mistero plastica: perché bruciamo quella riciclabile
Transcript
mistero plastica: perché bruciamo quella riciclabile
scienze A sinistra, un impianto di selezione e smistamento dei rifiuti. Sotto, un inceneritore a Herten, nella Ruhr: parte della nostra plastica finisce in Germania ■ combattere la gastrite con un pizzico di origano Contro il norovirus, considerato il principale agente delle malattie gastroenteriche infettive, basterebbe l’origano. Un nuovo studio dell’Università dell’Arizona, pubblicato dal Journal of Applied Microbiology, ha preso in esame il carvacrolo, principale componente dell’olio essenziale di origano. Sui topi la sostanza si è rivelata valida nell’inibire l’attività del norovirus, causa di manifestazioni quali vomito, diarrea, crampi addominali. di Marino Niola sOLO LA metà DEI RIFIUTI RAccOLTI cON LA DIFFERENZIATA è RIUTILIZZATO. IL REsTO vIENE INcENERITO mistero plastica: perché bruciamo quella riciclabile di Antonio Cianciullo R oma. Sono 330 mila tonnellate: un fiume di shopper, tappi, vaschette, spazzolini; un flusso migratorio che in alcuni casi supera le nostre frontiere percorrendo migliaia di chilometri, consumando carburante, sparando in cielo emissioni serra. Per quasi metà della plastica proveniente dalla raccolta differenziata il destino è incerto e sofferto. Secondo le direttive europee il plasmix, un assieme eterogeneo di oggetti che in comune hanno solo la loro appartenenza al mondo dei polimeri sintetici, dovrebbe essere preferibilmente riciclato, e invece finisce quasi tutto negli inceneritori, anche all’estero, in Germania o in Austria. «Se sommiamo quello che si spende per bruciare queste plastiche ai costi della raccolta differenziata, otteniamo un totale di oltre 120 milioni di euro: soldi che spendiamo per far fare turismo ai rifiuti» afferma Valerio Caramassi, il presidente di Revet, la società che gesti- sce la raccolta multimateriale di buona parte della Toscana investendo in ricerca per ridare vita agli oggetti. «Eppure questi materiali potrebbero essere in buona parte riutilizzati. Noi li usiamo per costruire oggetti per la casa e anche parti della carrozzeria delle moto Piaggio: includendo l’edilizia e gli arredi urbani si può arrivare all’80 per cento di riciclo del plasmix». Dello stesso parere Roberto Sancinelli, presidente della Montello, a Bergamo, il più grande centro europeo di selezione dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata. «Trattiamo tutte le plastiche post consumo e riusciamo già a riutilizzarle al 75 per cento. Il che vuol dire che la quota che, al livello attuale di tecnologia, non riusciamo ancora a riciclare è solo un quarto del totale». Numeri diversi da quelli forniti da Giorgio Quagliolo, presidente di Corepla, il consorzio per il riciclaggio e recupero degli imballaggi in plastica. «Bisogna distinguere i vari tipi di plastica» dice. «Bottiglie e flaconi sono facilmente riciclabili, ma il resto, il plasmix, che è circa il 45 per cento del totale, se si lavora dà un granulo troppo povero, inutilizzabile. Per questo lo mandiamo al recupero energetico, cioè alla termo- valorizzazione, che è una destinazione da non demonizzare». Oltre a non essere demonizzato, l’incenerimento è anche ben remunerato: in media Corepla paga 115 euro a tonnellata a chi brucia il plasmix, 90 a chi lo ricicla. Una scelta corretta? «Nel resto d’Europa si tende a privilegiare il riciclo» risponde Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente. «Inoltre in Italia bruciare plastica per generare elettricità in questo momento è poco conveniente perché abbiamo un eccesso di produzione elettrica. Meglio guardare ad altri usi energetici del recupero, come il calore. E in ogni caso è importante dare la massima trasparenza ai meccanismi di mercato». ■ un potente antibatterico per le pulizie? È l’aceto Nell’Istituto venezuelano per la ricerca scientifica Ivic di Caracas, durante i test per un farmaco, si è scoperto che l’aceto riesce a uccidere perfino il micobatterio che causa la tubercolosi. La scoperta, avvenuta per caso, è stata resa nota dalla rivista mBio della American Society for Microbiology. Soluzioni di acido acetico potrebbero rappresentare disinfettanti low-cost e non tossici da usare