Relazione M. Mutinelli
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Relazione M. Mutinelli
IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana L’INTERNAZIONALIZZAZIONE TRAMITE INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI DELLE IMPRESE DELLA PROVINCIA DI FIRENZE MARCO MUTINELLI Università di Brescia e Politecnico di Milano Relazione al convegno: “DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA da problema a opportunità. Il caso dell’area fiorentina in una ricerca IRPET” Firenze, 27 gennaio 2006 2 INTRODUZIONE Il presente rapporto si propone di delineare un quadro generale dell’internazionalizzazione delle imprese della provincia di Firenze, utilizzando le informazioni rese disponibili dalla banca dati Reprint, realizzata dal Politecnico di Milano e da R&P nell’ambito della ricerca “Italia Multinazionale”. In particolare, il rapporto si avvale del più recente aggiornamento della banca dati, che fotografa la consistenza delle partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia all’inizio del 20051. Prima di entrare nel merito della presente ricerca, appaiono indispensabili alcune brevi note di carattere metodologico circa l’ambito di indagine e la metodologia di ricerca alla base della banca dati Reprint, che censisce le partecipazioni di imprese italiane all’estero ed estere in Italia, misurandone la numerosità, la consistenza economica, gli orientamenti geografici e settoriali. Il campo di indagine coperto dalla banca dati si estende all’intero sistema delle imprese industriali e all’insieme dei servizi che ne supportano le attività. In modo puntuale, settori considerati sono: industria estrattiva e manifatturiera; energia, gas, acqua; costruzioni; commercio all’ingrosso; logistica e trasporti; servizi di telecomunicazione; software e servizi di informatica; altri servizi professionali2. In particolare, per ciascuna impresa -casamadre e partecipata- coinvolta nei processi considerati, vengono reperiti i dati economici essenziali (fatturato, dipendenti, valore aggiunto, tipologia produttiva, localizzazione delle attività, struttura proprietaria, ecc.), con riguardo a tutti gli assets che definiscono la sua dimensione multinazionale, siano essi relativi ad attività produttive, commerciali, di ricerca e di servizio. Per implicita differenza da quanto sopra indicato, sono quindi esclusi dall’analisi sia taluni settori che pure si intrecciano in misura rilevante con le attività censite, quali l’intero comparto finanziario (banche, assicurazioni, servizi finanziari, holding), sia altri settori, importanti, ma con minore grado di interazione con il fulcro della presente analisi: agricoltura, servizi immobiliari, distribuzione al dettaglio, turismo, servizi sociali e alle persone. Nel primo caso, l’esclusione è in parte motivata dall’impossibilità di usare variabili economiche omogenee per misurare consistenza e qualità delle attività internazionali coinvolte. La banca dati assume una soglia dimensionale minima per la rilevazione delle imprese partecipate, pari a un giro d’affari all’estero (e in Italia per le partecipate delle IMN estere) di 2,5 milioni di euro. La soglia è stata fissata per delimitare il campo di indagine per il quale la rilevazione si è posta l’obiettivo di raggiungere la copertura dell’universo. Tale soglia non è stata quindi usata per escludere dall’analisi le partecipazioni di taglia a essa inferiore di cui si sia venuti a conoscenza, le quali sono state invece a pieno titolo considerate. Più semplicemente, al di sotto di tale soglia, l’indagine non è stata in grado di identificare la totalità delle iniziative. La rilevazione riguarda le modalità di internazionalizzazione di natura equity, includendo partecipazioni azionarie di maggioranza e di minoranza in sussidiarie, filiali, affiliate, joint venture, incroci azionari a supporto di alleanze strategiche. Al riguardo è bene sottolineare come in tal modo essa non si limiti alle sole iniziative che determinano flussi di investimenti diretti esteri (IDE), poiché, come noto, solo una parte, ancorché rilevante, delle suddette operazioni 1 Il più recente rapporto sull’internazionalizzazione delle imprese italiane è stato presentato in un convegno a Roma a fine 2005. Una sintesi del rapporto è scaricabile dal sito www.ice.gov.it. Il precedente rapporto (che analizza la situazione delle partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia al 1.1.2004) è pubblicato in Mariotti S. e Mutinelli M. (a cura di) (2005). Una sintetica illustrazione della metodologia seguita nell’ambito della costruzione della banca dati è riportata in Appendice. 2 Corrispondenti ai seguenti codici della classificazione Ateco: 11-37, 40-41, 45, 50-51, 60-63 (escluso 63.3), 64.2, 71-74. 3 internazionali si finanziano tramite movimenti registrati nelle bilance dei pagamenti, essendo possibile reperire risorse finanziarie complementari sui mercati locali di insediamento 3. Dall’indagine sono escluse le forme “leggere” di internazionalizzazione, corrispondenti a quell’enorme varietà di accordi non equity con cui le imprese danno impulso al proprio coinvolgimento estero. La dimensione e la complessità di questi fenomeni sono tali che, all’attuale stato dell’arte non esistono né in Italia, né in altri paesi, banche dati in grado di censire l’universo delle iniziative. Come si desume da fonti pur frammentarie e talvolta impressionistiche, le imprese italiane che hanno sperimentato in questi anni accordi di cooperazione con partner esteri sono certamente dell’ordine di qualche decina di migliaia. Parallelamente, anche le imprese estere sono variamente coinvolte in accordi che hanno per oggetto attività nel nostro paese. Dare un nome a ciascuna delle imprese e rendere conto delle loro iniziative internazionali è un’opera che travalica le capacità dei singoli centri di ricerca e che potrebbe essere affrontata solo attraverso un progetto di ampio respiro che coordini le risorse e gli sforzi di più istituzioni, a vario titolo impegnate su questo terreno. Infine, l’indagine non censisce le forme di imprenditorialità all’estero, ovverosia la nascita di imprese a opera di imprenditori di origine diversa da quella del paese di insediamento. Soprattutto nel passato, il nostro Paese è stato oggetto di attenzione da parte di imprenditori esteri che hanno dato origine a imprese che non sono divenute parte di IMN, ovvero che non hanno stabilito legami proprietari con imprese localizzate nel paese di origine dell’imprenditore: nomi come Sutter, Niggeler & Kupfer, Hoepli evocano tale processo storico. Anche oggi, le numerose piccole imprese artigiane avviate da immigrati nel nostro Paese fanno parte del fenomeno. Tuttavia, l’aspetto attualmente più rilevante risiede nel diffuso formarsi di una imprenditorialità italiana all’estero, particolarmente nei paesi del bacino del Mediterraneo e dell’Europa centrale e orientale. Si assiste a una nuova fase in cui il Paese sembra sempre più in grado di esportare