Relazione M. Mutinelli

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Relazione M. Mutinelli
IRPET
Istituto
Regionale
Programmazione
Economica
Toscana
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
TRAMITE INVESTIMENTI DIRETTI
ESTERI DELLE IMPRESE
DELLA PROVINCIA DI FIRENZE
MARCO MUTINELLI
Università di Brescia e Politecnico di Milano
Relazione al convegno:
“DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA da problema a opportunità.
Il caso dell’area fiorentina in una ricerca IRPET”
Firenze, 27 gennaio 2006
2
INTRODUZIONE
Il presente rapporto si propone di delineare un quadro generale dell’internazionalizzazione delle
imprese della provincia di Firenze, utilizzando le informazioni rese disponibili dalla banca dati
Reprint, realizzata dal Politecnico di Milano e da R&P nell’ambito della ricerca “Italia Multinazionale”. In particolare, il rapporto si avvale del più recente aggiornamento della banca dati,
che fotografa la consistenza delle partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia all’inizio
del 20051.
Prima di entrare nel merito della presente ricerca, appaiono indispensabili alcune brevi note
di carattere metodologico circa l’ambito di indagine e la metodologia di ricerca alla base della
banca dati Reprint, che censisce le partecipazioni di imprese italiane all’estero ed estere in Italia,
misurandone la numerosità, la consistenza economica, gli orientamenti geografici e settoriali. Il
campo di indagine coperto dalla banca dati si estende all’intero sistema delle imprese industriali
e all’insieme dei servizi che ne supportano le attività. In modo puntuale, settori considerati
sono: industria estrattiva e manifatturiera; energia, gas, acqua; costruzioni; commercio all’ingrosso; logistica e trasporti; servizi di telecomunicazione; software e servizi di informatica; altri
servizi professionali2. In particolare, per ciascuna impresa -casamadre e partecipata- coinvolta
nei processi considerati, vengono reperiti i dati economici essenziali (fatturato, dipendenti,
valore aggiunto, tipologia produttiva, localizzazione delle attività, struttura proprietaria, ecc.),
con riguardo a tutti gli assets che definiscono la sua dimensione multinazionale, siano essi
relativi ad attività produttive, commerciali, di ricerca e di servizio.
Per implicita differenza da quanto sopra indicato, sono quindi esclusi dall’analisi sia taluni
settori che pure si intrecciano in misura rilevante con le attività censite, quali l’intero comparto
finanziario (banche, assicurazioni, servizi finanziari, holding), sia altri settori, importanti, ma
con minore grado di interazione con il fulcro della presente analisi: agricoltura, servizi
immobiliari, distribuzione al dettaglio, turismo, servizi sociali e alle persone. Nel primo caso,
l’esclusione è in parte motivata dall’impossibilità di usare variabili economiche omogenee per
misurare consistenza e qualità delle attività internazionali coinvolte.
La banca dati assume una soglia dimensionale minima per la rilevazione delle imprese partecipate, pari a un giro d’affari all’estero (e in Italia per le partecipate delle IMN estere) di 2,5
milioni di euro. La soglia è stata fissata per delimitare il campo di indagine per il quale la
rilevazione si è posta l’obiettivo di raggiungere la copertura dell’universo. Tale soglia non è
stata quindi usata per escludere dall’analisi le partecipazioni di taglia a essa inferiore di cui si sia
venuti a conoscenza, le quali sono state invece a pieno titolo considerate. Più semplicemente, al
di sotto di tale soglia, l’indagine non è stata in grado di identificare la totalità delle iniziative.
La rilevazione riguarda le modalità di internazionalizzazione di natura equity, includendo
partecipazioni azionarie di maggioranza e di minoranza in sussidiarie, filiali, affiliate, joint
venture, incroci azionari a supporto di alleanze strategiche. Al riguardo è bene sottolineare come
in tal modo essa non si limiti alle sole iniziative che determinano flussi di investimenti diretti
esteri (IDE), poiché, come noto, solo una parte, ancorché rilevante, delle suddette operazioni
1
Il più recente rapporto sull’internazionalizzazione delle imprese italiane è stato presentato in un convegno a Roma a fine 2005.
Una sintesi del rapporto è scaricabile dal sito www.ice.gov.it. Il precedente rapporto (che analizza la situazione delle partecipazioni
italiane all’estero ed estere in Italia al 1.1.2004) è pubblicato in Mariotti S. e Mutinelli M. (a cura di) (2005). Una sintetica
illustrazione della metodologia seguita nell’ambito della costruzione della banca dati è riportata in Appendice.
2
Corrispondenti ai seguenti codici della classificazione Ateco: 11-37, 40-41, 45, 50-51, 60-63 (escluso 63.3), 64.2, 71-74.
3
internazionali si finanziano tramite movimenti registrati nelle bilance dei pagamenti, essendo
possibile reperire risorse finanziarie complementari sui mercati locali di insediamento 3.
Dall’indagine sono escluse le forme “leggere” di internazionalizzazione, corrispondenti a
quell’enorme varietà di accordi non equity con cui le imprese danno impulso al proprio coinvolgimento estero. La dimensione e la complessità di questi fenomeni sono tali che, all’attuale
stato dell’arte non esistono né in Italia, né in altri paesi, banche dati in grado di censire l’universo delle iniziative. Come si desume da fonti pur frammentarie e talvolta impressionistiche, le
imprese italiane che hanno sperimentato in questi anni accordi di cooperazione con partner
esteri sono certamente dell’ordine di qualche decina di migliaia. Parallelamente, anche le imprese estere sono variamente coinvolte in accordi che hanno per oggetto attività nel nostro paese.
Dare un nome a ciascuna delle imprese e rendere conto delle loro iniziative internazionali è
un’opera che travalica le capacità dei singoli centri di ricerca e che potrebbe essere affrontata
solo attraverso un progetto di ampio respiro che coordini le risorse e gli sforzi di più istituzioni,
a vario titolo impegnate su questo terreno.
Infine, l’indagine non censisce le forme di imprenditorialità all’estero, ovverosia la nascita di
imprese a opera di imprenditori di origine diversa da quella del paese di insediamento.
Soprattutto nel passato, il nostro Paese è stato oggetto di attenzione da parte di imprenditori
esteri che hanno dato origine a imprese che non sono divenute parte di IMN, ovvero che non
hanno stabilito legami proprietari con imprese localizzate nel paese di origine dell’imprenditore:
nomi come Sutter, Niggeler & Kupfer, Hoepli evocano tale processo storico. Anche oggi, le
numerose piccole imprese artigiane avviate da immigrati nel nostro Paese fanno parte del fenomeno. Tuttavia, l’aspetto attualmente più rilevante risiede nel diffuso formarsi di una imprenditorialità italiana all’estero, particolarmente nei paesi del bacino del Mediterraneo e dell’Europa
centrale e orientale. Si assiste a una nuova fase in cui il Paese sembra sempre più in grado di
esportare skills imprenditoriali, soprattutto nel campo delle attività di tradizionale competitività
dell’industria nazionale. I protagonisti di tale processo sono molteplici: soggetti che non hanno
mai avuto o hanno abbandonato precedenti attività in Italia, ma anche familiari e collaboratori di
imprenditori operativi nel Paese. Si viene dunque a formare una “area grigia” che si allarga nel
tempo, attraverso iniziative sempre più numerose che esprimono legami cooperativi formali e
informali tra nuovi imprenditori e imprese italiane che delocalizzano fasi e prodotti, che fanno
leva sul traffico di perfezionamento passivo, che costruiscono una rete di collaborazioni produttive
internazionali. Si tratta in alcuni casi di processi altamente pervasivi, ma che, salvo eccezioni
rilevate, non configurano la nascita di IMN, sia perché spesso mancano strutture proprietarie formali che integrino le attività, sia perché talvolta le relazioni di proprietà sono sostituite da legami
familiari.
All’interno dei confini così delimitati, l’indagine si avvale di un metodo consolidato e dell’esperienza accumulata in quasi venti anni di ininterrotta osservazione dei processi di internazionalizzazione del Paese. La banca dati REPRINT, così costituita, è in grado di offrire un censimento pressoché esaustivo, le cui lacune sono, dal punto di vista della rilevanza economica dei
fenomeni, di natura marginale. In Appendice rendiamo conto di questa affermazione, discutendo
nel merito dei possibili limiti della rilevazione svolta.
3
Le differenze principali tra le analisi qui proposte e quelle basate sugli IDE sono illustrate nell’Appendice metodologica.
4
1.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE
1.1
Il quadro generale
L’ultima parte del XX secolo ha visto susseguirsi in rapida successione due dirompenti ondate
di IDE (la prima nella seconda metà degli anni ottanta, la seconda negli anni novanta), sotto le
spinte concomitanti della forte crescita economica mondiale, dell’accelerazione del progresso
tecnologico da un lato e dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione dei mercati
dall’altro. Al culmine della seconda ondata, nell’anno 2000 i flussi mondiali di IDE hanno
registrato valori nell’intorno dei 1.300 miliardi di dollari, un valore di quattro volte superiore a
quello del 1993 (Fig. 1). Confermando il carattere ciclico di tali flussi e la loro relazione con gli
altri fondamentali dell’economia, l’anno 2001 ha segnato un brusco cambio di tendenza, sul
quale hanno influito il rallentamento della crescita economica negli USA e in Europa, da un
lato, e il crollo dei valori borsistici conseguente allo scoppio della bolla speculativa legata alla
new economy, dall’altro. Sotto il peso dell’incertezza e della difficile congiuntura economica dei
paesi avanzati, da cui in massima parte essi hanno origine, i flussi di IDE sono ulteriormente
scesi nei due anni successivi, fino a tornare nel 2003 nell’intorno dei 600 miliardi di dollari, un
valore inferiore a quello registrato nel 1998. Un nuovo cambio di tendenza si registra nel 2004,
ancora una volta in concomitanza con la ripresa dell’economia statunitense e più in generale con
la favorevole congiuntura economica internazionale (giova ricordare come l’anno 2004 si caratterizzi per la crescita più elevata del PIL mondiale degli ultimi 30 anni), alla quale purtroppo
non partecipano appieno molti paesi UE, l’Italia in particolare. Il World Investment Report 2005
dell’UNCTAD evidenzia una crescita dei flussi mondiali di IDE in uscita, determinato principalmente dalla forte ripresa degli investimenti in uscita dagli USA, da un lato, e dei flussi diretti
verso i PVS, dall’altro; la ripresa dovrebbe consolidarsi nel 2005, stando almeno alle indicazioni
che provengono dai dati preliminari relativi alle fusioni e acquisizioni (M&As) internazionali di
quest’ultima anno.
Figura 1
FLUSSI MONDIALI DI IDE, 1985-2004
Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD
5
1.2
Le tendenze settoriali
A livello settoriale, la macrostruttura degli IDE si è modificata nel senso di un ridimensionamento della quota del settore primario (agricoltura e attività estrattiva), di una stabilità delle
attività manifatturiere e di una significativa crescita del settore dei servizi. Tra il 1990 e il 2002,
l’incidenza del settore primario sullo stock mondiali di IDE in entrata è scesa dal 9,4% al 6,1%
e quella dell’industria manifatturiera dal 41,4% al 33,1%; quella del settore terziario è invece
cresciuta dal 48,6% al 59,1%. Si deve peraltro osservare come gli IDE nei servizi non originino
solo da IMN appartenenti al settore terziario, bensì siano spesso il frutto delle strategie
internazionali di imprese manifatturiere che stabiliscono all’estero affiliate commerciali, di
distribuzione, di assistenza e manutenzione, di altre attività logistiche. È inoltre a tutti noto il
ruolo trainante delle grandi IMN manifatturiere nell’attivare servizi e produzioni complementari
nei paesi di insediamento, tali da assicurare un adeguato livello di competitività e di rendimento
degli investimenti effettuati. In particolare, il modello “follow the customer” è alla base di molte
scelte di investimento all’estero da parte delle aziende nei settori del credito e dell’intermediazione finanziaria, dei trasporti, dei servizi alle imprese. Si può dunque affermare che gli IDE di
gran parte delle imprese manifatturiere e di servizio siano ormai indissolubilmente intrecciati e
talvolta indistinguibili.
Entrando in un’analisi di maggiore dettaglio, pur con le cautele cui si è indotti da una certa
carenza dei dati (sia per grado di copertura dei paesi, sia per disomogeneità delle classificazioni
settoriali), si può osservare quanto segue:
– i settori che più contribuiscono agli stock di IDE sono tutti del comparto terziario, e specificamente l’intermediazione finanziaria, i servizi professionali (consulenza, software e servizi
informatici, ricerca e sviluppo) e il commercio; in forte crescita anche i flussi e gli stock
relativi alle public utilities (elettricità, gas, acqua) e ai servizi di telecomunicazioni, come
conseguenza dei processi di liberalizzazione e privatizzazione in atto.
– tra i settori manifatturieri, quelli ad alta intensità di capitale e di tecnologia -particolarmente,
le filiere chimiche, elettroniche e degli autoveicoli- contano per una parte relativamente
grande del totale degli IDE; marginale è invece il peso di molti settori di tradizionale
specializzazione dell’Italia ma a bassa o media intensità di capitale e di tecnologia, come
tessile, abbigliamento, cuoio e calzature, legno, prodotti in gomma e materie plastiche,
prodotti dei minerali non metalliferi, macchine e impianti meccanici.
1.3
Investimenti greenfield e brownfield
Nella composizione degli IDE è importante distinguere tra investimenti greenfield (ovvero
l’avvio ex novo di attività non esistenti sul territorio) e investimenti brownfield (consistenti
invece nell’acquisizione di attività preesistenti). Secondo l’UNCTAD, nel 2003 il valore delle
transazioni di cross-border M&As che hanno riguardato partecipazioni di controllo è stato pari a
quasi 300 miliardi di dollari. Sebbene deve essere cautelativamente ricordato che i valori dei
cross-border M&As e degli IDE non possono essere facilmente confrontati, in ragione sia delle
fonti alternative di finanziamento delle acquisizioni, sia delle specifiche metodologie applicate
alle bilance dei pagamenti, è significativo che le M&As pesino ormai per oltre il 60% dei flussi
di IDE, con quote ben maggiori per i paesi sviluppati, dove è localizzato il 90% delle operazioni
di acquisizione.
La marginalità degli investimenti greenfield nelle aree già industrializzate emerge dunque
con chiarezza dall’integrazione dei due dati, sollevando questioni di non poco conto in merito
agli spazi e alle modalità di azione che le politiche nazionali di attrazione degli investimenti
esteri possono darsi a fini di sostegno e sviluppo della base produttiva e dell’occupazione.
Naturalmente, gli investimenti greenfield apportano con immediatezza nuovi contributi alla
6
formazione del capitale e alla crescita produttiva dei paesi recipienti. Sarebbe tuttavia un grave
errore considerare le cross-border M&As alla stregua di un mero cambiamento della struttura
proprietaria, che devia totalmente o in parte il profitto generato presso soggetti esteri. Se in
taluni casi esse possono essere frutto di logiche oligopolistiche «a somma nulla» e di politiche
predatorie che giungono all’estrema conseguenza di depauperare le risorse accumulate localmente, nella grande maggioranza invece, per l’impresa target l’acquisizione corrisponde a nuove
opportunità di mercato, alla valorizzazione dei propri assets nei circuiti internazionali, alla
possibilità di arricchirsi con nuove competenze e tecnologie, a ristrutturazioni che elevano la
produttività e la competitività, aprendo la via alla crescita degli investimenti e dell’occupazione.
1.4
La geografia degli IDE e la posizione dell’Italia
Le IMN dei paesi avanzati rimangono le protagoniste assolute del processo di globalizzazione.
Se si guarda agli IDE in uscita, la quota dei paesi avanzati è stabilmente oltre l’85% del totale,
ma nel 2004 si assiste ad una forte ripresa degli investimenti statunitensi (la quota degli USA
sale al 31,4%, contro il 20% circa del periodo precedente), mentre continuano a ridursi i flussi
in uscita dall’UE, che invece avevano registrato i più sostenuti ritmi di crescita nella seconda
metà degli anni novanta, anche nella prospettiva della moneta unica. Per quanto riguarda i paesi
di destinazione, fino al 2003 i paesi avanzati hanno continuato ad assorbire in media circa il
70% degli IDE mondiali, a conferma di come negli ultimi venti anni gli IDE siano stati principalmente un veicolo di integrazione delle aree industrializzate e in particolare dei paesi della
Triade (UE, Stati Uniti e, asimmetricamente, Giappone). Nel 2004 la quota dei paesi avanzati
scende attorno al 55% del totale, per il forte calo dei flussi diretti verso l’UE e il contestuale
aumento degli IDE diretti verso i PVS (la Cina da sola conta ormai per il 10% degli IDE
mondiali) e l’Europa centro-orientale.
Nello scenario tracciato può essere valutata la posizione dell’Italia. Sul fronte degli IDE in
uscita, il ruolo del nostro paese è venuto crescendo a partire dagli anni ottanta: tra il 1980 e il
1990 l’incidenza dell’Italia sullo stock mondiale è passata dall’1,3% al 3,4%, valore attorno al
quale si è attestata per tutta la prima metà degli anni novanta per poi scendere sino al 2,7% del
2002 e attestarsi al 2,9% negli anni più recenti (Fig. 2). Per quanto concerne l’entrata, si assiste
ad una dinamica parallela per tutti gli anni ottanta: l’incidenza sullo stock mondiale sale dall’1,3% del 1980 al 2% del 1985 e al 3,4% del 1990. La forte svalutazione della lira nel 1992
determina un brusco calo della quota spettante al nostro paese, successivamente rimasta
nell’intorno del 2% e salita al 2,5% nel 2004.
Figura 2
QUOTA % DELL’ITALIA SUGLI STOCK MONDIALI DI IDE IN USCITA E IN ENTRATA, 1990-2004
Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD
7
La dinamica ora descritta è sostanzialmente confermata dall’analisi dei flussi (Fig. 3).
L’incidenza del nostro Paese sui flussi mondiali di IDE in uscita è scesa dal 2,4% dei primi anni
novanta allo 0,6% del 1999 e all’1% del 2000, mentre gli ultimi quattro anni registrano quote
nell’intorno del 3%, in linea con il peso del paese in termini di stock4. Sul lato dei flussi in
entrata, l’incidenza dell’Italia, già modesta nei primi anni novanta (1,7%), scende al di sotto
dell’1% nella seconda metà degli anni novanta, toccando addirittura lo 0,4% nel 1999, per
risalire al di sopra del 2,1% nel 2003 e nel 2004 (grazie ad una sostanziale stabilità dei flussi di
IDE verso l’Italia, a fronte del forte calo degli IDE mondiali).
Figura 3
Quota % dell’Italia sui flussi mondiali di IDE in uscita e in entrata, 1990-2004
Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD
In definitiva, nonostante i miglioramenti fatti segnare negli anni più recenti, soprattutto sul
fronte degli IDE in uscita, l’integrazione internazionale dell’Italia rimane debole, se comparata
al quadro europeo. I rapporti tra flussi netti di IDE in entrata e in uscita e investimenti totali fissi
lordi rimangono tra i più bassi tra i paesi membri dell’Unione Europea, nel 2004,
rispettivamente 5,2% in entrata e 5,9% in uscita, a fronte di valori medi pari a 8,8% e 11,4% per
l’UE (UNCTAD, 2005).
4
Si osservi come il 2001 e il 2002 vedano l’Italia perdere quote in termini di stock, mentre aumenta la quota riferita ai flussi. Tali
discrepanze appaiono di difficile interpretazione..
8
2.
