Paola Carucci - Democrazia e sicurezza

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Paola Carucci - Democrazia e sicurezza
Associazione per il Dialogo Costituzionale
www.devolutionclub.com
PRIN 2008
“Costituzioni e sicurezza dello Stato: scenari attuali e linee di
tendenza”
Coordinatore nazionale: Prof. Alessandro Torre
Unità PRIN: Bari, LUMSA Roma, Roma “Sapienza”, Roma Tre, Siena
Unità aggregate: Bari II, Parma, LUISS Roma, Stato Maggiore Esercito
La legge sul segreto di Stato
e l'accesso ai documenti per la ricerca storica
Paola Carucci
Sovrintendente dell’Archivio storico
della Presidenza della Repubblica
Versione aggiornata della relazione presentata al Seminario
“Ricerca storica, archivi di Stato e tutela della privacy.
La nuova disciplina del segreto di Stato”
Università degli Studi di Bari, Seminario Giuridico, 27 settembre 2007
WORKING PAPER n.1
© 2011
WORKING PAPER N. 1
DEVOLUTION CLUB
La legge sul segreto di Stato
e l'accesso ai documenti per la ricerca storica
Paola Carucci
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1. - Il tema del segreto di Stato, rispetto all’accesso ai documenti per la ricerca
storica, rappresenta solo una parte di una questione più vasta. I documenti coperti dal
segreto di Stato e i documenti classificati raramente pervengono agli Archivi di Stato.
Solo da poco ad esempio è stato versato un nucleo di carte del SIM (Servizio
informazioni militari) all'Archivio storico dell'Ufficio storico dello Stato maggiore
dell'esercito con documenti fino al 1949 e un nucleo di documenti della Divisione SIS
(Servizio informazioni e sicurezza) della Pubblica sicurezza all'Archivio centrale dello
Stato pure con documenti fino al 1949: ciò, probabilmente, in seguito ad un
provvedimento in materia di declassificazione del Governo Prodi. Attualmente il
problema si è riproposto. Si è tornati a chiedere al Presidente del consiglio una
maggiore attenzione alla declassificazione per facilitare la ricerca storica, senza alcun
esito.
Del resto, fino all'approvazione della legge del 2007 non era previsto alcun termine
per l'accesso ai documenti coperti da segreto di Stato e ai documenti classificati, né
risultavano linee guida per la loro conservazione e, meno che mai, l'ipotesi di versarli
ad un Archivio storico. Ne consegue che questi documenti non costituivano il centro
del nostro interesse nel dibattito sulla consultabilità, soprattutto fino a quando tale
materia era regolata soltanto dalla legge archivistica del 1963 (d.p.r. 30 set. 1963, n.
1409).
A partire dagli anni Novanta il tema della consultabilità si è posto in termini molto
più problematici rispetto al passato, in quanto sono intervenute normative diverse che
incidono direttamente o indirettamente sull'accesso ai documenti: la normativa sulla
trasparenza del procedimento amministrativo, la normativa sui dati personali, la
normativa sul documento amministrativo e sul documento elettronico e, infine, la
normativa sul segreto. Tutte queste norme hanno influito in parte positivamente e in
parte rendendo più difficile la ricerca storica.
2. - Quando ho cominciato a lavorare presso l'Archivio centrale dello Stato, nel
1966, si applicava la legge archivistica approvata tre anni prima. Principio
fondamentale di quella legge era la libera consultabilità dei documenti conservati negli
Archivi di Stato con tre eccezioni: i documenti riservati per motivi di politica interna
ed estera che diventavano consultabili 50 anni dopo la loro data; i documenti riservati
per motivi puramente privati di persona che diventavano consultabili 70 anni dopo la
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Sovrintendente dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica.
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loro data; i processi penali che diventavano consultabili 70 anni dopo la conclusione
del procedimento. La legge prevedeva un termine di 40 anni dalla conclusione degli
affari per il versamento delle carte, ma tale termine poteva essere anche molto più
breve in caso di rischio di dispersione o di danneggiamento dei documenti. I
documenti versati prima del decorso del quarantennio, se di carattere ordinario, erano
liberamente consultabili.
Per quanto riguarda la riservatezza, le prime due eccezioni implicavano una
valutazione discrezionale degli archivisti, ovvero la verifica dell'attualità della
riservatezza per la presenza di un rischio effettivo per la sicurezza dello Stato derivante
dalla diffusione delle notizie o di un danno alle persone; la terza, invece, che si riferiva
ad una specifica tipologia di documenti, risultava incongrua e non priva di ambiguità.
Incongrua, in quanto, gli atti di un processo penale che si svolge in pubblico
dibattimento diventavano riservati, dopo la conclusione del processo, quando
venivano versati all'Archivio di Stato; ambigua, in quanto se si ritiene concluso un
processo quando si sia arrivati al terzo grado di giudizio, il periodo di riservatezza
diventava eccessivamente lungo rispetto all'evento. Alle obiezioni mosse dagli archivisti
in merito, non si è mai data alcuna risposta.
Di fatto, negli anni Sessanta e Settanta il problema della documentazione riservata
riguardava di massima la tutela di quelli che oggi si chiamano dati personali,
soprattutto in riferimento alla documentazione del periodo fascista che era pervenuta
in gran parte all'Archivio centrale dello Stato a partire dal 1954. Non vi era, infatti,
riservatezza per motivi di politica interna ed estera perché si era determinata una
cesura politica e istituzionale che non implicava continuità: il crollo del regime fascista,
la conclusione dell'esperienza connessa alla Repubblica sociale italiana, il referendum
istituzionale e l'approvazione di una costituzione democratica elaborata da tutti i partiti
antifascisti sono eventi tali che i governi della Repubblica non si riconoscevano nelle
decisioni politiche del periodo precedente e, dunque, i contenuti politici di documenti
nati come riservati non costituivano un problema. Diversa la situazione dei dati
personali perché i documenti pervenuti all'Archivio centrale dello Stato contenevano
molte informazioni sulle persone, non di rado anche di contenuto privato e familiare
e, pertanto, si poneva il problema di facilitare la ricerca storica e al tempo stesso
tutelare la riservatezza delle persone. La legge archivistica, infatti, prevedeva la
possibilità di ottenere l'autorizzazione a consultare per motivi di studio documenti
riservati prima della scadenza dei termini.