skills imprenditoriali, soprattutto nel campo delle attività di tradizionale competitività dell’industria nazionale. I protagonisti di tale processo sono molteplici: soggetti che non hanno mai avuto o hanno abbandonato precedenti attività in Italia, ma anche familiari e collaboratori di imprenditori operativi nel Paese. Si viene dunque a formare una “area grigia” che si allarga nel tempo, attraverso iniziative sempre più numerose che esprimono legami cooperativi formali e informali tra nuovi imprenditori e imprese italiane che delocalizzano fasi e prodotti, che fanno leva sul traffico di perfezionamento passivo, che costruiscono una rete di collaborazioni produttive internazionali. Si tratta in alcuni casi di processi altamente pervasivi, ma che, salvo eccezioni rilevate, non configurano la nascita di IMN, sia perché spesso mancano strutture proprietarie formali che integrino le attività, sia perché talvolta le relazioni di proprietà sono sostituite da legami familiari. All’interno dei confini così delimitati, l’indagine si avvale di un metodo consolidato e dell’esperienza accumulata in quasi venti anni di ininterrotta osservazione dei processi di internazionalizzazione del Paese. La banca dati REPRINT, così costituita, è in grado di offrire un censimento pressoché esaustivo, le cui lacune sono, dal punto di vista della rilevanza economica dei fenomeni, di natura marginale. In Appendice rendiamo conto di questa affermazione, discutendo nel merito dei possibili limiti della rilevazione svolta. 3 Le differenze principali tra le analisi qui proposte e quelle basate sugli IDE sono illustrate nell’Appendice metodologica. 4 1. IL CONTESTO INTERNAZIONALE 1.1 Il quadro generale L’ultima parte del XX secolo ha visto susseguirsi in rapida successione due dirompenti ondate di IDE (la prima nella seconda metà degli anni ottanta, la seconda negli anni novanta), sotto le spinte concomitanti della forte crescita economica mondiale, dell’accelerazione del progresso tecnologico da un lato e dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione dei mercati dall’altro. Al culmine della seconda ondata, nell’anno 2000 i flussi mondiali di IDE hanno registrato valori nell’intorno dei 1.300 miliardi di dollari, un valore di quattro volte superiore a quello del 1993 (Fig. 1). Confermando il carattere ciclico di tali flussi e la loro relazione con gli altri fondamentali dell’economia, l’anno 2001 ha segnato un brusco cambio di tendenza, sul quale hanno influito il rallentamento della crescita economica negli USA e in Europa, da un lato, e il crollo dei valori borsistici conseguente allo scoppio della bolla speculativa legata alla new economy, dall’altro. Sotto il peso dell’incertezza e della difficile congiuntura economica dei paesi avanzati, da cui in massima parte essi hanno origine, i flussi di IDE sono ulteriormente scesi nei due anni successivi, fino a tornare nel 2003 nell’intorno dei 600 miliardi di dollari, un valore inferiore a quello registrato nel 1998. Un nuovo cambio di tendenza si registra nel 2004, ancora una volta in concomitanza con la ripresa dell’economia statunitense e più in generale con la favorevole congiuntura economica internazionale (giova ricordare come l’anno 2004 si caratterizzi per la crescita più elevata del PIL mondiale degli ultimi 30 anni), alla quale purtroppo non partecipano appieno molti paesi UE, l’Italia in particolare. Il World Investment Report 2005 dell’UNCTAD evidenzia una crescita dei flussi mondiali di IDE in uscita, determinato principalmente dalla forte ripresa degli investimenti in uscita dagli USA, da un lato, e dei flussi diretti verso i PVS, dall’altro; la ripresa dovrebbe consolidarsi nel 2005, stando almeno alle indicazioni che provengono dai dati preliminari relativi alle fusioni e acquisizioni (M&As) internazionali di quest’ultima anno. Figura 1 FLUSSI MONDIALI DI IDE, 1985-2004 Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD 5 1.2 Le tendenze settoriali A livello settoriale, la macrostruttura degli IDE si è modificata nel senso di un ridimensionamento della quota del settore primario (agricoltura e attività estrattiva), di una stabilità delle attività manifatturiere e di una significativa crescita del settore dei servizi. Tra il 1990 e il 2002, l’incidenza del settore primario sullo stock mondiali di IDE in entrata è scesa dal 9,4% al 6,1% e quella dell’industria manifatturiera dal 41,4% al 33,1%; quella del settore terziario è invece cresciuta dal 48,6% al 59,1%. Si deve peraltro osservare come gli IDE nei servizi non originino solo da IMN appartenenti al settore terziario, bensì siano spesso il frutto delle strategie internazionali di imprese manifatturiere che stabiliscono all’estero affiliate commerciali, di distribuzione, di assistenza e manutenzione, di altre attività logistiche. È inoltre a tutti noto il ruolo trainante delle grandi IMN manifatturiere nell’attivare servizi e produzioni complementari nei paesi di insediamento, tali da assicurare un adeguato livello di competitività e di rendimento degli investimenti effettuati. In particolare, il modello “follow the customer” è alla base di molte scelte di investimento all’estero da parte delle aziende nei settori del credito e dell’intermediazione finanziaria, dei trasporti, dei servizi alle imprese. Si può dunque affermare che gli IDE di gran parte delle imprese manifatturiere e di servizio siano ormai indissolubilmente intrecciati e talvolta indistinguibili. Entrando in un’analisi di maggiore dettaglio, pur con le cautele cui si è indotti da una certa carenza dei dati (sia per grado di copertura dei paesi, sia per disomogeneità delle classificazioni settoriali), si può osservare quanto segue: – i settori che più contribuiscono agli stock di IDE sono tutti del comparto terziario, e specificamente l’intermediazione finanziaria, i servizi professionali (consulenza, software e servizi informatici, ricerca e sviluppo) e il commercio; in forte crescita anche i flussi e gli stock relativi alle public utilities (elettricità, gas, acqua) e ai servizi di telecomunicazioni, come conseguenza dei processi di liberalizzazione e privatizzazione in atto. – tra i settori manifatturieri, quelli ad alta intensità di capitale e di tecnologia -particolarmente, le filiere chimiche, elettroniche e degli autoveicoli- contano per una parte relativamente grande del totale degli IDE; marginale è invece il peso di molti settori di tradizionale specializzazione dell’Italia ma a bassa o media intensità di capitale e di tecnologia, come tessile, abbigliamento, cuoio e calzature, legno, prodotti in gomma e materie plastiche, prodotti dei minerali non metalliferi, macchine e impianti meccanici. 