenti nella saliva, favorendone la precipitazione. I complessi glicoproteici e lipidoproteici della placca esercitano un’azione chelante sui Sali di calcio. La placca libera la fosfatasi che idrolizza i fosfati organici, favorendo l’aggregazione con i Sali di calcio. I batteri producono NH 4 + che innalza il pH della placca favorendo ugualmente la precipitazione del fosfato di calcio. Distinguiamo un tartaro: - sopragengivale: localizzato in corrispondenza dello sbocco delle ghiandole salivari maggiori. E’ di colorito giallo bruno, consistenza friabile e facilmente asportabile; Sottogengivale: può essere localizzato nel solco o nella tasca di tutti gli elementi dentari; di colorito bruno nerastro, consistenza dura e tenacemente aderente alla superficie dentaria. I fattori predisponenti all’accumulo di placca muco batterica sono: - fattori anatomici; 29 ODONTOSTOMATOLOGIA - intasamento alimentare; odontoiatria scorretta. Per fattori anatomici si intendono: - difetti del punto di contatto e della cresta marginale che determina intasamento alimentare; alterazioni della normale convessità vestibolare o linguale della corona; eruzione incompleta o eruzione ritardata; malposizione dentaria vestibolare o linguale che può determinare ristagno della placca e intasamento alimentare; affollamento dentario. L’Intasamento alimentare (food impaction) è la pressione forzata del cibo contro la gengiva marginale ed il solco gengivale. Può essere di tipo: - verticale: in senso corono apicale, per perdita delle caratteristiche anatomiche che in condizioni normali lo impediscono; orizzontale: determinato dalla pressione forzata del cibo in senso orizzontale ad opera delle guance e della lingua negli spazi interdentali, quando questi non siano più protetti dalla papilla per un processo di recessione gengivale. Terapie odontoiatriche scorrette di tipo conservativo o protesico favoriscono il deposito di placca. Sono da ricondurre al mancato rispetto dell’anatomia nel ripristino della morfologia del dente, o alla presenza di una superficie restaurata non levigata e lucidata che trattiene più facilmente la placca. Nei fattori meccanici rientrano: - spazzolamento scorretto; respirazione orale; trauma occlusale. I fattori meccanici non possono determinare lesioni proprie della malattia parodontale, ma possono aggravarla in presenza di infiammazione. Lo spazzolamento scorretto eseguito con uno spazzolino a setole dure o con tecnica errata può determinare perdita di tessuti parodontali (recessioni gengivali) o di tessuti dentari in regione cervicale (erosione). La respirazione orale determina disidratazione del tessuto gengivale dei settori anteriori, accentua i fenomeni infiammatori da placca. Per trauma occlusale si intende la patologia di uno o più distretti dell’apparato stomatognatico (parodonto,dente ,articolazioni temporomandibolari, sistema neuromuscolare) determinato da forze occlusali anomale. Interessa i tessuti parodontali profondi (placca e tartaro invece esplicano la loro azione su tessuti parodontali marginali al di sopra dell’attacco connettivale). Il trauma occlusale da solo non è in grado di provocare la formazione di una tasca parodontale. Distinguiamo due tipi di trauma occlusale: - primario: indotto da forze occlusali anomale per direzione e/o intensità che esercitando un’azione di leva sull’elemento dentario, si trasmettono all’osso in 30 ODONTOSTOMATOLOGIA - alcuni settori come forze tensive ed in altri come forze compressive che determinano il riassorbimento osseo (es. alterazioni del piano occlusale); secondario: legato all’azione traumatica delle forze occlusali fisiologiche sugli elementi dentari con parodonto molto ridotto, i quali non sono più in grado di svolgere la loro funzione e vanno incontro a migrazione e/o mobilità progressiva. I fattori predisponenti sistemici rendono il decorso della malattia più rapido e grave. Nessun fattore sistemico può da solo determinare l’insorgenza della malattia parodontale. I fattori predisponenti sistemici vengono suddivisi in: - Fattori ereditari: deficit della funzione fagocitaria quali sindrome di Down, EhlerDanhlos, ChediakHigashi; Fattori costituzionali: risposta infiammatoria ed immunitaria; Condizioni fisiologiche: di tipo ormonale (pubertà, gravidanza, menopausa) che possono modificare la risposta infiammatoria parodontale ad agenti microbici; Stati patologici: diabete mellito (per deficit funzione PMN e fagocitosi e microangiopatia), empatie (neutropenie e leucemie), deficit immunitari. PATOGENESI IMMUNITARIA DELLA MALATTIA PARODONTALE La storia delle lesioni della malattia parodontale viene racchiusa nello schema di Page, che inquadra 4 stadi, di cui i primi 3 stadi sono caratterizzati dalla presenza della lesione iniziale precoce stabilizzata (gengivite), il 4° stadio è dato dalla lesione avanzata (parodontite). La lesione iniziale precoce stabilizzata è data dalla gengivite, caratterizzata clinicamente dai segni di flogosi acuta della mucosa gengivale. Successivamente si stabilizza con il quadro della gengivite cronica. L’infiltrato infiammatorio determina lisi delle fibre di collagene e degenerazione dei fibroblasti della gengiva marginale, con ispessimento ed ulcerazione dell’epitelio sulculare e giunzionale, senza formazione della tasca. Lo stadio di gengivite può rimanere tale per mesi o anni se non sopravviene la fase di attività della lesione che determina l’insorgenza della parodontite. La lesione avanzata è data dalla parodontite. Se la lesione infiammatoria gengivale va incontro a riacutizzazione, si passa alla fase distruttiva della malattia, la quale interessa i tessuti parodontali profondi. L’infiltrato infiammatorio si estende alle fibre di collagene dell’attacco connettivale, che costituiscono la linea di demarcazione tra il parodonto marginale e quello profondo, determinandone la distruzione. La distruzione delle fibre connettivali che inseriscono sul cemento (perdita di attacco) si accompagna ad ispessimento e proliferazione apicale dell’epitelio giunzionale che si distacca dalla superficie dentale determinando la formazione della tasca. L’infiltrato infiammatorio determina il riassorbimento dell’osso alveolare mediante mediatori biochimici. Il riassorbimento osseo si definisce di tipo orizzontale se il margine alveolare si sposta in direzione apicale, e di tipo verticale se esso si verifica nella compagine ossea,lungo la parete radicolare (in questo caso di parla di tasche infraossee). 31 ODONTOSTOMATOLOGIA Terminata la fase distruttiva di attività, la lesione torna quiescente, ma si possono avere ciclicamente nuove fasi di attività con perdita progressiva di attacco parodontale. Durante la fase quiescente si ha riparazione connettivale e neoformazione delle fibre transattali che delimitano apicalmente la tasca e l’infiltrato infiammatorio. Il trauma occlusale non si accompagna mai alla comparsa di una tasca, ma determina un processo di degenerazione ialina delle fibre parodontali e di riassorbimento osseo. Il riassorbimento osseo da trauma occlusale consiste in un processo di decalcificazione. Le lesioni sono solo parzialmente reversibili dopo l’eliminazione dell’infiammazione. All’Rx si manifesta con l’aspetto di un difetto osseo, non sondabile clinicamente. CLASSIFICAZIONE DELLE PARODONTITI Le parodontiti vengono classificate in: - Prepuberale; giovanile tra i 12 e i 19 anni; rapidamente progressiva 19-25 anni; adulti oltre i 40 anni; refrattario al trattamento; recidivante. Secondo vai qual è il criterio classificativo? Il criterio di classificazione è l’età! Questo potrebbe far pensare che la patologia paradontale sia una patologia dell’invecchiamento, come le altre articolazioni anche questa sia sensibile all’età che quindi invecchi come l’anca il ginocchio ecc...Ma non è così! Non è una patologia dell’invecchiamento. Noi facciamo una differenziazione in base all’età semplicemente perché è funzione del tempo di applicazione della causa patologica cioè dei batteri, più tempo ho i batteri più è la distruzione. Ruolo importante è dato dal sistema immunitario, che, non presenta variazioni età-correlate tali da innescare la malattia parodontale. Se manteniamo l’assenza di batteri, il sistema funziona tutta la vita, non è detto che tutti gli anziani debbano portare la dentiera ma solo in quelli in cui non viene trattata bene l’igiene. Quindi il sistema di protezione funziona bene tutta la vita, noi possiamo evitare di portare la dentiere possiamo evitare di andare incontro alla patologia paradentale se curiamo l’igiene. Se io ho i batteri tutti i giorni dell’anno e non mi lavo denti a 70 – 80 anni non avrò i denti. Nella patologia il sistema funziona bene, funziona tutto bene questa è la normalità. È nelle forme giovanili che il sistema non sta funzionando bene. SE IO MANTENGO UNA BUONA IGIENE ORALE IL SITEMA DURA TUTTA LA VITA!!! In passato si parlava anche di paradentosi, dove il suffisso -osi, come nell’artrosi, sta per degenerazione, ma non è così, ripeto, gli studi svedesi lo confermano: se manteniamo l’igiene, se facciamo terapia e evitiamo di creare una nicchia ecologica (tasca patologica) 32 ODONTOSTOMATOLOGIA che crea una pressione selettiva su questi batteri, cioè fa mancare l’ossigeno così si selezionano batteri, noi possiamo mantenere il nostro dente tutta la vita. In realtà la classificazione precedentemente illustrata non si usa più ma serve solo per esprimere quel concetto estremamente importante. Oggi lavoriamo con una classificazione molto più complessa. Anche la gengivite non viene più classificata come uno stato ma come malattia perché può persistere per sempre, il sito può anche non andare mai in contro ad erosione. La malattia paradontale è il dentellato di una sega in ascendete, quindi ha una fase di attività, di rapida distruzione, poi si ferma, recede un pochino quindi con una fase di quiescenza che dura un tempo indeterminato, poi ancora un picco e così via la malattia quindi procede per fasi di attività. Quindi più ravvicinate sono le fasi di attività più veloce è la malattia. Quindi qual è la differenza tra le varie forme del criterio classificativo (in base all’età)? L’eziologia è sempre data dai batteri ma la patogenesi è data dall’efficienza del sistema immunitario, se non ci sono batteri non c’è malattia. La differenza è data, quindi, dalla differente risposta del sistema immunitario e in pratica dov’è il difetto? Nelle Forme giovanili. Nella prepuberale vi è un deficit di adesione dei leucociti polimorfonucleati, che anche se richiamati non riescono ad aderire e quindi non riescono ad attraversare l’endotelio vasale, è una forma rarissima con 40 -50 casi nel mondo. L’insorgenza è molto precoce dopo l’eruzione della dentatura decidua (colpisce i decidui). Può manifestarsi in forma localizzata o generalizzata. La forma generalizzata colpisce i tessuti gengivali tumefatti, sanguinanti con presenza di recessioni. La perdita ossea è rapida e generalizzata; La parodontite giovanile (oggi definita aggressiva nell’altra classificazione, la nuova) è legata a un deficit di chemiotassi del polimorfo nucleati, non rispondono adeguatamente al richiamo per via della riduzione della gp110 (PM 11000) che è una proteina di membrana e che probabilmente corrisponde ad un recettore, quindi una diminuzione dei recettori, questo difetto nel 75% dei casi è imputabile ad un difetto ereditario, quindi è una patologia ereditaria! In realtà è una parodontite quasi mono-infettiva, dove l’agente biologico è Aggregatibacter actinomycetem comitans. Il fatto che è causato da un solo batterio è favorevole perché? Perché possiamo intervenire con una terapia mirata! È un coccobacillo gram negativo che vive bene in alta tensione di CO 2 , sopravvive bene in assenza così come in presenza di O 2 e questo dato è fondamentale perché? Quando questo agente viene trasmesso dalla madre al bambino per esempio non muore. Per spiegare questo bisogna aprire una parentesi sulla trasmissione e sull’insorgenza della forma adulta. Se noi trasmettiamo uno degli agenti eziologici delle forme adulte come Porphyromonas Gengivalis, che è un bacillo gram negativo anaerobio, su una mucosa normale, questo muore per la presenza di ossigeno. Quindi per favorire il suo attecchimento cosa dobbiamo avere? Ci deve essere questa famosa tasca cioè ci deve essere un punto in cui io non ho più il legamento paradontale ma ho una gengiva che è semplicemente appoggiata, quindi c’è come se avessi un buco profondo in cui man mano che mi porto 33 ODONTOSTOMATOLOGIA profondamente ho la diminuzione della tensione di O 2 , ecco perché la malattia è infettiva ma non contagiosa, se non c’è il sistema su cui può agire, il batterio che viene trasmesso muore e allora noi abbiamo bisogno della preparazione alla sopravvivenza con la stratificazione del batterio, il primo giorno si accumulano grampositivi facoltativi, poi gram negativi, poi bacilli gram positivi e gram negativi facoltativi poi quando il mio “sandwich” si sta formando nelle zone più profonde, l’O 2 comincia a mancare e quindi si forma l’ambiente per i gram- anaerobi stretti, nella cui categoria sono presenti tutti i responsabili della malattia paradontale nell’adulto; allora quando ho la malattia significa che non mi sono lavato i denti per molto tempo, i batteri stanno lì, si crea la tasca con basse tensioni di O 2 in profondità e i batteri non muoiono. Tornando alla giovanile, noi abbiamo il 75% dei casi la mamma oltre al passaggio di batteri passa al figlio una cosa più importante, ossia il difetto genetico di chemiotassi, poi con la prima pappina gli passa anche il batterio il quale non ha bisogno di preparazione e vive bene alle alte tensioni di ossigeno, è in grado di sviluppare tutta la malattia. Quindi il fatto che il batterio abbia la capacità di resistere alle alte tensioni di ossigeno è un dato importante perché ne evidenzia la facilità di insorgenza (associato al deficit) non solo, ha anche una caratteristica fondamentale il principale meccanismo patogenetico è la produzione di una leucotossina che distrugge i polimorfo nucleati, che già non si muovevano per il deficit, ma vengono appunto anche distrutti. Quindi abbiamo una doppia patogenesi ereditaria e ambientale. La malattia, abbiamo detto, progredisce per fasi di attività, più queste sono veloci, più è veloce la progressione della malattia che viene espressa in termini di legamento perso, è una misura lineare. Per sapere se la progressione è veloce o lenta noi ragioniamo in termini di perdita del legamento. La diagnosi è quindi tutta clinica e si basa sul legamento perso. Che è un concetto tridimensionale ma noi non possiamo misurarlo tridimensionalmente quindi scegliamo di misurarlo linearmente in determinati punti. E “da dove” lo andiamo a misurare? Lo misuriamo dalla giunzione amelocementizia cioè il punto di passaggio tra lo smalto e il cemento, che è un punto che possiamo sempre verificare, se noi incontriamo il pz più volte allora possiamo verificare la progressione della patologia ma se è il primo incontro, cioè per sapere quanto un pz ha perso nel momento in cui noi lo visitiamo dall’inizio della patologia ci possiamo chiedere, non avendo un confronto, da “quando” lo andiamo a misurare (come faccio il confronto)? Dall’eruzione dentale, quindi nel momento in cui lo misuro oggi gli misuro la quantità di distruzione che potrebbe aver avuto dal tempo 0, dall’inizio dell’eruzione dentale, quindi posso dire se sto misurando il primo molare di un soggetto che ha 50 anni, sto vedendo la distruzione che ha avuto quindi in 44-45 anni. Oppure ovviamente posso vederlo dopo 6 mesi o un anno e fare il differenziale. Questo mi da un’ idea sulla storia di questo soggetto, quanto ha perso negli anni, ma non ci dice cosa dobbiamo fare che invece ci è dato solo dalla tasca cioè dalla distanza tra il margine gengivale e il fondo della zona dov’è l’attacco. Con la sonda, ho 2 parametri per misurare: - la perdita di attacco: la distanza dalla giunzione amelocementizia fino all’attacco; 34 ODONTOSTOMATOLOGIA - profondità di sondaggio o di tasca: la distanza tra il margine gengivale e la punta della sonda. Fino a 3 mm di profondità di sondaggio i nostri sistemi di igiene orale (spazzolino, stuzzicadenti interdentali non quelli da tavola, filo interdentale e collutorio, nel caso del collutorio l’unica cosa che funziona è la clorexidina e i suoi derivati, tutto il resto non serve a niente solo che quello che non serve può essere usato sempre quello che serve realmente quindi la clorexidina non può essere usato sempre perché è un farmaco vero e proprio) tutto funziona fino a 3 mm di profondità, dopo 3 mm non arriva più niente, quindi i batteri crescono e man mano che ci approfondiamo diminuisce la tensione di O 2 e abbiamo una pressione selettiva per avere anaerobi in sede e la malattia va in progressione; ecco perché noi facciamo l’intervento chirurgico per modificare questa situazione, perché non ha senso fare un intervento contro i batteri. Si interviene quando si superano i 3 mm. Dobbiamo fare un qualcosa di chirurgico per riportare questa dimensione ai 3 mm; in particolare con innesto osseo e riduzione chirurgica. Lo scopo è di rimanere all’interno di questi famosi 3 mm. La parodontite rapidamente deostruente colpisce giovani e adulti tra i 15 e i 35 anni. È dovuta al notevole accumulo di fattori irritativi locali: presenza preponderante nella flora sottogengivale del bacterioides gingivalis e deficit funzionale dei PMN o dei monociti. Si ha una tumefazione infiammatoria, con sanguinamento e grave perdita ossea. I sintomi sono quelli della parodontite in fase avanzata. Presenta periodi di attività rapidamente evolutivi e frequenti. Dopo alcuni anni la malattia può rallentare il suo decorso assumendo quello di una parodontite cronica dell’adulto. La Parodontite cronica dell’adulto colpisce oltre i 35 anni ed è la forma più frequente, con lesioni a lenta evoluzione. La gravità della distruzione parodontale è proporzionata alla entità dei fattori irritativi presenti. Vi è la presenza di una flora parodontogena complessa. 35 ODONTOSTOMATOLOGIA La carie dentaria Struttura dell’elemento dentario I denti, oltre a realizzare la triturazione degli alimenti, intervengono nell’articolazione della parola e nel mantenimento dell’estetica facciale. Ogni elemento dentario è costituito dalla corona e dalla radice la quale è contenuta in una cavità ossea che prende il nome di alveolo. In particolare, vediamo che l’elemento dentario è costituito esternamente dallo smalto, quello che si vede quando si guarda la bocca di un soggetto, che è il tessuto più duro dell’organismo. Lo smalto copre un sistema tubulare che è la dentina. Questa a sua volta va a coprire la polpa proteggendola da quel processo di infiammazione che prende il nome di pulpite (a livello della polpa vi sono nervi che se infiammati danno il dolore di denti classico). La dentina è composta da una serie di canalicoli, detti anche tubuli dentinari, convergenti verso la polpa. La polpa (n°3 in figura), che è il tessuto di irrorazione e di innervazione del dente e dunque quello che causa il mal di denti, ha la stessa origine embrionaria della dentina; quindi da un punto di vista embrionario polpa e dentina hanno la stessa matrice. La natura ha fatto in modo che il tessuto giallo (la dentina) sia a protezione del tessuto rosso (la polpa, la quale è l’organo della sensibilità, ma che dà anche la nutrizione all’elemento dentario). Al punto 2 vedete indicata la gengiva; la gengiva è quella parte di mucosa masticatoria che ricopre il processo alveolare ed il colletto dei denti. Essa è costituito dalla gengiva libera o marginale e dalla gengiva aderente. La gengiva libera o marginale è estesa dal margine gengivale alla base del solco gengivale fisiologico; quella aderente va dalla base del solco gengivale fisiologico alla giunzione muco-gengivale. Inferiormente alla gengiva aderente per la mandibola e superiormente per la mascella vi è la mucosa alveolare. La gengiva libera circonda il dente senza esservi adesa; forma il solco gengivale fisiologico, ha un’altezza variabile da 0,5 a 2 mm, corrispondente alla profondità del solco gengivale; a livello interdentale dà luogo alla papilla. La gengiva aderente si estende dal fondo del solco alla linea muco-gengivale; è fissa, essendo adesa al cemento del colletto e all’osso alveolare sottostante; di colore rosa corallo e dal tipico aspetto a buccia d’arancia. 36 ODONTOSTOMATOLOGIA Il limite tra gengiva libera e gengiva aderente è rappresentato da fasci fibrosi che aderiscono al cemento del colletto. Di questi i più importanti sono: - Fasci circolari di Kölliker (c); - Fasci dentogengivali (a) (dal cemento alla gengiva marginale); - Fasci dentoperiostei (b) (dal cemento al periostio alveolare); - Fasci alveologengivali (dal mergine alveolare alla gengiva libera); - Fasci transeptali (d) (dal colletto al colletto dei denti contigui). Questa è la struttura del cosiddetto legamento del Kolliker, e la perdita di questo (sia nelle malattie parodontali che nelle patologie dell’elemento dentario) insieme alla perdita di osso determina l’abbassamento dell’osso parodontale, con la sensazione che il dente emerga, quando in realtà è il parodonto ad abbassarsi. Quando il parodonto non regge più il dente inizia a muoversi. Il solco gengivale fisiologico è uno spazio virtuale che separa il dente dalla gengiva marginale o libera, ha una profondità variabile da 0,5 a 2 mm circa che è pari all’altezza della gengiva marginale. È fondamentale che il medico capisca che la malattia parodontale rientra in quella che oggi viene chiamata periomedicina; vi faccio degli esempi: il malato paradontopatico ha la stessa quantità e qualità di batteri che alcune volte viene ritrovata, all’autopsia, nell’endocardio di alcuni pazienti, morti per patologia infartuale; la stessa qualità di batteri viene ritrovata a livello delle articolazioni, in quella che è la malattia reumatica; la stessa qualità di batteri, sto parlando sempre dello Streptococco β-emolitico, viene ritrovata a livello renale in quella che è la glomerulonefrite post-streptococcica. Tutto ciò significa che il paziente paradontopatico è un paziente che presenta dei rischi per il cardiologo, per il reumatologo, per il nefrologo; significa che il paziente con parodontopatia, se donna ha una possibilità in più di avere un parto prematuro, insieme ad altre condizioni. Quindi la gengiva per i medici è di grandissima importanza. Un’altra cosa molto importante, che costituisce l’elemento dentario è l’osso di sostegno alveolare, il quale viene ad essere distrutto dalla patologia parodontale; dalle gengiviti in poi la costante distruzione dell’osso determina un fenomeno che potrebbe essere spiegato come se avessimo un ombrellone all’interno della sabbia e che lentamente ci porta via la sabbia: otticamente voi avrete questi pazienti che hanno questo dente che sembra più lungo, ma in realtà non lo è. . .