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Rassegna Stampa del 05/01/2015
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INDICE
IAB ITALIA
03/01/2015 Media Key
PALLA AL DIGITALE
16
03/01/2015 Media Key
VERSO IL TERZO DECENNIO
17
03/01/2015 Media Key
LAVAZZA DIFENDE LA TERRA
21
ADVERTISING ONLINE
04/01/2015 Corriere della Sera - Brescia
la tecnologia e il web strumenti da sfruttare e non da demonizzare
23
03/01/2015 La Repubblica - Firenze
In arrivo 1.500 cervelloni del web fissata a maggio alla Fortezza la conferenza
mondiale di Internet
24
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Snapchat fa da sola ora vale 10 miliardi anche senza alleanza con Facebook
25
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Rottamiamo tutto anche la suocera" Il web insorge: "Lo spot è offensivo"
26
04/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Spartz, il re delle news virali
27
04/01/2015 Il Messaggero - Civitavecchia
Effetto Madonna
29
05/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Ecco i dieci italiani che cambieranno il mondo *
30
03/01/2015 ItaliaOggi
Dnsee, prossimo passo l'estero
32
03/01/2015 ItaliaOggi
Web, atteso un anno di riforme Ue
33
03/01/2015 ItaliaOggi
I periodici scoprono l'e-commerce
34
03/01/2015 Milano Finanza
Assalto al tesoro di Google
35
03/01/2015 Milano Finanza
Nel 2015 Bruxelles capitale della digital economy
37
03/01/2015 Pagina99
L'intelligenza artificiale ci travolgerà
38
03/01/2015 Pagina99
il mercato milionario degli accorciatori di url
42
02/01/2015 Engage.it
Primi sui Motori acquisisce un ulteriore 24,7% di Crearevalore S.p.A.
44
02/01/2015 Engage.it
Su Pinterest arriva la pubblicità: via ufficiale ai Promoted Pins
45
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Il patto regge» Berlusconi e Renzi vogliono l'accordo
47
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le cose buone del Jobs act
49
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«La città va ricostruita moralmente Il Pd sbagliava a opporsi a Marino»
51
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'ipotesi per il pubblico impiego: le certificazioni affidate all'Inps
53
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
I sindacati si ritrovano uniti per paura di «blitz» da parte del governo
55
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Paese in ginocchio, cure sbagliate Questo governo è un fallimento»
56
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
NEL PRIMO NO LA CONFERMA DI UNA CORSA ANCORA AGLI INIZI
58
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Romani: al Colle niente tecnici né iscritti al Pd
59
03/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Seppe vincere i pregiudizi Un personaggio più grande di Joe DiMaggio e Sinatra»
60
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Reati fiscali, lo scudo del 3% potrebbe aiutare Berlusconi
62
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'ultimo capo dell'Isaf a Kabul «Talebani finiti»
64
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Battaglia a Bruxelles sulle pensioni anticipate»
66
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Dalla rotazione alle indennità I vigili e l'intesa mai nata col comandante «venuto da
fuori»
68
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La trincea della Uil: faremo causa al Comune
70
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Atene dovrà comunque trattare con l'Europa»
71
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Speranza: il leader di FI? È giusto dialogare ma no a qualsiasi scambio
73
04/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Effetto spread, la casa tenta il recupero
75
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
non processate solo i debitori
77
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Noi europei, così sfiniti e sottomessi»
79
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Furbizia o solo ignoranza?
81
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
scommesse, rischi Atlante per il 2015
83
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
I suoi compagni di viaggio (chiamati dalle periferie)
85
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
quando Reagan spinse Gorbaciov
86
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La contrarietà dell'Agenzia delle Entrate sullo «sconto»
88
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«All'Economia hanno comunque sbagliato»
89
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Follini: serve un arbitro Prodi? È una figura troppo ingombrante
91
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Statali licenziabili? La decisione nella legge delega»
93
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il capo di Facebook leggerà di più Una buona notizia (business o meno)
95
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le (false) pretese di chi si proclama portavoce dello Spirito
96
05/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il feticismo (illiberale) delle «nuove regole»
98
03/01/2015 Il Sole 24 Ore
Paradosso-crisi: al lavoro 1,1 milioni di over 55 in più, ma 1,6 di giovani in meno
99
03/01/2015 Il Sole 24 Ore
Se «arrivano i nostri»
101
03/01/2015 Il Sole 24 Ore
Non possiamo essere l'economia dell'1% (forse)
103
03/01/2015 Il Sole 24 Ore
Referendum pensioni il 14 alla Consulta
105
04/01/2015 Il Sole 24 Ore
Se l'officina delle riforme non funziona per le priorità
107
04/01/2015 Il Sole 24 Ore
La politica economica dimentica gli ultimi
108
04/01/2015 Il Sole 24 Ore
I tagli fiscali daranno spazio agli «outsider»
110
04/01/2015 Il Sole 24 Ore
Se la visione di Draghi non riguarda solo l'euro
112
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Ripresa al ribasso, quali rimedi
114
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Le ferite dell'economia e i «cerotti» del diritto
116
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Le ambizioni italiane tra i grigiori europei
117
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Alla ricerca di politiche davvero «attive»
119
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Una sfida coraggiosa che dimentica gli studenti
120
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Le scommesse del Jobs act
121
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
Il Capodanno di Vincenzo e quello dei partiti
123
05/01/2015 Il Sole 24 Ore
UN'OFFERTA CREATA A MISURA DI FAMIGLIA
124
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
La cavalleria invisibile
126
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
I muscoli di Eurotower
129
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Il vento è diverso hanno tradito il Comune la pagheranno cara"
130
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Licenziamenti più facili e controlli medici all'Inps nel piano di Palazzo Chigi
132
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il premier chiude il forno grillino: accordi tra i Dem e con Forza Italia
134
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Scelta Civica è finita noi dobbiamo entrare nel partito di Matteo"
136
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Bini Smaghi: "Non si torna più indietro ma pesano le incertezze della Grecia"
137
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Queste sono le conseguenze della fine di Mare Nostrum"
139
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Vado avanti per la mia strada quel piano consuma il suolo io devo difendere i
cittadini"
140
03/01/2015 La Repubblica - Nazionale
La santa alleanza tra Renzi e Draghi Banche popolari verso la riforma per salvare
Mps
141
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Nel condono fiscale spunta una norma salva-Berlusconi
142
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
L'ex Cavaliere spera "Ritorno in campo"
144
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Per la frode va escluso il condono" *
145
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Madia: "Inchiesta rapidissima nessuna differenza con il privato le visite fiscali uguali
per tutti"
146
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Alla fine pagheranno i cittadini"
148
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Al Quirinale un candidato di centrosinistra, o non lo voto"
149
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Parla il killer di Pippo Fava "Gli imprenditori amici dei boss vollero la morte del
giornalista"
150
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Club Med, Ecomouv altri due schiaffi francesi all'Italia In Europa vincono i
protezionisti
152
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Euro, Berlino non teme l'addio di Atene
153
04/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Enzo Bettiza "Vengo da un mondo che non c'è più con la parola ho difeso la mia
identità"
154
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
L'ostaggio trasformato in agit-prop della Jihad
158
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Buccia di banana per il Nazareno
160
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il trucchetto del tre per cento
162
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Caccia alla manina che ha scritto il testo
163
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Se torna in campo un leader usurato
165
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Matteo troppo disinvolto e Padoan ha sbagliato"
167
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"È stato un pasticcio ma non l'ho fatto io"
168
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il Tesoro riscrive il decreto saltano il tetto del 3% e la norma salva-banchieri
169
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Una legge ingiusta che rende più difficile la lotta alla corruzione"
171
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il guru economico di Tsipras: "Basta ingerenze e più tempo sul debito"
172
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
È POSSIBILE USCIRE DALL'EURO?
173
05/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Ecco perché bisogna favorire le innovazioni
175
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
Vigili assenteisti, al via l'indagine Renzi: "Cambieremo le regole"
177
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
Cantone: "Protesta inaccettabile La rotazione non è una punizione"
179
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
Nel risiko dell'elezione al Colle l'enigma dei tradimenti incrociati
180
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Pertini? Lega e 5 Stelle sfruttano in modo indecoroso la sua figura"
181
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
Pena di morte e diseguaglianze era avanti di una generazione
182
03/01/2015 La Stampa - Nazionale
L'auto riparte dopo 6 anni di cali
183
04/01/2015 La Stampa - Nazionale
Londra decora la partigiana 70 anni dopo
184
04/01/2015 La Stampa - Nazionale
Merkel non teme più la Grecia "Uscita dall'euro sostenibile"
186
04/01/2015 La Stampa - Nazionale
Bonomi volta pagina su Club Med, ora vuole il 20% di banca Carige
188
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
Navi fantasma: la classe media fugge dalla Siria
189
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
ED È ANDATA ANCORA BENE
191
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
TRATTARE PER EVITARE UN ALTRO CHOC
192
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Soglia al 3% senza senso Ma tutta la legge va ritirata"
194
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
Di Maio: "Renzi voleva saldare uno dei conti del Nazareno"
195
05/01/2015 La Stampa - Nazionale
Frontex più solido e asilo europeo Il piano Ue per l'immigrazione
196
03/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Sospetti su oltre 40 agenti è stato un attacco alla città»
197
03/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Statali Pronto il piano di Renzi: all'Inps i controlli sulle malattie
199
03/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Politico, riformatore e di garanzia: l'identikit di Renzi per il Colle
200
04/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Quelle rotazioni che i pizzardoni non digeriscono
202
04/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Matteo avverte il Pd: al Quirinale un garante di tutti, noi decisivi
204
04/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«A FI dico: Italicum e Colle partite distinte ai dem spetta un ruolo da protagonisti»
205
04/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Delhi pronta a ritorsioni sull'ambasciata
207
05/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
L'ira del Cavaliere: sabotano il patto del Nazareno, i mandanti tra i centristi
208
05/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Nessuno di noi ne aveva sentito parlare i nostri stessi legali hanno molti dubbi»
210
03/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Ancora tre cose su Napolitano
211
03/01/2015 Il Giornale - Nazionale
«La legge c'è, basta applicare la mia riforma»
212
05/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Il governo ferma il nuovo fisco per paura che aiuti il Cavaliere
213
05/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Il «disinteresse» dell'ex premier: vogliono solo tirarmi in mezzo
215
05/01/2015 Il Giornale - Nazionale
L'addio all'euro un disastro? Da quattro soldi
216
04/01/2015 Avvenire - Nazionale
«Rappresentano un pericolo Anche per i rischi di contagio»
217
03/01/2015 QN - Il Giorno - Nazionale
«Noi ci stiamo, ma non si tratta a colpi di tweet»
218
04/01/2015 QN - Il Giorno - Nazionale
Quagliariello: «Facciamo un patto tra moderati. E senza la Lega»
219
03/01/2015 Il Foglio
PICCOLA POSTA
220
04/01/2015 Il Tempo - Nazionale
«Grazie alla mediazione italiana ora libanesi e israeliani si parlano»
221
03/01/2015 ItaliaOggi
La sopravvivenza dell'euro legata alle elezioni 2015 spagnole e greche
222
03/01/2015 ItaliaOggi
Presidente cattolico ed emiliano
223
03/01/2015 Financial Times
Euro hits four-year low as Draghi bolsters hopes for QE programme
225
03/01/2015 Financial Times
Smugglers expose migrants to new danger in perilous passage to Italy
226
03/01/2015 Financial Times
Record numbers risk lives to cross Mediterranean
227
03/01/2015 Financial Times
Draghi comments provide focus as 2015 gets off to a soft start
228
03/01/2015 Financial Times
Five-year German bonds turn negative
230
05/01/2015 Financial Times
Massive QE push will not revive eurozone, economists warn
231
05/01/2015 Financial Times
Economists call for political action on eurozone
232
05/01/2015 Financial Times
Corporate diary January 5 - January 9
234
05/01/2015 Financial Times
Investors expect QE is imminent in Europe
236
03/01/2015 International New York Times
Euro's fall tests how far Draghi is willing to go
237
03/01/2015 International New York Times
GLOBAL CENTRAL BANKS A STEP AHEAD
240
03/01/2015 International New York Times
ITALY RESCUES MIGRANTS ON FREIGHTER
241
05/01/2015 International New York Times
Snapshot due on jobs outlook and inflation in eurozone
242
03/01/2015 The Guardian
Vessel abandoned with 450 migrants on board 'takes trafficking to a new level'
243
03/01/2015 The Guardian
Draghi hint of QE to resist deflation sends euro down
245
03/01/2015 The Independent
The ghost ship with a human cargo
246
03/01/2015 The Independent
Video of Italian aid workers raises fears of high ransom
248
03/01/2015 The Times
Revealed: tourist resort where Syrians risk all to reach Europe
249
03/01/2015 The Times
Italians go to rescue of second migrant ship
251
03/01/2015 The Times
Survivor's antibodies sent to fight ebola
252
03/01/2015 The Times
Four out of five police call in sick on New Year's Eve
253
03/01/2015 The Times
Euro slides after Draghi hints QE is imminent
254
03/01/2015 The Times
Mario Cuomo
255
05/01/2015 La Tribune Quotidien
LES SUCCES DE THALES ALENIA SPACE NE SONT PAS UN MIRACLE (JEAN LOIC
GALLE, PDG )
257
05/01/2015 La Tribune Quotidien
DRAGHI VEUT AGIR VITE, LA CHUTE DE L'EURO S'ACCELERE
258
05/01/2015 La Tribune Quotidien
ITALIE: LA MARINE PREND LE CONTROLE DU NAVIRE DERIVANT AVEC 450
CLANDESTINS A BORD
259
05/01/2015 La Tribune Quotidien
DEFLATION: "LE RISQUE N'EST PAS EXCLU MAIS IL EST LIMITE" (DRAGHI)
260
05/01/2015 La Tribune Quotidien
BONOMI RENONCE AU CLUB MED APRES LA DERNIERE SURENCHERE DE FOSUN
261
05/01/2015 La Tribune Quotidien
ROSNEFT ACHETE 160 HELICOPTERES A FINMECCANICA, MALGRE LES
SANCTIONS
262
03/01/2015 Le Figaro
L'appel à l'aide des otages italiennes
263
03/01/2015 Le Figaro
La nouvelle stratégie perfide des passeurs de migrants
264
03/01/2015 Le Figaro
Club Med: l'Italien Andrea Bonomi jette l'éponge
265
03/01/2015 Le Figaro
Mario Draghi prépare l'opinion publique allemande à des mesures antidéflation
266
05/01/2015 Le Figaro
Tsipras espère profiter du programme de la BCE
267
05/01/2015 Le Figaro
Le Club Med passe sous pavillon chinois
268
05/01/2015 Le Figaro
La baisse du pétrole, des taux et de l'euro, une triple aubaine et si facile à gaspiller !
269
03/01/2015 Le Monde
Bateaux fantômes en Méditerranée
271
03/01/2015 Le Monde
Un troisième navire en perdition, et des gardes-côtes en alerte
273
03/01/2015 Le Monde
Mario Draghi voit un risque de déflation limité en Europe
274
04/01/2015 Le Monde
" Personne ne pensait s'en sortir vivant "
275
04/01/2015 Le Monde
En France, le FN s'engouffre dans la brèche
277
04/01/2015 Le Monde
Le Club Med passe sous pavillon chinois
278
04/01/2015 Le Monde
L'année boursière 2015 promet d'être mouvementée
280
05/01/2015 Les Echos
Draghi n'a pas de « plan B » pour la zone euro
282
05/01/2015 Les Echos
Le Club Med passe à l'heure chinoise
283
05/01/2015 Les Echos
Obligations : le rôle clef des banques centrales en 2015
285
05/01/2015 Les Echos
L'euro démarre l'année au plus bas depuis 2010 face au dollar
287
05/01/2015 Les Echos
La Bourse de Paris entame 2015 sans phare
288
05/01/2015 Les Echos
L'accessoire et l'essentiel
289
03/01/2015 Liberation
Cargos de migrants, l'Europe à la dérive
290
03/01/2015 Liberation
La Méditerranée, tombeau marin
292
03/01/2015 Liberation
Bologne la Rouge enrage
293
05/01/2015 Liberation
Le chinois Fosun fait peur aux GO français
297
05/01/2015 Wall Street Journal
Italy's Food Producers Look Abroad to Survive
298
05/01/2015 Wall Street Journal
Eurozone: Why It All Went Wrong
300
05/01/2015 Wall Street Journal
Italy's Ham, Cheese Producers Look Abroad
302
03/01/2015 Milano Finanza
Rogoff: gli Usa sono in ripresa ma non ancora fuori pericolo
304
03/01/2015 Milano Finanza
Un venticello di ripresa
305
03/01/2015 Milano Finanza
Piccole ma col turbo
307
03/01/2015 Milano Finanza
Pensioni, via col piano B
309
03/01/2015 Milano Finanza
Ma il Jobs Act è la stampella giusta per il sistema pensionistico italiano?
313
03/01/2015 The Economist
Going large
314
03/01/2015 The Economist
Export or die
316
03/01/2015 The Economist
Coming soon?
318
03/01/2015 The Economist
Free exchange Green tape
320
03/01/2015 The Economist
The euro's next crisis
322
04/01/2015 The Observer
'Ghost ship' reaches safety Migrants give thanks after dramatic Mediterranean
rescue
324
04/01/2015 The Observer
Why a reluctant Europe can't stop desperate people fleeing
326
04/01/2015 The Observer
Price of olive oil soaring after worst harvest in over a decade
327
04/01/2015 The Sunday Times
As water ran out, even the men cried
328
04/01/2015 The Sunday Times
Racists on march across continent, warns Merkel
329
04/01/2015 Corriere della Sera - La Lettura
Jeffrey Eugenides L'America ha paura ma Obama ci stupirà ancora
330
IAB ITALIA
3 articoli
03/01/2015
Media Key - N.339 - novembre 2014
Pag. 21
(diffusione:10500, tiratura:10500)
PALLA AL DIGITALE
DA ENTRAMBE LE SPONDE DELLA MILANO CALCISTICA CONTINUANO AD ARRIVARE SEGNALI DI
ADEGUAMENTO ALL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER DIALOGARE CON IL TARGET DI
RIFERIMENTO.
MAURO MURERO
Anche se dal punto di vista agonistico i risultati attuali sono quelli che sono, per i due club calcistici milanesi il
rispetto del loro glorioso blasone (Milan e Inter sono considerati brand degni del ruolo di ambasciatori della
città in vista di Expo 2015) passa anche attraverso l'indiscussa capacità di percorrere, anche dal punto di
vista del marketing e della comunicazione, le nuove strade imposte dall'incessante innovazione tecnologica.
Quello fra il Milan e il digitale è da tempo un 'matrimonio' felice. Un'ulteriore conferma della bontà della
strategia del club rossonero in questo campo è arrivata dal successo di #insideACM, l'hashtag ufficiale
dell'account ACMilan su Instagram, che a poco meno di un anno dalla nascita ha raggiunto l'invidiabile
traguardo del mezzo milione di followers. Da qualche mese sono sbarcate sul canale anche le nuove aree di
Casa Milan: si va dal museo Mondo Milan al negozio Milan Store, passando persino attraverso il ristorante
Cucina Milanello, tutti luoghi sempre più 'frequentati' dagli appassionati. Per la cronaca, sul versante delle
immagini il primo scatto che ha inaugurato la gallery è stato quello 'rubato' dalla collezione privata di cravatte
gialle dell'Amministratore Delegato Adriano Galliani, mentre il contenuto più amato riguarda uno scatto del
giocatore olandese Nigel De Jong (ben 152.061 like!). Grazie anche a questo canale il club rafforza ogni
giorno la sua già forte presenza nel mondo della comunicazione digitale: come accennato, infatti, il Milan è
già in prima linea anche su Facebook (oltre 22,5 milioni di fan), su Twitter (circa 2 milioni di followers), su
YouTube (quasi 240mila iscritti al canale) e Google+ (4 milioni di tifosi). I dati in continua crescita dimostrano
che la strategia digitale del Milan (oggi 1° club in Italia e 7° in Europa per numero di followers) si focalizza
sempre più su contenuti esclusivi, che permettono di ridurre le distanze tra i fan di tutto il mondo. Dal canto
suo, anche l'Inter di Erick Thohir non sta a guardare: è stato da poco annunciato che DigiMob,
concessionaria mobile del Gruppo DigiTouch (premium partner dei principali istituti di ricerca e di enti di
settore come gli Osservatori del Politecnico di Milano e IAB Italia), ha ottenuto l'esclusiva per la gestione degli
spazi advertising su m-site e mobile app di FC Inter News, il più affermato portale di informazione tematica
sulla società nerazzurra. FC Inter News è attivo su mobile con un m-site visitato ogni giorno da più di 100mila
utenti e con applicazioni per tutti i dispositivi mobile, di cui fino ad oggi sono stati effettuati ben 100mila
download. "Per valorizzare sempre più le nostre properties mobile e offrire agli utenti un'esperienza ancora
più ricca e interattiva abbiamo ritenuto opportuno scegliere una concessionaria mobile native", spiega
Domenico Fabbricini, Direttore Editoriale di FC Inter News; "siamo molto soddisfatti dell'accordo", gli fa eco
Paolo Mardegan, Managing Director del Gruppo DigiTouch, "perché ci consente di potenziare la nostra
inventory su vertical specifici e di poter offrire agli investitori pubblicitari visibilità su un target sportivo mirato e
qualificato". Oltre ai formati mobile standard, video e Rich Media, DigiMob sta studiando con FC Inter News
dei formati nativi customizzati per le properties e il target specifico dell'editore. SOPRA, L'ACCOUNT
ACMILAN SU INSTAGRAM HA RAGGIUNTO IN POCO MENO DI UN ANNO IL MEZZO MILIONE DI
FOLLOWERS. PIÙ SOTTO, IL LOGO DELLA TESTATA GIORNALISTICA FC INTER NEWS.
Foto: GIORNALISTA. COLLABORA CON NUMEROSE TESTATE SPECIALIZZATE IN MARKETING E
COMUNICAZIONE D'IMPRESA E CON PERIODICI FINANZIARI GENERALISTI.
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Marketing sportivo
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VERSO IL TERZO DECENNIO
LO IAB SEMINAR DI METÀ OTTOBRE, FOCALIZZATO SUL VIDEO ADVERTISING, HA RADIOGRAFATO
UN COMPARTO IN CONTINUA CRESCITA (TRA IL 20% E IL 25% NEL 2014, DOPO IL +32% DEL 2013) E
IN GRADO DI FAR LEVA SU DUE FATTORI PRIMARI COME LA CREATIVITÀ E IL COINVOLGIMENTO
DEGLI UTENTI. IN TEMA DI NUOVE TENDENZE NELLO SCENARIO DIGITALE SPICCANO ANCHE IL
RUOLO DEL PROGRAMMATIC ADV E, SUL FRONTE DELL'AUDIENCE, L'ULTERIORE AUMENTO DELLA
FRUIZIONE TRAMITE DISPOSITIVI MOBILI.
MAURO MURERO
FRA LE CONNOTAZIONI POSITIVE INSITE NELLA NATURA STESSA DEL COMPARTO DIGITALE
SPICCA ANCHE E SOPRATTUTTO LA SUA STRAORDINARIA CAPACITÀ 'AUTOEVOLUTIVA',
ESEMPLIFICATA DALLA CONTINUA NASCITA, AFFERMAZIONE E PERFEZIONAMENTO DI NUOVI
STRUMENTI SEMPRE FINALIZZATI A SODDISFARE LE ESIGENZE DI TARGETTIZZAZIONE E DI
VISIBILITÀ DISTINTIVA DELL'UTENZA. In un mercato che già corre - in anticipo su tutti gli altri - verso il
terzo decennio del terzo millennio, fra i segmenti ormai sulla cresta dell'onda c'è anche quello del Video
Advertising, cui è stato espressamente dedicato il secondo IAB Seminar del 2014, svoltosi a Milano lo scorso
16 ottobre. Lo stato dell'arte radiografato dai relatori parla di un comparto in forte espansione, in grado di
'reinventarsi' e di mettere sul piatto una serie di valenze strategiche primarie, legate a fattori chiave di ogni
attività comunicazionale quali la creatività e l'engagement. Dopo l'introduzione di Carlo Noseda, Presidente di
IAB Italia, l'evento organizzato dalla costola italiana dell'Interactive Advertising Bureau ha avuto il momento
focale nell'intervento di Riccardo Mangiaracina, Co-responsabile della Ricerca Osservatorio New Media e
New Internet del Politecnico di Milano, che nel corso della relazione denominata 'Il Video Advertising in Italia:
fruizione, numeri e proiezioni' ha illustrato le dimensioni attuali e il potenziale di sviluppo del fenomeno,
stimando una crescita degli investimenti tra il 20% e 25% nel 2014 e un incremento medio annuo del 50% dal
2011 a oggi. "La pubblicità sui video", ha infatti precisato Mangiaracina, "è cresciuta del 32% nel 2013,
raggiungendo una quota pari al 13% degli investimenti complessivi in advertising online. Prevediamo che
questo trend continui fino alla fine del 2014, generando un'ulteriore accentuazione di almeno venti punti
percentuali (vedi Tav. 1): il valore del mercato dei Video Advertising, alla fine di quest'anno, sarà dunque più
che triplicato rispetto al 2011. Alla base di questa espansione ci sono diverse ragioni, tra le quali spiccano
l'incremento dell'offerta e della fruizione di contenuti video su internet (in particolare su smartphone e tablet),
la vendita anche su piattaforme di Real Time Advertising, lo sviluppo di soluzioni in grado di misurare
l'audience incrementale rispetto alle campagne televisive o, ancora, la diffusione di formati Video sempre più
interattivi. Riteniamo che questi fattori potranno condizionare in modo determinante lo sviluppo del mercato
del Video Advertising anche nei prossimi anni". Per inciso, secondo un dato aggiornato ad alcuni mesi fa, la
fruizione dei Video online avviene soprattutto tramite YouTube e i vari social network (vedi Tav. 2). In
riferimento ai trend e ai possibili scenari futuri, il relatore ha concluso il suo intervento ricordando che "il
formato video, molto efficace e apprezzato nel perseguire obiettivi di branding, sta almeno parzialmente
cannibalizzando gli spazi destinati ai display banner tradizionali. L'incremento dell'offerta di contenuti video
editoriali su internet inciderà anche sulla consistenza della raccolta pubblicitaria legata a questo formato,
anche in considerazione del fatto che determinate fasce di audience sono presenti su internet (e, ovviamente,
fruiscono di video!) ma 'non si trovano più' a investire in direzione del mezzo televisivo. Ancora, è lecito
ipotizzare che anche in questo settore il ruolo di Facebook potrà presto diventare rilevante; senza dimenticare
che il Video Advertising inizia a essere veicolato anche tramite il Programmatic Adv". A proposito di
quest'ultimo segmento (a sua volta ripetutamente indicato come uno dei perni su cui si innesterà la prossima
fase di sviluppo del comparto digitale), va sottolineato che a livello europeo lo stesso Interactive Advertising
Bureau ha recentemente fornito, per la prima volta, una stima del mercato del Programmatic Adv,
quantificandone il valore assoluto in oltre due miliardi di euro e definendolo in fase di crescita addirittura a tre
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INNOVAZIONE DIGITALE
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cifre. Più specificamente, IAB Europe ha annunciato un accordo di collaborazione con IHS Technology,
finalizzato per l'appunto a monitorare l'evoluzione di un segmento di cui va riconosciuta la crescente
importanza nell'ambito dell'ecosistema della comunicazione digitale, e ha identificato come prioritaria la
necessità di offrire al mercato maggiori informazioni a riguardo. I primi dati emersi, relativi alla fine del 2013,
rivelano che il mercato europeo del Programmatic Advertising ha registrato un incremento del 111% rispetto
ai 980 milioni di euro dell'anno precedente, superando, come detto, la soglia dei due miliardi. La ricerca si
basa sul valore degli investimenti pubblicitari rilevato da IAB nonché su dati transazionali e su modelli
statistici ed econometrici, cui si sommano le informazioni fornite da esperti del settore; essa va a integrare lo
IAB Europe AdEx Benchmark Report e sarà costantemente aggiornata grazie alla collaborazione di tutti i
Paesi dell'area IAB (i dati citati includono display, mobile e video, proprio con l'obiettivo di garantire che tutti
gli aspetti dell'ecosistema siano presi in esame). Il progetto è gestito dalla IAB Europe Programmatic Trading
Task Force, una iniziativa multi-stakeholder nata per aiutare editori, agenzie e utenti investitori a
comprendere meglio il complesso scenario del Programmatic e l'impatto che esso sta avendo sull'evoluzione
dell'advertising online. La task force elaborerà anche un ampio programma di attività educational. "Anche in
Italia", conferma Michele Marzan, Vice Presidente di IAB Italia, "stiamo assistendo a un significativo sviluppo
del Programmatic, sul quale, com'è noto, stiamo già lavorando insieme agli Osservatori Digital Innovation del
Politecnico di Milano, con l'obiettivo di offrire un'informazione completa su un settore innovativo e vitale.
Stiamo già occupandoci anche della rilevazione degli investimenti nel 2014 e possiamo anticipare che sia per
il display sia per il video il trend si mantiene positivo, con una crescita che si stima sarà a tripla cifra rispetto al
2013, in linea con quanto avviene a livello europeo". Il programma di IAB Europe include il primo panEuropean Programmatic Trading White Paper, pubblicato nel luglio scorso, e anche il lavoro del tavolo
italiano di analisi e condivisione porterà alla produzione di un White Paper mirato a spiegare al mercato
nazionale, in modo chiaro ed esaustivo, sia gli aspetti analitici sia le diverse declinazioni che il Programmatic
può assumere a livello basic e specialist. UN MERCATO STRATEGICO Partendo dall'analisi di scenario
fornita da Riccardo Mangiaracina, l'appuntamento con il secondo IAB Seminar del 2014 ha poi consentito,
grazie anche a un panel di speaker e relatori particolarmente ricco, di tracciare un percorso volto a mettere in
luce gli strumenti e le strategie più idonei a operare efficacemente in questo peculiare segmento del mercato
digitale. Particolarmente interessante, ad esempio, è stato il confronto fra due personaggi come il visionario
regista indiano Tarsem Singh e Karim Bartoletti, che hanno portato la loro esperienza in campo
cinematografico e pubblicitario trasponendola nel mondo del digital advertising. Tarsem Singh è conosciuto in
tutto il mondo per aver firmato alcune delle campagne più famose di realtà come Nike, Levi's, Coca-Cola e
Mulino Bianco e per essersi poi dedicato alla regia di pellicole di successo come The Cell e, più
recentemente, Immortals e Biancaneve , mentre Karim Bartoletti, Socio ed Executive Producer di Filmmaster
Productions, in Italia ha realizzato campagne memorabili per Algida, Durex, Hotpoint, Fiat e Coca-Cola. I due
esperti hanno illustrato alla platea le loro esperienze soffermandosi, in particolare, sul fondamentale ruolo
dello storytelling, "strumento che si rivela fondamentale in uno scenario web che vede i contenuti protagonisti
assoluti dell'engagement ed elemento chiave per il coinvolgimento di utenti maturi e sempre più avvezzi alla
fruizione del video via internet". Il ruolo di moderatore di questa sessione dedicata alla creatività nell'ambito
della comunicazione digitale è stato affidato ad Aldo Agostinelli, Consigliere di IAB Italia, a parere del quale "è
stato raggiunto l'obiettivo che ci eravamo prefissi con questo incontro, ovvero quello di stimolare - grazie a
testimonianze importanti e concrete - il confronto su un mercato strategico che offre grandi opportunità alla
nostra industry e alle aziende investitrici. In un Paese in cui la tv, tradizionale o via internet, è ancora oggi il
medium principale, il Video Advertising rappresenta una forma di comunicazione importante per intercettare il
consumatore e sta acquisendo un ruolo sempre più significativo nelle strategie aziendali. L'Italia appare oggi
in linea con il resto d'Europa e, grazie alla creatività - che nel nostro Paese non manca - e ad adeguati
investimenti in ambito tecnologico, siamo convinti che nei prossimi anni raggiungeremo risultati significativi".
AUDIWEB: LA CRESCITA DELLA MOBILE AUDIENCE All'inizio di novembre Audiweb ha distribuito il nastro
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di pianificazione denominato Audiweb Database e vertente sugli ultimi dati disponibili - aggiornati alla fine di
agosto e, dunque, a due terzi di anno - in merito all'audience online da mobile (smartphone e tablet) e alla
fruizione complessiva di internet (la cosiddetta total digital audience). Cominciamo da quest'ultima voce,
ovvero dalla quantificazione in 27,4 milioni di individui del numero di utenti italiani dai due anni in su che nel
mese di agosto si sono collegati a internet almeno una volta; ciascuno di essi, inoltre, è mediamente rimasto
online per 42 ore e 49 minuti nel corso del mese. La total digital audience nel 'giorno medio' è invece
rappresentata da 19,5 milioni di utenti, che si sono collegati per 1 ora e 56 minuti nell'arco delle 24 ore (vedi
Tav. 3). Per quanto concerne la fruizione di internet da device mobili, nel giorno medio essa supera ancora
(era già successo anche nella rilevazione precedente) l'accesso alla Rete tramite il solo personal computer.
Sono infatti stati 15,5 milioni gli italiani tra i 18 e i 74 anni che, ogni giorno, hanno dedicato in media 1 ora e
37 minuti a testa alla navigazione in mobilità; dal canto suo, l'audience online da pc registra 10,5 milioni di
utenti unici (over 2 anni), tutti mediamente connessi per 1 ora e 13 minuti al giorno. Passando al versante
delle informazioni di carattere socio-demografico, nel giorno medio risultano online 10,6 milioni di uomini (il
39,3% della popolazione italiana di sesso maschile dai 2 anni in su) e circa 9 milioni di donne (il 33% delle
'over 2 anni' italiane) (vedi Tav. 4). Dal punto di vista delle abitudini di fruizione della Rete, tuttavia, il dato
testé citato non significa affatto che all'universo femminile debba essere attribuito il ruolo di 'sesso debole': al
contrario, con 1 ora e 43 minuti di tempo speso in media da ogni donna nel giorno medio (45 ore e 53 minuti
su base mensile) le 'quote rosa' confermano una disponibilità al consumo di internet da dispositivi mobili
superiore a quella degli uomini. In relazione all'età dell'utente/consumatore italiano, va sottolineato che ad
agosto oltre il 62,5% dei giovani italiani (ovvero sette milioni di individui appartenenti alla fascia che va dai 18
ai 34 anni) era online nel giorno medio, principalmente dai device mobili. Più precisamente, risultano essere
2,6 milioni i giovani tra i 18 e i 24 anni (pari al 60,2% degli italiani rientranti in tale fascia) che nel giorno medio
hanno utilizzato smartphone e tablet per accedere a internet, mentre l'accesso da pc riguarda solo 962mila
utenti unici di questa fascia (il 22,6% della popolazione di riferimento) (vedi Tav. 4). In conclusione, dai dati
Audiweb sull'uso dei differenti device che consentono di accedere alla Rete emerge che il 66,4% del tempo
totale speso online è generato dalla fruizione di internet da mobile (vedi Tav. 5) e, più nel dettaglio, il 55,7%
del totale si lega alla fruizione tramite mobile applications. Data la 'giovane età' del sistema di monitoraggio
della connessione tramite smartphone e tablet è opportuno ricordare, sia pure in estrema sintesi, che la
nuova ricerca Audiweb Mobile - completamente integrata alla rilevazione dell'audience da pc - è basata su un
modello 'user centric' che integra i dati di navigazione da device mobili con quelli inerenti la più 'tradizionale'
(ancora per poco, visto il trend che abbiamo appena esaminato...) fruizione tramite personal computer.
L'estensione del sistema di rilevazione ha richiesto, come è logico, un importante ampliamento del panel e
una conseguente evoluzione della metodologia alla base del sistema di rilevazione. In particolare, al panel pc
già esistente (composto da oltre 40mila 'panelisti') ne sono stati aggiunti uno vertente sulla misurazione delle
navigazioni e dell'utilizzo di applicazioni da smartphone (3mila panelisti) e uno per i tablet (1.000 panelisti).
"L'estensione del sistema di rilevazione è un grande risultato", sottolinea il Presidente di Audiweb, Enrico
Gasperini, "e consente di distribuire al mercato i dati sulla fruizione complessiva di internet e sulla fruizione da
mobile. Grazie all'estensione del sistema e al lavoro di sviluppo portato avanti negli ultimi anni gli operatori
possono ora misurare la portata complessiva del mezzo e utilizzare strumenti indispensabili per la
pianificazione delle campagne, anche in riferimento a quei device mobili che stanno sempre più influenzando
i consumi online degli individui. Il nastro distribuito alle software house e fruibile attraverso i tool di
pianificazione offre il dettaglio dei dati della navigazione quotidiana sui siti degli editori iscritti, relativamente
alla fruizione dai differenti device rilevati; già da fine luglio è possibile consultare, tramite la piattaforma
Audiweb View, anche i dati mobile mensili, con lo stesso livello di dettaglio e organizzati in base ai device
disponibili". Prossimamente i dati di audience relativi a smartphone e tablet saranno separati e verrà ridotto il
divario temporale tra la consegna dei dati pc e quella dei dati complessivi, per arrivare alla distribuzione
simultanea sul mercato di un unico nastro di pianificazione con tutti i dati disponibili della total digital
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
audience. Chiudiamo con un breve cenno a quello che, accanto alla consistenza dell'audience di riferimento,
è l'altro primario parametro di valutazione quantitativa dello stato di salute del digital market: il trend degli
investimenti pubblicitari. Dandovi appuntamento da qui a poche settimane (ovvero al numero di dicembre di
Media Key , in cui daremo ampio spazio a un evento come IAB Forum 2014, e soprattutto al nostro atteso
Special Annual) per un'analisi più approfondita del suddetto trend, ci limitiamo a ricordare che gli ultimi dati
Nielsen, relativi al confronto gennaio/settembre 2014 vs. 2013, ribadiscono una tesi già nota: anche se con
una variazione modesta (+0,1%) il digitale fa ancora una volta valere la sua capacità reattiva alla crisi, in uno
scenario ancora negativo sia a livello generale sia in riferimento alla maggior parte degli altri media. MK
IL MERCATO DEI VIDEO ADVERTISING 225 mln € 2011 2012 2013 2014* * * DATI STIMATI ** CAGR =
COMPOUND ANNUAL GROWTH RATE (TASSO DI CRESCITA ANNUALE COMPOSTO) FONTE:
OSSERVATORIO NEW MEDIA & NEW INTERNET - OTTOBRE 2014
DOVE VENGONO VISTI I VIDEO ONLINE? Social network (Facebook, Twitter...) Siti web o applicazioni
delle emittenti tv (Rai, Mediaset, Sky) Siti web o applicazioni di news e attualità Altre piattaforme di video
sharing (video prevalentemente UGC, ovvero fatti e caricati da altri utenti) FONTE: SURVEY EFFETTUATA
CON DOXA (MARZO 2014) - VALORI % RIFERITI ALLÌ'ULTIMO MESE - BASE: 840 RISPONDENTI
INTERNET AUDIENCE
(BROWSER + APP) FONTE: AUDIWEB DATABASE - AGOSTO 2014 - AUDIWEB POWERED BY NIELSEN
Utenti attivi nel giorno medio (000) 19.549 10.523 15.525 % utenti attivi nel giorno medio 36,2% 19,5% 28,8%
Tempo speso nel giorno medio per persona (hh:mm) 1:56:00 1:13:00 1:37:00 Utenti attivi nel mese (000)
27.417 25.957 18.195 % utenti attivi nel mese 50,8% 48,1% 33,7% Tempo speso nel mese per persona
(hh:mm) 42:49:00 15:13:00 42:49:00
APPROFONDIMENTO DEMOGRAFICO NEL GIORNO MEDIO
(BROWSER + APP)
NOTA: CAUSA LE DUPLICAZIONI, LA SOMMA DEI DATI SULL'AUDIENCE DA PC E DI QUELLI
SULL'AUDIENCE MOBILE NON CORRISPONDE AL DATO DELLA TOTAL DIGITAL AUDIENCE. FONTE:
AUDIWEB DATABASE, DATI AGOSTO 2014 - AUDIWEB POWERED BY NIELSEN Utenti unici nel giorno
medio (.000) Tempo speso per persona nel giorno medio (h:mm:ss) Total Total Digital Pc Mobile Digital Pc
Mobile audience Audience Totale 19.549 10.523 15.525 1:56:00 1:13:00 1:37:00 Uomini 10.578 6.009 8.330
1:54:00 1:14:00 1:32:00 Donne 8.971 4.514 7.194 1:58:00 1:11:00 1:43:00 2-10 anni 127 127 0 0:41:00
0:41:00 N/A 11-17 anni 316 316 0 0:51:00 0:51:00 N/A 18-24 anni 2.683 962 2.556 2:19:00 1:16:00 1:57:00
25-34 anni 4.322 1.924 3.977 2:06:00 1:18:00 1:39:00 35-54 anni 9.231 5.190 7.376 1:57:00 1:15:00 1:33:00
55-74 anni 2.784 1.918 1.615 1:31:00 1:07:00 1:18:00 Oltre 74 anni 87 87 0 0:46:00 0:46:00 N/A
TOTAL DIGITAL AUDIENCE - % TEMPO DA DEVICE Mobile 66,4% PC 33,6% DAI DATI SULL'USO DEI
DIVERSI DEVICE UTILIZZATI PER ACCEDERE A INTERNET RISULTA CHE IL 66,4% DEL TEMPO
TOTALE SPESO ONLINE È GENERATO DALLA FRUIZIONE DI INTERNET DA MOBILE E, PIÙ IN
DETTAGLIO, IL 55,7% DEL TOTALE DALLA FRUIZIONE TRAMITE MOBILE APPLICATIONS. FONTE:
AUDIWEB DATABASE - AGOSTO 2014 - AUDIWEB POWERED BY NIELSEN
Foto: IL SECONDO IAB SEMINAR DEL 2014 SI È FOCALIZZATO SUL VIDEO ADVERTISING, COMPARTO
IN FORTE SVILUPPO ANCHE IN ITALIA.
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LAVAZZA DIFENDE LA TERRA
ROBERTO ALBANO
IN GENERALE QUANDO VENGONO PRESENTATI NUOVI CALENDARI NON CI SI ATTENDE GRANDI
NOVITÀ: SPESSO SI TRATTA DI BELLISSIME MODELLE O ATTRICI CHE CAMBIANO CON IL PASSARE
DEGLI ANNI E DEI MESI. PER IL CALENDARIO LAVAZZA INVECE VI È SEMPRE QUALCOSA DI
INATTESO CHE GENERA STUPORE E INTERESSE. E QUESTO DA DIVERSE EDIZIONI, VUOI PER LA
CREATIVITÀ RELATIVA ALLA COLLABORAZIONE CON L'AGENZIA ARMANDO TESTA, VUOI PER
L'ATTEGGIAMENTO INNOVATORE DI GIUSEPPE E FRANCESCA LAVAZZA. DALLA VENTESIMA
EDIZIONE, QUANDO SONO STATI CHIAMATI A RACCOLTA I DODICI GRANDI FOTOGRAFI
DENOMINATI 'LAZZAZZERS' CHE AVEVANO CURATO EDIZIONI PRECEDENTI; ALL'EDIZIONE 2013
CHE AVEVA LASCIATO LA CARTA PER UN'EDIZIONE ESCLUSIVAMENTE VIRTUALE-SOCIAL; AL
RITORNO ALLA CARTA CON L'EDIZIONE SUCCESSIVA CON I SETTE MAESTRI DELL'ALTA
GASTRONOMIA; A QUELLA ATTUALE, LA VENTITREESIMA, RELATIVA AL 2015, DEDICATA A TUTTI
COLORO CHE IN AFRICA SI IMPEGNANO STRENUAMENTE PER DIFENDERE I PRODOTTI DELLA
LORO TERRA. QUESTA IDEA, AFFIDATA PER LA REALIZZAZIONE A UN GRANDE FOTOGRAFO NOTO
PER L'ATTENZIONE AI TEMI SOCIALI COME STEVE MCCURRY, ERA NATA DA UN INCONTRO FRA
GIUSEPPE LAVAZZA, VICEPRESIDENTE DELLA SOCIETÀ, E CARLO PETRINI STORICO FONDATORE
DI SLOW FOOD. IN COVER CAMPEGGIA QUINDI L'IMMAGINE DI MAYÈ NDOUR, UNA CHEF DEL
SENEGAL, CHE ESPRIME MAGNIFICAMENTE LO SPIRITO DI QUESTO CALENDARIO DI CUI
TROVERETE UN AMPIO REPORTAGE. NELLE PAGINE CHE SEGUONO FIGURANO TRE SPECIAL
REPORT. PARLIAMO DELLA TERZA EDIZIONE DELLO 'SPECIAL EXPO' CON I PADIGLIONI DELLA
SVIZZERA E DEGLI EMIRATI ARABI UNITI E IN PARTICOLARE CON LO SPAZIO ESPOSITIVO DI
BANCA INTESA, OLTRE A UN SERVIZIO SU FULLBRAND, LA SOCIETÀ DI MARCO GUIDONE CHE HA
VINTO LA GARA PER LO SPAZIO ESPOSITIVO CITTERIO NEL PADIGLIONE ITALIA. 'FUTURO E
INNOVAZIONE' AFFRONTA TEMI IMPORTANTI CHE DOVREBBERO ESSERE LA MOLLA PER LE
CRESCITA ECONOMICA, BENCHÉ, SECONDO UNA RICERCA DELLA GENERAL ELECTRIC, LA GRAN
PARTE DEI DIRIGENTI INTERVISTATI RITENGA CHE IL GOVERNO NON FACCIA ABBASTANZA PER
LO SVILUPPO ECONOMICO DEL PAESE. IL TERZO SPECIAL MARKETING E COMUNICAZIONE
COINVOLGE OTTO DIRIGENTI E IMPRENDITORI DI ALTRETTANTE AZIENDE CHE EVIDENZIANO LE
LORO OPINIONI CIRCA L'EVOLUZIONE DEI CONSUMATORI E DELLA MARKETING-COMMUNICATION.
L'AGENZIA DEL MESE È WEBSOLUTE, LA WEB AGENCY CHE MIETE ALLORI AI NOSTRI INTERACTIVE
KEY AWARD E CHE COPRE CON LA SUA ATTIVITÀ I DIVERSI AMBITI DIGITALI. NON POTEVA POI
SFUGGIRCI L'INTERESSANTE PROGETTO 'CENTODIECI' DI BANCA MEDIOLANUM MIRANTE A
PROMUOVERE LA CULTURA CON UN APPROCCIO OLISTICO ALLA CONOSCENZA, ALLA VITA E ALLA
SOCIETÀ, CHE SI CONCRETIZZA SIA ATTRAVERSO INTERNET, CON UNA PIATTAFORMA DEDICATA,
SIA NELL'ORGANIZZAZIONE DI IMPORTANTI EVENTI IN TUTTA ITALIA CON PERSONAGGI DI GRANDE
RILIEVO. VI PROPONIAMO INOLTRE UN SERVIZIO SULLO IAB SEMINAR CENTRATO SUL VIDEO
ADVERTISING, UN COMPARTO IN CONTINUA CRESCITA; SUL RESTYLING DI AFFARITALIANI.IT, IL
QUOTIDIANO ONLINE FONDATO E DIRETTO DA ANGELO MARIA PERRINO E UN SERVIZIO SUL
GIORNALE DI SICILIA CHE HA REGISTRATO LA PRIMA POSIZIONE CONFERMANDOSI AL PRIMO
POSTO NELLA REGIONE IN TERMINI DI READERSHIP. BUONA LETTURA!
Foto: MAYÈ NDOUR, CHEF SENEGALESE, FOTOGRAFATA DA STEVE MCCURRY PER IL CALENDARIO
LAVAZZA 2015.
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EDITORIALE
ADVERTISING ONLINE
16 articoli
04/01/2015
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
la tecnologia e il web strumenti da sfruttare e non da demonizzare
Caro Dolfo, in un'epoca di minimalismo dilagante in architettura, nell'arredo, persino in cucina, assistiamo al
surplus cognitivo di internet determinato dallo zapping frenetico cui siamo ormai abituati in quanto navigatori
a tempo pieno.
La logica quantitativa che regge il web ci propone un sovraccarico di applicazioni e informazioni che non si
sa fino a che punto giovino all' approfondimento della verità e alla coscienza critica. A me sembra che questo
sistema metta in crisi il modello umanistico della conoscenza, dell'educazione e anche forse la democrazia,
nel senso che crea cattivi cittadini.
Matilde Mazza
Gentile Matilde, per commentare le sue riflessioni ci vorrebbe il prof. Emanuele Severino, che sul ruolo della
tecnica ha scritto pensieri illuminanti. Il computer, il tablet, l'Ipad , le piattaforme multitasking ci rendono più
stupidi o più intelligenti, costituiscono dei rischi o delle opportunità? Questo è un tema che non si può
esaurire con una risposta secca. Evito l'elogio dei bei tempi andati e classicheggianti, il pistolotto sui giovani
digital born programmati «for profit» secondo cui il barometro culturale tende alla tempesta.
C'è chi ritiene che solo la tradizione libresca garantiva empatia, immaginazione, capacità critica e non
subordinazione al pensiero dominante . E c'è chi obietta che caricare un filmino su youtube e scrivere post
non limiti la militanza politica e che comunque questi siano comunque atti più creativi e generosi che
guardare imbambolati la tv. D'accordo, la rete ha i suoi lati oscuri. Chi ha torto e chi ragione? Più
velocemente navighiamo e più diamo a Google e alle altre compagnie la possibilità di raccogliere informazioni
su di noi e di offrirci pubblicità, adescandoci come consumatori. Ma è anche vero che gli strumenti non vanno
demonizzati in quanto tali e che la tecnica va governata (dall'umanesimo innanzitutto) e non subìta. Dei
telefonini si son dette peste e corna. Eppure ogni giorno ci ricordano che a salvarci è l'istinto di
conversazione.
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Foto: Le lettere vanno indirizzate a: Corriere della Sera redazione di Brescia via Crispi 3 25121 Brescia Fax
030-2994960 @ [email protected]
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Detto fra noi di Nino Dolfo
03/01/2015
La Repubblica - Firenze
Pag. 9
(diffusione:556325, tiratura:710716)
In arrivo 1.500 cervelloni del web fissata a maggio alla Fortezza la
conferenza mondiale di Internet
Ci saranno ricercatori delle università e i big della Silicon Valley "Un'occasione straordinaria per entrare in
contatto con l'avanguardia hi tech" Il summit durerà cinque giorni, ci saranno anche manifestazioni su big
data e epidemie digitali
(l.m.)
LA SUPER conferenza dei cervelloni del web, qui a Firenze. Dopo Lione e Seoul, le rive dell'Arno e la
Fortezza da Basso. Dal 18 al 22 maggio Firenze diventerà a capitale mondiale della rete.
L'International World Wide Web Conference, cioè il più importante forum di dibattito scientifico e accademico
sulle future evoluzioni di internet richiamerà da queste parti una cifra stimata fra i mille e i millecinquecento fra
docentie ricercatori accademici, di centri privatie di industrie hi tech.
La www2015.it sarà il luogo in cui confrontarsi su temi che vanno dalla sicurezza ai protocolli, dagli algoritmi
alle reti a molti altri aspetti che riguardano la navigazione, gli utenti e i contenuti.
«È sempre molto complicato organizzare eventi di portata mondiale in Italia» spiega Alessandro Panconesi,
docente di Informatica all'università Sapienza di Roma e, assieme a Stefano Leonardi anche lui docente alla
Sapienzaea Aldo Gangemi del Cnr a Parigi, nel comitato organizzatore.
«Le istituzioni in generale e le aziende non sono molto sensibili e sembra impossibile trovare sponsor prosegue con un po' di amarezza Panconesi- eppure vorrei direa tutti che questa è un'occasione straordinaria
per mettersi in contatto con il gotha della ricerca tecnologica». Con la stanza dei bottoni, i cervelli che
programmano la rete di domani e che hanno programmato la rete come la usiamo oggi, le aziende che
vivono sulla frontiera dell'innovazione, i venture capital che la finanziano.
Da Yahoo a Google, da Facebook agli altri socialnetwork insomma, non mancherà nessuno dei big della
Silicon Valley o di altre parti del mondo.
Tavole rotonde, sessioni, conferenze dedicate alle imprese e agli sviluppatori: le giornate saranno fitte di
impegni. A fianco dell'International World Wide Web Conference arrivata alla sua ventiquattresima edizione,
sono previsti anche numerosi eventi collaterali: per esempio la tredicesima conferenza su sistemi e
applicazioni per i telefonini (MobySis), quella sulla prevenzione delle epidemie digitali (Digital Disease
Detection), quella sull'analisi dei Big Data, quella sulla Digital Health, sul marketing e sull'accesso dei disabili
alle tecnologie. Si tratta di un ventaglio di temi che non riguardano la ricerca di base e qualcosa che resta
chiuso dentro i laboratori, ma la ricerca applicata alle nostre vite quotidiane, uno sviluppo a cui sono
agganciati i cambiamenti legati anche al nostro rapportarci con le macchine e con le persone che stanno
dietro ai telefonini, ai computer, agli schermi. «Inizialmente - spiega ancora Panconesi- avevamo pensato di
organizzare l'eventoa Roma, poi la Fortezza da Basso e la sua vicinanza al centro storico di una città d'arte
così straordinariamente bella, ci ha fatto scegliere come luogo Firenze».
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L'EVENTO
03/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Snapchat fa da sola ora vale 10 miliardi anche senza alleanza con
Facebook
Quasi 500 milioni di investimenti sulla app che nel 2013 ha rifiutato la corte di Zuckerberg La società
californiana è riuscita ad attrarre i grandi nomi del venture capital
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
NEW YORK. «Condividete i momenti felici con gli amici, vi vedranno... e poi l'immagine sparirà in uno
schiocco di dita». Così la pubblicità sul sito di Snapchat. Snap: lo schioccare delle dita. Chat: chiacchierare.
Una semplice trovata per distruggere le foto che mandiamo agli amici vale 10 miliardi di dollari.
La tutela della privacy è la ragion d'essere di Snapchat, popolare servizio di photo-messaging (messaggeria
con foto).
Nata appena tre anni fa, Snapchat ha già un folto pubblico di fan soprattutto giovani. E' un pubblico che ha
imparato i pericoli nascosti dietro l'invio di foto prese a caldo, in situazioni delle quali ci si potrebbe pentire in
seguito. L'idea innovativa che sta all'origine della start-up Snapchat è quella di un messaggio che si autodistrugge automaticamente in breve tempo, eliminando tracce compromettenti. Oltre che ai giovani, l'idea
piace ai mercati. In particolare ai fondi di venture capital.I quali valutano Snapchat, prima ancora che possa
immaginarsi una sua quotazione di Borsa, a ben 10 miliardi di dollari. E' questa la valutazione implicita
nell'operazione di finanziamento che la società ha concluso il 31 dicembre. Ha raccolto in una sola tornata
486 milioni di dollari, un ammontare che proietta Snapchat nella Top Ten delle start-up di tutti i tempi, per il
valore dei fondi raccolti nel venture capital. In questa prestigiosa classifica figurano nomi ormai "storici"e da
tempo quotati in Borsa, da Facebook a Yahoo. E proprio Facebook ci aveva provato, a inghiottire Snapchat
con un'acquisizione.
Un anno fa il social network di Mark Zuckerberg aveva offerto 3 miliardi di dollari per rilevare il controllo di
Snapchat. Offerta rifiutata, e ora i fatti dimostrano che ebbe ragione Evan Spiegel, il fondatore e chief
executive di Snapchat, a respingere la cifra di Zuckerberg, per quanto allora sembrasse ragguardevole.
Geograficamente, Snapchat è quasi un'eccezione: la sua sedeè sì in California, maa Los Angeles anziché
nella Silicon Valley. Questo non le impedisce di avere attirato tra i suoi finanziatori i grandi nomi del
ventuschio. L'appetito del venture capital è stato eccitato da operazioni come l'acquisto di WhatsApp (un'altra
società di messaggeria) da parte di Facebook per 22 miliardi di dollari.
La cura maniacale della privacy, che contraddistingue Snapchat, si è vista anche nella scelta della data in cui
la startup ha annunciato i risultati della raccolta di fondi: il 31 dicembre, giornata semi-festiva, con il mondo
della finanza distratto o in ferie. E tuttavia il segreto è stato violato in occasione dello "scandalo Sony". Uno
dei capi della Sony le cui email erano state rubate dagli hacker, e poi divulgate, siede anche nel consiglio
d'amministrazione di Snapchat e le sue indiscrezioni includevano il finanziamento della start-up. re capital
della Silicon Valley.
Il record dei finanziamenti in venture capital raccolti da una start-up era rimasto per tre anni in mano a
Facebook, che nel 2010 raccolse 1,5 miliardi. Ma l'exploit di Zuckerberg è stato surclassato da Uber, la startup "prenota auto" odiata dai tassisti del mondo intero che ha raccolto la bellezza di 2,4 miliardi.
Il 2014è stato un anno d'oro per le start-up: quelle americane hanno beneficiato di un boom del 60% nei
finanziamenti di ri- PER SAPERNE DI PIÙ www.snapchat.com www.facebook.com
Foto: AL TIMONE Evan Thomas Spiegel,nato a Los Angeles il 4 giugno 1990 è ad di Snapchat, la chat con i
messaggi che si cancellano
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La finanza
04/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Rottamiamo tutto anche la suocera" Il web insorge: "Lo spot è offensivo"
Palermo, campagna dell'azienda rifiuti E il sindaco Orlando chiede di ritirarla
SARA SCARAFIA
PALERMO. Una suocera - una signora dallo sguardo torvo, con le rughe sul collo e una permanente demodé
- legata assieme a un vecchio divano e un frigorifero e pronta per essere spedita in discarica. La campagna
pubblicitaria della Rap, l'azienda comunale che si occupa della raccolta dei rifiuti, per promuovere il nuovo
servizio di raccolta di masserizie e mobili a domicilio scatena un putiferio - "un manifesto sessista" è la critica
rimbalzata sui social network - e costringe il sindaco Leoluca Orlando a chiedere alla società di modificarla
«nel rispetto della sensibilità dei cittadini».
Tutto è iniziato ieri mattina quando per le strade di Palermo sono stati affissi una decina di cartelli che
raffigurano una donna, un divano e un frigo legati insieme: «Chiamaci - si legge - e verremo sottocasa a
prelevare tutti i tuoi ingombranti...quasi tutti». Una campagna ideata dalla stessa azienda, che ha investito
circa tremila euro per pubblicizzare il servizio di ritiro di rifiuti ingombranti in una città flagellata dal continuo
proliferare di discariche abusive. Ma è bastato che si pubblicasse su Facebook la foto del cartello
sottolineando la presenza di una donna pronta per essere gettata nella spazzatura per scatenare una
reazione a catena: «Manifesto offensivo», «Un'istigazione alla violenza sulle donne», «Campagna incivile».
All'inizio la presenza del mattarello alla spalle della donna aveva fatto pensare a una moglie, sul modello di
Flo, la sposa di Andy Capp nelle strisce del fumettista inglese Reg Smythe. Ed ecco che il presidente della
Rap Sergio Marino è subito corso ai ripari, precisando che si trattava di una suocera e sperando così di
smorzare le polemiche: «Era solo una battuta, una tra le più classiche. Non volevamo certo offendere», ha
detto. Ma era ormai troppo tardi: non solo i cittadini attraverso Facebook e Twitter ma anche i partiti, da Idv al
Pd a Sel al Movimento 5 stelle, avevano già chiesto in massa il ritiro della campagna che, su alcuni siti online
, prevedeva pure una versione animata con il trio - suocera, divano, frigo - che legato insieme si sistemava
sul retro del compattatore. «Un messaggio ironico che si presta però a fraintendimenti e che può risultare
offensivo», ha dovuto ammettere Orlando. Ma nonostante la presa di posizione del sindaco, almeno fino al 7
gennaio i cartelli resteranno lì dove sono. «Non posso certo prendere la scala e andarli a smontare di
persona - dice Marino - ma assicuro che dopo le feste saranno rimossi». PER SAPERNE DI PIÙ
www.rapspa.it http://palermo.repubblica.it
Foto: LA PUBBLICITÀ Il manifesto dell'azienda comunale palermitana per la raccolta dei rifiuti che ha fatto
infuriare molti cittadini. Dopo le feste i cartelloni saranno rimossi
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La polemica
04/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 17
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Spartz, il re delle news virali
LA SUA RICETTA: «TITOLI IPERBOLICI NIENTE VIRGOLE E TANTE LISTE: SONO UN ELETTROSHOCK
PER IL CERVELLO»
Flavio Pompetti
NEW YORK Emerson Spartz non legge i giornali e non ha molta pazienza per le lunghe storie di
approfondimento giornalistiche. Possiede però trenta siti di notizie nel web che raccolgono più lettori del New
York Times - 60 milioni di lettori quelli dichiarati da Spartz - e hanno fatto del loro fondatore uno degli editori
più ricchi d'America, alla tenera età di ventisette anni, capace di raccogliere dieci milioni di dollari nel solo
2013 nel mercato dell'investment banking e di riscuoterne almeno il doppio in pubblicità nello stesso anno.
Nessuno dei siti ha un nome famoso: Brainwreck.com, Dose. com, non sono certo i primi nomi che vengono
in mente anche a chi naviga ogni giorno in Internet a caccia di notizie. Spartz non è interessato a fare entrare
i suoi clienti da un portale di riferimento. Va piuttosto a cercarli dove già si trovano: su Reddit, su Fark, su
Pulse, e soprattutto su Facebook. I suoi redattori non producono materiale originale, né lo selezionano per la
qualità dell'informazione. Il primo e unico parametro di scelta per la pubblicazione è la potenzialità che di lì a
poco la notizia, la foto o il filmato diventino virali. È a quel punto che la macchina ideata da Spartz entra in
azione. I suoi "giornalisti" analizzano i flussi di lettura, li setacciano con l'arma degli algoritmi, e poi lanciano le
storie nel formato più allettante possibile. Siamo tutti ormai abituati a riconoscerle dalla formula lessicale che
le accomuna: «I venti cibi più pericolosi per la salute», «Dieci cavalli così stravaganti da oscurare gli
Unicorni», «Come riconoscere lo jihadista vicino di casa». Spartz non si considera un editore; preferisce
essere chiamato il "virologo più grande della storia". LA STORIA Come tutti i protagonisti di Internet, il genio
di Spartz si è manifestato da bambino. L'impresario aveva dodici anni quando lanciò Muggle.net, il sito dei
fan di Harry Potter più popolare al mondo, che gli valse incassi pubblicitari a cinque zeri, e l'invito nella tenuta
di J.K. Rowling in Scozia. Emerson aveva già lasciato la scuola dove si annoiava, studiava a casa con l'aiuto
del padre, e iniziava la giornata con la lettura di quattro schede biografiche di persone di successo. Quando è
entrato alla Duke University era già presidente della Spartz Inc. e pubblicava liste di piccoli disastri quotidiani:
dalle gaffe dei telecronisti, agli equivoci tra gli utenti di Facebook. Alla Duke incontrò la sua anima gemella:
l'ecuadoriana Gaby Montero, oggi sua moglie, che gli rivelò una verità rivoluzionaria: le buone nuove
vendono più di quelle funeste, gaffe comprese. Nacque così Give me Hope , (dammi speranza), con l'assunto
che se le storie su gatti e cani vendono meglio di quelle sugli umani, vale la pena di concentrarsi sulle prime
piuttosto che sulle altre, fatta eccezione per quelle più spettacolari. Uno dei lanci più popolari è stata la
collezione di 33 foto di persone, scattate attimi prima della morte. LA SPECIALITÀ Che rapporto c'è tra
questa linea editoriale e il giornalismo? Nessuno. Spartz non pretende nemmeno di essere un aggregatore di
notizie come Huffington Post. È piuttosto cosciente di essere un galoppino di borsa, sempre pronto a puntare
sul titolo vincente. La specialità dei suoi redattori è infatti la titolazione, che deve rispondere a una rigida
formula lessicale: si inizia con un iperbole e si finisce con una insinuazione misteriosa, che spinge il lettore a
cliccare, e poi ad un altro clic nella pagina successiva. Le virgole vanno abolite in favore dei punti, e quando
possibile la notizia va data non in prosa, ma con una lista. «Le liste sono come una terapia di elettroshock dice Spartz - mandano il cervello in un cortocircuito di desiderio». Siamo nel regno dell'effimero? Certamente,
ma un recente rapporto interno che il New York Times avrebbe preferito tenere segreto, riconosce che il
vetusto quotidiano è ancora il migliore d'America, ma che è tra i peggiori nel lanciare la visibilità del suo sito
web. Spartz non intende assolutamente commettere questo errore. I suoi 36 redattori scandagliano Internet
con algoritmi che registrano ogni piccolo sussulto di popolarità di una notizia. Quando ne trovano una che
soddisfa i loro criteri, la rilanciano con 20 titoli diversi su altrettanti siti, e dopo un'ora scelgono quello vincente
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A dodici anni creò un portale per i fan di Harry Potter che al lancio fece 50 milioni di pagine viste, ora questo
ragazzo prodigio ha 27 anni e trenta siti raggruppati in una società che attira sessanta milioni di lettori. E
questo grazie a una redazione che setaccia i flussi di interesse nel web e a un algoritmo che impone ogni tipo
di storie e notizie curiose nei social network IL CASO
04/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 17
(diffusione:210842, tiratura:295190)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 05/01/2015
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e accendono le micce dell'acceleratore supremo: Facebook. «Il mio sogno - dice Spartz - è di creare una Cnn
nella quale ogni spettatore riceve sempre e soltanto le notizie che lo interessano. E il bello è che non dovrà
nemmeno indicare la sua selezione, perché saremo noi a farla per lui. Chi meglio dei nostri algoritmi conosce
le sue abitudini, le sue scelte, i suoi interessi inconfessati?»
Foto: Il sogno di Emerson Spartz è creare su internet una Cnn su misura
Foto: I SITI L'homepage di MuggleNet, sito di fan di Harry Potter, creato da Emerson Spartz, e sotto quella di
OMG Facts
04/01/2015
Il Messaggero - Civitavecchia
Pag. 22
(diffusione:210842, tiratura:295190)
LITE A DISTANZA ANCHE CON LADY GAGA: IN UN BRANO LA DIVA LE DÀ DELLA COPIONA L'ALTRA
RISPONDE: «SEI UNA STREGA»
IL CASO
Slogan dei tempi nostri: per vendere tutto è lecito. Evoluzione dell'antica tesi secondo cui la pubblicità è
l'anima del commercio. Nella musica, in verità, ci stiamo facendo il callo. Basta vedere cosa ha combinato la
pattuglia di giovanotte che con grande spirito esibizionistico, amplificato spesso e volentieri dall'attenzione
mediatica, è riuscita a oscurare in qualche modo la pioniera del genere, la signora Ciccone, la Lady Madonna
del pop che, quanto a esibizionismo, potrebbe essere docente universitaria. L'ultimo polverone polemico è
esemplare in questo senso. La 56nne cantante, attrice, produttrice, l'altro ieri ha postato sui suoi social
account, fra le altre, le foto ritoccate dell'eroe sudafricano Nelson Mandela, Nobel per la pace, di Martin
Luther King, il leader antisegregazionista americano. I due personaggi sono proposti in primo piano con dei
lacci di cuoio disegnati sulle facce, esattamente come Madonna appare sulla copertina del suo disco in uscita
Rebel heart (il 10 marzo).
L'ASTUZIA
Una piccola astuzia andata automaticamente a segno, seguita da un rosario di indignazioni, a volte
pretestuose o esagerate come le cose dei social network, che accusano la star di volersi mettere sullo stesso
piano di quei due signori così carismatici. Ora, di questi tempi è facile nutrire dubbi dietrologici e pensare che
faccia tutto parte di una strategia, proteste comprese. Comunque Madonna si è subito cosparsa il capo di
cenere con un nuovo post in cui sostiene che quelle foto sono state mandate dai suoi fan e lei,
apprezzandole, le ha condivise. «Mi spiace. Non mi sto comperando a nessuno, esprimo solo ammirazione
perché si trattava di cuori ribelli» si è scusata, approfittando dell'occasione per citare il titolo del suo album.
Quindi ha postato una foto di John Lennon, anche lui con la griglia di lacci sul volto. Evidente intenzione di
trasformare il ritocco in un gioco virale a cui, qualche giorno fa, si è iscritta anche un'arrembante nuova glorie
del pop, Miley Cyrus, che ha pubblicato sulla sua pagina facebook il proprio viso in stile Rebel heart.
Certo, a pensar male si fa peccato, ma si può anche avere ragione. Detto che il disco era già stato oggetto di
un polverone mediatico quando alcuni brani sono finiti misteriosamente in rete (per inciso, non si tratta di
materiale epocale, anzi è piuttosto deludente, in clima disco, come i precedenti album). E detto che Madonna,
pur dicendosi offesa dall'azione di pirataggio, ha poi messo lei stessa sul web alcuni pezzi in forma di demo e
provini (non è detto che entrino nel cd), fra questi ce n'è uno fatto apposta per attizzare il fuoco dell'antica
rivalità con Lady Gaga. Two Steps Behind Me (Due passi dietro di me), che recita: «Sei una copiona, dove
sono i miei diritti d'autore? Sei una ragazza carina, te lo concedo. Ma rubare la mia ricetta ti farà apparire
brutta...Non sarai mai me, sarai solo una copia...sarai sempre due passi indietro!». La cosa si è gonfiata e il
manager di Madonna, Guy Oseary, ha provato a negare intenti denigratori: «Quella canzone non parla di
Lady Gaga o di nessun altro in particolare. Madonna non ha nulla contro di lei, ha ascoltato il disco con Tony
Bennett e lo ha apprezzato». Miss Germanotta, dal canto suo, su instagram ha pubblicato una sua foto in
stile Rebel hearth e Madonna l'ha ripostata. Tutto bene allora? Fino a un certo punto, perché giorni fa Gaga
aveva scritto: «Attenta strega, ti farò un incantesimo. O forse l'ho già fatto». Che avesse letto il testo di Two
Steps Behind Me? In ogni caso attorno a Rebel heart le occasioni polemiche spuntano come funghi. Fra i
pezzi ce ne sarebbe anche uno, Heartbreak city, in cui Madonna se la prende con l'ex marito Guy Ritchie
accusandolo di aver sfruttato la sua fama. Più che un disco sembra un magazine di gossip.
Marco Molendini
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Effetto Madonna
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1.16.17
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Ecco i dieci italiani che cambieranno il mondo *
Roberta Pasero
Dal prof che detta la politica scientifica a Obama al creativo che «veste» le bibite fino allo stilista di successo:
sonogli emigranti del Terzo Millennio.
Èl' italian talent show di maggior successo quello che ha per protagonisti gli emigranti del Terzo millennio. Di
solito nella valigia hanno una laurea, saperi spendibili a livello internazionale e la voglia di sfidare ostacoli e
imprevisti, valorizzando al meglio merito e competenza. Un fenomeno che di anno in anno cresce, almeno
secondo il report dell'Istat dedicato a Migrazioni internazionali e interne : nel 2013 sono stati 82mila i
connazionali in partenza, un numero record, il più alto degli ultimi dieci anni con un aumento del 20,7%
rispetto al 2012. A emigrare sono più uomini (57,6%) che donne di una fascia d'età compresa tra i 20 e i 45
anni. L'Aspen Institute Italia dal 2009 ne raccoglie molti in una sorta di pensatoio sull'Italia vista dall'estero.
Rappresentanti dell'Italia migliore e allo stesso tempo giovani professionisti che stanno costruendo il loro
futuro al di là dei confini nazionali. Un network di eccellenze, con meeting reali e forum virtuali, che spazia
dalla finanza alla cultura, dall'industria alle istituzioni lasciando un segno in quaranta Paesi del mondo e che
vuole sfatare il mito del brain drain , la fuga di cervelli, puntando piuttosto sulla brain circulation , la
circolazione dei cervelli. C'è chi ha deciso di lasciarsi alle spalle un futuro nel mondo della finanza per
occuparsi di gelati d'alta gamma e chi è emigrato per dedicarsi all'e-commerce nei paesi asiatici. Chi studia i
colori delle opere d'arte e chi ha deciso di trasferirsi tra piantagioni di caffè e cacao. Controcorrente vi
racconta le dieci storie più emblematiche.
MAURO PORCINI
Un baby creativo fa i «vestiti» alle bibite Il magazine Fortune l'ha inserito tra i 40 under 40, la classifica dei
giovani emergenti nel business, accanto a Mark Zuckerberg, mentre la rivista Ad Age lo ha posto nella lista
delle «personalità creati- ve più influenti al mondo». È Mauro Porcini, 38 anni, varesino, senior vice president
e chief design officer della multinazionale americana PepsiCo a New York: laureato al Politecnico di Milano,
un passato in Philips Design, in 3M e fondatore dell'agenzia di design Wisemad con Claudio Cecchetto, da
due anni la missione di Porcini è ridisegnare strategia di design ma anche packaging, pubblicità e web design
di tutto il portfolio della colosso dell'alimentare che oltre a Pepsi include, tra l'altro, Gatorade, Tropicana,
Quaker, Doritos, Lay's.
CARLO RATTI
Così il pluri ingegnere mette sottosopra le città Negli Stati Uniti è considerato una delle venticinque
persone destinate a cambiare il mondo del design, sicuramente uno dei cinquanta architetti più influenti
d'America. È Carlo Ratti, 43 anni, dop- pia laurea in ingegneria a Torino (dove è nato) e a Parigi e una in
architettura a Cambridge, docente al Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Boston, e direttore del
Mit SENSEable City Lab, un laboratorio sulla città intelligente che lo stesso Ratti ha fondato nel 2004: qui
vengono esplorate le real time city studiando le relazioni con l'ambiente dei sensori e dei dispositivi elettronici
portatili. Con la convinzione che la tecnologia riesce ad abbattere le barriere e che anche l'Italia potrebbe
puntare sul futuro e diventare una nuova Silicon Valley.
FRANCESCA CASADIO
All'Art Museum di Chicago decide tutto la chimica Il suo lavoro? È anche quello di studiare le vernici
utilizzate dagli artisti più celebri al mondo per datare gli oggetti ma anche capire il gusto estetico dei pittori e
analizzarne l'opera. Francesca Casadio, 41 anni, una laurea in chimica a Milano, è Conservation Scientist
all'Art Institute di Chicago, il secondo museo più esteso degli Stati Uniti: qui nel 2003, grazie ai fondi della
Andrew W. Mellon Senior Foundation, ha fondato il laboratorio di analisi scientifiche per le opere d'arte,
laboratorio che ancora oggi dirige. Il suo compito principale è applicare le tecniche scientifiche avanzate per
lo studio e la conservazione delle opere d'arte come l'analisi al sincrotone e la spettroscopia. Un modo,
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TALENTI DA ESPORTAZIONE
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1.16.17
(diffusione:192677, tiratura:292798)
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afferma sempre Casadio, anche per studiare l'incontro tra arte e scienza.
FABIOLA GIANOTTI
Caccia aperta al bosone guidati dal commendatore Fabiola Gianotti, 54 anni, milanese, da diciotto è
Research Physicist al Cern, il Laboratorio Europeo per la Fisica delleParticelle che hasedeaGinevra.
Unalaurea in fisica nella sua città e poi una carrie- ra folgorante che l'ha portata anche a coordinare
l'esperimento Atlas a cui partecipano oltre tremila scienziati, durante il quale annuncia la scoperta di una
particella compatibile con il bosone di Higgs. Per le sue ricerche Fabiola Gianotti in questi anni è stata
premiata con i titoli di commendatore della Repubblica e di Grande ufficiale ordine al merito e anche con
l'ingresso tra le cento donne più influenti al mondo per la rivista Forbes . E soprattutto con la recente nomina
a direttore generale del Cern, incarico che ricoprirà tra un anno, a partire dal 1 gennaio 2016.
CHRISTIAN ODDONO I gelati britannici sono «made in Bocconi»
Dal mondo della finanza ai gelati. È la parabola professionale di Christian Oddono, 44 anni, veronese,
fondatore e managing director di Oddono's Gelati Italiani, un'impresa di ice cream artigianali e pluripremiati al
debutto nel 2004. I suoi inizi sono laurea in Bocconi, trasferimento a Londra come Equity research analyst e
come Head of research della società Actinvest Group, poi la decisione di fondare una start up nel settore dei
gelati artigianali e di aprire una gelateria con laboratorio a vista puntando sulla qualità. Bastano tre anni a
Oddono per essere proclamato migliore gelateria del Regno Unito: oggi nei 5 punti vendita londinesi e in 15
indiretti offre 130 gusti di gelato, inclusi i premiati Nocciola Piemonte e pistacchio di Bronte. MARCO BRUNO
L'architettura tricolore alla conquista della Corea
Cento progetti in dieci anni. Progetti di architettura, design, interni, di installazioni artistiche e arte urbana
firmati da Marco Bruno, 46 anni, fondatore e Ceo dello studio MOTOElastico che dirige con Simone Carena
in Corea, a Seul dove è anche docente di interior design alla Hanyang university. Un avamposto nel mondo
euroasiatico dove Bruno, laurea in architettura al Politecnico di Torino (dove è nato) e master a Los Angeles,
mixa know how italiano e coreano, tradizione e innovazione, sviluppo tecnologico e sensibilità ambientale,
per realizzare progetti di edifici residenziali, commerciali e culturali pubblicati sulle più prestigiose riviste del
mondo ed esposte dalla Biennale d'arte di Venezia al Museo di arte contemporanea di Seul. CLAUDIO
CORALLO Cacao e caffè extra-lusso contro le multinazionali
Ha investito sull'avventura Claudio Corallo, 63 anni, fiorentino, diplomato in Agronomia tropicale nella sua
città e proprietario di Cacao & Caffè. Dopo aver lavorato nell'allora Zaire come diret- tore di una società per la
trasformazione del caffè, nel 1979 decide di acquistare due piantagioni nel cuore della foresta raggiungibili da
Kinshasa percorrendo 1600 chilometri in piroga a motore. Poi all'inizio degli anni 90 il trasferimento nello stato
centrafricano di Sao Tomè e Principe nel golfo di Guinea per puntare sul cacao: modifica la coltivazione,
costruisce un laboratorio per trasformare le fave di cacao in cioccolato purissimo in modo da rendere
ecosostenibile tutta la filiera e fonda così un'azienda familiare che non teme le multinazionali. RICCARDO
BASILE Sex symbol e fondatore dell'Amazon asiatica
È a Bangkok da appena due anni ma Riccardo Basile, milanese, 35 anni, laurea in economia aziendale alla
Bocconi, Chief executive officer di Lazada e membro del consiglio di amministrazione del- l'azienda di
famiglia di agrofarmaci Isagro, vanta già un record molto particolare: è finito sulla copertina di un giornale per
teenager thailandesi come sex symbol italiano. Tutto merito di Lazada, il più grande sito di e-commerce del
sud est asiatico che Basile ha contribuito a fondare sul modello di Amazon con il supporto finanziario di
investitori internazionali da Tesco a J. P. Morgan a Kinnevik. I risultati stanno dando ragione a Basile che
coordina 400 dipendenti: oggi il sito ha un milione di visitatori al giorno e tassi di crescita mensile a doppio
zero.
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Dnsee, prossimo passo l'estero
Digitale a 360 gradi grazie alle acquisizioni già fatte
IRENE GREGUOLI VENINI
Aggregare le competenze necessarie alle imprese per muoversi nel mondo digitale, dallo sviluppo di portali al
marketing online, dall'ecommerce ai social media, dal monitoraggio della reputazione sulla rete alle pr sul
web, è la strategia che Dnsee sta portando avanti per espandersi. Il gruppo, che si è posizionato nell'ultima
edizione della classifi ca «Deloitte Technology Fast 500 Emea» per essere cresciuto del 724% negli ultimi
cinque anni, oggi riunisce infatti sei aziende specializzate in diversi ambiti e nel 2014 ha fatturato in totale 24
milioni di euro circa con una crescita che supera il 14% (nel 2013 il giro d'affari era di 21 milioni di euro e nel
2012 di 13,6 milioni di euro). Il prossimo obiettivo è cominciare a estendersi con una presenza diretta nei
mercati esteri. «Dnsee nasce come web agency e si è sviluppata attraverso un percorso di aggregazione di
diverse competenze ed eccellenze nel digitale; poi ci sono state delle operazioni di acquisizione di nuove
realtà che hanno portato a un posizionamento come player in grado di sintetizzare tutte le competenze del
digitale», spiega Sebastiano Rocca, ceo di Dnsee, che oggi raggruppa sei aziende, ciascuna focalizzata su
una proposta di business verticale. Del gruppo fanno infatti parte Interactive Thinking, che opera direttamente
sotto il marchio Dnsee ed è specializzata nello sviluppo di portali web, campagne e progetti di service design,
Banzai Consulting, attiva in ambito editoriale ed ecommerce, Melazeta, storica agenzia di videogiochi e app,
Expertweb, che si occupa di sviluppo software e crm, Wetalk, rivolta alla reputazione online e al monitoraggio
della rete e infi ne Hagakure, agenzia di social media marketing e di pr digitali. «Sotto un coordinamento
unico riusciamo quindi a essere un consulente su tutti i temi del digitale con la capacità anche di seguire i
progetti nell'operativo, in un mercato costellato da tanti piccoli player che richiede una complessità di gestione
da parte dei clienti molto elevata», continua Rocca. «Il nostro focus è aiutare i clienti a sfruttare il mezzo
digitale per espandere il loro business». Tra i progetti che il gruppo ha seguito c'è per esempio la creazione di
Eni.com, ma la presenza digitale di Expo Milano 2015 anche con Telecom Italia, realizzando il portale
istituzionale dell'evento e ExpoNet (il magazine ufficiale della manifestazione), e enjoy, il servizio di car
sharing. L'azienda ha anche lavorato con Benetton e con Ferrari. «Ci piacerebbe molto uscire dal perimetro
nazionale: oggi buona parte del fatturato viene dal mercato italiano. Per ora operiamo in altri paesi attraverso
una rete di agenzie indipendenti, ma quello che vorremmo è estendere la nostra presenza diretta anche in
altre geografi e, per esempio in mercati emergenti e in altri limitrofi al nostro, in cui abbiamo una buona
possibilità di competere», osserva l'a.d. del gruppo, che conta su 240 professionisti e quattro sedi (Roma,
Milano, Torino e Modena). Dnsee si è aggiudicata inoltre il premio Deloitte per le aziende più performanti,
posizionandosi nell'edizione del 2014 della «Deloitte Technology Fast 500 Emea», una classifi ca nel settore
tecnologico che premia gli sforzi delle imprese che hanno registrato il più alto tasso di crescita dei ricavi negli
ultimi cinque anni. Tra le sei società italiane vincitrici, Dnsee si è classifi cata seconda. © Riproduzione
riservata
Foto: Sebastiano Rocca
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il gruppo lavora già fuori dall'Italia con agenzie partner. Nel 2014 fatturato a 24 mln (+14%)
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 3
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Web , atteso un anno di riforme Ue
Il 2015 si apre con prospettive non certo entusiasmanti per l'Ue sotto molti punti di vista, c'è però un settore in
cui le scelte che saranno fatte a livello di Unione nell'anno ormai in corso saranno cruciali a livello globale ed
è quello dell'economia digitale e, in particolare, la tutela del diritto d'autore su Internet. Nei giorni scorsi, il
nuovo commissario Ue alla digital economy, il tedesco Günther Oettinger, ha incontrato il gruppo di lavoro del
Parlamento Ue per mettere in moto la riforma del diritto d'autore che dovrà essere varata entro il 2015. Non ci
sono riscontri ufficiali sull'esito di questo incontro ma secondo quanto è trapelato da fonti molto attendibili,
Oettinger ha detto con chiarezza che non «vuole dar seguito a norme che non funzionano» Il riferimento è
chiaramente rivolto alla questione nodale di queste settimane è cioè l'eventuale pagamento obbligato da
parte degli aggregatori (i motori di ricerca) agli editori anche per l'uso dei cosiddetti «snippets» (brevi estratti
di articoli). Come noto, ciò è stato di recente imposto dal legislatore nazionale sia in Germania, sia - e in
maniera ancora più cogente - in Spagna provocando la reazione di Google che ha chiuso i propri servizi locali
di Google News con il risultato di far crollare in pochi giorni il traffico editoriale e far fare precipitose ed
ingloriose marce indietro agli editori tedeschi, prima, e spagnoli, dopo, preoccupatissimi del precipitare degli
accessi ai loro siti. Ebbene Oettinger non ritiene (peraltro molto giustamente) che queste norme siano
estensibili a livello europeo anzi, sempre secondo riscontri molto credibili, avrebbe citato proprio i casi
spagnolo e tedesco come «esempi negativi». Il tema, secondo il Commissario, andrà affrontato in maniera
nuova e diversa. Oettinger avrebbe parlato di «diritti accessori» al diritto d'autore che dovrebbero essere
riconosciuti in maniera diversa dal diritto principale. Una strada questa che può aprire prospettive nuove e
interessanti. Vedremo. L'altro aspetto che pone nel 2015 l'Ue al centro delle dinamiche della digital economy
e che quest'anno diventeranno efficaci nei paesi dell'Unione le regole che impongono il pagamento dei servizi
là dove questi vengono consumati e non dove la compagnia che li vende ha la propria sede. È noto che molti
giganti dell'hi-tech (Apple, Microsoft, Amazon ecc.) hanno spostato le loro sedi in Irlanda e in Lussemburgo
proprio per approfittare di trattamenti fiscali molto favorevoli; ad esempio l'Iva sugli e-book in Lussemburgo è
al 3%, mentre in gran parte d'Europa è il 20%. Ora il cambiamento del meccanismo di tassazione (si pagherà
con la disciplina del paese di residenza dei consumatori) porterà un aumento del costo complessivo dei
servizi digitali nella Ue stimato in almeno un miliardo di euro annui; vedremo come tutto ciò influirà sulla
domanda di questo tipo di consumi nei paesi dell'Unione e, soprattutto, quali saranno le contromosse dei
grandi del web. * delegato italiano CONTATTI: [email protected] © Riproduzione riservata alla proprietà
intellettuale
Foto: Mauro Masi
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IL PUNTO DI MAURO MASI*
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 4
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I periodici scoprono l' e-commerce
Boom di app da Marie Claire a Paris Match, da Elle a Biba
MARCO A. CAPISANI
Iperiodici francesi scoprono l'e-commerce e si affidano ai software delle start-up per far diventare davvero
multimediali i loro contenuti. Sono sempre più numerosi, infatti, i magazine che hanno deciso di correre ai
ripari per arginare il calo delle vendite e la crisi del mercato pubblicitario. Così guardano al commercio
elettronico sia molti femminili (da Grazia Francia a Marie Claire, da Biba a Elle e Closer) sia alcuni
newsmagazine come Paris Match e Le Figaro. Grazie alle nuove tecnologie, chi legge un magazine in
formato elettronico può cliccare sopra un'immagine in pagina, per esempio, per avere tutte le informazioni su
quel prodotto e poterlo eventualmente comprare. Se l'utente decide per l'acquisto, allora, per ogni
transazione completata il marchio o il rivenditore online versa una commissione all'editore che gli ha portato il
cliente. «Non siamo che all'inizio di queste sperimentazioni, ma c'è un mercato potenziale di diversi miliardi»,
spiega a Le Figaro Tatiana Jama, cofondatrice di Selectionnist, una delle società specializzate in applicazioni
per il mondo editoriale. «La frontiera tra contenuto e commercio sarà sempre meno netta. Il poter addentrarsi
in un'immagine grazie a informazioni aggiuntive altro non è se non un modo per raccontare una storia e in
uenzare le decisioni d'acquisto. È in questo passaggio che la stampa ricopre un ruolo centrale». E raccontare
una storia è del resto solo un altro modo per parlare di native advertising, ossia quando sono i giornali a
confezionare notizie su un marchio o un'azienda. Insieme al mobile, il native advertising (che un tempo
veniva chiamato in Italia publiredazionale) è considerato infatti uno dei trend 2015 più importanti, a cui
l'editoria dovrebbe far ricorso per sopravvivere. Selectionnist non è l'unica software house che si sta alleando
con i periodici; ce ne sono molte altre come Zoomdle, che ha annunciato applicazioni su misura anche per il
mobile, Smartsy e Madame Figaro, sviluppata in casa dall'editrice dell'omonimo quotidiano transalpino.
Anche considerando solo queste tre società hi-tech, a oggi, ammontano almeno a una quarantina le testate
che hanno deciso di cimentarsi nell'e-commerce. Le loro applicazioni vengono scaricate con una media di 30
mila download, arrivando a occupare i primi posti delle classifi che Apple sulle app più richieste. Esiste infi ne
il caso particolare di una software house che ha deciso di farsi da sola la propria rivista, invece che allearsi
con una pubblicazione già esistente. Si tratta della britannica Net-a-porter che ha lanciato Porter Magazine, in
modo che il nuovo periodico attiri lettori e li indirizzi direttamente al proprio sito di vendita. Se in Francia, il
binomio stampa periodica e e-commerce sta dilagando, non è da meno il mercato anglosassone dove, un
nome per tutti, Condé Nast, editore tra gli altri di Vogue, ha creato una divisione aziendale ad hoc per il
commercio elettronico.
Foto: Un esempio di app che permette di scegliere prodotti da comprare all'interno di più riviste
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Magazine francesi e start-up alleati per trasformare i contenuti giornalistici in link ai siti di vendita
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 25
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Assalto al tesoro di Google
Davide Fumagalli
Cassa miliardaria, utili solidi ma un andamento di borsa che ha perso lo slancio di un tempo, situazione
peraltro non mitigata da una generosa tradizione di distribuzione di cedole agli azionisti. La situazione
descritta è valida per non pochi colossi dell'hi-tech a partire proprio dai due protagonisti e antagonisti del
settore, ovvero Apple e Google. Dopo la scomparsa di Steve Jobs, però, Apple ha dovuto modificare la
propria policy e iniziare un diverso e più generoso rapporto con i propri soci, cui ha destinato parte della
propria cassa sotto forma di dividendi e di colossali piani di riacquisto delle proprie azioni a sostegno del titolo
stesso. Una politica che ha segnato anche la nuova impronta data da Tim Cook al colosso di Cupertino, che
ha abbandonato alcune delle posizioni spigolose del suo geniale fondatore tra cui, oltre appunto alla mancata
distribuzione di dividendi, anche una strenua difesa legale dei propri diritti di fronte alle, spesso innegabili,
copiature da parte dei molti concorrenti dei propri dispositivi come delle stesse architetture software e
piattaforme. Al cambiamento ha inoltre contribuito in maniera non marginale l'intervento di Carl Icahn, il
finanziere principe degli investitori-attivisti che ha più volte incalzato Cook per un uso più generoso verso gli
azionisti dell'enorme cassa accumulata da Apple, che ha raggiunto a fine anno 155 miliardi di dollari. Una
politica che ha permesso, insieme al grande successo di iPhone 6 e delle altre novità presentate, di far
segnare al titolo Apple nuovi record storici a 119 dollari per azione, concludendo così il 2014 con un
progresso del 39%. Dopo Apple, la prossima vittima del metodo Icahn potrebbe essere Google. La grande
rivale del colosso di Cupertino, infatti, sedeva a fine settembre su di una cassa di 62 miliardi di dollari che
potrebbe essere lievitata sino a 80 miliardi alla fine dell'esercizio, ma ha sinora sempre lasciato a secco di
dividendi i propri azionisti, sino a qualche mese fa più che soddisfatti dell'andamento del titolo. Con una
performance negativa del 4,7% nel corso del 2104, però, Google ha decisamente sottoperformato il mercato
e i principali concorrenti, contribuendo quindi ad aumentare la pressione per un uso più generoso delle
riserve a favore dei soci. La società di Mountain View si trova inoltre ad affrontare molteplici sfide, che
spaziano dallo scrutinio sempre più attento delle autorità europee verso il metodo di trattamento dei dati
personali e della privacy sino alle richieste di un vero e proprio break-up delle attività di ricerca da quelle di
gestione della pubblicità online. I problemi per Google non sono però solo di ordine legale. Delle molteplici
attività e iniziative in cui la società ha investito a suon di miliardi di dollari, ben poche hanno raggiunto livelli di
profittabilità in grado di essere paragonati al principale e ormai rodato core business, ovvero la vendita di
pubblicità legata alla conoscenza sempre più approfondita degli utenti. Lo stesso successo di Android, il
sistema operativo che equipaggia la maggior parte degli smartphone venduti, viene monetizzato da Google
(che sostiene i costi di sviluppo, offrendolo poi gratuitamente ai costruttori) sempre attraverso la pubblicità.
Altri investimenti fatti dalla società guidata dal co-fondatore Larry Page sino inoltre rivelati decisamente meno
redditizi. I famosi Google Glass, gli occhiali con fotocamera integrata in grado di registrare ogni immagine in
tempo reale, proiettando anche informazioni sulle lenti, restano ancora a livello sperimentale mentre il lancio
commerciale in grande stile, complice una serie infinita di problematiche relative alla privacy, sembra sempre
più lontano. Accantonate le velleità di diventare protagonista a tutto tondo del panorama IT come Apple con
la vendita a Lenovo della divisione telefonia mobile di Motorola, Google non è riuscita sinora neanche a
imporre il sistema operativo Chrome sui pc, settore sempre dominato saldamente da Microsoft che si prepara
inoltre a lanciare in autunno la nuova versione di Windows, che dovrebbe eliminare la cattiva fama più o
meno meritata dell'attuale Windows 8 tra gli utenti. Il principale ostacolo a una politica più generosa verso gli
azionisti è però dato dalla particolare struttura azionaria di Google, che vede due tipi di azioni con diritti di
voto assai diversi tra loro. Grazie a questo stratagemma, utilizzato anche da altre web company come
Facebook, per esempio, i due co-fondatori e il presidente controllano il 60% dei diritti di voto possendendo un
numero elevato di azioni di categoria B, caratterizzate da un diritto di voto pari a 10 azioni di classe A quotate
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NASDAQ
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Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
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(diffusione:100933, tiratura:169909)
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a Wall Street. Un ostacolo che potrebbe però rivelarsi non insormontabile per un finanziere accorto e capace
di organizzare forti pressioni anche mediatiche come Carl Icahn, che troverebbe facilmente altri alleati tra i
fondi grandi azionisti della società delusi dal corso azionario. Come ha dimostrato Cook, un onorevole
compromesso è spesso la via più saggia. (riproduzione riservata)
I NUMERI DI GOOGLE E APPLE A CONFRONTO Dati in dollari * Dati del trimestre terminato a fine
settembre GRAFICA MF-MILANO FINANZA Cassa Fatturato * Utili * Performance azione nel 2014 62 mld
16,5 mld 2,8 mld -6% 155 mld 42 mld 8,5 mld 39% Google Apple
GOOGLE 2 gen '14 2 gen '15 450 600 500 550 650 quotazioni in dollari 529 $ -5,04%
Foto: Carl Icahn
Foto: Larry Page
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/google
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 25
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Nel 2015 Bruxelles capitale della digital economy
Mauro Masi
Il 2015 si apre con prospettive non certo entusiasmanti per l'Unione Europea sotto molti punti di vista. C'è
però un settore in cui le scelte che saranno fatte a livello Ue quest'anno saranno cruciali a livello globale ed è
quello dell'economia digitale e, in particolare, della tutela del diritto d'autore su Internet. Nei giorni scorsi il
nuovo commissario Ue alla Digital Economy, il tedesco Günther Oettinger, ha incontrato il gruppo di lavoro
del Parlamento Ue per mettere in moto la riforma del diritto d'autore che dovrà essere varata entro il 2015.
Non ci sono riscontri ufficiali sull'esito di questo incontro, ma, secondo quanto è trapelato da fonti molto
attendibili, Oettinger ha detto con chiarezza che «non vuole dar seguito a norme che non funzionano». Il
riferimento è chiaramente alla questione nodale di queste settimane, cioè l'eventuale pagamento obbligato da
parte degli aggregatori (i motori di ricerca) agli editori anche per l'uso degli «snippets» (brevi estratti di
articoli). Come noto, ciò è stato di recente imposto dal legislatore nazionale sia in Germania sia - e in maniera
ancora più cogente - in Spagna, provocando la reazione di Google che ha chiuso i propri servizi locali di
Google News con il risultato di far crollare in pochi giorni il traffico editoriale e far fare precipitose e ingloriose
marce indietro agli editori, tedeschi prima e spagnoli dopo, preoccupatissimi del precipitare degli accessi ai
loro siti. Ebbene, Oettinger non ritiene (peraltro molto giustamente) che queste norme siano estensibili a
livello europeo. Anzi, sempre secondo riscontri molto credibili, avrebbe citato proprio i casi spagnolo e
tedesco come «esempi negativi». Il tema, secondo il commissario, andrà affrontato in maniera nuova e
diversa. Oettinger avrebbe parlato di «diritti accessori» al diritto d'autore che dovrebbero essere riconosciuti
in maniera diversa dal diritto principale. Una strada, questa, che può aprire prospettive nuove e interessanti.
Vedremo. L'altro elemento che pone nel 2015 l'Ue al centro delle dinamiche della digital economy è il fatto
che quest'anno diventeranno efficaci nei Paesi dell'Unione le regole che impongono il pagamento dei servizi
là dove questi vengono consumati e non dove la compagnia che li vende ha sede. È noto che molti giganti
dell'hi-tech (Apple, Microsoft, Amazon ecc.) hanno spostato le sedi in Irlanda e in Lussemburgo proprio per
approfittare di trattamenti fiscali molto favorevoli; ad esempio, l'Iva sugli e-book in Lussemburgo è al 3%
mentre in gran parte d'Europa è al 20. Ora il cambiamento del meccanismo di tassazione (si pagherà in base
alla disciplina del Paese di residenza dei consumatori) porterà un aumento del costo complessivo dei servizi
digitali nella Ue stimato in almeno 1 miliardo di euro l'anno; vedremo come tutto ciò influirà sulla domanda di
questo tipo di servizi nei Paesi dell'Unione e soprattutto quali saranno le contromosse dei Grandi del web.
(riproduzione riservata) *delegato italiano alla Proprietà Intellettuale ([email protected])
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IL PUNTO di MAURO MASI
03/01/2015
Pagina99 - N.75 - 3 gennaio 2015
Pag. 1.20
Web 3.0 ; Scordatevi robot domestici e androidi. I nostri interlocutori del futuro saranno software. E i Big Data
/arche di un mondo al contempo reale e virtuale. Che presto nascerà da internet Secondo la società Quid, la
ricerca in A.l. ha attratto più di 17 miliardi di dollari dal 2009 ad oggi
FEDERICO GENNARI SANTORI
• «Dobbiamo essere super attenti con l'intelligenza artificiale, potenzialmente più pericolosa delle armi
nucleari». Così sentenziava su Twitter Elon Musk, visionario fondatore di Tesla e Space X. Eppure è lo
stesso che intende rivoluzionare il mercato delle auto e portare l'uomo su Marte, ma teme una guerra tra
uomini e macchine. L'intelligenza artificiale con cuifrapochi anni avremo a che fare, però, sarà qualcosa di
diverso. Nascerà da un laboratorio permanente di cui tutti noi siamo parte, internet. Che proprio allora subirà
radicali trasformazioni, rendendo gli utenti protagonisti di una rivoluzione tecnologica e cognitiva senza
precedenti. Ora dopo ora ci avviciniamo alla transizione verso ciò che anche analisti e profeti non sanno
ancora definire ma chiamano web 3.0. Un mondo libero ed egah'tario per alcuni, sottomesso e distopico per
altri. Al quale, in entrambi i casi, arriveremo inseguendo fini commerciali. Unarete in espansione Negli anni la
rete è divenuta parte integrante dellanostra vita eia tecnologiainformaticaha assunto connotati pervasivi.
Pensiamo agli smartphone. L'Unione internazionale per le telecomunicazioni (Itu) dell'Onu aveva previsto che
entro la fine del 2014 gli utenti nel mondo sarebbero stati circa 3 miliardi (40% della popolazione globale), 2,3
dei quali muniti di un cellulare. E aumenteranno ancora. Colossi come Google e Facebook, del resto, stanno
investendo per portare la banda larga tramite droni e satelliti nei Paesi in via di sviluppo, che Samsung,
Microsoft e altre compagnie si apprestano a invadere con smartphone poco costosi. «La diffusione
dell'accesso alla rete e dei dispositivi mobili sta cambiando rapidamente internet», ci racconta il più letto
divulgatore informatico d'Italia, Salvatore Aranzulla. Perconnetterci ed esplorare il web, non dobbiamo più
stare di fronte aun computer. Grazie alle app, basta premere un'icona sul touch screen, senza passare
attraverso motori di ricerca. E «i social network, da Facebook a Twitter passando per Instagram, sono
calibrati per offrire un'esperienza quanto più integrata con la vita reale, quella a contatto con individui e luoghi
concreti». Tutto è meno statico e verticista di un tempo, ma soprattutto più ampio e polimorfo. «Il web 1.0,
quello degli esordi negli '90, ospitava soltanto siti statici - continua Aranzulla L'utente poteva visitarli e
leggerne i contenuti per poi, al massimo, passare a quelli di altri siti grazie ai link». Su tutto regnavano i
motori di ricerca, come i pressoché dimenticati Libero o Yahoo! e il vincente Google. Poi arrivarono i blog, i
forum, le chat, la tecnologia wiki e infine i social network. Da mero fruitore l'utente si scoprì attore, con la
possibilità di produrre gratuitamente contenuti propri e di commentare quelli altrui, entrando in contatto con
nuovi utenti. «Così la rete si trasformò in un mezzo per condividere e interagire all'interno di un universo
dinamico e collaborativo conosciuto come web2.0». Il prezzo dapagare Oggi si può dubitare dell'esistenza di
chi nonhaun account si Facebook, che in pochi anni ha superato 1,3 miliardi di utenti nel mondo. Le ragioni di
questo successo consistono nella personalizzazione senza precedenti che ha saputo introdurre. Nato
nell'università di Harvard, serviva per mettere in contatto gli studenti tramite profili privati, su cui pubblicare
foto, link e commenti. La vera novità fu la possibilità di legarsi tramite le "amicizie" per poi vedere gli
aggiornamenti altrui su un'unica pagina iniziale, in tempo reale. Tutto a costo zero. Una sola piattaforma
univain manieraintuitivale funzioni di un blog personale, di un forum, di una chat. Da allora sono esplosi i
servizi di messaggistica istantanea come WhatsApp. Mentre i vari Facebook, Twitter, Linkedln, Pinterest,
Flickr e altri continuano, chi più chi meno, a guadagnare utenti. «Attraverso i social network produciamo
grandi quantità di contenuti, aumentate enormemente con la diffusione di smartphone e tablet», ci spiega
Riccardo Esposito, blogger e fondatore del sito My social web. Basti pensare che quando un utente vuole
cercare qualcosa usa spesso queste piattaforme, divenute sterminati database. Se Google registra circa 3,3
miliardi di ricerche al giorno, Twitter ne raggiunge 1,5 e Facebook sfiora il miliardo. La dimensione privata e
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L'intelligenza artificiale ci travolgerà
03/01/2015
Pagina99 - N.75 - 3 gennaio 2015
Pag. 1.20
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critica del web ha definitivamente prevalso su quella pubblica e perlopiù espositiva degli inizi: ci informiamo,
seguiamo inostri interessi, parliamo, esprimiamo opinioni, condividiamo immagini dellanostra vita privata. E
nel farlo, lasciamo tracce. «I servizi del web 2.0 che ritenevamo gratuiti, dai social ai motori di ricerca, hanno
un prezzo: le nostre informazioni personali. Negli ultimi anni i maggiori social network hanno modificato gli
algoritmi che regolano la visibilità dei contenuti da parte degli utenti per offrire alle aziende un servizio di
advertising più mirato ed efficace». E non è certo un caso che Twitter abbia aperto unacollaborazione con
Amazon, il sito di e-commerce più famoso al mondo, per l'acquisto mediante hashtag. Lo stesso vale per
Facebook, in cui ITiacker 21enne Andrew Aude ha scovato un sistema di mobile payment in lavorazione. Big
Data e internet ofthings Così il web 2.0 ci hatraghettati nell'era dei Big Data. Svolgendo attività in rete, ogni
utente concede continuamente informazioni su interessi, umore, ritmi di vita, paure, inclinazioni, consenso.
Organizzandole sistematicamente, si ottengono quantità di dati sterminate, che i giganti di internet possono
utilizzare per i più svariati fini. Se gli smartphone hanno accelerato questo processo, la diffusione dei
dispositivi indossabili (wearablé) che saranno tutti gli effetti parte di noi, quali iWatch e Google Glass, farà il
resto. Parallelamente, oltre agli utenti con pc e cellulare, anche gli oggetti si connetteranno alla rete e vi
immetteranno input, senza alcune intermediazione umana (internet ofthings). Dai braccialetti per il fitness agli
impianti di illumuiazione. Uomini e cose che generano dati. Insieme. «La rivoluzione dell'analisi dei Big Data
consiste nella possibilità di fare previsioni sul futuro secondo uno schema matematico definito, il cui
fondamento, in qualche modo, sussiste non a priori ma a posteriori», spiega Stefano Epifani, docente di
Social media management all'università La Sapienza. Se un tempo, infatti, si effettuavano sondaggi e
campionamenti per conoscere le caratteristiche di una comunità di utenti e ipotizzarne gli sviluppi futuri, oggi
unarealtà come Google ha tutti i dati su ciascun membro di essa. «Non solo ne conosce
approssimativamente gusti e inclinazioni, ma può anche misurarne in tempo reale qualsivoglia mutazione.
Perché anch'essa, in quanto tale, si tradurràin dati. Mailloro potenziale di utilizzo è ancora inespresso per i
limiti delle facoltà computazionali umane». Ci vuole un'intelligenza superiore o, per meglio dire, diversa
rispetto a quellaumana. Verso il web 3.0 Grazie al cloud computing e ad algoritmi più complessi, i software
migliorano. Hanno capacità di calcolo e multitasking nettamente più elevate, ma ancora non sanno analizzare
i dati come farebbe un uomo. Perdono la semantica, ovvero il significato di un contenuto rispetto al contesto.
Pensiamo alle ricerche su Google: digitando "espresso" vedremo apparire indistintamente risultati sulla
celebre rivista italiana e su un tipo di caffè. Nella nuova architettura di internet i dati saranno affiancati da
metadati che li qualifichino, permettendo agli algoritmi di leggerli in chiave interpretativa. Il cosiddetto web
semantico annullerà i fraintendimenti e alimenterà una conoscenza inedita della personalità degli internauti: i
software saranno in grado di capirci. Unendo questo paradigma all'estensione di
unatecnologiaingradodiadattareaqualunque definizione le immagini bidimensionali e tridimensionali (Grafica
vettoriale scalabile), nel 2006 l'inventore del World Wide Web Tim Berners-Lee immaginò la nuova frontiera
della rete che oggi conosciamo. Molti da allora hanno cercato di approfondire un'idea ancora oscura, o di
immaginarne una concretizzazione. «Qualcuno ha parlato di un web 3D, dove tramite un nostro avatar ci
muoveremo per spazi virtuali sterminati, come in un videogioco allaSecondLife», ci dice Rudy Bandiera,
consulente e autore di Rischie e opportunità del web 3.0 (Flaccovio Editore). Più concretamente, altri hanno
ipotizzato che il web 3.0 sarà quello della cosiddetta realtà aumentata: una sovrapposizione tra realtà
sensibile e realtà virtuale. «L'internet delle cose e i dispositivi indossabili come Google Glass, infatti,
amplificheranno la nostra percezione degli ambienti in cui ci muoviamo». Saremo dotati di protesi cognitive
che invieranno e riceveranno da ogni dove raffiche di dati. «Diventato parte integrante della nostra vita e
unico mass media che riassumerà in se tutti gli altri, un web del genere non potrà che influenzare i processi
culturali, sociali ed economici come mai era accaduto prima». Sarà questo l'orizzonte di quel "web
potenziato" di cui si è iniziato a parlare per il ruolo svolto dai social network nelle primavere arabe. Big Data,
semantica e grafica potenziata sarebbero il fondamento del web 3.0, nel quadro di un pressoché totale
abbattimento delle barriere tra virtuale e reale, che vedrà entrare in gioco l'intelligenza artificiale. «Tante
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realtà concatenate e simultanee convergono su quest'ultimo anello della catena, che rappresenta il vero
cambio di paradigma a cui la ricerca si sta preparando», afferma Valerio Eletti, fisico e direttore scientifico del
Complexity education project dell'università La Sapienza. «L'odierno motore di ricerca non sarà più un
asettico e generalizzato sistema di accesso ai database della rete, bensì un interlocutore diretto e specifico
per ciascun utente, che ascolterà le nostre domande interpretandone il senso e magari anche il tono». Per
dare nell'immediato risposte precise, sulla base dei dati che ha raccolto ed elaborato sul nostro conto, come
la voce del film Her. «Lo sviluppo del web 3.0 pone così il tema dell'integrazione uomo-macchina»,
applicandolo alla rete e sbloccandolo da un immaginario novecentesco ancora legato ai robot antropomorfi. I
pionieri di Google I colossi della rete puntano quindi ad aumentare i servizi per l'utente e la loro capillarità, in
vista di una sempre maggiore integrazione tra virtuale e reale dalla quale ottenere informazioni. Come
dimenticare Zuckerberg che spende 2 miliardi di dollari per acquisire Oculus Vr, società specializzata in
sistemi di realtà virtuale per i videogiochi? Con il motore di ricerca, il servizio di posta elettronica e il sito di
video (YouTube) più utilizzati al mondo, resta però Google l'azienda che dispone del maggior quantitativo di
dati interpretabili al mondo. Con il nuovo progetto Automatic Statistician Google punta a creare
«un'intelligenza artificiale (Ai)», conio scopo di «automatizzare la selezione, la costruzione e la spiegazione di
modelli statistici per l'analisi dei Big Data». Dopo aver scoperto che solo il 56% degli avvisi pubblicitari su
Google sono effettivamente visualizzati dagli utenti, l'obiettivo è ambizioso : offrire maggiori garanzie agli
inserzionisti per conquistare quei due terzi del mercato pubblicitario globale (che secondo Magna Global
varràcirca 537 miliardi di dollari nel 2015) ancora fermi su device non digitali. Ma il salto di qualità richiederà
dati migliori, conferma Ray Kurzwail, assunto per «portare la comprensione del linguaggio dentro Google».
Costruire un'autentica intelligenza artificiale «è un obiettivo possibile se hai una quantità sufficiente di dati. E
il risultato potrebbe valere molto più di qualunque cosaprodotta da internet frinoadoggi». Negli ultimi anni,
Google avrebbe acquistato 14 start-up specializzate in Ai e in robotica. Lavora allo sviluppo di un sistema di
guida automatico. Ha assunto un team dell'università di Oxford che si unirà a Deep Mind, società rilevatalo
scorso gennaio a un prezzo stimato tra400 e 500 milioni di dollari, «per permettere alle macchine di capire
meglio ciò che gli utenti stanno dicendo», ha spiegato il fondatore DemisHassabis. Nel 2004 è nato il progetto
Google Books Search conl'obiettivo di trasferire ordine tutti i libri del mondo. Ma col fine ultimo di digitalizzare
il sapere umano, memorizzando e indicizzando tutte le frasi mai scritte. Il motore di ricerca, tenendo conto di
attività e informazioni degli utenti, potrà così risalire in termini probabilistici al significato che una certa parola
assume in una frase. Da qui a 10 anni Google potrà essere in grado di capire il senso di ciò che diciamo compresal'ironia - e di darci risposte mirate. Apprendendo il nostro modo di pensare. Cosasarà in concreto
Sramana Mitra, fondatrice dell'incubatore globale lm/lm, ritiene che «il web 3.0 risulti dalla combinazione di
contenuto, commercio, comunità e contesto, con la personalizzazione e il vertical search (ricerca settoriale,
fecalizzata su un unico tema specifico, ndr). Web 3.0 = 4C + P + Vs». Pensiamo alla nostra esperienza di
consumatori. Stiamo organizzando un viaggio a Parigi e cerchiamo un albergo vicino alla cattedrale di Notre
Dame da prenotare online (commercio). Niente lusso né kitsch, un semplice bed and breakfast, tranquillo e
confortevole. Cercheremo su Google e una valanga di risultati ci sommergerà (contenuto). Magari dovremo
saltare daun sito all'altro per ore. E il timore di esserci persi qualcosa non ci abbandonerà mai. Allora
passeremo a siti specializzati come TripAdivisor (vertical search). Leggeremo decine di recensioni, ma senza
garanzie sulla loro affidabilità e sui gusti degli autori, che potrebbero essere diversissimi dai nostri (comunità).
Allora potremmo sprofondare nel dubbio per la molteplicità delle offerte o restare delusi per non aver trovato
ciò che avrebbe davvero fatto al caso nostro (contesto). Se non avesse costi proibitivi, ci vorrebbe un'agenzia
di viaggi, più esperta e rapida di noi, a cui spiegare precisamente che cosa vogliamo per ricevere una
ristretta, e soprattutto adeguata, rosa di proposte (personalizzazione). È quel che, nella pratica, potrebbe
accaderci nel web 3.0. Magari con qualche dispositivo indosso. Il nostro agente, però, non sarà una persona,
bensì un web robot (o bot) intelligente. Che filtrerà tutti i contenuti disponibili attraverso algoritmi coerenti con
informazioni personali e modo di essere degli utenti, descritti dai dati che interagendo in rete - dai "Mi piace"
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su Facebook alle ricerche su Google - avranno prodotto e che saranno stati memorizzati nel corso di anni.
Visualizzeremo le pubblicità giuste per noi, i commenti degli utenti che ci somigliano di più, le notizie più
vicine ai nostri interessi o più in grado di colpirci. Secondo il fondatore dellarivista WiredKevin Kelly, si
innescherà un reazione a catena di cui già si intravedono i probabili impatti sul mercato. «Più persone
saranno a utilizzare l'intelligenza artificiale, più questa migliorerà. Più migliorerà, più persone la utilizzeranno.
Più persone la utilizzeranno, ancor più migliorerà. Una volta entrata in questo circolo virtuoso, una compagnia
crescerà tanto e così velocemente da travolgere ogni nuovo concorrente. Di conseguenza, il nostro futuro
basato sull'Ai sarà regolato da un'oligarchia di due o tre grandi intelligenze commerciali, di uso generico e
basate sul cloud computing». Google e gli altri giganti. Forse.
Google punta al mercato pubblicitario (537 miliardi di dollari in totale) non ancora passato al digitale
CRONOLOGIA -1993 II Cern rende pubblica la tecnologiadelWorldWideWeb,sviluppatadaTim Berners-Lee
nel 1991 e inizialmente riservata allacomunitàscientifica. 1998 Larry Page e Sergey Brin fondano Google in
un garage di Menlo Park,California. 2001 JimmyWaleseLarrySanger aprono Wikipedia. In unanno raggiunge
circa 20 mila voci in 18 lingue. 2004 Entrain funzione Google Books Search, strumento per laricercadi libri
digitalizzati e in commercio. 2005 MarkZuckerberglanciaonlineil sitofacebook.com, realizzatol'anno
precedente con quattro colleghi dell'università di Harvard. 2006 Tim Berners-Lee avanzal'ideadel web3.0,
legandolo alla semantica e allaGrafica vettoriale scalabile. 2009 Dueex impiegati diYahoo! creano WhatsApp,
oggi l'applicazione di messagisticaistantaneapiù diffusa al mondo. 2013 Google rilasciale specifiche tecniche
dei Google Glass, sul mercato Usadall'anno successivo al prezzo di 1.500 dollaripiù tasse. 2014, marzo
Facebook acquistaper 2 miliardi di dollari Oculus VR, societàspecializzatain realtà virtuale. 2014, dicembre
Google annuncia il progetto AutomatedStatisticianperl'eleborazione dei Big Data con l'intelligenzaartificiale.
Foto: DEVICE Thad Starner, direttore tecnico del Project Glassdell'aziendadi Mountain View, indossa un paio
di Google Glass nel suo ufficio ad Atlanta
Foto: DAVID WALTERBANKS/THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO
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Internet | Viaggio tra i servizi che abbreviano lunghi indirizzi web in link di pochi caratteri. Tecnica vitale per
condividere contenuti, soprattutto su Twitter. Ma che non sempre garantisce da pubblicità e portali truffaldini
La scelta del colosso di microblogging di adottare Bitly ha affossato Tiny.urt Adfly, trai principali siti al mondo,
ridirìge spessoai download di softwaredannosi
JACOPO FRENQUELLUCCI
• Nati per semplificare la vita sul web, i servizi di uri shortening stanno diventando orala principale fonte di
sostentamento della pirateria online, generando milioni di dollari grazie agli utenti a caccia di serie tv piuttosto
che di software contraffatto. La loro funzione è accorciare indirizzi web altrimenti troppo lunghi da
condividere: i primi nascono a inizio degli anni Duemila, e la loro popolarità cresce di pari passo con quella
dei social network e in particolare di Twitter, con il suo limite di 140 caratteri. Ad aprire la strada è stato
Tiny.url nel 2002, e in meno di un anno sono nati almeno 100 emuli. Molti di questi siti hanno avuto vita
breve. Emblematico il caso di tr.im della Nambu network, che chiuse nel 2009 nonostante un discreto
successo di pubblico: i creatori spiegarono che «nessuno pare disposto a riconoscere un valore economico al
nostro prodotto» e ammisero che «gli utenti non sono disposti a pagare per il servizio, e nemmeno noi
capiamo perché dovrebbero». Tra le cause, anche una insinuazione molto esplicita: «Non abbiamo amici a
Twitter». In effetti il colosso di microblogging di San Francisco ha fatto fino a ora il bello e il cattivo tempo nel
mercato: la scelta nel 2009 di abbandonare l'integrazione con Tiny.url a favore di quella con Bitly ha favorito il
crollo del primo e la rapida crescita del secondo, che fino a quel momento aveva raccolto 3,5 milioni di dollari
di finanziamenti e dopo ne ha ottenuti 28 in meno di 24 mesi. Oggi quasi il 40% dei link su Twitter, secondo le
stime degli analisti di Quintly, sono accorciati con Bitly, mentre a Tiny.url resta poco più del 2%. La svolta,
anche economica, di Bitly è stata aprire un nuovo fronte con le imprese: abbonamenti che partono dai 1.000
dollari al mese permettono alle società, più di 400, di monitorare in maniera approfondita il proprio flusso di
dati e soprattutto di creare link personalizzati, che sono più di un quarto del totale di quelli utilizzati su Twitter.