1.3 Investimenti greenfield e brownfield Nella composizione degli IDE è importante distinguere tra investimenti greenfield (ovvero l’avvio ex novo di attività non esistenti sul territorio) e investimenti brownfield (consistenti invece nell’acquisizione di attività preesistenti). Secondo l’UNCTAD, nel 2003 il valore delle transazioni di cross-border M&As che hanno riguardato partecipazioni di controllo è stato pari a quasi 300 miliardi di dollari. Sebbene deve essere cautelativamente ricordato che i valori dei cross-border M&As e degli IDE non possono essere facilmente confrontati, in ragione sia delle fonti alternative di finanziamento delle acquisizioni, sia delle specifiche metodologie applicate alle bilance dei pagamenti, è significativo che le M&As pesino ormai per oltre il 60% dei flussi di IDE, con quote ben maggiori per i paesi sviluppati, dove è localizzato il 90% delle operazioni di acquisizione. La marginalità degli investimenti greenfield nelle aree già industrializzate emerge dunque con chiarezza dall’integrazione dei due dati, sollevando questioni di non poco conto in merito agli spazi e alle modalità di azione che le politiche nazionali di attrazione degli investimenti esteri possono darsi a fini di sostegno e sviluppo della base produttiva e dell’occupazione. Naturalmente, gli investimenti greenfield apportano con immediatezza nuovi contributi alla 6 formazione del capitale e alla crescita produttiva dei paesi recipienti. Sarebbe tuttavia un grave errore considerare le cross-border M&As alla stregua di un mero cambiamento della struttura proprietaria, che devia totalmente o in parte il profitto generato presso soggetti esteri. Se in taluni casi esse possono essere frutto di logiche oligopolistiche «a somma nulla» e di politiche predatorie che giungono all’estrema conseguenza di depauperare le risorse accumulate localmente, nella grande maggioranza invece, per l’impresa target l’acquisizione corrisponde a nuove opportunità di mercato, alla valorizzazione dei propri assets nei circuiti internazionali, alla possibilità di arricchirsi con nuove competenze e tecnologie, a ristrutturazioni che elevano la produttività e la competitività, aprendo la via alla crescita degli investimenti e dell’occupazione. 1.4 La geografia degli IDE e la posizione dell’Italia Le IMN dei paesi avanzati rimangono le protagoniste assolute del processo di globalizzazione. Se si guarda agli IDE in uscita, la quota dei paesi avanzati è stabilmente oltre l’85% del totale, ma nel 2004 si assiste ad una forte ripresa degli investimenti statunitensi (la quota degli USA sale al 31,4%, contro il 20% circa del periodo precedente), mentre continuano a ridursi i flussi in uscita dall’UE, che invece avevano registrato i più sostenuti ritmi di crescita nella seconda metà degli anni novanta, anche nella prospettiva della moneta unica. Per quanto riguarda i paesi di destinazione, fino al 2003 i paesi avanzati hanno continuato ad assorbire in media circa il 70% degli IDE mondiali, a conferma di come negli ultimi venti anni gli IDE siano stati principalmente un veicolo di integrazione delle aree industrializzate e in particolare dei paesi della Triade (UE, Stati Uniti e, asimmetricamente, Giappone). Nel 2004 la quota dei paesi avanzati scende attorno al 55% del totale, per il forte calo dei flussi diretti verso l’UE e il contestuale aumento degli IDE diretti verso i PVS (la Cina da sola conta ormai per il 10% degli IDE mondiali) e l’Europa centro-orientale. Nello scenario tracciato può essere valutata la posizione dell’Italia. Sul fronte degli IDE in uscita, il ruolo del nostro paese è venuto crescendo a partire dagli anni ottanta: tra il 1980 e il 1990 l’incidenza dell’Italia sullo stock mondiale è passata dall’1,3% al 3,4%, valore attorno al quale si è attestata per tutta la prima metà degli anni novanta per poi scendere sino al 2,7% del 2002 e attestarsi al 2,9% negli anni più recenti (Fig. 2). Per quanto concerne l’entrata, si assiste ad una dinamica parallela per tutti gli anni ottanta: l’incidenza sullo stock mondiale sale dall’1,3% del 1980 al 2% del 1985 e al 3,4% del 1990. La forte svalutazione della lira nel 1992 determina un brusco calo della quota spettante al nostro paese, successivamente rimasta nell’intorno del 2% e salita al 2,5% nel 2004. Figura 2 QUOTA % DELL’ITALIA SUGLI STOCK MONDIALI DI IDE IN USCITA E IN ENTRATA, 1990-2004 Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD 7 La dinamica ora descritta è sostanzialmente confermata dall’analisi dei flussi (Fig. 3). L’incidenza del nostro Paese sui flussi mondiali di IDE in uscita è scesa dal 2,4% dei primi anni novanta allo 0,6% del 1999 e all’1% del 2000, mentre gli ultimi quattro anni registrano quote nell’intorno del 3%, in linea con il peso del paese in termini di stock4. Sul lato dei flussi in entrata, l’incidenza dell’Italia, già modesta nei primi anni novanta (1,7%), scende al di sotto dell’1% nella seconda metà degli anni novanta, toccando addirittura lo 0,4% nel 1999, per risalire al di sopra del 2,1% nel 2003 e nel 2004 (grazie ad una sostanziale stabilità dei flussi di IDE verso l’Italia, a fronte del forte calo degli IDE mondiali). Figura 3 Quota % dell’Italia sui flussi mondiali di IDE in uscita e in entrata, 1990-2004 Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD In definitiva, nonostante i miglioramenti fatti segnare negli anni più recenti, soprattutto sul fronte degli IDE in uscita, l’integrazione internazionale dell’Italia rimane debole, se comparata al quadro europeo. I rapporti tra flussi netti di IDE in entrata e in uscita e investimenti totali fissi lordi rimangono tra i più bassi tra i paesi membri dell’Unione Europea, nel 2004, rispettivamente 5,2% in entrata e 5,9% in uscita, a fronte di valori medi pari a 8,8% e 11,4% per l’UE (UNCTAD, 2005). 4 Si osservi come il 2001 e il 2002 vedano l’Italia perdere quote in termini di stock, mentre aumenta la quota riferita ai flussi. Tali discrepanze appaiono di difficile interpretazione.. 8 2. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE 2.1 Il quadro generale Sebbene utili per una comprensione della dinamica generale degli eventi, le statistiche internazionali su flussi e stock degli IDE tratte dalla bilancia dei pagamenti dei diversi paesi soffrono tuttavia per numerosi limiti e distorsioni che ne pregiudicano la significatività, soprattutto quando le si voglia utilizzare come base di dati per analisi conoscitive approfondite a livello di singolo paese e per studi di ordine generale sulla struttura e sull’evoluzione disaggregata degli investimenti esteri5. A tal fine risultano preziose le informazioni estratte dalla banca dati Reprint, che come detto consentono di analizzare l’esistenza e la formazione di imprese multinazionali (IMN) le cui attività coinvolgono l’economia italiana -ovverosia, le IMN a base italiana e le relative imprese partecipate all’estero, da un lato, e le imprese italiane partecipate da IMN a base estera, dall’altro- con riferimento all’intero sistema delle imprese dell’industria estrattiva e manifatturiera e dei servizi che ne supportano le attività: produzione e distribuzione di energia, gas e acqua, costruzioni, commercio all’ingrosso, trasporti, software e telecomunicazioni, altri servizi professionali. Secondo