è quello che vi è attorno che viene ad essere distrutto dal 37 ODONTOSTOMATOLOGIA processo infiammatorio/infettivo; ed il processo infiammatorio/infettivo determina in progressione la perdita di stabilità dell’elemento dentario, perché la distruzione è progressiva e costante. Il dente, inoltre, è accolto dall’alveolo, che è costituito da 4 pareti e la malattia parodontale porta alla distruzione, selettiva o no, di 1, 2, 3, o anche 4 pareti ed è localizzata, non sempre generalizzata, cioè sito-specifica, vale a dire che può colpire alcune ed altre sono completamente sani. Il parodonto è costituito da osso alveolare, legamento alveolo-dentale, gengiva e cemento. Noi siamo soliti dividere il parodonto in: • • parodonto superficiale, costituito dalla gengiva; parodonto profondo, costituito da: legamento alveolo-dentale, cemento e osso alveolare e che vede anche l’apice radicolare . Ciò ha un significato, da un punto di vista patologico nelle parodontiti, patologie che si verificano allorquando si determini la morte della polpa all’interno della radice; distinguiamo le patologie parodontali in: gengivite e parodontite profonda (talvolta identificata, o addirittura confusa, con il sintomo di questa patologia: la piorrea, ovvero lo scorrimento del pus). Il dente è sostenuto dal legamento alveolo-dentario, questo legamento lega il dente alla parete ossea ed ha una funzione, cioè quella di dare un minimo di movimento al dente, che non è, quindi, in anchilosi dentaria; vi sarà capitato di giocare con i denti e sentire che si muovono, in realtà è una propriocezione (una sensazione) che si avverte, ma non è un movimento effettivo. La distruzione di questo legamento, comunque, è uguale alla distruzione dell’osso, cui è strettamente collegato, ma l’interessamento di questo legamento ha una grande importanza clinica, poiché essendo interessato in alcune patologie odontoiatriche, spesso il riscontro del suo coinvolgimento ci porta a fare diagnosi. Quando parliamo di denti mono- e pluri-radicolati, discutiamo del numero di radici: i denti del gruppo anteriore ne presentano quasi sempre 1, i denti del gruppo posteriore ne presentano 3 o 2. Questa è un’altra delle situazioni a cui voi dovete pensare se c’è malattia parodontale, perché, se c’è osso che sostiene, è ovvio che manterrà di più, nell’osso, una struttura pluri-radicolata, ad esempio con un tripode, piuttosto che una struttura mono-radicolata; quindi, se c’è perdita di osso sul molare diventa molto più grave poterlo recuperare proprio perché ci sono 3 radici da recuperare. I denti sono di due tipi: denti decidui e denti permanenti. La dentatura decidua è costituita nel complesso da 20 denti (dieci per arcata) così distinti: 8 incisivi, 4 canini e 8 molari (mancano i premolari e i denti del giudizio). La dentatura permanente è costituita invece da 32 denti, dei quali sedici inseriti negli alveoli del mascellare superiore e sedici negli alveoli del mascellare inferiore: i primi costituiscono l’arcata dentaria superiore e i secondi l’arcata dentaria inferiore. 38 ODONTOSTOMATOLOGIA DEFINIZIONE DI CARIE La carie dentaria è un processo patologico irreversibile ad eziologia multifattoriale, che provoca la distruzione dei tessuti duri del dente (smalto, dentina e cemento) con complicanze di ordine locale (pulpopatie, parodontiti) e generale (ad es. difficoltà nella fase cefalica della digestione con un paziente che non tritura i cibi ma che ingoia, con conseguente aerofagia e malassorbimento). Quindi, è una patologia dei tessuti duri del dente e la terapia è: eliminare la distruzione e mettere un materiale sostitutivo. La carie rappresenta insieme alla malattia parodontale una malattia ad altissima prevalenza in tutti i paesi occidentali,colpendo in alcune zone il 95% della popolazione. Risulta, pertanto, essere la malattia più diffusa nel mondo (a parte in svizzera dove il bambino è biondo, ricco e gli vengono applicate tutte le misure di prevenzione). È importante tenere presente che esiste un età critica intorno ai 7-8 anni (primo picco) e poi intorno agli 11-12 anni (secondo picco) con una dentatura di tipo misto difficile da spazzolare meccanicamente, da qui la necessità di fare dei programmi di ortodonzia atti a prevenire il processo. Il DMFT è un “Indice epidemiologico” usato per valutare l’intensità con cui la carie colpisce gli individui; il suo valore indica il numero complessivo di denti cariati (D), otturati (F) e mancanti (M) nel singolo paziente. Quando è maiuscolo è per i denti degli adulti (DMFT), mentre in minuscolo per quelli dei bambini (dmft). Talvolta, sono considerate come carie anche delle lesioni da abrasione meccanica dei denti, che il paziente stesso si provoca spazzolando i denti troppo forte; sono usure da 39 ODONTOSTOMATOLOGIA spazzolamento scorretto, a causa delle quali il paziente espone una zona che viene traumatizzata e che si consuma. Ad es., quelle che vengono definite colpi d’ascia sono lesioni da usura orizzontali del dente da spazzolamento. Se il paziente espone il cemento radicolare, il cemento radicolare non è abituato ad essere esposto ed è più facile che venga usurato e vada incontro a processi cariosi. È importante per voi medici capire quale sia l’agente eziologico e dove il medico può e deve intervenire per aiutare l’odontoiatra. Nello sviluppo del processo carioso entrano in gioco molti fattori importanti nei quali il medico può entrare che sono: l’alimentazione; la stimolazione all’igiene orale, alla educazione sanitaria, alla necessità di controlli periodici e di applicare i principi di profilassi. Fondamentale è, quindi, l’applicazione della prevenzione; bisogna mettere il paziente in condizione di seguire una metodologia di investigazione che di fatto abbassa di moltissimo i costi sanitari (una visita ha un costo rispetto ad una protesi di 30 euro Vs 1000 euro). Negli ultimi 10 anni si è osservata, nei paesi sviluppati, una netta diminuzione del processo carioso grazie a: - Programmi di prevenzione, basati sulla fluoroprofilassi sistemica e domiciliare; Uso su larga scala di antibiotici; Sviluppo di un’ immunità naturale nella popolazione verso microrganismi cariogeni. Quando discutiamo della carie è lampante che i paesi a basso sviluppo socio-culturale ed economico hanno un’incidenza di carie altissima. Fondamentali sono le abitudini: nel bambino tra i 6 e i 7 anni in cui nella alimentazione prevalgono: merendine, caramelline, nutella, coca-cola (questo in una classe sociale un po’ più alta) o semplicemente pane e pasta (come in una classe sociale un po’ più bassa) si è creato il presupposto per lo sviluppo di un agente patogeno, poiché il carboidrato è zucchero e lo zucchero favorisce il processo carioso. Se un elemento dentario è cariato l’elemento opponente ha una altissima possibilità di essere cariato anch’esso. Bisogna intervenire per limitare il processo carioso, già sotto l’aspetto alimentare, perché l’alimentazione con produzione di acidi è la base della malattia cariosa, attraverso la formazione della placca muco-batterica. La placca muco-batterica è gestita da un batterio che è lo Streptococcus Mutans, così chiamato poiché è capace di mutare; la sua caratteristica peculiare è la capacità di creare una organizzazione (placca) su un elemento dentario: una pellicola che richiamerà altri batteri. Si tratta di una membrana particolarmente poco permeabile, al di sotto della quale, quindi a contatto con lo smalto, ci sono dei batteri acidofili, che quindi abbassano il pH al di sotto di 5,5; ciò determinerà la dissoluzione dello smalto. La saliva che ha potere tampone non riesce ad arrivare in tempo per tamponare questa situazione di acidità e quindi si sviluppa il processo carioso. Mano mano che la placca cresce e prende il calcio dalla saliva, prende i batteri, prende le cellule di desquamazione e tutto ciò entra nella costituzione della placca che diventa calcifica. Diventa tartaro; ma sul tartaro si incolla nuova placca, quindi è un fenomeno costantemente crescente. 40 ODONTOSTOMATOLOGIA Teorie sulla carie Teoria chimica (Magitot, 1867) “La carie è determinata da sostanze acide (acido butirrico, acido citrico, acido maleico e acido lattico) originate dalla fermentazione enzimatica di residui alimentari presenti nel cavo orale.” Teoria chimico-parassitaria (Miller, 1892) “I germi acidogeni della flora batterica orale, in particolare i lattobacilli, fermentando i mono ed i disaccaridi presenti nei residui alimentari esistenti tra i denti, determinano la formazione di acido lattico con conseguente decalcificazione dei tessuti duri del dente” Teoria proteolitica (Gottlieb, 1947) “La carie è determinata dall’attività proteolitica dei germi che determina primariamente la dissoluzione della trama organica dello smalto (sostanza interprismatica) e della dentina, con conseguente crollo dell’impalcatura minerale del dente.” Teoria della proteolisi-chelazione (Gottlieb, 1947) “La carie è determinata dall’attività proteolitica dei germi che determina la scissione delle proteine contenute nello smalto e nella dentina in aminoacidi capaci di sottrarre il calcio ai tessuti minerali del dente, conducendo alla formazione di composti organici di calcio solubili nella saliva.” Teoria trofomicrobica (Beretta, 1927) “Accanto ai fattori locali chimico-batterici scatenanti, intervengono fattori legati alle condizioni generali dell’organismo i quali, per via umorale o neurovegetativa, determinano alterazioni strutturali degli odontoblasti e delle strutture smalto-dentinali che ne riducono la resistenza ai fattori cariogeni presenti nel cavo orale.” Teoria di Leimgruber ( 1952) “Lo smalto e la dentina costituiscono una barriera semipermeabile posta tra la saliva e la circolazione ematica. Alterazioni dell’equilibrio di tale sistema predispongono al processo carioso.” Teoria chimico-parassitaria (Black, 1900) “La carie è determinata da sostanze acide originate dalla fermentazione enzimatica dei residui alimentari, presenti nel cavo orale, ad opera di batteri acidogeni aggregati nella placca muco-batterica” 41 ODONTOSTOMATOLOGIA Fattori eziologici Per ottenere il successo finale nel trattamento della lesione cariosa è necessario conoscerne i fattori eziologici al fine di impostare corrette strategie preventive e terapeutiche. I principali fattori eziologici sono: - Dieta; Ospite; Flora cariogena. I principali Fattori generali predisponenti sono: - - - Alimentazione; Suscettibilità dell’ospite: Condizioni fisiologiche (gravidanza, allattamento) e stati patologici: disendocrinie (ipotiroidismo, malattie tiroidee), malattie infettive (morbillo, varicella e scarlattina nel bambino, encefaliti nell’adulto), stati carenziali (disvitaminosi nell’ambito di patologie sistemiche), tossicodipendenze; Alterazioni quali/quantitative della saliva: Bicarbonati (funzione tampone), Vischiosità (adesività batterica), Rapporto quota sierosa/mucosa, Attività immunitaria della saliva; Fattori costituzionali; Fattori ecologici; Fattori razziali; Sesso, Età, Razza; Fattori immunitari. Tra i principali Fattori eziologici predisponenti figura innanzitutto l’alimentazione. Una dieta ricca in carboidrati è un fattore predisponente l’insorgenza della carie in quanto fornisce ai batteri cariogeni un substrato metabolico fondamentale alla loro sopravvivenza ed alla produzione degli acidi organici, in particolare acido lattico, responsabili della demineralizzazione dello smalto. Bisogna evitare, pertanto: - Abbondante assunzione di carboidrati semplici più facilmente metabolizzati da batteri acidogeni; Cibi zuccherini di consistenza vischiosa (marmellata, caramelle,cioccolata); Assunzione degli stessi di frequente ed a brevi intervalli di tempo. Ciò, infatti, favorisce il sostentamento delle colonie batteriche. La curva di Stephan esprime le variazioni di pH della superficie dentaria al trascorrere del tempo dopo che il soggetto ha eseguito uno sciacquo di 1 min. con una soluzione 42 ODONTOSTOMATOLOGIA acquosa di saccarosio al 10%. Nel giro di 5 min. siamo sotto il pH critico dello smalto per la produzione di acidi organici da parte dei batteri cariogeni. Per quanto riguarda la Suscettibilità dell’ospite, bisogna individuare i soggetti che presentano un più elevato rischio nell’insorgenza della carie in relazione a vari fattori predisponenti. Tra questi vi sono quei soggetti che per motivi patologici presentano un’alterazione della funzione salivare. La valutazione della funzione salivare permette di determinare: - Diminuzione del flusso; Diminuzione del potere tampone. È attualmente il test diagnostico di più facile applicazione. I risultati ottenuti andranno, tuttavia, interpretati in relazione all’età e ai dati anamnestici del paziente. La valutazione della funzione salivare ha senso in relazione all’azione protettiva che esercita la saliva verso denti e mucose grazie al suo contenuto di: - Bicarbonati e fosfati: azione tampone; Lisozima: battericida; Lattoferrina: inibitore crescita batterica; Leucociti; Amilasi; Fattori del complemento (frazione C3 del complemento); IgA. Normalmente esiste una flora batterica che risiede a livello buccale e che se controllata riduce il rischio di sviluppo della carie. Esiste sicuramente una suscettibilità individuale che è legata ad una serie di fattori come fattori di tipo genico e ambientale come l’alimentazione. Anche la qualità dell’alimento è importante perché alimenti collosi che aderiscono alla superficie dei denti e più facilmente darà luogo alla carie. Oltre la flora batterica e la dieta per esempio ritroviamo come fattori predisponenti la fluorosi, le discromie da tetracicline, che alterano la struttura intima del dente, terapie con cortisonici, radioterapie, pazienti nefropatici che accumulano prodotti tossici. Quindi abbiamo una situazione da valutare in complessivo in maniera molto attenta. Un altro fattore predisponente per il sesso femminile è la gravidanza, che porta ad una maggiore mobilizzazione del calcio, soprattutto a livello dentario. Ciò non solo priva i denti di calcio ma aumenta l’escrezione di calcio salivare e dunque nella bocca della paziente c’è più calcio. Ciò favorisce lo sviluppo di alcune specie batteriche. Inoltre la donna in gravidanza ha un aumento degli estrogeni e dei progestinici che portano a neoangiogenesi anche a livello buccale che portano più sangue che favorisce il sanguinamento da spazzolamento, il che porta la paziente a lavare meno i denti. Inoltre gli estrogeni modificano la saliva che diventa più mucosa e appiccicaticcia per la presenza di mucoproteine. Questo tipo di saliva aderisce maggiormente all’elemento dentario e si forma la placca, ed essendoci più calcio si forma anche il tartaro e sul tartaro nuova 43 ODONTOSTOMATOLOGIA placca, e se hai minore spazzolamento per la vasodilatazione si sviluppa un grave processo carioso. Altro fattore di rischio è il diabete per l’angiopatia diabetica che colpisce il microcircolo con riduzione di afflusso ematico a livello gengivale il che lo mette a rischio sia della malattia parodontale ma anche del processo carioso. Quando parliamo di tossicodipendenza dobbiamo stare attenti all’eroina che distrugge i denti, mentre altre droghe non hanno lesioni caratteristiche. C’è da dire, però, che in genere si accompagna frequentemente alla tossicodipendenza scarsa igiene orale, bruxismo, elevata tolleranza al dolore ed elevata assunzione di zuccheri per contrastare la transitoria ipoglicemia conseguente allo stato di eccitazione dello psicofarmaco; ciò favorisce lo sviluppo di carie. Importante è sicuramente per il rischio di carie è la riduzione del flusso salivare che può essere dovuto a diverse cause, per esempio patologia renale, disidratazione, sindrome di Sjogren, calcolosi, radioterapia, che può portare a riduzione delle ghiandole salivari. Il flusso salivare è importante perché allontana il cibo dai denti. La riduzione del flusso salivare, determinando una riduzione dell’apporto dei fattori immunitari specifici ed aspecifici e dei bicarbonati, favorisce l’azione della placca muco batterica. Fattori scatenanti locali Nel cavo orale sono state identificate circa 50 specie batteriche diverse. Le forme coccoidi aerobie o facoltative presentano un’attitudine prevalentemente cariogena a differenza di quelle filamentose anaerobie ad attitudine prevalentemente parodontopatogena. Il principale microrganismo responsabile dei processi cariosi è lo Streptococco mutans. L’ecosistema orale è un ambiente in cui microrganismi diversi instaurano un rapporto simbiotico con l’organismo umano. In questo ambito occupano una nicchia specifica alcune specie in grado di colonizzare le superfici dentarie e capaci, quindi, di creare una comunità biologica complessa in continua evoluzione:la PLACCA BATTERICA. La Placca muco-batterica è un agglomerato di specie batteriche diverse riunite in una matrice organica che occupa lo spazio tra le singole cellule o tra micro colonie. Vogliamo pensare che questo agente patogeno è lo stesso che ritroviamo nella malattia parodontale e che le epoche di insorgenza sono diverse, ma la matrice con alcune differenze batteriche è, tutto sommato, comune. Allora pensiamo a questa tela che si posiziona sull’elemento dentario e che funge di fatto come una membrana semipermeabile, semipermeabile in senso lato, perché la saliva tutto sommato ha un potere tampone, ma non riesce a penetrare questo sistema, che è gestito dai batteri. La colonizzazione iniziale è data da cocchi Gram + e Gram –, aerobi facoltativi, ad azione cariogena. In particolare è lo Streptococco mutans a rivestire un ruolo fondamentale nella genesi della carie. La situazione che si sviluppa al di sotto della placca muco-batterica è tale che si sviluppa un ambiente acido. L’acido lattico che si sviluppa attacca la superficie dello smalto decalcificandola ed una volta che ciò è successo la saliva non riesce a tamponare queste 44 ODONTOSTOMATOLOGIA secrezioni. È su questa placca che noi proviamo a lavorare. Affinchè i batteri possano aderire allo smalto è necessario che producano la pellicola salivare acquisita, un biofilm lipoproteico che riveste smalto e mucose. Essa è conditio sine qua non per la formazione della placca batterica e ne rappresenta il primo stadio di stratificazione. È un sistema che una volta che è iniziato (inizia già 12 ore dopo la pulizia dei denti) continua ad essere presente e che deve essere tenuto sotto controllo attraverso la nostra igiene e i prodotti che usiamo. La situazione della placca è questa: tra tutti i batteri il mutans organizza la placca affinchè al di sotto di essa vi sia un pH di 5-5.5, che è un pH acido che inizia un’azione lesiva sul processo dentario che è l’incipit del processo carioso. Dunque l’erosione acida favorisce lo sviluppo della carie che prima attacca lo smalto e poi giunge alla dentina. Ma il paziente a volte con i denti cariati o non cariati, in una situazione fisiologica o parafisiologica, può avere mal di denti transitorio?? Si, quando vi è sbalzo di temperatura, come nella febbre, in situazioni ipercinetiche, e nelle donne, nel mestruo perché come abbiamo visto a causa degli aumenti di estrogeni e progestinici ciclici. L’iperemia porta la polpa a sbattere contro le superfici esterne per una transitoria dilatazione (la terapia consiste poi nell’aprire il tetto e togliere porzione superiore del nervo). Lo Streptoccocco mutans è definito mutans per le rapide variazioni di forma, è un Gram+, 8 diversi sierotipi (da A a H). Il mutans è in grado di fermentare numerosi substrati portando alla produzione di acidi organici; gli acidi organici prodotti dal metabolismo batterico, determinano un abbassamento del pH entro 1-3 min oltre il valore soglia dello smalto, 5.5, dando inizio alla sua demineralizzazione. È in grado di produrre, grazie all'azione della glucosiltrasferasi grandi quantità di polisaccaridi extracellulari definiti “glucani”, in cui il legame prevalente è di tipo 1-3; È il principale organizzatore della matrice extracellulare della placca muco-batterica; Fa la sua comparsa nel cavo orale solo con l’eruzione dei primi elementi dentari intorno al sesto mese di vita. Riesce ad aderire facilmente alla superficie smaltea, legandosi alla pellicola salivare acquisita. L’aderenza batterica sulla pellicola salivare acquisita, con particolare riferimento allo Streptococco mutans, avviene tramite legami elettrostatici tra le proteine della pellicola stessa (gruppi acilici) e la parete batterica (acido lipoteicoico, LTA) con interposizione di ioni Ca++. 45 ODONTOSTOMATOLOGIA La sequenza di eventi del processo carioso è la seguente: - - - la carie invade lo smalto fino a quando è intaccato solo lo smalto non c’è nessun tipo di sensibilità ed il paziente non ha dolore, perché non sono intaccate strutture nervose; nel momento in cui la carie passa all’interno della dentina, la dentina è composta da centinaia di piccoli tubuli che convergono tutti verso l’organo pulpare, ragion per cui i batteri del cavo orale (tenete presente che la bocca è la seconda, per numero di batteri, rispetto alle altre cavità dell’organismo) colonizzano i tubuli e poi passano, contro un gradiente di umidità, e si portano verso il processo pulpare; comincia la pulpite (infiammazione della polpa): i batteri vanno ad invadere la polpa gradualmente (in senso corono-apicale), coinvolgendo via via tutto il tessuto; nel momento in cui i batteri cominciano a toccare la polpa inizia la sensibilità; quindi questo passaggio comincia a dare quella stimolazione che è la stimolazione al caldo, al freddo, al pH che cambia mezz’ora dopo che abbiamo fatto una alimentazione normale ed abbassandosi il pH, con stimolo acido, si inizia a presentare all’interno del dente una sintomatologia: il classico mal di denti. L’interessamento della polpa, in corso di pulpite, crea la condizione di dolore. Esistono, però, anche degli stati fisiologici per cui possiamo avere un “finto mal di denti”, per così dire; questi sono i cosiddetti stati di iperemia pulpare (aumento del flusso ematico alla polpa), consequenziali ad un aumento della temperatura corporea, come nella febbre o nelle donne in corrispondenza del picco ovulatorio, per le variazioni estro-progestiniche. Bisogna, pertanto, sempre escludere queste possibili cause di “mal di denti finto”. Terminologia Come per le altre patologie, anche qui vi sono una serie di termini utilizzati per descrivere le singole varianti cliniche del processo cariogeno: - Carie primaria: insorge su una superficie integra; Recidiva cariosa: è una lesione che si presenta come riattivazione di una carie preesistente e non completamente asportata durante il trattamento conservativo; Carie secondaria: è una lesione che insorge a livello dei margini di una cavità precedentemente otturata; Carie rampante: quando in un paziente si osserva l’insorgenza di almeno dieci nuove lesioni nell’arco di 12 mesi. Carie dello smalto La lesione iniziale limitata allo spessore dello smalto, che non ha ancora determinato la formazione di una cavità. Esistono vari strati di distruzione dello smalto: a) Zona di distruzione; 46 ODONTOSTOMATOLOGIA b) Zona di invasione con smalto totalmente demineralizzato ricco di sostanza amorfa; c) Zona di invasione con smalto parzialmente demineralizzato con aumento degli spazi intercristallini riempiti di sostanza amorfa; d) Smalto indenne. Carie della dentina Rappresenta la naturale progressione della lesione iniziale che ha determinato la formazione di una cavità nello smalto e una lesione a livello dentinale. Gli strati di distruzione della dentina sono: a) b) c) d) Zona di distruzione; Zona di invasione; Zona di sclerosi tubulare; Zona di dentina apparentemente indenne. Carie del cemento A seguito di una recessione del margine gengivale si verifica l’esposizione del cemento radicolare ai fluidi orali e di conseguenza può andare incontro a carie. Classificazione delle lesioni cariose Esiste una scala di classificazione della carie: - D1: carie dello smalto limitata alla metà esterna; D2: carie che interessa l’intero spessore dello smalto; D3: carie che interessa la metà più esterna della dentina; D4: carie che interessa l’intero spessore di dentina e giunge in prossimità della polpa(pulpite). Tornando alla pulpite, sappiamo che il tessuto pulpare si porta verso l’apice radicolare. Questa struttura è collegata ad un nervo, alveolare superiore o inferiore , che è proprio per ogni emiarcata (il che consente un’anestesia localizzata). Questi nervi si dipartono dal ganglio di Gasser e, dunque, da questa struttura principale si diparte un nervo per emiarcata e