Lo studioso che chiedeva l'autorizzazione alla consultazione anticipata di documenti
riservati, di massima la otteneva, ma tale autorizzazione era accompagnata dalla
clausola "salvo documenti riservati per motivi puramente privati di persona". In tal
modo era restituita al direttore dell'Archivio di Stato la responsabilità di far consultare
i documenti. Fu perciò introdotta una prassi nota come "scrematura". Prima di dare in
consultazione fascicoli in cui potevano trovarsi documenti riservati, gli archivisti li
leggevano e sottraevano all'accesso singoli documenti contenenti dati personali
riservati, dando in visione il resto del fascicolo. Si era concordato che i documenti da
sottrarre all'accesso fossero quelli relativi alla salute, alla vita sessuale, a situazioni
economiche particolarmente disagiate, a situazioni personali o familiari gravi come
stupri e cose del genere: in tal modo si poteva mettere in consultazione una grande
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quantità di documenti. Si può a buon diritto sostenere che tale prassi ha consentito
che gli studi sul fascismo in quegli anni abbiano avuto una così larga fioritura.
Paradossalmente quando sono tornata, nel 1997, all'Archivio centrale dello Stato
come sovrintendente dell'istituto, ho potuto constatare che la ricerca di storia
contemporanea era molto più difficile. Mentre negli anni Sessanta si potevano studiare
eventi di quindici o venti anni prima, oggi è molto più difficile studiare eventi di trenta
o quarant'anni fa.
Contrariamente a quanto pensano spesso gli studiosi, questo stato di fatto non è
determinato dalla normativa sulla consultabilità dei documenti che, nonostante
l'oggettiva complessità delle norme attuali, è in sostanza una buona normativa; è
determinato invece dal rallentamento del flusso dei versamenti di documentazione
recente, nonostante l'oggettivo rischio di dispersione e danneggiamento dei documenti
presso i depositi dell'amministrazione attiva e un emendamento al Codice dei beni
culturali che permette il versamento anticipato rispetto al quarantennio anche nel caso
di accordo tra il responsabile dell'ufficio versante e il direttore dell'Archivio di Stato.
Il termine di 40 anni è oggettivamente troppo lungo rispetto a quello previsto dalla
normativa di altri paesi europei che è in genere di 30 anni, talora - come ad esempio
in Olanda - di 20. Ma, come si è detto, esistono dei correttivi per ridurlo di fatto.
3. - Un altro fatto che ha determinato nel corso degli anni ulteriori difficoltà per la
ricerca è collegato al passaggio dell'amministrazione degli Archivi di Stato dal
Ministero dell'interno al Ministero per i beni culturali. Presso il Ministero dell'interno
il procedimento per l'autorizzazione alla consultazione anticipata dei documenti
riservati prevedeva il parere della Giunta superiore degli archivi, un organo collegiale
composto di archivisti, storici e funzionari amministrativi che valutava tutte le richieste
di autorizzazione provenienti da tutta Italia. dapprima furono concesse autorizzazioni
fino al 1939, poi al 1943, poi al 1945 e, infine, al 1947: negli anni Settanta era
possibile cominciare a studiare gli anni della ricostruzione. Quando nel 1975
l'amministrazione degli archivi passa al Ministero per i beni culturali, la competenza in
materia di documenti riservati resta al Ministero dell'interno, ma senza più il supporto
scientifico della Giunta superiore degli archivi, che era stata soppressa. Fu istituito un
Ispettorato per i servizi archivistici diretto da un prefetto che divenne unico arbitro
della ricerca di storia contemporanea. L'Ispettorato interpretò in maniera estensiva il
dettato delle norme che gli conferivano competenze in materia di documenti riservati:
ha preteso di far inserire un rappresentante del Ministero dell'interno in tutte le
Commissioni di sorveglianza sugli archivi correnti degli organi centrali e periferici
dello Stato con il compito di verificare se nella documentazione versata all'Archivio di
Stato competente risultano serie di carattere riservato, per le quali emana una
declaratoria di riservatezza. Pretende anche che vengano inviati gli inventari degli enti
pubblici per individuarvi serie riservate. Il prefetto si si avvale in periferia di funzionari
di prefettura. Nel corso degli anni non venne più richiesto neanche il parere del
direttore dell'Archivio di Stato circa l'opportunità o meno di autorizzare la
consultazione anticipata dei documenti riservati. Si determinò una notevole tensione
tra i ricercatori che si vedevano negate sistematicamente le autorizzazioni, soprattutto
dopo l'emanazione della legge sui dati personali del 1996 (l. 31 dic. 1996, n. 675) che
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non aveva alcuna incidenza sulla ricerca storica perché in merito rinviava a
provvedimento successivo, ma l'Ispettorato, non tenendo conto di ciò, leggeva quel
testo come giustificazione per rifiutare ogni autorizzazione.
4. - Nel frattempo era stata approvata nel 1990 la legge sulla trasparenza del
procedimento amministrativo (l. 7 ago. 1990, n. 241). Fino a quell'epoca vigeva un
principio generale di riservatezza sulla documentazione dell'amministrazione attiva,
salvo i casi di documenti pubblici fin dalla loro origine. Rientrava nella discrezionalità
dei funzionari far vedere talora al cittadino documenti che lo riguardavano. Come è
noto quella legge riconosce il diritto di accesso ai documenti amministrativi a chi vi
abbia “un interesse giuridicamente protetto”. Il provvedimento prevede delle
eccezioni al diritto di accesso che in sostanza corrispondono ai limiti previsti dalla
legge archivistica anche se espressi con parole diverse: politica estera e politica interna,
politica finanziaria e monetaria, riservatezza delle persone e, dato di un certo rilievo,
anche delle imprese. Non si parla di documenti giudiziari perché la legge riguarda solo
il procedimento amministrativo. Con il regolamento di esecuzione del 1992 (d.p.r. 27
giu. 1992, n. 352), l'esclusione del diritto di accesso per i motivi indicati viene collegata
al rischio concreto che la diffusione delle notizie possa essere dannosa per la sicurezza
dello Stato.
La legge prevede che, sulla base di un regolamento della Presidenza del consiglio,
ogni ministero emani uno o più regolamenti relativi all'individuazione delle categorie
di documenti da sottrarre al diritto di accesso, fissando comunque un termine per la
cessazione del divieto. Nel disciplinare l'esclusione del diritto di accesso si parla sia di
documenti segreti e di vietata divulgazione sia di documenti individuati dai
regolamenti ministeriali. L'espressione documenti segreti e di vietata divulgazione si
trova nel Codice penale e nel Codice di procedura penale; si è fatto tuttavia
riferimento in più di una occasione ad una legge di guerra del 1941 (d.l. 11 lug. 1941,
n. 1161, Disciplina del segreto e del divieto di divulgazione in tempo di guerra) che
utilizza in maniera ambigua e promiscua questi due concetti.