gli ultimi dati disponibili a livello nazionale, riferiti alla data del 1.1.2005, le imprese all’estero partecipate da imprese italiane sono 16.832 (Tab. 1). Le imprese investitrici ammontano a 5.750 unità, tra gruppi industriali e imprese autonome. I dipendenti totali all’estero sono pari a 1.084.417 unità, mentre il fatturato realizzato dalle affiliate estere nel 2004 è stato di 275.086 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo riguardano lo 85,6% delle imprese partecipate, lo 80,6% dei dipendenti e lo 81,3% del fatturato totale. La presenza italiana all’estero è perciò tuttora caratterizzata da una quota non trascurabile di partecipazioni paritarie e minoritarie, sebbene negli ultimi anni l’incidenza delle attività controllate sia cresciuta. Sul fronte opposto, le imprese italiane partecipate dall’estero sono 7.181, con l’intervento di 3.873 IMN investitrici. Il totale dei dipendenti in Italia è di 920.575 unità, mentre il fatturato 2004 delle imprese partecipate è stato di 382.267 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo sono in questo caso nettamente preponderanti, concernendo il 92,2% delle imprese, lo 86,8% dei dipendenti e lo 86,2% del fatturato totale. Il quadro delineato è il risultato di un periodo di rilevanti mutamenti per l’integrazione internazionale dell’industria italiana, grazie segnatamente all’espansione multinazionale delle nostre imprese. Ancora a metà degli anni ottanta la consistenza degli investimenti in uscita era decisamente modesta in rapporto all’investimento in entrata e il numero di dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera era due e più volte quello dei dipendenti delle imprese estere partecipate dall’Italia (Cominotti et al., 1999). A partire da allora ha preso avvio una fase di inseguimento multinazionale grazie alla quale il saldo tra i dipendenti nelle partecipazioni dirette estere in uscita e in entrata è divenuto favorevole al lato dell’investimento italiano all’estero. 5 Si rimanda a questo proposito a quanto illustrato in Appendice. 9 Tabella 1 LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005 Partecipazioni italiane all’estero (a) Incidenza Valore partecipazioni di controllo Imprese investitrici (N.) 5.750 Imprese partecipate (N.) 16.832 Dipendenti (N.) 1.084.417 Fatturato (milioni euro) 275.086 Valore aggiunto (milioni euro) n.d. Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Partecipazioni estere in Italia (b) Incidenza Valore partecipazioni di controllo 84,3 85,6 80,6 81,3 - 3.873 7.181 920.575 382.267 75.214 95,3 92,2 86,8 86,2 88,3 (a) (b) 1,48 2,34 1,18 0,72 n.d. 2.2 La composizione settoriale La composizione settoriale delle partecipazioni vede l’assoluta prevalenza, sia in uscita che in entrata, dell’industria manifatturiera, se pur con una non trascurabile differenza in termini di incidenza relativa: con riferimento ai dipendenti, la quota di questo comparto è del 78,5% in uscita, ma scende al 65% in entrata (Tab. 2). Di tale differenza beneficiano, sul lato delle partecipazione dall’estero, i diversi settori dei servizi. Tra essi, comparativamente alla consistenza delle partecipazioni in uscita, assumono rilevanza i servizi di logistica e di trasporto, i servizi professionali e quelli di informatica e telecomunicazione (particolarmente nel sottoinsieme delle partecipazioni di controllo). Più equilibrio tra i due lati si rileva nella consistenza delle attività commerciali, sebbene sempre con una prevalenza delle partecipazioni in entrata. Tabella 2 LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005, PER SETTORE Imprese Dipendenti Imprese Dipendenti (a) (b) Dip. 245 5.863 411 840 7.210 844 483 936 16.832 12.688 851.635 15.671 29.967 93.393 7.760 44.721 28.582 1.084.417 20 2.595 126 92 2.728 365 539 716 7.181 1.288 598.989 10.968 10.727 108.761 49.897 80.912 59.033 920.575 9,85 1,42 1,43 2,79 0,86 0,16 0,55 0,48 1,18 Partecipazioni italiane all’estero (a) Industria estrattiva Industria manifatturiera Energia elettrica, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di informatica e telecomunicazioni Altri servizi professionali TOTALE Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Partecipazioni estere in Italia (b) In merito alla performance delle IMN estere nell’ambito dell’economia nazionale, i dati resi disponibili dalla banca dati Reprint consentono di confrontare il valore aggiunto per addetto prodotto dalle suddette imprese con quello relativo alla media nazionale. Emerge come le imprese a partecipazione estera si caratterizzino per una produttività del lavoro più elevata in una misura non trascurabile, essendo essa superiore del 47% rispetto alla media nazionale: 81,7 migliaia di euro per addetto nel 2004, ovvero 77,7 migliaia nel 2003, contro 52,7 migliaia in quest’ultimo anno per la media nazionale delle imprese con più di 20 dipendenti (Tab. 3)6. Questa evidenza è apparentemente coerente con la teoria e le verifiche condotte internazionalmente circa le superiori prestazioni delle filiali delle IMN rispetto alle imprese domestiche, 6 Il confronto con la media generale è inappropriato, a causa della forte incidenza delle microimprese e delle imprese artigiane. 10 grazie al contributo di maggiori competenze, tecnologie, capacità manageriali e ai vantaggi di scala e di network7. Tabella 3 VALORE AGGIUNTO PER DIPENDENTE: CONFRONTO TRA LE IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA E LA MEDIA NAZIONALE Dati in migliaia di euro Imprese a partecipazione estera 2004 2003 Industria estrattiva 214,5 193,0 Industria manifatturiera 72,0 68,7 Energia elettrica, gas e acqua 292,3 314,3 Costruzioni 51,6 47,5 Commercio all'ingrosso (a) 97,7 90,0 Trasporti e comunicazioni (b) 129,0 120,8 Servizi professionali (c) 71,1 70,9 TOTALE (SETTORI REPRINT) 81,7 77,7 TOTALE n.d. n.d. (a) La media nazionale comprende anche il commercio al dettaglio. (b) Include i servizi di telecomunicazioni. (c) Include i servizi di informatica; la media nazionale comprende anche le attività immobiliari. Fonte: elaborazioni su dati Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Media nazionale 2003 Imprese con 20 o più addetti 226,8 52,3 121,1 41,4 44,1 66,8 38,6 52,7 50,9 TOTALE 149,4 42,3 120,5 27,6 30,2 55,5 34,6 38,3 36,5 2.3 Comparazioni internazionali Nel precedente paragrafo si è sottolineato come le comparazioni internazionali basate sui dati relativi ai flussi ed agli stock di IDE evidenzino una modesta performance del nostro Paese su entrambi i lati del processo di internazionalizzazione, collocandolo in posizioni di retroguardia tra i paesi industrializzati. È peraltro noto agli studiosi come le analisi settoriali e/o di paese basate sui dati relativi a flussi e stock di IDE soffrano di significative distorsioni, a causa del criterio utilizzato nelle rilevazioni (immediate beneficiary), che non consente di controllare la destinazione finale degli IDE nel caso essi transitino da un soggetto intermedio8. Un giudizio più compiuto sul livello di