da questo un nervo per ogni dente. Sulla base del decorso dei nervi alveolari superiori ed inferiori, possiamo dividere la bocca in 4 quadranti. Nella pulpite il dolore di riferimento segue questo percorso dei nervi alveolari ed abbiamo una zona di dolore non identificata dal paziente in modo preciso (anche perché spesso le fibre nervose si incrociano), ma genericamente a livello del quadrante; talvolta, se c’è interessamento 47 ODONTOSTOMATOLOGIA dell’emiarcata superiore, il paziente può riferire anche dolore nella regione temporale perché alcune fibre si dirigono verso il temporale. Nella patologia pulpitica, che è una nevralgia secondaria, quindi, non si riesce a discriminare la localizzazione precisa del dente che è interessato dal processo infiammatorio, a meno che non andiamo a stimolarlo con dei test (come il test di sottrazione di calore: stimoliamo fortemente il paziente sottraendo calore, in corrispondenza di un singolo elemento dentario; se quello è il dente interessato allora il paziente da un dolore di base avvertirà un dolore forte; se quello non è il dente interessato dal processo, il paziente avvertirà solo freddo). Tutte queste osservazioni sulla localizzazione del dolore sono importanti la diagnosi differenziale della nevralgia essenziale, che colpisce soggetti tra i 40 e i 60 anni, principalmente donne, con una sintomatologia della durata scarsa di un minuto, ma talmente intensa da condurre a tendenze suicide. Quindi è una sintomatologia molto intensa, che determina una serie di nevralgie secondarie, in cui il paziente riferisce solo un dolore diffuso. Un’altra diagnosi differenziale importante è con la patologia che segue una pulpite: dopo la carie, dopo la pulpite possiamo avere la parodontite apicale (la terza patologia di sequenza): la morte, la necrosi del tessuto pulpare e quando il dente è necrotico e stiamo andando verso l’ascesso, il dolore sarà localizzato al singolo elemento dentario (a questo punto il dentista ci dice che bisogna devitalizzare il dente). La diagnosi differenziale ci farà quindi orientare verso il trattamento: un dolore localizzato ci orienterà verso una terapia antibiotica ed antidolorifica; una pulpite ci orienterà verso un forte antidolorifico con l’aiuto di un antibiotico per ridurre la componente batterica; poco o nulla si dovrà fare in caso di iperemia. Quindi comprendete come la carie in un momento iniziale non ha sintomatologia, ma nel momento in cui ha un contatto con la dentina inizia la sintomatologia nevralgica, che poi evolve verso la morte cellulare; l’evoluzione e la sintomatologia, sono legati ad un dato molto banale. La carie per colpire il nervo può procedere o sfondando il dente dall’alto o dai lati, e l’evento può avvenire o in maniera traumatica o lentamente. Cosa interessa di più? Solchi, fessure e fossette ovvero i punti cario recettivi. Questo dente che è il VI esce ai bambini a 6 anni, quindi bisogna insegnare alle mamme che fino a 5 sono denti di latte, dal sesto in poi sono già denti definitivi. Per quelli che faranno pediatria, sappiate che i dentini davanti escono un po’ più linguali. Spieghiamo il perché: il meccanismo di eruzione di un dente è banale: sotto al dente da latte c’è il dente permanente; del dente permanente si costituisce prima la corona (rapidamente) e poi la radice. Questa si costituisce con un meccanismo che rispetto ad un piano è come se io aggiungessi una fettina per volta sotto; all’aggiunta di ogni nuova fettina, si consuma la radice del dente di latte, fino a quando quest’ultimo sarà solo poggiato sulla gengiva e dondolerà. Dopo di che cade il dente di latte, esangue o con quel 48 ODONTOSTOMATOLOGIA pochino di sangue della gengiva, e comincia ad uscire il dente sotto. Per quanto riguarda il gruppo di denti inferiori, nell’eruzione i dentini davanti di latte cadono perché si consuma la radice data la spinta in avanti della lingua ogni volta che il bambino ingoia e per l’insorgenza del dente sotto. Quindi i denti davanti inferiori definitivi non sono più dietro, sono quelli davanti che si stanno spostando in avanti! È fisiologico. Tornando al VI dentino, che esce a 6 anni, è quello più a rischio di carie, perché si mangia tutte le caramelle, le merendine, la coca-cola, ecc...tant’è che noi facciamo la profilassi con la sigillatura: ripuliamo questo solco, lo laviamo e poi mettiamo una resina sigillante, che trasforma un solco in una superficie liscia. Fondamentale è l’ANAMNESI; bisogna ascoltare il paziente. Poi l’E.O. per ricercare i segni clinici, che sono più importanti degli esami strumentali; bisogna guardare di una struttura dentaria ogni lato, ogni faccia. L’indagine strumentale nell’ambito dell’odontoiatria più importante è l’Rx (una radiografia di un processo carioso, che appare come un’area di distruzione). Esistono poi dei test salivari e microbiologici. Per la parte chirurgica: è fondamentale capire, quando dobbiamo operare, se il paziente abbia una patologia cardiovascolare; questo perché qualsiasi intervento io faccia nella bocca provocherà delle batteriemie transitoria, che può mettere a rischio il paziente; pertanto devo creare delle condizioni di tranquillità, abbattendo gli indici di placca e con antibioticoterapia: amoxicillina 3 g prima dell’intervento. Ma non è solo questo per il paziente cardiovascolare, poiché quest’ultimo, molto probabilmente, sarà in terapia anticoagulante e dunque a rischio di emorragia; bisogna pertanto valutare i tempi di coagulazione. A volte riesco ad avere un vantaggio nel trattamento della patologia parodontale se ho una serie di carie? Se io ho delle lesioni cariose, all’interno di queste lesioni cariose ci sono dei batteri; se io inizio un trattamento parodontale dove ho una infiammazione marginale sostenuta da un batterio, non necessariamente potrò fare tutte le otturazioni insieme, ma se ripulisco tutta la zona e metto delle otturazioni provvisorie, sono andato a ridurre la carica batterica, che è vicina al parodonto marginale, ed ho di fatto migliorato la situazione gengivale. Per la carie proviamo a fare una prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria consiste in una prevenzione del danno attuando: - Profilassi alimentare; Fluoro profilassi; Sigillatura dei solchi; Visite periodiche di controllo. Quindi, la prevenzione primaria è entrare nella comunità e fare passare un messaggio (l’educazione sanitaria che dicevamo prima); la secondaria è applicare un canone ad una popolazione più o meno estesa di soggetti; la terziaria è entrare nell’operatività (restaurare). 49 ODONTOSTOMATOLOGIA Il neonato non ha batteri nel cavo orale; il cavo orale viene colonizzato all’allattamento, per cui se la madre ha una patologia noi dobbiamo andare prima ad agire sulla madre. Quindi se volessimo applicare un canone di prevenzione secondaria sarebbe: lavorare sulla madre. L’ EPULIDE GRAVIDICA è un’iperplasia del tessuto connettivo della gengiva o del parodonto, in corrispondenza della quale si è formata una placca. La formazione dell’epulide dipende dal picco estro-progestinico ed è fondamentale che il ginecologo conosca questa possibilità. L’epulide può essere addirittura extraorale; si può procedere con la rimozione chirurgica che può lasciare scoperta la radice del dente (al massimo si può fare un piccola innesto), ma comunque successivamente avviene la ricostruzione del tessuto gengivale guidata dal “sostegno osseo-dentale”. Come possiamo per ridurre la placca? Utilizzando dei colluttori o gel con clorexidina e cloruri che hanno un’azione antibatterica (agiscono aumentando drammaticamente la permeabilità della membrana della streptococcus mutans); è comunque da tenere presente che la clorexidina non può essere usata per lungo tempo perché può dare come effetto collaterale la disgeusia (alterazione della percezione del gusto) e una disepitelizzazione della mucosa orale con glossite, gengivite, ulcere orali… L’igiene orale (con lo spazzolino, il dentifricio, il filo interdentale, il colluttorio) andrebbe seguito mezz’ora dopo ogni pasto ed è chiaro che se sommo all’azione dello spazzolino e del dentifricio quella del colluttorio il risultato sarà migliore: il colluttorio penetra nel solco gengivale e negli spazi interdentali ed inoltre, molti colluttori hanno all’interno l’esetidina una molecola ad attività anti-placca che si lega alle proteine salivari permanendo a lungo a livello della cavità orale. L’effetto sbiancante di un dentifricio è dato dalla pomice o dal bicarbonato. La differenza tra un buon dentifricio e un cattivo dentifricio dipende: • • da come vengono selezionate le particelle di bicarbonato da cui dipende il grado di abrasione del dentifricio: nei dentifrici di più bassa qualità abbiamo un controllo del prodotto scadente e quindi il dentifricio sarà poco standardizzato con particelle di bicarbonato di dimensioni diverse; abbiamo poi dentifrici di maggiore qualità, acquistabili in farmacia con uno specifico grado di abrasività e questo può essere di molta utilità: ad es. possiamo consigliare ad uno spazzolatore forte di acquistare un dentifricio con un grado di abrasività basso in modo tale da compensare l’azione usurante sullo smalto dentario data dallo spazzolamento; nei dentrifici di buona qualità abbiamo il fluoruro stannoso che è in grado di formare sui denti una pellicola che dura per un certo tempo; N.B: è importante tenere presente la fluorosi idrica una condizione caratterizzata da una colorazione anomala (giallastra, grigiastra) dei denti dovuta solitamente ad una assunzione di acqua troppo carica in fluoro; il fluoro durante il processo di istogenesi dei denti (0-14 anni) può depositarsi stabilmente nello smalto come fluorato e superando una certa soglia avremo l’alterazione della colorazione; nei bambini tra 0-14 per coadiuvare l’istogenesi dei denti definitivi diamo la compressina di fluoro (ma non 50 ODONTOSTOMATOLOGIA nei mesi estivi), ma se ci troviamo nella zona vesuviana essendo gli acquedotti privati e poco controllati potremmo avere un’acqua molto ricca in fluoro, che può, sommandosi al fluoro assunto con la compressa, far sforare di molto il bilancio Lo spazzolino elettrico è sicuramente utile perché entra negli spazi interdentali e da una maggiore pulizia (non bisogna esercitare una pressione di spazzolamento dato che può arrecare solo danni). Io devo tenere conto se il bambino abiti in una zona Vesuviana, perché in quella zona se c’è un aumento nella falda acquifera di fluoro io già sto in fluorosi e lo rovino per tutta la vita con una colorazione di denti che è inguardabile. In più devo fare attenzione se nella sua alimentazione c’è pesce azzurro, tonno, funghi, tutti ricchi in fluoro o all’acqua minerale che beve (ad es. il contenuto di fluoro nella Ferrarelle è molto aumentato; l’acqua minerale a minor contenuto in fluoro attualmente è la Lete). Comunque il fluoro è fondamentale, aiuta! Fluoro per via generale da 0 a 14 anni; dopo i 14 anni la somministrazione per via sistemica ad un ragazzo che abbia già costituito i denti non serve a nulla, ma serve la fluoroprofilassi topica con spazzolino, dentifricio, colluttorio. Per quanto riguarda la posologia di somministrazione: - lattanti, 0.25 mg/die; fino a 3 anni, 0.5 mg/die; dia 3 ai 12 anni, 1 mg/die, oltre i 2 mg/die c’è il rischio di fluorosi dentaria e la dose letale è di 35 ng/Kg. Prevenzione della carie Fluoro Azione antibatterica Inibisce le enolasi batteriche ed impedisce l’ingresso del glucosio nel soma batterico Inibizione adesione Sostituisce gli ioni Ca nel legame tra le glicoproteine salivari e i lipopolisaccaridi della parete batterica 51 Formazione Fluorapatite Un cristallo con un valore di pH critico più basso della idrossiapatite ODONTOSTOMATOLOGIA Il fluoro è presente anche nel tè, nelle alici, nelle sardine, anche alcuni tipi di sale sono fluorati, ecc. . . SIGILLATURA DEI SOLCHI Apertura e sigillatura, mediante una resina fluida, delle irregolarità superficiali dei molari più esposti a rischio di carie La sigillatura dei solchi consiste nel chiudere i solchi, con delle resine, per renderli facilmente detergibili. IGIENE ORALE Si prefigge l’allontanamento dal cavo orale degli agenti cariogeni locali, identificabili nella placca mucobatterica. Deve essere intesa sia come igiene orale domiciliare che necessita di una istruzione e motivazione del paziente, sia come igiene orale professionale, eseguendo periodiche ablazioni del tartaro (ogni 5-6 mesi) finalizzate all’allontanamento della placca mucobatterica e alla diagnosi precoce di eventuali lesioni. PROFILASSI ALIMENTARE Controllo e regolazione degli zuccheri inseriti nella dieta. È importante non tanto il controllo della quantità degli zuccheri, ma soprattutto il tipo di zuccheri, la frequenza di assunzione, lo stato fisico. Sicuramente da preferire sono i polisaccaridi rispetto ai mono e disaccaridi, limitando l’assunzione a determinati periodi della giornata, cercando di evitare l’assunzione di glucidi molto viscosi, difficili da allontanare soprattutto dalle irregolarità anatomiche (zone più soggette a carie). 52 ODONTOSTOMATOLOGIA FLUOROPROFILASSI Il fluoro agisce con più meccanismi: - Influenza sull’attività metabolica dei microorganismi della placca (inibizione dell’enolasi); Meccanismi di incorporazione del fluoro nella struttura dentaria. Durante la calcificazione dello smalto (somministrazione sistemica) con un meccanismo di inserzione, il fluoro si inserisce in maniera omogenea nella molecola di idrossiapatite formando la fluoro apatite. Nelle fasi tardive (somministrazione topica) con un meccanismo di sostituzione ionica viene incorporato in maniera non omogenea nella molecola SIGILLATURA DEI SOLCHI Apertura e sigillatura, mediante una resina fluida, delle irregolarità superficiali dei molari più esposti a rischio di carie. Rendiamo più piatta la superficie dei denti in modo che sia più detergibile. 53 ODONTOSTOMATOLOGIA PULPOPATIE Con il termine di pulpopatie vengono definiti tutti i processi infiammatori, regressivi e degenerativi che possono coinvolgere il tessuto pulpare, determinandone, nelle fasi terminali, la necrosi. I processi infiammatori o PULPITI hanno un’incidenza nettamente maggiore rispetto a quella dei processi regressivi e degenerativi. Il “dolore” in odontoiatria è legato all’infiammazione della polpa; l’infiammazione della polpa è detta pulpite. La polpa è costituita da un tessuto connettivo di tipo embrionale, riccamente innervato e vascolarizzato, con arteriole di tipo terminale e venule senza valvole, con uno scarso sistema linfatico di drenaggio; la polpa, inoltre, è racchiusa in una cavità rigida (camera pulpare e canale radicolare). Il tessuto pulpare può distinguersi in coronale ed apicale con la differenza che il primo è essenzialmente costituito da un tessuto connettivo cellulare con odontoblasti disposti perifericamente e poche fibre di collagene, mentre il secondo è più povero di cellule e più ricco di fibre. Tale diversa struttura, soprattutto relativamente alle fibre collagene, è da ascrivere alla necessità di assicurare un sostegno a vasi, nervi e linfatici. Tali caratteristiche anatomo-istologiche fanno si che il tessuto pulpare, quando aumenta di volume per l’iperemia e l’essudato legati al processo infiammatorio, non ha possibilità né di espansione né di drenaggio. I vasi pulpari vengono quindi compressi a livello del forame apicale, determinando un ridotto apporto ematico arteriolare ed una stasi del deflusso venulare, situazione questa che può condurre alla necrosi dell’organo. Noi abbiamo una problematica; il processo carioso supera lo smalto, entra nei tubuli dentinari, arriva fino alla polpa, i batteri arrivano fino alla polpa, e ciò complica questa situazione. Le pulpopatie possono essere complicanze di un processo carioso, anzi questa è l’evenienza più frequente. Quando il processo carioso ha raggiunto una certa estensione e profondità, i germi, o le loro tossine, possono invadere la polpa, tramite i tubuli dentinali, in una fase in cui la camera pulpare è ancora integra. Per questa ragione non si parla più di carie penetrante, ma di carie complicata, con una definizione di significato eminentemente clinico, essendo la pulpite l’espressione di tale complicanza, indipendentemente dall’esposizione della polpa nella cavità cariosa per la completa distruzione dei tessuti duri. Inoltre il termine carie penetrante è ingiustificato in quanto la carie si definisce come un processo distruttivo che interessa solo i tessuti duri del dente e che, pertanto, non penetra mai nel tessuto pulpare. La camera pulpare, cioè dove è il nervo, è praticamente chiusa, e il nervo è all’interno; il processo carioso può iniziare sopra, lateralmente, avanti, dietro e, quindi, di conseguenza, comincia ad aggredire la polpa centrale. Nel momento in cui questo si verifica con una componente batterica, tutti i nervi presentano l’edema, quindi l’infiammazione. Nel momento in cui si gonfiamo, perché l’edema aumenta, in realtà strozziamo il vaso e comprimiamo il nervo. Inizia a sbattere contro le pareti. Da qui la stimolazione al nervo è collegata al “cavo” principale e riguarda i 4 emilati della bocca. Quando abbiamo questo 54 ODONTOSTOMATOLOGIA tipo di dolore, esso segue il percorso del nervo, abbiamo una nevralgia secondaria. La nevralgia secondaria è diversa dalla nevralgia essenziale che è quella trigeminale. Ma una nevralgia secondaria a chi può venire? A tutti… C’è una fascia di età? No, perché ci vuole un processo carioso. Una nevralgia trigeminale viene a determinate fasce di età. Le caratteristiche fondamentali sono già nello screening del paziente. Donna / uomo = rapporto 2:1; età = quinta, sesta decade; caratteristiche del dolore = completamente differenti: dolore immediato, improvviso, insopportabile. In letteratura si trova la descrizione di pazienti che tentano il suicidio. La differenza tra un paziente che ha una nevralgia secondaria, il mal di denti, da uno che ha una nevralgia trigeminale è che il paziente che ha una nevralgia secondaria la notte, come lui mette la testa sul cuscino, aumenta la pressione sanguigna, quindi, aumenta il dolore. Per questo motivo il paziente preferisce stare in piedi. Quindi la notte ha dolore. Specialmente nei casi di pulpite sierosa acuta, Il paziente che ha una nevralgia essenziale non parla, non è un “logorroico” come quello della pulpite che spiega il suo problema, perché esistono delle “zone grilletto” (trigger zone) zone di stimolazione dove c’è l’emergenza del nervo, una sua superficializzazione; la mimica facciale da’ questo tipo di stimolazione e quindi fa avvertire il dolore. Quindi il paziente che ha una nevralgia trigeminale, che non è più di competenza odontoiatrica ma diventa un segno diagnostico, non parla nella paura che possa avvertire dolore. Quindi ricapitolando: la nevralgia secondaria può venire a tutti, perché è legata ad un mal di denti. Quello che ci interessa è capire cosa succede quando il processo carioso ci porta un’alterazione dello stato normale, si verifica un angioedema. L’angioedema, l’angioflogosi con angioedema, crea una situazione che in realtà è una situazione che inizia con la stimolazione dolorosa. Ma questa angioflogosi può essere determinata solamente dal processo carioso? O un paziente può avere denti assolutamente sani ed avere una angioflogosi secondaria? Si… a sbalzi di temperatura. Nella febbre, specialmente nel bambino, nel quale è un pò più alta, possiamo avere un processo di angioflogosi generalizzata, e quindi di conseguenza il bambino può avere anche questo. Questo significa che nel “momento febbre” il bambino avverte questa sintomatologia; questo può avvenire anche nella fase premestruale, nelle donne. Le pazienti possono avvertire un senso di fastidio, che poi diventa fisiologico, a tutti gli elementi dentali. Se il fenomeno rientra è tutto ok. Questa condizione è una iperemia pulpare che colpisce più denti contemporaneamente, legata a stati generali fisiologici o patologici dell’organismo, come appunto la febbre, la gravidanza e lo stato mestruale. Tali condizioni possono quindi essere accompagnate da algie dentali diffuse che scompaiono con il regredire della sintomatologia generale. L’iperemia pulpare può anche derivare da fattori locali su un solo dente. In generale l’iperemia pulpare rappresenta uno stato iniziale e reversibile della patologia pulpare. Essa può regredire o evolvere in pulpite conclamata a seconda 55 ODONTOSTOMATOLOGIA dell’intensità e della durata degli stimoli che l’hanno determinata. L’iperemia pulpare, caratterizzata da dilatazione delle arteriole e delle venule, con conseguente lieve aumento di volume della polpa, è accompagnata clinicamente da una reazione dolorosa di breve durata agli alimenti dolci ed alle variazioni termiche nel cavo orale. Ma se abbiamo la persistenza di fenomeni vascolari, abbiamo che la polpa va in espansione e, in una camera assolutamente compressa, quale è la camera pulpare, dove è il nervo, il paziente avverte dolore. Il dolore è di tipo nevralgico; il paziente che ha una nevralgia secondaria non sa quale è il dente che gli fa male, ragion per cui riferisce che è tutta la zona che gli fa male. In anatomia ci sono delle piccole differenze, delle possibilità di ramificazione dei nervi dei denti, per cui ci può essere la possibilità che un paziente dica “ mi fa male qui, ma anche un poco qua”; cioè il dolore può essere, per un fatto che viene detto “sinalgico”, anche diffuso in zone limitrofe. Quindi vi può riferire il dolore, anche se si tratta di un elemento dentario dell’arcata superiore, al parietale, al temporale. Queste sinalgie, che a volte non ti fanno capire bene se sono legate all’interconnessione del nervo, non ti fanno capire se tu realmente sei davanti ad un dolore completamente della parte di sotto o anche in parte dall’arcata superiore. Esistono dei tests che si fanno per discriminare la situazione e fanno capire quindi la problematica all’arcata superiore ed inferiore. Nel momento in cui noi abbiamo una nevralgia, quindi un dolore di base, esiste la possibilità che in questo dolore di base ci siano dei picchi dolorosi. Un picco doloroso può essere generato dallo sbalzo termico. Il caldo o il freddo, l’acqua calda o il brodo caldo, la pasta o qualche altra cosa che sia più fredda o più calda, possono dare una stimolazione su una nevralgia di base e dare un picco doloroso che acuisce il dolore. Questo è un dato assolutamente importante per noi quando discutiamo della pulpite sierosa acuta. L’iperemia pulpare rappresenta lo stadio iniziale ed irreversibile. È caratterizzata da dilatazione delle arteriole e delle venule. Tutto ciò determina un lieve aumento di volume della polpa. I principali sintomi sono: reazione dolorosa di breve durata conseguente a stimoli tattili, chimici e termici. Non vi è dolore spontaneo. La pulpite sierosa acuta è praticamente una pulpite che è sensibile al caldo e al freddo; se io do al paziente uno stimolo freddo egli ha dolore, allo stesso modo se metto uno stimolo caldo. Quindi ci sta un dolore di base e dei picchi di stimolazione. Questo nella pulpite sierosa acuta. La pulpite sierosa acuta è caratterizzata da iperemia vasale, formazione di microtrombi, fuoriuscita di essudato dai vasi e lieve infiltrazione leucocitaria. La prima fase è quindi quella della iperemia vasale attiva, in cui si ha una vasodilatazione del distretto arteriolare; l’aumento volumetrico del sangue nel distretto arteriolare provoca, in seguito all’aumento di pressione idrostatica, la trasudazione di un liquido povero in proteine. La rallentata circolazione induce un aumento della permeabilità del microcircolo con la formazione di un essudato nei tessuti extravascolari e “l’impacchettamento” degli eritrociti nei piccoli vasi, con aumento