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE
2.1
Il quadro generale
Sebbene utili per una comprensione della dinamica generale degli eventi, le statistiche internazionali su flussi e stock degli IDE tratte dalla bilancia dei pagamenti dei diversi paesi soffrono
tuttavia per numerosi limiti e distorsioni che ne pregiudicano la significatività, soprattutto
quando le si voglia utilizzare come base di dati per analisi conoscitive approfondite a livello di
singolo paese e per studi di ordine generale sulla struttura e sull’evoluzione disaggregata degli
investimenti esteri5. A tal fine risultano preziose le informazioni estratte dalla banca dati Reprint, che come detto consentono di analizzare l’esistenza e la formazione di imprese multinazionali (IMN) le cui attività coinvolgono l’economia italiana -ovverosia, le IMN a base
italiana e le relative imprese partecipate all’estero, da un lato, e le imprese italiane partecipate da
IMN a base estera, dall’altro- con riferimento all’intero sistema delle imprese dell’industria
estrattiva e manifatturiera e dei servizi che ne supportano le attività: produzione e distribuzione
di energia, gas e acqua, costruzioni, commercio all’ingrosso, trasporti, software e telecomunicazioni, altri servizi professionali.
Secondo gli ultimi dati disponibili a livello nazionale, riferiti alla data del 1.1.2005, le imprese all’estero partecipate da imprese italiane sono 16.832 (Tab. 1). Le imprese investitrici ammontano a 5.750 unità, tra gruppi industriali e imprese autonome. I dipendenti totali all’estero
sono pari a 1.084.417 unità, mentre il fatturato realizzato dalle affiliate estere nel 2004 è stato di
275.086 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo riguardano lo 85,6% delle imprese
partecipate, lo 80,6% dei dipendenti e lo 81,3% del fatturato totale. La presenza italiana all’estero è perciò tuttora caratterizzata da una quota non trascurabile di partecipazioni paritarie e
minoritarie, sebbene negli ultimi anni l’incidenza delle attività controllate sia cresciuta.
Sul fronte opposto, le imprese italiane partecipate dall’estero sono 7.181, con l’intervento di
3.873 IMN investitrici. Il totale dei dipendenti in Italia è di 920.575 unità, mentre il fatturato
2004 delle imprese partecipate è stato di 382.267 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo
sono in questo caso nettamente preponderanti, concernendo il 92,2% delle imprese, lo 86,8%
dei dipendenti e lo 86,2% del fatturato totale.
Il quadro delineato è il risultato di un periodo di rilevanti mutamenti per l’integrazione
internazionale dell’industria italiana, grazie segnatamente all’espansione multinazionale delle
nostre imprese. Ancora a metà degli anni ottanta la consistenza degli investimenti in uscita era
decisamente modesta in rapporto all’investimento in entrata e il numero di dipendenti delle
imprese italiane a partecipazione estera era due e più volte quello dei dipendenti delle imprese
estere partecipate dall’Italia (Cominotti et al., 1999). A partire da allora ha preso avvio una fase
di inseguimento multinazionale grazie alla quale il saldo tra i dipendenti nelle partecipazioni
dirette estere in uscita e in entrata è divenuto favorevole al lato dell’investimento italiano
all’estero.
5
Si rimanda a questo proposito a quanto illustrato in Appendice.
9
Tabella 1
LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005
Partecipazioni italiane all’estero (a)
Incidenza
Valore
partecipazioni di
controllo
Imprese investitrici (N.)
5.750
Imprese partecipate (N.)
16.832
Dipendenti (N.)
1.084.417
Fatturato (milioni euro)
275.086
Valore aggiunto (milioni euro)
n.d.
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Partecipazioni estere in Italia (b)
Incidenza
Valore
partecipazioni di
controllo
84,3
85,6
80,6
81,3
-
3.873
7.181
920.575
382.267
75.214
95,3
92,2
86,8
86,2
88,3
(a)
(b)
1,48
2,34
1,18
0,72
n.d.
2.2
La composizione settoriale
La composizione settoriale delle partecipazioni vede l’assoluta prevalenza, sia in uscita che in
entrata, dell’industria manifatturiera, se pur con una non trascurabile differenza in termini di
incidenza relativa: con riferimento ai dipendenti, la quota di questo comparto è del 78,5% in
uscita, ma scende al 65% in entrata (Tab. 2). Di tale differenza beneficiano, sul lato delle partecipazione dall’estero, i diversi settori dei servizi. Tra essi, comparativamente alla consistenza
delle partecipazioni in uscita, assumono rilevanza i servizi di logistica e di trasporto, i servizi
professionali e quelli di informatica e telecomunicazione (particolarmente nel sottoinsieme delle
partecipazioni di controllo). Più equilibrio tra i due lati si rileva nella consistenza delle attività
commerciali, sebbene sempre con una prevalenza delle partecipazioni in entrata.
Tabella 2
LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005, PER SETTORE
Imprese
Dipendenti
Imprese
Dipendenti
(a)
(b)
Dip.
245
5.863
411
840
7.210
844
483
936
16.832
12.688
851.635
15.671
29.967
93.393
7.760
44.721
28.582
1.084.417
20
2.595
126
92
2.728
365
539
716
7.181
1.288
598.989
10.968
10.727
108.761
49.897
80.912
59.033
920.575
9,85
1,42
1,43
2,79
0,86
0,16
0,55
0,48
1,18
Partecipazioni italiane all’estero (a)
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecomunicazioni
Altri servizi professionali
TOTALE
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Partecipazioni estere in Italia (b)
In merito alla performance delle IMN estere nell’ambito dell’economia nazionale, i dati resi
disponibili dalla banca dati Reprint consentono di confrontare il valore aggiunto per addetto
prodotto dalle suddette imprese con quello relativo alla media nazionale. Emerge come le
imprese a partecipazione estera si caratterizzino per una produttività del lavoro più elevata in
una misura non trascurabile, essendo essa superiore del 47% rispetto alla media nazionale: 81,7
migliaia di euro per addetto nel 2004, ovvero 77,7 migliaia nel 2003, contro 52,7 migliaia in
quest’ultimo anno per la media nazionale delle imprese con più di 20 dipendenti (Tab. 3)6.
Questa evidenza è apparentemente coerente con la teoria e le verifiche condotte internazionalmente circa le superiori prestazioni delle filiali delle IMN rispetto alle imprese domestiche,
6
Il confronto con la media generale è inappropriato, a causa della forte incidenza delle microimprese e delle imprese artigiane.
10
grazie al contributo di maggiori competenze, tecnologie, capacità manageriali e ai vantaggi di
scala e di network7.
Tabella 3
VALORE AGGIUNTO PER DIPENDENTE: CONFRONTO TRA LE IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA E LA MEDIA NAZIONALE
Dati in migliaia di euro
Imprese a partecipazione estera
2004
2003
Industria estrattiva
214,5
193,0
Industria manifatturiera
72,0
68,7
Energia elettrica, gas e acqua
292,3
314,3
Costruzioni
51,6
47,5
Commercio all'ingrosso (a)
97,7
90,0
Trasporti e comunicazioni (b)
129,0
120,8
Servizi professionali (c)
71,1
70,9
TOTALE (SETTORI REPRINT)
81,7
77,7
TOTALE
n.d.
n.d.
(a) La media nazionale comprende anche il commercio al dettaglio.
(b) Include i servizi di telecomunicazioni.
(c) Include i servizi di informatica; la media nazionale comprende anche le attività immobiliari.
Fonte: elaborazioni su dati Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Media nazionale 2003
Imprese con 20
o più addetti
226,8
52,3
121,1
41,4
44,1
66,8
38,6
52,7
50,9
TOTALE
149,4
42,3
120,5
27,6
30,2
55,5
34,6
38,3
36,5
2.3
Comparazioni internazionali
Nel precedente paragrafo si è sottolineato come le comparazioni internazionali basate sui dati
relativi ai flussi ed agli stock di IDE evidenzino una modesta performance del nostro Paese su
entrambi i lati del processo di internazionalizzazione, collocandolo in posizioni di retroguardia
tra i paesi industrializzati. È peraltro noto agli studiosi come le analisi settoriali e/o di paese
basate sui dati relativi a flussi e stock di IDE soffrano di significative distorsioni, a causa del
criterio utilizzato nelle rilevazioni (immediate beneficiary), che non consente di controllare la
destinazione finale degli IDE nel caso essi transitino da un soggetto intermedio8. Un giudizio
più compiuto sul livello di internazionalizzazione di un sistema economico può dunque essere
espresso solo ricorrendo ad un set più ampio dai dati, con riferimento in particolare a dati simili
a quelli rilevati da REPRINT e riferiti all’attività delle imprese multinazionali. Purtroppo lo stato
dell’arte a tale riguardo non è dei migliori, a causa della limitata disponibilità a livello internazionale di statistiche di questo tipo, in particolare per quanto riguarda l’internazionalizzazione
in uscita.
Sul lato dell’entrata (investimenti dall’estero), una comparazione può essere effettuata grazie
alle statistiche FATS (Foreign Affiliates Trade Statistics) elaborate da Eurostat per i principali
paesi membri UE. Tale statistiche consentono un confronto basato sul contributo apportato dalle
imprese a controllo estero all’occupazione totale e al valore aggiunto prodotto all’interno dei
singoli paesi, generalmente aggiornato all’anno 2000 (Schneider 2003, 2004a e 2004b). Occorre
peraltro osservare come le statistiche FATS sottostimino, per una parte dei paesi, le presenze estere nelle imprese di minori dimensioni; riguardo ai servizi, inoltre, vi sono differenze tra paesi,
sia per la mancanza di dati, sia per difformità classificatorie. Ci sia poi consentito di esprimere
qualche dubbio sull’affidabilità di alcuni dati (si noti, ad esempio, per il Regno Unito, la forte
discrepanza dei contributi in termini di addetti e di valore aggiunto). Nell’ambito di questi
7
Si vedano Gört e Strobl (2001), Barba Navaretti e Venables (2004) e il recente Workshop "Internationalization of markets and
ownership: effects on innovations, productivity growth and the labor market", Trade Union Institute for Economic Research,
Stockholm, Sweden, September 23-25, 2005.
8
Si rimanda nuovamente a quanto osservato in Appendice.
11
limiti, quanto emerge dal confronto conferma la collocazione dell’Italia nella fascia bassa della
multinazionalizzazione in entrata (Tab. 4). Il profilo del nostro paese appare più simile al Portogallo che ai paesi più evoluti, come Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia. In termini di
contributo all’occupazione l’Italia, con il 7-7,2%, condivide le ultime posizioni con Danimarca
e Portogallo, lontana da Francia (16,5%), Svezia (17,2%) e Irlanda (21,2%). La posizione dell’Italia migliora un poco se il contributo è riferito al valore aggiunto: attorno al 13%, contro il
18,1% della Francia.
Tabella 4
CONTRIBUTO DELLE IMPRESE A CONTROLLO ESTERO ALL’OCCUPAZIONE E AL VALORE AGGIUNTO AL COSTO DEI FATTORI:
CONFRONTO TRA L’ITALIA E 10 PAESI EUROPEI, 2000 (a)
Numero di dipendenti (b)
TOTALE
Industria (c)
Servizi
Valore aggiunto al costo dei fattori
TOTALE
Industria (c)
Servizi
Danimarca
7,2
8,8
6,1
9,2
12,1
7,0
Finlandia
12,8
13,8
11,0
13,5
13,3
13,8
Francia
16,5
18,3
15,2
18,1
22,6
14,4
Irlanda
21,2
45,7
8,7
53,9
77,5
18,0
Lussemburgo
20,8
28,2
10,2
..
..
..
Paesi Bassi
9,9
12,9
8,5
13,6
18,6
9,9
Portogallo
7,3
9,4
5,5
13,5
16,2
13,2
Regno Unito
10,3
16,3
7,4
6,8
11,4
3,5
Spagna
8,8
15,0
5,4
15,4
25,4
7,6
Svezia
17,2
22,3
13,6
19,8
28,1
16,7
ITALIA (REPRINT)
6,9
8,1
5,2
12,4
13,1
11,4
ITALIA (ISTAT)
7,0
8,2
6,0
12,2
13,1
11,2
1999 per Danimarca, Regno Unito e Spagna.
Per Francia e Lussemburgo viene usato come proxy il numero di addetti.
Industria estrattiva; industria manifatturiera; produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua; costruzioni (codici Nace C, D, E, F). Per i
Paesi Bassi è esclusa l’industria estrattiva. Per Danimarca, Irlanda e Spagna sono escluse le costruzioni.
Commercio; alberghi e ristoranti; trasporti e logistica; comunicazioni; servizi immobiliari e professionali (codici Nace G, H, I, K). Per i Paesi Bassi
sono esclusi i servizi immobiliari e professionali. Per la Spagna sono esclusi i servizi professionali. Per il Lussemburgo sono esclusi l’industria
estrattiva e i servizi di trasporto e comunicazioni e per quanto riguarda il numero di dipendenti i servizi professionali. Per l’Italia (fonte REPRINT),
sono esclusi alberghi e ristoranti, commercio al dettaglio, agenzie di viaggio e servizi immobiliari.
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
Sul lato delle partecipazioni all’estero, i dati internazionali sono assolutamente carenti. Il
confronto più affidabile che si possa proporre concerne la posizione relativa di Germania e
Italia. Il paese tedesco aveva nel 2002 una presenza all’estero in stabilimenti produttivi
controllati da imprese a base nazionale pari al 30,9% dell’occupazione manifatturiera interna
nelle imprese manifatturiere comunque partecipate (investitori nazionali ed esteri). Per l’Italia,
lo stesso indicatore, pure riferito al 2002, è uguale al 18,3%. Nonostante la crescita degli
occupati all’estero delle nostre imprese, la distanza che ci separa è notevole, soprattutto se si
tiene conto che nel caso della Germania la percentuale è significativamente condizionata dal
processo di riunificazione del paese, che ha sommato due realtà assai difformi quanto a livello
di investimenti all’estero. Altri confronti, pur meno affidabili o datati, avvalorano l’esistenza di
un divario rispetto agli altri maggiori industrializzati.
2.4
La dinamica di breve e di lungo periodo
Sul lato dell’internazionalizzazione attiva, l’andamento degli indicatori economici relativi alle
partecipazioni italiane all’estero negli anni duemila appare composito, soprattutto in riferimento
ai diversi settori di attività (Tab. 5). Nel complesso crescono gli investitori (+21,3%) e le
imprese partecipate all’estero (+10,5%), mentre dipendenti e fatturato delle imprese partecipate mostrano una dinamica più modesta (+4,8% e +6,5%, rispettivamente), a testimoniare una
ridotta taglia delle nuove iniziative. Contribuiscono a questa performance non particolarmente
12
lusinghiera alcuni fattori: il peggioramento della congiuntura economica internazionale, l’apprezzamento dell’euro sul dollaro e alcuni episodi di dismissione di partecipazioni di minoranza in
imprese di medio-grande taglia. Tale dinamica si chiarisce meglio attraverso la disamina
settoriale.
Tabella 5
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO, 1.1.2001 – 1.1.2005
Variazioni percentuali
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecom.
Altri servizi professionali
TOTALE
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
Investitori
Imprese
estere
Dipendenti
Fatturato
(milioni di Euro)
12,5
24,4
30,0
21,5
10,7
21,7
28,4
26,4
21,3
11,4
13,7
27,2
16,0
6,5
4,2
22,0
12,5
10,5
-0,1
8,0
9,0
8,9
12,7
9,1
-39,8
4,8
4,8
7,3
11,8
55,9
50,5
4,6
27,7
-46,7
11,3
6,5
I più alti tassi di crescita si hanno per le utilities e le costruzioni. L’avanzata delle partecipazioni nel primo comparto (energia elettrica, gas e acqua), in larga misura assenti sino a
pochi anni fa, è associata all’apertura dei mercati e alla liberalizzazione delle attività, avviate in
epoca recente. I comparti con i profili più bassi di crescita sono viceversa l’industria estrattiva e
il commercio all’ingrosso, quest’ultimo particolarmente sul fronte della numerosità degli investitori e delle imprese partecipate. L’industria manifatturiera e gli altri comparti dei servizi
hanno un andamento per lo più attorno alla media, con l’eccezione dei servizi di informatica e
telecomunicazione. In questo caso la dinamica riflette l’evoluzione della “nuova economia”. Le
partecipazioni estere sono in forte crescita sino alla fine del 2001, come conseguenza della
liberalizzazione, delle nuove applicazioni Internet e del clima entusiastico che ne è scaturito. Ma
nel 2002 esplodono lo shakeout delle dot.com e la necessità da parte degli operatori di servizi
di telecomunicazione di avviare un processo di ristrutturazione, anche per contenere il forte
indebitamento maturato negli anni precedenti. Nel caso italiano, sulla contrazione dei dati di
settore pesano soprattutto le dismissioni operate da Telecom Italia in alcune partecipazioni
estere di minoranza, di taglia elevata. Rimane invece relativamente alto il tasso di crescita degli
investitori e delle imprese estere partecipate, in relazioni a iniziative per lo più di piccola
dimensione.
Per il settore manifatturiero -il quale, oltre a rappresentare quasi l’80% dell’intero fenomeno
censito, è certamente in parte presupposto e in parte guida del processo di crescita all’estero
anche delle attività commerciali e di servizio- è possibile condurre un’analisi di più lungo periodo. La banca dati Reprint consente infatti di analizzare un periodo ventennale -dalla metà degli
anni ottanta ad oggi- che è risultato di fondamentale importanza per l’internazionalizzazione
delle imprese italiana (Tab. 6).
In estrema sintesi, si può osservare che: (a) il numero delle imprese investitrici, originariamente su livelli assai modesti, è decuplicato tra metà degli anni ottanta ed oggi, determinando
uno straordinario allargamento del club degli investitori all’estero nel senso della formazione di
nuove piccole e medie IMN; (b) il numero delle partecipazioni estere è cresciuto di otto volte e
la loro consistenza totale, misurata in termini di dipendenti all’estero, è cresciuta di tre volte e
mezzo; (c) la dinamica delle partecipazioni di controllo è risultata superiore all’andamento
generale.
13
Tabella 6
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA, 1.1.1986 - 1.1.2005
Imprese investitrici (N.)
TOTALE
Part. di controllo
Imprese estere partecipate (N.)
TOTALE
Part. di controllo
697
1.289
2.827
5.157
5.474
5.571
5.712
5.863
442
925
2.119
4.147
4.386
4.467
4.634
4.767
– al 1.1.1986
282
180
– al 1.1.1991
475
338
– al 1.1.1996
1.240
979
– al 1.1.2001
2.379
1.978
– al 1.1.2002
2.532
2.108
– al 1.1.2003
2.650
2.207
– al 1.1.2004
2.753
2.296
– al 1.1.2005
2.825
2.362
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Addetti delle imprese estere
partecipate (N.)
TOTALE Part. di controllo
244.188
517.796
655.039
788.667
812.095
827.321
845.611
851.635
152.010
354.520
468.697
647.821
646.380
649.004
678.966
690.125
Le analisi di maggior dettaglio compiute nei vari rapporti “Italia Multinazionale” richiamano
all’attenzione come le grandi imprese, principali protagoniste dell’inseguimento multinazionale
della seconda metà degli anni ottanta, abbiano progressivamente rallentato la loro spinta propulsiva a partire dai primi anni novanta, apparendo per lo più in difficoltà se non in ritirata sui
mercati internazionali. Per converso, un inedito propagonismo dei gruppi di media taglia attivi
nei settori di tradizionale competitività dell’industria italiana e il crescente coinvolgimento nei
processi di crescita all’estero delle PMI hanno saputo dare continuità e nuovo propellente
all’internazionalizzazione dell’industria italiana, aprendo la prospettiva di una più diffusa e
intensa proiezione all’estero del capitalismo privato italiano.