internazionalizzazione di un sistema economico può dunque essere espresso solo ricorrendo ad un set più ampio dai dati, con riferimento in particolare a dati simili a quelli rilevati da REPRINT e riferiti all’attività delle imprese multinazionali. Purtroppo lo stato dell’arte a tale riguardo non è dei migliori, a causa della limitata disponibilità a livello internazionale di statistiche di questo tipo, in particolare per quanto riguarda l’internazionalizzazione in uscita. Sul lato dell’entrata (investimenti dall’estero), una comparazione può essere effettuata grazie alle statistiche FATS (Foreign Affiliates Trade Statistics) elaborate da Eurostat per i principali paesi membri UE. Tale statistiche consentono un confronto basato sul contributo apportato dalle imprese a controllo estero all’occupazione totale e al valore aggiunto prodotto all’interno dei singoli paesi, generalmente aggiornato all’anno 2000 (Schneider 2003, 2004a e 2004b). Occorre peraltro osservare come le statistiche FATS sottostimino, per una parte dei paesi, le presenze estere nelle imprese di minori dimensioni; riguardo ai servizi, inoltre, vi sono differenze tra paesi, sia per la mancanza di dati, sia per difformità classificatorie. Ci sia poi consentito di esprimere qualche dubbio sull’affidabilità di alcuni dati (si noti, ad esempio, per il Regno Unito, la forte discrepanza dei contributi in termini di addetti e di valore aggiunto). Nell’ambito di questi 7 Si vedano Gört e Strobl (2001), Barba Navaretti e Venables (2004) e il recente Workshop "Internationalization of markets and ownership: effects on innovations, productivity growth and the labor market", Trade Union Institute for Economic Research, Stockholm, Sweden, September 23-25, 2005. 8 Si rimanda nuovamente a quanto osservato in Appendice. 11 limiti, quanto emerge dal confronto conferma la collocazione dell’Italia nella fascia bassa della multinazionalizzazione in entrata (Tab. 4). Il profilo del nostro paese appare più simile al Portogallo che ai paesi più evoluti, come Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia. In termini di contributo all’occupazione l’Italia, con il 7-7,2%, condivide le ultime posizioni con Danimarca e Portogallo, lontana da Francia (16,5%), Svezia (17,2%) e Irlanda (21,2%). La posizione dell’Italia migliora un poco se il contributo è riferito al valore aggiunto: attorno al 13%, contro il 18,1% della Francia. Tabella 4 CONTRIBUTO DELLE IMPRESE A CONTROLLO ESTERO ALL’OCCUPAZIONE E AL VALORE AGGIUNTO AL COSTO DEI FATTORI: CONFRONTO TRA L’ITALIA E 10 PAESI EUROPEI, 2000 (a) Numero di dipendenti (b) TOTALE Industria (c) Servizi Valore aggiunto al costo dei fattori TOTALE Industria (c) Servizi Danimarca 7,2 8,8 6,1 9,2 12,1 7,0 Finlandia 12,8 13,8 11,0 13,5 13,3 13,8 Francia 16,5 18,3 15,2 18,1 22,6 14,4 Irlanda 21,2 45,7 8,7 53,9 77,5 18,0 Lussemburgo 20,8 28,2 10,2 .. .. .. Paesi Bassi 9,9 12,9 8,5 13,6 18,6 9,9 Portogallo 7,3 9,4 5,5 13,5 16,2 13,2 Regno Unito 10,3 16,3 7,4 6,8 11,4 3,5 Spagna 8,8 15,0 5,4 15,4 25,4 7,6 Svezia 17,2 22,3 13,6 19,8 28,1 16,7 ITALIA (REPRINT) 6,9 8,1 5,2 12,4 13,1 11,4 ITALIA (ISTAT) 7,0 8,2 6,0 12,2 13,1 11,2 1999 per Danimarca, Regno Unito e Spagna. Per Francia e Lussemburgo viene usato come proxy il numero di addetti. Industria estrattiva; industria manifatturiera; produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua; costruzioni (codici Nace C, D, E, F). Per i Paesi Bassi è esclusa l’industria estrattiva. Per Danimarca, Irlanda e Spagna sono escluse le costruzioni. Commercio; alberghi e ristoranti; trasporti e logistica; comunicazioni; servizi immobiliari e professionali (codici Nace G, H, I, K). Per i Paesi Bassi sono esclusi i servizi immobiliari e professionali. Per la Spagna sono esclusi i servizi professionali. Per il Lussemburgo sono esclusi l’industria estrattiva e i servizi di trasporto e comunicazioni e per quanto riguarda il numero di dipendenti i servizi professionali. Per l’Italia (fonte REPRINT), sono esclusi alberghi e ristoranti, commercio al dettaglio, agenzie di viaggio e servizi immobiliari. Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE Sul lato delle partecipazioni all’estero, i dati internazionali sono assolutamente carenti. Il confronto più affidabile che si possa proporre concerne la posizione relativa di Germania e Italia. Il paese tedesco aveva nel 2002 una presenza all’estero in stabilimenti produttivi controllati da imprese a base nazionale pari al 30,9% dell’occupazione manifatturiera interna nelle imprese manifatturiere comunque partecipate (investitori nazionali ed esteri). Per l’Italia, lo stesso indicatore, pure riferito al 2002, è uguale al 18,3%. Nonostante la crescita degli occupati all’estero delle nostre imprese, la distanza che ci separa è notevole, soprattutto se si tiene conto che nel caso della Germania la percentuale è significativamente condizionata dal processo di riunificazione del paese, che ha sommato due realtà assai difformi quanto a livello di investimenti all’estero. Altri confronti, pur meno affidabili o datati, avvalorano l’esistenza di un divario rispetto agli altri maggiori industrializzati. 2.4 La dinamica di breve e di lungo periodo Sul lato dell’internazionalizzazione attiva, l’andamento degli indicatori economici relativi alle partecipazioni italiane all’estero negli anni duemila appare composito, soprattutto in riferimento ai diversi settori di attività (Tab. 5). Nel complesso crescono gli investitori (+21,3%) e le imprese partecipate all’estero (+10,5%), mentre dipendenti e fatturato delle imprese partecipate mostrano una dinamica più modesta (+4,8% e +6,5%, rispettivamente), a testimoniare una ridotta taglia delle nuove iniziative. Contribuiscono a questa performance non particolarmente 12 lusinghiera alcuni fattori: il peggioramento della congiuntura economica internazionale, l’apprezzamento dell’euro sul dollaro e alcuni episodi di dismissione di partecipazioni di minoranza in imprese di medio-grande taglia. Tale dinamica si chiarisce meglio attraverso la disamina settoriale. Tabella 5 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO, 1.1.2001 – 1.1.2005 Variazioni percentuali Industria estrattiva Industria manifatturiera Energia elettrica, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di informatica e telecom. Altri servizi professionali TOTALE Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE Investitori Imprese estere Dipendenti Fatturato (milioni di Euro) 12,5 24,4 30,0 21,5 10,7 21,7 28,4 26,4 21,3 11,4 13,7 27,2 16,0 6,5 4,2 22,0 12,5 10,5 -0,1 8,0 9,0 8,9 12,7 9,1 -39,8 4,8 4,8 7,3 11,8 55,9 50,5 4,6 27,7 -46,7 11,3 6,5 I più alti tassi di crescita si hanno per le utilities e le costruzioni. L’avanzata delle partecipazioni nel primo comparto (energia elettrica, gas e acqua), in larga misura assenti sino a pochi anni fa, è associata all’apertura dei mercati e alla liberalizzazione delle attività, avviate in epoca recente. I comparti con i profili più bassi di crescita sono viceversa