della viscosità del sangue e formazione di microtrombi. Si forma anche un infiltrato leucocitario. Come risultato di tutti i processi coinvolti si ha una riduzione dell’apporto di sangue arteriolare e del deflusso di quello venulare. La sintomatologia è 56 ODONTOSTOMATOLOGIA caratterizzata da un dolore di fondo, continuo, accentuato da fasi di riacutizzazione scatenate da stimoli termici e da stimoli chimici che ricordano le crisi dolorose della nevralgia essenziale del trigemino; nelle nevralgie essenziali del trigemino, però, la durata delle crisi dolorose è brevissima. La sintomatologia pulpitica persiste nel tempo anche oltre lo stimolo che l’ha determinata ed è tanto più intensa e durevole quanto più è diffuso il processo infiammatorio. Anche la posizione supina o uno sforzo, per l’iperemia che determinano a livello pulpare, possono scatenare l’ascesso doloroso. Il dolore pulpitico non è localizzato al dente, bensì diffuso a tutta la emiarcata corrispondente (nevralgia secondaria); più raramente il dolore è riferito alla emiarcata antagonista o addirittura alla emiarcata controlaterale (sinalgie dento-dentarie). Nei processi cariosi multipli è difficile identificare il dente pulpitico ma si ci può orientare tentando di definire l’irradiazione del dolore. Una irradiazione alla regione temporale indirizza verso i molari superiori; alla rocca petrosa verso i molari inferiori; alla regione sotto orbitaria verso i canini e gli incisivi superiori; al mento verso i canini e gli incisivi inferiori. Questo è un criterio orientativo perché vi possono anche essere delle sinalgie! Se l’evoluzione invece, all’interno di questa camera pulpare, chiusa, è legata ai batteri ed inizia un fenomeno degenerativo, cioè la polpa, il nervo, il vaso incominciano ad andare in necrosi, succede che i batteri incominciano a distruggere questo tipo di tessuto e quindi creano il presupposto di una purulenza. Passiamo quindi da una sierosa acuta ad una sieropurulenta. Iniziano cioè quelle fasi di costituzione di un preascesso con una sindrome che è ancora più compressiva all’interno del dente. Lo stimolo sieropurulento si attenua con il freddo ed invece con il caldo si accentua. Il paziente che ha questo tipo di processo è quello che arriva con la bottiglia di acqua fredda o che beve. La pulpite sierosa, per il progressivo aumento nell’essudato dei leucociti, può esitare in quella purulenta; l’essudato si raccoglie allora in piccoli ascessi disseminati che danno poi luogo ad una fusione totale della polpa. La dissoluzione del tessuto pulpare è determinata dagli enzimi proteolitici leucocitari e batterici. Tale distruzione tissutale viene facilitata dalla struttura reticolare della polpa, costituita da connettivo lasso e priva di fibre elastiche. La sintomatologia dolorosa, sempre con il carattere della nevralgia secondaria, diventa più intensa, continua e a carattere pulsante. Essa è accentuata dal caldo ed attenuata dal freddo, a differenza di quanto avviene nella forma sierosa, dove qualsiasi tipo di variazione termica accentua la sintomatologia dolorosa. Abbiamo detto che il dolore della nevralgia secondaria da pulpite sierosa acuta peggiora con il caldo e con il freddo; nella sieropurulenta migliora con il freddo e peggiora con il caldo, perché induce vasodilatazione. Quindi noi cominciamo a capire la possibile evoluzione di questo processo, perché quando si ha un processo sieropurulento, quindi questa situazione può potenzialmente peggiorare con una formazione ascessuale, dopo aver fatto un intervento tecnico si deve utilizzare un antibiotico per evitare una infezione secondaria che porterebbe il paziente ad avere un empiema. Dobbiamo stare attenti perché siamo in vicinanza del seno mascellare; dobbiamo imparare per cultura medica che i premolari e i molari superiori possono avere rapporti di continuità (cioè sono dentro) o contiguità (sono vicini) col seno mascellare. 57 ODONTOSTOMATOLOGIA Questo significa che una formazione ascessuale che si costituisce in uno di questi elementi determina un ascesso all’interno del seno mascellare che si chiama empiema; dall’empiema può nascere una situazione di tipo sinusale. Ma qual è la peculiarità di una sinusite odontogena rispetto ad una pan sinusite? La sinusite odontogena è localizzata e monolaterale. Se l’ascesso si costituisce in un seno mascellare, il mio essudato purulento esce da una sola narice. Il fatto che il processo è localizzato ad una sola narice mi determina il dato che praticamente la sinusite è monolaterale, se è monolaterale io devo poter pensare che c’è una infezione di un solo seno mascellare; quando il secreto è bilaterale io devo pensare che può essere una infiammazione abbastanza generalizzata. L’istologia è un pò diversa. Dalla infiammazione si arriva alla morte cellulare. Classificazione delle pulpiti 1. Polpa intatta non infiammata; 2. Polpa atrofica; 3. Pulpite acuta; 4. Pulpite in fase di transizione; 5. Pulpite cronica; 6. Pulpite cronica parziale; 7. Pulpite cronica parziale con necrosi; 8. Pulpite cronica totale; 9. Pulpite cronica totale con necrosi parziale; 10. Necrosi pulpare totale. Se io ho la polpa, e ho un insulto batterico dall’esterno perché ho la carie, è probabile che il primo pezzo possa andare in necrosi, il resto continua ad essere assolutamente valido. Mi trovo in una situazione in cui vi è una parzialità acuta e vado verso una cronicizzazione. Man mano che la necrosi aumenta, aumenta la mia possibilità di avere un elemento dentario che va verso la necrosi totale. Un altro dato è che alcuni denti hanno una sola radice, altri ne hanno tre, per cui a volte facendo i test di stimolazione, che poi sono gli stessi test che il paziente fa in maniera generalizzata, cioè il freddo, il caldo, lo stimolo elettrico, il paziente non avverte niente. Poi quando vai ad aprire il dente, arrivi su un molare e magari trovi un canale in necrosi ed il nervo all’interno in necrosi, mentre gli altri due sono vitali. Il paziente avverte un dolore come se il nervo fosse vivo. Questo è per capire che una cosa è la clinica, un’altra cosa è poi il fenomeno istologico che si verifica all’interno del dente. Questo diventa un importante elemento discriminante per la diagnosi ma allo stesso tempo vi deve far capire che quella di sopra è una classificazione di tipo clinico. Infine, anche le pulpiti possono diventare fenomeni cronici. Nella pulpite cronica ulcerosa si ha un’infiammazione cronica della polpa. Questa forma può essere primaria o secondaria a forma acuta. Si nota la presenza di uno strato necrotico sulla superficie 58 ODONTOSTOMATOLOGIA pulpare. La sintomatologia è attenuata, con leggera sensibilità al caldo e al freddo, con dolore alla masticazione. Nella pulpite cronica iperplastica, l’infiammazione cronica della polpa determina una reazione iperplastica, co la formazione di un piccolo bottone carnoso, sporgente, tipo polipo nella cavità cariosa. I sintomi sono dolore e sanguinamento alla masticazione. EZIOLOGIA DELLE DEGENERAZIONI PULPARI Cause naturali Cause iatrogene Malattia parodontale Preparazione a secco Carie Farmaci Usura Liners Trauma fisico Sottofondi Trauma occlusale Restauri provvisori Neoplasia Materiale da impronta Materiale da restauro Tutto ciò che sta nella colonna di sinistra crea delle problematiche sulla polpa. Vediamo che vi sono delle cause parodontali; immaginiamo il dente, io posso avere l’attacco carioso da solo ma posso anche avere problemi parodontali. Se io ho una distruzione dell’osso attorno al dente, io arrivo con la distruzione dell’osso, all’apice del dente. Il processo infettivo quindi non parte da sotto, ma può partire da sopra. Quando, in presenza di una parodontite marginale, la tasca parodontale ha raggiunto una profondità tale da essere vicina all’apice, i germi, diffondendo attraverso l’apice, possono aggredire la polpa per via retrograda, anche in assenza di un processo carioso. Nelle usure si può pensare ai pazienti che “bruxano”; un paziente che bruxa è un paziente che usura di continuo i suoi elementi dentali. Masticando si consumano gli elementi dentali, come chi cammina tanto e si usura le scarpe! Tra i fattori di tipo fisico possiamo ricordare differenti tipi di traumi. Ci sono i traumi propriamente detti in seguito a urti o cadute etc... Tale tipo di trauma può indurre una interruzione a livello apicale del fascio vascolo-nervoso con conseguente necrosi ischemica dell’elemento dentario. Poi vi sono i traumi da forze ortodontiche eccessive, infatti nella terapia ortodontica vanno sempre applicate forze controllate. Superate queste forze può essere compromessa la vitalità dell’elemento dentario interessato dalla terapia. In più, restauri scorretti o elementi dentari malposti, creando precontatti occlusali (trauma occlusale), possono traumatizzare la regione apicale di un dente, determinando lentamente la necrosi della polpa. 59 ODONTOSTOMATOLOGIA Alla fine vi sono i processi neoplastici. Le cause iatrogene sono tutte quelle che determina l’odontoiatra con i materiali che utilizza in bocca al paziente (uso di materiale da otturazione su denti vitali). il processo di degenerazione pulpare può essere parziale, può diventare totale, quando è parziale può diventare acuta e poi ha un fenomeno di riparazione, da acuta può diventare cronica e poi atrofica: è una possibilità molto “mista”. L’esito è il quadro di necrosi pulpare, distinta in tre tipi: - Coagulativa: per via dell’improvvisa ischemia si ha una rapida denaturazione delle proteine intercellulari che impedisce la lisi lisosomiale; Colliquativa: processi di autolisi da parte di enzimi proteolitici. Anche gli enzimi dei batteri contribuiscono alla necrosi; Gangrenosa: ischemia che determina necrosi, con sovra immissione di batteri anaerobi. Questa forma è asintomatica, il dente è necrotico, insensibile, di colore più scuro e rammollito. Evitiamo confusioni. A noi interessa che ci sia una nevralgia secondaria che ha un dolore di base, di fondo, che il paziente non localizza l’elemento dentario, che viene stimolato dal freddo e dal caldo e quindi, di conseguenza, è un dolore di tipo continuo: qui siamo alla fase sierosa. Nella fase sieropurulenta c’è una differente risposta al caldo e al freddo. Dopo la fase sieropurulenta vi è la possibilità della necrosi pulpare. La necrosi pulpare, in relazione all’agente eziologico ed alla modalità di insorgenza, può essere di tipo coagulativo, colliquativo o gangrenoso. La necrosi coagulativa della polpa può insorgere per una improvvisa ischemia, legata ad interruzione traumatica del fascio vascolo-nervoso, o per danno chimico o termico. La necrosi colliquativa, indotta principalmente da enzimi proteolitici, è caratterizzata da fenomeni di autolisi. Si verifica nella maggior parte delle necrosi batteriche, in quanto gli enzimi di origine batterica potenziano i fenomeni digestivi leucocitari. La necrosi gangrenosa, infine, è un tipo di necrosi ischemica modificata dall’azione dei batteri, soprattutto gli anaerobi. I germi che ne determinano l’insorgenza sono soprattutto streptococchi, stafilococchi, spirilli ed il bacillo perfrigens. La gangrena pulpare se non complicata è asintomatica. All’esame obiettivo si presenta un dente la cui polpa è necrotica, insensibile a stimoli termici o elettrici, di colore più scuro rispetto agli elementi dentari contigui. Nelle forme aperte, che sono le più frequenti, la polpa si presenta esposta, rammollita, di colore grigio e di odore fetido. La gangrena pulpare, anche se asintomatica, può improvvisamente complicarsi con una parodontite apicale acuta, determinando la sintomatologia caratteristica di quest’ultima. 60 ODONTOSTOMATOLOGIA Parodontiti “Parodonthos” è tutto quello che sta attorno al dente. Quindi, la parodontite è un processo infiammatorio localizzato al paradonto. Nel momento in cui c’è la necrosi pulpare, noi siamo passati a parlare di PARODONTITE APICALE. La parodontite apicale è il dente con la morte cellulare all’interno del canale, cioè il dente è necrotico ed il canale è pieno di batteri e di polpa in decomposizione. Quindi qualsiasi stimolo, il caldo, il freddo, sulla necrosi, è assolutamente nullo. Non si ha nessuna risposta. Manca la possibilità di avere degli stimoli perché il dente è morto. Quindi il presupposto fondamentale per la parodontite apicale è la necrosi pulpare. Abbiamo le parodontiti apicali e quelle marginali. Le parodontiti possono essere classificata anche in parodontiti endodontiche e marginali. Quelle endodontiche sono, quindi, conseguenza della necrosi pulpare, spesso localizzate in regione periapicale; le parodontiti marginali sono dovute ad accumulo di placca mucobatterica nel solco gengivale. Le parodontiti endodontiche sono spesso localizzate nella regione periapicale, mentre quelle marginali si identificano nella parodontite marginale o malattia parodontale la quale, determinata da accumulo di placca mucobatterica nel solco gengivale, progredisce in senso corono-apicale. La parodontite endodontica costituisce la complicanza della necrosi pulpare, conseguenza, a sua volta, della carie o di un trauma. La polpa necrotica, infatti, priva di reattività vitale, permette facilmente il passaggio dei batteri, e delle loro tossine, nel tessuto parodontale situato intorno all’apice dell’elemento dentario. Qui i germi trovano tessuto vitale che reagisce con un processo infiammatorio di difesa che può essere acuto o cronico. Si ritiene che nella maggior parte delle parodontiti endodontiche l’infezione sia polimicrobica con un’ampia varietà di batteri anaerobi facoltativi ed obbligati. Anche i fattori irritativi di tipo fisico-chimico, come la penetrazione oltre l’apice di strumenti canalari o di materiale da otturazione canalare, possono determinare una parodontite endodontica. La patologia infiammatoria del parodonto di origine endodontica riconosce, nella maggior parte dei casi, un iter patogenetico ben definito che ha come suo inizio la necrosi pulpare e la conseguente diffusione di batteri e tossine dai canali radicolari al parodonto. Notevole importanza nel determinismo delle alterazioni tissutali del periapice rivestono la natura, la quantità e la durata di esposizione ai fattori antigenici. Infatti una massiccia quantità di antigene o una esposizione prolungata possono determinare un danno dei tessuti periapicali più grave. I prodotti batterici, diffondendo nei tessuti parodontali, suscitano una risposta infiammatoria con una produzione di mediatori del riassorbimento osseo con deplezione della quota inorganica. Tra i prodotti batterici ritroviamo l’acido lipotecoico, i peptidoglicani ed i lipopolisaccaridi. I lipopolisaccaridi sono una componente strutturale 61 ODONTOSTOMATOLOGIA della superficie di membrana dei batteri gram - costituiti da una catena polisaccaridica, legata ad un core lipidico, che attiva il riassorbimento osseo. Se il processo è sopra, noi abbiamo l’infiltrazione dello smalto e la pulpite. Se il processo va avanti e va a colpire il nervo, mandandolo in necrosi, noi abbiamo la morte cellulare e quindi di conseguenza non è più il dente collegato, ma è solo l’elemento dentario ad avere una risposta. Questo significa che in questo caso il dolore è localizzato. Quindi il paziente con la parodontite apicale acuta può riferire quale è il dente che gli fa male, dice che non riesce a chiudere la bocca e appena tocca sopra a quel dente gli fa molto male. Questo perché i fenomeni infiammatori si sono spostati in questa zona e l’edema stira il legamento alveolo-dentario; stirando il legamento alveolo dentario, il paziente ha la sensazione che l’elemento dentario esca dall’alveolo. Quindi il paziente ha questo senso di precontatto che è assolutamente individuale. Il dentista va e non nota niente in bocca al paziente, non va a fare più dei test di stimolazione perché il dente è morto, cioè li fa ma ha una risposta negativa. Il test che il dentista fa è uno solo: prende il manico dello specchietto, va sull’elemento dentario, e ci batte sopra, il paziente sente dolore. In pratica il medico va a fare il movimento opposto di quello che il paziente avverte come estrusione. La sintomatologia della parodontite apicale acuta insorge con una sensazione di tensione locale a carico del parodonto apicale del dente la cui polpa è necrotica che, con l’evolversi del processo, da luogo ad un dolore localizzato, accentuato alla pressione verticale ed alla masticazione; successivamente lo stato di tensione parodontale, determinato dall’iperemia e dall’essudato ivi presente, fa sì che il dente venga sospinto leggermente fuori dall’alveolo, sintomo questo avvertito dal paziente, come un precontatto in occlusione, ma non rilevabile obiettivamente. Quindi nella parodontite apicale il dolore è localizzato e rispetto alla nevralgia, dove era generalizzato, il paziente indica l’elemento dentario che gli fa male; il caldo e il freddo non hanno nessuna rilevanza, ma la hanno in una fase avanzata della parodontite perché qui dentro ci sono i batteri e se i batteri non vengono circoscritti, e quindi il processo diffonde, l’unico tessuto vitale è l’osso. L’osso tende a reagire all’invasione batterica con la formazione di un granuloma. Nel granuloma le cellule di difesa arrivano e cercano di circoscrivere il processo. Poi c’è la produzione di istamina, arrivano i macrofagi etc... Si forma un granuloma aspecifico. Il granuloma, di per se, è il tentativo dell’organismo di bloccare un fenomeno, che è un fenomeno che dall’infiammazione passa verso un fatto più infettivo. Nel momento in cui ci sono i batteri ed il dente non ha più una difesa vitale, dalla polpa escono delle cellule infiammatorie che provano a fare la loro difesa, quando li è tutto morto l’unico tessuto che reagisce è l’osso. L’osso prova un attimo a circoscrivere il fenomeno. Quindi costituisce una prima linea di difesa, per il canale morto con i batteri dentro, che è di tipo granulomatoso. Il granuloma circoscrive la situazione, viene subito dopo l’edema. Nel momento in cui l’ha circoscritto se esistono, e questa è l’ipotesi, delle cellule che sono embrionarie, noi abbiamo delle cellule embrionarie che sono a diversi livelli. Questi vengono chiamati residui epiteliali del Malassez. Nel momento in cui il granuloma ingloba i residui epiteliali del Malassez, diventa un granuloma cistico, quindi ha una 62 ODONTOSTOMATOLOGIA tendenza a formare una situazione infiammatoria un pò più complessa. L’evoluzione del granuloma cistico è la cisti. La cisti poi diventa un fenomeno infiammatorio di tipo cronico organizzato. Quindi stiamo parlando delle cisti radicolari, radicolari perché sono legate alla radice. Hai una evoluzione: se l’evoluzione va verso la fase acuta si può avere edema, purulenza, ascesso; se si va verso la fase di cronicizzazione a volte il processo è silente ed hai il granuloma, il granuloma cistico e la cisti radicolare. Quindi si hanno due fasi: una fase che va verso l’acuto ed una fase che va verso il cronico. Il dente che presenta una struttura granulomatosa o presenta una struttura cistica ha alla base una sintomatologia dolorosa. La cisti si forma e sta la. La cisti è una neoformazione benigna a sviluppo endoosseo, che tende ad una crescita a spese dell’osso, e che è rivestita da una parete. L’interno della cisti è liquido; normalmente nelle cisti odontoiatriche si trova un liquido di colore giallo citrino, perché le cellule si sfaldano e liberano questi cristalli di colesterolo, di “colesterina” che entrano nella cisti. Se all’interno passa del sangue, la cisti diventa ematica; quando il sangue è in decomposizione non è mai di colore rosso, ma perlopiù marronastro, marrone scuro. E’ importante riuscire a pensare a dove si trova il dente e cosa ci sta vicino. Per cui se l’ascesso è localizzato all’arcata superiore, noi possiamo avere un empiema del seno mascellare, quindi il paziente comincerà a buttare pus dalla narice. Ma se l’ascesso è sugli elementi inferiori, vediamo situazioni che possono andare a secondo di come è localizzato l’ascesso e come è posizionato il dente, possono andare verso la lingua, verso la gola, perché queste sono le posizioni nello spazio. Invece per l’arcata superiore se l’ascesso c’è, soprattutto nel gruppo anteriore, il paziente si gonfia fin sotto l’occhio. Quindi pensate alla localizzazione e questa è la fase sieropurulenta. Se invece di per se la situazione è cronica, noi abbiamo la possibilità che si formi un granuloma, un granuloma cistico o una cisti radicolare, che è una neoformazione benigna a sviluppo endoosseo che tende alla cavitazione centrale, rivestita da una parete, al cui interno c’è un epitelio, con la possibilità di un liquido citrino e/o anche di tipo emorragico; abbiamo dato una genesi infiammatoria alla cisti. Anche un trauma può determinare la necrosi. Come si genera la necrosi? Dal vaso esce il globulo rosso, che nella emoglobina ha il ferro; il ferro viene preso dai batteri e da’ il solfuro ferrico che è una sostanza scura. Per questo motivo si ha la colorazione. Il fatto che il dente sia in necrosi determina la morte al suo interno e la reazione infiammatoria con quella che noi tecnicamente definiamo una perdita di 63 ODONTOSTOMATOLOGIA osso attorno alle radici. Nella immagine c’è una osteolisi peri e latero-radicolare, cioè attorno alla radice. Il canale appare più slargato. Carie e traumi determinano l’emorragia pulpare che da necrosi. L’incisivo di questo paziente è scuro, è necrotico. A questo punto si arriva alla morte cellulare ed il passaggio nei tubuli dentinali di tutti gli eritrociti. La cascata è questa: - rottura dei vasi sanguigni; globuli rossi nei tubuli dentinali; liberazione di emoglobina; liberazione di ferro; ferro + solfuro di idrogeno = solfuro di ferro; pigmentazione del dente. Fino a quando la carie è nello smalto non c’è problema, quando passa nella dentina inizia la sensibilità, quando si arriva alla polpa si inizia in senso degenerativo. Ricapitoliamo. Abbiamo la condizione alla base del dente e possiamo avere una evoluzione sierosa o sieropurulenta. Nel momento in cui abbiamo la parodontite acuta in fase sierosa il dolore è localizzato accentuato dalla pressione verticale, dalla masticazione e si avverte quello che è un precontatto soggettivo in occlusione. In una pulpite sierosa il paziente riferisce un dolore di tipo nevralgico, secondario e accentuato dal caldo e dl freddo; se fosse sieropurulenta, invece, il dolore sarebbe attenuato dal freddo e accentuato dal caldo. Se siamo invece davanti ad una parodontite sierosa acuta, il paziente riferisce dolore localizzato e precontatto soggettivo in occlusione. I test di stimolazione sono negativi. Questo senso di precontatto soggettivo dipende dallo stiramento del legamento alveolare. Ma c’è la possibilità di una evoluzione in fase purulenta. Nella fase purulenta la sintomatologia si presenta più intensa e di tipo pulsante. Se io ho la zona di osso che circoscrive il dente, il pus, i piociti tendono a degradare l’osso. Ora immaginiamo nello spessore della mandibola una certa degradazione dell’osso; mano mano che si ci sposta sul laterale si ha una determinata lesione. Se ho una lesione, nemmeno necessariamente molto estesa, ma che va in senso orizzontale, può arrivare sotto il periostio (che ha funzione di nutrizione e di innervazione dell’osso). Quando l’ascesso arriva sotto al periostio, quando la purulenza arriva sotto al periostio, il paziente ha dolore. Quella è la fase di massimo dolore quando si ha una purulenza, perché il periostio è innervato, per cui si ha una peculiarità: si ha la fase di massimo dolore e di minimo gonfiore. Cioè l’ascesso è localizzato in sede sottoperiostea ed il paziente avverte il massimo dolore ed ha il minimo del gonfiore. 