Normale, se fra i clienti figurano giganti come eBay, Nike, Adobe e il New York Times. Nel corso degli anni
tutti i big della Silicon Valley sono corsi ai ripari e hanno lanciato un loro servizio interno, Twitter per primo ma
anche Google, Facebook, Wordpress e Youtube. Bitly ne ha sicuramente sofferto, se è vero che nel 2010
riduceva più dell'80% degli indirizzi condivisi sui social network, ma con più di 20 miliardi di link sparsiper la
rete rimane comunque il leader del settore: ogni mese abbrevia più di 500 milioni di WEB Utenti con i loro
laptop, sullo sfondo proiezioni di codice binario uri, che vengono visualizzati in media 7 miliardi di volte. Il ceo
Mark Josephson ha di recente indicato gli obiettivi dell'azienda, che conta al momento 55 dipendenti:
«Vogliamo potenziare il business dei nostri clienti, personalizzando i loro link e migliorando le performance
degli stessi». Gli fa eco il responsabile vendite Max Samis: «La nostra strategia economica si concentra sulle
soluzioni 2.0 per le imprese». La filosofia di Bitly è di risultare invisibile per l'utente, e l'unica eccezione è la
campagna Hope.ly, in collaborazione con la Croce rossa internazionale, che fa comparire sullo schermo un
link per una donazione. Del resto, Bitly fa parte della galassia Betaworks, un fondo di investimento che ha
quote in Twitter, AirBnB, Buzzfeed, Tumblr, Pinterest e Kickstarter: lamonetizzazione immediata può non
essere la priorità. Non sono stati della stessa idea i ragazzi di Bread, start-up nata a San Francisco nel 2011
e capace di raccogliere fondi per 4,3 milioni di dollari in meno di un anno. Sono stati infatti i primi a introdurre
un passaggio obbligato tra il link accorciato e la destinazione : una pubblicità, dalla durata di 5 secondi, che
chi aveva creato il collegamento poteva personalizzare con testi e immagini di propria scelta. Una idea che
aveva riscosso successo soprattutto tra le celebrità molto attive sui social, desiderose di dirottare sempre e
comunque verso i loro siti personali il traffico che generano: tra i principali clienti figuravano infatti star della
musica come Lady Gagà e 50 Cent, consigliate dal loro manager Troy Carter, uno dei primi finanziatori di
Bread. Nel 2013 Yahoo ha prima comprato e poi chiuso la società: ciò che interessava al motore di ricerca
erano le capacità dei dipendenti, che sono stati subito impiegati nella sezione marketing, e non il servizio in
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il mercato milionario degli accorciatori di url
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sé. A raccogliere il testimone sono stati gli inglesi di X19 Limited, il cui unico prodotto, Adfly, si basa sempre
sul costringere l'utente che ha cliccato sul link abbreviato a visitare per pochi secondi un altro indirizzo web: la
differenza sta però nel fatto che non si tratta di una pagina a scelta della persona che ha creato il
collegamento, ma di una pubblicità a tutti gli effetti. Adfly non solo viene pagata dagli inserzionisti, ma a sua
volta remunera chi genera traffico: in meno di un anno è diventato il punto di riferimento per chi condivide
contenuti sul web, si tratti di materiale legale o illegale, streaming su tutti. Sono più di tre milioni i profili
registrati, e la media di collegamenti aperti si attesta sui 10 milioni al giorno: il sito riceve una cifra che va dai
40 centesimi ai 5 dollari ogni mille ospiti, a seconda del Paese di provenienza degli stessi, e paga tra i 20
centesimi e i 4 dollari chi li attrae, sempre basandosi sulla geografia. Il valore dei visitatori segue la capacità
di spesa: raggiungere mille statunitensi costa 5 dollari, altrettanti indonesiani invece meno di un decimo. Il
guadagno per Adfly non sta solo nella differenza tra entrate e uscite: per essere pagato, chi condivide un link
abbreviato deve generare in un determinato periodo di tempo un ammontare minimo, sia per quanto riguarda
il numero di contatti sia per la cifra da riscuotere, pena la mancata corresponsione. Proprio su questa
caratteristica fanno leva i nuovi rivali come Linkbuckets, che però non sono riusciti a scalfire la posizione
dominante di Adfly, che secondo Alexa, l'indice di popolarità del web, è tra i 150 siti più grandi al mondo (Bitly
si ferma alla posizione 450). Teoricamente Adfly garantisce sulla sicurezza dei siti che vengono pubblicizzati,
e dovrebbe escludere chi usa link a contenuti illegali per guadagnare. Gli scrupoli rimangono però solo sulla
carta, e moltissimi siti, a partire da Facebook, vietano ora di condividere link abbreviati con Adfly; il
Dipartimento delle telecomunicazioni indiano, motivato a difendere le produzioni di Bollywood, ha impedito
l'accesso al dominio da tutto il Paese. Su Reddit gli utenti che prima utilizzavano Adfly per arrotondare grazie
alla condivisione di materiale legale - in particolare contenuti aggiuntivi gratuiti per Minecraft, il gioco di
recente acquistato da Microsoft per oltre due miliardi di dollari - hanno iniziato a lanciare campagne di
boicottaggio nei confronti del servizio, lamentando in particolare come alle pubblicità siano spesso associate
vere e proprie truffe, come il download di software dannosi. Ma la base di utilizzatoli di Adfly non fa che
crescere, e così le entrate dellaXl9 Limited: solo il dominio viene valutato tra i 25 e i 65 milioni di dollari da siti
specializzati come W3bin e Mcj, e secondo Duedil, un database per le aziende inglesi, la società madre ha
visto i propri profitti crescere dell'80% tra il 2012 e il 2013, con una previsione addiritturasuperioreperil2014.
Infatti nell'anno appena trascorso, dovrebbe superare i sei milioni di dollari di guadagni.
Foto: DADO RUVIC/REUTERS/CONTRASTO
02/01/2015
Engage.it
Sito Web
Primi sui Motori acquisisce un ulteriore 24,7% di Crearevalore S.p.A.
L'agenzia di web marketing, parte del Gruppo dal luglio 2013, godrà dell'immissione di risorse finanziarie e
potrà intensificare i servizi alla propria base clienti
Primi sui Motori, società di web e digital marketing, quotata sul mercato AIM Italia, ha finalizzato il closing
dell'acquisizione di un'ulteriore quota partecipativa in Crearevalore S.p.A., corrispondente al 24,7%
dell'attuale capitale sociale.Il 18 luglio 2013 l'Emittente aveva finalizzato l'acquisizione di una partecipazione
di maggioranza pari al 51% della Crearevalore S.p.A., agenzia di web marketing specializzata nei servizi di
posizionamento di siti web e nella consulenza in materia di internet marketing.Secondo quanto si apprende
da una nota ufficiale di Primi sui Motori, "l'operazione è il risultato di un conferimento in natura di n. 6.790
azioni ordinarie Primi sui Motori, per un controvalore complessivo di circa Euro 150 migliaia, con il quale è
stata acquisita l'intera partecipazione dell'azionista Crearevalore Srl"."Si comunica - prosegue la nota - che
tale operazione ha comportato la cessazione dell'efficacia del patto parasociale intercorrente tra Primi sui
Motori S.p.A. e Crearevalore S.r.l. e la conseguente decadenza dell'opzione put&call il cui esercizio sarebbe
scaduto a valle dell'approvazione del bilancio 2015".«La società, entrata a far parte del Gruppo Primi sui
Motori nel luglio 2013, ha confermato di essere, come previsto, all'avanguardia nell'ambito del know how
relativo al mondo digitale. L'operazione odierna è propedeutica a far sviluppare maggiormente Crearevalore
sia tramite l'immissione, da parte della capogruppo, di risorse finanziarie nella società per sostenerne il piano
di crescita sia avvalendosi maggiormente di questo know how intensificando la proposta dei servizi di
Crearevalore S.p.A. alla propria base clienti», ha commentato Alessandro Reggiani, presidente e
amministratore delegato di Primi sui Motori.
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Tecnologia
02/01/2015
Engage.it
Sito Web
Su Pinterest arriva la pubblicità : via ufficiale ai Promoted Pins
Finita la fase di test, l'1 gennaio è partito il roll out dei Pin sponsorizzati. A marzo il programma di formazione
e informazione sulle ads "Pinstitute", mentre sono ancora allo studio gli annunci auction-based
Il 2015 di Pinterest si è aperto con un'importante novità. Proprio il primo giorno dell'anno, infatti, il social
network ha dato il via ufficiale alla diffusione di pubblicità all'interno della piattaforma, attraverso i cosiddetti
Promoted Pins.I Pin sponsorizzati erano stati annunciati già a fine marzo, con la promessa di essere degli
annunci "belli da vedere" e perfettamente integrati all'interno del flusso di immagini del sito. A maggio, invece,
aveva preso il via la fase di testing con un selezionato gruppo di partner, del calibro di Expedia, Gap, General
Mills e Nestlé, solo per citarne alcuni.I risultati di questi test sono stati analizzati, ed hanno rivelato risultati più
che soddisfascenti per i brand coinvolti, pubblicati sul blog ufficiale di Pinterest.Gli utenti hanno condiviso
Promoted Pins in media 11 volte, in linea con la frequenza di condivisione delle immagini standard, il che
equivale a un aumento del 30% in earned media. In altre parole, come spiega Re/Code, per ogni 1000 dollari
di impression Paid, i brand acquisiscono altri 300 dollari in più gratis durante il periodo della campagna. E nei
mesi successivi, continuano a godere di un ulteriore aumento del 5%. Risultati validi per varie categorie di
prodotto, dai servizi finanziari alle auto ai prodotti gastronomici.L'1 gennaio, dunque, il roll out ufficiale del
formato pubblicitario per gli inserzionisti negli Stati Uniti: l'annuncio apparirà sulle pagine di ricerca e di
categoria, in mezzo alle immagini di vestiti, cibi e accessori postate dagli utenti, ed avrà l'aspetto di un
normale Pin, eccetto che per la presenza di una scritta "Promoted Pin" sotto l'immagine.Allo studio anche
Promoted Pins basati su aste (CPC), che, secondo quanto riporta il blog di Pinterest, in fase di test hanno
registrato ugualmente degli ottimi riscontri a livello di traffico e impression. Ma su questi il social network di
riserva di apporre ancora degli aggiustamenti e delle migliorie prima di avviarne la diffusione ufficiale.Nei
prossimi mesi partirà anche il progetto di informazione e formazione "Pinstitute", tramite cui gli inserzionisti
del social network potranno apprendere tecniche e condividere best practice sulla promozione dei brand
tramite la piattaforma. Il programma partirà a marzo, con i contributi degli iniziali "beta-partner" di Pinterest,
per poi aprirsi nei mesi seguenti agli altri inserzionisti.L'apertura di Pinterest alla pubblicità sembra dunque
una mossa che guarda al futuro a lungo termine, allineando peraltro la strategia della piattaforma a quella dei
grandi social network, Facebook e Twitter in primis, che sempre più stanno puntando sulle ads per
aumentare le proprie revenue. Revenue che fino ad ora Pinterest non ha avuto, puntando piuttosto sulla
raccolta di fondi (più di mezzo miliardo di dollari a quattro anni dalla sua nascita) dai suoi
investitori.Attualmente Pinterest ha 70 milioni di utenti a livello globale, secondo comScore, e un valore
stimato di 5 miliardi di dollari secondo gli investitori.
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Tecnologia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
186 articoli
03/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Il patto regge» Berlusconi e Renzi vogliono l'accordo
Francesco Verderami
T ra Renzi e Berlusconi l'accordo è di fare l'accordo, e sul Quirinale per ora può bastare. Non c'è quindi
bisogno di vedersi subito, tantomeno prima che Napolitano abbia formalizzato le dimissioni: è questione di
galateo istituzionale ma anche di opportunità politica. Il patto del Nazareno regge e lo si vedrà fra una
settimana, quando l'Italicum farà da stress test alla corsa per il Colle.
Il vero appuntamento tra il premier e il Cavaliere è fissato l'otto gennaio al «check point Charlie» del Senato
sulla legge elettorale: l'accordo prevede che il leader del Pd ottenga l'approvazione della riforma prima del
voto sul presidente della Repubblica, e che in cambio al capo di Forza Italia vengano garantite la norma sui
capilista bloccati (con cui impedirebbe un'opa ostile nel suo partito) e la clausola di salvaguardia sull'entrata
in vigore dell'Italicum (con cui si allungherebbe formalmente la legislatura almeno per altri due anni).
Qualsiasi modifica metterebbe a rischio il patto, ed è evidente che quanti si oppongono all'intesa di sistema
tra Renzi e Berlusconi useranno Palazzo Madama come luogo per tendere l'agguato, consapevoli che gli
effetti si ripercuoterebbero sulla partita per il Colle. Fino ad allora le sorti dei quirinabili saranno appese alle
manovre dei leader di partito e dei loro avversari interni. Perché questo è il punto: lo stesso Parlamento che
due anni fa bruciò ogni intesa prima di affidarsi ancora a Napolitano, oggi si ripresenta all'appuntamento
maggiormente frammentato. E dunque, chi più riuscirà a tenere uniti i propri gruppi avrà la golden share
all'atto decisivo.
È questa al momento la priorità del premier e del Cavaliere, sebbene i due già studino la tattica dell'altro.
Berlusconi, per esempio, è convinto che «bisognerà lasciar fare Renzi», che «il nome vero uscirà all'ultimo
momento». È un'opzione, che però si porta appresso dei rischi. Tuttavia le prime schermaglie consentono al
presidente del Consiglio di capire su chi verrà posto il veto. Dicendo che non accetterà di votare «un
candidato con la tessera del Pd», il Cavaliere sembra volersi realmente muovere d'intesa con i centristi.
«Dobbiamo fare asse insieme», ha spiegato l'altra sera l'ex premier a un dirigente di Ncd, ripetendo ciò che
aveva detto alcune settimane fa ad Alfano. Sarebbe un'operazione «di blocco preventivo» rispetto ai
quirinabili di stretto giro renziano, a quei ministri cioè che il leader democratico fa mostra di voler proporre: da
Delrio alla Pinotti. Al tempo stesso sembrerebbe un segnale di apertura verso chi - come Veltroni e Mattarella
- non è (più) dirigente del partito.
Ma siccome nessuno conosce meglio Berlusconi degli stessi berlusconiani (per quanto ex), sono pochi a
volersi già ora esporre. Anzi, ieri il coordinatore di Ncd Quagliariello ha lanciato un messaggio pubblico
double face: ha parlato a nuora Renzi, «sul Colle niente giochi», perché ascoltasse suocera Berlusconi. È
stato un modo per accreditare le voci da tempo circolanti su un possibile accordo tra il Cavaliere e Prodi
grazie agli uffici di Putin: l'intesa garantirebbe quella «pacificazione» a cui i dirigenti di Forza Italia mirano e
che cela la richiesta della «riabilitazione» politica del loro leader.
Dal Pd sono arrivate autorevoli rassicurazioni, «non ci facciamo scegliere il presidente della Repubblica dal
Cremlino», che sanno tanto di allergia verso il fondatore dell'Ulivo. Peraltro lo stesso capo di Forza Italia
aveva pubblicamente smentito, dopo aver spiegato a un vecchio amico come Cicchitto che «a Prodi non ci
penso proprio, figurarsi». Semmai, nei colloqui di queste ore, Berlusconi ribadisce in privato ciò che si era
lasciato «sfuggire» in pubblico: «Io continuo a stare su Amato e aspetto che sia Renzi a propormi il suo
nome». E se Renzi quel nome non lo proponesse, e se fosse anche questa una manovra diversiva? Ma
soprattutto, chi avrà davvero la forza di opporre un veto al premier tra l'alleato di governo Alfano, che siede al
suo fianco in Consiglio dei ministri, e l'alleato di opposizione Berlusconi, che ambisce ad essere kingmaker
nella corsa per il Colle?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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SETTEGIORNI
03/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Di certo c'è che il premier intende chiudere un'era. Dagli albori della Seconda Repubblica, infatti, gli inquilini
del Quirinale hanno giocato un ruolo diretto nelle vicende politiche: Scalfaro arrivò a porre il veto sulla
squadra dei sottosegretari del governo Amato; Napolitano spaziò dalla lettera all'allora presidente della
commissione Affari costituzionali del Senato Vizzini, su alcuni emendamenti del lodo Alfano, fino alla
telefonata con cui invitò Cuperlo ad accettare l'incarico di presidente del Pd. Che Renzi voglia cambiar verso
è indubbio. Ma deve tenere in considerazione lo scrutinio segreto.
L'idea di tener coperto fino all'ultimo il nome del suo quirinabile può risultare pericolosa: tutti lo attendono al
varco della quinta «chiama», quella decisiva. Se si andasse troppo oltre, il voto sulla presidenza della
Repubblica si trasformerebbe in una lotteria, e quanti oggi si tirano ufficialmente fuori dalla corsa per il Colle
potrebbero rientrarci sulle macerie del disegno renziano. Siccome il leader del Pd lo sa, allora può darsi che
anche la sua tattica dilatoria sia solo tattica.
Francesco Verderami
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'accordo Lo scorso
18 gennaio Renzi, segretario del Pd non ancora premier, e il leader azzurro Berlusconi siglano nella sede
romana dei dem il patto del Nazareno sulla legge elettorale e le riforme costituzionali Negli ultimi tempi,
Berlusconi
ha sostenuto che il patto del Nazareno comprende anche l'intesa per il prossimo capo dello Stato. Ma il
governo ha precisato che l'accordo riguarda solo le riforme e non il voto per il Colle Subito dopo l'Epifania
Renzi incontrerà Berlusconi per un ultimo punto sul patto. Il Cavaliere ha intenzione di farsi garante con i suoi
per l'introduzione nell'Italicum di una clausola
di salvaguardia che scongiuri
il voto fino
al 2017
03/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Le cose buone del Jobs act
Maurizio Ferrera
La riforma del mercato del lavoro ha suscitato incertezze e timori: ma il contratto a tutele crescenti e la
protezione universale contro la disoccupazione sono un passo avanti necessario per poter superare la crisi. a
pagina 25
I n meno di un anno, il Jobs act è passato dal libro dei desideri alla Gazzetta Ufficiale. Lo scarno sommario di
punti «formulato insieme ai ragazzi della segreteria» ( eNews di Matteo Renzi, 8 gennaio 2014) ha dato luogo
ad un'ampia riforma, approvata con la legge delega dello scorso 10 dicembre. Il cammino è stato difficile e
turbolento: aver tagliato il traguardo è un indubbio segnale positivo. Verso l'Europa, i mercati finanziari e gli
investitori stranieri. Ma soprattutto verso l'interno. Il nostro mercato del lavoro può ora diventare più efficiente
e più equo.
Come tutti i grandi cambiamenti, il Jobs act ha suscitato incertezza e qualche timore nell'opinione pubblica e
dure critiche da parte sindacale. È perciò utile richiamare alcuni elementi di fatto di questa riforma e
interrogarsi sui suoi probabili effetti.
Iniziamo col ripetere che per chi oggi ha un posto a tempo indeterminato non cambierà nulla. Il cosiddetto
contratto a tutele crescenti (uno dei piatti forti della riforma) si applicherà solo ai nuovi rapporti di lavoro e
offrirà a moltissimi precari, soprattutto giovani, la possibilità di assunzione in forma stabile. Non un posto fisso
garantito, a prova di licenziamento. Ma un impiego senza scadenza pre-fissata, questo sì.
Rispetto alla situazione attuale, sarà un grande miglioramento. Con una prospettiva temporale lunga i giovani
possono impostare piani di carriera e di vita che non sono neppure immaginabili quando si è costretti a
ragionare di mese in mese.
La revisione degli ammortizzatori sociali (altro pilastro fondamentale della riforma) offrirà dal canto suo quella
protezione universale contro la disoccupazione che l'Italia non ha mai avuto. È davvero strano che le dispute
sul Jobs act in seno al Pd e ai sindacati abbiano trascurato questo aspetto, che dagli inizi del Novecento è
stato al centro dei programmi e delle lotte politiche di tutte le sinistre europee. La Naspi (Nuova prestazione di
assicurazione sociale per l'impiego) corrisponderà a chi perde il lavoro una indennità pari a circa il 75 per
cento dello stipendio per un massimo di 24 mesi. Verranno inoltre sperimentati due sussidi aggiuntivi:
l'assegno di disoccupazione (Asdi) per quei lavoratori con carichi di famiglia e senza altre fonti di reddito che
non sono ancora riusciti a ricollocarsi alla scadenza della Naspi; e un assegno (chiamato Dis-Coll) per i
collaboratori a progetto che restano senza lavoro.
Quando saranno a regime, gli ammortizzatori sociali italiani diventeranno i più inclusivi e per molti aspetti i più
avanzati d'Europa. Certo, serviranno risorse adeguate. Ma nel bilancio pubblico i margini ci sono, soprattutto
se si riuscirà a riportare la Cassa integrazione alle sue funzioni «fisiologiche».
Per una valutazione completa del Jobs act bisogna ovviamente aspettare i decreti delegati mancanti. Occorre
varare un codice semplificato del lavoro, che sfrondi l'attuale pletora di forme contrattuali (in particolare le
«co-co-pro» fasulle). E serve al più presto un'Agenzia nazionale che coordini i servizi per l'impiego e la
formazione professionale.
Ma veniamo ai possibili effetti del Jobs act. Crescerà l'occupazione? Questo è ciò che importa agli italiani. Il
ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha azzardato una stima: 800 mila posti di lavoro in tre anni. Se così
accadesse, sarebbe un bel successo. Tutto dipenderà però dal comportamento delle imprese e, più in
generale, dall'andamento dell'economia.
Superato l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, le piccole aziende salteranno il fatidico «fossato» dei 15
dipendenti e ne assumeranno altri utilizzando il contratto a tutele crescenti? Con maggiore flessibilità e forti
incentivi fiscali, le imprese medie e grandi smetteranno di delocalizzare e torneranno a creare posti di lavoro
stabili in Italia? Arriveranno gli investitori stranieri? E, soprattutto, ripartiranno gli ordini e i consumi? Le
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PRIMO BILANCIO DELLA RIFORMA
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risposte a queste cruciali domande non dipendono solo dall'azione di governo: si tratta in ultima analisi di
scelte e comportamenti dei vari soggetti economici. Il Jobs act va perciò visto come una condizione
necessaria, ma non sufficiente per superare la crisi e far crescere il lavoro.
Agli inizi di un nuovo anno, è giusto mostrare un po' di ottimismo. Grazie al Jobs act, possiamo dire che il
bicchiere delle riforme ha cominciato a riempirsi. Non aspettiamoci miracoli; piuttosto, come ha giustamente
detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, «ciascuno faccia la sua parte al meglio». Se la legge
delega verrà attuata in tutti i suoi tasselli, è lecito però sperare che nel 2015 l'assillo della disoccupazione
allenti la sua morsa, soprattutto sui giovani e le fasce più fragili della nostra società. Con l'aria che tira,
sarebbe una realizzazione non da poco.
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03/01/2015
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«La città va ricostruita moralmente Il Pd sbagliava a opporsi a Marino»
Orfini, commissario dei democratici: con la Capitale si salva il Paese Inammis-sibile la protesta contro la
rotazione delle zone pensata per limitare la corruzione
Alessandro Capponi
ROMA «Abbiamo di fronte una sfida altissima». Una sfida Capitale, per essere chiari: perché Matteo Orfini parlamentare, classe '74, presidente dell'assemblea nazionale del Pd - è arrivato a Roma dopo l'inchiesta
della Procura sulla mafia, ed è diventato «commissario» del partito romano, per volontà di Matteo Renzi,
senza sapere ciò che sarebbe accaduto dopo, incluso lo scandalo dei vigili in malattia nella notte del 31
dicembre. «Eh, la vita riserva sempre sorprese», sbuffa.
Orfini, però: dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a papa Francesco, Roma sembra essere
diventata esempio negativo da citare nei discorsi.
«Sì, ma nelle parole del presidente Napolitano e in quelle di papa Francesco io leggo uno stimolo, leggo
affetto per la città: e abbiamo bisogno delle loro parole perché la situazione, onestamente, è difficilissima. Per
noi si tratta di una sfida altissima: fare in modo che Roma, a fine 2015, torni ad essere un esempio e non più
un problema».
In un anno? E come?
«Tenendo a mente un concetto: il Paese non riuscirà a uscire dalla crisi se non si salva Roma, e viceversa.
Bisogna agire tutti assieme. Il governo nazionale e quello della Capitale, il presidente Nicola Zingaretti, i
cittadini, la classe dirigente, la politica».
Auguri, sarà un 2015 impegnativo: anche perché il 2014 si è chiuso con la defezione di quasi mille vigili
urbani...
«Quanto accaduto la notte del 31 dicembre, sinceramente, ha dell'incredibile. È, da parte loro, un segno di
incredibile inconsapevolezza: l'idea che si possa fare uno sciopero selvaggio contro una misura sacrosanta,
quella voluta da Raffaele Cantone che impone la rotazione nelle varie zone della città, una misura a garanzia
dei cittadini e dei lavoratori onesti perché limita il rischio della corruzione, ecco, l'idea che i vigili protestino
solo perché devono fare qualche chilometro in più per andare a lavorare ha, semplicemente, dell'incredibile».
Rappresenta il punto più basso della storia recente della città?
«Il punto più basso è già alle nostre spalle: quanto emerso da Mafia Capitale ha mostrato un degrado che,
con l'amministrazione guidata da Gianni Alemanno, ha toccato molti settori. Ma quando il malaffare viene a
galla significa che è già scattata la reazione dei cittadini, che la politica ha già interrotto la permeabilità del
sistema».
Sì ma una certa mentalità, a Roma, è dura a morire: i certificati medici presentati dai vigili urbani per disertare
i turni di San Silvestro...
«Bene hanno fatto il presidente Matteo Renzi, il ministro Marianna Madia e il sindaco Ignazio Marino ad
annunciare provvedimenti. Vadano fino in fondo. Ma il punto è che, a Roma, serve un salto di qualità: bisogna
ricostruirla, portarla di nuovo all'altezza del ruolo di Capitale. Da molti punti di vista, anche quello etico. Roma
deve tornare ad essere una città sia proiettata verso la modernità sia inclusiva, e più equa. In questo senso il
Pd locale non ha saputo essere una soluzione ai problemi, ha tagliato i ponti con la società: bisogna andare
in periferia, nei luoghi più complicati del conflitto sociale. Da là si deve ripartire. Con due certezze: la prima è
che il centrosinistra ha fatto eleggere quelli che gli indagati di Mafia Capitale consideravano "nemici", Marino
e Zingaretti, e la seconda è che il Pd ha già cambiato e migliorato Roma in passato, con Petroselli, con
Argan, con Rutelli, con Veltroni».
Ora c'è Ignazio Marino.
«Con lui il partito romano ha sbagliato: siamo il più grande partito della maggioranza e sembravamo
all'opposizione. Adesso anche Marino, insieme con noi, ha di fronte questa sfida da affrontare: è altissima,
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L'intervista
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difficile, ma è anche un'occasione...».
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La strada anticipata dal sottosegretario Rughetti. Il nodo delle risorse La tendenza Nelle ultime rivelazioni i
numeri sui giorni saltati per motivi di salute sono in calo
Antonella Baccaro
ROMA Le ultime rilevazioni periodiche del ministero della Funzione pubblica risalgono allo scorso agosto e
registrano un calo del 9% delle assenze per malattia nella Pubblica amministrazione rispetto a un anno
prima, ancora più accentuato nei Comuni, dove il dato scende del 16,6%. Sarebbe ingeneroso non
ammettere che le norme Brunetta sulla malattia che nel 2008 hanno previsto la decurtazione del trattamento
accessorio della retribuzione nei primi dieci giorni di malattia, non abbiano segnato una svolta
nell'assenteismo della Pa.
Tuttavia i dati citati sono molto parziali, affidati alla comunicazione volontaria delle amministrazioni, in media
solo 5 mila. Per questo il ministero di Marianna Madia ha da tempo sotto gli occhi altri numeri, come quelli
che attestano che tra il 2011 e il 2013 il numero complessivo dei certificati di malattia nel pubblico impiego è
aumentato del 27%, mentre è rimasto quasi invariato nel privato.
È bastato il caso dei vigili di Roma, che hanno disertato il lavoro mettendosi in malattia, per far esplodere una
questione che per il governo potrebbe avere un esito già scritto: l'affidamento esclusivo all'Inps della
certificazione delle malattie anche nel Pubblico impiego.
Lo ha anticipato in un'audizione dell'aprile scorso, presso la commissione Affari sociali della Camera, il
sottosegretario Angelo Rughetti: «Se ci deve essere un intervento normativo, esso dovrebbe attribuire la
titolarità della funzione in modo esclusivo (all'Inps, ndr ) e prevedere un'organizzazione stabile in questa
materia».
Il problema, come accade spesso sono le risorse: oggi l'Inps controlla i certificati solo nel privato per un costo
di 25 milioni, mentre le Asl controllano quelli del pubblico, che sono meno della metà, per un costo di 70
milioni. In maniera consuetudinaria, è stata accettato il principio che le visite mediche di accertamento per i
dipendenti pubblici siano organizzate ed effettuate dal Servizio sanitario nazionale, senza alcuna tariffazione
a carico dei datori di lavoro, se non in maniera molto parziale ed episodica, con la conseguenza che negli
ultimi anni sono stati utilizzati 70 milioni di euro provenienti dal Fondo sanitario nazionale. Ma nel marzo
scorso la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha ribadito in un documento ufficiale che tali
accertamenti non rientrano nei Livelli essenziali di assistenza e dunque non è proprio compito provvedervi e
sostenerne le spese. Anzi la Conferenza ritiene necessario integrare nuovamente il Fondo con le risorse che
sono state sottratte per queste finalità.
A propria volta l'Inps oggi ricorre a personale con contratti libero-professionali, pagato sostanzialmente a
prestazione e in regime di incompatibilità più o meno totale con altri incarichi. I tagli di spesa conseguenti alla
spending review hanno reso drammatica la situazione di molti medici che hanno svolto per anni in modo
prevalente o addirittura esclusivo tale attività professionale.
Il nodo dunque sono le risorse: il costo del servizio reso dall'Inps nel settore del pubblico impiego dovrebbe
trovare risposta nelle cifre già ora stanziate dallo Stato per il medesimo scopo. La commissione Affari sociali
propone che si stanzi «un budget annuo complessivo tale da coprire una quota predefinita di visite di
controllo per la Pa, lasciando a ogni amministrazione la possibilità di integrare tale quota ove risultasse
necessario procedere ad un numero maggiore di controlli». Tale ipotesi consentirebbe di evitare che ragioni
di risparmio immediato, con conseguente riduzione del numero dei controlli, «lasci, trasparire l'idea di un
rallentamento della lotta all'assenteismo».
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Le regole e le novità ll ruolo di Inps e Asl sui certificati medici Attualmente l'Inps controlla i certificati medici di
malattia nel settore privato mentre le Asl controllano quelli del pubblico. Per consuetudine le visite mediche di
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L'ipotesi per il pubblico impiego: le certificazioni affidate all'Inps
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accertamento per i dipendenti pubblici sono organizzate ed effettuate
dal Servizio sanitario nazionale, senza alcuna tariffazione a carico dei datori di lavoro, se non in maniera
molto parziale ed episodica La riforma prevista dal governo Il sottosegretario per la Pubblica amministrazione
Angelo Rughetti, nel corso di un'audizione dell'aprile scorso davanti alla commissione Affari sociali della
Camera, ha anticipato la riforma a cui sta lavorando il governo: ovvero attribuire «la titolarità della funzione in
modo esclusivo» del controllo dei certificati di malattia all'Inps, e «prevedere un'organizzazione stabile in
questa materia» Il nodo delle risorse e le Regioni Ma nel marzo scorso la Conferenza delle Regioni e delle
Province autonome ha puntualizzato in un documento ufficiale che gli accertamenti sui certificati di malattia
non rientrano nei Livelli essenziali di assistenza e dunque non è loro compito provvedervi e sostenerne le
spese. La Conferenza ha chiesto anche di integrare il Fondo sanitario nazionale con le risorse che sono state
sottratte per questi scopi Le norme Brunetta e i tagli agli stipendi Con la legge del 2008 numero 133 (norme
Brunetta sull'assenteismo nella Pubblica amministrazione), all'articolo 71 è stata prevista una decurtazione
della retribuzione («Nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con
esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo,
nonché di ogni altro trattamento economico accessorio») Marianna Madia Normalizza-re il Pubblico, chi fa
bene deve essere premiato e chi fa male deve essere sanzionato Renato Brunetta Adesso la sinistra scopre
che esistono fannulloni e assenteisti Quando lo dicevo io mi insultavano
Foto: Sciopero dei vigili urbani lo scorso 11 novembre contro la decisione
di far ruotare gli incarichi per combattere possibili fenomeni di corruzione (Daniele Leone/LaPresse)
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I sindacati si ritrovano uniti per paura di «blitz» da parte del governo
Antonella Baccaro
Lo dicono con toni diversi ma i tre maggiori sindacati, Cgil, Cisl e Uil, sul punto sono d'accordo: il governo non
faccia blitz unilaterali per cambiare le regole del pubblico impiego. È la risposta al tweet del premier che ieri
mattina, sentita la notizia della protesta dei vigili romani, aveva annunciato un intervento. L'accelerazione
impressa dalla vicenda dei vigili ha messo in allarme i sindacati, che hanno visto nell'uscita di Renzi la
volontà di strumentalizzare un episodio che ha creato scalpore presso l'opinione pubblica per «sfondare» le
regole del pubblico impiego. Una discussione che si protrae ormai da giorni, da quando sono stati approvati i
due decreti attuativi del Jobs act e da più parti se ne è auspicata l'estensione al pubblico impiego. Modalità
esclusa quest'ultima da Renzi, che ha indicato nella delega della Pubblica amministrazione, ora all'esame in
commissione al Senato, il veicolo per intervenire. Il punto è come. I sindacati su questo ieri sono stati chiari,
basta ascoltare il segretario della Cisl, Anna Maria Furlan: «Noi non copriamo gli assenteisti. Se ci sono stati
abusi, si facciano le dovute verifiche e si applichino le sanzioni. E non si dica che servono nuove leggi più
stringenti contro i fannulloni. Piuttosto bisogna rinnovare il contratto, bloccato da sei anni. Occorre un
confronto continuo con le parti sociali. Questi episodi di malcostume sono il frutto anche di una chiusura del
dialogo». Insomma niente atti unilaterali da parte del governo, niente decreti sullo «scarso rendimento» per
licenziare i fannulloni: si proceda con lo strumento del contratto. «Il nostro sostegno ai vigili che hanno
lavorato a #Roma il 31 notte. Lotte sbagliate danneggiano tutti. Le regole ci sono, si applichino» ha twittato la
Cgil nazionale. La Uil Funzione pubblica è d'accordo ma sulla questione romana propende per scioperare.
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L'analisi
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«Paese in ginocchio, cure sbagliate Questo governo è un fallimento»
Passera: siamo la sola alternativa al Partito unico renziano Vedo voglia di populismo e programmi minimali
senza effetti Lo scenario Il premier è un politico di professione. E per il Colle c'è il sogno di una figura che non
faccia ombra al manovratore L'obiettivo Italia unica ha già 150 circoli e ci presenteremo alle Comunali
L'obiettivo principale restano le Politiche
Marco Galluzzo
ROMA «Se anche Renzi riuscisse a realizzare tutte le riforme che ha messo in cantiere queste avrebbero un
effetto più o meno pari a zero sulla crescita, cosa che peraltro ha messo nero su bianco il governo stesso.
Stiamo vivendo un'illusione collettiva, che va avanti ormai da troppo tempo, l'ultimo anno l'abbiamo
completamente sprecato, non si sono mai viste dieci milioni di persone che vivono una situazione di estremo
disagio lavorativo: una situazione che può scappare di mano».
Difficile trovare in giro un'analisi più corrosiva, impietosa, priva persino di attenuanti generiche. Corrado
Passera la sottoscrive, anche per mestiere, visto che a maggio la sua Italia unica farà l'esordio alle elezioni
amministrative e visto che lui si candida a essere alternativa politica «all'unica offerta attualmente esistente,
quella che ci racconta la bugia dell'ultima spiaggia, che dopo questo governo c'è il fallimento del Paese, io la
penso al contrario. Questo esecutivo rappresenta un fallimento, in termini di competenze, classe dirigente,
capacità reale di riforme e coraggio politico, pari a zero».
Riforma del Senato, della legge elettorale, del mercato del lavoro sono nulla per lei? All'estero, a Bruxelles,
sembrano condizionare il giudizio sul governo anche su questi punti.
«A dire la verità all'estero della riforma del Senato importa ben poco, se poi gli venisse spiegato che una
Camera viene messa in mano ai Consigli regionali, inorridirebbero. È una riforma pessima anche quella delle
Province che sono ancora lì e magari dovrebbero restarci, ma al posto delle regioni. Renzi sta sbagliando
priorità e adottando risposte sbagliate».
Il governo Monti, di cui lei faceva parte, non è che l'abbia trasformato.
«Quel governo ha dovuto gestire una drammatica emergenza finanziaria e l'ha fatto evitando il
commissariamento, oggi serve impostare un'agenda di riforme per affrontare l'emergenza della recessione
infinita, cosa che non sta accadendo. L'unica cosa realmente efficace è una sorta di ricatto politico, la storia
della mancanza di alternativa. Dopo di me c'è il diluvio, tende ad accreditare Renzi: io credo che stia
diluviando oggi».
A che punto è il suo partito?
«Il 31 gennaio è la prossima tappa, la più importante con la nascita ufficiale del partito, con la scelta dello
statuto e dei valori di riferimento. Fra settembre e dicembre abbiamo girato l'Italia e ottenuto più di quanto
speravamo, oltre 3 mila iscritti e circa 150 sedi territoriali aperte, avrei firmato per la metà. In primavera, in
modo selettivo, ci presenteremo alle Comunali, dando una casa alle tante liste civiche che oggi faticano a
trovare uno spazio. L'obiettivo principale restano le Politiche, siamo l'unica alternativa al Partito unico
renziano e a coloro che non credono più né a Berlusconi né alla demagogia dei Grillo e dei Salvini» .
A Renzi non concede nulla?
«Ha grande capacità comunicativa, ma purtroppo non è diverso dai governi tristi del passato, in quattro anni
sono previsti 50 miliardi di spesa pubblica aggiuntivi e 70 di tasse e investimenti in calo. Parliamo di un
politico di professione che ha sempre vissuto di politica, cui manca l'ambizione: tutti i programmi sono
minimali, a cominciare dalle piccole modifiche del Jobs act. Non lesina invece quando c'è da "comprare" voti:
dalle 150 mila assunzioni ope legis nel mondo della scuola agli 80 euro a pioggia. Ma è sabbia negli occhi
degli italiani».
Che a Renzi manchi ambizione sembra un ossimoro.
«Programmatica intendo e manca il coraggio di un vero cambiamento. Ormai in Europa è opinione diffusa
che siamo di fronte a un caso di dilettantismo ben mascherato, applaudiamo persino il piano Juncker, che è
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L'intervista
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inconsistente e abbiamo buttato alle ortiche il semestre di presidenza italiana. Per fortuna abbiamo Draghi,
che però è stato lasciato solo. Senza l'aiuto di una politica economica e di bilancio europea la politica
monetaria non può fare più di così».
Draghi ieri si è tirato fuori dalla corsa al Colle.
«Vedo una fortissima tentazione di sostituire Napolitano con un taglianastri, una sorta di presidente onorario.
Gran parte dei nomi che circolano sono inadeguati, c'è il sogno di una figura che non faccia ombra, invece
proprio per le difficoltà che viviamo abbiamo bisogno di una personalità molto forte, con credibilità interna ed
estera e con grandi capacità istituzionali, di raccordo fra i vari poteri dello Stato».
In realtà è proprio questo l'obiettivo dichiarato.
«Io riscontro finora solo un gran fastidio per tutti i corpi intermedi, dai partiti ai sindacati, una grande voglia di
populismo e una grande capacità di occupare tutti i posti di potere e sottopotere» .
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Il partito
Il 23 febbraio Corrado Passera ha lanciato il progetto politico
Italia unica, presentandolo ufficialmente il 14 giugno Lo scorso novembre Passera ha annunciato l'apertura
dei primi 150 circoli del partito, che conta già più
di 3.000 iscritti Italia unica avrà la sua lista alle prossime Comunali nella primavera 2015
Chi è
Corrado Passera, 60 anni, è stato un manager (Olivetti) e un banchiere di lungo corso (Banca Intesa) prima
di dedicarsi alla politica. Nel governo Monti (novembre 2011-aprile 2013) è stato ministro allo Sviluppo
economico.
A febbraio ha presentato il movimento Italia unica
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NEL PRIMO NO LA CONFERMA DI UNA CORSA ANCORA AGLI INIZI
Il bivio Le indicazioni contraddittorie su un candidato tecnico o politico dicono che l'intesa sulla successione a
Napolitano è ancora lontana
Massimo Franco
L a perentorietà con la quale Mario Draghi si è sfilato dalla corsa al Quirinale rappresenta un elemento di
chiarezza. Il presidente della Banca centrale europea sapeva di essere considerato un candidato per la
successione a Giorgio Napolitano. Ma sapeva anche quanto il suo nome rischiasse di essere
strumentalizzato in una vicenda molto italiana; e dunque di indebolire il suo ruolo e la stessa Bce. Non è
casuale che abbia scelto il quotidiano tedesco Handelsblatt , in un'intervista di ben otto pagine, per troncare
qualunque illazione e confermare che rimarrà al timone della banca fino al 2019. «Non voglio essere un
politico», ha detto con parole definitive.
D'altronde, soltanto una tensione al limite della rottura con la Germania poteva giustificare un ritorno
anticipato di Draghi da Francoforte. E certamente, il suo profilo forte non era quello che Matteo Renzi e Silvio
Berlusconi, probabili registi dell'elezione del prossimo capo dello Stato, vogliono fino in fondo. Non a caso nei
giorni scorsi è emersa l'ipotesi di una candidatura di Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, ugualmente
rispettato e accreditato a livello europeo ma con un peso politico diverso. La realtà è che i giochi veri non
sono nemmeno cominciati. I messaggi contraddittori confermano uno scenario tutto da costruire.
L'oscillazione tra identikit inconciliabili, tra «un tecnico» o «un politico» lasciano capire che non esiste ancora
un'intesa. E l'insistenza di FI sulla necessità di eleggere prima il presidente della Repubblica e poi approvare
la riforma elettorale, collide con la strategia di Renzi. Eppure, in teoria sarà da un compromesso tra di loro
che emergerà il prossimo capo dello Stato. La divergenza tra Pd e Berlusconi si riflette anche sul giudizio su
Napolitano: entusiasta nelle parole dei renziani, liquidatorio in quelle di FI.
Secondo Il Mattinale , bollettino del gruppo alla Camera, la linea del presidente uscente sarebbe stata
soltanto quella di «escludere Berlusconi e il suo popolo, in ogni modo». Anche se il Nuovo centrodestra
ricorda che fu proprio il leader di FI, nel 2013, precedendo l'allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a
pregare Napolitano di accettare la rielezione. Attaccare l'inquilino del Colle adesso serve a negoziare una
candidatura il più possibile accomodante nei confronti dell'ex Cavaliere; e a rivendicare un ruolo da
protagonista che Berlusconi oggi non sembra in grado di avere né di vedersi riconosciuto.
La parola chiave di FI è «pacificazione», come corollario del patto del Nazareno stipulato circa un anno fa tra
premier ed ex premier. Renzi, però, sa che nel Pd le resistenze sono forti, in qualche caso irriducibili; e che
potrebbero manifestarsi proprio al momento di eleggere il presidente della Repubblica. Il timore di una resa
dei conti nel Pd nel segreto delle urne parlamentari rimane alto. La cautela che Palazzo Chigi sta mostrando
nelle ultime settimane conferma l'esigenza di rassicurare gli avversari interni. Più il Pd si mostrerà compatto,
più potrà trattare da posizioni di forza. Ma chissà se la lezione del 2013 è bastata.
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La Nota
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Romani: al Colle niente tecnici né iscritti al Pd
Il capogruppo forzista al Senato: serve imparzialità per bilanciare i poteri dell'esecutivo Il ruolo Il nuovo capo
dello Stato non deve diventare il protagonista del gioco come è stato Napolitano
Tommaso Labate
ROMA Non deve essere «un tecnico, perché avrà il compito di difendere l'Italia dai tecnici dell'Ue». E
nemmeno «uno che ha in tasca la tessera del Pd». E non dev'essere «uno che diventa il protagonista del
gioco della politica com'è stato Napolitano».
Paolo Romani, capogruppo al Senato di Forza Italia, con tre tasselli indica l'identikit del prossimo capo dello
Stato per cui FI garantirebbe i voti per l'elezione alla quarta votazione.
Questo identikit uscirà fuori da un faccia a faccia Renzi-Berlusconi?
«L'incontro tra i due può essere molto importante. L'accordo tra Pd e FI porterà a una legge elettorale
ipermaggioritaria e a una riforma della Costituzione che renderà più forte ed efficiente l'esecutivo. Di
conseguenza è scontato che il Colle debba per forza garantire imparzialità e fare da contrappeso ai poteri,
più rafforzati, del governo».
È questo il motivo per cui FI frena su un nome che venga dalla sinistra?
«Più che l'appartenenza a questo o quel mondo, per noi il successore di Napolitano non può essere
espressione del partito di maggioranza relativa. Non può essere iscritto al Pd».
E se fosse un tecnico?
«Personalmente non sono mai stato amante dei tecnici. Preferisco, a dirla tutta, quei politici che hanno grandi
competenze da renderli preparati come i tecnici. Questa è un'opinione personale, sia chiaro. La realtà, però,
mi dà ragione. I tecnici recentemente prestati alla politica non mi sembra che abbiano brillato per successi.
Anzi...».
Senatore, ha messo insieme il «no» a un iscritto al Pd e il «no» a un tecnico...
«Aggiungo anche che il prossimo capo dello Stato, che avrà una durata superiore a quella di questa
legislatura, non potrà diventare "il" protagonista del gioco come lo è stato Napolitano. Rimettiamoci al volere
dei padri costituenti, visto che la parte della Costituzione sul capo dello Stato non è oggetto di riforma».
Se il Pd rispettasse questi paletti, come fareste a garantire la tenuta parlamentare di Forza Italia?
«Non ripeteremo il canovaccio dell'elezione dei giudici di Consulta e Csm. Ai nostri parlamentari non arriverà
l'indicazione di un nome su un foglietto. Io e il mio collega Brunetta garantiremo a ciascuno dei nostri che
sarà partecipe e protagonista della scelta del nuovo capo dello Stato. E mi assumo la responsabilità di quello
che le ho appena detto».
Prima ci saranno le prove generali, con il voto sulll'Italicum. Otterrete da Renzi la clausola di salvaguardia?
«Renzi può anche far finta che l'inserimento successivo di quella clausola sia un modo per spaventare i suoi
dissidenti. La verità, però, è che la clausola per una legge elettorale che varrà per la sola Camera va inserita
subito. L'entrata in vigore dell'Italicum sarà subordinata o a una data certa o all'abolizione del Senato. Non c'è
altra strada».
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La tenuta? Non ripeteremo il canovaccio dell'elezione di Consulta e Csm La clausola per la legge elettorale
va inserita subito. Non c'è altra strada
Chi è
Paolo Romani, 67 anni, già editore televisivo, è stato ministro allo Sviluppo economico da ottobre 2010 a
novembre 2011. È capogruppo di FI al Senato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA
03/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 15
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«Seppe vincere i pregiudizi Un personaggio più grande di Joe DiMaggio e
Sinatra»
Il meglio di due mondi Andò oltre le proprie origini. Raccoglieva il meglio dell'Italia e degli Usa Dal Meridione
Eravamo nati nello stesso anno, venivamo da famiglie modeste del Meridione
Ennio Caretto
«La comunità italo-americana ha perso il più grande dei suoi figli e l'America ha perso uno dei suoi migliori
leader. Mario Cuomo non era solo il simbolo del riscatto e del successo della nostra etnia dopo decessi di
fatiche e incomprensioni. Impersonava anche la giustizia, l'eguaglianza e la tolleranza a cui si dovrebbe
ispirare la nostra nazione, la faceva sognare come la fece sognare Kennedy. Figurerà nella storia di New
York come uno dei suoi governatori più amati».
Così, al telefono dal suo appartamento a Manhattan, lo scrittore Gay Talese, l'autore di «Onora il padre» e di
«Ai figli dei figli», ricorda il più eloquente e carismatico dei politici italo americani, un uomo che per la
maggioranza del pubblico avrebbe meritato la Casa bianca.
Come giornalista del «New York Times», lei ne seguì l'ascesa negli anni Settanta. Lo conosceva bene?
«Sì, come quasi tutti gli italo americani di New York, e lo ammiravo, innanzitutto come uomo. Eravamo nati
nello stesso anno, venivamo da famiglie modeste del Meridione, avevamo ricevuto la stessa educazione,
nutrivamo gli stessi principi, ci eravamo fatti strada da soli nella Grande Mela studiando e lavorando, spronati
dai nostri genitori. Nella comunità italo-americana mi sentivo un pioniere come lui. Ma nella maturità mi resi
conto che stava facendo per essa molto più di me. Era la sua bandiera, il suo modello».
In che senso?
«Essere italo americani oggi può essere un vantaggio, ma ancora quaranta, cinquanta anni fa era uno
svantaggio, molte porte erano loro chiuse. Sì, tra gli idoli del nostro paese c'erano anche italo-americani, il
campione di baseball Joe DiMaggio che sposò l'attrice Marilyn Monroe a esempio, o il grande cantante e
attore Frank Sinatra. Ma era in parte folclore, e infatti per la maggioranza della popolazione lo stereotipo dello
italo-americano rimaneva quello del mafioso. Mario Cuomo dimostrò che era falso».
Come fece?
«Io credo che ci riuscì oltre che per i suoi straordinari intelletto, cultura e comunicativa anche per la sua
onestà e per il suo impegno sociale. Era l'ultimo dei leoni liberal, come ha scritto un giornale, un democratico
genuino, ma era soprattutto un uomo decente, un buon padre di famiglia, caritatevole, persino idealista.
Quando parlava, la gente avvertiva che era sincero, che i suoi programmi di riforme erano davvero intesi per
il bene comune, che si atteneva a un codice etico. Non a caso faceva paura ai repubblicani».
Il suo governatorato pose quindi fine ai pregiudizi nutriti dall'America sugli italo americani?
«Secondo me sì. Mario Cuomo seppe trascendere le proprie origini. Raccoglieva in sé il meglio dell'Italia e
degli Stati uniti. Era un patriota americano, ma era anche il custode dei valori italiani. Su queste basi, prima di
lui un altro politico della nostra etnia, Fiorello La Guardia, il sindaco di New York, un repubblicano, aveva
attratto forti consensi. Ma era stata una parentesi, nessun italo-americano aveva raccolto la sua eredità. Con
Cuomo, si aprì un nuovo capitolo».
Vuole dire che nemmeno in politica c'è più limite a quanto gli italo-americani possono raggiungere?
«Esattamente. Alla Corte Suprema siedono più italo-americani che esponenti delle altre etnie. Negli ultimi
decenni abbiamo retto Ministeri e Forze armate. Prima o poi arriveremo anche alla Casa Bianca. Sono
convinto che ci saremmo già arrivati negli anni Ottanta o Novanta con Mario Cuomo se si fosse candidato».
E' vero che rifiutò di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti perché un membro della famiglia era
sospettato di legami mafiosi?
«Penso di no, anche se Bill Clinton, suo compagno di partito, che temeva di essere eclissato da lui, vi
accennò nel corso della vittoriosa campagna elettorale del 1992. Cuomo era un uomo molto riservato, molto
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'intervista gay talese
03/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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protettivo della famiglia e molto lontano dai pettegolezzi e dagli scandali. A mio parere, non si sentì di pagare
il prezzo familiare e personale che le nostre elezioni comportano. Non gli fu facile, tenne l'America in sospeso
per mesi e mesi, tanto che lo definirono un Amleto».
Sarebbe stato un grande presidente?
«Immagino di sì. Alla convention democratica di San Francisco del 1984, da cui emerse anche Geraldine
Ferraro, la prima italo-americana candidata alla vicepresidenza, Cuomo tenne un discorso trascinante come
non se ne sentivano dai tempi di Kennedy. Per quanto concerne la politica non aveva nulla di amletico. Era
dalla parte dei deboli, praticava la politica dell'inclusione. Non sapremo mai come sarebbe l'America oggi se
fosse stato presidente per otto anni».
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Chi è
Gay Talese, 82 anni, è uno scrittore statunitense di origini italiane Nel mondo letterario è considerato, con
Tom Wolfe e Norman Mailer, tra
i fondatori del «New Journalism». Dopo essere stato reporter del New York Times dal 1956 al 1965,
ha collaborato con le principali testate americane Tra le sue opere più famose, La donna d'altri
e Onora il padre, entrambi editi da Rizzoli
Foto: Col figlio Andrew, a sua volta governatore di New York
Foto: I n campagna elettorale Prima della rielezione a governatore dello Stato di New York negli anni Novanta
(Foto New York Times)
Foto: Con Bill Clinton Allora presidente Usa, nel 1994 (Ap)
Foto: Con Mandela Durante la sua visita a New York nel '90 (Ap)
04/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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Corinna De Cesare e Luigi Ferrarella
Èun caso il decreto di Natale sul Fisco, che esclude il reato per tutti i delitti in materia di dichiarazione
«quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato».
L'interpretazione di 5 parole del decreto potrebbe rendere Berlusconi di nuovo incensurato senza modificare
l'articolo di legge sulla frode fiscale per cui fu condannato . a pagina 8
MILANO Silvio Berlusconi di nuovo incensurato e in politica? Dipende dall'interpretazione di cinque parole
del decreto legislativo del governo Renzi sul Fisco. Cinque parole che non modificano l'articolo di legge sulla
frode fiscale e nella sua struttura non introducono direttamente alcuna soglia, ma per una complessiva
tipologia di reati (tra cui la frode) si limitano a prevedere a titolo di «causa di esclusione della punibilità» una
soglia del 3 per cento di evasione sull'imponibile, possono essere assimilate a un caso tipico di abolizione
parziale del reato di frode fiscale se sotto soglia del 3 per cento? Sta tutto qui il rebus sulla sorte della
sentenza definitiva alla quale Berlusconi nell'agosto 2013 è stato condannato dalla Cassazione per violazione
dell'articolo 2 della legge 74 del 2010.
Nella riforma dei reati fiscali, il governo Renzi in un nuovo articolo 19 bis stabilisce che, «per i reati previsti dal
presente decreto, la punibilità è comunque esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è
superiore al tre per cento del reddito imponibile». Può cancellare a posteriori anche una sentenza definitiva?
Può se la modifica si sovrappone al fatto reato.
In questo caso è così? Qui è arduo rispondere per quanto male è scritta la nuova norma. Quando nel 2000 fu
depotenziato il reato di falso in bilancio, ciò avvenne inserendo nella struttura dell'articolo di legge le soglie
sotto le quali esso diventava non più penalmente punibile, e con la sentenza Giordano la Cassazione a
Sezioni Unite prese atto che si dovevano revocare tutte le condanne per falsi in bilancio di entità inferiori alle
soglie introdotte nelle vecchia norma dalla nuova.
La legge Renzi, invece, da un lato non inserisce le soglie nella struttura dell'articolo che si occupa della frode
fiscale, ma dall'altro lato etichetta con lo strano nome di «clausola di non punibilità» un elemento - come la
soglia - che oggettivamente diventa un elemento strutturale del reato. Ambiguità palese se si pensa che,
tipicamente, le clausole di non punibilità sono esterne e sopravvenute al reato, come ad esempio la
ritrattazione che salva dalla falsa testimonianza.
La soglia del 3 per cento interessa Berlusconi? Sì, perché, al netto delle molte prescrizioni che avevano già
cancellato parecchie accuse, alla fine la condanna Mediaset era stata sotto la soglia: 4,9 milioni evasi su 410
di imponibile nel 2002 e 2,6 su 312 nel 2013.
Berlusconi potrebbe chiedere al Tribunale di revocare la condanna definitiva e cancellarne gli effetti. Tra i
quali quello che gli sta più a cuore non è tanto la fine dei servizi sociali, che comunque terminerebbe di
scontare a fine febbraio, ma il ritorno alla vita politica, dalla quale è escluso per 6 anni dalla legge Severino
che però come presupposto ha appunto l'esistenza di una sentenza di condanna definitiva.
Per Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze, è «un enorme regalo ai grandi evasori». Il sottosegretario
all'Economia Enrico Zanetti dice che l'articolo 19 bis è stato inserito all'ultimo momento nel decreto approvato
dal Consiglio dei ministri la vigilia di Natale. Il governo per ora tace. La norma, prima di entrare in vigore, deve
avere solo il parere delle commissioni Finanze di Camera e Senato. Che non è vincolante. Ma, a questo
punto, sarà l'ultimo luogo dove fare chiarezza.
Corinna De Cesare
Luigi Ferrarella
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La vicenda Il 24 dicembre il Consiglio dei ministri ha presentato il decreto legislativo in materia fiscale Con
l'articolo 19 bis sono stati depenalizzati
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Reati fiscali, lo scudo del 3% potrebbe aiutare Berlusconi
04/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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i reati fiscali per omessa, infedele e fraudolenta dichiarazione. Punibilità esclusa sotto la soglia del 3%
Come funziona 1 L'articolo 19 bis Nella riforma fiscale annunciata alla vigilia di Natale, è spuntata una soglia
del 3% entro la quale l'evasione non sarà più punibile penalmente. Prevista solo una sanzione
amministrativa. Saranno depenalizzate le dichiarazioni infedeli e anche le frodi fiscali 2 I conti Con le nuove
regole, in base all'articolo 19 bis inserito nel decreto legislativo del 24 dicembre, un'azienda con un reddito da
dieci milioni di euro potrebbe evadere il Fisco fino a trecentomila euro pagando solo, oltre all'imposta evasa,
una sanzione amministrativa 3 La frode fiscale La maggior parte delle critiche si concentra sulla frode fiscale:
la punibilità è esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento del
reddito imponibile dichiarato. Ma in questo caso raddoppiano le sanzioni amministrative
04/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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L'ultimo capo dell'Isaf a Kabul «Talebani finiti»
Andrea Nicastro
«I talebani non possono vincere. Sono anche divisi tra loro». È positivo il bilancio che traccia con il Corriere
John Campbell, ultimo comandante dell'International security assistance force (Isaf), in Afghanistan dal 2001
e ora rimpiazzata da «Resolute Support», sempre a guida Nato (nella foto, il generale Usa arrotola la
bandiera durante la cerimonia del cambio di missione) . a pagina 13
KABUL «I talebani non possono vincere. La loro leadership è frammentata, non sono stati in grado di
disturbare le elezioni e dovunque esercito e polizia afghana riescono a lavorare assieme non ci sono
talebani». Secondo il comandante in capo delle forze Nato in Afghanistan, generale John Campbell, gli
uomini del Mullah Omar eccellono in una sola cosa: la propaganda. «Attaccano un paio di distretti, dicono di
aver decapitato decine di governativi e i media riferiscono che stanno vincendo. Poi noi controlliamo e non è
vero niente. L'unica cosa che possono fare è entrare in un processo politico».
Generale, da 13 anni ogni comandante che è stato al suo posto ha detto più o meno ciò che sta dicendo lei,
che ancora molto resta da fare, ma la vittoria è sicura. Di fatto però ancora oggi è pericoloso viaggiare in
Afghanistan, aprire cantieri, far circolare le merci. Anzi, a Kabul si respira un clima da stato d'assedio che
ricorda i momenti peggiori. E tutto a causa della guerriglia talebana.
«Dice che ho le lenti rosa? Non nascondo nulla, i limiti e le difficoltà ci sono, le tocchiamo con mano tutti
giorni».
Allora ce ne parli.
«La corruzione. Lo stesso presidente afghano Ashraf Ghani ne è consapevole. È il problema numero uno.
Non solo nell'esercito, ma anche nell'amministrazione pubblica. Parlo due volte alla settimana con il
presidente e con il premier Abdullah Abdullah e vedo una determinazione nuova nell'affrontare la questione
che con la presidenza Karzai non percepivo».
Ecco un altro problema: la divisione etnica della società. «Qualcuno pensava che, viste le frizioni elettorali,
anche le Forze armate si sarebbero fratturate lungo linee etniche, ma non è successo. C'è una vena
nazionalistica nelle Forze armate che dice "non siamo pashtun, tagichi o uzbeki, ma afghani". I vertici militari
sono, a ragione, orgogliosi di ciò».
L'oppio e la guerra restano le principali voci del Pil afghano. Sono basi economiche accettabili?
«L'economia non si sostiene ancora da sola, è vero, e ciò non cambierà presto. I Paesi donatori dovranno
continuare ad aiutare. Non solo per i due anni previsti da questa missione, ma per molti a seguire».
Altro problema: l'educazione. Avete regalato 20 aerei militari da trasporto e la maggior parte è già stata
rottamata e venduta a peso per mancanza di manutenzione. Non è utopistico voler costruire un esercito
moderno con questo materiale umano?
«Il presidente Ghani ha detto che la nostra migliore eredità sarà nelle procedure che sapremo insegnare e
lasciare funzionanti. Ora l'esercito afghano ha i nostri mitra M16, visori notturni, cannoni, mezzi blindati,
hanno un equipaggiamento migliore e più potente dei talebani. Ci sono problemi, ma noi continueremo a
costruire i loro magazzini così come l'aviazione e l'intelligence. Con il passaggio dalla missione Isaf a
Resolute Support, ormai non addestriamo più i fanti, ma gli ufficiali, gli Stati Maggiori. E questo perché non
siamo più noi americani o italiani a pattugliare le strade, ma lo sanno fare gli stessi afghani».
Obama sembra aver cambiato idea all'ultimo momento. Proprio mentre finiva la missione di combattimento
americana in Afghanistan ha detto che i bombardamenti e le operazioni delle forze speciali andranno avanti.
Forse è stato lei a spiegargli che gli afghani non sono pronti?
«C'è stata molta confusione su quelle dichiarazioni. Quello che il presidente mi ha detto è che ho un poco più
di flessibilità nell'usare le risorse che già era previsto avessi a disposizione. Obama è stato chiaro, non ci
saranno combat operation dopo il 1° gennaio, ma continueremo a proteggere le nostre forze e coprire le
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'intervista La chiusura della missione in Afghanistan
04/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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lacune afghane di cui siamo consapevoli».
Cioè le ha chiesto di fare con 12 mila uomini quello che si faceva prima con 140 mila?
«Il supporto sarà solo per interventi strategici in cui sarà in gioco il futuro stesso dell'Afghanistan».
Basterà far alzare i caccia quando una colonna talebana attaccherà Kabul?
«I talebani possono inviare un paio di suicidi con giubbetti esplosivi, mettere un ordigno magnetico sotto un
pullmino delle reclute, ma non possono controllare aree. Attaccano soft target , obbiettivi facili. In realtà,
credo che siano piuttosto scoraggiati, perché Kabul ha firmato a settembre il "Sofa agreement" con gli Usa e
la Nato. Sanno che continueremo a restare e perciò stanno pensando a qualcosa per far credere di essere
ancora rilevanti, "ehi, siamo ancora qui"».
Lei continua a viaggiare tra Kabul e Islamabad. Cerca in Pakistan la soluzione?
«Per anni i talebani sono entrati in Afghanistan, hanno colpito e sono scappati in Pakistan senza che noi li si
potesse inseguire. L'attentato alla scuola militare di Peshawar, con tanti bambini uccisi, potrebbe diventare
per il Pakistan ciò che per noi è stato l'11 settembre. La collaborazione anti talebana di Kabul e Islamabad è
un interesse reciproco. Ora potrebbero averlo capito meglio entrambi».
Andrea Nicastro
@andrea_nicastro
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REUTERS
Gli altri Stanley McChrystal (classe 1954) assume il comando nel 2009. L'anno successivo, in un'intervista a
Rolling Stone critica le posizioni di Obama. Poco dopo è rimosso David Petraeus ('52) resta in carica fino al
2011 per essere poi nominato capo della Cia, da cui si dimette per lo scandalo dell'amante-biografa Il
generale dei marines John Allen assume
il comando delle forze Nato il 18 luglio 2011. Viene coinvolto e poi scagionato dallo «scandalo Petraeus»
Joseph Dunford, ribattezzato «Fighting Joe» quando guidava
il Quarto reggimento dei marines in Iraq, assume
il comando
nel 2013
Foto: Il generale John Campbell Ultimo comandante della
International Security Assistance Force (ISAF) che dal 2001 ha operato in Afghanistan contro il terrorismo,
cui hanno preso parte circa 140 mila soldati. È costata la vita a 3.482 di loro, tra cui 48 italiani. Dal 1° gennaio
è iniziata la nuova missione Nato, «Resolute Support»
04/01/2015
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«Battaglia a Bruxelles sulle pensioni anticipate»
Antonella Baccaro
«Alla Ue faremo una richiesta - annuncia in un'intervista al Corriere il consigliere economico di Palazzo Chigi
Yoram Gutgeld-: vogliamo rendere possibile anticipare la pensione, sia pure con un trattamento inferiore. A
molti questo oggi potrebbe andar bene. E con il nostro sistema, ormai contributivo, si può». a pagina 6
Yoram Gutgeld, da consigliere economico del premier, cosa la colpisce della vicenda dei vigili di Roma?
«Prima di tutto non vorrei che si facesse di tutta l'erba un fascio: abbiamo una Pubblica amministrazione che
numericamente non è superiore alla media europea e che è fatta soprattutto da gente che lavora bene».
Ma...
«Ma la vicenda romana di fatto ci ricorda che qualche problema nella gestione delle malattie nel pubblico
impiego c'è se i certificati dal 2011 al 2013 sono aumentati del 27%. Tutto questo richiede una gestione più
attenta anche nel rispetto dei cittadini».
Pensa che trasferire le competenze sui certificati dalle Asl all'Inps sia la cura?
«È un'idea che va valutata tenendo conto degli aspetti organizzativi ed economici. I soldi sarebbero sempre
pubblici ma l'Inps ha dimostrato di saperli adoperare meglio. Potremmo risparmiarci qualcosa» .
La vicenda dei vigili sarà usata come grimaldello per inasprire le regole sul rendimento nel pubblico impiego?
«È materia oggi oggetto di una legge delega che ha l'obiettivo di rendere la Pubblica amministrazione più
efficiente».
Pensa che si possa estendere il semplice indennizzo anche ai licenziamenti disciplinari nella Pa? E con quale
strumento?
«Non voglio scendere nello specifico. Auspico che la riforma porti a usare i soldi pubblici con un criterio
diverso: quello del merito, cioè dare di più a chi fa meglio e viceversa».
I sindacati chiedono di intervenire sulla materia con contratto e non per decreto.
«L'esecutivo è aperto ai contributi di tutti ma le norme che fa il governo poi passano per il Parlamento».
È giusto intervenire sulla struttura della retribuzione variabile quando quella fissa, oggetto anch'essa di
contrattazione, è bloccata da anni?
«Il momento economico è difficile, mi rendo conto. Ma è anche vero che chi lavora nella Pa ha mantenuto
posti di lavoro che altri hanno perso».
Intanto l'Istat prefigura per la prima volta una ripresa.
«Gli elementi positivi ci sono. Alcuni sono esogeni: da un lato la riduzione del costo del petrolio che noi
importiamo, dall'altro la debolezza dell'euro e il piano della Bce».
Quelli interni quali sono?
«Abbiamo ridotto il costo del lavoro del 70% per i neoassunti a tempo indeterminato, e con il Jobs Act daremo
una spinta interna forte per assumere di più».
Non ci sono altre misure per sbloccare la crescita?
«Tutti sanno che c'è il tema europeo dello scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit, soprattutto
quando questi comportano interventi dei privati. E poi c'è il nostro tentativo di correggere il dato del Prodotto
interno potenziale che, secondo dati Ocse, è maggiore di quanto stimato dalla Commissione europea, con il
risultato che in realtà noi già oggi non saremmo in deficit».
Finora si è ottenuto poco.
«Che il piano Juncker, per quanto limitato, contempli che i contributi dei singoli Stati non vengano calcolati nel
deficit è un primo passo. Ma c'è un altro tema che vorremmo porre all'attenzione dell'Ue».
Quale?
«Quello delle pensioni: la riforma ha messo sotto controllo il sistema, allo stesso modo in cui sono sotto
controllo i costi della sanità. Tutto questo crea una dinamica di lungo termine della spesa pubblica migliore di
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INTERVISTA Gutgeld, consigliere economico di Renzi
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quella di altri Paesi che però non ci viene riconosciuta. Questo perché il sistema di valutazione Ue guarda la
contabilità anno per anno e non tiene conto dei risparmi di lungo termine».
Quindi?
«Quindi con il nostro sistema, che ormai è contributivo, se io pensiono anticipatamente un lavoratore con un
trattamento inferiore a quello che gli spetterebbe, sto solo anticipando una spesa che recupererò dopo, con
un rimborso a rate, non sto aumentando la spesa. Ma l'Ue guarda solo la spesa attuale».
State già discutendo di questo in sede europea?
«Lo faremo: anticipare la pensione sia pure con un trattamento inferiore a molti oggi potrebbe andar bene.
Vogliamo renderlo possibile».
Farete un prelievo sulle pensioni più alte?
«Non è in agenda».
Finora la nostra dialettica con Merkel non è parsa diversa dalla solita contrapposizione flessibilità/austerità.
«Riconosciamo che Merkel ha un fronte interno che preme. Ma la discussione sulla flessibilità ormai è in
corso e con tutte le riforme che porteremo a casa saremo sempre più credibili: sono ottimista».
Intanto a marzo ci attende un nuovo esame Ue sui conti pubblici. Teme che ci verrà chiesta una correzione?
«L'abbiamo già fatta nella legge di Stabilità. Se poi correggeremo l' output saremo in surplus».
Dunque niente sfondamento del tetto del 3%?
«Faremo tutto entro le regole, ma vogliamo che cambino».
E se non cambiano?
«Con i "se" e i "ma" non si va da nessuna parte. Escludo scenari negativi».
Il caso Grecia e la paura di un fronte antieuro ci aiuta?
«Non serve guardare alla Grecia, è l'Europa che ha un evidente problema di crescita rispetto agli Usa, ad
esempio».
Lo Stato entra nell'Ilva, cos'altro vuole ricomprarsi?
«Non c'è un ritorno allo statalismo ma solo un intervento straordinario per salvare un'azienda competitiva
imbrigliata da questioni ambientali e giudiziarie. Anche gli Usa hanno aiutato le banche per un periodo di
tempo limitato».
Parte la corsa al Quirinale. Tecnico, politico, outsider?
«Sul Quirinale c'è un metodo, un percorso tracciato: seguiremo quello».
Le spiace da economista che Mario Draghi si sia ritirato dalla corsa?
«Personalmente credo che al Quirinale non ci si possa né candidare né scandidare...».
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PRESTAZIONI E PENSIONATI SPESE ED ENTRATE 23.431.000 numero di prestazioni in pagamento Ivs
(Indennità vecchiaia superstiti) 18.136.700 Assistenziali 3.869.133 Indennitarie Inail 827.000 Altre integrative
600.000 numero di prestazioni per pensionato numero di prestazioni per abitante 1,39 2,526 0 50.000
100.000 150.000 200.000 250.000 211,1 miliardi 190,4 miliardi Deficit esercizio 20,7 miliardi IMPORTO
MEDIO ANNUO PER PENSIONATO 16.639 € La previdenza italiana Fonte: Agenzia delle Entrate Corriere
della Sera 16.561.600 NUMERO DI PENSIONATI IMPORTO MEDIO ANNUO PRESTAZIONE 11.563 €
Spesa pensionistica Entrate contributive
Ridotto il costo del lavoro del 70% per i neoassunti a tempo indetermi-nato Non è in agenda un prelievo sui
trattamenti previden- ziali più elevati Il decreto per il salvataggio dell'Ilva non è un ritorno allo statalismo
Foto: Nato a Tel Aviv (Israele) il 14 dicembre 1959, Yoram Gutgeld (nella foto in alto) è il consigliere
economico e di bilancio del premier Matteo Renzi. È stato senior partner e direttore di McKinsey ed è stato
eletto alla Camera con il Partito democratico nelle elezioni del 2013. Si è laureato in matematica e filosofia
all'Università Ebraica di Gerusalemme
04/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Dalla rotazione alle indennità I vigili e l'intesa mai nata col comandante
«venuto da fuori»
Gli spostamenti La reazione all'applicazione delle norme anticorruzione
Ernesto Menicucci
roma Magari ridurla ad un «fatto personale» è un po' semplicistico, ma una cosa è certa: la «guerra» dei vigili
contro il Campidoglio (e, in qualche modo, contro i cittadini che ne pagano le conseguenze) parte da un
episodio specifico.
Ottobre del 2013, Ignazio Marino è sindaco da poco più di un'estate e, dopo aver fatto saltare come un tappo
di champagne l'ex comandante Carlo Buttarelli (nominato da Gianni Alemanno) e dopo una lunghissima
selezione dei curricula che si risolve in una clamorosa gaffe (il prescelto, Oreste Liporace, dei Carabinieri,
non aveva i requisiti di legge), il primo cittadino punta su Raffaele Clemente.
Che è un dirigente esperto, fama di mediatore, autore di diverse azioni sul campo coi vigili urbani, ma con un
«difetto» - secondo i sindacati - di base: non fa parte del corpo della Polizia locale di Roma Capitale. Di più, è
uno della Polizia, un «questurino», come dicono perfidamente i suoi colleghi, uno estraneo alla realtà
romana, dai modi piuttosto bruschi. Buttarelli, che rese pubblica la notizia della sua rimozione mettendo sul
profilo Facebook le «carte del morto» (due otto e due assi «neri», fiori e picche, quelli che aveva in mano il
pistolero Wild Bill Hickock prima di essere ucciso), era uno di loro. Clemente no. E le sue prime azioni, dopo
un tentativo iniziale di dialogo, sono tutte di «rottura»: l'avvicendamento del vicecomandante (via Donatella
Scafati, dentro Raffaella Modafferi), la campagna via Twitter per invitare i cittadini a segnalare i casi da
multare, la rotazione negli uffici.
Clemente fa asse con Marino, e spinge per l'applicazione delle norme anticorruzione stabilite da Cantone.
Solo che, nella Capitale, le regole sono applicate diversamente dal resto d'Italia. Non lo spostamento di
incarico (dal commercio all'urbanistica, per dirne una) rimanendo nello stesso territorio, ma un vero e proprio
cambio di gruppo: chi stava all'Eur si ritrova a Roma nord, chi lavorava in periferia va al centro. E cominciano
le proteste, gli scioperi. Anche perché, sullo sfondo, c'è il nodo della contrattazione sul salario accessorio dei
dipendenti comunali, braccio di ferro tra amministrazione e sindacati che si trascina da oltre un anno. Una
vertenza che riguarda 24 mila dipendenti, ma che incide anche sui circa 5 mila vigili romani.
Perché, nella riforma imposta dal ministero dell'Economia, c'è l'eliminazione delle indennità «a pioggia». E gli
agenti della Municipale erano quelli che ne avevano di più. Un euro al giorno per tenere pulita la divisa,
quattro per il «servizio esterno», sei per il notturno che però nel loro caso inizia alle 15.48 del pomeriggio, più
quei «gettoni» previsti anche per gli altri lavoratori del Comune: l'indennità di presenza, quella per chi è a
contatto col pubblico. Una ridda di voci alla quali, secondo il Mef, bisogna porre fine. Ma i mesi passano,
l'accordo non si trova e la giunta Marino va avanti unilateralmente: delibera il 31 luglio, applicazione delle
nuove norme da dicembre, poi slittata ancora a gennaio. Ora, da lunedì, si dovrebbe partire. E, secondo i
sindacati, ogni dipendente capitolino perderà in media 2-300 euro al mese in busta paga.
Così, settimana dopo settimana, la protesta torna a montare. Prima una fiaccolata sotto palazzo Senatorio,
poi il caso dei vigili a Capodanno, preceduto dal nuovo stop nel tavolo di concertazione. La notte di San
Silvestro, scoppia il «caso». Gli agenti si mettono di traverso, i sindacalisti ripetono che «Clemente non è il
nostro comandante», l'organizzazione rischia di andare in tilt. A quel punto, capito che molti vigili non
lavoreranno in straordinario, dal comando generale partono gli sms per la «reperibilità d'emergenza», quella
che si usa nei terremoti: «Ella dovrà trovarsi alle 19 presso il comando con radio efficiente per essere
destinato al posto di servizio». Messaggi che arrivano anche a chi è in ferie o già pensionato, quando ormai
alla mezzanotte manca meno di un'ora.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Il retroscena
04/01/2015
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767 i vigili
del Comune
di Roma
che la notte
di Capodanno non erano
in servizio
5 mila
gli agenti
della Polizia locale
dipendenti
del Comune
di Roma
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La trincea della Uil: faremo causa al Comune
Il vigile e sindacalista Francesco Croce: macché diserzione, io ero in servizio Gli agenti non hanno aderito
agli straordina-ri perché non vogliono sacrificarsi per l'attuale gestione del Corpo
Rinaldo Frignani
ROMA «Ma quale diserzione pianificata! Io a Capodanno c'ero, facevo servizio sul lungotevere Sanzio.
Piuttosto il sindaco ha fatto arrabbiare tutti quelli che come me stavano per strada: a mezzanotte ci ha
mandato per radio gli auguri preregistrati».
Francesco Croce, segretario uil Funzione pubblica laziale e vigile dell'VIII Tintoretto (Eur), non la manda a
dire. Rifiuta «il linciaggio mediatico» dei pizzardoni . E vede perfino un barlume di speranza in fondo al tunnel.
Scusi, dove?
«Partiamo dai numeri, hanno fatto un minestrone: il comandante Clemente ha detto che ci sono stati 835
disertori, poi che le posizioni dubbie sono 44. In un giorno siamo scesi vorticosamente da quasi il cento per
cento a meno del 5 per cento. Un crollo che parla da solo».
E allora cosa è successo?
«Che i vigili non hanno aderito agli straordinari perché non vogliono sacrificarsi per l'attuale gestione della
Municipale. Una scelta libera, deve essere rispettata. Poi la metà degli assenti era in ferie obbligatorie da
smaltire entro il 2014. I nostri studi legali si stanno già muovendo, il danno d'immagine è gravissimo. Piuttosto
bisogna chiedersi perché, dopo 68 anni dalla rifondazione del Corpo, gli agenti non sentono più di
appartenervi».
Secondo lei perché?
«Perché chi lo comanda e chi lo supervisiona è irriguardoso nei confronti di chi ci lavora: squadroni d'assalto
contro i bengalesi, agenti tolti dalla strada, piano traffico indecente, mai in difesa dei colleghi feriti, mai parte
civile per loro nei processi. "Comune - dicono i vigili -, non sei più il mio datore di lavoro, farò solo il dovuto,
niente di più". Un rigetto spontaneo. Una disaffezione indotta».
Quindi le recenti rivendicazioni sindacali non c'entrano?
«Guardi, i nostri stipendi sono bassi. Un agente guadagna meno di 1.500 euro al mese. Solo per lo
straordinario di Capodanno ne avrebbe presi 400 lordi, ma non l'ha fatto quasi nessuno. E sa perché? Il
morale è sotto i piedi, è sbagliato pensare che la nostra rabbia sia solo per i trasferimenti o il salario
accessorio».
Ma la Uil nazionale condanna i falsi malati...
«Anche noi. Chi ha violato la legge dovrà pagare, ma temo che si cerchino capri espiatori. Si spulcerà ogni
certificato per trovare la virgola sbagliata. D'altra parte l'amministrazione è in un vicolo cieco».
Però diciamolo, non è che i romani vi amino proprio...
«Vorremmo dare loro un servizio che li porti a lavoro in tempo, che li faccia sentire più sicuri. Meno abusi
edilizi, discariche illegali e periferie abbandonate. Vedrete, la verità su di noi verrà detta. Prima o poi».
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Chi è
Francesco Croce, vigile,
è il segretario laziale della
Uil Fpl, il sindacato della Federazione poteri locali
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INTERVISTA
04/01/2015
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«Atene dovrà comunque trattare con l'Europa»
Lo scrittore Chomenidis: «Le prossime elezioni saranno una gara tra speranza e paura» Il leader di Syriza
Tsipras è un populista puro. Punta sul consenso e cerca colpevoli: banche, Paesi stranieri, evasori
Maria Serena Natale
«Le prossime elezioni saranno una gara a due, Alexis Tsipras contro Antonis Samaras, e l'esito non è affatto
scontato. Qualunque cosa accada, il prossimo governo dovrà trattare con l'Europa». Lo scrittore Christos
Chomenidis è tra le voci più autorevoli del dibattito pubblico greco. Classe 1966, impostosi all'attenzione della
critica con «Il bambino saggio» del 1993 (edito in Italia da Crocetti, 2004), nei suoi libri racconta la Grecia di
oggi con passione e ironia. «Amo profondamente questo Paese che nella sua storia ha dato prova di grande
forza - dice al Corriere -. Quando si esalta la Grecia come culla della civiltà spesso si dimentica quel che
venne dopo, i secoli bui di dominazione ottomana, l'assorbimento nell'orbita balcanica. Nessun Rinascimento
per noi. Eppure nell'Ottocento abbiamo saputo imboccare la via della modernità e cambiare il nostro destino.
Dobbiamo continuare a credere nella democrazia ellenica». In nome di questo spirito democratico tre mesi fa
Chomenidis ha lasciato il consiglio di sorveglianza di Nerit , l'emittente statale nata dalle ceneri della vecchia
ERT che il governo aveva chiuso nel 2013, tra proteste e scioperi generali, a causa della crisi. Nella lettera di
dimissioni denunciava «il diretto intervento dell'esecutivo» nella decisione di non trasmettere in diretta un
discorso di Tsipras, leader della coalizione della sinistra radicale Syriza. «La tv di Stato ha il dovere di essere
al servizio dei cittadini, non dei politici».
Tsipras vuole rinegoziare il debito e rilanciare gli investimenti pubblici, ha un piano da due miliardi di euro
destinato ai cittadini sotto la soglia di povertà per alzare le pensioni, reintrodurre il salario minimo, risollevare
la sanità. Contro di lui Samaras, sostenuto dall'Europa, gioca la carta della responsabilità. Cosa si aspettano i
greci?
«Fin qui i greci hanno resistito grazie a una struttura sociale simile a quella italiana, basata sulla famiglia e
sull'aiuto degli anziani ai giovani. Oggi sentono di non avere più nulla da perdere e di dover scegliere tra la
paura per il futuro che li spinge verso Samaras e la speranza che li avvicina a Tsipras. Se la sinistra radicale
avesse la meglio e riuscisse a formare un governo, dovrebbe riprendere i negoziati con la troika, trovare il
modo di comunicare e collaborare con quell'Europa che oggi attacca e che in fondo conosce poco. Dopo aver
promesso una rivoluzione che nessuno vuole davvero, non sono queste le condizioni migliori per cominciare
una campagna elettorale».
Come giudica il programma di Syriza?
«Non colloco Syriza nella tradizione della sinistra del XX secolo. Tsipras mi ricorda l'argentino Juan Perón,
non leader come Enrico Berlinguer. Il suo è un messaggio populista, quel genere di richiamo che cerca
colpevoli - banche, Paesi stranieri, evasori fiscali - e punta tutto sulla capacità di attrarre consenso. Non è un
vero progressista. Sul fronte dei diritti per esempio, quando gli è stato chiesto se intendesse appoggiare il
matrimonio omosessuale, ha risposto che la società greca non è ancora pronta. È veloce, intelligente ma la
sua visione è limitata all'orizzonte del partito nel quale è cresciuto. In Grecia diciamo che per capire una
persona bisogna vederla governare, anche Tsipras avrà il suo momento di verità».
La socialdemocrazia di Pasok è fuori dai giochi?
«Quando scoppiò la crisi, al governo c'erano i socialisti di George Papandreu, che furono travolti dal collasso
economico. Pasok è stato poi in coalizione con Nuova Democrazia di Samaras, un governo che su temi come
religione e nazione ha mostrato un'impronta fortemente conservatrice. La socialdemocrazia è una delle
grandi vittime politiche di questa congiuntura».
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L'intervista
04/01/2015
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Autore
Christos Chomenidis, classe 1966,
si è imposto all'attenzione della critica
con Il bambino saggio (Crocetti 2004). Ha lasciato il consiglio di sorveglianza della tv pubblica Nerit per
protestare contro le ingerenze
del governo Samaras
04/01/2015
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Speranza: il leader di FI? È giusto dialogare ma no a qualsiasi scambio
La scelta Inaccettabili i veti su candidati pd, però potranno esserci anche nomi non riconducibili al partito
Monica Guerzoni
ROMA Nessuno scambio con Berlusconi, nessuna trattativa che abbia la grazia come contropartita. Il
capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, stoppa le richieste di Forza Italia e disegna l'identikit di
un presidente che abbia tutte le caratteristiche di Napolitano: autorevolezza, credibilità, senso dello Stato.
Nel patto con Berlusconi c'è il Quirinale?
«Con Forza Italia è in corso un ragionamento molto importante che riguarda le riforme ed è giusto che sia un
interlocutore anche sulla presidenza della Repubblica. Ma è sbagliato sovrapporre il piano delle riforme con
l'elezione del successore di Napolitano, come purtroppo ha fatto qualche esponente di Forza Italia».
Brunetta insiste: prima il Colle, poi le riforme.
«La richiesta di uno scambio è irricevibile. Non è possibile immaginare un capo dello Stato che dia la grazia a
Berlusconi. Per il Pd la trattativa su quel terreno non è immaginabile».
Se il M5S si sfila, i voti di Forza Italia sono preziosi.
«È giusto parlare con tutti, senza alcun pregiudizio. E mi auguro che i cinquestelle scendano dal tetto e
provino a giocare una partita in termini costruttivi, per trovare un presidente che rappresenti tutti».
Nel 2013 il Pd schierò contro Prodi 101 franchi tiratori.
«Quel passaggio ha lasciato sulla nostra pelle una ferita che nessuno vuole rivivere. Da allora i gruppi hanno
raggiunto una maturità significativa e però bisognerà lavorare, perché solo una vera e profonda condivisione
può creare le condizioni per la coesione dei gruppi».
Per disarmare le decine di franchi tiratori già pronti metterete la decisione ai voti?
«A me questi conteggi non risultano e penso che il Pd debba avere l'ambizione di unire se stesso senza
immaginare che qualcuno sia un franco tiratore a prescindere. Dopo le dimissioni formali di Napolitano
riuniremo i gruppi e costruiremo una soluzione largamente maggioritaria, avendo in testa il futuro dell'Italia».
Per Renzi il Pd è «decisivo» .
«Sarà fondamentale interloquire con tutte le forze politiche, ma il Pd ha circa 450 grandi elettori e tocca a noi
indicare la rotta. La scelta è decisiva e al partito di maggioranza relativa spetta il ruolo più delicato».
Padoan, Veltroni, Mattarella, Bersani... Quanti petali ha la rosa del Pd?
«Niente pregiudizi, né bandierine. Noi non possiamo accettare veti su candidati del Pd, ma al tempo stesso
potranno esserci anche personalità non strettamente riconducibili al Pd se hanno le caratteristiche che la
funzione richiede».
Il suo capo dello Stato?
«Dobbiamo avvicinarci il più possibile al profilo di autorevolezza e credibilità di Napolitano. Per la mia
generazione è il simbolo dell'unità dello Stato».
Si dice che Renzi non abbia interesse a scegliere una figura che gli faccia ombra.
«Trovo che questo discorso abbia poco senso, sarebbe sbagliato legare una scelta cardine alle dinamiche
strette della contingenza politica».
È vero che nel Pd le quotazioni di Prodi sono in calo?
«No, ha autorevolezza e credibilità. È un nome di assoluto rilievo, su cui sarebbe utile riflettere seriamente.
L'ho votato nel 2013 e non avrei difficoltà a rivotarlo. Ma le personalità sono tante e parlare dei singoli nomi
con un mese di anticipo rischia solo di bruciarli».
Draghi si è autoescluso...
«Ho molto rispetto per le sue parole e penso che la funzione di Draghi in Europa sia decisiva per provare a
costruire una nuova prospettiva di politica economica».
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L'intervista
04/01/2015
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Pag. 11
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Vi aspetta una ripresa con l'acceleratore premuto?
«Il 7 riunirò il gruppo sulla riforma costituzionale, che cominceremo a votare l'8 in Aula. La settimana
successiva inizieranno al Senato le votazioni sull'Italicum. A gennaio ci giochiamo molto, con questi due
provvedimenti centrali e la partita del Quirinale che si apre».
Una donna è una chimera?
«Sarebbe folle immaginare che questo ruolo possa rivestirlo solo un uomo, nel nostro panorama politico ci
sono donne di grande qualità».
L'opinione pubblica non sembra pronta. La Boldrini è stata accusata di autocandidarsi, alla Finocchiaro viene
rimproverata la foto con la scorta all'Ikea...
«La scelta è decisiva, non bisogna accarezzare le pulsioni più immediate della pancia del Paese per
inseguire il consenso del giorno dopo. Per trovare la persona giusta non serve rincorrere canoni estetici».
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Chi è
Roberto Speranza, 36 anni oggi, è capogruppo del Pd alla Camera. Nato a Potenza, è stato segretario
regionale della Basilicata e coordinatore della campagna di Pier Luigi Bersani per le primarie 2012
04/01/2015
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Il calo dei tassi ai minimi e la nuova concorrenza del mattone all'investimento in Bot e Btp Segnali positivi sul
fronte dei mutui, richiesta la soglia fissa dalle banche anche sotto il 2%
Gino Pagliuca
Compravendite calate della metà e prezzi giù in media del 20%: sono il lascito di sette anni di crisi del
mercato immobiliare in Italia. Nel 2015 potrà esserci la svolta? Qualche premessa ci sarebbe, visto che la
seconda parte dello scorso anno è andata meglio della prima, certo però non è ipotizzabile una forte ripresa
del mattone senza una robusta ripartenza dell'economia e senza il ritorno dell'inflazione, da sempre la
migliore alleata dell'investimento immobiliare.
Domanda e offerta
I segnali più positivi arrivano sul fronte della domanda, che è ovunque in ascesa. Alessandro Ghisolfi,
responsabile del centro studi del portale casa.it, segnala non solo l'aumento delle richieste ma anche che si
tratta di domande sempre più mirate: «Spesso non si indica solo genericamente la zona ma anche la strada
in cui si vuole casa e le caratteristiche precise dell'immobile»; inoltre i venditori paiono aver preso atto che
non ci si può più intestardire sulle richieste di prezzo di qualche anno fa. Sono in aumento gli annunci che
dopo mesi di infruttuosi tentativi presentano consistenti ribassi delle richieste e la trattativa si fa più semplice:
«Nel giro di un anno - conclude Ghisolfi - il divario tra prezzi richiesti e prezzi offerti si è ridotto dal 18 al
12%».
Eppure si fatica ancora a vendere: nel 2014 le transazioni sono stimate in crescita solo del 3-4% rispetto ai
minimi dell'anno precedente e le previsioni sono di un'ulteriore crescita ma a una sola cifra per quest'anno.
Questo succede anche perché, come sottolinea Mario Breglia, presidente di Scenari immobiliari, l'offerta è
ampia ma la qualità è scarsa. «Chi oggi ha una casa bella e non ha un bisogno immediato di liquidi si guarda
bene dal metterla in vendita perché sa a priori che non riuscirebbe a soddisfare le sue aspettative di
realizzo». Resta il fatto che a Milano o a Roma tre o quattro locali con il terrazzo e i doppi servizi anche oggi
si vendono in breve tempo.
I prezzi
Le opinioni degli esperti coincidono; nel 2015 i prezzi scenderanno ancora, di molto poco nelle principali città,
in maniera più marcata nei centri minori. Secondo il modello previsionale di Nomisma bisognerà aspettare il
2016 per il ritorno generalizzato al segno più e il 2017 per un consolidamento della ripresa. Secondo Luca
Dondi, direttore generale e responsabile dell'Osservatorio immobiliare dell'istituto di ricerca: «Storicamente
nelle prime fasi di ripresa ciclica del mercato i valori subiscono ancora qualche limatura. Il trend di ripartenza
si sta consolidando anche se sul mercato aleggiano due incognite: che cresca la fiducia degli investitori e che
le banche italiane possano e vogliano attuare una politica più espansiva del credito».
I mutui
I segnali di una maggiore disponibilità degli istituti a concedere mutui sono peraltro evidenti: gli spread, sia
pure per una clientela selezionata con molta attenzione, sono in forte calo e si stanno posizionando sotto il
2%, che sommato ai valori minimi dei parametri che indicizzano i mutui fanno sì che i prestiti ipotecari siano
oggi offerti a valori addirittura inferiori a quelli precrisi. Ci sono anche strumenti come i fondi finalizzati
stanziati dalla Cassa depositi e prestiti e il fondo di garanzia acquisto prima casa gestito dalla Consap, che
rendono più facile l'accesso al credito per le categorie più deboli.
L'investimento
Un altro spread in calo, quello tra Btp e Bund, potrebbe invece favorire gli acquisti per investimento: con i titoli
di stato decennali sotto il 2% affittare una casa, pur con tutte le problematicità che l'operazione comporta, può
dare un reddito interessante, attorno al 3% netto, ai prezzi attuali. Sono arrivati tre segnali di attenzione
dell'Esecutivo per chi investe in case: il primo è la riduzione al 10% della tassazione forfettaria per chi loca a
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Effetto spread, la casa tenta il recupero
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canone concordato; il secondo è il bonus fiscale del 20% spalmato su dieci anni sul prezzo di acquisto fino a
300mila euro per chi acquista una casa nuova per affittarla a canone concordato; il terzo è la mancata
proroga del blocco degli sfratti.
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Il mercato del mattone L'andamento medio dei prezzi delle case nelle principali città dallo scoppio della crisi
(prezzi a metro quadrato) L'andamento delle compravendite (vendite e variazione percentuale) Fonte:
Elaborazione Corriere della Sera su dati Nomisma, Agenzia del Territorio Corriere della Sera 2001 2002 2003
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014* 418.000 +3,7 * Proiezioni 2007 2008 2009
2010 2011 2012 2013 2014 2015* 2016* 2017* Bari 1.920 2.029 2.005 1.982 1.982 1.925 1.818 1.738 1.714
1.739 1.786 Bologna 2.887 2.761 2.606 2.539 2.446 2.337 2.219 2.105 2.067 2.082 2.119 Cagliari 1.612
1.746 1.732 1.727 1.691 1.641 1.549 1.487 1.445 1.448 1.476 Catania 1.476 1.507 1.441 1.437 1.404 1.359
1.286 1.233 1.207 1.223 1.261 Firenze 3.282 3.306 3.122 3.009 2.883 2.714 2.572 2.451 2.382 2.380 2.406
Genova 1.854 1.957 1.890 1.850 1.792 1.730 1.642 1.590 1.557 1.575 1.619 Milano 3.820 3.737 3.542 3.516
3.493 3.356 3.184 3.084 3.050 3.093 3.173 Napoli 2.325 2.337 2.223 2.172 2.142 2.059 1.973 1.905 1.859
1.863 1.893 Padova 1.979 2.026 1.921 1.874 1.860 1.776 1.673 1.590 1.560 1.585 1.635 Palermo 1.443
1.502 1.456 1.444 1.421 1.377 1.299 1.254 1.220 1.223 1.243 Roma 3.570 3.665 3.606 3.573 3.510 3.374
3.175 3.045 2.969 2.978 3.028 Torino 1.974 1.986 1.939 1.939 1.919 1.829 1.730 1.669 1.636 1.652 1.695
Venezia 4.094 4.065 3.839 3.788 3.659 3.540 3.371 3.217 3.178 3.236 3.339 Media 2.446 2.473 2.372 2.334
2.282 2.191 2.077 1.991 1.951 1.969 2.014 681.264 -1,3 761.522 11,8 762.086 0,1 804.126 5,5 833.350 3,6
845.051 1,4 809.177 -4,2 686.587 -15 609.145 -11,9 611.878 +0,4 598.224 -2,2 444.017 -25,8 403.125 -9,2
05/01/2015
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non processate solo i debitori
Lucrezia Reichlin
Le modalità che le istituzioni e i governi europei adotteranno per affrontare l'eventuale richiesta greca di una
rinegoziazione del debito sono essenziali per capire se le economie dell'Unione usciranno dalla stagnazione
nel 2015 e come evolverà il governo della moneta unica. L'Italia deve quindi tenere gli occhi ben aperti: la
visione che prevarrà su come affrontare la crisi greca segnerà il futuro
di tutti, non solo quello di Atene.
Secondo indiscrezioni riportate dal settimanale tedesco Der Spiegel , Angela Merkel starebbe considerando
lo scenario
di un'uscita della Grecia dall'euro come preferibile a nuove concessioni sul debito.
Un passo di questo tipo da parte di Berlino stupirebbe - e non a caso ieri fonti governative hanno negato
cambi di linea. Nonostante i progressi ottenuti dal 2010, infatti, è irrealistico pensare che l'eurozona non sia
più esposta a una crisi finanziaria e politica in caso di «Grexit». Difficile credere che la Germania non tema
questa prospettiva. Interpreto piuttosto le indiscrezioni giunte dalla Cancelleria come un segnale: la Germania
non è disposta ad accettare, anche di fronte al ricatto di un'uscita dalla zona euro, una sostanziale
svalutazione del debito che Atene ha con le istituzioni europee (il cosiddetto «debito ufficiale»), in particolare
con la Banca centrale. Un default sul «debito ufficiale» - quello nei confronti di Stati ed enti pubblici (pari
ormai all'80% del totale) e non più con i privati, come accadde in occasione della precedente ristrutturazione
che portò il debito greco a una riduzione stimata in circa 100 miliardi - comporterebbe de facto un'uscita della
Grecia: non tanto per l'atteggiamento punitivo dei tedeschi, ma perché indurrebbe la Bce a non accettare più
il debito greco come collaterale nelle operazioni di finanziamento alle banche.
È davvero questa l'intenzione di Alexis Tsipras? Io credo che l'astro nascente della sinistra greca sia
consapevole di quanto una posizione di questo genere si rivelerebbe suicida. Suo obiettivo è invece chiamare
una trattativa che parta dal riconoscimento di come la sola combinazione di riforme strutturali e
consolidamento dei conti pubblici si sia rivelata fallimentare. Pur in dissenso con gli aspetti populisti del
programma di Syriza, questo messaggio è ormai largamente condiviso da osservatori di provenienza e
matrice politica diversa.
Ne è un esempio il discorso pronunciato nel giugno scorso alla Banca dei regolamenti internazionali da
Benjamin Friedman.
Il rispettato studioso di economia monetaria all'università di Harvard ha sostenuto che alla radice della
stagnazione europea c'è il fallimento delle strategie sul debito sovrano: parliamo del problema rappresentato
dal fatto che alcuni Stati membri Ue hanno contratto un debito che non saranno in grado di ripagare.
Un'analisi che condividiamo ormai in molti.
Le difficoltà nell'affrontare la questione sono oggettive. All'origine c'è la peculiarità della situazione
nell'eurozona, un'area dove il debito di uno Stato membro è emesso in una moneta che quello Stato non ha
diritto di stampare. A questa peculiarità, si aggiunge quella per cui il debito degli Stati più a rischio è ormai,
quasi interamente, detenuto da investitori istituzionali e soprattutto dalla Bce.
Il modo in cui l'Europa si è mossa sinora non convince. Sono state imposte regole molto strette sul
consolidamento di bilancio, demonizzando ogni forza politica in dissenso dalla linea del rigore e lasciando alla
Banca centrale il monopolio delle politiche di management della domanda. Una dinamica che sottopone la
Bce a pressioni che potrebbero mettere a repentaglio la sua stessa credibilità.
Trovare una soluzione diversa, che preveda un accordo sul debito capace di alleggerirne il peso
sull'economia senza far oscillare la stabilità finanziaria dell'Unione, non è certo semplice. Accettare però che
il futuro dell'Eurozona sia dettato esclusivamente dagli interessi dei creditori significa subordinare a questi
interessi la crescita delle economie di tutti i Paesi dell'Unione.
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Berlino e la variabile greca
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Con Alexis Tsipras si tratterà, anzi probabilmente si sta già trattando: è essenziale per l'Unione che il
negoziato fra governi sia accompagnato da un'iniziativa forte e multilaterale, capace di gettare le basi di un
nuovo contratto tra debitori e creditori. Contratto che preveda una redenzione di parte del debito, ma legata a
riforme ambiziose e al coordinamento tra politiche monetarie/fiscali a livello europeo. Questo patto dovrebbe
partire dalla constatazione che le crisi del debito sono il risultato del comportamento volontario delle due parti
(creditori e debitori): la loro soluzione non è la punizione di una sola (il debitore). Come ricorda Friedman nel
suo discorso, questo principio è riconosciuto da più di un secolo nel concetto di limited liability (secondo cui la
responsabilità finanziaria di un soggetto va limitata a una somma prefissata). Proprio questo principio, che fa
della crescita l'interesse comune delle due parti, venne adottato alla conferenza di Londra nel 1953. Allora il
Paese debitore era la Germania, che ottenne una riduzione del 50% sia dei debiti contratti negli anni 20 e non
onorati nel decennio successivo, sia delle somme dovute agli Usa nel dopoguerra. Oggi la Germania, che è
tornata leader in Europa, dovrebbe promuovere una conferenza sul debito europeo illuminata da quello
stesso principio. Una previsione? No, per il momento è solo un mio auspicio. Buono, però, per fare del 2015
l'anno della svolta.
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«Noi europei, così sfiniti e sottomessi»
Onfray con Houellebecq sul declino della nostra civiltà rispetto all'energia dell'islam
Stefano Montefiori
Non è solo, Michel Houel- lebecq, nella visione di un'Europa in cui l'islam trionfa sull'illuminismo proposta nel
suo nuovo romanzo, Sottomissione . L'analisi dello scrittore francese è condivisa da Michel Onfray, suo
connazionale e come lui habitué della polemica culturale. «L'Europa è sfinita, è un continente morto oggi in
mano ai mercati e domani, forse, in mano all'islam» dice il filosofo al Corriere . a pagina 26
PARIGI Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione , immagina una Francia del 2022 governata
da un presidente musulmano e un nuovo ordine sociale che prevede poligamia e donne che restano a casa a
occuparsi di mariti e figli in omaggio a una religione - l'islam - che ha trionfato sulla civiltà dell'Illuminismo.
Prima ancora dell'uscita (il 7 gennaio in Francia per Flammarion e il 15 gennaio in Italia per Bompiani) il libro
scatena polemiche e discussioni, tra riconoscimento del valore letterario e critiche a una presunta voglia di
provocazione. Il «Corriere» ha sollecitato l'opinione di Michel Onfray, uno dei più noti intellettuali francesi,
autore di decine di opere tra le quali il celebre Trattato di ateologia e una Controstoria della filosofia (Ponte
alle Grazie); un pensatore ateo che ha letto - e amato - il romanzo del momento.
Visto che «Sottomissione» è un romanzo e non un saggio, è possibile separare il valore letterario dal
contenuto profetico?
«È un esercizio di stile, una fiction politica ma anche metafisica: un romanzo sull'ignavia delle persone, degli
universitari in particolare. Un romanzo molto anarchico di destra. Un libro sulla collaborazione, vecchia
passione... francese! Come un universitario specialista di Huysmans può convertirsi all'islam? Ne scopriamo
le ragioni poco alla volta: la promozione sociale in seno all'istituzione riccamente finanziata dai Paesi arabi, gli
stipendi mirabolanti dei convertiti, la possibilità della poligamia, una ragazza per il sesso, un'altra meno
giovane per la cucina, una terza se si vuole, il tutto continuando a bere alcool... Questo libro è meno un
romanzo sull'islam che un libro sulla collaborazione, la fiacchezza, il cinismo, l'opportunismo degli uomini...».
La parte più scioccante è forse il destino riservato alle donne. Qual è la sua opinione? È concepibile nella
nostra società un'evoluzione simile?
«La nostra epoca è schizofrenica: bracca il minimo peccato contro le donne e, per fare questo, milita per la
femminilizzazione dell'ortografia delle funzioni, la parità nelle assemblee, la teoria di genere, il colore dei
giocattoli nelle bancarelle di Natale; la nostra epoca prevede che ci si arrabbi se si continua a rifiutare auteure
o professeure (femminili di autore e professore ), ma fa dell'islam una religione di pace, di tolleranza e di
amore, quando invece il Corano è un libro misogino quanto può esserlo la Bibbia o il Talmud. Se si vuole
continuare a essere misogini con la benedizione dei sostenitori del politicamente corretto, l'islam alla
Houellebecq è la soluzione!».
In una sua prima intervista alla «Paris Review», Houellebecq decreta la fine dell'Illuminismo e il grande ritorno
della religione (l'islam, ma non solo). In quanto pensatore ateo, qual è la sua reazione?
«Credo che abbia ragione. I suoi romanzi colgono quel che fa l'attualità del nostro tempo: il nichilismo
consustanziale alla nostra fine di civiltà, la prospettiva millenarista delle biotecnologie, l'arte contemporanea
fabbricata dai mercati, le previsioni fantasticate della clonazione, il turismo sessuale di massa, i corpi ridotti a
cose, la loro mercificazione, la tirannia democratica, la sessualità fine a se stessa, l'obbligo di un corpo
performante, il consumismo sessuale, eccetera. Quindi, utilizzare i progressi incontestabilmente compiuti
dall'islam in terra d'Europa per farne una fiction sull'avvenire della Francia è un buon modo per pensare a
quel che è già».
Houellebecq descrive una società francese ed europea stanca, affaticata dalla perdita di valori tradizionali.
Cosa pensa? L'Europa è condannata, come dicevano i neocon americani?
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INTERVISTA
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«Houellebecq continua a dipingere il ritratto di una Francia post-68. E ha ragione di vedervi un esaurimento,
meno in rapporto con il breve termine del Maggio 68 che con il lungo periodo della civiltà giudaico-cristiana
che crolla. Questa civiltà è nata con la conversione di Costantino all'inizio del IV secolo, il Rinascimento
intacca la sua vitalità, la Rivoluzione francese abolisce la teocrazia, il Maggio 68 si accontenta di registrarne
lo sfinimento. Siamo in questo stato mentale, fisico, ontologico, storico. Houellebecq è il ritrattista terribile di
questo Basso Impero che è diventata l'Europa dei pieni poteri consegnati ai mercati. L'Europa è morta, ecco
perché i politici vogliono farla!».
La mia impressione, leggendo il libro, è che si finisca per credere alla profezia. In questo sta l'abilità di
scrittore di Houellebecq? O la sua previsione è davvero plausibile?
«È in effetti uno dei talenti di questo libro: il racconto è estremamente filosofico perché è estremamente
credibile... Sottomissione rivaleggia con 1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury, Il mondo nuovo di
Huxley. Per me è il migliore libro di Houellebecq, e di gran lunga. La sottomissione di cui diamo prova nei
confronti di ciò che ci sottomette è attualmente sbalorditiva. È un altro sintomo del nichilismo nel quale ci
troviamo».
Evocando l'islam, Houellebecq agita un fantasma molto presente nella Francia di oggi, come dimostrano i libri
di Alain Finkielkraut e Éric Zemmour. È giustificata, questa preoccupazione dell'identità?
«Ricorrere alla parola fantasma è già un modo di prendere una posizione ideologica. Esiste una realtà che
non è un fantasma e che coloro che ci governano nascondono: divieto di statistiche etniche sotto pena di farsi
trattare da razzisti ancor prima di avere detto alcunché su queste cifre, divieto di rendere note le percentuali
di musulmani in carcere sotto pena di farsi trattare da islamofobi al di fuori di qualsiasi interpretazione di
queste famose cifre, eccetera. Non appena si nasconde qualcosa, si attira l'attenzione su quel che è
nascosto: se non esiste che un fantasma, allora che si diano le cifre, saranno loro a parlare...».
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In uscita
Michel Houellebecq (nella prima foto dall'alto ) è romanziere, saggista, poeta, regista e sceneggiatore. È nato
a Réunion, nell'Oceano Indiano, il 26 febbraio 1956. Il nuovo romanzo Sottomissione (sopra, la copertina )
esce in Francia il 7 gennaio per Flammarion e in Italia il 15 gennaio per Bompiani (traduzione di Vincenzo
Vega, pp. 252 e , 17,50) Michel Onfray (al centro ) è nato nel gennaio 1959 a Chambois, Francia. Autore di
oltre 50 libri, fra cui il Trattato di ateologia e una Controstoria della filosofia in più volumi , per ora sette, tra
cui: Il cristianesimo edonista , L'età dei libertini , Illuminismo estremo . Sono tutti editi da Ponte alle Grazie In
alto: una foto di Mitra Tabrizian (1956) dalla serie Another Country (2010)
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Furbizia o solo ignoranza?
Luigi Ferrarella
Al supermercato c'è la tracciabilità del cotechino e si può sapere tutto della filiera di provenienza di un kiwi:
nei Consigli dei ministri del governo di Matteo Renzi, invece, sembra difettare la tracciabilità delle norme
«orfane» o «desaparecide».
Soprattutto nei decreti legislativi, dove deleghe troppo generiche ed estese conferiscono all'esecutivo un
potere sottratto a un effettivo controllo parlamentare, persino superiore a quello dei già troppo abusati decreti
legge. Sempre più spesso nelle sedute di governo non si capisce chi e perché faccia sparire in uscita norme
che in entrata c'erano; o chi invece infili e faccia votare a distratti ministri norme che in entrata non c'erano, e
che all'uscita nessuno più nel governo sembra riconoscere o addirittura conoscere.
È successo già tre volte solo nell'ultimo mese. Sull'applicabilità o meno della licenziabilità del Jobs act ai
dipendenti pubblici si sono visti un influente senatore (Ichino) affermare che in Consiglio dei ministri fosse
entrata una norma poi depennata, due ministri (Madia e Poletti) smentirlo e assicurare che mai vi fosse stata
una norma del genere, e infine il premier ammettere che sì, insomma, la norma c'era ma era poi stata tolta in
vista di un altro più coerente contenitore legislativo.
Pochi giorni prima, quando il governo aveva (per ora solo) annunciato una già striminzita legge
anticorruzione, in Consiglio dei ministri era entrata, ma misteriosamente non era più uscita per mano di non si
sa chi, una norma premiale per il primo tra corrotto e corruttore che spezzasse il vincolo d'omertà e
denunciasse il complice. E adesso, dopo due casi di norme «desaparecide», eccone uno di legge «orfana»:
cinque parole che, nell'attuazione delle delega sui reati fiscali, alla vigilia di Natale paracadutano una inedita
«clausola di non punibilità» che, per una serie di rimbalzi procedurali, di sponda avrebbe l'effetto finale di
dare a Berlusconi la chance di chiedere la revoca della condanna definitiva per frode fiscale sui diritti tv
Mediaset e ritornare alla politica sinora preclusagli da quella legge Severino che come presupposto ha
appunto l'esistenza di una condanna definitiva.
Ora Renzi, che in conferenza stampa aveva magnificato il decreto legislativo sorvolando su questa norma,
nel più classico degli schemi lideristici annuncia, quasi parlasse di un meteorite piovuto chissà da quale
galassia, che lo fermerà e farà riesaminare in un nuovo Cdm.
Sarà interessante vedere come, giacché il dichiarato intento governativo - un fisco amichevole che non usi
più il bastone penale su chi tutte le tasse non paga non perché voglia evaderle ma perché non ce la fa per la
crisi - pareva già ampiamente (anche troppo) soddisfatto dalle modifiche che nelle singole fattispecie di reati
fiscali rendono non punibili la «dichiarazione infedele» fino a 150.000 euro, l'«omessa dichiarazione» fino a
50.000 euro, la «dichiarazione fraudolenta mediante artifici» fino a 30.000 euro di imposta evasa e 1 milione
e mezzo di imponibile sottratto al fisco o 5 per cento di elementi attivi indicati, e la «dichiarazione fraudolenta
mediante fatture per operazioni inesistenti» fino a 1.000 euro l'anno.
Ecco perché ora non può finire solo con il ritiro dell'articolo 19-bis, ibrida «clausola di non punibilità» che, «per
tutti i reati del presente decreto», metteva al riparo chi evade in una modica quantità (come la droga) stabilita
in un per nulla modico 3% dell'imponibile dichiarato. Clausola che nel passato calza a pennello alla sentenza
di Berlusconi, e che per il futuro equivale tra l'altro anche ad autorizzare (e quasi incentivare) una mediagrande impresa, ad esempio da 50 milioni di imponibile, ad accantonare impunemente un milione e mezzo di
«fondi neri» utilizzabili per alimentare poi tangenti.
Delle due l'una: o Palazzo Chigi sapeva bene cosa stesse approvando e allora non si capisce perché oggi
Renzi faccia precipitosa marcia indietro; oppure non lo sapeva, e allora c'è da preoccuparsi. Come antidoto
alla tossicità di questo procedere opaco di legiferare, infatti, un governo che non lesina tweet fatui, e
proclama trasparenza online sul buongoverno.it , dovrebbe anche rendere pubblico quali ministri o burocrati o
consulenti hanno scritto o interpolato o veicolato quell'articolo 19-bis; quali motivazioni, magari serie, lo
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Troppe leggi orfane e norme sparite
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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argomentavano; chi e dove e quando ha valutato i pro e contro della norma; quali posizioni hanno assunto sul
punto i ministri più interessati (Economia, Giustizia, Rapporti col Parlamento, presidenza del Consiglio).
Perché si può fare tutto, anche depenalizzare questo o quel reato, magari pure con benefici indiretti per
questo o quel soggetto: ma alla luce del sole, con trasparenza dei percorsi e consapevolezza dei risultati. Per
migliorare i quali, forse, ogni tanto non guasterebbe qualche sfottuto «professorone» in più, e qualche fedele
ma incompetente in meno.
Luigi Ferrarella
[email protected]
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Precedenti
Jobs act: per il senatore Pietro Ichino la licenziabilità per i dipendenti pubblici era nel testo, i ministri Madia e
Poletti smentiscono. Renzi ammette di aver tolto lui la norma Legge anticorruzione: in Cdm c'era, poi è
sparita, la norma premio per chi tra corrotto e corruttore denuncia per primo il complice
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scommesse, rischi Atlante per il 2015
Ian Bremmer
Al culmine della crisi della zona euro, nel 2011 e 2012, gli Stati membri dell'Unione Europea hanno raggiunto
un accordo politico per gestire l'instabilità economica.
Oggi, sebbene riaffiori qualche inquietudine per la situazione economica, quella sensazione di panico è
sparita, ma così pure l'unità politica. Con ogni probabilità, il 2015 sarà un anno difficile e impegnativo per i
leader politici e per le economie di tutto il continente.
Innanzitutto, nel corso del nuovo anno si rafforzerà la presenza di partiti e movimenti anti europei all'interno
dell'Unione. Il primo segnale di pericolo verrà dalla Grecia, dove il partito populista di sinistra, Syriza, guidato
da Alexis Tsipras, ha buone probabilità di vincere le elezioni e di formare un governo. In Spagna, anche se le
riforme strutturali messe in piedi negli ultimi tre anni potranno assicurare all'economia una crescita accelerata
nel 2015, la disoccupazione si manterrà a livelli preoccupanti, mentre le elezioni in Catalogna alimenteranno
nuove pressioni secessioniste. Nel frattempo, l'ascesa a sinistra di un altro partito di opposizione, Podemos,
indebolirà il governo centrale dopo le elezioni politiche di ottobre. Gli elettori in Italia e in Francia resteranno a
guardare e forse eserciteranno pressioni più forti sui rispettivi governi.
Il risultato sarà una battuta d'arresto nel processo di riforme economiche oggi in atto. Ma la crescente
popolarità di partiti antieuropei, come Front National in Francia, Ukip in Gran Bretagna e persino gli Alternativi
in Germania, ci ricorda che l'euroscetticismo ha gettato profonde radici anche nei Paesi che più hanno
beneficiato dal mercato comune. Con l'ulteriore frenata economica prevista nei prossimi mesi, si riaccenderà
immediatamente il dibattito politico su come rilanciare la crescita, senza però poter dimostrare di aver
raggiunto finora alcun risultato.
Il problema più grande per l'Europa nel 2015, peraltro, non verrà dall'opposizione populista all'interno dei
singoli Stati, ma dalle crescenti tensioni tra i rispettivi governi. In breve, non vedremo un allentamento delle
pressioni populiste in Europa perché le attuali politiche, a favore dell'austerità o di altre misure di stimolo
economico, non sono destinate a cambiare. Come mai? La risposta è che le attuali politiche di austerità sono
dettate dalla Germania e la cancelliera Angela Merkel non ha nessun buon motivo per abbandonare la rotta
intrapresa. Quest'anno Berlino non avrà rivali importanti nella leadership europea. Il calo storico nei sondaggi
ha indebolito il presidente francese, François Hollande, sulla scena europea. Per assicurarsi la vittoria nelle
elezioni di maggio, il premier britannico David Cameron ha promesso al Regno Unito di indire un referendum
sull'uscita dall'Europa. Una forte Germania, una Francia debole e una Gran Bretagna assente spingeranno
l'Europa verso una situazione di immobilità politica.
Priorità di Merkel per il 2015 sarà il pareggio del bilancio federale e ogni altro traguardo economico verrà
subordinato a questo obiettivo, malgrado i primi segnali di rallentamento nella crescita tedesca e i campanelli
d'allarme sulla deflazione nell'area euro. La disciplina fiscale costringerà gli elettori tedeschi a pretendere
altrettanta austerità all'estero: non si prevedono dunque stimoli economici significativi per l'Ue. A lungo
andare, l'amara medicina tedesca potrebbe dare risultati positivi, ma non aiuterà la crescita né la stabilità
politica complessiva nel 2015. La Banca centrale europea probabilmente adotterà misure di allentamento
monetario ( quantitative easing ) nei primi mesi dell'anno, ma l'opposizione tedesca ne limiterà l'efficacia.
Non dimentichiamo poi le numerose crisi in politica estera. Il braccio di ferro con la Russia rischia di
aggravarsi: se da un lato il presidente Putin non può fare marcia indietro sull'Ucraina, dall'altro Stati Uniti ed
Europa restano fermamente impegnati nel rispettare l'embargo, che danneggerà l'economia russa e spingerà
Putin a puntellare la sua popolarità in patria attaccando briga ripetutamente con l'Occidente. Con il
rallentamento dell'economia europea nel corso dell'anno, l'approccio intransigente con la Russia, capitanato
dalla Germania, susciterà timori tra gli europei che più si preoccupano delle ricadute negative dell'embargo.
Ciò condurrà al deterioramento dell'intesa atlantica in un momento in cui i sentimenti antiamericani vanno
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IDEE INCHIESTE qualche previsione
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intensificandosi in Europa, dopo le rivelazioni sulle attività di spionaggio Usa. A complicare le cose, la
minaccia dei terroristi islamici è molto più sentita in Europa che in altre regioni, vista la presenza di numerose
comunità islamiche e il numero di europei che oggi combattono in Siria e in Iraq.
Un saggio governante sa benissimo che le crisi non vanno mai sprecate e i leader europei hanno lavorato
assieme nel momento peggiore della crisi del debito in Europa per scongiurare la catastrofe. La Bce, il
governo tedesco e quelli del sud dell'Europa, come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, hanno dimostrato di
possedere una grande visione e un notevole coraggio nel mantenere la rotta in un periodo burrascoso. Ma se
la percezione della crisi si va pian piano dissolvendo, resta il fatto che le riforme in programma non sono state
ancora completate e per questo motivo il 2015 sarà certamente un anno importante per l'Europa. Più difficile
sarà mantenere alto l'ottimismo sul suo futuro.(Traduzione di Rita Baldassarre)
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05/01/2015
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I suoi compagni di viaggio (chiamati dalle periferie)
Andrea Riccardia pagina 14
Papa Francesco non è sotto scacco, come qualche raccolta di firme in suo favore fa credere. I nuovi cardinali
sono un'iniziativa forte: indicano i vescovi che egli vuole come suoi consiglieri, cui tra l'altro è affidata la scelta
del successore. Tutti pastori, eccetto un curiale. Ma il Papa non trascura la Curia. Le ha dedicato un grave
discorso prima di Natale, chiedendo una riforma spirituale dei vertici per dare anima a quella istituzionale, da
discutere nel prossimo concistoro. Vuole cambiare la Curia: due anni di papato lo confermano in quella che fu
la richiesta dei suoi elettori. Per la Curia è tempo di riforme più che di nomine.
La «carità pastorale» è la chiave di tutte le nomine di Francesco. Lo si vede anche dai cardinali
ultraottantenni da lui scelti. Non ha guardato alle carriere: un colombiano novantacinquenne che fu padre
conciliare al Vaticano II e un vescovo mozambicano, che ricostruì la Chiesa dopo la rivoluzione. C'è anche un
ex nunzio, Rauber, noto per un'intervista critica sulle nomine di Benedetto XVI.
Francesco, soprattutto, chiama le periferie a partecipare. Con quattordici cardinali vescovi, rafforza il legame
con mondi lontani, immettendoli nei processi collegiali. Sono da tempo finite le nunziature «cardinalizie», i cui
titolari ricevevano automaticamente la porpora. Ora cadono le diocesi «cardinalizie». I cardinali sono la voce
di un popolo nel concerto della Chiesa, non più i titolari di una sede storica.
Mancava una voce portoghese e il Papa ha scelto Clemente di Lisbona, erede del cardinale Policarpo noto
per il suo spirito aperto. Con la nomina dell'arcivescovo di Hanoi, il Vietnam mantiene la sua voce nel collegio
cardinalizio. Il fervente popolo cattolico di Capo Verde, composto di tanti emigrati, trova spazio tra i cardinali.
Le nomine in Asia e in Oceania esprimono l'attenzione del Papa alla parte meno cattolica del globo.
Francesco non guarda solo al mondo ecclesiastico. Disegna la geografia di una Chiesa, amica di tanti popoli
(piccoli e grandi, cattolici e meno). Le periferie cattoliche sono rappresentate e, in qualche modo, entrano nel
«centro».
Il Papa guarda anche all'Italia. Non ridimensiona il cattolicesimo italiano, come taluni vanno dicendo. Anzi lo
vuole risvegliare. Gli dedicherà tempo con la prossima visita a una città complessa come Napoli, cui seguirà
Torino. Il Papa segue una vita sua: non è legato ai meccanismi tradizionali di promozione cardinalizia,
squilibrati a favore del Nord. Nomina due cardinali in Italia (è l'unico Paese): Francesco Montenegro, vescovo
di Lampedusa e dei migranti, Edoardo Menichelli, vescovo pastorale e collaboratore del cardinale Silvestrini.