Proprio i settori tradizionali del made in Italy, popolati dalle PMI, hanno accresciuto la loro
incidenza, in relazione alla delocalizzazione delle fasi a maggiore intensità di lavoro soprattutto
verso l’Europa dell’est, la Cina e l’area del Mediterraneo, mentre assai debole rimane la
posizione dei settori a più elevata intensità tecnologica, espressione della specifica fragilità del
sistema innovativo italiano e dell’assai ristretto numero di grandi e medio-grandi imprese a base
italiana in settori quali l’informatica, l’elettronica, le telecomunicazioni, la farmaceutica e la
chimica fine, che a livello mondiale sono tra i principali protagonisti dei processi di multinazionalizzazione. L’espansione delle partecipazioni all’estero è imputabile a pochi propagonisti:
Finmeccanica e STMicroelectronics, accompagnate soprattutto da imprese piccole e medie -nel
contesto internazionale- della chimica e farmaceutica. Anche nella meccanica strumentale, dove
pure vanta importanti punti di eccellenza e una buona competitività in termini di commercio
estero, l’Italia è di fatto presente sui mercati mondiali prevalentemente con un insieme di PMI,
talvolta a elevato profilo qualitativo, ma non sempre dotate di strutture tali da garantire loro un
sufficiente potere di mercato nell’arena oligopolistica internazionale.
Per quanto concerne l’internazionalizzazione passiva, la tabella 7 illustra l’evoluzione delle
partecipazioni estere in Italia nel periodo più recente.
I più alti tassi di crescita sono espressi dalle utilities e dalle costruzioni, anche se è bene
osservare come la performance in entrambi i settori sia influenzata dalla ridotta base di partenza.
Come per l’uscita, la forte crescita delle partecipazioni nel settore delle utilities è collegata ai
fenomeni di liberalizzazione dei mercati e di privatizzazione delle imprese. I principali settori
dei servizi si distinguono per tassi elevati, in modo abbastanza omogeneo rispetto ai vari indicatori (numero di imprese, dipendenti, fatturato). Spiccata la crescita nella logistica e trasporti e
nei servizi professionali, a riflettere il trend di nuova infrastrutturazione e terziarizzazione
dell’economia dei maggiori paesi industrializzati. In ripresa anche i servizi di informatica e
telecomunicazione, dopo le sofferenze incorse soprattutto nel biennio 2002-2003, a causa della
crisi della Internet economy.
14
Tabella 7
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA, 1.1.2001 - 1.1.2005
Variazioni percentuali dei diversi indicatori economici
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecom.
Altri servizi professionali
TOTALE
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Investitori
Imprese
partecipate
Dipendenti delle
imprese
partecipate
Fatturato
(milioni di Euro)
0,0
4,0
33,3
28,9
7,0
7,1
8,2
12,9
6,7
-4,8
1,9
82,0
15,6
5,7
10,1
8,1
11,1
6,0
13,5
-6,3
310,6
81,3
9,0
31,9
2,1
26,3
0,8
38,7
4,9
613,8
93,2
16,6
44,9
10,9
34,2
14,5
Il settore manifatturiero, di gran lunga quello di maggiore insediamento estero, mostra
invece un lieve cedimento nella consistenza economica complessiva, solo in parte compensato
dalla crescita del settore del commercio all’ingrosso, il quale è in larga misura costituito da
filiali commerciali di IMN di natura manifatturiera.
L’analisi di lungo periodo riferita al settore manifatturiero mostra come, in raffronto all’uscita, la dinamica dei diversi indicatori sia stata già nel corso degli anni novanta alquanto
contenuta, con un ulteriore raffreddamento nella corrente decade (Tab. 8).
Tabella 8
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA, 1.1. 1986 - 1.1.2005
Imprese investitrici (N.)
TOTALE
Part. di controllo
Imprese estere partecipate (N.)
TOTALE
Part. di controllo
1.419
1.778
2.023
2.517
2.567
2.565
2.565
2.595
1.216
1.542
1.771
2.235
2.279
2.285
2.283
2.319
– al 1.1.1986
1.419
1.216
– al 1.1.1991
1.778
1.542
– al 1.1.1996
2.023
1.771
– al 1.1.2001
2.517
2.235
– al 1.1.2002
2.567
2.279
– al 1.1.2003
2.565
2.285
– al 1.1.2004
2.565
2.283
– al 1.1.2005
2.595
2.319
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Addetti delle imprese estere
partecipate (N.)
TOTALE Part. di controllo
472.067
521.847
533.488
639.520
645.316
629.477
613.474
598.989
378.013
424.386
426.753
517.775
526.163
522.008
512.025
504.758
La tendenza principale è stata nel senso di un netto ridimensionamento dell’incidenza dei
settori ad alta tecnologia. Questa evidenza riflette palesemente le caratteristiche strutturali dell’industria italiana e più in generale del suo contesto scientifico e tecnologico. La debolezza del
sistema innovativo nazionale e la scarsa dotazione di assets competitivi del nostro Paese nei
comparti dell’alta tecnologia non solo implicano il ridimensionamento relativo della presenza
estera, ma anche, come dimostrano altri studi (Balcet e Evangelista, 2005), il prevalente interesse delle imprese multinazionali che operano in Italia ad avere accesso al suo ampio mercato
domestico e a svolgere al più attività di ricerca di natura incrementale, volta all’adattamento dei
prodotti alle esigenze locali. In altri termini, il radicamento delle multinazionali high tech nel
Paese è piuttosto limitato e le imprese estere presenti in questo comparto non sempre appaiono
adeguatamente interessate ad attingere alle nostre risorse innovative, umane e ingegneristiche.
15
Una conferma a questo ordine di ragionamento si ha dalla considerazione che negli ultimi
anni la presenza estera è in crescita, via acquisizioni, soprattutto nei settori della meccanica
strumentale, della strumentazione e in taluni settori a forte intensità di economie di scala (come
gli elettrodomestici): si tratta di IDE concentrati in nicchie produttive e tecnologiche in cui
l’industria italiana possiede un chiaro vantaggio competitivo ed in cui le stesse filiali delle IMN
si impegnano in più significative attività di R&S (ancora, Balcet e Evangelista, 2005).
2.5
Gli orientamenti geografici e settoriali
Se si considera la ripartizione geografica dei dipendenti delle imprese partecipate (Tab. 9),
all’inizio del 2005 all’Unione Europea (15 paesi) spetta una quota del 36,5%, contro il 19,7%
dell’Europa orientale, il 4,6% degli altri paesi europei, il 13% dell’America Latina, il 10,1%
dell’Asia, l’8,2% del Nord America e il 6,8% dell’Africa.
Tabella 9
LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO AL 1.1.2005, PER AREA GEOGRAFICA DELLE IMPRESE PARTECIPATE
Imprese estere partecipate
Dipendenti delle imprese estere Fatturato delle imprese estere
N.
%
N.
%
Mil. euro
%
Unione europea (15 paesi)
6.922
Europa centro–orientale
3.011
Altri paesi europei
611
Africa
952
Nord America
1.909
America Latina
1.401
Asia
1.829
Oceania
197
TOTALE
16.832
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
41,1
17,9
3,6
5,7
11,3
8,3
10,9
1,2
100,0
395.512
213.503
49.996
74.183
88.772
141.494
109.120
11.837
1.084.417
36,5
19,7
4,6
6,8
8,2
13,0
10,1
1,1
100,0
159.984
19.728
14.784
9.670
25.281
26.130
15.066
4.443
275.086
58,2
7,2
5,4
3,5
9,2
9,5
5,5
1,6
100,0
Nel lungo periodo deve essere sottolineata l’esplosione -a partire dai primi anni novantadelle iniziative in Europa centro-orientale, la cui incidenza in termini di dipendenti nelle
partecipate manifatturiere è salita dal nulla al 17,9% del 1996 e al 22,4% del 2005. Questa
crescita non è generalmente andata a scapito della presenza in Europa occidentale, anche se nel
settore manifatturiero, in termini di dipendenti, l’incidenza di quest’ultima si è ridotta nell’ultimo periodo, soprattutto a causa di alcune dismissioni da parte dei maggiori gruppi industriali
italiani. Nettamente ridimensionata, invece, l’incidenza dell’America Latina; più stabile quella
del Nord America, ma in netta contrazione per incidenza sulla numerosità delle partecipazioni
(segno della limitata presenza di PMI); in espansione l’Asia (che appare l’area di maggiore
sviluppo negli anni più recenti, in relazione soprattutto al forte incremento delle iniziative in
Cina) e in contrazione l’Africa.
Per quanto concerne invece l’origine delle IMN attualmente presenti nel Paese per l’insieme
dei settori considerati, il 60,5% dei dipendenti nelle partecipate estere sono da attribuire a
investitori europei, contro il 33,4% del Nord America, il 3,4% del Giappone e il 2,8% del resto
del mondo (Tab. 10).
Nella dinamica degli anni recenti, non si riscontra un forte divario nella crescita delle due
maggiori aree investitrici, mentre si segnala l’espansione, pur di significato limitato, dati i valori
assoluti, di Giappone e altri paesi investitori.
16
Tabella 10
LE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005, PER ORIGINE GEOGRAFICA DELL’INVESTITORE ESTERO
Imprese estere
partecipate
N.
%
Europa
2.577
66,5
Nord America
1.004
25,9
Giappone
196
5,1
Altri paesi
96
2,5
TOTALE
3.873
100,0
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Dipendenti delle
imprese estere
N.
4.865
1.786
315
215
7.181
%
67,7
24,9
4,4
3,0
100,0
Fatturato delle
imprese estere
Mil. euro
557.112
307.065
30.976
25.422
920.575
%
60,5
33,4
3,4
2,8
100,0
Fatturato delle
imprese estere
N.
219.741
122.050
15.839
24.637
382.267
%
57,5
31,9
4,1
6,4
100,0
L’analisi di lungo periodo per il settore manifatturiero offre informazioni di maggiore rilevanza sul piano strutturale. La tradizionale presenza nordamericana è stata ridimensionata: in
termini di dipendenti, tra il 1986 e il 2003 si è passati da un’incidenza del 43% al 33,4%. Per
converso, si sono avuti l’espansione delle iniziative a base europea (dal 55,3% al 60,5%) e gli
incrementi delle partecipazioni provenienti dal Giappone e dal resto del mondo. Si nota tuttavia
un recupero della presenza nordamericana nel corso del periodo 1996-2004, a configurare un tendenziale riequilibrio tra le due maggiori aree investitrici. Questa tendenza può essere qualitativamente correlata alla dinamica internazionale degli IDE, che ha visto la ripresa degli investimenti
statunitensi proprio a partire dalla seconda metà del decennio scorso, contro un andamento
oscillante e diversificato dei maggiori paesi europei. Peraltro il consolidamento del mercato
unico europeo può avere ridotto la necessità da parte delle imprese locali di effettuare investimenti intra-UE.
È infine interessante notare come le incidenze percentuali delle diverse aree geografiche per
il comparto manifatturiero non siano alla data attuale molto dissimili da quelle generali, a
sottolineare come, perlomeno a livello aggregato, non vi siano vocazioni ai servizi fortemente
dissimili tra di loro.
Attenzione merita infine la distribuzione delle presenze estere sul territorio nazionale,
anch’essa riferibile al settore manifatturiero. Le regioni del Nord-Ovest hanno peso preminente:
esse ospitano il 57,9% delle imprese (sede amministrativa) e il 60,4% dei dipendenti (attribuiti
in modo indivisibile all’impresa e localizzati in funzione della sua sede amministrativa). Segue
il Nord-Est, con il 23,4% delle imprese e il 18,3% dei dipendenti (in ragione di una minore
taglia dimensionale delle partecipazioni). Le regioni centrali e quelle meridionali e insulari
assorbono rispettivamente l’11,7% e il 7,1% delle imprese, nonché il 13,1% e l’8,1% dei dipendenti. Come mostra la tab. 21, questa ripartizione è moderatamente evoluta negli ultimi anni con
variazioni che hanno per lo più premiato il Centro e il Nord-Est del Paese. Le partecipazioni nel
Mezzogiorno si sono stabilizzate su livelli modesti, con una contrazione dell’occupazione
locale, condivisa con le altre aree del Paese.
Questa distribuzione conferma la tendenza degli operatori internazionali a compiere scelte
“conservative”, frutto di decisioni orientate alla riduzione del rischio e al contenimento dei costi
di informazione, con il prevalente insediamento nelle grandi aree metropolitane e nelle zone con
maggiore dotazione di fattori localizzativi (Mariotti e Piscitello, 1995). Ne scaturisce una concentrazione territoriale delle attività partecipate dall’estero maggiore di quella attinente l’intera
economia, con un profilo territoriale che amplifica i punti di forza e di debolezza del Paese.
Grava peraltro sulla limitata presenza di iniziative estere nel Sud anche la composizione delle
sue attività, con la maggiore presenza di settori tradizionali, intrinsecamente meno interessati ai
processi di internazionalizzazione produttiva.
17
18
3.
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE TRAMITE IDE DELLE IMPRESE TOSCANE E DELLA
PROVINCIA DI FIRENZE
3.1
Il quadro generale
Con riferimento a tutte e sole le attività che compongono il campo di indagine, l’aggiornamento
all’inizio del 2005 della banca dati Reprint consente di delineare per la Toscana il sottostante
quadro generale (Tab. 11).
Tabella 11
LE PARTECIPAZIONI TOSCANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN TOSCANA AL 1.1.2005
Partecipazioni toscane all’estero (a)
TOTALE
Partecipazioni di controllo
Valore
Valore
% su totale
Partecipazioni estere in Toscana (b)
TOTALE Partecipazioni di controllo
Valore
Valore
% su totale
(a)
(b)
TOTALE
Imprese investitrici (N.)
- di cui in provincia di Firenze
336
129
242
96
72,2
74,4
238
102
212
94
89,1
92,2
1,41
1,26
Imprese partecipate (N.)
- di cui in provincia di Firenze
916
426
772
364
84,3
85,4
308
120
269
109
87,3
90,8
2,97
3,55
Dipendenti (N.)
- di cui in provincia di Firenze
34.530
20.450
31.244
18.518
90,5
90,6
28.583
13.389
26.261
12.341
91,9
92,2
1,21
1,53
Fatturato (milioni euro)
- di cui in provincia di Firenze
5.840
4.137
5.405
3.938
92,6
95,2
10.881
5.961
10.319
5.741
94,8
96,3
0,54
0,69
Valore aggiunto (milioni euro)
n.d.
n.d.
- di cui in provincia di Firenze
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
n.d.
2.759
1.690
2.601
1.620
94,3
95,9
n.d.
n.d.
Le imprese toscane che hanno assunto dimensione multinazionale attraverso partecipazioni
in imprese all’estero sono 336 (tra gruppi finanziario-industriali ed imprese autonome). Le
imprese da esse partecipate all’estero (considerando sia le partecipazioni di controllo, sia le
partecipazioni paritarie e di minoranza) sono in tutto 916, per un’occupazione all’estero di
34.530 dipendenti e un fatturato 2004 pari a 5.840 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo
riguardano lo 84,3% delle imprese partecipate, il 90,5% dei dipendenti e il 92,6% del fatturato
totale. Alle 129 multinazionali fiorentine corrispondono 426 imprese partecipate all’estero, con
20.450 dipendenti e un fatturato di 4.137 milioni di euro.
La consistenza economica del fenomeno per la Toscana e per la provincia di Firenze può
essere meglio qualificata rapportando tali dati a quelli nazionali. L’incidenza della Toscana e
per l’insieme delle partecipazioni risulta pari al 5,8% dei soggetti investitori, al 5,4% e al 2,5%
delle imprese partecipate all’estero, al 3,2% dei dipendenti delle partecipate e al 2,1% del loro
fatturato. I medesimi rapporti riferiti alla provinca di Firenze risultano pari rispettivamente a
2,2%, 2,5%, 1,9% e 1,5%. Questi dati evidenziano per la Toscana e per la provincia del suo
capoluogo un minore numero medio di imprese partecipate per investitore e una inferiore
dimensione media delle imprese partecipate, che riflette il limitato numero di grandi imprese
attive nel territorio provinciale e regionale.
Sul fronte dell’internazionalizzazione passiva, all’inizio del 2005 le IMN estere attive tramite almeno una impresa partecipata con sede principale in Toscana sono 238; di queste, 102
vantano almeno una imprese partecipata con sede principale in provincia di Firenze. Le imprese
con sede principale nella regione partecipate da IMN a base estera sono complessivamente 308,
con 28.583 dipendenti; nel 2004 esse hanno realizzato un fatturato di 10.881 milioni di euro e il
19
valore aggiunto da esse prodotto è stato pari a 2.759 milioni. In provincia di Firenze le imprese
a partecipazione estera sono 120, con 13.389 addetti e un fatturato di 5.961 milioni di euro.
L’incidenza delle partecipazioni di controllo sulle partecipazioni totali si attesta su livelli ancora
più elevati di quelli nazionali, fatta eccezione per l’indicatore relativo al numero di imprese
partecipate (87,3%): 91,9% in termini di numero di dipendenti, 94,8% in relazione al fatturato e
94,3% per valore aggiunto. Rispetto alla consistenza complessiva delle partecipazioni estere in
Italia, il peso della Toscana è dunque pari all’8,1% in termini di imprese partecipate, al 6,6% dei
dipendenti, al 5% del fatturato e al 5,4% del valore aggiunto. Anche in questo caso, si rileva una
minore dimensione media delle imprese partecipate.
Il bilancio tra partecipazioni estere in uscita e in entrata per la Toscana risulta assai simile a
quello che si registra per l’intero Paese: alla prevalenza delle partecipazioni in uscita in termini
di numerosità e occupazione delle imprese partecipate si contrappone un maggiore spessore
“strategico” delle partecipazioni in entrata. In entrambi i casi il confronto basato sul numero dei
dipendenti collegati a tutte le partecipazioni estere in entrata e in uscita premia il lato dell’uscita
(quoziente 1,21 per la Toscana, 1,18 per l’Italia), ma solo grazie alla presenza di una significativa componente di partecipazioni in paesi con funzione di produzione -dati i prezzi relativi di
capitale e lavoro- polarizzata su tecnologie utilizzatrici di lavoro; in termini di fatturato, la consistenza delle partecipazioni in entrata sopravanza invece nettamente quella delle partecipazioni
in uscita (quoziente 0,54 per la Toscana e 0,72 per l’Italia).
La composizione settoriale, sia in uscita che in entrata, vede accentuarsi per la Toscana la
preminenza, pure evidente in ambito nazionale, dell’industria manifatturiera: con riferimento al
numero di dipendenti delle imprese partecipate, la quota di tale comparto sul totale raggiunge
l’85,4% in uscita e il 77,6% in entrata, contro medie italiane rispettivamente del 78,5% e del
65,1% (Tab. 12).
Tabella 12
LE PARTECIPAZIONI TOSCANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN TOSCANA AL 1.1.2005, PER SETTORE
Imprese
Dipendenti
Imprese
Dipendenti
(a)
(b)
Dip.
6
322
0
10
389
144
20
25
916
213
29.473
0
46
3.699
847
161
91
34.530
3
125
7
12
114
16
9
22
308
147
22.171
789
214
3.013
590
298
1.361
28.583
1,45
1,33
0,00
0,21
1,23
1,44
0,54
0,07
1,21
PROVINCIA DI FIRENZE
Industria estrattiva
3
Industria manifatturiera
135
Energia elettrica, gas e acqua
0
Costruzioni
0
Commercio all'ingrosso
236
Logistica e trasporti
33
Servizi di informatica e telecomunicazioni
5
Altri servizi professionali
14
TOTALE
426
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
130
17.227
0
0
2.815
228
14
36
20.450
0
37
1
2
60
4
1
15
120
0
9.625
431
91
2.063
51
7
1.121
13.389
..