64 ODONTOSTOMATOLOGIA L’ascesso erode il periostio, tecnicamente lo “cribra”. Nel momento in cui lo cribra, alla fase di massimo dolore e minimo dolore, segue la fase di minimo dolore e massimo gonfiore (non parliamo più di edema ma di essudato purulento). A seconda di come si localizza l’ascesso è possibile fare una diagnosi. Questo ci interessa anche per il dente del giudizio, perché a seconda di come è localizzato, si ci rende conto di come e dove va la parte ascessuale. Si da una iniziale terapia antibiotica; nelle infezioni odontoiatriche il male peggiore sono i gram negativi , anche se i gram positivi danno anche delle forme secondarie localizzate tipo le endocarditi. I microrganismi causa di parodontite apicale acuta sono: Streptococchi, stafilococchi, lactobacilli, actinomiceti, microrganismi anaerobi. Più che di guarigione con la terapia antibiotica si può parlare di riduzione della sintomatologia, il dente è morto. La terapia antibiotica che viene fatta va bene, però bisogna pensare che un paziente che ha dai 30 ai 40 anni ha già preso molte volte l’amoxicillina, e quindi magari prende amoxicillina ed acido clavulanico; ma bisogna fare una scelta che è elementare. Quando si utilizza un antibiotico bisogna avere il metro di valutazione della gravità della situazione rispetto alla terapia che si va a dare. È meglio una terapia più invasiva che risolve rapidamente il problema; una terapia per via orale impiega un pò più di tempo, rispetto ad una terapia per via iniettiva. Le evoluzione possibili di una parodontite apicale acuta sono le seguenti: - - - Il processo può guarire in seguito a terapia antibiotica; Il processo può cronicizzarsi; In rari casi la raccolta purulenta può drenarsi attraverso la camera pulpare o attraverso lo spazio parodontale; in questo ultimo caso il dente intorno a cui evolve il processo, per perdita progressiva delle sue connessioni con l’alveolo, diventa mobile; La raccolta purulenta può diffondere verso il periostio prima (ascesso sottoperiosteo) e verso i tessuti molli poi (ascesso sottomucoso e sottocutaneo), con formazione di eventuali ascessi e/o flemmoni perimascellari e perimandibolari. Il passaggio dalla fase di ascesso sottoperiosteo a quella di ascesso sottomucoso e/o sottocutaneo è avvertito dal paziente con un aumento della tumefazione (il massimo gonfiore) e con una netta diminuzione del dolore (minimo dolore) perché il pus, passato dal tessuto osseo ai tessuti molli, non è più sotto tensione come nella fase di ascesso sottoperiosteo in cui il dolore raggiunge la massima intensità (massimo dolore e minimo gonfiore); Diffusione del processo alle ossa mascellari con insorgenza di una osteomielite, evenienza questa molto più rara della precedente e legata ad una esaltata virulenza dei germi o ad una transitoria carenza dei poteri di difesa dell’organismo, consecutiva, ad esempio, a malattie esantematiche nell’età pediatrica. 65 ODONTOSTOMATOLOGIA Questo è il dato di evoluzione verso una parodontite che può essere sierosa o sieropurulenta. Se noi abbiamo una localizzazione all’arcata superiore può prendere le strade indicate in giallo. Se va verso il seno mascellare possiamo avere l’empiema. Se l’ascesso va verso il pavimento della lingua, abbiamo dei casi di patologie come l’angina di Ludwig, che porta ad un rapido ascesso al pavimento della lingua, che si alza, si porta verso dietro e il paziente muore per soffocamento. Toccandosi la mandibola si può vedere che è scavata, ha una doccia naturale che si ferma a livello dei due premolari dove c’è l’inserzione muscolare dei muscoli triangolare e quadrato del mento, che sono due muscoletti che bloccano la situazione ascessuale. Questa zona riguarda gli elementi che vanno dal secondo, o dal primo premolare, al terzo molare. Ricordare che quando l’ascesso ha “bucato” l’osso ed il periostio può andare nei tessuti sottomucosi. Se si sbaglia la terapia si ha gente con la fistola mucosa che si deve lasciare aperta. Questo si verifica in soggetti a cui hanno sbagliato la terapia o hanno lasciato qualcosa dentro o non hanno ben pulito la cavità. A volte abbiamo la PARODONTITE APICALE CRONICA (ab initio). La parodontite apicale acuta può evolvere, se si ha una risposta immunitaria più efficiente o dei germi meno virulenti, a parodontite apicale cronica. La necrosi, alcune volte, è probabilmente di tipo chimico, cioè l’odontoiatra aveva utilizzato chissà quali materiali e c’è la zona di osteolisi peri e latero radicolare. Con le radiografie 66 ODONTOSTOMATOLOGIA non bisogna mai buttarsi a dire ad esempio.. è una cisti. La definizione di una diagnosi esatta di cisti è legata prima di tutto al contorno molto netto ma è una diagnosi (granuloma, granuloma cistico e cisti) di tipo istologico. La clinica dice che c’è osteolisi peri e latero radicolare. Quando si individua l’osteolisi già si è fatta una parziale diagnosi clinica, ma dire granuloma, granuloma cistico o cisti è qualcosa di puramente istologico. Patogenesi Rispetto al processo infiammatorio acuto, le caratteristiche istologiche del processo cronico si rilevano nella proliferazione di elementi cellulari già presenti, quali i fibroblasti, le cellule dell’endotelio vascolare e gli istiociti. I monociti-macrofagi sono attratti nel sito infiammato da vari fattori chemiotattici tra i quali prodotti batterici, complemento e linfochine. Una volta attivati essi possono svolgere attività fagocitaria o indurre la stimolazione antigenica di cellule immunocompetenti, ricoprendo quindi un ruolo importante nella distruzione tissutale per la produzione di idrolasi lisosomiali, prostaglandine, citochine, quali TNF e IL-1, e numerosi altri enzimi. La presenza di linfociti T e B, di anticorpi delle varie classi e di frammenti del complemento C3 attestano che i prodotti del metabolismo batterico o di derivazione dei tessuti alterati dell’ospite sono in grado di provocare reazioni immunologiche sia umorali che cellulari nel parodonto apicale. Al processo flogistico partecipano anche cellule specifiche citotossiche. Macrofagi, linfociti, plasmacellule e fibroblasti arrivano per chemiotassi nel sito infiammatorio ed hanno attività fagocitaria, attivano un riassorbimento osteoclastico (prostaglandine) e organizzano un nuovo tessuto (granuloma apicale). La patologia periapicale cronica è caratterizzata da una elaborata riparazione delle cellule lese, con la proliferazione di un gran numero di nuovi fibroblasti dall’adiacente tessuto connettivo. Vengono elaborate anche nuove fibrille collagene e si formano nuovi vasi sanguigni che proliferano dalla vecchia rete vasale. I capillari si anastomizzano tra di loro formando un ampio letto vascolare. Questo tessuto che si viene a formare è definito tessuto di granulazione ed è formato da nuovi fibroblasti, fibre collagene, nuovi vasi sanguigni e cellule dell’infiammazione cronica. Si forma quindi il granuloma apicale che rappresenta la più tipica espressione della parodontite apicale cronica. Esso ha una forma rotondeggiante, circoscritta, e nella sua espansione determina un riassorbimento osseo. Il granuloma apicale tende a limitare la diffusione batterica e ha significato protettivo ma può portare a riassorbimento osseo. Il granuloma apicale, quindi, è un processo infiammatorio cronico a carattere produttivo; esso ha una forma rotondeggiante, è circoscritto e determina nel suo sviluppo un riassorbimento progressivo dell’osso alveolare periapicale. 67 ODONTOSTOMATOLOGIA Il granuloma apicale è tessuto fibroso giovane riccamente vascolarizzato in cui sono presenti plasmacellule, granulociti, linfociti e macrofagi; quasi costante è l’assenza di batteri anche se in alcuni casi rari sono stati riscontrati granulomi infetti. Con la presenza dei residui epiteliali del Malassez può evolvere a cisti radicolare attraverso una fase intermedia che viene definita granuloma cistico. Col granuloma si ha comunque una limitazione della diffusione batterica che viene così confinata nell’ambito del tessuto periapicale ed impedita dalla reazione immunitaria nella sua naturale evoluzione loco-regionale o sistemica. La sintomatologia della parodontite apicale cronica è quasi sempre completamente silente. Il dolore alla percussione ed alla masticazione è assente; in alcuni casi si può riscontrare una dolenzia alla pressione sulla parete vestibolare all’altezza dell’apice interessato dal processo flogistico. Il quadro radiografico è caratterizzato dalla presenza di una osteolisi circoscritta a contorni netti a carico dell’osso periapicale. Il quadro clinico della parodontite apicale cronica può mutare repentinamente per una riacutizzazione del processo che conduce ad una fusione purulenta del tessuto granulomatoso. Tale riacutizzazione, che spesso è determinata da una diminuzione dei poteri di difesa dell’organismo, può essere il primo sintomo di una parodontite apicale cronica la cui presenza in precedenza non era avvertita dal paziente. La possibilità evolutive del granuloma sono le seguenti: - Guarigione con restituito ad integrum previa terapia specialistica; Evoluzione fibrosa con formazione di un connettivo simile a quello cicatriziale previa terapia specialistica; Manifestazioni acute e subacute recidivanti (ascesso ricorrente); Evoluzione cistica: quest’ultima è una complicanza locale di un granuloma che abbia inglobato residui epiteliali. 68 ODONTOSTOMATOLOGIA Ascessi e flemmoni perimandibolari e perimascellari L’ascesso è una raccolta di pus in una cavità neoformata dalla stessa raccolta ascessuale; in cavità già formate (ad esempio nel seno mascellare), la raccolta purulenta prende il nome di empiema. Il flemmone è invece una infezione acuta purulenta dei connettivi che non ha alcuna tendenza alla limitazione. Le parodontiti apicali di tipo purulento rappresentano la causa più frequente degli ascessi e dei flemmoni. In un dente cariato la polpa, finchè conserva la sua vitalità anche se in stato di flogosi, rappresenta una barriera biologica alla penetrazione dei germi in profondità grazie ai suoi poteri di difesa vitale. Se si interviene tardi, il tessuto pulpare va incontro a necrosi settica diventando un punto in cui agiscono i germi, i quali possono diffondere lungo il canale radicolare e dar luogo ad una parodontite apicale prima sierosa e poi purulenta. La raccolta purulenta, inizialmente circoscritta al tessuto osseo spongioso periapicale, diffonde poi fino al periostio che, privato della sua vascolarizzazione per microemboli settici provenienti dal processo infiammatorio, va in necrosi parcellare, permettendo la progressione della raccolta nei tessuti molli. Il pus può drenarsi verso la cavità sinusale (1), verso la mucosa palatina (2), verso i legamenti parodontali (3), verso il fornice vestibolare (4), verso la cute (5). Possibili vie di diffusione di una parodontite apicale purulenta alla mascella superiore e alla mandibola. 1) nel seno mascellare (empiema); 2)verso la mucosa palatina (ascesso palatino); 3) verso la mucosa gengivale ed il fornice (ascesso sottomucoso); 4) verso la guancia (ascesso sottocutaneo); 5) verso la gengiva linguale (ascesso sottomucoso); 6)verso il pavimento della bocca al di sopra del muscolo miloioideo (ascesso del pavimento sopramiloioideo); 7) verso il pavimento della bocca ed al di sotto del muscolo miloioideo (ascesso del pavimento sottomiloioideo o ascesso sopraioideo centrale); 8 & 9) verso la cute che ricopre la faccia esterna della mandibola (ascesso sottocutaneo); 10) verso la mucosa gengivale ed il fornice (ascesso sottomucoso). La progressione della raccolta purulenta oltre il periostio è segnata da una riduzione della 69 ODONTOSTOMATOLOGIA sintomatologia dolorosa L’Angina di Ludwing è data dall’interessamento del processo suppurativo a più logge monolateralmente o bilateralmente (che sono in stretti rapporti di contiguità tra loro). Tutto il pavimento orale viene interessato. Si può notare una tumefazione diffusa della regione sopraioidea e del pavimento orale con protrusione della lingua tra le due arcate dentarie ed intensa sintomatologia dolorosa alla deglutizione e alla masticazione. Vi è un’intensa sintomatologia generale con febbre alta, polso frequente e torpore psichico. Si possono avere delle complicazioni come le polmoniti ab ingestis se il materiale si butta nelle vie respiratorie. Infine, non vanno ignorate le complicanze dei flemmoni perimascellari. Le complicanze possono essere dovute a: - particolare virulenza dei germi; carenza nei poteri di difesa dell’organismo; scarsa sensibilità dei germi agli antibiotici. Le principali complicanze sono: - tromboflebite della vena facciale anteriore; flebite del plesso pterigoideo; flebite del tronco tireolinguofacciale (secondaria a flebite del plesso pterigoideo); setticemia; setticopiemia (localizzazioni secondarie in corso di setticemia). 70 ODONTOSTOMATOLOGIA OSTEOMIELITI DEI MASCELLARI Sono malattie infiammatorie dello scheletro maxillofacciale. Molta attenzione alla terminologia, infatti distinguiamo: - Osteiti: localizzate nei canali vascolari della corticale e negli spazi midollari adiacenti; Osteomieliti: localizzazione prevalente al midollo osseo (con necrosi ossea); Periostiti: coinvolgono il periostio; Osteoperiostite: coinvolgono il periostio e gli strati più esterni della corticale Le cause possono essere suddivise in: - Specifiche; Aspecifiche. Le Osteomieliti Specifiche sono lesioni osteolitiche dovute a: - tubercolosi ossea; lue; actinomicosi. Le Osteomieliti aspecifiche sono provocate da germi piogeni che possono infettare la struttura ossea per via ematogena, per esposizione o per contiguità. Inoltre possono essere dovute a insulti fisico-chimici sull’osso. Da un punto di vista anatomo-patologico si ha una compromissione dei vasi sottoperiostei per diffusione dell’infezione, con ischemia responsabile di necrosi di aree di ampiezza variabile definite sequestri. I sequestri col tempo si separano dalle restanti strutture ossee cosi da formare corpi estranei liberi che vengono successivamente eliminati. Nell’osteomielite cronica si verifica l’equilibrio tra risposte infiammatorie lesive e risposte reattive e riparative dell’osso: l’attività osteoblastica, derivante soprattutto dal periostio, elabora nuovo osso sub periosteo (involucro) che racchiude e circonda interamente in focolaio infiammatorio. Inoltre nella cavità midollare si verifica una deposizione ossea di considerevole entità attorno al focolaio infettivo che si traduce in un’aumentata densità e sclerosi dell’osso. Clinicamente distinguiamo: - osteomielite acuta di origine dentaria o per contiguità; osteomieliti croniche di origine dentaria; osteomielite per propagazione dei germi dai tessuti molli; osteomielite ematogena; osteomielite da agenti fisici (da radioterapia per neoplasie; con ulcerazione dei tessuti molli); osteomielite da agenti chimici (intossicazione da zolfo e fosforo). 71 ODONTOSTOMATOLOGIA Nell’Osteomielite acuta di origine dentaria o per contiguità, il processo osteomielitico esordisce come una parodontite apicale acuta purulenta quando ha raggiunto una certa estensione porta a trombosi dei vasi con sequestri. I Sintomi sono: aggravamento della sintomatologia della parodontite apicale purulenta con febbre alta, dolori continui di tipo trafittivo, rapida tumefazione delle parti molli perimascellari, mobilità dei denti sovrastanti il focolaio. La presenza del segmento osseo necrotico in via di demarcazione determina una stimolazione del periostio, che reagisce ispessendosi lentamente e formando la cosiddetta “cassa da morto”(tessuto osseo necrotico delimitato da un tessuto di granulazione infetto) perforata da numerosi orifizi fistolosi attraverso i quali l’essudato purulento si drena all’esterno. La terapia contempla: - antibiotico, che riduce la formazione dei sequestri; Poi drenaggio del pus; Quando si verifica la demarcazione (evidenziata radiograficamente come una netta delimitazione dell’osso necrotico da quello sano) si effettua la sequestrectomia; courettage della cavità residua onde allontanare il tessuto di granulazione infetto. Con il tempo si avrà il riempimento della cavità residua ad opera di tessuto fibroso che poi si trasforma per metaplasia in tessuto osseo. Nelle Osteomieliti croniche di origine dentaria distinguiamo due forme: una forma rarefacente e una ossificante. Nella forma rarefacente la sintomatologia è simile, ma più estesa della parodontite apicale cronica, con la presenza di uno o più denti necrotici e dolenzia. All’Rx di nota la rarefazione ossea diffusa a margini irregolari. La terapia prevede l’asportazione dell’osso malato e revisione strumentale della cavità. Nella forma ossificante si ha una lenta neoformazione di tessuto osseo eburneo intorno alle radici dei denti necrotici. Si riscontra all’Rx zone ossee di aspetto compatto in cui è scomparsa la normale trabecolatura a discapito degli spazi midollari che vengono ridotti. La terapia prevede l’estrazione del dente e dei tessuti necrotici. In alcuni casi le due forme si alternano in focolai differenti. L’osteomielite per propagazione dei germi dai tessuti molli si verifica in seguito a fratture con esposizione dei frammenti, per propagazione del processo infettivo da ascessi e flemmoni perimascellari, a carico dell’osso alveolare (alveolite postestrazione dentaria). In questo caso la gengiva che circonda l’alveolo si presenta arrossata e la cavità alveolare è occupata da un coagulo grigiastro, di odore fetido. La terapia (della forma postestrattiva) prevede: - antibiotici per via generale; rimozione del coagulo infetto; 72 ODONTOSTOMATOLOGIA - disinfezione dell’alveolo con acqua ossigenata. Nella Osteomielite ematogena i germi sono presenti nel torrente ematico. L’insorgenza è improvvisa con: - febbre; dolore trafittivo localizzato al segmento mascellare interessato; tumefazione delle parti molli perimascellari; mobilità degli elementi dentari della regione colpita. 73 ODONTOSTOMATOLOGIA SINUSITI MASCELLARI Il Seno mascellare è in continuità anatomica con fosse nasali (meato medio) ed in contiguità (tramite sottile diaframma osseo) con le regioni apicali di primo e secondo molare e secondo premolare. I germi responsabili di sinusite possono venire da: - Dalle fosse nasali; Dal parodonto apicale dei denti; Direttamente dall’esterno in seguito a traumi. Si distinguono sinusiti mascellari: - di origine dentaria; di origine nasale; di origine ematica (in corso di malattie infettive); in seguito a traumi; in seguito ad osteomieliti del mascellare superiore. Le Sinusiti mascellari di origine dentaria riconoscono diverse origini: - parodontiti apicali del primo o secondo molare e del secondo premolare acute o croniche; parodontopatie profonde che di propagano al parodonto apicale; penetrazione nel seno di frammenti radicolari infetti in corso di una avulsione dentaria; complicata da frattura radicolare. Una raccolta purulenta periapicale comporta l’interessamento osteitico del diaframma osseo presente tra apice radicolare e seno, con successivo interessamento della mucosa sinusale, oppure coinvolge quest’ultima direttamente, se le radici contraggono con essa rapporti di continuità. L’interessamento del seno inizia con l’insorgenza di un empiema (semplice presenza nell’antro della raccolta purulenta) poi successivamente la mucosa sinusale partecipa anche essa al processo infiammatorio (sinusite mascellare vera e propria). Le Sinusiti mascellari di origine nasale sono di solito di origine virale (stessi agenti eziologici di rinite acuta). Generalmente si verifica il contemporaneo interessamento di tutte le cavità paranasali. I sintomi principali sono: - Dolore sordo limitato alla radice del naso, esacerbato dalla compressione in corrispondenza dell’osso lacrimale (punto di Grunwald); Può associarsi cefalea frontale o cefalea diffusa; Fotofobia; Torpore intellettuale; Febbre. 74 ODONTOSTOMATOLOGIA La Sinusite di origine ematica è dovuta a localizzazione ematogena di germi nel seno mascellare in corso di malattie infettive. Le Sinusiti mascellari da traumi sono dovute a traumi che interessano la fossa canina con esposizione ed infezione del seno. I quadri clinici sono: - Forma acuta; Forma cronica. SINUSITI ACUTE La forma Catarrale è di origine nasale, con congestione della mucosa, diapedesi, edema, ipersecrezione ghiandolare. La forma muco purulenta è di origine sia nasale che dentaria. Si nota il notevole aumento di leucociti nell’essudato. Nelle sinusiti, per l’ostacolo o la difficoltà al transito dell’aria causato dalle secrezioni o raccolte, aumenta la tensione dell’anidride carbonica: questa inibisce la fagocitosi e l’ambiente acido favorisce la disintegrazione dei granulociti venendo così compromessi i meccanismi locali di difesa. La sintomatologia è viva, dolorosa, accentuata dalla pressione sulla fossa canina e localizzata ai denti superiori che in seguito diffonde a tutto il mascellare interessato. Vi è febbre, cefalea, secrezione mucopurulenta dal naso, che può cessare se la mucosa tumefatta occlude l’ostium ad antrum. Per la Diagnostica, con l’esame rinoscopico anteriore possiamo valutare la presenza del Segno di Flishmann: presenza di pus nel meato medio e sul cornetto inferiore con eversione della mucosa dell’ostium ad antrum. Un altro esame utile è l’esame diafanoscopico (o transilluminazione): si esegue introducendo nella bocca del pz uno strumento composto da un manico alla cui estremità vi è una fonte luminosa protetta. L’esame va eseguito all’oscuro e il pz deve chiudere la bocca accostando bene le labbra. Si ricava un’immagine caratteristica, detta spettro di Heryng, dovuta all’aria contenuta nei seni mascellari: è costituita da due aree luminose bilaterali situate l’una ai lati della radice del naso, in corrispondenza della fossa canina,l’altra a livello delle palpebre inferiori. Il Segno di Davidson è la luminosità del bulbo oculare evidenziabile attraverso le pupille. Il Segno di Garel si ricerca invitando il pz a chiudere gli occhi e avverte una vaga sensazione soggettiva di luminosità. L’intensità della transilluminazione varia in rapporto alle variazioni di spessore delle strutture che i raggi debbono attraversare: quando il seno mascellare di un lato presenta un ispessimento della mucosa che lo riveste o è occupato da secrezione, la sua transilluminazione si riduce nei confronti del seno controlaterale sino a scomparire. All’esame radiografico si riscontra un’opacità parziale o totale del seno malato rispetto a quello sano. È possibile effettuare una puntura diameatica (per drenaggio) oppure un esame ecografico. 75 ODONTOSTOMATOLOGIA La Terapia generale prevede la somministrazione di antibiotici ed antinfiammatori e terapia locale. Se di origine nasale si può effettuare un drenaggio con nebulizzazione attraverso il naso e applicazione di antibiotici. Se è di origine dentaria si effettua un trattamento antibiotico e antinfiammatorio di alcuni giorni, poi estrazione del dente necrotico e drenaggio transalveolare. SINUSITI CRONICHE Una sinusite cronica può essere dovuta: - Mancata terapia della forma acuta; Riniti croniche; Penetrazione di un apice necrotico, nel corso di una avulsione dentaria a carico degli elementi posteriorsuperiori, per frattura radicolare; Malformazioni anatomiche del seno che rendono difficile il drenaggio della normale secrezione mucosa. I sintomi sono dolore attenuato sia spontaneo che provocato dalla pressione della fossa canina con secrezione mucopurulenta dal naso. La Diagnostica prevede esame rinoscopico anteriore con pus nel meato inferiore, nel meato medio e sul cornetto inferiore, con formazioni polipoidi che sporgono dal cavo sinusale attraverso l’ostium. L’esame Rx mostra un opacamente diffuso, mentre l’esame diafanoscopico o trans illuminazione si mostra un opacamente diffuso. La Terapia è generale con antibiotici, mentre quella locale, per le forme di origine dentaria si procede all’avulsione del dente responsabile e al drenaggio transalveolare ed instillazione di antibiotici in loco. Se si rivela insufficiente si applica una metodica che permetta un’ampia apertura del seno ed un trattamento chirurgico radicale per via nasale o per via orale. L’intervento di Caldwell-Luc è una tecnica di elezione nella terapia radicale delle sinusiti mascellari croniche in anestesia locoregionale. Si pratica un’incisione orizzontale della mucosa del fornice gengivale dalla regione apicale dell’incisivo laterale alla regione apicale del secondo molare. Divaricati i lembi della ferita si apre il seno e se ne asporta la parete anterolaterale. Si procede all’asportazione del tessuto granulomatoso e delle formazioni polipoidi e si abbatte anteriormente il setto osseo nasosinusale e la testa del turbinato inferiore, in modo da determinare un’ampia controapertura verso la coana. Si incide la mucosa, che rivestiva la parete ossea abbattuta creando un lembo che viene ribattuto sul pavimento del seno. Si tampona con uno zaffo di garza drenando con un tubicino e si chiude la breccia operatoria orale con punti staccati. 