Dopo una fase di passaggio, Francesco ha maturato una leadership sull'Italia. Lo si vede con il discorso del
31 dicembre su Roma, estensibile all'Italia: «Quando una società ignora i poveri... quella società si
impoverisce sino alla miseria, perde la libertà». Ha chiesto: «Siamo spenti, insipidi, ostili sfiduciati, irrilevanti e
stanchi?». È una domanda anche per i cattolici italiani. Bisogna rimettere al centro i poveri in una Chiesa
«pastorale». Con due nuovi cardinali-pastori, il Papa ripropone la «conversione pastorale».
Resistenze ci sono, espresse e inespresse in Curia e in Italia. Francesco lo sa e non fa guerre. Non teme il
dibattito, anche se non ama si usi la stampa per lotte ecclesiali. Il suo programma l'ha indicato: l' Evangelii
gaudium . Su questo va avanti. E si è scelto nuovi compagni di viaggio.
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Grandi riforme, nomine semplici
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quando Reagan spinse Gorbaciov
Ennio Caretto
T rent'anni fa, l'11 marzo del 1985, appare sulla scena internazionale «l'uomo nuovo» sovietico, l'uomo del
cambiamento, vanamente atteso dalla morte di Stalin nel 1953: Mikhail Gorbaciov.
Il segretario del Pcus e ultimo presidente dell'Urss è destinato a rimanere nella storia per la fine della Guerra
Fredda e la liquidazione dell'impero comunista.Così analizzato e approfondito è stato il ruolo di Gorbaciov
nella conclusione della pace tra Usa e Urss, tra Nato e Patto di Varsavia, che al riguardo difficilmente
potranno emergere delle novità. Novità che stanno invece emergendo sul ruolo del suo interlocutore principe,
il presidente americano Ronald Reagan, l'icona dei conservatori che con Gorby al vertice di Reykjavik
nell'ottobre 1986 sfiorò l'eliminazione di tutti gli arsenali atomici.
Secondo una massiccia serie di dossier desecretati di recente da Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Cia,
anche Reagan fu un «uomo nuovo», l'uomo dell'imprevisto cambiamento americano. Senza di lui le aperture
di Gorbaciov non avrebbero avuto probabilmente buon esito.
Il leader del Cremlino, suggeriscono i documenti, ebbe la fortuna di trovare nel Reagan del 1985 non il falco
del primo triennio al potere. Una metamorfosi compiuta nel 1984 e maturata nel 1983, quando il mondo aveva
rischiato di nuovo l'olocausto nucleare come già accaduto nella crisi di Cuba del 1962. Un cambio di passo
che a sua volta sarebbe servito a poco se l'Urss fosse rimasta nelle mani della generazione di leader preGorbaciov: Breznev, Andropov o Chernenko.
A trasformare Reagan, «il cow boy dal grilletto facile» secondo i media liberal americani, fu la graduale presa
di coscienza che l'olocausto nucleare era «un pericolo reale e imminente», e che un first strike , un attacco
sovietico a sorpresa, sarebbe costato la vita a 125 milioni di americani, quasi metà della popolazione.
Appena eletto, Reagan era stato informato che nel novembre 1979 gli Usa si erano trovati sull'orlo di una
guerra nucleare per un errore dei computer che avevano denunciato un lancio di 2.200 missili dall'Urss.
Nel 1983 al presidente capitò qualcosa di analogo: l'Urss dichiarò due volte l'allarme nucleare, dapprima a
settembre, dopo avere abbattuto nei propri cieli un aereo di linea sudcoreano, e poi a novembre, in reazione
a manovre militari Nato. Reagan si disse inorridito e determinato a ridurre o eliminare gli arsenali atomici.
Stando ai dossier, fu dovuto al cambiamento di Reagan anche il progetto di Scudo Spaziale varato nel marzo
1983, un progetto mai realizzato (per i sovietici era un piano di guerra) che a Reykjavik il presidente offrì di
spartire con Gorbaciov. Reagan prese sempre più le distanze dai falchi, il direttore della Cia William Casey e
il consigliere della Casa Bianca Edwin Meese, e fece perno sulla colomba «number one», il segretario di
Stato George Shultz.
In quello stesso 1983 invitò a un vertice Andropov, succeduto a Breznev, e nel 1984 rinnovò l'offerta a
Chernenko. La sua delusione per un mancato riscontro è rispecchiata in un suo appunto del maggio di
quell'anno: «Smettiamo di implorarli!». Ma all'elezione di Gorbaciov, pochi mesi dopo, Reagan non esitò a
tornare alla carica con una lettera personale. Il vertice ebbe luogo nel novembre 1985 e inaugurò la stagione
del disgelo.
Il presidente sapeva che Gorbaciov era un leader diverso. Glielo aveva detto Margaret Thatcher, premier
britannico, che lo aveva ricevuto nel dicembre 1984: «Con lui si possono fare affari». Glielo avevano
confermato Shultz e il vicepresidente George Bush Sr. dopo averlo incontrato alle esequie di Chernenko a
Mosca.
Un rapporto della Cia lo dipingeva come un riformista: Gorbaciov «avrebbe seguito le orme di Kruscev e non
di Stalin». Casey fu costretto ad allinearsi. In un memorandum al presidente del giugno 1985 intitolato «La
scopa nuova Gorbaciov», lo definì «il leader sovietico più attivo della storia», ne elogiò i programmi economici
e sociali e le iniziative in politica estera: «Ha ammorbidito le richieste del Cremlino per un vostro vertice». Il
primo e i tre che seguirono.
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dai documenti cia
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Su questo ritratto di Reagan pacifista è polemica. Gli storici più critici ricordano che il presidente aveva bollato
l'Urss come «l'Impero del Male», accusa che non ritrattò se non nel 1988.
Sottolineano il tentativo di distruggere l'avversario economicamente e politicamente, perseguendo la
superiorità atomica al punto che il Cremlino non escludeva la terza guerra mondiale.
Ma i documenti desecretati dimostrano che dal primo incontro con Gorbaciov Reagan si lasciò tutto questo
alle spalle e che si adoperò con il partner sovietico per edificare un solido sistema di reciproca sicurezza
innanzitutto in Europa. Non ci riuscì, il suo mandato scadde nel gennaio 1989, e il suo erede Bush Sr.
tergiversò per un anno prima di riprendere la collaborazione. Troppo poco e troppo tardi. Gorbaciov cadde il
natale del 1991 e l'incubo nucleare continuò a perseguitare Reagan: «Un conflitto atomico sarebbe la fine
della nostra civiltà».
Ennio Caretto
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I vertici
Ginevra 1985: i 15 minuti di colloquio alla Maison de Saussure, di proprietà dell'Aga Khan, diventano 60
Reykjavik 1986: in Islanda nessun passo concreto, ma i due leader si impegnano per la riduzione degli
arsenali atomici Washington 1987: la firma del Trattato sulla riduzione dei missili a corto e medio raggio (INF)
Mosca 1988 Reagan sulla Piazza Rossa: «L'Urss non è più l'Impero
del Male»1985 L'11 marzo di 30 anni fa Mikhail Gorbaciov veniva eletto alla carica di segretario del partito
comunista sovietico, destinato a passare alla storia come ultimo presidente dell'Urss. Per la fine della Guerra
Fredda cruciale il suo rapporto con Ronald Reagan
Foto: Il presidente americano
e il leader sovietico Mikhail Gorbaciov scherzano durante il vertice di Ginevra del novembre 1985. Reagan
aveva allora 74 anni. Gorby, venti di meno, era al Cremlino da otto mesi ( Ap )
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La contrarietà dell'Agenzia delle Entrate sullo «sconto»
La «sorpresa» Con gli uffici del direttore Rossella Orlandi c'è una collaborazione costante sulle norme. Ma
nessuno sapeva del nuovo articolo
Corinna De Cesare
MILANO Quello che non si vuole rischiare in alcun modo è uno scontro diretto con Palazzo Chigi. Ed è per
questo che dall'Agenzia delle Entrate il direttore Rossella Orlandi ha alzato nelle ultime ore un muro molto
alto e spesso. Nessun commento. Ma l'articolo 19 bis inserito nella delega fiscale cambia, e di molto, anche il
lavoro dei funzionari del fisco che ogni giorno in fase di accertamento, fanno segnalazioni in procura per reati
finanziari. E non solo: diversi contenuti del decreto, approvato poi nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre,
erano attesi dall'Agenzia: abuso di diritto, revisione del sistema sanzionatorio, adempimento collaborativo.
Quello che a quanto pare non era atteso era la depenalizzazione del reato di frode fiscale. Una norma
spuntata in extremis, come ha spiegato il sottosegretario all'Economia Zanetti. E come confermano alcune
fonti secondo cui nei documenti arrivati sulle scrivanie dei tecnici dell'Agenzia, l'articolo 19 bis con quel tetto
del 3% che aiuterebbe Silvio Berlusconi nella sua riabilitazione politica, proprio non c'era. Su tutte le riforme
fiscali c'è infatti una stretta collaborazione con l'amministrazione finanziaria e spesso sono gli stessi tecnici
dell'Agenzia a intervenire direttamente sui testi che poi sono destinati ad arrivare in Consiglio dei ministri. È
avvenuto anche questa volta perché è sistematico che l'ufficio legislativo del ministero dell'Economia o di
Palazzo Chigi, come in tutti i processi di riforma di una certa importanza, chiami alla collaborazione diverse
personalità dell'amministrazione finanziaria.
In quest'ultimo caso è stato creato un vero e proprio gruppo di lavoro informale insediatosi al ministero
dell'Economia e in cui sono stati coinvolti, oltre ai funzionari del Mef, anche rappresentanti di categorie
interessate ed esperti come i tecnici dell'amministrazione finanziaria. E sarebbe stata una sorpresa, all'ultimo
momento, vedere quella norma che va nella direzione opposta rispetto a quella dell'Agenzia, da sempre
contraria a sconti per chi evade le tasse in maniera fraudolenta. Perché seppur sul tema della
depenalizzazione la Orlandi aveva più volte espresso una certa apertura, è sulla frode fiscale che è sempre
stata netta. «Non so come sarà il testo finale dei decreti - aveva dichiarato al Messaggero agli inizi di
dicembre - sono una donna pragmatica: troppo penale vuol dire nessun penale. Il legislatore probabilmente
sta valutando un'elevazione delle soglie, perché quelle previste nel 2011 sono talmente basse che di fatto ci
rientrano quasi tutte le violazioni». Con il rischio di ingolfamento della macchina della giustizia. Ma, aveva
anche specificato Orlandi «sicuramente sarà rafforzato il contrasto alle frodi: la differenza la fa l'esistenza di
un dolo, di un'associazione a delinquere, con un danno di centinaia di milioni e la sottrazione di appalti e
lavoro agli onesti». Proprio come i casi che rientrano nella norma contestata e che favorisce, secondo l'ex
ministro delle Finanze Vincenzo Visco, «i grandi evasori» in un sistema proporzionale secondo cui più è alto il
reddito dell'azienda e più si può evadere. Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, con un'esperienza
nell'amministrazione finanziaria che risale all'82, ha criticato in passato la demagogia fiscale in nome delle
«manette agli evasori»: «Ho passato anni della mia vita nei corridoi dei tribunali - ha spiegato -. Tutto era
penale: l'omissione di una ritenuta, il ritardo su un termine. Risultato: abbiamo intasato tribunali e procure e
non abbiamo concluso quasi niente». Ma con un distinguo: le frodi.
corinnadecesare
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Dietro le quinte
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«All'Economia hanno comunque sbagliato»
L'ex ministro Visco: norma senza senso e non è l'unica, il decreto depenalizza di tutto I difetti Assurdo non
punire l'elusione e chi evade fino a 3-400 mila euro di imponibile
A. Bac.
Professor Visco, da ex ministro del Tesoro, che idea si è fatto del decreto «incriminato»?
«S i tratta di un provvedimento attuativo di una legge delega che ha l'obiettivo, tra l'altro, di riordinare il
penale tributario secondo una logica di attenuazione. Ma di certo l'aspettativa generale non era quella di
arrivare a depenalizzare i reati tributari. Non credo che la gente pensi che chi commette tali reati contribuisca
all'affollamento delle carceri... ».
Quindi non c'è solo una norma considerata favorevole a Berlusconi. Secondo lei il nuovo decreto introduce
una generale depenalizzazione dei reati tributari?
«Sì, una depenalizzazione di tutto, cominciando dall'elusione, in contrasto logico col fatto che in sede Ocse e
G20 ci battiamo contro le multinazionali che operano in questo modo».
Ci faccia un altro esempio.
«Chi fa fatture false per mille euro non è punibile. Ma se una fattura è falsa è falsa, non c'è da mettere limiti.
Uno può fare una cartiera che produce fatture false per cento, mille contribuenti e non viene punito? È
inquietante».
C'è altro?
«Sì, tutte le frodi colpite negli ultimi anni nelle quali sono stati usati strumenti derivati dalle banche d'affari
vengono depenalizzate».
Poi c'è la soglia di punibilità che passa da 50 mila a 150 mila euro.
«Esatto, questo vuol dire che l'evasore fino a 3-400 mila euro di materia imponibile non è punibile
penalmente: forse è troppo. E poi non è più reato l'imputazione di costi non inerenti all'attività d'impresa, cioè
ad esempio quando si portano in deduzione costi di consumi che sono del contribuente o dei suoi familiari.
Non è più reato neanche l'omessa dichiarazione del sostituto d'impresa, questa deve essere stata una
dimenticanza, ma ci sono altre norme che possono comportare una perdita di gettito importante».
Quali?
«Ad esempio quella che elimina una norma, che avevo introdotto io, che raddoppiava i termini ordinari di
accertamento nel caso in cui, durante l'attività di verifica, gli uffici avessero riscontrato la rilevanza penale di
determinati comportamenti. Con la modifica gli anni da otto passano a quattro. Impossibile agire».
Sì, ma sul comma che esclude la punibilità se l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al 3%
dell'imponibile che pensa?
«Che è in contrasto con l'intero impianto della riforma che si basa sulle soglie: non ha senso».
Sta dicendo che si tratta di un errore o il corpo normativo che emerge dalle varie modifiche ha una sua
«ratio»?
«È un corpo normativo senza senso: mi auguro che ci sia la possibilità di correggerlo perché la credibilità di
un Paese non si basa solo sulla rigidità della normativa del lavoro ma anche su come combattiamo la mafia,
la corruzione, l'evasione fiscale, il falso in bilancio. Tutto questo pesa molto sull'opinione pubblica».
Resta confusione circa la paternità di queste norme.
«È singolare che non si sappia bene come sono nate. Mi spiace che la responsabilità è del ministro del
Tesoro che ha portato in Consiglio dei ministri un certo testo e poi ne è arrivato un altro. O non si è accorto
che il suo testo è stato manipolato, e questo è più grave, o lo ha accettato come è uscito».
A che scopo?
«In questo Paese l'idea che non pagare le tasse sia un reato non viene digerita. Vogliamo assecondare
questo andazzo? Le sanzioni amministrative ci sono ma non quelle penali. Non è per essere forcaioli, ma si
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L'intervista
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tratta di una scelta strategica per il nostro Paese. Applaudiamo quando negli Usa si arresta per evasione, e
poi? Si può essere meno drastici ma qualcosa bisogna pur fare».
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Chi è
Vincenzo Visco, 72 anni, economista.
È stato ministro delle Finanze dal 1996 al 2000 (governi:
Prodi I, D'Alema I e D'Alema II) e ministro del Tesoro e del Bilancio dal 2000 al 2001 (governo Amato II)
05/01/2015
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Follini: serve un arbitro Prodi? È una figura troppo ingombrante
Gli altri nomi «Cantone sarebbe un segnale forte. A Casini non farò il torto di considerarlo candidato»
Monica Guerzoni
ROMA «Prodi? Troppo ingombrante. Veltroni e Bersani? Troppo politici...». Marco Follini, che è stato
segretario dell'Udc e vicepremier e ora presiede l'Associazione produttori televisivi, guarda al grande gioco
del Quirinale con la lente d'ingrandimento di uno che ha iniziato a far politica a 14 anni e non ha perso la
passione.
Chi, dopo Napolitano?
«C'è una antica regola repubblicana per la quale si tende a scegliere leader di secondo piano, non troppo
importanti e non troppo ingombranti, che non minaccino una invasione di campo. Arbitri e non giocatori. Ha
funzionato a lungo, perché la gran parte degli arbitri si è adoperata per rafforzare l'unità istituzionale».
Renzi cerca una figura che non gli faccia ombra?
«Una figura politica di profilo alto rischia di essere l'incubazione di una diarchia con Palazzo Chigi, una sorta
di coabitazione alla francese. E il sistema politico italiano è andato nella direzione opposta. Il successore non
sarà un tagliatore di nastri, ma neppure un demiurgo della politica come Napolitano. In questa nuova fase
post repubblicana, leaderistica e quasi monarchica, dobbiamo decidere se eleggere un capo o scegliere un
notabile».
Un notabile al Quirinale?
«È più facile che la scelta cada su un notabile. Con un Parlamento frammentato e gruppi politici ridotti a
coriandoli mi pare improbabile che si affermi una figura politicamente più densa e significativa».
Allora Prodi è fuori?
«In questo momento ho il privilegio della irrilevanza e quindi posso sottrarmi al totonomine...».
Non si sottragga.
«Prodi è una figura politicamente imponente e controversa e quella antica regola che ha impedito a figure
analoghe del passato di salire al Colle, temo possa valere anche per lui».
I 101 franchi tiratori del Pd sono dietro l'angolo?
«Non vorrei essere troppo malizioso ma fatico a vedere l'entusiasmo prodiano, sia in Berlusconi che in
Renzi».
E allora, chi la spunterà?
«La domanda va rivolta ai grandi elettori. Penso si dovrà ragionare su un civil servant , come si usa dire,
scelto all'interno di un triangolo irregolare tra Palazzo Chigi, Forza Italia e quel che resta della ditta di
bersaniana memoria».
Mattarella o Castagnetti?
«Nomi degni della più alta considerazione e avendo avuto in passato l'onore di votare per Ciampi e per
Napolitano farei il tifo per loro. Ma credo sia più facile trovare il minimo comun denominatore tra queste forze
cercando persone meno caratterizzate politicamente».
Veltroni o Bersani?
«Sono tra le figure migliori di questa stagione. Ma il primato della politica non si concilia con un Parlamento
così frammentato. Io non vedo Gulliver più forti dei lillipuziani».
Boldrini o Grasso?
«Anche qui mi soccorre l'antica saggezza. Chi entra Papa in Conclave, è più facile che ne esca cardinale».
Cantone è il cardinale che può diventare Papa?
«Cantone sarebbe un segnale fortissimo rivolto all'opinione pubblica interna e internazionale. Sarebbe il
segno che si mette anche simbolicamente la lotta alla corruzione al primo posto. Detto questo, non so se in
Forza Italia la pensino così».
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L'intervista
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Quale patto sigleranno Renzi e Berlusconi?
«Deve essere molto forte e non essere troppo vistoso, ragionamento che porta dalle parti di Padoan o della
Severino, dato che lei insiste nell'estorcere nomi...».
Severino o Finocchiaro?
«Una donna capo dello Stato sarebbe il segno di una più equa civiltà politica».
Un laico o un cattolico?
«Questa regola di alternanza fa parte di un rito antico, caduto in desuetudine alla luce delle parole del Papa».
Bassanini, come lo vede?
«La corsa si annuncia come il palio di Siena, registro il nervosismo dei fantini prima della caduta del canapo.
Ma tutto questo lavorio preparatorio si rivelerà vano».
Ha dimenticato Casini...
«Non gli farò il torto di considerarlo un candidato».
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L'Italicum, la nuova legge elettorale, approda nell'aula del Senato Finito il semestre europeo, si apre il
periodo in cui arriveranno le dimissioni del capo dello Stato Le Camere devono essere convocate entro 15
giorni dalla firma ufficiale delle dimissioni (ipotizzando il 14 gennaio, entro il 29) Il sì della Camera, all'Italicum,
secondo il piano del governo, potrebbe arrivare tra gennaio e febbraio. La legge tornerebbe poi alla Camera
per l'approvazione definitiva Nei primi giorni di febbraio le Camere potrebbero riunirsi per scegliere il
successore di Napolitano e cominceranno gli scrutini. 7 14 1 3 15 Le tappe Corriere della Sera Gennaio
Febbraio 29 Senatori 321 58 Delegati regionali Deputati 630 totali 1009 L'assemblea che eleggerà il nuovo
capo dello Stato:
Chi è
Marco
Follini, 60 anni,
è presidente della Associazione produttori televisivi.
In Parlamento dal '96 al 2013, è stato segretario del Ccd e dell'Udc e vicepresidente del Consiglio nel 2004
e nel 2005
con Berlusconi premier
05/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 16
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Il piano del governo. Cgil contro i netturbini campani. E il sindaco di Bari minaccia: privatizzo i trasporti
Alessandro Capponi
ROMA A Roma scattano gli interrogatori dei vigili urbani che hanno dato forfait a Capodanno (arrivano anche
gli ispettori inviati dal ministro Marianna Madia), a Bari il sindaco Antonio Decaro, dopo aver letto degli oltre
cento autisti assenti nella notte di San Silvestro, minaccia di vendere l'azienda dei trasporti, «così il prossimo
anno - dice - discutete con il padrone e non con il Comune...», e a Napoli sul caso dei duecento netturbini
improvvisamente ammalati la Cgil campana chiede «nessuna clemenza per chi si sia reso responsabile di un
insopportabile imbroglio».
L'assenteismo, dunque, sembra essere un'«epidemia» che, nella notte di San Silvestro, ha colpito mezza
Italia: «Nel nostro Paese si guarisce dall'Ebola - sorride amaro il presidente del Consiglio Matteo Renzi - e
però cadono tutti malati la notte del 31 dicembre...». E la licenziabilità nella pubblica amministrazione?
«Questa decisione sul futuro del pubblico impiego starà dentro la legge delega. Qualcuno voleva metterla in
un altro contenitore, ma è come mischiare mele e pere. Quando, ragionevolmente tra febbraio e marzo, la
conclusione di un percorso sulla pubblica amministrazione arriverà in Aula, in quella sede ci saranno anche le
norme sul pubblico impiego».
Renzi parla del «grande rispetto che ha il governo per chi lavora nel pubblico: la stragrande maggioranza è di
persone serie». E torna sul caso dei vigili: «Vi sembra normale che si ammalino tutti proprio il 31 dicembre?
Serietà».
Intanto a Roma è guerra sulle cifre della «diserzione» dei vigili urbani: critiche («vogliono screditare il Corpo»)
arrivano dall'opposizione (Francesco Storace, La Destra, parla di «montatura mediatica») ma anche dalla
maggioranza di Ignazio Marino, con Sel che chiede «al governo cittadino di fare pace con la città». Risponde
il vicesindaco, Luigi Nieri (Sel, pure lui): «Non ci sono solamente quei 44 agenti privi di qualsiasi
giustificazione per l'assenza, siamo di fronte a un'eccezionalità difficilmente spiegabile, con un tasso di
assenteismo dell'85% e con percentuali di malattie pari al 75% mentre la media è del 7». L'indagine interna si
sta concentrando sulle ore che hanno preceduto il forfait collettivo: l'obiettivo è individuare i registi della
protesta. E mentre alcune sigle sindacali chiedono le dimissioni di Marino, critiche arrivano dalla Cgil: «Le
bugie non aiutano, senza dialogo c'è il rischio caos».
La «protesta» dei vigili - ai quali il sindaco ha imposto la rotazione nelle zone della città, norma voluta
dall'Anticorruzione di Raffaele Cantone - va avanti: c'è il rischio di una nuova «protesta» domenica, in
occasione del derby tra Lazio e Roma, e comunque ieri, nel centro storico, agenti assenti dal Pantheon al
Colosseo, dalla stazione Termini a Trastevere.
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I dati Fonti: Cgia di Mestre su dati Inps del 2012, presidenza del Consiglio dei ministri d'Arco Media dei giorni
di malattia Numero medio dei giorni di malattia all'anno Le verifiche SETTORE PRIVATO SETTORE
PUBBLICO 18,11 16,72 (per regione - settore pubblico) Calabria Sardegna Abruzzo Basilicata Sicilia Umbria
Molise Lazio Campania Friuli V. G. Liguria Puglia Lombardia Emilia Romagna Marche Toscana Valle d'Aosta
Piemonte Veneto Trentino A. A. 20,9 18,8 18,1 17,5 17,4 17,4 17,3 17,1 16,6 17 17 +27% L'aumento dei
certificati di malattia presentati nel pubblico impiego dal 2011 al 2013 Inps Asl Privato Pubblico 25 70 Ente
Settore Costo Milioni di euro 16,5 16,4 16,2 16 15,9 15,7 15,4 15,2 15,1
La vicenda
La notte tra il 31 dicembre 2014 e il 1 gennaio 2015, l'83,5% dei vigili urbani
del Comune
di Roma
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«Statali licenziabili? La decisione nella legge delega»
05/01/2015
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non era sul posto di lavoro perché assente chi per malattia, chi per permesso sindacale e chi perché aveva
donato il sangue I numeri hanno fatto arrabbiare il sindaco Ignazio Marino (che ha minacciato licenziamenti)
ma anche il capo dei vigili urbani della Capitale Al centro dello «scontro» c'è il piano anticorruzione che
prevede la rotazione obbligatoria degli agenti sul territorio comunale
05/01/2015
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Il capo di Facebook leggerà di più Una buona notizia (business o meno)
Tommaso Pellizzari
A nche i Mark Zuckerberg iniziano l'anno nuovo pieni di buoni propositi, invitando gli amici a fare altrettanto
(su quale social network, è facile da indovinare). Una delle differenze è che al fondatore di Facebook
risponde un sacco di gente e a lui magari si accende una lampadina. Così, quando a Zuckie è arrivato il
suggerimento di leggere almeno un libro al mese, ma scelto da qualcun altro, ecco l'idea: aprire una pagina
su Facebook, chiamarla A Year of Books («Un anno di libri») in cui ai 90 mila iscritti - nelle prime 24 ore! non solo si propone di leggere un volume ogni due settimane, ma di discuterne su quella stessa pagina. Il
primo titolo suggerito è La fine del potere di Moisés Naím (in Italia pubblicato da Mondadori): segno,
innanzitutto, che il ragazzo è piuttosto esigente, visto che non sono in molti ad avere il tempo di leggere un
saggio di 408 pagine sulla politica internazionale in due settimane. La cosa divertente di questa pagina
Facebook è la foto, che ritrae una sequenza di scaffali pieni di libri d'epoca, segno forse del profondo rispetto
da parte dell'ex studente di Harvard per la cultura cosiddetta tradizionale. Difficile, invece, pensare che la
scelta tradisca un'idea di sapere vecchio e polveroso. Anche perché potrebbe essere che la lampadina che si
è accesa al fondatore di Facebook sia un'altra, ben più luminosa: entrare nel mercato del social reading, cioè
della lettura e del dibattito online, come succede su siti celebri quali Anobii o Goodreads. Insomma: business,
come quello che ha indotto il fondatore di Amazon (e proprietario di Goodreads) Jeff Bezos a comprare il
Washington Post. Ma, se anche così fosse, non è detto che sia una cattiva notizia a tutti i costi: se le menti
più creative dell'era digitale continuano a guardare con interesse (in senso stretto) alla cultura tradizionale,
forse non tutto è perduto, almeno per la sua sopravvivenza. Sui modi, discutiamone. Anche in una pagina
Facebook, perché no.
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ANALISI COMMENTI Il corsivo del giorno
05/01/2015
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Pag. 25
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Le (false) pretese di chi si proclama portavoce dello Spirito
L'intervento Le accuse mosse contro di me dal teologo della Liberazione Leonardo Boff hanno il carattere
dell'ideologia e della politica. Nessuno può attribuirsi l'infallibilità nell'interpretazione della volontà divina Il
dialogo come religione Molti convinti ammiratori di Bergoglio vorrebbero fare del dialogo una religione. Ma in
loro sembra esserci poco della tenerezza predicata dal Papa
Vittorio Messori
Leonardo Boff, leader della Teologia della liberazione alla brasiliana, quella con più esplicito riferimento al
marxismo, dopo i contrasti con il cardinal Joseph Ratzinger e dopo i moniti di Giovanni Paolo II, dichiarò che
quella Chiesa era inabitabile e irriformabile. Così, lasciò il saio francescano e andò a vivere con una
compagna. Giunse però la sorpresa dell'implosione del comunismo e, come avvenuto per tanti, passò dal
rosso al verde, all'ambientalismo più dogmatico, con aspetti di culto panteistico alla Madre Terra. Continua,
però, a celebrare i sacramenti, con liturgie eucaristiche e battesimali da lui stesso elaborate (non mancano, si
dice, le risonanze new age ) nell'acquiescenza dell'episcopato brasiliano. In una intervista apparsa un anno fa
su Vatican Insider ha affermato di avere non solo buoni rapporti con papa Francesco, come già in Argentina
con l'allora arcivescovo, ma di collaborare con lui sui temi ambientalisti, in vista della enciclica «verde»
annunciata dal Vescovo di Roma e, pare, da lui stesso suggerita.
Diciamo questo perché, in questo convinto ammiratore di Jorge Bergoglio, sembra esserci davvero poco della
tenerezza, dell'accoglienza, del rispetto dell'altro, della misericordia indulgente predicati con tanta passione
da papa Francesco. Il suo commento, pubblicato ieri da questo giornale, a proposito del mio articolo del 24
dicembre, non ha nulla dei buoni modi che Bergoglio esige nei riguardi di tutti, fossero anche antagonisti. Il
già padre Leonardo mi attribuisce «grossi vuoti nel pensiero», scarsa intelligenza, ignoranza, dandomi anche
del mal convertito che, giunto a un'età rispettabile, deve finalmente decidersi a portare a termine la
conversione. Mi lancia pure quella che per lui è una pesante accusa, ma che per me suona come un
complimento, dandomi del «cristomonista». Non so bene che voglia dire, ma quel che intuisco non mi
dispiace, anzi mi lusinga.
Comunque, nessuna sorpresa: scrivendo cose che non piacciono a tutti, so bene come siano, nel concreto,
quegli edificanti intellettuali (spesso religiosi) che del dialogo, appunto, vorrebbero fare una sorta di religione.
Ma no, non è questo che colpisce. Ciò che potrebbe amareggiare è che Boff sembra non avere letto affatto
quanto ho scritto: forse l'imperfetta conoscenza dell'italiano, forse la fretta, forse il pregiudizio ideologico, sta
di fatto che la sua reazione, tanto veemente quanto confusa, poco o nulla ha a che fare con ciò che davvero
ho detto. L'esempio più vistoso è l'accusa di «quasi ignorare lo Spirito Santo». Per la verità, il riferimento al
Paraclito è l'elemento centrale del mio discorso, dove ricordo che nulla capiremmo del papato se non
riferendoci all'azione libera e imperscrutabile dello Spirito. Mi si lasci dire che, nel dibattito sconcertante
suscitato da quel mio articolo, molti altri critici hanno giudicato irrilevante confrontarsi con i veri contenuti:
inforcati gli occhiali dell'ideologia hanno attaccato un testo esistente solo nei loro schemi previ. Magari politici
più che religiosi.
Ma, per tornare a Boff: si dà il caso che, su uno dei siti più frequentati dai cattolici, La nuova bussola
quotidiana , sia stato analizzato da un teologo professionista proprio il pezzo pubblicato ieri anche dal
Corriere . Il teologo è monsignor Antonio Livi, da molti anni docente nell'università dei papi, la Lateranense,
conosciuto a livello internazionale per i suoi studi, per l'originalità del pensiero, per le iniziative accademiche
ed editoriali. Questo studioso, assai rispettato in Vaticano, non ha esitato a scrivere che «le critiche violente e
dissennate a Messori di un ex religioso che si presenta come teologo rappresentano la summa di tutte le
sciocchezze degli ideologi della Teologia della liberazione». L'autorevole specialista rincara: «Boff si arroga
l'esclusiva di interpretare ciò che lo Spirito vuole dalla Chiesa e attribuisce a sé l'infallibilità che nega al
Magistero». «L'ex francescano» dice ancora monsignor Livi «sembra ignorare che un vero teologo non
spaccia per verità divina le sue arbitrarie congetture». E così via.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Il dibattito
05/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Insomma, tutti i critici vanno presi sul serio, ma non tutti devono essere presi sul tragico. Credo che
quest'ultimo sia il caso dell' eco-teologo brasiliano.
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05/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il feticismo (illiberale) delle «nuove regole»
Pierluigi Battista
I giorni pari ci dicono che ci sono troppe leggi e che la parola d'ordine è «semplificazione», ma i giorni dispari,
quasi sempre sotto gli effetti di un allarme sociale molto enfatizzato dai media, ci dicono che ci vogliono
«nuove regole».
È il feticismo della regola, l'idea un po' puerile e un po' tardo-sovietica che una legge possa definitivamente
mettere ordine nel mondo. È un'amnesia collettiva perché l'invocazione delle «nuove regole» dà l'impressione
che le regole non ci siano, mentre invece ci sono, tante, complicate, farraginose, e quasi mai applicate. Ora il
governo tuona contro i vigili urbani che a Roma hanno marcato visita la notte di Capodanno e si appella a
«nuove regole». Ma perché, ora si possono rilasciare certificati medici compiacenti? E le «nuove regole» per
combattere l'assenteismo? Non è che semplicemente le regole attuali non sono applicate? Quando mettono
dentro qualche politico e qualche riverito membro della cupola degli appalti dicono che ci vogliono «nuove
regole», nuove leggi «anticorruzione»: ma perché, la corruzione e la concussione non sono già proibite dalle
regole esistenti? E in fondo, se un magistrato apre un'indagine, non vuol dire che il reato è stato scoperto e
che dunque non c'è bisogno di «nuove regole» per perseguirlo?
Esortano a «nuove regole» per stroncare il «femminicidio»: ma perché, non è già reato ammazzare la moglie
o la fidanzata (e per la verità anche il marito o il fidanzato)? Davvero un paio d'anni di più di ipotizzata galera
può dissuadere uno squilibrato dall'uccisione della propria consorte, magari con l'aggiunta dello sterminio
della propria famiglia? Dicono che ci vuole la «nuova regola» dell'aggravante «omofoba» per punire chi
massacra un gay: ma perché, non è giù un reato gravissimo picchiare a sangue chicchessia, a prescindere
dall'orientamento sessuale della vittima? Dicono che ci vogliono «nuove regole» per arginare la pedofilia: ma
perché, non è più un reato usare violenza sui minori o diffondere materiale pornografico con i bambini vittime
degli orrori degli adulti? Dicono che ci sono «nuove regole» per contrastare la violenza negli stadi: ma
perché, non ci sono già le «nuove regole» e non c'è forse già la vecchia e saggia regola che se in prossimità
di uno stadio vai in gruppo mascherato e armato di bastoni, vuol dire che stai commettendo un reato? Le
«nuove regole» sono un mantra inefficace e pure illiberale. Applicare quelle vecchie? Che fatica.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Particelle elementari
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Paradosso-crisi: al lavoro 1,1 milioni di over 55 in più, ma 1,6 di giovani in
meno
Tucci
Durante la crisi economica, dal 2007 in poi, i lavoratori over 55 sono aumentati di 1,1 milioni di unità, contro
un calo di 1,6 milioni di unità che ha caratterizzato i 25-34enni. A rilevarlo è il Centro Studi di Confindustria.
La sfida, sottolinea il report CsC, è ora quella di rendere i giovani più occupabili.
pagina 6
ROMA
La sfida è rendere «più occupabili i giovani», rafforzando il legame tra scuola e imprese; e modernizzando il
mercato del lavoro. L'urgenza è tutta nei numeri della crisi: in sette anni, dal terzo trimestre 2007 al terzo
trimestre 2014, si sono persi ben 1,6 milioni di occupati tra i 25 e i 34 anni; una performance tra le peggiori a
livello europeo (hanno segnato contrazioni più pesanti della nostra solo Grecia, Spagna e Irlanda).
Nello stesso periodo è continuato invece a crescere il tasso di occupazione dei lavoratori più anziani che
sono saliti di 1,1 milioni di unità. L'incremento degli occupati con 55-64 anni d'età ha interessato quasi tutti i
paesi Ue; e, anzi, in media, dove la variazione positiva del tasso di occupazione "senior" è stata più marcata,
l'occupazione giovanile ne ha beneficiato (è aumentata, cioè, di più o è calata meno). Non c'è stato, quindi,
nessun "effetto spiazzamento" (minori opportunità per i ragazzi a fronte dell'allungamento della vita
lavorativa).
Le storture del mercato del lavoro italiano sono più strutturali; e i dati diffusi ieri dal CsC lo confermano,
evidenziando la necessità di interventi mirati, soprattutto in favore dei giovani, la categoria più vulnerabile
quando l'economia si contrae (hanno poco esperienza e sono titolari per lo più di contratti temporanei).
Non sorprende, quindi, come dal terzo trimestre 2007 e il terzo trimestre 2014, la contrazione del tasso di
occupazione tra i 25-34enni sia stata molto elevata: si è passati dal 70,3% al 59,1%. Una diminuzione
dell'impiego dei giovani ha interessato quasi tutta Europa: ma sono andati meglio i paesi caratterizzati da una
maggiore integrazione tra scuola e lavoro (Germania e Austria) e da una mercato del lavoro più flessibile
(Regno Unito).
Certo, va considerata pure la stretta correlazione con la performance economica complessiva: dove il Pil è
sceso meno rispetto al picco pre-crisi o, addirittura, è già tornato sopra quel picco, l'occupazione giovanile è
stata meno penalizzata (in alcuni casi è, perfino, risalita).
Un andamento differente rispetto al tasso di occupazione dei più anziani, che in Italia è in aumento dai primi
anni Duemila, allargando così la "forbice" lavorativa (giovani - "senior"). Il fatto che ci siano più 55-64enni a
lavoro è dipeso essenzialmente dalle ultime riforme previdenziali che hanno progressivamente innalzato i
requisiti minimi per l'accesso alle pensioni (in parte minore si spiega anche dalla circostanza che le coorti di
popolazione che superano via via i 55 anni provengono da una scolarizzazione più elevata che ha ritardo
l'ingresso nell'occupazione - e perciò il conseguente ritiro).
Sta di fatto che il tasso di occupazione degli anziani ha raggiunto il 46,9% nel terzo trimestre 2014 dal 34,2%
del terzo trimestre 2007: più 12,7 punti percentuali. Ma l'asticella complessiva è ancora bassa e quindi la
dinamica (di crescita) proseguirà anche nei prossimi anni, come stima pure la Commissione europea (dal
2020 gli italiani si ritireranno dal lavoro a un'età molto più elevata di quella prevalente in precedenza). Nel
confronto internazionale, l'Italia da paese con età di pensione tra le più basse (61,4 per gli uomini e 61,1 per
le donne - livelli superiori solo a quelli di Austria e Francia) passerà al top nel 2060 (66,8-66,7 anni).
Tutto ciò penalizzerà l'occupazione giovanile? L'analisi del CsC risponde «no», sfatando così una tesi molto
popolare, e diffusa, che l'occupazione degli anziani penalizza i giovani. Questo adagio, ricordano da
Confindustria, ha costituito negli anni Settanta e Ottanta una delle argomentazioni più persuasive per
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Studio CsC: rendere i giovani più occupabili
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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abbassare l'età di uscita dal lavoro e ricorrere ai prepensionamenti come meccanismo di risoluzione delle
crisi aziendali (con il risultato , però, di aver fatto lievitare spesa previdenziale e contributi sociali, rendendo
più rigido il bilancio pubblico e ampliando il cuneo fiscale che finisce per penalizzare proprio l'occupazione dei
giovani).
Il confronto internazionale ha evidenziato, invece, tra il 2007 e il 2013, una correlazione positiva tra la
variazione del tasso di occupazione dei 55-64enni e quella del tasso di occupazione dei 25-34enni. In
Germania, Polonia, Gran Bretagna, e in parte Francia, per esempio, l'incremento del lavoro dei "senior" ha
avuto effetti positivi anche per i giovani. In Italia, purtroppo, no.
Di qui la necessità di «interventi mirati». A partire da una maggiore integrazione tra istruzione e lavoro per far
combaciare meglio le competenze acquisite durante gli studi con quelle richieste nella vita lavorativa. Va poi
migliorato il contesto del fare impresa e l'impiego di manodopera, riducendo il cuneo fiscale, proseguendo
nella direzione intrapresa con la legge di Stabilità 2015, e bilanciando la minore rigidità nel licenziamento, per
tutti, con l'universalizzazione dei sussidi di disoccupazione. Qui le norme contenute nel Jobs act «si muovono
lunga questa direzione». Va infine rafforzata la flessibilità contrattuale a livello aziendale e territoriale per
arrivare a strutture salariali più moderne che leghino (davvero) gli aumenti retributivi all'andamento della
produttività.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Claudio Tucci 1993 1996 1999 2002 2005 2008 2011 2014 75 65 55 45 35
25 25-34 anni 55-64 anni Dinamiche diverse per giovani e over 55 TASSI DI OCCUPAZIONE PER CLASSI
DI ETÀ Fonte: elaborazioni Csc su dati Istat
LE RICETTE CSC PER L'OCCUPAZIONE GIOVANILE
SCUOLA-LAVORO
In Italia sono note le difficoltà di transizione scuola-lavoro. Per questo Confindustria indica come «priorità
assoluta» una maggiore integrazione tra istruzione e lavoro, per far combaciare
meglio le competenze acquisite durante gli studi con quelle richieste nella vita lavorativa. Va perciò promosso
l'inserimento nel mercato del lavoro già durante gli studi, attraverso alternanza tra scuola e lavoro
MERCATO DEL LAVORO
Da migliorare è anche il contesto del fare impresa e l'impiego di manodopera. Bisogna perciò intervenire,
pure, riducendo il cuneo fiscale e contributivo, proseguendo nella direzione intrapresa con gli interventi
previsti dalla legge di Stabilità 2015; e va bilanciata la minore rigidità nel licenziamento, per tutti,
accompagnata dall'estensione delle tutele contro il rischio di disoccupazione
CONTRATTAZIONE
Secondo Confindustria è necessario, inoltre, il rafforzamento della flessibilità contrattuale a livello aziendale e
territoriale, per arrivare a un sistema di determinazione salariale più moderno, che leghi (davvero) gli aumenti
retributivi all'andamento della produttività. Serve anche un investimento costante in formazione,
aumentandone qualità e quantità. Positivo il primo giudizio sul Jobs act: le riforme contenute «si muovono
lungo questa linea»
Foto:
DINAMICHE DIVERSE PER GIOVANI E OVER 55
TASSI DI OCCUPAZIONE PER CLASSI DI ETÀ
Fonte: elaborazioni Csc su dati Istat
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Se «arrivano i nostri»
MarcoOnado
di Marco Onado
L'anno si apre con l'euro al livello più basso dall'inizio di questo decennio e i tassi d'interesse ai minimi storici:
è il segno che i mercati danno per scontato che la Bce metterà presto in campo le armi non convenzionali da
tempo discusse. Una svolta importante che Mario Draghi ha preparato con grande abilità e che appare ormai
ineludibile. Innanzitutto per motivi economici: la ripresa (si fa per dire) europea è ancora flebile, soprattutto
rispetto alle previsioni di qualche mese fa.
Continua pagina 3
L'ANALISI
Continua da pagina 1
E soprattutto, la dinamica dei prezzi continua a mantenersi pericolosamente al di sotto del livello prossimo al
2 per cento che costituisce l'obiettivo della Bce. Un rischio tanto più grave se si considera che le aspettative
di inflazione (quelle che contano nelle decisioni di spesa e di investimento) si stanno stabilizzando su valori
così bassi da rendere assai probabile uno scenario deflazionistico simile a quello giapponese degli anni
Novanta. Ma vi sono anche forti ragioni politiche: la deludente performance delle economie europee è il
principale alimento delle campagne contro l'Europa e la moneta unica. In un anno che si apre nel segno
dell'ennesima crisi greca con relative elezioni, non basta stigmatizzare genericamente la deriva populista, ma
occorre contrastarne le ragioni profonde con interventi sostanziali ed efficaci. E le dichiarazioni, purtroppo
ripetute anche in questi giorni, di autorevoli consulenti del governo di Berlino secondo cui un ulteriore
allentamento della politica fiscale o di quella monetaria possono rappresentare un alibi per rinviare urgenti
riforme strutturali, considerati i sacrifici che sono stati imposti a tanti paesi, porta solo acqua al mulino della
protesta più indiscriminata.
Se la politica di Bruxelles continua ad essere ancorata ad una strategia dei piccoli passi, a Francoforte la Bce
si è finalmente messa nelle condizioni di intervenire, grazie alla paziente strategia di Mario Draghi che ha
spostato la frontiera del consenso ad ogni riunione mensile del Consiglio direttivo fino a rendere l'adozione
formale del Quantitative easing quasi un passo obbligato. All'inizio di dicembre, il comunicato stampa recitava
che «il Consiglio è unanime nel proprio impegno ad usare ulteriori strumenti non convenzionali all'interno del
proprio mandato». Non solo. Si ribadiva anche che le operazioni già decise (e che si prolungheranno fino a
giugno 2016) non mancheranno di avere un impatto consistente sul bilancio dell'Eurosistema, che oggi è
inferiore di circa 1 trilione di euro al livello del 2012. Dall'inizio di dicembre il consenso sulla necessità di agire
subito e con decisione sembra essersi allargato. Lo testimoniano gli interventi pubblici dello stesso Draghi (fra
cui il suo articolo su "Il Sole-24 Ore" del 31 dicembre) ma anche le interviste rilasciate da altri autorevoli
membri del Comitato direttivo. Pochi giorni fa, Peter Praet, responsabile della ricerca economica ha spiegato
dettagliatamente in un'intervista a un giornale economico tedesco (la scelta non appare casuale) i molti motivi
economici per cui oggi le prospettive di un inasprimento del quadro recessivo sono ulteriormente aumentate
negli ultimi tempi.
A questo punto, appare ormai scontato che alla prossima riunione il Consiglio della Bce annuncerà l'inizio
ufficiale della politica di Quantitative easing. La domanda è su quali strumenti punterà e se la decisione sarà
unanime. Ma anche su questo l'intervista ricordata fornisce due annunci importanti. Praet ha infatti
riconosciuto che i titoli pubblici sono gli unici con un mercato sufficientemente ampio e liquido per accogliere
gli interventi di una banca centrale. Operazioni di mercato aperto su altri strumenti, a cominciare dai bond
societari per non parlare dell'oro, farebbero pensare ad una corazzata che cerca di manovrare in un laghetto.
Praet ha inoltre detto che non si stupirebbe se la decisione non fosse unanime. Essendo le banche centrali
organismi diversi dal Politburo, è fisiologico che nell'organo di vertice non tutti la pensino allo stesso modo. E
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'ANALISI
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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se prima della prossima riunione, fissata per il 22 gennaio, i falchi del rigore monetario non avranno cambiato
idea e continueranno a nascondersi dietro il dito di essere d'accordo sul se passare a una politica monetaria
più aggressiva, ma non sul quando o sul come, dovranno farsene una ragione. Del resto, Draghi ha realizzato
un'altra riforma importante, definita dal "Financial Times" una «rivoluzione silenziosa"; quella di pubblicare il
resoconto delle riunioni del Consiglio direttivo. Si tratta di una forma di trasparenza ormai entrata nelle prassi
delle banche centrali, che in qualche modo dà per scontato una pluralità di opinioni (e di voti) su cui l'opinione
pubblica ha il diritto di essere informata. Ma non sono più tempi per un umanismo di facciata. Con il 2015
quindi "arrivano i nostri" della politica monetaria non convenzionale, come già si era visto negli Stati Uniti, nel
Regno Unito e in Giappone. Proprio quelle esperienze dimostrano però che anche dispiegando tutta la
potenza di fuoco delle banche centrali, i risultati possono essere parziali. Diversamente dai film western,
l'arrivo della cavalleria può non risultare decisivo, come accade proprio in Giappone, che ha dovuto varare
frettolosamente in questi giorni un pacchetto di misure di 30 miliardi di dollari per sostenere la domanda di
imprese e famiglie. E' l'ulteriore prova che davanti a un quadro recessivo consolidato l'arma monetaria da
sola non basta. Mario Draghi è riuscito a rompere gli indugi a Francoforte e sta guidando la Bce verso una
svolta fondamentale. Adesso è Bruxelles (e ovviamente le singole capitali europee) che devono adottare una
strategia finalmente adeguata alla grave situazione. E soprattutto capire che le armi che servono non sono
più quelle convenzionali e che è tempo di superare l'ortodossia non solo in campo monetario, ma anche in
quello fiscale.
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C LA PAROLA CHIAVE
Politica monetaria 7La politica monetaria è l'insieme degli strumenti, degli obiettivi e degli interventi, adottati
dalle banche centrali per modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, al fine di raggiungere
obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte. Per perseguire i propri obiettivi gli
istituti centrali intervengono manovrando le variabili monetarie (tasso di interesse o quantità di moneta).
Come già avvenuto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone, ora ci si attende che anche la Banca
centrale europea adotti ulteriori misure non convenzionali nella prossima riunione del direttivo in calendario
per il 22 gennaio attraverso il varo di un Quantitative easing con l'acquisto di titoli di Stato.
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Non possiamo essere l'economia dell'1% (forse)
Adriana Cerretelli
Davvero l'Europa intende rassegnarsi a diventare l'economia dell'1% nel mondo globale? Il rischio c'è ed è
molto concreto. Non è necessario spingersi fino a prendere per buone le plumbee previsioni dell'ex-segretario
al Tesoro Usa, Larry Summers, che ne annuncia la «stagnazione secolare». Bastano quelle della
Commissione Ue che per il prossimo decennio si attendono per l'eurozona una crescita media inchiodata
appunto all'1%, cioè a un tasso che sarà meno della metà di quello degli Stati Uniti. O gli ultimi dati Ocse che
danno l'area euro schiacciata sui ritmi giapponesi nel biennio 2014-15 con uno sviluppo annuo dello 0,8 e
1,1% contro lo 0,4 e 0,8 % di Tokyo, quando l'America viaggia sul 2,2 e 3,1%, il mondo sul 3,3 e 3,7%, gli
emergenti sul 5,1 e 5,4%.
Numeri non sorprendenti, per molti aspetti soltanto feroci e impietose conferme della china pericolosa, e
finora senza ritorno, su cui l'Europa si è incamminata: l'orizzonte è la sindrome nipponica, lunga stagnazione
a braccetto con lo spettro della deflazione. Una miscela esplosiva non solo per la stabilità economica e
finanziaria e per la sostenibilità dei debiti ma anche per la tenuta politica e la sostenibilità dei governi e delle
democrazie europee.
«Se 10 anni fa qualcuno mi avesse detto che l'Europa poteva crollare, gli avrei risposto impossibile. Oggi la
realtà è profondamente cambiata. La svolta è arrivata nel 2009 con la crisi scoppiata oltre Atlantico. Da
continente win-win, simbolo di crescita e di benessere, l'Europa è diventata il pianeta della stasi economica e
delle divisioni: con la solidarietà a rischio e senza idee non resisterà a lungo» affermava qualche settimana fa
a Bruxelles l'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer. Denunciando la «crisi strutturale della
governance europea che, in ultima analisi, è la crisi delle sovranità nazionali». Bocciando «le politiche di
austerità che hanno trasformato la crisi dell'euro in una crisi politica, alienandosi il consenso dei cittadini».
Davvero c'è da stupirsi se un disoccupato diventa euroscettico? In Europa ce ne sono 26 milioni, quanti la
popolazione di Belgio e Olanda.
«Ma è possibile che politica e finanza in Germania non si rendano conto che l'America ha ripreso a correre
(+5% la crescita nell'ultimo trimestre 2014, ndr) perché ha attuato azioni economiche e monetarie fortemente
espansive e che questa è la strada per risollevare la domanda interna in Europa» si chiedeva e chiedeva
questo giornale nella lettera di Natale ai propri lettori.
La soluzione dell'1% non è una scelta economicamente sostenibile, nemmeno per i Paesi più ricchi e solidi,
come la Germania o i Paesi scandinavi.
Continua pagina 2
L'eDITORIALE
Continua da pagina 1
Perché nel mondo dinamico e aperto della competizione globale quel modello è semplicemente sinonimo di
un declino lento ma ineluttabile, è lo specchio di una società vecchia che non vuole cambiare troppo, nella pia
illusione di riuscire comunque a difendere le proprie rendite di posizione, il proprio generoso welfare pur
senza produrre più le risorse necessarie a sostenerli.
La riprova sta negli annunci di tante finte ripartenze, di sterzate che si fermano sempre alle parole, troppo
spesso confuse perché i disaccordi regnano sovrani almeno quanto le contrapposizioni di interessi, che si
vogliono inconciliabili perché si è perso il senso della politica come arte del compromesso in un'Europa
piegata, svuotata da una sfiducia reciproca che si credeva guarita da 60 anni di integrazione e che invece sta
riportando indietro gli orologi della storia, verso egoismi e nazionalismi. Verso l'eurofobia.
avvertì' Francois Mitterrand nel 1984 in uno storico discorso a Strasburgo davanti al parlamento europeo.
Anche allora erano tempi di euroscetticismo e di eurosclerosi nella piccola Unione dei Nove che con gli anni
sarebbe salita a Ventotto. Il campanello di allarme del presidente francese suonò la riscossa: di lì a poco
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EUROPA DA SBLOCCARE
03/01/2015
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sarebbero arrivati i nuovi Trattati che nel giro di 7 anni posero le basi giuridiche per creare prima il mercato
interno senza frontiere e poi la moneta unica.
Tra la piccola Europa di allora e la grande di oggi c'è un abisso di eterogeneità allora persino inconcepibili: il
muro di Berlino nel 1984 si credeva eretto per l'eternità. Ma l'incomunicabilità che oggi tormenta i 19 paesi
dell'euro e ne perpetua la crisi non nasce dagli allargamenti ma dalle irrisolte contraddizioni dentro il suo
nucleo duro, dal dialogo apparentemente sempre più impossibile tra Germania e Francia. Che si riassume, in
fondo, in quella crisi delle sovranità nazionali di cui parlava Fischer. La stessa che da anni impedisce il salto
dall'unione monetaria a quella economica e politica, il toccasana contro il disastro.
: è solare il teorema di Mario Draghi, il presidente della Bce che si appresta a lanciare il quantative easing
che comprenda anche l'acquisto di titoli di Stato nella speranza di fermare la deflazione e quindi, in
prospettiva, il rischio implosione dell'euro, pur sapendo di attirarsi contro gli strali tedeschi, compresa una
pioggia di ricorsi per presunta illegalità delle sue decisioni.
Si fa presto a dire che i patti europei vanno rispettati, che la crescita è il premio delle virtù economiche fatte di
conti pubblici sani e sistemi competitivi perché debitamente riformati, che quindi il piano Juncker da 315
miliardi in tre anni per rilanciarla va essenzialmente finanziato da investitori privati (finora più che riluttanti),
che la solidarietà non è un esercizio a fondo perduto e la flessibilità delle regole va centellinata per non
indurre in errore chi la ottiene.
Sono tutte affermazioni inattaccabili in dottrina e sulla carta. Ma quando si scontrano con la realtà di oggi, con
l'economia dell'1% che erode il consenso popolare all'Europa, cioè il sale delle democrazie e del progetto di
integrazione europea, diventano molto più fragili, anzi devastanti.
Il 2015 sarà l'anno delle elezioni in Grecia a fine gennaio, in Gran Bretagna in maggio quando si terranno
anche le regionali in Spagna, che poi andrà alle urne in novembre. In ottobre sarà il turno del Portogallo.
Dovunque i partiti anti-sistema e anti-partiti tradizionali sono in testa, con la sola eccezione di Lisbona dove
per ora i socialisti sono dati vincenti. Ma i sentimenti nazionalisti ed euroscettici crescono dovunque: in
Irlanda, Francia, Germania, Olanda e Italia, anche se spesso per ragioni tra loro opposte.
Il perché in fondo poco importa. Conta il risultato, che indebolisce i Governi in carica e promette di eleggerne
di nuovi poco o comunque meno disponibili ad accettare la disciplina di un'Europa che chiede sacrifici pesanti
ma oggi è in grado di redistribuire, nella migliore delle ipotesi, una crescita esile. Incapace di riassorbire la
disoccupazione, di dare speranze, la promessa di un futuro migliore.
Ci vorrebbe una svolta drastica, una professione di generosità, coraggio e realismo generali che, all'insegna
dei diritti e dei doveri reciproci, invertisse il corso della storia europea come avvenne alla metà degli anni '80.
Ci vorrebbe più sovranità in comune per più riforme, più crescita e solidarietà europea nei fatti. Più fiducia nel
vicino della porta accanto nonostante una fetta sempre più larga dell'opinione pubblica remi contro chi ci
prova. Ci vorrebbe una forte leadership collettiva. La visione solitaria di Draghi non basta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Adriana
Cerretelli (*) Stima flash Fonte: MarkitEconomics Irlanda 56,9 Spagna 53,8 Olanda 53,5 Austria 49,2 Italia
48,4 Francia 47,5 (47,9*) Grecia 49,4 Germania 51,2 (51,2*) Ai massimi da 4 mesi Ai minimi da 2 mesi Ai
minimi da 2 mesi Ai massimi da 4 mesi Ai minimi da 19 mesi Ai minimi da 4 mesi Ai massimi da 4 mesi Ai
massimi da 2 mesi Gli indici Pmi in Europa La classifica
Foto:
GLI INDICI PMI IN EUROPA
La classifica
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Referendum pensioni il 14 alla Consulta
Vitaliano D'Angerio pagina 8
Tempi stretti per la decisione sull'ammissibilità del referendum abrogativo della riforma Fornero sulle
pensioni. Secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, mercoledì 14 gennaio alle 9,30 inizierà la camera di
consiglio della Corte costituzionale per dare o meno il via libera: il relatore sarà il giudice Mario Rosario
Morelli. Da segnalare, tra l'altro, che il 14 gennaio è la data prevista per le dimissioni del presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano.
Entro il 10 gennaio, Presidenza del Consiglio e ministero del Lavoro dovranno inoltre presentare le memorie
per dimostrare davanti ai giudici della Corte l'eventuale inammissibilità del referendum abrogativo, promosso
dalla Lega Nord e che a inizio novembre aveva ricevuto anche l'endorsement da parte del segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso. Se ci sarà il via libera dei giudici costituzionali, il Governo Renzi
dovrà stabilire una data per il voto in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno.
Ma qual è nello specifico il testo del quesito che verrà posto agli italiani in caso di semaforo verde della Corte
costituzionale? «Volete che sia abrogato: l'articolo 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei
conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011,
n.214, nel testo risultante per effetto di modificazioni e integrazioni successive?».
Il testo del quesito è contenuto nell'ordinanza della Corte di cassazione che l'11 dicembre scorso ha
dichiarato conforme alla legge la richiesta di referendum. In particolare sono state contabilizzate 602.614
firme ma ne sono state considerate regolari soltanto 550.635: irregolari 47.270, coincidenti (stesse firme, ndr
) 4.709. L'anomalia più rilevante riscontrata dalla Cassazione riguarda la mancanza del certificato elettorale (il
76% delle sottoscrizioni irregolari); altre anomalie indicate dai giudici della Cassazione, sono relative alle
vidimazioni avvenute oltre i 3 mesi dal deposito (11,13%).
Da segnalare ancora, che l'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione, il 30 ottobre scorso
aveva chiesto al comitato promotore la riformulazione del quesito e della denominazione della richiesta del
referendum. Alla fine del procedimento, è stato deciso in particolare che la normativa da sottoporre al
referendum «non può essere indicata - contrariamente a quanto proposto dai promotori - come "riforma
Fornero", così denominata per il nome del ministro del Lavoro dell'epoca, sia perché si tratta di
denominazione che risponde ad una personalizzazione», sia perché potrebbe creare confusione con un'altra
legge, la 92 del 28 giugno 2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro) «correntemente
indicata come "riforma Fornero"».
A questo punto quante probabilità ha il referendum promosso dalla Lega Nord di essere giudicato
ammissibile dalla Corte costituzionale? «È veramente complicato fare delle ipotesi - spiega Ernesto Bettinelli,
ordinario di diritto costituzionale all'università di Pavia -. Certo è che questo referendum potrebbe avere effetti
sul bilancio e sulla legge di Stabilità. E poi bisognerà considerare la nuova formulazione dell'articolo 81 che
ha introdotto il pareggio di bilancio nella Costituzione. Le variabili da considerare sono tante». Bettinelli
segnala poi la possibilità che il referendum venga accorpato a inizio maggio con le elezioni regionali: «È una
possibilità che credo verrà presa in considerazione dal Governo per risparmiare sulle spese. Sempre se la
Corte costituzionale riterrà ammissibile il quesito del comitato promotore».
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Riforma Fornero
Come hanno fatto notare giustamente i giudici della Cassazione ci sono due riforme Fornero: quella sulle
pensioni e quella sul lavoro. Quest'ultima di recente è stata innovata proprio dal Jobs Act del Governo Renzi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Dopo l'ok della Cassazione sul quesito della Lega
03/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
106
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Per quanto riguarda invece il referendum abrogativo, se considerato ammissibile dai giudici della Corte
Costituzionale, consentirà il voto sull'articolo 24 del provvedimento che il Governo Monti dell'epoca definì
"Decreto Salva Italia". Nell'articolo 24 si prevedeva fra l'altro l'estensione a tutti pro-quota del sistema
contributivo: «A decorrere dal primo gennaio 2012, con riferimento alle anzianità contributive maturate a
decorrere da tale data, la quota di pensione corrispondente a tali anzianità è calcolata secondo il sistema
contributivo»
LA NUOVA PREVIDENZA
Effetto Fornero
Quando fu approvato il Decreto Salva Italia (dicembre 2011), il Governo Monti indicò i seguenti risparmi sul
fronte delle pensioni: 3,4 miliardi nel 2012, 6,6 miliardi nel 2013 e 9,2 miliardi nel 2014.
Sempre la riforma Fornero sulle pensioni, stabilì che dal 2012 doveva salire la soglia di vecchiaia: subito a 66
anni per gli uomini (a 67 nel 2012 al netto degli agganci alla speranza di vita), a 62 anni per le donne per poi
arrivare progressivamente a 66 anni nel 2018.
Uno degli effetti più recenti della riforma Fornero è che dal 2016 per ottenere la pensione occorrerà aspettare
quattro mesi in più. In particolare, dal 2016, scatterà il secondo aumento dei requisiti anagrafici e contributivi
dopo l'adeguamento avvenuto nel 2013. Per le pensioni anticipate saranno necessari, per gli uomini, 42 anni
e dieci mesi di contributi; per le donne 41 anni e dieci mesi di contributi.
Per la pensione di vecchiaia i requisiti sono differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e
alle donne del settore pubblico
Foto: Iniziativa della Lega. Il segretario del Carroccio Matteo Salvini
04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Se l'officina delle riforme non funziona per le priorità
Guido Gentili
No, non è vero che l'officina del governo Renzi (che il 22 febbraio compirà un anno) è rimasta inoperosa.
Tutt'altro. Però è altrettanto vero che se non alza - subito e con forza - qualità e ritmo di lavoro presto si
troverà a fare i conti con una realtà diversa da quella prospettata con toni vittoriosi.
I numeri di Rating 24 (parliamo delle principali riforme al netto delle leggi-delega) dicono innanzitutto che lo
stock dei provvedimenti adottati dai governi Monti, Letta e Renzi è salito nel complesso a 517 con una
percentuale di attuazione del 46,9%. Si conferma così che il governo Renzi ha accelerato sulla strada
dell'attuazione dei decreti attuativi messi in campo dagli esecutivi che l'avevano preceduto a partire dal 2011.
Ereditati 728, attuati 478 con una percentuale di realizzazione relativa a quelli del governo Monti che arriva al
75,8%.
Ma c'è anche un indicatore di allarme. Da febbraio il governo Renzi ha approvato in tutto 121 atti legislativi. In
totale i provvedimenti attuativi delle principali riforme sono 374 di cui 335 quelli non adottati e 88 già scaduti.
La percentuale di attuazione è bassa (10,4% che sale a 15,3% se togliamo dal calcolo la Legge di stabilità
appena entrata in vigore). Spicca (in positivo) il 34,8% del decreto Irpef (quello degli 80 euro) e (in negativo)
lo "Sblocca-Italia". Che a dispetto del suo nome vede solo 2 provvedimenti adottati su 72 con una
percentuale di attuazione irrilevante: 2,8%.
Dietro i numeri ci sono le attese dell'economia reale (il "bonus" ricerca, per fare un esempio, è rimasto
bloccato quasi un anno e la "pratica" è ripartita solo con la nuova Legge di stabilità), i rimpalli burocratici, le
storiche vischiosità di un sistema baricentrato su se stesso più che sulle azioni per far crescere il Paese.
Dove anche le migliori intenzioni dei governi finiscono per impantanarsi e dove ha trovato cittadinanza, ormai
da molti anni, un decreto cosiddetto, non a caso, "Milleproroghe".
Il tema è vecchio, usurato da decenni dalle promesse di svolta imminente, un po' come la "privatizzazione"
del pubblico impiego, che c'è e non c'è, sommersa comunque da un mare di carte e di commi indecifrabili o
decifrabili quanto basta per porre un veto o prospettare un intoppo. Un moto circolare che è del resto un frutto
tipico del riformismo all'italiana: si parte a gran velocità, poi si decelera, infine ci si ferma. Per poi ricominciare
daccapo e ripiombare, tra task-force, piani-tampone e compromessi al ribasso, nelle sabbie mobili
dell'attuazione parzialmente o totalmente mancata.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'AGENDA E LE INCOMPIUTE
04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La politica economica dimentica gli ultimi
Cristiano Gori
Cristiano Gori pagina 15
Nel 2015 il Governo si dedicherà alla lotta contro la povertà? Il recente editoriale di Ricolfi spinge a chiedersi
se Renzi vorrà essere il primo premier nella storia italiana a dare rappresentanza alle richieste di sostegni per
fronteggiare il disagio, ben radicate nella nostra società ma regolarmente dimenticate nel momento di
compiere delle scelte politiche.
L'esplosione della povertà in Italia. Nel 2007 nel nostro paese sperimentavano la povertà assoluta 2,4
milioni di persone - pari al 4,1% della popolazione - che nel 2013 erano salite a 6 milioni, il 9,9%. L'indigenza
ha rotto i confini che tradizionalmente ne delimitavano la presenza nella società italiana. Fino a pochi anni fa,
si concentrava al Sud, tra gli anziani, tra le famiglie con molti figli e laddove manca il lavoro. Nella fase
recente, non solo ha confermato il suo radicamento tra questi segmenti della popolazione ma si è anche
diffusa notevolmente in altri, prima ritenuti poco vulnerabili: il centro-nord, le giovani famiglie, i nuclei con
almeno 2 figli e quelli con componenti occupati.
Quella assoluta è la povertà vera e propria. La sperimenta, infatti, chi non può sostenere le spese necessarie
ad acquisire i beni e i servizi essenziali, nel contesto italiano, per conseguire uno standard di vita
minimamente accettabile (alimentarsi adeguatamente, vivere in un'abitazione di dimensioni consone, con
acqua calda ed energia, vestirsi decentemente, riuscire a spostarsi sul territorio e così via).
Le risposte del welfare. L'Italia è, insieme alla Grecia, l'unico Paese europeo privo di una misura nazionale
contro la povertà. I tratti principali di queste prestazioni sono ovunque gli stessi: ogni famiglia indigente riceve
un contributo economico, pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà. Gli interessati
fruiscono, inoltre, dei servizi - sociali, educativi, per l'impiego - utili a costruire nuove competenze e/o ad
organizzare diversamente la propria esistenza, forniti da Comuni, Terzo Settore e altri soggetti del territorio.
S'introduce così un diritto nazionale e gli si dà sostanza attraverso il forte coinvolgimento delle comunità
locali. Parallelamente, vengono coniugati i diritti di cittadinanza (usufruire della misura) e i doveri verso la
collettività (gli utenti devono impegnarsi per perseguire la propria inclusione sociale e/o lavorativa). L'assenza
di adeguate politiche si riflette nella dimensione della spesa pubblica contro l'esclusione sociale, che in Italia
è inferiore dell'80% alla media europea (0,1% del Pil rispetto a 0,5%).
Durante la crisi, mentre la povertà galoppava le già esili risposte pubbliche venivano ulteriormente indebolite.
L'unico contributo economico attivato è stata, nel 2008, la Social Card - 40 € mensili rivolti a nuclei indigenti
con un bambino entro i 3 anni o un anziano con più di 65 -che ha avuto un impatto del tutto marginale, per
l'esiguità dell'importo e le poche persone raggiunte. In assenza di altre risposte, i soli presidi pubblici rimasti
ad affrontare l'accresciuta domanda di aiuti sono stati i Comuni, ai quali durante la recessione lo Stato ha
nettamente diminuito i già limitati stanziamenti.
L'azione del Governo Renzi. Una misura nazionale contro la povertà avrebbe dovuto essere introdotta negli
scorsi vent'anni, in un quadro di finanza pubblica più favorevole. Ciò non è avvenuto perché la battaglia
contro questo flagello non è mai diventata una priorità di nessuno dei principali schieramenti. Qui, ma non è
certo l'unico caso, Renzi è chiamato oggi a fare le cose giuste nel momento sbagliato.
Nel 2014, però, l'attuale Esecutivo non ha collocato la lotta alla povertà tra i propri obiettivi. Nonostante i fondi
sociali per i Comuni siano stati leggermente incrementati, l'aumento è destinato a persone con disabilità,
anziani non autosufficienti e nidi, non ai poveri assoluti. Anche il bonus di 80 euro mensili è rivolto ai redditi
medio-bassi ma non a loro.
Intanto si sta svolgendo la sperimentazione di una nuova misura, la "Nuova Social Card", predisposta dal
Governo Letta ed ereditata, insieme ai relativi finanziamenti, dall'attuale Esecutivo. È stata avviata lo scorso
anno nei 12 Comuni più grandi e nei prossimi mesi sarà estesa alle Regioni meridionali. Raggiunge, però,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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UN PIANO NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ
04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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assai pochi poveri: alcune famiglie in condizione di disagio lavorativo e con almeno un figlio minorenne e come detto - solo in alcune aree del paese. Inoltre, i fondi stanziati basteranno al massimo per pochi anni. Se
questo percorso - che richiede l'investimento congiunto degli operatori e degli utenti coinvolti- non sarà
collocato in una complessiva strategia di sviluppo della lotta all'esclusione, la sua rapida conclusione avrà
l'unico esito di provocare frustrazione in tutti.
Un Piano nazionale contro la povertà. La sperimentazione, invece, dovrebbe confluire in un ben più ampio
Piano, che introduca gradualmente - ad esempio in 4 anni - una misura nazionale indirizzata a tutte le
famiglie in povertà assoluta, valorizzando gli interventi contro il disagio già oggi presenti, grazie a Terzo
Settore ed enti locali, nei vari territori del paese.
Bisognerebbe cominciare dai più poveri tra i poveri - agendo così subito sulle situazioni di maggiore gravità e ampliare progressivamente l'utenza affinché a partire dal quarto, e ultimo, anno del Piano la misura, a
regime, raggiunga tutte le famiglie in povertà assoluta. Sin dall'avvio il Governo dovrebbe assumere precisi
impegni riguardanti il punto di arrivo e le tappe intermedie, in modo da costruire un quadro di riferimento certo
che permetta a tutti soggetti in campo di operare al meglio verso un comune obiettivo. Lo stanziamento
necessario crescerebbe gradualmente sino a giungere, a regime, a circa 7 miliardi di euro, cifra che
porterebbe la spesa contro l'esclusione in Italia sostanzialmente al livello della media europea.
Il Piano è proposto dall'Alleanza contro la Povertà in Italia, sorta nel 2013 (chi scrive ne è coordinatore
scientifico) per sensibilizzare il Governo sulla necessità di interventi e composta da numerose associazioni
(Acli, Caritas, Forum Terzo Settore, Action Aid, Banco Alimentare, Save the Children e molte altre), dalle
rappresentanze di Comuni e Regioni, e dai sindacati. È la prima volta che un numero così vasto di attori
sociali e istituzionali dà vita a un simile sodalizio: la sua nascita è un tentativo di affrontare le difficoltà nella
rappresentanza politica dei poveri segnalate da Ricol fi.
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04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
I tagli fiscali daranno spazio agli «outsider»
Enrico Morando
Enrico Morando pagina 15
Molto sulla prima società (il mondo dei garantiti, fatto di dipendenti pubblici e occupati a tempo indeterminato
delle imprese maggiori) e sulla seconda (il mondo del rischio, fatto di piccole imprese, lavoratori autonomi,
operai e impiegati). Poco o nulla sulla terza società, quella degli esclusi, o outsider, nel senso letterale di
"coloro che stanno fuori": occupati in nero, disoccupati, inattivi ma disponibili al lavoro. Questo, in estrema
sintesi, il giudizio di Luca Ricolfi (si veda l'editoriale pubblicato sul Sole 24 Ore del 2 gennaio 2015) sulla
politica economica e sociale del governo Renzi.
Prendo la prima parte di questo giudizio come un riconoscimento: quando il decreto 80 euro venne emanato,
furono in molti a denunciare il carattere discriminatorio e addirittura "classista"(si veda il dibattito
parlamentare per la conversione) della misura. Ora, a Legge di stabilità approvata - con l'eliminazione del
costo del lavoro stabile dalla base imponibile dell'Irap e la decontribuzione per i neo assunti con contratto a
tempo indeterminato - tutti possono constatare (anche aiutati dalle valutazioni di un critico severo come
Ricolfi) l'equilibrio della linea di politica economica del governo, orientata a ridurre la pressione fiscale sia sul
lavoro, sia sulla impresa.
Del resto, sono stati proprio i lavori di Ricolfi (L'enigma della crescita) a mettere in evidenza che chi vuole la
crescita deve agire sulle forze fondamentali che la influenzano, sapendo che nell'immediato è dalla riduzione
della pressione fiscale sui produttori - lavoro e impresa - che possono venire i risultati migliori; mentre gli
investimenti sulla qualità del capitale umano e delle istituzioni economiche fondamentali sono altrettanto, se
non più rilevanti - e per questo vanno fatti subito -, ma hanno bisogno di tempo per manifestare il loro benefici
effetti sulla quantità e la qualità dello sviluppo. Quindi, subito gli 80 euro, l'Irap e la decontribuzione.
Contestualmente, ritmi serrati per le riforme strutturali: lavoro, scuola, giustizia civile, istituzioni democratiche
e sistema elettorale.
Dal successo di questo disegno di cambiamento del Paese dipende non soltanto il ritorno alla crescita, via
recupero della produttività totale dei fattori. Ma anche la possibilità di creare lavoro per chi oggi non ce l'ha legale e stabile -, ma lo cerca attivamente: la terza società di cui scrive Luca Ricolfi.
"In assenza di vincoli di addizionalità" - argomenta Ricolfi - i 5 miliardi di decontribuzione "possono apparire
un provvedimento per generare nuova occupazione, ma lo saranno solo in misura minima". Mentre i 10
miliardi che finanziano il bonus 80 euro avrebbero potuto essere meglio impiegati per investimenti pubblici o
per abbattere l'Irap, ciò che "avrebbe potuto dare una mano a chi un lavoro non ce l'ha".
Faccio però notare che l'intervento strutturale di riduzione dell'Irap è stato realizzato e, favorendo in modo
così significativo le imprese che hanno già o assumono dipendenti con contratto a tempo indeterminato,
fornisce un robusto aiuto a quella grande parte di "terza" società che lavora saltuariamente, con frequenti
cadute nel nero, ma potrebbe finalmente approfittare della drastica riduzione del costo del lavoro stabile - Irap
più decontribuzione - per essere assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Per favorire questo processo, abbiamo volutamente resistito ad ogni proposta di introdurre condizionalità
ulteriori per la decontribuzione: tutti devono potervi accedere, purché assumano con il "nuovo" contratto a
tempo indeterminato.
La quantità delle incognite è tale che sarebbe azzardato prevedere un forte aumento dell'occupazione totale,
indotto dal combinarsi di Jobs Act, decontribuzione per i nuovi assunti con contratto a tutele crescenti e
riduzione dell'Irap. Non è invece irragionevole prevedere che possa avviarsi, grazie alle agevolazioni e alla
nuova regolazione, un massiccio processo di trasformazione dei rapporti di lavoro precari in rapporti di lavoro
stabili. Non è tutto, certo. Ma non è già molto, per dare qualche opportunità a "chi sta fuori"?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL NUOVO «TERZO STATO» LE MISURE DEL GOVERNO
04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Enrico Morando è vice ministro
dell'Economia nel Governo Renzi
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L'EDITORIALE
Sul Sole 24 Ore del 2 gennaio, Luca Ricolfi ha analizzato la situazione attuale dell'Italia partendo da una
domanda che in molti si pongono: «Renzi è di destra o di sinistra? O meglio: le politiche messe in campo dal
governo Renzi sono di destra o di sinistra?». L'editorialista spiega che ci sono due parti in commedia del
governo Renzi e che vi sono poi 10 milioni di italiani (occupati in nero, disoccupati, inattivi ma disponibili al
lavoro), una sorta di Terzo Stato in versione moderna che sono sostanzialmente privi di rappresentanza.
10
Milioni. Vi sono 10 milioni
di italiani (occupati in nero, disoccupati, inattivi ma disponibili al lavoro), una sorta di Terzo Stato in versione
moderna sostanzialmente
priva di rappresentanza
04/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Se la visione di Draghi non riguarda solo l'euro
AlbertoQuadrio Curzio
di Alberto Quadrio Curzio
Mario Draghi ha presentato il 31 dicembre su queste colonne la sua visione strategica sull'Eurozona (ma
anche sulla Ue) declinata poi in aspetti più specifici il 2 gennaio nell'intervista al quotidiano tedesco
Handelsblatt. Il disegno strategico arriva al 2019, quando il quinquennio istituzionale europeo appena iniziato
si concluderà e anche Draghi cesserà quale presidente della Banca centrale europea.
Continua pagina 5
L'ANALISI
Continua da pagina 1
L'importanza dell'intervento di Draghi merita un'ulteriore riflessione che facciamo con libertà di sintesi anche a
rischio di qualche svista interpretativa. Tralasciamo invece le notizie sui mercati dove i titoli di Stato (con
difficile distinzione tra fisiologia e patologia) segnano rendimenti sempre più bassi:il decennale italiano a
1,74% (minimo storico,con spread a 124 punti base), quello spagnolo a 1,49%, quello tedesco a 0,50% (con il
quinquennale negativo) mentre l'euro è a 1,20 cioè a livello di giugno 2010. L'effetto Grecia c'è stato solo per
Atene se si pensa che i decennali portoghesi rendono quasi quanto quelli Usa perché molti (tutti) si aspettano
che Draghi "agisca" di nuovo. Il problema è come.
Integrazione e unione
Draghi afferma che l'Unione monetaria europea è già molto oltre quella dell'euro perchè i Paesi dell'Eurozona
hanno un grado di integrazione che ha una forte connotazione politica dimostrata durante la crisi e dalle
decisioni per affrontarla. Ne seguono varie conseguenze.
La prima, implicita, consiste nell'impossibilità di uscita dall'euro (come qualcuno vagheggia) in quanto non si
tratterebbe solo di abbandonare la moneta ma di tagliare i tanti nessi dell'integrazione. La conferma di questo
è venuta nei giorni scorsi anche dalla Grecia dove nel 2009 si era accesa la crisi europea dei debiti sovrani e
che nell'attuale difficoltà politica non ha generato contagio.
La seconda conseguenza, esplicita, consiste nell'urgenza di accentuare il processo di integrazione
economica in modo tale che ogni Paese della Uem guadagni in prosperità e stabilità. Questa integrazione
avanzata poggia per Draghi su tre pilastri: le riforme strutturali nei Paesi membri (più concorrenza, meno
burocrazia, fisco più leggero, mercati dei fattori più flessibili) per favorire la convergenza; un sistema
finanziario più integrato sia tramite l'unione bancaria già in corso sia tramite un mercato dei capitali unificato e
quindi dotato di adeguato spessore, capace di assorbire e distribuire meglio gli shock che non è possibile
fronteggiare con trasferimenti a carico di un bilancio pubblico integrato; politiche di bilancio dei singoli Paesi
in grado di contrastare periodi di recessione. Condizione necessaria a tal fine sono bilanci pubblici sani uniti
ad adeguate prospettive di crescita che i mercati considerano (giustamente) importanti per la sostenibilità dei
debiti pubblici.
La conclusione di Draghi è che nell'Eurozona (e nella Ue) le politiche di bilancio dell'Unione (con i
trasferimenti da Paese a Paese) non ci sono com'è in altri Paesi implicito è il riferimento agli Usa) per cui una
maggiore integrazione va conseguita passando da regole comuni (com'è oggi) a istituzioni comuni che
abbiano poteri per governare l'integrazione strutturale sopra descritta. Tutto ciò richiede a nostro avviso una
modifica dei Trattati europei andando verso delle cooperazioni rafforzate per l' Eurozona. Questa è una
prospettiva che la stessa cancelliera Merkel ha lasciato intendere. E non si tratta di poco.
Investimenti e crescita
Nelle riflessioni di Draghi non compare però alcun riferimento al Piano Juncker (per altro di dubbia solidità)
per investimenti di 300 miliardi finanziati e governati a scala europea. Draghi sottolinea che nei Paesi europei
vanno fatti più investimenti e al proposito cita espressamente la necessità che la Germania investa di più in
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'EUROPA DA SBLOCCARE E LE SFIDE GLOBALI
04/01/2015
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infrastrutture (urgenza segnalata anche da un recente studio dell'Fmi per ridurre il surplus tedesco di parte
corrente, stimolare la domanda interna e generare più crescita in Germania e nell'Eurozona). Presa alla
lettera la sua intervista significa che tocca ai Paesi membri investire riallocando la spesa pubblica con
politiche di bilancio e strutturali più solide. Ci pare però che implicitamente si delinei anche una flessibilità di
bilancio per fare investimenti, concessa a quei Paesi che attuano le riforme strutturali richieste e vigilate dalle
istituzioni europee. Sarebbe la politica degli "accordi contrattuali" più volte enunciata in documenti europei e
che, se applicata, rappresenterebbe un passo avanti rispetto al rigorismo attuale. E anche qui non si
tratterebbe di poco.
Alla domanda sulla necessità di introdurre gli eurobond, la risposta di Draghi è che prima ci vuole fiducia
reciproca tra i Paesi membri, per cui oggi si tratta di «una domanda sbagliata posta in un momento
sbagliato». Tuttavia non li esclude per il futuro. Né si schiera con la lamentazione germanica corrente,
riproposta dall'intervistatore in vari modi (tra cui quello che cittadini tedeschi soffrono per minimi rendimenti
dei loro risparmi causati da una politica monetaria a favore dei Paesi non virtuosi, quello che l'inflazione al 2%
non è un dogma, e via di seguito), evidenziando invece (con composta fermezza) anche i vantaggi che
Berlino ha avuto dal grande afflusso di capitali.
Alcune ulteriori chiose sono tuttavia essenziali. La prima è che una maggiore integrazione della Uem senza
una quota di politica economica unificata per fare investimenti lascerebbe sempre incomplete le
interconnessioni infrastrutturali europee. La seconda è che senza questo tipo di domanda esogena di grandi
dimensioni (che poi genera nel medio termine più capacità produttiva, in quantità e qualità), la molta liquidità
non genera né adeguati investimenti nell'economa reale (si veda il relativo insuccesso dello Tltro) né una
reindustrializzazione innovativa europea, mentre può alimentate bolle speculative di cui intravedono sintomi.
Una conclusione
Draghi negli anni di crisi è stato artefice di quella solidarietà creativa che ha salvato e consolidato l'eurozona.
Nelle sue riflessioni che abbiamo commentato ha detto molto ma non poteva dire tutto. Einaudi nel 1936
disse: «La manovra monetaria opera su un congegno delicatissimo e complicatissimo; e riesce a quel
manovratore che alla chiarezza delle idee astratte sa unire, rapidissimo, l'intuito di fatti invisibili». Draghi ha
impersonato quel "manovratore" svolgendo un grande ruolo di supplenza. Speriamo che anche nel prossimo
passaggio (ipersemplificato da molti nel "quantitative easing") non perda di vista la necessità di andare oltre
la semi stagnazione-recessione europea tenendo conto che la Germania, pur in una complessa dialettica,
non può più fare a meno di Draghi.
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Ripresa al ribasso, quali rimedi
Michael Spence
Michael Spence pagina 6
Dalla crisi finanziaria globale del 2008 è emerso un trend assai particolare: governi, banche centrali e
istituzioni finanziarie internazionali devono puntualmente rivedere le loro previsioni di crescita al ribasso. Con
pochissime eccezioni, finora ciò è valso tanto per le proiezioni che riguardano l'economia globale quanto per
quelle relative ai singoli paesi.
Questo trend ha causato danni concreti, poiché previsioni troppo ottimistiche ritardano l'adozione delle misure
necessarie per rilanciare la crescita e, di conseguenza, impediscono la piena ripresa economica. I previsori
devono ora fare i conti con ciò che è andato storto; per fortuna, poiché l'esperienza post crisi si sta
protraendo, alcuni dei tasselli mancanti iniziano a trovare una collocazione. Io ne ho individuati cinque.
Fisco e moltiplicatori. Per prima cosa, la capacità d'intervento fiscale, almeno tra le economie sviluppate, è
stata sottoutilizzata. Come sostiene l'ex vice segretario del Tesoro americano, Frank Newman, nel suo
recente libro Freedom from National Debt («Libertà dal debito nazionale»), la capacità d'intervento fiscale di
un Paese si valuta meglio esaminandone il bilancio complessivo che confrontando, come si fa
tradizionalmente, il suo debito (una passività) con il suo Pil (un flusso).
Il ricorso al metodo tradizionale ha prodotto una serie di occasioni mancate, soprattutto tenendo conto che gli
investimenti produttivi nel settore pubblico si ammortizzano abbondantemente da soli. Gli investimenti nelle
infrastrutture, nell'istruzione e nella tecnologia favoriscono una crescita a lungo termine, poiché aumentano la
competitività, promuovono l'innovazione e incrementano i rendimenti del settore privato, generando crescita e
occupazione. Non serve una crescita esagerata per ammortizzare investimenti anche cospicui, soprattutto
visti i bassi costi di finanziamento attualmente in vigore.
Una ricerca condotta dal Fondo monetario internazionale (Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, di
Olivier Blanchard e Daniel Leigh, Working Paper 13/1, visibile sul sito www.imf.org) indica che questi
moltiplicatori fiscali - il secondo tassello trascurato dai previsori - variano a seconda delle condizioni
economiche sottostanti. Nelle economie con capacità in eccesso (capitale umano compreso) e un elevato
grado di flessibilità strutturale, i moltiplicatori sono più alti di quanto si pensasse una volta.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la flessibilità strutturale ha contribuito alla ripresa economica e ha aiutato il
Paese ad adattarsi a cambiamenti tecnologici e forze di mercato globali nel lungo termine. In Europa, al
contrario, il cambiamento strutturale continua a incontrare una certa resistenza. Qui lo stimolo fiscale può
ancora essere giustificato, ma la rigidità strutturale tende a ridurre il suo impatto sulla crescita a lungo
termine. Gli interventi fiscali dell'Europa sarebbero più facilmente giustificabili se fossero accompagnati da
riforme microeconomiche per aumentare la flessibilità.
Finanza vs economia. Un terzo tassello del puzzle previsionale è la disparità tra il comportamento dei
mercati finanziari e quello dell'economia reale. Giudicando solo in base ai prezzi delle attività, si dovrebbe
concludere che la crescita è in piena espansione. Invece, è ovvio che non lo è.
Un elemento che ha contribuito ad ampliare questa divergenza è stata una politica monetaria ultra-espansiva
che, inondando i mercati finanziari di liquidità, avrebbe dovuto stimolare la crescita. Resta, tuttavia, poco
chiaro se gli elevati prezzi delle attività stiano davvero sostenendo la domanda aggregata o piuttosto
modificando la distribuzione della ricchezza. Ed è altresì poco chiaro cosa succederà ai prezzi delle attività
quando l'assistenza monetaria verrà meno.
Governi e redditi. Un quarto tassello è la qualità del governo. Negli ultimi anni, non sono certo mancati gli
esempi di governi che hanno abusato dei propri poteri per favorire la classe dirigente, i suoi sostenitori e una
varietà di interessi particolari, con effetti negativi sulla regolamentazione, gli investimenti pubblici, la fornitura
di servizi e la crescita. È di vitale importanza che politiche, servizi e investimenti pubblici siano gestiti al
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SCENARI
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meglio; infatti, i Paesi che riescono ad attirare e motivare manager pubblici qualificati riescono meglio degli
altri.
Infine, ma ancor più importante, il calo della domanda aggregata è stato più pesante e prolungato del previsto
in parte perché l'occupazione e i redditi medi non sono riusciti a tenere il passo della crescita. Questo
fenomeno si è verificato prima della crisi, e gli alti livelli d'indebitamento delle famiglie hanno aggravato il suo
impatto nel periodo successivo. La stagnazione dei redditi nel 75% della fascia più bassa pone una sfida
particolarmente importante perché deprime i consumi, mina la coesione sociale (quindi la stabilità e l'efficacia
politica) e riduce la mobilità intergenerazionale, specialmente laddove l'istruzione pubblica è scarsa.
A volte il cambiamento avviene a un ritmo che supera la capacità delle persone e dei sistemi di reagire.
Questa sembra essere una di quelle volte. I mercati del lavoro sono diventati instabili perché le nuove
tecnologie e il mutamento delle catene di approvvigionamento globali hanno fatto sì che la domanda sul
mercato del lavoro cambiasse più rapidamente dell'offerta.
Non si tratta di una condizione permanente, ma la transizione sarà lunga e complessa. Le stesse forze che
stanno incrementando, e di molto, il potenziale produttivo dell'economia mondiale sono in gran parte
responsabili dei trend negativi nella distribuzione del reddito. La tecnologia digitale e il capitale hanno
eliminato posti di lavoro a reddito medio o li hanno spostati all'estero, generando un eccesso di offerta di
manodopera che ha contribuito alla stagnazione del reddito proprio in quella fascia.
Una risposta più vigorosa richiede la consapevolezza della natura della sfida e la volontà di affrontarla
investendo in settori chiave, come l'istruzione, la sanità e le infrastrutture. Va riconosciuto che questo è un
momento difficile e i paesi devono mobilitare le proprie risorse per aiutare la gente ad affrontare la
transizione.
Ciò significa ridistribuire il reddito e garantire l'accesso ai servizi essenziali. Se anche contrastare la
disuguaglianza e promuovere le opportunità intergenerazionali genera qualche inefficienza marginale e
indebolisce alcuni incentivi, il gioco vale comunque la candela. Forse l'erogazione pubblica di servizi
essenziali come l'istruzione o l'assistenza sanitaria non sarà mai efficiente come quella privata; tuttavia, se
efficienza vuol dire anche esclusione sociale e impari opportunità, allora puntare al pubblico non è sbagliato.
La mia speranza è che una maggiore consapevolezza del significato di questi e altri fattori possa avere un
effetto positivo sulle agende della politica nell'anno che si è appena aperto.
© PROJECT SYNDICATE
Traduzione di Federica Frasca
05/01/2015
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Le ferite dell'economia e i «cerotti» del diritto
Giovanni Negri
di Giovanni Negri
Non è mai un bel vedere quando alla crisi si guarda (anche) attraverso il cannocchiale del diritto. Perché il
rischio è quello di scambiare la causa (economica) con le cause (civili).
Continua pagina 3
L'ANALISI
Continua da pagina 1
E tuttavia, sempre più, l'efficacia di una riforma giuridica deve misurarsi con le conseguenze provocate nel
tessuto sociale. Allora la ricerca del Sole 24 Ore del Lunedì mette in evidenza come le difficoltà del Paese si
specchino anche negli istituti giuridici. A fare data dal 2011 è così assai significativa la crescita delle istanze
di fallimento (+20%) e degli sfratti (+46%). Due elementi che fotografano l'impatto della recessione sui due
assi portanti dell'organizzazione sociale, famiglie e imprese. Colpite negli aspetti chiave della disponibilità di
una casa e della continuità aziendale. Ma si potrebbe aggiungere anche l'aumento dei ricorsi per decreto
ingiuntivo (+21%), a segnalare almeno i ritardi nei pagamenti da parte dei debitori.
E se il diritto non è per forza lo strumento migliore per scattare la fotografia della crisi a quest'altezza di
tempo, è altrettanto certo che può rappresentare un elemento per arrestarne un ulteriore peggioramento.
Insomma, dall'istantanea al cerotto. Facciamo un esempio. In parte il diritto fallimentare in questi anni ha
provato a lanciare segnali di resistenza, un po' all'insegna del paradosso un po' nel segno di un inevitabile
realismo. A volte anche eccedendo. Mentre il ministro della Giustizia Andrea Orlando annuncia una nuova
commissione per modificare la Legge fallimentare, le riforme di questi anni hanno in larga parte tracciato la
direzione. Che è stata prima quella di mitigare la risposta dell'ordinamento nei confronti del fallito,
trapiantando istituti come l'esdebitazione, indirizzati a non penalizzare troppo l'imprenditore che durante la
procedura si comporta correttamente e a permettergli una "seconda chance" per rimettersi in piedi. E poi,
negli ultimi anni, il rafforzamento di istituti come il concordato preventivo, anche anticipandone i tempi di
richiesta, e gli accordi di ristrutturazione. Avendo chiaro come obiettivo la garanzia della continuità d'impresa
(anche con misure discutibili come lo scioglimento dai contratti in corso).
Insomma, il diritto può essere utilizzato se non come leva per lo sviluppo - anche se certo il suo
malfunzionamento può rappresentare un freno, basti ricordare le ormai frequenti rilevazioni che segnalano il
gap di efficienza della nostra amministrazione della giustizia rispetto a quella di altri Paesi occidentali almeno come uno strumento per rallentare la gravità della caduta. Certo, è una visione emergenziale della
legislazione. Ma va anche ricordato che è quella più consueta per Governo e Parlamento. L'importante
sarebbe darsi delle priorità chiare e non invece contribuire alla confusione. Per cui un giorno l'emergenza è la
corruzione, il giorno dopo la lentezza dei processi, quello dopo ancora le regole di procedura.
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ANALISI
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Le ambizioni italiane tra i grigiori europei
Adriana Cerretelli
Se non avesse sollevato tanto in alto la barra delle ambizioni e delle aspettative, il semestre di presidenza
italiana dell'Unione europea avrebbe potuto concludersi come i tanti che l'hanno preceduto dopo la riforma
del Trattato di Lisbona: senza infamia e senza lode. E senza scandalizzare nessuno.
Da tempo infatti, da quando nel 2009 è stata creata la figura del presidente permanente del Consiglio
europeo, incarnata prima dal belga Herman Van Rompuy e ora dal polacco Donald Tusk, le presidenze
nazionali rotanti hanno perso peso e significato, si sono trasformate in una sorta di orpello istituzionale, che
teoricamente dovrebbe gratificare chi le detiene ma di fatto si riduce a un esercizio di mediazioni faticose e
senza gloria, dove la burocrazia spesso soverchia ogni velleità politica.
Sei mesi fa l'Italia è arrivata all'appuntamento forte dei successi di importanza storica del passato, ottenuti
però in un'altra Europa: più piccola e omogenea, più motivata e consapevole dell'enorme valore aggiunto del
proprio progetto integrativo. Fu infatti il colpo di mano dell'Italia di Bettino Craxi, che nel 1985 al vertice di
Milano mise in minoranza Gran Bretagna, Danimarca e Grecia, a dare il via alla riforma dell'Atto Unico, cioè
al Trattato che sette anni dopo avrebbe dato vita al grande mercato europeo senza frontiere.
Cinque anni dopo, nel 1990, fu sempre l'Italia, questa volta guidata da Giulio Andreotti, a posare al vertice di
Roma, ancora una volta nonostante il no della Gran Bretagna, la prima pietra del processo che si sarebbe
concluso 9 anni dopo con l'introduzione della moneta unica, l'euro.
Continua pagina 6
Continua da pagina 1
Con questi precedenti alle spalle, un'Europa in profonda crisi di identità e di futuro, un leader giovane, fresco
di nomina e ansioso di entrare da protagonista nel salotto buono della politica europea, era naturale che
l'Italia di Matteo Renzi sognasse di lasciare un'altra impronta storica nel destino di un progetto di integrazione
continentale in perdita di colpi eppure più necessario che mai nel mondo della globalizzazione e delle
destabilizzazioni multiple e sempre più ravvicinate.
Sognava di condurre l'Europa oltre le aride secche dell'economia, della finanza, dei teoremi rigoristi, di farle
ritrovare un'anima politica e il consenso della gente, un nuovo senso di direzione e di appartenenza: l'Unione
politica per farla tornare a esistere come realtà positiva dentro e fuori dalle mura di casa.
Forse voleva procurarsi solo un po' di buona propaganda o forse non aveva ancora preso bene le misure
dell'Europa con cui doveva fare i conti e dell'Italia che, in questa Europa, da decenni ha perso posizioni e
influenza politica ed economica.
Fatto sta che in questi sei mesi appena conclusi, l'Italia di Renzi ha svolto più che onorevolmente il lavoro di
routine della presidenza, quello decisional-legislativo, in particolare sui fronti della lotta all'evasione fiscale,
per un ambiente più pulito, strade più sicure, trasporti più efficienti e Ogm.
Non è invece riuscita a mettere in pista nessuna nuova iniziativa politica né a far compiere all'Unione nessun
salto di qualità per affrancarla dal grigiore, dal disorientamento e dalla profonda malfidenza reciproca in cui si
trascina, incattivita, ormai da troppi anni. Non è riuscita a fare squadra con la Francia di Francois Hollande né
a intendersi più di tanto con la Germania di Angela Merkel. Men che meno con la Spagna di Mariano Rajoi o
la Polonia dell'allora premier Tusk.
Anche le grandi e per molti aspetti sacrosante battaglie sulla crescita economica, sull'occupazione e sulla
flessibilità delle regole e dei patti europei hanno registrato solo il rumoroso festival delle parole. Per i fatti, se
mai ci saranno, bisognerà aspettare i prossimi mesi.
Il piano Juncker per far ripartire lo sviluppo in Europa con investimenti per 315 miliardi in tre anni partendo da
un capitale cash della Bei di 5 e da garanzie di 16 dal bilancio Ue, più che a una credibile operazione di
ingegneria finanziaria assomiglia per ora al gioco delle tre carte.
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BILANCIO DEL SEMESTRE
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Il Sole 24 Ore
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Sulla flessibilità delle regole, il grande cavallo di battaglia della presidenza italiana, bisognerà attendere la
comunicazione della Commissione Juncker entro la fine del mese per sapere quali saranno gli effettivi
margini di manovra in più per i bilanci nazionali. I segnali lanciati dall'ultimo vertice Ue di Bruxelles in
dicembre non sembrano molto aperturisti. Al contrario.
Anche il rinvio di tre mesi, che la Commissione Ue ha concesso a Italia, Francia e Belgio prima di emettere il
giudizio definitivo sulle rispettive leggi di stabilità, al momento costituisce solo una presunta prova di
flessibilità delle regole: bisognerà aspettare la verifica di marzo, la sentenza finale di Bruxelles prima e poi dei
ministri dell'Eurogruppo per capire se davvero le maglie del patto di stabilità saranno o no un po' allentate e
come.
In definitiva, a questa Europa alla deriva di se stessa nessuno, nemmeno la Merkel, oggi potrebbe illudersi di
poter imprimere all'improvviso uno strattone benefico capace di restituirle coesione e vigore. Nel suo
semestre Renzi non ha innestato la marcia indietro perché in realtà non ha mai potuto ingranare la marcia
avanti. Il che non ha impedito all'Italia di assolvere al meglio i compiti della sua presidenza Ue, nei margini
consentiti dall'Europa attuale.
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05/01/2015
Il Sole 24 Ore
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L'ANALISI
Più che di riforma, in materia di ammortizzatori sociali, lo schema di decreto sulla nuova indennità di
disoccupazione «Naspi» si presenta come un maquillage dei sussidi già introdotti dalla legge 92/2012.
La vera partita si giocherà quando il Governo metterà mano alla delega del Jobs act sul sistema delle
politiche attive ma altresì quando saranno definiti i nuovi criteri sui trattamenti previsti in costanza di rapporto
di lavoro (qui peseranno le decisioni sulle sorti della Cigs nelle cessazioni di attività).
In attesa che il mosaico si completi delle tessere mancanti, si può affermare come l'impianto della "vecchia"
Aspi sia stato mantenuto pressoché invariato: i lavoratori potranno comunque godere di una durata maggiore
della prestazione ed è confermata la possibilità di ottenere la liquidazione anticipata della Naspi per avviare
un'attività di lavoro autonomo o d'impresa individuale, ovvero per associarsi in cooperativa.
Per quanto concerne le cause di decadenza del sussidio, per avere il quadro completo si dovrà, appunto,
attendere l'emanazione di un decreto ministeriale attuativo: sarà questo provvedimento ad agganciare la
fruizione alla partecipazione agli strumenti di politica attiva che verranno messi in campo, tagliando fuori i
lavoratori che non ricerchino attivamente il reimpiego. Si tratta, in realtà, di un principio già istituito in
precedenti disposizioni di legge e nella prassi ma che non ha mai trovato una piena attuazione: quella del
Jobs act potrebbe essere l'ennesima occasione da non sprecare, per rendere finalmente efficiente il binomio
ammortizzatori sociali -politiche attive, come avviene in altri Paesi europei.
Anche la nuova misura dell'assegno di disoccupazione (Asdi) - rivolto a quei lavoratori "svantaggiati" che
hanno esaurito la Naspi - dovrà trovare le regole operative in un decreto Lavoro-Economia, finalizzato a
definire i parametri di concessione.
Diversamente, per quanto concerne i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto)
l'indennità una-tantum è stata sostituita da un nuovo sussidio, a copertura dell'anno 2015, in attesa della
modifica di queste forme contrattuali. In questo caso, la misura è operativa dal 1° gennaio scorso, mentre la
Naspi coprirà gli eventi da maggio 2015 in avanti.
Dall'analisi dei vari strumenti emerge, dunque, come ci si trovi di fronte a un cantiere ancora aperto: anche
sul pacchetto degli ammortizzatori che vengono concessi per supportare i lavoratori (e i datori) in costanza di
rapporto, nelle situazioni di crisi, è auspicabile un intervento rapido.
Né la legge di Stabilità né il decreto Milleproroghe hanno rifinanziato la proroga dei contratti di solidarietà per
le aziende fuori campo Cigs, né è stata confermata l'indennità "maggiorata" per i contratti di solidarietà delle
aziende che rientrano in detto perimetro: dopo le proroghe degli ultimi anni, infatti, l'integrazione torna alla
misura del 60% del salario perso. Un'inversione di tendenza che stupisce, poiché in contrasto con le stesse
linee di revisione di questi istituti tracciate nel Jobs act, e con la previsione della messa a regime di questi
trattamenti.
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Rota Porta
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Alla ricerca di politiche davvero «attive»
05/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 4
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L'ANALISI
Nei decreti che hanno riscritto le regole del finanziamento universitario, in fondo a una delle tante tabelle che
li accompagnano, si incontra un numero cruciale: 6,3 miliardi di euro. Tanto valgono i costi standard degli
atenei statali italiani secondo lo stesso governo che ha scritto il provvedimento. Questa cifra è importante
perché la «quota base» dell'assegno statale, cioè quella al netto dei «premi» che dovrebbero incentivare i
risultati di ricerca e didattica, si ferma oggi molto prima, e non va oltre i cinque miliardi. Tra le tante sfide
implicite dei costi standard, allora, c'è anche un significativo aumento delle risorse statali alle università, uno
dei classici investimenti che secondo il premier Matteo Renzi l'Europa dovrebbe trattare con più rispetto.
Messa così, nelle condizioni attuali del bilancio pubblico, questa può apparire come una provocazione, ma
non è il caso di accantonarla con sufficienza. In questi anni di lavorio sulle regole, a partire dalla riforma
Gelmini che è la madre dei costi standard, si è sempre detto che un aumento dei fondi alle università non
sarebbe stato opportuno prima di cambiare i criteri di finanziamento, perché altrimenti si sarebbe finito per
alimentare l'inefficienza. Seguendo questa impostazione, ora sarebbe tempo di proporne la conseguenza
logica: una volta a regime, la quota base dovrebbe coprire tutti i costi ritenuti standard, e quindi considerati
"giusti" dal Governo, e gli incentivi misurati sulle performance dovrebbero premiare solo chi davvero lo merita.
Per arrivare a questo risultato, però, oltre che al portafoglio statale occorrerebbe mettere mano anche a
qualche correttivo perché ancora una volta, sia nei costi standard sia negli incentivi, i professori pesano molto
di più degli studenti. Nel primo caso, la sproporzione è evidente. Lo standard è misurato sulla base del «costo
tipico» degli ordinari di ogni ateneo, e nelle solite tabelle si scopre che l'ordinario-tipo dell'Orientale di Napoli
costa 125.567 euro all'anno, mentre un suo collega della Parthenope, tre chilometri più in là, si ferma a
102.561. Questi 23mila euro che separano la Stazione marittima da Via Duomo si riflettono poi sugli standard
per i servizi didattici, i collaboratori, gli specialisti in beni culturali e scienze della formazione primaria e i tutor
dei corsi a distanza, tutti calcolati in proporzione sugli stipendi degli ordinari. In un sistema nel quale è ancora
l'anzianità a far crescere lo stipendio dei professori, tenere conto di queste differenze serve a non penalizzare
chi ha in ruolo ordinari meno giovani, ma gli effetti distorsivi sono evidenti. Nei premi al merito, poi, gli studenti
pesano solo per il 10% (121 milioni su 1,2 miliardi), e solo in relazione al fatto che abbiano partecipato a
programmi Erasmus: un po' poco per misurare davvero la «qualità della didattica».
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Trovati
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Una sfida coraggiosa che dimentica gli studenti
05/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Le scommesse del Jobs act
Piero Martello
Sarà opportuno attendere che lo schema di decreto attuativo del Jobs act adottato dal Consiglio dei ministri
del 24 dicembre acquisti forza di legge e finché non si avrà il testo definitivo in Gazzetta Ufficiale si potranno
fare solo valutazioni provvisorie. Tuttavia, alcune considerazioni di merito sono già possibili,immaginando che
il quadro definitivo non sarà molto diverso da quello attuale.
Si deve salutare con grande favore la previsione (articolo 12) che le disposizioni processuali della legge
Fornero del 2012 non saranno applicate ai futuri licenziamenti. Questa legge aveva introdotto un'ulteriore
fase sommaria inutile e anche dannosa, poiché aveva appesantito il processo del lavoro senza alcun
significativo beneficio per le parti. Tanto che era riuscita a far convergere nel giudizio negativo tutti i
protagonisti: avvocati e magistrati, lavoratori e datori, sindacati e Confindustria. Nessuno ne sentirà la
mancanza.
Altra novità positiva è la possibilità per il datore di revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla sua
impugnazione, senza sanzioni e col solo obbligo di pagare la retribuzione maturata nel periodo precedente la
revoca. Apprezzabile, inoltre, è la previsione di una procedura di conciliazione attivabile dal datore con
modalità molto semplici e senza le procedure previste finora.
Positiva, infine, l'estensione della tutela al licenziamento dei dipendenti delle «organizzazioni di tendenza»
(partiti politici, sindacati, associazioni culturali e di istruzione, istituzioni religiose). Per tali soggetti in
precedenza non era mai possibile la reintegrazione, ora consentita, pur nei limiti del decreto delegato. Era
una deroga anacronistica, che opportunamente viene soppressa.
Non poche perplessità suscita, invece, l'eliminazione di un giudizio di proporzionalità fra il fatto contestato e la
sanzione del licenziamento. Infatti, a meno che non venga imputato un fatto materialmente inesistente, al
datore non può essere imposta la reintegrazione, ma solo il pagamento di un'indennità, di due mensilità di
stipendio per ogni anno di servizio (comunque con il massimo di 24 mensilità). Ciò significa che anche in
presenza di un'infrazione lieve (ritardo sul lavoro, disobbedienza a un ordine di servizio) allorché il
licenziamento è sproporzionato rispetto alla gravità del fatto e viene inflitto in luogo delle sanzioni
"conservative" (ammonimento, multa, sospensione) nessuna conseguenza vi sarà circa la ricostituzione del
rapporto di lavoro. La novità pare significativa perché non solo riduce grandemente la valutazione
riequilibratrice del giudice ma, soprattutto, rende inutili i codici disciplinari contenuti nei contratti collettivi, nei
quali è prevista una stretta relazione fra gravità del comportamento e sanzione corrispondente. Almeno da
questo punto di vista, pare difficile parlare di tutela crescente. Al momento, tuttavia, paiono eccessivi i timori
di incostituzionalità, da qualche parte formulati.
Più fondati, invece, potrebbero risultare i dubbi sulla compatibilità dell'impostazione "monetizzante" con la
normativa europea. L'esperienza e l'effettiva applicazione consentiranno di valutare se la normativa delegata
avrà tenuto presente, e in che misura, uno dei postulati fondamentali della legislazione lavoristica: il principio,
cioè, per il quale il lavoratore è il contraente più debole nel rapporto di lavoro. Affermazione pacificamente
ammessa da giuristi, sociologi ed economisti e che importanti esponenti del Governo dicono di aver tenuto
presente.
Varrà la pena, poi, di esaminare un profilo ancora poco considerato. Si parla molto di flessibilità in entrata e in
uscita, cioè all'inizio e alla conclusione del rapporto di lavoro. Ma non si può fare a meno di considerare che
l'accentuazione della facoltà del datore di por fine al rapporto si riverbera anche sullo svolgimento del lavoro,
sul durante. Ènoto, infatti, che quanto più il lavoratore è esposto alla possibilità di essere licenziato, tanto più
si trova in una condizione di inferiorità (non solo psicologica) che lo porterà a non opporre resistenza anche di
fronte a eventuali decisioni del datore a lui sfavorevoli (assegnazione di mansioni inferiori, richieste eccessive
di lavoro straordinario, ritardi nei pagamenti ecc.)
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RIFORME IN CORSO
05/01/2015
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Naturalmente, un giudizio più completo richiede la valutazione complessiva di tutti i decreti delegati che
saranno emessi nella fase attuativa. E naturalmente il testo attuale presenta luci ed ombre; a qualcuno piace,
ad altri no. Ma di fronte a un nuovo testo di legge ci si deve comunque porre in atteggiamento positivo,
riconoscendo ruolo e funzione dei decisori istituzionali (Parlamento e Governo) cioè tenendo ben presente il
primato della politica cui spetta decidere quali diritti ampliare e quali comprimere, e quali tutele accordare a
essi. A tutti i destinatari, i giudici in primo luogo, spetta fare quanto è possibile perché la legge funzioni,
assicurando la tutela dei diritti riconosciuti a ciascuna parte.
Dopo il testo definitivo occorrerà monitorare quel che l'esperienza concreta farà emergere. Vale sempre la
"prova del cucchiaio": per sapere se il budino è buono non basta guardarne colore o forma, ma occorre
mangiarlo. È interesse di tutti che sia gustoso e che non risulti indigesto.
presidente del Tribunale del lavoro di Milano
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05/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 6
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Il Capodanno di Vincenzo e quello dei partiti
Lionello Mancini
Un anno fa, nel messaggio di Capodanno, il Presidente Giorgio Napolitano aveva letto alcune lettere inviate
al Quirinale da comuni cittadini. Tra questi Vincenzo, 61enne ex imprenditore marchigiano provato e
amareggiato dal peso della crisi, scriveva: «Non può essere che solo noi "semplici cittadini" siamo chiamati a
fare sacrifici. FACCIAMOLI INSIEME (maiuscolo nel testo ufficiale, ndr). Che comincino anche i politici».
«Mi sembrano un proposito e un appello giusti - aveva chiosato Napolitano - cui peraltro cercano di
corrispondere le misure recenti all'esame del Parlamento in materia di province e di finanziamento pubblico
dei partiti». Viene il magone per Vincenzo, al pensiero delle sfrontate resistenze mostrate per tutto il 2014
dalla politica, delle mediazioni e dilazioni cui è costretto chi vorrebbe agire. Province? Finanziamento ai
partiti? Riduzione di parlamentari e dei loro privilegi? Certo: come ha detto l'altra sera il Presidente, alcune
riforme sono state avviate. Ma senza alcuna collaborazione dall'insieme delle forze politiche che riescono
intanto ad azzuffarsi su alluvioni, antimafia, marò e Costa Concordia.
Eppure, lo ricordano tutti quel 20 aprile 2013, quando un migliaio di plaudenti parlamentari delle due Camere
veniva sferzato dal vecchio Presidente costretto a un altro mandato e giuravano che i livelli di ignavia
raggiunti sarebbero stati solo un ricordo del passato. Non è stato così: sacrifici durissimi sono continuati a
piovere su un solo versante - quello dei Vincenzo - e, anzi, nello stesso 2013 è iniziata l'ennesima frana della
credibilità degli eletti, con lo scandalo dei rimborsi della Regione Lazio, ben presto seguita da quasi tutte le
altre, in un'orgia di mutande verdi, vibratori, ostriche, suv e viaggi a nostro carico. Fino al recentissimo blitz
nel "mondo di mezzo".
Manette a parte, cos'è accaduto dopo gli scandali dei rimborsi regionali? Che fine hanno fatto, nei rispettivi
partiti, gli amministratori che ora tentano di cavarsela tra patteggiamenti e prescrizioni? È bene ricordare che
la mangiatoia della Regione Lazio - i rimborsi ai gruppi consiliari portati fino a 18 milioni l'anno - venne
apparecchiata da una serie di voti all'unanimità dei capigruppo, da Fi al Pd, da Storace a Sel. Capogruppo
del Pd era, in quegli anni, Esterino Montino, alle spalle una lunga carriera sia parlamentare sia nel partito.
Scoppia il caso Fiorito&Co., qualche mese dopo la Regione passa di mano e, nell'era Zingaretti, i rimborsi
vengono tagliati dell'80 per cento. E il Pd? Si è scusato? Ha sospeso qualcuno? Qualcuno si è ritirato a vita
privata? Solo per fare un esempio, Montino è stato candidato a sindaco di Fiumicino, carica che ricopre dal
giugno 2103. Che senso ha tutto ciò, rispetto al nuovo corso auspicato da Vincenzo (e da Napolitano) specie
alla luce di Mafia Capitale? O qualcuno vorrebbe sostenere che non c'è nesso tra questo garrulo Pd che
glissa sui curricula politici e penali dei suoi rappresentanti e l'abnorme turgore raggiunto dal "mondo di
mezzo"?
Sarà anche per questo che cinque giorni fa il nostro Presidente, rivendicato di «aver tenuto in piedi la
legislatura» e auspicata la rinascita della «politica nella sua accezione più alta», ha lasciato perdere i partiti e
si è rivolto ai cittadini invitandoli a fare ciascuno la propria parte per affrontare «le più gravi patologie di cui il
Paese soffre. A cominciare da quella della criminalità organizzata e dell'economia criminale; e da quella di
una corruzione capace di insinuarsi in ogni piega della realtà sociale e istituzionale, trovando sodali e
complici in alto [...]. Sì, dobbiamo bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società. E bisogna
farlo insieme, società civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna».
Purtroppo siamo tornati lì: a Vincenzo che chiede indignato alla politica di fare la sua parte.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IMPRESE & LEGALITÀ
05/01/2015
Il Sole 24 Ore - Risparmio & famiglia
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UN'OFFERTA CREATA A MISURA DI FAMIGLIA
Intervista
della settimana
I prodotti assicurativi con finalità protettive sono utili per garantirsi un capitale in caso di necessità, come per
esempio l'invalidità grave, ma anche per tutelare la famiglia. Sul mercato esistono diversi tipi di polizze, a cui
è possibile collegare eventuali garanzie accessorie, in base alle proprie esigenze. I costi? A portata di crisi.
«Una temporanea caso morte per un capitale assicurato di 100mila euro, per fare un esempio - spiega Laura
Balla, responsabile marketing e comunicazione per MetLife in Italia - ha un costo annuale di 92 euro a 10
anni e di 120 euro a 20 anni se l'assicurato ha un'età di 30 anni, non è fumatore e se svolge una professione
senza rischi. Parliamo di circa 10 euro al mese. Una spesa che una famiglia può sostenere e che offre
sicurezza nei momenti di bisogno».
Quali gli elementi da valutare nella scelta di una polizza su misura?
Sicuramente la composizione della famiglia. Le esigenze, infatti, cambiano in base alla numerosità del nucleo
familiare. Se ci sono dei figli, per esempio, può avere senso includere una garanzia anche a tutela dei
bambini. Inoltre, nella scelta della durata, della composizione del prodotto assicurativo e del capitale da
assicurare bisogna prendere in considerazione sia il reddito medio, ai fini della sostenibilità del premio, sia il
tenore di vita della famiglia. Naturalmente anche il tipo di attività lavorativa incide nella scelta della polizza. Se
si è lavoratori autonomi, a una polizza classica temporanea caso morte conviene sempre abbinare una
garanzia infortuni.
E per i lavoratori dipendenti?
I lavoratori dipendenti hanno altre esigenze e anche per loro può avere senso sottoscrivere un prodotto
assicurativo con finalità protettive. Il tema della tutela della famiglia, infatti, riguarda trasversalmente tutte le
persone, indipendentemente dal tipo di attività. Al di là dello stipendio certo, ci sono altre "esigenze" che
vanno tutelate. Come per esempio la casa. Se l'abitazione è stata comprata con un mutuo può avere senso
sottoscrivere una caso morte a copertura del finanziamento richiesto.
Quali, invece, le principali forme di garanzia per i bambini?
Noi abbiamo un prodotto, che si chiama "Protezione Junior", che viene spesso affiancata alla protezione dei
genitori. Con garanzie di questo tipo si va a coprire i bambini dai loro piccoli infortuni. Inoltre, in caso di
decesso dei genitori si garantisce loro un capitale, rivalutato del 3% su base annua, che viene erogato su
base mensile.
Esistono anche garanzia con finalità previdenziali, giusto?
Assolutamente sì. Un esempio in tal senso ci è dato dalla garanzia Long term care, che copre la perdita di
autosufficienza in caso di malattia, infortunio o vecchiaia. È un mercato in cui non siamo ancora presenti
come MetLife, ma è indubbio che, con una popolazione che invecchia, queste polizze hanno una loro utilità.
Per quanti anni conviene assicurarsi?
Normalmente le polizze vengono stipulate per una durata che supera i 10 anni (non si può mai superare l'età
massima assicurabile, che è di 80 anni, ndr), anche se è possibile sottoscriverle con cadenza annuale e
tacito rinnovo. Più si allunga la durata, comunque, più aumenta il costo della copertura assicurativa. Il
consiglio che posso dare, è di scegliere una durata più lunga quando si è giovani. Il costo, infatti, non dipende
solo dalla durata, ma anche dallo stato di salute e dalle aspettative di vita dell'assicurato.
Quali polizze stanno riscuotendo il maggiore interesse tra i vostri clienti?
Nel nostro campo, quello dei prodotti di protezione, c'è molto interesse per le assicurazioni caso morte e
invalidità permanente. La sensibilità verso queste forme di copertura è aumentata tantissimo negli ultimi anni.
Ma stiamo riscontrando un interesse crescente anche per prodotti, come New Protection, più orientati alle
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA LAURA BALLA RESP. MARKETING E COMM. METLIFE
05/01/2015
Il Sole 24 Ore - Risparmio & famiglia
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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imprese. Con strumenti di questo tipo si vanno a tutelare le aziende in caso del venir meno di figure
professionali chiave, siano essi semplici dipendenti, soci o amministratori. È un prodotto molto interessante
che stiamo spingendo sul mercato delle medie imprese. Di base il cliente non si impegna per una durata fissa
(il contratto viene rinnovato di anno in anno, ndr) e il piano dei premi, definito all'attivazione della polizza, non
cambia al variare dello stato di salute dell'assicurato. Inoltre, è possibile assicurare capitali fino a 10 milioni
per la garanzia di decesso e fino a 1 milione per l'invalidità permanente.
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03/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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La cavalleria invisibile
SEBASTIANO MESSINA
NESSUNO li nomina, qualcuno li aspetta, tutti li temono. I franchi tiratori sono la cavalleria invisibile che
disarciona con un solo colpo.
ALLE PAGINE 8 E 9 NESSUNO li nomina, qualcuno li aspetta, tutti li temono. I franchi tiratori sono la
cavalleria invisibile che disarciona con un solo colpo chi osa avventurarsi nella salita del Quirinale senza
essersi assicurato la fedeltà delle truppe. E mentre il quasi-presidente, colpito e affondato, riflette sul destino
cinico e baro, loro scompaiono senza lasciare traccia.