Fino alla legge del 1977 esisteva ufficialmente solo il Servizio di sicurezza militare, i
cui documenti erano gestiti in base a circolari riservatissime. In realtà esisteva anche
un servizio di informazione del Ministero dell'interno che traeva origine
dall'esperienza della polizia politica istituita nel periodo fascista, i cui funzionari
avevano assunto ruoli di primo piano dopo la guerra e, probabilmente, si avvaleva
anche di informatori già collaudati durante il regime. Non è qui il caso di
ripercorrerne le vicende, ma esisteva un ufficio riservato che cambia diverse volte la
denominazione nel corso degli anni, mantenendo le stesse funzioni. Quando nel 1977
(l. 24 ott. 1977, n. 801) viene istituito accanto al SISMI, servizio di sicurezza militare
alle dipendenze del Ministero della difesa, il SISDE, servizio di informazione civile
alle dipendenze del Ministero dell'interno, il precedente ufficio riservato non viene
soppresso, ma cambia semplicemente denominazione: il 30 gennaio del 1978 entra in
vigore la legge sul segreto di Stato e sui servizi di sicurezza e il 31 gennaio, ministro
dell'interno Cossiga, viene emanato un decreto che conferma il precedente ufficio
riservato, mutandone la denominazione in UCIGOS. La legge del 1977 disciplina il
segreto di Stato ma, in sostanza, non affronta il tema del trattamento dei documenti
classificati e coperti dal segreto di Stato.
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I documenti classificati afferiscono ai servizi di sicurezza militare e civile, ma in virtù
del contenuto possono essere prodotti anche da diverse amministrazioni che li
gestiscono tramite una Segreteria di sicurezza o un Punto di controllo o anche da
soggetti privati (per esempio un'industria che fornisce materiali per armamenti). Le
attuali classifiche prevedono quattro livelli - riservato, riservatissimo, segreto e
segretissimo - mentre non si considera più il livello di vietata divulgazione, che
permane invece sia nei codici che nella legge sulla trasparenza del procedimento
amministrativo del 1990 e del 2005. Per i documenti classificati sono previste in altre
disposizioni normative, per lo più di carattere interno, cautele particolari: armadi
blindati, registrazioni su vari registri, nulla osta di livello differenziato per l'accesso,
criteri speciali per lo scarto (senza l'intervento di un rappresentante
dell'amministrazione archivistica), ma non è prevista soprattutto la durata del periodo
di classificazione. Solo l'ente originatore può declassificare i documenti e può essere
una autorità italiana o di una autorità straniera o di organismo internazionale o
sovranazionale: si pensi al nulla osta per i documenti NATO o per i documenti UE.
5. - La legge archivistica del 1963 usava solo una espressione di carattere generale
"riservatezza", nella quale si dava per scontato che dovessero rientrare i documenti
riservati della pubblica amministrazione ma anche i documenti classificati o coperti da
segreto: qualunque fosse la motivazione dell'esclusione dalla consultabilità, non si
poteva superare per questioni inerenti la politica interna ed estera il limite di 50 anni.
In luogo dell'espressione di carattere generale "riservatezza", la legge del 1990 sulla
trasparenza del procedimento amministrativo introduce due distinte espressioni:
"dilazione temporanea del diritto di accesso" e "esclusione dal diritto di accesso". La
dilazione temporanea è legata in sostanza al perseguimento dei fini dell'azione
amministrativa o per motivi contingenti: perché un'azione amministrativa possa essere
efficace, può essere opportuno mantenere riservati i documenti per un certo periodo
di tempo, per esempio fino all'attuazione del provvedimento. L’”esclusione del diritto
di accesso” dovrebbe collegarsi alla tutela della sicurezza dello Stato e alla tutela dei
dati personali.
Per quanto attiene alla sottrazione del diritto di accesso, la distingue i documenti
segreti e di vietata divulgazione (meglio sarebbe stato definirli “documenti classificati”)
e quelli coperti dal segreto (di Stato, bancario, statistico, ecc.) da quelli per i quali
l'esclusione del diritto di accesso deriva dai regolamenti ministeriali. La successiva
legge sulla trasparenza del procedimento amministrativo, approvata nel 2005 (11 feb.
2005, n. 15), rende molto più ambigua la situazione, anche perché scritta in maniera
sciatta e confusa, a differenza della precedente che era scritta in maniera chiara e
coerente. Nella legge del 2005 e nel successivo regolamento di esecuzione si perde
per i documenti individuati dai decreti ministeriali la connessione stretta tra
l'esclusione del diritto di accesso e l'effettivo rischio di danno per la sicurezza dello
Stato dipendente dalla diffusione delle notizie. L'esclusione del diritto di accesso, che
dovrebbe basarsi su motivi connessi alla sicurezza dello Stato e alla tutela dei dati
personali o industriali, di fatto, salvo la tutela dei dati personali e industriali, viene a
basarsi spesso su motivi connessi semplicemente alla garanzia che l’azione politica,
economica e amministrativa dello Stato non risulti turbata dalla diffusione
inopportuna di notizie. Implica inoltre l'individuazione delle categorie in cui possono
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trovarsi documenti da sottrarre al diritto di accesso con l'indicazione della durata di
tale limite.
In sostanza il potere dei ministeri di dichiarare sottratti al diritto di accesso alcune
tipologie di documenti sembra di fatto svincolato da una motivazione chiaramente
individuata. Sembrano, inoltre, posti sullo stesso piano i documenti classificati o
coperti da segreto e quelli individuati dai regolamenti ministeriali senza tenere conto
del fatto che, mentre per i documenti classificati, il livello di segretezza va considerato
per i singoli atti o documenti e, anzi, si può prevedere che solo una parte del
documento sia classificata, i regolamenti dei ministeri segnalano per la sottrazione del
diritto di accesso tipologie di documenti che, in sostanza, corrispondono a serie intere
di fascicoli. All’epoca per i documenti classificati o coperti da segreto non era previsto
un limite temporale, mentre per quelli individuati dai regolamenti ministeriali è
prevista la durata del divieto. Non si tiene conto neanche del diverso trattamento
riservato ai primi (le particolari cautele) rispetto ai secondi che non richiedono
accorgimenti particolari di conservazione, salvo l'esclusione del diritto di accesso per
una durata determinata. Per questi ultimi, inoltre, l'esigenza di mantenere il divieto di
accesso tende ad affievolirsi anche prima dello scadere del termine previsto dal
regolamento.