l’industria estrattiva e il commercio all’ingrosso, quest’ultimo particolarmente sul fronte della numerosità degli investitori e delle imprese partecipate. L’industria manifatturiera e gli altri comparti dei servizi hanno un andamento per lo più attorno alla media, con l’eccezione dei servizi di informatica e telecomunicazione. In questo caso la dinamica riflette l’evoluzione della “nuova economia”. Le partecipazioni estere sono in forte crescita sino alla fine del 2001, come conseguenza della liberalizzazione, delle nuove applicazioni Internet e del clima entusiastico che ne è scaturito. Ma nel 2002 esplodono lo shakeout delle dot.com e la necessità da parte degli operatori di servizi di telecomunicazione di avviare un processo di ristrutturazione, anche per contenere il forte indebitamento maturato negli anni precedenti. Nel caso italiano, sulla contrazione dei dati di settore pesano soprattutto le dismissioni operate da Telecom Italia in alcune partecipazioni estere di minoranza, di taglia elevata. Rimane invece relativamente alto il tasso di crescita degli investitori e delle imprese estere partecipate, in relazioni a iniziative per lo più di piccola dimensione. Per il settore manifatturiero -il quale, oltre a rappresentare quasi l’80% dell’intero fenomeno censito, è certamente in parte presupposto e in parte guida del processo di crescita all’estero anche delle attività commerciali e di servizio- è possibile condurre un’analisi di più lungo periodo. La banca dati Reprint consente infatti di analizzare un periodo ventennale -dalla metà degli anni ottanta ad oggi- che è risultato di fondamentale importanza per l’internazionalizzazione delle imprese italiana (Tab. 6). In estrema sintesi, si può osservare che: (a) il numero delle imprese investitrici, originariamente su livelli assai modesti, è decuplicato tra metà degli anni ottanta ed oggi, determinando uno straordinario allargamento del club degli investitori all’estero nel senso della formazione di nuove piccole e medie IMN; (b) il numero delle partecipazioni estere è cresciuto di otto volte e la loro consistenza totale, misurata in termini di dipendenti all’estero, è cresciuta di tre volte e mezzo; (c) la dinamica delle partecipazioni di controllo è risultata superiore all’andamento generale. 13 Tabella 6 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA, 1.1.1986 - 1.1.2005 Imprese investitrici (N.) TOTALE Part. di controllo Imprese estere partecipate (N.) TOTALE Part. di controllo 697 1.289 2.827 5.157 5.474 5.571 5.712 5.863 442 925 2.119 4.147 4.386 4.467 4.634 4.767 – al 1.1.1986 282 180 – al 1.1.1991 475 338 – al 1.1.1996 1.240 979 – al 1.1.2001 2.379 1.978 – al 1.1.2002 2.532 2.108 – al 1.1.2003 2.650 2.207 – al 1.1.2004 2.753 2.296 – al 1.1.2005 2.825 2.362 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Addetti delle imprese estere partecipate (N.) TOTALE Part. di controllo 244.188 517.796 655.039 788.667 812.095 827.321 845.611 851.635 152.010 354.520 468.697 647.821 646.380 649.004 678.966 690.125 Le analisi di maggior dettaglio compiute nei vari rapporti “Italia Multinazionale” richiamano all’attenzione come le grandi imprese, principali protagoniste dell’inseguimento multinazionale della seconda metà degli anni ottanta, abbiano progressivamente rallentato la loro spinta propulsiva a partire dai primi anni novanta, apparendo per lo più in difficoltà se non in ritirata sui mercati internazionali. Per converso, un inedito propagonismo dei gruppi di media taglia attivi nei settori di tradizionale competitività dell’industria italiana e il crescente coinvolgimento nei processi di crescita all’estero delle PMI hanno saputo dare continuità e nuovo propellente all’internazionalizzazione dell’industria italiana, aprendo la prospettiva di una più diffusa e intensa proiezione all’estero del capitalismo privato italiano. Proprio i settori tradizionali del made in Italy, popolati dalle PMI, hanno accresciuto la loro incidenza, in relazione alla delocalizzazione delle fasi a maggiore intensità di lavoro soprattutto verso l’Europa dell’est, la Cina e l’area del Mediterraneo, mentre assai debole rimane la posizione dei settori a più elevata intensità tecnologica, espressione della specifica fragilità del sistema innovativo italiano e dell’assai ristretto numero di grandi e medio-grandi imprese a base italiana in settori quali l’informatica, l’elettronica, le telecomunicazioni, la farmaceutica e la chimica fine, che a livello mondiale sono tra i principali protagonisti dei processi di multinazionalizzazione. L’espansione delle partecipazioni all’estero è imputabile a pochi propagonisti: Finmeccanica e STMicroelectronics, accompagnate soprattutto da imprese piccole e medie -nel contesto internazionale- della chimica e farmaceutica. Anche nella meccanica strumentale, dove pure vanta importanti punti di eccellenza e una buona competitività in termini di commercio estero, l’Italia è di fatto presente sui mercati mondiali prevalentemente con un insieme di PMI, talvolta a elevato profilo qualitativo, ma non sempre dotate di strutture tali da garantire loro un sufficiente potere di mercato nell’arena oligopolistica internazionale. Per quanto concerne l’internazionalizzazione passiva, la tabella 7 illustra l’evoluzione delle partecipazioni estere in Italia nel periodo più recente. I più alti tassi di crescita sono espressi dalle utilities e dalle costruzioni, anche se è bene osservare come la performance in entrambi i settori sia influenzata dalla ridotta base di partenza. Come per l’uscita, la forte crescita delle partecipazioni nel settore delle utilities è collegata ai fenomeni di liberalizzazione dei mercati e di privatizzazione delle imprese. I principali settori dei servizi si distinguono per tassi elevati, in modo abbastanza omogeneo rispetto ai vari indicatori (numero di imprese, dipendenti, fatturato). Spiccata la crescita nella logistica e trasporti e nei servizi professionali, a riflettere il trend di nuova infrastrutturazione e terziarizzazione dell’economia dei maggiori paesi industrializzati. In ripresa anche i servizi di informatica e telecomunicazione, dopo le sofferenze incorse soprattutto nel biennio 2002-2003, a causa della crisi della Internet economy. 14 Tabella 7 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA, 1.1.2001 - 1.1.2005 Variazioni percentuali dei diversi indicatori economici Industria estrattiva Industria manifatturiera Energia elettrica, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di informatica e telecom. Altri servizi professionali TOTALE Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Investitori Imprese partecipate Dipendenti delle imprese partecipate Fatturato (milioni di Euro) 0,0 4,0 33,3 28,9 7,0 7,1 8,2 12,9 6,7 -4,8 1,9 82,0 15,6 5,7 10,1 8,1 11,1 6,0 13,5 -6,3 310,6 81,3 9,0 31,9 2,1 26,3 0,8 38,7 4,9 613,8 93,2 16,6 44,9 10,9 34,2 14,5 Il settore manifatturiero, di gran lunga quello di maggiore insediamento estero, mostra invece un lieve cedimento nella consistenza economica complessiva, solo in parte compensato dalla crescita del settore del commercio all’ingrosso, il quale è in larga misura costituito da filiali commerciali di IMN di natura manifatturiera. L’analisi di lungo periodo riferita al settore manifatturiero mostra come, in raffronto all’uscita, la dinamica dei diversi indicatori sia stata già nel corso degli anni novanta alquanto contenuta, con un ulteriore raffreddamento nella corrente decade (Tab. 8). Tabella 8 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA, 1.1. 