Chi erano, per esempio, e che volti avevano, quei 101 cecchini che due anni fa, la sera di venerdì 19 aprile,
impedirono a Romano Prodi di diventare capo dello Stato?E come si chiamavano, da chi erano comandati,
quei 224 franchi tiratori che il giorno prima avevano sbarrato a Franco Marini la strada che porta al Quirinale?
I sospetti abbondano, le certezze mancano. Sul campo resta solo qualche indizio, del tutto inutile per evitare
un'altra imboscata al giro successivo. Ecco perché oggi, quando manca meno di un mese alla prima
votazione del Grandi Elettori, le grandi manovre puntano innanzitutto a evitare questa trappola. Il ricordo di
quell'aprile di due anni fa brucia ancora, soprattutto nella memoria dei suoi protagonisti. E magari Pierluigi
Bersani si starà ancora rimproverando di aver sottovalutato l'ammutinamento del Capranica. E' la sera del 17
aprile, quando una tumultuosa assemblea dei parlamentari del centrosinistra accoglie le sue parole («Quella
di Marini è la candidatura più in grado di realizzare le maggiori convergenze...») con una valanga di dissensi.
«Non voterò mai per uno di quelli che hanno affossato l'Ulivo» annuncia la prodiana Sandra Zampa.
«E' un nome che divide» avverte Matteo Orfini a nome dei «giovani turchi», mentre Vendola e i suoi
abbandonano polemicamente la sala e arriva l'eco della stroncatura appena pronunciata da Matteo Renzi
davanti alle telecamere di Daria Bignardi: «Votare Marini significa fare un dispetto al Paese».
Forse, la vigilia del 18 aprile una data che alla sinistra non ha mai portato bene - se Bersani riflettesse bene
sul risultato della votazione segreta (solo 222 sì su 496) il segretario del Pd potrebbe ancora evitare il
massacro del giorno dopo. Ma il segretario del Pd decide di andare avanti, contando sui voti di Berlusconi: è
un disastro, persino la sua portavoce Alessandra Moretti (appena eletta deputata) gli volta le spalle. E Marini,
che sulla carta può contare su oltre 700 preferenze, si ferma a quota 521, uscendo di scena per la più
massiccia emorragia di voti nella storia delle elezioni presidenziali. «Qualcuno ha preparato tutto...»
commenta sconsolato in Transatlantico il suo fedelissimo, Beppe Fioroni.
Romano Prodi, al quale il giorno dopo tocca la stessa beffarda sorte, racconterà poi di aver previsto tutto.
Lui, dal Mali, ha cercato di mettere le mani avanti.
Aveva chiesto che i Grandi Elettori votassero a scrutinio segreto, come si faceva nella Dc, ma la sua
richiesta è stata aggirata con un'ovazione che deve suonare come una designazione plebiscitaria. Il
professore, comunque, ha accettato. Poi arriva quella telefonata. «Mi chiama D'Alema e mi dice: va
benissimo il tuo nome, tuttavia decisioni così importanti dovrebbero essere prese coinvolgendo i massimi
dirigenti. Allora ho capito tutto. Ho chiamato mia moglie e le ho detto: Flavia, vai pure alla tua riunione perché
presidente non divento di sicuro...». Quando si aprono le urne, ai voti del centrosinistra mancano 101 schede.
Il professore si arrende ma è furibondo. E chiede, in democristianese, le dimissioni di Bersani: «Chi mi ha
portato a questa decisione ora deve farsi carico delle sue responsabilità». Le ottiene, ma per lui la partita è
finita. Prodi, almeno, conosceva il rischio al quale andava incontro.
Carlo Sforza, invece, proprio non se l'aspettava. La Repubblica è appena nata e a lui, l'ex ministro degli
Esteri repubblicano che ha firmato il trattato di pace con gli Alleati, De Gasperi ha promesso il Quirinale. Sulla
carta avrebbe i numeri per mantenere la promessa. Ma alla sinistra dc - Fanfani, Dossetti e La Pira - quel
laico mangiapreti con la fama di dongiovanni proprio non va giù, e la mattina del 10 maggio 1948 dalle urne
escono solo 353 voti con il nome di Sforza, 98 in meno di quelli che serviranno dal quarto scrutinio.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'INCHIESTA
03/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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De Gasperi insiste, ma guadagna solo 9 voti, così manda il sottosegretario Andreotti, il segretario del partito
Piccioni e il capogruppo Cingolania spiegarea Sforza che la battaglia finisce lì.
«Come non detto, senza rancore» dice lo sconfitto con un sorriso tirato, ma Andreotti fa in tempo a scorgere
sulla sua scrivania il discorso che Sforza aveva già scritto per il giuramento: «Onorevoli colleghi, desidero
innanzitutto ringraziarvi...».
La volta successiva, fiutata l'aria, lo stesso Andreotti cerca di mettere le mani avanti e prova a convincere
Cesare Merzagora che non gli basterà l'appoggio del segretario Fanfani.
Merzagora però ignora l'avvertimento. Ed entra nella trappola invisibile dei franchi tiratori. Se ne accorge solo
alle 12,30 del 28 aprile 1955, quando scopre che mancano all'appello 160 voti dei parlamentari della Dc,
proprio quelli che avrebbero dovuto sostenerlo per primi. Sfidando gli ordini della segreteria, i ribelli
democristiani si sono accordati con l'opposizione. In favore di Giovanni Gronchi, che viene eletto alla quarta
votazione con 658 voti: Merzagora si era fermato a 245. «Mi sono fatto giocare come un bambino a
moscacieca» commenterà lo sconfitto.
Ma chi sono i franchi tiratori? Dissidenti in libera uscita? Peones insofferenti verso le gerarchie di partito?
Non sempre. Anzi, spesso sono stati proprio i leadera manovrarli come uno squadrone di cavalleria su un
campo di battaglia. Fanfani, Dossetti, La Pira, Andreotti, Donat Cattin, Piccoli, De Mita, Forlani: non c'è un
solo capocorrente democristiano che prima o dopo non abbia organizzato, sollecitato o addirittura ordinato
un'incursione dei franchi tiratori.
Persino Aldo Moro, quando nel 1964 decide di fermare la candidatura di Giovanni Leone, ricorrea
quest'arma inconfessabile. Convoca nel suo ufficio Carlo Donat-Cattin, leader di Forze Nuove, e gli dice
chiaro e tondo: «Leone non deve passare». Sono d'accordo, risponde l'altro, ma come facciamo? «Per
quanto mi riguarda io faccio il presidente del Consiglio. Quanto a voi, esistono dei mezzi tecnici». Mentre
scendono le scale di Palazzo Chigi,i colonnelli di Donat-Cattin gli domandano, perplessi: «Di quali mezzi
tecnici parlava?». «I mezzi tecnici - risponde lui - sono solo tre: il pugnale, il veleno e i franchi tiratori».
Leone resisterà per 15 scrutini, ma alla fine dovrà ritirarsi. «Per me - racconterà poi - quelle votazioni furono
un vero e proprio supplizio cinese. Era come se un burattinaio invisibile organizzasse la ballata delle schede
bianche per disorientare il Parlamento». L'uomo che più di ogni altro è finito nel mirino dei cecchini è
Amintore Fanfani, che per tre volte ha cominciato la corsae per tre volte s'è dovuto ritirare. Lui che aveva
organizzato i franchi tiratori contro Sforza e contro Leone, entra nella trappola la mattina del 9 dicembre 1971.
Il fatto di aver disarmatoi suoi cecchini contro Segni gli lascia sperare di poter contare sull'appoggio compatto
dei dorotei, quando scende in pista per la successione a Saragat. Ma si sbaglia.
Gli mancano 36 voti al primo scrutinio e altri 16 al secondo, sufficienti per fargli capire quello che un
impertinente grande elettore scrive sulla scheda imbucata nell'urna (annullata subito dal presidente della
Camera Pertini ma letta lo stesso da Fanfani, che gli sta accanto come presidente del Senato): «Nano
maledetto/ non sarai mai eletto». Si possono neutralizzare, i franchi tiratori? I democristiani ci hanno provato
spesso. L'ultima volta nel 1992, per difendere la candidatura di Arnaldo Forlani. La mattina del 16 maggio
1992 ognuno dei parlamentari dc sospettati di cecchinaggio riceve precise istruzioni, perché il suo voto sia
riconoscibile. Vengono utilizzate le infinite combinazioni ottenibili scrivendo con penna blu, verde, nera o
rossa tutte le formule ammesse, ovvero «Arnaldo Forlani», «Forlani», «on. Arnaldo Forlani», «on. Forlani»,
«Forlani Arnaldo», «Forlani on. Arnaldo», «on. Forlani Arnaldo» e «Arnaldo on. Forlani».
Ma non basta. Al candidato mancheranno 39 voti, e anche lui dovrà arrendersi ai franchi tiratori. L'unico che
sia riuscito indenne dalla trappola dei cecchini è Antonio Segni, uno dei rari candidati che ce l'hanno fatta come è successo anche a Giorgio Napolitano - con i soli voti della maggioranza di governo. Si comincia il 2
maggio 1962, e si capisce subito che la strada sarà in salita: servono 428 voti, Segni ne ottiene solo 333. I
franchi tiratori votano per Gronchi e per Piccioni. Per aiutare il candidato sardo, entra allora in azione quella
che viene battezzata "la Brigata Sassari" (Piccoli, Sarti e Cossiga), che s'inventa un metodo per neutralizzare
i cecchini: chiedere ai parlamentari di mostrare la scheda, con il nome già scritto, prima di imbucarla nell'urna.
03/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Però, dal momento che le schede vengono consegnate all'ingresso dell'aula, basta uscire e rientrare per
averne un'altra scheda. Così i più furbi mostrano la prima scheda con il nome di Segni e poi imbucano l'altra
che tenevano in tasca. Per impedirglielo, qualcuno ha l'idea di distribuire schede con il nome di Segni già
scritto, ma quando un segretario d'aula consegna una di queste schede "pre-votate" al senatore Antonio
Azara, l'opposizione se ne accorge e scoppia un tumulto. Che non basterà a impedire, la sera del 6 maggio,
la vittoria della «Brigata Sassari». E' la prima volta che i franchi tiratori escono sconfitti. Anche l'ultima, fino a
oggi.
Comesifa
unPresidente
I VOLTI ROMANO PRODI Sono stati 101 i "cecchini" che due anni fa, la sera di venerdì 19 aprile, hanno
impedito all'ex premier ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi di diventare capo dello
Stato FRANCO MARINI Sono stati 224 i franchi tiratori che il 18 aprile 2013 hanno sbarrato la strada del
Quirinale all'ex presidente del Senato Franco Marini. È stato il primo nome che il segretario Pd Bersani ha
candidato
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.quirinale.it
ALDO MORO Nel 1964 decide di fermare la candidatura di Giovanni Leone.
Convoca nel suo ufficio Carlo DonatCattin, leader di Forze Nuove in seno alla Dc, e gli dice: "Leone non
deve passare". E così sarà ARNALDO FORLANI Nel 1992 la Dc prova a difendere la candidatura di Arnaldo
Forlani facendo votare i "sospettati di cecchinaggio" in modo riconoscibile, usando penne blu, verdi, nere o
rosse.
Inutile: non sarà eletto ANTONIO SEGNI È l'unico dc ad aver scansato, nella sua corsa, il fuoco amico dei
franchi tiratori. Viene eletto presidente l'11 maggio del 1962 al nono scrutinio, con 443 voti su 842,
comprensivi del MSI e dei monarchici CESARE MERZAGORA Il 28 aprile 1955, il parlamentare Dc scopre
che mancano all'appello 160 voti proprio dei colleghi di partito.
Andreotti lo aveva avvertito che non sarebbe bastato il sostegno di Fanfani
Foto: L'AULA DEI 101 L'aula di Montecitorio al termine della votazione con cui nel 2013 i 101 franchi tiratori
affossarono la candidatura di Prodi
03/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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I muscoli di Eurotower
FEDERICO FUBINI
MARIO Draghi ha dichiarato a un quotidiano tedesco che non ha nessuna intenzione di diventare un uomo
politico. < PAGINA IN PRIVATO lo ripeteva da tempo e nelle prossime settimane i grandi elettori del
presidente della Repubblica in Italia non potranno che prenderne atto.
Dove l'aspirazione puramente da tecnico del presidente della Bce rischia invece di finire frustrata, è nel
mondo che gli è più congeniale: l'area euro e il futuro di una moneta della quale la crisi finanziaria ha esposto
tutta la fragilità. È in Europa, non in Italia, che la forza delle cose ha spinto Draghi ad assumere un ruolo
(anche) politico. In parte era già accaduto al suo predecessore, il francese Jean-Claude Trichet, perché la
Bce ha il potere determinante di creare moneta e impiegarla sui mercati del debito sovrano. Draghi in questo
ruolo si è poi ritrovato quando, nel 2012, arginò la crisi con l'impegno a comprare potenzialmente senza limiti i
bond dei Paesi che accettino la guida della troika.
Bastò la parola, per trasformare la psicologia degli investitori. Dietro però c'e"rano mesi di lavoro, tanto del
governo italiano quanto di Draghi stesso con Angela Merkel per guadagnarsi il sostegno della cancelliera.
Non è dunque una novità che Draghi in Europa sia un tecnico-politico, in supplenza di altre istituzioni che
sarebbero indispensabili ma non funzionano o non ci sono. Quello che sta succedendo in questo inizio del
2015 è però un salto di qualità. Draghi osserva: «Al fine di completare l'unione monetaria bisognerà rafforzare
ulteriormente l'unione politica, definendone diritti e doveri in un rinnovato assetto istituzionale». Non sono
parole vuote, è un pensiero strategico tutt'altro che improvvisato. In un'intervista rilasciata l'11 dicembre il
belga Peter Praet, uno degli uomini più vicini a Draghi nell'esecutivo dell'Eurotower, aveva detto che l'area
euro è afflitta da "difetti" perché «abbiamo una banca centrale molto forte, ma altre istituzioni sono rimaste
troppo deboli». Di conseguenza, aveva aggiunto Praet, «non siamo certo alla fine del percorso» di
costruzione dell'unione monetaria. La Bce sta chiedendo di non essere lasciata sola. Il suo messaggio fra le
righe è che questo tipo di architettura dell'euro rischia di non servire l'interesse dei cittadini né resistere ai
colpi della prossima recessione. Se c'è qualcosa che questi anni hanno dimostrato è che Eurolandia manca
degli strumenti perché i Paesi colpiti da uno choc economico possano reagire senza svalutazioni. La Bce non
poteva essere più esplicita nel chiedere ai governi di riaprire il libro della costituzione europea e completarlo.
Serve un governo comune più credibile in tutte le scelte di fondo che determinano la competitività e la
prosperità di un'economia a moneta stabile. Più Europa politica, e un passo indietro di tante piccole
"sovranità" nazionali che non si sono dimostrate davvero tali. Se Draghi arriva a chiedere una nuova
costituente per l'euro, è perché ritiene che questa sua richiesta possa essere in qualche misura ascoltata. In
una direzione o nell'altra, ne consegue che il 2015 sarà comunque un anno di svolta. E se questa è la scelta
della Bce, la banca centrale dovrebbe restarvi coerente nelle prossime settimane quando metterà a punto il
suo piano di acquisti di titoli di Stato da almeno 500 miliardi per combattere la deflazione. È noto che, quanto
a questo, esistono almeno due opzioni: l'Eurotower compra quelle obbligazioni, poi potrà mantenere in
comune il rischio di insolvenza che esse rappresentano o scaricarlo sulle banche centrali nazionali per i
rispettivi bond. Se passa la seconda opzione, il rischio d'insolvenza sui Btp italiani andrebbe tutto a carico
della Banca d'Italia e il governo dovrebbe ricapitalizzarla in caso di (ipotetico) default. Qualora la Bce
scegliesse questa modalità, l'Italia di Matteo Renzi arriverebbe alla riscrittura dei Trattato europeo più sola,
più debole e meno in grado di contare. Ma soprattutto, alzare nuovi compartimenti stagni fra nazioni nel
mercato del debito pubblico sarebbe in contraddizione con ciò che la Bce stessa chiede ai governi: passi
avanti, non passi indietro in Europa.
"Non è una novità che Draghi in Europa sia un tecnicopolitico, in supplenza di altri. Ma quello che sta
succedendo ora è un salto di qualità
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'ANALISI
03/01/2015
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"Il vento è diverso hanno tradito il Comune la pagheranno cara"
TOMMASO CIRIACO
A PAGINA 5 "Il vento è diverso hanno tradito il Comune la pagheranno cara" ROMA. Risuona l'ultima
chiamata del volo interno per Boston. A Roma Ignazio Marino si è lasciato alle spalle un nuovo inferno.
«Vado a trovare alcuni amici ad Harvard.
Qualche giorno di vacanza, poi si ricomincia». Anche il Capodanno gli è andato di traverso. Colpa di quel
mostruoso 83% di vigili urbani in malattia, uno scandalo che ha macchiato l'ultima notte del 2014. «Le
sanzioni saranno severe - promette - Altamente severe».
Fino ai licenziamenti? «Servono segnali esemplari».
Partiamo da quell'83%, sindaco, perché umilia la Capitale e chi lavora. Che effetto le fa? «Sono rimasto
molto male. Nella stragrande maggioranza dei casi i dipendenti del Comune e i lavoratori della polizia locale
sono persone per bene. Il passaggio festoso dal 2014 al 2015, in un momento di grave crisi economica e
morale di Roma, era un evento a cui lavoravamo da tempo. Avevo chiesto a tutti di fare la propria parte.
Come diceva Mandela, "se ognuno facesse il proprio dovere quotidiano, la comunità sarebbe migliore". E
invece...».
Altro che Mandela. Centinaia di certificati medici.
«Umilia chi lavora il fatto che un certo numero di persone abbia voluto fare un atto così ingiusto e lesivo per
la città. È uno sberleffo che non si possono permettere».
E come reagisce l'amministrazione? «Ho subito dato disposizioni al comandante della polizia locale
Clemente e al vice capo di gabinetto Matarazzo di aprire l'indagine sui certificati di malattia e su questo
improvviso desiderio di donazione di sangue nella notte di Capodanno. Nelle prossime ore avremo i primi
riscontri, così sapremo quanto c'è di vero o di falso in questa improvvisa epidemia».
È possibile che si arrivi fino al licenziamento? «Verranno prese le sanzioni che la legge consente. Saranno
giuste, ma altamente severe».
Ma è ipotizzabile il licenziamento per chi ha sbagliato? «Lo potremo dire dopo che sarà completato il lavoro
di indagine del comandante Clemente e degli uffici. Io credo che vadano dati segnali esemplari».
A proposito: dopo il Jobs act, il governo prevede nuove misure anche per gli statali.
«Sostengo lo sforzo di Renzi.
Ringrazio lui e Madia per essersi associati alla fermezza del Comune su questa vicenda».
Resta una domanda che la chiama in causa: come è stato possibile tutto questo? «Di certo quanto accaduto
dipende anche dal fatto che ho voluto riscrivere il contratto decentrato e il salario accessorio per i dipendenti
del Comune. Prima, ad esempio, c'era un'indennità notturna che per la polizia locale partiva dalle 16 dei
giorni feriali: inaccettabile. Ho cancellato questi privilegi dicendo: "Chi si impegna di più guadagna di più, chi
lavora di meno abbia di meno". Ad alcuni questo metodo non è piaciuto».
Sta ipotizzando una ritorsione dei dipendenti? «È sicuramente una ritorsione.
D'altra parte, alcuni si sono precipitati la notte del 31 per garantire la sicurezza dei cittadini, altri non si sono
impegnati allo stesso modo e altri ancora hanno tradito il Corpo, il Comune e i romani».
Cosa ha fatto per prevenire questo spettacolo desolante? «Ero così preoccupato che il 30 ho chiesto la
convocazione del comitato per l'ordine e la sicurezza.
I vigili hanno risposto che non potevano perché sarebbero stati in assemblea fino alle 2 del mattino del 31.
Allora il prefetto ha cancellato l'assemblea. E a quel punto c'è stata la scelta della malattia».
Scusi, ma non ci sono responsabilità dell'assessore competentee del comandante dei vigili? «L'assessore
competente, sono io. Quanto al comandante, la responsabilità è quella di fare ogni sforzo per rendere il
lavoro dei vigili più efficiente e rispondente ai bisogni dei cittadini. E in questo senso voglio ricordare che con
Clemente abbiamo deciso la rotazione della polizia locale, perché c'era chi lavorava da un terzo di secolo
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IGNAZIO MARINO LE INTERVISTE
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nello stesso quartiere...».
Non saranno troppi i dipendenti della polizia locale? «Sono 6.200. Sembra un numero elevato, ma in realtà
non lo è. Il problema, piuttosto, è che ci sia rigore ed efficienza sul posto di lavoro». Sempre il 31 sera si sono
verificati gravi casi di assenteismo per la metropolitana.
«L'intervento dell'assessore Improta andrà nella direzione di una grande severità. In Ama e Atac abbiamo già
provveduto a licenziamenti, nei mesi passati. Il vento deve cambiare, chi non ha voglia di lavorare deve
accomodarsi alla porta. Questi dipendenti fanno vergognare gli altri che lavorano». Marino, il suo 2014 è stato
un incubo: prima i suoi problemi politici, poi lo scandalo di Mafia capitale, infine i vigili che le si rivoltano
contro.
«Da medico so che il cambiamento è la cosa più difficile da accettare. Si sa, cambiare provoca reazioni
violente».
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.sceltacivica.it
La rivolta è nata perchè ho eliminato l'indennità pomeridiana: un benefit assurdo
03/01/2015
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Licenziamenti più facili e controlli medici all'Inps nel piano di Palazzo
Chigi
LUISA GRION
ROMA. La malattia di massa dei Vigili romani nella notte di Capodanno ha dato la spinta finale: il governo
modificherà le norme del lavoro nel pubblico impiego, come già previsto dalla legge delega Madia che
riprenderà il suo iter a febbraio. Il piano passerà attraverso un emendamento dell'esecutivo che potenzierà i
controlli sui certificati medici del settore pubblico affidandoli all'Inps (oggi ci pensano le Asl). Allo stesso
tempo ogni singola amministrazione dovrà dotarsi di Commissioni ad hoc per valutare il comportamento dei
dipendentie decidere sull'eventuale licenziamento evitando così possibili personalizzazioni- abusi e ripicche
per esempio - da parte dei dirigenti. Ciò farà sì che nel lavoro pubblico il licenziamento per scarso rendimento
diventi più facile: in teoria già oggi è possibile praticarlo, ma le regole fissate sono rimaste sulla carta. Il nuovo
corso era stato annunciato da Renzi nella conferenza stampa di fine anno («i fannulloni del settore pubblico
vanno puniti», aveva detto), ma i fatti di cronaca hanno accelerato l'intenzione. Ora il governo pensa ad un
emendamento da presentare alla legge Madia che da un lato potenzi le norme già previste dalla legge
Brunetta e dall'altro intervenga radicalmente sui controlli dei certificati medici. «Bisognerebbe affidarli all'Inps,
otterremmo una qualità migliore e risparmieremmo», ha detto il premier Renzi ai suoi.
Di fatti il caso dei Vigili e degli autisti Atac a Roma è solo la punta di un iceberg. Da quanto risulterebbe ai
tecnici di Palazzo Chigi, fra il 2012 e il 2013 il numero complessivo di certificati di malattia, nel settore
pubblico, è aumentato del 27%. Svanito l'effetto Brunetta, che sulla salute cagionevole dei dipendenti pubblici
aveva centrato la sua battaglia (il governo Berlusconi di cui era ministro della Funzione pubblica è caduto nel
novembre 2011), le assenze sono lievitate. Il controllo dei certificati medici è un problema: oggi, per quanto
riguarda i lavoratori statali, sono affidati alle Asl. L'Inps valuta solo quelli dei dipendenti privati per un costo
annuo di 25 milioni. Secondoi dati del governo, le Asl controllano certificati "pubblici" per un costo che arriva
ai 70 milioni, ma sono la metà di quelli visti dall'Inps: affidare all'istituto anche la verifica della parte pubblica
permetterebbe di migliorare la qualità delle indagini (l'istituto ha anche un sistema informatico d'avanguardia)
e di risparmiare 60 milioni. Una rivoluzione del genere, in realtà, potrebbe presentare qualche problema, visto
che solo qualche mese fa l'istituto di previdenza si lamentava del taglio di risorse pubbliche praticato dal
governo riguardo alle visite fiscali (oggi i medici convenzionati e autorizzati a farle sono circa 1.500 e sono
pagati secondo un preciso capitolato), ma la svolta è assicurata. E verifiche dei certificati a parte, il
potenziamento dei controlli passerebbe anche attraverso interventi nella governance delle singole
amministrazioni prevedendo Commissioni di valutazione che garantiscano l'imparzialità delle decisioni (la
stessa riforma Madia già affida a una Commissione le valutazione sul merito e sul licenziamento dei dirigenti).
Oggi infatti il licenziamento per scarso rendimento nel settore pubblico è previsto dalla riforma Brunetta del
2009. La legge però è poco applicata, visto che tutta la partita riguardante la produttività del pubblico impiego
doveva andare di pari passo con un rinnovo dei contratti pubblici che non c'è mai stato (le buste paga degli
statali sono ferme da annie continueranno ad esserlo anche nel 2015). Se si dimostra la parzialità del
giudizio, cosa non troppo difficile a farsi, il licenziamento è considerato illegittimo e il reintegro sul posto di
lavoro pubblico è assicurato.
«E' impensabile che la decisione di licenziare un dipendente pubblico possa essere affidata ad un dirigente afferma Filippo Taddei, responsabile economico del Pd - Ciò non avviene nemmeno nei sistemi di
amministrazione pubblica più verticalizzati, come quello francese». Ma «il governo non avrà timidezze nel
riformare il pubblico impiego, pur collocando gli interventi nel giusto ambito: quella della più complessa
riforma Madia». Una riforma che per Taddei ha due obiettivi: «Facilitare la riorganizzazione della Pubblica
Amministrazione senza prevedere licenziamenti, ma ricollocando i dipendenti negli uffici dove ci sarà più
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IL RETROSCENA
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bisogno, e garantire sanzioni chiare e certe contro i disservizi e gli inadempimenti degli obblighi contrattuali.
Ci sono stati casi in cui sono stati riammessi al lavoro dipendenti che avevano compiuto reati: ciò non dovrà
più essere possibile. Dovrà essere garantita la sanzione, come il riconoscimento del merito». In teoria per
definire l'articolo 13 della legge delega Madia (che prevede il riordino della disciplina dei dipendenti pubblici) il
governo avrebbe 24 mesi di tempo. Palazzo Chigi già aveva detto di voler procedere in fretta, il caso Roma
ha accelerato i tempi.
Tra il 2012 e il 2013 il numero complessivo di certificati di malattia nel settore pubblico è aumentato del 27
per cento I CASI I VIGILI DI ROMA Nella notte di San Silvestro si sono assentati per malattia in 835, su mille
chiamati a lavorare I NETTURBINI DI NAPOLI Nella notte del 31 c'erano 200 assenti per malattia. Ma per il
Comune il dato è "fisiologico", un tasso dell'8,6% GLI AUTISTI DELL'ATAC Solo 7 autisti della Metro A
presenti nella notte del 31 a Roma, su 24 che avrebbero dovuto lavorare. Rallentate le corse SOTTO
SCORTA Al sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova da alcuni giorni è stata assegnata una scorta.
L'allarme è scattato dopo le minacce ricevute per il suo impegno sul Jobs Act. "Ho fiducia nello Stato e
continuerò a fare il mio lavoro", dice il sottosegretario LE MINACCE
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Il premier chiude il forno grillino: accordi tra i Dem e con Forza Italia
Il "contromessaggio" dell'ex comico ha convinto Renzi che non ci sono margini di intesa
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA. Inutile girarci intorno: per la partita del Quirinale il dialogo con Beppe Grillo non c'è.
Può essere usato come arma di convinzione nei confronti di Forza Italia. Serve forse per rispettare il galateo
istituzionale che impone di guardare a tutto il Parlamento quando si decide una figura di garanzia come il
presidente della Repubblica.
«Ma la verità è che i veri e unici due forni con cui costruire una platea di voti utili per il capo dello Stato sono
Berlusconi e la minoranza del Pd», spiegano a Palazzo Chigi.
Con questi due soggetti il premier deve preparare il terreno che conduca verso una soluzione senza intoppi e
senza traumi, nel ricordo del tremendo caos del 2013. Peraltro, è il ragionamento di Renzi, il Movimento 5
Stelle ha avuto la chance di entrare nel gioco del Colle. «Bastava fare un'aperturaa Prodi qualche giorno fa»,
ricorda il premier ai suoi collaboratori. Avrebbe messo in grossa difficoltà l'architrave del patto del Nazareno e
aperto un dibattito dentro il Partito democratico che poteva andare molto oltre Pippo Civati e i suoi
parlamentari. Non è andata così. Grillo ha detto no al Professore, sprecando l'occasione, se non altro, di
seminare il panico. Le sponde su cui l'ex sindaco di Firenze può fare affidamento restano Forza Italia e gli
oppositori del Pd. Trovare un punto di equilibrio con loro è la strada obbligata per arrivare al traguardo già alla
quarta votazione con il quorum della maggioranza assoluta, se non prima. A Palazzo Chigi hanno visto il
catacombale messaggio di Capodanno di Grillo e hanno capito definitivamente che non ci sono margini.
Le date sono scolpite nell'agenda di gennaio del premier. Il 14 Giorgio Napolitano firmerà le dimissioni. Due
settimane dopo, il 29, un giovedì, cominceranno le votazione in seduta comune per la successione a
Napolitano. È il calendario che in via riservata il capo dello Stato ha comunicato al governoe ai capigruppo
dei partiti. Nelle intenzioni di Renzi, almeno pubblicamente, il grande ballo per il nuovo presidente parte il 25
o il 26 gennaio quando verrà convocata l'assemblea dei grandi elettori democratici per trovare un identikit
condiviso, ovvero il nome o la rosa dei nomi firmata Pd.
Prima vengono gli impegni internazionali del premier che sarà il 20 e il 21 a Davos e il 22-23 a Firenze per
un decisivo bilaterale con Angela Merkel. Prima, soprattutto, vanno approvate le riforme: la legge elettorale al
Senato e la legge costituzionale alla Camera. «La richiesta di Brunetta è campata per aria e irricevibile», dice
Renzi ai suo interlocutori. Ovvero non è possibile un rinvio del "pacchetto" a un momento successivo alla
partita del Colle.I tempi infatti sono già decisi, sono contingentati e i due provvedimenti verranno votati in
tempo per il 29. Che poi le trattative sull'Italicum e sull'abolizione di Palazzo Madama possano intrecciarsi alle
ricognizioni sulla presidenza della Repubblica è un altro discorso.
Ma Renzi è convinto di poter usare questa sovrapposizione a suo favore. A partire dalla clausola sull'entrata
in vigore della legge elettoralea fine 2016. Non sorprende che il premier voglia che sia discussa alla fine del
percorso.È il modo per garantire pochi scossoni con gli emendamenti e per fare un "regalo" finale ai
parlamentari che non vogliono lasciare il seggio in anticipo sulla fine della legislatura.
Per fare un esempio: la clausola è vitale per la battaglia che Raffaele Fitto sta facendo dentro Forza Italia. E
potrebbe convincerlo a non fare scherzi quando si voterà il capo dello Stato.
Renzi nonè rimasto spiazzato dalle dichiarazioni di Mario Draghi. Il governatore della Bce serve all'Italia più a
Francoforte che al Quirinale perché il muro dell'austerità alzato dai Paesi del Nord Europa, Germania in testa,
è sempre altissimo e il governo italiano ha bisogno di alleati di peso nelle istituzioni continentali. Il premier
continua a non escludere un tecnico tra i candidabili ma il ricorso a Draghi avrebbe anche il sapore di una
sconfitta della capacità di mediazione renziane. Sarebbe una carta da ultima spiaggia e lì Renzi non vuole
davvero arrivare. Qualche segnale del clima che si respira nel Pd il premier se lo aspetta mercoledì quando
con lui saranno riunitii gruppi di Camera e Senato per fare il punto sulle riforme. Sarà l'occasione per
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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annusare l'aria che tira, verificare se la calma piatta di questi giorni annuncia una tempesta per fine mese,
protetta dal voto segreto. Palazzo Chigi ha abbandonato da tempo l'idea di un "presidente del governo", vale
a dire di un capo dello Stato che segue la linea dell'esecutivo e basta. «Non conviene né a Berlusconi né alla
minoranza dem», osserva un deputato non renziano. E quindi rovina la teoria dei due forni utili a eleggere
l'inquilino del Colle evitando patatrac.
I bersaniani chiedono un nome autorevole, autonomo e politico. Si sente, nei loro ragionamenti, un po' di
rimpianto per la decisione che portò Laura Boldrinie Piero Grasso ai vertici delle Camere. «Mosse che
rispondevano alle inquietudini dell'opinione pubblica, dimostrata dal risultato grillino, ma stavolta dobbiamo
evitare reazioni impulsive». Un candidato che venga dal mondo degli ex Ds sarebbe ancora più gradito. In
questo caso, la scelta si riduce a tre nomi: Walter Veltroni, Piero Fassinoe Pier Luigi Bersani. Nello schema,
agli occhi del premier-segretario, i primi due sarebbero in netto vantaggio sul terzo. Lo hanno sostenuto alle
primarie mentre l'ex leader è ancora oggi il principale punto di riferimento dell'area critica.
E sullo sfondo resta la candidatura di Piercarlo Padoan, tecnico però legato al mondo della sinistra. Con uno
sponsor pesante quale è Napolitano, che ne esalta le qualità anche in privato. IL NO DI DRAGHI "Non voglio
essere un politico. Il mio mandato di presidente Bce prosegue fino al 2019". È la risposta di Mario Draghi, in
un'intervista al giornale tedesco Handelsblatt, a una domanda su un suo possibile impegno politico in Italia
LA FRASE
Foto: PREMIER Il presidente del Consiglio Matteo Renzi è atteso da un mese cruciale: riforme, Italicum, e poi
l'elezione del nuovo presidente della Repubblica A destra Silvio Berlusconi
03/01/2015
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"Scelta Civica è finita noi dobbiamo entrare nel partito di Matteo"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Entro gennaio un congresso deciderà il destino della morente Scelta civica. E c'è chi, come il
sottosegretario agli Esteri e montiano doc Benedetto Della Vedova, propone un nuovo movimento riformatore
che sostenga l'agenda Monti e tifi per la leadership di Matteo Renzi. «Sarebbe velleitario tentare di rilanciare
Sc, facendone un partito dei duri e puri. Piuttosto che dividerci ulteriormente, proviamo a valorizzare - come
ha fatto Ichino sul Jobs act e P.A. - quel che di buono c'è: l'agenda Monti, i gruppi parlamentari e il governo».
Quindi la storia di Sc è finita, Della Vedova? «Una premessa: se questa legislatura produce e produrrà
riforme, è grazie all'energia di Renzi, all'impegno di Napolitanoea quello di Monti. Senza il 10% di Sc, ci
sarebbe ancora il centrodestra o un Pd senza Renzi. Ciò detto, dobbiamo considerare Scelta civica un
progetto che inizia e finisce in questa legislatura. Non siamo stati capaci di trasformare quel 10% in opzione
politica, certo nonè possibile farlo adesso. Serve un progetto più ambizioso». Vale a dire? «Diamoci tempo
fino alla fine del 2015 per promuovere la costruzione di un nuovo movimento riformatore, che non può essere
Scelta civica.
Chiamando chiunque sia interessato, fuori o dentro Sc, su basi paritarie e senza posizioni predefinite».
Scusi, non vorrà lanciare un altro partitino? «Di certo rilanciare Scelta civica significherebbe dare vita a un
altro partitino. I dati delle Europee sono stati impietosi».
Lo sbocco di questo percorso potrebbe essere il Pd? «La politica è in movimento. Vedremo quale legge
elettorale ci sarà, i leader in campo. Chi è in Parlamento grazie a Monti si sente leale al governo e vuole
rafforzare la leadership riformatrice di Renzi, ma per farlo bisogna scontrarsi quotidianamente con una parte
del Pd...».
Insomma, lei starebbe nel partito di Renzi ma non nell'attuale Pd di Renzi? «C'è una parte di opinione
pubblica che guarda con favore a Renzi, al suo spirito europeista, senza però riconoscersi nel Partito
democratico».
Le sue idee sono condivise da Monti? «Non credo che sia giusto coinvolgerlo in questa diatriba, visto che ha
lasciato la leadership ben prima delle Europee». PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it
www.sceltacivica.it Non ha senso rilanciare un partitino bocciato alle ultime Europee serve più ambizione
Foto: SOTTOSEGRETARIO Benedetto Della Vedova sottosegretario ed esponente di Scelta civica
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'INTERVISTA/ BENEDETTO DELLA VEDOVA
03/01/2015
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Bini Smaghi: "Non si torna più indietro ma pesano le incertezze della
Grecia"
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «Quello cheè successo nelle prime ore di contrattazione del 2015, dimostra una volta di più che il
quantitative easing la Bce lo deve fare. Ormai i mercati se lo aspettano e la Banca centrale non può più tirarsi
indietro, deve superare le divisioni al suo interno e procedere con un annuncio stavolta ufficiale già nella
prossima riunione del 22 gennaio. Non può restare paralizzata». Lorenzo Bini Smaghi i meccanismi e le
ritualità della Bce li conosce bene per essere stato membro del board dal giugno 2005 al novembre 2011, gli
anni della crisi dell'euro ancora irrisolta. «Prendemmo decisioni drammatiche con un dibattito interno
accesissimo, come l'acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà fra cui l'Italia dell'estate del 2011. Anche in quel
caso il pericolo di tirare per le lunghe aggravando i danni era forte. Ma alla fine decidemmo.A maggioranza,
come avviene in tutte le banche centrali, senza inseguire utopistici unanimismi».
Ma perché Draghi ad ogni uscita, compresa quella sull'Handelsblatt, sottolinea che c'è unanimità quando poi
il giorno dopo Weidmann prende le distanze? «C'è unanimità sulla necessità di fare qualcosa di più degli
acquisti di Abs e covered bond, dei finanziamenti "Tltro" superagevolati alle banche, dei tassi negativi sui
depositi presso la Bce. Quando si passa al quantitative easing, i tedeschi si dicono contrari ma non danno
soluzioni alternative. Secondo me,e anche-a giudicare da quello che dice - secondo Draghi, non ci sono
controindicazioni al "Qe"». Per la verità diversi economisti sono scettici. Il Nobel Robert Engle dice che
vedremo in America gli effetti negativi del "Qe" appena concluso, Roubini vede il pericolo di bolle speculative
dietro l'improvvisa abbondanza di liquidità.
«Gli eventuali, e tutti da dimostrare, effetti collaterali, sono assai inferiori ai benefici. L'America procedea
pieno regime, lo stesso la Gran Bretagna. Nell'area euro la stagnazione prosegue e la deflazione è alle porte,
e non c'è altro modo per combatterla che creare più liquidità. Va fatto in misura adeguata, cioè abbondante:
la cifra indicata da Draghi di circa un trilione dovrebbe essere sufficiente. Le altre misure, dagli Abs ai Tltro, si
sono rivelate lente e difficili con una deludente risposta dal mercato. Il bilancio della Bce, e quindi la moneta
in circolazione, non riesce ad aumentare verso i livelli ritenuti adeguati: non rimane che l'acquisto di titoli di
Stato. Non è una decisione da prendere a cuor leggero, ma è stata annunciata così tante volte che non
attuarla darebbe luogo a reazioni incontrollabili dei mercati».
Cosa deve accadere perché la situazione si sblocchi? «Il voto contrario di qualche membro, anche tedesco,
non può bloccare la decisione. Conta di più il placet politico della Merkel, che di fatto c'è già stato nel
Consiglio Europeo di dicembre. E' lo stesso schema del 2010 quando la Bce decise di intervenire per
acquistare titoli greci, del 2011 quando acquistò titoli italiani e del 2012 quando Draghi annunciò interventi
illimitati. In tutte le occasioni ci fu qualche voto contrario ma nessun veto, e ogni volta la Merkel ribadì che
l'autonomia della Bce andava rispettata. Sarà così anche stavolta sempre che si rompano gli indugi, in fretta
perché vanno schivati gli appuntamenti insidiosi che incombono come le elezioni greche e l'imminente
pronuncia della Corte di Giustizia sull'Omt, il sostegno illimitato di un Paese a rischio. Se la Corte avanzasse
dei dubbi, potrebbe tornare tutto in discussione con effetti devastanti».
E il fattore-Grecia, anzi il fattore-Tsipras? «Le richieste di cancellazione del debito greco sono un problema
per la Bce. Chi si accollerebbe le perdite? Si potrebbe prevedere una clausola per cui se il governo che
uscirà dalle elezioni farà qualche mossa unilaterale tipo l'autocondono dei debiti o l'abbandono del
programma della Troika, Atene sarà esclusa dal "Qe". Ma significherebbe l'uscita dall'euro. Tsipras dice che
non vuole arrivare a questo perché sa che i greci vogliono restare nell'euro, ma allora deve rivedere in modo
chiaro le sue richieste». Il solito Weidmann chiede di più, che sia distribuito Paese per Paese il rischio: se
falliscono i Bot, deve vedersela l'Italia.
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L'INTERVISTA/ IL PRESIDENTE SNAM: "C'È IL PLACET DELLA MERKEL, IL VOTO NEGATIVO DI
WEIDMANN NON PESERÀ"
03/01/2015
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Pag. 10
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«In questo caso il "Qe" fallirebbe. Finora i rischi della politica monetaria sono stati condivisi. Se da ora in poi
le cose cambiassero, il mercato reagirebbe in modo negativo. I tedeschi hanno ragione ad insistere che la
politica monetaria non si deve sostituire alle riforme, ma molti Paesi stanno finalmente procedendo nella
giusta direzione, a partire dall'Italia. L'approvazione del Jobs Act è un punto importante. E l'affermazione di
Renzi che non ci si ferma qui ma anzi si accelera con le riforme dovrebbe dimostrare ai tedeschi che ognuno
sta facendo la sua parte. Anche la Bce deve fare la sua».
CLAUSOLA TSIPRAS
Va chiarito che se Atene prende misure unilaterali sul debito esce dall'euro e dal sostegno della Bce
RISCHIO NAZIONALE
Se il rischio sui bond passasse ai singoli Paesi l'operazione fallirebbe La politica monetaria deve
essere condivisa
Foto: Lorenzo Bini Smaghi è stato vicepresidente della Bce
03/01/2015
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Pag. 13
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"Queste sono le conseguenze della fine di Mare Nostrum"
VLADIMIRO POLCHI
ROMA. «La nuova rotta dei cargo? È figlia della chiusura di Mare nostrum ». Carlotta Sami, portavoce Unhcr
per il Sud Europa, non è sorpresa: «Lo sapevamo che i trafficanti avrebbero cambiato luoghi d'imbarco».
Dobbiamo aspettarci un cambio delle rotte? «Quello dei cargo è un trend partito a settembre e destinato ad
aumentare. Con la fine di Mare nostrum , il primo novembre scorso, continuerà a crescere la pressione
migratoria su Grecia e Turchia e gli imbarchi da quei Paesi verso l'Italia».
Mare nostrum ha incrementato i flussi verso la Sicilia? «No, Mare nostrum ha consentito di salvare molte vite
e di arrestare oltre 300 scafisti.
Perché si andava in mare aperto con navi provviste di un presidio militare, sanitario e di polizia. Ora invece si
rimane dentro le 30 miglia e non si riescono più a intercettare le navi con i trafficanti a bordo».
I cargo nello Ionio sono più sicuri delle vecchie carrette che partono dalla Libia? «Lo sarebbero. Ma si tratta
di vecchi mezzi in dismissione, privi di attrezzature elettroniche e di radar, che vengono stipati all'inverosimile.
Così aumenta il rischio di tragedie».
Foto: LA PORTAVOCE Carlotta Sami, 43 anni, portavoce dell'Unhcr
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L'INTERVISTA / CARLOTTA SAMI, UNHCR
03/01/2015
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"Vado avanti per la mia strada quel piano consuma il suolo io devo
difendere i cittadini"
(ale. co.)
SINDACO Conti,è turbata da queste pressioni che arrivano dal Pd, il suo partito? «Preferisco non entrare nel
merito, sono serena e concentrata e vado avanti per la mia strada perché sono certa di avere ragione. Spero
solo che tutti possano lavorare bene. Inoltre ho fiducia nella magistratura che valuterà quanto è successo».
Perché ha deciso di opporsi al progetto edilizio? «La politica non c'entra niente, io devo tutelare innanzitutto i
cittadini di San Lazzaro. Nel 2015 abbiamo priorità diverse rispetto a dieci anni fa. Oggi è necessario
rigenerare e riqualificare il tessuto urbano e non consumare un suolo vergine di 286mila metri quadrati».
Le cooperative c h e d o v e v a n o realizzare l'opera hanno annunciato una causa milionaria. Legittimo?
«Non sono una nemica delle coop, se vogliono hanno diritto di fare cassa e chiedere un risarcimento, ma
sono inadempienti e la legge è dalla mia parte.
Senza la fideiussione di oltre 13 milioni di euro manca la copertura economica per le opere pubbliche di cui il
Comune di San Lazzaro aveva bisogno e quindi il progetto non è attuabile. Qualsiasi sindaco con un minimo
di buon senso si sarebbe comportato come me».
Foto: Non sono nemica delle coop, hanno diritto di chiedere un risarcimento ma la legge è dalla mia parte
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L'INTERVISTA
03/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 26
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La santa alleanza tra Renzi e Draghi Banche popolari verso la riforma per
salvare Mps
Il Monte cerca un partner forte Ubi sarebbe l'alleato naturale ma deve trasformarsi in Spa
GIOVANNI PONS
MILANO. Di riforma delle banche popolari negli ambienti finanziari si sente parlare da svariati lustri, ma mai
nessuno è riuscito a bonificare la palude.
Questa volta, però, sono in molti a scommettere che qualcosa si farà, se non altro perché la congiuntura lo
impone. C'è infatti il rischio che il Monte dei Paschi abbia bisogno di un aiuto importante e che i 2,5 miliardi di
ricapitalizzazione messi in cantiere non siano sufficienti a sanare la situazione. L'unica via di fuga sarebbe
un'aggregazione con un altro gruppo ma al momento si sono tutti defilati a parte l'Ubi, l'unica che presenta
una certa complementarietà nella distribuzione territoriale degli sportelli e che potrebbe sviluppare sinergie
interessanti.
Ma l'Ubi è una banca popolare e per studiare qualsiasi aggregazione con il Mps dovrebbe prima trasformarsi
in spa. Ecco che allora nasce la necessità per l'attuale governo e per la Bce di mettere a punto finalmente
una legge o una direttiva che permetta ad alcuni importanti gruppi bancari italiani di lasciarsi alle spalle la
contraddittoria organizzazione degli istituti cooperativi, non adatta a società quotate in Borsa. Il tema è già da
qualche tempo all'attenzione di Renzi che sta raccogliendo pareri al riguardo da giovani uomini di finanza con
l'obbiettivo di portare avanti la bandiera dello svecchiamento del sistema anche in campo bancario. Ma è
ovvio che per arrivare all'obbiettivo il governo dovrà appoggiarsi anche alla moral suasion della Bce, che da
nuovo regolatore del sistema non può permettersi rischi non controllabili. Alcune delle banche popolari, tra
l'altro, sono già sotto il controllo della vigilanza di Draghi che potrebbe trovare il coraggio che in passato è
mancato alla Banca d'Italia. Inoltre con la trasformazione in spa di alcune popolari potrebbero partire altre
aggregazioni importanti come Bpm-Carige che il mercato aspetta con interesse. Dunque gli osservatori
finanziari si attendono un qualche provvedimento governo-Bce sulle popolari entro marzo proprio per fugare i
dubbi che alcune banche italiane possano diventare un problema per l'Unione Europea.
Foto: PRESIDENTE Alessandro Profumo è il presidente del Monte dei Paschi di Siena e guida la banca
insieme all'ad Fabrizio Viola
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL PUNTO
04/01/2015
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Il premier nega: ma se è così cancelleremo il provvedimento Il decreto depenalizza chi evade fino al 3%
dell'imponibile >
LIANA MILELLA
CHI è il "padre" non si sa, se l'Economia di Padoan o palazzo Chigi di Renzi, fatto sta che il 24 dicembre,
quasi fosse un regalo di Natale, il consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo sui rapporti tra
fisco e contribuente che, se dovesse restare così com'è adesso, consentirebbe a Berlusconi di cambiare il
suo destino giudiziario cancellando la pagina più infamante, la condanna a 4 anni nel processo Mediaset.
ALLE PAGINE 2 E 3 ROMA. Chi è il "padre" non si sa, se l'Economia di Padoan o palazzo Chigi di Renzi,
fatto sta che il 24 dicembre, quasi fosse un regalo di Natale, il consiglio dei ministri ha approvato un decreto
legislativo sui rapporti tra fiscoe contribuente che, se dovesse restare così com'è adesso, consentirebbea
Berlusconi di cambiare il suo destino giudiziario cancellando la pagina più infamante, la condanna a 4 anni
nel processo Mediaset. Una norma "super salva Silvio". Di cui però Renzi dice: «A me non risulta affatto che
sia così. Lui ha una condanna definitiva e non mi pare realistico che una nuova legge possa cancellare una
condanna passata in giudicato. Ma se davvero dovesse essere possibile sono pronto a bloccare la legge e a
cambiarla». Il giallo c'è tutto, lo scontro politico tra ministero dell'Economia e palazzo Chigi pure, si dividono
anche gli avvocati di Berlusconi. Per Franco Coppi «la legge si può ben applicare a Berlusconi», basta
soltanto il ben noto incidente di esecuzione, che consente di cambiare le sorti anche di una sentenza
definitiva se viene approvata una legge molto più favorevole al condannato rispetto alla precedente. Invece
Nicolò Ghedini, storico difensore dell'ex premier, la pensa all'opposto ed è convinto che il piccolo comma in
questione si applichi solo alle dichiarazioni infedeli, mentre non sarebbe utilizzabile per i delitti che hanno
visto l'ex Cavaliere condannato, cioè la frode fiscale. Idem per le fatture false. Stessa opinione di Coppi
invece per il presidente dell'Anm Rodolfo Maria Sabelli che, appena lettae approfondita la norma dice «di non
avere dubbi sul fatto che la non punibilità di applichi anche ai reati di frode e che sia retroattiva».
Solo quattro righe nel decreto di Natale, che ormai sarà noto come il testo che avrebbe potuto salvare
Berlusconi. L'articolo 15 introduce a sua volta un 19-bis nel famoso decreto legislativo sui reati tributari del
2000, il numero 74, dal titolo accattivante, "causa di esclusione della punibilità". Recita così: «Per i reati
previsti dal presente decreto, la punibilità è comunque esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi
evase non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato o l'importo dell'imposta sul valore aggiunto
evasa non è superiore al 3% dell'imposta sul valore aggiunto dichiarato. Per tali fatti sono raddoppiate le
sanzioni». Se questaè la norma, com'è uscita da palazzo Chigi e com'è stata pubblicata sul sito del governo,
la conseguenza pare scontata: secondo la sentenza Mediaset Berlusconi ragg i u n g e u n a p e r c e n t u a l
e dell'1,91, quindi se si facesse il processo adesso il suo reato non esisterebbe più. Quindi può fare un
"incidente di esecuzione".
Quindi può cadere la sentenza e con lei anche l'interdizione dai pubblici uffici. Ovviamente, se cade la
sentenza, cade anche l'esclusione dalle candidature della legge Severino, che è solo una conseguenza della
condanna.
Domanda:è possibile che il governo Renzi abbia fatto una norma per salvare Berlusconi? Renzi in persona lo
esclude. Racconta di essersi battuto in consiglio «per far aumentare le pene dei reati fiscali», cosa che
risulta.
Quanto a Berlusconi candidabile ironizza: «Sarà possibile solo se vince a Strasburgo, ma secondo me non lo
faranno nemmeno entrare alla Corte dei diritti umani». David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd che lui
ha nominato, è categorico: «Favori a Berlusconi da parte di Matteo? Li escludo. Se questa norma dovesse
dare adito a simili conseguenze la cambieremo».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Nel condono fiscale spunta una norma salva-Berlusconi
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Resta, però, il giallo di come queste 5 righe siano finite nel testo. Se c'è dietro un volontà politica collettiva o
solo di qualcuno.
Ascoltandoi protagonisti di quel 24 dicembre si può ricostruire questo: Renzi smentisce e nega di essere
l'autore della norma. Il ministro dell'Economia Padoan afferma la stessa cosa, anzi dal Mef si punta il dito
accusatorio contro palazzo Chigi, perché il testo sarebbe entrato lì senza la norma che poi è stata aggiunta.
Versione opposta nelle stanze di Renzi. Il "pacco" è arrivato così dal Mef, il testo è stato votato articolo per
articolo, con Padoan presentee votante, Renzi voleva alzare le pene, il Guardasigilli Orlando gli avrebbe fatto
notare che così si sbilanciava la piramide degli altri reati. Un fatto è certo. Il testo adesso è quello che è.
Una maxi sanatoria per chi ha commesso quei gravissimi reati che potrà avere conseguenze molto pesanti
anche sui processi in corso, visto che una norma più favorevole scalza quella più severa. Anche per Silvio.
LE TAPPE LA CONDANNA Il primo agosto 2013 Silvio Berlusconi è condannato in via definitiva a quattro
anni per frode fiscale L'INTERDIZIONE La Corte d'Appello conferma la pena accessoria di due anni
d'interdizione.
Per la legge Severino, inoltre, è incandidabile per sei anni LA BATTAGLIA La battaglia parlamentare di FI
non evita la decadenza di Berlusconi da senatore. Non può candidarsi fino al 2019 I SERVIZI SOCIALI L'ex
premier è inoltre costretto a scontare la condanna penale ai servizi sociali in un centro per anziani a Cesano
Boscone APPELLO IN UE Per tornare a candidarsi Berlusconi decide anche di appellarsi alla Corte di
giustizia europea
Foto: IL DECRETO La norma è contenuta nel decreto delegato in materia fiscale varato dal governo Renzi il
24 dicembre
Foto: EX CAVALIERE Silvio Berlusconi sta scontando i servizi sociali nella casa per anziani di Cesano
Boscone.
Potrebbe terminare il 15 febbraio se i giudici lo consentiranno
04/01/2015
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L'ex Cavaliere spera "Ritorno in campo"
CARMELO LOPAPA
HIP ,hip, hurrà-hurrà-hurrà», urla Berlusconi guidando il coro dei giocatori che lo circondano a Milanello. Il
presidente-leader tradisce entusiasmo durante la visita alla squadra, ben oltre quello riconducibile alla
soddisfazione per l'acquisto di Cerci.
A PAGINA 3 ROMA. «Hip,hip, hurrà-hurrà-hurrà», urla Silvio Berlusconi guidando il coro dei giocatori che lo
circondano a Milanello. Il presidente-leader, giacca e camicia blu notte, tradisce entusiasmo e gioia
incontenibili durante l'ora e mezza di visita pomeridiana alla squadra, ben oltre quella giustificata dalla
soddisfazione per l'acquisto di Cerci dall'Atletico Madrid. Le notizie che gli hanno comunicato in via del tutto
riservata da Roma, del resto, spalancano uno scenario che travalica le più rosee previsioni. «Se davvero
decadono l'interdizione e gli effetti della Severino, torno dunque in campo e potrò ricandidarmi senza bisogno
di aspettare l'esito del ricorso a Strasburgo», è la considerazione stupita alla quale si è lasciato andare giusto
con i legali e i consiglieri di più stretta fiducia.
Perché è questa la svolta che si prospetterebbe, con la norma contenuta nel decreto delegato del governo
Renzi datato 24 dicembre: sulla sua condanna avrebbe l'effetto del tanto sospirato colpo di spugna. Perfino
sull'aspetto sull'impossibilità di ricandidarsi almeno fino al 2019. Non a caso il pacchetto «salva vita» per l'ex
Cavaliere è stato tenuto sotto chiave anche allo stato maggiore del partito. Riservatezza, è l'ordine di
scuderia finora rispettato. Ma chi deve sapere sa, alla corte di Arcore. «Il bello è che nessuno questa volta
potrà accusarci di aver tramato per sfornare una legge ad personam, è tutta roba di Palazzo Chigi» gongola
uno dei fedelissimi del capo. Il decreto delegato (con la terza parte, quella relativa appunto alla disciplina
penale fiscale) dovrà passare l'esame delle commissioni Finanze di Camera e Senato, ma per un parere non
vincolante.
Certo si legge in chiave diversa, adesso, la convinzione e la determinazione con cui negli ultimi giorni
Berlusconi ha annunciato il ritorno in campo dal 15 febbraio, quando finirà di scontare i servizi sociali. Il 29
dicembre, cinque giorni dopo il varo di quel decreto natalizio, il leader di Forza Italia parla in collegamento
con i militanti di San Vitaliano, nel Napoletano. E con più foga del solito sul suo futuro: «Sono ancora qui,
assolutamente determinato. Appena mi lasceranno libero mi scatenerò, dobbiamo rimediare a questa
situazione di mancanza di democrazia e di libertà in questo Paese. Dopo il 15 febbraio sarò con voi per
preparare una grandissima campagna elettorale». Del resto il suo handicap giudiziario e la speranza della
grazia o di una completa «riabilitazione» è sempre al centro della strategia politica dell'ex premier. Ed è
entrato di prepotenza nella trattativa per concorrere con Renzi alla scelta del capo dello Stato. Se ne fanno
portavoce i parlamentari forzisti. «Il primo passo da compiere per il nuovo presidente sarà restituire a
Berlusconi l'agibilità politica e riconoscere che in Italia la politicizzazione della magistratura è un cancro da
sconfiggere», diceva ancora ieri Stefania Prestigiacomo. «Da lui ci aspettiamo profonda responsabilità nel
mettere fine alla vicenda incresciosa che ha coinvolto Berlusconi» insiste Daniela Santanché.
Ma è un coro, quello che invoca la «pacificazione», Furlan, Abrignani, Gibiino.
Certo, se davvero la leadership del capo venisse riabilitata a 360 gradi, le fronde interne subirebbero un
pesante contraccolpo. «Fitto erede di Berlusconi? Ormai è bruciato» taglia corto Maurizio Gasparri.
PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it www.economia.it
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL RETROSCENA
04/01/2015
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"Per la frode va escluso il condono" *
ROBERTO MANIA
ROMA. Difende il decreto delegato sul fisco, il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti (Scelta civica), ma
sulla parte che depenalizza anche la frode fiscale non ha dubbi: «Non si può trattare allo stesso modo chi
compila una dichiarazione infedelee chi compie un reato di frode: Questa parte va cambiata».
Non pensa che in questo modo il decreto rischia di trasformarsi in una operazione di condono per i reati
fiscali puniti con la sanzione penale? «Non è così. Andiamo con ordine. Lo schema di decreto, perché di
questo si tratta, è un buon provvedimento che migliora l'inquadramento di una fattispecie complessa come
quella dell'abuso di diritto, facendo fare passi avanti al nostro ordinamento; e che sul piano delle sanzioni
tributarie procede verso una opportuna revisione delle sanzioni di carattere penale». Questo è il punto: come
si chiama, se non condono? «La riforma interviene sul fronte delle sanzioni penali con l'obiettivo di
circoscriverle alle situazioni più rilevanti, evitando così l'effetto perverso di ingolfamento delle procure. Ed
evitando anche all'amministrazione finanziaria di segnalare alla magistratura comportamenti che molto
spesso non portano ad alcuna condanna ma che creano problemi all'imprenditore, non è realmente
disonesto, sotto il profilo reputazionale e nel suo rapporto con la pubblica amministrazione».
Ma questo non c'entra nulla con la frode.
«Sono d'accordo. D'altra parte per noi di Scelta civica è sempre stato chiaro il discrimine fondamentale: la
depenalizzazione non poteva riguardare i reati di frode. Per questi non può esserci alcuna franchigia. Mentre
consideriamo innovativa e coraggiosa, dopo anni di demagogia fiscale, la scelta di introdurre una soglia (il 3
per cento del reddito imponibile) parametrata alla dimensione fiscale dell'azienda per la non perseguibilità
giudiziaria». Non c'è il rischio che il decreto rappresenti una sorta di "salvacondotto" anche per Silvio
Berlusconi condanno per frode fiscale? «Non lo so. Non so se il reato di frode che gli è stato contestato sia
sotto il 3 per cento della sua soglia reddituale. Non voglio nemmeno saperlo, ciò che conta sono i principi e,
ripeto, la franchigia non può valere per la frode fiscale».
Foto: I PRINCIPI Non si può trattare allo stesso modo chi compila una dichiarazione infedele e chi commette
un reato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'INTERVISTA/ ENRICO ZANETTI, SOTTOSEGRETARIO ALL'ECONOMIA
04/01/2015
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Madia: "Inchiesta rapidissima nessuna differenza con il privato le visite
fiscali uguali per tutti"
MARIA BERLINGUER
ROMA. Occhi puntati sulla Riforma della Pubblica amministrazione e sul ministro Marianna Madia che
promette il via libera definitivo alla legge entro primavera. «Normalizzare la situazione, premiare le eccellenze
e sanzionare chi non fa il proprio dovere: puntiamo su poche regole chiare per fornire ai cittadini servizi
adeguati». Ministro Madia come pensa che finirà la vicenda dei vigili di Roma assenti in massa la notte di
Capodanno? «È capitata una cosa che non doveva succedere e qualcuno dovrà pagarne le conseguenze. Ci
vuole un'analisi in tempi rapidissimi sulle responsabilità ma una cosa è chiara: se non finirà con qualche
sanzione vuol dire che va cambiata la legge».
È vero che il governo vuole passare dalle Asl all'Inps il controllo fiscale sulle assenze per malattia dei
dipendenti pubblici? «Sì, e non è una decisione presa sull'onda emotiva di queste ore. Al Senato, dove la
riforma della Pa è sospesa in attesa dell'approvazione dell'Italicum, c'è già un emendamento del governo che
prevede chei controlli anche peri dipendenti pubblici siano fatti dall'Inps, il che comporterebbe risparmi ed
efficienze visto che l'Istituto nazionale di previdenza ha un sistema digitalizzato che funziona molto bene.
Avevamo pensato di inserire la norma già nella legge di Stabilità ma poi abbiamo rinunciato per non arrivare
al solito provvedimento monstrum. In ogni caso le visite fiscali devono essere uguali per tutti. Ne abbiamo già
discusso con i medici e anche se la riforme della pubblica amministrazione per ora è ferma non stiamo
perdendo tempo. E stiamo già lavorando ai diversi decreti attuativi che la riforma prevede».
Perché il jobs act non è applicabile anche agli statali? «Ho trovato superficiali le critiche di queste ore, anche
quelle fatte da Pietro Ichino, che infatti adesso, proprio sul caso di Roma, dice che si può licenziare. La
principale novità del jobs act è che il licenziamento economico non prevede più il reintegro da parte del
giudice ma un risarcimento economico del lavoratore. Cosa è il licenziamento economico nella pubblica
amministrazione? In un piccolo comune o a Bari? Chi stabilisce un licenziamento per motivi economici? Il
jobs act è stato pensato per il lavoro privato. Il che non vuol dire che non andranno studiati e applicati criteri
simili anche nella Pa. Il nostro intento non è punitivo, vogliamo invece ricostruire un senso di comunità che si
è un po' perduto negli ultimi anni».
Che fine faranno i 39mila dipendenti ora che le Province sono state abolite? «La riforma Delrio ha lasciato
alle Province due sole funzioni per le quali bastano 19mila dipendenti. Gli altri 20mila saranno riassorbiti, ma
senza furbizie. Qualcuno ha pensato che anche se non si votava più per le Province alla fin fine non sarebbe
cambiato nulla. Per questo Renzi ha tagliato un miliardo di euro, per costringere enti come le Regioni alle
quali sono tornate alcune funzioni, a riassorbire i lavoratori. La situazione sarà sanata con una mobilità
intelligente che tenga conto delle professionalità e che ovviamente non prevede che da Bergamo qualcuno
sia trasferito a Trapani».
Madia lei è stata eletta a Roma con le primarie. E ha denunciato la situazione locale del Pd. Si immaginava
un fenomeno come quello di Mafia Capitale? «Non avevo idea che ci fosse un profilo penale. Certo a Roma
c'erano filiere personali che non rispondevano neanche più ai leader di riferimento. Io credo che quanto è
accaduto a Roma debba riaprire anche una riflessione sulle primarie, e lo dice una che si è candidata e ha
vinto le primarie. Io sono per i collegi che obbligano a una regia nazionale del partito. Ma l'Italicum è un buon
compromesso».
Ministro il suo nome circola come futuro sindaco di Roma.
«Cinque anni di Alemanno e la crisi hanno lasciato il segno. Ora c'è Marino, va sostenuto nell'opera di
puliziae rinnovamento: se fallirà, Roma non avrà un sindaco Pd».
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L'INTERVISTA
04/01/2015
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LA PUNIZIONE
Qualcuno pagherà le conseguenze.
Se non finirà con qualche sanzione vuol dire che va cambiata la legge
IL JOBS ACT
Il Jobs Act è pensato per il privato. Il che non vuol dire che non andranno studiati e applicati criteri
simili nella Pa
Foto: L'intervista al ministro Madia appare oggi sui quotidiani del Gruppo Espresso
04/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 6
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"Alla fine pagheranno i cittadini"
(p.g.)
ROMA. Alessandro Pastacci, presidente dell'Unione delle Province Italiane e della Provincia di Mantova, non
usa giri di parole: «Le vere vittime di questa riforma saranno i cittadini».
Presidente, nonè d'accordo con la riforma? «La responsabilità non è della riforma in sé. Se si fossero
accettati i tempi stabiliti dalla legge Delrio le cose si sarebbero potute aggiustare. La vera mazzataè stata la
legge di stabilità che ha preteso dalle Provincie ben un miliardo di versamenti prima che avessimo la
possibilità di risparmiarlo».
Avete fatto presente questa incongruenza al governo? «Abbiamo subito spiegato che in quel modo non ce
l'avremmo potuta fare. Ci hanno risposto che, secondo loro, invece è possibile».
Perché teme che questo braccio di ferro finisca per danneggiarei cittadini? «Perché non è pensabile che noi
nel 2015 riusciamo a pagare lo stesso personale del 2014 garantendo gli stessi servizi ai cittadini e
spendendo un miliardo in meno sugli otto complessivi che spendono ogni anno le Provincie».
E dunque? «E dunque è chiaro che quel miliardo verrà trovato riducendo le prestazioni ai cittadini».
Quali prestazioni? «Quelle che la legge considera non essenziali per i nuovi enti provinciali ma che rischiano
di esserlo invece per gli abitanti di questo Paese. Perché si possono anche garantire solo scuole e strade ma
che fine faranno i servizi di trasporto per i disabili? E i musei e le biblioteche provinciali? Passeranno ad altri
enti? E con quali denari verranno pagati? Questi sono gli interrogativi per i quali chiediamo che venga una
risposta dal governo. Non lo facciamo per difendere un ente ma agiamo nell'interesse dei cittadini che oggi
usufruiscono di quei servizi. Il rischio è che nel trasferimento delle funzioni da un ente all'altro finiscano
semplicemente per essere cancellati».
Foto: PRESIDENTE Alessandro Pastacci
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IL PERSONAGGIO/ ALESSANDRO PASTACCI, PRESIDENTE DELL'UNIONE PROVINCE
04/01/2015
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"Al Quirinale un candidato di centrosinistra, o non lo voto"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. «Se Renzi propone per il Quirinale un nome alto, super partes e capace di parlare a tutti, allora
problemi con il Pd non ce ne sono. Se invece tenta operazioni transgeniche, beh...
non so come va a finire». A poche settimane dall'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, Pippo
Civati si prepara alla sfida. E fissa alcuni paletti: «Prodi o Rodotà li voto subito.
Ma se mi propongono Gianni Letta, allora è un altro discorso». Le piace il profilo ipotizzato dal premier? «Le
parole che ha usato Renzi sono le mie, assolutamente.
Poi, per carità, va benissimo fare gli identikit, ma finché non ci sarà un nome non capiremo nulla. A mio
avviso serve un candidato di centrosinistra. Un profilo in cui il Pd possa riconoscersi, che vada bene a Sel e
ai centristi più progressisti, che faccia riflettere i grillini. Se invece propongono Gianni Letta, allora è un altro
conto...».
D'altra parte lei ultimamente ha votato contro tutto ciò che non le andava bene. Ed è possibile immaginare
che non farebbe diversamente anche in questo caso.
«Appunto».
Nel 2013 imperversarono i 101 franchi tiratori. Se il candidato del 2015 fosse frutto del patto del Nazareno, si
rischierebbe una defezione di massa altrettanto grave? «Io mi aspetto che la scelta tenga conto prima di tutto
del Pd. Renzi deve riflettere, visto che per un anno non ha fatto altro che dividere il Pd in nome del patto del
Nazareno o dell'accordo con Alfano. Quanto ai franchi tiratori, ho letto che sono già nella lista di Lotti: ma che
significa? Se candida Prodi o Rodotà, è ovvio che li voto. E poi...». Dica.
«Bisognerebbe anche fare uno studio approfondito sul concetto di franchi tiratori. Chi dice apertamente che
non vota un candidato, può essere considerato alla pari di quei 101? Non credo proprio. In ogni caso
suggerisco a Renzi di fare un lavoro intenso per cercare i 101 tra i suoi ministri e sottosegretari. Qualcuno lo
trova sicuro...». Il premier ha parlato anche di legge elettorale. E annuncia che i parlamentari gireranno i
collegi strada per strada, comune per comune.
«Visto quanto sono ampi, devono cominciare a girarli adesso così entro il 2018 avranno finito...». L'Italicum
proprio non le piace, vero? «Lo ripeto: è un Porcellum con le ali. I i due terzi del Parlamento saranno nominati
dai partiti. L'Italicumè più vicino al Porcellum che al Mattarellum».
Renzi sostiene invece che metterà fine a ogni inciucio. «Lo sconfigge con l'omeopatia, visto che ha scelto le
larghe intese fino al 2018...».
Secondo Palazzo Chigi si voterà allo scadere naturale della legislatura. Ci crede? «È il suo schema da
thriller.
La suspence è sempre altissima, tutto può sempre precipitare. Si fissano molte scadenze, quando scadono
se ne fissano di nuove. Risponda invece a qualche domanda. Ad esempio, vuole costruire un'alternativa alla
destra o intende dare vita a un partito della nazione?E ancora, ritiene chi offre suggerimenti solo un fastidio,
facendolo passare per pazzo furioso? Invece di una letterina di fine anno, dovrebbe sciogliere questi nodi».
Foto: OPPOSIZIONE INTERNA Pippo Civati è stato candidato alle ultime primarie del Pd. Fa parte della
minoranza interna
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'INTERVISTA/ PIPPO CIVATI. IL DISSIDENTE PD: "NO A UN NOME FIGLIO DEL PATTO DEL
NAZARENO"
04/01/2015
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Pag. 17
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Parla il killer di Pippo Fava "Gli imprenditori amici dei boss vollero la
morte del giornalista"
Nel '93, dopo che la stella di Santapaola era tramontata, i suoi uomini lo hanno di fatto consegnato Leggio si
era rivolto a Nitto Santapaola per chiedergli di farlo fuori ma lui sulle prime aveva temporeggiato
ENRICO BELLAVIA LORENZO TONDO
DI PIPPO Fava, la prima delle sue 80 vittime, non sapeva nulla. Gli bastava sapere che il boss catanese Nitto
Santapaola voleva morto quel giornalista.
Il 5 gennaio dell'84 lo uccise dopo averlo pedinato per mesi, accompagnando il killer Aldo Ercolano, nipote
prediletto di Santapaola e genero di Francesco "Ciuzzu" Mangion. Il resto, tutto il resto, lo avrebbe appresoa
cose fatte. Una parte dei suoi racconti sono bastati a spedire all'ergastolo Santapaola ed Ercolano. Ma le sue
rivelazioni sui mandanti occulti sono rimaste nel limbo delle voci. Eppure, oggi, a 31 anni di distanza dal
delitto, per Maurizio Avola, il collaboratore di giustizia che ha scardinato la mafia dell'Etna, quell'omicidio
rimane ancora la chiave per capire la sua Catania e il mondo delle relazioni tra il potere reale sulla città e
Cosa nostra. Avola è in un carcere dedicato ai collaboratori di giustizia. Sconta un cumulo di condanne
patteggiate peri suoi delitti.E per la prima volta parla, per il tramite del suo difensore Ugo Colonna, di ciò che
è rimasto fuori dal processo per il delitto Fava.
Cosa sapeva lei di Fava prima di ricevere l'ordine di ucciderlo? «Quel nome ho iniziato a sentirlo nell'estate
del 1983. In diverse occasioni Aldo Ercolano e Marcello D'Agata parlavano della necessità di eliminarlo per i
suoi articoli contro la mafia. Marcello D'Agata (assolto in appello dal delitto, ndr ) ogni volta che leggevaI
Siciliani diceva che Fava era un "fituso" e che doveva morire».
Lei aveva mai letto gli articoli di Fava su I Sicilianio sul "Giornale del Sud"? «No, mai. Io ho iniziato a
studiarlo solo quando sapevo di doverlo uccidere. Con Marcello D'Agata decidemmo di usare un'arma
silenziata perché non sapevamo con esattezza quando sarebbe stato meglio colpirlo». Quando passaste
all'azione? «Nel tardo pomeriggio del 5 gennaio dell'84 con Aldo Ercolano, Enzo Santapaola (nipote del
superboss Nitto, assolto in appello) e Marcello D'Agata ci siamo dati appuntamento al Motel Agip di Ognina,
di proprietà di quest'ultimo. Al distributore è giunto Franco Giammuso (anche lui assolto in appello) che aveva
una Renault bianca Turbo. D'Agata decise di coinvolgerlo perché sapeva guidare bene.
Partimmo dal distributore dopo le 19 per andare alla sede deI Siciliani . Su una Fiat 131 guidata da D'Agata
c'ero io, sulla Renault di Giammuso Aldo Ercolano e Enzo Santapaola. Alla sede de I Siciliani arrivammo alle
21. Fava uscì dopo mezz'ora.
Lo seguimmo fino in via dello Stadio. Parcheggiò con due ruote sul marciapiede. Ci fermammo in due punti
diversi: Ercolano sbucò da una traversae solo all'ultimo momento tirò fuori la pistola e fece fuoco».
Dove andaste dopo? «Andammo a casa di Nino Licciardello in Piazza Risorgimento ove trascorreva la
latitanza Francesco "Ciuzzu" Mangion, il luogotenente di Nitto. Mangion stappò una bottiglia di champagne e
disse che avevamo preso "due piccioni con una fava", aggiungendo che avevamo fatto "due favori: uno ai
Cavalieri l'altro a Lucianeddu"». Chiese spiegazioni? Solo dopo Marcello D'Agata mi spiegò che "Lucianeddu"
era Luciano Leggio. Ce l'aveva particolarmente con Fava, perché non mancava mai di ricordare che Leggio
aveva delle mire sulla fidanzata di Placido Rizzotto e per questo era stato schiaffeggiato, facendo poi
sequestrare e uccidere il sindacalista». Dunque, Santapaola fece un favore anche a Leggio? «In realtà la
richiesta risaliva a parecchio tempo prima ma Nitto aveva temporeggiato. Come già in altre occasioni, aveva
detto no. Non voleva attirare l'attenzione su Catania con delitti eclatanti».
Però poi diede l'ordine...
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L'intervista. Per Maurizio Avola fu la prima delle sue 80 vittime Era il 5 gennaio del 1984: a distanza di 31
anni il collaboratore di giustizia racconta che quell'omicidio resta la chiave per capire le relazioni tra mafia e
poteri forti di Catania
04/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 17
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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«Evidentemente c'era un interesse più diretto e rilevante che riguardava gli interessi della famiglia mafiosa
catanese».
L'altro piccione, i Cavalieri? «Fava ne aveva scritto molto, parlando, in particolare, della mafia dai colletti
bianchi». D'Agata o altri le diedero elementi precisi? «Qualche tempo dopo l'omicidio andai a trovare a casa
Mangion. Mi fece aspettaree mi presentò il cavaliere Carmelo Costanzo (morto nel 1990, ndr )».
Cosa disse? «Rivolto a Costanzo disse: "Cavaleri chistuè Maurizio". Avevo appena 22 anni.
Solo il fatto che i due avessero parlato di me in precedenza poteva spiegare il tenore di quella
presentazione».
Lei era un uomo di Mangion in definitiva...
«Sì ma non avevo fatto nulla che giustificasse il fatto che parlasse di me a Costanzo, eccetto l'omicidio
Fava».
Ne parlò con qualcuno? «Ero preoccupato. Ma quando ne riferii a D'Agata lui mi disse di non preoccuparmi
che Costanzo era più fidato dello stesso Mangion». Chi era Costanzo per voi? «Costanzo era in stetti rapporti
con Cosa nostra, così come gli altri Cavalieri. Nel 1992 Salvuccio Marchese, per lungo tempo rappresentante
di Cosa Nostra per la provincia, nipote di Antonino Calderone (collaboratore e fratello di Giuseppe, già capo
della mafia catanese), mi riferì dei profondi e radicati rapporti che erano intercorsi tra il cavaliere Costanzo,
del quale lui stesso era parente. Mi raccontò di un vertice ad Acitrezza nei primi anni '70 con Leggio,
Marchese, Giuseppe Calderone, Nitto Santapaola e un principe di cui non so il nome, presente Costanzo. Dai
Cavalieri, imprenditori edili con interessi ovunque, arrivava un fiume di denaro alle nostre casse. E Cosa
nostra li garantiva e tutelava. Gaetano Graci ha finanziato la nostra organizzazione attraverso suo genero
Dino Aiello. Anche io personalmente ne ho usufruito. Ho ricevuto 200 milioni in contanti per saldare l'acquisto
della mia casa. Quando Mangion fu fermato con Santapaola e Franco Romeo a Castelvetrano e sospettato
dell'omicidio del sindaco Vito Lipari, in realtà era andato lì proprio per sistemare un cantiere di Graci in quella
zona incontrando il capo, Mariano Agate. E fu proprio Graci ad adoperarsi perché Mangion venisse assolto».
Dopo Fava seppe di altri giornalisti nel mirino? «Con la stampa si andava d'amore e d'accordo e qualche
"incomprensione" giornalistica da allora si risolse senza bisogno di minacce. Fava invece non era più
controllabile. Il Giornale del Sud che dirigeva in precedenza era del cavaliere Gaetano Graci, ma I Siciliani
erano del tutto indipendenti e schierati contro gli interessi di Costanzo e degli altri che controllavano appalti
miliardari. Uccidendolo, Cosa nostra ha tutelato anche i propri interessi economici».
Cosa è cambiato da allora? «L'omicidio Fava è servito allo scopo della mafia e dei Cavalieri. Il giornalista
aveva messo in crisi un equilibrio che si è subito ristabilito. Andava bene così a tutti, anche ai giornalisti. Poi
nel 1992, quando i corleonesi hanno imboccato la linea stragista anche la stella di Santapaola è tramontata.
Lui diceva che con lo Stato non ci si doveva scontrare, ma camminare insieme. Così a maggio del 1993 i suoi
uomini più fidati lo hanno di fatto consegnato alle forze dell'ordine, forse per salvargli la vita».
LE TAPPE LA VITTIMA Giornalista, fondatore de "I Siciliani", Fava denunciò l'intreccio tra Cosa nostra e i
Cavalieri del lavoro. Fu ucciso il 5 gennaio del 1984 L'UOMO D'ONORE Maurizio Avola, uomo d'onore del
clan di Nitto Santapaola, nel 1984 ha iniziato a ricostruire con la procura i suoi 80 omicidi, un anno dopo
l'arresto IL PROCESSO Per l'omicidio Fava condannati all'ergastolo Santapaola e il suo luogotenente Aldo
Ercolano, assolti Marcello D'Agata e Francesco Giammusso PER SAPERNE DI PIÙ palermo.repubblica.it
www.repubblica.it
Foto: L'OMICIDIO Giuseppe Fava fu ucciso a 59 anni in via dello Stadio a Catania.
Foto: IL PREMIO Assegnato a Lirio Abbate (l'Espresso) e a Lorenzo Tondo il premio giornalistico Giuseppe
Fava (sopra)
04/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 20
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Club Med, Ecomouv altri due schiaffi francesi all'Italia In Europa vincono i
protezionisti
Shopping transalpino nel Belpaese mentre i nostri gruppi vengono respinti da Agnelli-Perrier a VivendiTelecom
GIOVANNI PONS
MILANO. Sarà una coincidenza ma le cronache finanziarie di questi ultimi giorni registrano altri due tentativi
falliti da parte di imprenditori o società italiane a sbarcare nel vicino mercato francese. Il finanziere italiano
Andrea Bonomi, con dimora a Lugano e fondi domiciliati a Londra, si è ritirato dalla corsa per la conquista del
Club Med, iniziata l'estate scorsa, per lasciar spazio alla cordata cinese di Fosun, alleata dell'attuale
management francese. Atlantia, società di autostrade e aeroporti italiani, con la famiglia Benetton azionista di
riferimento, ha dovuto accettare un lauto risarcimento dallo stato francese per rinunciare a sviluppare
Ecomouv, la società che avrebbe dovuto gestire la riscossione dell'ecotassa sui mezzi pesanti d'Oltralpe.
Verrebbe da dire che il colbertismo transalpino si fa sentire maggiormente quando qualcuno con bandiera
italiana cerca di mettere le mani su qualche asset francese, ma non viceversa. E in effetti la storia finanziaria
degli ultimi 25 anni è contrassegnata da operazioni di questo tipo. Quando gli Agnelli nel 1992 tentarono di
impossessarsi dell'acqua Perrier il fuoco di fila francese li costrinse a battere in ritirata seppur con una lauta
plusvalenza (430 miliardi di lire), lo Chateau Margaux e palazzi per 90 mila metri quadrati.
Nell'estate del 2001, poi, furono proprio gli Agnelli a fungere da cavallo di Troia dei francesi di Edf nella
famosa Opa sulla Montedison e che ha portato al controllo assoluto sulla Edison. Nel 2006 quando l'Enel
mise nel mirino il gruppo Suez fu l'allora primo ministro Dominique de Villepin ad aprire la strada alternativa
della fusione Gdf-Suez, oggi terzo gruppo energetico in Italia. Mentre nulla potè Giulio Tremonti di fronte al
lancio dell'Opa su Parmalat da parte del gruppo francese Lactalis, se non partorire una legge anti-scalata
dalle unghie spuntate. In questi ultimi anni, poi, abbiamo visto griffe del lusso made in Italy del calibro di
Gucci, Fendi, Bulgari, Bottega Veneta, Loro Piana, Pomellato finire sotto le insegne di Louis Vuitton e Kering
(Pinault).
E tra qualche mese il colosso dell'intrattenimento Vivendi diventerà il primo azionista di Telecom Italia. In
un'Europa unita queste distinzioni dovrebbero essere superate ma evidentemente per i francesi non è così e
l'amicizia Renzi-Hollande, in qualche modo, dovrebbe tenerne conto.
Foto: PRESIDENTE François Hollande è il presidente francese in buoni rapporti con Renzi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL PUNTO
04/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
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Spiegel: la cancelliera Merkel è certa che non ci saranno ripercussioni per la Germania Portogallo e Irlanda
sono considerati risanati e la Grecia non avrebbe più rilevanza sistemica
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI
BERLINO. Voci di una svoltashock del governo tedesco sul tema cruciale del futuro della Grecia emergono
improvvise a Berlino, proprio all'indomani della forte determinazione espressa da Mario Draghi a difendere e
salvare l'euro con ogni mezzo, e ad appena tre settimane dalle elezioni legislative nella Repubblica ellenica,
dalle quali il movimento di sinistra Syriza, che, guidato da Alexis Tsipras, rifiuta il duro corso di tagli, sacrifici e
risanamento e i suoi spaventosi costi sociali, potrebbe divenire il primo partito. Secondo Spiegel online infatti,
la cancelliera Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, sarebbero ora pronti ad
accettare un Grexit, cioè la parola che suona fino ad oggi come un incubo sui mercati: un'uscita greca
dall'euro. Perché Atene non avrebbe più rilevanza sistemica per la moneta unica.
Cancelleria e ministero delle Finanze, interpellati da diversi media online tra cui la Frankfurter Allgemeine ,
non hanno voluto rilasciare alcun commento sull'articolo dell'edizione quotidiana digitale del settimanale di
Amburgo. Secondo cui ormai un'uscita greca dalla moneta unica sarebbe divenuta una scossa digeribile e
superabile per l'eurozona. Tale opinione, sempre secondo Spiegel online, sarebbe maturata in base a diverse
considerazioni. Prima di tutto, la constatazione dei progressi compiuti dall'eurozona dall'apice della sua crisi,
nel 2012, a oggi, avrebbero detto al giornale non meglio precisati "ambienti governativi".
L'establishment tedesco, continua l'articolo, ritiene ormai che in caso di Grexit il pericolo di contagio ad altri
paesi sia limitato: Portogallo e Irlanda, gli altri due Stati che hanno ricevuto aiuti, sono considerati ormai
"risanati",e intanto con la creazione del fondo salva stati Esmè entrato in funzione un forte, efficiente
meccanismo di soccorso per altri membri dell'eurozona, mentre alla sicurezza dei maggiori istituti di credito
europei pensa ora l'Unione bancaria, con la vigilanza unica della Banca centrale europea.
L'ipotesi di un Grexit pone comunque una grave domanda, vista l'assenza di precedenti: come sia possibile
che un paese lasci l'eurozona restando però membro dell'Unione europea.
«Ma in caso d'emergenza si troverà una soluzione giuridicamente valida», affermerebbero gli esperti di qui.
Merkel e Schaeuble hanno davvero deciso di rompere il tabù dell'impossibilità dell'uscita di qualsiasi paese
dall'eurozona? Certo, negli ultimi tempi esponenti del loro partito, la Cdu, si sono espressi sul tema in modo
contraddittorio. Da un lato Christian Baeumler, leader dell'unione dei lavoratori democristiani, ha ammonito
che un Grexit «sarebbe un esperimento dall'esito sconosciuto e imprevedibile, e solo giocatori d'azzardo,
speculatori e accademici lontani dalla realtà ne trarrebbero vantaggio». Ma per Michael Fuchs, vice
capogruppo parlamentare, in caso di vittoria di Tsipras un addio ellenico all'euro diverrebbe concepibile, e
che «la situazione è completamente diversa rispetto a tre anni fa, quando non disponevamo di meccanismi di
sicurezza e dunque eravamo costretti a salvare la Grecia». Gli aiuti ad Atene, finora dell'ordine di 240 miliardi,
sono anche oggetto di polemica: secondo esperti citati dalla Frankfurter gli interessi di favore concessi alla
Grecia, cioè 2,4 per cento, sono inferiori a quelli che paga la Germania per ogni nuovo indebitamento
sovrano. L'ALLARME DRAGHI: RISCHI ANCORA ALTI In un'intervista all'Handelsblatt il presidente della
Bce, Mario Draghi, ha sottolineato venerdì i rischi ancora persistenti per l'economia di eurolandia.
A destra, Angela Merkel
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Euro, Berlino non teme l'addio di Atene
04/01/2015
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Enzo Bettiza "Vengo da un mondo che non c'è più con la parola ho difeso
la mia identità"
ANTONIO GNOLI
NONOSTANTE viva nella fluviale evocazione di un passato che non passa, Enzo Bettiza, classe 1927, dice
di fregarsene dell'anima slava. E io che gli siedo di fronte penso che sia vero e che in lui non ci sia nulla di
dissipativo, di incauto, di nostalgico. I suoi pensieri sembrano uscire da qualche porta laterale della
Mitteleuropa. Mi ricordano quei personaggi dostoevskiani ammaestrati da una sobriae distaccata vecchiaia.
Come quella di Peter Jarkovic, protagonista del suo ultimo romanzo: La distrazione , dove ancora una volta
egli rilegge il secolo che si è chiuso: «Come fosse un dono, una tragedia, un'ossessione da ripercorrere con
la parola scritta», precisa con voce scandita.
Una parola scritta e divisa tra romanzo e giornalismo. Quale ha contato di più? «Non farei una distinzione, se
non di genere. Per un esule, quale sono stato, la parola era il solo modo per difendere la mia identità. Sono
nato a Spalato. Ho avuto un'infanzia privilegiata. La famiglia era ricca. Un nonno industriale del cemento. Poi
la guerra. I rivolgimenti. La rapida fine di un mondo. Il mio mondo. Conoscevo il tedesco, il croato, l'italiano. In
casa si parlava veneto. La Dalmazia aveva avuto una lunga storia con Venezia. La marina della Serenissima
era composta di istriani e dalmati. Mi affascinavano le mescolanze di lingue, di storie e di uomini. Poi la
felicità venne meno. Mi ammalai. Scoprendo, improvvisamente, il senso della precarietà». Ti ammalasti di
cosa? «Polmoni. Restai a letto durante tutta la primavera e l'estate del 1942. Tra la vita e la morte. Avevo 15
anni. Lessi Delitto e castigo . La febbre mi divorava. Alla fine il dottor Janovic riuscì a curare la pleurite.
L'ultima volta che lo vidi mi disse: dovresti leggere Tolstoj. Lascia Dostoevskij ai desideri più complicati. Avrei
scoperto in seguito il senso di quella frase». Avevi una vocazione letteraria? «Non so cosa avessi. Sentivo
che la morte mi aveva sfiorato. Ero un sopravvissuto. Altre prove sarebbero giunte negli anni successivi».
Quali? «La guerra in un miscuglio di orrori aveva travolto villaggi e città. Portammo le nostre cose, quel poco
che restava della florida attività imprenditoriale, fuori dall'influenza comunista. E di Tito. Furono mio padre e
mio fratello a prendere la decisione di trasferirsi in Italia. Mia madre e mia sorella si adeguarono. A me,
sinceramente, non interessava impegnarmi nel loro lavoro. Vidi nella mia famiglia, che era stata per lungo
tempo importante, i rovesci della fortuna e i tratti del fallimento».
Cosa facesti? «Il mio sogno era dipingere, disegnare. Mi ero messo in testa di voler conoscere De Chirico,
anche lui, a suo modo, un esule. Arrivammo a Bari. Ci misero in un campo profughi allestito dagli inglesi. Fu
dura. E quando da Bari mi trasferii a Roma riuscii a iscrivermi all'Accademia delle Belle Arti. In quel primo
anno di frequentazione notai una figura femminile piuttosto procace. Una bellezza pop con un codazzo di
giovani appresso. Seppi in seguito che era Gina Lollobrigida». Tentasti qualche approccio? «No, la mia vita si
stava avvitando dentro altri problemi.
Quegli anni sono stati insieme avvilenti ed esaltanti. Vivevo di espedienti. Risalii verso il Nord. Ho fatto di
tutto per sopravvivere. Sono stato contrabbandiere e venditore di libri a rate. Divenni perfino comunista. Da
quell'esperienza trassi il mio primo romanzo La campagna elettorale . Fu accolto in maniera contrastata.
Remo Cantoni, Dino Buzzati, e lo stesso Franco Fortini, per ragioni diverse, ne furono entusiasti. Giacomo
Debenedetti ne parlò malissimo.
Vittorini fu incerto».
Che anno era? «Gli inizi dei Cinquanta. Mi ero trasferito a Milano dopo un breve periodo trascorso a Trieste.
Nel 1953 morì Stalin e quell'anno entrai a lavorare a Epoca . L'anno dopo passai a La Stampa : non fu una
cosa semplice perché tutt'altro che semplice si rivelò il suo direttore».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA R Cult / Straparlando. Esule, sopravvissuto, pittore mancato, è stato contrabbandiere e
venditore di libri Poi sono arrivati i romanzi, il giornalismo e la politica Insieme a un'ossessione: fermare il
comunismo
04/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Chi? «Giulio De Benedetti. Un uomo di talento. Di grande intuito e dal giudizio impietoso. A me ricordava
certi autocrati blindati da un'intelligenza scarna e diffidente. Sapeva essere sarcastico come pochi. La volta
che mi spedì un telegramma, per aver io ritardato la trasmissione di un pezzo da Vienna dove ero
corrispondente, ne ebbi la conferma». Cosa diceva? «Lei non solo non sa scrivere, non sa neppure
telefonare. La prego da ora in poi di inviare per posta i prossimi servizi». E tu? «Incassai e mi attenni alle
direttive. Dopo un po' fui spedito a Mosca come corrispondente. Ci rimasi quattro anni.
De Benedetti insistette che prolungassi la permanenza.
Gli risposi che volevo cambiare aria. Mi licenziò. Per fortuna che Alfio Russo, direttore del Corriere della Sera
, si era interessato al mio lavoro di inviato. Uomo affabile, Russo.
All'opposto di De Benedetti».
De Benedetti ebbe fama di essere stato un grande direttore.
«Lo era. Chi può contestarlo? Fu incalzante e spietato.
Riuscìa far piangere un uomo tutt'altro che lacrimevole come Enzo Biagi. E quando troncò il rapporto con me
provai un certo smarrimento».
Che superasti in che modo? «La vitaa Mosca avevai suoi lati piacevoli. Conoscevo artisti, pittori, poeti.
Frequentavo quel sottobosco aristocratico che era sopravvissuto alle ingiurie della storia. Essendomi stato
tagliato lo stipendio finii per un breve periodo in una casa, un tempo fastosa, abitata da una ex contessa e da
sua figlia».
Si dice che tu fossi prodigo di attenzioni per entrambe.
«Non so chi abbia messo in giro questa voce. Ma è infondata. Ricordo solo il clima plumbeo della città.
Krusciov stava per saltare e avremmo detto addio a qualunque apertura. Rammento la triste atmosfera in
casa del pittore Ilya Glazunov la sera prima della partenza. Qui per tanto tempo si era svolta la parte
interessante della vita moscovita.
Gli incontri con intellettuali e donne fascinose. Fu in una di quelle sere che il mio amico Frane Barbieri si
invaghì di una donna bellissima che sarebbe diventata sua moglie».
Barbieri era un dalmata come te.
«Sì, di famiglia aristocratica. Ci conoscemmo proprio a Mosca. Frane è stato uno dei più grandi esperti del
comunismo internazionale».
A quale scuola apparteneva? «Ti risponderei alla scuola della vita. Ma poi c'era l'intreccio di amicizie e
conoscenze. Fejto, il grande giornalista e storico ungherese. Aron con le sue lucide analisi. Revel con il suo
afflato umanistico».
È l'identikit del conservatore illuminato. Quanto ti riconosci? «Pienamente. Ma dovrei aggiungervi gli amici di
strada: Piovene, Buzzati, l'esperienza con Tempo presente alla cui direzione ci furono Nicola Chiaromonte e
Ignazio Silone».
Due figure straordinarie ma assai diverse. Non trovi? «Chiaromonte era di una severa onestà. Non l'ho mai
visto abbandonarsi a nessun trucco falsificante. Silone era molto più enigmatico. Più nell'ombra».
Cosa pensi dell'accusa di Silone spia dei fascisti? «Penso che fu una persona profondamente onesta, ma
anche turbata dai fatti che toccarono la sua famiglia. In particolare la morte del fratello - più giovane e adorato
- in un carcere fascista, fu un dolore vissuto come una colpa, che non riuscì mai a superare. Non credo che
con queste premesse potesse essere un collaboratore dell'Ovra. Semmai un "doppiogiochista" come disse
Fejto».
Non hai mai citato Montanelli.
«È stata una parte della mia vita. Si conosce tutto del nostro rapporto professionale: il Corriere , l'avventura
al Giornale , il nostro divorzio. La riappacificazione».
Privatamente e umanamente che giudizio dai di lui? «Nei rapporti umani Indro sapeva essere gradevole,
multiforme, mercuriale e forse proprio per questo bugiardo e sfuggente nell'intimo dei suoi pensieri».
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Un pregio o un difetto? «Non lo definirei un pregio. Per tutta la vita ho sempre cercato di combattere ciò che
snaturava l'anima, fosse di un giornale o di una persona».
Alludi al tuo distacco traumatico dal Corriere ? «Una vicenda particolarmente dolorosa ma necessaria.
Piero Ottone - come ho più volte ripetuto - aveva "corrotto" l'anima del Corriere accettando e tollerando le
infiltrazioni comuniste».
Non è stata un'ossessione il tuo anticomunismo? «Bisognava combattere il comunismo come il peggiore dei
mali politici. Ne conoscevo i meccanismi, vi aderii e me ne distaccai prevedendone gli effetti».
Cosa ti aveva sedotto? «L'idea che si potesse dominare la realtà con ogni mezzo, anche il più crudele, e al
tempo stesso trasformare tutto questo in una grande utopia. C'era forse menzogna peggiore? Follia più
grande? Delusione più cocente»? Hai usato l'aggettivo "crudele" pensavi a qualcosa o a qualcuno in
particolare? «Al fanatismo, alla ferocia e al sarcasmo di certi leader comunisti». Chi? «Giancarlo Pajetta.
Apparteneva all'aristocrazia dei capi. Senza mai un dubbio, un'incertezza, una fragilità. Per il tempo che
rimasi nel Pci fu lui a iniziarmi ai riti del comunismo. Lo rividi quarant'anni dopo. Alla vigilia del grande crollo.
C'era qualcosa di patetico in quello che fu definito il "ragazzo rosso". Il mondo nel quale aveva creduto
ciecamente e per il quale aveva combattuto contro la miriade di infedeli, si stava decomponendo. Ne prese
atto con dolore. Ma anche con impotenza. E rabbia».
Dove vi vedeste? «Eravamo casualmente entrambi a Mosca alla vigilia del 1989. Prendevamo parte a un
incontro internazionale dove, in qualità di deputato europeo, avrei dovuto consegnare una lettera per
Gorbaciov. Le delegazioni furono ricevute al Cremlino davanti al Soviet supremo. Colsi immediatamente il
disagio di Pajetta. Il balbettio del suo intervento, lasciò nello sconcerto i sovietici. Era irriconoscibile. Non
c'era più traccia dell'eccelso comiziante di una volta». Sconcerto provocato da cosa? «Dalle sue accuse
verso il nuovo corso e il disprezzo con cui guardava a ciò che succedeva. Era un mondo che stava finendo.
Anzi era già finito. Se ne andò schifato. Stravolto.
Costernato. Tornò in anticipo in Italia. Pajetta morì l'anno dopo». Che sensazione hai quando una cosa
finisce? «Che è finita. Cosa aggiungere?».
Ho l'impressione che per tutta la vita tu abbia lottato con l'idea del tramonto.
«Provengo da un mondo cheè tramontato. Forse fu quella lettura adolescenziale di Dostoevskij a risvegliarmi
dall'ipnosi. Da qualche parte il male deve esserci».
E si combatte? «Si combatte sì. Ci si prova».
Che stagione stai vivendo? «Acciacchi e decadenza. Tutto nella norma. Poi c'è la prudenza intellettuale».
Alla tua età che importa essere prudente? «Voglia di evitare eccessi interpretativi. Il mondo sta cambiando a
una velocità impressionante».
Come ti ci trovi? «Distanziato, mi ritrovo. Non da colui che corre, ma da me che lo guardo correre».
Improvvisamente sembri uno spettatore in difesa.
«Non ho nulla da difendere. Non ho peccati mortali. Non ho la coscienza ammorbata da fatti di cui mi debba
giustificare. La mia vita è stata ricca di eventi e di possibilità non tutte realizzate. Ma non è stata una vita
dispersiva e minacciata dall'attrazione del vuoto».
Ancora Dostoevskij? «All'inizio mi affascinava il suo nichilismo. Ma vivendo ho capito cosa voleva dirmi il
medico che mi ebbe in cura.
Compresi che era meglio l'opportunismo agnostico di Tolstoj». Il potere genera opportunismo?
«L'opportunismo consolida il potere».
Hai avuto molte frequentazioni con il potere? «Abbastanza».
La più importante? «Quella con Bettino Craxi. Gli sono stato vicino al punto che mi telefonava per informarmi
delle sue battaglie nel partito». Un giornalista può permettersi di essere così intimo con il potere? «Non
volendo nulla dal potere e non potendo cedere nulla al potere posso dire di essere stato libero da questa
ossessione. E poi chi ha avuto alle spalle una nascita dinastica più che comunemente familiare non può
ritenere il potere una forma di seduzione».
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Ti hanno sedotto più le donne? «La vita è stata lunga. Molte donne e pochi matrimoni.
Non ho esagerato sul piano istituzionale».
L'anima slava? «È un mito, con qualche vago fondamento. Ma ne sono rimasto immune. Non ho mai vissuto
tragedie d'amore.
Non ho avuto scontri veri. Mi sono sempre difeso e salvato». Hai portato a casa la tua vecchiaia.
«Già, come si porta a casa la pelle dopo una guerra. Molti pensano che la vecchiaia sia una specie di
salvadanaio da cui prendere le ultime monete di scambio con la vita. Per come la vedo io essa è la stagione
che ci prepara all'incontro con il nulla. I mille perché della vita finiscono lì. In quell'appuntamento. Non sai
cosa c'è. Non sai chi arriva. Ecco, se penso alla mia scrittura, ai miei romanzi, alle mie storie, so che tutto è
nato da questo enigma».
Il Pci Entrai nel partito sedotto dall'idea che si potesse dominare la realtà con ogni mezzo C'era forse
menzogna o follia più grande? LE TAPPE I GIORNALI Nel 1953 entra a Epoca.
Corrispondente dall'estero per La Stampa e per Il Corriere della Sera, vive a lungo a Mosca. Con Indro
Montanelli fonda Il Giornale. In seguito è direttore del Resto del Carlino e della Nazione LA NARRATIVA
Esordisce nel 1953 con il romanzo La campagna elettorale. Nel 1996 vince il Campiello con Esilio, memoria
dell'infanzia in Dalmazia. L'ultimo suo libro è La distrazione, pubblicato due anni fa da Mondadori LA
SAGGISTICA In 1989. La fine del Novecento (Mondadori) ripercorre da testimone gli ultimi due decenni del
secolo. In altri saggi racconta la Primavera di Praga, la rivolta a Budapest, i paesi dell'Est e l'eclissi del
comunismo
LA POLITICA Tenace anticomunista, dal 1976 al 1979 è senatore della Repubblica per il partito liberale
italiano Poi viene eletto al Parlamento europeo: fino al 1989 rappresenta i liberali, poi entra nelle fila del
partito socialista italiano
La vecchiaia Ho portato a casa la mia età avanzata come si porta a casa la pelle dopo una guerra Adesso mi
preparo all'incontro con il nulla
Foto: LA BIOGRAFIA Enzo Bettiza, nato a Spalato nel 1927, si trasferisce con la famiglia in Italia dopo la
seconda guerra mondiale. Esule, s'iscrive all'Accademia delle Belle Arti di Roma.
Negli anni '50 esordisce come scrittore e poi come giornalista. Alla fine dei '70 entra in politica
Foto: DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI
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L'ostaggio trasformato in agit-prop della Jihad
Nel video diffuso dall'Is John Cantlie canta le lodi di Mosul sotto il regime
ADRIANO SOFRI
LA COSA sta così,a questo punto: John Cantlie è uno sventurato ostaggio del Califfato e il reporter più
trascinante del mondo. Ieri il suo nuovo filmato, Dentro Mosul , teneva le prime pagine. Lui vi è in forma,
sbarbato, ringiovanito (ha 43 anni), e la sconcertante disinvoltura, velata tuttavia dalla rassegnazione del
condannatoa morte, con cui nella prima apparizione aveva letto il suo messaggio sembra aver lasciato il
campo solo a una recita di consumata efficacia.
Gli otto minuti vogliono ridicolizzare le notizie secondo cui Mosul - «la seconda città dell'Iraq», si premura di
ricordare - è ridotta in povertà, vessata dagli scherani dell'Is, esposta alle violenze. È girato con maestria, in
un tono brillantee alla fine spiritoso e beffardo. Il montaggio caleidoscopico mischia e ricompone le immagini
delle location strategiche per l'assunto sulla normalità, anzi il progresso, della vita civile di Mosul. Si comincia,
è ormai una sigla, dalla panoramica dall'alto sulla città.
< PAGINA SI PASSA alle strade percorse in auto - Cantlie è alla guida - nel traffico urbano, agli acquisti nel
bazar affollato, all'ospedale in cui sono curati i bambini feriti dai bombardamenti. La conclusione del film ha
un crescendo irridente da strappare l'applauso, se si potesse applaudire la confezione ingegnosa di
un'infamia: Cantlie, ritto sotto il cielo, sfida i raid aerei con una mimica da parodia. E poi, ora alla guida di una
grossa fiammante motocicletta della polizia islamista, con un vero luttuoso "poliziotto" accampato sul sedile
posteriore, ammaestra la telecamera che lo affianca, e di colpo sgasa e aziona la sirena, dissolvenza, fine.
Un film d'autore, così ben recitato che Cantlie ne è almeno il coautore, e deve avere un buon fiuto chi l'ha
lasciato fare. Naturalmente, già mentre guarda e apprezza la fattura, lo spettatore non incantato lavora di
smontaggio. Mosul è stata messa a ferro e fuoco e saccheggiata. Minoranze sono state trucidate, catturate,
bandite - a cominciare dai cristiani.I militari decimati,o forzati ad arruolarsi. Solo nei giorni scorsi alle migliaia
di yazidi ancora braccati sul monte Sinjar si è aperta la via della discesa, ed è stata liberata anche la zona di
Zummar, ricca di petrolio. Allo scorso giugno, gli yazidi della provincia di Ninive ufficialmente censiti come
uccisi o rapiti erano 3.583, di cui 1.597 donne.
La popolazione sunnita, e molti suoi notabili, avevano fatto buon viso all'avanzata jihadista perché ai loro
occhi il gioco del governo di Bagdad era peggioree ne aveva fatto una periferia umiliata e saccheggiata. Ma
la rassegnazione di Mosul ai nuovi padroni è provvisoria e, dopo che l'avanzata dell'Is aveva fatto sentire il
fiato sul collo al Kurdistan di Erbil, si sono succedute le ritirate e solo la debolezza mentale, più che militare,
della coalizione ha ritardato una controffensiva su Mosul. E i sunniti sono sempre più allarmati da
un'avanzata sciita e iraniana nel loro territorio.I capi della tribù dei Juburi, nelle province di Mosul e Kirkuk,
dopo un abboccamento con gli americani, hanno aperto le ostilità contro l'Is. È avvenuto qui l'episodio di cui
Repubblica riferiva ieri, coi giovani della città di Hawija, piazzaforte del Califfato, che hanno bruciato la
bandiera nera; l'Is per rappresaglia ne ha sequestrati 170, di cui si ignora la sorte. A questo punto i curdi non
intendono per proprio conto andare oltre, perché hanno già il controllo del territorio che considerano proprio,
da Khanaqin a Jalawla, a Saadiya, e la montagna di Hamrin,e le città di Kirkuk, Makhmur, Guwer e Zumar,
fino a Sinjar.
Nel video di ieri, il brano sull'ospedale è il più zoppicante, con quella spettrale inquadratura del corridoio
deserto di umani, prima della sala dei bambini. Da qualche giorno si è diffusa una voce secondo cui sarebbe
arrivata a Mosul l'Ebola, portata forse da miliziani nigeriani. Una voce - c'è da sperarlo - ma tanto più
allarmante a Mosul, dove i medici sono stati decimati. Dunque il "brillante" reportage di Cantlie non è venuto
per caso: esso reagisce al momento di maggior debolezza (che non vuol dire minor ferocia, anzi!) dello Stato
Islamico a Mosul. Documentariamente, non dimostra niente: in una città-accampamento di un paio di milioni
di persone, il traffico di auto e di passanti, o i banchi del bazar, non sono una notizia. Però c'è il sottocapitolo
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LE IDEE
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che riguarda la persona di John Cantlie.
Dopo la prima apparizione, nella tuta arancione dei colleghi inginocchiati per le ultime parole, Cantlie aveva
annunciato un suo programma a puntate in cui, inviato specialissimo, avrebbe smascherato la congiura
dell'informazione sullo Stato Islamico.
Video ben girati, cambi di inquadrature, ritmo. Gli spettatori si saranno sorpresi ieri di scoprire che il
programma era già all'ottava puntata. La maggior parte dei media internazionali aveva rinunciato a
trasmetterle, perché non c'era più la novità, perché era evidente comei fili di Cantlie fossero mossi da un
burattinaio con il coltellaccio nell'altra mano, e per non fare il gioco del nemico. Cantlie era diventato un caso
increscioso, oltre che tragico, e ascoltare i suoi bollettini di controinformazione jihadista non emozionava più,
faceva solo tristezza. Lui continuava.
Raccontava i raid falliti della Delta Force per liberare gli ostaggi. Protestava contro il rifiuto di negoziarne il
rilascio. Denunciava l'intervento della coalizione e ne annunciava la disfatta. Riferiva che i prigionieri come lui
erano stati sottoposti al waterboarding , in contrappasso a Guantanamo. Aveva il suo "studio": il tavolo, la
tuta, la ripresa di fronte e di profilo... Il registro era cambiato bruscamente alla fine di novembre, quando
Cantlie apparve in un reportage "dal campo" di Kobane, a cielo aperto, la barbetta curata, indosso una
camicia nera e pantaloni civili. Il video era introdotto da una spettacolare inquadratura a volo d'uccello, "un
drone dell'Is", che stringeva sulle rovine della città curda e sul giornalista. Ancora più disinvolto, indicava il
confine turco, spiegava che Kobane era in mano all'Is e che non c'era ombra di curdi e di giornalisti e dunque
la resistenza di Kobane era una balla dettata dalla Casa Bianca. Il miglior reporter che la propaganda
jihadista potesse desiderare, e però proprio in quei giorni la stretta dell'Is su Kobane retrocedeva e i servizi
dall'altro fronte mostravano le postazioni riconquistate e i curdi... Ora è la volta di Mosul.
Avevamo guardato Cantlie finora come si guarda una mosca in un bicchiere rivoltato. Si fa il tifo, per una
mosca nel bicchiere.E una mosca cocchiera? Nel video di ieri non c'è più il bicchiere, la mosca si muove
freneticamente: ma ha le ali tagliate. Ammesso che avesse disperatamente obbedito ai suoi carceriericarnefici, ora Cantlie ha tolto dalla mano del burattinaio i propri fili e se li muove lui, come conviene al
burattinaio, con più maestria. Sta giocando una partita in cuiè spaventosamente solo, pressoché postumo.
Suo padre è morto di una complicazione - crepacuore, si chiama- mentre lui faceva la sua carriera forzata di
anchorman . Noi, dal sicuro, dobbiamo ricordarci che tutto quello che dice e fa è una recita sovrastata dal
coltello. E anche se la simulazione fosse arrivata a convincere lui stesso della parte che sta giocando, non si
potrebbe che avere una simpatia per il suo tentativo smisurato. Ogni puntata del suo telegiornale dilaziona la
decapitazione. A questo sono ridotte le Shahrazad dei nuovi califfi.
I PUNTI
PAKISTAN Cinque persone sono state uccise da una bomba esplosa durante una partita di pallavolo nel
distretto tribale di Orakzai, nel nord ovest del Pakistan Lo riferiscono fonti della sicurezza ai media locali.
Ferite almeno altre dieci persone
IRAQ I jihadisti dell'Is hanno rilasciato 162 dei 170 uomini catturati due giorni fa in due villaggi del nord
dell'Iraq dove erano state bruciate le loro bandiere. Lo hanno reso noto gli abitanti dei villaggi Al-Shajara e
Gharib, nella zona di Kirkuk
ISRAELE I servizi israeliani hanno scoperto una cellula legata all'Is pronta a compiere attentati in Israele. Lo
Shin Bet precisa di aver sventato il progetto con l'arresto di tre giovani palestinesi due mesi fa a Hebron, in
Cisgiordania
PER SAPERNE DI PIÙ english.alarabiya.net www.siteintelgroup.com
Foto: DA OSTAGGIO A PORTAVOCE Nella foto in alto giornalista britannico John Cantlie, ostaggio dell'Is,
sbarbato e sorridente racconta la vita quotidiana a Mosul nel video di propaganda del califfato; al centro, sulla
moto della polizia islamica; in basso, nel variopinto suk della città irachena LA MINACCIA A NETANYAHU Il
premier israeliano Netanyahu vicino a un cappio e la scritta "fra poco". La minaccia in una pagina Facebook
vicina ad Al Fatah
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Buccia di banana per il Nazareno
STEFANO FOLLI
CERTI episodi valgono più per il loro significato simbolico che per la sostanza della questione sollevata. È il
caso della cosiddetta norma salva-Berlusconi nel decreto delegato sul fisco. Se doveva essere la prova che
nel patto del Nazareno esiste un lato oscuro, non ha retto alla luce del giorno:e non poteva essere altrimenti.
L'operazione era tanto maldestra da rendere verosimile che né Renzi né Berlusconi fossero i responsabili del
pasticcio.
Talleyrand avrebbe rispolverato la frase: «è peggio di un crimine, è un errore». Come dire che i due
contraenti del patto avrebbero scelto meglio le modalità, se avessero voluto mettere a segno un colpo di tale
rilievo. A PAGINA 10 CERTI episodi valgono più per il loro significato simbolico che per la sostanza della
questione sollevata.È il caso della cosiddetta norma salvaBerlusconi nel decreto delegato sul fisco, segnalata
da un ottimo lavoro giornalistico. Se doveva essere la prova che nel patto del Nazareno esiste un lato oscuro,
non ha retto alla luce del giorno: e non poteva essere altrimenti. L'operazione era maldestra, tanto maldestra
da rendere verosimile che né Renzi né Berlusconi fossero i diretti responsabili del pasticcio. Talleyrand
avrebbe rispolverato la sua celebre frase: «è peggio di un crimine, è un errore». Come dire che i due
contraenti del patto avrebbero scelto meglio l'argomento e le modalità, se avessero voluto mettere a segno
un colpo di tale rilievo qualè la riabilitazione pubblica del leader di Forza Italia. Perché di questo si tratta e il
presidente del Consiglio si muove su un terreno scivoloso quando dichiara con sicurezza che la nuova
normativa fiscale, subito ritirata, non si sarebbe applicata a un condannato in via definitiva. Viceversa
Berlusconi ne avrebbe tratto immediato vantaggio, come sempre quando il codice cambia a favore del reo.
Tuttavia è anche vero che nessuno dei due, né il premier né il suo semi-alleato del Nazareno, hanno il
minimo interesse oggi a riaccendere i riflettori su una stagione passata. Le norme «ad personam» in
soccorso a Berlusconi rammentano tempi di nevrotica conflittualità che in definitiva non hanno portato fortuna
né all'interessato né al Pd: hanno solo contribuito ad aprire la strada al movimento di Grillo. Tutta la strategia
di Renzi, come pure dell'ultimo Berlusconi, sembra volta a non ripetere i passi falsi della fase precedente.
Quindi è possibile che la norma, che pure era stata infilata nel decreto, sia passata per l'eccesso di zelo di
qualcuno, ma senza un coinvolgimento politico ad alto livello.
Tutto risolto, allora? Non proprio. La vicenda, o meglio la buccia di banana, segnala che non tuttoè fluido
nell'intesa di legislatura fra il Pd renziano e il partito berlusconiano. In altri termini, non è questo il modo
migliore di cominciare il 2015, giusto alla vigilia della discussione al Senato sulla riforma elettorale e a poche
settimane dall'elezione del presidente della Repubblica. In fondo sono questi i due passaggi chiave in cui si
riassume il senso e la ragion d'essere del patto del Nazareno. Due appuntamenti che devono essere
affrontati con sufficiente coesione - e ancora non sappiamo se sarà così - , senza incidenti di percorso che
offrono munizioni alle armi degli avversari.
Fra due giorni prenderà il via con la legge elettorale la sfida politica destinata a influenzare gli equilibri di
potere nei prossimi dieci anni. Sulla carta, come è stato notato più volte, Renzi e Berlusconi hanno i numeri
per far passare l'Italicum e subito dopo eleggere un presidente della Repubblica gradito. Ma per evitare colpi
di scena il premier ha bisogno di dimostrare al suo interlocutore che il Pd è nella sostanza unito (salvo le
frange irriducibili); al tempo stesso Berlusconi deve offrire lo stesso pegno a Palazzo Chigi, garantendo che
Forza Italia non è in via di dissoluzione.
Ne deriva che il voto sulla riforma elettorale, se arriverà in tempo prima che il Parlamento si blocchi per
l'elezione del successore di Napolitano, ha proprio questo significato strategico: rendere noto che il patto del
Nazareno si fonda su due formazioni rispettose dei rispettivi leader e non su agglomerati parlamentari tentati
dall'anarchia. Al riguardo, né Renzi né Berlusconi possono dormire tranquilli. Sulla legge elettorale c'è una
zona grigia che riguarda aspetti tecnici di primo piano, dalle preferenze al numero dei «nominati» attraverso i
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IL PUNTO
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capilista bloccati. Niente che non si possa risolvere con un compromesso, come il premier garantisce ai suoi,
ma solo se esiste una volontà politica di fondo. Una volontà che deve comprendere anche il nodo del
Quirinale.
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Il trucchetto del tre per cento
GIANLUIGI PELLEGRINO
IL RIPENSAMENTO ha senz'altro il sapore giusto dell'atto dovuto.
Il riconoscimento di un errore inaccettabile che il governo stava compiendo. E che si deve stare in guardia
non si ripresenti nei prossimi passaggi del provvedimento in Consiglio dei ministri.
Ciò detto, non pochi interrogativi restano appesi, e aspettano risposte ugualmente doverose.
< PAGINA LA NORMA inserita nel decreto fiscale era infatti, prima ancora di ogni finalità sospetta, del tutto
indifendibile nel merito. Un autentico sgorbio grave quanto odioso.
Stabiliva espressamente che un ricco che froda al fisco milioni di euro se ne esce con una semplice
sanzione amministrativa, solo per la sua alta dichiarazione dei redditi. Mentre per uguale o minore evasione
un cittadino comune deve essere punito severamente con la galera.
Una norma che non c'entrava nulla coni meritori contenuti del decreto delegato e che contraddiceva gli
obiettivi indicati più volte da Renzi: punire i grandi evasori senza per questo mostrare ai cittadini un fisco
nemico, arrabbiato e aguzzino. Qui invece si faceva l'esatto contrario.
E allora la domanda è come sia potuto avvenire. Come abbia potuto lo stesso governo approvare quel testo.
Nessuno si era accorto delle conseguenze? O qualcuno sperava che il provvedimento sarebbe passato
inosservato? Non si sa quale sia l'ipotesi peggiore. E nel mistero della manina autrice del codicillo non può
sorprendere che si sottolinei come quella normetta traduceva alla lettera il ritornello berlusconiano: come fate
a condannare per frode fiscale me, che pago milioni di tasse? Che è un po' come pretendere di giustificare
l'omicidio di un medico se per il resto ha curato molti malati. O la pedofilia di un preteo di un insegnante se
per il resto hanno educato tanti bambini. In realtà il furto del ricco dovrebbe al più essere un'aggravante.
Eppure esattamente quel principio declamato dal Cavaliere risultava tradotto in legge, perché si rendeva non
più punibile la orchestrata frode milionaria, in ragione della complessiva dichiarazione di redditi del colpevole.
Utilizzando il giochetto del 3 per cento che cadeva a pennello per cancellare con un colpo di spugna le frodi
del leader di Forza Italia, aprendo la voragine di un salvacondotto per tutti i grandi evasori. Ora, dopo il
clamore suscitato, il governo fa giustamente macchina indietro. Ma delle due l'una. O era una norma
approvata consapevolmente e doveva allora dichiararsene la suo esplicita finalità all'interno di una più o
meno malintesa pacificazione con Berlusconi. Oppure, se è stata inserita da altri è grave che il premier l'abbia
firmata. Adesso non può certo covare in seno a Palazzo Chigi serpi che giocano proprie indicibili partite. E
nemmeno può accettare che chi doveva non lo abbia avvertito né messo in campana. Altrimenti è lui, il
premier, a non dirci tutto. Passa a ben vedere da qui, alla vigilia di una fase decisiva, una prova non
secondaria per la credibilità della complessiva azione del governo, anche al di là di un codicillo abusivo
quanto grossolano. Anche per fugare il terribile dubbio che fosse vile moneta di scambio per il voto sul
Quirinale.
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L'ANALISI
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Caccia alla manina che ha scritto il testo
LIANA MILELLA
PALAZZO Chigi contro Tesoro.
Tesoro contro Chigi. Renzi accusa via XX Settembre. E viceversa. Si mormorano i nomi dei possibili
"colpevoli", il sottosegretario Casero, Lotti, la Manzione. Tutti negano. Il giallo s'infittisce. La norma salva
Silvio, che avrebbe cancellato il processo Mediaset e restituito Berlusconi alla piena vita politica,è tuttora lì.