1,79
0,00
0,00
1,36
4,47
2,00
0,03
1,53
Partecipazioni all’estero (a)
TOSCANA
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecomunicazioni
Altri servizi professionali
TOTALE
20
Partecipazioni estere in Toscana (b)
Dettagliando l’analisi si evidenzia la prevalenza delle partecipazioni in uscita (in termini di
numero e dipendenti delle imprese partecipate) nell’industria estrattiva e manifatturiera, nel
commercio all’ingrosso e nella logistica, mentre nei settori delle utilities, nelle costruzioni e nei
servizi alle imprese (ICT e professionali) prevale il lato dell’internazionalizzazione passiva, a
fronte di una presenza del tutto modesta delle imprese toscane all’estero.
Più puntuali valutazioni di merito possono essere date esaminando, sempre comparativamente all’Italia, il grado di multinazionalizzazione attiva e passiva della regione, con riferimento
all’insieme delle attività e per i singoli settori (Tab. 13). La tabella 14 offre inoltre la possibilità
di confrontare le performance di internazionalizzazione attiva e passiva della Toscana con
quella delle altre regioni italiane.
Tabella 13
GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA, IN BASE AL NUMERO DI ADDETTI DELLE IMPRESE PARTECIPATE, PER
SETTORE (a)
Grado di internazionalizzazione attiva (b)
Provincia
Toscana
ITALIA
di Firenze
Grado di internazionalizzazione passiva (c)
Provincia
Toscana
ITALIA
di Firenze
Industria estrattiva
9,4
67,4
43,7
Industria manifatturiera
11,6
22,9
20,9
Energia, gas e acqua
0,0
0,0
12,9
Costruzioni
0,1
0,0
3,5
Commercio all'ingrosso
7,2
16,6
12,1
Logistica e trasporti
2,6
1,8
0,9
Servizi di tlc e di informatica
1,5
0,4
12,6
Altri servizi professionali
0,2
0,2
3,1
TOTALE
7,7
14,6
13,6
(a) I dati relativi alle imprese a partecipazione estera / partecipate all’estero sono riferiti al 1.1.2005.
sono riferiti al Censimento 2001.
(b) %
Dipendenti delle imprese estere partecipate da imprese italiane
Dipendenti in Italia delle imprese a base italiana (non controllate dall’estero)
(c)
6,1
0,0
8,0
11,4
16,0
65,5
0,4
0,6
5,6
10,9
1,8
0,4
2,8
0,2
3,2
6,7
6,0
8,8
I dati relativi ai dipendenti in Italia
4,2
14,7
8,7
1,2
14,0
5,8
22,4
6,5
11,5
(Istat)
%
Dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera
Dipendenti in Italia delle imprese italiane
Fonte: elaborazioni su dati banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE, e Istat (Censimento 2001)
Sul lato della multinazionalizzazione attiva, l’incidenza dei dipendenti all’estero rispetto al
totale dei dipendenti delle imprese toscane non controllate dall’estero è pari al 7,7%, un valore
non molto superiore alla metà del dato nazionale (13,6%). Nel nostro paese i settori a più alta
multinazionalizzazione sono di gran lunga quelli dell’industria estrattiva e manifatturiera, del
commercio all’ingrosso e dei servizi di informatica e telecomunicazioni, mentre relativamente ai
margini rimangono gli altri settori terziari9. Ciò è ancora più evidente per la Toscana, dove solo
l’industria, estrattiva e manifatturiera, e il commercio all’ingrosso presentano gradi di internazionalizzazione di un certo rilievo (rispettivamente 9,4% per l’industria estrattiva, 11,6% per
l’industria manifatturiera e 7,2% per il commercio all’ingrosso), anche se sempre chiaramente
inferiori al corrispondente dato nazionale. La provincia di Firenze mostra invece un grado di internazionalizzazione attiva superiore a quello nazionale sia per l’insieme dei settori considerati
(14,6%), sia per l’industria manifatturiera (22,9% contro 20,9%). Nei rimanenti settori, il grado
9
Per questo settore, è opportuno richiamare l’attenzione sul diverso significato dell’indice. Mentre in generale, le partecipazioni
all’estero di un settore competono per la gran parte dei casi a imprese che operano nello stesso settore (soprattutto nel caso di
macroaggregazioni come quelle in corso di commento), nel caso del commercio all’ingrosso, le partecipazioni corrispondono prevalentemente a filiali commerciali di imprese di altri settori (soprattutto manifatturieri) e dunque l’indice non misura la proiezione
all’estero delle imprese che compongono il settore medesimo.
21
di internazionalizzazione attiva della Toscana e della provincia di Firenze si attesta su livelli
assai modesti e generalmente inferiori ai corrispondenti nazionali, l’unica eccezione essendo
rappresentata dai servizi di logistica e trasporto (2,6% per la Toscana contro 0,9% per l’Italia).
Anche nel caso degli investimenti esteri in entrata il grado di multinazionalizzazione della
Toscana (6%, ovvero 6 dipendenti di imprese a partecipazione estera ogni 100 dipendenti delle
imprese della regione) è di poco superiore al dato nazionale (11,5%). Tale riscontro si conferma
anche limitatamente all’industria manifatturiera (8% contro 14,7%). In questo caso, la provincia
di Firenze si inserisce in una posizione intermedia tra il dato regionale e quello nazionale, con
un grado di internazionalizzazione pari all’8,8% per l’insieme dei settori considerati e all’11,4%
per l’industria manifatturiera10.
Il confronto con le altre regioni italiane del Centro-Nord evidenzia ancor di più la modesta
performance della Toscana (Tab. 14). Solo Valle d’Aosta, Liguria e Umbria fanno segnare gradi
di internazionalizzazione attiva chiaramente inferiori a quelle della Toscana, che appaiono non
solo assai lontane da quelle delle regioni più internazionalizzate (Piemonte, Lombardia, Lazio
ed Emilia-Romagna), ma inferiori anche a quelle di altre regioni caratterizzate dalla prevalenza
di PMI operanti in settori a media e bassa intensità tecnologica, quali il Veneto e le Marche.
Anche nel caso dell’entrata l’incidenza delle partecipazioni estere si mantiene su livelli
alquanto inferiori alle medie nazionali. Il grado di multinazionalizzazione passiva, calcolato
considerando come base dell’indice il numero di dipendenti delle imprese localizzate nel paese,
a controllo sia italiano, sia estero11, si attesta per la Toscana su un valore di poco superiore alla
metà della media nazionale (6% contro 11,5%). In ambito nazionale, l’industria manifatturiera, il
commercio all’ingrosso12 e il settore dei servizi di informatica e telecomunicazioni si confermano
come caratterizzati anche sul lato dell’entrata dai più alti gradi di internazionalizzazione. Il grado
di internazionalizzazione passiva per la Toscana è inferiore a quello nazionale per tutti i settori
aggregati, eccetto l’industria estrattiva (fenomeno peraltro poco significativo, data la limitata
entità dei valori assoluti in gioco) e le utilities (energia elettrica, gas e acqua), che presentano per
la Toscana il valore più elevato dell’indice considerato (16%). Nel comparto industriale il grado di
internazionalizzazione passiva si ferma all’8%, contro il 14,7% nazionale; tra i rimanenti settori,
solo l’industria estrattiva (6,1%) e il commercio all’ingrosso (5,6%) superano la soglia del 5%.
Anche in questo caso il confronto con le altre regioni del Centro-Nord è sfavorevole alla Toscana. A parte le Marche (che denotano un grado di internazionalizzazione passiva allineato a
quello del Mezzogiorno) e il Veneto, che si posiziona su livelli simili a quelli della Toscana, in
tutte le altre regioni il peso delle imprese a partecipazione estera sull’economia locale appare assai
più elevato.
Queste evidenze inducono ad una disamina più dettagliata per settori e tipologie delle iniziative
realizzate, indispensabile ai fini di una migliore comprensione dei caratteri propri dell’internazionalizzazione attiva e passiva della regione.
10
È opportuno enfatizzare la differenza a denominatore tra multinazionalizzazione in uscita e in entrata: nel primo caso, sono esclusi
gli occupati presso le imprese a controllo estero, nel secondo no. La ragione risiede nella considerazione che le imprese a controllo
estero insediate in Italia non partecipano al processo di multinazionalizzazione attiva. Nel caso esse controllino attività all’estero,
ciò è generalmente il frutto di scelte proprietarie e organizzative delle IMN cui appartengono e sarebbe fuorviante attribuire
contabilmente il controllo dei loro assets al nostro paese.
11
Sottolineiamo ancora la differenza di denominatore rispetto agli indici dell’uscita.
12
A differenza che per l’uscita, in questo caso l’indice ha un significato omogeneo agli altri settori, poiché descrive l’apporto delle
IMN alla consistenza complessiva del settore in Italia.
22
Tabella 14
GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA DELLE REGIONI ITALIANE AL 1.1. 2005, (a)
Grado di internazionalizzazione attiva (b)
TOTALE
Industria manifatturiera
Grado di internazionalizzazione passiva (c)
TOTALE
Industria manifatturiera
Italia Nord-Occidentale
24,4
36,4
Valle d'Aosta
1,7
1,4
Piemonte
34,4
49,8
Lombardia
22,2
32,3
Liguria
3,9
5,7
Italia Nord-Orientale
14,3
20,5
Veneto
12,0
15,7
Trentino-Alto Adige
8,2
17,7
Friuli-Venezia Giulia
7,8
8,7
Emilia-Romagna
19,4
29,8
Italia Centrale
11,2
17,0
Toscana
7,7
11,6
- provincia di Firenze
14,6
22,9
Umbria
2,7
4,6
Marche
11,5
14,2
Lazio
14,0
36,3
Italia Meridionale e Isole
2,0
4,1
Abruzzo
2,3
3,4
Molise
3,7
7,0
Campania
1,8
3,8
Puglia
2,3
4,9
Basilicata
0,5
0,9
Calabria
0,7
2,2
Sicilia
2,0
6,1
Sardegna
2,9
3,1
TOTALE ITALIA
15,1
23,9
(a) I dati relativi alle imprese a partecipazione estera / partecipate all’estero sono riferiti al 1.1.2005. I dati
sono riferiti al 2003.
(b) %
Dipendenti delle imprese estere partecipate da imprese italiane
Dipendenti in Italia delle imprese a base italiana (non controllate dall’estero)
(c)
19,2
18,8
18,3
20,0
12,6
7,0
5,3
10,2
12,2
7,0
7,7
6,0
8,8
5,9
2,1
10,2
4,0
13,9
2,0
4,1
2,6
12,7
1,5
2,6
6,4
11,6
relativi ai dipendenti in Italia
21,3
28,1
24,3
20,2
16,8
9,3
6,5
17,7
15,8
10,0
11,7
8,0
11,4
9,5
2,6
27,1
7,9
21,5
3,2
6,3
4,4
26,7
0,7
6,1
11,9
14,7
(Istat)
%
Dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera
Dipendenti in Italia delle imprese italiane
Fonte: elaborazioni su dati banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE, e Istat (Censimento 2001)
3.2
La dinamica
Le tabelle 15-18 illustrano la dinamica dell’internazionalizzazione attiva e passiva della Toscana. In particolare, le tabelle 15 e 17 mostrano l’evoluzione delle partecipazioni, rispettivamente
in uscita e in entrata, per tutti i settori considerati dalla banca dati Reprint con riferimento agli
anni più recenti, mentre le tabelle 16 e 18 si riferiscono ad un periodo assai più ampio (dal
1.1.1986 al 1.1.2005) ma limitatamente al solo settore manifatturiero, il quale peraltro, come già
ricordato, rappresenta la parte più consistente del fenomeno.
Con riferimento alle partecipazioni in uscita, nei primi anni duemila la provincia di Firenze e
la Toscana evidenziano a livello aggregato una crescita superiore alla media nazionale per
quanto riguarda il numero di imprese partecipate all’estero (+11,8% e +12,1%, rispettivamente,
contro +10,5%), ma inferiore in termini di addetti all’estero (+1,7% per la Toscana e -5,1% per
la provincia di Firenze, contro +4,8% per l’Italia, Tab. 15). Approfondendo l’analisi a livello dei
diversi comparti, va sottolineata per Firenze e la Toscana la crescita degli indicatori relativi a
commercio all’ingrosso, segnale di una crescente propensione delle imprese toscane a presidiare
i mercati internazionali di sbocco tramite filiali commerciali dirette. Stagnante invece l’occupazione delle filiali produttive all’estero delle imprese della regione e addirittura in calo per la
provincia di Firenze, nonostante l’aumentato numero di imprese partecipate, a sottolineare
fenomeni di razionalizzazione delle strutture produttive estere.
23
Tabella 15
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ALL'ESTERO NEL PERIODO 1.1.2001–1.1.2005, PER SETTORE
Provincia di Firenze
Al 1.1.01 Al 1.1.05 Var. %
IMPRESE PARTECIPATE (N.)
Industria estrattiva
2
3
Industria manifatturiera
123
135
Energia, gas e acqua
0
0
Costruzioni
0
0
Commercio all'ingrosso
209
236
Logistica e trasporti
30
33
Servizi di tlc e informatica
4
5
Altri servizi professionali
13
14
TOTALE
381
426
DIPENDENTI DELLE IMPRESE
PARTECIPATE (N.)
Industria estrattiva
128
130
Industria manifatturiera
18.643
17.227
Energia, gas e acqua
0
0
Costruzioni
0
0
Commercio all'ingrosso
2.484
2.815
Logistica e trasporti
250
228
Servizi di tlc e informatica
14
14
Altri servizi professionali
36
36
TOTALE
21.555
20.450
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Al 1.1.01
Toscana
Al 1.1.05
Var. %
Al 1.1.01
ITALIA
Al 1.1.05
Var. %
50,0
9,8
12,9
10,0
25,0
7,7
11,8
5
280
0
9
349
133
18
23
817
6
322
0
10
389
144
20
25
916
20,0
15,0
11,1
11,5
8,3
11,1
8,7
12,1
220
5.157
323
724
6.773
810
396
832
15.235
245
5.863
411
840
7.210
844
483
936
16.832
11,4
13,7
27,2
16,0
6,5
4,2
22,0
12,5
10,5
1,6
-7,6
13,3
-8,8
0,0
0,0
-5,1
211
29.310
0
46
3.263
862
160
89
33.941
213
29.473
0
46
3.699
847
161
91
34.530
0,9
0,6
0,0
13,4
-1,7
0,6
2,2
1,7
12.707
788.667
14.381
27.527
82.846
7.113
74.334
27.284
1.034.859
12.688
851.635
15.671
29.967
93.393
7.760
44.721
28.582
1.084.417
-0,1
8,0
9,0
8,9
12,7
9,1
-39,8
4,8
4,8
Tabella 16
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ALL'ESTERO DELLE IMPRESE FIORENTINE E TOSCANE IN ATTIVITÀ MANIFATTURIERE, 1.1.1986–
1.1.2005
Provincia di Firenze (a)
Indice
% su Italia
(1986=100)
N.
IMPRESE INVESTITRICI (N.)
– al 1.1.1986
13
– al 1.1.1991
19
– al 1.1.1996
33
– al 1.1.2001
53
– al 1.1.2002
57
– al 1.1.2003
60
– al 1.1.2004
58
– al 1.1.2005
61
IMPRESE ESTERE PARTECIPATE (N.)
– al 1.1.1986
21
– al 1.1.1991
48
– al 1.1.1996
74
– al 1.1.2001
123
– al 1.1.2002
130
– al 1.1.2003
134
– al 1.1.2004
131
– al 1.1.2005
135
DIPENDENTI DELLE IMPRESE ESTERE
PARTECIPATE (N.)
– al 1.1.1986
1.642
– al 1.1.1991
12.658
– al 1.1.1996
12.315
– al 1.1.2001
18.643
– al 1.1.2002
16.981
– al 1.1.2003
17.055
– al 1.1.2004
17.198
– al 1.1.2005
17.227
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
N.
TOSCANA (b)
Indice
(1986=100)
% su Italia
% (a)/(b)
100,0
146,2
253,8
407,7
438,5
461,5
446,2
469,2
4,6
4,0
2,7
2,2
2,3
2,3
2,1
2,2
23
32
80
154
160
165
166
170
100,0
139,1
347,8
669,6
695,7
717,4
721,7
739,1
8,2
6,7
6,5
6,5
6,3
6,2
6,0
6,0
39,4
26,0
23,7
18,9
19,3
19,5
18,5
18,9
100,0
228,6
352,4
585,7
619,0
638,1
623,8
642,9
3,0
3,7
2,6
2,4
2,4
2,4
2,3
2,3
33
73
139
280
295
308
313
322
100,0
221,2
421,2
848,5
893,9
933,3
948,5
975,8
4,7
5,7
4,9
5,4
5,4
5,5
5,5
5,5
63,6
65,8
53,2
43,9
44,1
43,5
41,9
41,9
100,0
770,9
750,0
1135,4
1034,2
1038,7
1047,4
1049,1
0,7
2,4
1,9
2,4
2,1
2,1
2,0
2,0
3.910
20.558
22.926
29.310
27.904
28.550
28.893
29.473
100,0
525,8
586,3
749,6
713,7
730,2
739,0
753,8
1,6
4,0
1,9
3,7
3,4
3,5
3,4
3,5
42,0
61,6
63,6
63,6
60,9
59,7
59,5
58,5
24
Particolarmente interessante appare l’analisi di lungo periodo riferita all’internazionalizzazione attiva (vedi Tab. 16), che riguarda, come precedentemente rilevato, un momento fondamentale dell’inseguimento multinazionale dell’industria italiana. In questo contesto, è interessante evidenziare come anche nel lungo periodo la Toscana evidenzi una crescita degli indicatori di consistenza delle partecipazioni all’estero maggiore della media nazionale, nonostante
l’incidenza in termini di numero di soggetti investitori si sia ridotta tra la metà degli anni ottanta
e oggi (dall’8,2% al 6%). In relazione al numero di imprese partecipate all’estero, l’incidenza
della Toscana sul totale nazionale sale dal 4,7% del 1986 al 5,5% di inizio 2005, mentre in
termini di numero di dipendenti delle consociate estere si passa dall’1,6% al 3,5%; sempre in
termini di numero di dipendenti, la provincia di Firenze sale invece da un invero modesto 0,7%
del totale nazionale all’attuale 2%. Questi riscontri sembrano dunque suggerire che le PMI
toscane abbiano partecipato in misura meno significativa delle imprese di altre regioni all’allargamento della base investitrice, mentre segnali più positivi provengono dalle medie e mediograndi imprese toscane, che hanno accresciuto la loro presenza produttiva all’estero negli utimi
due decenni.
Sul lato dell’entrata, la dinamica delle partecipazioni estere riferita al periodo più recente
(1.1.2001-1.1.2005) appare contrastato (Tab. 17). A fronte di una crescita del numero di imprese
partecipate da investitori esteri di poco inferiore alla media nazionale (+6,6% contro +7,4%;
+7,1% per la provincia di Firenze), si registra una contrazione del numero dei dipendenti delle
imprese a partecipazione estera, che scende da quasi 25.400 a poco più di 22mila unità, determinando una controtendenza rispetto al dato nazionale (-7,0% contro +0,8%). Responsabile di
questo andamento è l’industria manifatturiera, che perde oltre il 12% (-6,3% il dato nazionale);
tale apparentemente negativo andamento è peraltro influenzato in misura non trascurabile da
una specifica operazione, l’uscita di Piaggio dal novero delle imprese toscane a partecipazione
estera in seguito alla cessione del controllo della stessa da parte di Deutsche Bank (per tramite
del fondo statunitense Morgan Grenfell) ad un soggetto nazionale (il gruppo Colaninno); non
considerando tale operazione il numero degli addetti delle imprese toscane partecipate dall’estero sarebbe risultato sostanzialmente invariato.