76 ODONTOSTOMATOLOGIA CISTI DI ORIGINE DENTARIA Le cisti sono neoformazioni benigne a sviluppo endoosseo che tendono alla cavitazione centrale. L’interno è costituito da tessuto epiteliale, mentre l’esterno è formato da tessuto connettivo. Il contenuto è liquido. Le cisti sono legate ad un’infiammazione cronica periapicale (cisti radicolari) o ad una aberrazione di sviluppo di elementi embrionali dentoformativi (cisti germinali e cisti follicolari). Hanno una crescita espansiva nel tessuto osseo che viene progressivamente distrutto. Nelle Cisti germinali e cisti follicolari l’epitelio esterno della campana del Williams o l’epitelio del reticolo stellato vengono stimolati dalla noxa patogena a proliferare in senso centrifugo sostenuti dalle strutture del follicolo. Tra le due cisti varia solo il momento in cui la causa agisce: nella germinale esiste soltanto un abbozzo dell’elemento dentario, mentre nella follicolare esso è completamente formato. La classificazione prevede: - Cisti germinali (da formazioni embrionali dentarie durante l’istodifferenziazione del germe dentario); Cisti follicolari (da formazioni embrionali dentarie dopo l’istodifferenziazione del germe dentario); Cisti radicolari e cisti residue (da residui epiteliali parodontali del Malassez prossimo-apicali). Le Cisti germinali sono neoformazioni cistiche che contengono nella loro cavità un dente non completamente sviluppato. La parete cistica esterna contrae rapporti con il tessuto osseo circostante. Queste cisti sono espressione di una disorganogenia intervenuta durate la differenziazione istologica del germe dentario: uno o più elementi embrionali dentoformativi facenti parte del germe, non hanno subito una normale differenziazione dirottando verso una degenerazione cistica. Le Cisti follicolari neoformazioni cistiche che derivano da una degenerazione cistica dell’epitelio esterno o dell’epitelio del reticolo stellato sostenuti nel loro accrescimento centrifugo dalle strutture del follicolo di un elemento dentario normalmente costituito, ma rimasto incluso nella compagine delle ossa mascellari. È da considerare come una complicanza dell’inclusione dentaria. Le Cisti radicolari sono un’espressione di un processo infiammatorio cronico periapicale a carattere produttivo. Si sviluppano in corrispondenza dell’apice radicolare di un elemento dentario con polpa necrotica (in assenza di polpa necrotica non si svilupperà mai una cisti radicolare). Il tutto parte dal granuloma apicale (parodontite apicale cronica), che può inglobare nel suo contesto i residui epiteliali del Malassez prossimo apicali, derivati dalla guaina di Hertwig. Si costituirà in tal modo un granuloma apicale contenente i residui epiteliali del Malassez, questi ultimi iniziano un movimento ipertrofico ed iperplastico 77 ODONTOSTOMATOLOGIA proprio di tutti gli elementi embrionali che sollecitati riprendono una loro capacità proliferativa. Queste cellule epiteliali occupano il centro del granuloma apicale: le più centrali vanno incontro ad autolisi per deficit nutritivo,mentre quelle più periferiche continuano a moltiplicarsi, con formazione del granuloma cistico che continua ad accrescersi. La cisti radicolare si accresce per espansione centrifuga a spese del tessuto osseo. La sintomatologia è differente a seconda del periodo: - latenza: asintomatico. Riscontro occasionale solo nel caso di suppurazione della cisti o durante esame Rx dei mascellari praticato per altri motivi; di stato: aumento di volume della cisti con tumefazione del segmento osseo ospite. La tumefazione sarà di volume e consistenza variabile, superficie liscia, limiti netti e normale mucosa che la ricopre. L’Esame obiettivo risulta essere differente a seconda della cisti presa in considerazione: - nella Cisti germinale: mancanza di un elemento dentario per mancato sviluppo; Cisti follicolare: mancanza di un elemento dentario per inclusione dentaria; Cisti radicolare:presenza di un dente con necrosi pulpare o di un residuo radicolare; Cisti residua: assenza di un elemento dentario, precedentemente estratto. All’Rx si nota una radiotrasparenza circondata da un orletto di addensamento osseo ben evidente nell’ambito della compagine ossea. Nelle Cisti germinali, all’interno della zona osteolitica si avrà la presenza di una corona dentaria senza il concomitante sviluppo della porzione radicolare. Nella Cisti follicolare si avrà un aspetto osteolitico e presenza di un elemento dentario incluso la cui corona pesca nella neoformazione cistica mentre la radice è al di fuori della cisti a contatto con l’osso circostante. Nella Cisti radicolare vi è un rapporto costante cisti-apice radicolare ed interruzione della lamina ossea che circonda il parodonto apicale nel punto in cui ha avuto inizio la formazione granulomatosa. 78 ODONTOSTOMATOLOGIA AMELOBLASTOMA Sono tumori a partenza dalla struttura dentaria. Abbiamo: - - - tumori che vengono dal organo dello smalto: l’esempio capofila è l’ameloblastoma, poi abbiamo tumore odontogeno squamoso, odontogeno epiteliale calcificate e odontogeno a cellule chiare; tumore con epitelio odontogeno ed ectomesenchima odontogeno: costituiscono il 3% dei tumori odontogeni, interessano seconda e terza decade di vita e sono più spesso localizzati al mascellare e si accompagnano spesso a denti inclusi, all’esame clinico si presentano con tumefazione non dolente a lenta, lentissima crescita. tumore odontogeno adenomadoide; odontomi, sono più che altro degli amartomi. L’ ameloblastoma è un tumore a malignità locale cioè è estremamente invasivo ma non da metastasi a distanza quindi facciamo una terapia chirurgica con escissione completa. L’ameloblastoma policistico (una variante) ha la caratteristica tipica, che si presenta radiologicamente a “vetro soffiato” si vede la parte cistica e il riassorbimento delle superfici radicolari; la variane uniloculare in cui mancano gli elementi dentari della zona e si vede un enorme espansione in cui molto spesso possiamo ritrovare un elemento dentario. Se noi andiamo a fare un analisi istologica e prendiamo solo un pezzo, avremo come referto: “organo dello smalto” perché abbiamo tutte cellule dell’organo dello smalto che sono replicate. L’ameloblastoma è un tumore benigno epiteliale o fibroepiteliale, con localizzazione principale alle ossa mascellari. Deriva dagli elementi embrionali dentoformativi in fasi diverse del loro sviluppo (tumore dis-odonto-genetico-odontogeno). La sua ipotetica derivazione si può far risalire a: - Disturbi genetici della formazione dell’organo dello smalto; Dirottamento dalla normale linea evolutiva dell’organo dello smalto di un germe dentario; Abnorme proliferazione dei residui epiteliali del Malassez; Componente epiteliale di una cisti germinale; Rivestimento epiteliale della mucosa orale che ricopre le ossa mascellari; Presenza di isolotti della lamina dentaria primitiva disseminati in altri organi (ipofisi, ovaio, faringe, tibia). I Tumori disodontogenetici derivano da elementi epiteliali differenziati, i quali ad un certo momento del loro sviluppo, dirottano dalla normale linea evolutiva per assumere uno sviluppo atipico. Individuiamo tre forme: - Solida; Cistica; Mista. 79 ODONTOSTOMATOLOGIA Nella forma solida lo stroma connettivale è esiguo, nel quale si affondano gittate di cordoni cellulari epiteliali che in alcuni punti tendono ad espandersi con aspetto pseudofollicolare. La struttura è analoga a quella della polpa dell’organo dello smalto o reticolo stellato, ma non si riscontrano mai formazioni di smalto. Spesso si è in presenza di microcisti, segno di un orientamento involutivo e degenerativo che culmina poi nella forma cistica. Nella Forma cistica vi è stroma connettivale scarso che circonda numerosi ammassi epiteliali con tipico aspetto pseudofollicolare. Vi sono note regressive a carico del reticolo stellato con numerose cavità cistiche contenenti un liquido citrino che tendono a confluire fra loro. Nella Forma mista vi sono aspetti propri di ambedue le forme precedenti. A volte vi può essere la differenziazione odontoblastica dello stroma limitata alla presenza di orletti di tipo odontoblastico che non hanno però la struttura definitiva della dentina. In caso di abbozzi dentari o denti conformati parliamo invece di odontomi. La d.d. va posta con i teratomi: gli ameloblastomi evolvono al massimo verso la produzione di abbozzi dentari, mentre nei teratomi si raggiunge l’evoluzione verso una varietà di abbozzi di organi. La sintomatologia prevede: - un Primo periodo: asintomatico (diagnosi casuale su Rx); Secondo periodo: tumefazione di varie dimensioni a livello mandibolare, specie a livello dell’angolo e del ramo ascendente e ricoperta da mucosa normale. E’ di consistenza variabile, superficie plurilobata,limiti netti, indolente. Vi possono essere parestesie o anestesie dell’emilabbro in caso di compressione radice del nervo dentario inferiore (raro in quanto l’ameloblastoma non infiltra, ma comprime solo). All’Rx si nota osteolisi a contorni policiclici, distinta dal tessuto osseo circostante, formata da varie concamerazioni cistiche confluenti (immagine a bolle di sapone). Si distinguono due varietà radiografiche: - Aspetto pluricistico o pluriloculato (d.d. con tumori giganto cellulari); Aspetto monocistico o monoloculato (d.d. con forme cistiche). La terapia prevede l’escissione chirurgica conservativa o demolitiva. La mancata neoapposizione ossea in cavità è indice dell’avverarsi di una recidiva. In questo caso si rende necessaria una chirurgica demolitiva (asportazione neoformazione + tratto osseo che la ospita per 1-2 cm). Si ricorda che l’ameloblastoma non è un tumore maligno, ma si configura come un tumore che facilmente può andare incontro a recidiva. 80 ODONTOSTOMATOLOGIA ODONTOMA (CEMENTOMA) Si tratta di tumori di origine dentaria costituiti del tutto o prevalentemente da tessuti dentari calcificati, più o meno differenziati. Più che tumore deve essere definito come malformazione iperplastica in quanto mancano le caratteristiche proprie della neoplasia (a differenza dell’ameloblastoma). I tessuti di cui è formato una volta raggiunta la maturazione restano stazionari (manca di accrescimento autonomo, continuo e illimitato). Il disordine quindi è di tipo quantitativo, e non qualitativo (i tessuti infatti sono definiti), per anomala attività degli elementi deputati alla formazione dei tessuti dentari sia all’epoca del loro sviluppo che durante la calcificazione. Questo tumore è frequente in età infantile con uno sviluppo estremamente lento. Le sedi più frequenti sono: - regione del terzo molare nella mandibola; all’interno del seno mascellare. Da un punto di vista anatomo-patologico distinguiamo: - Forme semplici: tessuto dentario calcificato variamente distribuito nella massa tumorale; Forme composte: agglomerato di denti rudimentali più o meno differenziati istologicamente e morfologicamente, tra di loro collegati da una trama connettivale, cementizia od ossea. Siccome questi tumori prendono origine dall’organo dentario in stati diversi del suo sviluppo, avremo forme diverse, con un differente grado di differenzazione. Dal meno al più differenziato sono: - - Odontomi embrioblastici: comprendono elementi embrionali giovani senza alcuna tendenza alla formazione di tessuti dentari istologicamente definiti. Poco differenziati; Odontomi odontoblastici: presenza di abbozzi di smalto, dentina e a volte cemento; Odontomi coronari: si sviluppano dopo l’inizio della formazione della corona; Odontomi radicolari: si sviluppano durante la differenziazione radicolare e contengono dentina e cemento. I principali fattori predisponenti sono: - - Meccanici da abnormi pressioni sui germi dentari in via di sviluppo (per mancanza o insufficienza di spazio, accrescimento difettoso delle ossa mascellari, presenza di denti soprannumerari); Fattori traumatici; Fattori infiammatori; disturbi ormonali e del ricambio. 81 ODONTOSTOMATOLOGIA La sintomatologia comprende: - - Periodo di latenza (odontoma annidato nella compagine ossea), asintomatico; Periodo di evidenza clinica: progressiva deformazione del mascellare di cui è ospite, con tumefazione ricoperta da mucosa normale, consistenza dura, varia forma e dimensioni, superficie irregolare, limiti netti, indolente; Periodo avanzato: l’odontoma solleva le corticali ossee esterna e interna alla mandibola; può anche svilupparsi nel seno mascellare superiore senza deformare la corticale esterna. Si ha dolore solo in caso di compressione dei tronchi nervosi trigeminali. All’Rx si nota una massa endossea circoscritta, calcificata, struttura omogenea, delimitata dall’osso circostante da una zona lineare che la circonda e che corrisponde all’involucro connettivale. Nei composti avremo zone circoscritte più o meno calcificate nelle quali si possono individuare formazioni dentarie più o meno evolute. Possono essere semplici o composti; quelli semplici sono composti da un solo tessuto dentale come il cementoma, non hanno praticamente nessun significato passando inosservati per tutta la vita, ma possono costituire un ostacolo ad esempio all’eruzione dentaria e in questo casi si rimuovono, ma ripeto passano quasi sempre inosservati e costituiscono dei reparti occasionali nelle radiografie. I composti sono tessuti dentali disorganizzati e si accompagnano spesso ad inclusione dentaria. Sono tessuti dentali più o meno organizzati che possono dare origine a strutture simili a denti. Quindi il trattamento è sempre la rimozione di tutte queste piccole massarelle (denticoli) per lasciare la via libera all’eruzione, oppure dopo la rimozione fare l’esposizione dentaria e trazionare ortodonticamente che si può fare però soltanto a completamento della crescita radicolare. 82 ODONTOSTOMATOLOGIA NEVRALGIE DEL TRIGEMINO È la più frequente tra le sofferenze dolorose del cranio di tipo nevralgico. Ne esistono di 3 tipi: - secondaria o sintomatica; essenziale o primitiva; sindromica. Le lesioni considerate causa di sindromi nevralgiche secondarie, ma che danno sintomatologia dolorosa di tipo gravativo e continuo (differente da caratteri propri della nevralgia trigeminale) sono: - parodontiti apicali; osteomieliti dei mascellari; osteiti croniche condensanti che determinerebbero la sindrome nevralgica per il restringimento dei canali ossei in cui decorrono le branche trigeminali; le inclusioni dentarie, per la stimolazione che l’elemento dentario incluso può determinare sui rami trigeminali; sinusiti; radiodermiti da terapia fisica per carcinomi mascellari; alveoliti, in particolare quelle secche. La nevralgia secondario o sintomatica può essere dovuta a: - lesioni di organi o tessuti che si trovano nel territorio di innervazione del trigemino (pulpiti, pulpoliti, infiammazioni iridocoroidee, meningiti, otiti); a processi tossi-infettivi con sofferenza trigeminale (herpes zoster, influenza, malaria, tifo); a un fattore meccanico (traumi cranici, malformazioni ossee, tumori intrinseci o estrinseci del trigemino, aneurismi arteriosi); forme nervose sistemiche (tabe, sclerosi a placche, siringobulbia, sindromi talamiche). Vi è un dolore di tipo continuo, si presenta con crisi prolungate da 15-20 min fino a qualche ora (più prolungate della nevralgia essenziale in cui durano pochi secondi). Il dolore non è folgorante come nell’essenziale. Non vi è un vero e proprio intervallo di pieno benessere tra le crisi (al contrario di n. essenziale). Non è possibile evidenziare zone trigger che scatenano dolore alla pressione. La compressione di tali zone evidenzia o una iperestesia cutanea o una accentuazione del dolore preesistente. Spesso ha compartecipazione di altri nervi cranici alla sindrome nevralgica (mai rilevabile in n. essenziale). La nevralgia essenziale non riconosce una causa precisa, con un dolore violentissimo, folgorante. La crisi è di brevissima durata (15-30 sec.). E’ unilaterale, interessa una sola branca, eccezionalmente due. Insorge all’improvviso spontaneamente o in seguito a semplici stimoli fisiologici (starnutire, parlare, ammicare, masticare) oppure scatenata da stimoli tattili in corrispondenza di trigger zones innervate dal trigemino (frequenti alla 83 ODONTOSTOMATOLOGIA radice del naso, angolo della bocca, del forame infraorbitario, angolo esterno delle palpebre, forame mentoniero). Scompare completamente negli intervalli lasciando il pz nell’angosciosa attesa dalla successiva crisi dolorosa. Vi è mancanza di qualunque partecipazione dei nervi motori cranici. Vi è l’assenza di qualunque alterazione permanente della sensibilità cutanea nell’estremità cefalica. Le nevralgie sindromiche sono caratterizzate da dolore trigeminale associato a segni di tipo paretico (sindromi trigeminali nevralgico paretiche) per lo più a carico di altri nervi cranici e di plessi neurovegetativi, tutti messi in sofferenza dal medesimo motivo eziopatogenetico che è alla base della nevralgia del trigemino. Si identificano nelle sindromi: - della loggia cavernosa; dell’angolo ponto cerebellare; simpatico trigeminali; riflesse del Bonnet; nevralgico paretiche; tossi-infettive. 84 ODONTOSTOMATOLOGIA PRECANCEROSI ORALI Le Lesioni precancerose sono alterazioni tissutali sulle quali è più probabile che insorga una neoplasia maligna. La trasformazione interessa nel tessuto coinvolto generalmente l’epitelio. Sono associate a mutazioni cromosomiche ben definite. Le cellule diventano indipendenti dai segnali di crescita, evadono l’apoptosi, sviluppano un potenziale replicativo illimitato, c’è neoangiogenesi. L’epitelio del cavo orale viene definito come pavimentoso plustrtificato non cheratinizzato. In realtà in alcuni punti dell’epitelio orale c’è tessuto cheratinizzato: la gengiva aderente ai denti, palato duro, dorso lingua, vermiglio (zone esposte a traumi). Lo sviluppo della cheratina in zone normalmente non cheratinizzate ha un significato completamente diverso. Per poter descrivere le lesioni di un epitelio, si utilizzano dei termini specifici. La caratteristica principale è l’aumento degli strati di cheratina. L’ipercheratosi rappresenta l’aumento di spessore dello strato corneo. Viene indicata in due forme morfologiche diverse: la ortocheratosica, dove le cellule appaiono totalmente corneificate e la paracheratosica, con la presenza di corneociti nucleati immaturi. Le ipocheratosi sono patologie di raro riscontro per le quali è stato ipotizzato un processo esfoliativo particolarmente rapido. Istologicamente si caratterizzano per la presenza di uno strato corneo di spessore estremamente ridotto. Le discheratosi rappresentano un aspetto patologico dell’epidermopoiesi caratterizzato da fenomeni di cheratinizzazione precoci ed anomalie di singoli elementi cheratinocitari. Si può avere una DISPLASIA, ovvero un’alterazione della citologia, che può essere di tre gradi: - lieve; moderata; severa o carcinoma in situ. Quale comportamento attuare di fronte a una precancerosi e con quale criterio? Ovviamente dipende dal tipo di precancerosi! In base alla probabilità statistica di degenerazione vengono diversificate dall’OMS in 3 categorie: - Facoltative o potenziali in cui la percentuale di degenerazione è modesta; Vere con notevole possibilità di trasformazione; Obbligate, in cui l’evoluzione verso la neoplasia è inevitabile, seppur con tempi e modi diversi. Esame dei tessuti orali Vanno sempre fatti con dei guanti, si compongono di una fase ispettiva (colore, irrorazione, grado di trofismo), con due dita possiamo aprire il cavo orale, anche con due 85 ODONTOSTOMATOLOGIA spatole e valutiamo la zona del fornice e quindi il trofismo, l’estendibilità, se ci sono delle ulcere se sono traumatiche, da quanto tempo ci sono, la dolorabilità. Lo stesso viene fatto per l’arcata inferiore. L’illuminazione deve essere buona, l’odontoiatra osserverà il paziente alle sue spalle mentre il medico si pone di fronte al paziente. Poi si valutano le zone posteriori, la mucosa geniena, si vede se ci sono delle lesioni intorno alla guancia e contemporaneamente si valutano gli elementi dentali, valutare la presenza di margini taglienti,carie,infiammazione in generale. La lingua viene valutata chiedendo al paziente di compiere movimenti naturali, si chiederà al paziente di toccare il palato con la punta della lingua, servirà per valutare il frenulo linguale, poi la motilità con spostamento destro e sinistro. Poi con la garza si afferra la lingua e si osserva il dorso della lingua e la base della lingua, contemporaneamente con l’altra mano si procede alla palpazione della lingua per vedere se ci sono zone di resistenza e si valuterà anche la dolorabilità. Il pavimento della bocca, si possono osservare dei tori, formazioni benigne, iperostosi, che si possono ritrovare lingualmente all’altezza dei premolari e del palato duro (toro palatino). Possono creare dei problemi per alcune manovre terapeutiche come ad esempio quando si applica una protesi, questo potrebbe richiedere l’asportazione del toro palatino. Non hanno significato patologico. Si osserva poi il faringe. Si procede con la palpazione dei linfonodi sottomandibolari, si procede con una palpazione extra orale bimanuale. Si può anche palpare la tensione dei muscoli masticatori sempre bimanualmente con una mano all’interno del cavo orale. Una patologia dell’articolazione temporo-mandibolare genera una tensione muscolare. Palpazione del collo lungo lo sternocleidomastoideo per apprezzare i linfonodi latero-cervicali. PRECANCEROSI POTENZIALI O FACOLTATIVE Leucoplachia Le leucoplachie, il lichen planus e quello erosivo, la candidosi cronica e la cheilite attinica sono le lesioni precancerose ad alto rischio di cancerizzazione dal 3 al 15%. Il lichen erosivo fa parte del 3% delle lesioni ad alto rischio, la diagnosi viene fatta con la biopsia escissionale che permette di fare anche contemporaneamente la terapia. Le lesioni a basso rischio di cancerizzazione sono la fibrosi sottomucosa, i papillomi solitari e il lupus. La leucoplachia è una macchia bianca non asportabile a differenza del mughetto e non è riconducibile a nessun altra patologia. Può essere localizzata in qualsiasi settore del cavo orale, predilige la mucosa geniena, fornici, la lingua e il pavimento. L’associazione con l’infezione da candida può favorire l’evoluzione della lesione precancerosa. Il trattamento con antimicotici migliora la sintomatologia e riduce le dimensioni e il grado di cheratinizzazione della lesione in modo da rendere più semplice l’intervento. Dal punto di vista istologico è caratterizzata da un ispessimento degli strati epiteliali con acantosi e ipergranulosi