A PAGINA 2 ROMA. Palazzo Chigi contro il Tesoro. Tesoro contro palazzo Chigi. Renzi accusa via XX
settembre. E viceversa. Si mormorano i nomi dei possibili "colpevoli", il sottosegretario Casero, il
sottosegretario Lotti, la Manzione. Tutti negano. Il giallo s'infittisce. Il solo fatto certoè che la norma salva
Silvio, che avrebbe cancellato il processo Mediaset e restituito Berlusconi alla piena vita politica, è tuttora lì,
inesorabilmente scritta, di "padre" ignoto, ormai destinata a sparire, lasciandosi dietro uno strascico di
sospetti. Renzi è deciso a sgombrare il campo da una mina che giura di non aver piazzato. È pronto ad
accusare il ministero di Padoan: «Sono stati loro, quell'articolo lo hanno scritto loro, io non c'entro. Il principio
è giusto e sacrosanto, tuttora lo sottoscrivo, ma mi sono battuto perché fosse più rigido. Il Tesoro si è
opposto. Orlando pure». E adesso che la macchia di una legge ad personam si allarga sul governo? Adesso
Renzi non ha dubbi: «Io congelo tutto.
Non posso accettare che nelle trattative per eleggere il nuovo presidente della Repubblica ci sia di mezzo un
argomento simile». Sì, ma le cinque righe incriminate che fine faranno? Qui il premier fa mostra di buona
fede: «Durante il consiglio dei ministri, quando ne abbiamo discusso, nessuno ha fatto il nome di Berlusconi.
Neppure Orlando, che pure è della sinistra del mio partito. Anche in questo momento continuo a pensare che
Berlusconi non potrebbe avere nessun beneficio, ma se invece il rischio c'è, io sono pronto a cambiare il
decreto, abbasso la percentuale di non punibilità e la piazzo al di sotto di quella che lo avvantaggerebbe».
Fine dei giochi? Il pasticcio resta. I sospetti pure. Un patto del Nazareno che si allarga fino a cancellare una
sentenza come quella del capo dell'opposizione. Non solo. Una norma, per come la raccontano i magistrati,
quelli di Milano in particolare, da giorni in allarme, che avrebbe effetti devastanti sui processi in corso per reati
gravi come la frode fiscale, le false fatture, le dichiarazioni infedeli. Si gioca qui la caccia al colpevole tra Mefe
palazzo Chigi. Mettiamo in fila i fatti. A partire dallo sgomento di Franco Gallo, l'ex presidente della Consulta e
presidente della commissione che, al Tesoro, ha scritto il testo. La sua sorpresa è grande quando scopre dal
sito di palazzo Chigi che il decreto approvato non è affatto quello che lui ha mandato due mesi fa al ministro
Carlo Padoan.
Per certo la norma incriminata non c'era. A chi lo ha sentito in questi giorni Gallo ha detto: «La mia è una
commissione di gente per bene. Io, in quel testo, non mi riconosco». Tant'è che ha deciso di riunire oggi il
suo gruppo e di esprimere apertamente il suo dissenso. È la stessa preoccupazione che si materializza a
Milano dove, a palazzo di giustizia, i protagonisti dei processi fiscali e tributari si interrogano allarmati sulle
possibili conseguenze che già immaginano catastrofiche.
Facciamo un passo avanti. Da Gallo al Tesoro. Quando il suo decreto arriva, con il via libera di magistrati
famosi nella lotta ai reati fiscali come il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, l'Agenzia delle
entrate con il direttore Rossella Orlandi fa delle osservazioni.
Altrettanto fa la Guardia di finanza. A quel punto il testo è pronto. La salva Silvio non c'è.
Viene spedito per mail agli altri ministeri. Tra questi anche alla Giustizia, dove i tecnici del Guardasigilli
Andrea Orlando annotano le possibili anomalie. Siamo a circa venti giorni fa.
Nel decreto legislativo che arriva in via Arenula non c'è traccia della salva Silvio. Ovviamente ne è rimasta
traccia nei pc dell'ufficio legislativo. Giustizia annota le possibili anomalie.
Tra queste soprattutto la soglia troppo bassa che rischia di bloccare le confische sotto i 150mila euro. Quello
di cui Orlando si lamenterà a palazzo Chigi.
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IL RETROSCENA
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Prima del 24 dicembre, il giorno del consiglio dei ministri, il testo non viene esaminato in un pre-consiglio.
Dal Tesoro, ancora ieri, arrivano affermazioni perentorie: «Il nostro testo era quello originario. La norma che
potenzialmente può aiutare Berlusconi non c'era.
Non siamo stati noi. L'hanno messa a palazzo Chigi. Chi? È fin troppo facile immaginarlo...».
Il pettegolezzo circola. Antonella Manzione, il capo dell'ufficio legislativo. Luca Lotti, il sottosegretario.
Negano entrambi. Di rimando, da palazzo Chigi, spunta un nome dell'Economia, quello del sottosegretario
Luigi Casero, oggi Ncd, ma descritto tuttora come un fedelissimo di Berlusconi. Ultimo atto, il consiglio dei
ministri. Dove il testo è stato discusso. Dove il titolare dell'Economia Padoan non ha sollevato eccezioni.
Dove neppure il suo staff tecnico ha rilevato anomalie. Dove Renzi ha insistito che, tra l'alternativa se mettere
un tetto oppure fissare una percentuale, era meglio la seconda strada perché nei grandi gruppi industriali è
possibile un errore di bilancio, una svista, fatta non per frodare il fisco. Renzi e Orlando hanno discusso.
Orlando per le sue confische. Renzi per mettere pene più alte. Quindi la norma salva Silvio non è passata
inosservata, se n'è parlato. Ma, a sentire i presenti, nessuno ha pronunciato il nome di Berlusconi,oè
serpeggiato il dubbio di poterlo avvantaggiare. Resta l'allarme di Gallo, dei magistrati, della stessa Orlandi,
quando il testo è diventato pubblico. Siamo a oggi, alla ricerca del "colpevole".
LE TAPPE FEBBRAIO 2014 Il Parlamento approva a fine febbraio del 2014 la legge delega sul fisco
DICEMBRE 2014 Il 24 dicembre il consiglio dei ministri vara il decreto delegato.
Fra le norme, anche quella salva-Berlusconi
GENNAIO 2015 Subito dopo Capodanno scoppia il caso.
Renzi promette che cambierà il testo del provvedimento
FEBBRAIO 2015 Il premier indica nel febbraio 2015 ladata entro la qualeil testo del decreto tornerà in
Parlamento, dopole modifiche del governo
PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it www.mef.gov.it
Foto: Pier Carlo Padoan
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Se torna in campo un leader usurato
ILVO DIAMANTI
MA BERLUSCONI può ancora determinare gli equilibri politici in Italia? Guidare il Centrodestra e, in caso di
elezioni, trascinarlo alla vittoria? O, quantomeno, imporlo, come protagonista, nella prossima stagione
politica? La questione è tornata attuale dopo la possibile "depenalizzazione" del reato per cui Berlusconi è
stato condannato.
UN' IPOTESI che, se si realizzasse, gli permetterebbe di scendere nuovamente in campo. Il premier Renzi
ha, peraltro, annunciato che la norma, contenuta nella riforma sul fisco approvata dal Consiglio dei ministri,
verrà cambiata.
Tuttavia, il clamore sollevato dalla vicenda ha ribadito quanto Berlusconi conti ancora, sulla scena italiana.
Nonostante ne sia, formalmente, escluso. Per ragioni giudiziarie. Ma non politiche. Per questo vale la pena di
interrogarsi, di nuovo, circa il suo valore sul "mercato politico".
Sul piano nazionale, anzitutto. Dove Forza Italia ha perduto molti consensi, negli ultimi anni. Già alle elezioni
politiche del 2013 il PdL si era fermato al 21,6% dei voti validi. Circa 16 punti meno delle precedenti elezioni.
In termini assoluti: un calo di 6.300.000 elettori. Ridottoa quasi la metà, rispetto al 2008. Se, nonostante tutto,
era uscito da quel voto quasi da vincitore, è per "merito" del Pd. Calato, a sua volta, al 25%. Circa 8 punti in
meno rispetto al 2008. Alle politiche del 2013, tuttavia, Fi costituiva quasii tre quarti della coalizione di
Centrodestra e pesava 5 volte più della Lega Nord (ridotta al 4%).
Oggi il quadro è molto diverso. Alle Europee, Fi è scivolata sotto il 17%. La Lega, invece, è risalita, oltre il
6%. I Fratelli d'Italia hanno ottenuto il 3,7%. Anche senza contare l'Ncd di Alfano, che si è alleato con l'UdC, il
Partito Personale di Berlusconi ha, dunque, ridotto il suo peso elettorale nella (ipotetica) coalizione. Tanto più,
e soprattutto, se si tiene conto dell'evoluzione degli ultimi mesi, segnalata dai sondaggi. In particolare, l'ultimo
Atlante Politico di Demos (dicembre 2014) stima Fi sotto il 14%. Pochi decimali sopra la Lega, che avrebbe
superato il 13%. Ciò sottolinea come i rapporti di forza, nel Centro-destra, siano, profondamente, mutati.
Perché la Lega, ormai, compete con Fi alla pari. Questione di leadership, oltre che di partito. In quanto
Matteo Salvini, divenuto segretario alla fine del 2013, ha trasformato la Lega Nord nella Lega Nazionale,
alleata, (anti) europea del Front National di Marine Le Pen. Per allargare la presenza nel Sud, l'ha, inoltre,
personalizzata, inaugurando una Lista che ha il suo nome. E il suo volto.
Così, oggi, a Destra, la leadership di Berlusconi non è più indiscussa e indiscutibile. Mentre, nell'ultimo anno,
ha perduto il controllo sugli elettori di Centro. E sui "governativi" del Centrodestra. Ncd e UdC, oltre a Scelta
Civica: risucchiati dal Pd di Matteo Renzi.
Il PDR. Il quale ha ottenuto quasi il 41% alle Europee. E attualmente, nonostante il declino degli ultimi mesi,
è, comunque, attestato intorno al 37%.
Renzi, d'altronde, ha, indubbiamente, garantito "cittadinanza politica" a Berlusconi, nonostante la condanna e
l'ineleggibilità. Ne ha fatto un interlocutore essenziale nel dibattito e nella progettazione intorno alle riforme
istituzionali ed elettorali. Sollevando molte critiche (non solo) a sinistra. Tuttavia, al di là dei giudizi "politici", in
questo modo ha eroso, anzitutto, la base elettorale di Fi. Attratta, anch'essa, dal PDR. Così Fi siè ritrovata
"sola". Sfidata al Centro dal PDR. E a Destra dalla Lega di Salvini. La quale, come si è detto, ha subìto una
mutazione profonda. La sua identità padana si è sbiadita. Mentre ha accentuato quella di Nuova Destra. Sulle
tracce del Fn di Marine Le Pen. Che, anche in Francia, ha sottratto spazio alla Destra Repubblicana, neo e
post-gollista. Fino a superarla largamente, alle elezioni europee. Mentre i sondaggi prevedono
un'affermazione significativa del Fn anche alle prossime départementales di marzo.
Per queste ragioni pare difficile che il ritorno di Silvio Berlusconi alla politica attiva possa modificare
sostanzialmente lo scenario, in Italia. Oggi, infatti, Berlusconi appare costretto a un ruolo "gregario". A) Sul
piano generale: perché la sua possibilità di partecipare ai processi politicie di riforma del Paese - e di tutelare
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anche i "propri" interessi - dipende dal dialogo con Renzi. B) Nello schieramento politico che ha "creato". In
parte, risucchiato dal PDR. In parte, perché lo spazio di destraè sempre più occupato dalla Lega di Salvini. C)
Mentre gli risulta difficile cercare spazi nuovi. Elaborare proposte nuove.E credibili. Anche perché Berlusconi,
da sempre, ha "personalizzato" l'offerta politica. Ma oggi la sua immagine è invecchiata. Usurata.
Come emerge dal riconoscimento politico "personale". Secondo il recente Atlante Politico di Demos
(dicembre 2014), infatti, la fiducia nei confronti di Berlusconi è al 22%. Molto meno di metà rispetto a Renzi
(50%). E nettamente al di sotto di Salvini (35% circa). Ma anche della Meloni (29%). Un po' meno perfino di
Alfano.
Naturalmente, vent'anni caratterizzati da Berlusconi hanno influenzato profondamente i modelli di azione e di
organizzazione politica. Ma anche gli stili di vita e i valori degli italiani.
Hanno, cioè, "berlusconizzato" politica e società, contribuendo ad accentuare il (tradizionale) distacco dalle
istituzioni e ad affermare il senso "cinico" al posto di quello "civico". Una tendenza sottolineata dall'indagine
sul rapporto fra "Gli italiani e lo Stato", pubblicata su Repubblica la settimana scorsa. Anche per questo
l'opposizione, in Italia, ha assunto un segno prevalentemente anti-politico. Interpretata dal M5s. E, in parte,
dalla Lega Nazionale di Salvini. La Nuova Destra, che intercetta, inoltre, l'ostilità verso l'Unione Europea e
verso lo straniero. Le paure generate dai "rischi" prodotti dalla globalizzazione (a cui ha dedicato la sua
riflessione Ulrich Beck).
È l'eredità di Berlusconi, che, contrariamente ai propositi, ha inibito la formazione di una Destra
liberaldemocratica. Lasciandoci un Paese dove il PDR di Renzi, oggi, governa senza una vera alternativa.
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"Matteo troppo disinvolto e Padoan ha sbagliato"
(t. ci.)
ROMA. «Quella norma è agghiacciante». Più chiaro di così, Stefano Fassina non può essere.
Lui che a via XX settembre ha trascorso quasi un anno da viceministro, stavolta non ha dubbi: «Sono
colpitoe preoccupato. Per il deficit di autonomia e la marginalità che il ministero dell'Economia ha dimostrato
in questo passaggio, visto che si trattava di un tema di stretta competenza del ministro. E per la disinvoltura
di Renzi».
Perché dice che il premier è stato disinvolto? «Perché prima ha forzato la mano sull'Economia, introducendo
una norma che il ministro non condivideva. E poi, di fronte alla reazione della stampa e dell'opinione pubblica,
ha fatto una retromarcia imbarazzante.
Su un tema, fra l'altro, molto delicato come la depenalizzazione della frode fiscale».
Con una norma che potrebbe favorire anche Berlusconi.
«L'attenzione mediatica adesso si è concentrata sul leader di Forza Italia, ma non è quello l'unico elemento
preoccupante della norma. Se si depenalizza la frode fiscale in un Paese che ha il record mondiale di
eversione, non va bene. Il governo dovrebbe rimuovere le condizioni che determinano l'evasione di
sopravvivenza, colpendo allo stesso tempoi grandi evasori. Qui invece si fa l'opposto».
Lei pensa che c'entri il patto del Nazareno? «Non voglio credere che sia un elemento del patto del Nazareno,
anche perché è evidente che un intervento di questo tipo non sarebbe passato inosservato. Credo invece che
sia stato un errore grave».
Può accadere che una sanatoria del genere entri nel decreto senza che il ministero dell'Economia
comprenda gli effetti? «Non esiste che il ministro e il ministero si facciano infilare una norma del genere
durante il consiglio dei Ministri. Non è un dettaglio, quindi ci sono due possibilità: il ministro era d'accordo,
oppure non se n'è accorto. E non so se questa seconda ipotesi sia migliore. L'unico modo per cui si può
inserire una norma del genere senza che se ne accorga il ministro è che il Dipartimento degli affari giuridici di
Palazzo Chigi lo inserisca nel testo a consiglio dei ministri concluso». Tutto accade a pochi giorni dalla sfida
per il Colle. Questo incidente può pesare? «La disinvoltura con cui il premier ha portato avanti questa vicenda
non crea il clima migliore in vista dell'elezione per il Quirinale. Credo che il nuovo Presidente vada scelto con
la più ampia convergenza possibile, Forza Italia compresa. Dopodiché questa situazione complica il quadro».
Foto: MINORANZA PD Il deputato del Pd Stefano Fassina fa parte della minoranza dem
Foto: È un provvedimento agghiacciante Ora questa vicenda potrà pesare sulla partita per il Colle
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L'INTERVISTA/ STEFANO FASSINA
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"È stato un pasticcio ma non l'ho fatto io"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Non parla quasi mai, il viceministro all'Economia Luigi Casero. Stavolta deve fare un'eccezione. Un
passato in Forza Italia e un presente nel Nuovo centrodestra, è fra i principali "sospettati" per la norma salvaSilvio. «Guardi, io non c'entro nulla». A sera, al telefono, ricostruisce i primi passi del provvedimento della
discordia. Il film si arresta però sulla soglia di Palazzo Chigi.
«Ho seguito il testo fino al preconsiglio». È nella sede del governo, allora, che si consuma la mutazione del
testo. Ed è sempre lì che spunta il codicillo incriminato, capace di cancellare l'incandidabilità dell'ex
Cavaliere. «Quella norma non faceva parte del decreto».
C'è chi sostiene che la "manina" che ha inserito quella norma sia la sua, Casero. Lei, in buoni rapporti con
Matteo Renzi e pure con Silvio Berlusconi, avrebbe proposto quella contestata modifica.
«Non è così. Io ho seguito il decreto in Parlamento. Poi il ministero dell'Economia ha mandato il testo al preconsiglio cinque giorni prima dell'approvazione. Ed era un testo molto più asciutto. Nel decreto arrivato su
quel tavolo quel tetto non c'era. Quella norma non c'era».
Quindi cosa è accaduto? «Come sa, io non faccio parte del consiglio dei ministri.
Comunque quel decreto è cambiato, a Palazzo Chigi o in consiglio dei ministri. Il testo è stato ampliato. E fra
l'altro non è quella l'unica novità inserita. Il ministero dell'Economia, in ogni caso, riteneva che fosse
necessario mantenere il testo iniziale».
E adesso? «Si può rimediare velocemente. Si toglie quella parte e il problema è risolto».
È successo un putiferio, nel frattempo. Tanto è vero che l'esecutivo ha dovuto promettere modifiche.
«Guardi, non voglio assolutamente dare colpe a palazzo Chigi. E le dico anche un'altra cosa: non c'è alcun
interesse politico in tutto questo. Piuttosto, mi sembra un pasticcio».
Sull'interesse politico si può discutere. Quanto all'esito della vicenda, è sicuramente un pasticcio.
«Senta, quel decreto serve a penalizzare chi froda e alleggerisce la pena solo per gli errori formali.E invece
questa vicenda certo non favorisce la delega, che in realtà è molto importante». Poteva esserlo anche per
Berlusconi, viceministro.
«Non so se sia applicabile a Berlusconi, sinceramente. Il testo comunque non mi sembra scritto al meglio. E
infatti hanno deciso di cambiarlo».
Foto: VICEMINISTRO Luigi Casero è deputato dell'Ncd e viceministro dell'Economia
Foto: Nel testo arrivato in Consiglio dei ministri il tetto del tre per cento non c'era Poi è cambiato a Palazzo
Chigi o in Cdm
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L'INTERVISTA/ LUIGI CASERO, VICEMINISTRO
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L'allarme dei tecnici di Padoan: così com'è il provvedimento provoca una perdita di gettito di qualche miliardo
di euro
IL RETROSCENA ROBERTO MANIA
ROMA. Il decreto fiscale con la norma "salva Berlusconi" è già in riscrittura. Doveva semplificare il rapporto
tra Fisco e contribuente, sta complicando la vita del governo. Al ministero dell'Economia i tecnici hanno
riaperto il dossier subito dopo l'approvazione del provvedimento nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre.
Prima ancora che "il caso" scoppiasse sui giornali. E hanno lanciato un allarme: c'è il rischio di ricadute
negative sul versante delle entrate fiscali e dunque sulla tenuta stessa dei conti pubblici. La perdita di gettito
fiscale potrebbe essere di qualche miliardo di euro.E poi l'articolo "salva Berlusconi" non faceva parte delle
"regole di ingaggio".
Gli uffici di Via XX settembre dunque hanno preso le distanze sull'ultima versione del decreto uscita da
Palazzo Chigi e pubblicato sul sito del governo, anche se non è chiaro come sia potuto accadere un fatto del
genere all'insaputa del dicastero che ha in mano l'attuazione della delega fiscale. Di certo i tecnici, dopo
avere esaminato il testo approvato, hanno proposto al governo diverse modifiche sostanziali, a partire dalla
disposizione che salverebbe il futuro politico del leader di Forza Italia. Ma c'è anche un'altra ipotesi che si fa
strada nei ragionamenti dei politici: quella di far decadere i tempi per esercitare la delega. Il governo, infatti,
ha tempo fino al 26 marzo prossimo per approvare i tanti decreti per l'attuazione della riforma fiscale che per
la prima volta definisce e depenalizza "l'abuso di diritto" o l'elusione fiscale. In teoria potrebbe decidere, come
altre volte è accaduto nel passato su altre materie, di portare su un binario morto la delega stessa.
Rinunciando a una delle riforme annunciate. Si vedrà.
I tecnici dell'Economia hanno innanzitutto suggerito di far saltare l'articolo 19-bis (favorevole a Berlusconi
condannato a quattro anni per frode fiscale) che prevede la depenalizzazione dell'evasione fiscale «quando
l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento del reddito imponibile dichiaratoo
l'importo dell'imposta sul valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento». La tesi degli esperti è che
questa disposizione vanifichi l'intero impianto della riforma, con uno sconto del tutto ingiustificato a favore dei
grandi evasori. Si consideri, solo a titolo di esempio, che con un volume d'affari di un miliardo di euro non
sarebbe punibile dal punto di vista penale un'evasione Ires (imposta sul reddito delle società) di 90 milioni di
euro, nonostante possano essere state prodotte fatture false o comportamenti fraudolenti. In tutta la
discussione (anche pubblica) precedente il varo del decreto era peraltro pacifico che i reati (come quello,
appunto, di frode fiscale) fossero esclusi dalle nuove franchigie introdotte con la delega fiscale. La variante in
corso d'opera rappresenta il problema politico maè una questione cruciale pure per i tecnici.
E via anche alla norma (l'articolo 4 dello schema del decreto) che esclude dalle sanzioni penali l'azienda che
dopo avere messo in atto operazioni (spesso da decine di milioni di euro, si pensi ai derivati) con l'evidente
obiettivo di eludere il fisco, le inserisce nelle sue scritture contabili. È una norma a favore delle bancheo delle
grandi imprese che nel passato hanno comunque registrato quelle operazioni negli atti societari sapendo che
avrebbero rischiato l'imputazione penale. Sono i casi degli ex a. d. di Unicredit e Intesa, Alessandro Profumo
e Corrado Passera, che secondo l'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco sarebbero ora avvantaggiati. Ma
danneggia l'erario. Perché con la scomparsa dell'effetto deterrente della norma penale si crea una vasta area
di impunibilità nelle ipotesi che gli esperti considerano più insidiose: simulazione, interposizionee frodi nel
terreno della fiscalità finanziaria.
Potrebbe essere rivisto pure l'articolo 17 del decreto che inibisce il raddoppio dei termini di accertamento
(meccanismo che oggi permette di proseguire le indagini oltre i quattro anni) anche nei casi in cui
contribuente sottoposto all'accertamento paghi, per esempio, un acconto. L'effetto di questa norma - secondo
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Il Tesoro riscrive il decreto saltano il tetto del 3% e la norma salvabanchieri
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la stessa Ragioneria dello Stato - potrebbe avere conseguenze in termini di mancato gettito, bloccando molti
procedimenti in corso.
Né convince i tecnici la nuova soglia che ha innalzato da 50 mila a 150 mila euro il limite dal quale l'evasione
(per esempio per omesso versamento dell'Iva) diventa un reato penale.
Ma su questo la scelta politica non sembra in discussione. Certo nel decreto approvato, nemmeno le false
fatture inferiori ai mille euro sono penalmente perseguibili. L'obiezione dei tecnici è che non conti tanto
l'ammontare dell'evasione, quanto il fatto che dietro la fattura falsa c'è l'intenzione, la consapevolezza, di
presentare documenti fittizi. Un comportamento che andrebbe comunque sanzionato, indipendentemente
dall'importo sottratto al fisco. I PUNTI 1NIENTE FAVORI A SILVIO L'ipotesi su cui stanno lavorando i tecnici
del governo prevede il superamento della norma che depenalizza l'evasione di somme il cui importo non
supera il 3% del reddito imponibile 2NO AL "SALVA BANCHE" Si sta studiando come correggere la norma
del decreto delegato che depenalizza le operazioni di elusione fiscale, messe in atto da banche e imprese, se
vengono registrare nelle scritture contabili 3DUBBI SULL'ACCERTAMENTO Potrebbe essere rivista la norma
che fissa in quattro anni (senza raddoppio) l'accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate a meno che, in
caso di reati, la denuncia dell'Agenzia sia stata presentata in tempo
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"Una legge ingiusta che rende più difficile la lotta alla corruzione"
(l.mi.)
ROMA. Una legge «ingiusta», una «depenalizzazione dei reati fiscali». Compresi quelli dei vecchi processi,
Berlusconi compreso. È netto il giudizio del presidente dell'Anm Rodolfo Maria Sabelli.
Una causa di non punibilità per reati gravi come la frode fiscale, se ne sentiva il bisogno? «A mio parere,
assolutamente no. I problemi sono diversi, non solo il fatto che una norma simile sarebbe applicabile anche
alle frodi, ma in più non è prevista una soglia massima di valore assoluto in euro, ma solo una soglia
percentuale. E la non punibilità non è neanche condizionata al pagamento delle imposte evase e delle
relative sanzioni».
È compatibile con la lotta alla corruzione? «Ho seri dubbi, in quanto col ricorso alle fatture inesistenti si
possono costituire fondi neri da destinare al pagamento delle tangenti.
Quindi fra corruzione e alcuni reati fiscali esistono molti collegamenti». Che conseguenze comporta sui
processi in corso? «Secondo un principio cardine del sistema penale, quando una legge successiva stabilisce
che un fatto non costituisce più reato, si applica anche ai fatti già commessi e anche a quelli per i quali ci sia
già stata una sentenza definitiva di condanna». In quest'ultimo caso che succede? Il processo si riapre? La
pena resta? «Se vi è stata sentenza irrevocabile si apre il cosiddetto incidente di esecuzione, nel quale i
giudici valutano se si deve o no revocare la sentenza di condanna".
Si applica anche a Berlusconi...
«Se, nel suo caso, non è stata raggiunta la soglia del 3%, ritengo che la legge lo riguarderebbe. Ma sia
chiaro che, da giurista e al di là del singolo caso politico, ritengo che questa non sarebbe affatto una legge
giusta».
Perché? «Soprattutto perché si configura di fatto come una parziale depenalizzazione di reati gravi,
specialmente quelli di frode».
Che fine fa la condanna a 4 anni di Berlusconi e l'interdizione? «Tutte le condanne, compresa la sua,
potrebbero essere revocate. Di conseguenza cesserebbero gli effetti penali, interdizione compresa». E la non
candidabilità alle cariche politiche per 6 anni dovuta alla Severino? «Sarebbe ragionevole immaginare che,
una volta venuta meno la condanna, cada di conseguenza anche l'incandidabilità».
Foto: Siamo in presenza di una depenalizzazione dei reati fiscali
Foto: "PRESIDENTE DELL'ANM RODOLFO MARIA SABELLI
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L'INTERVISTA/ IL PRESIDENTE DELL'ANM SABELLI
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Il guru economico di Tsipras: "Basta ingerenze e più tempo sul debito"
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «Fiscal waterboarding», lo chiama Yanis Varoufakis. Come la peggiore delle torture della Cia in
versione finanziaria. «Sono cinque anni che l'Europa su ispirazione tedesca ce lo infligge. Strangolare un
popolo per costringerlo al rigore oltre i limiti mentre la gente è senza lavoroe vive con pensioni da fame, si
muore di malattie scomparse cinquant'anni fa, con le privatizzazioni forzate sono state consegnate l'area di
Hellenikon o la lotteria nazionale a dei lestofanti. Dove dobbiamo andare a finire?» Varoufakis, classe 1961,
docente alla Texas University di Austin e già preside di Economia ad Atene, è l'eminenza grigia di Syriza,
l'autore del progetto che fa tremare l'Europa. Per il partito sarà anche candidato.
Non chiedete più di uscire dall'euro, ma intanto la Merkel vi invita a rispettare i patti. Qual è la vostra
risposta? «Che è un'ingerenza inaccettabile in una campagna elettorale democratica. L'euro è stato
concepito male, e per la Grecia, come per l'Italia, era meglio non aderirvi. Non ha retto all'impatto della crisi
finanziaria del 2008, ma ormai non si può tornare indietro. È come un vascello lanciato verso l'America che a
metà dell'oceano comincia ad imbarcare acqua. E' inutile stare a disquisire sugli errori degli ingegneri che
l'hanno costruito, bisogna stringere i denti e arrivare in porto».
Qual è la vostra proposta? «Di trasformare il debito verso la Troika, salito da 240 a 280 miliardi per il
comporsi degli interessi (che più volte rinegoziati sono scesi al 2% di media ma prima arrivavano a più del 5),
in un maxi-bond a scadenza illimitata: cominceremo la restituzione quando le condizioni lo permetteranno e si
sarà innescata in Grecia una crescita almeno del 3-3,5%».
Non è troppo? «Non le abbiamo inventate noi cifre del genere: la Troika quando ci concesse i prestiti di 110
miliardi nel maggio 2010 e 130 nella primavera 2012, diceva che sarebbero bastati per garantirci uno
sviluppo del 4,5% l'anno. Che razza di errore, perfino l'Fmi l'ha riconosciuto.
La Grecia ha perso talmente tanto che non è irrealistico un rimbalzo, ma da dove esce la crescita se ogni
euro disponibile va a ridare i prestiti? Da questi fondi dipende la nostra sopravvivenza. E' la nostra linea
rossa, non arretreremo». Niente più haircut dopo quelli del 30% nel 2011 e di un altro 40 nel 2012? «Il debito
verso la Troika, in un Paese che ha 250 miliardi di Pil, è l'81% del debito pubblico.
Il resto, dovuto a creditori privati, non si tocca.
Le ricordo che al momento delle ristrutturazioni le banche avevano già ceduto i loro titoli alla Bce, esente
dall'haircut, che non ci ha rimesso un euro. Vi incapparono fondi pensione e investitori privati. Ora è il
momento che le banche e la Bce ci restituiscano il favore. Se Francoforte e soprattutto Berlino continueranno
ad opporsi, noi non ci staremo. Qualsiasi siano le minacce».
Come avviare una crescita così vigorosa? «Puntiamo sul quantitative easing, e la Bce non si azzardi ad
escluderci, e anche su una forma speciale di Qe: l'acquisto di bond della Banca europea degli investimenti.
La Bei cominci a fare quello per cui è nata, cioè finanziare investimenti nei Paesi europei, Grecia ovviamente
compresa».
Foto: ECONOMISTA GRECO Yanis Varoufakis, insegna economia in Texas e si candiderà con Syriza
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'INTERVISTA/ YANIS VAROUFAKIS HA SCRITTO IL PROGRAMMA CHE AGITA LA GERMANIA:
"BERLINO FA WATERBOARDING FINANZIARIO"
05/01/2015
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È POSSIBILE USCIRE DALL'EURO?
MARIO PIRANI
SUL prossimo numero di gennaio del Mulino l'economista Salvatore Biasco porrà il quesito che sarà al centro
di ogni dibattito politico ed elettorale dei prossimi mesi: "Abbiamo l'opzione di uscire dall'euro?".
Inoltre, man mano che appariranno evidenti i sacrifici che comporta questa crisi, sorgerà in molti il dubbio se
valga la pena che questi siano affrontati per soddisfare i dettati dell'intransigenza della Ue o se non esistano
altre opzioni. Andare avanti così comporta un declino progressivo, che può durare un decennio (se basta). Se
si parte dal 2007 il solco creato ci ha già portato la perdita di un quarto della nostra produzione industriale e,
a seconda delle stime, dai 3 ai 4 milioni di posti di lavoro.
Come il governo afferma, lo scenario migliore è quello che vede un'Unione Europea uscire dall'ossessione
dell'economia dell'offerta senza porsi la questione della domanda. Ma al momento questa non pare una
«opzione a nostra disposizione». L'economista valuta le leve su cui si può agire, consapevole che ciò
implicherebbe un ritorno alla lira con riappropriazione del cambio. Uno scenario obbligato ad un percorso
concordato che dovrebbe rimanere assolutamente segreto, cosa assai poco probabile vista la lunghezza e la
complessità delle trattative. La consapevolezza di ciò diffonderebbe un panico da "si salvi chi può" che
porterebbe a un disinvestimento dall'Italia e a un aumento a livelli elevatissimi dello spread con un subbuglio
monetario unito a una deflazione mondiale. La raffinata analisi economica di Biasco descrive una situazione
in cui, "anche nel caso di cooperazione, il mercato dei cambi dovrebbe esser chiuso e i viaggi proibiti durante
tutta la fase di transizione e di riavvio del nuovo sistema, le uscite di capitale controllate amministrativamente
e con misure di polizia. Se non altro, le lire dovrebbero essere stampate, i registratori di cassa reinstallati
(tutto ciò che non si poteva fare durante la fase delle trattative segrete), debiti e crediti rinominati. I tassi di
interesse (interni, ma forse anche del resto dell'euro) dovrebbero essere tenuti alti". Con conseguenti
interrogativi su chi dovrebbe tenere ordine nei mercati. La Bce? La Banca centrale Italiana? Qualunque
soluzione possibile porterebbe i mercati a proteggersi dall'Italia.
Né sarebbe diverso se la crisi fosse deliberatamente provocata con una dichiarazione di insolvenza. La
domanda "Chi ce lo fa fare?" che si pone l'uomo della strada e che si è accreditata nella lotta politica non
tiene in considerazione che questo non può essere un provvedimento che un giorno, prendendo di sorpresa
tutti, l'Italia annunci ai suoi creditori. Questa è un'opzione che si materializza strada facendo se non altro per il
rifiuto a perseguire misure di contenimento del debito. In un caso e nell'altro, un giorno (del default) ci
sveglieremmo con le banche chiuse, conti correnti congelati, movimenti di capitale e viaggi all'estero proibiti,
contante (alla riapertura delle banche) distillato. Partirebbe un'inflazione molto prima che i costi maggiorati
delle importazioni incidano effettivamente sulle produzioni, per via delle aspettative che anticipano il risultato.
La benzina può benissimo arrivare a 3.000 lire (supponendo un cambio iniziale di conversione 1:1.000).
Ancora una volta con fondati presupposti l'economista descrive una reazione a catena per cui, "quand'anche
il debito fosse decurtato del 30% (che reputa improbabile), i creditori esteri e gli investitori italiani dovrebbero
assorbire perdite ingenti. Molti non ce la farebbero e fallirebbero.
Gli stati dove sono locati dovrebbero farvi fronte, se ne sono in grado. Un contagio bancario sarebbe
inevitabile...".
Le banche italiane che detengono titoli dello Stato verrebbero - nel linguaggio che ho sentito - "finalmente
punite" e dovrebbero addossarsii costi di una crisi che hanno provocato (le banche italiane?!). In realtà le
banche fallirebbero pressoché tutte (e, con esse, le assicurazioni) e dovrebbero essere tutte acquistate dallo
Stato, quanto i loro azionisti, tra loro piccoli risparmiatori , che detengono titoli di Stato, obbligazioni
societarie, azioni, polizze vita, fondi comuni e che avrebbero perdite, per la caduta dei corsi e per haircut che
il default comporterebbe. Ma i costi non si fermano qui. Pensiamo al credito che si bloccherebbe
istantaneamente (senza più le iniezioni di liquidità della Bce, che subirebbe perdite rilevanti addossate agli
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LINEA DI CONFINE Lettere Commenti & Idee
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altri Stati sovrani, il che non dispone bene nei nostri confronti). Pensiamo al crollo verticale della produzione,
ai fallimenti a catena nel settore produttivo, a una disoccupazione colossale che si formerebbe (altro che
aumento dei salari reali). Si bloccherebbero i consumi per via del reddito in calo verticale, dell'inflazione, delle
incertezze sul futuro, della falcidia del risparmio. La situazione sociale diventerebbe disperata.
Il saggio che citiamo analizza anche lo scenario inverso, ovvero di rimanere ancorati all'Europa e si interroga
se è preferibile il disastro o la morte per soffocamento e propone una serie di valutazioni sugli obiettivi unitari
che si dovrebbe porre la sinistra ricordando che "il crinale per il Paese è molto sottile". Un saggio che
dovrebbe aprire un dibattito. PER SAPERNE DI PIÙ www.demos.it www.governo.it
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Ecco perché bisogna favorire le innovazioni
FAREED ZAKARIA
IL MONDO in questi giorni guarda con ammirazione agli Stati Uniti. Recentemente sono stato in Europa e in
Asia e non ho fatto altro che sentire elogi della capacità d'innovazione e dello spirito imprenditoriale del
nostro Paese. Ma una serie di nuovi studi sembra indicare che esempi sfavillanti come Facebook, Snapchat e
Uber sono ingannevoli. La realtà è che l'innovazione in America sta segnando il passo.
«Negli ultimi trent'anni, il tasso di formazione di startup negli Stati Uniti è notevolmente rallentato e ora nel
settore tecnologico a dominare la scena sono aziende più "anziane"», scrive Robert Litan sull'ultimo numero
di Foreign Affairs . Nel 1978 le start-up - le aziende con meno di un anno di vita - rappresentavano quasi il 15
per cento di tutte le aziende statunitensi. Ma nel 2011 questa percentuale era precipitata all'8 per cento. «Per
la prima volta in trent'anni le aziende che hanno chiuso sono più numerose di quelle che hanno aperto»,
osserva Litan. Le aziende americane cominciano anchea invecchiare. Litan fa notare che «la percentuale di
aziende statunitensi considerate mature, cioè con almeno 16 anni di età, è salita dal 23 per cento del totale
del 1992 al 34 per cento del 2011». Il problema di questa tendenza sta nel fatto che le aziende "anziane"
storicamente sono più avverse al rischio, più rigide e progressivamente meno innovative di quelle "giovani".
Le soluzioni proposte da Litan sono sensate e trasversali: lasciamo entrare un maggior numero di immigrati
qualificati; rivediamo periodicamente e snelliamo le normative che rendono difficile per il cittadino medio
creare una nuova impresa; facilitiamo le procedure per trovare persone dispostea finanziare la propria idea
su Internet; manteniamo un accesso pressoché universale alle cure sanitarie, in modo che una persona che
sta pensando di lasciare un'azienda consolidata per fondarne una sua non sia trattenuta dal timore di perdere
l'accesso alle cure mediche.
L'innovazione è legata allo spirito imprenditoriale, ma anche alla tecnologia. E ci sono alcuni, come
l'imprenditore miliardario Peter Thiel, che sostengono che in realtà, nonostante tutto quello che si sente dire,
non viviamo in un'epoca innovativa. La Founders Fund, la società di venture capital di Thiel, lo dice in modo
conciso ed efficace: «Sognavamo le macchine volanti e ci ritroviamo con 140 caratteri» (allusione a Twitter).
A mio parere i dati indicano che l'informatica sta trasformando completamente settori come la sanità e
l'istruzione. Ma la mia preoccupazione nasce dal fatto che il progresso dell'informatica è stato il risultato di
molti anni di investimenti. In questo momento ci stiamo godendo i frutti di quanto seminato, ma non stiamo
gettando le basi per le prossime grandi rivoluzioni tecnologiche.
Se andate a chiedere a quelli della Silicon Valley cos'è che la fa funzionare, sentirete tante risposte diverse:
la possibilità di fallire, la mancanza di gerarchia, la cultura della concorrenza. Ma una cosa che quasi
nessuno menziona è lo Stato. Eppure le origini della Silicon Valley sono profondamente legate ai
finanziamenti pubblici. Negli Anni '50e '60 c'erano tutti quegli ingegneri in California perché erano stati attirati
lì dalle aziende della Difesa. Quasi tutte le leggendarie start-up che hanno alimentato la rivoluzione
informatica - la Fairchild Semiconductor, l'Intel - decollarono in larga misura grazie al fatto che le forze
armate, e successivamente la Nasa, compravano i loro prodotti fino al momento in cui non diventavano
sufficientemente economici e accessibili da poter essere commercializzati per il grande pubblico. Il Gps fu
sviluppato per le forze armate.
E poi c'erano i finanziamenti pubblici per la ricerca. Il mio esempio preferito è tratto dal libro di Walter
Isaacson, Gli innovatori: storia di chi ha preceduto e accompagnato Steve Jobs nella rivoluzione digitale :
negli Anni '50 il Governo americano finanziò un progetto al Lincoln Laboratory del Mit per trovare modi che
consentissero agli esseri umani di «interagire in modo più intuitivo coni computer».
Isaacson segue le orme di questo progetto, che conducono agli schermi user-friendly dei nostri giorni e
all'Arpanet, il precursore di Internet.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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R2 LO SCENARIO
05/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Sui finanziamenti federali per la ricercae sviluppo di tecnologie di base dovrebbe esserci un ampio consenso.
Eppure i fondi sono scesi ai livelli più bassi da quarant'anni a questa parte, in rapporto al Pil. Intanto il resto
del mondo sta colmando il distacco, quanto a spirito imprenditoriale e ricerca. In Svezia, in Israele, a Pechino
e a Bangalore sta emergendo un'autentica cultura delle start-up, e la Cina si avvia a sorpassare gli Stati Uniti
quanto a spesa per ricerca e sviluppo.
Ma c'è speranza. Ajay Piramal, un brillante uomo d'affari indiano, mi ha detto: «Secondo me una delle
ragioni dello straordinario successo degli Stati Uniti è la loro capacità di criticarsi costantemente. Tutte queste
critiche impediscono di adagiarsi sugli allori». Se gli stranieri oggi elogiano l'innovazione americana, gli
americani farebbero bene a fare in modo che innovazione ci sia anche domani.
© Washington Post (Traduzione di Fabio Galimberti)
Foto: L'AUTORE Fareed Zakaria, nota firma di Time e Washington Post e autore di best-seller internazionali
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 2
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Il governo annuncia un intervento dopo il caso di Roma. I sindacati: cifre gonfiate
ANTONIO PITONI ROMA
La polemica corre veloce. Senza aspettare gli esiti dell'indagine interna, attesi anche dalla Procura di Roma e
affidata dal comandante del corpo della polizia locale della capitale Raffaele Clemente alla sua vice Raffaella
Modafferi. «Leggo di 83 vigili su 100 a Roma che non lavorano "per malattia" il 31dic. Ecco perché nel 2015
cambiamo regole pubblico impiego», promette di prima mattina sotto l'hashtag #Buon2015, il premier Matteo
Renzi da Courmayeur. Prima di tornare in serata, su Facebook, sul caso dei certificati a pioggia per malattia e
donazione sangue dell'ultimo dell'anno (su cui l'Autorità di garanzia per gli scioperi «aprirà un procedimento»)
per ribadire che di pubblico impiego il governo si occuperà «di modo che non accadano più vicende come
quella di Roma». Tolleranza zero E a chi gli fa notare però che le nuove regole sul pubblico impiego sono
state «depennate» dal Jobs Act con uno «strano zapping legislativo», il presidente del Consiglio risponde
così: «Prego? Le abbiamo inserite in un disegno di legge che è all'attenzione del Parlamento. Si chiama
democrazia». Dopo aver preannunciato, ancora con un tweet dall'hashtag inequivocabile (#Roma
#vigiliassenti), sanzioni per gli «irresponsabili» anche il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna
Madia, torna sulla questione dai microfoni del Tg1. «Quello che è successo il 31 dicembre è un caso anomalo
su cui va fatta chiarezza, abbiamo già attivato l'ispettorato del ministero per accertare le responsabilità chiarisce, confermando che il Jobs Act è stato pensato per il lavoro privato -. Colgo l'occasione anche per
ringraziare chi quella notte ha lavorato. Bastano poche regole di facile attuazione: chi fa bene va premiato,
chi fa male va sanzionato». Divampa la polemica Il sindaco Ignazio Marino avverte: «Chi ha finto di essere
malato ne dovrà rendere atto nei modi previsti dalla legge». Ma le opposizioni alzano il tiro. Giorgia Meloni
(Fdi) risponde al premier: «Invece di prendertela coi vigili manda a casa Marino». Sulla stessa linea anche il
segretario della Lega, Matteo Salvini: «A Roma vigili e autisti di autobus protestano. Invece di prendersela
con loro, Renzi licenzi il primo problema di Roma: il sindaco Marino!». Il capogruppo di FI alla Camera,
Renato Brunetta accusa e twitta: «Adesso sinistra scopre che in PA esistono fannulloni e assenteisti. Quando
lo dicevo io mi insultavano. Renzi e Madia indecenti». E ricorda che «le regole per combattere fannulloni e
assenteisti nel pubblico impiego ci sono già» e «portano il mio nome». Critico anche il sottosegretario
all'Economia, Enrico Zanetti (Sc) che insiste: «Prevedere l'applicabilità del Jobs Act ai dipendenti pubblici».
La replica del sindacato «Finalmente il governo si occupa della polizia locale. Da anni chiediamo la riforma e
di capire se siamo polizia o impiegati», chiarisce Stefano Giannini, segretario romano del sindacato Sulpl. «È
paradossale che il premier prenda posizione sulla vicenda dei vigili di Roma via Twitter e per sentito dire
mentre è in montagna a sciare - aggiunge -. Lui, del resto, la notte di Capodanno l'ha trascorsa a
Courmayeur in vacanza, non certo di ronda per le strade della Capitale». Secondo Giannini, i conti non
tornano: «Dei 5.900 agenti in organico, a fronte dei 9.400 che ne servirebbero per legge per coprire il servizio
H24, una percentuale tra il 60 e il 70%, secondo i dati in nostro possesso, era in ferie in base ai piani già
approvati a giugno - spiega a «La Stampa» -. Inoltre, i circa 700 volontari che si presumeva avrebbero
accettato di coprire gli straordinari per il 31 dicembre non hanno dato la disponibilità, ecco perché Roma si è
trovata sguarnita».
Marianna Madia, ministro
Avanti con la riforma della PA per premiare le eccellenze e punire gli irresponsabili
Matteo Renzi, premier
Leggo di 83 vigili su 100 assenti per «malattia» Ecco perché nel 2015 cambiamo le regole del pubblico
impiego
Ignazio Marino, sindaco
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Vigili assenteisti, al via l'indagine Renzi: "Cambieremo le regole"
03/01/2015
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Pag. 2
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Non sono riusciti a guastare la festa, ma chi ha provato a far saltare tutto ne deve rendere conto
I dati della protesta 83,5% assenze Su circa mille vigili che avrebbero dovuto essere in servizio la sera di
San Silvestro a Roma, si sono presentati al lavoro solo in 165 600.000 persone Questo il numero delle
persone che erano in piazza la notte di San Silvestro a Roma per festeggiare l'anno nuovo 7 macchinisti
Disagi anche all'Atac: su 150 macchinisti, soltanto sette hanno dato la disponibilità ad operare la notte di
Capodanno 50.000 euro Secondo il Garante per gli scioperi i vigili rischiano una sanzione: si va da un minimo
di 2500 euro fino a un massimo di 50.000
Foto: MASSIMO PERCOSSI/ANSA
Foto: Dopo le assenze di massa per permessi e malattia nella notte di San Silvestro, i vigili di Roma sono
finiti sotto accusa
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 2
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Cantone: "Protesta inaccettabile La rotazione non è una punizione"
"Spostare gli agenti tra i quartieri riduce i rischi di corruzione"
GUIDO RUOTOLO ROMA
«Da cittadino, mi auguro che quanto prima il comandante dei vigili urbani di Roma e la stessa
amministrazione capitolina risolvano il mistero di una epidemia che non c'è. Non siamo in una città del quarto
mondo, Roma è la capitale d'Italia e non possiamo accettare che l'83% dei vigili urbani diano forfait lo stesso
giorno, san Silvestro, dichiarandosi malati e non presentandosi al lavoro». Raffaele Cantone, Autorità
nazionale Anticorruzione, è indignato per la protesta «assenteista» dei vigili urbani: «Non dovrebbero mai
accadere proteste come questa. I vigili urbani sono a tutti gli effetti un corpo di polizia amministrativa, di
polizia giudiziaria e, quando serve, anche di polizia impegnata in attività di supporto per l'ordine pubblico.
Decidere di non andare a lavoro tutti insieme è una forma di protesta che contribuisce ad allargare sempre di
più il divario tra cittadini e istituzioni». Presidente Cantone, in attesa che il comandante dei vigili urbani,
Raffaele Clemente, raccolga tutta la documentazione da inviare alla Procura di Roma, l'Anticorruzione
potrebbe essere stata il pretesto di queste assenze? «Intanto valutare quello che è accaduto a Roma è
materia del Garante per gli scioperi, che ha già annunciato di aver aperto un procedimento. Non capisco
quale potrebbe essere il collegamento della protesta con l'Anticorruzione. È vero che il comandante
Clemente aveva annunciato ai sindacati che era allo studio una rotazione della presenza dei vigili urbani sul
territorio. E che i sindacati mi hanno girato una richiesta di un parere. Che l'Autorità ha espresso». Lei si è
dichiarato a favore dell'ini- ziativa del comandante Clemente? «L'Ufficio ha risposto positivamente al quesito
posto dai sindacati. Nel momento in cui riteniamo uno strumento positivo la rotazione, voglio sottolineare che
applicarlo non dovrebbe apparire come un provvedimento punitivo nei confronti dei vigili urbani. Perché punta
ad esaltare e tutelare l'immagine del corpo stesso della polizia municipale». La rotazione riduce la possibilità
di inquinamento del territorio. Insomma, riduce la corruzione? «È evidente che la rotazione rappresenta una
opportunità per ridurre la possibilità di episodi di corruzione. La rotazione dovrebbe essere applicata in tutti i
settori sensibili: essa è una regola standard inserita nei piani Anticorruzione che serve a tutelare imparzialità
di funzionari e dirigenti». Presidente, i vigili urbani della Capitale, ma non solo loro, esprimono un forte
disagio, malessere di fronte a queste iniziative che hanno il sapore di trasformare il pubblico impiego in un
esercito di senza diritti. «Non penso che imporre la rotazione rappresenti una violazione dei diritti dei
lavoratori del pubblico impiego. È chiaro che va fatta in maniera intelligente, magari con gradualità e
sicuramente coinvolgendo le rappresentanze sindacali dei lavoratori. In ogni caso è da censurare la decisione
di manifestare il proprio dissenso nei fatti con assenze generalizzate».
Foto: LAPRESSE
Foto: Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità Anticorruzione
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Intervista
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
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Nel risiko dell'elezione al Colle l'enigma dei tradimenti incrociati
Il premier deve fare i conti con la sua minoranza e Berlusconi con Fitto
AMEDEO LA MATTINA ROMA
Ancora prima del nome, ci vogliono i numeri: quelli dei grandi elettori che servono ad eleggere il nuovo capo
dello Stato. Mentre il nome è ancora avvolto nel fitto mistero renziano, i numeri oscillano tra l'ottimismo del
premier («non ci saranno problemi») e l'incognita del voto segreto. È ovvio che piccoli e grandi gruppi
parlamentari vantano tesoretti da spendere per il grande ballo del Quirinale. Soprattutto i piccoli che recitano
la parte di chi è essenziale per raggiungere le vette dei quorum necessari per eleggere il presidente della
Repubblica (672 voti nelle prime tre votazioni e 505 dalla quarta). Per fare un esempio, il sottosegretario
all'Economia di Scelta Civica, Enrico Zanetti, sostiene che il suo gruppo, insieme a quello di Lorenzo Dellai e
Bruno Tabacci (Per l'Italia-Centro democratico) punta ad avere 60 grandi elettori. Per la verità all'«anagrafe»
di Camera e Senato questi due gruppi contano 45 parlamentari, ma senza il voto palese può succedere di
tutto. Può succedere che anche partiti con numeri ben più pesanti possano trovarsi con le truppe
assottigliate. Fabrizio Cicchitto, che ne ha viste di cotte e di crude, sostiene che nessuno controlla veramente
i grandi elettori. E, parafrasando un vecchio slogan elettorale della Dc contro il Pci, dice «nel segreto dell'urna
Dio ti vede Renzi no». Incognita franchi tiratori Luca Lotti, braccio destro di Renzi, ha fatto due conti e ha
riportato al capo che nel Pd ci saranno circa 80 franchi tiratori. Sono le truppe dalemiane, quelle di Stefano
Fassina, Pippo Civati e tutti coloro che combattono lo strapotere dell'ex sindaco di Firenze. I riformisti di
Bersani non vengono computati in questa fronda. A questi franchi tiratori bisogna aggiungere i circa 40 di
Raffaele Fitto, il quale aspetta un incontro con Silvio Berlusconi: «Se ci sediamo attorno a un tavolo, la
soluzione unitaria si può trovare, altrimenti ognuno per la sua strada». Non che Fitto pensi di uscire dal
partito, ma non seguirebbe le indicazioni del Cavaliere. Il pericolo per Renzi è che si possano unire forze
diverse sull'onda della ribellione contro la legge elettorale che arriverà nell'aula al Senato la prossima
settimana. I ribelli voglio la garanzia che il Parlamento non si sciolga una volta approvato l'Italicum: occorre la
clausola di salvaguardia che assicuri l'entrata in vigore della nuova legge a settembre del 2016. Forte è il
malumore in tutti i gruppi, anche in quelli della maggioranza come Area popolare (Ncd-Udc) che dispone 70
grandi elettori e Scelta civica. Renzi mostra sicurezza Il premier sulla carta sostiene di disporre di 470 tra
parlamentari di maggioranza e delegati regionali. Quando si è votato per il Jobs act sono mancati all'appello
solo una quarantina di voti: una parte della sinistra dem e altri liberi battitori come Francesco Boccia. In
sostanza una forte tenuta. Per arrivare a 505 voti alla quarta votazione ne servono quindi altri 35 e Renzi
considera questo traguardo alla portata di mano. Ma forse è troppo ottimista perchè i voti calcolati sono scritti
sulla carta: bisognerà vedere su quale candidato punterà e quale intesa stringerà con Berlusconi. Il Cavaliere
non dispone, come abbiamo visto, di tutti i suoi 130 parlamentari, ma secondo Renzi si potrà eleggere il
nuovo capo dello Stato anche nel caso in cui Fi dovesse arrivare spaccato all'appuntamento. Nei calcoli
vengono messi pure i 26 grillini fuoriusciti, senza contare che quelli rimasti dentro M5S di area Pizzarotti
(circa 15) potrebbero disubbidire a Grillo e Casaleggio. Ci sta lavorando Roberto Giachetti.
I numeri in campo n Il premier Renzi è sicuro di poter contare su 470 grandi elettori. Dalla quarta votazione
gliene servono solo 35 per i 505 necessari per eleggere il nuovo Capo dello Stato n Sulla carta Silvio
Berlusconi dispone di 130 parlamentari ma è forte la fronda di Fitto che controllerebbe circa 40 tra deputati e
senatori n I grillini fuoriusciti sono 26 e a questi si potrebbero aggiungere anche altri 15 parlamentari vicini al
sindaco di Parma Pizzarotti
Foto: Il voto per eleggere il nuovo presidente della Repubblica dovrebbe partire alla fine di gennaio
Foto: DANIELE SCUDIERI /IMAGOECONOMICA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Retroscena
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Pertini? Lega e 5 Stelle sfruttano in modo indecoroso la sua figura"
Il cognato dell'ex presidente: lo citano perché mancano riferimenti. Sandro aveva Gramsci e Turati come
modelli
MATTIA FELTRI ROMA
Umberto Voltolina, 74 anni, è il presidente della Fondazione Pertini. «Presidente per modo di dire, fa tutto il
vicepresidente, Pietro Pierri», spiega. Voltolina infatti ricopre l'incarico per questioni molto concrete di
memoria: è il fratello di Carla, la moglie presidente della Repubblica in carica dal 1978 al 1985. «È stato un
mio maestro, mi voleva bene», dice oggi. Presidente Voltolina, sono giorni in cui tutti riscoprono Sandro
Pertini. «Ho visto, è una cosa interessante ma se mi permettete ribalterei la questione». Che cosa intende?
«Mi ricordo che molti anni fa era il 1958, io ero diciottenne scrissi una lettera a Pertini per chiedergli della sua
vita, delle sue scelte estreme, del suo rigore. Ero molto affascinato da lui, che era una leggenda. E mi rispose
che la sua generazione era stata molto fortunata, perché aveva avuto dei maestri di vita. Si riferiva ad
Antonio Gramsci, a Piero Gobetti, soprattutto al suo vero maestro, Filippo Turati, per non dire di tutti i giovani
della Resistenza. Voi, mi scrisse, chi avete? Come farete che non c'è nessuno a insegnarvi qualche cosa?».
Forse sono cose che si ripetono di generazione in generazione. «Forse sì. Però noi, per esempio, avevamo
lui. C'è qualcuno, fra i politici di oggi, in grado di trasmettere un senso profondo di eredità? Io vedo mia figlia,
che ha quarantaquattro anni e, quando guarda la tv, se si imbatte in un programma sulla politica cambia
canale disgustata». E non per niente sono soprattutto il Movimento cinque stelle e la Lega a chiedere per il
Quirinale una figura simile a quella di Pertini. «Perché Pertini riempie un vuoto. Non essendoci nessun
candidato di autentica statura, si dice che ce ne vorrebbe uno come lui. Ma non c'è». Però è un esclusiva di
cinque stelle e leghisti. «È così, e devo dire che Beppe Grillo e Matteo Salvini sfruttano l'immagine di Pertini
in una maniera indecorosa. Penso, per come e quanto lo ho conosciuto, che se Pertini fosse vivo
disprezzerebbe quei due personaggi». Disprezzerebbe? «Forse disprezzerebbe è troppo, ma non li
stimerebbe affatto. Sempre in quella lettera del 1958 mi illustrò un precetto che è stato al centro della sua
vita: il vero uomo politico è quello che ha degli ideali e che li persegue prescindendo dagli interessi di bottega.
A me pare che, esattamente al contrario, sia Grillo sia Salvini strumentalizzino tutto, compreso Pertini, per
interessi di bottega che prevalgono sugli ideali. Forse perché di ideali non c'è traccia». È un giudizio severo.
«Sì, perché sempre Pertini mi diceva che chi è malandrino nella vita pubblica è malandrino anche nel privato.
E poi lui sosteneva di essere un violento, ma soltanto verbalmente. Infatti lo chiamavo brichetto, che in
Liguria significa fiammifero: lui era così, si accendeva subito, e diceva le cose come stanno».
74 anni Umberto Voltolina, fratello di Carla, è il presidente della Fondazione Pertini
Foto: Partigiano L'ex presidente della Repubblica Sandro Pertini con la moglie Carla
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Intervista
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 15
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Pena di morte e diseguaglianze era avanti di una generazione
Odiato dai Wasp conservatori, ha anticipato Piketty
GIANNI RIOTTA
Quel pomeriggio di dicembre 1991 eravamo incerti: «A che ora il Governatore partirà da Albany, capitale
dello Stato di New York?». Eravamo emozionati, con Mario Cuomo si ragionava di San Tommaso e del
filosofo gesuita Teilhard De Chardin, nei suoi Diari il Governatore scriveva di rete autostradale ed esistenza
umana, scuole di periferia e fede religiosa. Ma soprattutto era il suo discorso alla Convenzione democratica a
San Francisco 1984 - considerato ancor oggi uno dei migliori della retorica americana del XX secolo - a farci
battere il cuore. Al grande presidente Ronald Reagan che parlava dell'America come «faro dell'umanità»,
campione dei repubblicani, Cuomo, campione democratico, opponeva l'America delle «due città», ricchi e
poveri, chiamando alla riscossa il «common man», lavoratori ed emigranti, il ceto medio, la working class che
aveva difeso nel rione natale di Queens da giovane avvocato che Wall Street non assumeva «non vogliamo
gente col cognome che finisce con una vocale!». La lezione di Sant'Agostino Quell'aereo per la Casa Bianca
non partirà mai, Cuomo annuncia: «Non corro». Anni dopo, quando il presidente Clinton, eletto sull'ondata
1992 che sembrava toccare a lui, gli offre la toga da giudice della Corte Suprema, Cuomo rifiuta ancora,
guadagnandosi il titolo sarcastico di «Amleto italiano». Perché? Timori di vecchie storie sulla criminalità
organizzata rispolverate contro il padre? Timore di pesare da Washington sul figlio Andrew, oggi governatore
di New York e di nuovo in odore di Casa Bianca? O, come dice lo scrittore Gay Talese, «per la sindrome
tipica dell'italiano, la paura di uscire dal villaggio, perfino la notte del celebre discorso di San Francisco,
Cuomo vola subito indietro, per dormire a casa»? Non ho mai creduto alle spiegazioni tribali, la sindrome del
paisà, il villaggio ancestrale. Cuomo, come narra la commovente serie di documentari di John Maggio sugli
italo americani Pbs-Rai Storia, era un filosofopolitico, non un «gumpà» intrigante. Cosa gli abbiano suggerito
Agostino e San Giovanni della Croce mai sapremo. Sappiamo quel che fece da leader, mettendo il veto per
anni alla pena di morte, difendendo l'aborto - cui pure da cattolico era contrario -, parlando contro la
disuguaglianza tra chi ha molto e chi ha poco. Nel 1984 non era di moda farlo, oggi sappiamo che è la trincea
del futuro. Cuomo la vede due generazioni prima di Thomas Piketty e del suo best seller sul ceto medio
impoverito, grazie all'anima italiana. Volava più alto degli insulti Che non era affatto - come troppi
anglosassoni insinuavano acidi una tara, era forza, visione che univa al meglio dell'America, la forza e il
progresso, il meglio dell'Italia, la compassione e la comunità. Sposando Marilyn Monroe l'asso del baseball
Joe Di Maggio fa dei «wop», «dagoes», «guinea», sono tanti gli insulti rivolti ai nostri connazionali, eleganti
Don Giovanni. Suonando per Kennedy, Frank Sinatra li rende snob. Gli scrittori Fante, Ferlinghetti e Corso
offrono l'aura culturale. «Amleto politico» è per tanti un insulto. Ho sempre pensato che per Cuomo fosse
invece un complimento. Dopo tutto anche Amleto ha la vocale finale. www.riotta.it
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Retroscena
03/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 18
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L'auto riparte dopo 6 anni di cali
Fca si conferma leader in Italia con Panda e 500, per Jeep risultati record
LUIGI GRASSIA TORINO
Anche se il dicembre dell'auto in Italia non è stato eccezionale (91.518 immatricolazioni, +2,35% sullo stesso
mese del 2013) il consuntivo dell'intera annata 2014 è un prezioso +4,21% che rappresenta la prima
variazione positiva annuale dopo sei anni da incubo. Il Centro studi Promotor osserva che le auto vendute nel
2014 (1.359.616) sono il 45,5% in meno del 2007 (ultimo anno pre-crisi). C'è tanto da recuperare per tornare
a livelli di mercato normali. Comunque si prevede un discreto 2015, in cui la ripresa delle vendite si
consoliderà. Per quanto riguarda Fiat Chrysler Automobiles, le immatricolazioni in Italia sono cresciute dello
0,75% nell'anno e dell'1,4% a dicembre. E le cinque auto più vendute in Italia del 2014 sono di Fca. Spicca il
+94,5% del marchio Jeep. Nell'anno il gruppo Fiat Chrysler Automobiles ha immatricolato quasi 377 mila
vetture e a dicembre più di 25 mila. Il solo marchio Fiat ha venduto 281.500 auto (+0,8%) e a dicembre oltre
17.500. La Panda è stata la vettura più venduta in Italia sia a dicembre sia in tutto il 2014, con oltre 104 mila
immatricolazioni nell'anno e una quota nel segmento A del 41,4%. E la 500L ha conquistato nel suo
segmento il 54,6% nell'intero anno. Complessivamente la famiglia 500 ha continuato a crescere in tutto il
2014 e l'arrivo della 500X promette di migliorare i risultati nel 2015. Nel 2014 Lancia ha venduto poco meno
di 55.500 mila vetture e in dicembre quasi 3.600. La Ypsilon ha chiuso l'anno come quarta vettura per
immatricolazioni in Italia e con il 13,2 per cento di quota nel segmento B. Il marchio Alfa Romeo nel 2014 ha
registrato oltre 28 mila vetture e a dicembre 1.800. Positivi i risultati della Giulietta che nell'anno è stata fra le
vetture più vendute del suo segmento, con una quota del 10,5%. Ma il 2014 è stato soprattutto l'anno della
Jeep, il migliore di sempre per questo marchio in Italia. Le immatricolazioni sono state più di 11.300, quasi
raddoppiate (+94,5%) in confronto al 2013. Risultato analogo per la quota di mercato, che è stata dello 0,8%
rispetto allo 0,45 del 2013. Nel dicembre 2014 le Jeep registrate sono state più di 2.300, addirittura il 405%
rispetto al corrispondente mese del 2013. E la quota è cresciuta al 2,5%, cioè 2 punti in più dello 0,5% del
dicembre di un anno prima. Questi risultati del marchio Jeep sono dovuti soprattutto all'apporto dei modelli
Grand Cherokee e Renegade, l'ultima auto arrivata in famiglia. L'ammiraglia è risultata fra le vetture più
vendute del suo segmento con una quota del 19%. Quanto alla Renegade, appena arrivata sul mercato, ha
scalato le classifiche di vendita e in dicembre è entrata per la prima volta fra le top ten con una quota nel suo
segmento del 20,6%. Fra i marchi stranieri, si segnala l'ottimo risultato della Dacia che nell'anno ha fatto
+40,94%. A due cifre anche le vendite di Renault (+23,82%), Seat (+27,53%), Skoda (+24,26%) e Peugeot
(+13.47%). Bene Volkswagen (+4,57%) e Ford (+4,65%). Disastroso invece il consuntivo annuo di Chevrolet
(-73,08%) e negativi quelli di Smart (-22,42%) e Subaru (-18,19%).
La lunga rincorsa
2.493.106
+7,18 -13,29 -0,10 -9,16 -10,80 -19,82 -7,01 +4,21
2.161.682 2.159.465 1.961.580 1.749.740 1.403.010 1.304.648 1.359.616 2007 2008 2009 2010 2011 2012
2013 2014 AUTO VENDUTE - LA STAMPA FONTE: Centro studi Promotor IL MERCATO DELL'AUTO IN
ITALIA: DAL 2007 SOLO SEGNI MENO FINO AL 2014 1 1,3 1,6 1,9 2,2 2,5 milioni
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NEL 2014 IMMATRICOLAZIONI IN RIALZO DEL 4,21%, A DICEMBRE +2,35%. BENE LE PREVISIONI PER
IL 2015
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Londra decora la partigiana 70 anni dopo
VITTORIO SABADIN PITIGLIANO (GROSSETO)
Rossana Banti ha 90 anni portati splendidamente e oggi lascerà la sua casa di Pitigliano per andare a Roma.
Domani pomeriggio, con 70 anni di ritardo, l'ambasciatore britannico in Italia, Christopher Prentice, le
appunterà tre medaglie che le erano state assegnate subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e
che nessuno si era ricordato di consegnarle. La signora Banti ci ride su, nel salotto che si affaccia sulle case
medioevali di tufo di Pitigliano e sulle dolci colline della Maremma. PAGINA «Mi sembra incredibile, dopo
tanto tempo. Sono storie che ho quasi dimenticato, delle quali non parlo da anni, non mi aspettavo davvero
una cosa del genere. Mi danno delle medaglie? E quali?». Secondo i giornali inglesi saranno tre: la Italy Star,
la Victory Medal e la War Medal 1939-1945, onorificenze assegnate a chi ha combattuto con onore contro i
nazisti in Europa. «E che abbiamo fatto? Eravamo ragazzi, avevamo tutti vent'anni, pensavamo fosse la cosa
giusta, l'unica che dovevamo fare. Non ha idea di quanto fossimo giovani». Rossana aveva solo 18 anni
quando alcuni amici le proposero a Roma di entrare nella Resistenza. C'era bisogno di ragazze che
portassero messaggi, distribuissero volantini, tenessero i contatti con i gruppi clandestini. «Incontravo gente
meravigliosa: Antonello Trombadori, Franco Rodano, Maurizio Ferrara e tanti altri che nemmeno mi
presentavano, perché ero troppo giovane. Dovevo fare "la coppietta", andare in missione con qualcuno e fare
finta di essere fidanzati per non destare sospetti. Si andava con mezzi di fortuna dai Parioli alla Nomentana e
a Monte Sacro. Uno dei referenti era un macellaio, che aveva l'età di mio padre. Poi lo presero, lo portarono
al forte Bravetta e lo fucilarono». Spesso era necessario trasportare anche esplosivi. «Una volta facevo "la
coppietta" con Maurizio Ferrara e avevamo un sacco di dinamite su un camion. Scherzavamo: "Attenta alle
uova", mi diceva a ogni sobbalzo, "attenta che scoppiano"». Rossana girava con un cappotto arancione di
panno Casentino e presto i tedeschi si misero a cercare «la ragazza con il cappotto rosso», ormai vista in
troppi luoghi e con troppi spasimanti. Quando Roma venne finalmente liberata, insieme agli americani
arrivarono anche gli inglesi. «Avevo 19 anni, cominciavo a guardarmi intorno per cercare un lavoro e per chi
aveva aiutato la Resistenza era abbastanza facile trovarlo. Ma un amico che abitava nella stessa casa mi
convinse che non era finita, la guerra continuava e c'era altro da fare. Era misterioso, parlava per enigmi e un
giorno mi procurò un appuntamento in una villa sopra piazza Euclide. Era piena di ufficiali inglesi. Uno mi
ricevette nel suo ufficio e mi disse due cose. La prima era che sarei potuta essere mandata ovunque senza
sapere né dove né perché; la seconda che, poiché ero minorenne, avrei dovuto prima ottenere
l'autorizzazione dei genitori». Il padre di Rossana, l'ing. Antonio Banti, era un liberale antifascista dalla mente
molto aperta e se la figlia voleva continuare la lotta contro i nazisti era libera di farlo. Come minimo, sarebbe
stata un'esperienza formativa. Gli inglesi la portarono in segreto verso Sud. «Non capivo dove andavamo e
solo all'arrivo intuii che doveva essere un posto tra Bari e Brindisi. C'erano baracche dovunque, una per le
donne. Ero l'unica italiana tra centinaia di ragazze britanniche». Rossana era finita tra le «FANY» della No 1
Special Force, il «First Aid Nursing Yeomanry» delle forze speciali, antenate del servizio segreto MI6. Grazie
all'ottimo inglese imparato dalla bambinaia di casa Banti, Rossana era un elemento prezioso per tenere i
contatti con la Resistenza italiana. Toccava a lei tradurre, trasmettere, annunciare dove sarebbero stati
lanciati cibo, vestiti, munizioni, armi. «Ma la cosa più carica di emozione che feci in quella base - racconta - è
stata l'assistenza ai volontari che sarebbero stati lanciati con il paracadute dietro le linee nemiche. Avevano
tra i 17 e i 40 anni: andavano a fare operazioni di intelligence o a rinforzare i gruppi partigiani. Fino a poche
ore prima della partenza non sapevano dove sarebbero stati portati. Era commovente, straziante: per loro ero
una sorella, una madre, una fidanzata. Mi hanno trattato tutti con grande rispetto, nessuno ha mai alzato una
mano. Molti piangevano, mi abbracciavano, e io controllavo l'equipaggiamento, dicevo: è tutto a posto, hai
preso tutto, hai fatto la pipì? Come una mamma». Nella base, Rossana conobbe anche il suo futuro marito,
Giuliano Mattioli, figlio di Raffaele, il grande economista e banchiere. Giuliano liberò Firenze e Bergamo con i
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INTERVISTA LA STORIA
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partigiani. In divisa inglese era chiamato Julian Matthew. E' stato qualche mese fa a Palermo, a casa della
figlia, che Rossana Banti ha raccontato per la prima volta nel dettaglio queste cose a una coppia di nuovi
amici inglesi. Lui, un ex brigadiere generale dell'esercito, una volta tornato a Londra ha cercato nei registri
militari se c'erano tracce di questa incredibile donna. E come se ce n'erano: tre medaglie ancora da
consegnare, assegnate dal governo di Sua Maestà per lo straordinario comportamento di una ragazza di 19
anni, che li aveva aiutati con entusiasmo e dedizione a liberare l'Italia e l'Europa da Hitler. Che ne dice ora di
quello per cui tanta gente ha lottato, ha rischiato la vita, è morta? Di questa Italia e di questa Europa? Era
quello che s'immaginava? «Quando vedo in Europa che ci sono partiti che ancora si fregiano della svastica,
che alzano il braccio nel saluto nazista, mi domando che cosa succede nelle scuole, e perché nessuno
insegna più ai bambini i valori per i quali ci siamo battuti. E' passato tanto tempo, si tende a dimenticare.
Spero che questa mia storia sia utile, almeno per qualche giorno, a ricordare un poco».
Le sue medaglie Victory Medal La 1939-1945 Star, conosciuta anche come Victory Medal, premia chi ha
trascorso 6 mesi di servizio in operazioni durante la II Guerra Mondiale. Una rosa nel nastrino identifica chi ha
partecipato alla Battaglia d'Inghilterra Italy star È una medaglia del British Commonwealth istituita per onorare
chi ha prestato servizio in Italia durante la Seconda Guerra mondiale tra il giugno del 1943 e l'8 maggio del
1945. War Medal 1939-1945 E' una medaglia britannica consegnata a quanti hanno servito nelle forze armate
a tempo pieno per almeno 28 giorni tra il 3 settembre del 1939 e il 2 settembre 1945.
Con gli alleati Rossana Banti con il maggiore Williams (a destra) nella base inglese che si trovava tra Bari e
Brindisi. Era l'unica donna italiana nel campo, insieme a decine di altre volontarie britanniche.
Con il marito Nel 1944 Rossana Banti conobbe suo marito, Giuliano Mattioli, che già combatteva a fianco
degli inglesi e aveva liberato con i partigiani la città di Firenze. Mattioli era conosciuto con il nome di Julian
Matthew.
Foto: Rossana Banti nella sua casa di Pitigliano. Compirà 90 anni tra breve. Domani riceverà all'Ambasciata
britannica di Roma tre medaglie per il suo comportamento in guerra
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Merkel non teme più la Grecia "Uscita dall'euro sostenibile"
Lo "Spiegel": per la Cancelliera e Schaueble la crisi sarebbe gestibile Ipotesi in caso di vittoria di Tsipras e lo
stop ai pagamenti del debito
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
Si narra che durante una delle fasi più acute della crisi, Wolfgang Schaeuble fosse stato tentato dall'idea di
consentire alla Grecia di uscire dall'euro. Quella volta fu Angela Merkel a decidere che bisognava insistere,
che andava salvata. Ma allora non esisteva uno scudo anti spread della Bce come l'Omt, né era ancora stata
portata a termine l'Unione bancaria. Anche il fondo salva Stati europeo Esm era ancora incompleto. A
distanza di anni, però, questi strumenti ci sono. Soprattutto, alcuni Paesi che allora ballavano sull'orlo del
baratro come il Portogallo o l'Irlanda, sono più al sicuro. Il rischio contagio è più limitato. Così, all'avvio di una
campagna elettorale ellenica che si annuncia senza esclusione di colpi, da Berlino sono emerse nuove,
inquietanti indiscrezioni che rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. Segnale molto forte Secondo fonti
governative citate dal settimanale «Spiegel», la cancelliera e il ministro delle Finanze tedesco avrebbero
cambiato idea e riterrebbero l'uscita di Atene, ora, «sostenibile». Neanche l'ostacolo formale - l'abbandono
dall'euro non è prevista dai Trattati - costituirebbe più un problema: «Qualche giurista creativo risolverà
questo nodo» ha chiarito un importante esperto di politiche monetarie citato dal settimanale. In sostanza,
chiosa «Spiegel», il governo tedesco riterrebbe l'uscita della Grecia dalla moneta unica «quasi inevitabile, se
il leader dell'opposizione Tsipras dovesse andare al governo, rinunciare al programma di aggiustamenti e
rifiutarsi di restituire i debiti». Da Berlino, nessuna conferma né smentita, ma dal ministero delle Finanze è
trapelato che la linea resta quella chiarita l'altroieri da Schaeuble, che aveva elogiato i «progressi» di Atene,
ma aveva anche sottolineato che non c'è alternativa alle riforme e che «se la Grecia vuole prendere un'altra
strada, diventa difficile». Qualsiasi governo uscirà dalle urne «dovrà rispettare gli accordi firmati dai
predecessori». È chiaro che la Germania vuole mandare un segnale molto chiaro ai partiti in gara per il
prossimo governo, ma soprattutto alla sinistra radicale di Syriza. Alla luce dei sacrifici fatti da altri Paesi come
il Portogallo o l'Irlanda, ma anche a causa di una destra anti euro e cripto xenofoba che si è molto rafforzata
negli ultimi mesi in Germania - si pensi ai risultati elettorali di Afd o al seguito crescente di cui godono gli anti
islamisti di Pegida - Berlino ha già piantato un gigantesco paletto nella campagna elettorale - di nuovo - più
pericolosa per i destini della moneta unica. Pressioni da destra È un avvertimento a non tirare la corda:
secondo indiscrezioni attendibili, è molto difficile che la Germania possa accettare un taglio del debito, su cui
stanno insistendo i vertici del partito di Tsipras. Se ci dovesse essere un dialogo non troppo inquinato dai
ricatti, Berlino potrebbe accettare un ammorbidimento su altri fronti - reintroduzione del salario minimo o altre
misure di rilancio, se finanziate con coperture credibili - ma è chiaro che non lo ammetterà mai prima delle
urne. Ora si tratta di mostrare la faccia feroce per limitare gli spazi di manovra di Tsipras, ma anche della
destra tedesca. Intanto il quadro ad Atene si è ufficialmente complicato con il ritorno sulla scena politica di
George Papandreou. L'ex premier e leader del Pasok si presenta alle elezioni con un nuovo partito, i socialisti
democratici, e secondo alcuni sondaggi potrebbe aspirare ad un 4-5%, sottraendo voti a Syriza e al Pasok,
assottigliando il vantaggio che il partito di Tsipras vanta oggi nei confronti di Nea Demokratia, la formazione
del premier uscente Samaras. Ora, per il leader di Syriza, l'incubo potrebbe essere una riedizione del 2012,
quando l'impossibilità di formare un governo costrinse la Grecia a indire nuove elezioni dopo un mese di
caotiche consultazioni. E in quel mese, Samaras balzò dal 18 al 29% dei voti, battendo Tsipras.
330 miliardi Il debito pubblico greco, pari al 175% del Pil
80% del debito in mano alla cosiddetta troika, formata da Unione Europea, Bce e Fmi
15 miliardi la somma che la Grecia dovrà restituire quest'anno agli investitori privati
28,6% di voti Gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto in Grecia confermano Syriza, come grande preferita
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Retroscena
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Foto: Alexis Tsipras, favorito al voto
Foto: KOSTAS TSIRONIS, POOL/AP
Foto: La Cancelliera tedesca Angela Merkel durante una delle sue numerose visite ad Atene, nell'aprile
dell'anno scorso
Foto: Schaueble, custode dei conti
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Bonomi volta pagina su Club Med, ora vuole il 20% di banca Carige
L'imprenditore punta a una aggregazione tra l'istituto genovese e la Popolare di Milano
LUCA FORNOVO TORINO
«Una battaglia, quella dell'Opa su Club Med, che non è stata giocata ad armi pari». Il giorno dopo aver deciso
di lasciare ai cinesi di Fosun i villaggi vacanze del Club Med, l'imprenditore Andrea Bonomi non nasconde un
po' di rammarico ai bankers, che lo hanno seguito in quest'avventura e ai suoi soci. Amarezza, avrebbe
confessato anche ai collaboratori più stretti, intanto per l'ostilità dei manager francesi, guidati da Henri
Giscard d'Estaing, figlio del Presidente francese, che coinvolti in prima persona nell'Opa hanno remato contro
più volte nel fornire dati per la valutazione del gruppo francese e con altre forme di ostruzionismo. Eppure i
sindacati avevano dato appoggio al progetto della sua cordata, la Global Resorts. Ma il dispiacere più grande
è che Club Med esca dal perimetro europeo. Il miliardario cinese Guo Guangchang, fondatore di Fosun, è
convinto che la crescita del tour operator nei prossimi anni si debba ricercare nell'apertura di villaggi in Cina.
Una grossa perdita per il turismo europeo, un settore a cui Bonomi è particolarmente legato, come
dimostrano i suoi investimenti in PortAventura, il parco divertimenti della Catalogna (Spagna). L'imprenditore
a capo della Investindustrial, comunque, non si è perso d'animo ed già tornato al lavoro su nuovi e vecchi
dossier. Tra le sue priorità c'è quella di continuare a investire in Italia, un mercato dove di recente ha puntato
con l'acquisizione del gruppo della chimica Polynt e dell'80% delle lampade Flos. Ma il suo vecchio pallino,
dopo l'avventura in Bpm, restano soprattutto le banche. Una su tutte, la genovese Carige. Abbandonando la
partita del Club Med, la Investindustrial si ritrova 550-600 milioni in più da investire in banche e altri settori.
Bonomi punta a rilevare il 20% di Carige, che ai prezzi attuali di Borsa vale circa 115 milioni (la
capitalizzazione è di 570 milioni) . Come investitore istituzionale potrebbe comprare il 7% della banca che la
Fondazione Carige vuole vendere, mentre il resto potrebbe acquistarlo sul mercato, probabilmente prima
dell'aumento di capitale che verrà varato verso giugno. Il 4 febbraio la Bce dovrebbe dare il via libera ai piani
di rafforzamento del capitale delle banche europee, che hanno fallito gli stress test. L'aumento di Carige sarà
almeno di 500 milioni ma potrebbe arrivare anche a 700 milioni se la Bce dovesse puntare i piedi. Ma
l'ingresso in Carige sarebbe solo il primo tempo della nuova partita che Bonomi vuole giocare con le banche.
Il secondo passo potrebbe essere il ritorno in Bpm per coronare un sogno che ha nel cassetto da tempo: fare
un'aggregazione tra l'istituto genovese e la Popolare di Milano, diventando il socio forte della nuova realtà del
credito. Un sogno al momento proibito (per lo statuto delle Popolari), ma che potrebbe diventare realtà se il
governo riuscirà in primavera a varare la legge per trasformare le Popolari in Spa. Una riforma della
governance che incontra da tempo fortissime resistenze. Come nel caso della Bpm, dove non solo Bonomi
quando era socio, ma nemmeno la pressione di Bankitalia ha ottenuto grandi risultati.
600 milioni Sono le risorse in più che la Investindustrial di Bonomi ha a disposizione dopo aver lasciato Club
Med
Foto: Finanziere Andrea Bonomi è a capo della società Investindustrial
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Retroscena
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Navi fantasma: la classe media fugge dalla Siria
DOMENICO QUIRICO
Chi sono questi nuovi profughi sorti dall'inn o c e n z a a s s a s s i n a del mare? Siriani, questa volta: dopo i
tunisini del 2011 e poi gli eritrei i saheliani gli africani... Personalmente ho attraversato fasi diverse di
coinvolgimento con quella che è la storia capitale del tempo che viviamo: le odissee del popolo dei
fuggiaschi. Il mio viaggio con loro, da quattro anni, ha risalito le linee del sangue e della storia, ha seguito
l'odore della morte, della paura, dell'odio. Legato e Paci ALLE PAGINE 12 E 13 PAGINA Ha conosciuto il
pianto, la stanchezza, l'abbandono e, in modo singolare, anche l'amore. Per comunicare il senso del viaggio
dei siriani non posso affidarmi ai fatti puri e semplici. Bisogna avere pazienza: chi dedica loro la nostra carità
svogliata e soprattutto coloro che non li vogliono. Perché il filo del racconto con gli uomini, le donne i bimbi di
Aleppo, Damasco, di Homs caricati su mercantili affidati al pilota automatico, si inoltra sempre nei sentieri del
cuore, della mente e dell'anima. Ancor più che a Zarzis in Tunisia, a Zawa in Libia, ad Agadez nel sahara,
l'altro mare della loro migrazione, questa è la cronaca di un incontro con il male, un male che non ha
paragone con nulla che abbia conosciuto in passato. Benché abbia provato il volto della crudeltà in altri
luoghi, la Siria è calata in una dimensione da incubo in cui la facoltà di capire e più ancora di pensare
razionalmente vengono completamente stravolte. Fuggono dunque da un Paese di cadaveri, di orfani, di
terribili assenze, è una terra in cui lo spirito perde la sua linfa vitale. E dove il leviathano totalitario, il califfato,
proietta ormai una ombra scura sul loro futuro. I profughi non si assomigliano mai, identico è solo il dolore.
Quella che sbarca a Gallipoli e in Calabria è soprattutto la borghesia siriana. La maggioranza non è povera:
ha attraversato le brutali trasformazioni sociali dell'epoca di Assad padre, ha sperato nella
«modernizzazione» autoritaria promessa da Bashar. Con il denaro ha sperato di sopravvivere perfino alla
guerra. Ora fugge: le città in cui la loro vita abituale, talora agiata, è sfumata, da quattro anni sono deserti di
cemento e di pietra. Chi ha sperato in una vittoria del regime si è accorto che a fatica Bashar riesce a
mantenere le posizioni, a non indietreggiare. Chi ha, spesso senza dirlo, sperato nei rivoluzionari, si è accorto
che non saranno loro che prenderanno comunque il potere. Ma i lugubri amministratori della legge di dio, la
dittatura islamista votata a una guerra senza fine, contro tutti. Hanno perso la speranza. Quello da cui
fuggono è una terrificante invenzione totalitaria che distrugge, annichilisce, fa a pezzi, sminuzza e polverizza
la vita abituale. Puoi immaginare una crudeltà più raffinata? La futura Siria islamista sarà uno stato che non
leva la vita, ma la civiltà. Il loro mondo è solo passato, lo leggeremo sui libri, come racconti di Sharazad.
Uomini che pretendono di avere con Dio un rapporto esclusivo e feroce lo stanno già cancellando: tutto è
empio blasfemo proibito. I vestiti, la musica, lo sport, il vino, la discussione, non ci saranno più giacche,
pantaloni, film, partite di calcio. Quello che sta sfumando a tutta velocità è la tua epoca. La lotta titanica del
siriano è di evitare di esser riportato al sesto secolo, al jihad perenne, come unica ragione di vita, perfino per i
bambini. Una lotta disperata che si svolge sotto case che crollano sotto i bombardamenti, le angherie dei
soldati e dei rivoluzionari, gli squadroni della morte. Quando arrivano in Italia sono certi che, con il denaro,
una vita normale, in Germania o nel Nord Europa dove ci sono comunità siriane, sia pronta: basta pagare. Un
biglietto del treno o di aereo per Francoforte e Stoccolma. Non è questo l'Occidente? Si illudono. E lo
scopriranno. A questo pensiamo guardando questi sbarchi; finiamo sempre per guardare, per cercare un
brandello di notizie dei luoghi in cui siamo stati, delle persone che abbiamo conosciuto. Come esprimere cosa
si prova? Una sorta di attrazione fatale, il dolore per tutto ciò che abbiamo acquistato e perduto nel tempo
che abbiamo passato con loro. E una stanchezza dello spirito che si nutre di immagini proiettate e riproiettate
mille volte. Tentiamo di raggiungere il pulsante per spegnere il televisore, ma nel buio non riusciamo a
trovarlo.
Il libro nero delle navi turche Imbarcazione Data sbarco Migranti Ezadeen (mercantile 85 m) Blue Sky M
(mercantile) Carolyn Assense (mercantile 70 m) Polaris Zain Sandy Vitriol Baris Haj Zaher (nave cargo)
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Motonave 21 m Motopesca 17 m Peschereccio Portacontainer Vitom Imbaracazione di legno Tiss (mercantile
60 m) Yacht 20 metri Peschereccio 25 m Navi 34 Imbarcazione Passeggeri 9.505 - LA STAMPA Data sbarco
Migranti Periodo dal 31 luglio a oggi Barca di legno Storm Barca di metallo 30 m Peschereccio 25 m Rashid
787 (peschereccio 25 m) Barca a vela 15 m Veliero (13 m) Barcone di legno (15 m) Barcone di legno (15 m)
Oceans 40 (barca a vela 12 m) Dylara (barca a vela 20 m, bandiera Usa) Un gommone e 5 barconi di legno Water World (barca a vela 20 m, bandiera italiana) Silver Spirit (yacht 15 m, bandiera Usa)
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FRANCESCO LA LICATA
La buona notizia è una sola e non può essere ascritta a merito di nessuno, se non della fortuna, del caso che
- questa volta - ci ha voluto risparmiare le lacrime di coccodrillo ai funerali di rito che si susseguono dopo ogni
tragedia nazionale. Il viadotto Scorciavacche, imponente monumento alla moderna tecnologia, è crollato
miseramente. Era stato inaugurato, con tre mesi d'anticipo sulla data concordata con l'Anas, alla vigilia di
Natale. A Capodanno è venuto giù come mascarpone. Qualcuno, qualche politico del Nord ha trovato pure la
voglia di fare della facile ironia, facendo intendere che non poteva finire diversamente visti il nome del
viadotto e - avrà pensato il buon leghista l'ubicazione, situata nella profonda Sicilia di Lercara, terra di
miniere, di boss (Lucky Luciano) e di cantanti chiacchierati (Frank Sinatra). Ora, non riusciamo a decidere se
esser contenti per la buona stella che ha fatto sì che nessun mezzo, nessun pullman, nessuna corriera,
transitassero quando si è aperto l'asfalto, oppure cedere all'irritazione per il senso di frustrazione, di
impotenza che provoca il constatare l'ineluttabile ripetersi di episodi di approssimazione della nostra cosa
pubblica. E' appena il caso di ricordare che il territorio interessato al crollo ricade in quel tratto di Sicilia che,
già in passato, ha fatto cronaca: uno per tutti citiamo il drammatico cedimento del centro storico di Agrigento
(sventrati i quartieri dell'Addolorata e di S. Michele). Una tragedia datata luglio 1966 e provocata dall'insana
gestione del territorio che non sopportò i milioni di metri cubi costruiti sul terreno franoso. Decenni di processi
inutili e risultati discutibili, a giudicare dalla seconda ondata di cemento che ha aggredito addirittura la Valle
dei Templi, col conseguimento del singolare record di erigere il Museo di quella Valle in «zona abusiva». E
non è diversa la sorte toccata all'autostrada Palermo-Messina: tormentata e «lunga» costruzione, anche
quella finita in fretta, ma per esigenze politiche. Il delfino di Berlusconi in Sicilia, Gianfranco Miccichè,
organizzò un paio di inaugurazioni con tanto di Cavaliere presente al taglio del nastro. Fu richiusa
precipitosamente ed anche oggi - che sembra aperta definitivamente - non pare godere di buona salute, visti
gli avvallamenti che mettono a dura prova le sospensioni delle auto. Fa impressione, questo crollo. Perché
ricorda le indagini fatte sulla «qualità» del cemento adoperato sull'autostrada per Caltanissetta. Indagini che
erano diretta conseguenza delle infiltrazioni mafiose scoperte nel 2007 e poi svanite tra un appello e una
prescrizione. C'è, tuttavia, qualcosa di diverso nel «fattaccio» odierno. Ci riferiamo alle reazioni dei cosiddetti
«responsabili». Le novità, of course, viaggiano su twitter. Un cinguettio della Presidenza del Consiglio ci
consola anticipando tremendi castighi ai (ir)responsabili costruttori. Stesso cinguettio è arrivato dal ministero
competente. L'Anas fa sapere che il viadotto è stato messo in sicurezza e che il costo sarà a carico delle
imprese «colpevoli». Ma insomma, non sarebbe stato meglio controllare prima invece di correre ai ripari a
danno avvenuto?
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ED È ANDATA ANCORA BENE
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MARIO DEAGLIO
Brutta storia quella della Grecia. Il Paese in cui nacque il genere letterario della tragedia continua a proiettare
un'ombra che potrebbe innescare oggi una tragedia finanziaria. Come in molte tragedie greche, anche nella
situazione presente la realtà è molto diversa da quanto appare agli attori sul palcoscenico e rischia di
trascinarli in un gioco in cui tutti sono perdenti. Che cosa succederà se gli elettori greci daranno al nuovo
governo il mandato di uscire dall'euro? Per rispondere a questa domanda, occorre valutare separatamente le
conseguenze dirette e quelle indirette. La più importante conseguenza diretta è che i greci opterebbero per
una nuova dracma - così si chiamava la moneta ellenica che è confluita nell'euro - che nascerebbe
gracilissima, scarsamente accettata all'estero perché il nuovo governo greco sarebbe parallelamente
costretto a non ripagare il debito accumulato dal Paese e/o gli interessi relativi. L'euro può piacere o non
piacere ma in ogni caso rappresenta un «ombrello» per le bilance dei pagamenti correnti dei Paesi aderenti,
che possono andare anche pesantemente in rosso senza che il Paese così «sbilanciato» - specie se piccolo
ne abbia conseguenze dirette e immediate. Così è stato per la Grecia, le cui esportazioni di beni bastano a
coprire poco più di metà delle importazioni mentre gli introiti del settore turistico non sono sufficienti a
riempire il vuoto contabile. E' molto probabile che un'eventuale nuova dracma affonderebbe, un po' come è
affondato il rublo in queste settimane, e i greci, oltre ad affrontare un'inflazione galoppante, dovrebbero
mettere in conto l'eventualità di non disporre di petrolio e di generi alimentari nelle quantità a loro necessarie.
Per questo si può ritenere che la Grecia alla fine scarti l'opzione di uscire dall'euro e faccia tutto il possibile
per ottenere un ulteriore «sconto» sugli interessi e sui tempi di restituzione del debito. Simili richieste non
saranno certo accolte con grande calore perché negli ultimi quindici anni i greci hanno troppe volte promesso
politiche di risanamento poi non realizzate o semplicemente fornito dati non veri sull'ammontare del loro
debito e del loro prodotto interno lordo. Queste «non verità» sono state all'inizio accolte con colpevole
condiscendenza, in parte sotto la pressione del mondo bancario tedesco, che stava finanziando le Olimpiadi
di Atene del 2004. Per questo la colpa della crisi attuale non sta certo da una parte sola. Che la Grecia esca
o non esca dall'euro, gli altri Paesi del sistema monetario europeo dovranno affrontare conseguenze indirette
della situazione attuale che non si preannunciano affatto simpatiche. Una moneta largamente anomala, come
l'euro, che si regge sulla cooperazione di 19 Paesi, vedrà ridursi la sua accettabilità mondiale se i guai di un
piccolo Paese ne incepperanno i meccanismi decisionali. E i grandi flussi mondiali dei capitali finanziari
potrebbero andare a saggiare le difese di altri componenti deboli del sistema euro, attaccano prima il
Portogallo e poi la Spagna e l'Italia, ossia richiedendo un «premio», oltre ai livelli attuali per sottoscrivere i
titoli del debito pubblico di questi Paesi che devono essere emessi quasi giorno dopo giorno. Il famigerato
«spread» ritornerebbe ad alzarsi secondo un copione che purtroppo in Italia si è già visto e le cui
conseguenze bruciano ancora. Tale copione potrebbe estendersi ad altri Paesi, prima fra tutte la vulnerabile
Francia, mettendo in discussione l'esistenza stessa della moneta europea in una situazione di caos
monetario mondiale. Per questo, il caso greco pur essendo gestibile in maniera non «tragica» e con risorse
finanziarie relativamente limitate, contiene germi molto pericolosi e richiede, appunto, di essere gestito
politicamente e non solo da un un punto di vista tecnica. Questi germi impongono che la nuova puntata delle
peripezie economico-valutarie di Atene venga affrontata con l'importanza che merita e non semplicemente
con l'idea di dare una lezione di ordine contabile alla Grecia. Il governo di sinistra che probabilmente uscirà
dalle elezioni del 25 gennaio dovrà avere presente che la Grecia ha firmato un trattato internazionale di
adesione all'euro che non si può abolire unilateralmente. I trattati, in sostanza, «non sono pezzi di carta»,
come invece sostenne un cancelliere tedesco, poco più di cent'anni fa, al momento dell'invasione del Belgio.
Dal canto loro, i responsabili della politica economica e monetaria dell'Unione Europea e l'attuale cancelliere
tedesco dovranno cercare di venire incontro ai greci idealmente «a metà strada»: le sofferenze, e soprattutto
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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TRATTARE PER EVITARE UN ALTRO CHOC
05/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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il venir meno delle speranze della popolazione di un Paese membro non possono lasciare indifferenti chi
vede nell'euro e nella sua continuazione una base necessaria per il futuro dell'Europa.
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05/01/2015
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"Soglia al 3% senza senso Ma tutta la legge va ritirata"
Il tributarista Giovannini: certezza del diritto a rischio
PAOLO BARONI ROMA
«Per come è formulata la norma vale senz'altro il principio del "favor rei" e quindi le norme del codice di
procedura penale sulla retroattività delle misura più favorevole», spiega Alessandro Giovannini, ordinario di
diritto tributario a Siena e presidente dell'Associazione italiana professori di diritto tributario. Quindi Berlusconi
potrebbe certamente avvantaggiarsene e vedersi annullare la condanna penale per frode fiscale, con tutto
quello che ne consegue. «Il problema - aggiunge però Giovannini - è che non si capisce perché sia stata
inserita questa nuova soglia del 3% perché nella vecchia legge le soglie già c'erano». I difensori di Berlusconi
però sembrano divisi: uno sostiene che lo sconto si può applicare anche al l'ex Cavaliere ed un altro no. Lei
cosa ne pensa? «La nuova norma si inserisce in una legge già esistente che riguarda tutti i tipi di reati in
materia tributaria, sia quelli di fatto minori come la dichiarazione infedele, sia quelli di maggiore antigiuridicità,
come la frode. E non specificando consente una applicazione all'intero complesso dei reati». Per correggere
il pasticcio dunque basta specificare che la soglia del 3% non riguarda la frode, come pare sia intenzionato a
fare Renzi? «Personalmente credo che questa legge vada ritirata e rimeditata complessivamente». Solo per
questo «incidente» o anche per altre ragioni? «I punti critici sono tanti. Ad esempio la norma sull'abuso del
diritto finisce per creare un meccanismo ancora più macchinoso di quello attuale visto che rimette
completamente tutto in mano alla giurisprudenza. In pratica lo slogan con cui è stata presentata la legge,
ovvero la "certezza del diritto", risulta vanificato dalla legge stessa». Eppure l'intenzione era questa:
semplificare, dare certezze alle imprese, alleggerire i tribunali... «Peccato che il prodotto finale sia un altro.
Ma poi ci sono altri aspetti che non funzionano, come la norma sul patteggiamento che di fatto viene
impedito, visto che chi patteggia va incontro alla confisca dei beni, mentre se si va al dibattimento e si sana la
posizione debitoria con il Fisco la confisca non c'è più. In questo modo nessuno seguirà più questa strada
creando un effetto a valanga negativo sul processo penale, ingolfando ulteriormente la macchina giudiziaria».
Torniamo alla questione del 3%. A parte il «regalo» a Berlusconi, questa norma risponde a pieno alla filosofia
delle delega che puntava a semplificare e ad alleggerire il carico giudiziario nell'interesse generale non di uno
solo. «Il problema non è tanto il fatto del 3, del 2 o dell'1%: il problema è che in questo modo si è aggiunta
una soglia ad un sistema che già prevedeva delle soglie all'interno dei singoli reati sotto le quali non scattava
la sanzione penale. Per cui mi chiedo: perché è stata aggiunta?».
Questa legge va ripensata interamente Se si sceglie di patteggiare vengono confiscati i beni. Così
nessuno sceglierà più questa strada A. Giovannini Ordinario di diritto tributario a Siena
3% la norma Se non si supera il 3% del fatturato niente azione penale
Foto: Presidente Giovannini guida l'Associazione docenti di diritto tributario
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Intervista
05/01/2015
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Di Maio: "Renzi voleva saldare uno dei conti del Nazareno"
Il leader grillino: "E sul volo di Stato convoco Enac ed Enav"
FRANCESCO MAESANO ROMA
Porta Portese. Luigi Di Maio ha passato le ferie a Roma, giusto una visita a Napoli sabato scorso, «per
salutare dei miei amici che si sposano a breve. Siamo cresciuti insieme. Loro sposano le loro ragazze
storiche. Io mi ritrovo sposato con la mia passione di sempre». I giorni dei tavoli di mediazione sono passati.
Prima che inizi la corsa al Quirinale il M5S prova a mostrare i muscoli a Matteo Renzi, a partire dal decreto
fiscale che avrebbe cancellato la condanna a quattro anni di Berlusconi nel processo Mediaset. Credete
davvero ci fosse del dolo? «Il presidente del Consiglio ci prende in giro. Non ha rispetto per i cittadini italiani.
Crede di poter usare la legge a suo uso e consumo alla vigilia di Natale. Ora che succederà? Berlusconi farà
saltare le riforme? Io credo che il dolo ci fosse tutto. Due sono le cose: o Renzi non sa cosa approva oppure
ha provato ad estinguere una cambiale del Nazareno in periodo natalizio, quando gli italiani secondo lui
"festeggiano". Peccato che c'era poco da festeggiare. Lui era in volo per Courmayeur sul volo di Stato mentre
a terra c'erano dieci milioni di poveri abbastanza arrabbiati». Sul volo per Aosta avete preso una posizione
netta. Ma non c'è anche il tema della sicurezza? «Il presidente del Consiglio utilizza soldi pubblici per andare
in ferie a Courmayeur. Con gente che nel 2014 muore ancora di freddo per strada a Roma se ne va in
vacanza con il Falcon di Stato dando anche un passaggio a moglie e figli? A me questa roba fa schifo.
Domani (oggi ndr) convochiamo i vertici Enav ed Enac nel mio ufficio». Che cosa ipotizzate? «Cambiano i
piani di volo per comodità. Vogliamo l'elenco completo dei piani di volo con relativi orari di atterraggio e
decollo, delle modifiche apportate al volo I9002 e pretendiamo di saperne di più sulla gestione dell'aeroporto
di Aosta nell'ultimo anno, orari di chiusura e apertura, movimenti annui e mensili atti a dimostrare che tutta la
struttura è stata messa in moto per il singolo volo sia di andata che poi, per il successivo rientro, guarda caso,
sempre per Firenze». E quindi chiederete una modifica delle procedure? «Nessuna modifica. Il presidente del
Consiglio può rifiutarsi di usare alcuni privilegi che spacciano per sicurezza. Lo hanno fatto tante cariche
istituzionali più in alto di lui, sia in passato che in questa legislatura. Si chiama etica pubblica, che porta a
decidere se e come usare i voli di stato. Non per Courmayeur a 9000 euro l'ora». Ma se pensate che si tratti
di un danno erariale perché allora non presentate una denuncia presso la Corte dei Conti? «Il nostro deputato
Paolo Romano ne sta facendo valutare gli estremi. Ma la violazione è prima di tutto politica. Ovvero di fiducia
nei confronti dei cittadini. Non mi meraviglia che le riforme di Renzi tocchino sempre i disgraziati e mai i
privilegiati. È uno di loro». Il Governo è sotto pressione. Non crede che il M5S potrebbe essere più incisivo?
«Noi proponiamo le alternative ai loro disastri e controlliamo le loro porcate. Vedi voli di stato, aumento bollo
auto, nuove concessioni gioco d'azzardo e Tasi alle stelle». Ieri Davide Faraone ha scritto su Twitter che con
la vostra opposizione il Pd non perderà mai. «Dite a Faraone che l'ultima volta che hanno sottovalutato i
cittadini e le loro richieste di giustizia, sicurezza e lotta ai privilegi, li abbiamo battuti alle politiche. Loro twittino
pure. Mentre loro twittano noi vogliamo cambiare il Paese: fuori dall'Euro e reddito di cittadinanza, 780 euro al
mese a 10 milioni di poveri per 3 anni». Twitter@unodelosBuendia
Il presidente del Consiglio ci prende in giro. Non ha rispetto per i cittadini italiani Ora che succederà?
Berlusconi farà saltare le riforme? Luigi Di Maio Vicepresidente della Camera, M5S
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Intervista
05/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 12
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Entro la primavera sarà pronto il testo a cui lavora il commissario Avramopoulos Quattro i pilastri su cui si
basa, anche per una più equa distribuzione dei rifugiati
MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
I tecnici di Dimitris Avramopoulos lavorano a una strategia d'attacco su quattro fronti. Come promesso dal
presidente Juncker, il commissario Ue agli Affari Interni sta scrivendo quella che, nelle intenzioni, deve
diventare la spina dorsale d'una vera politica dell'Immigrazione, cosa di cui in Europa si parla da sempre, ma
che gli Stati non hanno mai dimostrato di volere. Ha le idee chiare, il greco. Vuol rafforzare Frontex, ma
anche distribuire meglio i rifugiati, ottimizzare le possibilità di ingresso legale e far funzionare bene le regole
per l'asilo che, sinora, hanno lasciato piuttosto a desiderare. «Proposta entro la primavera», dice una fonte.
Forse, anche prima. Il controllo delle frontiere, anzitutto. Juncker è convinto che «90 milioni l'anno per Frontex
non siano certo compatibili con il compito di proteggere i confini comuni». L'idea di base è di mettere insieme
maggiori risorse e far sì che il team europeo di guardie di frontiera sia rapidamente organizzato per
intervenire in operazioni congiunte. «Dobbiamo dimostrare che è una responsabilità di tutti - fa sapere
Juncker - : gli Stati del Nord come quelli del Sud devono agire con spirito di solidarietà». La somma possibile
non è decisa. Possibile un raddoppio. Il passo successivo è la distribuzione di chi arriva, in genere disperati in
fuga da aree di conflitto. «Il nuovo sistema di asilo deve essere ancora attuato appieno dagli Stati - ammette
una fonte europea - e le divergenze fra i Paesi vanno rimosse». Avramopoulos pensa a utilizzare l'Easo,
l'Ufficio Ue di assistenza per l'asilo, per aiutare capitali e Paesi terzi nell'esaminare le richieste dei rifugiati,
anche sul terreno, laddove opportuno. Non solo. Paesi come Germania e Svezia rimproverano a quelli del
Sud (come l'Italia) di non accogliere abbastanza migranti e considerano poco che da noi li si salva uno per
uno in mare. La Commissione sa però di dover pagare pegno anche a loro. Così suggerisce che l'Europa
abbia una solida macchina per il resettlement (re-insediamento) che ricollochi i migranti delle zone di crisi
prima che s'imbarchino sulle carrette del mare. «Non è sostenibile una situazione in cui i Paesi che accolgono
più rifugiati sono quelli che ricevono più richieste», fanno notare alla Commissione: «Occorre più equilibrio».
Ultimo capitolo riguarda le migrazioni legali. Bruxelles fa notare che di qui al 2020 la popolazione attiva
europea calerà di 15 milioni per ragioni anagrafiche. «Occorrono vie accettabili per accogliere e formare chi
viene da fuori. L'immigrazione deve far parte delle politiche socioeconomiche». Non sarà facile. Vista la
situazione, però, bisognerà che i ventotto trovino un compromesso per andare avanti e non essere sommersi.
90 milioni È la dotazione annua prevista per Frontex: l'intenzione è di aumentarla Alcune fonti ipotizzano di
raddoppiarla
15 milioni Da qui al 2020 la popolazione attiva europea calerà di 15 milioni per ragioni anagrafiche: sarà
fondamentale l'apporto dei migranti
I punti per affrontare l'emergenza n Al primo posto c'è il controllo delle frontiere, per questo si pensa di
aumentare le risorse destinate a Frontex anche in modo da avere una maggiore organizzazione delle guardie
di frontiera n L'obiettivo è «rimuovere» le divergenze che esistono tra i vari Paesi per quanto riguarda
l'attuazione del diritto d'asilo. Per questo si pensa di utilizzare l'ufficio europeo di assistenza per l'asilo. n Altro
capitolo riguarda l'istituzione di un sistema di reinsediamento, che ricollochi i migranti dalle zone di crisi prima
che si imbarchino sulle carrette del mare. n Ultimo punto riguarda le immigrazioni legali, che andranno gestite
e saranno sempre più necessarie all'Europa, anche se non sarà facile trovare un compromesso tra i 28 Paesi
Foto: SERENA CREMASCHI /ANSA
Foto: Un militare della Guardia Costiera controlla il mare dopo la segnalazione di un barcone di profughi al
largo della costa di Lampedusa
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Frontex più solido e asilo europeo Il piano Ue per l'immigrazione
03/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 38
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Sospetti su oltre 40 agenti è stato un attacco alla città»
«Ma il 31 è fallito il piano per mettere a rischio la sicurezza di romani e turisti» Il comandante: «Verifiche sulla
posizione di chi è rimasto a casa dandosi malato» «CON LE NUOVE NORME SUI SALARI SARÀ
PREMIATO CHI RISPETTA LE REGOLE ED È DISPONIBILE SUL POSTO DI LAVORO»
Fabio Rossi
L'inchiesta sullo sciopero selvaggio di Capodanno procede a tamburo battente. Tanto sono già state
individuate 44 assenze sospette, «che meriteranno un approfondimento soggettivo». Raffaele Clemente, da
oltre un anno comandante della polizia locale di Roma Capitale, vuole andare fino in fondo su quello che
considera «un piano evidente, per fortuna fallito, di mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini».
Comandante, l'83 per cento di assenze tra i suoi uomini, la notte di San Silvestro, è un attacco a lei o
all'amministrazione? «Credo che sia un attacco alla città, non un fatto personale contro di me». Eppure le
cause scatenanti sembrano il criterio della rotazione continua, da lei introdotto, e la riforma del salario
accessorio, entrata in vigore il 1 gennaio. «C'è di sicuro una vertenzialità diffusa nella polizia municipale, che
riguarda il salario accessorio, il piano anticorruzione e la riforma complessiva del Corpo. Ma quando la
protesta esce fuori dalle regole diventa inaccettabile». I sindacati di categoria la accusano di mancanza di
dialogo. «Abbiamo provato a dialogare in tutti i modi possibili, evidentemente fino a ora con scarsi risultati.
Ma è difficile fare grandi passi avanti se l'altra parte è irriducibile. In questo caso il dialogo si ferma, ma noi
confidiamo di continuare a tenerlo aperto». Quali sono i punti che lei ritiene irrinunciabili nella trattativa
sindacale? «Il rispetto delle regole. Ed è evidente che quanto è successo la notte di Capodanno non ne fa
parte». Siete pronti a licenziare gli autori di abusi? «Alla fine dell'inchiesta riferiremo ciò che avremo
riscontrato a tutte le autorità che possono essere interessate: la magistratura, per i profili penali, il Garante
per gli scioperi, per ciò che riguarda la regolarità delle proteste sindacali». E voi? «Se sarà necessario
prendere anche provvedimenti disciplinari interni all'amministrazione, lo faremo senz'altro». Avete già
riscontrato irregolarità? «Ci sono 44 posizioni che, dai primi accertamenti, meriteranno un approfondimento
soggettivo. Ma valuteremo gli avvenimenti di Capodanno nella loro globalità, con attenzione anche alla
documentazione sanitaria che è stata presentata per giustificare le assenze». Le indagini potrebbero
estendersi anche ai medici? «Questo potrebbe stabilirlo l'autorità giudiziaria, affidandoci gli accertamenti in
ambito di delega». L'amministrazione come può, in futuro, difendere se stessa ai cittadini dal ripetersi di
situazioni del genere? «Utilizzando le regole che abbiamo. Ho letto con soddisfazione le dichiarazioni del
premier Renzi sulla riforma della pubblica amministrazione, che mi sembra giusta e necessaria». Crede che
ci fosse l'intento di mettere a repentaglio la sicurezza cittadina? «Sono convinto che l'intenzione fosse questa.
Ma i provvedimenti che abbiamo preso, attraverso la reperibilità e la disponibilità di tanti colleghi a tornare in
servizio ci hanno permesso di portare a termine la notte di Capodanno in maniera sicura e senza problemi. Il
tentativo, insomma, è fallito». Il nuovo salario accessorio, da fonte di tensioni sindacali, può diventare un
modo per premiare chi evita comportamenti scorretti? «Nel nuovo contratto decentrato ci sono delle norme
che vanno proprio in questa direzione. È giusto premiare chi si comporta correttamente ed è disponibile sul
lavoro».
La defezione dei vigili
Nella notte di Capodanno a Roma
le assenze sospette degli agenti a rischio licenziamento
44
165
1.000
835
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Intervista Raffale Clemente
03/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 38
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
198
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MOTIVAZIONI
83,5%
470
230
dalle 18
dalle 24
240 ANSA Malattia Legge 53 Legge 104 agenti effettivamente in ser vizio percentuale assenteismo assenze
dell'ultim'ora Ar t.19 e altro unità impiegate Donazione sangue agenti disponibili per ser vizio ordinario nel
turno di seminotte DOPO LA PROCEDURA DI REPERIBILITÀ
Foto: Raffaele Clemente
03/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Statali Pronto il piano di Renzi: all'Inps i controlli sulle malattie
Con la riforma della Pa partirà una verifica sui fabbisogni di personale. Previsti esuberi Da parte delle Asl
accertamenti inefficienti, certificati al vaglio dell'Istituto di previdenza SARANNO ANCHE SEMPLIFICATE LE
NORME BRUNETTA SUI LICENZIAMENTI DISCIPLINARI NEL PUBBLICO IMPIEGO
Andrea Bassi
ROMA Dopo aver tentato con carabinieri, Guardia di finanza, procura della Repubblica, Giovanni Calabrese,
sindaco di Locri, qualche mese fa non sapendo più a che santo votarsi per combattere l'assenteismo nel suo
Comune, dove su 125 impiegati in organico non si presentavano al lavoro mai più di 25 al giorno, aveva
provocatoriamente scritto una missiva direttamente all'Altissimo. Già allora il governo era intervenuto inviando
gli ispettori del dipartimento della Funzione Pubblica, e qualche risultato è stato ottenuto, riducendo i tassi di
assenza. Forte di questo precedente, ieri il ministro Marianna Madia ha attivato la stessa procedura per il
caso clamoroso degli oltre 800 vigili urbani di Roma che nella notte di Capodanno si sono dati malati,
chiedendo all'amministrazione comunale di verificare in tempi brevi le responsabilità, comunicando senza
indugio le azioni disciplinari intraprese nei confronti di chi si è comportato in maniera «irresponsabile». Il
ministro Madia ha promesso che andrà fino in fondo e ci saranno «sanzioni». Ma nel governo il caso Roma è
considerato la classica goccia che rischia di far traboccare il vaso. Ieri Matteo Renzi in un tweet ha
stigmatizzato l'accaduto. «Mai più casi come questo», ha cinguettato il premier, aggiungendo: «agiremo sul
pubblico impiego». In che modo? Renzi avrebbe intenzione di chiamare in causa il neo presidente dell'Inps
Tito Boeri. Tra il 2011 e il 2013, spiegano fonti di Palazzo Chigi, il numero complessivo dei certificati di
malattia nel pubblico è cresciuto del 27 per cento, mentre nel settore privato è rimasto praticamente
immutato. Nel pubblico le verifiche sui certificati sono affidate alle Asl, che ogni anno spendono in media 70
milioni di euro. Quasi il triplo dei 25 milioni che impiega l'Inps per effettuare i controlli sui certificati nel settore
privato, riuscendo comunque a verificare, in termini numerici, circa il doppio dei certificati delle Asl. Insomma,
secondo Palazzo Chigi affidando all'Inps anche i controlli nel pubblico si potrebbe ottenere una qualità
migliore e qualche decina di milioni di euro di risparmi. LE ALTRE MOSSE Assegnare i controlli all'Istituto di
previdenza, tuttavia, potrebbe essere solo la prima mossa. Come annunciato da Renzi, il passaggio
successivo sarà rimettere mano alla delega per la riforma della Pubblica amministrazione. Ieri il ministro
Madia ha spiegato che il tema del lavoro pubblico sarà affrontato in quel testo con «premi e sanzioni, con
poche regole chiare». Nel provvedimento, tuttavia, all'articolo 13, è contenuto un comma che è sfuggito a
molti ma che potrebbe costituire il grimaldello per scardinare il sistema delle inefficienze nel quale i
«fannulloni» possono trovare terreno fertile. Con la riforma saranno abolite le piante organiche della Pa,
quelle che assegnano ad ogni amministrazione un certo numero di dipendenti per il loro funzionamento.
Saranno sostituite da una verifica dei fabbisogni effettivi di personale. Chi sarà considerato in esubero sarà
messo «a disposizione» di altre amministrazioni attraverso il meccanismo della mobilità obbligatoria entro i 50
Km introdotta dal decreto Madia. Chi non sarà ricollocato, avrà due anni di stipendio all'80% e poi il rapporto
di lavoro sarà sciolto. Presto saranno disponibili le tabelle di equiparazione su stipendi e qualifiche che
permetteranno di far partire il meccanismo della mobilità. Semplificazioni, poi, arriveranno anche sui
meccanismi introdotti dall'ex ministro Brunetta sui licenziamenti disciplinari. Il licenziamento disciplinare degli
statali com'è og gi Motivazioni Falsa attestazione della presenza in ser vizio Assenza ingiustificata per più di
tre giorni in un biennio Ingiustificato rifiuto al trasferimento Documenti falsi per assunzione o progressione di
carriera Gravi condotte aggressive o molestie Condanna penale definitiva con interdizione pubblici uffici
Valutazione insufficiente del rendimento lavorativo per almeno un biennio 7
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL RETROSCENA
03/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 6
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Politico, riformatore e di garanzia: l'identikit di Renzi per il Colle
Il 7 all'assemblea dei parlamentari pd il leader traccerà la rotta Berlusconi a Ncd e Udc: patto di consultazione
in nome del Ppe FRONDISTI AZZURRI E DEM CONTRO L'INTESA SULL'ITALICUM: EMENDAMENTO
DELLA SINISTRA PER FAR SALTARE I CAPILISTA BLOCCATI
Marco Conti
ROMA «Un politico» che «sproni l'attività riformatrice». Lentamente i contorni del nuovo presidente della
Repubblica prendono forma mettendo insieme tasselli che prima Matteo Renzi e poi Lorenzo Guerini si
lasciano scappare. Niente tecnici e niente società civile, ma sicuramente una figura in sintonia con l'attuale
stagione di riforme fortemente voluta dall'attuale presidente della Repubblica e dallo stesso Renzi. Quindi, se
qualcuno pensa ci sia spazio per spedire sul Colle più alto una figura in grado di contrapporsi a Renzi per
storia e formazione culturale e politica, si illude. AREA Come è illusorio pensare che sul Quirinale possa
saltare il patto del Nazareno. Ne sa qualcosa Angelino Alfano, ministro e leader del Ncd, che ha colto
l'occasione del Natale per riallacciare i rapporti con Silvio Berlusconi. Molto pragmaticamente l'ex Cavaliere
ha messo alle spalle in un colpo solo antiche e recenti ruggini e si è detto pronto a mescolare i suoi 120
parlamentari all'ottantina dell'area che va dal Ncd all'Udc, passando per Sc. Un patto di consultazione, in
nome del Ppe, che attende le mosse del leader del Pd il quale continua a seguire divertito «l'indovina chi!»
che impazza sui media svelando nomi di possibili candidati e le tante manovre in corso. Ultima quella di
Forza Italia, partito balcanizzato da guerre interne e che soffre la relativa presenza del suo leader e
fondatore, pronto a chiedere come se niente fosse l'inversione dell'ordine del giorno: «Prima il Quirinale e poi
la legge elettorale e le riforme costituzionali», si legge sul Mattinale, la nota politica del gruppo di FI della
Camera. Poichè se analogo strumento lo avessero i senatori azzurri la musica sarebbe diversa, l'altolà non
impensierisce il premier che ieri ha dettato via twitter la sua agenda ricca di appuntamenti internazionali ma
che fissa per gennaio due soli obiettivi: il varo entro il mese al Senato dell'Italicum 2.0 e alla Camera delle
riforme costituzionali. Un'agenda serrata che per incastrarsi con i tempi di convocazione delle camere per
l'elezione del nuovo Capo dello Stato, ha bisogno che le annunciate dimissioni di Napolitano avvengano a
ridosso della settimana successiva alla fine del semestre di presidenza dell'Europa, in modo che la
convocazione dei grandi elettori avvenga ai primi di febbraio. L'assemblea dei parlamentari del Pd,
organizzata dal premier per il 7 gennaio, assume quindi il tono di un serrare i ranghi in vista di un mese
mozzafiato. OPERA Il campo di gioco sul quale si disputerà la partita per la successione a Napolitano è lo
stesso sul quale dal 7 gennaio al Senato e dall'8 alla Camera, si giocherà lo scontro su legge elettorale e
riforme. Una corsa contro il tempo fatta di tempi contingentati e di ricorso al meccanismo del "canguro" per
bypassare al Senato l'ostruzionismo di Lega e M5S. Le insidie più grosse per Renzi continuano però a
provenire dall'interno del suo partito. Far saltare l'accordo con FI sulla legge elettorale significa
compromettere anche quella possibile intesa con FI sul Quirinale. I guastatori sono all'opera con l'obiettivo di
sforare il cronoprogramma imposto da palazzo Chigi. Per rallentare «il ritmo» evocato anche ieri dal premier,
potrebbe bastare l'emendamento presentato dalla sinistra del Pd che cancella i capilista bloccati prevedendo
il meccanismo delle preferenze per tutti. Lega, M5S e una parte di FI, sono pronti a votarlo, magari a voto
segreto. Di ipotesi di intesa con le opposizioni non dialoganti, Renzi non vuol sentir parlare e all'assemblea
del 7 lo spiegherà in maniera inequivocabile sostenendo come in questo mese non sono ammesse crisi di
coscienza e chiudendo ad ogni possibile nuova modifica dell'Italicum. Ai parlamentari darà poi appuntamento
a dopo la convocazione dei grandi elettori. Un appuntamento nel quale si discuterà del profilo del nuovo
presidente della Repubblica. Sino ad allora, e forse anche dopo, nessun nome e nessuna terna. Ma l'obiettivo
resta quello di votare, magari anche con spezzoni del M5S, un presidente di garanzia. Ovviamente in sintonia
con il «ritmo» riformatore della legislatura, altrimenti - dopo - sarà meglio andare ad elezioni.