1986 - 1.1.2005 Imprese investitrici (N.) TOTALE Part. di controllo Imprese estere partecipate (N.) TOTALE Part. di controllo 1.419 1.778 2.023 2.517 2.567 2.565 2.565 2.595 1.216 1.542 1.771 2.235 2.279 2.285 2.283 2.319 – al 1.1.1986 1.419 1.216 – al 1.1.1991 1.778 1.542 – al 1.1.1996 2.023 1.771 – al 1.1.2001 2.517 2.235 – al 1.1.2002 2.567 2.279 – al 1.1.2003 2.565 2.285 – al 1.1.2004 2.565 2.283 – al 1.1.2005 2.595 2.319 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Addetti delle imprese estere partecipate (N.) TOTALE Part. di controllo 472.067 521.847 533.488 639.520 645.316 629.477 613.474 598.989 378.013 424.386 426.753 517.775 526.163 522.008 512.025 504.758 La tendenza principale è stata nel senso di un netto ridimensionamento dell’incidenza dei settori ad alta tecnologia. Questa evidenza riflette palesemente le caratteristiche strutturali dell’industria italiana e più in generale del suo contesto scientifico e tecnologico. La debolezza del sistema innovativo nazionale e la scarsa dotazione di assets competitivi del nostro Paese nei comparti dell’alta tecnologia non solo implicano il ridimensionamento relativo della presenza estera, ma anche, come dimostrano altri studi (Balcet e Evangelista, 2005), il prevalente interesse delle imprese multinazionali che operano in Italia ad avere accesso al suo ampio mercato domestico e a svolgere al più attività di ricerca di natura incrementale, volta all’adattamento dei prodotti alle esigenze locali. In altri termini, il radicamento delle multinazionali high tech nel Paese è piuttosto limitato e le imprese estere presenti in questo comparto non sempre appaiono adeguatamente interessate ad attingere alle nostre risorse innovative, umane e ingegneristiche. 15 Una conferma a questo ordine di ragionamento si ha dalla considerazione che negli ultimi anni la presenza estera è in crescita, via acquisizioni, soprattutto nei settori della meccanica strumentale, della strumentazione e in taluni settori a forte intensità di economie di scala (come gli elettrodomestici): si tratta di IDE concentrati in nicchie produttive e tecnologiche in cui l’industria italiana possiede un chiaro vantaggio competitivo ed in cui le stesse filiali delle IMN si impegnano in più significative attività di R&S (ancora, Balcet e Evangelista, 2005). 2.5 Gli orientamenti geografici e settoriali Se si considera la ripartizione geografica dei dipendenti delle imprese partecipate (Tab. 9), all’inizio del 2005 all’Unione Europea (15 paesi) spetta una quota del 36,5%, contro il 19,7% dell’Europa orientale, il 4,6% degli altri paesi europei, il 13% dell’America Latina, il 10,1% dell’Asia, l’8,2% del Nord America e il 6,8% dell’Africa. Tabella 9 LE PARTECIPAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO AL 1.1.2005, PER AREA GEOGRAFICA DELLE IMPRESE PARTECIPATE Imprese estere partecipate Dipendenti delle imprese estere Fatturato delle imprese estere N. % N. % Mil. euro % Unione europea (15 paesi) 6.922 Europa centro–orientale 3.011 Altri paesi europei 611 Africa 952 Nord America 1.909 America Latina 1.401 Asia 1.829 Oceania 197 TOTALE 16.832 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE 41,1 17,9 3,6 5,7 11,3 8,3 10,9 1,2 100,0 395.512 213.503 49.996 74.183 88.772 141.494 109.120 11.837 1.084.417 36,5 19,7 4,6 6,8 8,2 13,0 10,1 1,1 100,0 159.984 19.728 14.784 9.670 25.281 26.130 15.066 4.443 275.086 58,2 7,2 5,4 3,5 9,2 9,5 5,5 1,6 100,0 Nel lungo periodo deve essere sottolineata l’esplosione -a partire dai primi anni novantadelle iniziative in Europa centro-orientale, la cui incidenza in termini di dipendenti nelle partecipate manifatturiere è salita dal nulla al 17,9% del 1996 e al 22,4% del 2005. Questa crescita non è generalmente andata a scapito della presenza in Europa occidentale, anche se nel settore manifatturiero, in termini di dipendenti, l’incidenza di quest’ultima si è ridotta nell’ultimo periodo, soprattutto a causa di alcune dismissioni da parte dei maggiori gruppi industriali italiani. Nettamente ridimensionata, invece, l’incidenza dell’America Latina; più stabile quella del Nord America, ma in netta contrazione per incidenza sulla numerosità delle partecipazioni (segno della limitata presenza di PMI); in espansione l’Asia (che appare l’area di maggiore sviluppo negli anni più recenti, in relazione soprattutto al forte incremento delle iniziative in Cina) e in contrazione l’Africa. Per quanto concerne invece l’origine delle IMN attualmente presenti nel Paese per l’insieme dei settori considerati, il 60,5% dei dipendenti nelle partecipate estere sono da attribuire a investitori europei, contro il 33,4% del Nord America, il 3,4% del Giappone e il 2,8% del resto del mondo (Tab. 10). Nella dinamica degli anni recenti, non si riscontra un forte divario nella crescita delle due maggiori aree investitrici, mentre si segnala l’espansione, pur di significato limitato, dati i valori assoluti, di Giappone e altri paesi investitori. 16 Tabella 10 LE PARTECIPAZIONI ESTERE IN ITALIA AL 1.1.2005, PER ORIGINE GEOGRAFICA DELL’INVESTITORE ESTERO Imprese estere partecipate N. % Europa 2.577 66,5 Nord America 1.004 25,9 Giappone 196 5,1 Altri paesi 96 2,5 TOTALE 3.873 100,0 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Dipendenti delle imprese estere N. 4.865 1.786 315 215 7.181 % 67,7 24,9 4,4 3,0 100,0 Fatturato delle imprese estere Mil. euro 557.112 307.065 30.976 25.422 920.575 % 60,5 33,4 3,4 2,8 100,0 Fatturato delle imprese estere N. 219.741 122.050 15.839 24.637 382.267 % 57,5 31,9 4,1 6,4 100,0 L’analisi di lungo periodo per il settore manifatturiero offre informazioni di maggiore rilevanza sul piano strutturale. La tradizionale presenza nordamericana è stata ridimensionata: in termini di dipendenti, tra il 1986 e il 2003 si è passati da un’incidenza del 43% al 33,4%. Per converso, si sono avuti l’espansione delle iniziative a base europea (dal 55,3% al 60,5%) e gli incrementi delle partecipazioni provenienti dal Giappone e dal resto del mondo. Si nota tuttavia un recupero della presenza nordamericana nel corso del periodo 1996-2004, a configurare un tendenziale riequilibrio tra le due maggiori aree investitrici. Questa tendenza può essere qualitativamente correlata alla dinamica internazionale degli IDE, che ha visto la ripresa degli investimenti statunitensi proprio a partire dalla seconda metà del decennio scorso, contro un andamento oscillante e diversificato dei maggiori