e comparsa di intensa cheratinizzazione superficiale associata a flogosi cronica del corion. Si assiste ad una stratificazione irregolare con iperplasia dello strato basale. La leucoplachia va in diagnosi differenziale con la candidosi cronica pseudo membranosa ed iperplastica ed il lichen orale a placca (quest’ultimo tende ad essere 86 ODONTOSTOMATOLOGIA bilaterale e simmetrico). La terapia è esclusivamente chirurgica ed è preceduta dalla rimozione dei fattori irritanti ed eventuale terapia antimicotica. Quindi, la leucoplachia è una chiazza o placca dura, non correlabile ad alcuna causa o malattia nota. Esistono 3 forme principali: - - - omogenea: placca bianca non rilevata con caratteristico aspetto acciottolato. Non dolente; può essere localizzata o diffusa e la presenza di displasia è rara in tale forma; nodulare: alternarsi di aree bianche, formate da piccoli noduli cheratosici, e di aree rosse dove l’epitelio è atrofico, con aspetti erosivi, spesso associata ad eritema. Presenza di displasia in oltre la metà dei casi; verrucosa (o iperplasia verruciforme del cavo orale): superficie interamente e intensamente cheratinizzata che si solleva in proiezioni papillari. Nelle forme estese viene definita papillomatosi orale florida che è una precancerosi vera. Tali forme vengono considerate il prestadio del carcinoma verrucoso. Possono essere localizzate in qualsiasi settore del cavo orale. I principali fattori eziologici sono: - tabacco; alcool; candidosi (sembra favorire la comparsa di displasia); herpes simplex; tutti i fattori irritanti locali ad azione protratta nel tempo. La presenza di displasia si evidenzia con anomalie dell’architettura degli strati epiteliali e con aumentato pleiomorfismo cellulare, stratificazione irregolare con iperplasia dello strato basale. La lesione cheratosica và sempre rimossa o quanto meno sottoposta a biopsia. La rimozione è preceduta dalla rimozione di tutti i fattori irritanti locali e da una eventuale terapia antimicotica. Nei casi di lesione particolarmente estesa si può usare la crioterapia. La leucoplachia viene classificata in omogenea e non omogenea e quella non omogenea viene distinta a sua volta in nodulare,eritematosa e verrucosa. La leucoplachia omogenea si presenta come una placca bianca non rilevata con caratteristico aspetto acciottolato. E’ caratterizzata da un grado di displasia lieve. Dal punto di vista istopatologico dalla lieve a quella più severa passiamo da una ipercheratosi ad un’iperortocheratosi fino alla paracheratosi ovvero alla ritenzione dei nuclei, contemporaneamente abbiamo acantosi, aumento dello spessore dello strato spinoso e displasie che precedono la trasformazione. Il passaggio da lieve a moderato ed infine a grave attiene allo spessore. La differenza tra carcinoma in situ e carcinoma invasivo riguarda l’attraversamento della membrana basale. La diagnosi differenziale va posta con la cheratosi da carcinoma squamocellulare, la cheilite attinica da carcinoma verrucoso, la stomatite nicotinica da 87 ODONTOSTOMATOLOGIA candidosi, la necrosi da acido acetilsalicilico da leucoplachia capelluta, lingua a carta geografica dal lichen. Il lichen da una lesione rossa sulla cute e una lesione bianca nella mucosa. Dobbiamo trovare la causa della leucoplachia, può essere dovuta da un’ipercheratosi in seguito ad uno stimolo meccanico come ad esempio un dente fratturato, una protesi tagliente che va sistemata o per abitudini del paziente ad es. si morde in quella zona, fuma la pipa e appoggia il cannellino in quel punto, appoggia la matita in quel punto, alcune condizioni di bruxismo portano a mordicchiarsi le guance anche durante la notte in questo caso dobbiamo interrompere questo ciclo eliminando la causa ad esempio limando il dente e poi si valuta se questa lesione regredisce, si procede con un controllo dopo 15 gg. Le due settimane rappresentano il tempo di turn-over della mucosa orale. Se dopo 15 gg la lesione non è regredita si procede con la biopsia escissionale ed un esame istologico. Lo stesso vale per la lesione ulcerativa. Bisogna monitorare bene i pazienti che fumano, potrebbero continuare a fumare e la lesione potrebbe non regredire per questo motivo. La leucoplachia non omogenea si presenta con aspetto nodulare, misto, biancastro, verrucoso con un grado di displasia media o grave. L’eritroplachia per certi versi è più grave della leucoplachia. Lichen planus Mucosite cronica su base autoimmune nella quale le cellule bersaglio risultano essere i cheratinociti dello strato basale. Vengono considerate lesioni potenzialmente cancerose la variante atrofica e quella erosiva. Il lichen predispone la mucosa orale all’azione dei carcinogeni ambientali. La mucosa si presenta ispessita, anelastica, con imponenti fenomeni fibrotici del corion. Il lichen planus è bilaterale,questo è un segno importante. E’ una malattia infiammatoria cronica ad eziologia sconosciuta, per la presenza di displasie e può degenerare in una lesione carcinomatosa. Non ha una manifestazione cutanea, rimane confinato a livello del cavo orale. Il paziente può conviverci per tutta la vita senza fare una particolare terapia. Esistono forme di lichen ipercheratosiche, forme atrofiche, le forme erosive sono quelle che vanno seguite e fanno parte del 3% delle lesioni ad alto rischio di evolvere in una lesione carcinomatosa e vanno trattate con una terapia escissionale conservativa. Dopo la biopsia si procede con l’osservazione del paziente e terapia cortisonica locale. La diagnosi di lichen si basa sull’osservazione clinica, sull’esame istologico che mostra il tipico infiltrato a banda delle papille dermiche “band-like” con disgregazione dello strato basale; la diagnosi differenziale va posta con leucolplachia, lupus eritematoso discoide e candidosi, o nelle forme bollose-erosive con pemfigo e pemfigoidi. Fibrosi sottomucosa 88 ODONTOSTOMATOLOGIA La fibrosi sottomucosa traumatica è dovuta alla masticazione, incidenti, traumi da bruxismo. La lesione tende ad autosostenersi essendo sede di traumatismi. Ulcera da decubito È una lesione cronica della mucosa orale, con perdita di sostanza estesa oltre la membrana basale. Insorge in seguito a traumatismi cronici causati da denti profondamente cariati o mal posizionati. Il danno cronico porta ad una espansione clonale delle popolazioni presenti in loco. Le replicazioni sono esaltate nei tentativi di riparazione e su tale popolazione espansa è più facile che intervenga l’azione di carcinogeni ambientali con conseguente danno genetico e trasformazione cellulare. Per l’anatomia patologica, la lesione si presenta a margini netti, poco rilevati, consistenza scarsamente aumentata, spesso dolente alla palpazione. Il fondo appare ricoperto da essudato fibrinoso che raramente sanguina al contatto con gli strumenti. La terapia prevede la rimozione immediata dell’agente traumatico, ciò è generalmente in grado di portare a guarigione il pz in 10-15 gg. Se dopo aver atteso 2 settimane la lesione non guarisce allora si tratta di un tipo infettivo e/o neoplastico. Cheiliti Predispongono all’insorgenza del ca. del labbro. Abbiamo le seguenti forme di cheilite: - cheilite ghiandolare (con variante apostematosa); cheilite attinica. Cheilite ghiandolare In condizioni normali a livello del prolabio (zona di Klein) non vi è presenza di ghiandole salivari. In alcuni individui le gh. salivari accessorie delle labbra sono presenti anche a livello del prolabio (specie l’inferiore) e restano quindi esposte a svariate noxae patogene che possono determinare una flogosi cronica. Vi sono due forme di cheilite ghiandolare: - Forma ghiandolare semplice: cronica non purulenta; Forma ghiandolare apostematosa di Volkmann: cronica purulenta. La forma ghiandolare semplice insorge sulla parte mediana del prolabio, con macchie rosse, prima pianeggianti, poi prominenti sulla mucosa. Presentano alla periferia un alone leucoplasico ed al centro un’apertura che corrisponde al canale escretore della ghiandola da cui fuoriesce un secreto mucoso che ricopre il prolabio come una rugiada. 89 ODONTOSTOMATOLOGIA Le zone leucoplasiche possono col tempo confluire formando una vera e proprio placca leucoplasica. Il labbro si presenta non deformato, di consistenza granulosa alla palpazione ed è assente la sintomatologia soggettiva. Se il fenomeno cronicizza, la forma apostematosa rappresenta una possibile evoluzione. La forma apostematosa deriva dalle cheiliti ghiandolari semplici per infezione secondaria del parenchima ghiandolare da parte dei comuni piogeni che vi pervengono lungo i dotti escretori dilatati. Il labbro si presenta tumefatto, ricoperto da croste nerastre, molli, tenacemente aderenti alla mucosa sottostante. Allontanando tali croste si mette allo scoperto la mucosa sottostante erosa, sanguinante e dolente, su cui sono presenti numerose prominenze rosse da cui fuoriesce essudato mucopurulento. L’essudato purulento intradermico può raccogliersi formando degli ascessi che si drenano esternamente a livello cutaneo o all’interno del cavo orale, nel vestibolo. I Sintomi sono: - Tensione; Ipomobilità del labbro; Dolore; Difficoltà funzionale alla masticazione e alla fonazione. Può evolversi con retrazioni cicatriziali o formazione di nuovi focolai purulenti. La terapia (sia semplici che apostematose) prevede: Elettrocoagulazione o courettage ghiandolare. Cheilite attinica È legata all’esposizione alla luce del sole o a forte illuminazione artificiale (raggi UV). Colpisce soprattutto il prolabio particolarmente esposto agli UV. Altri fattori sono: vento, stato idrometrico. L’Incidenza familiare è legata alla quantità di pigmento dello strato basale. La Forma acuta è legata a brusca ed intensa esposizione ad UV. Il prolabio è congesto, tumefatto, ricoperto da croste siero-ematiche e dolente. Guarisce in 10-15 gg con una fine desquamazione. Se l’esposizione agli UV continua si passa alla forma subacuta e poi alla cronica. La Forma cronica interessa prevalentemente la porzione centrale del labbro inferiore. Il prolabio è lievemente tumefatto, atrofico con colorito rosso laccato, con presenza di ragadi decorrenti perpendicolarmente all’asse del prolabio, erosioni superficiali a fondo rosa ricoperte da fine strato di essudato o ulcerazioni a fondo grigiastro ricoperte da essudato pseudo membranoso. 90 ODONTOSTOMATOLOGIA Tali erosioni e ulcerazioni guariscono dando luogo ad una superficie mucosa sottile e pallida che và facilmente incontro a nuove lesioni. Perifericamente al settore in cui la mucosa è assottigliata l’epitelio si presenta ipercheratosico, con formazione di squame grigie che si distaccano facilmente. Il derma risulta infiltrato da linfoplasmacellule, con capillari vasodilatati e degenerazione basofila delle fibre collagene ed elastiche. Il labbro perde la sua elasticità al pari della cute circostante. Di solito scompare nei mesi invernali Nelle forme più avanzate si può avere displasia. Può degenerare in carcinoma. La Profilassi consiste nell’evitare completamente l’esposizione ai raggi solari. Quando la lesione non regredisce si ricorre alla chirurgia con asportazione delle lesioni. La cheilite attinica veniva definita la malattia dei pescatori oggi si vede di più nelle ragazze che si espongono in maniera selvaggia al sole. Questa lesione è determinata dall’azione istolesiva della banda luminosa degli UV . I meccanismi di difesa sono rappresentata da un ispessimento dello strato corneo e da un aumento del pigmento dello strato basale. La mucosa del prolabio si presenta dolente,tumefatta,congesta. Possono essere presenti ulcerazioni che guariscono con formazione di cicatrici nella forma acuta mentre nella forma cronica le ulcerazioni guariscono dando luogo ad una superficie mucosa sottile e pallida che facilmente va incontro a nuove lesioni. La cheilite attinica può manifestarsi in forma acuta e più raramente in forma cronica. Quella cronica è legata all’esposizione cronica al sole, colpisce particolarmente contadini, marinai. Scompare nei mesi invernali e assume carattere permanente solo nelle forme gravi. Dal punto di vista istologico presenta ipercheratosi, atrofia dell’epitelio e nelle forme avanzate un quadro di vera e propria displasia caratterizzato dalla proliferazione dello strato basale e anomalie della forma e volume delle cellule. La degenerazione in carcinoma è certa e può presentare un periodo di latenza molto lungo, 20-30 anni. La terapia consiste nell’evitare per quanto possibile l’esposizione ai raggi solari nelle ore con maggiore prevalenza di UVA o nel caso di attività lavorative ricorrendo all’uso di cappelli a falda larga e creme protettive a base di acido paraminobenzoico. Quando le lesioni non regrediscono è possibile prevedere l’evoluzione carcinomatosa ed è opportuno ricorrere alla terapia chirurgica. La cheilite attinica dal 6 al 10% ha una trasformazione maligna. Papilloma Il papilloma a cellule squamose è una patologia benigna, è una lesione solitaria che ha una localizzazione ubiquitaria nella mucosa orale, la sua grandezza è variabile. La neoformazione può essere sessile o peduncolata, non c’è displasia epiteliale e non c’è una trasformazione maligna. E’ una neoformazione di carattere infiammatorio cronico reattiva a stimoli chimici, fisici o meccanici presenti nel cavo orale. La verruca volgare è simile al papilloma a cellule squamose, si presenta con lesioni singole o multiple, è frequente nei bambini, sono bianche perché c’è una ipercheratosi, il grado più benigno di differenziazione. Sono associate al papilloma virus 2 o 4. 91 ODONTOSTOMATOLOGIA Il papilloma è una neoformazione fibroepiteliale sessile o peduncolata, ricoperta da mucosa liscia o ruvida, di colorito roseo, consistenza molle elastica, volume variabile da un grano di miglio ad una nocciola. Hanno carattere infiammatorio cronico, reattivi a stimoli irritativi presenti nel cavo orale. Alcuni possono essere corneificati Nella forma sessile, la base di impianto ha un diametro pari o maggiore rispetto al diametro massimo del corpo del papilloma, mentre la forma peduncolata ha una base di impianto con diametro minore del diametro massimo del corpo del papilloma. Possono presentarsi singoli o multipli. La forma peduncolata ha rischio maggiore di trasformazione maligna: la ristretta base di impianto rende molto mobile la massa sovrastante e quindi particolarmente traumatizzabile all’interno del cavo orale. L’agente eziologico potrebbe essere il papilloma virus umano (HPV). Presenta un accrescimento lentissimo. La terapia è chirurgica Nevi Si possono presentare anche delle colorazioni della mucosa orale per la presenza di depositi di amalgama, materiale per l’otturazione che veniva utilizzato in modo massivo fino a qualche anno fa. L’amalgama veniva chiamata “volgarmente” piombatura ma in realtà nell’amalgama non c’è il piombo, è un composto metallico che è costituito per l’80% da argento. La caratteristica dell’amalgama è quella di essere plasmabile quando viene mescolata. Il mercurio permette l’indurimento dell’amalgama, per questo motivo l’amalgama è stata imputata responsabile di alcune malattie neurologiche come la sclerosi a placche ma essendo un materiale ampiamente diffuso e una prevalenza della carie dell’80% della popolazione è facile fare questa associazione. Potrebbe essere tossico nella fase plastica ma una volta che è complessata all’interno della struttura non riveste più nessun problema. Sotto la spinta del mercato e dell’estetica oggi il materiale per la ricostruzione è costituito da compositi che sono polimeri resinosi che presentano una varietà di colore. Non hanno una stabilità dimensionale, il composito tende ad usurarsi a differenza dell’amalgama. Se si fresa una amalgama d’argento i frammenti possono finire sotto la mucosa, in questo caso la localizzazione del nevo è lontana dalle strutture dentarie però è importante ricordare che la diagnosi differenziale delle lesioni melanomatose va fatta con i residui di amalgama sottomucosi. I nevi sottomucosi sono importanti e vanno tenuti sottocontrollo per evitare l’evoluzione in melanoma. I nevi a livello del cavo orale interessano il palato e la mucosa geniena, i nevi si presentano sotto varie forme: nevo pigmentato comune, nevo blu acellulare, melanoma giovanile benigno o nevo di Spitz. I segni clinici che inducono il sospetto di degenerazione maligna sono rappresentate da un aumento delle dimensioni del nevo sia in senso orizzontale che in altezza, cambiamento di colore dal bruno al nero o un’improvvisa 92 ODONTOSTOMATOLOGIA decolorazione, dalla presenza di alone periferico eritematoso e dalla insorgenza di una dolenzia spontanea o provocata. I nevi sono nidi di melanociti e interessano la mucosa geniena e palato. Si presentano come macule di colore bruno, rotondeggianti, piane o leggermente rilevate o con aspetto vegetante o moriforme. Esistono diverse forme di nevi: - nevo pigmentato comune; nevo blu acellulare; nevo di Spitz (o melanoma giovanile benigno). Il nevo pigmentato comune è un nevo piccolo e piatto, con gruppi di cellule proliferanti localizzate presso la linea di giunzione tra epitelio e sottomucosa. Sono distinti in base alla sede in: - Intraepiteliali; Giunzionali (degenera più frequentemente degli altri); Composti (giunzionali e intraepiteliali); Intramucosi. Il nevo blu acellulare è frequente nel cavo orale, specie al palato duro nelle femmine. Il Nevo di Spitz interessa soggetti giovani o bambini. È raro ed si localizza a livello della mucosa orale delle labbra o della lingua. I segni clinici di sospetta degenerazione maligna sono: - aumento delle dimensioni; cambiamento di colore o improvvisa decolorazione; presenza di un alone periferico eritematoso; insorgenza di una dolenza spontanea o provocata. La Melanosi è una lesione pigmentata del cavo orale estesa data dall’accumulo lineare di melanociti a livello dello strato basale senza formazione di nidi cellulari. È potenzialmente cancerogena. La Terapia prevede l’asportazione chirurgica preventiva dei nevi intraorali e delle melanosi di piccole dimensioni. Nelle melanosi molto estese è utile l’effettuazione di biopsie randomizzate nelle sedi maggiormente pigmentate o a livello di aree disomogenee. Precancerosi vere Candidosi cronica iperplastica 93 ODONTOSTOMATOLOGIA È una lesione causata da invasione da parte di un micete degli strati profondi della mucosa e della sottomucosa con una risposta tissutale espressa da: - paracheratosi; acantosi; iperplasia pseudoepiteliomatosa; formazione di microascessi; intensa flogosi cronica del corion. Spesso è presente displasia di grado più o meno marcato. Le lesioni appaiono come macchie biancastre dure e fortemente aderenti, rilevate e con aspetto papillare. Le sedi preferenziali di formazione delle macchie sono: labbra, lingua, regione commisurale e retrocommissurale (più colpite). La Terapia è prima medica con antimicotici e successivamente chirurgica con asportazione completa. La candidosi è una sovra infezione da C.albicans. La candida normalmente fa parte della popolazione batterica del cavo orale. Candida albicans si coltiva sul terreno di Sabouraud. E’ un patogeno opportunista. Pazienti immunodepressi o in seguito ad una terapia prolungata con antibiotici possono sviluppare la stomatomucosite da Candida. La stomatomucosite è caratterizzata dalla comparsa di membrane di colorito bianco rilevate sul piano mucoso e circondate da un alone eritematoso; tali placche sono costituite da cellule epiteliali sfladate, da essudato fibrinoso e dalle ife del micete che si spingono in profondità determinando l’aderenza della placca alla mucosa. Le forme cliniche di candidosi del cavo orale riconosciute sono: - pseudomembranosa acuta (mughetto) presente soprattutto nei bambini; atrofica acuta (eritematosa); atrofica cronica che è caratteristica delle protesi (stomatite da dentiera); candidosi cronica iperplastica,è favorita da fattori irritativi cronici come il fumo e si associa a lesioni di tipo leucoplastico; cheilite angolare da Candida. La terapia per il cavo orale consiste in applicazioni topiche, la somministrazione sistemica non è necessaria. In pazienti con candidosi atrofica cronica dobbiamo stare attenti e trattare anche l’apparecchio protesico. La protesi totale dopo un certo periodo di tempo diventa incongrue per il riassorbimento osseo a cui è andato incontro il paziente. Si usano delle resine fatte polimerizzare a freddo per rimodellare la protesi. Queste resine però sono estremamente porose e all’interno dei pori si posizionano le ife della Candida, ecco perché il paziente non guarisce e si reinfetta. Non basta che la protesi venga a contatto con l’antimicotico perché l’antimicotico non penetra all’interno della protesi. Bisogna procedere rimuovendo tutto il materiale della resina aggiunto sulla protesi e va immessa a caldo la resina nuova. 94 ODONTOSTOMATOLOGIA Esiste anche la leucoplachia da candida. La diagnosi differenziale va fatta spostando queste chiazze bianche, si vedono dei puntini rossi sanguinolenti. Il 5% dei neonati risulta affetto dalla forma pseudo membranosa per un’immaturità dei sistemi di difesa o da alterazioni locali, malattie sistemiche. Le terapie antibiotiche, l’uso massiccio di corticosteroidi, il diabete mellito creano una predisposizione alla candidosi. Lo strato bianco-giallastro della mucosa è facilmente asportabile e lascia intravedere dei puntini rossastri sanguinolenti. La forma atrofica acuta è più comune determina un rossore linguale e viene anche detta “lingua dolorante da antibiotici”. La lesione è dolente. Papillomatosi orale florida Vi sono lesioni bianche cheratosiche del cavo orale a superficie con numerose proiezioni papillari molto cheratinizzate. È una forma molto avanzata di leucoplachia verrucosa e frequenti sono i fenomeni displastici con possibilità di trasformazione in ca verrucoso (neoplasia a basso grado di malignità, crescita lenta e rare metastasi). PRECANCEROSI OBBLIGATE Morbo di Bowen È un Ca. squamoso intraepiteliale (ca in situ) che può evolvere in ca invasivo (nell’arco di molti anni). Ha un aspetto simile a eritroplasia. La sede preferenziale di insorgenza è la cute fotoesposta, ma anche mucosa orale e/o genitale. Eritroplasia Si definisce in questo modo, qualsiasi area eritematosa a superficie vellutata a sede intraorale che non può essere classificata come secondaria ad un processo patologico noto. In genere asintomatica. Mostra displasia più o meno grave o franca anaplasia. L’eritroplasia presenta un’alta percentuale di trasformazione maligna (90% circa). La terapia prevede la rimozione chirurgica accurata ed esame istologico. L’eritroplachia è una lesione rossa e vellutata non riconducibile a nessun altra patologia nota dal punto di vista clinico e anatomo patologico. Dal punto di vista istologico abbiamo una iperplasia squamosa associata a cheratosi, displasie di vario grado e carcinoma in situ. La trasformazione maligna della eritroplachia è elevatissima. La lesione va rimossa chirurgicamente in modo esteso ed esaminate istologicamente. La classificazione dell’OMS la divide in 3 stadi evolutivi: - lieve; 95 ODONTOSTOMATOLOGIA - moderata; grave o carcinomatosa. Nella lieve è interessato solo il 3^ inferiore dell’epitelio, la displasia è moderata quando è interessato ½ - 2/3 dell’epitelio e nella grave tutta la lamina epiteliale è interessata. 