Nel linguaggio ministeriale sono entrate in uso espressioni come “secretare” e
"secretazione" per indicare "sottrazione al diritto di accesso", espressione che compare
anche in qualche decreto ministeriale. Tale uso ambiguo del concetto di segretezza
acuisce la confusione tra i documenti classificati o coperti dal segreto con quelli
sottratti al diritto di accesso in base ai regolamenti. L'enfasi del concetto di
secretazione induce inoltre nell'amministrazione attiva la percezione di un potere
esclusivo collegato al possesso dell'informazione. Lungi dall'interpretare il
provvedimento sulla trasparenza del procedimento amministrativo come un servizio ai
cittadini, favorendo al massimo l'accesso ai documenti, si amplifica il concetto di
sicurezza dello Stato. Non solo, ma l'amministrazione attiva tende a trattenere più a
lungo i documenti riservati, rinviandone senza ragione il versamento ai competenti
Archivi di Stato. La cosa è tanto più grave, in quanto anche l'amministrazione
archivistica è tenuta al rispetto della riservatezza per i documenti conservati, anche se,
in base ad una specifica procedura, per questi documenti è possibile concedere
l'autorizzazione alla consultazione anticipata.
6. - Una delle difficoltà maggiori per la ricerca storica contemporanea è, dunque, il
mancato versamento di importanti serie documentarie negli Archivi di Stato. In realtà,
va segnalato il fatto che nel corso degli anni Novanta l'Archivio centrale dello Stato
promosse un censimento presso dieci ministeri per quantificare la documentazione
che doveva essere versata all'istituto. In quella circostanza i ministeri coinvolti
nell'operazione, ivi compreso il Ministero dell'interno, mostrarono una encomiabile
disponibilità ad aprire i loro depositi agli archivisti di Stato, mai più manifestatasi in
anni successivi. Quando venne alla luce lo scandalo dei documenti sul terrorismo del
Ministero dell'interno trovati accidentalmente nel deposito di Circonvallazione Appia
(destinati, sembra, al macero), vi risultavano inclusi anche alcuni scatoloni di
documenti già preparati per il versamento all'Archivio centrale dello Stato. Quel
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deposito, peraltro, inadatto alla conservazione di documenti veniva in passato
utilizzato per farvi transitare documenti regolarmente autorizzati per lo scarto.
Non è escluso che tra le ragioni che inducono a ritardare i versamenti si possa
individuare, oltre a un generico principio di opportunità politica, la preoccupazione
che possano emergere situazioni di connivenza con fatti di terrorismo e stragi o con la
corruzione dilagata negli anni Ottanta e cresciuta a dismisura dopo l'esperienza di
"tangentopoli".
Una particolare gelosia per la propria documentazione si riscontra nel Ministero
degli affari esteri che ha praticamente posto come limite alla ricerca storica il 1948 e,
quando è stata presa dal ministro competente la decisione di aprire l'accesso fino al
1957, è prevalsa la linea di procedere alla declassificazione manuale (cancellare la
scritta "Riservato") su ogni documento, rendendo di fatto inattuabile l'ampliamento
dell'accesso. Va, peraltro, rilevato che la semplice scritta "Riservato" o "Riservatissimo"
sui documenti non significa che si tratti di effettiva classificazione, con tutte le cautele
che ciò implica, ma di una valutazione di mera opportunità.
7. - Nel 1999 (d.lgs. 30 lug. 1999, n. 281) la disciplina della tutela dei dati personali è
stata recepita dalla legge archivistica, che nello stesso anno viene quasi interamente
abrogata e rifusa nel Testo unico per i beni culturali (d.lgs. 29 ott. 1999, n. 490), cui
subentra nel 2004 l’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gen.
2004, n. 42). Nulla è mutato circa il limite di 50 anni dalla data dei documenti per la
consultabilità di quelli riservati per motivi di politica interna ed estera. E' stata invece
necessaria una modifica per la tutela dei dati personali. La legge archivistica prevedeva
un limite di 70 anni, ma la definizione di dati sensibili nella normativa sulla tutela dei
dati personali del 1996 include dati quali l'appartenenza ad un'etnia, ad un partito
politico o a un sindacato, la professione di una fede religiosa o di opinioni politiche e
filosofiche, dati cioè che se fossero tutelati per 70 anni renderebbero impossibile
qualsiasi ricerca. Del resto la protezione di questi dati ha senso se si considera lo
spirito che vi è sotteso: nessuno può essere discriminato dall'amministrazione attiva
per quei motivi; quei motivi, invece, sono essenziali nell'ambito della ricerca storica,
tanto più che il diritto alla riservatezza si affievolisce per quanti svolgono una attività
pubblica. Si decise, allora di introdurre due limiti per la tutela dei dati personali: 40
anni dalla data dei documenti in relazione a quei motivi e 70 anni dalla data dei
documenti per quanto attiene alla salute, alla vita sessuale e a situazioni familiari di
particolare gravità, cioè per dati che in gergo si chiamano "sensibilissimi".
Nel 1998 fu organizzata la prima Conferenza generale degli archivi, in cui si
dibatteva dei molti problemi postisi nel corso degli anni per la conservazione e
gestione delle fonti. Una sessione era dedicata alla consultabilità dei documenti e, in
quella circostanza, pervenne all'Archivio centrale dello Stato una lettera dell’allora
ministro dell'interno Giorgio Napolitano con la quale ci veniva comunicata l'istituzione
(d.m. 2 lug. 1998) di una Commissione consultiva per collaborare con il prefetto
preposto all'Ispettorato per i servizi archivistici composta del prefetto stesso, di un
rappresentante per la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, un
rappresentante del Garante per i dati personali, il sovrintendente all'Archivio centrale
dello Stato e uno storico contemporaneista designato dal Ministero per i beni culturali.
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Tale Commissione cominciò a funzionare dal 1° settembre dello stesso anno e pose
termine alle vibrate proteste contro il Ministero dell'interno avanzate dai ricercatori.