Tabella 17
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI DALL'ESTERO NEL PERIODO 1.1.2001–1.1.2005, PER SETTORE
Provincia di Firenze
Al 1.1.01 Al 1.1.05 Var. %
IMPRESE PARTECIPATE (N.)
Industria estrattiva
0
0
Industria manifatturiera
33
37
Energia, gas e acqua
0
1
Costruzioni
2
2
Commercio all'ingrosso
58
60
Logistica e trasporti
4
4
Servizi di tlc e informatica
2
1
Altri servizi professionali
13
15
TOTALE
112
120
DIPEND. DELLE IMP. PARTECIPATE (N.)
Industria estrattiva
0
0
Industria manifatturiera
10.390
9.625
Energia, gas e acqua
0
431
Costruzioni
63
91
Commercio all'ingrosso
1.790
2.063
Logistica e trasporti
120
51
Servizi di tlc e informatica
279
7
Altri servizi professionali
596
1.121
TOTALE
13.238
13.389
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Al 1.1.01
Toscana
Al 1.1.05
Var. %
Al 1.1.01
12,1
0,0
3,4
0,0
-50,0
15,4
7,1
3
114
7
12
113
14
9
17
289
3
125
7
12
114
16
9
22
308
0,0
9,6
0,0
0,0
0,9
14,3
0,0
29,4
6,6
21
2.517
61
77
2.558
328
493
633
6.688
20
2.595
126
92
2.728
365
539
716
7.181
-4,8
3,1
106,6
19,5
6,6
11,3
9,3
13,1
7,4
-7,4
44,4
15,3
-57,5
-97,5
88,1
1,1
147
25.392
327
156
2.949
491
608
767
30.837
147
22.171
789
214
3.013
590
298
1.361
28.583
0,0
-12,7
141,3
37,2
2,2
20,2
-51,0
77,4
-7,3
1.135
639.520
2.671
5.918
99.772
37.822
79.250
46.746
912.834
1.288
598.989
10.968
10.727
108.761
49.897
80.912
59.033
920.575
13,5
-6,3
310,6
81,3
9,0
31,9
2,1
26,3
0,8
25
ITALIA
Al 1.1.05 Var. %
Crescite assai sostenute nell’occupazione delle partecipate estere si rilevano nel comparto
terziario, ma spesso sull’entità relativa dell’incremento incidono in misura significativa gli assai
modesti livelli iniziali. Forte anche la crescita delle consistenza delle partecipazioni estere nel
settore delle utilities (+65,3%), che peraltro si inserisce in un quadro più generale che ha visto
concretizzarsi una prima ondata di un certo rilievo di investimenti dall’estero nel nostro Paese, a
seguito dei processi in atto di apertura dei mercati e liberalizzazione delle attività, di cui il
+426,2% registrato a livello nazionale è efficace testimonianza.
L’analisi di lungo periodo riferita al comparto manifatturiero (Tab. 18) evidenzia nel lungo
periodo un trend di crescita delle partecipazioni dall’estero, che nell’arco dei 18 anni considerati
(1.1.1986-1.1.2004) consente alla Toscana di incrementare le sue quote sul totale nazionale: dal
3,3% al 4,7% in relazione al numero di imprese partecipate (che da 47 salgono a 120), dal 3,3%
al 3,6% in relazione al numero di dipendenti (da 17.284 a 22.088), dopo aver superato la soglia
del 4% nei primi anni del nuovo millennio.
In sintonia con il più generale andamento nazionale, anche nel caso della Toscana il periodo
di maggiore crescita è rappresentato dagli anni novanta; la crescita è stata anzi in questo caso
ancora più sostenuta, tanto che la quota della regione sul totale nazionale in termini di numero
di dipendenti delle imprese a partecipazione estera è aumentata in questo periodo di 1 punto
percentuale.
Tabella 18
EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA FIORENTINA E TOSCANA, 1.1.1986 - 1.1.2005
Provincia di Firenze (a)
Indice
N.
% su Italia
(1986=100)
IMPRESE A PARTECIPAZIONE
ESTERA (N.)
– al 1.1.1986
26
– al 1.1.1991
28
– al 1.1.1996
29
– al 1.1.2001
31
– al 1.1.2002
33
– al 1.1.2003
34
– al 1.1.2004
33
– al 1.1.2005
34
ADDETTI DELLE IMPRESE A
PARTECIPAZIONE ESTERA (N.)
– al 1.1.1986
11.813
– al 1.1.1991
8.338
– al 1.1.1996
9.733
– al 1.1.2001
9.955
– al 1.1.2002
10.390
– al 1.1.2003
10.509
– al 1.1.2004
9.944
– al 1.1.2005
9.700
STABILIMENTI DI IMPRESE A
PARTECIPAZIONE ESTERA (N.)
– al 1.1.2001
49
– al 1.1.2002
51
– al 1.1.2003
52
– al 1.1.2004
52
– al 1.1.2005
52
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
N.
TOSCANA (b)
Indice
(1986=100)
% su Italia
% (a)/(b)
100,0
107,7
111,5
106,9
113,8
117,2
113,8
117,2
1,8
1,6
1,4
1,3
1,3
1,3
1,3
1,3
47
68
90
102
114
119
122
120
100,0
144,7
191,5
113,3
126,7
132,2
135,6
133,3
3,3
3,8
4,4
4,2
4,5
4,6
4,8
4,7
55,3
41,2
32,2
30,4
28,9
28,6
27,0
28,3
100,0
70,6
82,4
84,3
88,0
89,0
84,2
82,1
2,3
1,6
1,5
1,7
1,6
1,6
1,6
1,6
17.284
15.983
22.991
24.279
25.392
25.723
25.115
22.088
100,0
92,5
133,0
140,5
146,9
148,8
145,3
127,8
3,3
3,0
3,6
4,2
4,0
4,0
4,0
3,6
68,3
52,2
42,3
41,0
40,9
40,9
39,6
43,9
100,0
104,1
106,1
106,1
106,1
1,4
1,4
1,4
1,4
1,4
184
192
205
203
205
100,0
104,3
111,4
110,3
111,4
5,3
5,3
5,6
5,5
5,5
26,6
26,6
25,4
25,6
25,4
In sintonia con il più generale andamento nazionale, anche nel caso della Toscana il periodo
di maggiore crescita è rappresentato dagli anni novanta; la crescita è stata anzi in questo caso
ancora più sostenuta, tanto che la quota della regione sul totale nazionale in termini di numero
26
di dipendenti delle imprese a partecipazione estera è aumentata in questo periodo di oltre 1
punto percentuale, per poi scendere nei primi anni del nuovo decennio.
Il peso della regione sul totale nazionale appare in sia pure lenta crescita anche se si guarda
al numero di unità produttive localizzate sul territorio (indipendentemente dalla localizzazione
della sede principale dell’impresa stessa). Sono infatti oltre 200 le unità produttive localizzate in
Toscana facenti capo ad imprese a partecipazione estera del settore manifatturiero, per un
incidenza pari al 5,5% del totale nazionale. Gli stabilimenti produttivi localizzati in provincia di
Firenze sono invece 52.
Un importante aspetto concerne le modalità scelte dalle IMN per investire in attività produttive, con particolare riferimento alla scelta fra l’avvio di una nuova attività -investimento greenfield- e l’acquisizione di attività esistenti. Con riguardo all’industria manifatturiera toscana, la
tabella 19 offre il quadro di dettaglio relativo agli ultimi dieci anni. Al di là della conferma di
come la netta predominanza delle acquisizioni rappresenti un fenomeno ormai irreversibile13, è
evidente l’esiguità delle attività produttive avviate ex novo da investitori esteri dalla metà degli
anni novanta ad oggi. A livello nazionale, l’incidenza degli investimenti greenfield si attesta nel
corso dell’intero periodo al di sotto del 15% del totale in termini di numero di iniziative e del
4% in termini di apporto all’occupazione. Gli anni più recenti sembrerebbero indicare un’ulteriore rarefazione delle iniziative greenfield, anche se la prudenza nel commentare tale dato è
d’obbligo, data la possibilità che alcune iniziative recenti “a prato verde” (comunque di limitata
consistenza), per ora sfuggite alla rilevazione, “emergano” nei prossimi anni, al crescere dell’attività. I dati rilevati per la Toscana appaiono sostanzialmente allineati alla media nazionale: l’incidenza degli investimenti greenfield appare leggermente inferiore (10,8% contro 14,7%) in relazione alla numerosità delle iniziative, ma identica (3,6%) se si guarda al numero di dipendenti
interessati.
Tabella 19
NUOVE PARTECIPAZIONI ESTERE NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA TOSCANA E INCIDENZA DEGLI INVESTIMENTI GREENFIELD,
1996-2004
Totale nuove
partecipazioni (a)
Imprese
Dipendenti
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005 (6 mesi)
15
8
4
12
15
3
11
2
8
5
984
977
329
5.779
1.941
104
1.200
20
309
3.390
1996–1999
39
8.069
2000–2003
39
3.574
Fonte: elaborazione su banca dati REPRINT, R&P - POLITECNICO di Milano - ICE
13
di cui greenfield
(b)
Imprese
Dipendenti
Incidenza %
(b) / (a)
Imprese
Dipendenti
4
1
0
1
1
1
1
0
0
0
387
2
0
33
5
18
100
0
0
0
26,7
12,5
0,0
8,3
6,7
33,3
9,1
0,0
0,0
0,0
39,3
0,2
0,0
0,6
0,3
17,3
8,3
0,0
0,0
0,0
6
3
422
123
15,4
7,7
5,2
3,4
Si ricorda che sino alla fine degli anni cinquanta gli investimenti greenfield rappresentavano oltre i 3/4 del totale delle nuove
partecipazioni estere in Italia, sia in termini di numero di iniziative che di dipendenti coinvolti, mentre già a partire dagli anni
settanta le acquisizioni hanno preso chiaramente il sopravvento (Cominotti e Mariotti 1994).
27
3.3
Le caratteristiche strutturali dell’internazionalizzazione attiva
Le tabelle 20 e 21 illustrano la ripartizione settoriale delle attività partecipate all’estero da
investitori toscani, con riferimento rispettivamente all’insieme di tutte le partecipazioni (di
controllo, paritarie e minoritarie) e alle sole partecipazioni di controllo.
Tabella 20
LE PARTECIPAZIONI ALL’ESTERO DELLE IMPRESE TOSCANE, PER SETTORE, AL 1.1.2005
Imprese partecipate all’estero (N.)
Prov. Di Firenze
TOSCANA
Dipendenti delle imprese Fatturato delle imprese partecipate
partecipate all’estero (N.)
all’estero (Mn. euro)
Prov. di
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA
Firenze
Industria estrattiva
3
6
130
Industria manifatturiera
135
322
17.227
Alimentari, bevande e tabacco
5
30
85
Tessile e maglieria
6
34
598
Abbigliamento
22
56
2.083
Pelli, cuoio, calzature e pelletteria
11
33
1.091
Legno e prodotti in legno
3
7
232
Carta, derivati, stampa e editoria
4
30
98
Derivati del petrolio
0
0
0
Chimica, farmaceutica, fibre sint.
20
24
4.181
Prodotti in gomma e plastica
2
12
229
Prodotti dei minerali non metalliferi
22
29
1.904
Metallo e prodotti derivati
15
16
5.508
Macchine e apparecchi meccanici
3
13
132
Prodotti elettrici ed ottici
11
14
557
Autoveicoli e componentistica auto
0
3
0
Altri mezzi di trasporto
5
8
236
Mobili e altre industrie manifatt.
6
13
293
Energia, gas e acqua
0
0
0
Costruzioni
0
10
0
Commercio all'ingrosso
236
389
2.815
Logistica e trasporti
33
144
228
Servizi di telecom. e di informatica
5
20
14
Altri servizi professionali
14
25
36
TOTALE
426
916
20.450
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
213
29.473
733
2.188
6.669
2.168
337
1.853
0
4.457
382
2.101
5.615
376
844
528
524
698
0
46
3.699
847
161
91
34.530
26
2.981
6
32
101
71
11
7
0
598
8
330
1.692
15
91
0
14
8
0
0
1.008
97
7
17
4.137
31
3.873
62
142
239
149
18
246
0
617
45
387
1.697
50
144
9
44
23
0
17
1.446
398
41
33
5.840
Si è sottolineato in precedenza come le partecipazioni estere delle imprese toscane si concentrino nell’industria manifatturiera e nel comparto a questa fortemente legato del commercio
all’ingrosso (le attività estere in tale settore sono prevalentemente costituite da filiali
commerciali di imprese di altri settori, soprattutto manifatturieri), mentre nel comparto dei
servizi solo il settore della logistica e dei trasporti vanta una presenza all’estero sufficientemente
articolata.
Le imprese estere attive nel comparto manifatturiero partecipate da imprese toscane sono
322, con circa 29.500 dipendenti e un fatturato di quasi 3,9 miliardi di euro. Tre comparti
(metallo e prodotti derivati, chimico-farmaceutico e abbigliamento) contribuiscono da soli quasi
alla metà dell’occupazione complessiva delle partecipate estere delle imprese toscane. In
particolare:
– il settore della produzione di metalli e loro leghe, grazie principalmente a KME-Europa
Metalli, vanta oltre 6.600 addetti all’estero, con un fatturato di quasi 1,5 milioni di euro, in
12 imprese produttive partecipate all’estero;
– la filiera chimica conta oltre 5.200 addetti all’estero, con un fatturato di oltre 640 milioni di
euro, in 26 imprese estere, attive soprattutto nella farmaceutica (Menarini e Laboratori
Baldacci) e nei profumi (Ferragamo);
28
–
anche l’abbigliamento supera quota 5mila addetti all’estero (37 le imprese partecipate, con
un fatturato di 134 milioni di euro), per effetto degli investimenti di numerose imprese, tra
cui spiccano Industria Confezioni Montecatini e Super Rifle, finalizzati prevalentemente al
contenimento dei costi di produzione attraverso insediamenti produttivi in paesi a basso
costo dei lavoro.
Altri tre settori dell’industria toscana possono vantare oltre 2mila addetti all’estero: si tratta
del tessile, del cuoio e della lavorazione dei minerali non metalliferi (materiali per l’edilizia,
vetro e ceramica), mentre poco al di sotto di tale soglia è il settore della carta, che ha ridotto la
sua proiezione internazionale dopo l’uscita da novero delle IMN toscane di Cartoinvest, a
seguito della sua acquisizione da parte dal gruppo svedese SCA nel 2002.
Tabella 21
LE ATTIVITÀ CONTROLLATE ALL’ESTERO DALLE IMPRESE TOSCANE, PER SETTORE, AL 1.1.2005
Imprese partecipate
Dipendenti delle imprese
Fatturato delle imprese
all’estero (N.)
partecipate all’estero (N.)
partecipate all’estero (Mn. euro)
Prov. di Firenze
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA
Industria estrattiva
3
6
130
Industria manifatturiera
103
248
15.346
Alimentari, bevande e tabacco
2
27
63
Tessile e maglieria
6
27
598
Abbigliamento
11
32
1.358
Pelli, cuoio, calzature e pelletteria
9
19
497
Legno e prodotti in legno
0
5
0
Carta, derivati, stampa e editoria
3
29
95
Derivati del petrolio
0
0
0
Chimica, farmaceutica, fibre sint.
17
20
4.180
Prodotti in gomma e plastica
2
7
227
Prodotti dei minerali non metalliferi
21
26
1.873
Metallo e prodotti derivati
13
14
5.476
Macchine e apparecchi meccanici
3
12
132
Prodotti elettrici ed ottici
7
10
366
Autoveicoli e componentistica auto
0
2
0
Altri mezzi di trasporto
5
8
235
Mobili e altre industrie manifatt.
4
10
246
Energia, gas e acqua
0
0
0
Costruzioni
0
6
0
Commercio all'ingrosso
207
340
2.768
Logistica e trasporti
32
135
224
Servizi di telecom. e di informatica
5
16
14
Altri servizi professionali
14
21
36
TOTALE
364
772
18.518
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
213
26.411
671
2.032
5.959
893
110
1.829
0
4.416
303
1.936
5.584
345
654
497
524
658
0
34
3.538
828
141
79
31.244
26
2.833
3
32
35
42
0
7
0
598
8
323
1.687
15
66
0
14
5
0
0
959
96
7
16
3.938
31
3.586
58
129
162
80
7
244
0
616
19
336
1.695
48
120
7
44
20
0
11
1.333
385
33
27
5.405
Unico tra i settori terziari a vantare presenze all’estero di una certa consistenza è la logistica,
grazie alle filiali estere operanti a supporto delle spedizioni internazionali di gruppi quali Albini
e Pitignani, Savino del Bene, Albatrans, Intertransport Systems e altri.
Per quanto riguarda le partecipazioni estere delle imprese fiorentine, occorre rimarcare come
oltre la metà delle partecipate estere sia costituita da attività commerciali all’ingrosso, ovvero
-nella larga maggioranza dei casi- da filiali commerciali di imprese manifatturiere (ben 236 su
un totale di 426), mentre tra le iniziative produttive all’estero spiccano quelle nei comparti
metallurgico, chimico, dell’abbigliamento e dei minerali non metalliferi.
La composizione settoriale ha un ruolo importante nello spiegare la collocazione della
regione rispetto alla media nazionale. Il basso grado di internazionalizzazione in uscita può
essere alternativamente spiegato, ai due estremi, o da una composizione delle attività economica
sbilanciata verso settori intrinsecamente meno aperti alle opportunità di crescita all’estero via
investimenti diretti, o, a parità di composizione settoriale media, da una performance modesta
29
rispetto alla media di taluni peculiari settori. Naturalmente, si potranno nella realtà riscontrare
possibili combinazioni tra queste due configurazioni estreme. Per chiarire questi aspetti, la
tabella 22 raccoglie e compara, per ciascun settore di attività, il grado di internazionalizzazione
della provincia di Firenze, della Toscana e del paese, nonché il grado di specializzazione
settoriale della regione, misurato da un semplice indicatore (si veda la legenda in tabella), che
assume valore tanto più superiore (inferiore) all’unità, quanto più il singolo settore è
sovrarappresentato (sottorappresentato) nella regione.