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03/01/2015
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Foto: COURMAYEUR Matteo Renzi sui campi da sci con i figli. Sotto, la sua pagina Facebook
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Quelle rotazioni che i pizzardoni non digeriscono
Lorenzo De Cicco
Il 5 settembre scorso il comandante della Polizia locale di Roma, Raffaele Clemente, ha presentato il piano
sulla rotazione dei vigili urbani. A pag. 3 R O M A Quando il 5 settembre scorso il comandante della Polizia
locale di Roma, Raffaele Clemente, ha presentato il piano sulla rotazione dei vigili urbani, erano passate
appena 72 ore dall'arresto di un agente per tentata concussione ai danni di un commerciante. E infatti la
riforma della turnazione dei vigili, che dopo 7 anni dovranno lasciare il proprio ufficio di appartenenza, nasce
proprio per evitare casi di corruzione. Non a caso l'operazione è stata benedetta prima dal dipartimento
Trasparenza del Campidoglio e poi dall'Autorità nazionale Anticorruzione, con il presidente Raffaele Cantone
che ha parlato del nuovo piano dei turni come di «uno strumento positivo che riduce la possibilità di episodi di
malaffare». I vigili però non hanno gradito. E negli ultimi tre mesi hanno protestato con decine di assemblee,
manifestazioni, perfino una raccolta firme che ha chiesto le dimissioni del comandante. Che però, col placet
del sindaco Marino, non ha voluto retrocedere di un millimetro.
TRASFERIMENTI OBBLIGATI In cosa consiste il piano? In pratica, con le nuove norme, dopo 5 anni per i
funzionari e 7 per gli agenti, ogni dipendente sarà costretto a cambiare l'ufficio e il territorio di appartenenza.
Questo per evitare che la permanenza all'interno di uno stesso quartiere, con le stesse mansioni, per un
periodo di tempo troppo lungo possa dare vita a relazioni privilegiate che in qualche modo inneschino gli
abusi. Insomma l'obiettivo della rotazione è allentare il più possibile i vincoli territoriali che si sono costruiti nel
tempo. Il piano, già adottato in decine di città italiane come Milano, Palermo e Firenze, prevede che gli
spostamenti possano avvenire solo in aree e municipi totalmente diversi: per esempio un agente del gruppo
di Montesacro, zona nord di Roma, potrà essere trasferito al Casilino, alla periferia Sud-Est della città. E lo
stesso accade per chi lavora nei reparti speciali: un vigile dello SPE, il reparto della Sicurezza pubblica ed
emergenziale, dovrà invece spostarsi al Gruppo di pronto intervento traffico o al GSSU, il gruppo per la
sicurezza sociale e urbana. Secondo il nuovo regolamento i primi a trasferirsi saranno gli agenti che da più
anni lavorano all'interno dello stesso gruppo e a parità di anni di servizio si muoverà prima l'agente più
anziano. Le prime circolari di trasferimento sono state firmate il 20 dicembre per un centinaio di funzionari e
dirigenti. E nei prossimi 22 mesi toccherà agli 850 agenti in servizio. Poi sarà la volta di tutti gli altri 5mila
dipendenti del Corpo.
«WHISTLEBLOWING» Non solo rotazione: il piano si basa su cinque punti che, oltre ai trasferimenti,
istituiranno anche la tracciabilità delle attività degli agenti, la formazione del personale, il monitoraggio da
parte di un responsabile del piano e il cosiddetto «whistleblowing», che permetterà ai vigili di un reparto di
segnalare gli illeciti di un collega o di un superiore. La nuova normativa infatti offrirà una tutela legale ai
lavoratori che denunciano le irregolarità nel caso subiscano una ritorsione da parte del denunciato. Si tratta,
come ha spiegato proprio il presidente dell'Anticorruzione Cantone «di uno strumento che negli Stati Uniti ha
funzionato benissimo e che consente a tutti i cittadini di segnalare gli illeciti senza essere esposti a rivalse».
LE PROTESTE Gli agenti però hanno alzato le barricate contro le nuove norme. «Non siamo corrotti,
abbiamo le mani pulite» hanno gridato nelle manifestazioni di protesta delle settimane scorse. Secondo il
sindacato Arvu la nuova turnazione poi «sarebbe applicabile solo al personale dirigente e non ai funzionari».
Ma in realtà su questo punto l'Authority di Cantone un mese fa ha spazzato via i dubbi e infatti già dall'11
gennaio i primi 108 dipendenti verranno trasferiti.
Le nuove regole
I funzionari cambieranno ufficio dopo cinque anni I funzionari potranno restare in uno stesso ufficio al
massimo per 5 anni, gli agenti invece dovranno cambiare mansione e territorio di appartenenza dopo 7 anni.
L'obiettivo è evitare che la permanenza all'interno di uno stesso quartiere, con lo stesso compito, per un
periodo di tempo troppo lungo possa dare vita a relazioni privilegiate che inneschino gli abusi.
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Gli spostamenti solo in municipi e aree diverse
Il piano prevede che gli spostamenti possano avvenire solo in aree e municipi totalmente diversi: per esempio
un agente del gruppo di Montesacro, zona nord di Roma, potrà essere trasferito al Casilino, alla periferia
Sud-Est della città. Secondo il nuovo regolamento i primi a trasferirsi saranno gli agenti che da più anni
prestano servizio all'interno dello stesso gruppo.
Possibile segnalare anche gli illeciti di un superiore Il piano anticorruzione, oltre alla rotazione, istituisce
anche lo strumento del «whistleblowing», che permetterà ai vigili di un reparto di segnalare gli illeciti di un
collega o di un superiore. La nuova normativa infatti offrirà una tutela legale ai lavoratori che denunciano le
irregolarità nel caso subiscano una ritorsione da parte del denunciato.
Foto: I vigili urbani di Roma rifiutano la riforma del corpo
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Matteo avverte il Pd: al Quirinale un garante di tutti, noi decisivi
Si alza la tensione. La sinistra contro la riforma elettorale mentre Forza Italia chiede chiarimenti sulla clausola
di salvaguardia. Ma il premier: io non arretro UNA LETTERA AGLI ISCRITTI DEMOCRAT: UN BIS DELLA
DEBACLE DEL 2013 SAREBBE UN SUICIDIO
Marco Conti
R O M A «Sarà un passaggio delicato e difficile». Prende carta e penna. Scrive agli iscritti del Pd affinché gli
eletti comprendano che ripetere la debacle del 2013 sarebbe un suicidio. Un po' scaramanticamente
sostiene: «Sono certo che il Pd sarà decisivo nello scegliere insieme a tutti un arbitro equilibrato e saggio, il
garante super partes delle istituzioni». La cartolina da Courmayeur di Matteo Renzi non si limita agli auguri e
a elencare le cose da fare nell'anno appena iniziato ma, per l'elezione del successore di Napolitano, fissa
criteri e paletti la cui resistenza è ancora tutta da verificare. TENSIONI La corsa al Quirinale è partita da
tempo, ma Renzi resta fermo ai blocchi di partenza. Dà l'impressione di sapere ciò che vuole, ma di non aver
ancora deciso quale strada intraprendere e, soprattutto, di voler aprire il dossier solo dopo aver incassato
Italicum e riforme costituzionali. Per ora il premier si limita ad lisciare il popolo dei tesserati e delle primarie
che un anno e mezzo fa, con tweet ed sms, condizionarono non poco le scelte del consistente gruppone dei
grandi elettori del Pd. Stavolta, si augura il premier e segretario di partito, «sarà diverso», ma restano a
pesare le tante incognite interne al partito di cui è segretario e le tensioni esistenti nei partiti che dovrebbero
comporre la maggioranza allargata, "buona" per votare la nuova legge elettorale e le riforme costituzionali.
Fermo ai nastri di partenza, preoccupato più di tenere bassa la temperatura che di indicare possibili soluzioni,
Renzi nella lettera allunga la prospettiva del suo governo e della legislatura promettendo una riforma al mese
facendo della partita del Quirinale un passaggio, «delicato e difficile», ma solo un passaggio nel quale
«eleggere il garante super partes delle istituzioni». Musica per le orecchie di Silvio Berlusconi e dei suoi
parlamentari che da giorni insistono - come spiega l'azzurra Stefania Prestigiacomo - sulla necessità di un
presidente che assuma «un ruolo di pacificatore politico» il cui «primo passo» «sarà restituire a Silvio
Berlusconi l'agibilità politica». Tale obiettivo, ovviamente, non è tra quelli di Renzi che oltre al riconoscimento
del ruolo politico che ha ancora l'ex Cavaliere non intende andare. Resta il fatto che mentre il Rottamatore fa
di tutto per considerare la corsa ancora ai blocchi di partenza, è consapevole che i sabotatori del Patto del
Nazareno sono al lavoro da tempo. Sinora, dalla sua Renzi può contare sulla spaccatura interna al M5S tra
coloro che evocano la necessità di una trattativa tutta romana e coloro che invece vorrebbero riproporre lo
schema delle quirinarie per poi presentarsi in Parlamento con un nome da prendere o lasciare. La sinistra del
Pd continua ad essere sul piede di guerra e contesta i capolista bloccati. DISERTORI Le vacanze natalizie
hanno messo la sordina allo scontro dentro Forza Italia, ma la quarantina di parlamentari di Raffaele Fitto
(una dozzina i senatori), sono pronti a fare le barricate già al momento della discussione sull'Italicum qualora
la clausola di salvaguardia venga votata alla fine e non subito. L'approdo in aula della legge elettorale,
avvenuto prima di Natale saltando di fatto il lavoro in commissione, costringerà i senatori della maggioranza,
allargata a FI, ad un tour de force che richiederà una compattezza maggiore di quella dimostrata al momento
della decisione di calendarizzare il provvedimento. Il tentativo di diserzione dei senatori del Ncd avvenuto la
mattina di sabato 20 dicembre, rientrati poi in aula per non lasciare a FI il compito di votare l'inversione dei
lavori, ha fatto scattare più di un campanello d'allarme sul rispetto della tempistica imposta da Renzi. «Legge
elettorale e Quirinale sono due cose diverse», si affannano a ripetere in queste ore a palazzo Chigi. Tutto sta
a convincere mercoledì prossimo tutti i parlamentari del Pd convocati da Renzi per saggiare quella «maturità»
che Lorenzo Guerini dà per scontata.
Foto: Renzi e Napolitano
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«A FI dico: Italicum e Colle partite distinte ai dem spetta un ruolo da
protagonisti»
«ABBIAMO L'ONERE DI ALLARGARE AL MASSIMO LA CONDIVISIONE PERÒ ABBIAMO PURE IL 40%
DEI CONSENSI» «I FORZISTI SONO SICURAMENTE NOSTRI INTERLOCUTORI PER IL DOPO
NAPOLITANO MA LI VEDO DIVISI...»
Sonia Oranges
R O M A «Il dialogo con le altre forze politiche è sempre stato aperto in questi mesi di governo, e resterà tale,
a maggior ragione, in vista dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. La cui scelta, però, deve
rimanere slegata dal gioco tra i partiti sul resto delle riforme»: Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, è
chiarissima. Il Pd si spenderà affinché il nome del futuro inquilino del Colle sia condiviso il più ampiamente
possibile, ma non permetterà che si trasformi in un'ipoteca sulle riforme: dall'Italicum, ormai alle battute finali,
ai nuovi capitoli che vanno ad aprirsi. A cominciare dai diritti civili. Si riparte dal Quirinale, dunque? «Il 2015
sarà un anno impegnativo, sin da queste prime settimane l'agenda sarà serrata, come annunciato dallo
stesso segretario Matteo Renzi nella lettera inviata agli iscritti del Pd. Non c'è tempo da perdere, ci sono cose
da fare necessarie alla vita quotidiana dei cittadini, e per troppo tempo rimandate. Ora approviamo l'Italicum,
ma subito dopo, per esempio, ci saranno i diritti civili, che sono una necessità per il Paese. In questo quadro,
sì, ripartiamo dall'elezione del Capo dello Stato, un evento così rilevante che va mantenuto separato dal
resto». Qual è il profilo del Presidente della Repubblica che avete in mente? «Serve una persona che
garantisca l'equilibrio e la rappresentanza delle istituzioni. E che sia largamente condivisa, nella speranza che
questo tema sia caro anche a chi in Parlamento sin qui non ha sostenuto la nostra iniziativa politica. Ci
rivolgiamo a tutti, insomma. A cominciare da Forza Italia che potrà dire la sua in modo forte, al di là dei
numeri parlamentari. Ma penso anche a chi, nel M5S, vuole partecipare alla vita democratica e finora non c'è
riuscito, sopraffatto dalla linea del vertice che, però, non sempre è rappresentativa della maggioranza». Sarà
il Pd a proporre un nome per il Quirinale? «Sicuramente noi abbiamo l'onere di allargare al massimo la
condivisione. Qualsiasi sarà il nome, dovrà avere questa prospettiva ampia. Poi certo, il Pd ha il 40% dei
consensi, e governa il Paese con un'azione riformatrice di cui non si aveva memoria: tocca a noi essere
protagonisti di questa scelta». E' già stato stabilito un metodo per raggiungere questa larga condivisione?
«Sarà l'oggetto del lavoro delle prossime settimane. Molto dipenderà dalla nostra capacità di tessere la tela di
relazioni. Ma una cosa gliela posso dire: lavoreremo per questa elezione, consapevoli dei tempi che stiamo
vivendo. Non possiamo permetterci giochetti di partito, mentre realizziamo riforme epocali, a partire da quella
costituzionale. Serve un Capo dello Stato nel pieno delle sue funzioni, senza che la sua elezione diventi una
battaglia. Abbiamo già sperimentato come uno scontro simile inciderebbe negativamente sulla credibilità
internazionale del Paese». Forza Italia avrà un ruolo privilegiato sulla scia del patto del Nazareno? «Abbiamo
sempre detto che con loro è stato segnato il cammino delle riforme istituzionali, ma non del resto dei nostri
provvedimenti. Forza Italia è sicuramente un nostro interlocutore, perché crediamo che i berlusconiani, come
noi, siano consapevoli dell'importanza della scelta della pià alta carica del Paese. Di sicuro, il Pd è un partito
diverso dal 2013, più maturo. Abbiamo superato momenti difficili, ritrovando sempre la nostra coesione e
dimostrando di essere il partito più rappresentativo del Paese. In altri partiti, come FI ma anche il M5S,
registriamo invece fibrillazioni che speriamo non diventino la costante delle prossime votazioni». Molto
dipenderà dalla clausola di salvaguardia che Forza Italia vorrebbe inserita nell'Italicum, e che gli garantirebbe
la pace interna. «L'Italicum sarà votato prima del nuovo Capo dello Stato perché le riforme istituzionali sono
del tutto separate dal destino del Quirinale. Hanno un loro percorso in parte già compiuto e testi già
ampiamente discussi dalle forze politiche. Ai quali intendiamo attenerci. Non ci sono più alibi per non
approvarli. E non hanno nulla a che fare con la scelta del Presidente della Repubblica. Ecco, questo è il
nostro metodo e il nostro unico paletto».
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L'intervista Debora Serracchiani
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Foto: Il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani
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Delhi pronta a ritorsioni sull'ambasciata
MODI HA GIÀ USATO IL PUGNO DURO CON I DIPLOMATICI USA E GIRONE POTREBBE ESSERE
COSTRETTO A TORNARE IN CARCERE
M. Ven.
R O M A E se alla mezzanotte del 12 gennaio Massimiliano Latorre non sarà tornato in India? Lo scenario
peggiore è che la Corte Suprema di Delhi revochi la libertà vigilata all'altro marò, Salvatore Girone. L'Italia
potrebbe opporr e s o l t a n t o l o s c u d o dell'extraterritorialità, impedendogli di uscire dal recinto
dell'Ambasciata. Attualmente, Girone è costretto a firmare una volta alla settimana in un commissariato.
Potrebbe smettere di farlo. Ovviamente, il governo indiano potrebbe anche rivalersi sui nostri diplomatici, in
primis sull'ambasciatore Daniele Mancini (che si trova in Italia, «richiamato per consultazioni urgenti» prima di
Natale). Quando Mario Monti annunciò che i marò non sarebbero rientrati in Italia, lo scorso anno, a Mancini
fu impedito di lasciare l'India in violazione dell'immunità diplomatica, ma con la motivazione che sua era la
firma sull'affidavit col quale il governo italiano s'impegnava a far rientrare i fucilieri. La situazione sarebbe
molto diversa oggi? In passato l'India ha dimostrato, anche di fronte a un Paese potente e convincente come
gli Stati Uniti, di saper far valere le proprie "ragioni" in modo assertivo. Quando una diplomatica indiana a
New York è finita in manette per irregolarità nei documenti della sua colf, il governo di Delhi ha ridotto la
protezione alle rappresentanze Usa, chiuso gli spacci, avviato inchieste sui diplomatici "corrotti", ordinato
espulsioni. LE MISURE COMMERCIALI Sullo sfondo, possibili ritorsioni commerciali, argomento
determinante nella decisione del premier Monti di obbligare alla fine i marò a ripartire. Ma al di là di possibili
escalation e crisi diplomatiche, c'è un dilemma che si pongono Renzi e i ministri Pinotti, Gentiloni, Alfano e
Orlando: bisogna o no far partire subito l'arbitrato internazionale, rifiutando formalmente la giurisdizione
indiana prima del 12 gennaio? O dobbiamo semplicemente affidarci alla provvidenza e agli umori degli
indiani? Filippo di Robilant, membro del Comitato direttivo dell'Istituto affari internazionali (Iai), suggerisce di
avviare l'Arbitrato internazionale «contestualmente alla scadenza del 13 gennaio per rafforzarne la mancata
ottemperanza e così motivarla, oltre che con ragioni umanitarie, anche con la presa d'atto che la fase di
dialogo è conclusa per mancanza di risultati». Due sarebbero le controindicazioni: l'Italia in più occasioni ha
accettato di fatto il processo in India, e il premier Renzi ha appena dichiarato che il dialogo è in corso.
Tuttavia il dialogo può proseguire, se avviato, anche con l'arbitrato. L'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi,
invoca il ricorso alla mediazione di Croce Rossa Internazionale, Consiglio di Sicurezza e Alto Commissariato
dell'Onu per i diritti dell'Uomo, e Arbitrato Obbligatorio Unclos (la Convenzione sul diritto del mare). Un rebus,
per Renzi. Dagli sviluppi gravi e imprevedibili.
Foto: Il primo ministro indiano Modi
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L'ira del Cavaliere: sabotano il patto del Nazareno, i mandanti tra i centristi
Marco Conti
«Ma cos'è questa roba?». Letti i giornali, Silvio Berlusconi chiama al telefono l'avvocato Nicolò Ghedini al
quale chiede chiarimenti. La sorpresa del Cavaliere è mista a irritazione. A pag. 3
IL RETROSCENA R O M A «Ma cos'è questa roba?». Letti i giornali, Silvio Berlusconi chiama al telefono
l'avvocato Nicolò Ghedini al quale chiede chiarimenti sulla presunta norma che dovrebbe cancellare il reato di
frode fiscale per la quale sta scontando una pena ai servizi sociali. La sorpresa del Cavaliere è mista ad
irritazione e le spiegazioni tecniche fornite da uno dei suoi avvocati, nonché senatore, lo innervosiscono
ancora di più. Ghedini è infatti lapidario: «Non ti riguarda e non ne sapevo nulla sino a ieri quando sono stato
tempestato di telefonate dai giornalisti».
SALVACONDOTTO «Che cosa c'entro io! E' la solita voglia di tirarmi in mezzo su tutto. Specie in questo
momento». L'ex Cavaliere mastica amaro, ma non è sorpreso per le dietrologiche interpretazioni date a
quello che, grillini e leghisti, definiscono «il salvacondotto», «frutto dell'inciucio». Se non fosse che i primi lo
hanno appreso dai giornali e che i secondi governano con FI in Lombardia e Veneto, sarebbe tutto normale.
Ma è lo stesso Berlusconi a considerare «eccezionale» l'attuale momento perché tra qualche settimana «un
leader cacciato dal Parlamento sarà chiamato a dare il suo contributo per eleggere il presidente della
Repubblica». Ed è proprio su questo "particolare" che il volto dell'ex presidente del Consiglio assume
un'espressione corrucciata e preoccupata. «I sabotatori del Patto del Nazareno sono all'opera e Renzi li ha
molto più vicini di quanto creda». Berlusconi ragiona su quanto dettogli poco prima dall'avvocato Ghedini: «Il
decreto legislativo è entrato in consiglio dei ministri in un modo e uscito in un altro». Ragionamenti simili l'ex
Cavaliere li fa con Denis Verdini, ma nessuno ad Arcore riesce a ricostruire esattamente l'iter di un
provvedimento che, ribatte Berlsusconi, «non mi riguarda perchè tra qualche settimana finisco l'affidamento in
prova e con questo si cancellano anche gli effetti penali». Il problema resta l'incandidabilità prevista dalla
legge Severino contro la quale l'ex premier è pronto a scatenare una sua personalissima battaglia che va
oltre il ricorso già avviato alla Corte europea dei diritti dell'uomo o la pronuncia della Consulta che presto si
pronuncerà sul ricorso presentato dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris. A febbraio, quando finirà il periodo
di affidamento, gli avvocati dell'ex presidente del Consiglio ricorreranno contro l'applicabilità della legge
Severino sostenendo che il loro assistito, avendo estinto la pena detentiva, ha diritto a vedere estinto ogni
altro effetto penale e quindi anche l'incandidabilità. Ad Arcore considerano questo un percorso del tutto
autonomo e che gli effetti delle norme fiscali emanate dal governo, e ieri ritirate, sono «nulli», ma tutto ciò non
fa venire meno i sospetti sulle intenzioni e sugli obiettivi. La tentazione di individuare i responsabili nel
corpaccione centrista, al quale appartengono sia il sottosegretario Zanetti (scelta Civica), sia il viceministro
Luigi Casero (Ncd) è fortissima. «Perché tirarmi in ballo ogni volta. Nessuno di noi ha chiesto mai nulla al
governo», ripete l'ex Cavaliere che definisce tutto ciò «frutto dell'ossessione che continua da vent'anni».
«Vedrete quante altre cose tireranno fuori...». Berlusconi è convinto che sia in atto un tentativo per mettere in
crisi il Patto del Nazareno o comunque di indebolirlo, ma stavolta sul banco degli imputati non ci sarebbero, a
giudizio dell'ex presidente del Consiglio, nè i grillini nè la sinistra del Pd, ma il "fuoco amico". Ovvero «tutti
coloro che pensano di farmi fuori per costruire al centro un partito senza di me». Cattivi pensieri che giungono
proprio mentre i parla di un patto di consultazione tra le forze che si rifanno al Ppe e che dovrebbe mettere
insieme FI a Ncd, Udc e ciò che resta di Scelta Civica dopo il quasi-addio di Benedetto Della Vedova.
PPE Malgrado tutto Berlusconi resta avvinghiato al patto del Nazareno forte anche della volontà di Renzi espressa di fatto nella conferenza stampa del premier di fine anno di non riconoscere dentro Forza Italia altri
interlocutori: «Se qualcuno pensa che esista Forza Italia senza Berlusconi, auguri. È un'ipotesi che non può
venire in mente neppure ai teorici del girotondismo più puro». Dare del girotondino a Raffaele Fitto è forse un
po' azzardato, ma azzoppare l'ex Cavaliere a poche settimane dal voto sul Quirinale potrebbe servire a chi,
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del gruppone-Ppe, non vuole che l'uomo di Arcore resti l'interlocutore privilegiato di Matteo Renzi.
Foto: Silvio Berlusconi e Maria Rosaria Rossi
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«Nessuno di noi ne aveva sentito parlare i nostri stessi legali hanno molti
dubbi»
Sonia Oranges
R O M A «A me sembra tutto assurdo. Nessuno di noi sapeva di quella norma»: raggiunta telefonicamente, in
serata, la senatrice Maria Rosaria Rossi, amministratrice di Forza Italia e persona di assoluta fiducia per
Silvio Berlusconi, ha espresso tutta la sua sorpresa a proposito del codicillo che, in teoria, avrebbe potuto
riportare il leader azzurro alla piena agibilità politica. La fedelissima dell'ex Cavaliere è caduta letteralmente
dalle nuvole. E come lei, assicura la senatrice, l'intera cerchia berlusconiana. Davvero non ne eravate a
conoscenza? «Le assicuro che non se ne è mai parlato, né in Parlamento né a casa Berlusconi». Eppure il
decreto legislativo è stato approvato il 24 dicembre dal Consiglio dei ministri. «Appunto. Noi tutti abbiamo
lavorato fino al 23 e mai abbiamo avuto notizie in merito. E se si fosse trattato di un provvedimento condiviso,
ne avremmo parlato. Le dirò di più: ho trascorso il Capodanno con il presidente ad Arcore e so per certo che
Berlusconi non ne sapeva alcunché». Quando avete avuto i dettagli della riforma sul fisco? «Li ho letti in
mattinata, sulle agenzie. Come Berlusconi. So che ha telefonato al suo avvocato Nicolò Ghedini, per sapere
che cosa c'era di vero. Credo che anche i legali di fiducia del presidente abbiano seri dubbi sull'applicabilità
della norma al nostro leader». Si torna a parlare di norme ad personam? «Che vuole che le dica? E' tutto
paradossale. Mi viene voglia di proporre una nuova legge che dovrebbe recitare: le nuove leggi e riforme
devono valere per tutti i cittadini italiani, tranne che per Silvio Berlusconi. Ecco, così ci sentiremmo tutti più
garantiti».
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L'intervista M.R. Rossi
03/01/2015
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Pag. 1
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Ancora tre cose su Napolitano
Marcello Veneziani
Dell'ultimo messaggio di Napolitano, salvo miracoli e nuovo scioglimento delle urne come il sangue di san
Gennaro, mi restano impresse tre cose che non ho visto citate in giro. La prima, e poi unica sorpresa in un
discorso di dignitosa ovvietà, assolutamente canonico: Napolitano non ha pianto, non si è commosso per il
suo congedo. Lo spirito istituzionale ha prevalso sullo spirito napoletano, la longevità del mandato ha
prevalso sulla longevità dell'uomo. In passato si era commosso anche a sproposito, magari citando i Bot;
stavolta, che tutti si aspettavano di piangere con lui, niente lacrime napulitane. La seconda: ha citato di
sfuggita Renzi, a proposito di Bruxelles, non si è filato il governo in carica, lo ha considerato solo un grano tra
gli altri del suo rosario istituzionale, un vagone del suo trenino personale, Monti, Letta, Renzi... Del presepe
ha citato i pastori e le pecore, gli angeli e le stelle, ma non il Bambinello. La terza. Napolitano, da Capo dello
Status quo qual è, ha difeso la politica dall'antipolitica, e ha fatto bene. Ma lui difende la politica
dall'antipolitica di piazza e di rete, dall'esasperazione popolare e dalla protesta. Non la difende dalla vera,
grande, forte antipolitica, quella degli Eurocrati senza mandato popolare, delle grandi agenzie di potere
economico e finanziario che decidono le sorti dei Paesi. Ecco, il prossimo Presidente lo vorremmo invece
così: in grado di difendere la sovranità politica, popolare e nazionale, non dall'Europa ma dalla servitù verso
l'Euromacchina.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Cucù
03/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«La legge c'è, basta applicare la mia riforma»
L'ex ministro della Pa: «Ridicolo nascondersi dietro il ddl Madia»
Fabrizio de Feo
Roma Onorevole Brunetta, lei è stato per anni simbolo della lotta ai «fannulloni» nella Pa. Cosa pensa
dell'episodio romano? «È un episodio grave che rischia di tramutarsi in un boomerang per chi se ne è reso
responsabile. Ma certo colpisce che la sinistra dopo aver combattuto le mie leggi oggi scopra che esistono
fannulloni e assenteisti. Quando lo dicevo io mi insultavano». Renzi invoca nuove regole per il 2015.
«Nascondersi dietro il disegno di legge Madia è ridicolo. Le regole per combattere fannulloni e assenteisti ci
sono già e portano il mio nome. Vanno applicate subito, senza scuse, e vanno stigmatizzati certi
comportamenti sempre, non solo quando c'è il caso mediatico. È stata la sinistra, è stata la Cgil a
combatterle. Sono stati i governi Monti, Letta, e anche il governo Renzi, da oltre 10 mesi, a non applicare
queste regole». In concreto come sono state disattese? «Proprio sull'assenteismo dei dipendenti. Io
pubblicavo i dati "delle assenze di tutti i dipendenti della Pa, mensilmente e nel dettaglio. Con la fine del
governo Berlusconi questo non è più accaduto. Avevamo ottenuto risultati importantissimi. Ad esempio
l'obbligo dei certificati medici online sia del pubblico che del privato con la trasmissione in tempo reale
all'Inps. Se vogliono sapere quali medici hanno fatto i certificati, possono farlo in un attimo». Contro la sua
riforma ci furono ribellioni da parte dei dipendenti pubblici? «No, anzi, la Cgil mise in campo 13 scioperi, tutti
falliti, tutti con una partecipazione media del 4%. Il consenso nella Pa era alto, tranne nel Pci-Pds-Ds-Pd,
tranne nella Cgil, tranne tra gli intellettuali come Scalfari o Merlo, tranne i cantanti, gli attori e i comici». Renzi
da amministratore locale come si pose rispetto alla sua riforma? «La applicava salvo dire: "Ma non sono mica
Brunetta". Quando era presidente della Provincia di Firenze gli proposi una scommessa: se con la mia
riforma tra i tuoi dipendenti l'assenteismo si riduce più del 40% mi regali una Montblanc; se meno del 40% te
la regalo io. Vinsi la scommessa, ma la Montblanc non me l'ha mai regalata».
Foto: Il caso Firenze
Foto: In Provincia le assenze calarono del 40%
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'intervista Renato Brunetta
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Il governo ferma il nuovo fisco per paura che aiuti il Cavaliere
Il premier furibondo per il pasticcio dello staff. Il testo, scritto da Gallo e Ceriani, ha avuto l'ok della Orlandi,
dell'Agenzia delle entrate, e della Manzione, portata da Matteo a Palazzo Chigi INTERVISTA AL TG5 «Non
c'è nessun inciucio Si immaginano scambi? Ci fermiamo 90 giorni»
Fabrizio Ravoni
Sembra che questa volta, Matteo Renzi sia andato davvero fuori dai gangheri. Non tanto per la norma che
introduce franchigie per chi ha eluso una quota di imponibile fiscale. Quanto per chi non ha sorvegliato
l'elaborazione del provvedimento. Il testo in questione - annuncia il presidente del Consiglio non verrà
presentato in Parlamento. «La proposta tornerà prima in Consiglio dei ministri - annunciano a Palazzo Chigi
Poi verrà trasmesso alle commissioni parlamentari». Ed al Tg5 , Renzi conferma: «Se qualcuno immagina
che in questo provvedimento ci sia non si sa quale scambio, non c'è problema. Noi ci fermiamo. Questa
norma la rimanderemo in Parlamento soltanto dopo l'elezione del Quirinale, dopo che Berlusconi avrà
completato il suo periodo a Cesano Boscone e dimostreremo che non c'è nessun inciucio strano». Già,
perché - secondo alcune interpretazioni - la franchigia introdotta per i contribuenti che avrebbero eluso una
quota di imponibile riguarderebbe anche Silvio Berlusconi. Al ministero dell'Economia escludono che la
norma sia applicabile alle vicende giudiziarie del Cavaliere. Lo stesso ripetono a Palazzo Chigi: una sentenza
passata in giudicato (come quella di Berlusconi) non può essere svuotata da una successiva, sottolineano.
Ma è bastato accennare l'eventualità per bloccare una misura che - alla presidenza del Consiglio - viene
definita «rivoluzionaria». «Il nostro governo - commentano a Palazzo - non fa norme ad personam o contra
personam . Fa norme che rispondono all'interesse dei cittadini. Di tutti i cittadini». Infatti, il decreto in
questione viene «congelato» per 90 giorni. Risolto il problema pratico (la sospensione del provvedimento),
per Renzi si è aperto il capitolo di «come è potuto succedere» un incidente di questo tipo. Il testo del
provvedimento battezzato «certezza del diritto» è stato materialmente elaborato da una commissione di
esperti istituita al ministero dell'Economia, e presieduta da Franco Gallo (ex presidente della Corte
costituzionale, ex ministro delle Finanze, attualmente presidente della Treccani). Deus ex machina della
commissione e del testo oggi criticato è stato Vieri Ceriani, consigliere di Padoan per le questioni fiscali. Ha
elaborato l'articolato in modo così riservato che nemmeno il gabinetto del ministro aveva ricevuto il testo,
prima dell'approdo a Palazzo Chigi alla vigilia di Natale. Sembra che solo Rossella Orlandi, responsabile
dell'Agenzia delle Entrate, abbia visto una bozza del provvedimento prima di essere inviato alla presidenza
del Consiglio. A Palazzo Chigi, però, lo deve aver per forza analizzato il dipartimento affari giuridici e
legislativi, gestito da Antonella Manzione: il capo dei vigili urbani di Firenze che Renzi ha fortemente voluto in
quella posizione. È possibile che tutti questi esperti di politica tributaria (da Gallo a Ceriani, dalla Orlandi alla
Manzione) non si siano accorti che la franchigia introdotta nella norma avrebbe finito per beneficiare secondo alcuni interpretazioni, sbagliate a quanto pare - proprio Silvio Berlusconi? Di cui basta evocare il
nome per innescare polemiche. Matteo Renzi sarebbe ancora incerto se prendersela con i suoi collaboratori
o se attribuire la responsabilità della polemica a quanti - nel suo partito e non solo - vogliono far saltare il
Patto del Nazareno. Una cosa è certa: il 2015 è partito in salita per il presidente del Consiglio.
La polemica Ogni alibi è buono pur di attaccare il solo patto garante delle riforme Daniela Santanchè (Fi) È
saggio ritirare il decreto. Nessuno scivolone ammesso contro l'evasione Irene Tinagli (Sc) Renzi voleva
salvare Berlusconi Preso con le mani nella marmellata Alessandro Di Battista (M5S)
Il comunicato
LA RETROMARCIA
Il presidente del Consiglio ha chiesto di non trasmettere alla Camera il testo approvato in Cdm Il via libera
definitivo avverrà entro marzo 2015
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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il retroscena
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 3
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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NESSUNO SCAMBIO
Il nostro governo non fa norme ad personam e neanche contra personam ma nell'interesse di tutti i cittadini:
non vogliamo il dibattito su un cittadino
lo spillo
Un uomo di Stato Dopo l'aereo spunta l'elicottero Èal governo da meno di un anno, ma aspira a essere
uomo di Stato. Dopo la querelle sul volo di Stato usato per raggiungere Aosta da Tirana, con sosta a Firenze
per caricare moglie e figli, Renzi è di nuovo nel mirino. A Courmayeur si sussurra che abbia usato un
elicottero per raggiungere le piste, evitando la funivia.
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 4
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Il «disinteresse» dell'ex premier: vogliono solo tirarmi in mezzo
Il Cavaliere sorpreso dalla norma introdotta nella riforma fiscale. Il sospetto tra gli azzurri è che sia stata
inserita per far saltare il Patto del Nazareno
Fabrizio de Feo
Roma C'era una volta l'ossessione anti-berlusconiana. Anzi no, c'è ancora, lotta insieme a noi e riesce
allegramente a sconfiggere l'interesse generale. La fantomatica norma «salva-Berlusconi», inserita nella
riforma fiscale, scatena gli istinti dei vecchi fondamentalisti della ventennale religione della sinistra italiana. E
provoca stupore, misto a una certa amarezza dalle parti di Arcore. «È possibile che tutte le volte che c'è un
provvedimento importante sul fisco, che riguarda milioni di italiani, qualcuno si senta obbligato a mettere in
mezzo me? Ogni pretesto è buono per chiamarmi in causa». Silvio Berlusconi apprende dalla lettura
mattutina dei quotidiani l'esistenza della famosa norma. E non gradisce affatto il nuovo fuoco di fila dei
giustizialisti in servizio permanente effettivo. Fa qualche telefonata per capire di cosa si tratta. Qualcuno
pensa sia una trappola con cui far saltare il Patto del Nazareno alla vigilia della partita del Quirinale, tanto più
che secondo Niccolò Ghedini non sarebbe neppure applicabile al caso Berlusconi. Qualcuno, nel circolo
ristretto dell'ex premier, commenta: «Evidentemente il presidente fa ancora molto paura». E ad Arcore si
chiedono a chi giovi tutto questo. Non al Cavaliere visto che la norma inciderebbe sugli effetti della sentenza
di condanna Mediaset, vale a dire sulle pene accessorie, ma non sulla candidabilità del leader forzista,
l'aspetto che più sta a cuore agli azzurri. Di certo Berlusconi mostra un «totale disinteresse» per questo
presunto salvagente. E dice con chiarezza che dell'articolo 19 bis del decreto della delega fiscale non sa
cosa farsene. Per due motivi: il primo è che entro un paio di mesi vedrà concludersi il periodo di affidamento
ai servizi sociali a Cesano Boscone e potrà tornare a esercitare l'attività politica su tutto il territorio italiano. Il
secondo è la convinzione che recupererà al più presto la piena agibilità politica attraverso il giudizio della
Corte europea dei diritti dell'uomo. Lo stato maggiore forzista attende da Strasburgo il segnale che consentirà
al leader di tornare in campo senza limiti di sorta. L'unico vero obiettivo, dunque, resta quello della completa
riabilitazione attraverso la cancellazione dell'interdizione della legge Severino, sei anni a partire dal primo
agosto 2013 che impedirebbero la candidatura anche nel 2018. «Entro l'estate 2015 attendiamo il responso
della Cedu sui due ricorsi e non abbiamo dubbi che ci darà ragione sia nel sostenere che la Severino non
poteva essere applicata retroattivamente, sia nel sancire la negazione dei diritti di difesa, nel procedimento
Mediaset». La surreale vicenda del codicillo fantasma accende, però, una riflessione amara. «Ammettiamo
per un momento che la norma sia applicabile a Berlusconi. Con la retromarcia si preferisce infliggere un
danno a centinaia di migliaia di persone, pur di evitare un ipotetico, eventuale vantaggio per Berlusconi.
Questa è l'Italia oggi». Gliannidiinterdizionedai pubblici uffici comminati a Berlusconi nell'ambito della
sentenza Mediaset
404 I giorni trascorsi dalla decadenzadiSilvioBerlusconi da senatore, decisa nel novembre del 2013
Foto: STRATEGIA L'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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il retroscena
05/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
L'addio all'euro un disastro? Da quattro soldi
Paolo Granzotto
Caro Granzotto, i sondaggi che danno in Grecia la lista Syriza, ostile all'Europa, in testa hanno moltiplicato su
stampa e televisione gli interventi mirati a illustrare la catastrofe che comporta l'uscita dall'euro. Possibile che
non ci sia un «esperto» che stecchi nel coro? Che peso dobbiamo dare a quel coro? Luciano Lombardi
Milano La predicazione versus il ritorno alla lira è viziata da un pregiudizio, caro Lombardi: dall'euro non si
esce. Così che tutte le argomentazioni sono rivolte ai benefici dell'euro contrapposti ai malefici della lira. Si
enumerano le catastrofi arrecate dal suo ritorno senza nemmeno alludere agli eventuali vantaggi. Che
secondo altri economisti, una minoranza quasi carbonara alla quale è pressoché precluso l'accesso ai grandi
organi di informazione, sussistono. Naturalmente nessuno sottovaluta l'iniziale e comunque di breve durata
choc per i risparmiatori (le banche, quelle, come abbiamo visto sanno sempre cavarsela). La cui entità può
essere ricondotta a questa considerazione: peggio di come stiamo non potrebbe andare. Superato lo choc
con tutto ciò che comporta, basta dare una occhiata alla Gran Bretagna: fuori dall'eurozona eppure con tassi
di crescita - e dunque di occupazione e dunque di benessere - da leccarsi le dita. D'accordo, non siamo
l'Inghilterra, la lira non è la sterlina. Vero. Come è vero, però, che prima dell'introduzione dell'euro eravamo or
la quarta or la quinta potenza industriale del pianeta. Qualcosa vorrà significare. Dicono che le banche
centrali, da quella tedesca a quella italiana, abbiano già elaborato scenari, misure e contromisure da adottare
nel caso di un ritorno alla moneta nazionale. Il fatto di tenerli top secret mi fa pensare, caro Lombardi - e a
pensar male si fa peccato però eccetera eccetera - che lo tsunami prefigurato dagli eurofili se l'euro dovesse
andarsene a ramengo, magari risulterebbe tutt'al più un fortunale. Roba tosta, ma non così devastante.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'angolo di Granzotto
04/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:105812, tiratura:151233)
«Rappresentano un pericolo Anche per i rischi di contagio»
L'europarlamentare della Cdu Elmar Brok: il patriottismo non può certo basarsi sul rifiuto degli altri
Vincenzo Savignano
"Il cancelliere Angela Merkel ha fatto bene a criticare le manifestazioni antiislamiche in Germania perché
rappresentano un pericolo per la sicurezza e vengono strumentalizzate da alcuni partiti come Alternative für
Deutschland». Si schiera apertamente contro il movimento di protesta Pegida, Elmar Brok, eurodeputato e
figura di spicco della Cdu a Bruxelles, considerato dai media tedeschi l'uomo di punta della Merkel al
Parlamento europeo. Pegida è l'acronimo di "Patrioti europei contro l'islamizzazione dell'Occidente". Cosa
pensa di questa definizione? Credo che il patriottismo europeo o comunque quello tedesco debbano basarsi
su altri principi e valori e non sull'odio nei confronti degli stranieri o degli islamici. Durante le manifestazioni ho
sentito slogan e ho visto manifesti che chiedevano referendum sul modello svizzero per limitare
l'immigrazione o che identificavano il cristianesimo con il movimento dei Pegida. Tutto ciò è completamente
sbagliato. Oltre al timore di un'islamizzazione della società tedesca, le proteste dei Pegida sono indirizzate
verso la politica di immigrazione e il crescente numero di rifugiati. Quest'ultimo è anche argomento di
discussione dell'Unione democristiana tedesca. Si rischia di creare confusione nell'opinione pubblica? Lei
ovviamente si sta riferendo alla proposta dei Cristiano sociali bavaresi. Secondo la Csu se uno straniero
arrivato in Germania non viene riconosciuto come profugo o richiedente asilo è giusto che debba tornare alla
sua terra di origine. Cosa pensa lei e il suo partito di questa proposta? La Cdu da tempo si sta concentrando
sull'importanza dell'immigrazione per il mercato del lavoro tedesco. È favorevole all'arrivo di nuovi immigrati e
intende rispettare gli accordi internazionali relativi all'accoglienza dei rifugiati politici e dei richiedenti asilo.
D'altra parte però non bisogna perdere d'occhio anche l'aspetto sociale. Gli immigrati che vivono in
Germania, si costruiscono qui un'esistenza, impegnandosi per la comunità. Questo però non succede
sempre, alcuni di loro non riconoscono i valori della società tedesca e c'è chi abusa del sistema sociale
tedesco. In particolare? Sono stati registrati casi di persone straniere che richiedevano sussidi sociali in
qualità di rifugiati o richiedenti asilo ma in realtà non lo erano. Vogliamo evitare nuovi casi di questo tipo.
Secondo alcuni osservatori e politologi quello dei Pegida è un fenomeno soprattutto dell'est della Germania.
È d'accordo con questa analisi? È stato accertato che i Pegida paradossalmente riscuotono maggiori
consensi soprattutto nei Länder dove ci sono meno stranieri, insomma per ora sono una risposta alle paure di
alcuni tedeschi. Però il rischio che qualcuno cerchi di strumentalizzare questo movimento è molto concreto. I
Pegida sono sostenuti apertamente dai neonazisti della Npd ma anche dal partito euroscettico di Afd. C'è il
rischio che anche in Germania si formi una destra populista e xenofoba come in altri paesi europei?
Alternative für Deutschland ha mostrato il suo vero volto, si era sempre definito un partito di centro ma
sostenendo apertamente queste manifestazioni ha gettato la maschera mostrando la sua faccia
antidemocratica. Per ora il populismo xenofobo tedesco non ha le stesse dimensioni della Lega Nord italiana
o del Fronte National francese, ma il rischio c'è e non va sottovalutato.
Foto: LA BOCCIATURA Angela Merkel, nel suo discorso per il nuovo anno, ha stigmatizzato Pegida,
spegnendo le critiche dell'opposizione che la accusava di aver avuto, sinora, un atteggiamento troppo
remissivo (Epa)
Foto: Elmar Brok (Cdu)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'intervista
03/01/2015
QN - Il Giorno - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:69063, tiratura:107480)
«Noi ci stiamo, ma non si tratta a colpi di tweet»
Francesco Ghidetti
ROMA «IL CAPO dello Stato non si elegge con un tweet». Mariastella Gelmini (nella foto), fra i più ascoltati
consiglieri di Silvio Berlusconi, parla di Quirinale. Sembra un attacco a Renzi. «No. Una semplice
constatazione». Meglio Facebook? «Meglio parlarsi guardandosi negli occhi». Fuori i nomi. «Non ci sono.
Forza Italia non dà nomi. E Renzi non cerchi solo numeri». Non avete candidati? «Abbiamo un metodo, il
candidato è la conseguenza». Ce lo spieghi. «Né nomi, né veti, ma un profilo politico». Caratteristiche?
«Autorevole in Italia ed europeista. Ma non schiavo dei tecnocrati di Bruxelles». E una donna? «Che cosa
vuole che le risponda? Il Quirinale non è una questione di genere». Renzi vuole Berlusconi al tavolo. E anche
la sua vice Debora Serracchiani. «Mi fa piacere. Eppure resta un pizzico di ambiguità. Una volta il nostro
leader. Un'altra Grillo». Gelosi? «Realisti. C'è qualcuno che può pensare a un candidato deciso da Grillo che
rispetti le caratteristiche cui accennavo prima?». Magari Grillo cambia idea. «Mi par difficile». Dica la verità:
sarà un ring. «No, spero di no. Già la politica gode di pessima fama...». Vuole dire che il sistema politico
rischia? «Certo. Dobbiamo dare prova di serietà. Oppure si scivolerà verso elezioni anticipate». Draghi dice
no grazie'. «Draghi o non Draghi, il giochino del totonomi è un gran falò di personalità. È la tradizione». E poi
voi moderati siete messi maluccio... «Non è vero. Ho apprezzato il leader Ncd Angelino Alfano. E dico sì a
una linea comune tra i moderati. Basta non sia episodica». Meno palazzo? «Sì. E più Paese. Se falliamo sul
Quirinale è la catastrofe. Gli italiani sono sfiniti». Francesco Ghidetti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA MARIASTELLA GELMINI (FORZA ITALIA): BASTA TOTONOMI, LINEA COMUNE TRA I
MODERATI
04/01/2015
QN - Il Giorno - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Quagliariello: «Facciamo un patto tra moderati. E senza la Lega»
Francesco Ghidetti
· ROMA «QUIRINALE e Italicum? Tappe fondamentali della traversata nel deserto del sistema politico», dice
Gaetano Quagliariello, coordinatore del Nuovo centrodestra. Un bel nome per il Colle. «Non sarebbe
intelligente. Meglio disegnare un profilo». Che sarebbe? «Un europeista critico. L'integrazione europea è
processo inevitabile. Oggi più di ieri». In caso contrario? «Ci attenderebbero declino economico e meno
sicurezza». La gente non è tanto contenta del Vecchio Continente. «Vero. Ora è un po', diciamo così,
inadeguato». Torniamo al Quirinale. «Siamo in una transizione di sistema. Nel 2013 morì il vecchio
bipolarismo. Napolitano fu rieletto per formare un governo d'emergenza nazionale». E la traversata come sta
andando da quel 2013? «Bene, grazie a Napolitano e non solo. Ecco perché questa elezione dev'essere un
ulteriore passo verso il cambiamento del sistema». Via, ci dica un nome. «No, sarebbe un errore tattico
anche nei confronti di Renzi». Perché? «Perché è lui che deve fare la prima mossa». L'accusa: una volta
cerca Grillo, un'altra Berlusconi. «Un accordo con i Cinque Stelle non sarebbe un passo avanti. Il Presidente
dovrebbe essere espressione di tutto il Pd, dell'area moderata e di Forza Italia». Forza Italia: il suo leader
Angelino Alfano vuole la pace... «Basta semplificazioni. Non si tratta di ricomporre , bensì di creare una cosa
nuova». La Lega va a gonfie vele. «Ecco il punto. La Lega autonomista di Bossi era trascinata dai moderati.
La Lega 'forza nazionale' ed estremista di Salvini vuole trascinare. Non ci siamo». Però vince. «Vince come
partito, il centrodestra perde. Guardiamo a che cosa è successo in Emilia». E poi c'è l'Italicum. Pochi giorni
ed è fatta, sostiene Renzi. «Me lo auguro». Tutto qui? «No. L'Italicum è una tappa della traversata nel
deserto. C'è un patto di maggioranza». Lo rispetterete? «Vorrei vedere il contrario». Nessun malumore? «No.
Ma l'Italicum deve inserirsi in un contesto più ampio. Le istituzioni sono come il corpo umano». Matafora
ardita. «No, vera. Difficile toccare un braccio senza toccare l'altro». Perché non provate a mettervi tutti
insieme attorno a un tavolo e... «E lo dice a me? Avevo proposto un comitato parlamentare per tutte le
riforme». Risultato? «Forza Italia ha fatto saltare tutto». E quindi? «È fondamentale non perdere la visione
d'assieme. La clausola di salvaguardia non è un capriccio. E questa legge sposta l'asse dalle coalizioni ai
partiti. No a alleanze coatte. Servono a vincere. Non a governare». Ognun per sé... «Non cadiamo nell'errore
opposto. Nessuno aspira a un partito del 3 o del 5 per cento. Pensiamo più in grande nello spirito dell'articolo
49 della Costituzione». Dolce chimera. «Che può diventare realtà. Con garanzie precise nella vita interna, per
gli iscritti e per eventuali patti federativi». Ma non avete una lira... «Giusto abolire i finanziamenti come erano.
Ma il problema c'è. Il 2 per mille non ha funzionato. Proviamo qualcosa di diverso. Ad esempio, invece di
soldi, ai partiti diamo servizi».
Foto: NUOVO CENTRODESTRA Gaetano Quagliariello (foto Ansa)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA IL COORDINATORE NCD PUNTA ALL'INTESA CON I FORZISTI: «L'ITALICUM È LA PRIMA
TAPPA DELLA TRAVERSATA DEL DESERTO»
03/01/2015
Il Foglio
Pag. 2
(diffusione:25000)
Adriano Sofri
Ieri a Radio3 ho sentito Vittorio Alessandro, già ufficiale di marina militare e delle capitanerie di porto, che ha
raccolto le sue esperienze e riflessioni "dal punto di vista del mare", di Lampedusa, del Giglio e del
Mediterraneo seminato d'ossa in un libro, "Puntonave" (Mursia). L'ho sentito dire una cosa così ovvia che non
l'avevamo ancora pensata abbastanza: che i passeggeri del traghetto Norman Atlantic avevano appena
vissuto una vicissitudine simile a quella che quotidianamente affrontano i migranti sui barconi. Ovvia, ho
detto. Ma la differenza, direte, è enorme ed evidente. I migranti sono disperati, si imbarcano sapendo che
cosa li aspetta, spinti dalla necessità, non hanno un biglietto di andata e tanto meno di ritorno; sul traghetto
erano salite persone tranquille, libere di sé, intenzionate a trasferirsi per lavoro o a fare un viaggio di piacere,
col biglietto regolare. Per loro la tragedia era imprevista e insopportabile, per i primi prevedibile e per così dire
compresa nel prezzo. Nel regolamento della marineria il capitano è l'ultimo ad abbandonare la nave, nel
regolamento dei barconi gli scafisti sono i primi, e spesso gli unici, a lasciarla. Le differenze non potrebbero
essere più evidenti. Appunto. Ripensiamoci un momento.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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PICCOLA POSTA
04/01/2015
Il Tempo - Ed. nazionale
Pag. 12
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«Grazie alla mediazione italiana ora libanesi e israeliani si parlano»
Il progrom «Oggi ai 4 milioni di libanesi si aggiungono 2 di siriani»
Andrea Cionci
NAQOURA (Libano). Dalla base delle Nazioni Unite di Naqoura, nel sud del Libano, il Generale di Divisione
Luciano Portolano, Force Commander della missione UNIFIL, ci aggiorna sulla precarietà dell'area e sui
risultati raggiunti dal contingente italiano. La zona meridionale del paese, controllata da Unifil, è un'oasi di
calma apparente circondata da un territorio inquieto. A nord, scontri sanguinosi hanno da poco coinvolto le
Forze Armate Libanesi (LAF) contro l'Isis, alle porte di Tripoli e lungo la frontiera orientale con la Siria, nei
dintorni di Arsal. A sud, continuano le annose diatribe con Israele sulle violazioni della linea di ritiro, la
cosiddetta Blue Line. Che problemi causa il gran numero di rifugiati presenti sul territorio? «Attualmente, a
una popolazione di 4 milioni di libanesi, si aggiungono 2 milioni di profughi siriani. Le tensioni derivano da
fattori economici, sociali, religiosi. Soprattutto dopo i combattimenti di Arsal, dove sono stati catturati e
decapitati alcuni membri delle LAF, i rifugiati siriani, che in un primo tempo erano stati accolti benevolmente,
hanno iniziato ad essere mal tollerati dalla popolazione locale. In alcune municipalità è stato indetto il
coprifuoco e, con attività di volantinaggio, i siriani sono stati invitati a tornare nel loro paese. Noi non
rimaniamo a guardare: ho dato mandato ai comandanti che operano sul terreno di intensificare le attività di
prevenzione - seppure in modo discreto, per non allarmare la popolazione - con l'introduzione di
pattugliamenti appiedati di militari nostri e delle LAF e tramite l'intensificazione delle attività in aiuto alla
popolazione». Gli Usa hanno dato un segnale di apertura sul supporto finanziario al Libano, nonostante il
legame storico che li lega a Israele. Che significa ? «Il Libano è un vero ago della bilancia per la completa
stabilizzazione in tutto il Medioriente. L'elemento di migliore coesione interna è costituito dalle LAF, che si
sono distinte con valore nel tentativo di garantire la stabilità nel nord del Paese e nei dintorni dei campi
profughi palestinesi. Nonostante i rapidi progressi, le LAF necessitano però di un sostegno esterno. Per
questo, il progetto International Support Group ha da poco donato loro, con un accordo firmato tra Francia e
Arabia Saudita, tre miliardi di dollari. A questi si aggiungerà un miliardo di dollari erogato dagli Stati Uniti. Ciò
dimostra che l'intera comunità internazionale, compresi gli USA, è consapevole della necessità di migliorare
le capacità delle LAF per mantenere la calma in un'area che ha davvero bisogno di un attimo di respiro.
Possiamo dire che, grazie alla mediazione italiana, finalmente Israele e Libano "si parlano"? «Direi di sì.
Disponiamo di uno strumento unico che consente alle due nazioni di relazionarsi: il meeting tripartito. In una
palazzina al confine tra i due paesi, con cadenza quasi mensile, ha luogo una riunione tra i rappresentanti
israeliani e libanesi, alla presenza del Force Commander di Unifil. Fino a poco tempo fa, israeliani e libanesi,
pur trovandosi faccia a faccia all'interno della stessa stanza, comunicavano fra loro solo per l'interposta
persona del Force Commander. Da tre mesi circa, dietro mio invito, hanno finalmente accettato di dialogare
direttamente fra loro, sempre, ovviamente, con la mia mediazione. Non mancano dispute e controversie,
spesso incentrate su piccole problematiche, la cui mancata soluzione però potrebbe avere ripercussioni
strategiche immense».
Foto: Capo Il generale di divisione Luciano Portolano
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L'intervista Parla il comandante del contingente delle Nazioni Unite nel sud del Paese dei Cedri, il generale di
divisione Luciano Portolano
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
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La sopravvivenza dell'euro legata alle elezioni 2015 spagnole e greche
Se vinceranno Syriza e Podemos non potrà durare
SERGIO SOAVE
La sorte dell'euro, secondo numerosi osservatori, è legata all'esito delle elezioni parlamentari che si
svolgeranno nel 2015, prima quelle greche, poi quelle spagnole e infine quelle britanniche (non direttamente
legate all'euro ma alla permanenza di Londra nell'Unione), senza contare il rischio tuttora esistente di elezioni
anticipate in altri paesi, dall'Italia alla Francia. In un continente in cui vigono da settant'anni principi
democratici (con l'eccezione proprio della Spagna, della Grecia e del Portogallo che sono approdati alla
democrazia più tardi, oltre che dei paesi prima succubi del sistema sovietico), le elezioni dovrebbero
costituire un passaggio fisiologico, quindi il fatto stesso che il giudizio popolare venga considerato una
minaccia per la costruzione europea rende esplicita una sua debolezza strutturale. La situazione è complicata
dai sistemi elettorali specifici della Grecia e della Spagna, ambedue costruiti sull'ipotesi del permanere di un
bipolarismo tra il partito moderato e quello socialista, che rischiano di produrre ingovernabilità da quando
sono scese in campo nuove formazioni antieuropeiste, che hanno già prodotto l'instabilità dei governi in
Grecia e rischiano di determinarla anche in Spagna, dove invece finora aveva funzionato egregiamente il
sistema dell'alternanza. Il sistema greco dà un vantaggio consistente al primo partito, sia per l'esistenza di
numerosi collegi uninominali sia per la presenza di un premio di maggioranza che conferisce 40 seggi, sui
trecento del Parlamento ellenico, al partito che raggiunga la soglia del 40%. Il sistema spagnolo, formalmente
proporzionale, ha una correzione maggioritaria implicita e molto consistente, che deriva dal grande numero di
piccole circoscrizioni, con due o tre seggi, e dalla norma che impedisce il recupero dei resti al di fuori della
circoscrizione. Sul piano delle preferenze politiche testate nelle elezioni precedenti, in quelle europee e nei
sondaggi, si assiste a una certa tenuta delle formazioni moderate attualmente al governo, Nuova Democrazia
ad Atene e Partido popular in Spagna, un crollo vistoso dei socialisti in Grecia e meno accentuato in Spagna,
mentre nei sondaggi al primo posto si presentano le formazioni, tra loro assai simili, di Syriza e di Podemos. I
meccanismi elettorali mettono in dubbio che anche la coalizione tra moderati e socialisti, cioè dei partiti
europeisti, che dovrebbe superare i voti delle formazioni estremistiche, possa raggiungere una maggioranza
parlamentare. D'altra parte anche Syriza e Podemos, nonostante il premio elettorale implicito, difficilmente
raggiungeranno una maggioranza sufficiente per governare. Da qui il rischio di ingovernabilità con effetti
evidenti sul sistema europeo.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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IL PUNTO
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 5
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Presidente cattolico ed emiliano
Ma da chi preferisce Madia a Ichino può venire di tutto
GOFFREDO PISTELLI
Ora che le elezioni per il futuro capo dello Stato entrano nel vivo, sentire Mario Adinolfi si deve. Questo
giornalista e blogger romano, classe 1971, è un interlocutore interessante, non solo perché è in politica da
ragazzino, nei giovani della Dc e poi del Ppi fi nendo per fare un pezzo della scorsa legislatura col Pd alla
Camera, ma anche perché Adinolfi ha coltivato con successo la passione per il poker, di cui è stato giocatore
professionista. E questa corsa al Colle potrebbe somigliare a una di quelle partite, per vincere le quali,è
necessario avere quattro carte uguali in mano.E prima, forse, bluffare un po'. Domanda. Adinolfi si fa molta
tattica, mi pare. Nomi avanzati tanto per fare. O per bruciarli. Lei come la vede? Risposta. Distinguerei le
soluzioni razionali da quelle irrazionali. D. Cominciamo dalle prime. R. La soluzione razionale per eccellenza
è quella di individuare un presidente politico e genericamente cattolico. D. Un identikit buono per molti. R.
Potrebbe emergere da uno dei cinque petali della rosa emiliano-romagnola. D. Addirittura cinque? R. Sì,
perché c'è l'immarcescibile Romano Prodi, uomo da quarto scrutinio, certamente non con l'accordo dei
berlusconiani. D. Gli altri? R. Dario Franceschini ... D. Ferrarese, politico, cattolico... R. Pierferdinando Casini
... D. Bolognese e idem come sopra. E siamo a tre... R. Pierluigi Castagnetti ... D. Che è di Reggio e, pure lui,
viene dalla vecchia Dc, anche se stava a sinistra. Avanti col quinto... R. Graziano Delrio. D. Emiliano, politico
e cattolico, anche lui, ma nome che non circola troppo. R. È, in qualche modo, un uomo che viene da
Castagnetti. È vero: si stenta a considerarla una candidatura credibile ma è un errore, perché il
sottosegretario alla presidenza del consiglio gode di una stima molto ampia, anche molto aldilà del mondo
renziano cui appartiene. D. Entriamo nell'irrazionale, ora. E, innanzitutto, perché irrazionale? R. È quella
dimensione tipica dell'epica renziana, per cui il premier ti fa nove donne ministro, oppure decide che è meglio
Marianna Madia di Pietro Ichino per il ministero della Pubblica amministrazione. O che gli fa scegliere Paolo
Gentiloni per succedere a Federica Mogherini alla Farnesina anziché Lapo Pistelli, che sarebbe stato il
candidato naturale. E al territorio dell'irrazionalità e apparterebbe anche la candidatura del magistrato
Raffaele Cantone ... D. E si era parlato anche di Riccardo Muti. Ma i tecnici? Secondo lei potrebbero
emergere? Perché Renzi ha un bel pacchetto di voti ma non può fare tutto da solo. R. Al tempo! Renzi ha una
maggioranza come non se ne sono mai viste in passato. Detto questo le insidie ci sono sempre. D. Torniamo
ai tecnici... R. A me pare improbabile un tecnico al Quirinale. D. E perché? R. Che si tratti di un tecnico
«strong», alla Mario Draghi,o di uno «light», come Pier Carlo Padoan, Renzi la vivrebbe come una dimunutio.
Non accetterebbe... D. Neppure Padoan? Solo perché in passato si era detto che piacesse a Massimo
D'Alema? Ma il ministro è stato sempre leale... R. Sì, ma essendo un uomo di numeri e di fi nanza pubblica,
potrebbe trasformarsi, alla bisogna, in un riferimento immediato per la Troika.E questo vale per i tecnici i
generale. D. Chiunque abbia cioè il phisique du role del commissario incaricato da Bruxelles... R.
Esattamente. D. In questo senso anche Prodi, essendo stato presidente di Commissione Ue... R. Prodi non
andrebbe bene a prescindere, perché troppo ingombrante per il presidente del Consiglio. Non dimentichiamo
che fra i 101 che lo azzopparono, due anni fa, ci furono i renziani. D. Questo fi nora lo dicevano solo Chiara
Geloni e Stefano Di Traglia nel libro Giorni bugiardi, ossia il fallimento di Pier Luigi Bersani letto dai
bersaniani più fedeli. R. La politica è una scienza esatta, io ne sono stato sempre convinto. E che Renzi si
fosse oppostoa Prodi in quel contesto, cioè di pax bersaniana, era del tutto logico, anche senza quelle
ricostruzioni. Con l'ex-premier sul Colle non sarebbe venuto quello che è venuto dopo: ossia l'ascesa di Renzi
nel partito. D. Siamo arrivati a Bersani. Che faranno i suoi? Qualcuno dice che possano mettere insieme
almeno un centinaio di grandi elettori. R. Secondo me, Bersani, coltiva ancora il sogno d'essere lui, l'uomo
del Colle. D. Addirittura... R. Sì e per questo la minoranza non sarà eccessivamente ostativa all'inizio. D.
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INTERVISTA Per Adinolfi la rosa da cui scegliere è formata da Prodi, Franceschini, Casini, Castagnetti,
Delrio
03/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 5
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Certo, non sarebbe un nome da primi scrutini... R. Almeno da dodicesimo scrutinio, ma non si sa mai. D. Ma
Renzi potrebbe accettarlo? R. E perché no? Evidentemente si dovrebbe essere arrivati a una sorta di
Cambogia, come quella di due anni fa. In quel caso potrebbe essere, alla fi ne, una prova di forza di Renzi
stesso, che dimostrerebbe di essere disposto di mandare al Quirinale un suo avversario interno... D. Veniamo
agli scrutini, secondo lei quanti se ne faranno? R. Credo che Renzi tirerà fuori il suo candidato già al quarto,
quando cioè sarà suffi ciente la maggioranza semplice di 505 voti. Anche perché i numeri ci sono: fra
maggioranza e Forza Italia ci sono almeno 720 voti. D. Ma appunto, ci sono anche le minoranza interne... R.
Sì, al massimo, sinistra piddina e forzisti ribelli di Raffaele Fitto, potrebbero essere un ottantina. Se sottrae
questa cifra alla maggioranza arriva molto vicino alla soglia dei 672 necessari a eleggere il capo dello Stato,
ai primi tre scrutini. D. E i centristi? R. Ndc, Scelta civica, Udc, Popolari mettono assieme 124 voti. E che
fanno? Mica si sfilano? D. Beppe Grillo che farà? Continuera a stare sull'Aventino? R. Il M5s ha due schemi
possibili: uno oppositivo, l'altro aggiuntivo, vale a dire dire di no fi no alla fi ne oppure, a un certo punto, unirsi
agli altri. In nessun caso conterà niente e nessuno mi pare interessato a rianimare politicamente il suo leader,
che è in caduta libera di consensi.A meno che Renzi non voglia agitare uno spauracchio per convincere
Forza Italia... D. Vale a dire? R. Lo spauracchio dell'elezione di Prodi, che signifi cherebbe mettere assieme
Pd, Sel e appunto M5s. Però su B. e i suoi avrebbe una certa deterrenza, come i missili a Cuba. Ma è
appunto uno spauracchio perché nel cadeau «presidenza della Repubblica» ci sono dentro le riforme
istituzionali e la legge elettorale: non credo Renzi sia disposto a mollarlo a chiunque. D. Per stare al suo
esempio storico, se queste presidenziali si trasformassero in una nuova crisi cubana, chi potrebbe essere il
Papa Giovanni XXIII che si mobilita per scongiurare il con itto? R. Di pontieri al lavoro ce ne sono già molti.
Ma io credo che non si arriverà nemmeno ad agitare quello spauracchio. Perché nel Patto del Nazareno c'è,
secondo me, anche il Quirinale. Per questo resta segreto... D. Secondo lei, se Renzi riuscisse nell'intento di
un Colle amico, o non avversario, vorrà andare al voto prima della fi ne della legislatura? R. Vuole un
presidente che, se del caso, non gli neghi questa possibilità. D. Fenomeno curioso di questo periodo: il
giurista Sabino Cassese, uno dei papabili, è diventato un editorialista del Corriere della Sera. R. Le
autocandidature sono sempre interessanti ma credo che questa volta ci sarà un presidente pienamente
politico. twitter @pistelligoffr © Riproduzione riservata
03/01/2015
Financial Times
Pag. 1
(diffusione:265676, tiratura:903298)
3 ECB president steps up preparations 3 Flurry to buy Italian, Spanish and German debt
RALPH ATKINS AND NEIL DENNIS - LONDON ALICE ROSS - WASHINGTON
Investors are increasing bets that the European Central Bank will launch quantitative easing in the next few
months, with eurozone government borrowing costs hitting record lows and the euro falling to its weakest in
more than four years against the dollar. Italian, Spanish and Portuguese government bond yields, which
move inversely to prices, tumbled on the first day of trading in the new year despite the political uncertainty
and looming general election in Greece. Yields on five-year German debt turned negative for the first time as investors in effect paid to lend money to Berlin. Encouraging the rally, ECB president Mario Draghi
confirmed that the bank was stepping up preparations for a QE programme, which could see it buying
eurozone government bonds on a large scale early this year. Official figures due next week are expected to
show that sharp falls in the oil price have pushed the eurozone inflation rate below zero - heightening fears of
a dangerous bout of deflation. "The risks of not fulfilling our mandate of price stability are . . . higher than they
were six months ago," Mr Draghi told Germany's Handelsblatt newspaper. Despite scepticism by the
Bundesbank, the ECB's governing council agreed "unanimously" to act if necessary to "address risks of a too
prolonged period of low inflation". Mr Draghi's comments drove the euro down to just above $1.20 - its
weakest since mid-2010. The currency has fallen 12 per cent against the dollar in the past six months, its
drop exacerbated by the greenback's appreciation on expectations that the US Federal Reserve will raise
interest rates this year. Italy's 10-year government bond yield fell 11 basis points to 1.75 per cent; Spain's 10year yield slid 9bp to 1.5 per cent; and Portugal's 10-year yield fell 21bp to 2.4 per cent - all record lows. The
ECB council's next scheduled policy meeting is on January 22 - just three days before the snap Greek
general election called last week that opinion polls suggest could be won by the anti-establishment Syriza
party. The timing could persuade the ECB to wait before launching a QE programme that also involved
buying Greek government debt. However, markets have largely dismissed fears of Greece igniting a broader
eurozone crisis, strategists said. "A lot of that is because people see QE coming in," said Lyn Graham-Taylor,
rates strategist at Rabobank. Fears of a Greek exit have previously thrown the future of the eurozone into
doubt. "That existential question is nowhere near as potent as it was in 2011 and 2012," said Peter Goves of
Citigroup. Many currency analysts believe euro-zone QE, while widely expected, is still not priced into the
value of the euro, meaning further falls are likely. Markets pages 11 & 12 The Long View page 20
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Euro hits four-year low as Draghi bolsters hopes for QE programme
03/01/2015
Financial Times
Pag. 1.2
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Coastguards say vessels were pointed at coast and then abandoned by crew
RACHEL SANDERSON - MILAN GIULIA SEGRETI - ROME
After an all-night struggle, Italy's navy yesterday brought under control an unmanned Sierra Leone-flagged
livestock carrier drifting hazardously towards the rocky coast of Puglia with at least 400 migrants on board,
many of them women and children. It was the latest drama off the south coast of Italy in a week that was
unusually fraught even for the experienced Italian coastguard, which last year dealt with a record flow of
nearly 170,000 migrants - most of them seeking entry to Europe via Italy's southernmost tip. Yet this one
featured a twist. In a shift of tactics, human smugglers appear to be loading passengers on to ageing cargo
vessels, aiming them at their destination and then abandoning them. The ship, Ezadeen, came close to
running aground 40 miles off the cape of Santa Maria di Leuca, a rocky outcrop at the heel of the Italian
peninsula, after the crew left the vessel on Thursday night, according to Italian coastguards. Officials said
when they boarded the vessel, which they believed came from Libya, they found it had been left on autopilot
pointed towards Italy's coast. Fortunately, it had run out of fuel, narrowly avoiding crashing into the shore.
Filippo Marini, a coastguard spokesman, called the tactic "a very risky new phenomenon", adding: "This could
soon translate into catastrophe." The rescue of the Ezadeen came after Italian coastguards in two helicopters
on Tuesday boarded a Moldovanflagged cargo ship carrying about 1,000 migrants after the vessel, Blue Sky
M, issued a distress call before moving from Greek to Italian waters. Officials said the migrants were mostly
Syrian. Again, the crew of traffickers had abandoned the ship, leaving it on autopilot pointing towards Italy. A
crash was averted only after coastguards managed to disable the autopilot and navigate to shore after
boarding the ship from helicopters. Bad weather made it too difficult to reach by sea. The rescue of the Blue
Sky M took place in the same waters where Italy's navy on Sunday saved more than 400 passengers from a
burning Italian-flagged ferry, Norman Atlantic. At least 11 died when a blaze started on the car deck.
Giuseppe Volpe, an Italian official investigating the disaster, fears the real death toll may be much higher
because an unknown number of illegal migrants hiding on the ship may have died. The trio of events
underscored the strain on Italian coastguards and navy as humanitarian crises in the Middle East and Africa
swell the number of people seeking refuge in Europe - often by desperate and dangerous means. More than
207,000 migrants have crossed the Mediterranean in the past 12 months, according to the UN High
Commissioner for Refugees, almost three times the previous known high of about 70,000 in 2011 when the
Libyan civil war was raging. The most popular route is the sea crossing from Libya to Italy, followed by
travelling from Turkey to Greece and then on to Italy. The greatest numbers are fleeing the war in Syria,
followed by those from Eritrea. "The influx of migrants has shifted to the east from the south as we are seeing
a wave of Syrian refugees trying to get to Europe," said Alfonso Giordano, a professor at Rome's Luiss
University who specialises in migration policy. Frontex, the EU's border control agency, in November
launched Operation Triton, a €3m-a-month patrol of waters up to 30 miles from Italian territory. It was part of a
cost-cutting exercise after Mare Nostrum, a wider patrol costing as much as $9m a day, was wound down late
last year as part of a budget squeeze across Italy's armed forces. The policy also prompted criticism that it
was encouraging migrants who believed they would receive safe passage, courtesy of the Italian navy.
Amnesty International had warned at the time that the Frontex operation did not begin to meet the needs of
thousands of migrants and refugees. Some have speculated that the cancellation of Mare Nostrum may have
encouraged the smugglers to change tactics by raising the risk of small boat crossings. Once reaching Italy,
many migrants make the journey north to the country's industrial heartland or seek to cross the border into
mainland Europe, often putting strain on city administrators struggling with budgets slashed during Italy's
triple-dip recession. Video: human smugglers ft.com/migrant Migrants pack the decks of the Blue Sky M
after it docked in southern Italy - Biagio Claudio Longo/EPA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Smugglers expose migrants to new danger in perilous passage to Italy
03/01/2015
Financial Times
Pag. 2
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Record numbers risk lives to cross Mediterranean
Feb 6 More than 1,100 migrants are picked up in small inflatable boats and a barge over the course of 24
hours in the Straits of Sicily. May 12 Seven Italian naval and coastguard vessels rescue more than 200
migrants and recover 14 bodies after a boat sinks while trying to reach Sicily from Libya. July 19 Nineteen
people die after being poisoned by the fumes of the engine of the boat trying to bring them to Italy. August
Almost 4,000 migrants are rescued over a single weekend. More than 20 corpses are recovered from a raft
capsized north of the Libyan coast. November The Italian navy's search and rescue operation Mare Nostrum,
which saved 100,000 refugees in a year, ends, and is replaced by an EU border force. Dec 30-Jan 2 Almost
1,000 migrants arrive in Italy on Moldavian cargo ship Blue Sky M after it was spotted abandoned by its crew.
Italy's navy brings under control Sierra Leone-flagged Ezadeen, which was drifting hazardously towards
Puglia with at least 400 migrants on board.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Record numbers risk lives to cross Mediterranean
03/01/2015
Financial Times
Pag. 12
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ECB president stokes expectations of eurozone QE while Wall Street digests slower growth in US
manufacturing
DAVE SHELLOCK
Mario Draghi's latest comments provided the main focus for global markets as 2015 got under way, with the
European Central Bank president's warning about the threat of deflation heightening expectations for fullblown quantitative easing in the eurozone. Across the Atlantic, Wall Street started the year with a negative
tone as participants digested data showing a slowdown in the pace of US manufacturing growth. Energy
stocks fell amid a further weakening of crude prices. But it was the prospects for eurozone monetary policy
that dominated market action, after Mr Draghi told the German business newspaper Handelsblatt that the risk
of the ECB failing to fulfil its mandate of price stability was "higher than it was six months ago". He added that
the central bank was in technical preparations to "alter the size, speed and composition of our measures at
the beginning of 2015, should this become necessary, to react to a too-long period of low inflation". The euro
fell as low as $1.2010 against the dollar - down 0.8 per cent on the day, and its weakest since June 2010.
Government bond yields across the eurozone also fell sharply, with the yield on the 10-year German Bund
hitting a record low beneath 0.5 per cent, and that on the five-year briefly dipping below zero. Spanish and
Italian yields also slid to record lows. "Eurozone deflation risks and the need for radical ECB reflationary
action via full QE - beyond negative rates, unlimited bank loans and selected credit easing - are the dominant
themes guiding investor sentiment at the start of 2015, in stark contrast to where ECB watchers' consensus
expectations were a year ago," said Lena Komileva at G+ Economics. But she added: "The realpolitik
governing eurozone sovereign interests at the start of 2015 means that Mr Draghi's search for a consensusbuilding technical formula for QE, as signalled at the last ECB press conference in December, faces steep
political obstacles." A glimmer of optimism on the health of the eurozone economy came from the final
reading of the region's manufacturing purchasing managers' index for last month, which, although slightly
lower than the initial estimate, was up from November's 17-month low. "Despite showing slightly improved
eurozone manufacturing activity in December and a marginally reduced drop in prices charged, the
December PMI does little to ease pressure on the ECB to take further stimulative action, and sooner rather
than later," said Howard Archer, chief European economist at IHS Global Insight. "Whether the ECB
undertakes QE at its January 22 meeting, or waits until its March meeting, will likely be heavily influenced by
the tone of the data over the next three weeks - most notably whether eurozone inflation dipped further in
December, as seems highly likely given the weakness of oil prices." Meanwhile, the US Institute for Supply
Management's index of manufacturing activity eased to 55.5 last month from 58.7, a bigger drop than had
been expected, although the employment subindex hit the highest since August. Analysts generally remained
optimistic about the US economy's outlook. "Overall, it makes sense that manufacturing activity should be
coming off the boil when global demand has eased and the dollar has risen," said Paul Dales at Capital
Economics. "But the strength of domestic demand will ensure that industry and the wider economy still
perform particularly well in 2015." Such optimism, set against a backdrop of expectations for the Federal
Reserve to raise interest rates this year, helped maintain the dollar's upward momentum. After rising 13 per
cent in 2014, the dollar index - a gauge of the currency's value against a basket of its peers - was up a further
0.7 per cent at a fresh nine-year high. The dollar's latest leg up came even as US government bond prices
rose after the ISM data. The yield on the 10-year Treasury - which moves inversely to its price - was down
7bp at 2.11 per cent, with the more policy-sensitive two-year yield 1bp lower at 0.66 per cent. US equities
failed to hold on to early gains, with the S&P 500 down 0.3 per cent by midday in New York - and 1.9 per cent
below a record intraday high struck on December 29. The pan-European FTSE Eurofirst 300 fell 0.4 per cent,
although Spanish and Italian stocks rose 0.7 per cent and 0.6 per cent respectively. Energy shares were hit
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Draghi comments provide focus as 2015 gets off to a soft start
03/01/2015
Financial Times
Pag. 12
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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by a 44 cent drop in Brent oil to $56.89 a barrel. The International crude benchmark touched a fresh five-year
low of $56.89 in early trade. Gold rebounded from a one-month low in spite of the dollar's latest bout of
strength, rising $10 to $1,191 an ounce. The euro reached $1.2010, its weakest since June 2010 - Kostas
Tsironis/Bloomberg
03/01/2015
Financial Times
Pag. 12
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Five-year German bonds turn negative
More than two years after the yield on two-year German government bonds turned negative, those on fiveyear bonds have done the same, writes Naomi Rovnick. The yield on five-year Bunds dipped to -0.003 per
cent, the first time it has fallen below zero since at least 1990, according to Bloomberg. That investors are
prepared to stomach negative yields - and, in effect, pay the German Treasury to hold their money - partly
reflects expectation that the European Central Bank will soon start to buy government bonds in a quantitative
easing programme. Bond yields move inversely to prices. Eurozone government debt rallied yesterday after
ECB president Mario Draghi signalled that the institution, in the face of strong resistance from Germany's
Bundesbank, could soon follow the US and buy sovereign bonds to help the region's economy. Mr Draghi told
Germany's Handelsblatt newspaper he could not exclude the risk of deflation in the bloc, which markets have
read as an indication that the much-mooted idea of European QE may become reality. The yield on German
five-year bonds turning negative was "certainly in part due to the comments attributed to Mr Draghi", said
Brian Martin, European strategist at ANZ. He added that yesterday's fall in oil prices to new five and half-year
lows was a further sign of the deflationary threat the eurozone faces. German inflation data due out on
Monday are expected to show consumer prices rose just 0.1 per cent in December from November. In
October, the government of Japan - where the central bank is printing money aggressively - sold three-month
bonds with a negative yield at a formal debt auction. www.ft.com/fastFT
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Five-year German bonds turn negative
05/01/2015
Financial Times
Pag. 1,7
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Growth and inflation would remain weak after expected stimulus, majority say in FT poll
CLAIRE JONES - FRANKFURT
Any effort by the European Central Bank to launch a massive quantitative easing programme this year would
fail to revive the eurozone economy, according to economists polled in a Financial Times survey. The survey
of 32 eurozone economists mainly working in the financial sector, conducted in mid-December, found that
most expected the ECB to launch QE in 2015 - catching up with the world's other main central banks that
have all bought large quantities of sovereign debt since the last financial crisis. Twenty-six economists
thought that the central bank would start purchasing government bonds this year, while five did not and one
did not respond. A stuttering recovery and a worrying drop in inflation have raised fears of another crisis in the
currency bloc and put pressure on policy makers to cast aside powerful German opposition and begin
purchasing sovereign debt. ECB president Mario Draghi last week gave his strongest signal yet that the
central bank would extend its asset purchases to include sovereign debt in the coming months. A decision
could be made as early as the next governing council meeting on January 22. But most poll respondents
expected growth and inflation to stay weak even with QE. Dario Perkins, economist at Lombard Street
Research, said it would help lift inflation expectations and reduce the euro but would not be a "total game
changer". Jörg Krämer of Commerzbank said QE would lower the yield on government bonds and "help the
finance ministries of highly indebted countries such as Italy, and its banks". But he added that QE would not
change low growth and inflation levels and would "only fuel asset prices". While several respondents said
government bond-buying was likely to help fight the threat of deflation and lower yields on debt issued by
weaker sovereigns, most economists agreed that growth would remain lacklustre unless governments backed
the ECB's efforts. "QE is not a panacea for the euro area," said Carsten Brzeski of ING DiBa, a bank. He
suggested that the biggest impact from any QE would come "if governments were at the same time allowed to
start a deficit-financed investment programme. [It's] doubtful [that] will ever happen in the euro area." Some
said a larger package stood more chance of success. "If it is big enough, it will have some effect on the
economy, if only to bring the euro down," said Jonathan Loynes of research group Capital Economics. Most
economists forecast the size of purchases at €500bn, although some put the figure as high as €1tn. Some
also expected the ECB to start buying corporate debt alongside sovereign bonds. The ECB said in December
that Mr Draghi and most of the governing council backed expanding the central bank's balance sheet from
€2tn towards €3tn. Economists call for action page 3 Editorial Comment page 6 Wolfgang Münchau page
7
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Massive QE push will not revive eurozone, economists warn
05/01/2015
Financial Times
Pag. 3
(diffusione:265676, tiratura:903298)
Respondents to FT poll back ECB plea to national governments but cast doubt on fiscal compact as tool to
spur recovery
CLAIRE JONES - FRANKFURT
Economists have backed Mario Draghi's calls for politicians to do more to support the European Central
Bank's efforts to rescue the eurozone from stagnation, but they remain sceptical that lawmakers in Berlin will
listen. In a Financial Times poll of eurozone economists conducted in mid-December, a majority of
respondents also viewed the EU's tough budget rules as not fit for purpose. Mr Draghi, the central bank
president, has repeatedly urged politicians to support the ECB's actions by loosening fiscal policy and
reforming the structure of their economies. His calls have been echoed in part by other senior monetary policy
makers, including Jens Weidmann, Bundesbank president, who has argued that countries must implement
tough supply-side reforms to boost the region's growth potential. A majority of 29 out of 32 respondents
supported the central bankers' plea for greater government action. "Europe needs strong political leadership
and a firm policy hand," said Lena Komileva of G+Economics, a consultancy. "Mario Draghi is right to
underline the role of national governments," said Tom Rogers, economist at Oxford Economics, a research
firm. "More ambitious reform could unlock investment over the coming years, as well as boosting underlying
potential . . . providing some room for an easier fiscal stance." But while the ECB president has defended the
fiscal compact - a set of budgetary rules that imposes strict limits on member states' deficits - economists
were more critical. Twenty out of 28 respondents said the compact, which was passed at the height of the
crisis, was ill-equipped to spur the region towards recovery. "The success of the euro project demands a
degree, perhaps a high degree, of fiscal union. And so the motivations behind the fiscal compact are
laudable," said James Ashley, of RBC Capital Markets, a bank. "But the detailed modalities of how it has
been designed and implemented leave a lot to be desired." Mr Draghi warned in Washington in the autumn
that low interest rates and central bank bond-buying were insufficient and the eurozone would not return to
economic health unless politicians acted too. When asked what officials should do next, 11 economists called
for an easing of fiscal policy and structural reforms to support the ECB's moves, which by the end of the first
quarter of 2015 are likely to include purchases of sovereign debt. "There is no silver bullet," said Stefan
Schneider of Deutsche Bank. "It needs to be a combination of further loosening of monetary policy,
exploitation of fiscal leeway, where available, and most importantly serious structural reforms, especially in
Italy and France." Another 11 economists urged countries to reform their economies but did not cite the need
for tax cuts and greater government spending. Alastair Winter, economist at Daniel Stewart Securities, called
for more flexible labour laws, including a deregulation of professions and trades to encourage start-ups. While
the ECB chief has directed calls for radical labour market reforms at leaders in the region's periphery, as well
as Rome and Paris, Mr Draghi's urging of fiscal policy to boost growth appeared targeted at Berlin. But
economists were generally sceptical that Germany, the region's largest economy and one that has room to
ease fiscal policy within the fiscal compact, would respond. No one thought Berlin would spend big, and just
four said the eurozone's economic powerhouse would embark on a small stimulus package. A lack of public
appetite for fiscal stimulus would influence Chancellor Angela Merkel's decision, economists said. "Achieving
a balanced budget in 2015 will now remain a top priority for the [coalition] government, particularly for
Merkel's [Christian Democratic Union], given much of what the government has done in the last year has
been Social Democratic in nature," said Mujtaba Rahman of researchers Eurasia Group. "While the German
economy is sluggish, and may well soon go into deflation, Germans themselves feel reasonably content," said
John Llewellyn of Llewellyn Consulting. Some respondents thought the fiscal compact, which imposes a
structural deficit limit of 0.5 per cent on member states, was too tough. "It remains an economically illiterate,
procyclical piece of policy making," said Neville Hill of Credit Suisse. "The more governments ignore the spirit
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Economists call for political action on eurozone
05/01/2015
Financial Times
Pag. 3
(diffusione:265676, tiratura:903298)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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of the compact, the better." Chris Williamson, economist at Markit, called for the "fiscal straitjacket" to be
loosened to allow governments to boost spending and revive their economies. George Magnus, an economic
consultant, viewed the compact as a failure because it misdiagnosed the problem. "The fiscal compact is not
fit for purpose first and foremost because it panders to a fantasy that the euro crisis was a fiscal crisis," said
Mr Magnus. "European officials may argue the compact is a kind of stepping stone to an institutionalised
European Treasury, which would be a reasonable endgame, but it isn't. It's institutionalised austerity." Others
viewed the compact as a shift in the right direction. Ken Wattret of BNP Paribas said: "It's an uneasy balance
between national sovereignty and control from the centre. If the currency union is to work effectively, a proper
fiscal framework is needed." Michala Marcussen, chief economist at Société Générale Corporate &
Investment Banking, said: "I see this as a step on the route to a genuine fiscal union and ultimately a
eurobond." Nick Kounis of ABN Amro was among a few economists who argued that the compact had not
been applied strictly enough. "It is always difficult to design fiscal rules. If you make them basic, they are too
blunt. Complex ones are easier to get around," Mr Kounis said. "I would not be too critical of the rules
themselves. However, they should have more teeth." See Editorial Comment
05/01/2015
Financial Times
Pag. 20
(diffusione:265676, tiratura:903298)
TODAY US carmakers are expected to report that vehicle sales for December are about 10 per cent up on
the same period last year when they release domestic sales figures. At that rate, sales for 2014 in the world's
second-largest vehicle market will come in at about 16.5m, 5.8 per cent higher than the figure for 2013. Those
figures will make 2014 the best year for US auto sales since 2004, at the height of the past decade's auto
sales boom, and one of the best in the industry's history. December's sales are expected to reflect a rebound
in sales of the biggest, most fuel-hungry vehicles following the sharp decline in oil prices. The decline has
triggered a significant fall in fuel prices at the pump in the US because fuel is lightly taxed compared with
other industrialised countries. The change has been particularly beneficial for the Chrysler division of Italy's
Fiat Chrysler Automobiles, the US's fourth-biggest carmaker by sales, whose Jeep sports utility vehicles and
Ram pick-up trucks have taken substantial market share. Kelley Blue Book, the car information service,
forecasts FCA's sales for December will be more than 20 per cent up year on year. That would lift its share of
US light vehicle sales - all vehicles excluding heavy trucks - by 1.1 percentage points to 13 per cent. Robert
Wright WEDNESDAY Monsanto, the US agricultural chemicals group, reports first-quarter earnings with
investors already braced for a significant if temporary drop in profits. The St Louis company said in October
that it expected earnings in the first quarter of its fiscal year that runs to August to be half of the $368m, on
sales of $3.1bn, achieved in the same period in the previous year. It cautioned investors that a deferral of
earnings into later quarters, along with "macro factors" in the southern hemisphere including a reduction in
cotton planting in Australia and in planned corn cropping in Latin America, would depress returns in the first
three months of its financial year. Nevertheless, Monsanto suggested it remained poised to maintain
momentum on annual earnings growth that saw net income rise by 10 per cent to $2.74bn in the year to
September, on revenues that increased by 7 per cent to $15.9bn. The company, ranked as the world's largest
maker of genetically modified seeds, is expecting an improved profits outlook later in the year to boost
earnings per share in the current year to between $5.75 and $6, compared with the $5.23 achieved last year.
Monsanto, which is targeting western Canada and eastern Europe as markets for its early maturing crop
seeds, is also anticipating a rebound in free cash flow to $2bn or more this year to trim net debt that stood at
$5.4bn at the end of September. Michael Kavanagh THURSDAY The home of Heattech long johns and
ultralight down jackets had a cheery festive season. On Christmas Eve shares in Fast Retailing, the Tokyolisted operator of Uniqlo, rose to an all-time high of Y45,830 after three brokers raised price targets in
response to a fourth successive month of gains in same-store sales in Japan in November. As the casual
clothing group presents its results for the first-quarter of the fiscal year ending in August, investors will be
looking for confirmation that the group is successfully toughing it out in its tax-hit home market, which
accounts for just over half of total sales and about three-quarters of operating profits. April's increase in
consumption tax, the first for 17 years, has had a chilling effect on the world's fourth-largest economy. Yet
Uniqlo pushed for across-the-board price increases between June and September, saying that the fast-falling
yen gave it no option. Uniqlo President Tadashi Yanai is counting on strong growth in greater China and other
parts of Asia to hit the group's longer-term profit targets. Any disappointment on that front could affect the
shares but it is unlikely to slow Fast Retailing's advance into new markets such as India and Turkey. Ben
McLannahan Some of the final readings on the health of US consumers in the holiday season will come out
this week, with Gap Inc releasing December sales figures after markets close. The past year was choppy for
the US retailer, which also owns the Piperlime, Old Navy and Banana Republic brands. Results trailed Wall
Street expectations for a couple of months and stock prices fluctuated, with the shares ending the year 8.6
per cent up, compared with a gain of nearly 12 per cent for the broad S&P 500. Stock price volatility
culminated with the company's announcement in October that chief executive Glenn Murphy would step down
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Corporate diary January 5 - January 9
05/01/2015
Financial Times
Pag. 20
(diffusione:265676, tiratura:903298)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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after seven years at the helm. But sales have rebounded since then, and Gap reported last month that
comparable sales for November were up 6 per cent versus a 2 per cent increase in the same period of 2013.
Gap will report fourth-quarter results on February 26. Overall, signals that US consumers' expenditure is
rising continue to strengthen. The latest figures show that US retail sales rose 2.2 per cent in the week ending
December 27 compared with a year earlier. Vivianne Rodrigues FRIDAY EARNINGS Seven&i Q3 Y61.2
(Y50.5)
05/01/2015
Financial Times - Weekly review
Pag. 1
(diffusione:265676, tiratura:903298)
SOPHIA GRENE
Two-thirds of institutional investors expect the European Central Bank to implement quantitative easing this
year. Twenty-seven per cent are expecting it to come before the end of March. According to a poll of 152
international institutional investors, just 22 per cent of investors in Europe believe the purchase of government
bonds can be avoided, compared with 8 per cent of investors in North America and 13 per cent in Asia and
elsewhere. "The future of the eurozone has taken centre stage in recent months," said Valentijn van
Nieuwenhuijzen, head of multi-asset strategy at ING Investment Management, which commissioned the
research. "It is clear that there are very real concerns of a prolonged period of deflation, which could - if
investors are correct - twist Draghi's arm when it comes to implementing a sovereign QE programme in early
2015." ECB president Mario Draghi boosted expectations of QE by remarking on market intervention in an
interview with Handelsblatt newspaper on Friday. This hit the euro and drove peripheral eurozone bond yields
lower. "The risk that we do not fulfil our mandate of price stability is higher than it was six months ago," said
Mr Draghi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Investors expect QE is imminent in Europe
03/01/2015
International New York Times
Pag. 1.10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
Words move markets, but questions rise about how long spell will last
BY JACK EWING AND BINYAMIN APPELBAUM
Mario Draghi demonstrated once again on Friday how mere words from the president of the European
Central Bank can move markets, and why he is often regarded as the most influential official in the
eurozone.Comments by Mr. Draghi on the dangers of low inflation, published by a German newspaper Friday,
pushed the euro to its lowest level since mid-2010. Mr. Draghi sounded more concerned than ever about the
risk that stagnant or falling prices would undercut the willingness of consumers to spend and businesses to
invest.''History shows that falling prices can be as damaging to the prosperity and stability of our countries as
high inflation,'' Mr. Draghi told Handelsblatt.Investors, whose money and faith will be crucial to any true
economic recovery, read that and other statements in the interview as another sign that the central bank is
ready to take unprecedented steps to increase inflation, in effect printing money to buy government bonds
and push down market interest rates.Though this 19-nation bloc is one of the world's richest economies, it
has never really recovered from the 2008 global financial crisis. And low inflation is one of the impediments to
growth.In the past, such assurances of stronger action have bought time for the urbane Mr. Draghi. After all,
his famous vow in 2012 to ''do whatever it takes'' to save the euro currency union had seemed to work without the bank having to actually take much action.But Mr. Draghi's knack for using words as a substitute
for action may be reaching its limits. A vow in early December that the E.C.B. was ready to deploy new
weapons against the inflation rate fell flat.Some experts say that the central bank has already waited too long
to act.''A central bank claiming that it will do 'whatever it takes' while not delivering with actions eventually
loses its credibility,'' said Athanasios Orphanides, a former European Central Bank board member who is now
an economics professor at the Massachusetts Institute of Technology. ''It is difficult to escape the conclusion
that the E.C.B. has not been operating in a manner that promotes fulfillment of its mandate.''Such criticism
raises a question: Is the man who is arguably the most powerful official in Europe really powerful enough to
pull the eurozone out of its doldrums?Mr. Draghi's quandary is that the actions that might save the eurozone
also threaten to divide it.As Mr. Draghi begins the fourth year of an eight-year term, the central bank has still
not taken the path that many economists say offers the greatest hope to millions of Europeans to escape from
a ''lost decade'' of stagnation: buying government bonds and other financial assets in huge numbers. Such an
approach, known as quantitative easing, was used successfully by the Federal Reserve in the United States.
The idea is to pump money into the financial system, encouraging more lending and spending and kickstarting the economy.Yet even as Mr. Draghi tiptoes toward that program, which could be unveiled as early as
the central bank's policy meeting on Jan. 22, he faces challenges from inside and outside the walls of his new
45-story headquarters.The 25 members of the central bank's Governing Council, who are supposed to be
above parochial politics, often seem to represent the interests of their home constituencies. Members from
Germany and other wealthier northern European nations have resisted the plan, fearing that their taxpayers
would have to bail out the central bank if any eurozone countries defaulted on the bonds the bank bought.
That fear has been reinforced by the rise of a left-wing populist party, Syriza, in Greece that is challenging the
government's commitment to stick with its pledge to meet its debt obligations.But whatever differences he
must bridge, many economists say Mr. Draghi is running out of time to deliver the decisive action needed to
prevent low inflation from becoming a chronic condition. While low prices benefit consumers in the short term,
extended low inflation, which could worsen into the widespread decline in prices known as deflation, imposes
a heavy burden on borrowers and makes it hard for companies to be profitable, encouraging them to cut
wages or lay off workers.''I do think they're at a critical moment,'' said Thomas F. Cooley, an economics
professor at the Stern School of Business at New York University. ''There has got to be some attempt on the
part of the E.C.B. to stimulate the economy. They are the only ones capable of doing the heavy lifting.''By
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Euro's fall tests how far Draghi is willing to go
03/01/2015
International New York Times
Pag. 1.10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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some measures, Mr. Draghi, a 67year-old native of Rome who earned a doctorate in economics from M.I.T.,
is at the peak of his powers. Wielding the moral authority he acquired after calming the markets and pulling
the eurozone from the brink with his ''whatever it takes'' promise two and a half years ago, he has overseen a
sweeping expansion of the European Central Bank's jurisdiction.Not only does the central bank manage a
currency used by 338 million people, in November it also began regulating eurozone banks, which together
constitute the world's largest banking system.Given his purview, Mr. Draghi arguably has as much as power
as anyone in Europe, including national political leaders like Chancellor Angela Merkel of Germany and
President François Hollande of France. And because he is appointed by European political leaders, he does
not need to win re-election. (Mr. Draghi, who rarely gives media interviews, declined to comment for this
article.)Yet in its core task - to keep inflation below, but close to, 2 percent - the central bank has fallen short.
The last time the eurozone's annual rate of inflation was 2 percent was in January 2013. As of November
2014, the rate was only 0.3 percent, already low enough to have a pernicious effect on growth.Under Mr.
Draghi and his riven council, the central bank has also presided over a steep decline in the size of its balance
sheet, the key measure of how much money it has been able to pump into the economy. That number has
shrunk to about ¤2 trillion from almost ¤3 trillion early in 2012, as commercial banks repaid loans from the
central bank.The Federal Reserve, by contrast, which had a balance sheet about the same size as the
European Central Bank's in early 2012, has since increased its holdings to $4 trillion from $3 trillion.''I find the
European policies to be baffling in terms of how bad they are,'' Frederic Mishkin, a former Fed governor who
is now a professor of banking and financial institutions at Columbia University, said at a monetary policy
conference in November. ''If it's all about inflation, then inflation is way too low.''If Mr. Draghi feels wounded
by such criticism, he does not show it. In public appearances, he exudes confidence. And he is not shy about
dismissing his critics.It's hard to imagine Janet L. Yellen, the chairwoman of the Fed, speaking to a member
of Congress in the same tone that Mr. Draghi used to upbraid a Spanish member of the European Parliament
who accused the central bank of strongarming Ireland into accepting a bailout in 2010.Raising his voice and
sweeping his arm dismissively during an appearance in Parliament late last year, Mr. Draghi said the central
bank had a duty to protect the money it had lent Irish banks after the financial markets cut them off. ''Don't
you think we should worry about that?'' Mr. Draghi asked, with an irritation unusual for an otherwise
supremely composed central banker.Any fissures within the central bank's Governing Council, say those who
have observed the dynamic, might be partly a result of Mr. Draghi's approach to management and diplomacy
- and impatience with lesser intellects.There has been criticism - mostly from people who did not want to be
identified for fear of offending him - that Mr. Draghi is aloof, especially when compared with his voluble
predecessor, Jean-Claude Trichet. Mr. Draghi is known to confide in a small number of trusted colleagues,
such as Benoît Coeuré, one of the six members of the executive board, who has a background in economics
and public finance that is similar to Mr. Draghi's. Others can feel left out of the loop. Mr. Draghi's pledge to do
''whatever it takes,'' for example, was an impromptu addition to a scheduled speech at a banking conference
in London, according to a published transcript of an interview with Timothy F. Geithner, the former Treasury
secretary of the United States.With that comment, as he later made clearer, Mr. Draghi was alluding to the
central bank's being ready to intervene in the bond markets, if necessary, to reduce the borrowing costs of
Italy and some other eurozone countries, which had spiked to dangerous heights.It was evidently a promise
made without consulting the Governing Council. Only later did the council formalize the promise with a
program - as yet unused - to buy the bonds of troubled countries.Jens Weidmann, the president of Germany's
central bank, the Bundesbank, and a member of the European Central Bank's Governing Council, has argued
against more aggressive monetary stimulus and been a thorn in Mr. Draghi's side. On Dec. 17, for example,
Mr. Weidmann told reporters in Frankfurt that he would regard quantitative easing ''with skepticism,'' citing
''the rather modest and uncertain impact of a broad Q.E. package, together with the risks and side effects it
could bring and the unclear need for it at present.''He also said he considered the fear of deflation overblown.
''An inflation rate below zero for a period of a few months does not yet constitute deflation, in my opinion,''
03/01/2015
International New York Times
Pag. 1.10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
said Mr. Weidmann, who declined several requests for an interview.But after reports last fall of a growing
schism on the Governing Council, Mr. Weidmann and Mr. Draghi have made a show of getting along. People
close to them emphasized recently that they speak often, even if they don't always see eye to eye.All central
banks face internal dissension, but Europe's is unique in that its members are separate countries. The
eurozone is a currency union with a centralized monetary policy, but the member countries remain largely in
control of their own budgets and regulatory policies.The leaders of France and Italy, the second- and thirdlargest eurozone economies after Germany, seem unable to overcome resistance from trade unions and
other interest groups over changes that promise to help improve long-term growth. Even Germany, the
region's economic anchor, has lost momentum and barely escaped falling into recession in the third quarter of
2014, the most recent to be reported.''I'm very, very concerned,'' said Lucrezia Reichlin, former head of
research at the European Central Bank under Mr. Draghi's predecessor, Mr. Trichet. ''Now the big risks are
France and Italy.''Without a more aggressive monetary policy, Ms. Reichlin and a growing chorus of
economists say, Europe has little chance of economic revival anytime soon.''I certainly believe that both in
Europe and in Japan, the willingness to tackle a declining inflation rate has been too gradual, and it's much
less effective if it's gradual,'' Eric S. Rosengren, president of the Federal Reserve Bank of Boston, said in an
interview.But in Germany, conservative opposition to large-scale asset purchases similar to those conducted
by the Fed and the Bank of England borders on the hysterical.''There is no country in the eurozone where
monetary policy is debated in such a lively way and by so many citizens as in Germany,'' said Jörg
Asmussen, a former member of the European Central Bank executive board who is now a high-ranking
official in the German Labor Ministry. ''Even if you watch TV over breakfast, they are giving news about
monetary policy.''German opposition to bond-buying reflects broader discontent with the way the common
currency has, in the eyes of many Europeans, failed to deliver the prosperity it promised. In its most extreme
form, this discontent manifests itself as a protest toward the whole idea of a united Europe, nourishing
rightwing parties like the National Front, in France, and the Alternative for Germany.If Mr. Draghi is fortunate,
the eurozone economy will start to recover without a big central-bank intervention, and inflation will rise
toward the 2 percent target. The plunge in world oil prices will provide some stimulus, but because fuel is
usually priced in dollars, it is being partly offset by a weaker euro.But the costs of delay are mounting. And
now, even if the central bank finally does begin full-bore quantitative easing, there is no certainty that it will be
enough to rescue the eurozone's creaky, highly regulated economy.
03/01/2015
International New York Times
Pag. 1.11
(diffusione:222930, tiratura:500000)
Interview spotlights trend as global lenders switch to higher-return dollars
''The euro is going to go down because it really needs to. The divergence between European and U.S. growth
is very, very wide now.''Wary of the low returns that their euros have been delivering, they have been
switching to dollars. Mario Draghi, the president of the European Central Bank, may be pushing hard for a
weaker euro to spur growth in Europe, but his central bank peers seem to be several steps ahead of him.In
an interview with a German newspaper on Friday, Mr. Draghi, who is known for using his public comments to
achieve policy goals, said that the threat of deflation might force the E.C.B. to take more aggressive stimulus
measures, which could include buying eurozone bonds in bulk.His comments prompted the euro to fall to
$1.20, a four-year low against the dollar. More important, his remarks also highlighted a powerful new trend in
world currency markets: Global central banks, wary of the low returns that their euros have been delivering,
have been switching out of euros into dollars.The expectation is that a rapidly recovering United States
economy will push the Federal Reserve to increase interest rates this year, making dollarbased assets more
attractive than those denominated in euros, Japanese yen and emerging market currencies as well.By
contrast, Europe's economy remains stagnant and November's inflation rate of 0.3 percent was a blunt
reminder of how far Europe's central bank is from meeting its mandated inflation target of 2 percent.To jumpstart growth and avoid deflation, many analysts believe that the most powerful policy arrow in Mr. Draghi's
quiver is to talk the euro sharply downward, which would boost exports and increase the price of imports and ultimately stimulate an uptick in inflation.''The euro is going to go down because it really needs to,'' said
Jens Nordvig, the global head of currency strategy at Nomura in New York. ''The divergence between
European and U.S. growth is very, very wide now.''Mr. Nordvig pointed to recent data from the International
Monetary Fund showing that in the third quarter of 2014, global central banks were big euro sellers and dollar
buyers. As a result, the proportion of global reserves held in dollars moved from 60 percent to 62 percent,
with the euro's share falling from 24 percent to 22 percent.In an $11 trillion market, moves of this magnitude
are highly unusual, and they could signal a long-term preference on the part of central bankers for highyielding dollars in favor of low-yielding euros.''This was shocking to me,'' Mr. Nordvig added. ''And it really
opens the way for a weaker euro.''The larger picture is not merely that the dollar is gaining against the euro,
strengthening from about $1.39 to buy one euro onMay 7 to Friday's $1.20 level. Signs that the Fed is getting
closer to raising its benchmark interest rate from zero have helped the United States currency to soar against
its counterparts in Japan, Britain and in major emerging markets. Against a broad basket of currencies, the
dollar has risen more than 13 percent since September to its highest level in almost six years.The weaker
euro is a mixed blessing for the eurozone economy. European exporters will gain an advantage against
foreign rivals because their products will become cheaper for customers who pay in dollars or other
currencies that tend to track with the dollar. A weaker euro could also push up inflation.However, a weaker
euro also has negative effects in the eurozone. Because oil is usually priced in dollars, a weak euro cancels
out some of the economic benefit from the recent drop in oil prices.Mr. Draghi's comments were part of an
ever-louder drumroll from top European Central Bank officials signaling that quantitative easing could come
as soon as the next monetary policy meeting, on Jan. 22. ''There are growing indications that the E.C.B. will
decide as early as January to buy government bonds on a large scale,'' Ralph Solveen, an economist at
Commerzbank, wrote in a note to clients on Friday.If the European Central Bank were to hold its fire now, the
consequences for the financial system would be disruptive, as investors have already factored in quantitative
easing, Jean Pisani-Ferry, an economist who serves as an adviser to the French government, wrote in a blog
post this past week.Disappointing those expectations would bring ''an abrupt and damaging unwinding of
positions: Long-term interest rates would rise, stock markets would sink, and the exchange rate would
appreciate,'' he wrote.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
240
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GLOBAL CENTRAL BANKS A STEP AHEAD
03/01/2015
International New York Times
Pag. 1.3
(diffusione:222930, tiratura:500000)
Jumping ship and using steel-hull vessels seem to be traffickers' new tactics
''When we hailed the ship, a migrant woman responded, saying, 'We are alone and we have no one to help
us.'''Hundreds of migrants, believed to be Syrian, were rescued from a freighter after its crew jumped ship.
For the second time in three days, the Italian authorities on Friday rescued hundreds of migrants aboard an
aging freighter in wintry seas after its crew jumped ship in what seemed to be a new tactic by traffickers
seeking ever greater profits from human misery.The latest drama came as the Ezadeen, a 50-year-old
livestock carrier sailing under the flag of Sierra Leone, headed for the coast of southeastern Italy with 450
people on board. Some reports said the vessel had run out of fuel after as many as six days at sea, along
with supplies of food, water and milk for the migrants, including pregnant women and dozens of
children.''When we hailed the ship to ask about its status, a migrant woman responded, saying, 'We are alone
and we have no one to help us,' '' Cmdr. Filippo Marini, an Italian Coast Guard spokesman, told news
agencies. Abandoned by its crew, the vessel, which left from a Turkish port, had been put on a collision
course for the Italian coast, he said. Most of the migrants, who Commander Marini said appeared to be in
good health, are believed to be Syrian.Until recently, migrants heading to Italy by sea usually arrived in
smaller boats that sailed from North Africa. The shift to steel-hulled cargo ships approaching from the east
suggests a new strategy, an Italian naval official said, and traffickers are ''secure in the knowledge that no
one is going to allow a boat to crash on Italian or Greek shores.''In record numbers, fugitives from war zones,
failed states or repressive regimes routinely pay as much as $6,000 each for a chance to fulfill dreams of
security and new lives in Europe, braving not only rough seas and capricious journeys but also hostility
toward immigrants across the Continent.''The money involved is huge,'' said William Spindler, a spokesman
for the United Nations refugee agency.The first rescue vessel to come to the aid of the stricken Ezadeen was
an Icelandic patrol boat sailing as part of a program coordinated by Frontex, the European Union border
agency. But the seas were too rough for rescuers to cross from one vessel to the other, and an Italian
helicopter was called in. After several hours of effort in rough seas, the Icelandic Coast Guard ship took the
Ezadeen under tow, Commander Marini said.Some analysts said the change in the traffickers' tactics came
after Italy phased out an ambitious and costly search-and-rescue operation called Mare Nostrum, which
located and rescued dozens of smaller boats used by migrants. That program covered a much wider area of
the Mediterranean than its replacement, coordinated by Frontex.In the past, migrants would set sail on
smaller vessels that were relatively easy to operate, said Izabella Cooper, a spokeswoman for Frontex. ''But a
freighter needs specialized skills. It's a far more dangerous situation.''Carlotta Sami, a spokeswoman for the
United Nations refugee agency, told Reuters that over the past two months, smugglers were increasingly
using old cargo ships ready to be dismantled. ''They usually don't even have any electronic equipment on
board,'' she said. The smugglers are using bigger ships because the end of the Mare Nostrum program made
crossing in smaller boats much more risky, she added.In a posting on Twitter on Friday, the Italian Coast
Guard said the Ezadeen, with a length of 240 feet, was being towed toward the coastal town of Corigliano
Calabro. It was expected to arrive there around midnight.The rescue unfolded just days after the Italian
authorities boarded the Blue Sky M, a freighter carrying more than 700 people, many of them fleeing Syria's
civil war. That vessel, registered in Moldova, also seemed to have been abandoned by its crew after setting
out from Turkey.But the two vessels rescued this past week were only the latest among at least 15 others that
have left the coast of Turkey since the end of September, said Adm. Giovanni Pettorino, an officer with the
Italian Coast Guard.The United Nations refugee agency said last month that more than 200,000 refugees and
migrants arrived in European countries in 2014, compared with 60,000 in 2013.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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ITALY RESCUES MIGRANTS ON FREIGHTER
05/01/2015
International New York Times
Pag. 15
(diffusione:222930, tiratura:500000)
DAVID JOLLY
European economic data will be in the spotlight on Wednesday, when Eurostat announces initial estimates of
eurozone inflation in December and the unemployment rate in November. With oil prices falling and the
region's economy sputtering along, demand has been insufficient to restore job growth and keep consumer
price increases near the European Central Bank's target of just under 2 percent. Economists surveyed by
Bloomberg say they expect prices to have declined 0.1 percent from December 2013, and the unemployment
rate to have remained flat at around 11.5 percent. Mario Draghi, the central bank's president, and his
colleagues on the bank's policy board are widely expected to respond - possibly this month - by announcing
largescale purchases of bonds, a policy known as quantitative easing.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
242
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Snapshot due on jobs outlook and inflation in eurozone
03/01/2015
The Guardian
Pag. 18
Italian coastguards board ship drifting with no crew Syrian refugees among passengers facing disaster
The Guardian Domestic edition
John Hooper Rome Patrick Kingsley Cairo Ben Quinn A "ghost ship" carrying hundreds of migrants was
abandoned yesterday by its crew of smugglers in dangerous seas off the coast of southern Italy, in a move
that a spokesman for the International Organisation for Migration said "takes the smuggling game to a whole
new level".The cargo ship Ezadeen, which set sail under a Sierra Leone flag from a Turkish port this week,
was discovered drifting without a captain 40 nautical miles from the Italian coast. Italian coastguards were
forced to intervene to prevent a disaster and possibly save the lives of the estimated 450 people on board,
many of them thought to be Syrian refugees."We are alone and we have no one to help us," a migrant woman
told officials by radio after the ship was asked to identify itself, coastguard spokesman Filippo Marini told an
Italian radio station. Footage showed Italian officers landing on the Ezadeen by helicopter, before the ship
was towed to Italy.The Ezadeen was the second vessel in four days to be found sailing without a crew. Earlier
in the week, 800 migrants on the Blue Sky M, a Moldovan-registered ship, were rescued by Italian
coastguards when it was discovered sailing without an active crew five miles off the coast.The two incidents
have left observers of migrant routes in the Mediterranean fearing that people-smugglers have found a new
and ruthless way of working in the area despite a recent decision to scale back Italian rescue operations."It's
an extraordinary way to treat people," said Leonard Doyle, a spokesman for the IOM, a UN-linked body that
focuses on migrants. "The abandonment of ships in the high seas is a very dangerous thing to do at the best
of times and takes the smuggling game to a whole new level that we've never seen before."The tactic shows
that despite the cancellation last autumn of Operation Mare Nostrum - an Italian-run rescue scheme that
European authorities feared was a prominent reason why migrants were risking all to reach Europe smugglers are still finding ways to get close to the Italian shore and force coastguards to rescue their
passengers.Under the new system, ships carrying illegal migrants are supposed to be intercepted by a panEuropean maritime border agency and prevented from reaching Italian waters. But Doyle said smugglers
were now presenting their ships as legal entities until they were within a few miles of Italy. Then they
disembarked, forcing the Italian authorities to intervene in order to save lives."It's almost as if [the smugglers]
are playing chicken with the lives of vulnerable people - men, women and children who are fleeing war - and
seeing who blinks first," said Doyle. "But they know full well that the Italian coastguards will have to
intervene."An Egyptian ship owner involved in the smuggling business told the Guardian that his associates
used similar tactics, and often left their ships in the hands of untrained charges "who don't know how to
sail"."They only have GPS," said the ship owner, who asked to be known as Abu Khaled, from a port on
Egypt's north coast. "Someone else starts the motor for them - and they follow the direction on the GPS
device. So the driver doesn't have any more sailing knowledge than this. He just follows the arrow. The GPS
is the captain. If the waves become higher, they don't know how to deal with it - so they just keep on
going."Some European politicians believe the answer is to create an even bigger deterrent than the
cancellation of Mare Nostrum. Claude Moraes, a British MEP, told the BBC that its replacement scheme,
Triton, "scares no one", and he called for a new scheme that could be given the backing of a national judicial
system.But others believe that little will deter the hundreds of thousands of migrants seeking to escape war
and hardship in the Middle East. "Why do we keep going by sea?" asked Ahmed, a Syrian arrested while
attempting to cross the Mediterranean from Egypt this autumn. "Because we trust God's mercy more than the
mercy of people here."Doyle said it had been thought that the Mare Nostrum was "a pull factor, attracting
migrants, and that by ending it migrants would stay on the other side of the Med. What we're seeing is that
whether or not there was a pull factor, people are still coming. There is still a demand from people who are
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
243
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Vessel abandoned with 450 migrants on board 'takes trafficking to a new
level'
03/01/2015
The Guardian
Pag. 18
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
244
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desperately fleeing the Syrian war and who are looking for ways to be rescued and taken ashore safely."The
recent activity of the stricken Ezadeen appears to shine a light on the demand for smuggling, even in the
stormier winter months. Records show that the ship departed from Tartus, Syria's second largest port, in
October before sailing north towards Turkey.Over the past week and a half it skirted westwards along
Turkey's Mediterranean coast to the north of Crete, changed direction and headed northwards before ending
up drifting across towards Italy.
03/01/2015
The Guardian
Pag. 36
Oil price falls hindering return to inflation targets ECB expected to launch stimulus by end of month
Jennifer Rankin
The president of the European Central Bank (ECB) has raised expectations that he will turn on the moneyprinting presses to fight deflation early in the new year, sending the euro to its lowest level against the dollar
in four and a half years.In an interview with the German financial daily Handelsblatt, Mario Draghi said the risk
of inflation failing to return to its targeted level of 2% had grown in the past six months, alerting markets that
the central bank could announce further stimulus as soon as its next meeting on 22 January.The euro fell to
$1.20, its lowest since June 2010 when the currency was reeling after Greece had agreed its first €110bn
bailout the previous month.Eurozone inflation has already slipped to 0.3%, far off the ECB's price-stability
target of just below 2%, and economists polled by Reuters expect the single currency zone to have sunk into
outright deflation in December. They forecast falls of 0.1% when figures are released next Wednesday, with
prices driven by plunging oil prices.Spain and Greece are experiencing falling prices and some economists
warn that the currency bloc could become mired in a deflationary spiral that further dampens spending and
consumer confidence.Oil prices fell to a five-year low yesterday, with benchmark Brent crude tumbling to
$55.67 by lunchtime trading in London.Although Draghi said the risk of deflation in the eurozone was limited,
he indicated the ECB was becoming more concerned. "The risk that we do not fulfil our mandate of price
stability is higher than six months ago," he said. "We are in technical preparations to adjust the size, speed
and compositions of our measures in early 2015, should it become necessary to react to a too-long period of
low inflation."He said government bond purchases were among the tools the ECB could use to fulfil its pricestability mandate.Buying government bonds, known as quantitative easing, is seen as one of the last
weapons in the ECB's arsenal to revive the eurozone, with interest rates having already been knocked down
to 0.05%.Holger Schmieding, chief economist at Berenberg bank, said Draghi's words signalled that the ECB
was likely to announce sovereign bond purchases on 22 January. "It is not about the actual size of the bond
purchases; the key is whether they send a strong and credible signal to investors."But he also challenged the
view of some economists that lower prices were bad for the eurozone. "Deflation is not much of a problem.
We are grateful that oil prices are lower and that is a good thing for the real economy. The weak state of
demand is the problem and the ECB ought do be doing something to stimulate confidence."Draghi's remarks
came as data showed that Europe's manufacturing output was stagnant at the end of 2014. Eurozone factory
output was on course for its worst performance since the recovery began in autumn 2013, according to the
Markit survey of purchasing managers. The headline index rose to 50.6 in December, slightly up from
November's low of 50.1, but still a lacklustre performance on an index where anything over 50 counts as
expansion.Ireland, Spain and the Netherlands performed better than average, but factory output in France,
Italy, Greece and Austria fell as orders continued to decline. Germany saw a modest growth in factory output,
but some economists remain worried about subdued growth in the eurozone's largest economy."The
weakness of German manufacturing also remains a major source of concern, but there are signs that orderbook growth could be turning around, with inflows of new work edging higher for the first time in four months,"
said Chris Williamson, chief economist at Markit.In the Handelsblatt interview, Draghi insisted there was no
question of weaker countries being forced out of the eurozone. "A breakup of the eurozone? That will not
happen. That's why there is no plan B," he said.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
245
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Draghi hint of QE to resist deflation sends euro down
03/01/2015
The Independent
Pag. 23.24
With not a crewman in sight, another vessel crammed with refugees has been found drifting in the
Mediterranean. What can the world do to stop the callous but efficient new strategy being used by the people
traffickers?