L’attività della Commissione ha riportato un certo equilibrio nella disciplina delle
autorizzazioni alla consultazione anticipata, in quanto ora il prefetto si avvale di un
organo consultivo competente che lo solleva dalla responsabilità di decidere in un
settore che chiaramente non appartiene alla sua formazione professionale. Si può
essere un ottimo prefetto, ma non altrettanto un ottimo interprete delle esigenze della
storia contemporanea.
8. - Successivamente, nel 2001 (provvedimento del Garante14 mar. 2001, n.
8/9/2001), è stato approvato il Codice di deontologia e di buona condotta per la
ricerca storica che deve essere applicato sia dagli archivisti che dai ricercatori. Per
l’elaborazione del Codice gli archivisti di Stato hanno collaborato strettamente con il
Garante dei dati personali, tanto che l’Italia è il solo paese europeo in cui si è riusciti a
fondere in un unico testo principi presenti nella legge archivistica e principi presenti
nel Codice in materia di protezione dei dati personali (la legge 675/1996 viene
modificata e rielaborata con tale denominazione in base a d.lgs. 30 giu. 2003, n. 196),
rendendone più semplice ed efficace l’applicazione. Nel testo, inoltre, è stata trasfusa
la lunga esperienza degli archivisti nell’ambito della gestione dei documenti riservati
insieme al rigore giuridico di cui si è fatto interprete il Garante. Vi è stata solo qualche
difficoltà iniziale per portare il Garante a riflettere sul fatto che, nell’ambito della
ricerca storica, non ci si occupa di dati troppo recenti e, dunque, l’esigenza di
proteggere le libertà del cittadino in una società nella quale gli sviluppi delle tecnologie
della comunicazione potenziano il rischio di un uso politico illiberale della
concentrazione di informazioni sulle persone, va valutata in termini un po’ diversi
rispetto alla casistica generale Anche quando, partendo dal decreto legislativo
281/1999 che tratta in maniera unitaria la ricerca storica, la ricerca scientifica e la
statistica, si è passati all’elaborazione dei Codici di deontologia previsti dalla normativa
in materia di protezione dei dati personali, è emerso con estrema chiarezza che si
doveva procedere a codici distinti, essendo diverso l’uso dei dati sensibili nelle diverse
discipline: la ricerca storica deve utilizzare i dati sensibili, ma non di data troppo
recente; la ricerca medico-scientifica utilizza dati sensibili recentissimi ma non utilizza i
nomi delle persone, la ricerca statistica utilizza i dati sensibili ma non deve renderne
riconoscibili gli interessati.
Il Codice di deontologia per la ricerca storica introduce alcuni principi nuovi
rispetto alla normativa precedente. In primo luogo distingue la “comunicazione” dalla
“diffusione” dei dati. Ciò consente all’archivista di dare in consultazione una maggiore
quantità di documenti riservati allo studioso che abbia avuto l’autorizzazione: questa
fase rientra nel concetto di comunicazione, cioè di mettere a disposizione dati sensibili
ad una persona determinata che, a sua volta, sarà responsabile dell’uso di quei dati. La
diffusione, cioè la comunicazione di dati sensibili ad un pubblico indifferenziato,
attiene alla responsabilità del ricercatore che può diffondere solo dati essenziali e
pertinenti alla sua ricerca, anche se ne ha consultati molti altri. La responsabilità della
diffusione di dati implica non solo una responsabilità penale, che è sempre personale,
ma anche una responsabilità civile e l’ipotesi di risarcimento patrimoniale del danno.
Nella normativa precedente la responsabilità del danno per l’uso incongruo di
documenti riservati ricadeva in gran parte sull’archivista che aveva dato in
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consultazione i documenti, risultando certa per il ricercatore solo la responsabilità
penale. Lo storico, anche per documenti liberamente accessibili, è sempre tenuto a
trattare dati personali nel rispetto della dignità delle persone.
Il carattere di essenzialità e pertinenza implica che se un ricercatore ha ottenuto
l’autorizzazione alla consultazione di dati riservati per una ricerca determinata, ove
trovi documenti utili ad altra sua ricerca, dovrà chiedere un’altra specifica
autorizzazione.
Un altro principio innovativo è rappresentato dal fatto che, se è stata data ad uno
studioso l’autorizzazione alla consultazione di determinate fonti, quelle fonti
mantengono il carattere di riservatezza, ma “a parità di condizioni” l’autorizzazione
non può essere negata ad altro studioso. Si è discusso a lungo su cosa si dovesse
intendere per parità di condizioni, se cioè la parità attenesse alla qualifica del
ricercatore o al tema della ricerca. Si è deciso per questa seconda ipotesi e, pertanto, si
pone come fondamentale il progetto di ricerca. Ne consegue che, se uno studioso
ottiene l’autorizzazione a studiare documenti contenenti dati sensibili per una ricerca
di natura sociologica sulle carte di un orfanotrofio, ad esempio con la cautela di non
citare i nomi dei bambini, l’autorizzazione non può essere negata ad altro studioso che
intenda fare su quelle carte altra ricerca di natura sociologica. Se invece un altro
studioso vuole consultare quelle carte per redigere la biografia di alcuni bambini, la
richiesta, afferendo a diverso tipo di ricerca, deve essere nuovamente valutata e può
quindi anche non ottenere l’autorizzazione.
Altri principi contenuti nel Codice riguardano la deontologia professionale
dell’archivista: non fare discriminazioni tra gli studiosi, favorire la ricerca storica, non
utilizzare per fini personali documenti non accessibili a studiosi esterni, principio
questo fondamentale per gli archivisti, ma purtroppo non sempre rispettato.
Il Codice di deontologia introduce anche criteri di salvaguardia della tutela della
riservatezza nel caso di uso delle fonti orali, qualora un istituto archivistico le
acquisisca. L’acquisizione deve essere accompagnata dall’assenso per l’uso dato dagli
intervistati all’intervistatore, assenso che può essere dato anche in forma semplificata.
Il Codice di deontologia definisce anche i doveri del ricercatore: riconosce il diritto
alla libera interpretazione dei documenti, ma richiama l’attenzione ad un uso discreto
dei dati personali e rispettoso della dignità delle persone qualunque sia la data delle
informazioni. E’ acquisito il principio che il diritto alla tutela dei dati personali si
affievolisce per le persone che svolgono attività pubblica, principio presente anche nel
Codice di deontologia dei giornalisti.