Tabella 22
GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E INDICE DI SPECIALIZZAZIONE DELLA TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005
Grado di internazionalizzazione attiva (a)
TOTALE
Partecipazioni di controllo
Toscana
ITALIA
Toscana
ITALIA
Indice di
specializzazione della
Toscana (a)
9,4
43,7
9,4
36,2
11,6
23,9
10,4
19,3
4,8
39,7
4,4
38,0
5,7
18,5
5,2
14,1
33,7
25,2
30,1
22,5
5,4
15,2
2,2
10,9
4,6
8,9
1,5
7,4
13,2
16,1
13,1
14,5
0,0
21,2
0,0
12,7
63,1
33,7
62,6
22,4
4,6
20,2
3,6
18,4
13,5
39,0
12,5
34,7
21,2
12,6
21,1
9,6
2,3
21,0
2,1
18,3
6,7
37,7
5,2
24,3
34,6
67,1
32,6
52,4
7,1
20,7
7,1
9,2
3,0
6,9
2,8
6,4
0,0
12,9
0,0
3,5
0,1
3,5
0,1
3,2
7,2
14,0
6,9
12,9
2,8
1,0
2,7
0,8
1,5
15,6
1,3
8,0
0,2
3,3
0,2
3,1
7,7
15,1
7,0
12,2
Dipendenti delle imprese estere partecipate
(a) Grado di internazionalizzazione attiva =
Dipendenti delle imprese domestiche non a controllo estero
Quota della Toscana sul numero totale di dipendenti in un settore
(b) Indice di specializzazione settoriale =
Quota della Toscana sul numero totae di dipendenti in Italia
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
1,34
1,14
0,77
2,47
1,42
4,02
1,10
1,25
0,24
1,06
0,75
1,30
0,68
0,69
0,61
0,38
1,51
1,68
0,66
1,02
1,18
0,62
0,50
0,79
1,00
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Alimentari, bevande e tabacco
Tessili e maglieria
Abbigliamento
Pelli, cuoio, calzature e pelletteria
Legno e prodotti in legno
Carta, derivati, stampa e editoria
Derivati del petrolio e altri combustibili
Prodotti chimici, fibre sintetiche e artif.
Articoli in gomma e materie plastiche
Lavorazione dei minerali non metalliferi
Metallo e prodotti derivati
Macchine e apparecchi meccanici
Macchine e apparecch. elettriche e ottiche
Autoveicoli e componentistica auto
Altri mezzi di trasporto
Mobili e altre industrie manifatturiere
Energia, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di telecomunicazione e di informatica
Altri servizi professionali
TOTALE
Dall’esame comparato dei dati, si può concludere che la performance aggregata di internazionalizzazione in uscita della regione sia da ascrivere ad effetti combinati, in cui tuttavia
prevale la performance di alcuni peculiari settori, piuttosto che la “composizione industriale”.
La regione infatti ha scarse presenze in numerosi settori ad alta vocazione di internazionalizzazione produttiva, quali prodotti elettrici ed elettronici, autoveicoli, derivati del
petrolio, servizi di telecomunicazione e di informatica; al tempo stesso, la maggior parte dei
settori di specializzazione presenta tassi di internazionalizzazione inferiori o al più allineati alla
media nazionale. Tra i casi più eclatanti il tessile (indice di specializzazione 2,47; grado di
internazionalizzazione 5,7% contro il 18,5% nazionale); pelletteria e cuoio (indice di specializzazione 4,02; grado di internazionalizzazione 5,4% contro il 15,2% nazionale); la lavorazione
dei minerali non metalliferi (indice di specializzazione 1,30; grado di internazionalizzazione
13,5% contro il 39% nazionale). Tutti questi settori presentano performance di
30
internazionalizzazione superiori alla media a livello nazionale ma nettamente inferiore in
Toscana, contribuendo in misura significativa, data la loro consistenza, a ridurre la media
generale della regione.
Tra i settori di specializzazione della Toscana, solo l’abbigliamento, la carta, la chimica e la
lavorazione dei metalli mostrano performance di internazionalizzazione superiori al grado di
internazionalizzazione attiva medio dell’Italia e allineate o non molto inferiori (è il caso della
carta) a quelle dei rispettivi settori in ambito nazionale e sostengono dunque in misura
significativa le performance di internazionalizzazione della Toscana.
Negativa anche la performance del commercio all’ingrosso (grado di internazionalizzazione
pari a 7,2 contro una media nazionale di 14): ciò testimonia di una bassa propensione delle
imprese regionali a seguire entrambe le vie dell’internazionalizzazione tramite investimenti
diretti all’estero, sia quella “pesante”, con filiali di produzione, sia quella “leggera”, con filiali
commerciali e di servizio all’estero.
La ripartizione geografica delle attività partecipate all’estero (Tab. 23) evidenzia una forte
concentrazione delle partecipazioni estere delle imprese toscane e fiorentine in Europa; in
entrambi i casi circa i 2/3 dei dipendenti delle partecipate estere operano nel Vecchio
continente, ma con una diversa ripartizione tra Europa occidentale (oltre il 60% per Firenze,
45% circa per la Toscana) ed orientale (10,5% per Firenze, 23,4% per la Toscana). Riguardo ai
principali paesi dell’Europa occidentale, cresce il peso di Germania, Francia, Svezia e della
penisola iberica, mentre si riduce quello del Regno Unito; in Europa orientale emerge una netta
preferenza da parte delle imprese toscane per la direttrice Romania-Ucraina-Bulgaria, a scapito
soprattutto di quella più settentrionale verso Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Russia, a
segnalare un maggiore interesse nell’area verso i paesi a più basso costo del lavoro rispetto a
quelli con maggiori opportunità prospettiche di sbocchi di mercato. Superiore alla media
nazionale la quota del nord Africa, dove sono state delocalizzate alcune attività prevalentemente
del tessile-abbigliamento. Nel complesso assai modesta la presenza diretta delle imprese toscane
in Asia e nelle Americhe, presidiate prevalentemente attraverso filiali commerciali e non con
attività produttive.
Tabella 23
RIPARTIZIONE % DELLE PARTECIPAZIONI ALL’ESTERO PER AREA GEOGRAFICA, AL 1.1.2005
Provincia di Firenze
Imprese
Dipendenti
Unione Europea
38,7
Europa Centro-Orientale
16,2
Altri paesi europei
4,5
Africa settentrionale
4,5
Altri paesi africani
0,5
America settentrionale
13,4
America centrale e meridionale
7,3
Medio Oriente
0,0
Asia centrale
1,4
Asia orientale
12,4
Oceania
1,2
TOTALE
100,0
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
56,8
10,5
4,2
13,8
<0,1
3,7
4,0
0,0
0,1
6,7
0,2
100,0
Imprese
Toscana
Dipendenti
35,5
21,4
3,7
7,3
1,1
11,2
5,8
0,9
1,3
10,7
1,1
100,0
41,2
23,4
4,1
14,6
0,4
3,9
4,0
0,2
0,4
7,8
0,2
100,0
Imprese
41,1
17,9
3,6
4,2
1,4
11,3
8,3
1,0
1,5
8,3
1,2
100,0
ITALIA
Dipendenti
36,5
19,7
4,6
5,2
1,7
8,2
13,0
0,5
1,8
7,7
1,1
100,0
Nel complesso, il profilo geografico delle attività estere non evidenzia per la provincia di
Firenze l’agire di fenomeni di delocalizzazione (intesa come il trasferimento di attività produttive finalizzato alla mera riduzione dei costi di produzione, in particolare del costo del
lavoro) di entità preoccupante. L’incidenza complessiva delle aree dove prevalentemente le
31
imprese italiane hanno delocalizzato le loro negli ultimi anni tramite investimenti diretti (Europa
orientale e Nord Africa) si attesta al 24,3% per la provincia di Firenze, contro il 24,9% medio
nazionale. Anche il dato regionale (38%) non deve destare particolare preoccupazione, alla luce
della forte specializzazione dell’economia toscana nei settori tradizionali (in particolare tessile,
abbigliamento, cuoio e calzature), per loro stessa natura più propensi di altri (ad es. meccanica,
chimica, ecc.) a combinare le caratteristiche di stile e design tipiche del made in Italy con la
inevitabile ricerca di vantaggi di costo all’estero per rimanere competitivi di fronte alla
concorrenza dei paesi emergenti.
Preoccupa piuttosto la mancanza di globalità che caratterizza le partecipazioni all’estero
delle imprese fiorentine e toscane, le cui attività internazionali sono quasi esclusivamente
limitate all’Europa e al bacino del Mediterraneo.
3.4
Le caratteristiche strutturali dell’internazionalizzazione passiva
La tabella 24 illustra la ripartizione settoriale delle partecipazioni estere in provincia di Firenze
all’inizio del 2005, evidenziando una assai marcata concentrazione delle attività partecipate
dall’estero nel settore manifatturiero: 125 imprese partecipate, con 22.171 dipendenti e un
fatturato 2004 di 8,27 miliardi di euro. Di particolare rilievo il ruolo della filiera chimica e della
meccanica (macchine e apparecchi meccanici), settori che congiuntamente contano quasi 12mila
dipendenti in imprese partecipate dall’estero.
Tabella 24
LE IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005
Imprese a partecipazione
Dipendenti delle imprese a
estera (N.)
partecipazione estera (N.)
Prov. di Firenze
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA
Industria estrattiva
0
3
0
Industria manifatturiera
37
125
9.625
Alimentari, bevande e tabacco
1
6
120
Tessile e maglieria
0
4
0
Abbigliamento
2
2
237
Pelli, cuoio, calzature e pelletteria
7
12
834
Legno e prodotti in legno
0
0
0
Carta, derivati, stampa e editoria
1
8
6
Derivati del petrolio
1
2
100
Chimica, farmaceutica, fibre sint.
6
22
2.516
Prodotti in gomma e plastica
0
4
0
Prodotti dei minerali non metalliferi
2
12
213
Metallo e prodotti derivati
1
7
37
Macchine e apparecchi meccanici
4
20
3.652
Prodotti elettrici ed ottici
5
11
469
Autoveicoli e componentistica auto
4
8
1.178
Altri mezzi di trasporto
3
5
263
Mobili e altre industrie manifatt.
0
2
0
Energia, gas e acqua
1
7
431
Costruzioni
2
12
91
Commercio all'ingrosso
60
114
2.063
Logistica e trasporti
4
16
51
Servizi di telecom. e di informatica
1
9
7
Altri servizi professionali
15
22
1.121
TOTALE
120
308
13.389
Incidenza % su totale Italia
1,7
4,3
1,5
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
147
22.171
642
150
237
1.120
0
1.735
136
5.601
437
1.064
1.320
5.545
1.366
2.320
453
45
789
214
3.013
590
298
1.361
28.583
3,1
Fatturato delle imprese a
partecipazione estera (N.)
Prov. di Firenze
TOSCANA
0
4.283
53
0
50
423
0
1
48
1.007
0
29
6
2.090
96
420
59
0
67
12
1.016
41
1
542
5.961
1,6
65
8.270
244
49
50
512
0
630
49
2.142
106
243
554
2.565
266
752
104
6
116
33
1.549
233
34
580
10.881
2,8
In particolare, nella filiera chimica operano 22 imprese partecipate dall’estero, con oltre
5.600 dipendenti; tra le presenze di maggiore spicco si segnalano quelle di Eli Lilly, Chiron e
32
Boehringer Ingelheim nella farmaceutica, Solvay nella chimica di base, Tioxide nella chimica
specialty, di Lafarge Paints (Baldini) nelle vernici e dell’olandese Bolton (Società ItaloBritannica Manetti-Roberts) nei prodotti chimici di consumo.
Nel settore meccanico le imprese partecipate dall’estero sono 20, con oltre 5.500 dipendenti;
su tutte spicca ovviamente il Nuovo Pignone, acquisito nel 1994 da General Electric e divenuta
capofila del gruppo americano nel settore delle turbine a gas; meritano di essere segnalate anche
Fabio Perini (macchine per l’industria cartaria, acquisita dalla tedesca Korber nel 1993), Sta
Rite (ex Nocchi Pompe, entrata sempre nel 1993 a far parte del gruppo statunitense Wicor) e
Leder Pumps (acquisita nel 1998 dalla danese Grundfos).
Le presenze estere assumono un certo rilievo anche nel settore degli autoveicoli e dei relativi
componenti, grazie alle iniziative che hanno interessato il distretto della Val d’Elsa specializzato
nella produzione di motorhomes e roulottes (Trigano e Laika, alle quali si è aggiunta nel 2004
Rimor) e alle attività della tedesca Siemens e della britannica GKN nel comparto della
componentistica.
Destinato a crescere in misura significativa la presenza estera nel settore della lavorazione
dei metalli, dopo l’acquisizione avvenuta all’inizio del 2005 del gruppo Lucchini da parte della
russa Silverstal, che va ad aggiungersi alla ormai consolidata presenza di Arcelor (ex Usinor) ne
La Magona d’Italia. Lo stesso per il comparto dei prodotti elettrici, in virtù dell’accordo tra
Finmeccanica e la britannica BAE Systems che ha condotto nel corso del 2005 alla costituzione
della holding Selex Sensors and Airborne Systems SpA (75% Finmeccanica e 25% BAE
System), cui è stato conferito il controllo di Galileo Avionica.
Infine, tra le imprese manifatturiere a partecipazione estera meritano una citazione almeno
Kappa Packaging (carta), Magnetek (elettromeccanica), Gucci (pelletteria), Saint-Gobain Glass
Italia e Schott Italvetro (vetro) e Banfi (vino).
Ove si eccettui il settore del commercio all’ingrosso, che vanta oltre 5.100 addetti in 189
imprese a partecipazione estera, nessun altro dei grandi comparti considerati (industria
estrattiva, utilities, costruzioni, logistica e trasporti, software e telecomunicazioni, altri servizi
professionali) riesce a raggiungere la soglia dei 1.000 dipendenti nelle imprese a partecipazione
estera.
Tra le imprese a partecipazione estera con sede in Toscana operanti in questi comparti si
segnalano le seguenti:
– nel settore estrattivo, Imerys Materiali (estrazione di caolina e granulati di marmo), filiale
dell’omonimo gruppo francese nato nel 1999 dall’integrazione delle attività della britannica
English China Clays nella transalpina Imetal;
– nel settore delle utilities, le attività dei gruppi francesi Suez (Acque Toscane, partecipazione
di minoranza in Acque), Vivendi (partecipazione in Geal) e Bouygues (Lunigiana Acque)
– nel settore delle costruzioni, varie imprese controllate o partecipate da Ceam (a sua volta
controllata dal gruppo statunitense United Technologies) attive nell’installazione e
manutenzione di ascensori ed elevatori;
– nella logistica, il Terminal Darsena Toscana, partecipato dal gruppo tedesco Eurokai;
– nel software, Infogroup Informatica e Servizi, partecipata dalla francese Segin, e Obi
Systemzentrale, che svolge le attività di elaborazione dati per le altre imprese del gruppo
tedesco Tengelmann, attive nel settore della grande distribuzione.
La ripartizione settoriale delle attività a partecipazione estera in provincia di Firenze riflette
sostanzialmente quella della Toscana; assumono maggior peso le filiali commerciali, mentre si
riduce il ruolo dell’industria mineraria, della lavorazione dei minerali non metalliferi e del
settore metallurgico, nei quali le attività di maggior rilievo sono localizzate in altre provincie
della regione.
33
Anche per l’internazionalizzazione in entrata è utile discutere come gli orientamenti settoriali
incidano sulla negativa performance di internazionalizzazione della regione, espressa, come
sottolineato in precedenza, da un grado di internazionalizzazione nettamente inferiore alla media
nazionale (Tab. 25).
Tabella 25
GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE PASSIVA E INDICE DI SPECIALIZZAZIONE DELLA TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005
Grado di internazionalizzazione passiva (a)
TOTALE
Partecipazioni di controllo
Toscana
ITALIA
Toscana
ITALIA
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Alimentari, bevande e tabacco
Tessili e maglieria
Abbigliamento
Pelli, cuoio, calzature e pelletteria
Legno e prodotti in legno
Carta, derivati, stampa e editoria
Derivati del petrolio e altri combustibili
Prodotti chimici, fibre sintetiche e artif.
Articoli in gomma e materie plastiche
Lavorazione dei minerali non metalliferi
Metallo e prodotti derivati
Macchine e apparecchi meccanici
Macchine e apparecch. elettriche e ottiche
Autoveicoli e componentistica auto
Altri mezzi di trasporto
Mobili e altre industrie manifatturiere
Energia, gas e acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di telecomunicazione e di informatica
Altri servizi professionali
TOTALE
6,1
4,2
6,1
4,2
8,0
14,7
7,6
12,4
4,1
10,7
1,4
10,2
0,4
2,5
0,4
1,9
1,2
1,6
1,2
1,4
2,7
2,4
2,4
2,1
0,0
0,2
0,0
0,1
11,1
12,7
10,6
9,9
39,0
28,6
28,7
24,8
44,8
50,8
43,6
49,3
5,0
19,3
5,0
18,6
6,5
11,7
5,3
10,6
4,8
7,6
4,4
6,6
25,1
18,8
24,9
17,6
9,8
25,7
9,8
20,6
60,3
44,3
60,3
20,2
5,7
16,0
5,7
15,0
0,2
3,2
0,2
3,0
16,0
8,7
5,6
3,5
0,4
1,2
0,4
1,2
5,6
14,0
5,3
13,6
1,9
6,1
0,6
5,2
2,8
22,4
2,6
20,7
3,2
6,5
3,0
6,1
6,0
11,6
5,5
10,0
Dipendenti delle imprese a partecipazione estera
(a) Grado di internazionalizzazione passiva =
Dipendenti delle imprese domestiche
Quota della Toscana sul numero totale di dipendenti in un settore
(b) Indice di specializzazione settoriale =
Quota della Toscana sul numero totae di dipendenti in Italia
Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE
Indice di
specializzazione
della Toscana (a)
1,34
1,14
0,77
2,47
1,42
4,02
1,10
1,25
0,24
1,06
0,75
1,30
0,68
0,69
0,61
0,38
1,51
1,68
0,66
1,02
1,18
0,62
0,50
0,79
1,00
A differenza di quanto rilevato sul lato dell’uscita, su tale performance sembra incidere più
l’effetto “composizione” che la negativa performance di taluni specifici settori, in quanto non si
rilevano per la Toscana, a parità di settori, gradi di internazionalizzazione sistematicamente
inferiori a quelli nazionali. I settori dell’industria manifatturiera a più alta vocazione intrinseca
di internazionalizzazione (attiva e dunque anche passiva) sono infatti come ricordato per lo più
sottorappresentati nella regione, mentre risultano per lo più specielizzati i settori a bassa
vocazione intrinseca di internazionalizzazione (tessili e maglieria, abbigliamento, pelletteria e
cuoio, legno).
Al di fuori dell’industria manifatturiera, merita di essere sottolineata la negativa performance
dei servizi di telecomunicazione e di informatica (grado di internazionalizzazione attiva 2,8%
contro il 22,4% nazionale, peraltro determinato in via quasi esclusiva dalle attività internazionali
di Telecom Italia) e soprattutto del commercio all'ingrosso (indice di specializzazione 1,18;
grado di internazionalizzazione 5,6% contro il 14% nazionale), a denotare una specifica bassa
capacità di attrazione di IMN anche in termini di filiali distributive.
34
La composizione settoriale ha un ruolo importante nello spiegare la collocazione della regione rispetto alla media nazionale. Un grado di internazionalizzazione inferiore a quello medio
nazionale può essere alternativamente spiegato, ai due estremi, o da una composizione delle
attività economica sbilanciata verso settori intrinsecamente meno aperti alle opportunità di
investimento dall’estero via investimenti diretti, o, a parità di composizione settoriale media, da
una performance particolarmente modesta rispetto alla media di taluni peculiari settori.
Naturalmente, si potranno nella realtà riscontrare possibili combinazioni tra queste due
configurazioni estreme.
Per chiarire questi aspetti, la tabella 25 raccoglie e compara, per ciascun settore di attività, il
grado di internazionalizzazione passiva della Toscana e dell’Italia, nonché il grado di specializzazione settoriale della regione, misurato da un semplice indicatore (si veda la legenda in
tabella), che assume valore tanto più superiore (inferiore) all’unità, quanto più il singolo settore
è sovrarappresentato (sottorappresentato) nella regione.