MICHAEL DAY reports
Da pagina 2 The Italian Coast Guard was last night towing the second unmanned ship containing hundreds of
migrants to appear off its coast this week into port. The so-called "ghost ships" are a worrying new trend as
human traffickers exploit desperate refugees bidding for a new life in Europe.The Lebanese vessel Ezadeen,
which was discovered with about 450 passengers on board, is registered as a livestock vessel. But even
cattle are not left to cross dangerous high seas in mid-winter with no crew and the vessel on autopilot.Coast
Guard officers boarded the Ezadeen from a helicopter yesterday morning and navigated it towards Corigliano
Calabro where it was due to arrive late last night.The practice of using "ghost ships" - filling rust buckets with
refugees, pointing the vessel towards Italy and then fleeing with the passengers' life-savings - appears to be a
worrying new development in human trafficking, the UN's refugee agency, the UNHCR, warned
yesterday.The rescue of the Ezadeen follows a similar operation to save hundreds of migrants aboard
another abandoned ship, the Blue Sky M, on Wednesday."We are seeing this new trend. It's apparent there
have been other such incidents - maybe four or five in the past two months," said UNHCR spokesman William
Spindler."But only when the Blue Sky M incident occurred this week, which involved nearly 1,000 people, did
it capture everyone's attention."Mr Spindler said it showed that human traffickers were changing tactics.
"They're using bigger boats and different routes to smuggle people."In the past they have come from Libya in
dinghies and boats, but that route seems to have been closed by Frontex [the EU's border agency]."Admiral
Giovanni Pettorino Vedi pagina 24 of the Italian Coast Guard said that by charging hundreds of desperate
refugees thousands of dollars at a time, gangs in North Africa and the Middle East were still able to make big
profits by writing off ageing ships in the process of smuggling human beings."They purchase unseaworthy
vessels for $100,000 to $150,000 (£65,000 to £97,000) and then fill them with hundreds of migrants, mainly
Syrian nationals, who pay $6,000 each for the crossing from the Turkish coast to Europe," said Admiral
Pettorino.He told theAdnkronos news agency that the criminals were netting up to $5m per trip and therefore
"had no hesitation about jumping ship, given the profit margins".Last month the UNHCR described the
Mediterranean crossing from the Middle East and Africa to Europe as "the most lethal route in the world" after
a record 3,419 migrants lost their lives in 2014 crossing the sea.Although it has not been confirmed where the
migrants aboard the Ezadeen come from, the UNHCR told The Independent it believed the number of
refugees from Syria was rising sharply.In 2014 forthe first time, people from refugee-producing countries mainly Syria and Eritrea (as opposed to countries producing high numbers of economic migrants) - "have
become a major component in this tragic flow, accounting for almost 50 per cent of the total", said the UN
body. On Wednesday about 900, mostly Syrian, refugees arrived in Italy after they were abandoned by the
crew of the Moldovan-registeredBlue Sky M cargo ship, who had fled leaving the vessel on a crash course for
the Italian coast. The Coast Guard also boarded that vessel and navigated it to port.The Blue Sky M drifted
within five miles of the shore before six navy officers were lowered on to the ship by helicopter and
succeeded in bringing it under control.One migrant aboard the 48-year-old Ezadeen, which is registered in
Sierra Leone but has Lebanese owners, managed to operate the vessel's radio and contact the Italian Coast
Guard on Thursday night.By this point the ship's crew had fled, leaving it to plough a The Coast Guard
notified the nearby Icelandic patrol boatTyr, which was in the area on a mission with Frontex. The Tyr drew
alongside the runaway ship, but huge waves made boarding impossible.A Frontex spokesman said: "It was
not until some hours later, when the vessel carrying the migrants ran out of fuel, that five Icelandic officers
were able to get on board, attach a tow rope and bring the ship under control."Yesterday, six Italian Coast
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
246
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The ghost ship with a human cargo
03/01/2015
The Independent
Pag. 23.24
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
247
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Guard officers were lowered from a helicopter on to the deck of the 73m-long Ezadeen to take control and
navigate the vessel to the Italian mainland.Frontex said the migrants aboard were "visibly distressed but
overall in good medical condition". They have been given food, water and basic medical assistance.Coast
Guard spokesman Filippo Marini said the nationality or nationalities of the migrants was not yet clear.He
added: "What is clear is that among them there were lots of children and women, including some pregnant
women. What we know for now is that the ship left from a Turkish port and that the crew fled."
03/01/2015
The Independent
Pag. 23.25
MICHAEL DAY
Da pagina 23 A video of two female Italian NGO workers kidnapped by an Al-Qaeda affiliate in Syria is being
considered as evidence that the terror group is seeking a big ransom for their release.Greta Ramelli, 20 and
Vanessa Marzullo 21, went missing from the Syrian city of Aleppo in July 2014 while working on aid
projects.A short video of the two women appeared on YouTube on Wednesday. Both Ms Ramelli and Ms
Marzullo, dressed in black hijabs, appealed for their release, saying they were "in great danger" and could be
killed.Significantly, one the hostages said that "the government and its mediators are responsible for our
lives".Abu Fadel, a member of the Al-Qaeda-linked Jabhat al-Nusra, has told the German DPA news agency
that his group is holding the pair hostage. "We are holding the two Italian women ... because their country is
backing all the strikes on us inside Syria," he said. Italian foreign ministry sources quoted by the Ansa news
agency said that it considers the video genuine.The sources said diplomatic and intelligence staff were calling
for "maximum reserve" - presumably on the part of the press, because officials were in a "delicate phase" of
negotiations. According to Corriere dellaSera newspaper, the video threat is being seen by some officials as a
warning that the ransom price could increase or that the hostages might even be sold on to another terror
group unless its demands are met.Reports in one Arab newspaper, the London based alQuds al-Arabi,
suggested that the Italian government had already entered into ransom negotiations for the pair by August
last year.The widely held assumption that Italy, along with other European countries such as France and
Spain, has already paid at least one ransom to Islamic kidnappers, has prompted speculation about the
nature of Rome's current negotiations with the terrorists.In September last year, a spokesman for the Italian
foreign ministry told The Independent that Rome had paid "absolutely no ransom for the release of the
Federico Motka", the Swiss-Italian seized by Isis.But it was widely reported that the Italian government had in
fact stumped up €6m (£4.7m) for the release of Mr Motka, who was kidnapped by Isis in March 2013 and
released in May 2014.Mr Motka shared a cell with British security adviser David Haines, who was murdered
by the terror organisation last September. A Dane and four French were held with Mr Haines and Mr Motka.
They were released, reportedly after their governments paid ransoms of around £5m each.Ms Marzullo's
father Salvatore expressed optimism after seeing the first images of his daughter in months. "It looks like they
are quite well, despite the difficult circumstances," he said. "We are happy to have seen them," he said.
Although he added: "We remain greatly concerned about their plight."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Video of Italian aid workers raises fears of high ransom
03/01/2015
The Times
Pag. 36.37
Refugees setting sail face dangers as great as any they left behind, writes Hannah Lucinda Smith
The Times
Huddled in his cold, cheap motel room and chain-smoking Syrian cigarettes, Mohammed waits for the call
from the people smuggler. When it comes, he will clamber on to a rickety boat and cast off for Italy, taking his
chances in the make-it-or-die gamble that has brought hundreds of thousands of Syrians to Europe."I want to
go to Germany," said the 30-year-old sweet-maker from Damascus. "It is the country of work. Even if I pay
with my life, I just want to go there."Mohammed's escape from Syria has already taken him across the land
border to Lebanon, then over the sea from Beirut to Mersin, a tourist resort on the Turkish coast that has
ballooned into an epicentre of the peoplesmuggling industry.The deepening crisis engulfing the Middle East
has displaced millions of people. Turkey alone is acting as host to about two million Syrian refugees, and
many of them dream of going to Europe. Sweden and Germany are the countries that most say they want to
get to, but the only way that the vast majority can go is by travelling there illegally, on the expensive and
sometimes deadly people-smuggling routes.It was from Mersin that a ship left for Italy on December 21, laden
with more than 800 refugees. They were rescued this week when it was apparently abandoned by its crew
after being set on a fixed course for the Italian coast.All along the coastline around Mersin, the lively tourism
industry knits seamlessly with Turkey's hidden human-trafficking business. Hotels double up as holding
houses where refugees wait for the smugglers' agents to bring them to secluded spots on the coastline
outside the city.One well known point is a seafront park, where groups can hide among the trees in the
darkness before they board the boats. Another is a tiny, picturesque cove, its skyline dominated by the jagged
ruins of a Roman fortress.They cast out in rubber dinghies and fishing boats, ten to fifteen people in each. It is
a well co-ordinated operation. Once they reach international waters, the refugees are transferred to bigger
boats that can hold hundreds of people, such as the Blue Sky M that was boarded by the Italian navy before
crashing into the coast of Puglia this week. They then begin the journey across the Mediterranean to Italy.For
richer customers, there are luxury add-ons. Some smugglers rent party boats, kitted out with bars and
kitchens, and stage fake wedding parties. .People who own seafront villas in the upmarket, smaller resorts up
the coast will, for a price, turn a blind eye when they rent out their properties to unusually large groups of
Syrians. But even the cheapest package - which entails nights in a grimy motel and a journey in a decrepit,
20ft boat - costs at least $5,000 (£3,200).The Syrians who stay over in Mersin on their way to Europe are
rarely the poorest; they are the ones who still have something to sell.Mohammed, however, left a dire
situation behind him. His house, in a contested Damascus suburb, had been bombed, his business had
crumbled, and he had a wife and baby whom he had planned to send for once he had managed to claim
asylum. It has taken him seven months to get this far. His wife and baby are still in Damascus.When
dreaming about a new life in the west, he had little on which to base his assumptions other than hearsay and
Hollywood. "When I get there, I will tell them that I have come to work," he said. "If I can't find work, maybe
they will put me in school." His journey has cost him $10,000; money he raised by selling his car and
emptying his bank accounts.The reality of Europe can come as a shock. Alaa, 20, a shy young man from
Damascus, had been living in Istanbul and working as a graphic designer when his family decided that they
should all try to get to Europe. He had his reservations - he loved his new home and job - but he decided to
obey his family.After paying thousands of dollars to a smuggler, they boarded a dinghy in Izmir, up the coast
from Mersin, and crossed over the sea to Greece.Once there, their plan faltered. The family didn't have
enough money to pay the smugglers to take all of them onwards across Europe, so Alaa and his younger
brother stayed in Athens. He was stuck there for six months, in a oneroom flat with six other migrants, trying
to avoid the attentions of the police."I was so shocked when I got here and saw people sleeping on the
streets," he said. "I didn't think there were any poor people in Europe. Now, I would advise anyone who is
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Revealed: tourist resort where Syrians risk all to reach Europe
03/01/2015
The Times
Pag. 36.37
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
250
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planning to go with the smugglers to just stay in Turkey."However, stories like Alaa's are rarely told in Mersin,
with the smugglers offering their services openly on Facebook. The titles on some pages are innocuous, such
as "Syrians in Mersin"; others are blatant: "Asylum and immigration to all of Europe".There can be little doubt
what, exactly, is on sale here. "Places available on a safe boat to Italy, three-day journey, leaving on the
December 27," reads one. "Price: $5,300." See page 22
03/01/2015
The Times
Pag. 37
Philip Willan Rome
Italian police were ready last night to interrogate 450 migrants after they were rescued from a 50-year-old
freight ship originally built to carry cattle.The Ezadeen, registered in Sierra Leone, was under tow by an
Icelandic ship last night and heading for the port of Corigliano Calabro after the migrants aboard had radioed
for emergency assistance, saying they had been abandoned by the people smugglers who had crewed the
vessel - the second such instance this week.Coastguard officers who were lowered on board by helicopter
found the Ezadeen wallowing out of control in rough weather after running out of fuel. On Wednesday, the
Blue Sky M, a Moldovan-flagged merchant ship with almost 800 people on board, docked in Gallipoli. It too
had radioed the Italian coastguard for help.Investigators are anxious to establish whether smugglers have
taken to using the tactic of abandonment at sea in "phantom" ships as a ruse to speed up Italy's naval rescue
service. Police in Gallipoli arrested four Syrian men believed to be the skipper and crew of the Blue Sky M.
They had allegedly attempted to pass themselves off as frightened passengers.Officials fear that these ships
could be the first of a fleet used to transport refugees from the Middle East. Most refugees have made the
dangerous crossing in old and rickety fishing boats or dinghies.Admiral Giovanni Pettorino, head of the Italian
coastguard, said: "These are merchant ships at the end of their operational lives which can be bought for
$100,000 to $150,000 and then filled with hundreds of migrants, mainly Syrians, who are ready to pay up to
$6,000 for the crossing from Turkey to Europe."The traffickers had no qualms about losing the ships at the
end of the operation, since a single trip could generate $5 million in profit.Vincent Cochetel, Europe director
for the UN High Commissioner for Refugees, said: "The use of larger cargo ships is a new trend, but it is part
of an ongoing and worrying situation that can no longer be ignored by European governments." Europe
needed to step up rescue operations in the Mediterranean sea, but also to provide legal alternatives to the
dangerous voyages.The issue of who is responsible for rescuing the thousands of migrants travelling by boat
to Italy has been hotly debated in recent months. Mare Nostrum, the earlier rescue operation mounted by
Italy, was replaced late last year by a smaller, EU-funded operation called Triton - but this, Mr Cochetel said,
was inadequate."This will undoubtedly increase the risk for those trying to find safety in Europe," he
said.More than 170,000 people have been rescued by Italy over the past 14 months, but thousands more
have perished at sea.The EU said that it would investigate the "phantom" ship claims closely, and would
increase its efforts to combat people trafficking this year. 6 The charred hulk of an Italian car ferry was towed
into the port of Brindisi yesterday at the end of another maritime drama, allowing the authorities to begin a
systematic search for bodies, and for clues to the cause of a fire that killed at least 11 people.Most of those
on board were believed to be legitimate passengers, travelling from Greece, but some survivors of the
tragedy said they had seen migrants hiding on the ship. They said that gas stoves used by the illegal
passengers might have started the fire.Rescuers who boarded the Norman Atlantic said they had seen
several bodies that could not be recovered immediately.The Italian authorities say that 477 people have been
rescued, with 11 passengers unaccounted for.Ettore Cardinali, a public prosecutor from Bari, was among the
first officials to go on board, accompanied by firefighters. Six people have been placed under investigation,
among them the captain, Argilio Giacomazzi, and the owner, Carlo Visentini.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Italians go to rescue of second migrant ship
03/01/2015
The Times
Pag. 38
The Times
Rome An Italian doctor who caught ebola in Sierra Leone has recovered from the disease and his antibodies
are being sent back to west Africa to help to fight the disease. Italian health officials said that the doctor,
identified only as Fabrizio, would leave the Spallanzani hospital in Rome where he has been treated since
November 25. Fabrizio contracted the virus while working for Emergency, an Italian charity which has sent
medical staff in Sierra Leone.Anthony Banbury, the head of the UN team fighting the virus, predicted that the
outbreak, which has killed 7,900 people, would end this year. (AFP)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Survivor's antibodies sent to fight ebola
03/01/2015
The Times
Pag. 37.39
Philip Willan Rome
From page 37 More than 80 per cent of Rome's traffic police called in sick on New Year's Eve, giving an
unintended boost to reforms making it easier to dismiss unproductive workers.The mayor's office said that
835 of 1,000 municipal officers failed to turn up for the night shift on December 31.Some claimed that they
were ill and others invoked a right to time off in return for donating blood, drawing accusations that revellers
had been put at risk.Rome's "sleeping policemen" were not the only missing state workers. Only seven of the
24 drivers due to work a night shift on one of Rome's underground lines turned up. In Naples 200 street
sweepers took time off for illness, according to Il Mattino.Rome's municipal police are locked in a dispute with
Ignazio Marino, the mayor, over his attempts to cut bonuses and impose a geographical rotation as a way of
reducing corruption.Matteo Renzi, Italy's prime minister, tweeted: "85 police in 100 in Rome did not work
'because of illness' on December 31. This is why in 2015 we will change the civil service employment
rules."Mr Renzi has passed a reform making it easier to dismiss private sector workers, but faces an uphill
task in extending it to public employees.Stefano Giannini, a police trade unionist, said city authorities had
underestimated holiday entitlements and chronic staff shortages.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Four out of five police call in sick on New Year's Eve
03/01/2015
The Times
Pag. 47
Philip Aldrick
Mario Draghi sent the euro to a fourand-a-half year low by dropping another hint that the European Central
Bank is poised to launch quantitative easing to boost eurozone economies.German government ten-year
borrowing costs fell to a record low of 0.534 per cent and yields on five-year paper went negative for the first
time, as investors anticipated money printing as soon as this month after the ECB president's interview with
Handelsblatt, the German newspaper.MrDraghi told the paper the risk that the Bank would not fulfil its
mandate to keep prices stable was greater than six months ago, underlining the likelihood that it may soon
back a sovereign debt QE stimulus package.He said: "We are in technical preparations to alter the size,
speed and composition of our measures at the beginning of 2015, should this become necessary, to react to
a too-long period of low inflation. There's unanimity in the ECB council on that."His comments drove the euro
down 0.6 per cent to $1.2026, its weakest level since June 2010. The prospect of the central bank buying up
the sovereign debt of eurozone governments pushed yields down across the board.Ten-year borrowing costs
in Italy, Spain and Portugal all hit record lows. Italy's ten-year yield fell 9 basis points to 1.79 per cent, Spain's
dropped 7 basis points to 1.53 per cent, and Portugal's fell 22 basis points to 2.47 per cent.MrDraghi's
comments came as manufacturing activity in the eurozone disappointed. The purchasing managers' index for
December showed that "factory growth more or less stagnated", Chris Williamson, chief economist at the
survey compiler Markit, said.Output, orders and employment all recorded sluggish growth. Factories cut
prices for a fourth month and German activity was weak. In France, the contraction in manufacturing
deepened.The December PMI reading was 50.6, below an earlier estimate of 50.8 but above November's
50.1. A reading above 50 indicates growth. French factory activity fell from 48.4 to 47.5, a fourmonth low.
Germany rebounded from 49.5 in November to 51.2.Mr Williamson said the data suggested the eurozone
was on course for growth of just 0.1 per cent in the final quarter of 2014. Stock markets across Europe
slumped. The pan-European FTSEurofirst 300 index fell 0.3 per cent.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Euro slides after Draghi hints QE is imminent
03/01/2015
The Times
Pag. 69
New York governor who missed his moment to run for president
The Times
His attack on Reagan's presidency electrified the convention hallThe date was December 20, 1991. President
Bush had won the first Gulf War earlier in the year. One by one, leading Democrats had found reasons not to
run against a seemingly unassailable president seeking re-election. The exception was Mario Cuomo, the
heavyweight governor of New York state and standard bearer for American liberalism. For months he had
vacillated, but this was decision day. He faced a 5pm deadline to file his candidacy in Concord, New
Hampshire, for the crucial first primary.Cuomo had discreetly prepared for a presidential bid - sounding out
potential donors, assembling a putative campaign team, scouting for office space. He comfortably led the
declared Democrat candidates in the opinion polls. Two chartered planes stood idling on the tarmac at Albany
airport, ready to fly him to Concord at a moment's notice. But as the hours ticked down the so-called "Hamlet
on the Hudson" remained holed up in the governor's mansion - deliberating, making phone calls and even
writing two statements, one declaring his candidacy and the other refuting it.Not till 3.30pm did he emerge. He
told the media throng that he would not run. He had to negotiate a stalled state budget, he explained
somewhat lamely. "I cannot turn my attention to New Hampshire while this threat hangs over the head of the
New Yorkers that I've sworn to put first." It was one of the great anticlimaxes of modern US politics. "We
breathed a huge sigh of relief," an aide to Bill Clinton, one of the Democrats' presidential hopefuls,
admitted.Would Cuomo have defeated Bush? Nobody will ever know. He was a larger-than-life politician with
a formidable intellect and silver tongue who had totally eclipsed Walter Mondale, the Democratic presidential
nominee, with his dazzling keynote speech attacking President Reagan's policies at the party's 1984
convention. But Clinton possessed all those qualities too.Unlike Clinton, governor of tiny Arkansas, Cuomo
had run one of America's biggest states for eight years and had an impeccable private life, being happily
married with five children. But he was well to the left of Clinton at a time when "liberal" was a dirty word in
America. He firmly opposed the death penalty on moral grounds and supported a woman's right to choose
abortion despite his own staunch Roman Catholicism.In the event Clinton defeated Bush anyway. Asked later
if he regretted missing out on the chance to make history, Cuomo replied with self-deprecating wit: "I will work
towards that level of egoism. I have not arrived at it yet, though."Mario Matthew Cuomo was born in Queens,
New York, in 1932, the son of Italian immigrants who ran a grocery store. Six foot and strongly built, he briefly
joined the Pittsburgh Pirates baseball team aged 19, but left after being knocked out by a pitch. Instead he
read law at St John's, a Catholic university in Queens, after marrying Matilda, a fellow student, who supported
him by teaching. They honeymooned in Italy - one of the few times he left America.He graduated at the top of
his class and applied to all New York's leading law firms. Not one was prepared to employ someone of his
ethnic background, giving him a lifelong distaste for elites. He joined a Brooklyn law firm instead, made a
name for himself by representing the put-upon, and in 1977 ran for mayor of New York - losing a run-off to
Edward Koch largely because of his opposition to capital punishment. The following year Hugh Carey, the
state governor, named Cuomo as his running mate in his successful re-election bid. When Carey stood down
in 1982 Cuomo first beat Koch, his old adversary, in the Democrat primary, and then a millionaire Republican,
to become New York's first Italian-American governor.Cuomo went on to serve for 12 years - longer than any
of his 51 predecessors except Nelson Rockefeller. He proved a hugely energetic if sometimes irascible
governor, an able administrator and a ruthless political operator, but he was constrained in what he could
achieve by recession. When he sought a fourth term in 1994 he was defeated by George Pataki, a
Republican state senator, and later lamented that he had no single great achievement by which his
governorship would be remembered.It was on the national stage that Cuomo enjoyed his finest hour. At the
Democrat's 1984 convention in San Francisco he electrified the delegates with a devastating attack on
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Mario Cuomo
03/01/2015
The Times
Pag. 69
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Reagan's presidency. He mocked Reagan's description of America as a "shining city on a hill", saying: "A
shining city is perhaps all the president sees from the portico of the White House and the veranda of his
ranch." Invoking the poor, elderly, homeless and unemployed, he declared: "Mr President, you ought to know
this nation is more a tale of two cities . . . There is despair, Mr President, in the faces that you don't see, in the
places that you don't visit, in your shining city."It was a speech that offered an expansionist, activist,
compassionate vision of government and one that made Cuomo a national celebrity.He flirted with a
presidential run four years later, and again in 1992, but decided against on both occasions. In 1993 he nearly
allowed President Clinton to nominate him for the Supreme Court, but again backed away at the last minute.
He was afflicted by self-doubt and introspection. "I am a man who knows what to do, but knows even more
sharply that he's failed by his own standards to do it as well as can be done," one entry in his voluminous
diaries read. He was a man who had lived in New York all his life, disliked travel, and cherished the privacy of
his home. Even on the night of his great speech in San Francisco, he flew back to the East coast so he could
sleep in his own bed.After losing the governorship during the "Republican revolution" of 1994 he joined a
Manhattan law firm, gave speeches, wrote books and even appeared in advertisements for Doritos. In 2010
he watched his eldest son, Andrew, win the New York governorship. It was the first time a father and son had
both been elected to the post.On Thursday night, just hours after his son had been sworn in for a second
term, Cuomo died of heart failure. He had been too unwell to attend the ceremony. He is survived by his wife
and four other children - Maria, a film producer; Margaret, a radiologist and author; Madeline, a lawyer; and
Christopher a CNN television journalist.Andrew Cuomo used his inauguration speech to laud his father's
"inspiration and his legacy", but ultimately Cuomo may be remembered more for what he did not do than for
what he did. He appeared tacitly to acknowledge that when The New York Times asked how he would like to
be recalled. "I tried," he replied. Mario Cuomo, governor of New York, was born on June 15, 1932. He died on
January 1, 2015, aged 82
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 6,7,8,
La Tribune
En France, êtes-vous parvenu à un accord avec Airbus sur le futur satellite de télécoms militaires Comsat NG
? Sur Comsat NG, nous avons trouvé un accord avec Airbus, un accord entre industriels. Je ne sais pas ce
que va décider le client, la DGA et le ministère de la Défense. C'est au client de décider de la voie qu'il veut
retenir entre différents modes d'acquisition. Avec Airbus, nous avons eu beaucoup de discussions et nous
pouvons faire une proposition commune à la DGA. Discutez-vous avec Airbus de rationalisations, de
consolidations ? Nous ne discutons pas. Depuis deux ans, ma position est inchangée. Avant de parler fusion
ou rachat, il devrait y avoir la possibilité de coopérer de façon pragmatique comme on le fait sur l'observation
haute résolution à l'export. Nous pourrions le faire sur un certain nombre de sujets au cas par cas. Pas de
big-bang alors ? Tout ce qui est structurel dépend de mes actionnaires Thales et Finmeccanica. En revanche,
je peux donner mon opinion en tant qu'industriel sur le volet rationalisations. Il existe dans le domaine des
satellites beaucoup de synergies et d'adhérences technologiques avec le groupe Thales : optique,
optronique, communications satellitaires, communications sol, communications bord avec l'avionique à
l'image du contrat Inmarsat en vue d'amener internet dans les avions. Le contrat a été signé entre Inmarsat,
Thales et TAS. Nous sommes bien dans le groupe Thales. L'Italie aura-t-elle assez d'argent pour le système
CosmoSkymed ? L'Italie a agréablement surpris à la conférence ministérielle en finançant les lanceurs pour
soutenir Vega, l'ISS et Exomars. Les Italiens ont donc versé une très grosse contribution. Ils sont le troisième
contributeur. Sur leurs programmes nationaux, nous remercions le gouvernement italien qui s'implique
vraiment afin que nous puissions poursuivre au rythme actuel le programme CosmoSkymed en 2015. Nous
espérons qu' une solution soit trouvée avant Noël. Le premier des deux satellites du système CosmoSkymed
doit être livré en 2017. Où en êtes-vous avec Stratobus ? Ces derniers mois, nous avons relancé beaucoup
l'innovation dans TAS, notamment technologique. Nous avons effectivement beaucoup avancé sur le projet
Stratobus qui est un projet de ballon en orbite à 20 km, inscrit dans les 34 projets d'avenir. Nous On espérons
dès 2015 obtenir les financements qui vont nous permettre de lancer les études pour disposer en 2020 d'un
premier produit disponible pour le marché. En outre, nous avons plein d'autres initiatives internes. Par
exemple, nous avons signé un partenariat avec NTU, une université à Singapour, pour travailler sur les mini
ou micro-satellites. Nous avons envoyé une équipe dans les locaux de Thales Singapour qui travaille avec
cette université.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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LES SUCCES DE THALES ALENIA SPACE NE SONT PAS UN MIRACLE
(JEAN LOIC GALLE, PDG )
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 69,70,71
LATRIBUNE.FR
L'euro, qui valait 1,25 dollar le 16 décembre, est tombé momentanément sous 1,20 dollar vendredi 2 janvier,
au plus bas depuis juin 2010. Les déclarations de Mario Draghi, qui veut accélérer le pas, donnant à penser
qu'il renforcera son action contre la déflation ("Quantitative Easing") dès le 22 janvier, expliquent ce
mouvement L'euro poursuivait sa chute face au dollar vendredi, lesté par les commentaires du président de
la Banque centrale européenne (BCE) Mario Draghi sur la préparation de mesures en réponse au risque de
déflation en Europe. L'euro est tombé ce vendredi jusqu'à 1,197 dollar, alors qu'il valait encore 1,25 dollars le
16 décembre. A moins de 1,20 dollar, il est au plus bas depuis juin 2010. Cette accélération tient pour
l'essentiel au lancement probable le 22 janvier d'une politique monétaire plus accomodante, destinée à éviter
la plongée de l'Europe dans la déflation.DRAGHI ENVISAGE DE NOUVELLES MESURESDans son
interview au quotidien économique allemand Handelsblatt vendredi, Mario Draghi a signalé que la BCE se
préparait "techniquement pour modifier début 2015 l'ampleur, le rythme et le caractère des moyens à mettre
en place s'il devenait nécessaire de réagir à une trop longue période d'inflation trop faible".
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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DRAGHI VEUT AGIR VITE, LA CHUTE DE L'EURO S'ACCELERE
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 92,93
LATRIBUNE.FR (AVEC AFP)
Le navire a été abandonné par son équipage. L'armée de l'air italienne a lancé une opération de sauvetage.
Machines en panne et abandonné par son équipage, un navire dérivait dans la nuit de jeudi à vendredi près
des côtes de l'Italie, avec 450 immigrés clandestins à son bord. Mais dans la matinée six hommes des gardecôtes italiens ont été déposés sur le cargo par un hélicoptère de l'aéronautique militaire et sont parvenus à en
prendre le contrôle, a indiqué la marine militaire italienne. Cette nouvelle affaire de clandestins abandonnés
en pleine mer par les passeurs, qui rappelle l'odyssée du cargo Blue Sky M au début de la semaine, a été
signalée par les garde-côtes italiens dans la soirée de jeudi.CONDITIONS MÉTÉO DIFFICILES"Il y a 450
migrants à bord d'un navire marchand, qui n'a pas d'équipage, et qui s'approche de la côte des Pouilles", ont
indiqué les garde-côtes sur leur compte Twitter. Vers minuit heure locale (23h00 GMT), l'armée de l'air
annonçait qu'il se trouvait à 65 kilomètres au large du cap de Leuca, à la pointe sud-est de l'Italie, dans une
mer agitée, et précisait :
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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ITALIE: LA MARINE PREND LE CONTROLE DU NAVIRE DERIVANT AVEC
450 CLANDESTINS A BORD
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 96,97
LATRIBUNE.FR (AVEC AFP)
Le président de la BCE juge cependant que le risque de voir son institution ne pas parvenir "à remplir (son)
mandat concernant la stabilité des prix est plus élevé qu'il y a six mois". S'il ne peut être totalement écarté, le
risque de déflation en Europe serait relativement faible à en croire le président de la BCE Mario Draghi. C'est
en tout cas ce qu'il assure dans une interview au quotidien économique allemand Handelsblatt de vendredi,
tout en affirmant que la BCE se prépare à cette éventualité:"Le risque (d'une déflation) n'est pas exclu mais il
est limité"UN OBJECTIF DUR À ATTEINDREIl juge cependant que le risque de voir son institution ne pas
parvenir "à remplir (son) mandat concernant la stabilité des prix est plus élevé qu'il y a six mois". "Nous
sommes en train de nous préparer techniquement pour modifier début 2015 l'ampleur, le rythme et le
caractère des moyens à mettre en place s'il devenait nécessaire de réagir à une trop longue période
d'inflation trop faible", a-t-il expliqué, ajoutant: "il y a là-dessus une unanimité au sein du directoire". L'inflation
pointait à 0,3% seulement en novembre et devrait passer rapidement en territoire négatif, avec la chute des
cours du pétrole.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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DEFLATION: "LE RISQUE N'EST PAS EXCLU MAIS IL EST LIMITE"
(DRAGHI)
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 117
LATRIBUNE.FR (AVEC AFP)
L'homme d'affaires italien a retiré son offre d'achat sur le Club Med, après plusieurs mois d'affrontement avec
le conglomérat chinois Fosun. Il compte même céder ses parts dans l'entreprise de loisirs. Enfin un épilogue
à la longue OPA sur le Club Med. L'homme d'affaires italien Andrea Bonomi renonce à s'emparer du groupe
de loisirs français après la surenchère de son rival Fosun et ses alliés Français, Brésiliens et Portugais. Le 19
décembre le consortium avait déposé une nouvelle offre valorisant le Club Med 939 millions d'euros. Un
niveau que n'a pas pu suivre Andrea Bonomi.GLOBAL RESORTS NE PEUT PLUS SUIVREGlobal Resorts,
sa société, justifie ainsi ce choix dans un communiqué: "la situation actuelle et les niveaux de valorisation ne
permettent plus de considérer que le Club Med constitue une opportunité d'investissement". L'entreprise
propose même de céder les 18,9% de capital du Club Med qu'il détient. De son côté le Chinois Fosun a fait
savoir l'AFP qu'il "prend note avec satisfaction de cette décision". Celle-ci met un terme à l'une des plus
longues OPA parisienne de l'histoire, que l'Autorité des Marchés financiers a d'ailleurs tenté d'accélérer.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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BONOMI RENONCE AU CLUB MED APRES LA DERNIERE SURENCHERE
DE FOSUN
05/01/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 138
LATRIBUNE.FR (AVEC AFP)
Le contrat stipule que cette flotte d'hélicoptères spécialisés dans les opérations offshore sera assemblée en
Russie. Le géant pétrolier russe Rosneft a annoncé mercredi un accord avec le constructeur anglo-italien
AgustaWestland, filiale de Finmeccanica, prévoyant la commande de 160 hélicoptères spécialisés dans les
opérations offshore AW189, qui seront assemblés en Russie malgré le contexte de sanctions occidentales
entre Moscou et les Occidentaux.PREMIER CLIENTAugustaWestland va constituer une société commune
avec le constructeur russe Rousskié Vertolioty, filiale de la holding publique Rostec, en vue de produire des
AW189 sur les lignes de ce dernier dans la région de Moscou. Rosneft "sera le premier client" de ces
appareils et prévoit d'en acquérir 160 d'ici à 2015, a précisé le groupe pétrolier dans un communiqué.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
262
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ROSNEFT ACHETE 160 HELICOPTERES A FINMECCANICA, MALGRE LES
SANCTIONS
03/01/2015
Le Figaro
Pag. 6
AFP
Assises devant un mur blanc, vêtues de robes noires et coiffées d'un foulard, deux jeunes femmes affirmant
être Vanessa Marzullo et Greta Ramelli, des humanitaires italiennes disparues en Syrie début août, sont
apparues dans une vidéo qui a commencé à circuler mercredi sur Internet. Dans cet enregistrement mis en
ligne sur YouTube, titré « Le Front al-Nosra détient deux Italiennes en raison de la participation de leur
gouvernement à la coalition » , l'une des deux femmes tient à la main un morceau de papier sur lequel est
écrite la date du 17 décembre. La seconde prend la parole pour appeler Rome à les ramener à la maison
avant Noël. Un autre citoyen italien, le père jésuite Paolo Dall'Oglio, est également toujours porté disparu
dans le nord de la Syrie depuis juillet 2013.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'appel à l'aide des otages italiennes
03/01/2015
Le Figaro
Pag. 7
TANGUY BERTHEMET @tanguyber
ITALIE Les secouristes italiens ont de nouveau repris la mer. Jeudi soir, un navire a été repéré, en pleine
dérive, en direction de la péninsule. L'Ezadeen, un bateau de 73 mètres battant pavillon de la Sierra Leone,
semblait en perdition, avec à son bord plusieurs centaines de candidats à l'exil. Les autorités maritimes ont
longtemps tenté de contacter le cargo, avant qu'une femme, sans doute l'une de ces migrants, ne réussisse à
expliquer la situation par radio : « Nous sommes seuls, il n'y a personne, aideznous. »Six spécialistes ont
alors été hélitreuillés à bord et sont parvenus à prendre le contrôle du cargo. L'Ezadeen avait été abandonné
par son équipage, le pilote automatique avait été enclenché vers les côtes italiennes, mais ses cuves étaient
vides de carburant. Remorqué, le navire est arrivé vendredi vers 23 heures dans le port de Corigliano, en
Calabre, selon les garde-côtes italiens.Selon les autorités italiennes, environ 450 clandestins seraient
entassés sur cette épave réservée au transport de bétail. « On ne connaît pas leur nombre exact, mais on
sait qu'il y a beaucoup d'enfants et de femmes dont une qui est enceinte » , souligne Filippo Marini, la porteparole de la marine italienne. L'origine de ces passagers est également inconnue, mais ils sont sans doute
pour l'essentiel syriens. De fait, le navire, officiellement en route pour Sète, avait été signalé à Famagouste à
Chypre mi-décembre et début décembre à Tartous en Syrie. L'Ezadeen battait jusqu'en 2010 pavillon syrien
sous le non de Joudi S.Le scénario du drame de l'Ezadeen ressemble a s'y méprendre à celui du Blue Sky
M. Ce cargo moldave avait été secouru jeudi avec à son bord 765 migrants syriens alors qu'il avançait, lui
aussi, sans un équipage complet, sur pilote automatique droit vers la côte italienne. Les passagers ont
finalement été accompagnés par les garde-côtes au port de Gallipoli, en Italie. Déjà, le 20 décembre, un
premier navire poubelle, avec 800 clandestins, s'était signalé avant d'être récupéré dans des conditions
similaires au large de la Sicile.Ces trois sauvetages, impératifs pour éviter autant d'hécatombes, semblent
démontrer que les réseaux de trafic d'êtres humains ont mis au point une nouvelle stratégie. Le cas de
l'Ezadeen « est seulement le dernier en date d'un phénomène inquiétant ces dernières semaines, avec déjà
une dizaine de navires de commerce, en mauvais état et difficilement maniables, chargés de migrants » , ont
souligné les garde-côtes italiens. « Les sauvetages du Blue Sky M il y a deux jours et de l'Ezadeen montrent
que les trafiquants trouvent de nouveaux moyens pour pénétrer sur le territoire de l'UE » , a affirmé de son
côté l'Union européenne.L'achat de ces bateaux hors d'âge (l'Ezadeen date de 1966, le Blue Sky M de 1976),
coûtant tout au plus quelques centaines de milliers de dollars, est largement à la portée des trafiquants. Le
passage, facturé de 2 000 à 4 000 dollars, permet de dégager d'importants bénéfices. Le système est loin
d'être récent, de vieux chalutiers sont utilisés depuis des années. La nouveauté tient à la taille des navires et
au fait qu'ils soient désormais abandonnés par l'équipage pour forcer les secouristes à intervenir.Cette
tactique a sans soute plusieurs causes. D'abord, l'afflux de réfugiés syriens qui a ouvert un « nouveau
marché » . Ensuite, la fin de Mare Mostrum, une opération de recherche systématique des bateaux pleins de
migrants qui oblige les rafiots à se signaler. Enfin, les conditions de mer en hiver et la dégradation de la
situation sécuritaire en Libye qui ont forcé les passeurs à trouver de nouveaux points de départ plus lointains
et donc des bateaux plus importants.
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La nouvelle stratégie perfide des passeurs de migrants
03/01/2015
Le Figaro
Pag. 17
BERTILLE BAYART
LOISIRS Trop cherLa dernière surenchère du groupe chinois Fosun a eu raison des ambitions d'Andrea
Bonomi. L'investisseur italien a décidé de « ne pas poursuivre (son) investissement dans Club Méditerranée
». L'interminable bataille boursière pour le contrôle du groupe de tourisme va donc prendre fin, près de vingt
mois après la première offre de Fosun. Depuis le 20 décembre, Fosun - adepte depuis le début d'une
tactique de surenchères a minima que certains ont baptisée «supplice chinois» - propose 24,60 euros par
action du Club. Cela valorise l'entreprise de quelque 939 millions d'euros. C'est 45 % de plus que ce qu'il
offrait en juin 2013. L'effort qu'a dû consentir Fosun pour s'emparer finalement du Club mettra la pression sur
l'entreprise, afin de rentabiliser l'investissement de son nouvel actionnaire, qui mise à la fois sur la montée en
gamme de l'entreprise et son développement sur le marché chinois. Mais vendredi soir, l'heure était au
soulagement après l'abandon d'Andrea Bonomi. La direction du Club, à commencer par son PDG, Henri
Giscard d'Estaing, a toujours défendu l'offre chinoise. Un proche se félicitait de la constance du front que le
Club, son conseil et sa direction ont opposé à l'Italien. Ce dernier a en tout cas décidé de quitter
définitivement la partie, puisqu'il a précisé qu'il apporterait ses titres (plus de 18 % du capital) à Fosun ou les
vendrait sur le marché. Autant dire qu'il est loin d'avoir tout perdu puisqu'il s'apprête à encaisser une plusvalue.
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Club Med: l'Italien Andrea Bonomi jette l'éponge
03/01/2015
Le Figaro
Pag. 20
Le Figaro
Le risque de déflation dans la zone euro« n'est pas exclu, mais il est limité » , a déclaré le président de la
Banque centrale européenne dans sa première interview de l'année au quotidien économique Handelsblatt,
la bible des milieux d'affaires allemands. Mario Draghi confirme que les gouverneurs de la BCE ont l'arme au
pied : « Nous sommes en train de nous préparer techniquement pour modifier début 2015 l'ampleur, le
rythme et le caractère des moyens à mettre en place s'il devenait nécessaire de réagir à une trop longue
période d'inflationtrop faible. » Ces propos ont provoqué vendredi une rechute de l'euro, tombé à 1,2026
dollar, au plus bas depuis juin 2010. Même si Mario Draghi n'a pas parlé « d'assouplissementquantitatif » ,
les marchés ont compris qu'il s'agissait de cela. Le 4 décembre, il avait annoncé, lors de son dernier conseil,
que la BCE se prononcerait« début 2015 » , soit le 22 janvier à Francfort ou le 5 mars à Chypre, lieu de la
réunion suivante. Mais concernant de telles mesures mal vues outre-Rhin, les observateurs estiment que la
première date est de loin la plus probable. J. P. R.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Mario Draghi prépare l'opinion publique allemande à des mesures
antidéflation
05/01/2015
Le Figaro
Pag. 25
N. B.
Si le parti d'extrême gauche Syriza remporte les élections grecques du 25 janvier, son leader Alexis Tsipras
entend remettre en cause la politique de rigueur dans son pays tout en profitant de toutes les aides
financières apportées par l'Europe. Samedi, c'est à la Banque centrale européenne qu'il s'est adressé : le
programme « d'assouplissement quantitatif »QE en anglais - que la BCE pourrait mettre en place
prochainement pour sortir la zone euro de la déflation « doit inclure la Grèce », a insisté Alexis Tsipras, alors
que le pays sous assistance financière de la troïka (UE-BCE-FMI) risque d'en être exclu. Le « QE » consiste
pour une banque centrale à racheter des dettes d'États sur les marchés en créant des liquidités pour tenter
de relancer la croissance. Les Allemands critiquent ce procédé qui risque de créer des bulles ou d'inciter les
États en crise à reporter leurs réformes. Le patron de la Bundesbank, Jens Weidmann, freine autant que
possible cette décision. La prochaine réunion des gouverneurs de la BCE aura lieu le 22 janvier. Les
élections grecques, qui se tiendront trois jours plus tard, conduiront peut-être le président de la banque
centrale Mario Draghi à reporter son annonce.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Tsipras espère profiter du programme de la BCE
05/01/2015
Le Figaro
Pag. 27
L'Italien Bonomi a jeté l'éponge vendredi, laissant le groupe Fosun prendre le contrôle du groupe de
tourisme.
[email protected] BERTILLE BAYART
TOURISME C'est la fin d'une bataille boursière historique, la plus disputée qu'ait connue la place de Paris. Et
c'est le groupe chinois Fosun qui en est le vainqueur. Cette fois, plus rien ne devrait venir lui barrer la route
du rachat du Club Med. Vendredi soir, son rival italien, l'investisseur Andrea Bonomi, a en effet déclaré forfait.
Après des mois de bataille boursière, Bonomi a jugé que le jeu n'en valait plus la chandelle. La dernière offre
mise sur la table avant Noël par Fosun, à 24,60 euros par action Club Med, sera donc la bonne. Cette offre
n'a plus que des étapes formelles à franchir pour être menée à bien sur le marché dans le courant du mois
de janvier.La persévérance du groupe chinois n'aura donc pas été vaine. Fosun est entré au capital du Club
Med en 2010. Il en est depuis le partenaire, notamment au travers des villages que le groupe français
implante en Chine (3 en activité, 2 en construction). Sa première offre publique sur le capital du groupe
français remonte à juin 2013. À l'époque, Fosun, allié au fonds d'investissement tricolore Ardian, ne proposait
que 17 euros l'action. Autant dire qu'il a fallu à Guo Guangchang, le fondateur de Fosun, de la patience (ses
ambitions avaient été contestées par des minoritaires en justice) et beaucoup plus de moyens puisqu'il va
payer le Club 45de plus (939 millions d'euros) qu'il ne l'envisageait initialement. Le groupe chinois
s'acquittera de ce chèque essentiellement en fonds propres (seulement 280 millions de dettes) et en mettant
à contribution quelques partenaires ainsi que l'assureur portugais Fidelidade qu'il possède.Épilogue d'une
bataille boursière historiqueLa victoire de Fosun, conseillé par la Société générale, est aussi celle d'Henri
Giscard d'Estaing, le PDG du Club Med, qui s'est allié à cette offre chinoise qui conforte sa stratégie de
montée en gamme du Club Med, menée depuis dix ans. À l'inverse, Andrea Bonomi n'avait pas de mots
assez durs pour critiquer la gestion du Club, dont les résultats financiers n'ont pas été à ce stade à la hauteur
des investissements consentis. Après le retrait de l'Italien, le Club va devoir panser ses plaies. La férocité et
la longueur de la bataille qui vient de se jouer ont mis les nerfs des salariés et des dirigeants à rude épreuve,
tandis que l'entreprise a été contrainte à l'immobilisme en attendant que son sort soit tranché.Guo
Guangchang et Henri Giscard d'Estaing vont désormais pouvoir dérouler leur feuille de route qui sera
d'autant plus exigeante pour le Club que son nouveau propriétaire chinois l'aura payé très cher.Leur objectif :
poursuivre la montée en gamme du groupe, dont les villages classés 4 et 5 tridents affichent des niveaux de
rentabilité bien supérieurs aux 3 tridents souvent hérités de l'époque des « Bronzés » ; et accélérer son
internationalisation pour retrouver de la croissance. L'avenir du Club se jouera ainsi en grande partie en Asie,
et surtout en Chine, dont l'appétit pour le tourisme explose. Mais le Club veut aussi miser sur l'Amérique
latine, notamment au Brésil. Dans ce pays, l'investisseur Nelson Tanure négocie avec Fosun une entrée
jusqu'à 20 % du capital du holding d'acquisition du Club. À la clef, un plan de développement de plusieurs
villages au Brésil. Au total, les nouveaux propriétaires envisagent 1,1 milliard d'euros d'investissements sur la
période 2015-2017 (dont 250 millions financés par les partenaires immobiliers). Ils pourraient aussi procéder
à une introduction en Bourse du Club Med sur une place asiatique. Des projets dont Andrea Bonomi estimait
qu'ils négligeaient trop la clientèle française des Club, qui représente encore 36 % de ses « GM » (gentils
membres).Fosun ne devrait avoir aucun mal à convaincre les actionnaires du Club Med de lui apporter leurs
titres à un prix que beaucoup jugent inespéré. Mais le groupe chinois doit encore montrer patte blanche
auprès de l'opinion. Alors que la classe politique était restée muette pendant la bataille, se gardant d'arbitrer
entre une offre amicale chinoise et une offre hostile européenne, l'épilogue provoque aujourd'hui des
réactions.Florian Philippot, pour le FN, a fustigé une opération qui rallonge la liste des entreprises françaises
passées sous pavillon chinois et un gouvernement « scandaleusement inactif sinon complice » . JeanChristophe Cambadélis, le patron du PS, a dénoncé en retour des commentaires « racistes et alarmistes » .
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
268
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Le Club Med passe sous pavillon chinois
05/01/2015
Le Figaro
Pag. 28
Le gouvernement en profite pour relever impôts, taxes et tarifs publics.
Jean-Pierre Robin
Aux cours actuels du pétrole, il en résultera une économie de 15 à 20 milliards d'euros en 2015 sur la facture
pétrolière du pays, pratiquement 1du PIB annuelLe 1er janvier 2015 restera dans les annales comme un
exceptionnel feu d'artifices de hausses d'impôts, de relèvements de taxes et d'augmentations de tarifs
publics. La sainte trinité est au complet. Y compris les prélèvements sociaux, qui s'assimilent de moins en
moins à des cotisations d'assurance - ce qu'ils devraient être en principe - et de plus en plus à des impôts :
ainsi la CSG des retraités verra désormais son taux dépendre du niveau de leurs ressources individuelles,
une progressivité comparable à celle de l'impôt sur le revenu !Cette salve grandiose traduit
fondamentalement l'impéritie des pouvoirs publics dans la gestion de leurs budgets et la préférence invétérée
de François Hollande pour la fiscalité et son alourdissement. Mais le nouveau matraquage correspond aussi
à un facteur permissif providentiel : la chute de moitié des prix du pétrole sur le marché mondial depuis l'été
devrait faire passer les douloureuses fiscales et tarifaires sans trop de pleurs. La tentation était trop forte pour
le gouvernement d'accroître encore les prélèvements publics. L'occasion fait le larron.Mais est-ce vraiment le
meilleur usage possible de cette manne à triple détente ? Car, outre le pétrole bon marché, la baisse des
taux d'intérêt et celle de l'euro constituent également un ballon d'oxygène pour notre économie. Observons
que « l'alignement des trois astres » , pour reprendre l'expression du président de la République féru
d'astrologie, n'est pas inédit dans le paysage français.Cette configuration a déjà existé le 1er janvier 1999,
lors de la création de l'euro. La monnaie unique n'avait eu de cesse de s'enfoncer durant les deux premières
années de son existence, au point de ne plus valoir que 0,84 dollar à l'automne 2000. Et il y a seize ans le
baril de pétrole se négociait à 10 dollars, car l'économie mondiale subissait alors le contrecoup de ce qu'on
avait appelé « la crise asiatique ». Quant aux taux d'intérêt, la France avait bénéficié à l'époque d'une baisse
exceptionnelle : ce fut le cadeau d'entrée dans l'euro qui nous assurait une crédibilité sur les marchés
financiers comme notre pays n'en avait connue depuis les années 1960 et le début de la Ve République.Or
qu'avons-nous fait de la triple aubaine miraculeusement apparue à la fin de la décennie 1990 ?
Rétrospectivement on sait que cela a coïncidé avec l'amorce du déclin pour la compétitivité du « made in
France ». La chute a été ininterrompue à partir de l'année 2000 et la mise en place de la loi sur les 35
heures. Cette réforme elle-même n'aurait sans doute jamais pu voir le jour si la conjoncture française n'avait
pas bénéficié « de l'alignement des trois astres » : le pétrole très bon marché avait redonné des marges aux
entreprises et par ailleurs l'euro nous avait doublement facilité la tâche. Sa faiblesse sur les marchés des
changes avait favorisé nos exportations. Et d'autre part la nouvelle monnaie avait formé un bouclier vis-à-vis
des marchés financiers, qui sans cela se seraient grandement inquiétés de l'instauration des 35 heures.La
crainte est que de nouveau la France de 2015 s'adonne aux « délices de Capoue » pour dilapider le trésor
tombé du ciel. Car on ne saurait en sous-estimer l'ampleur. Aux cours actuels du pétrole, il en résultera une
économie de 15 à 20 milliards d'euros en 2015 sur la facture pétrolière du pays, pratiquement 1 % du PIB, de
la richesse produite annuellement. Les entreprises en profiteront plus ou moins selon leur consommation
d'hydrocarbures. Dans certains secteurs comme les transports, le bénéfice en sera supérieur aux
allégements de charges attendus à travers le CICE et le pacte de responsabilité, estime l'institut de
conjoncture COE-Rexecode. Quant aux ménages, ils en tireront avantage au prorata de leurs achats de
carburants.C'est dans ce contexte que le gouvernement a autorisé les entreprises publiques à faire bondir
leurs tarifs : 15 % pour les timbres, 4,3 % pour les cartes RATP des Parisiens, 2,6 % sur les chemins de fer,
etc. La SNCF est emblématique à cet égard : depuis que Guillaume Pepy est arrivé à sa direction générale
en 1998, les tarifs voyageurs se sont envolés de 49 % (avant la hausse de 2,6 %), selon l'Insee.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La baisse du pétrole, des taux et de l'euro, une triple aubaine et si facile à
gaspiller !
05/01/2015
Le Figaro
Pag. 28
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Pratiquement deux fois plus vite que le taux d'inflation en France sur cette période. Le patron de la SNCF
semble manifestement avoir la pépie, cette maladie qui consiste pour les oiseaux à avoir toujours soif, de
liquidités monétaires en l'occurrence. Alors que le président de la BCE, Mario Draghi, s'arrache les cheveux
pour relancer l'inflation dans la zone euro, il devrait demander comment s'y prendre à Guillaume Pepy.Le
spectre de la déflation paraît d'ailleurs très exagéré en France où toutes les rigidités se liguent pour le
terrasser : même si l'indice des prix n'a augmenté que de 0,3 % en douze mois, le smic a été relevé de 0,8 %
au 1er janvier 2015. Ce qui est certes bien moins que les hausses en rafale que le smicard aura à subir sur
ses dépenses hors carburants.Les Français et leur gouvernement sont-ils en train de dilapider le contre-choc
pétrolier dont ils attendent monts et merveilles, un regain de compétitivité et d'emploi ? La question se pose,
à voir avec quelle avidité le secteur public protégé de la concurrence s'y prend pour obtenir sa part du
gâteau. « La SNCF va ainsi pouvoir poursuivre ses investissements en termes de maintenance, sa priorité,
ainsi que ses investissements sur le matériel, les systèmes d'information et la relation clients », plaide le
ministère des Transports pour défendre la gratification de 2,6 %. Ben voyons.
03/01/2015
Le Monde
Pag. 1.2
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Maryline Baumard
Le petit marchand de fruits de mer n'aura pas été la vedette du port de Gallipoli, jeudi 1er janvier. Pas plus
que son voisin, qui arbore pourtant avec fierté ses vins de propriété. Dans cette ville balnéaire du sud de
l'Italie, l'œil du promeneur s'arrête à peine sur les huîtres et les bouteilles, pas plus sur les restes des feux
d'artifice de la nuit de la Saint-Sylvestre. Le passant n'a d'yeux que pour le Blue-Sky-M. C'est même le but de
la promenade de ce jour de Nouvel An : un cargo-poubelle amarré et protégé derrière les grilles de la
capitainerie. A Gallipoli, même les voitures roulent au pas le long du quai, une vitre baissée malgré le froid,
pour mieux l'apercevoir.Fort de ses 38 ans et de ses tonnes de rouille, le Blue-Sky-M a bien failli devenir le
cercueil des 797 migrants, syriens et kurdes, qu'il transportait. Si, dans la nuit du 30 au 31 décembre 2014,
les garde-côtes italiens n'étaient pas parvenus, in extremis, à déverrouiller ses moteurs bloqués à plein
régime en direction des côtes rocheuses, le cargo se serait fracassé avant de sombrer. Montées à bord du
bateau ivre et abandonné par son équipage, les autorités portuaires ont réussi, à neuf kilomètres des terres,
à en prendre les commandes. Selon La Repubblica, l'équipage - aujourd'hui sous les verrous - aurait
abandonné son poste pour se déguiser en migrants. Le bateau venait vraisemblablement de Turquie puis de
Bulgarie. La base de données en ligne MarineTraffic a trouvé trace de son passage dans ces deux pays
depuis novembre 2014. Il devait se rendre en Croatie et suivait cette route avant de subitement changer de
direction à hauteur des Pouilles.A Gallipoli, cette arrivée massive de clandestins sauvés in extremis a suscité
un élan de solidarité. " Ici les gens sont très généreux. Il y a une culture catholique du partage, de l'aide. Dès
qu'ils ont appris que le cargo était à quai ici, beaucoup ont apporté de la nourriture et des manteaux ", se
réjouit Roberto Perrono, qui a grandi là. Une quarantaine de passagers ont dû être hospitalisés à l'arrivée,
notamment pour hypothermie. Le navire avait d'ailleurs été contrôlé par les autorités grecques à la suite de
l'appel sur le numéro d'urgence 112 passé par un passager ne supportant plus la sous-nutrition, le manque
d'eau et de couvertures. Les autres ont été répartis dans les écoles de la ville.A quatre-vingts kilomètres de
là, sur la côte qui fait face à la Grèce, un autre bateau jouait lui aussi les tristes vedettes. Dans le port de
Brindisi, les télévisions ont stationné leurs camionnettes-régie et sorti leurs paraboles depuis trois jours, dans
l'attente du mouillage du Norman-Atlantic. Parti de Patras, dans le sud de la Grèce, dimanche matin, le ferry
aurait dû rallierAncône, en Italie, si un incendie ne s'était déclaré à son bord. Un sinistre d'une ampleur
suffisante pour nécessiter une opération de sauvetage conjointe des Italiens, des Grecs et des Albanais. Le
bilan, officiellement de treize morts, pourrait être bien supérieur, compte tenu de la présence quasi certaine
de migrants cachés dans les camions transportés par le ferry. Une fois au port - où il devait arriver vendredi
matin après un laborieux remorquage dans une mauvaise mer -, l'investigation continuera pour tenter de
retrouver ces clandestins. A l'heure actuelle, si les autorités grecques estiment que dix-huit passagers
manquent encore à l'appel, les Italiens, eux, évaluent leur nombre à 98, comme l'a rappelé Guiseppe Volpe,
le procureur de Bari. Les Grecs étaient les plus nombreux parmi les passagers enregistrés officiellement,
mais il y avait aussi dix Français.En 2014, 3 419 personnes ont officiellement péri en tentant de gagner
l'Europe par la mer. Cette hécatombe a valu à la Méditerranée le triste surnom de " route la plus meurtrière
du monde ". Et la succession, à quelques jours d'intervalle, les épisodes du Norman-Atlantic et du Blue-Sky,
placent 2015 sous le signe de la migration à tout prix. Ils illustrent en un même lieu les différents modes
d'entrée en Europe et leur évolution.Avec le Norman-Atlantic, les migrants ont tenté leur chance en solo, se
cachant dans des camions pour pouvoir monter dans le ferry. Deux Afghans et un Syrien, qui ont échappé à
l'incendie, ont d'ailleurs demandé l'asile à l'Italie. Qui sait combien n'ont pas eu cette chance, et ont péri dans
le plus complet anonymat ? Même une enquête bien menée a peu de chances d'honorer la mémoire de tous.
Le préfet de Bari tient d'ailleurs d'ores et déjà pour acquise la présence de clandestins à bord de ce
bateau.Le Blue-Sky-M, lui, interpelle à la fois sur les réseaux de passeurs, capables d'abandonner leur
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Bateaux fantômes en Méditerranée
03/01/2015
Le Monde
Pag. 1.2
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
272
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cargaison humaine à une mort certaine, et sur la deuxième vie des navires commerciaux. Aujourd'hui sous
pavillon moldave, avec une entreprise roumaine comme dernier propriétaire connu, le Blue-Sky-M a un passé
très chargé et un âge quasi canonique (38 ans de navigation).L'association Robin des Bois dénonçait jeudi
dans un communiqué les 115 déficiences relevées au cours de 20 inspections menées entre juin 2007 et avril
2014. Or, ce type de bateau est de plus en plus souvent rempli par des passeurs avant d'être abandonné en
pleine mer, pour éviter toute poursuite à l'arrivée. Cette formule est même en train de se substituer aux
canots de fortune qui étaient affrétés pour quelques dizaines de passagers et bien souvent, eux aussi, coulés
avant l'arrivée. En 2014, le total des arrivées en Italie a dépassé 160 000 personnes, soit une moyenne de
450 migrants par jour, dont plus de la moitié sont syriens ou érythréens. A Gallipoli comme à Brindisi, la
mémoire du Blue-Sky et du Norman-Atlantic sera vite effacée par d'autres navires.
03/01/2015
Le Monde
Pag. 2
(diffusione:30179, tiratura:91840)
M. B.
Le nouveau bateau fantôme et ses 450 migrants devaient accoster en France dans le port de Sète. Sa route
va s'arrêter avant. Jeudi 1er janvier au soir, alors que l'Italie du Sud grelottait, en proie à des vents glaciaux,
les gardes-côtes ont reçu un nouvel appel au secours, après celui du Blue-Sky-M quelques jours auparavant.
Un passager du navire commercial Ezadeen, manifestement sans équipage aux commandes, demandait de
l'aide.Ce navire se trouvait alors au large du cap de Leuca, à 130 kilomètres des côtes italiennes, dérivant à
la suite d'une avarie de moteur. L'information a été rapidement divulguée par les gardes-côtes italiens sur
Twitter. Ils ont résumé la mission qui les attendait par un laconique : " 450 migrants à bord d'un navire
marchand qui n'a pas d'équipage s'approchent de la côte des Pouilles. " Avant d'affirmer, toujours sur Twitter
: " Une hécatombe évitée. "Dans un premier temps, le patrouilleur islandais, Tyr, présent dans cette zone
dans le cadre de la mission européenne de surveillance des frontières Frontex, s'est dérouté et acheminé
vers le navire en difficulté. Mais son approche n'a pu se conclure par un accostage, à cause des conditions
météorologiques difficiles. Les gardes-côtes italiens ont alors envoyé deux hélicoptères permettant
l'hélitreuillage préventif de trois médecins présents sur le Tyr et de trois hommes capables de prendre en
charge le navire, a rapidement communiqué l'armée de l'air italienne.L'Ezadeen est un bâtiment commercial
vieux de quarante-neuf ans, qui mesure 73 mètres de long. Il est immatriculé au Sierra Leone. Parti de
Chypre, ou d'un port turc, rien n'est encore vraiment certain, il était toujours en mer dans la matinée de
vendredi 2 janvier, à 65 kilomètres des côtes. Mais ne devait pas tarder à rejoindre un port des côtes
adriatiques de la Péninsule.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Un troisième navire en perdition, et des gardes-côtes en alerte
03/01/2015
Le Monde
Pag. 9
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Le risque de déflation en Europe " n'est pas exclu, mais il est limité ", a estimé le président de la Banque
centrale européenne, Mario Draghi, dans une interview au quotidien économique allemand Handelsblatt du
vendredi 2 janvier. " Le risque que nous ne remplissions pas notre mandat concernant la stabilité des prix est
plus élevé qu'il y a six mois ", juge-t-il également, rappelant que son institution est prête à prendre de
nouvelles mesures si cela s'avère nécessaire.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Mario Draghi voit un risque de déflation limité en Europe
04/01/2015
Le Monde
Pag. 5
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Maryline Baumard
L'Ezadeen, un cargo abandonné par son équipage et transportant quelque 450 immigrants clandestins, est
entré, vendredi 2 janvier au soir, dans le port de Corigliano Calabro, dans le sud de l'Italie, après avoir été
secouru par les gardes-côtes italiens. Plusieurs gardes-côtes avaient été hélitreuillés à bord du cargo battant
pavillon sierra-léonais durant la nuit précédente. Ils ont pu superviser le remorquage du navire, que son
équipage avait abandonné à 40 milles nautiques des côtes italiennes, à court de carburant. Par ailleurs, le
Norman-Atlantic, le ferry incendié le 28 décembre 2014, est arrivé vendredi dans le port de Brindisi. Sa boîte
noire a été récupérée par la justice dans le cadre de l'enquête ouverte sur la présence éventuelle de
cadavres de migrants à bord, au niveau des garages. Le bilan officiel est de 13 morts, mais il pourrait être
revu à la hausse, après inspection des garages.Je suis vivant. Mais je t'en prie, dissuade tous ceux qui
veulent rallier l'Europe de prendre le bateau. " En quittant le Blue-Sky-M, mercredi 31 décembre 2014 à 4
heures du matin, Mohamed Abdelkarim, Syrien de 47 ans, trouve la force d'appeler son épouse réfugiée en
Turquie.Le cargo qui le transportait, lui et 796 autres migrants syriens, avait été abandonné par son équipage
quelques heures plus tôt, la veille, moteur à plein gaz et direction bloquée. Des gardes-côtes italiens,
hélitreuillés sur le navire, ont réussi à reprendre son contrôle à neuf kilomètres des rochers vers lesquels il se
dirigeait. Mais cela, Mohamed et ses compagnons d'infortune n'en n'ont rien su avant leur accostage.Sept
jours durant, ils ont été confinés dans la cale, ont supporté dans une obscurité glaciale la mer déchaînée,
l'eau qui pénètre dans la veille coque de 38 ans. Ils étaient trop serrés pour s'allonger, trop terrorisés pour
dormir. " Les deux derniers jours, on n'avait plus rien à manger, ni à boire. Les enfants pleuraient en
permanence. Ils avaient faim, soif. Tellement froid aussi. Un de mes voisins a déchaussé un petit. Ses pieds
étaient exsangues. Comme morts... Les gens étaient malades, stressés. Personne ne pensait sortir vivant du
bateau ", raconte Mohamed Homsi, un Syrien de 23 ans, tout récent diplômé en ingénierie de l'université
d'Alep." Notre cargo est parti de Mersin, en Turquie, le 25 décembre. Tout le monde sait à Damas ou Alep
que c'est là qu'il faut aller ", explique Ouassem Aboufakher, 35 ans. Lui a d'abord dû remonter toute la Syrie
depuis Damas pour rejoindre le port. " J'estimais moins dangereux de rejoindre l'Europe depuis la Turquie
que depuis la Libye, parce qu'on part en cargo et non en chaloupe. Quand je suis arrivé à Mersin, on m'a tout
de suite proposé un passage. Il y avait trois bateaux en attente de départ lorsque je suis arrivé, le 18
décembre. Les rabatteurs emmènent les clients vers des hôtels pour attendre le remplissage du navire. Il faut
se tenir prêt, jour et nuit, à monter à bord ", dit-il.Le premier défi consiste à traverser les eaux territoriales
pour rejoindre le cargo stationné dans les eaux internationales, à plusieurs heures de canot, ou de bateau de
pêche. " Certains embarquements sont arrêtés par la police. Il faut alors tout recommencer ", ajoute
Mohamed Homsi qui, lui, est passé dès sa première tentative quand certains ont essayé jusqu'à douze
fois.Une place sur le Blue-Sky-M s'est vendue entre 4 000 et 6 000 dollars, d'après les différents passagers.
Les passeurs savent que la vague de nouveaux venus, aisés et éduqués, est prête à mobiliser ces sommes
pour fuir la guerre. Selon plusieurs Syriens, les tarifs ont même encore augmenté depuis l'embarquement du
25 décembre. Une famille kurde de Syrie a vendu sa maison pour acheter le ticket pour l'Europe de la mère
(54 ans), ses deux filles (23 et 25) et son fils (20). Il y avait urgence à fuir pour éviter le départ au service
militaire du garçon.Mohamed Abdelkarim, lui, avait de l'argent de côté, économisé lorsqu'il travaillait comme
ingénieur. D'autres ont vendu leurs bijoux, leurs terres, pour une " nouvelle vie ". " On m'a fait miroiter un
voyage dans un navire de grande taille avec cuisinier... On m'a expliqué qu'on voguerait vers Catane en
Sicile, que les gardes-côtes nous récupéreraient à l'arrivée ", rapporte-t-il.Aucun des 75 migrants recueillis au
gymnase de Giorgio da Gallipoli ne savait que la destination théorique du Blue-Sky-M était la Croatie. Tous
ignoraient jusqu'au nom du cargo. " Vous le découvrez quand vous êtes au pied, dans la chaloupe, et là il est
trop tard pour faire marche arrière ", ajoute Ouassem Aboufakher. La rouille, l'inadéquation totale du navire
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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" Personne ne pensait s'en sortir vivant "
04/01/2015
Le Monde
Pag. 5
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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marchant avec le transport de personnes ont surpris ces passagers qui ont vite compris être une cargaison
comme une autre." A bord tout était interdit. Sortir de la cale, remonter sur le pont. Nous avions un seul W.-C.
pour tous. Il fallait vingt minutes pour y accéder parce qu'on était entassés les uns sur les autres ", témoigne
Mohamed Homsi, qui a dû dormir assis comme beaucoup d'autres. Dans la famille kurde, la règle était de ne
se rendre aux toilettes qu'une fois tous les deux jours. " J'avais tellement peur que maman glisse ", explique
Samiramaamo, l'aînée des filles. Durant ces sept jours, les trois femmes se sont tenu les mains. De peur de
se perdre. Par besoin de réconfort aussi. " Ce voyage était à la limite de l'humain. La mort planait tellement
près ; elle a tellement tourné au-dessus de nos têtes ", ajoute Média, encore frissonnante. D'ailleurs, le
responsable de la protection civile, Salvatore Coppola, reconnaît que " par-delà la prise en charge de
l'hypothermie, il a aussi fallu réchauffer les cœurs ".Mohamed, lui, a jaugé dès les premières minutes que ce
voyage serait un cauchemar. " D'emblée j'ai demandé à mon voisin de ne pas m'adresser la parole durant
tout le voyage. J'ignorais à quel moment ma colère pourrait exploser. " A la place de ces sept jours, il lui reste
une page blanche ; un temps vidé de tout, sauf de la peur. Tous ces hommes en pleine force de l'âge et
volontaires avouent que des limites ont été franchies en termes d'inhumanité. C'était presque pire que la
guerre qu'ils ont tous connue. " Je n'ai pas honte de dire que, à 35 ans, c'est à ma mère que j'ai pensé durant
ces jours noirs ", avoue Ouassem. A elle qu'il s'est raccroché pour survivre.L'Italie ne sera qu'une étape sur la
route de ces réfugiés. Vendredi 2 janvier, ils devaient être acheminés en bus vers le nord de l'Italie pour y
être hébergés. Un pas de plus dans leur migration vers le Nord. Ouassem compte aller en Suède, où sont
installés ses amis et où il espère que son master en management sera monnayable sur le marché de
l'emploi. Mohamed Abdelkharim rejoindra une de ses filles étudiante aux Pays-Bas. Il ne rêve pas d'y
retravailler comme ingénieur. Juste de gagner sa vie. Le jeune Mohamed Homsi ira aussi aux Pays-Bas où
son frère s'est installé. Samer Almanoui, lui, est un des rares à vouloir jouer la carte de la France. Il y a déjà
vécu cinq ans. Très vite il s'inscrira en master de droit à la Sorbonne, fort de sa licence syrienne. " J'aurais
aimé entrer autrement qu'en empruntant un cargo fantôme, mais le consulat m'a dit que je n'aurais jamais de
visa, même étudiant, parce que je suis syrien. " A Gallipoli, chacun des passagers du Blue-Sky a sa boussole
et garde, malgré tout, son cap vers une vie nouvelle.
04/01/2015
Le Monde
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Abel Mestre, et Bastien Bonnefous
Une aubaine. Le Front national voit dans les cargos fantômes chargés de migrants et qui dérivent au large de
l'Italie, la confirmation de toutes ses prédictions. Pour le parti d'extrême droite, le postulat d'une " Europepassoire ", laissant passer tous les migrants, est, en effet, validé. Et Marine Le Pen de réclamer, une nouvelle
fois, la sortie de l'Union européenne et le retour aux frontières nationales. Pourtant, d'après Amnesty
International, moins de 4 % des réfugiés -syriens - sur un total de 3,2 millions - ont trouvé l'asile en -Europe,
dont la moitié en Allemagne et en Suède. Quant à la France, elle aurait accueilli quelque 8 000 réfugiés
syriens depuis 2012, d'après le ministère des affaires étrangères." Il convient de prendre acte de l'échec total
des dispositifs européens et de remettre en place des frontières nationales ", estime néanmoins la présidente
du FN. C'est également l'occasion pour elle de mettre en avant des propositions chocs pour lutter " contre
ces drames humains ". " Il faut une réduction considérable du droit d'asile et une suppression des incitations
à l'immigration clandestine telle que l'Aide médicale d'Etat ", énumère Mme Le Pen. De plus, elle préconise "
une politique clairement dissuasive, via un rapatriement systématique des navires vers les pays d'origine, et
non de destination ".Du côté de l'UMP, où les réactions sont rares, on réclame également une remise à plat
des politiques européennes concernant l'immigration. " L'Europe et La France, en tête, doivent prendre leurs
responsabilités afin que soit mis en place, dès maintenant, un contrôle maritime et terrestre de la côte
libyenne. Cela est possible sans attendre un quelconque débat ou autre reforme de Schengen. Un terme doit
être mis à cette barbarie qui exploite la misère humaine ", a ainsi indiqué Rachida Dati, eurodéputée UMP qui
veut aussi agir sur les " causes de ces départs, notamment en Libye ".Gérald Darmanin, député du Nord et
maire de Tourcoing, a quant à lui plaidé samedi matin sur Europe 1 en faveur " d'un contrôle aux frontières
pour décourager les passeurs ".Au PS, l'on défend l'action diplomatique de la France " pour éviter la
propagation de la terreur ", notamment au Mali, mais on regrette une certaine timidité de l'Union européenne.
" Il y a des initiatives européennes, mais elles ne sont jamais suffisamment conduites dans la durée. La
collaboration doit être plus importante avec les pays de départ où cela est possible. Surtout, il faut organiser
des poursuites internationales contre les trafiquants, mais cela demande une mobilisation et des pouvoirs
d'investigations qui ne peuvent être qu'européens ", souligne Sandrine Mazetier, députée PS et secrétaire
nationale du PS à l'immigration. Elle ajoute : " Le PS a toujours prôné une solution concertée à l'échelle
européenne à la fois dans l'accueil des migrants et dans l'organisation de la lutte contre les filières qui vivent
de ce trafic humain insupportable. "Responsable de l'aile gauche du PS et député européen, Emmanuel
Maurel rappelle pour sa part qu'" il ne faut pas jamais oublier que ces hommes, ces femmes et ces enfants
ne quittent pas leur pays d'origine par plaisir, mais -prennent des risques insensés pour fuir la guerre, la mort
ou la misère ". Pour lui, " la réponse élémentaire doit être une réponse d'humanité : aider nos amis italiens à
faire face et tenter de résoudre le problème à l'échelle européenne de manière plus généreuse et solidaire
".Mise en cause aussi bien par la gauche, la droite et l'extrême droite, l'Union européenne a promis que la
lutte contre les trafiquants utilisant de " nouveaux moyens " pour entrer dans l'UE sera l'une de ses " priorités
" en 2015. " La Commission suit de très près la situation du cargo Ezadeen au large des côtes italiennes ", a
indiqué un porte-parole. L'exécutif européen salue en outre " les efforts des autorités italiennes, avec le
soutien de l'opération Triton " coordonnée par Frontex, l'agence de l'Union européenne pour la surveillance
des frontières, pour secourir le navire.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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En France, le FN s'engouffre dans la brèche
04/01/2015
Le Monde
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Denis Cosnard
Après des mois de bataille financière, Fosun, le conglomératde Shanghaï, s'empare, au prix fort, du groupe
de tourismeArdian (ex-Axa Private Equity)et le chinois Fosun lancent une -offre publique d'achat (OPA)
amicale sur le Club Med.Premiers recours juridiquesdes minoritaires contre l'OPA.L'Italien Andrea Bonomi,
qui amasse des titres depuis mars, lance une contre-OPA.Fosun repart seul à l'assaut.En décembre, il s'allie
auBrésilien Nelson Tanure.Andrea Bonomi abandonne.Le champagne était au frais depuis le début de l'offre
publique d'achat (OPA), il y a plus d'un an et demi. Guo Guangchang et Henri Giscard d'Estaing vont enfin
pouvoir le savourer. Car c'est désormais certain : pour 939 millions d'euros, le milliardaire chinois de 47 ans
va prendre le contrôle du Club Méditerranée, avec l'appui du PDG français du groupe. Leur rival dans cette
bataille, Andrea Bonomi, a jeté l'éponge, vendredi 2 janvier au soir. L'une des plus belles marques tricolores
va ainsi passer sous contrôle chinois, à l'issue de la plus longue OPA jamais vue à Paris.Après la dernière
surenchère de Guo Guangchang et de ses alliés, l'Autorité des marchés financiers (AMF) avait donné à M.
Bonomi jusqu'au 7 janvier pour décider de relever ou non sa propre offre. L'homme d'affaires italien n'a pas
voulu prolonger le suspense. Vendredi après-midi, il a réuni le conseil d'administration de Global Resorts, la
société montée pour mener cette opération. Celui-ci a " analysé attentivement la situation (...) et, en
particulier, les niveaux de valorisation atteints ", indique un communiqué.Or, " le prix commençait à ne plus
être très raisonnable ", confie un proche de l'homme d'affaires. Il aurait en effet fallu mettre près de 960
millions d'euros sur la table. Très cher, alors que le Club est en difficulté chronique, qu'il n'a pas pu verser de
dividendes à ses actionnaires depuis plus de douze ans, et a encore perdu 12 millions en 2014. Le conseil a
donc " décidé de ne pas surenchérir " et " de retirer son offre ".Ces mots ont immédiatement suscité des cris
de victoire dans le camp chinois. " C'est une très très bonne nouvelle, se réjouissait à chaud une des
chevilles ouvrières de l'offre de Fosun, le conglomérat contrôlé par Guo Guangchang. Nous l'emportons avec
un projet qui préserve la stratégie et l'identité du Club. En outre, Andrea Bonomi a décidé de se retirer du
capital. Il ne risque donc plus de nous mettre des bâtons dans les roues et de tout bloquer. "M. Bonomi était
entré dans le groupe de tourisme en mars 2014, persuadé que l'offre franco-chinoise initiale ne valorisait pas
le Club à son juste prix, et qu'il y avait donc un coup à jouer. En ramassant des actions en Bourse, il était
devenu peu à peu le premier actionnaire du Club, avec 18,9 % du capital. Ces titres seront soit apportés à
l'offre de Fosun, soit cédés sur le marché.Pour ce financier issu d'une grande famille du capitalisme italien,
l'aventure ne constitue qu'en apparence un échec. Bien sûr, il n'a pas réussi à mettre la main sur le Club.
Mais telle n'était pas son ambition initiale. Ce n'est que sous la pression de l'AMF qu'il avait choisi en cours
de route de lancer une contre-OPA au lieu de se contenter d'une participation minoritaire. Au passage, M.
Bonomi s'est fait un nom, en particulier en France. Et il réalise une jolie plus-value. Il pourra revendre à 24,60
euros des actions achetées pour certaines à 17,50 ou 18 euros.Les actionnaires minoritaires, notamment les
fonds spéculatifs, sortent encore plus gagnants de la bataille. Au fil des enchères, la valeur boursière du Club
a en effet grimpé de 70 %. " Au prix final, ils vont tous apporter leurs titres à l'offre de Fosun ", prédit un
banquier. Le groupe chinois pourrait alors retirer le groupe de la Bourse.Autre gagnant, Henri Giscard
d'Estaing. Le fils aîné de l'ancien président de la République aurait perdu son poste de PDG si M. Bonomi
l'avait emporté. Avec Fosun, il restera aux commandes, et sera même associé davantage au capital. " Sans
doute sera-t-il cependant un peu plus sous tutelle qu'aujourd'hui, où l'éclatement du capital lui laisse une
grande marge de manœuvre ", suggère un bon connaisseur de l'entreprise.C'est pour le conglomérat chinois
que la victoire paraît, paradoxalement, la plus incertaine. Il paie très cher une marque prestigieuse, dotée
d'emplacements hors-pair, mais mal en point. Avec 40 % de clients français, le Club Med souffre de la crise
en Europe, et des inquiétudes fiscales des ménages aisés. Au même moment, l'épidémie d'Ebola et les
menaces terroristes détournent les vacanciers d'une partie de ses villages. Dans ces conditions, comment
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Le Club Med passe sous pavillon chinois
04/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Fosun et ses partenaires tels que l'homme d'affaires brésilien Nelson Tanure pourront-ils récupérer leur mise
? Et quand ?Leur projet consiste à prolonger la montée en gamme du groupe et à accélérer son déploiement
dans des pays comme la Chine. Au cœur des convoitises, les Chinois aisés qui découvrent les vacances, et
sont de plus en plus nombreux à s'aventurer hors de leurs frontières. Depuis 2012, ils représentent la
première clientèle pour le tourisme international, devant les Américains et les Allemands.Dans l'entreprise,
certains salariés craignent toutefois que l'essor du Club en Chine ne suffise pas, et que les nouveaux
actionnaires prennent des mesures d'économies plus drastiques. Guo Guangchang, le nouvel homme fort du
Club, assure, lui, qu'il n'est pas dans l'urgence. " Avec du temps et de la patience, la feuille du mûrier devient
de la soie ", promet un proverbe chinois.
04/01/2015
Le Monde
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Audrey Tonnelier
Vendredi 2 janvier au matin, l'euro est tombé à 1,2035 dollar, du jamais vu depuis juin 2010. Dans la foulée,
les taux d'emprunt français à dix ans ont eux aussi touché un nouveau point bas historique, à 0,812 %, tout
comme les taux espagnols (1,541 %) et les italiens (1,819 %). Motif ? Les marchés ont réagi positivement
aux propos tenus par Mario Draghi dans le quotidien allemand Handelsblatt. Le président de la Banque
centrale européenne (BCE) y juge que le risque de déflation en zone euro est " limité " mais " pas exclu ". Il a
également rappelé que son institution se prépare " techniquement pour modifier début 2015 l'ampleur, le
rythme et le caractère des moyens à mettre en place s'il devenait nécessaire de réagir à une trop longue
période d'inflation trop faible ".Un gain d'une centaine de points, reperdus dans l'heure suivante, avant un
plongeon dans le rouge en début d'après-midi : les premiers mouvements du CAC 40, vendredi 2 janvier,
résument ce que la majorité des observateurs attendent de l'année qui débute. Sur les marchés boursiers,
2015 sera mouvementée." La volatilité - brusques mouvements de la Bourse à la hausse ou à la baisse - va
rester le maître mot de l'année, à l'image de ce qui s'est passé fin 2014 ", confirme Sylvain Goyon,
responsable de la stratégie actions chez Natixis Global Research.De fait, si le premier semestre a été porteur
sur les marchés mondiaux, la seconde partie de 2014 fut beaucoup plus mouvementée. Au point que le CAC
40, qui mi-juin 2014 gagnait 7 % par rapport à janvier, a clos l'année en recul de 0,5 %, à 4 272 points. Loin
du millésime 2013, où il avait bondi de 18 %.Sur les marchés européens, après six premiers mois d'euphorie
portés par l'espoir d'un regain de croissance dans la zone euro, les tensions géopolitiques (Ukraine, Syrie)
ont douché l'optimisme des investisseurs dès l'été. La révision des perspectives de croissance du Fonds
monétaire internationale, en octobre 2014, les signaux alarmants en provenance de l'Allemagne,
traditionnelle locomotive de la région, puis la menace de déflation, ont achevé de les désarçonner.Mi-octobre,
puis en décembre 2014, les marchés mondiaux ont connu deux épisodes de grande tension. Le mois dernier,
le CAC 40 a ainsi lâché près de 10 % en six séances ! " Les surprises sont arrivées à l'automne avec le
retour des vieux démons en Europe : spectre de la récession, environnement politique instable avec la
perspective d'élections législatives en Grèce ", résume Greg Revenu, associé chez Bryan Garnier.Les
marchés européens ont terminé l'année en ordre dispersé : la Bourse de Francfort a tiré son épingle du jeu (+
2,65 %), loin devant le piètre parcours du Footsie britannique, plombé par les contre-performances des
valeurs pétrolières et minières (- 2,71 %).A l'inverse, à Wall Street, l'indice S&P 500 a battu 52 fois son
propre record en clôture - sa quatrième meilleure performance depuis 1928 ! Dopé par la béquille monétaire
de la Réserve fédérale américaine (Fed) - jusqu'en octobre -, puis par la reprise économique, il a bondi de
plus de 11 % sur l'année.Quid de 2015 ? Une seule certitude : les turbulences de la fin 2014 vont se
poursuivre. " L'importance des liquidités injectées sur les marchés par la Banque centrale européenne - BCE
- et la Banque du Japon engendre des réactions d'autant plus violentes de la part des investisseurs en cas de
surprises ", explique M. Goyon." Nous ne croyons pas à une correction majeure à la baisse, mais nous
pouvons raisonnablement penser que la volatilité est bien installée pour le premier semestre, sur fond de
crise monétaire en Russie et de baisse des cours du pétrole ", abonde M. Revenu.Pour autant, les
observateurs veulent voir des raisons d'espérer. A commencer par l'action de la BCE, dont on attend un
élargissement des rachats d'actifs dès le premier trimestre - peut-être même en s'attaquant aux obligations
d'Etat. " Cette politique non conventionnelle va maintenir les taux - des emprunts d'Etat - bas, et donc
pousser les investisseurs à chercher des placements offrant davantage de rendement. Cela joue en faveur
de la Bourse ", martèle M. Goyon.Le recul du prix du pétrole, lui, devrait soutenir la croissance en zone euro,
doper les marges des entreprises et revigorer le pouvoir d'achat des ménages. Quant à la baisse de l'euro,
tombé vendredi 2 janvier à un plus bas depuis quatre ans, elle jouera en faveur des exportations. De quoi
donner un peu d'air aux entreprises du Vieux Continent et, partant, aux actions...Côté américain, " toute la
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L'année boursière 2015 promet d'être mouvementée
04/01/2015
Le Monde
Pag. 9
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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question est de savoir quand la Fed débutera la remontée de ses taux ", note M. Goyon. En décembre 2014,
la présidente de l'institution, Janet Yellen, a promis qu'elle serait " patiente " dans cet exercice. Ces propos
devraient contribuer à préserver l'optimisme de Wall Street.Du côté des introductions en Bourse, le premier
semestre 2014 a été faste, avec un point d'orgue lors de la cotation à New York du site chinois de vente en
ligne Alibaba, le 19 septembre 2014. Depuis, la " fenêtre ", comme l'appellent les spécialistes, s'est refermée
avec les premières turbulences boursières. " En 2015, New York devrait être à nouveau une place de choix
pour les sociétés européennes et asiatiques, à condition d'être particulièrement bien préparées et
accompagnées ", indique M. Revenu.En France, certains dossiers repoussés cet automne pourraient retenter
leur chance en Bourse dès le premier trimestre. Ainsi des laboratoires d'analyse Labco, du spécialiste de la
blanchisserie industrielle Elis, ou encore du détecteur de radars Coyotte ou d'Europcar.Pour l'année qui
débute, les plus optimistes n'hésitent pas à pronostiquer une hausse à deux chiffres du CAC 40 : Natixis vise
4 800 points fin 2015. Encore faudra-t-il que les marchés boursiers ne s'emploient pas à déjouer les
prévisions. Il y a un an, les observateurs tablaient sur une hausse de près de 10 % à la Bourse de Paris...
05/01/2015
Les Echos
Pag. 7
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Jean-Philippe Lacour
Le président de la BCE prépare les esprits à un nouveau stimulus monétaire. L'Europe doit aussi accélérer
sur la voie des réformes. Le refrain est désormais connu : en dépit d'une politique monétaire accommodante
sous la houlette de Mario Draghi, les Etats de la zone euro n'utilisent pas le temps offert pour forcer le rythme
des réformes. Pour sa première intervention publique de l'année 2015, le président de la BCE en vient à se
répéter : il rappelle les gouvernants à leur devoir, et nourrit les spéculations en vue d'un nouveau stimulus
monétaire pour soutenir la croissance et l'inflation. Et ce, au prix d'une division au conseil de la BCE. Rachat
d'obligations souveraines « Nous sommes en pleine préparation technique pour ajuster l'ampleur, le rythme
et la nature des mesures qui seraient à prendre début 2015 s'il devient nécessaire de réagir à une trop
longue période de faible inflation », affirmait vendredi Mario Draghi dans une interview au « Handelsblatt ».
En clair, l'institut est prêt à racheter des obligations souveraines dans l'ensemble de la zone euro. S'y
opposant, le président de la Bundesbank, Jens Weidmann, voit la BCE flirter ici avec l'interdiction de financer
les Etats et devenir de fait l'« esclave des marchés » en devant remplir leurs attentes même si elles s'avèrent
injustifiées. « Super Mario » a lui-même mis les marchés en appétit, en annonçant l'an dernier que le bilan de
la BCE allait se hisser au niveau de 2012, soit à 3.000 milliards d'euros, afin de préserver les attentes
d'inflation au bon niveau. A fin décembre, malgré deux salves de prêts à long terme aux banques, le total du
bilan affiche 2.150 milliards d'euros, restant loin du compte. En attendant, Mario Draghi reste évasif quant à
l'ampleur d'un nouveau stimulus à venir. Celui-ci sera encore plus nécessaire si l'inflation en zone euro devait
encore s'affaisser en décembre, après 0,3 % en novembre. L'objectif de stabilité des prix, défini comme une
inflation proche de 2 % à moyen terme, s'éloigne à cause de la chute des prix du pétrole. Mais pas
seulement. « Il est clair que notre politique monétaire aurait plus d'effet si les gouvernements appliquaient les
réformes structurelles », martèle le banquier central. Il cite à cet égard la réduction de la fiscalité et de la
bureaucratie, afin de soutenir la reprise, qui reste « fragile et inégale ». Dans une tribune au quotidien « Il
Sole 24 Ore », il prévient du risque accru d'une implosion de la zone euro si les efforts pour réformer restent
insuffisants. Mais l'intégrité de la zone euro doit demeurer, et donc « il n'y a pas besoin de plan B », affirme-til au « Handelsblatt ». Pas intéressé par la présidence italienne La BCE décidera le 22 janvier du cours de sa
politique monétaire, trois jours avant des élections cruciales en Grèce. La gauche radicale, donnée favorite,
veut en finir avec l'austérité. De nouveaux sacrifices pourraient être demandés à ses créanciers... dont la
BCE pourrait bientôt faire partie. Une chose est sûre, Mario Draghi veut aller au terme de son mandat à la
BCE en 2019. Il a coupé court à la rumeur qui le voyait se porter candidat pour succéder à Giorgio Napolitano
à la présidence italienne. Les déclarations du banquier central continuent, elles, d'influer l'euro. Vendredi, la
monnaie unique chutait à 1,2002 dollar, son plus bas niveau depuis quatre ans.
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Draghi n'a pas de « plan B » pour la zone euro
05/01/2015
Les Echos
Pag. 20
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Christophe Palierse
Fosun , le partenaire chinois du Club Méditerranée , l'a emporté. L'homme d'affaires italien Andrea Bonomi a
jeté l'éponge. 2015, année clef dans l'histoire du Club Méditerranée... Alors qu'il s'apprête à fêter ses
soixante-cinq ans - l'association originelle a été créée en avril 1950 -, l'exploitant de villages de vacances
entre dans une nouvelle ère en passant sous pavillon chinois. Même si c'est avec le soutien de son PDG,
Henri Giscard d'Estaing, et la bénédiction du conseil d'administration. Gaillon Invest II, le groupement
d'investisseurs mené par le conglomérat Fosun, le partenaire du Club en Chine, a remporté vendredi dernier
la bataille boursière qui l'opposait depuis le 30 juin 2014 à Global Resorts. Le consortium dirigé par l'homme
d'affaires italien Andrea Bonomi, dans lequel était entré en novembre KKR, le mastodonte américain du
capital-investissement, a décidé de se retirer du théâtre des opérations. Il avait jusqu'à ce mercredi, 18
heures, pour formuler une nouvelle surenchère, mais a décidé d'y renoncer officiellement vendredi en fin de
journée. Le camp Bonomi a annoncé qu'il allait apporter ses titres - 18,9 % du capital, représentant 17 % des
droits de vote - à Global Resorts ou les céder sur le marché. Au total, sa plus-value brute sera de l'ordre
d'une vingtaine de millions d'euros. Fosun, qui détient directement et indirectement 82,6 % de Gaillon Invest
II, l'emporte donc à l'arraché, en y mettant, bien malgré lui, le prix fort : sa dernière offre valorise le Club Med
à 939 millions d'euros pour 100 % des titres, sur la base d'un prix par action de 24,60 euros. Un prix que les
protagonistes de Gaillon Invest II ont toutefois justifié par l'engagement à « long terme » de Fosun - ce que le
groupe chinois n'a pas cessé d'affirmer depuis la conclusion de son partenariat stratégique avec le Club en
2010 - et aussi l'amplification de la mise en oeuvre de la stratégie d'internationalisation, défendue bec et
ongles par son PDG, Henri Giscard d'Estaing (lire ci-contre). Le camp Bonomi, qui proposait un projet
industriel alternatif, a pour sa part motivé le retrait de son offre publique d'achat (OPA), et la cession de son
bloc d'actions par « les niveaux de valorisation atteints » par le Club Méditerranée. Engagement de long
terme D'aucuns le jugeaient déjà très cher. En octobre dernier, le vice-président - et membre indépendant du conseil d'administration, Georges Pauget, s'était même alarmé dans « Les Echos » des risques qu'une
surenchère du camp Bonomi pouvait faire porter sur l'entreprise. Il avait essuyé dans la foulée les foudres de
Colette Neuville, la présidente de l'Adam, l'Association des actionnaires minoritaires. Et pour cause : non
seulement le Club n'a pas versé le moindre dividende depuis 2001, du fait de pertes à répétition ou de
bénéfices fort modestes, mais Global Resorts a « boosté » le cours de Bourse en bousculant l'ordre établi.
Sa contre-OPA, il faut le rappeler, a d'abord « torpillé » une première offre amicale à 17,50 euros par action,
lancée en juillet 2013 et financée à parité par Fosun et la société d'investissement Ardian. Sa contestation,
par l'Adam notamment, a conduit à un décalage de neuf mois du calendrier boursier, premier grain de sable
dans une mécanique qui semblait bien huilée. Ce feuilleton boursier, qui fait déjà date par sa longueur, n'est
toutefois pas encore terminé. La dernière surenchère de Gaillon Invest II doit encore être validée
réglementairement avant ouverture d'une période d'OPA formelle (lire ci-contre). A moins que certains fonds
spéculatifs fassent de la résistance, le cours devrait s'ajuster dès aujourd'hui sur son prix de 24,60 euros par
action. A la clôture de la séance de vendredi dernier, soit avant l'annonce du retrait du camp Bonomi, la
valeur était encore calée sur la barre des 25 euros, à 25,09 euros. Des investisseurs ont, semble-t-il, misé
pendant la trêve des confiseurs sur une nouvelle contre-attaque de Bonomi. Possible retrait de la cote Un
retrait de la cote du Club, inscrit à la Bourse de Paris depuis 1966, n'est toutefois pas exclu. L'hypothèse a
même été avancée par Gaillon Invest II lors de la présentation de sa dernière surenchère, tout comme la
future dilution du bloc de contrôle de Fosun. Une fois l'OPA réalisée, l'homme d'affaires brésilien Nelson
Tanure, autre partenaire du Club, doit en effet rejoindre le tour de table et pourrait monter jusqu'à 20 % dans
le holding. En outre, des discussions sont en cours avec d'autres partenaires régionaux en Europe et
Amérique du Nord. De quoi diluer un peu plus le conglomérat chinois en attendant une éventuelle cotation, à
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Le Club Med passe à l'heure chinoise
05/01/2015
Les Echos
Pag. 20
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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long terme, sur plusieurs places : Paris, Hong Kong et/ou Shanghai, et São Paulo. Les chiffres clefs 1,23
million Le nombre de clients au cours de l'exercice 2013-2014, dont 448.000 en France et 278.000 en Asie.
64 le nombre de villages au cours du dernier exercice, avec en plus un voilier cinq mâts et des villas de
prestige à Maurice. 12 millions d'euros La perte nette part du groupe en 2013-2014, après - 11 millions
d'euros l'exercice précédent. Le Club promet un profit pour l'exercice en cours, « hors dégradation
supplémentaire de l'environnement ».
05/01/2015
Les Echos
Pag. 28
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Pierrick Fay
La BCE sera plus accommodante, la Fed va resserrer. Le 10 ans allemand est passé sous la barre de 0,50
%. Les marchés obligataires démarrent l'année 2015 sur de nouveaux records. En Allemagne, pour la
première fois, le taux d'intérêt à 5 ans est passé en territoire négatif, alors que le Bund (10 ans) est passé
sous 0,50 % à 0,492 %. En France, le rendement du taux à dix ans est à moins de 0,78 %. En Espagne, en
Italie, ils naviguent aussi à des plus bas historiques. Le taux grec est repassé sous 9 %, même si les
marchés restent nerveux à l'approche des prochaines législatives du 25 janvier. Il y a un an, la majorité des
analystes s'étaient fourvoyés en misant sur une hausse des taux d'intérêt qui n'est pas venue, notamment
aux Etats-Unis, où le 10 ans est passé de 3 % à 2,11 % ! A l'aube de cette nouvelle année, une question
interpelle les investisseurs : les taux vont-ils enfin remonter cette année, alors que les banques centrales
seront de nouveau au centre de l'équation des deux côtés de l'Atlantique ? Aux Etats-Unis, la Fed s'apprête à
fêter la fin de la récréation et à entamer le resserrement de sa politique monétaire avec une première hausse
des taux directeurs attendue dans le courant du deuxième trimestre, sans doute en juin, selon le consensus.
Mais la Fed entretient encore le flou concernant la date mais aussi le rythme de remontée de ses « Fed funds
». Sa politique dépendra surtout des données économiques qui seront publiées aux Etats-Unis. Mais, pour
Eric Chaney, chef économiste chez Axa IM, la baisse des prix du pétrole « qui fait que le rendement des taux
d'intérêt réels s'accroît car l'inflation baisse », pourrait bien compliquer la donne. « Même si l'effet de la
baisse des cours du pétrole est bon pour l'économie, les banques centrales vont peut-être être contraintes
d'adapter leur stratégie et de repousser la hausse des taux, car les taux d'intérêt réels remontent déjà. » Un
geste de la BCE espéré Par ailleurs, si la baisse du pétrole a un effet déflationniste, elle pourrait à terme
nourrir les pressions inflationnistes, en redonnant un pouvoir d'achat considérable aux consommateurs
américains. « La baisse des coûts liés aux carburants devrait finir par soutenir la consommation puis se
traduire par une hausse des salaires, puisque la sous-utilisation des ressources du marché du travail souvent
évoquée par la Fed ne sera plus d'actualité », souligne Bob Jolly, chez Schroders, qui considère que « les
marchés de taux sous-estiment actuellement l'éventualité de hausse des taux d'ici mi-2015 ». En Europe, la
situation apparaît moins incertaine. La Banque centrale européenne devrait se montrer de plus en plus
accommodante. Pas plus tard que le 22 janvier, lors de sa première réunion de l'année ? Beaucoup
d'investisseurs espèrent en tout cas un nouveau geste pour lutter contre le risque de déflation dans la zone
euro. Et ce ne sont pas les dernières déclarations de Mario Draghi, son président, qui vont les faire dévier.
Dans un entretien au quotidien allemand « Handelsblatt » (lire page 7), il a estimé que le risque de déflation
en Europe n'était « pas exclu, mais limité » et surtout que le risque de voir la BCE ne pas parvenir à « remplir
son mandat concernant la stabilité des prix est plus élevé qu'il y a six mois ». La BCE devrait donc fournir
encore plus de liquidités, notamment aux marchés obligataires. Lombard Odier anticipe ainsi une hausse de
10 % de la liquidité mondiale cette année, « une croissance comparable à celle des dernières années. La
différence, c'est qu'en 2015 cette liquidité sera alimentée essentiellement par la Banque du Japon, la BCE et
quelques banques centrales des pays émergents et non plus par la Fed ». Pour Alain Pitous, de Talence
Gestion, ce n'est pas neutre : « Les taux dans la zone euro vont avoir du mal à remonter, car l'épargne
mondiale est très importante et elle est à la recherche de rendements sûrs. Et, avec une banque centrale qui,
à un moment, va racheter des obligations alors que certains Etats vont moins émettre, hormis la France et
l'Italie, vous avez des mécanismes de flux très puissants. » Le consensus reste donc favorable au maintien
de taux bas dans la zone euro, ce qui ne veut pas dire qu'ils ne remonteront pas au cours de l'année,
notamment en cas d'amélioration de la conjoncture économique. Mais le risque pour les marchés obligataires
est ailleurs, selon Chris Iggo, chez AXA IM : « que la BCE se révèle incapable d'accroître son bilan, en raison
de contraintes politiques et juridiques qui ébranleraient considérablement sa crédibilité. » Quelques
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Obligations : le rôle clef des banques centrales en 2015
05/01/2015
Les Echos
Pag. 28
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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prévisions Selon le blog Bond Vigilantes de M&G Investments, le consensus de 36 économistes table sur un
taux de 1,10 % en fin d'année pour le Bund à 10 ans allemand (plus haut : 1,85 %). Pour le 10 ans américain,
les 74 économistes répertoriés voient le 10 ans revenir en moyenne à 3,01 %, son niveau de fin 2013 (plus
bas : 2,47 % ; plus haut : 4,2 %).
05/01/2015
Les Echos
Pag. 28
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La divergence entre les économies européenne et américaine continue de favoriser le billet vert. Il faut
remonter à juin 2010 pour trouver trace d'un euro aussi bas face au dollar. La monnaie unique s'est
rapprochée de 1,20 dollar vendredi, sur fond d'anticipation de hausse des taux en 2015 aux Etats-Unis. Mais
le diagnostic économique tranché entre une zone euro en panne et des Etats-Unis bien ancrés dans la
reprise justifie aussi la hausse du billet vert. La première statistique de l'année en France, par ailleurs, n'est
pas bonne. Selon Markit, l'activité manufacturière s'est contractée en décembre, pour le huitième mois
d'affilée. « Cela conforte l'idée d'une zone euro dont le rythme de croissance va rester faible, et d'ailleurs
Mario Draghi a confirmé vendredi que les taux en Europe allaient rester bas. Face à ces tendances lourdes,
c'est dangereux pour un investisseur d'acheter de l'euro contre du dollar », constate Alain Pitous chez
Talence Gestion. Et si l'indice PMI américain est aussi ressorti en deçà des attentes, il confirme que les
Etats-Unis sont en expansion. D'autres éléments pourraient aussi légèrement peser à l'avenir. « La balance
des paiements de la zone euro se dégrade depuis quelque temps », constate Alain Pitous. Un soutien de
moins pour l'euro, alors que « beaucoup d'investisseurs et d'industriels achetaient de l'euro ». L'entrée de la
Lituanie dans la zone euro peut aussi jouer à la marge, « cela fait qu'il y a un peu plus d'euros en circulation.
Ce n'est pas considérable, mais quand vous avez la technique, le fondamental et les anticipations qui vont
dans le même sens, ce n'est pas bon pour une monnaie ». En se rapprochant de 1,20 dollar, l'euro se dirige
surtout vers un seuil jugé plus important, celui de 1,18 dollar, « avec, en cas de franchissement, un risque
d'accélération rapide vers les 1,10 dollar ». Mais, pour Alain Pitous, la résistance existe, avec un élément
important à prendre en compte : « Les Américains pourraient se lasser du dollar fort, qui peut mordre sur les
résultats de certaines entreprises. Pour eux, il va y avoir une limite et je pense qu'à 1,20 dollar, on n'en est
pas loin. »
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'euro démarre l'année au plus bas depuis 2010 face au dollar
05/01/2015
Les Echos
Pag. 32
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La Bourse de Paris a démarré 2015 sur une note négative, lors d'une séance marquée par des statistiques
décevantes en Europe comme aux Etats-Unis. Le CAC 40 a clôturé en repli de 0,48 %, à 4.252,29 points, au
terme d'une première séance de l'année d'autant plus volatile que les échanges ont été très limités, avec
moins de 2 milliards d'euros échangés sur les 40 valeurs de l'indice. Les valeurs bancaires ont terminé en
hausse après des commentaires du président de la BCE, Mario Draghi. Société Générale a gagné 1,06 %,
Crédit Agricole SA 1,30 % et BNP Paribas 0,35 %. Essilor International, qui fait partie des valeurs défensives
recherchées l'année dernière, a accusé la plus forte baisse du CAC 40 (- 1,81 %) sur des prises de bénéfice
après un gain de près de 20 % en 2014. Même chose pour Air Liquide, qui a signé la deuxième plus forte
baisse de l'indice (- 1,41 %). Pernod Ricard a abandonné 1,27 % et Danone 1,08 %. Michelin a reculé de
1,21 % et Renault a perdu 1,04 % après que le Comité des constructeurs français d'automobiles a annoncé
une baisse de 6,8 % des immatriculations de voitures neuves en France en décembre. Sur le SBF 120,
Plastic Omnium a abandonné 1,55 % et Faurecia 0,87 %, tandis que PSA Peugeot Citroën a limité sa perte à
- 0,2 %. Capgemini a gagné 1,08 %. Les analystes de Finlabo estiment que le titre offre un bon potentiel de
hausse, le groupe ayant de bons fondamentaux et des perspectives de profits en amélioration. Tarkett a
gagné 0,56 % après avoir conclu l'acquisition de l'entreprise néerlandaise Desso, spécialisée dans les
moquettes pour les bâtiments professionnels ainsi que les terrains sportifs.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La Bourse de Paris entame 2015 sans phare
05/01/2015
Les Echos
Pag. 32
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Fiat fait rêver la Bourse, qui regarde avec circonspection Peugeot et Renault . « Avec les accessoires, le plus
important, c'est de toujours enlever le dernier que l'on a ajouté. » Le jour n'est cependant pas encore né où
les industriels de l'automobile pourront suivre les conseils de Coco Chanel. Les options gratuites ou «
discountées » ne sont pas superflues sur un marché à qui il manque toujours l'essentiel : une reprise claire et
nette. La progression, freins serrés, des immatriculations françaises l'an dernier (+ 0,3 %) est un bien pâle
polish qui, après quatre millésimes d'affilée rayés par des baisses, n'a guère attiré l'oeil des boursiers sur ses
deux hérauts. Les buts marqués à domicile par Renault et Peugeot se lisent en effet à l'aune d'une demande
hexagonale amputée d'environ un huitième en un septennat, et ne suffisent pas aux courtiers à lever la
double hypothèque brésilienne et russe pour Renault - ses deux plus gros débouchés -, ni à rendre plus
crédible le pari chinois de Peugeot. Bien qu'à la deuxième marche du podium boursier de 2014 (+ 30,9 %), ce
dernier a réalisé sa course dès le début de l'année en un mois et demi, en anticipation de sa recapitalisation.
Le cash-flow libre de PSA pourrait avoir été positif dès 2014, avec deux ans d'avance sur l'objectif. Mais une
valorisation d'un peu plus de 12 fois les bénéfices attendus cette année en 2015, deux tiers de mieux que
Volkswagen, ne laisse plus beaucoup de chemin aux investisseurs à parcourir. Les regards de ces derniers
se tournent plutôt vers l'italo-américain Fiat Chrysler, qui fait faire l'auto-stop par sa fille Ferrari. Même si le
panneau qui leur est tendu réclame 3,3 milliards d'euros de levée de fonds, les marchés financiers sont prêts,
dans ce cas précis, à oublier l'essentiel - la dette de Fiat - pour se concentrer sur l'accessoire - l'entrée en
Bourse de l'un des plus beaux emblèmes du luxe automobile.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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L'accessoire et l'essentiel
03/01/2015
Liberation
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Cargos de migrants, l'Europe à la dérive
Monde - Par Éric Jozsef Correspondant à Rome
Sur le papier, il était prévu que les conditions météo hivernales et surtout la fin de la mission italienne «Mare
Nostrum» de sauvetage au large dissuadent les migrants de tenter la traversée de la Méditerranée. L'Italie
vient pourtant d'être, au cours des derniers jours, le théâtre de plusieurs débarquements d'envergure qui
semblent révéler de nouveaux modes opératoires des trafiquants et les limites de la politique migratoire
européenne. Vendredi soir, le cargo Ezadeen devait ainsi débarquer sur les côtes de Calabre avec, à son
bord, environ 450 migrants au terme d'une intervention en urgence de la marine militaire italienne. Repéré
jeudi soir à environ 150 kilomètres de Crotone, le bateau de 73 mètres de long, immatriculé en Sierra Leone,
était à la dérive. Contactée par radio, une femme qui se trouvait à bord a indiqué que l'embarcation avait été
abandonnée par son équipage. «Nous sommes seuls, il n'y a personne, aidez-nous», aurait-elle lancé selon
le commandant de frégate Filippo Marini. Alertés, les garde-côtes italiens ont déposé par hélicoptère six
hommes sur le pont de l'Ezadeen pour reprendre les commandes du bateau tandis qu'un navire islandais
déployé dans le cadre du dispositif européen «Triton» a escorté l'embarcation. Cet épisode inquiète
sérieusement les autorités maritimes. Car il intervient après deux autres situations similaires survenues
depuis le 20 décembre. Mardi, c'est un autre cargo qui s'était trouvé dans une situation identique, abandonné
par son équipage et avec le moteur bloqué. Le Blue Sky M, avec à son bord près de 800 migrants, se
dirigeait tout droit vers les côtes des Pouilles lorsque les militaires italiens sont intervenus, là encore par
hélicoptère, pour prendre possession du navire. Sans cette opération, le bateau qui avançait à grande vitesse
risquait de se fracasser sur les rochers. L'amiral Giovanni Pettorini évoque un nouveau modus operandi des
passeurs pour faire arriver les clandestins en Italie : «Les trafiquants récupèrent des navires marchands en
fin de cycle pour 100 000 à 150 000 dollars [de 80 000 à 125 000 euros, ndlr], puis ils les remplissent de
migrants, principalement de nationalité syrienne, lesquels vont jusqu'à payer 6 000 dollars pour la traversée
depuis la Turquie jusqu'en Europe. Les trafiquants n'ont aucun scrupule à abandonner le navire, vu le gain
qu'ils réalisent en entassant des centaines de personnes à bord.» «Transit». L'Ezadeen serait parti du port de
Tartous en Syrie, puis aurait fait escale à Chypre. Sa destination officielle était le port de Sète. Quant au Blue
Sky M, il serait parti de Turquie et faisait officiellement route vers Rijeka en Croatie. Au large de Corfou, un
premier SOS est lancé avec l'hypothèse d'un détournement de l'embarcation par des hommes en armes.
Selon les responsables maritimes grecs, un hélicoptère et une vedette auraient alors été dépêchés sur place.
Mais ne détectant «aucun problème mécanique et rien de suspect sur le bateau», les autorités d'Athènes
auraient laissé le Blue Sky M poursuivre sa route. C'est alors que le cargo aurait soudainement viré de bord
et fait cap, à grande vitesse, vers l'Italie. C'est uniquement à 9 milles des côtes des Pouilles que les gardecôtes transalpins sont parvenus à reprendre le contrôle du bateau qui aurait été déserté par les membres de
l'équipage, lesquels avaient bloqué le moteur «à une vitesse d'environ 10 nœuds», selon l'amiral Pettorino.
Celui-ci dénonce «le gravissime problème que posent ces navires à la dérive en Méditerranée pour les autres
bateaux en transit». Après le débarquement de tous les migrants, les policiers italiens ont placé sous enquête
quatre personnes pour vérifier s'ils ne figurent pas parmi les trafiquants. Dangereux. Reste que l'affaire du
Blue Sky M repose la question de la collaboration entre les différents pays européens et en particulier entre la
Grèce et l'Italie. Surtout, ces «navires fantômes» montrent les carences du dispositif de l'agence européenne
Frontex. Depuis le 1er novembre, Bruxelles s'est en effet lancé dans une nouvelle opération, baptisée Triton,
censée aider l'Italie à mieux contrôler ses côtes. En parallèle, Rome a mis un terme à l'opération Mare
Nostrum, qu'elle avait lancée un an plus tôt à la suite du naufrage de 366 migrants érythréens à proximité de
la petite île de Lampedusa. En réponse à cette tragédie qui avait provoqué une grande émotion en Italie, le
gouvernement d'Enrico Letta avait décidé de déployer un vaste dispositif militaire pour aller récupérer les
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Récit. Un nouveau navire abandonné par son équipage a été sauvé vendredi au large de l'Italie. Le dispositif
européen est dépassé par le modus operandi des trafiquants.
03/01/2015
Liberation
Pag. 8
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
291
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embarcations en perdition pratiquement jusqu'aux côtes libyennes. Mare Nostrum a ainsi permis de sauver
plus de 160 000 personnes. Mais selon les partenaires européens, l'opération qui coûtait près de 9 millions
d'euros - à la seule charge de l'Italie - aurait provoqué un «appel d'air» et entraîné la hausse du nombre de
victimes, les migrants étant prêts à monter sur des bateaux de plus en plus dangereux pour tenter d'être
recueillis par les garde-côtes italiens. Faute de parvenir à faire accepter la prise en charge par l'ensemble de
l'Europe de Mare Nostrum, l'Italie a finalement mis un terme à l'opération, obtenant en échange le
déploiement de Triton. Dans le cadre de cette mission qui voit la participation de 21 Etats membres, les
navires restent à proximité des côtes italiennes. En coulisses, les responsables européens espéraient que le
retrait dans un périmètre de 20 milles nautiques depuis la rive des bâtiments de la marine militaire aurait
rebouché «l'appel d'air». Mais l'arrivée des navires fantômes semble au contraire donner raison aux
organisations humanitaires, lesquelles avaient averti que l'abandon de Mare Nostrum ne mettrait pas mis fin
aux tentatives des migrants de traverser la Méditerranée quand les crises africaines et moyen-orientales
poussent des centaines de milliers de personnes à fuir. En septembre, la porte-parole du Haut Commissariat
aux réfugiés en Italie, Carlotta Sami, avait ainsi prédit : «Quand l'immeuble est en flammes, cela ne change
pas grand-chose qu'il y ait ou non un matelas de sauvetage.»
03/01/2015
Liberation
Pag. 9
La Méditerranée, tombeau marin
Monde - Par Michel Henry
Le trafic de migrants est un business juteux. Les deux principaux itinéraires, vers l'Europe et l'Amérique du
Nord, génèrent un chiffre d'affaires annuel de 5,8 milliards d'euros, selon une estimation de l'Office des
Nations unies contre la drogue et le crime (ONUDC), début octobre. Pour son patron, Yuri Fedotov, la
tendance est «à la hausse de la traite de migrants, partout». On a rarement les CV des trafiquants, mais en
août, l'un d'eux a accueilli le Guardian chez lui, en Libye, plaque tournante du trafic. Un joint dans une main,
une Red Bull dans l'autre, ce trentenaire, dans le business depuis 2006, expliquait, comme l'a rapporté
Médiapart : «Je ne suis pas un criminel, je fournis un service.» Il y a un marché, une demande et une offre,
comme pour les stups, mais avec un risque moindre : de nombreux pays n'ont pas encore de législation
spécifique, et les poursuites restent rares, alors que les bénéfices s'avèrent élevés. Par migrant, le passage
coûte 800 à 2 500 euros, voire plus. Pour un bateau avec 500 personnes, le passeur encaisse 500 000 à 1
million d'euros : à ce tarif, il peut acheter une vieille carcasse et l'abandonner en mer. «Première classe».
Selon Philippe Martinez, patron de remorqueur qui a sauvé 1 828 personnes près de Lampedusa cet été (lire
Libération du 8 octobre), «chaque fois, les migrants nous racontent les mêmes histoires : le passeur les a
abandonnés après quelques heures de navigation, un autre bateau s'est approché, le passeur a dit : "Tiens,
voilà du ravitaillement." Il a sauté à bord et le bateau a disparu». Selon lui, «certaines barcasses sont
construites spécialement» : «Les passeurs investissent 25 000 dollars [plus de 20 000 euros, ndlr] pour la
coque et le moteur, puis y entassent 240 personnes. A 2 000 dollars chacune, ça leur fait du 480 000
dollars...» A certains, les passeurs avaient raconté que, de Libye, ils atteindraient Lampedusa en deux
heures. «Mensonge ! rétorque Martinez. A 4 ou 5 nœuds, il faut au moins soixante heures, et encore, si on
garde le cap.» Parfois, les passeurs se font quand même arrêter, comme Karim el-Hamdi, un Tunisien de 33
ans intercepté à Pozallo (Sicile), et dont le site The Daily Beast a raconté l'histoire en mai. El-Hamdi a détaillé
aux enquêteurs les tarifs pour les options supplémentaires à bord : 170 euros pour un gilet de sauvetage,
même prix pour une couverture ou un ciré. 85 euros pour avoir de l'eau et des boîtes de thon, et 170 à 250
euros pour une place en «première classe», sur le pont. Pour un mineur voyageant seul, compter 1 250
euros de plus. Selon lui, ces services sont apparus avec l'afflux de Syriens, plus riches que les migrants
habituels : «Ils achètent tout, ça pousse les trafiquants à offrir plus de choses.» Indifférence. La mer
Méditerranée est un tombeau : 3 419 morts en 2014, soit plus de 9 par jour... 207 000 personnes ont tenté de
la traverser en 2014, selon le HCR, l'agence des Nations unies pour les réfugiés. Trois fois plus qu'en 2011,
année des printemps arabes. 85% partent de Libye, la plupart arrivent (quand ils ne meurent pas en route) en
Italie. En tout, 60 000 Syriens chassés par la guerre et 34 000 Erythréens fuyant un régime politique
insupportable ont tenté de traverser la Méditerranée. «Pour la première fois, en 2014, les personnes
originaires de pays producteurs de réfugiés (principalement la Syrie et l'Erythrée) sont devenues une
composante essentielle de ce flux tragique, à hauteur de 50% du total», note le HCR. Mais les pays
européens ne sont pas décidés à les accueillir, ce dont le haut-commissaire des Nations unies aux droits
humains s'est plaint début décembre, en dénonçant une indifférence «choquante» face à ces migrants qui
risquent leur vie en ayant déjà tout perdu : «A leur place, nous aurions probablement fait la même chose.»
Egalement inquiet, le HCR déplore que la «communauté internationale [perde] de vue la priorité de sauver
des vies», en considérant les pertes humaines comme des «dommages collatéraux» aux guerres.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Décryptage. La traite des migrants, qui n'a jamais été aussi lucrative, a causé plus de neuf morts en mer par
jour en 2014.
03/01/2015
Liberation
Pag. 50
Bologne la Rouge enrage
Grand Angle Par FRÉDÉRIQUE ROUSSEL
Bologne râle. Sur les murs ocre et rouges du vieux corps médiéval, Bologne suinte des lettres et des mots,
proteste par graffitis interposés, par dazibaos revendicatifs. Sur la porte massive de la faculté des sciences
politiques, un mot claque : Sciopero. «Grève». A y regarder de plus près, l'affiche montre des saynètes : un
ouvrier, une étudiante, un Africain, un chômeur, deux enfants qui vont à l'école... Deux cases interpellent le
passant : io («je»). Oui, toi qui regardes, que fais-tu dans cette société de précarisation ? Que feras-tu
demain pour changer les choses ? Un mot d'ordre, sans la marque du moindre label syndical ou politique,
lance une injonction :«Insurrection, organisation, union.» Et appelle à converger à 9 heures, le 12 décembre c'est-à-dire le lendemain -, piazza San Francesco. Dans ce petit matin du 11 décembre, à la veille de la grève
générale programmée dans toute l'Italie contre le Jobs Act (la réforme du marché du travail de Matteo Renzi,
à peine votée, comprend la révision de l'article 18 du code du travail, facilitant les licenciements et réduisant
les droits des salariés dans leurs premières années de contrat), le bureau des étudiants de la faculté de
sciences politiques, à gauche juste après l'entrée, demeure obstinément fermé. Pas âme qui vive. Dans une
semaine, l'université est en vacances de Noël, ce qui représente dans cette ville dénommée «la Dotta» («la
savante»), réputée abriter la plus vieille faculté d'Europe (créée en 1088), 100 000 étudiants dans la nature
sur 375 000 habitants. Sous le porche, un quidam justifie le silence du bureau par la fin tardive, la veille,
d'une réunion d'organisation. La jeunesse revendicative dort encore. Des murs qui hurlent vengeance Dans
l'enfilade d'arcades qui courent le centre de Bologne, au hasard des colonnes, les murs continuent à parler.