Si può sostenere che l’istituzione della Commissione consultiva che coadiuva il
prefetto e l’entrata in vigore del Codice di deontologia consentono un ampio accesso
alle fonti per la storia contemporanea, conservate negli Archivi di Stato. Non va
sottovalutata, tuttavia, l’incompetenza di alcuni direttori d’archivio che, a fronte di
richiesta di accesso a documenti riservati, dicono al ricercatore che non possono
essere dati in consultazione, laddove l’obbligo per il direttore è inoltrare con proprio
parere motivato, la richiesta del ricercatore all’Ispettorato per i servizi archivistici.
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Diversa la situazione per i documenti conservati presso istituzioni private per i quali
non si può applicare la procedura dell’autorizzazione alla consultazione anticipata di
documenti riservati. In questi casi l’unica modalità per favorire la ricerca è la prassi
della “scrematura”.
Un recente emendamento al Codice dei beni culturali ha soppresso il principio
fondamentale della libera consultabilità dei documenti conservati negli Archivi di
Stato, qualunque ne fosse la data salvo le prescritte eccezioni di riservatezza,
stabilendo che i documenti diventano liberamente consultabili 40 anni dopo la
conclusione degli affari (termine previsto per il versamento e non per l’accesso ai
documenti): ciò comporterebbe un divieto di accesso anche per i documenti non
riservati versati prima dello scadere del quarantennio, per i quali inoltre non esiste
alcuna procedura per la consultazione anticipata, presente invece per la consultazione
anticipata dei documenti riservati. La palese illogicità della disposizione consente di
non tenerne conto e, pertanto, nonostante non risulti ancora abrogata, non ha avuto
effetti sulla ricerca storica contemporanea, la cui problematicità dipende soprattutto
dal mancato flusso dei versamenti di carte politicamente rilevanti dalle
amministrazioni attive ai competenti Archivi di Stato.
Gli archivisti fanno parte delle Commissioni di sorveglianza presso gli uffici centrali
e periferici dello Stato, che hanno tra i loro compiti la valutazione per lo scarto dei
documenti (destinazione al macero) e la cura dei versamenti, ma da diversi anni il
peso politico degli archivisti è pressoché nullo, a differenza di quando
l’amministrazione dipendeva dal Ministero dell’interno. Peraltro la progressiva
decadenza del Ministero per i beni culturali in questi ultimi anni ha indebolito
ulteriormente il peso degli archivisti nelle Commissioni di sorveglianza. Basti pensare
che spesso non vengono neanche informate dei progetti di automazione di
determinate procedure amministrative o del sistema di protocollo. La recente
svalutazione del ruolo del sovrintendente all’Archivio centrale dello Stato, passato da
dirigente generale a semplice dirigente, ha ulteriormente sminuito il potere degli
archivisti in seno a Commissioni di sorveglianza istituite presso le varie direzioni
generali dei ministeri. La debolezza incide purtroppo pesantemente sulle possibilità di
successo quando si chiede il versamento delle carte recenti.
9. - Il Codice dell’amministrazione digitale, approvato nel 2005 (d.lgs. 7 mar. 2005,
n. 82) e integrato nel 2006 (d.lgs. 4 apr. 2006, n. 159), fa vaghi e contraddittori
riferimenti al problema della conservazione dei documenti elettronici, mentre varie
disposizioni di carattere tecnico vengono emanate per tutelare la riservatezza dei
messaggi elettronici e delle banche dati. Già nel 2002 (d.p.c.m. 11 apr. 2002) era stato
approvato uno schema nazionale per la valutazione e la certificazione della sicurezza
delle tecnologie dell’informazione, ai fini della tutela delle informazioni classificate,
concernenti la sicurezza interna ed esterna dello Stato.
10. - In questo contesto normativo e di rapporti tra le diverse istituzioni dello Stato
interviene nell’agosto del 2007 la nuova legge sul segreto di Stato che, in merito
all’accesso ai documenti, introduce alcuni principi di grande rilievo, quali la
declassificazione automatica dei documenti classificati, la durata massima del segreto
di Stato che non può superare i 30 anni, la costituzione di archivi presso le due nuove
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WORKING PAPER N. 1
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agenzie di sicurezza AISI (Agenzia per la sicurezza interna) e AISE (Agenzia per la
sicurezza esterna) e la possibilità di versare infine i documenti all’Archivio centrale
dello Stato.
Del principio della declassificazione automatica si discuteva da tempo, specie nei
paesi, come gli Stati Uniti, in cui tutta la tematica della consultabilità dei documenti
riservati si basa sulla declassificazione. Lo stesso Archivio nazionale di Washington
non riesce a tenere il passo per la declassificazione da operarsi in archivio o per
richiedere alle autorità originatrici di procedere in tal senso. Di recente, specie per i
documenti che arrivano al Ministero degli affari esteri da alcuni paesi stranieri si trova
la clausola che prevede la declassificazione dopo un certo numero di anni. Difficile
dire se ciò abbia comportato l’interruzione della declassificazione manuale per i
documenti compresi tra il 1948 e il 1957. Il principio della declassificazione
automatica, salvo il caso in cui l’ente originatore non ritenga di dover prorogare, la
classifica costituisce una rilevantissima semplificazione.
Prima della legge 124/2007 era stato approvato, nel 2006 (d.c.p.m. 3 feb. 2006), un
decreto del presidente del consiglio che per la prima volta esplicitava pubblicamente la
disciplina dei documenti classificati. Non si trattava di un provvedimento innovativo,
ma di un provvedimento che metteva ordine tra le varie disposizioni, per lo più di
carattere interno, sulla materia. Indicava, in primo luogo, quali sono gli organi del
sistema di informazione per la sicurezza nazionale, i livelli di classificazione e la
qualifica di classificazione (NATO, UE o altra autorità sovranazionale). Non
prevedeva limiti cronologici per il divieto di accesso perché non previsti da nessuna
norma sui servizi di sicurezza.