Sulla performance della Toscana sembra incidere più l’effetto “composizione” che la
negativa performance di taluni specifici settori, in quanto non si rilevano per la Toscana, a parità
di settori, gradi di internazionalizzazione sistematicamente inferiori a quelli nazionali. La
regione infatti ha scarse presenze in numerosi settori ad alta vocazione di internazionalizzazione
produttiva, quali elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi, autoveicoli, derivati del
petrolio, strumentazione; al tempo stesso, la maggior parte dei settori di specializzazione
presenta tassi di internazionalizzazione inferiori o al più allineati alla media nazionale. I settori
dell’industria manifatturiera a più alta vocazione intrinseca di internazionalizzazione (attiva e
dunque anche passiva) sono infatti, come già ricordato, per lo più sottorappresentati nella
regione (elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi, autoveicoli, derivati del petrolio,
prodotti chimici, tabacco), mentre i settori di marcata specializzazione della regione sono
generalmente caratterizzati da bassa vocazione intrinseca di internazionalizzazione (tessili e
maglieria, abbigliamento, pelletteria e cuoio, legno).
Al di fuori dell’industria manifatturiera, merita di essere sottolineata la negativa performance
dei servizi di informatica e telecomunicazioni (grado di internazionalizzazione attiva 5,5%
contro il 23,4% nazionale, peraltro determinato in via quasi esclusiva dalle attività internazionali
di Telecom Italia e Tiscali) e soprattutto del commercio all'ingrosso (indice di specializzazione
1,18; grado di internazionalizzazione 6,0 contro il 14,9 nazionale), a denotare una specifica
bassa capacità di attrazione di IMN anche in termini di filiali distributive.
Le tabelle 26 e 27 illustrano la ripartizione delle principali variabili relative alle partecipazioni estere in provincia di Firenze e in Toscana in relazione alla provenienza geografica degli
investitori.
La ripartizione delle partecipazioni estere per origine della casa-madre rispecchia
sostanzialmente la situazione che si presenta a livello nazionale, perlomeno a livello di macroaree, con la netta prevalenza dei paesi della Triade (Europa, Nord America e Giappone). Alle
IMN che originano dagli altri paesi dell’Unione Europea compete il 65,8% delle imprese a
partecipazione estera con sede in provincia di Firenze, il 56,6% dei loro dipendenti e il 47,1%
del fatturato; includendo gli investitori provenienti dagli altri paesi europei, le quote del
Vecchio Continente salgono rispettivamente a 70%, 57,1% e 47,9%. Alle IMN nordamericane
spetta il 20,8% delle imprese, il 40,6% dei dipendenti e il 49,3% del volume d’affari, mentre le
quote del Giappone sono pari rispettivamente al 4,2%, 1,7% e 2,5%. Il contributo
dell’eterogeneo insieme residuale di paesi (resto dell’Asia, America Latina, Oceania ed Africa)
è dunque complessivamente limitato e pari al 4,2% delle imprese, allo 0,6% dei dipendenti e
allo 0,9% del fatturato.
35
Tabella 26
IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER ORIGINE GEOGRAFICA DEGLI INVESTITORI
ESTERI
Imprese a partecipazione
Dipendenti delle imprese a
estera (N.)
partecipazione estera (N.)
Prov. Di Firenze
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA
Unione Europea
79
201
7.572
Belgio
1
10
3
Francia
32
65
4.060
Germania
16
42
1.786
Gran Bretagna
12
28
996
Lussemburgo
1
4
5
Paesi Bassi
6
15
502
Svezia
1
10
38
Europa Centro-Orientale
1
1
3
Altri paesi europei
5
12
68
Svizzera
5
11
68
Africa
0
1
0
America settentrionale
25
75
5.439
Stati Uniti
25
75
5.439
America centrale e meridionale
2
2
23
Asia
8
16
284
Giappone
5
10
230
Oceania
0
0
0
TOTALE
120
308
13.389
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
18.193
1.274
5.982
4.316
1.970
1.123
1.329
1.304
3
204
197
7
9.312
9.312
23
841
703
0
28.583
Fatturato delle imprese a
partecipazione estera (N.)
Prov. di Firenze
TOSCANA
2.826
4
1.625
614
253
10
262
5
1
30
30
0
2.937
2.937
42
124
90
0
5.961
6.595
593
2.247
1.352
527
625
488
503
1
55
49
3
3.940
3.940
42
243
192
0
10.881
Tabella 27
IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER ORIGINE GEOGRAFICA DEGLI INVESTITORI
ESTERI
Incidenze % sul totale
Imprese a partecipazione
Dipendenti delle imprese a
estera (N.)
partecipazione estera (N.)
Prov. di Firenze
TOSCANA Prov. di Firenze
TOSCANA
Unione Europea
65,8
65,3
56,6
Belgio
0,8
3,2
0,0
Francia
26,7
21,1
30,3
Germania
13,3
13,6
13,3
Gran Bretagna
10,0
9,1
7,4
Lussemburgo
0,8
1,3
0,0
Paesi Bassi
5,0
4,9
3,7
Svezia
0,8
3,2
0,3
Europa Centro-Orientale
0,8
0,3
0,0
Altri paesi europei
4,2
3,9
0,5
Svizzera
4,2
3,6
0,5
Africa
0,0
0,3
0,0
America settentrionale
20,8
24,4
40,6
Stati Uniti
20,8
24,4
40,6
America centrale e meridionale
1,7
0,6
0,2
Asia
6,7
5,2
2,1
Giappone
4,2
3,2
1,7
Oceania
0,0
0,0
0,0
TOTALE
100,0
100,0
100,0
(a) %
Incidenza della provincia di Firenze (Toscana) sul totale nazionale nel settore
Incidenza complessiva della provincia di Firenze (Toscana) sul totale nazionale
Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE
63,6
4,5
20,9
15,1
6,9
3,9
4,6
4,6
0,0
0,7
0,7
0,0
32,6
32,6
0,1
2,9
2,5
0,0
100,0
Fatturato delle imprese a
partecipazione estera (N.)
Prov. di Firenze
TOSCANA
47,4
0,1
27,3
10,3
4,2
0,2
4,4
0,1
0,0
0,5
0,5
0,0
49,3
49,3
0,7
2,1
1,5
0,0
100,0
60,6
5,5
20,7
12,4
4,8
5,7
4,5
4,6
0,0
0,5
0,5
0,0
36,2
36,2
0,4
2,2
1,8
0,0
100,0
Gli USA rappresentano il principale paese investitore in relazione alla consistenza delle
attività partecipate in provincia di Firenze (così come in Toscana e in Italia): le 25 imprese a
partecipazione statunitense in provincia di Firenze occupano oltre 9.300 dipendenti e il loro giro
36
d’affari nel 2004 ha superato i 2,8 miliardi di euro. In regione le imprese partecipate da IMN
americane sono 75, con oltre 9.300 dipendenti e un giro d’affari di poco inferiore ai 4 miliardi di
euro.
Al secondo posto tra i paesi investitori in provincia di Firenze in funzione del numero di dipendenti delle imprese partecipate è la Francia, con oltre 4mila dipendenti (quasi 6mila in
Toscana), seguita a notevole distanza da Germania (circa 1.800 a Firenze e oltre 4.300 in
Toscana), Gran Bretagna (circa mille a Firenze e 2mila in Toscana) e Paesi Bassi (500 a Firenze
e oltre 1.300 in Toscana). Superano quota 1.000 dipendenti in Regione anche Belgio, Svezia e
Lussemburgo.
37
38
4.
CONCLUSIONI
Schematicamente, le principali indicazioni scaturite dalle analisi condotte nel rapporto possono
essere così sintetizzate come segue.
Sul lato della multinazionalizzazione in uscita, il grado di internazionalizzazione attiva della
Toscana, misurato dall’incidenza dei dipendenti all’estero rispetto al totale dei dipendenti delle
imprese non a controllo estero, è sensibilmente inferiore alla media nazionale. Dettagliando
l’analisi a livello settoriale si osserva che tutti gli aggregati settoriali considerati presentano
gradi di internazionalizzazione alquanto inferiori ai corrispondenti dati nazionali, testimoniando
una insufficiente propensione delle imprese della regione a seguire la via dell’internazionalizzazione, sia produttiva, sia “leggera”, con filiali commerciali e di servizio all’estero.
Particolarmente modesta appare la performance dei settori non industriali: utilities, costruzioni,
servizi alle imprese.
Riguardo all’industria manifatturiera, la performance aggregata di internazionalizzazione in
uscita della regione deve però essere ascritta ad effetti combinati, in quanto la negativa
performance di peculiari settori si accompagna ad una “sfavorevole” composizione industriale.
Scarso peso hanno infatti nell’industria regionale numerosi settori ad alta vocazione di
internazionalizzazione produttiva, quali elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi,
autoveicoli e derivati del petrolio, prodotti chimici, carta. Viceversa, tra i settori nei quali la
Toscana vanta elevata specializzazione regionale, ben pochi -segnatamente la chimica e la
lavorazione dei metalli- presentano tassi di internazionalizzazione più elevati della media
nazionale; gli altri mostrano invece performance di internazionalizzazione attiva simili (e
talvolta inferiori) sia alle medie nazionali di settore, sia al grado medio generale di
internazionalizzazione del paese, contribuendo in tal modo, grazie alla loro consistenza locale,
ad abbassare la media generale della regione.
La composizione settoriale e geografica delle iniziative delle imprese Toscane in generale e
fiorentine in particolare non dà supporto ai timori da più parti avanzati del pericolo di
generalizzata “fuga” dalle imprese locali, spinte ad investire all’estero per delocalizzare in paesi
a più basso costo del lavoro le proprie attività produttive. Sembra più concreta invece la
preoccupazione circa la capacità delle imprese fiorentine e toscane (ma più in generale, italiane)
di inserirsi nei vasti processi di integrazione internazionale che caratterizzano l’economia
mondiale, pena un serio rischio di essere emarginati come produttori e player sul mercato
globale, a opera sia dei paesi europei, verso cui la leva del cambio debole della lira non vale più
dopo l’entrata nell’euro, sia dei numerosi e agguerriti nuovi competitori del “Sud del mondo”,
caratterizzati da più bassi costi del lavoro, ma anche da forte capacità di assorbimento delle
tecnologie e delle competenze. In particolare, la debolezza come investitori all’estero appare
marcata proprio nei settori a più rapida crescita e a più alta elasticità al reddito della domanda,
caratterizzati da forti economie di scala e/o ad alto tasso di innovazione tecnologica, con
funzioni di produzione che incorporano in misura crescente beni immateriali, quali conoscenze,
organizzazione, servizi avanzati.
Un altro e forse più importante aspetto merita di essere sottolineato. La delocalizzazione di
talune attività della catena del valore verso paesi a più basso costo del lavoro non deve essere
giocoforza considerata una “fuga dall’Italia”, in quanto -se inserita in una strategia coerentepuò costituire un momento essenziale di ristrutturazione competitiva dell’impresa in risposta ai
mutamenti in atto del contesto internazionale. Ciò avviene quando la proiezione internazionale
39
della catena del valore dal lato delle fasi produttive si accompagna al riposizionamento
dell’impresa verso produzioni a maggiore contenuto qualitativo e fasce di mercato più remunerative e meno esposte alla pressione competitiva dei paesi emergenti. Questo “sentiero
virtuoso” è ravvisabile ad esempio nel cammino intrapreso negli anni scorsi da molte imprese del
sistema tessile-abbigliamento-calzature, che hanno dovuto fronteggiare la crescita impetuosa dei
paesi di nuova industrializzazione e l’evoluzione dei rapporti domanda/offerta verso il modello
del “pronto moda”. L’esempio forse più emblematico, per la Toscana, è rappresentato dal
distretto di Prato, dove nella seconda metà degli anni ottanta una forte crisi aveva determinato
una drastica contrazione del numero di imprese. Le imprese sopravvissute hanno reagito
implementando strategie articolate che prevedevano la delocalizzazione di alcune attività del
ciclo produttivo, il significativo ampliamento del mix produttivo (articoli in lana pettinata, cotone, viscosa, lino e seta rispetto alla precedente prevalenza della lana cardata), il forte
investimento nei processi di qualità e il riposizionamento dell’offerta nei segmenti medio-alti
del mercato.
Questo spiega perché gli studi sinora condotti sul fenomeno delocalizzativo non abbiano
rilevato una riduzione di competitività della produzione nazionale, quanto piuttosto un
riposizionamento nella divisione internazionale del lavoro e una spinta verso processi di
riaggiustamento industriale. Ad esempio, le analisi sui mercati del lavoro condotte in alcuni dei
distretti industriali maggiormente esposti ai fenomeni di delocalizzazione hanno messo in
evidenza come gli effetti occupazionali siano stati complessivamente limitati, grazie alla
notevole capacità di assorbimento dell’offerta di lavoro (si veda ad esempio Mariotti et al.,
2004). Ciò è dovuto ai cambiamenti intervenuti nelle economie locali, in termini sia di sviluppo
delle funzioni critiche delle catene del valore presidiate localmente e di riposizionamento
strategico su fasce di mercato meno esposte alla concorrenza di prezzo, sia di diversificazione
produttiva (in particolare, con la crescita dei servizi e dei diversi comparti della meccanica
strumentale).
In altri termini, conquista dei mercati e accesso alle risorse tramite la delocalizzazione di
talune attività della catena del valore debbono rappresentare momenti di un’unica strategia
“globale” di affermazione e consolidamento del vantaggio competitivo, volta a conseguire un
assetto efficiente dell’impresa lungo l’intera catena del valore: maggiore efficienza nell’accesso
alle risorse, tramite la scomposizione/frammentazione internazionale del ciclo produttivo; più
efficace presidio strategico degli sbocchi finali; maggiore capacità di risposta ai cambiamenti
locali, tramite la superiore capacità di mobilitazione internazionale delle risorse; progressivo
spostamento verso le fasce del mercato più ricche e meno esposte alla concorrenza
internazionale che basa la propria strategia competitiva principalmente sui prezzi.
A fronte di questo stato dell’arte, va sottolineato con forza che non vi è alternativa alla via
dell’internazionalizzazione. Se le nostre imprese -grandi e piccole- non vogliono lentamente scivolare sui mercati internazionali in una dimensione complementare ad altre imprese leader,
subordinata ai main contractors e ai clienti più forti e, in definitiva, più esposta al rischio e
all’instabilità, debbono investire risorse finanziarie e umane per costruire reti mutinazionali
stabili, in grado di assicurare una presenza diretta e legami solidi con il mercato. Le opportunità
non mancano, in un mondo che si apre, abbatte barriere e sollecita ovunque investimenti
internazionali, ma il nostro sistema produttivo riesce oggi a sfruttarle in modo limitato.
Anche sul lato degli investimenti esteri in entrata, la Toscana mostra un grado di
internazionalizzazione (misurato dall’incidenza dei dipendenti delle imprese a partecipazione
estera sui dipendenti delle imprese residenti) inferiore a quello medio nazionale sia a livello
complessivo, sia per tutti i settori aggregati (con l’unica eccezione dell’industria estrattiva,
peraltro poco significativa data la limitata entità dei valori assoluti in gioco). Tale situazione è
40
peraltro determinata più dalla specifica specializzazione settoriale della regione, fortemente
caratterizzata dalla presenza di PMI operanti in attività a bassa vocazione specifica di
internazionalizzazione (industria “leggera”, settori del made in Italy), che non ad una negativa
performance di specifici settori. Non di meno, infatti, la presenza delle IMN appare
particolarmente qualificata in alcuni settori ad elevata vocazione di internazionalizzazione
(chimica, farmaceutica, componentistica auto, meccanica strumentale). L’analisi della dinamica
di breve e di lungo periodo evidenza peraltro una crescita più sostenuta per la Toscana rispetto
alla media nazionale sia in uscita e dunque un parziale recupero negli ultimi anni del gap di
internazionalizzazione rispetto alla media nazionale.
Non sembra dunque mancare lo spazio per azioni di politica industriale volte ad incoraggiare
gli investimenti dall’estero, con particolare riguardo sia ai settori ad elevata vocazione
multinazionale nei quali la Toscana può vantare punti di eccellenza in ambito industriale e
nell’ambito delle attività di R&S -in particolare farmaceutica, chimica fine, biotecnologie, ICT-,
sia ai settori dei servizi e delle filiali commerciali, nei quali la presenza estera nella regione è
allo stato attuale affatto modesta e dove assai ampi appaiono di conseguenza gli spazi
disponibili. Spazi di intervento si possono configurare anche nei settori manifatturieri di elevata
specializzazione della Toscana, per lo più a medio-bassa vocazione multinazionale, ma nei quali
le performance della regione sono inferiori a quelle nazionali.
Ai fini della loro efficacia, gli eventuali interventi di politica industriale dovranno tenere in
debito conto lo specifico posizionamento della regione nel mercato nazionale e mondiale. A
questo proposito, appare utile sottolineare come gli investimenti greenfield manifatturieri
tendano sempre più a localizzarsi in aree del mondo diverse dall’Occidente, mentre in
quest’ultimo si accentua la competizione tra paesi per attrarre attività di servizio, logistiche, di
R&S, di headquarter. In tutti i settori dell’internazionalizzazione produttiva, nei paesi
industrializzati il veicolo fondamentale degli IDE è sempre più rappresentato dalle acquisizioni
di imprese già esistenti, siano esse apportatrici alle IMN acquirenti di siti produttivi, di reti
distributive e di assistenza tecnica, quando non di assets intangibili (marchi, competenze,
reputazione, ecc.). Assai spesso, anche quando la IMN preveda consistenti piani di espansione
produttiva e commerciale in loco, l’azione di partenza è costituita dall’acquisizione di attività
locali, per accelerare i processi di insediamento, ridurne i rischi, accedere a risorse
complementari esclusive e/o a valenza country-specific. Deve dunque essere abbandonata la
visione secondo cui l’investimento greenfield rappresenta il canale privilegiato per apportare
valore all’economia ospite, in termini di contributo all’occupazione e allo sviluppo locale, pena
un approccio velleitario ed errato nei confronti dell’attrazione degli investimenti. Come
dimostrano ormai numerose ricerche, le performance delle imprese acquisite dalle IMN, in
termini di produttività e di incremento dell’occupazione, sono, ceteris paribus, spesso
significativamente superiori a quelle delle imprese locali, grazie alla superiore capacità delle
IMN di valorizzarne gli assets e di inserirle nei circuiti internazionali rilevanti.
Quanto osservato ha importanti implicazioni, se si tiene conto dei caratteri strutturali
dell’economia nazionale e in essa di quella regionale. In un quadro di assoluta rilevanza delle
cross-border M&As, deve essere enfatizzata l’importanza di un efficiente e vasto mercato
nazionale per il “corporate control”. Un sistema economico fondato sulle piccole imprese e sul
capitalismo familiare mostra al riguardo una chiara debolezza strutturale: scarsa visibilità delle
opportunità di investimento, limitata trasparenza, ridotta contendibilità delle imprese. Se a ciò si
aggiunge una specializzazione internazionale polarizzata su settori per natura intrinseca meno
propensi all’internazionalizzazione produttiva (e invece spesso assai propensi
all’internazionalizzazione commerciale), si identifica una componente importante del puzzle
interpretativo relativo al gap di internazionalizzazione in entrata in generale dell’Italia
41
(componente spesso sottovalutata, a favore di più generali e facili esercizi sull’inefficienza del
“sistema paese”) e nello specifico della Toscana. Il problema della crescita dell’impresa e
dell’affermarsi di mercati finanziari e di un capitalismo industriale evoluti secondo gli standard
internazionali è dunque parte essenziale della questione “attrattività”, sia a livello nazionale, sia
a livello regionale.