persino in ambiente clinico. (giovanna lodato) 68 BEAUTIFUL MIND di Giuliano Aluffi col filo da pesca si tessono muscoli da superman dedicato a chi dice «con la cultura non si mangia» AlAmy / milestone ■ l’erba salvadenti che viene dalla cina Arriva dalla medicina tradizionale cinese un’erba utile a rigenerare il tessuto parodontale, la cui degenerazione è tra le cause principali della perdita dei denti negli adulti. Ricercatori del Chinese PLA General Hospital di Pechino hanno trovato nella baicalina, flavonoide estratto dalla Scutellaria Baicalensis, non solo le proprietà antimicrobiche e antinfiammatorie già conosciute ma anche un’efficace azione proprio per la rigenerazione delle cellule parodontali. MITI D’OGGI Maria Laura antoneLLi / agf NANO NOTIZIE Muscoli artificiali che a parità di dimensioni e peso con quelli umani sono cento volte più forti, ma anche molto economici, perché costruiti grazie a un materiale molto facile da trovare, come il filo da pesca: li ha sviluppati un team di ricercatori canadesi, australiani, coreani e cinesi coordinati da Ray Baughman, direttore del NanoTech Institute della University of Texas di Dallas. come si ottengono questi super-muscoli? «Se si tiene il filo in tensione grazie a un peso appropriato, e lo si torce, questo comincia ad assumere l’aspetto di una molla. A questo punto, stabilizzandolo in quella forma e variando la temperatura, si possono ottenere contrazioni ed espansioni, che corrispondono al “lavoro” del muscolo». Quali sono i vantaggi? «Il costo irrisorio, e poi si possono costruire muscoli artificiali di qualsiasi dimensione e potenza, da sottili come un capello in su. 14 M A R Z O 2 0 14 La quantità di lavoro meccanico per chilo di peso è notevolissima: 5,3 kilowatt, paragonabile a quella del motore di un jet». A che cosa possono servire? «Con i muscoli artificiali si possono costruire robot ed esoscheletri, come l’armatura di Iron Man, e più in generale tute e guanti che amplificano la forza, utilissime, per esempio, per chi è affetto da malattie come la distrofia o la sclerosi multipla. Il fatto che i muscoli funzionino con variazioni di temperatura permette di usarli anche nel tessile, per rendere più caldo o più fresco un vestito a seconda delle condizioni ambientali. Ma possono anche aprire o chiudere in automatico le finestre a seconda della temperatura di una stanza o di una serra. La possibilità di miniaturizzazione, inoltre, permette di inserire centinaia di minuscoli muscoli facciali per rendere realistico il volto di un robot umanoide». 14 M A R Z O 2 0 14 Un’immagine dal set del film La grande bellezza di Paolo Sorrentino Anche nel cinema il Made in Italy vince. Ma lo fa a dispetto dell’Italia di oggi. E dell’idea di Paese che stiamo inseguendo grottescamente negli ultimi anni. L’Oscar di Paolo Sorrentino per La grande bellezza, oltre a premiare strameritatamente un bellissimo film, restituisce con la fedeltà di uno specchio il rapporto che lo Stivale ha con le sue straordinarie potenzialità. Con quei saper fare che sono all’origine della sua grande bellezza. Di quella artistica e perfino di quella paesaggistica. Entrambe frutto di un artigianato diffuso, di un ingegno poliedrico, di un senso del bello e perfino di un’etica dello stile, che sono presenti nelle manifestazioni della vita quotidiana come nelle forme d’arte vera e propria. È questo aspetto profondamente umanistico dei nostri prodotti a spiegare il fascino inimitabile del Belpaese. Il fatto che economia e cultura, tecnica e bellezza siano una sola cosa. Proprio come nel film di Sorrentino. Un’opera d’arte che nasce da mille particolari di altissimo artigianato, unici, irripetibili, con dentro un’attenzione maniacale alle questioni di forma, al dettaglio minuto, alla compiutezza, alla finitura. In fondo il grande cinema italiano – come su altri piani il design, la moda e la gastronomia – restituisce agli oggetti l’aura perduta con la riproducibilità seriale. È questo patrimonio, materiale e ideale, che il mondo ci invidia. E che negli ultimi anni è stato ottusamente sacrificato all’idea che con la cultura non si mangia. Dagli stessi che dopo aver venduto l’anima di questo Paese, adesso cercano di allungare le mani sulla statuetta. 69