La legge del 2007, che subentra a quella del 1977 e ad altre disposizioni di carattere
interno, introduce importanti principi, ma pone altre questioni. Conferma il principio
già stabilito nella legge del 1977, in base al quale è responsabile dei servizi di sicurezza
e del segreto di Stato il Presidente del consiglio, ma i servizi ora non sono più alle
dipendenze del Ministero della difesa e del Ministero dell’interno: sono soppressi il
Servizio di sicurezza militare e quello civile cui subentrano le due agenzie per la
sicurezza interna ed esterna. Ne consegue una forte concentrazione di responsabilità
nel Presidente del consiglio, che può delegare funzioni a persona da lui scelta. Viene
modificata l’organizzazione degli organismi preposti. Si crea infatti un Dipartimento
all’interno della Presidenza del consiglio per la gestione e il coordinamento delle
disposizioni e delle attività che reggono l’intero sistema informativo e un Ufficio
centrale per la segretezza, mentre viene confermato il Comitato parlamentare di
controllo sui servizi di sicurezza, che deve essere periodicamente informato dal
presidente del consiglio. Vengono creati tre archivi, uno per l’AISE, uno per l’AISI e
uno per il Dipartimento dove si ha la concentrazione di tutte le informazioni, anche se
non è chiaro come debbano essere gestiti. Sulla carta può sembrare una soluzione
positiva, ma non vi è autorità che abbia compiti di controllo sugli archivi. Il Comitato
parlamentare può visitarli, ma di fatto la gestione interna dei documenti sfugge a
qualsiasi controllo. Nel mondo dei servizi di sicurezza vige un principio per cui si
riconosce valore di documento a quello creato e trattato secondo precisi e vincolanti
principi formali propri della diplomatica; se classificato (R, RR, S, SS) sono previste
ulteriori puntuali cautele di sicurezza per la conservazione fisica, per il nulla osta di
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accesso, per lo scarto. Una gestione più disinvolta dei documenti viene garantita dal
non considerarli documenti formali. Se un documento viene registrato anziché su un
registro di protocollo su un semplice brogliaccio privo di timbri e numeri di protocollo
assegnati, quel documento, insieme al brogliaccio per tenerne memoria, possono
essere distrutti senza incorrere in alcuna violazione di regole. Ovviamente il massimo
della riservatezza è garantito dalla comunicazione a voce. Per esempio nell’archivio
Gladio risulta, nei primi anni dopo il 1956, che il referente sul confine jugoslavo, per il
quale manca ogni documentazione, si recava settimanalmente a Roma: di questi viaggi,
presumibilmente per ricevere ordini a voce, rimane traccia su un registro di protocollo
in cui risulta il trattamento economico di missione. L’attuale previsione di archivi e di
responsabili ad essi preposti dovrebbe fornire qualche garanzia: già nel codice di
procedura penale è considerato reato il danneggiamento o la diffusione di documento
classificato. Ma quando si vogliono porre vincoli di effettiva trasparenza sulla
documentazione dei servizi di sicurezza, si corre il rischio che l’ostacolo venga aggirato
con un più ampio ricorso ai documenti informali. Non vi è mai garanzia assoluta di
effettivo controllo. Difficile prevedere come saranno applicate le norme sugli archivi,
così come rimane un po’ vago quel riferimento ad un eventuale versamento dei
documenti all’Archivio centrale dello Stato: non lasciava prevedere nulla di buono
l’approvazione di una disposizione – oggi fortunatamente abrogata - che istituiva
l’Archivio storico separato della Presidenza del consiglio che, invece, ha sempre
versato le sue carte all’Archivio centrale dello Stato, anche se ora ha fortemente
rallentato i versamenti. Probabilmente non vi è connessione tra queste disposizioni
che, in ogni caso, lasciano vedere una sostanziale confusione sul tema della
conservazione dei documenti a fini di ricerca storica. La legge 124/2007 entra in vigore
dopo sessanta giorni, ma per molte sue parti richiede l’emanazione di regolamenti. Il
SISMI e il SISDE rimarranno in funzione fino a quando non saranno approvati i
regolamenti di esecuzione per l’AISI e l’AISE. Si può credere che gli organi militari
rinunceranno alla propria attività di sicurezza, mantenendo solo compiti di carattere
tecnico come dice la legge? Il Ministero dell’interno, già nel 1977 decise di mantenere
il proprio antico servizio di sicurezza, nonostante la parallela istituzione del SISDE. La
legge prevede la collaborazione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo del
Ministero dell’interno con il, Sistema di informazione nazionale: come si
articoleranno le rispettive funzioni?
La legge sembra rendere più chiara anche a chi non si occupi di documenti riservati
o di diritto penale la distinzione tra documenti classificati e documenti coperti dal
segreto di Stato. La classificazione attiene alla gestione dei documenti. Il segreto di
Stato è invece la preclusione ad occuparsi di vicende e documenti che il Presidente del
consiglio può opporre anche al magistrato. Il segreto può essere apposto sui
documenti, ma soprattutto può essere opposto al magistrato che indaga.
L’introduzione di un termine di 15 anni prorogabile fino a 30 anni è un dato
sicuramente nuovo e rilevante. La legge dice, che decorsi i termini, l’interessato può
chiedere l’accesso ai documenti coperti da segreto di Stato. Come si qualifica il
soggetto interessato? sicuramente il magistrato che deve indagare e le persone
coinvolte nei fatti coperti da segreto. Ma vi si ricomprendono anche i giornalisti, gli
storici, i cittadini comuni? Questi ultimi certamente no, dal momento che a questi, ove
non abbiano un interesse giuridicamente protetto, è precluso anche l’accesso ai
documenti amministrativi. Va rilevato che i termini per la durata dell’esclusione del
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diritto di accesso ai documenti amministrativi stabiliti nei regolamenti dei ministeri
sono più lunghi di quelli che la legge del 2007 stabilisce per la declassificazione dei
documenti classificati e per la durata del segreto di Stato. Si può presumere che i vari
regolamenti di esecuzione faranno ricadere i documenti declassificati e quelli non più
coperti dal segreto di Stato nella disciplina della trasparenza del procedimento
amministrativo, per rinviarne, comunque, l’accesso.
Si può, comunque, già prevedere che si cercherà di rendere non applicabili i termini
stabiliti nella legge mediante i regolamenti di esecuzione. Né va dimenticato che
comunque la legge si riferisce a documentazione in possesso dell’amministrazione
attiva, non già a documentazione conservata negli Archivi di Stato, ove,
indubbiamente, il principio della declassificazione può essere tranquillamente
applicato per i documenti che rechino l’originaria indicazione di “riservato” o misura
più restrittiva.