La politica verso le IMN deve inoltre sapersi modulare e articolare in ragione delle diverse
realtà economiche che compongono il sistema economico. Se in altre parti del paese appare
opportuno che gli sforzi per attrarre iniziative greenfield e/o di più larga scala debbano
indirizzarsi nelle aree a più bassa intensità di sviluppo e/o in crisi di ristrutturazione, anche ai
fini di un riequilibrio economico–territoriale, pur non trascurando i necessari sforzi in questa
direzione per la Toscana l’obiettivo prioritario può essere invece identificato nella necessità di
qualificare il tessuto economico locale con apporti selettivi ad alto contenuto di innovatività,
managerialità e modelli di business in grado di contribuire alla crescita delle imprese.
L’obiettivo si può conseguire attraendo iniziative anche di piccola taglia ma qualificate, con
l’apertura a partnership internazionali e con l’integrazione societaria delle imprese locali in
gruppi multinazionali.
42
APPENDICE – NOTE METODOLOGICHE
La metodologia di base e le fonti
Per la corretta interpretazione dei dati e delle analisi presenti in questo Rapporto si rende
indispensabile l’illustrazione della metodologia seguita per identificare le IMN investitrici e le
partecipazioni, anche alla luce della distinzione tra partecipazione diretta e di portafoglio. Date
le finalità della ricerca, i criteri si sono ispirati a principi di significatività economica, piuttosto
che di natura formale e giuridico-amministrativa. Essi vengono illustrati nei punti sottostanti.
1. La distinzione fra partecipazione diretta alla gestione dell’impresa e partecipazione
esclusivamente finanziaria è talvolta sottile. Non si è ritenuto opportuno assumere soglie
minime per la quota di partecipazione e/o per il valore assoluto dell’investimento in qualità
di discriminanti decisive, sebbene questi siano importanti ingredienti nella valutazione
complessiva. Nel caso di partecipazioni in gruppi finanziario–industriali con strutture
complesse, si è tenuto conto sia dell’architettura della partecipazione, sia del significato a
essa attribuito dalle parti coinvolte.
2. Coerentemente alla definizione di IMN e di IDE, non sono state considerate le
partecipazioni estere attivate da istituti finanziari. Tuttavia, si deve registrare l’esistenza di
forme intermedie che pongono problemi difficili da dirimere: è questo il caso delle
merchant banks che operano con una strategia industriale mirata, attraverso partecipazioni
di controllo in imprese appartenenti a selezionati settori industriali e intervenendo
direttamente nella loro gestione. Queste partecipazioni sono state incluse nell’analisi,
mentre sono state escluse, sia dal lato dell’uscita che da quello dell’entrata, le partecipazioni
(talora di controllo) assunte in imprese industriali da merchant banks nell’ambito di
operazioni di management buy-out e da fondi di investimento, qualora non vi sia da parte di
questi un intervento diretto nella gestione dell’impresa partecipata.
3. Nel giudicare le partecipazioni estere in entrata e in uscita, è stata indagata l’eventuale
catena di controlli successivi che configura forme di controllo indiretto, con l’obiettivo di
risalire all’anello finale, cioè al soggetto che controlla/partecipa nella società attraverso la
suddetta gerarchia di meccanismi azionari.
Nel caso di partecipazioni minoritarie, la catena viene generalmente interrotta al primo
anello, cioè alla prima e principale società cui è riferibile la partecipazione. Risultano
dunque escluse dall’analisi le eventuali società controllate in cascata dalla suddetta società
principale, poiché a esse non appare immediatamente e meccanicisticamente trasferibile la
partecipazione estera minoritaria nella società controllante. Dunque, per gli investimenti in
entrata, sono state in genere considerate a partecipazione estera le società controllate da
altre società italiane a loro volta controllate da IMN estere.
Talune eccezioni si possono riscontrare nel caso di partecipazioni di minoranza assunte in
holding finanziarie a capo di gruppi di imprese industriali e/o di servizio. Tali eccezioni
sono state gestite ancora una volta cercando di rispettare la significatività economica delle
partecipazioni, anche a scapito della coerenza formale dal punto di vista giuridicoamministrativo. Ad esempio, si è ritenuto ragionevole considerare partecipate da General
Motors Fiat Auto e le altre imprese italiane del settore auto del gruppo Fiat, nonostante in
realtà non vi sia stata in esse alcuna partecipazione diretta da parte dell’impresa americana,
che aveva infatti acquisito una partecipazione del 20% del capitale di una holding di diritto
olandese, Fiat Auto N.V. (poi dismessa nel corso del 2005), la quale a sua volta controllava
il 100% delle attività europee del settore automobilistico del gruppo torinese.
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4. Il nome e la nazionalità dell’IMN associati all’impresa italiana partecipata sono quelle
dell’impresa finale e non di eventuali società intermedie, le quali possono avere nazionalità
diversa (fenomeno non trascurabile, soprattutto a livello dei maggiori gruppi multinazionali). Viceversa, non sono state considerate a partecipazione estera le società italiane
controllate o partecipate da società finanziarie costituite all’estero da società a base italiana.
Ad esempio, sono considerate a tutti gli effetti italiane società e gruppi industriali quali
Pirelli, Ferrero, Carlo Gavazzi e numerosi altri, controllati o partecipati da holding
finanziarie di diritto straniero, ovvero le consociate italiane di gruppi industriali esteri a loro
volta controllati da imprese italiane. In modo del tutto simmetrico si è proceduto nel caso
delle partecipazioni in uscita. In particolare, le partecipazioni sono state sempre attribuite
alle effettive case–madri italiane, piuttosto che alle eventuali finanziarie appositamente
costituite all’estero per la gestione delle attività (come nel caso delle varie holding olandesi
del gruppo Fiat). Qualora l’investitore corrisponda a un gruppo variamente organizzato in
holding e sub–holding ne è stata rilevata la struttura, a partire dalla società operativa
direttamente impegnata nella gestione della partecipazione, per risalire alla holding di
controllo e giungendo, infine, alla società finanziaria che rappresenta gli interessi degli
azionisti di controllo.
5. Per discriminare tra partecipazioni di controllo e non, è stato fatto riferimento alla nozione
di controllo maggioritario (quota di partecipazione superiore al 50%), ovvero all’ufficiale
riconoscimento da parte degli interessati circa il conferimento all’azionista di maggioranza
relativa della responsabilità gestionale dell’impresa. Nei casi dubbi ci si è ricondotti
all’obiettività della quota di partecipazione.
6. Il giudizio circa l’origine geografica delle partecipazioni è stato dato tenendo conto del
luogo ove si sono svolte le attività che hanno originato il flusso delle risorse finanziarie a
disposizione dell’investitore. Al riguardo, le imprese partecipate da titolari/azionisti che, pur
conservando la cittadinanza estera, hanno storicamente iniziato la loro attività
imprenditoriale in Italia, ove continuano a essere localizzati in modo esclusivo o
preponderante gli assets industriali da essi posseduti, non sono state incluse nel repertorio
delle imprese partecipate dall’estero. Conseguentemente, eventuali (invero sporadiche)
attività estere da esse controllate sono state incluse nel repertorio delle imprese estere
partecipate dall’Italia. Sono state peraltro escluse dall’analisi le partecipazioni detenute in
imprese industriali estere da privati cittadini italiani, e reciprocamente le partecipazioni
detenute in imprese industriali italiane da cittadini esteri, quando tali titolari/azionisti non
abbiano mai avuto, ovvero abbiano abbandonato qualsiasi attività imprenditoriale nel
proprio paese di origine. Anche in questo caso, riferimenti a casi concreti aiutano a
delucidare il criterio adottato. Le attività del gruppo Sutter, di origine elvetica, sono
considerate a tutte gli effetti italiane, in quanto da tempo l’impresa italiana, nata nel 1910,
costituisce il baricentro del gruppo (la Sutter svizzera, fondata nel 1858, è stata ceduta al
gruppo Unilever nel 1976; la stessa impresa si definisce “una multinazionale italiana”). Al
conrario, le attività italiane del gruppo Rocca-Techint sono considerate a tutti gli effetti
estere, nonostante le origini italiane della famiglia Rocca, poiché la base industriale che ha
storicamente generato i flussi internazionali di investimento del gruppo suddetto è tuttora
localizzata in Argentina (Siderca-Techint).
7. Le partecipazioni estere da parte di imprese italiane attualmente controllate dall’estero sono
escluse dal repertorio delle partecipazioni italiane all’estero, anche nel caso di investimenti
storici effettuati dall’impresa italiana in unità tuttora formalmente gestite da essa nel quadro
della struttura organizzativa della nuova casamadre estera. Tale situazione interessa ad
esempio le partecipazioni estere di gruppi quali Martini & Rossi, ecc., ma anche IBM Italia,
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Electrolux Zanussi, ecc. Simmetricamente, le partecipazioni estere di imprese italiane in
passato controllate da gruppi esteri e attualmente a capitale italiano sono considerate a tutti
gli effetti partecipazioni estere in uscita a partire dal momento in cui la casa-madre è stata
acquisita da investitori italiani. Ad esempio, a partire dal 2003 il gruppo Piaggio è stato
nuovamente inserito tra le IMN a base italiana, in seguito alla sua acquisizione da parte
della finanziaria IMMSI, controllata da Roberto Colaninno.
8. L’anno di inizio della partecipazione (in entrata e in uscita) è quello del primo investiento.
Alle imprese che sono oggetto di successive transazioni “estero su estero”, per l’entrata, e
“Italia su Italia”, per l’uscita, sono perciò associate le date relative alla prima
partecipazione. Infine, nel caso di fusione tra due o più imprese a partecipazione estera alla
società risultante dalla fusione viene attribuito l’anno di partecipazione della società
incorporata a più antica partecipazione estera.
Alla luce dei criteri illustrati si è giunti alla predisposizione dei Repertori delle imprese
estere a partecipazione italiana e delle imprese italiane a partecipazione estera, i quali
costituiscono la struttura portante della banca dati Reprint. Essa è stata contestualmente
arricchita di ogni informazione economica rilevante disponibile sui soggetti identificati. Da tali
informazioni scaturiscono tutte le analisi presentate nel Rapporto. La banca dati è attualmente
aggiornata alla data del 1 gennaio 2005.
Alla base della predisposizione di Reprint vi è un lungo e sistematico lavoro di raccolta e di
verifica incrociata di notizie e dati provenienti da una pluralità di fonti, tutte di carattere parziale
(per singole imprese, per singoli paesi, per specifiche aree territoriali, per determinati settori di
attività, ecc.), con informazioni incomplete o non aggiornate, a volte reciprocamente
contraddittorie, quando non contrassegnate da errori. In particolare, sono stati utilizzati più
strumenti di rilevazione:
a) indagine diretta tramite questionari e consultazione su rete Internet di siti aziendali e altri
siti (Unioncamere, notizie stampa, ecc.);
b) rassegna della stampa economica, quotidiana e periodica, italiana e internazionale;
c) bilanci delle società quotate (italiane ed estere);
d) repertori ed elenchi di: Uffici esteri dell’ICE, Camere di Commercio italiane all’estero ed
estere in Italia, Ambasciate italiane e altri enti ufficiali esteri, Ambasciate e rappresentanze
estere in Italia, Agenzie per l’attrazione degli investimenti esteri, Associazioni industriali
italiane;
e) banche dati e repertori: Centrale dei Bilanci, Kompass Italia, “Principal International
Business. The World Marketing Directory”, “D&B europe”, “Business to Business” e “Who
Owns Whom” di Dun & Bradstreet, “Aida” e “Amadeus” del Bureau Van Dijk, Annuari
R&S, “Le principali società italiane” di Mediobanca, ecc.;
f) ricerche e studi ad hoc di varia origine a livello di settore, paese, area territoriale, ecc..
Le differenze rispetto alle analisi basate sugli IDE
Le differenze tra le analisi proposte in questo Rapporto e quelle basate sugli IDE vanno al di là
della semplice diversità tra le variabili rilevate (flussi e stock di investimenti internazionali nel
caso degli IDE, non censiti dalla presente indagine).
Generalmente parlando, la formazione di una IMN comporta flussi di IDE tra i paesi,
ovverosia investimenti esteri che, in armonia con la definizione dell’International Monetary
Fund (1977), comportano l’acquisizione del controllo o di interessi durevoli (minoritari o
paritari) in un’impresa, con qualche grado di coinvolgimento dell’investitore nella direzione e
nella gestione delle sue attività. Essi in tal modo vengono distinti dagli investimenti di
portafoglio, rivolti a partecipazioni di natura finanziaria e attuati da soggetti istituzionalmente o
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di fatto non interessati alla gestione dell’impresa. Tuttavia, solo una parte del capitale investito
nelle IMN è finanziato tramite movimenti registrati dalle bilance dei pagamenti, essendo
possibile reperire risorse finanziarie complementari sui mercati locali di insediamento. La
rilevazione diretta della presenza delle IMN e delle loro partecipazioni ha il pregio di
abbracciare l’intero campo delle iniziative, evitando possibili sottostime dei fenomeni di
internazionalizzazione delle strutture industriali.
In secondo luogo, i flussi e gli stock di IDE soffrono di significative distorsioni, con
particolare riguardo alla destinazione geografica, al settore di attività e persino alla loro
direzione14; le distorsioni derivano principalmente dal criterio utilizzato nelle rilevazioni
(immediate beneficiary), che non consente di controllare la destinazione finale degli IDE nel
caso essi transitino da un soggetto intermedio.
Nuovamente, la rilevazione diretta delle strutture proprietarie e delle logiche di investimento
mette rimedio a questo inconveniente, tale da inficiare le analisi, tanto più quanto più esse sono
condotte a livello disaggregato. Al contrario, la ricchezza e l’articolazione dei dati raccolti sulle
IMN consente analisi di dettaglio sulla struttura e sulla natura dei processi di
internazionalizzazione, che non sarebbero altrimenti possibili.
Infine, è importante sottolineare come la diversa natura delle rilevazioni renda difficile sia il
confronto, sia l’uso congiunto delle informazioni. I raffronti intertemporali tra IDE e altri
indicatori di formazione e di attività delle IMN sono complicati dalla loro diversa scansione
temporale, generalmente di difficile identificazione; il flusso degli investimenti ha distribuzioni
temporali diverse e più erratiche rispetto a quelle di altri indicatori di attività (produzione,
import-export, ecc.). Questa diversità rende conto del perché il confronto superficiale delle
evidenze prodotte dalle due fonti ingeneri talvolta contraddizioni apparentemente di difficile
spiegazione.
I limiti della banca dati
La discussione sui possibili limiti della rilevazione è principalmente da riferire alla questione
cruciale concernente il grado di copertura dell’universo.
Sul lato dell’internazionalizzazione attiva, il maggiore problema è dato dall’esplosione delle
iniziative delle PMI italiane verso l’estero, accompagnata dal “rumore” rappresentato dalle
molte iniziative annunciate che rimangono allo stadio della pure intenzione e dalla “area grigia”
costituita dal proliferare dell’imprenditorialità italiana all’estero. La sistematica verifica delle
informazioni implica grande profusione di tempo e complica il lavoro dei ricercatori. Tuttavia,
al di sopra della soglia di 2,5 milioni di euro di giro d’affari all’estero, si ritiene che alla
rilevazione possano essere sfuggite solo talune “multinazionali sommerse”, ovvero aggregati di
impresa regolati non da strutture proprietarie formali, ma da affiliazioni basate su rapporti
informali, non infrequentemente di natura familiare15. Diverso è il caso delle iniziative al di
sotto della soglia indicata, per le quali è stata esclusa a priori la possibilità di una
14
Un caso emblematico, segnalato anche dalla Relazione Annuale della Banca d’Italia (2000), chiarisce la gravità dei problemi.
All’inizio del 1999, le società di servizi di telecomunicazione Infostrada e Omnitel erano partecipate congiuntamente da Olivetti
(50,1%) e dalla tedesca Mannesmann (49,9%), tramite la holding di diritto olandese Oliman BV. Nel giugno dello stesso anno,
Mannesmann ha acquisito le quote di Olivetti nelle due società, divenendone l’unica azionista. Il passaggio ha comportato la
cessione alla società tedesca delle quote di Olivetti in Oliman. Come è stata registrata l’operazione nella bilancia dei pagamenti e di
conseguenza nelle statistiche dei flussi di IDE? Essa risulta essere un disinvestimento diretto italiano nei Paesi Bassi nel settore
finanziario (holding). L’economia reale registra tre errori: (i) di direzione, poiché si tratta di un investimento diretto tedesco in Italia;
(ii) di paese, poiché il flusso è dalla Germania all’Italia e non dall’Italia ai Paesi Bassi; (iii) di settore, poiché l’investimento
concerne i servizi di telecomunicazioni e non i servizi finanziari. Le statistiche sugli IDE sono purtroppo ricche di questi casi.
15
Al proposito vi è peraltro da chiedersi se queste configurazioni associative rientrino nella categoria, pur definita in senso ampio,
delle “imprese multinazionali”.
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rappresentazione dell’universo. Sono numerose le partecipazioni, particolarmente di natura
commerciale e di servizio, che rientrano in questa categoria. Anche micro-iniziative di natura
industriale possono sfuggire alle rilevazioni più accurate: esse riguardano principalmente
l’Europa orientale e, in misura minore, alcune aree in via di sviluppo dei continenti africano e
asiatico e costituiscono un mondo su cui talvolta si fantastica16.
Nei Rapporti “Italia Multinazionale”, cui si rinvia per i relativi approfondimenti (Mariotti e
Mutinelli, 2004 e 2005), sono state proposte stime, fondate su estrapolazioni da indagini
campionarie, circa la consistenza complessiva del fenomeno della multinazionalizzazione del
Paese, a includere quanto non direttamente rilevato nella banca dati. Per il principale comparto
analizzato, quello dell’industria manifatturiera, si evinceva da esse, come il probabile
scostamento tra il censito e l’universo non superasse il 20% in termini di numero di imprese
investitrici all’estero, percentuale che scendeva al 5%, se riferita ai dipendenti e al fatturato
all’estero.
Riguardo all’internazionalizzazione passiva, la compiutezza della rilevazione può essere
valutata grazie alle indagini che Istat ha iniziato a condurre sulle imprese italiane a controllo
estero (Istat, 2004 e 2005), nel quadro delle statistiche comunitarie FATS (Foreign Affiliates
Trade Statistics). Non si tratta di un censimento, quanto di una rilevazione assai estesa e
statisticamente fondata che consente di produrre una stima sulla consistenza economica
dell’universo delle partecipazioni estere, accompagnata da disaggregazioni per settori,
dimensioni delle imprese controllate e nazionalità della IMN investitrice. Il confronto tra i dati
di “Italia Multinazionale” e le stime elaborate da Istat per gli stessi aggregati settoriali conferma
l’affidabilità del database Reprint. In termini di dipendenti e di valore aggiunto, lo scostamento
tra il database e l’indagine Istat è pari all’1-2% in meno per Reprint, divario assai contenuto e
comprensibilmente motivato da attività minori che sfuggono alla rilevazione diretta.
16
È questo certamente il caso della Romania, paese in cui sono ormai circa 15.000 le imprese registrate partecipate da soggetti
italiani. Ma la stessa stampa quotidiana, nei propri reportages, ridimensiona tali dati, parlando di aziende fantasma, di iniziative mai
partite, di avventure poco nobili celate sotto il nome di società inesistenti. Ad esempio, un’indagine condotta tre anni fa dal Corriere
della Sera ha stimato realisticamente in circa 3.000 unità il numero di imprese partecipate da soggetti italiani (imprese o privati
cittadini) allora effettivamente attive in tale paese, dedite a qualsivoglia attività (produttiva, commerciale, finanziaria, immobiliare,
di servizio, ecc.).
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