96 ODONTOSTOMATOLOGIA STOMATITI Per stomatite si intende un processo infiammatorio localizzato alla mucosa del cavo orale. Si ha la formazione delle caratteristiche lesioni, ulcere, che vanno incontro a risoluzione spontanea una volta che si è eliminata la causa di base. Tuttavia, le lesioni da processi infiammatori vanno in diagnosi differenziale con eventuali lesioni precancerose. La stomatite erpetica, dovuta a HSV, è ampiamente diffusa. Infatti il 50% della popolazione mondiale ne è affetta, ha un carattere ricorrente e la sua localizzazione è a carico sia delle mucose che del tessuto cheratinizzato. L’infezione è ciclica ed essendo il virus in stato latente nei gangli la slatentizzazione avviene per stimoli di natura traumatica, esposizione al sole, alterazioni ormonali o immunitarie. Spesso si trovano nelle aree delle suture. Non ha terapia oppure si possono utilizzare terapia antivirale sistemica ma la sintomatologia è di scarsa entità e le lesioni sono transitorie. E’ generalmente asintomatica a volte può manifestarsi sia sulla mucosa orale che sull’epitelio cheratinizzato. La prevalenza è maggiore nei bambini perché è il primo momento in cui si viene a contatto con il virus. E’ caratteristico il ciclo della lezione: vescicola - ulcerazione - fase essudativa. Non vediamo naturalmente la fase crostosa nella mucosa orale. Il paziente immuno-compromesso presenterà una manifestazione più grave e sarà necessaria una terapia sistemica. L’infezione avviene per contatto attraverso la cute, le mucose o con le goccioline di Pflugge tramite la mucosa rinofaringea. Il virus può dar luogo solo in stipiti particolarmente virulenti ad una meningo-encefalite clinicamente apparente. La gengivo-stomatite erpetica è particolarmente frequente i età infantile per l’assenza di una difesa immunitaria specifica. La mucosa orale si presenta arrossata, tumefatta con presenza di numerose vescicole sparse e circondate da un alone eritematoso che si ulcerano precocemente per i continui traumatismi della mucosa orale dando luogo a piccole erosioni ricoperte da essudato siero-fibrinoso su cui si impianta la flora batterica secondaria con conseguente alitosi. La malattia dura in genere un paio di settimane. La terapia della gengivo-stomatite infantile consiste nella somministrazione di antibiotici ad ampio spettro per evitare sovrapposizioni batteriche e gamma globuline 0,2 cc per Kg ripetute dopo tre giorni. Nelle forme recidivanti si applica per via topica idrossiuridina, tromantadina, acyclovir e per via sistemica isoprinosina (antivirale) oltre al vaccino antierpetico. Nell’ambito delle stomatopatie autoimmuni ritroviamo il LED, lupus eritematoso discoide. E’ una dermatosi cronica caratterizzata da lesioni eritematose, squamose ed atrofiche che si localizzano più frequentemente al viso. Colpisce maggiormente il sesso femminile e l’età adulta nel periodo estivo. La lesione tipica è rappresentata dall’eritema a farfalla sul volto, in un quarto dei casi sono presenti lesioni orali; si manifestano al prolabio con caratteristiche simili a quelle cutanee mentre sulla mucosa orale, di solito su quella geniena, compare una placca di colorito rosso cupo, biancastra in alcuni punti ed erosa in altri, circondata da un alone eritematoso in cui i capillari hanno un decorso raggiato. Il LED ha decorso cronico, la prognosi è buona perché la possibilità che evolva in LES è rara. Nella diagnosi le lesioni vanno differenziate dalla leucoplachia e dal lichen. La presenza di eritema raggiato periferico è tipico del LED. Per la terapia vengono utilizzate applicazioni topiche di cortisonici sulle lesioni o la crioterapia. Nelle forme diffuse si somministrano per 97 ODONTOSTOMATOLOGIA via orale antimalarici di sintesi (idrossiclorochina 400-600 mg/die) e vitamina E (100-300 mg/die). La stomatite aftosa ricorrente è una patologia molto diffusa, molto dolorosa. L’eziologia è ignota sembra legata ad un meccanismo autoimmune e va in diagnosi differenziale con la stomatite erpetica, la terapia sarà basata sui corticosteroidi ad uso locale. L’intervento di prima linea consiste nelle” toccature” di collutorio con clorexidina che non ha un’azione diretta ma serve a bloccare una sovra infezione batterica. La clorexidina, molto diffusa in Europa, è entrata in commercio solo 15 anni fa negli USA. Precedentemente alla clorexidina venivano usate le tetracicline localmente, veniva aperta una capsula e disciolta in un bicchiere d’acqua e veniva utilizzata come un collutorio. La tetraciclina, come la clorexidina, ha la capacità di legarsi ai tessuti duri e talvolta anche a quelli molli e funzione come un tampone a cessione lenta. La stomatite aftosa è dolorosa nei primi giorni poi la sintomatologia regredisce per la rigenerazione dell’epitelio. La somministrazione sistemica di corticosteroidi viene attuata solo nelle sintomatologie aftose molto gravi come la sindrome aftosa di behcet. Le afte non risiedono sull’epitelio cheratinizzato a differenza dell’herpes. Le recidive sono frequenti e sono legate a stress di carattere fisico, al S.I., ecc... Interessa l’11-20% della popolazione. Può presentare ulcere minor, maior (grandezza superiore a 0.5 cm) o di tipo erpetiforme (le ulcere sono disposte a grappoli). Le ulcere guariscono spontaneamente dopo 10-14 giorni potendo recidivare dopo la “restituito ad integrum” della lesione dopo settimane o mesi. Sono più frequenti nel sesso femminile. Le forme estese possono interessare anche le ghiandole salivari minori (periadenite di Sutton) e possono guarire dopo molte settimane. La sindrome di Behcet è caratterizzata da ulcere orali, genitali e flogosi oculari cui possono accompagnarsi manifestazioni cutanee, nervose e vascolari. L’ulcera aftosa all’esame istologico presenta un infiltrato linfoplasmacellulare, linfociti T CD4+ nelle fasi iniziali, linfociti T CD8+ nelle fasi avanzate e una massiva presenza di PMN neutrofili. La terapia delle afte si basa su: - allontanamento di fattori favorenti (stress psicofisico, foci infettivi ecc…); utilizzo di colluttori disinfettanti a base di clorexidina, bicarbonato di sodio e acido acetilsalicilico; pomate anestatiche a base di xilocaina viscosa all’1-2% o tetracaina al 2% per ridurre la sintomatologia dolorosa; utilizzo di cortisonici per applicazione topica o per via generale nelle forme resistenti o con interessamento sistemico (sindrome di Behcet); immunomodulanti come il levamisolo, antielmintico con capacità immunosoppressiva ad alte dosi; disodiocromoglicato per via sistemica per abbassare la soglia di eccitabilità delle mstcellule alla degranulazione; dapsone per via sistemica o topica utilizzato normalmente per la lebbra o per la dermatite erpetiforme. Il pemfigo è una patologia su basa autoimmunitaria che interessa le mucose e la cute. Il pemfigo volgare presenta la sua manifestazione più frequente a livello del cavo orale (50%). Si presenta con ulcerazioni orali irregolari. L’aspetto caratteristico della lesione è la bolla o vescicola acantolitica a livello intraepiteliale che assumono aspetti precocemente 98 ODONTOSTOMATOLOGIA erosivi. Esistono poi delle lesioni di transizione a cavallo tra il carattere lichenoide e pemfigoide e sono localizzate sempre a livello del cavo orale, sono forme benigne di colore rosso con una scarsa sintomatologia e non si procede con l’esame istologico. Successivamente la malattia si estende alla cute. La perdita di elettroliti dalle lesione e l’infezioni delle stesse sono state causa di morte prima dell’introduzione della terapia immunosoppressiva. A livello istologico si può notare acantolisi con separazione dello strato spinoso da quello basale ed il primo rilievo evidenziabile è edema intercellulare che si accompagna ad una perdita dei contatti intercellulari degli strati soprabasali dell’epitelio squamoso stratificato; successivamente le cellule dello strato spinoso si separano le une della altre con la formazione della bolla. Nel liquido della bolla possono essere visti agglomerati di cellule acantolitiche con nucleo ingrandito, ipercromatico e atipico, presentano anche un orletto periferico citoplasmatico iperbasofilo e un’area perinucleare ipocromatica con aspetto di cellule “lisate a lutto”, il citoplasma è omogeneamente eosinofilo. Il pemfigo è caratterizzato dalla presenza di autoanticorpi circolanti in grado di legarsi ad antigeni presenti sulla superficie delle cellule epiteliali di cute e mucose. Gli autoanticorpi sono responsabili dei primi eventi morfologici della lesione: la dissociazione delle giunzioni intercellulari e la perdita dell’adesione cellula-cellula. Il titolo anticorpale deve essere monitorato nel paziente in trattamento in quanto permette di indicare una prognosi e di valutare una risposta al trattamento, un aumento del titolo può essere segno di ripresa della patologia. Il pemfigo è stato associato con numerose patologie di tipo autoimmunitario: sindrome di Sjogren, artrite reumatoide, pemfigoide bolloso e lichen planus. Il pemfigo può essere indotto da farmaci (D-penicillamina),raggi ultravioletti e infrarossi. Le lesioni del pemfigo volgare devono essere distinte da quelle del pemfigo bolloso, dal pemfigoide cicatriziale, dall’eritema multifome, dal lichen planus bolloso e dalla dermatite erpetiforme. La terapia prevede l’utilizzo di steroidi (deflazacort e prednisone) che se necessario vengono coniugati a farmaci immunosoppressori quali azatioprina, ciclofosfamide e metotrexate. 99 ODONTOSTOMATOLOGIA TUMORI DEL CAVO ORALE Il cavo orale fa registrare la maggiore incidenza di neoplasie. Il carcinoma a cellule squamose è la 4^ neoplasia più frequente nei maschi e 6^ nelle femmine e rappresenta il 90% delle neoplasie maligne del cavo orale. L’età è superiore ai 40 anni. La sopravvivenza media è meno del 76% con linfonodi negativi, con linfonodi positivi del 36%. Il fattore causale principale è il fumo, la combinazione alcool-fumo è particolarmente dannosa. L’alcool scinde il film lipidico di protezione. I fattori eziologici sono: - - dieta (carenza di vitamina A, C, E, ferro); fattori dentari (scarsa igiene orale); raggi UV; Virus (HSV, HPV, EBV, HIV) ruolo da definire; IMMUNODEPRESSIONE medica e patologica (HIV). Anche le malattie parodontali sono un altro fattore eziologico e si sviluppano in pazienti con HIV in seguito all’immunodepressione; infezioni croniche (candida, sifilide). Si localizza a livello della lingua, labbra, pavimento della bocca, guancia e da metastasi al polmone, ossa, fegato, cervello. Distinguiamo 2 istotipi: - ca. spinocellulare; ca. basocellulare. Il Ca spinocellulare è il più frequente e le cellule epiteliali carcinomatose invadono i tessuti in profondità. Possono andare incontro a processi di cheratinizzazione con formazione di perle cornee. Nel Ca in situ, le cellule carcinomatose non hanno ancora superato la membrana basale. Il Ca verrucoso è una variante che si presenta come una massa verrucosa o papillomatosa ad accrescimento superficiale Il Ca basocellulare interessa esclusivamente il labbro superiore ed è raro nel cavo orale. Esistono varie forme di Ca del cavo orale: - - nodulare (10-15 %): nodulo duro con margini indistinti ed infiltrati, aderente ai piani sottostanti, indolente; ulcerativa (20-25 %): area ulcerata infiltrata e mal delimitata dai tessuti circostanti, con bordi rilevati, duri, con fondo ricoperto da materiale emorragico, fibrinoso, necrotico; vegetante (15-20 %): escrescenze di consistenza molle, facilmente sanguinanti; misti (40-60 %): coesistenza dei quadri sopra descritti. Per il Grading abbiamo: - I grado: cellule ben differenziate; 100 ODONTOSTOMATOLOGIA - II grado: cellule con un certo grado di indifferenziazione; III grado: cellule altamente indifferenziate. Lo Staging si effettua mediante il sistema TNM. Ca della lingua La lingua è una zona particolarmente visibile, le zone laterali della lingua sono le più colpite poiché sono le zone in cui si esercita un maggior traumatismo. L’introflessione della lingua è un quadro sfavorevole, abbiamo una coartazione del nucleo centrale. La palpazione della lingua va fatta in modo tale da apprezzare i cambi di consistenza, i noduli,ma anche la mobilità. La lingua è composta da muscolo e quindi facilmente si vedono noduli o trazioni. Quando si vede un’area di radiotrasparenza si procede con una biopsia che sarà escissionale se la lesione è inferiore a 2 cm e si farà anche un’ortopantomografia. La prognosi è peggiore se tardiva, in un paziente di sesso maschile ed immunocompromesso. La sedi posteriori del cavo orale sono quelle che il paziente raramente controllerà con l’autopalpazione. L’8,1% delle lesioni precancerose presentano malignità (media di diversi studi). In Italia la malignità aumenta e c’è un’intercettazione tardiva della lesione. Le lesioni precancerose presentano tessuto alterato morfologicamente in cui c’è la probabilità che la neoplasia insorga in maniera più alta rispetto alle altre zone. La condizione invece indica un’alterazione generalizzata che si associa ad un aumento significativo di sviluppare un carcinoma. I principali Fattori di rischio sono: tabacco, alcol, consumo di betel (foglie masticate soprattutto in india) e chutta, radiazioni, esposizione solare, disordini metabolici (s.plummer wilson), metalli pesanti, infezioni virali, scarsa igiene orale, protesi inadeguata, ingestione di cibi caldi o speziati. 101 ODONTOSTOMATOLOGIA PATOLOGIA DELLE GHIANDOLE SALIVARI SCIALODOCHITI Sono processi infiammatori del dotto delle ghiandole salivari. Sono relativamente frequenti per la ricca flora microbica presente nel cavo orale e per la notevole attività meccanica dei tessuti molli durante l’atto della masticazione e della deglutizione La Sede più frequente è il Dotto escretore della ghiandola sottomascellare a causa della sua sede anatomica nel pavimento della bocca. I principali Fattori eziologici sono: - Virulenza della flora microbica normalmente presente nel cavo orale; Penetrazione di corpi estranei nel dotto interessato; Calcolosi del dotto; Traumi, specie a carico della papilla del dotto (papilliti). Clinicamente, distinguiamo due forme di scialodochiti: - Fibrinosa; Purulenta. La scialodochite fibrinosa rappresenta la prima fase di qualsiasi processo scialodochitico, caratterizzato da iperemia e formazione nel dotto di un tappo fibrinoso che ne occlude parzialmente o totalmente il lume con transitoria ritenzione salivare. Il Dotto appare tumefatto e arrossato. La situazione può essere asintomatica o con dolore violento alla legione ghiandolare (colica del dotto). Durante la colica il dotto è dolente alla palpazione e vi è la fuoriuscita di saliva densa e vischiosa alla pressione del dotto. La sintomatologia regredisce rapidamente con l’espulsione del tappo fibrinoso accompagnata da abbondante scarico di saliva nella bocca. La scialodochite purulenta si caratterizza per la presenza e fuoriuscita dal dotto di essudato purulento. Vi è una spiccata sintomatologia dolorosa, specie in corrispondenza dei pasti. La terapia prevede: uso di antibiotici, colluttori e applicazioni calde. SCIALOADENITI Le scialoadeneti sono invece processi infiammatori del parenchima della ghiandola salivare. Distinguiamo: - Primitive acute e croniche; Secondarie acute e croniche. 102 ODONTOSTOMATOLOGIA Le scialoadeniti primitive acute non sono secondarie ad alcun fatto morboso locale o generale, ma sono dovute ad un agente infettivo. Tra tutte, di sicuro la più famosa è la parotite epidemica. La Parotite epidemica presenta un decorso benigno, guarigione rapida in 10 gg e lascia un’immunità permanente. Colpisce prevalentemente le due parotidi (bilaterale), ma può localizzarsi anche alle sottomascellari o alle sottolinguali. Il virus raggiunge la ghiandola per via ascendente canalicolare o per via ematica, penetrando nel torrente circolatorio attraverso le vie respiratorie. L’Anatomia patologica è caratterizzata dalla presenza di essudato sieroso o sierofibrinoso, linfociti, monociti e granulociti nel connettivo interstiziale della ghiandola. È presente rigonfiamento e desquamazione dell’epitelio ghiandolare. La Sintomatologia è caratterizzata da: - Cefalea; Febbre; Anoressia; Tumefazione ghiandole interessate; Dolore alla deglutizione e alla compressione. Le principali complicanze sono la scialoadenite suppurativa che è dovuta al sovrapporsi di una infezione piogena su quella virale. Ha un decorso più lento e una più intensa sintomatologia dolorosa. Un’ulteriore complicanze è l’Orchite: tumefazione dolorosa del testicolo dovuta a essudato nello stroma della gonade. Ancora, possiamo avere: - Pancreatine acuta sierosa: segni di insufficienza pancreatica; Meningite sierosa. Gli “orecchioni” vanno incontro a guarigione spontanea. Nella Scialoadenite citomegalica da virus vi è la presenza di cellule duttali e parenchimali notevolmente aumentate di volume, con inclusioni intranucleari ed intracitoplasmatiche. Le Scialoadeniti secondarie acute sono dovute a: - scialodochite: per diffusione ascendente del processo infettivo; malattia infettiva: quali scarlattina, polmonite, sepsi. La via di diffusione è ematica; diffusione del processo infettivo da organi vicini: otite media o esterna, artrite suppurativa dell’ATM, flemmoni perimascellari. Diffusione per contiguità o via linfatica. La Sintomatologia è caratterizzata da: - Interessamento mono o plurighiandolare; Rapida insorgenza sintomi in forme secondaria a malattie infettive, lenta per forme secondarie a scialodochite; Dolore; 103 ODONTOSTOMATOLOGIA - Tumefazione ghiandolare; Febbre; Essudato sieroso o purulento. La Scialoadenite postoperatoria è una scialoadenite secondaria acuta. Insorge entro i primi 15 gg dopo un intervento per via della riduzione della secrezione salivare dovuta a disidratazione ed ai riflessi neurovegetativi legati all’intervento operatorio. La sintomatologia è imponente con: - Dolore; Tumefazione ghiandolare; Iperemia degli ostii duttali; Febbre; Fluttuazione alla palapazione della tumefazione a causa dell’avvenuta fusione purulenta. Se non si instaura un’opportuna terapia può causare un flemmone laterocervicale. Le scialoadeniti secondarie croniche sono secondarie a: - Scialoadochiti croniche; Cronicizzazione di una forma acuta per inadeguata terapia; Malattie generali; Intossicazione da piombo o mercurio; Stati uremici. La ghiandola si presenta aumentata di volume, dura, poco dolente e scarsamente mobile, con alterazione del calibro dei dotti con quadri alterali all’esame scialo grafico. È presente iposcialia (per fibrosi e atrofia del parenchima ghiandolare). La terapia è chirurgica con asportazione della ghiandola. Tra le scialoadeniti primitive croniche vi è il Tumore di Kuttner o scialoadeniti pseudo neoplastica. L’eziologia è ignota. Probabilmente è una reazione allergica ad un micete. La sede preferenziale è data dalle sottomascellari. Si caratterizza per l’aumento lento e progressivo del volume e della consistenza della ghiandola a da iposcialia. La terapia prevede la somministrazione di cortisone. Infine, vi sono alcune forme di scialoadeniti croniche specifiche, quali la tubercolosi e la sifilide con localizzazione alla ghiandola salivare. In questi casi la terapia antibiotica contro l’agente eziologica determina una risoluzione del quadro. Non bisogna poi dimenticare la scialolitiasi o calcolosi delle ghiandole salivari. Si intende la formazione di concrezioni calcaree nei dotti salivari. Mostra una prevalenza per il sesso maschile e a rischio sono i soggetti con scarsa igiene orale. Le sedi preferenziali (per frequenza) sono: - Sottomascellare; Parotide; Sottolinguale. 104 ODONTOSTOMATOLOGIA I fattori predisponenti sono: - stasi salivare che favorisce l’aggregazione calcarea, a causa di iposcialia, fenomeni discinetici del dotto, posizione anatomica (in particolare dotto di Wharton); alterazione qualitativa della saliva; scialodochiti (residui legati al processo infiammatorio possono rappresentare il primo nucleo intorno al quale viene a formarsi il calcolo). Il calcolo è composto da: - 80% da Sali di calcio (fosfati e carbonati); 20% da sostanza organiche (cellule epiteliali, muco, germi, miceti). La sintomatologia contempla un dolore trafittivo a carico del pavimento orale o della regione parotidea (colica salivare) durante i pasti o alla sola vista del cibo. La ghiandola si ingrossa per ritenzione salivare acuta e la sintomatologia regredisce in qualche ora con abbondante escrezione di saliva nel cavo orale. Alla palpazione si apprezza il calcolo lungo il decorso del dotto (palpazione bimanuale) e si provoca dolore. La cronicizzazione conduce a sclerosi della ghiandola con iposcialia. La Diagnosi si effettua con: - Esame Rx diretto; Esame scialografico: praticato iniettando nel dotto alcuni mezzi di contrasto radiopachi, che visualizzano calcoli con scarsa radiopacità ed eventuali alterazioni infiammatorie duttali. La terapia consiste nell’asportazione del calcolo in anestesia generale. 105 ODONTOSTOMATOLOGIA TUMORI DELLE GHIANDOLE SALIVARI Per quanto riguarda la frequenza e sede di incidenza: - parotide 80% (benigne nel 70-80% dei casi); sottomandibolare 8-9% (benigne nel 60-70% dei casi); sottolinguale 1%; salivari minori 10%. Si caratterizzano come masse palpabili non dolenti (a meno di un’infiltrazione delle strutture nervose), con consistenza variabile (molle,elastica,dura,lignea). Distinguiamo tumori maligni e tumori benigni. Tumori benigni L’Adenoma pleomorfo è il tumore più frequente delle gh salivari maggiori, con componente epiteliale e mioepiteliale immerse in un’abbondante matrice di tessuto di sostegno ad aspetto mucoide, mixoide o condroide. La sintomatologia è blanda per via del lento accrescimento asintomatico. Richiama l’attenzione del pz solo per notevoli dimensioni raggiunte che ne alterano la fisionomia o per l’insorgenza di disturbi funzionali (disturbi della masticazione, deglutizione, sindrome nevralgica o paresi del VII, ipoacusia per compressione del condotto uditivo). All’EO si nota, alla palpazione, una tumefazione globosa, liscia o bernoccoluta, non dolente, mobile. È presente una massa capsulata, contenuta nell’ambito del parenchima della ghiandola con aspetto istologico eterogeneo. Il trattamento prevede la chirurgia ma le recidive sono frequenti e spesso maligne. L’Adenolinfoma (o tumore di Warthin) rappresenta il 5-15 % dei tumori della parotide. Insorge quasi sempre nella porzione inferiore della parotide a livello dell’angolo della mandibola. È costituito da spazi cistici o ghiandolari rivestiti da epitelio cilindrico incluso in un abbondante tessuto linfoide, una massa solida, sferica o lobulata, rivestita da capsula. Il trattamento prevede l’asportazione anche se non va mai incontro a trasformazione maligna. Gli Adenomi monomorfi sono adenomi composti da un solo tipo cellulare, come: - adenoma ossifilo; adenoma a cellule chiare; adenoma tubulare; adenoma basocellulare. Tumori maligni 106 ODONTOSTOMATOLOGIA Il Carcinoma adenocistico rappresenta il 38% dei ca maligni delle gh. Salivari ed è legato alla proliferazione incontrollata delle cellule mioepiteliali ed epiteliali, organizzate a formare tubuli, cordoni cellulari anastomizzati, o masse e travate di piccole cellule compatte. La neoformazione invade il parenchima ghiandolare circostante o la cute sovrastante. Sono presenti metastasi precoci ai linfonodi regionali. Il trattamento prevede la chirurgia, ma recidiva nel 60-100 % dei casi. La sopravvivenza a 5 anni è del 45 %. Il Carcinoma mucoepidermoide è caratterizzato da cellule squamose, mucosecernenti ed intermedie. Colpisce prevalentemente la parotide. La neoformazione è solida, cistica o semicistica, scarsamente delimitata da una capsula incompleta. Il Trattamento prevede la chirurgia. Non danno metastasi, ne recidive. La sopravvivenza a 5 anni è dell’85%. Per le forme più indifferenziate a 5 anni la sopravvivenza è del 20-30 %. Il Carcinoma a cellule acinose origina dalle cellule sierose degli acini. Alcune forme, anche ben differenziate, possono metastatizzare ai linfonodi regionali o ad altri organi. È ben incapsulato. Il trattamento è la chirurgia. La sopravvivenza a 5 anni è del 70-85% per la comparsa di recidive e metastasi. 107