Il primo decreto di attuazione (d.c.p.m. 8 apr. 2008), proprio in ordine al segreto di
Stato, pone i criteri per l’individuazione delle notizie, delle informazioni, dei
documenti, atti, cose e luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato. Gli
interessi supremi dello Stato che possono essere tutelati con il segreto riguardano
l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle
istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato
rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello
Stato. Ai fini della cessazione del segreto di Stato, il nodo centrale del provvedimento
riguarda il termine a quo, ovvero il momento in cui il segreto è stato apposto dal
Presidente del consiglio, o il momento della conferma della sua opposizione agli
inquirenti. Il momento dell’apposizione non coincide necessariamente con l’evento,
ma può essere successivo, così come il momento dell’opposizione del segreto al
magistrato. Pertanto, lungi dal chiarire come venga applicato tale termine, il
provvedimento sembra tendere a protrarre la sottrazione dell’accesso ai documenti, in
quanto stabilisce che la cessazione del segreto non comporta l’automatica decadenza
del regime della classificazione e della vietata divulgazione. Inoltre stabilisce che per
l’accesso ai documenti si deve “valutare un interesse diretto, concreto e attuale
collegato all’oggetto dell’accesso, nonché meritevole di giuridico apprezzamento in
relazione alla qualità soggettiva del richiedente e alla finalità per cui l’accesso sia
richiesto”. Anche se è previsto che, decaduto il segreto non potrà esservi esclusione
del diritto di accesso motivata con ragioni di segretezza, la configurazione del
richiedente sembra escludere giornalisti e storici.
Nel 2009 è stato emanato un altro regolamento di esecuzione in merito ai livelli di
segretezza e ai soggetti con potere di classifica, nonché ai criteri per individuare le
materie oggetto di classifica e i modi di accesso ai luoghi militari o definiti di interesse
per la sicurezza della repubblica (d.p.c.m. 12 giu. 2009). Non viene pubblicato nella
Gazzetta ufficiale l’art. 7, mentre vi compaiono le tabelle che indicano le materie
oggetto di classifica, le autorità cui è conferito il potere di classifica e il livello di
segretezza, che viene conferito in rapporto all’entità del danno agli interessi essenziali
della Repubblica che possa derivare dall’indebita diffusione delle notizie. Oltre alla
tutela della sovranità popolare, dell’unità e indivisibilità della Repubblica, gli interessi
nazionali per i quali può essere prevista la protezione mediante livelli differenziati di
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segretezza sono di natura politica, economica, finanziaria, industriale, scientifica,
tecnologica, sanitaria e di tutela ambientale: tale ampiezza di interessi viene limitata e
circoscritta da una lunga serie di puntualizzazioni.
È stata istituita, presso la Presidenza del consiglio, una Commissione per valutare le
richieste di accesso ai documenti declassificati o per i quali dovrebbe intendersi
decaduto il termine di durata del segreto di Stato, ma non sono noti i criteri con cui
opera né gli esiti delle sue eventuali decisioni. A tutt’oggi non è possibile fare un
bilancio in ordine all’applicazione di questa legge per un eventuale accesso per motivi
di ricerca storica, mentre è probabile che, sotto il profilo dell’attività giudiziaria,
esistano dati e riflessioni.
11. - Il tema della riservatezza dei dati si apre a nuove e rivoluzionarie ipotesi dopo
la messa online dei documenti del Dipartimento di Stato americano ad opera di
Wikileaks. Non si tratta in questo caso di documenti segreti, ma di documenti che
richiedono un tempo di riservatezza al fine di favorire l’acquisizione di notizie,
valutazioni e giudizi espressi dai rappresentanti diplomatici all’estero con la massima
libertà. Si tratta di una operazione pirata, in quanto non decisa dall’ente che produce e
conserva le carte, ma da un terzo. Alcuni vi vedono un trionfo della trasparenza, ma
ciò potrebbe forse dirsi se contestualmente venissero messe online informazioni della
Cina o dell’Iran. Nella fattispecie si tratta di una operazione tesa a indebolire solo il
governo americano. Stupisce, in ogni caso, che per questo tipo di corrispondenza
sembra non si sia previstav una parcellizzazione dell’informazione in settori separati e
non collegati tra loro, in modo da rendere ininfluente l’intrusione nel sistema, o
almeno di limitarne i danni ad una sola porzione di informazioni. Guido Leto,
massimo funzionario della polizia politica durante il fascismo, rilevava come era
fondamentale frazionare l’informazione su un evento in modo che se qualcuno
entrava indebitamente in possesso di un fascicolo, otteneva solo una informazione
parziale. A maggior ragione cautele di questo tipo dovrebbero prendersi nell’ambito
dei documenti elettronici.
Nel nostro paese, gran parte del dibattito sui documenti elettronici verte
sull’efficienza e sulla rapidità della comunicazione e mostra una incredibile fiducia nei
sistemi di sicurezza e nei diversi livelli di accesso consentiti, mentre non tiene conto
delle raccomandazioni del Garante tese a preferire banche dati separate e non
collegabili rispetto a sistemi unificanti dell’informazione. La preoccupazione del
Garante si fonda essenzialmente sul rischio che la concentrazione di informazioni
sulle persone, in mano ad un potere politico inaffidabile, possa condurre ad eccessive
intrusioni dello Stato nella vita delle persone o addirittura ad un uso illecito delle
informazioni, costituendo una minaccia per la democrazia. Non sufficientemente si
riflette sui rischi di intrusione esterna. Si tratta evidentemente di problemi nuovi posti
dallo sviluppo delle tecnologie, cui si fatica a tener dietro sia in termini di normative
efficaci, sia in termini di protezione tecnica dei dati.
Febbraio 2011
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I WORKING PAPERS DEL DEVOLUTION CLUB
Quando emergono numerosi elementi di complessità e impegnativi spunti
problematici, la produzione e divulgazione di agili contributi scientifici può
essere un utile supporto all’attività di un programma di ricerca che si snodi
attraverso molteplici tematiche, imbattendosi in questioni particolari che
richiedono analisi approfondite. È tenendo conto di ciò che il coordinamento
nazionale del PRIN 2008 “Costituzioni e sicurezza dello Stato: scenari attuali
e linee di tendenza”, con il supporto dell’associazione di ricerca Devolution
Club, desidera offrire ai componenti delle unità di ricerca del Progetto, e al
più vasto pubblico degli studiosi che vorranno approfittarne, la serie dei
working papers in cui (con i contributi di chi lavora nelle unità del Progetto o
di chi dall’esterno intenda unirsi alla riflessione comune) si raccoglieranno
relazioni a convegni e seminari, articoli già pubblicati o in corso di
pubblicazione, fonti e materiali di consultazione, brevi saggi appositamente
prodotti per il Progetto.
WORKING PAPERS IN DIFFUSIONE
1. Paola Carucci – La legge sul segreto di Stato e l’accesso ai documenti per
la ricerca storica.
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