Plus près du cœur de l'université, autour de la piazza Verdi, épicentre des événements contestataires de
1968 et de 1977, on dirait même qu'ils hurlent. «Non votare, lotta !» («Ne pas voter, lutter !»), lit-on via
Mentana. Un autre crie vengeance : «Vendetta per Alexis», en référence à l'adolescent de 15 ans, Alexis
Grigoropoulos, fauché dans des heurts avec les forces de l'ordre à Athènes le 6 décembre 2008. Plus loin, il
est question de Nikos Romanos, l'ami d'Alexis, incarcéré après un braquage en 2013 et qui a entamé une
grève de la faim le 10 novembre pour le droit aux études. Un prénom revient aussi, Rémi, pour Rémi Fraisse,
le manifestant de 21 ans tué fin octobre à Sivens, dans le Tarn ( Libération du 29 octobre). Ces martyrs d'une
certaine jeunesse en lutte paraissent faire écho à l'histoire de Bologne. Peut-être une nouvelle strate s'ajoutet-elle, quarante ans après ? Bologna la Rossa, «Bologne la Rouge», ne renvoie pas seulement aux variations
colorées de ses bâtiments. Son passé rouge oscille entre vitrine nationale de la gestion communiste pendant
un demi-siècle, contribution sanglante à des massacres fascistes et fief de la contestation étudiante des
années 70 qui vit tomber un jeune militant, Francesco Lorusso, sous les balles policières via Mascarella, le
11 mars 1977. «On va chercher les "lieux de mémoire"» «En 1977, j'avais 14 ans, se rappelle Cinzia
Venturoli, historienne, spécialiste de la résistance et des années de plomb. Je me souviens de la mort de
Lorusso parce que je n'arrivais pas à comprendre l'antagonisme entre le Parti communiste italien et cette
gauche sur les barricades. Quand j'ai vu que la police intervenait, il m'a paru que quelque chose n'était plus à
gauche dans le PCI. Cette division entre jeunes et administration n'est jamais passée et elle perdure
aujourd'hui.» De fait, elle paraît s'incarner dans les trois manifestations séparées prévues pour la grève
générale du lendemain : les jeunes ont rendez-vous piazza San Francesco, les syndicats partent du pont de
via Giacomo-Matteotti, les enseignants de la via Venezia. Energique femme aux yeux bleus chaleureux,
Cinzia Venturoli a donné rendez-vous piazza Verdi avant de retrouver des étudiants américains pour leur
parler de l'histoire de l'Italie contemporaine. Cette Bolognaise anime des ateliers avec des scolaires sur les
années 70 : «A l'école, on s'arrête à la Seconde Guerre mondiale. Peut-être parce qu'après, c'est de la
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grand angle. Unis contre la réforme libérale du travail, les étudiants tentent de raviver la flamme sociale et
contestataire de leur ville, emblème du passé communiste et de la répression sanglante des années 70 en
Italie.
03/01/2015
Liberation
Pag. 50
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politique et pas de l'histoire. Les professeurs ont un peu peur de parler de cette période, du terrorisme, du
fascisme.» Loin des traditionnels tours de la Bologne gastronomique ou magique, l'historienne organise le
sien sous l'angle de la résistance et des mouvements revendicatifs. «On va chercher dans la ville les "lieux
de mémoire", comme disait Pierre Nora. Par exemple, nous allons à la gare centrale pour voir ce que la
mémoire a fixé de la strage di Bologna [«le massacre de Bologne», attentat à la bombe perpétré par
l'extrême droite le 2 août 1980 dans la gare, ndlr], la plaque qui recense les noms des 85 morts, le morceau
de sol où se voit l'impact de la bombe, puis on écoute les témoins, comme l'agent présent sur les lieux ou des
blessés.» Cinzia Venturoli présente cette révélation des traces comme une action citoyenne qui sensibilise
les enfants et les étudiants au passé ravageur, avec la perspective de «bâtir tous ensemble pour le futur».
Les coopératives, fiertés de la région Si son tour urbain s'achève à la gare centrale, il démarre naturellement
de la piazza del Nettuno et de la piazza Maggiore. Le cœur de la ville. C'est ici que l'écrivain de polars
Loriano Macchiavelli a situé le meurtre de Bologne ville à vendre (1), à l'angle de la via Indipendenza et de la
via Ugo-Bassi. Un décès en pleine insurrection étudiante, mais qui ne doit rien aux échauffourées. Le
prologue du roman, publié en 1979, revient sur les événements de 1977 pendant lesquels son héros et
policier, Sarti Antonio, sympathise avec l'étudiant Rosas, qu'il a d'abord failli frapper. Ici, comprend-on, r ien
n'est tout blanc ni tout noir. Et rouge et noir se mélangent souvent. L'épisode de 1977, avec la mort de
Lorusso, reste, pour Loriano Macchiavelli comme pour Cinzia Venturoli, marqué par une incompréhension.
L'écrivain raconte qu'il se déplaçait d'une manifestation à l'autre en Vespa pour tenter d'appréhender le
mouvement. «Je n'ai toujours pas compris ce que faisaient sous les deux tours [symbole de la ville] les
blindés des carabinieri.» C'est vers la piazza Maggiore que la population a convergé en 1980, après l'attentat
de la gare pour se renseigner, commenter le drame et proposer ses services. «C'est le lieu où, quand
quelque chose ne marchait pas, on allait pour parler, se rencontrer», poursuit Cinzia Venturoli. Des plaques
officielles y rappellent les trois massacres qui ont frappé en dix ans l'Emilie-Romagne, attribués à l'extrême
droite et à la mafia. C'est aussi un mémorial de la Seconde Guerre mondiale avec un mur de photos des
résistants tués par les nazis. Non loin de là, il y a la via Barberia. Et quand on dit «via Barberia» à Bologne,
les anciens savent qu'on va parler du Parti communiste. Deux mots ancrés en eux : il Partito. «Le Parti».
Jusqu'à la fin des années 80, le PCI avait son quartier général dans un ancien palais de cette rue. En 1977,
les étudiants tentèrent d'ailleurs d'envahir le bâtiment. Cinzia Venturoli interrompt la conversation, il est
l'heure de rejoindre les étudiants américains. Elle conclut : «Quand je leur dis : "A gauche du Parti
communiste...", ils me rétorquent invariablement : "Ah bon ! Il y a quelque chose à gauche du Parti
communiste ?"» Si Cinzia Venturoli s'amuse encore à agiter le chiffon rouge au nez des Américains inquiets,
le PCI a largement perdu de sa superbe à Bologne et en Emilie-Romagne. Même dans les coopératives,
fiertés de la région, qui comptaient 141 060 salariés en 2013. «Jusqu'en 1990, il y avait des liens puissants
entre la politique et les coopératives, raconte Alberto Alberani, responsable des coopératives sociales à la
Legacoop. La mairie donnait ses commandes directement aux coopératives. Un système d'appels d'offres a
été instauré depuis.» Le téléphone sonne dans son bureau de la Legacoop, située dans une tour du
complexe Fiera District dans le quartier San Donato. Un journaliste de la Repubblica tente de le joindre pour
l'interroger sur le scandale qui secoue Rome depuis début décembre ( Libération du 8 décembre) : un vaste
réseau d'entrepreneurs mafieux, qui avait mis sur pied un système de corruption pour fausser des appels
d'offres, a été démantelé. L'un des protagonistes, ancien militant d'extrême gauche, dirigeait un consortium
de coopératives sociales qui s'occupait des Roms, des centres d'accueil pour immigrés et des espaces
verts... «Nous avons 12 000 coopératives sociales et c'est le premier scandale qui les touche, tempère
Alberto Alberani. Heureusement, elles sont connues comme des entreprises différentes avec des valeurs et
un contrôle, surtout en Emilie-Romagne.» Des syndicats peu représentatifs Pourtant, certains considèrent à
Bologne que les coopératives génèrent du travail précaire, surtout avec de la main-d'œuvre immigrée
employée à la journée. Une idée battue en brèche par Alberto Alberani, qui avance un chiffre : pas moins de
85% de leurs salariés ont un CDI. La modification de l'article 18 du code du travail, emblème social qui
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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protège les salariés contre les licenciements abusifs et qui fait grimper aux rideaux les syndicats traditionnels,
ne concerne guère son secteur : «En 2013, seuls trois de nos employés, un coupable de vol et deux autres
au comportement violent, auraient pu être concernés. Le débat sur l'article 18 est symbolique. Renzi a fait
une loi qui vise à créer des problèmes aux syndicats.» La chute de la participation électorale émeut
particulièrement le responsable de chez Legacoop qui, en 1977, à 18 ans, était un militant de Lotta Continua,
la formation révolutionnaire à laquelle appartenait aussi Francesco Lorusso. Il garde le souvenir d'une
«période fantastique», pendant laquelle il a participé à la clôture des hôpitaux psychiatriques et à la fermeture
des instituts pour handicapés afin de les intégrer dans le système scolaire. «Quand vous pensez qu'il y a
vingt ans, il y avait 70% de participation aux élections régionales, dit-il. La semaine dernière, seulement 37%
des gens se sont déplacés, c'est quelque chose d'incroyable pour l'Emilie-Romagne.» Bologne, qui n'est plus
que l'ombre de son passé de Rossa, reste pourtant comme à part du reste de l'Italie. «La seule différence,
c'est qu'il n'y a pas de fascistes comme dans d'autres villes, estime l'écrivain Valerio Evangelisti. Le
groupuscule néofasciste et antisémite Casapound n'a pas tenu à Bologne et a fermé.» Pour l'auteur Loriano
Macchiavelli, «Bologne était une ville où il faisait bon vivre. On ne s'est pas rendu compte que le monde était
en train de changer et qu'on se normalisait. C'est fatal : dans un monde qui ne tolère pas les différences, la
politique a simplement fait ce qu'elle devait pour transformer Bologne en une ville comme les autres». Lucia
Manassi, 50 ans, arrivée de Milan seize ans plus tôt, trouve que les gens «sont plus citoyens et collectifs que
dans le reste du pays». La directrice de Radio Città del Capo, alternative et coopérative, cite les Social
Streets, «ces groupes qui cherchent à vivre mieux dans leur quartier». Apparues il y a un an et soutenues par
la municipalité, ces communautés informelles rassemblent les habitants d'une rue grâce à Facebook. Lucia
Manassi évoque aussi des projets solidaires au Pilastro, une banlieue connue pour être mal famée, édifiée
dans les années 60 par la mairie pour les immigrants du Sud de l'Italie. La crise a amené plus de pauvreté
dans une ville connue pour son opulence. «Avant 2008, il n'y avait pas de chômage à Bologne. D'à peine 3%,
on est passé à 9%, tandis que l'Italie affiche 12-13%.» A titre d'illustration, Lucia Manassi évoque la journée
organisée une fois par an par l'université pour pousser étudiants et entreprises à se rencontrer : «Il y avait 2
000 étudiants qui voulaient entrer dans la salle, 30 qui protestaient dehors ; 2 000 qui disaient : "Je dois
travailler."» A ses yeux, les syndicats représentent les fonctionnaires, les retraités et les ouvriers des usines,
mais pas la majorité de la population devenue de plus en plus précaire. «Demain, il y aura beaucoup de
personnes âgées dans la rue à l'appel des syndicats CGIL et UIL, confirme un autre interlocuteur. Mais des
milliers de gens préféreront aller au Motor Show de Bologne 2014.» 6 000 bâtiments vides Piazza San
Francesco, le 12 décembre, à 9 heures. Au bar du Marché, une poignée de lycéens viennent prendre un
expresso pour se réchauffer. Quelques groupes convergent devant l'église. Le lycée Laura-Bassi a étalé sa
banderole sur le parvis, «Laura-Bassi not for sale» («Laura-Bassi n'est pas à vendre»). Il n'y aura pas foule.
Francesco, 17 ans, développe en anglais la raison de cette troisième manifestation, après le 10 octobre et le
14 novembre. «Nous protestons contre le système scolaire de la méritocratie et sa privatisation», souligne ce
militant qui participe aussi au collectif Làbas. Son ardeur et son assurance forcent l'admiration : «Si on n'agit
pas, personne ne se lèvera. Nous sommes ce que nous décidons d'être.» Francesco fait partie de la
jeunesse antigouvernementale, antisyndicale, anticapitaliste et antimédias qui mène des occupations dans la
ville pour revendiquer des logements et des loyers plus bas. En face de la mairie flambant neuve, un
immense bâtiment des télécoms, inoccupé depuis presque dix ans, a été investi depuis une semaine par le
collectif Social Log pour y loger pas moins de 70 familles italiennes et étrangères, soit 300 personnes. Dans
la cour de cet immeuble de bureaux, des enfants jouent, des gens vont et viennent. «C'est la plus grande
occupation en Italie depuis le mois de mars, explique Fulvio, de Social Log. Beaucoup de familles italiennes
nous rejoignent, nous sommes déterminés à rester et à organiser une lutte pour le droit au logement.» Le
militant explique que la mairie dispose de 6 000 bâtiments vides dont elle ne se sert pas, alors que l'hiver, en
Italie, on n'arrête pas les expulsions. Idra, un autre collectif, a vu le jour en octobre à la faveur de l'occupation
d'un bâtiment déserté depuis dix ans. «Nous l'avons appelé Idra en référence au monstre à plusieurs têtes,
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explique "Camille" (prénom générique des zadistes qui veulent préserver leur anonymat), un étudiant de 21
ans. On occupe, et si on nous coupe une tête et nous expulse, on va réoccuper ailleurs et une tête
repousse.» «La tradition des grands squats» perdue Depuis une semaine, à la faveur d'un cortège de trois
collectifs contre les expulsions, Idra a envahi, en plein centre médiéval, un palais qui appartient à l'Eglise et
sans âme qui vive depuis cinq ans. Sur la boîte aux lettres de la porte monumentale, un ACAB («All Cops Are
Bastards») a été inscrit en lettres rouges. Une vingtaine de personnes ont investi les lieux sans chauffage ni
électricité. Une pietà décore l'escalier et le plafond arbore une peinture sacrée. Mais c'est entre une bouteille
de Coca, un cendrier, des tracts, un livre de droit du travail et un ouvrage titré Revoluzione que Camille décrit
le moteur du collectif : «Nous occupons pour obtenir des loyers plus bas, quitte à avoir un accord avec les
propriétaires et faire des initiatives avec le quartier. A Bologne, c'est très difficile de trouver un appartement.»
La lutte, aujourd'hui, se construit sur des objectifs concrets comme des zones à occuper. En Italie, c'est dans
les années 70 que sont nés les centres sociaux, lieux de vie populaires, culturels et politiques. «On a perdu
cette tradition des grands squats, mais on a toujours cette envie forte de créer un centre social pour animer
une vie de quartier qui permet aussi une visibilité au mouvement. Un soir, un lieu ; un autre soir, un autre
lieu.» Camille revient aussi sur le traumatisme des événements de Gênes en 2001 - lors du sommet du G8,
des émeutes avaient éclaté et Carlo Giuliani, un étudiant, avait été tué par la police. «Depuis, les
mouvements de désobéissance civile ont changé leurs pratiques.» Ce matin-là, les troupes sont maigres. A
part ces Camille 1, Camille 2, Camille 3 et Camille 4, qui dort encore du sommeil du combattant, les autres
n'ont pas encore rappliqué. La veille au soir, ils étaient de la fête d'autofinancement organisée par le collectif
contestataire Hobo pour pouvoir organiser d'autres activités, acheter du matériel, se payer un avocat. La fête
se déroulait à la faculté de sciences politiques. Tiens donc. Une image matinale, une affiche appelant au
triptyque «Insurrection, organisation, union». Un mot revient alors à l'esprit : Io. (1) «Bologne ville à vendre»,
proposé et traduit de l'italien par Laurent Lombard, Métailié «Noir».
05/01/2015
Liberation
Pag. 21
Le chinois Fosun fait peur aux GO français
Économie - Par Coralie Schaub
C omment les salariés du Club Méditerranée vivent-ils le fait que leur entreprise deviendra bientôt chinoise ?
«Avec une grande crainte, si l'on en croit Djamila Selli, secrétaire FO du comité d'entreprise (CE). Beaucoup
m'ont appelé ce week-end et m'ont fait part de leur déception et de leur inquiétude.» Vendredi, l'homme
d'affaires italien Andrea Bonomi a jeté l'éponge, renonçant à surenchérir une énième fois dans la lutte pour le
rachat du groupe français, laissant ainsi la voie libre au conglomérat chinois Fosun. Celui-ci peut désormais
s'emparer du Club Med, pour près de 1 milliard d'euros. En octobre, le CE (via les représentants des deux
principaux syndicats du groupe, FO et Unsa) avait déjà exprimé ses réserves sur le candidat chinois. A
l'inverse, la CFTC, d'abord neutre, avait défendu Fosun et la stratégie de montée en gamme poursuivie
depuis plus de dix ans par le PDG du Club Med, Henri Giscard d'Estaing, et très éloignée de l'image des
Bronzés. L'affaire étant désormais bientôt conclue, FO et l'Unsa campent sur leurs positions pessimistes. «Le
problème n'est pas le fait d'être chinois, mais de ne représenter qu'une seule nationalité, alors qu'avant le
capital était dispersé. Nationalité, qui plus est, qui est loin de notre culture», avance Djamila Selli. Et d'ajouter
: «Fosun, surtout, n'a apporté aucune garantie sur l'emploi, il ne s'est engagé sur rien du tout. Or l'entreprise
perd de l'argent.» Le Club Med, qui emploie 13 000 personnes dans le monde, dont 4 000 en France,a perdu
12 millions d'euros en 2014, après des exercices 2011 et 2012 légèrement dans le vert. «Nous avons alerté
en vain. Maintenant, il va falloir lutter pour préserver nos emplois, en particulier les emplois européens, car le
centre stratégique se déplacera vers l'Asie, soupire Michel Braquet, délégué Unsa. Et Fosun devra définir
une vraie stratégie. Car, jusqu'ici, la seule qu'il ait annoncée est de développer l'internationalisation, en
particulier le marché chinois, ainsi que le haut de gamme. Mais ce dernier a ses limites : pour que les clients
restent satisfaits des prestations avec des prix de plus en plus élevés, on paie de notre personne, nous les
Gentils organisateurs.» En parlant de G.O., Michel Braquet s'inquiète de la perte de l'esprit maison : «Amuser
les Chinois qui viendraient passer deux jours à Paris, un jour dans la vallée de la Loire et quatre dans un
village, ce ne serait pas le même paradigme qu'avant. Ce serait de l'hôtellerie classique. Sans échange,
certains GO ne s'y retrouveraient plus.» Y aura toujours du soleil, des nanas, mais peut-être pas la même
java.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Club Med . Les salariés craignent pour l'emploi avec le changement d'actionnaire, quasi acté.
05/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.18
BY MANUEL AMESCO
For years, Eli Prosciutti, a family- run maker of Italian ham, stuck close to home. The Parma-based maker of
buttery-soft San Daniele prosciutto barely ventured abroad, daunted by the thicket of health regulations and
unwilling to share profits with importers who could help penetrate foreign supermarkets and high-end
restaurants.But now recession-weary Italian shoppers are scrimping, while hard-pressed supermarkets are
squeezing suppliers. So after three years of losses, Eli Prosciutti has finally ventured overseas, pushing
harder into pricier cuts that sell strongly abroad."Food has been the last to be hit by the crisis" in Italy, says
owner Elena Dalla Bona. "We're now feeling even more pain than before."Italian food may be world
renowned, but its producers are caught in a painful squeeze at home. The food industry makes up about
oneseventh of Italy's economy, but with the country locked in its third recession in six years, consumer
spending has fallen 13% since 2008, according to consumers' association Federconsumatori.That is weighing
heavily on makers of delicacies such as prosciutto, cheese and wine. For instance, the consortium of makers
of Parmigiano-Reggiano cheese decided in June to withdraw 90,000 wheels from the market, faced with a
drop in prices due to declining demand. The return on sales of wine has dropped a third since 2007,
according to consulting firm Nomisma, propelled in part by the decline of eating out, which offers winemakers
richer margins. One in eight small food producers have gone bust since 2008, according to research by
Bocconi University.Indeed, the downturn has exposed the general weakness of Italy's huge cohort of small
businesses-food companies with more than 50 workers are only 1.5% of the total, according to Nomisma-who
often lack the money, vision and managerial expertise to break out of the domestic market.Just 12% of overall
Italian food producers sell abroad at all, and total Italian food exports are half those of Germany, Nomisma
says. "There's a huge demand for Italian food abroad," says Massimiliano Bruni, professor at Bocconi
University. "But Italian entrepreneurs never figured out how to sell it."One handicap has been Italy's relatively
backward retail sector. French or German food makers benefited from the expansion abroad of their big
supermarket chains, such as Carrefour SA or Metro, which took domestic foodstuffs with them as they grew
around the world. Italian retailers instead never ventured abroad, leaving stores trapped in a moribund
domestic market.In turn, with the expansion of hard discounters-14% of Italians shopped at hard discounters
in 2013, up from 10% in 2011-virtually all retailers are imposing tougher conditions on suppliers.For instance,
Isolabella, a small, high-end winery, had shunned regular supermarkets, doing good business by focusing on
specialty wine shops at home. But even those retailers began to press for lower prices, pushing the
Piedmont-based winemaker's margins down 15% in the last five years.Although the winery decided to expand
abroad several years ago, managing to strike deals with importers in the U.S., it has been tough nonetheless.
Its efforts to break into the New York City market-a key area given the visibility it lends brands-have failed,
with importers demanding steep discounts. Even though the company now earns more than half its revenue
outside Italy, overall sales are flat."Having a foothold in foreign markets today makes us much better
positioned than if we were selling only in Italy," says Francesco Isolabella, one of the owners of the winery.
"But even selling abroad is very hard."In a push to expand abroad, some have stumbled over problems in
Russia, a small but fast- growing market that screeched to a halt following sanctions on importing.For
instance, Ms. Dalla Bona, who had traditionally sold 15% of her prosciutto abroad, targeted Russia in her
plans to go international. She began selling there in late 2013 and prospects were good through spring. The
sanctions cut off those plans though, and Ms. Dalla Bona hasn't been able to replace Russia with other
markets.Food producers are also moving up the price ladder, developing their own retail networks or latching
on to high-end gourmet vendors.Venchi, a Turin-based chocolatier, tried for years to cut its dependence on
supermarkets and open its own retail network, particularly abroad. "We knew that we either found a retail
format that worked or we would have been limited to a declining domestic market," said Chairman Daniele
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Italy's Food Producers Look Abroad to Survive
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Wall Street Journal
Pag. 1.18
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Ferrero. "We may even have had to sell the company."In 2000, Venchi ventured into retail selling only its
chocolates. Such a narrow product line wasn't enough to support a big investment. Six years later, the
company tried again, but added chocolate beverages, ice cream and other products.It also upgraded its
locations and store designs, replacing cheap furniture with tonier pieces. Venchi also hired more experienced
sales staff."The change in the perception was so big that the average consumer went from spending €5 to
about €12," Mr. Ferrero said. "We're becoming more like a luxury fashion house than a food store."Some
brands are also riding the coattails of Eataly, a gourmet Italian supermarket that has become a sensation
abroad for its array of Italian delicacies and in-store restaurants.The store's Fifth Avenue outlet in New York
City rings up sales of $80 million a year, with about 5,000 customers a day. Eataly expects to post €400
million in sales in 2014, a 33% rise on the year.Eli Prosciutti has flourished with Eataly. Ms. Dalla Bona sells
each leg of higher-quality prosciutto for €1 more than to regular supermarkets. Pasta sells for as much as €5
a pack in its Italian shops, five times the cost in a supermarket. That translates into better prices for
suppliers.Italian food producers are hoping other retailers will emulate Eataly. "They paved the way for
others," said Mr. Ferrero. "They threw open the idea that Italians are good with food."
05/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.4
| By Simon Nixon
It was supposed to be the year the eurozone exited its debt crisis, when growth would return to the currency
union bringing with it confidence and jobs. But 2014 didn't work out that way. Although the economy emerged
from its double- dip recession, likely growth of just 0.8% was even more feeble than the 1.2% forecast at the
start of the year, while inflation fell alarmingly close to 0%, raising fresh questions about debt sustainability.A
few former crisis countries, including Spain and Ireland, performed better than expected, but the major
economies of Germany, France and Italy performed worse. Hopes of an imminent European Central Bank
government-bond-buying program helped drive down borrowing costs for many countries, creating the illusion
of calm. But the eurozone is arguably now in greater peril of breaking up than ever before.Where did it all go
wrong? Three factors in particular stand out. The first was the impact of the slowdown in growth in China and
other emerging markets, itself a response to the prospect of tighter global liquidity conditions as the U. S.
Federal Reserve ended its own quantitative- easing program. The second was the impact of the Ukraine
crisis and the sanctions imposed on Russia, which had a particular impact on the German economy.These
were shocks over which the eurozone had little control and which may continue to exert a drag on growth in
2015, although the impact of weaker emergingmarket demand may yet be partially offset by the stimulatory
boost from lower oil and commodity prices.But the third factor in the eurozone's weak performance in 2014
was homegrown. Structural obstacles continued to impede the rebalancing of many economies, particularly in
Southern Europe, preventing capital and labor from being reallocated to where they could be more
productively employed. Rigid labor and product markets have made it hard for firms to adapt to the new
economic environment and have deterred new investment.Crucially, weak insolvency regimes and inefficient
judicial systems have prevented the restructuring of private- sector debts, essential to enable banks to work
through their vast portfolios of nonperforming loans. Meanwhile, high levels of taxes, corruption, bureaucracy
and protection for vested interests continue to discourage the supply of the new equity capital that the
eurozone urgently needs to fund a new cycle of growth.Removing these structural obstacles is crucial not
only for the eurozone's growth but also for its long- term viability- a point made by ECB President Mario
Draghi in a recent speech. In a currency union that lacks automatic fiscal transfers, member states that lack
the capacity to swiftly and efficiently rebalance their economy are less able to absorb shocks.Yet the scale of
reform required in some countries to enable this rebalancing amounts to a cultural revolution, a Reformation
akin to the campaign to sweep away the corruption and abuses of the medieval Catholic church. What
became clear in 2014 is that achieving this Reformation is proving harder than many had anticipated.Clear
signs of reform fatigue have emerged in Spain, Portugal and Greece, while in France and Italy, even relatively
modest reform programs were watered down in the face of powerful opposition.Why is reform proving so
hard?Of course, much of the problem lies with weak political structures: Even determined governments have
struggled to contend with well-organized and well-funded interest groups embedded in bureaucracies, trade
unions, judicial systems and the corporate sector. But a crucial factor has been the political context in which
reformers have had to operate. The eurozone is increasingly paralyzed by a sterile debate focused on a
supposed conflict between "austerity" and "growth."Those who argue that the eurozone's core problems are
structural are confronted by a simplistic Keynesian analysis that holds the eurozone's real problem is a lack of
fiscal and monetary stimulus, that its challenges are macro rather than micro, reflecting lack of demand rather
than impediments to supply. Policies to eliminate wasteful spending, improve efficiency, enhance productivity
and boost potential growth are dismissed as growth-sapping austerity.The antiausterity banner has become a
rallying point for resistance to all reform, reducing the political space for governments to tackle structural
problems. Support for radical leftist parties is being fueled by the naive belief that if only Germany would
repair its bridges or the eurozone would build more roads or the ECB would embark on quantitative easing
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
300
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Eurozone: Why It All Went Wrong
05/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.4
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
301
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then governments would have no need for spending cuts or reforms.It is this deepening ideological divide
which now threatens to rip the eurozone apart.Never mind that few economists expect quantitative easing to
deliver significant benefits in the highly indebted, bank- dominated eurozone; or that the spillover from any
German public- spending program to Italy and France is likely to be meager; or that the same structural
problems that impede domestic investment also make it hard for the European Union to identify and deliver
growth-friendly projects.Never mind also that a collapse in fiscal discipline risks undermining not only market
confidence but also the trust between governments vital to future integration. And never mind the warnings of
Mr. Draghi and others that stimulus without reform will harm rather than help the eurozone. Faith in
Keynesian magic bullets is impervious to such concerns.This ideological clash may yet come to a head in
2015. The first flash point is in Greece, where a snap election will be held on Jan. 25 following Parliament's
failure to agree on a new president.In reality, the risk from Greece may be overstated, given the weakness of
the country's political and financial position and the radical-leftist opposition party Syriza's commitment to
keep Greece in the eurozone. But potentially more troubling threats to stability may emerge elsewhere. Weak
governments in France and Italy may not be able to withstand the ideological tide. Elections later in the year
may bring antiausterity parties into government in Spain and Portugal.Policy makers may try to buy off this
counterreformation by acceding to demands for extra stimulus, but all they can buy is time. The eurozone has
no capacity to force member states to embrace the path of virtuous reform- even when its own survival is at
stake. That remains its central weakness.
05/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 18
The Wall Street Journal Europe
Da pagina 1 prices due to declining demand. The return on sales of wine has dropped a third since 2007,
according to consulting firm Nomisma, propelled in part by the decline of eating out, which offers winemakers
richer margins. One in eight small food producers have gone bust since 2008, according to research by
Bocconi University.Indeed, the downturn has exposed the general weakness of Italy's huge cohort of small
businesses-food companies with more than 50 workers are only 1.5% of the total, according to Nomisma-who
often lack the money, vision and managerial expertise to break out of the domestic market.Just 12% of overall
Italian food producers sell abroad at all, and total Italian food exports are half those of Germany, Nomisma
says. "There's a huge demand for Italian food abroad," says Massimiliano Bruni, professor at Bocconi
University. "But Italian entrepreneurs never figured out how to sell it."One handicap has been Italy's relatively
backward retail sector. French or German food makers benefited from the expansion abroad of their big
supermarket chains, such as Carrefour SA or Metro, which took domestic foodstuffs with them as they grew
around the world. Italian retailers instead never ventured abroad, leaving stores trapped in a moribund
domestic market.In turn, with the expansion of hard discounters-14% of Italians shopped at hard discounters
in 2013, up from 10% in 2011-virtually all retailers are imposing tougher conditions on suppliers.For instance,
Isolabella, a small, high-end winery, had shunned regular supermarkets, doing good business by focusing on
specialty wine shops at home. But even those retailers began to press for lower prices, pushing the
Piedmont-based winemaker's margins down 15% in the last five years.Although the winery decided to expand
abroad several years ago, managing to strike deals with importers in the U.S., it has been tough nonetheless.
Its efforts to break into the New York City market-a key area given the visibility it lends brands-have failed,
with importers demanding steep discounts. Even though the company now earns more than half its revenue
outside Italy, overall sales are flat."Having a foothold in foreign markets today makes us much better
positioned than if we were selling only in Italy," says Francesco Isolabella, one of the owners of the winery.
"But even selling abroad is very hard."In a push to expand abroad, some have stumbled over problems in
Russia, a small but fast- growing market that screeched to a halt following sanctions on importing.For
instance, Ms. Dalla Bona, who had traditionally sold 15% of her prosciutto abroad, targeted Russia in her
plans to go international. She began selling there in late 2013 and prospects were good through spring. The
sanctions cut off those plans though, and Ms. Dalla Bona hasn't been able to replace Russia with other
markets.Food producers are also moving up the price ladder, developing their own retail networks or latching
on to high-end gourmet vendors.Venchi, a Turin-based chocolatier, tried for years to cut its dependence on
supermarkets and open its own retail network, particularly abroad. "We knew that we either found a retail
format that worked or we would have been limited to a declining domestic market," said Chairman Daniele
Ferrero. "We may even have had to sell the company."In 2000, Venchi ventured into retail selling only its
chocolates. Such a narrow product line wasn't enough to support a big investment. Six years later, the
company tried again, but added chocolate beverages, ice cream and other products.It also upgraded its
locations and store designs, replacing cheap furniture with tonier pieces. Venchi also hired more experienced
sales staff."The change in the perception was so big that the average consumer went from spending €5 to
about €12," Mr. Ferrero said. "We're becoming more like a luxury fashion house than a food store."Some
brands are also riding the coattails of Eataly, a gourmet Italian supermarket that has become a sensation
abroad for its array of Italian delicacies and in-store restaurants.The store's Fifth Avenue outlet in New York
City rings up sales of $80 million a year, with about 5,000 customers a day. Eataly expects to post €400
million in sales in 2014, a 33% rise on the year.Eli Prosciutti has flourished with Eataly. Ms. Dalla Bona sells
each leg of higher-quality prosciutto for €1 more than to regular supermarkets. Pasta sells for as much as €5
a pack in its Italian shops, five times the cost in a supermarket. That translates into better prices for
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Italy's Ham, Cheese Producers Look Abroad
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Wall Street Journal
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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suppliers.Italian food producers are hoping other retailers will emulate Eataly. "They paved the way for
others," said Mr. Ferrero. "They threw open the idea that Italians are good with food."
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 6
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Rogoff: gli Usa sono in ripresa ma non ancora fuori pericolo
Joe Kernen - Cnbc
L'economia americana è in ripresa, gli ultimi dati mostrano un pil in forte crescita. C'è chi dice che la ripresa è
stata molto lenta a causa dell'incertezza, innescata da ObamaCare e tasse. Altri dicono che era una tipica
reazione dell'economia a una crisi finanziaria. Alcuni invece sostengono che le recessioni precedenti si sono
verificate perché la Fed aveva alzato i tassi troppo in fretta e in misura eccessiva. Chi ha ragione? Ne
parliamo con Kenneth Rogoff, docente ad Harvard e autore di Questa volta è diverso, un'analisi dell'ultima
crisi economica negli Stati Uniti. Domanda. In cosa quindi si differenzia questa crisi dalle precedenti?
Risposta. Come altre crisi finanziarie, comunque è stata di portata sistemica e poi, in genere, si considera
solo il ruolo giocato dalle grandi banche. Certo l'incertezza ha avuto un peso, ciò non va dimenticato, ma
anche la politica ha avuto le sue colpe. Tutto ciò si è poi tradotto in una depressione. D. Molti dicono che
nulla è cambiato sul fronte delle regole, che se non fosse stato per noi l'Europa avrebbe fatto meglio, e che a
causa dell'Europa la crisi è stata globale e sistemica. R. L'Europa, per me, non era pronta a prendere la
leadership dell'economia mondiale. L'euro è un progetto ancora in divenire. Anche se l'Europa fosse stata in
migliori condizioni non credo che la crisi negli Stati Uniti sarebbe stata meno dura. D. Qualcuno afferma che
la politica in passato ha preso misure più efficaci, stavolta non adottate. Lei è d'accordo? R. Difficile dirlo con
certezza, sì in passato la politica ha preso delle misure più efficaci. D. Ossia? R. Si è proceduto a diverse
riforme strutturali che, naturalmente, hanno rimosso molte inefficienze. Ma stavolta la crisi era di natura
anche finanziaria, non solo economica. E non è facile procedere a riforme strutturali quando c'è una crisi così
profonda in corso. Soprattutto sulle grandi banche la situazione era totalmente diversa rispetto al passato. D.
Secondo lei il merito dell'uscita dalla crisi è più della Fed o dei legislatori di Washington? R. Sicuramente c'è
stata molta oculatezza nelle scelte della banca centrale, ma penso che parte del merito vada dato anche a
Bush, per gli stimoli introdotti a sostegno dell'economia in una fase molto difficile, e penso che anche Obama
abbia posto in essere buone politiche. D. Secondo altri illustri esperti le riforme strutturali non sono ancora
state fatte. R. Come ho detto prima, riforme di questo tipo non sono semplici nel bel mezzo di una crisi. Per
agire a livello strutturale c'è bisogno di un sistema finanziario solido. Sicuramente c'è ancora molto da fare in
futuro, anche sul fronte delle banche, e non sarà uno scherzo. D. Ma nel lungo periodo, l'economia
americana è in una situazione migliore o ci sono ancora dei rischi in questo momento difficili da prevedere?
R. Penso di sì, siamo ancora in una situazione rischiosa. D. Lei vede ancora il pericolo che si formino bolle
finanziarie? R. Sì, non possiamo esserne certi. In ogni caso la Fed sarà molto cauta sull'aumento del costo
del denaro. Sono soprattutto preoccupato per alcuni aspetti particolari. Si guardi per esempio al mancato
collegamento tra quanto accade al prezzo del petrolio e ai tassi di interesse, molto bassi rispetto a quanto ci
si aspettava, proprio mentre l'economia è in piena ripresa. Ci sono insomma fenomeni contrastanti che vanno
analizzati a fondo. (riproduzione riservata)
Foto: Kenneth Rogoff
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 9
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Un venticello di ripresa
Anna Messia
Spera che arrivi il meglio ma preparati ad affrontare il peggio. Un adagio che secondo Wilfried Verstraete, dal
2009 presidente di Euler Hermes, la società del gruppo Allianz, leader mondiale nell'assicurazione del credito
con 2,5 miliardi di fatturato, dovrebbe valere nel 2015 più che mai. Perché nonostante nell'ultimo anno ci sia
stato un calo delle insolvenze globali del 12% e per il prossimo si preveda un ulteriore discesa del 3%, «ci
sono ancora molti rischi che pesano sullo scenario internazionale e che rendono le imprese esportatrici
vulnerabili, osserva il numero uno del gruppo, che in precedenza è stato anche cfo e membro del cda di
Allianz Global Corporate & Specialty, oltre che ceo e presidente di Atradius, i concorrenti olandesi di Euler
Hermes. Domanda. Di quali rischi si tratta presidente Verstraete? Come immagina il 2015? Risposta. Le
condizioni economiche di breve termine sono probabilmente meno positive di quelle che avevamo
immaginato un anno fa. Tra le economie avanzate, solo il Nordamerica e alcuni Paesi dell'Europa, come la
Gran Bretagna, stanno registrando una crescita. Le nostre ultime ricerche mostrano più in particolare la
fragilità dell'Eurozona. La domanda debole, la carenza di investimenti in infrastrutture, la pressione al calo dei
prezzi, oltre che il finanziamento alle imprese saranno le sfide dei prossimi mesi. D. Gli interventi del
presidente della Bce, Mario Draghi, non sono bastati a riportare fiducia? R. Il sostengo della Banca Centrale
Europea ha iniziato ad avere un impatto positivo nel Paesi del Sud Europa, in termini di competitività e
domanda domestica nel settore auto e retail. Ma la Francia, insieme ad altri Paesi, continua a combattere per
realizzare riforme, per sostenere le esportazioni e per tentare di attrarre industrie capaci di portare valore e di
creare posti di lavoro. Nell'Est Europa, le economie più legate all'Eurozona costituiscono un impulso
moderato, e devono controbilanciare gli effetti negativi della crisi Russa-Ucraina. D. Con quali ripercussioni
sul prodotto interno lordo? R. Dopo quattro anni consecutivi di crescita globale del pil sotto il 3%, stimano che
l'economia dell'Eurozona aumenterà dell'1% nel 2015, mentre l'economia mondiale è attesa in crescita del
2,8%, sostenuta dall'andamento positivo dei Paesi emergenti che potrebbero registrare uno sviluppo del
4,3%. I segnali positivi anche sui mercati tradizionali non mancano, come il forte aumento del pil e dei
lavoratori negli Usa, gli stimoli monetari in Giappone e i possibili acquisti di titoli su larga scala della Banca
Centrale Europea. Le aziende esportatrici saranno inevitabilmente attratte dalle economie emergenti, ma
come sa ogni amministratore delegato, quando si entra in questi mercati bisogna essere prudenti e fare affari
con acquirenti affidabili e profittevoli. Uno scenario su cui pesano poi anche le crisi geopolitiche. D. Come
quella tra Russia ed Europa che ha portato alle sanzioni economiche con conseguenze negative sull'Unione
Europea? R. Non solo. Bisogna aggiungere gli effetti dell'espandersi del virus Ebola, le dispute territoriali
della Cina con i Paesi del Sudest asiatico, l'Isis nel Medio Oriente e le dimostrazioni violente in Venezuela.
Nel 2015 ci saranno poi elezioni importanti in giro in per il mondo, prime tra tutte Inghilterra e Turchia. Fattori
chiave, da tenere sotto controllo nei prossimi mesi. D. Il 2015 sarà anche un anno cruciale per le compagnie
di assicurazione che si dovranno preparare per le nuove regole sul capitale, Solvency II, che entreranno in
vigore il 1° gennaio 2016. Il settore è pronto? R. Noi siamo sicuramente ben posizionati. In Euler Hermes,
anni fa, abbiamo avviato un progetto multifunzionale per rivedere i processi di gestione del rischio e del
capital management e per quanto riguarda le richieste di capitale, stiamo mettendo a punto un modello di
calcolo interno, più adeguato alla nostra struttura rispetto alla formula standard. A novembre scorso abbiamo
poi completato un processo di riorganizzazione societaria con la fusione di due società, presenti in Francia e
Germania, che sono state integrate nella nostra compagnia in Belgio, che a questo punto raggruppa 18
branch locali, dislocate tra Asia ed Europa, inclusa l'Italia. Una ristrutturazione che non avrà effetti sui servizi
ai clienti e sull'attività in generale ma che rafforza la compagnia nei processi di governance e di gestione del
rischio. D. A proposito dell'Italia. Euler Hermes sembra scommettere sul Paese considerando che di recente
avete ampliato il giro d'affari entrando anche nel mercato delle cauzioni. È così? R. L'ampia diversificazione
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 9
(diffusione:100933, tiratura:169909)
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industriale e il forte export che fa perno sul Made in Italy rappresentano asset di valore del Paese. Euler
Hermes crede fortemente nelle potenzialità dell'Italia e nell'ulteriore sviluppo di strumenti che puntano a
mitigare il rischio. Dal 2010 al 2013 il settore dell'assicurazione del credito nella Penisola ha registrato una
crescita dei premi del 17%, con Euler Hermes che ha mantenuto la sua posizione di leadership. Un mercato
destinato a crescere ancora grazie al miglioramento della percezione del valore dell'assicurazione del credito
e al fatto che il rischio di credito nel mercato domestico e in quello internazionale resta ancora alto. Anche il
settore delle cauzioni, in cui abbiamo appena debuttato in Italia, è uno dei più grandi d'Europa con 500 milioni
di premi. Un'opportunità per noi nonostante la presenza di concorrenti bancari e assicurativi. (riproduzione
riservata)
Foto: Wilfried Verstraete
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/euler
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 23
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Piccole ma col turbo
Luca Gualtieri
Le banche italiane hanno superato senza grandi problemi l'esame della Bce su stress test e asset quality
review. Se insomma la qualità degli attivi e la dotazione patrimoniale dei principali istituti è in linea con gli
standard europei, la partita sul rinnovo del contratto nazionale di lavoro della categoria pone oggi sul tavolo
un'altra questione: quanto sono produttivi i bancari italiani? Una domanda che si fa ancora più interessante
se si confronta la situazione nazionale con quella europea. Bisogna premettere che il confronto non è
semplice, non solo perché ogni gruppo bancario presenta un profilo industriale specifico, ma anche perché
ogni Paese ha un mercato del lavoro con regole e inquadramenti diversi. Fatta salva questa premessa, è
comunque possibile compiere una sintetica panoramica delle diverse situazioni utilizzando un indicatore
specifico: il margine di intermediazione per dipendente. Questo rapporto permette infatti di misurare la
produttività media della forza lavoro, quantificando i ricavi netti realizzati da ogni lavoratore dell'azienda
bancaria. Ovviamente si tratta di una stima, visto che non tutti i dipendenti sono impiegati
nell'intermediazione, ma i valori ottenuti rendono possibile un confronto a livello di sistema. In testa alla
classifica realizzata da MF-Milano Finanza si posiziona Deutsche Bank con quasi 325 mila euro per
dipendente nell'esercizio 2013, un risultato che distacca ampiamente la media dei big europei e dei
statunitensi. La seconda banca tedesca, Commerzbank, si trova soltanto a quota 264 mila euro. Il record di
Deutsche Bank è legato principalmente al profilo industriale del gruppo guidato da Jürgen Fitschen e Anshu
Jain, che ha sempre prediletto il modello di banca leggera con presidi mirati sul territorio e senza
un'ipertrofica rete commerciale. Basti pensare che, pur avendo numeri da big (1.611 miliardi di total asset, 35
miliardi di capitalizzazione di borsa e quasi 32 miliardi di ricavi nel 2013) il gruppo di Francoforte conta poco
meno di tremila sportelli, diverse migliaia in meno rispetto a Unicredit o Intesa Sanpaolo. Anche la
distribuzione dei quasi 100 mila dipendenti di Deutsche Bank è assai particolare, visto che la maggioranza è
attiva nelle divisioni infrastructure/regional management (40,9%) e private & business clients (38,6%). Dopo
la pattuglia dei colossi del mondo anglosassone (Lloyds Banking Group, Bank of America, Wells Fargo,
Barclays e Citigroup), la classifica continua con il Crédit Mutuel, la banca cooperativa francese per molti anni
socio di riferimento della Popolare di Milano. Con i suoi 222.377 euro di margine di intermediazione per
dipendente il Mutuel distacca di diverse posizioni i due big Bnp Paribas e Crédit Agricole che nel 2013 si sono
attestati rispettivamente a quota 210.366 e 207.853 euro. Complessivamente però la produttività delle
banche spagnole è migliore di quella delle francesi, grazie ai buoni risultati registrati del Banco Sabadell e del
Santander. Se questa è la situazione dei grandi gruppi europei ed americani, il mercato italiano presenta una
situazione meno omogenea e con più di una sorpresa. Potrebbe ad esempio stupire che il gruppo con il
personale più produttivo sia la Banca Popolare di Sondrio con circa 331.257 euro di margine di
intermediazione annuo per dipendente. Esaminando più da vicino l'istituto guidato da Mario Alberto
Pedranzini e presieduto da Francesco Venosta, si nota che a fine 2013 il 77,07% dei dipendenti operava
nelle filiali e il rimanente 22,93% presso la struttura centrale, mentre l'incidenza dei dirigenti e dei quadri
direttivi sul totale risultava inferiore rispetto alla media nazionale. La seconda sorpresa viene dalla Banca
Popolare di Milano. Può infatti sorprendere che un istituto finito spesso nel mirino per scandali legati
all'aggregato dipendenti abbia una produttività superiore a quella di big come Intesa Sanpaolo o Unicredit,
ma forse proprio la natura cooperativa di Piazza Meda ha tenuto vivo lo stretto legame tra i lavoratori e la loro
banca. Anche in termini di inquadramenti Bpm ha numeri in linea con il sistema, con un 2,05% di dirigenti e
un 36% di quadri direttivi. La classifica procede con un altro piccolo istituto lombardo, il Banco di Desio e
della Brianza, che con 197.498 euro per dipendente si guadagna la seconda posizione davanti alla Banca
Popolare di Milano. In generale le banche popolari (Bpvi, Credito Valtellinese, Bper, Ubi Banca e Banco
Popolare) mostrano buoni livelli di produttività per dipendente, mentre i big come Unicredit, Intesa o Monte
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BANCHE
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
Pag. 23
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dei Paschi risultano spesso frenati dalle grandi dimensioni. Almeno in questo caso, insomma, sembra che in
finanza piccolo sia bello. (riproduzione riservata)
LA PRODUTTIVITÀ DELLE BANCHE ESTERE... Deutsche Bank Lloyds Banking Group Bofa Merril Lynch
Commerzbank Wells Fargo Barclays Citigroup Crédit Mutuel Hsbc Holdings Sabadell Santander Rbs Bnp
Paribas Credit Agricole 98.254 90.260 245.452 52.944 264.900 139.600 251.000 20.083 254.066 18.077
182.958 118.079 184.545 150.000 31.915.000.000 27.250.000.000 73.514.000.000 13.969.000.000
69.248.000.000 35.970.000.000 63.751.000.000 4.466.000.000 56.354.000.000 3.976.794.000
39.753.000.000 25.034.000.000 38.822.000.000 31.178.000.000 324.821 301.905 299.509 263.844 261.411
257.664 253.988 222.377 221.808 219.991 217.279 212.010 210.366 207.853 Ricavi per dipendente Numero
dipendenti Ricavi Nome società
...E QUELLA DELLE BANCHE ITALIANE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Popolare di Sondrio Banco di
Desio Banca Popolare di Milano Popolare di Vicenza Intesa Sanpaolo Creval Bper Banco Popolare Ubi
Banca Banca Carige Credem Veneto Banca Unicredit Banca Monte Paschi Siena 3.061 1.563 7.846 5.463
93.845 4.312 11.718 18.229 18.358 5.851 5.786 6.206 147.864 28.417 1.013.979.000 347.598.000
1.656.586.000 1.034.630.000 17.753.000.000 804.002.000 2.151.442.000 3.265.838.000 3.272.744.000
1.019.165.000 983.994.000 1.046.984.000 23.973.000.000 3.800.605.636 331.257 222.392 211.137 189.388
189.173 186.456 183.601 179.156 178.273 174.186 170.064 168.705 162.128 133.744 Ricavi per
dipendente Numero dipendenti Ricavi Nome società Fonte: dati di bilancio 2013
Foto: Mario Alberto Pedranzini
Foto: Tommaso Cartone
Foto: Giuseppe Castagna
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/banche
03/01/2015
Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
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Pensioni, via col piano B
Paola Valentini
Ora anche le pensioni hanno il loro piano B. B come Boeri. Il 2015 si apre con un fulmine a ciel sereno per la
previdenza italiana. Il blitz con cui il premier Matteo Renzi ha nominato a sorpresa alla vigilia di Natale Tito
Boeri alla presidenza dell'Inps ha tutte le possibilità di innescare modifiche di non poco conto nel sistema
pensionistico italiano. Senza dimenticare che, in contemporanea alla scelta dell'economista della Bocconi, il
governo ha anche varato il Jobs Act, che avrà ripercussioni anche sul fronte previdenziale. Ma è soprattutto
la decisione di Renzi (presa dopo solo due mesi che era alla guida il commissario Tiziano Treu, il cui
mandato sarebbe scaduto in primavera ed era legato alla minoranza bersaniana del Pd) di mettere a capo
dell'Inps una figura come quella di Boeri, non politica e fuori dai tradizionali giri romani,a prefigurare un
cambio di passo per la previdenza italiana. Boeri, che si troverà a guidare un ente complesso come l'Inps alle
prese con la delicata fusione con l'Inpdap, oltre ad avere tra i suoi cavalli di battaglia il varo della busta
arancione (che dà ai lavoratori una stima della pensione attesa), ha idee ben precise sulle politiche del
welfare. E sarà, da numero uno dell'Inps, chiamato a discuterne con il governo. Il quale si trova oggi di fronte
un sistema previdenziale che, dopo essere stato messo in sicurezza dalle recenti riforme, ha però molti passi
da fare sul fronte dell'equità tra generazioni. La legge Fornero ha spostato l'età per accedere alla pensione
oltre i 66 anni e oggi l'Italia è uno dei Paesi europei con i più elevati requisiti anagrafici necessari a lasciare il
lavoro. È stato inoltre introdotto, pro quota dal 2012 per i lavoratori che ricadono nel retributivo, il sistema di
calcolo della pensione di tipo contributivo, in generale meno generoso del primo soprattutto se si hanno
carriere precarie. Due misure, queste ultime, introdotte proprio per contenere la spesa per pensioni in un
Paese come l'Italia con una quota di over 65 più alta al mondo. Queste manovre quindi hanno giovato e
gioveranno ai conti dello Stato, ma non a quella dei lavoratori. Infatti restano ancora forti disparità tra giovani
e anziani. Questi ultimi sono percettori di pensioni calcolate con il sistema retributivo, che arriva a garantire
anche l'80% dell'ultimo stipendio, e sono provvisti, nel caso non abbiano raggiunto requisiti minimi di anni di
contribuzione, di integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali a carico dello Stato. Ciò significa che in diversi
casi una quota più o meno ampia della loro pensione non è giustificata dai contributi versati durante la vita
lavorativa. Un regalo quindi che viene fatto a carico dei contribuenti e che è figlio di un'epoca, quella del
dopoguerra, in cui si credeva che la crescita economica e demografica del Paese avrebbe sostenuto un
sistema del genere. Solo con la riforma Fornero del 2012 è stato posto un freno al sistema retributivo,
prevedendo che tutte le pensioni erogate di lì in avanti fossero determinate in base al contributivo. Infatti, il
criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva del lavoratore al 31 dicembre
1995. Il contributivo vale per coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996. Mentre chi a fine 1995 aveva più
di 18 anni di contributi può contare sul retributivo. C'è poi il misto previsto per quei lavoratori che a quella data
avevano meno di 18 anni di contributi: per questi si applica il retributivo fino a fine 1995 e poi il contributivo.
La riforma Fornero è intervenuta sui lavoratori del retributivo prevedendo che anche a chi aveva più di 18
anni di contributi all' inizio del 1996 fosse applicato il contributivo dal 2012. La norma vale solo per i futuri
pensionati. Mentre la maggior parte delle pensioni oggi erogate fanno ancora riferimento al retributivo. Ci
vorranno ancora diversi decenni prima che tutte le pensioni siano basate sul metodo contributivo. Resta
quindi il problema di pensioni che oggi non corrispondono ai contributi versati dai lavoratori. Invece per i
giovani l'assegno pubblico coinciderà con quanto versato. La differenza non riguarda solo le pensioni
cosiddette d'oro, ovvero quelle di importo elevato, ma anche quelle più modeste. C'è chi ritiene che questa
disuguaglianza dovrebbe essere sanata. Tra questi c'è proprio Boeri. L'economista, ex membro dello staff
dell'Ocse, è tra i sostenitori del ricalcolo delle pensioni oggi erogate in base al contributivo. «Principi di equità
distributiva e intergenerazionale legittimano interventi sulle pensioni in essere circoscritti a redditi pensionistici
sopra un certo importo e su quella parte della prestazione che non è giustificabile alla luce dei contributi
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03/01/2015
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versati, vale a dire la differenza fra le pensioni che si sarebbero maturate con il sistema contributivo definito
dalla legge del 1995, e quelle effettivamente percepite», si legge in uno scritto del gennaio scorso dal titolo
«Pensioni: l'equità possibile» a firma di Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca, pubblicato su
Lavoce.info (di cui Boeri è rimasto membro della redazione in aspettativa, dopo la nomina a presidente
dell'Inps). «La prima condizione serve a sostenere nella vecchiaia chi non ha accumulato abbastanza
contributi, mentre la condizione due chiede qualche sacrificio in più a chi ha avuto troppo dalle vecchie regole
del sistema pensionistico o grazie a regole inapplicate ad alcuni per garantire loro una pensione più alta»,
continuano i tre economisti. Secondo i quali «un prelievo circoscritto a quanto avuto in più rispetto ai
contributi versati eviterebbe anche effetti negativi sui contribuenti. Darebbe, infatti, un messaggio forte e
chiaro ai lavoratori, cioè quelli che pagano le pensioni agli attuali pensionati: se i vostri accantonamenti
previdenziali vi danno diritto a prestazioni calcolate con il metodo contributivo, ciò che varrà per tutti i
lavoratori in Italia, non avrete nulla da temere, le vostre prestazioni future non verranno mai toccate dal
consolidamento fiscale». Affermando questo principio, prosegue l'analisi «si potrebbe anche cogliere
l'occasione per migliorare il grado di conoscenza dei lavoratori, soprattutto di quelli più giovani, sul
funzionamento del nostro sistema pensionistico.E chiarendo che le loro prestazioni future verranno
determinate sulla base dei contributi versati durante l'intero arco della vita lavorativa, rivalutate in base
all'andamento dell'economia,i contributi non apparirebbero come tasse, ma come un modo di garantirsi
standard di vita adeguati quando si andrà in pensione». Lo studio dei tre economisti stima anche la platea di
lavoratori interessati e il possibile gettito per lo Stato. «Prendendo come riferimento lo stock di pensioni in
pagamento nel 2013, si può stimare che un contributo circoscritto al solo reddito pensionistico superiore ai 2
mila euro al mese, sommando tra di loro le pensioni ricevute da una stessa persona, creerebbe, tra i soli
lavoratori dipendenti, una base imponibile di circa 17 miliardi». Nel caso dei dipendenti del settore privato,
l'analisi spiega che si tratterebbe per lo più di pensionati d'anzianità, «mentre le pensioni di vecchiaia
sarebbero quasi tutte escluse, presentando squilibri bassi o nulli perché maturate in età molto più alte. Nel
caso dei dipendenti pubblici, il contributo riguarderebbe anche una fetta consistente di pensioni di vecchiaia.
In entrambi i casi, la platea toccata dal provvedimento sarebbe in gran parte composta da uomini,
relativamente poche le donne». L'analisi calcola che un contributo proporzionale del 20% darebbe un gettito
di oltre 3 miliardi. «Importante è essere consapevoli del fatto che un contributo proporzionale, nel caso degli
exdipendenti privati, graverebbe soprattutto sulle pensioni medie perché lo squilibrio fra pensioni effettive e
metodo contributivo è minore, in percentuale, per le pensioni di importo più elevato, dato l'operare di tetti al
rendimento del 2% nel sistema retributivo. Tetti che invece erano,e sono, praticamente inesistenti nel settore
pubblico, nonostante le aliquote fossero addirittura molto maggiori del 2%». Per questo i tre economisti
suggeriscono un prelievo progressivo con aliquote che crescono all'aumentare della pensione. «La
progressività dovrebbe però essere molto marcata giungendo a chiedere un contributo sullo squilibrio fino al
50% per le pensioni più alte, al fine di raccogliere più di 4 miliardi di euro». La proposta indica un prelievo del
20% dello squilibrio su pensioni tra 2 mila e 3 mila euro, il 30% dello squilibrio su pensioni tra 3 mila e 5 mila
e il 50% oltre i 5 mila euro. «Un contributo di questo tipo darebbe un gettito di circa 4,2 miliardi. La riduzione
dei trattamenti pensionistici si aggirerebbe mediamente tra il 3 e il 7% delle pensioni complessive, quindi non
si tratta affatto di intervento draconiano. Per intenderci», spiega l'analisi, «la mancata indicizzazione delle
pensioni negli ultimi due anni ha portato a una loro riduzione in termini reali attorno al 4%. L'unico caso in cui
il taglio è marcato è quello degli ex dipendenti pubblici con pensioni superiori ai 6 mila euro. Qui il contributo
può anche superare il 10% della pensione». A conti fatti si tratta di una tosatura modesto. «Questo intervento
chiede solo al 10% dei pensionati che hanno un reddito più alto, e che possiedono il 27% del totale delle
pensioni, un contributo medio pari a meno di un quarto di quanto non è giustificato dai contributi da essi
pagati. Ciò riduce solo in parte il mare magnum delle iniquità presenti nel nostro sistema previdenziale. Ma
forse farà sentire, per una volta, i padri più vicini ai figli», conclude l'analisi. Resta da capire se il premier
sposerà queste tesi che arrivano da un economista, come Boeri che non ha esitato in passato a prendere
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Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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posizioni in netto contrasto con quelle di Renzi. Per esempio il docente si è schierato contro l'operazione Tfr
in busta paga. Secondo Boeri la più importante ragione per cui questo intervento non andava realizzato
riguarda proprio i giovani. Il provvedimento «dissuade i lavoratori dall'investire in previdenza integrativa, ciò
che salverà le pensioni dei giovani», scrive Boeri in un articolo dello scorso ottobre sempre su Lavoce.info.
Boeri spiega che «negli ultimi 13 anni i fondi negoziali hanno offerto un rendimento cumulato nominale del
49% mentre i contributi alle pensioni pubbliche si sono rivalutati di circa il 30%, se non teniamo conto del
trascinamento della crescita di fine anni 90 legato all'utilizzo di medie mobili. Negli ultimi tre anni il rendimento
cumulativo più basso offerto da un fondo pensione è stato del 4,5% (comparto garantito), mentre i contributi
previdenziali sono stati capitalizzati virtualmente a un tasso inferiore a un punto percentuale. Anche in caso di
scelta volontaria è bene tenere conto del fatto che i giovani italiani sono tra quelli con un grado di
alfabetizzazione finanziaria più bassa in Europa». E sono anche quelli che più avrebbero bisogno di
strumenti, come i fondi pensione, che rendano meno traumatico il passaggio al contributivo. Boeri si è anche
di recente schierato contro l'aumento della tassazione dei rendimenti dei fondi pensione dall'11,5 al 20%. Una
mossa che secondo Boeri è stata fatta dal governo per rilanciare i consumi, aumentando il costo del
risparmio. «Il rischio è che invece di investire nei fondi pensione, molte famiglie ricorrano agli investimenti fai
da te, magari comprando titoli di Stato di Paesi emergenti, o mettendo i soldi sotto il materasso», ha scritto
Boeri in un articolo pubblicato proprio il giorno prima della sua nomina. E sempre sul fronte dei fondi pensione
il settore attende la nomina del nuovo presidente della Covip. Mentre sullo sfondo resta la Corte
Costituzionale, chiamata a decidere sul referendum abrogativo della riforma Fornero promosso dalla Lega.
(riproduzione riservata)
DOVE L'INVECCHIAMENTO PESERÀ DI PIÙ Rapporto tra cittadini over 65 e giovani lavoratori Fonte: Bofa
Merrill Lynch GRAFICA MF-MILANO FINANZA BRASILE USA CINA MESSICO UK SUDCOREA GERMANIA
ITALIA GIAPPONE INDONESIA 2010 2020 2040
LA RICCHEZZA NETTA DELLE FAMIGLIE ITALIANE IN BASE ALL'ETÀ Ricchezza netta per classe di età
del capofamiglia* - Numeri indice, Italia =100 '07 '00 '96 '08 '01 '10 '11 '12 '09 '02 '06 '99 '95 '92 '05 '98 '94 '04
'97 '93 '03 GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fino a 34 anni Fra 35 e 44 anni Fra 45 e 54 anni Fra 55 e 64
anni Oltre 64 anni Fonte: Banca d'Italia, elab. sui dati archivio storico Indagine sui bilanci delle famiglie
italiane * Valori mediani
LA GENEROSITÀ DEL SISTEMA RETRIBUTIVO Fonte: simulazioni Cerp - Valori medi Donne Uomini
Uomini Donne Uomini Regime Donne GRAFICA MF-MILANO FINANZA 162 97 Pre 1992 Contributivo 249
101 188 102 346 97 268 97 368 102 Inps - Lavoratori autonomi** Inpdap Inps - Lavoratori dipendenti * Pvr:
Present value ratio è il rapporto tra il valore attuale delle pensioni che il lavoratore riceverà da pensionato e il
montante dei contributi versati dallo stesso durante la vita attiva, entrambi valutati al momento del
pensionamento. ** Gestioni artigiani e commercianti Pvr* per ente previdenziale, regime e genere
I RENDIMENTI DEI FONDI PENSIONE A CONFRONTO CON IL TFR GRAFICA MF-MILANO FINANZA
2007 2008 2009 2010 2011 2013 2012 Gen-set 2014 Fondi pensione negoziali Fondi pensione aperti Pip
nuovi - Gestioni separate* Pip nuovi - Unit linked Rivalutazione del Tfr 2,1% -0,4% - 3,1% -6,3% -14% 3,5% 24,9% 2,7% 8,5% 11,3% 3,5% 16,3% 2% 3% 4,2% 3,8% 5,2% 2,6% 0,1% -2,4% 3,5% -5,7% 3,5% 5,4%
8,1% 3,6% 12,2% 1,7% 8,2% 9,1% 3,8% 8,9% 2,9% 5,8% 5,9% - 5,1% 1% Fonte: Covip * I dati 2014 delle
gestioni separate non sono ancora disponibili
ISCRITTI E PATRIMONIO DEI FONDI PENSIONE IN ITALIA Var. set '14/dic '13 Iscritti Tipologia fondo
Patrimonio mln € Var. set '14/dic '13 Dati al 30 settembre 2014 - Per i Preesistenti e i Pip vecchi dati al
31/12/2013 GRAFICA MF-MILANO FINANZA -0,2% +4,9% +9,6% +4% 1.947.363 1.032.737 2.338.681
505.000 654.000 6.452.471 38.609 13.314 15.062 6.500 50.380 123.929 +11,9% +11% +15,7% +6,4% Fondi
pensione negoziali Fondi pensione aperti Pip nuovi Pip vecchi Fondi pensione preesistenti TOTALE ISCRITTI
Foto: Matteo Renzi
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Foto: Tito Boeri
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Milano Finanza - N.2 - 3 gennaio 2015
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Carlo Giuro
Tra i tanti plus che nelle intenzioni del governo Renzi il Jobs Act appena varato dovrebbe avere vi è anche
quello di rendere maggiormente sostenibile dal punto di vista finanziario il sistema previdenziale italiano. Uno
degli obiettivi principali del provvedimento è rilanciare il mercato del lavoro dando maggiori incentivi alle
imprese ad assumere dipendenti. Un auspicabile incremento del tasso di occupazione in un sistema come
quello italiano, strutturato sul meccanismo della ripartizione, potrebbe infatti offrire un benefico apporto in
termini di linfa contributiva, fonte di finanziamento per il pagamento delle prestazioni. Nella lettera inviata a
fine 21 novembre dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan al vicepresidente della Commissione Ue
Valdis Dombrovskis e al commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici, in cui si sintetizzavano le
diverse misure adottate e programmate, si evidenziava infatti come il debito italiano sia, in base a tutti gli
indicatorichiave di lungo termine, più sostenibile di quelli della maggior parte dei Paesi Ue. Questo perché le
vulnerabilità derivanti dall'invecchiamento della popolazione sono state affrontate con una riforma delle
pensioni di largo respiro e con stretti controlli sulla spesa sanitaria. Si sottolineava poi proprio come il Jobs
Act consentirà una risposta più rapida alle necessità di aggiustamento della produzione ai cambiamenti
strutturali e ciclici, con effettivi positivi per gli investimenti e per la partecipazione al mercato del lavoro e,
attraverso l'aumento dell'occupazione - evidenziava ancora la lettera - aumenterà la sostenibilità a lungo
termine del sistema pensionistico, che è già uno dei più solidi grazie alle riforme del passato. Ma, sperando
che gli effetti siano davvero quelli sperati, il rapporto tra Jobs Act e previdenza va esaminato anche in termini
di adeguatezza delle prestazioni, così come peraltro raccomandato dallo stesso Libro Bianco delle Pensioni
dell'Ue. La struttura del provvedimento è incentrata sull'incremento del grado di flessibilità dell'occupazione.
L'effetto pratico potrebbe tradursi in periodi di inattività e quindi in un metodo di calcolo come quello
contributivo, in ricorrenti vuoti contributivi. Va al contempo sottolineato come un eventuale rilancio del sistema
economico e un nuovo clima di fiducia potrebbero determinare un incremento del pil, che rappresenta il
fattore di rivalutazione delle pensioni. A tal proposito nell'ultimo bilancio dell'Inps si riportava una simulazione
secondo cui, considerando un'evoluzione della crescita di lungo periodo dallo 0,5 a un tasso dell'1,5%, per un
neo-assunto potrebbe determinarsi un aumento medio del 20% della pensione obbligatoria attesa, calcolata
con l'attuale contributivo. I nuovi scenari delineati dal Jobs Act hanno conseguenze anche sulla previdenza
integrativa, che diventa ancor più necessaria per diversificare il rischio previdenziale nell'ambito di un sistema
del lavoro più flessibile. La percezione della riforma del lavoro influenzerà probabilmente anche l'approccio
finanziario ai fondi pensione; se si avrà un clima di generale fiducia è possibile che i giovani guardino con
interesse all'investimento azionario, se prevarrà invece la paura del licenziamento è verosimile che
prevalgano gli investimenti conservativi. Da non sottovalutare poi il ruolo di ammortizzatore sociale che i fondi
pensione potranno interpretare al fianco dell'Aspi, l'indennità di disoccupazione riformata dal Jobs Act. I fondi
possono erogare, senza bisogno di alcuna particolare motivazione, fino al 30% della posizione accantonata,
una volta decorsi otto anni dall'iscrizione. Altre ipotesi percorribili sono poi quelle del riscatto parziale o totale.
Last but not least, per le forme di previdenza su base collettiva si prevede la possibilità di riscattare l'intera
posizione individuale maturata qualora vengano meno i requisiti di partecipazione al fondo. È ad esempio il
caso dei cambi di occupazione. (riproduzione riservata)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Ma il Jobs Act è la stampella giusta per il sistema pensionistico italiano?
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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Going large
A wave of new medicines known as biologies will be good for drugmakers, but may not be so good for health
budgets
IN PHARMACEUTICALS, the 20th century was the era of the small molecule. The industry thrived by
identifying a steady stream of relatively simple compounds that treated lots of people, patenting them and
making a fortune. In the early 21st century it has become harder for drugmakers to find new cures quickly
enough to replace those on which the patents are expiring. Many drugmakers, both established ones and
startups, have sought salvation in biotechnology-the adaptation or exploitation of processes found inside
living organisms. As in other areas of drug research, there have been setbacks as well as successes. But
steady progress is being made in creating "biologies", drugs that consist of giant molecules, hundreds of
times the size of a conventional drug molecule, which are manufactured inside animal cells or microorganisms such as bacteria. In the coming year a fresh wave of biologies is expected to be approved for use
by general practitioners (see table). Several of these will treat the millions of people who find that statins, the
conventional treatment for high cholesterol, do not work well enough. Amgen's drug, evolocumab, may be
first, followed by alirocumab, from Sanofi and Regeneron. Pfizer also has a contender, bococizumab, at an
advanced stage of development. Drugmakers have been encouraged to keep working on new biologies by
the success of Humira, a treatment for rheumatoid arthritis and related conditions, which won approval in
America in 2002 and is made by an American firm, Abb Vie. Humira has become the world's leading
prescription drug, with sales of $11 billion in 2013, according to EvaluatePharma, a research outfit. Damien
Conover of Morningstar, an investment-research firm, reckons that biologics provided 22% of the big pharma
companies' sales in 2013, and he thinks this will rise to 32% by 2023. They will provide an even bigger share
of revenues at those firms which have concentrated on them, such as Bristol-Myers Squibb, Merck, Eli Lilly
and Sanofi. In America more than 900 biologies are in development, for more than 100 diseases. Over the
next five years, a further generation of biologic drugs will start to deliver cures by using viruses to deliver
"gene therapy"-the replacement of a faulty gene in a patient's body cells with the correct version. China has
had one such treatment, for some forms of cancer, since 2003. But in 2015 the West's first gene therapy,
Glybera, for a rare genetic disease that clogs the blood with fat, will go on sale in Germany. The treatment,
created by uniOure, a Dutch firm, is expected to cost €i.im ($i.3m) for a course. Pfizer has a new partnership
with a biotech company, Spark Therapeutics, to give haemophiliacs the correct gene to produce bloodclotting factor. Scientists have already reported that ten patients with severe haemophilia B have remained
cured for a number of years. Milo Biotechnology, another gene-therapy company, is developing treatments for
muscle-wasting diseases such as muscular dystrophy. Len Schleifer, the boss of Regeneron, which has
several biologies close to approval, says the big advantage of such drugs is their specificity: they do only
what they are supposed to do, rarely causing the sort of side-effects that are frequently discovered in
conventional, small-molecule drugs, and lead to them being abandoned. However, biologies are hard to make
and, at present, difficult to take. They must be injected, infused or inhaled, as they are destroyed in the
stomach when swallowed. This may discourage doctors from prescribing them in some cases. That said, •• •
Jose-Carlos Gutierrez-Ramos, a senior scientist at Pfizer, says improvements will keep being made to how
the drugs can be delivered. If so, biologies that can be popped as pills may be possible one day. Biologies,
like all other drugs, are not immune to setbacks. Shares in Roche, a Swiss drugs giant, fell sharply on
December 19th when it disclosed disappointing results from tests on cancer patients of a combination of two
of its biologies, Kadcyla and Perjeta. Four months earlier Britain's National Institute for Health and Clinical
Excellence had decided that Kadcyla should not be prescribed routinely on the National Health Service for
women with breast cancer, since its list price is around $140,000 a course. As with all new drugs, it is not just
a matter of how well a biologic works compared with existing treatments, but also whether it is affordable.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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Pharmaceuticals Business
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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Biologies for rheumatoid arthritis, which patients have to keep taking for the long term, cost more than
$12,000 per patient a year. Some, like Humira, cost far more than this. Paying this sort of money is hard
enough for rich countries' health systems; for poorer countries, it is out of the question. As biologies increase
their market share, their cost and efficacy will come under greater scrutiny. Already, the governments of Italy
and France have noted that Avastin, a biologic developed for cancer, also treats macular degeneration, a
cause of blindness. And it is far cheaper than Lucentis, a biologic for that condition sold by the same
companies, Roche and Novartis. To its makers' chagrin, the two governments have approved the use of
Avastin for macular degeneration, a move which, according to one French legislator, will save his country's
health service $273m a year compared with using Lucentis. When the patents on conventional drugs expire,
other firms are free to start selling "generic" copies of the same chemical; and when the makers of biologies
lose patent protection, rival companies are allowed to make equivalents of them, known as "biosimilars". This
is harder than copying conventional drugs. Furthermore, says Ben Perkins of EY, a consulting firm,
biosimilars will be (as their name suggests) similar rather than identical: they may be significantly worse, or
even better, than the original. In America, a lack of clarity in the regulations for the approval of biosimilars has
slowed the development of a market for them, in those cases where biologies have come off patent.
However, things are beginning to move: for instance, in December Apotex, a Canadian firm, said America's
Food & Drug Administration (FDA) had agreed to consider its biosimilar of Neulasta, a biologic made by
Amgen, an American firm, which helps cancer patients fight infection. A study published in November by the
RAND Corporation, a research institute, said that on current assumptions about how the FDA'S regulations
will develop, biosimilars could save America's health system a total of $44 billion over the coming decade.
That would be a useful sum, but the overall savings from biosimilars will not be as dramatic as those from
replacing branded conventional drugs with generic versions. First, biosimilars will also be costly to make.
Second, since they will not be identical copies, doctors and patients may be slow to accept them as
substitutes. All this will be good news for those drugmakers who create successful biologies, for it will allow
them to continue selling at higher prices for longer. They may thus find that the "patent cliff", the slump in
revenues they have been suffering as older remedies lose patent protection, is not as steep as feared. But
health-service bosses the world over will find that their job gets even harder than it is now: new treatments for
once-intractable ailments will keep being invented, but their costs will be cripplingly high. • Also in this section
48 Emotion-detecting software 49 Manufacturing in Saudi Arabia 50 Italy's small food-makers 51 Schumpeter:
Habit-forming products IBig, blockbuster molecules Selected biologies that may gain US regulatory approvalin
2015 Drug Mepolizumab Dupilumab Toujeo Alirocumab Evolocumab Brodalumab Ixekizumab Secukinumab
Sarilumab Condition Asthma Atopic dermatitis and chronic sinusitis Diabetes High cholesterol High
cholesterol Psoriasis Psoriasis Psoriasis Rheumatoid arthritis Maker GSK Sanofi/ Regeneron Sanofi Sanofi/
Regeneron Amgen Amgen/ AstraZeneca Eli Lilly Novartis Sanofi/ Regeneron Source: The Economist
Foto: For daily coverage of business, visit Economist.com/business-finance
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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Export or die
Businesses are looking abroad for customers, and for saviours
IT TAKES two days to make panettone, the fluffy, dome-shaped cake speckled with candied fruit that Italians
devour at this time of year, explains Gianluca Corsini, the quality manager at Corsini Biscotti. Founded in
1921 in the Tuscan village of Castel del Piano, the family baking business has annual revenues of 614m
($17111), no debt and is growing. That is despite Italy's prolonged downturn, in which the domestic market
has shrivelled as unemployment has reached record highs. The average family's monthly shopping bill fell by
€129 to €2,359 between 2011 and 2013. The smaller, often family-owned manufacturers that are the
backbone of the Italian economy have been hit especially hard: between 2008 and the first half of 2014, a fifth
of them went bankrupt or into administration, or were voluntarily wound up. One of the main reasons so many
have gone to the wall is that they are too focused on the home market. Italian businesses of all sizes are
much less likely to have export customers than German or Spanish ones, according to a recent study by
SACE, Italy's official export-credit agency (see chart). Italian cuisine is popular all over the world, but Italy's
countless small food producers get only a morsel of this huge global market: exports account for a smaller
share of the Italian food industry's output than in either France or Germany. The small food producers that
have survived the long downturn are often those, like Corsini, that already had a presence in foreign markets
and made strenuous efforts to export more. Taking an adventurous step for a firm of its size, Corsini hired a
sales manager in London to develop the British market, where its products were already sold in Sainsbury's
supermarkets. It has paid off: they are now in Harrods, Selfridges and Lakeland stores, and Britain now
provides a quarter of Corsini's sales. Western Europe's other big economies have a more consolidated
grocery business, and each has at least one giant supermarket chain with extensive branch networks outside
its home country, such as Tesco (Britain), Aldi (Germany), Carrefour (France) and Dia (Spain). Small food
producers complain that such giants drive a ruthlessly hard bargain, but their scale and reach mean that the
manufacturers have to deal with only a limited number of big customers, and those retailers often do the
exporting for them, stocking their products in foreign branches. Italy, in contrast, does not have a globalised
food retailer on the same scale, and its domestic market is fragmented: even those chains with national
coverage often stock different products in different regions, chosen by different local purchasing managers.
Eataly, a fast-growing international chain of delicatessens, is bringing Italianmade foods to a wider global
audience; but so far it is relatively small. For Italian food producers, getting into the biggest European
supermarket chains is now even harder than it was before the euro-area downturn. Deep discounters like Aldi
and Lidl, which offer only a restricted range of products, most of them under their own labels, have been
taking market share from conventional grocers which sell a broader range, including many products bearing
their manufacturers' brands. Corsini has rationalised its range, so that it does not have to support too many
product lines. It provides some products for supermarkets to put their own labels on-a low-margin business,
but often a stepping stone to selling branded goods to the same retailer. Corsini has also adapted its
traditional recipes to please big foreign customers. It makes an orange and cranberry panettone which
Sainsbury's sells under its own label, and unusually large cantuccini, traditional Tuscan almond-packed
biscuits, for Starbucks-unimaginable in Italy but perfect for the American coffee chain's oversized cups. Some
other Italian food firms are doing the same: Barilla, a larger company best known for its pasta, has just
launched ready-made dishes modified for the Chinese market, where appetite for Italian fare is growing.
Italy's wine exports have risen 42% since 2008, to €3 billion, thanks in part to the growing popularity of its
sparkling prosecco. In volume terms, this now outsells France's champagne worldwide. Rete d'impresa, or
company networks, are helping small firms reach new customers, by letting them pool resources on such
things as market research, training and purchasing. Italy has a long tradition of informal co-operation among
clusters of companies operating in the same industry, but a law introduced in 2009 has made it easier to
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Italy's small food-makers CASTELDEL PIANO,TUSCANY
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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formalise this by contract. Since then, according to a study by Intesa Sanpaolo, a bank, firms which have
entered into such agreements have outperformed those which have not, on a number of measures. Nearly a
quarter of microfirms (those with revenues of under 62m) which are part of a rete are exporters, compared
withjusti2% of those which are not. As smallish food producers seek new markets beyond Italy's shores,
foreign investors have begun to realise their potential. Bright Food, a Chinese state firm which controls
Weetabix of Britain, recently bought a controlling stake in Salov, maker of the Sagra and Filippo Berio brands
of olive oil. Earlier in 2014 Ebro, a Spanish food company, bought 52% of Pastificio Lucio Garofalo, a pastamaker. Idea Capital, an Italian private-equity firm, has launched a "Taste of Italy" fund, which it says is
attracting American and European investors. More such deals are likely. Over four-fifths of Italian food
manufacturers are family-run and with annual revenues of less than €iom. With their home market still
struggling, a rich foreign backer may be just what they need. • Casa dolce casa Companies that export, % of
total • i Italy Germany HH Spain 0 20 40 60 80 100 8 10-49 I .£, 50-249 I -g Over 250 [7 Source: SACE
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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Coming soon?
The ECB might unleash its long-awaited programme in early 2015 AS 2014 drew to a close, the European
.tl.Centr.al Bank (ECB) signalled an increasing readiness to pursue a big programme of quantitative easing
(oE)-creating money to buy financial assets-in order to lift worryingly low inflation. Such an undertaking would
require the purchase of sovereign bonds, an unpalatable policy in Germany, the country that in effect
underwrites the single currency. Will the ECB nonetheless move from semaphore to action when its
governing council meets on January 22nd? Mario Draghi, the ECB'S president, wants to crank up monetary
policy because inflation remains uncomfortably lower than the bank's goal of almost 2%. The headline rate
stayed below 1% throughout 2014, reaching 0.3% in November, while the core rate, which strips out food and
energy prices, was just 0.7% in late 2014 (see chart). The steep fall in oil prices will be a welcome tonic for
the sickly euro-zone economy. But it may have a sting in the tail if people expect lower inflation as cheaper
energy pushes the headline rate into negative territory, even if only temporarily. A prolonged spell of
"lowflation" is bad for the euro area because many of its member states are weighed down by excessive
public and private debt. If outright deflation were to take grip it would harm borrowers: when prices fall the real
burden of debt, which is generally fixed in nominal terms, increases. But even if lowflation were merely to
persist, this would also hurt them since the incomes that service their debt are rising more slowly than they
expected when they took out the loans. The ECB can no longer help by cutting interest rates: it lowered its
main lending rate in September to just 0.05% while charging banks on deposits they leave with it, through a
negative rate of 0.2%. But the central bank can still ease policy by expanding the size of its own balancesheet, which it intends returning to the high of €3 trillion ($3.7 trillion) that it reached in early 2012. That
amounts to an extra €1 trillion, though no date has been specified for accomplishing the increase. The
previous peak occurred as the ECB averted a funding crisis for banks by providing them with €1 trillion in
three-year loans in the winter of 2011-12. Since then its balance-sheet has been waning as banks in northern
Europe repaid the money early. The ECB had hoped to reverse this shrinkage through another, more
extended round of long-term funding operations, providing liquidity until 2018 at a fixed rate of just 0.15% a
year. However, the first two of eight tenders have been a disappointment. In September and December banks
borrowed only €212 billion, little more than half the €400 billion available. The take-up was low for reasons
that seem likely to persist in the next two tenders in the first half of 2015 and probably subsequent ones, too.
Though banks in southern Europe are still thirsty for centralbank funding, their northern counterparts can fend
for themselves in the markets. The aim of the operations is to provide funding for lending to the private sector,
but businesses are not that keen to borrow while the economy remains slack. Although the tenders will
continue until June 2016, it seems clear that the ECB cannot rely upon banks to expand its balancesheet.
The only certain method to raise it is through OE. Mindful of German objections to purchasing sovereign debt,
the ECB has already started down this path by buying two kinds of private-sector assets in late 2014: covered
bonds (debt issued by banks that is backed by safe loans) and asset-backed securities. But neither type is big
enough for such purchases to have much traction. By late December, the ECB had bought just over €30
billion, overwhelmingly in covered bonds; if sustained, this might add up to €200 billion to the ECB'S balancesheet by the end of 2015. Another form of private asset that the bank could purchase is corporate bonds, but
the ECB would be hard-pressed to buy more than around €ioo billion a year, still leaving it a long way from its
goal. The only sure way to raise its balance-sheet by €i trillion over a realistic horizon is to buy public debt,
the only asset class big enough for purchases on an industrial scale. Sovereign bonds that are eligible for
banks to use as collateral against their borrowing from the ECB amounted to €6.6 trillion in the third quarter of
2014. There is ample precedent, too: purchasing public debt is the main way that OE has been conducted in
America, Britain and Japan. The ECB is permitted to buy sovereign bonds in secondary markets. But unlike
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Euro-zone quantitative easing
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The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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other central banks it lacks a state. The credit ratings of the countries in the euro area vary from AAA in
Germany to junk in Greece. Buying Greek debt would expose the central bank to potential losses if Greek
politics sour further. Jens Weidmann, head of the German Bundesbank, frets about anything that might mean
the ECB straying into forbidden fiscal territory. A majority of the 25-strong council (which will share 21 votes
under a complex system of voting rotation that starts in 2015 following Lithuania's accession) would back Mr
Draghi in moving to OE, but such a controversial policy might backfire if it does not command sufficient
support. Concerns about the legitimacy of OE may be allayed by an opinion from a senior legal official of the
European Court of Justice on January 14th about the legality of the bond-buying commitment that gave teeth
to Mr Draghi's pledge in July 2012 to do "whatever it takes" to save the euro. Some analysts think that may be
sufficient for the ECB council to press the OE button later this month. Alternatively it may wait until its second
meeting of 2015, in March, especially if this gives Mr Draghi an opportunity to peel away German allies. Any
announcement of a sovereign-debt-buying programme is unlikely to go beyond €500 billion. Whether that will
be sufficient to drag the euro area out of its sorry state of sluggish growth and lowflation is another matter. •
Depth-charge Euro area -• Headline inflation •- Core inflation % increase on ayearea'lier ECB's balance-sheet
€tm 2012 13 14 Sources: Eurostat; Haver Analytics
03/01/2015
The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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Environmental regulations may not cost as much as governments and businesses fear
WiAT are the economic effects of environmental policies? It sounds painfully obvious, but the answer
depends on how strict those policies are. So how do you quantify that? One of the dirty secrets of green
economics is that, until now, no one has had a good measure of environmental strictness. One or two narrow
indicators have been developed. The European Bank for Reconstruction and Development, for example, has
an index of climate-policy stringency for 2011. But there is no standard measure comparing the effects of
different policies, assessing countries' overall policy stance and calculating how these have changed over
time. This lack reflects problems in the underlying data. So-called environmental services-disposing of waste
or cleaning up the air-are not included in traditional measures of productivity. So if their inputs or outputs
change (and they have changed a lot over 20 years) the results will not show up in the numbers.
Environmental policies also influence the stock of capital-for example, by making some technologies
obsolete. But depreciation rates in national accounts rarely allow for such effects. This does not mean it has
been impossible to study climate policies. But without macro-environmental indicators, studies have largely
been restricted to individual laws, such as America's Clean Air Act. For the most part, they have found that
these laws have little impact. As a recent review of the literature* concluded, the effects on "employment and
productivity...appear to be small and transitory.. .the estimated effects.. .on trade and investment location so
far are negligible." That is fine, as far as it goes. But national climate policies are increasingly ambitious,
ranging from vehicle-emission standards and clean-water requirements to controls on power stations.
Policymakers need to know not just the impact of individual measures but the combined effect of all their
environmental policies. Now, they finally have some hard figures. Researchers at the Organisation for
Economic Co-operation and Development a club mostly of rich countries, recently constructed the first
comprehensive set of data on environmental strictness and its effect on productivity! The researchers got
around the difficulties of incomplete national accounts by calculating an index based on the explicit or implicit
price of green policies. If a price is explicit-say, that of a traded pollution permit-the calculation is reasonably
straightforward. If it is implicit-arising from restrictions on vehicle emissions, for example-the researchers
estimated a relative score based on a scale of zero to six (zero means the policy is absent; six represents the
most stringent measure in force). They combined this and other data to create a composite indicator of
"environmental policy stringency" (EPS) for 24 OECD countries from 1990 to 2012. Using the ORBIS
database of information on 44m companies, they were then able to calculate how changes in the EPS
indicator affected manufacturing firms. Measure for measure In most respects, the results are not a surprise.
The strictest policies are in Nordic countries and the Netherlands; the laxest are in Greece and Ireland; Britain
and America are near the OECD average. Policies everywhere have become stricter since 1990. More
importantly, the new study confirms earlier findings about the impact of individual measures: "an increase in
stringency of environmental policies does not harm productivity growth." This contradicts what most
governments and companies seem to believe: that green rules may be justified by the need to save the planet
but impose immediate economic costs. There are several possible explanations for the finding. One is that
damage from environmental regulation is not great enough to change the overall productivity figures. A rule of
thumb says a 10% change in the oil price is associated with a 0.2% change in GDP, so if green taxes push up
energy prices by only a few cents, their macroeconomic impact might be modest. The effect on j obs,
investment or trade, though, might be greater. Another explanation may be that stricter environmental
regulations do as much good as harm. According to this line of reasoning, which is associated with Michael
Porter of Harvard Business School, such rules encourage firms to invest more in efficiencies and innovations
than they would have otherwise. The study finds indirect evidence in some firms, though not all. It reckons
that a shift from the lowest (Greek) levels of environmental stringency to the highest (Danish) ones further
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Free exchange Green tape
03/01/2015
The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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boosts productivity in the most productive manufacturing firms by 0.2-0.6%. But it reduces productivity, by
0.1-0.3%, in firms that were already less productive. In other words, the level of productivity affects the impact
of green rules more than, say, the amount of pollution. This suggests that green policies make a bigger
difference at the level of the firm than to the economy as a whole. Lastly, it is possible that the land of
environmental policy matters a lot-whether it is broadly market-based (such as a carbon price) or not (such as
bans or regulations). To measure this, the researchers constructed a second index, using a questionnaire to
look at matters such as the administrative burden associated with getting an environmental permit or whether
new firms face higher barriers to entry as a result of green rules. The index is only a snapshot-but is enough
to show that environmental strictness and market-friendliness are not the same. The Netherlands is strict but
competition-friendly; Italy is lax but anti-competitive; Germany is strict and burdensome. Perhaps countries
should pay as much attention to the quality of their environmental legislation as to its stringency. • Reduce,
reuse, recycle Environmental policies, whole economy indicator, 6=most stringent M 1990-95 WM 2012 0 1 2
3 4 5 Denmark Netherlands Norway Germany Spain Canada Japan United States Britain France Australia
Italy GDP per person 2012, $'000 Greece Source: OECD * "The impacts of environmental regulations on
competitiveness." By Antoine Dechezlepretre and Misato Sato. Grantham Research Institute, 2014. t "Do
environmental policies matter for productivity growth?" By Silvia Albrizio and others, OECD, 2014.
Economist.com/blogs/freeexchange
03/01/2015
The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
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The euro's next crisis
Politics has returned to haunt the single currency
EVER since the euro crisis erupted in late 2009 Greece has been at or near its heart. It was the first country
to receive a bail-out, in May 2010. It was the subject of repeated debate over a possible departure from the
single currency (the so-called Grexit) in 2011 and again in 2012. It is the only country in the euro zone whose
official debt has been restructured. On December 29th the Greek parliament failed to elect a president,
forcing an early snap election to be called for January 25th. The euro crisis is entering a new, highly
dangerous phase, and once again Greece finds itself at the centre. Investors promptly swooned, with the
Athens stockmarket falling by almost 5% in a single day, bank shares down by even more and Greek ten-year
bond yields rising to a new 2014 high of 9.5% (over seven points above those for Italy). The reason for this
collective outbreak of nerves is that the polls point to an election win for Syriza, a far-left populist party led by
Alexis Tsipras. Although Mr Tsipras says he wants to keep Greece in the euro, he also wants to dump most
of the conditions attached to its bail-outs: he would end austerity, reverse cuts in the minimum wage and in
public spending, scrap asset sales and seek to repudiate much of the country's debt. Such a programme
seems, to put it mildly, to sit uncomfortably with Greece's continuing membership of the single currency. The
early election is likely therefore to create a political crisis in Greece. What happens beyond that is less clear.
Investors seem to be betting that the people of Italy, Spain and France will peek at the chaos in Athens,
shudder-and stick to the austerity that Germany's Angela Merkel has prescribed for them. But that seems too
sanguine to this newspaper. It is hard to believe that a Greek crisis will not unleash fresh ructions elsewhere
in the euro zone-not least because some of Mrs Merkel's medicine is patently doing more harm than good.
The Greek kalends Begin with Greece. For 14 months Syriza has been ahead of the ruling New Democracy
party of the outgoing prime minister, Antonis Samaras, in the polls. Although the economy is now growing
again, Greek voters remain understandably enraged that GDP should have shrunk by almost 20% since 2010
and that unemployment is still as high as 26%. As it happens, Syriza's poll lead has narrowed in recent
weeks, but even if it does not win an outright parliamentary majority, it is likely to be by some margin the
biggest party, so Mr Tsipras can expect to lead any coalition government that is formed after the election (see
page 21). And this time round Mrs Merkel will struggle to repeat the 2012 trick of asking Greeks to vote again
in the hope that they might produce a more sensible government. In its policies Syriza represents, at best,
uncertainty and contradiction and at worst reckless populism. On the one hand Mr Tsipras has recanted from
his one-time hostility to Greece's euro membership and toned down his more extravagant promises. Yet, on
the other, he still thinks he can tear up the conditions imposed by Greece's creditors in exchange for two
successive bail-outs. His reasoning is partly that the economy is at last recovering and Greece is now running
a primary budget surplus (ie, before interest payments); and partly that the rest of the euro zone will simply
give in as they have before. On both counts he is being reckless. In theory a growing economy and a primary
surplus may help a country repudiate its debts because it is no longer dependent on capital inflows. But the
Greek economy still has far to go to restore its lost competitiveness, and Mr Tsipras's programme would undo
most of the gains of recent years. The notion that EU leaders are so rattled by fears of Grexit that they would
pay any price to avoid it was more valid in 2011 and 2012 than it is now. The anti-contagion defences that the
euro zone has since built make Grexit easier to contemplate for northern Europeans. Much has been done to
improve the euro's architecture, with a new bail-out fund, the European Central Bank's role as lender of last
resort and a partial banking union. Moreover, most of the bailed-out and peripheral countries are at last
growing again, and unemployment is starting to fall. Europe's Lehman moment? The result is a game of
chicken that neither Greece nor Europe can afford. Even if the Grexit is safer, it is still perilous and
unpredictable. There was a worrying echo this week of the Lehman crisis of September 2008. Then the
widespread assumption was that the global financial system was robust enough to cope with the failure of a
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Greece's election
03/01/2015
The Economist - N.1 - 3 gennaio 2015
Pag. 8
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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single investment bank. Now investors are putting their trust in the resilience of unemploymentplagued
countries like France, whose president has record levels of unpopularity, and Italy, whose economy has
shrunk in constant prices in the first 14 years of this century (even Greece's GDP is higher now than it was in
1999). That stagnation points to the deeper reason for caution. The continuing dismal economic performance
of the euro zone now poses a big political risk to the single currency. In the short run, so long as creditor
countries (and that means principally Germany) insist only on budgetary rectitude and rej ect all proposals for
further monetary and fiscal stimulus, that performance seems unlikely to improve. Worse, inflation is now so
dangerously low that the euro zone threatens to tip into years of deflation and stagnation worryingly
reminiscent of Japan in the 1990s. The continent's leaders have largely failed to push through the structural
reforms that could make their economies more competitive. When voters see no hope, they are likely to vote
for populists-and not just in Greece. As 2015 approached, most of Europe's leaders assumed that the worst
of the euro crisis was behind them. The early Greek election shows that hope was premature. Populist parties
of left and right that are against the euro, explicitly or not, continue to gain ground in many countries-the
leader of Podemos, Spain's highest-polling party, welcomed Mr Tsipras's success in forcing an election this
week (see page 22). Ironically, when a country starts to recover is also when popular discontent often boils
over. That message needs to be heeded this week in Berlin as much as in Athens. •
04/01/2015
The Observer
Pag. 1
(tiratura:110000)
Out of the hold of the Ezadeen, 360 Syrians emerged, towed to shore after smugglers abandoned the
controls. John Hooper in Corigliano watched the events unfoldThe man on crutches from Homs was in no
doubt about the message he wanted to send to the world.While he waited to be handed a bag of food and a
bottle of water in this southern Italian port, he turned to the reporters left on the quayside and shouted in a
loud and resonant voice: "Italia - good. Thank you, Italia. Thank you very much. All Italia ... Good!"Minutes
before, he and 359 others had disembarked from the Ezadeen, a Sierra Leone-registered livestock freighter.
Police said yesterday that the number included 54 women, several pregnant, and 74 minors, including eight
who were unaccompanied.As the Tyr - the Icelandic coastguard patrol vessel that had towed the ship to
safety - pulled it alongside the wharf, a restrained cheer rippled from bow to stern of the Ezadeen.Double
lines of metal bars run either side of the battered old freighter to prevent cattle and sheep from falling
overboard. Those of the Ezadeen's human cargo who were still massed in the livestock hold waved and
grinned through the bars. If ever a moment captured the indignities suffered by those who try to flee across
the Mediterranean to safety or a better life, this was it.The first sign of the Ezadeen's arrival had come more
than an hour earlier when the Tyr's three masthead lights, signalling a long tow, appeared beyond the
entrance to Corigliano's spacious harbour. The Icelandic vessel soon became a dramatic sight - its exhaust
smoke lit by a searchlight and trailing behind it like a silvery pennant.The Ezadeen had first been located on
Thursday 40 nautical miles off Cape Leuca, the very tip of the heel of the Italian boot, its crew having
relinquished control of the vessel in rough and perilous seas. Whether they left the ship is uncertain.The
prefect of nearby Cosenza told reporters yesterday that, according to some of the migrants, the crew wore
masks throughout the voyage. That would have allowed them to mingle undisturbed with the people who
disembarked at Corigliano.In an operation fraught with danger, an Italian air force helicopter lowered six
coastguards on to the deck of the Ezadeen so that they could regain command of the vessel. But the ship had
run out of fuel, and in another risky exercise, the crew of the Tyr succeeded in attaching a line to the
freighter.The patrol vessel is part of Iceland's contribution to Operation Triton, mounted by the European
Union's border control agency, Frontex.Most, if not all, of the Ezadeen's "passengers" were from Syria.
Giovanna di Benedetto, a spokeswoman for Save the Children in Italy, said: "They left 10 days ago from
Mersin in Turkey and they remained about five days without food, without drink and they told us that the
crossing was very difficult and dangerous."Mersin was also the port of departure indicated by several of those
queuing on the quayside. But the prefect said that at least some of the migrants had flown from Lebanon to
Turkey and departed from Antalya on 31 December. Both accounts were consistent with tracking data that
showed the vessel moving westwards along the southern Turkish coast before heading towards Greece and
then on to Italy.The arrival of the Ezadeen, and the earlier rescue of another freighter, the Blue Sky M,
carrying almost 800 Syrians, has dumped on Europe's doorstep more awkwardly than ever before the
desperate human consequences of the Arab spring.Those in Europe calling for curbs on immigration might
cavil about the waves of migrants reaching Italy's southernmost islands. Some do come for a better life, rather
than to escape death or persecution. There are plenty of in-between cases: is a young man fleeing military
service for the dictatorship in Eritrea truly a refugee?But the man with the injured foot from Homs and the
others by the quayside in the early hours of Saturday would seem to be cut-and-dried cases. Asked where
they were from, one group of young men shouted "Kobani".Something else differentiated the Syrians on the
Ezadeen from the woebegone, mostly African migrants who reach Lampedusa and Pantelleria. It is perhaps
an odd epithet to use, but they looked distinctly middle-class.A couple of the women standing with their
husbands on the ship, watching it dock, might have been shopping in the nearest mall. A palefaced young
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'Ghost ship' reaches safety Migrants give thanks after dramatic
Mediterranean rescue
04/01/2015
The Observer
Pag. 1
(tiratura:110000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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woman in a knitted woolly hat with earmuffs and drawstrings would not have looked out of place in a London
or Paris antiques market.But then, and by their own accounts, the voyagers on the Ezadeen had spent
$5,000 (£3,260) a head for their passage. That is roughly three times the going rate for a place on an
inflatable dinghy for the even more dangerous crossing from north Africa.Accounts from Gallipoli, further east,
where Syrians on the Moldovanregistered Blue Sky M came ashore, spoke of engineers and chemists.
Several of those who left the Ezadeen admitted to being students, but were reluctant to say more before they
were hustled towards the marquees erected by the emergency services.The reception of irregular migrants is
a far bigger and more complex operation than the TV images show. At the port in Corigliano, there were half
a dozen ambulances, several fire brigade vehicles, police cars, a lighting gantry, lines of tents, mobile offices
and toilets, Red Cross paramedics, civil protection volunteers, revenue guards, semi-militarised carabinieri,
police from three different forces, harbour officials, doctors and nurses kitted out in overalls and masks, naval
officers and a priest. The cost must have run to thousands, if not tens of thousands, of euros.Italy has
performed a double U-turn in its policy towards seaborne migration in the past four years. While the former
prime minister Silvio Berlusconi was still in power, migrants - including many deserving of humanitarian
protection - were intercepted and returned to the tender mercies of the Gaddafi regime. Italy's next
government put an end to this "push-back" approach in 2012.The following year, after more than 300
migrants died off Lampedusa and Pope Francis made an impassioned appeal for tolerance, Rome launched
Mare Nostrum, a search-and-rescue operation in which Italian naval vessels hunted for migrants in distress
up to the edge of Libyan territorial waters.The effects of Operation Mare Nostrum are highly contentious. It
coincided with an upsurge in the numbers of people reaching Italy by sea. But was it the cause of the exodus,
as Berlusconi's followers and his former supporters in Matteo Renzi's left-right coalition maintain? Or did it
just happen to be launched as numbers surged because of the deteriorating security conditions in Libya and a
pile-up of refugees fleeing from Syria and Iraq?Renzi's interior minister, Angelino Alfano, once Berlusconi's
justice minister, backed the first explanation and began to phase out Mare Nostrum from 1 November. It has
been replaced by the EU's Operation Triton, which has a budget less than a third of the reported cost of Mare
Nostrum, and a remit to ensure "effective border control" in the Mediterranean, with "persons and vessels in
distress" as a secondary consideration.This is the other significance of last week's dramas on board the
Ezadeen and Blue Sky M: they have highlighted starkly the people-smugglers' response to the latest change
of policy. It is pure moral blackmail. Frontex and the Italian authorities can either take charge of the ship - or
responsibility for the deaths of hundreds of people.Admiral Giovanni Pettorino, the operational commander of
the Italian coastguard, said this was "the third case we have recorded in this last few weeks of a ship
abandoned to its fate with hundreds of people aboard".He said the traffickers used "merchant vessels at the
end of their life - rust buckets bought for $100,000$150,000 and then filled with hundreds of 'migrants', mostly
Syrians, who pay up to $6,000 each for the crossing." The Ezadeen would have brought in earnings of
around $1.8m.So, as the admiral said, the smugglers "have no compunction in abandoning the ship, given
the profit margin". He told the Italian news agency Adnkronos that, if a way were not found to deal with the
traffickers' latest wheeze, the leaving of ships adrift in the Mediterranean would create "a very serious
problem for navigation".It has also created an excruciating conundrum for the Italian authorities. Early
yesterday, police had been given instructions to prevent journalists speaking to the new arrivals.Unlike the
Syrians on board the Blue Sky M, those who arrived in Corigliano were bundled on to coaches to be driven to
centres in other parts of Italy. Local reception facilities, police said, were overflowing.
04/01/2015
The Observer
Pag. 3
(tiratura:110000)
Patrick Kingsley Cairo
The two "ghost ships" discovered sailing towards the Italian coast last week with hundreds of migrants - but
no crew - on board are just the latest symptom of what experts consider to be the world's largest wave of
massmigration since the end of the second world war.Wars in Syria, Libya and Iraq, severe repression in
Eritrea, and spiralling instability across much of the Arab world have all contributed to the displacement of
around 16.7 million refugees worldwide.A further 33.3 million people are "internally displaced" within their own
war-torn countries, forcing many of those originally from the Middle East to cross the lesser evil of the
Mediterranean in increasingly dangerous ways, all in the distant hope of a better life in Europe."These
numbers are unprecedented," said Leonard Doyle, spokesman for the International Organisation for
Migration. "In terms of refugees and migrants, nothing has been seen like this since world war two, and even
then [the flow of migration] was in the opposite direction."European politicians believe they can discourage
migrants from crossing the Mediterranean simply by reducing rescue operations. But refugees say that the
scale of unrest in the Middle East, including in the countries in which they initially sought sanctuary, leaves
them with no option but to take their chances at sea.More than 45,000 migrants risked their lives crossing the
Mediterranean to reach Italy and Malta in 2013, and 700 died doing so. The number of dead rose more than
four times in 2014 to 3,224."We know people who died - they used to live with us," said Qassim, a Syrian
refugee in Egypt who now wants to reach Europe. "But we will try again to cross the sea because there's no
life for us Syrians here."In Egypt, up to 300,000 refugees from the Syrian war were initially welcomed with
open arms. But after Cairo's sudden regime change in summer 2013, the atmosphere turned drastically,
leading to rampant xenophobia against Syrians and increased arrests and detentions of those who, for
understandable reasons, did not carry the correct residency paperwork.The situation is even worse in Jordan
and in Lebanon, which now houses more than 1 million Syrian refugees - more than a fifth of the country's
total population.Their presence has created an unprecedented strain on national resources, leading to the
Lebanese government tightening restrictions last week on Syrians entering the country. And while Turkey has
simultaneously moved to strengthen refugees' rights, Turkish shores are likely to remain a popular launch pad
for migrants looking to reach Europe because of both the comparatively high cost of living, as well as rising
xenophobia, particularly in the country's south.Libya, another major point on the migration route from the
Middle East and north Africa, is also no longer a safe haven after a civil war erupted there last year. The
plight of refugees there, as well as across the region, makes a mockery of those who suggest the wave of
migration is caused simply by economic migrants."If they're economic migrants," asked Doyle, "then how do
we explain that after every outbreak of violence and repression we get a new wave of people from the area
that's just had that outbreak? Why was it that, in the huge September disaster in the Mediterranean, the
people who drowned were Palestinians, just a couple of weeks after the war between Gaza and Israel? And
why is it that since last year there has been a steady flow of people from Eritrea, when we know there are
serious problems in that country?"But such arguments have yet to convince the British government, which
refused last October to help Mediterranean rescue operations, and which by last June had admitted fewer
than 150 Syrian refugees.
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Why a reluctant Europe can't stop desperate people fleeing
04/01/2015
The Observer
Pag. 20
(tiratura:110000)
'Black year' of bad weather, insects and blight will lead to lowest production of oil in 15 years
By Tracy McVeigh
'This is particularly painful and has a profound effect on producers and families. It is a crisis' Curtis Cord,
Olive Oil TimesForget scouring the January sales for clothes and electrical goods and cheap Christmas
wrapping paper for next year - the thing to be stocking up on this month is olive oil.A dreadful 12 months for
olives in several major producing countries has led to 2014 being labelled the "black year" for the industry and
to the doubling of the bulk cost of olive oil in some areas.Unusual weather and a proliferation of insects and
bacterial blight have devastated the harvest in several countries. Analysts have been predicting a bad year for
olive oil since the summer, after it became clear that hot late spring weather in Spain - the world's largest
producer of olives - was going to have a key impact on autumn harvests.Farmers in Italy have suffered so
badly from pests and adverse weather that many are reporting harvests 40% to 50% down on 2013.
Unusually large flocks of starlings have been reported as further destroying the fruits in parts of southern Italy,
leading to calls for a cull."This is the worst year in memory," said Pietro Sandali, head of the Italian olive
growers consortium, Unaprol.In Greece, the olive output has been more stable, but the other smaller
producing countries cannot pick up the strain: Morocco and Tunisia have also suffered bad weather, while
Syria, which claims to be the birthplace of the olive tree and which has 74 million trees, has been affected by
the civil war.The International Olive Council (IOC) says production will hit its lowest level in 15 years and
admits there will be an upswing in prices; its latest figures show the price from the producers had risen by
121% in the last month of 2014 compared with December 2013, with supply down by almost a third. That
increase, experts say, is likely to be passed on at the tills, meaning a bottle of olive oil is likely to cost British
shoppers more than a high-end bottle of wine.Ever since the first bulbs of garlic began to appear in British
kitchens in the 1970s, the Mediterranean diet has been so wholeheartedly adopted here that its ingredients
have become commonplace. Now a price hike in a bottle of olive oil could make a luxury out of a staple.The
Italian Olive Oil Company in Hever, Kent, says it is already warning customers that its supplies will be limited.
Olive farmers with low harvests are inclined to go for quantity over quality and do fewer of the initial virgin
pressings so beloved of foodies in Britain.But worst hit will be the farmers and the economies of the olive-oilproducing countries, all of which are still struggling to emerge from years of economic strife. The olive oil
industry is worth more than £2bn to southern European producers.Curtis Cord, publisher of the Olive Oil
Times , has called the situation "particularly painful", adding that millions of people relied on the industry in
Spain, Italy, Greece, Portugal, Morocco and Tunisia."This has a profound, profound effect on families and
producers in these regions, so it is a crisis," he said. "That's one of the unfortunate parts of producing olives
and olive oil. It's cyclical: you're going to have bad years and good years."Spain and Italy account for just
under 70% of output, and the Madrid-based IOC, which publishes benchmark supply and demand estimates,
forecasts that Spanish olive oil production will more than halve next year, to 825,700 tonnes. Production in
Italy is expected to fall about a third to 302,500 tonnes, the lowest level since 1991.Olive oil comes in so
many varieties and qualities that it is hard to compare prices, but broadly it varies from around £4 a litre in
Aldi to £6.50 at Waitrose.However, Europe, where two-thirds of the world's olive oil supply is consumed, will
have cheaper alternatives. Favourable weather elsewhere in the world has meant that harvests of oilseed
crops have been plentiful and prices have been falling. The future could also see olive oil coming from the
US, where more and more landowners in the increasingly climatically challenged states of California and
Texas are planting olive trees.To add insult to culinary injury for Britain's salad lovers, the drought in Spain is
also likely to see fewer tomatoes and lettuces available to us.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
327
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Price of olive oil soaring after worst harvest in over a decade
04/01/2015
The Sunday Times
Pag. 30
Alan Copps @stforeign
A YOUNG Syrian who arrived in Italy on a rusty cargo vessel abandoned in stormy weather by people
smugglers spoke yesterday of his desperate eight-day voyage in a bare and filthy hold for which he and
hundreds of others had paid £4,500.The refugee, named only as Borhan, recounted his nightmare journey as
359 more, mainly Syrian, passengers were landed from a second abandoned ship towed into the southern
Italian port of Corigliano Calabro.Borhan was one of 796 refugees landed from the Blue Sky M at the port of
Gallipoli in Puglia on New Year's Eve, after Italian coastguards were lowered by helicopter to take over the
ship as it headed, with its controls locked, towards the rocky coast. A desperate passenger, realising the ship
had been abandoned, managed to send an SOS when it was within five miles of being washed against the
shore. Four alleged crew members who had hidden among the refugees are under arrest.Borhan, who had
photographed the appalling conditions on his mobile phone as families slept on the bare steel plates in the
closed hold, told the Corriere della Sera newspaper that the voyage had begun when passengers were ferried
in small boats out to the dilapidated freighter off the Turkish resort of Mersin.He said the $7,000 (£4,500) fee
was halved for children, of whom there were hundreds among the human cargo. One woman gave birth
during the voyage. As soon as the ship was full, the hatches were sealed and the passengers, with only
water, biscuits and a few tins of food, had no further contact with the crew.There was panic when the ship
was caught in a storm , said Borhan, speaking from a refugee reception centre in Milan. Then, as the vessel
continued to face heavy weather, supplies ran out. "Even the men were crying when the water and food was
finished," he said.In Corigliano, the coastguard commander, Francesco Perrotti, said yesterday that almost all
the migrants on the second ship, the Ezadeen, a 50-year-old livestock carrier, were also from Syria.The
vessel was towed in late on Friday by an Icelandic patrol boat that was part of Operation Triton, a European
initiative to intercept refugee vessels. "There were 62 children, 42 women and 255 men," he said. At least 14
of the children were unaccompanied and taken to local care homes.The passengers were met by Red Cross
and other local officials as they disembarked, and were given food, hot drinks and foil blankets.After
undergoing health checks, the passengers were sent by bus yesterday to reception centres around Italy. The
country has set up a network of such centres as increasing numbers of immigrants arrive in this way. Some of
those who disembarked from the Ezadeen were taken to centres as far away as Sicily, Tuscany and Milan.
Under Italian immigration rules, they can apply for asylum at these centres; however, the country's system for
dealing with such requests has been overwhelmed in recent years.In theory, those who fail to qualify can be
served with an expulsion order but these are, in practice, impossible to enforce. In reality, most walk out of a
detention centre, and thereafter gravitate to the more affluent countries of northern Europe. For those who do
make a successful case to stay in Italy, there are voluntary organisations and legal aid to help with
resettlement.Operation Triton took over the search and rescue mission for refugee ships last November,
replacing the much more extensive Italian operation, Mare Nostrum, which had mounted patrols as far as the
Libyan coast. The Italian government announced that it could no longer bear the £7m monthly cost. Triton,
which relies on vessels from other countries, costs about £2.3m, but patrols only up to 30 miles from the
coast.Britain said it would not contribute to the operation because it feared it might encourage more refugees
to head for Europe.Frontex, the EU's border agency, says that as the number of refugees from Syria has
grown, people smugglers have turned to larger ships. Unlike the smaller vessels traditionally used, these can
sail in winter as well as summer."High demand makes this method profitable. It shows how powerful and
sophisticated the smuggling networks have become," said Antonio Saccone, the agency's head of analysis.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
328
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As water ran out, even the men cried
04/01/2015
The Sunday Times
Pag. 30
Bojan Pancevski BRUSSELS @bopanc
ALMOST one in three Germans think that marches by a right-wing group protesting against "Islamisation" are
justified, according to a poll published on the day Angela Merkel, the chancellor, warned that its leaders were
driven by "prejudice, coldness, even hatred".The poll, by the news magazine Stern, emphasised the
challenges EU leaders face from populist, antiestablishment groups poised to make headway in elections
across the continent.This year will see polls in several countries - with once marginal parties from both ends
of the political spectrum coming to the fore.The first test will come with the snap elections on January 25 in
Greece, where the anti-austerity, radical left alliance Syriza leads polls with 28%, ahead of the New
Democracy party of the prime minister, Antonis Samaras, on 25%.Alexis Tsipras, the Syriza leader, has
vowed to renegotiate Greece's bailout agreement with the EU, the European Central Bank and the
International Monetary Fund.While discontent with establishment politicians in Greece as well as in Spain where youth unemployment exceeds 50% - and Portugal is fuelled largely by austerity, fringe parties are
benefiting from a backlash against immigration.Merkel was one of several leaders to address the issue in
their new year messages, warning against growing support for Pegida (Europeans Against the Islamisation of
the West), whose weekly marches in Dresden have drawn up to 17,000 people. Pegida is not a political party
as such, but has links with the Alternative für Deutschland, "Germany's Ukip".Merkel said the demonstrators'
real message was "you are not one of us, because of your skin colour or your religion" . She said refugees
were welcome in Germany and migration was of "benefit to all".François Hollande, the French president, who
faces a challenge from the antiimmigration National Front, also spoke of the danger of populism, as did Italy's
President Giorgio Napolitano.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
329
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Racists on march across continent, warns Merkel
04/01/2015
Corriere della Sera - La Lettura - N.162 - 4 gennaio 2015
Pag. 2
Jeffrey Eugenides L'America ha paura ma Obama ci stupirà ancora
«Dobbiamo fare i conti con le profonde diseguaglianze socioeconomiche di questo Paese e con un tasso di
violenza che l'Europa stenta a capire. La nostra eccessiva militarizzazione è la prova dei nostri timori»
dal nostro corrispondente a New York ALESSANDRA FARKAS
«Abbiamo iniziato questa lunga intervista a puntate subito dopo le elezioni di medio termine e sono contento
di poter dire che alcune delle cose che avevo pronosticato allora si sono avverate». Al telefono dall'Università
di Princeton, dove insegna scrittura creativa - è l'ateneo che ha ospitato Albert Einstein, Toni Morrison, Paul
Krugman, Joyce Carol Oates e Ben Bernanke tra gli altri - Jeffrey Eugenides parla di tutto ma non del suo
nuovo, attesissimo libro di racconti. «Non mi piace parlare di un lavoro che non ho ultimato», spiega l'autore
di bestseller come Le vergini suicide (da cui Sofia Coppola ha tratto un film) e Middlesex , il romanzo fiume
con cui nel 2003 vinse il Premio Pulitzer. Eugenides è piuttosto in vena di bilanci politici: «Chi lo scorso
novembre l'aveva dato per morto si è sbagliato di grosso - s'infervora - perché Obama dà il suo meglio
quando è con le spalle al muro. Userà i suoi ultimi due anni in carica nel modo più efficace possibile». I suoi
«ordini esecutivi» hanno mandato in tilt il Partito repubblicano: «È inarrestabile. Ha firmato un accordo sul
clima con la Cina, trasformando gli Usa da posapiano antiecologici a leader in materia. Stanco di aspettare i
repubblicani, è andato avanti con la riforma dell'immigrazione e ha restaurato le relazioni diplomatiche con
Cuba, prefigurando la fine di un embargo giudicato ridicolo da tutti tranne che dalla minoranza di cubaniamericani che ci teneva in ostaggio. Tutte mosse geniali che preludono ad altre analoghe».
Se fosse un suo studente lo promuoverebbe, insomma?
«Basta guardare i fatti. Quando è stato eletto, l'economia era in caduta libera. Ora il Dow Jones veleggia
intorno ai 18 mila punti e la disoccupazione è inferiore al 6 per cento. Il disavanzo è stato tagliato a metà. Per
non parlare della sua riforma sanitaria, con la quale si è conquistato un posto nella storia. Ha ragione Matteo
Renzi a ispirarsi alla politica antiausterity e degli investimenti obamiana e penso che se togliesse ad Angela
Merkel lo scettro dell'Ue, anche l'Italia potrebbe guidare l'Europa fuori dall'abisso».
Nei sondaggi però l'indice di gradimento del presidente resta basso.
«È difficile comunicare i successi in un clima mediatico in cui i fatti non contano, e la gente scambia falsità
per verità. I media hanno circondato Obama con un brusio assordante, che gli impedisce di farsi sentire dal
cittadino della strada».
Molti parlano già della fine del «Yes, we can» obamiano.
«Gli slogan sono utili soltanto in campagna elettorale. Da quella notte elettrizzante in cui fece il suo discorso
di accettazione a Bryant Park, Obama ha messo ben in chiaro di non possedere bacchette magiche. Ha
cercato di smorzare le aspettative fin dall'inizio, ma senza riuscirvi perché nessuno lo ascoltava. Sei anni
dopo, tutti coloro che l'hanno sostenuto dicono che il cielo sta cadendo. Ma questa è un'illusione quanto lo
erano le attese irrealiste in quella fredda notte di Chicago del 2008. Il sogno non è morto, così come allora
non era assicurato».
Lo scorso novembre lei parlò di un'America armoniosamente multirazziale, sempre più simile al Brasile, dove
il cittadino medio assomiglia più a North West, il figlio di Kanye West e Kim Kardashian, che non ai Padri
Pellegrini.
«Dopo i morti di Ferguson, Staten Island e Brooklyn e tutti gli altri disordini, il mio umore è cambiato. Sono
pessimista di fronte al muro contro muro che lacera il Paese. Da una parte vedo la giusta indignazione di
piazza contro gli eccessi della polizia; dall'altra il livore di Fox News che criminalizza i dimostranti. La
polarizzazione politica è all'estremo anche a Washington, dove lo spirito bipartisan è morto. Oggi esistono
due Americhe, lontane e separate».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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INTERVISTA Tensioni razziali, successi economici, amori letterari. Parla il Pulitzer: il prossimo presidente?
Né un Clinton né un Bush
04/01/2015
Corriere della Sera - La Lettura - N.162 - 4 gennaio 2015
Pag. 2
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 05/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Eppure quella di Obama doveva essere l'era dell'armonia.
«Dobbiamo fare i conti con le profonde diseguaglianze socioeconomiche dell'America e con un tasso di
violenza che gli europei stentano a capire. Qui armi e sparatorie sono ovunque e la gente vive in una sorta di
guerra quotidiana al rallentatore. Un circolo vizioso di sangue e morte che spinge anche la polizia ad
adeguarsi. Mettiti nei panni del poliziotto che va a lavorare tutti i giorni con il terrore di essere impallinato. Al
suo posto, forse, anch'io avrei il grilletto facile. Solo il controllo delle armi può porre fine a questa carneficina.
Ma dopo Michael Bloomberg nessuno ne parla più».
Non è un tema popolare, come dimostrano le ultime elezioni di medio termine.
«Elezioni dominate dalla paura fasulla di Isis e dell'Ebola che ha neutralizzato la razionalità, come spesso
accade in America. Se da fuori sembriamo un Paese solare, il nostro vero mood nazionale oggi è l'isteria.
Sono bastate alcune decapitazioni in mezzo al deserto e due casi isolati di Ebola a casa nostra perché gli
americani si sentissero personalmente minacciati. La nostra eccessiva militarizzazione, in patria e all'estero,
è la prova della nostra paura. Gli elettori si sono ribellati a Obama perché non condivide il loro panico».
Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti?
«Chris Christie sorprenderà tutti e potrebbe anche essere il nostro prossimo presidente. Di certo sarà il
candidato repubblicano nel 2016, avendo ben più carisma e talento politico di Jeb Bush e Rand Paul. Hillary,
che appoggiai nel 2008, sarà penalizzata dalla cosiddetta Clinton-fatigue , la lunga esposizione al clan.
Anche la letteratura è più viva e vegeta nell'era di Obama?
«Non credo di poter accettare la premessa secondo cui la politica influenza l'arte e la cultura letteraria. Non
ho visto alcuna differenza da quando Obama è presidente e di certo egli non ha influenzato me come
scrittore. Un'elezione presidenziale è solo uno dei tantissimi fattori in un panorama ricco e variegato».
Come mai Obama non ha proseguito gli appuntamenti letterari iniziati dal suo predecessore alla Casa
Bianca?
«Quei simposi di scrittori erano un'iniziativa della bibliotecaria Laura. La crociata di Michelle è stata fin
dall'inizio la lotta all'obesità infantile. Queste tematiche culturali-sociali di solito sono pilotate dalle first lady più
che dai mariti. Durante l'amministrazione Kennedy era di moda invitare gli intellettuali per creare un salotto
letterario alla Casa Bianca che sposasse potere e cultura. Oggi è un'idea sorpassata e alle cene di Stato gli
scrittori sono usati come meri arredi scenici se la loro origine etnica coincide con quella del leader in visita».
Anche l'ossessione del mondo letterario per il «grande romanzo americano» è un residuo del passato?
«Non direi. Ma è più legittimo affermare che un grande romanzo americano viene scritto ogni dieci o vent'anni
piuttosto che incaponirs