paesi europei. Peraltro il consolidamento del mercato unico europeo può avere ridotto la necessità da parte delle imprese locali di effettuare investimenti intra-UE. È infine interessante notare come le incidenze percentuali delle diverse aree geografiche per il comparto manifatturiero non siano alla data attuale molto dissimili da quelle generali, a sottolineare come, perlomeno a livello aggregato, non vi siano vocazioni ai servizi fortemente dissimili tra di loro. Attenzione merita infine la distribuzione delle presenze estere sul territorio nazionale, anch’essa riferibile al settore manifatturiero. Le regioni del Nord-Ovest hanno peso preminente: esse ospitano il 57,9% delle imprese (sede amministrativa) e il 60,4% dei dipendenti (attribuiti in modo indivisibile all’impresa e localizzati in funzione della sua sede amministrativa). Segue il Nord-Est, con il 23,4% delle imprese e il 18,3% dei dipendenti (in ragione di una minore taglia dimensionale delle partecipazioni). Le regioni centrali e quelle meridionali e insulari assorbono rispettivamente l’11,7% e il 7,1% delle imprese, nonché il 13,1% e l’8,1% dei dipendenti. Come mostra la tab. 21, questa ripartizione è moderatamente evoluta negli ultimi anni con variazioni che hanno per lo più premiato il Centro e il Nord-Est del Paese. Le partecipazioni nel Mezzogiorno si sono stabilizzate su livelli modesti, con una contrazione dell’occupazione locale, condivisa con le altre aree del Paese. Questa distribuzione conferma la tendenza degli operatori internazionali a compiere scelte “conservative”, frutto di decisioni orientate alla riduzione del rischio e al contenimento dei costi di informazione, con il prevalente insediamento nelle grandi aree metropolitane e nelle zone con maggiore dotazione di fattori localizzativi (Mariotti e Piscitello, 1995). Ne scaturisce una concentrazione territoriale delle attività partecipate dall’estero maggiore di quella attinente l’intera economia, con un profilo territoriale che amplifica i punti di forza e di debolezza del Paese. Grava peraltro sulla limitata presenza di iniziative estere nel Sud anche la composizione delle sue attività, con la maggiore presenza di settori tradizionali, intrinsecamente meno interessati ai processi di internazionalizzazione produttiva. 17 18 3. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE TRAMITE IDE DELLE IMPRESE TOSCANE E DELLA PROVINCIA DI FIRENZE 3.1 Il quadro generale Con riferimento a tutte e sole le attività che compongono il campo di indagine, l’aggiornamento all’inizio del 2005 della banca dati Reprint consente di delineare per la Toscana il sottostante quadro generale (Tab. 11). Tabella 11 LE PARTECIPAZIONI TOSCANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN TOSCANA AL 1.1.2005 Partecipazioni toscane all’estero (a) TOTALE Partecipazioni di controllo Valore Valore % su totale Partecipazioni estere in Toscana (b) TOTALE Partecipazioni di controllo Valore Valore % su totale (a) (b) TOTALE Imprese investitrici (N.) - di cui in provincia di Firenze 336 129 242 96 72,2 74,4 238 102 212 94 89,1 92,2 1,41 1,26 Imprese partecipate (N.) - di cui in provincia di Firenze 916 426 772 364 84,3 85,4 308 120 269 109 87,3 90,8 2,97 3,55 Dipendenti (N.) - di cui in provincia di Firenze 34.530 20.450 31.244 18.518 90,5 90,6 28.583 13.389 26.261 12.341 91,9 92,2 1,21 1,53 Fatturato (milioni euro) - di cui in provincia di Firenze 5.840 4.137 5.405 3.938 92,6 95,2 10.881 5.961 10.319 5.741 94,8 96,3 0,54 0,69 Valore aggiunto (milioni euro) n.d. n.d. - di cui in provincia di Firenze Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE n.d. 2.759 1.690 2.601 1.620 94,3 95,9 n.d. n.d. Le imprese toscane che hanno assunto dimensione multinazionale attraverso partecipazioni in imprese all’estero sono 336 (tra gruppi finanziario-industriali ed imprese autonome). Le imprese da esse partecipate all’estero (considerando sia le partecipazioni di controllo, sia le partecipazioni paritarie e di minoranza) sono in tutto 916, per un’occupazione all’estero di 34.530 dipendenti e un fatturato 2004 pari a 5.840 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo riguardano lo 84,3% delle imprese partecipate, il 90,5% dei dipendenti e il 92,6% del fatturato totale. Alle 129 multinazionali fiorentine corrispondono 426 imprese partecipate all’estero, con 20.450 dipendenti e un fatturato di 4.137 milioni di euro. La consistenza economica del fenomeno per la Toscana e per la provincia di Firenze può essere meglio qualificata rapportando tali dati a quelli nazionali. L’incidenza della Toscana e per l’insieme delle partecipazioni risulta pari al 5,8% dei soggetti investitori, al 5,4% e al 2,5% delle imprese partecipate all’estero, al 3,2% dei dipendenti delle partecipate e al 2,1% del loro fatturato. I medesimi rapporti riferiti alla provinca di Firenze risultano pari rispettivamente a 2,2%, 2,5%, 1,9% e 1,5%. Questi dati evidenziano per la Toscana e per la provincia del suo capoluogo un minore numero medio di imprese partecipate per investitore e una inferiore dimensione media delle imprese partecipate, che riflette il limitato numero di grandi imprese attive nel territorio provinciale e regionale. Sul fronte dell’internazionalizzazione passiva, all’inizio del 2005 le IMN estere attive tramite almeno una impresa partecipata con sede principale in Toscana sono 238; di queste, 102 vantano almeno una imprese partecipata con sede principale in provincia di Firenze. Le imprese con sede principale nella regione partecipate da IMN a base estera sono complessivamente 308, con 28.583 dipendenti; nel 2004 esse hanno realizzato un fatturato di 10.881 milioni di euro e il 19 valore aggiunto da esse prodotto è stato pari a 2.759 milioni. In provincia di Firenze le imprese a partecipazione estera sono 120, con 13.389 addetti e un fatturato di 5.961 milioni di euro. L’incidenza delle partecipazioni di controllo sulle partecipazioni totali si attesta su livelli ancora più elevati di quelli nazionali, fatta eccezione per l’indicatore relativo al numero di imprese partecipate (87,3%): 91,9% in termini di numero di dipendenti, 94,8% in relazione al fatturato e 94,3% per valore aggiunto. Rispetto alla consistenza complessiva delle partecipazioni estere in Italia, il peso della Toscana è dunque pari all’8,1% in termini di imprese partecipate, al 6,6% dei dipendenti, al 5% del fatturato e al 5,4% del valore aggiunto. Anche in questo caso, si rileva una minore dimensione media delle imprese partecipate. Il bilancio tra partecipazioni estere in uscita e in entrata per la Toscana risulta assai simile a quello che si registra per l’intero Paese: alla prevalenza delle partecipazioni in uscita in termini di numerosità e occupazione delle imprese partecipate si contrappone un maggiore spessore “strategico” delle partecipazioni in entrata. In entrambi i casi il confronto basato sul numero dei dipendenti collegati a tutte le partecipazioni estere in entrata e in uscita premia il lato dell’uscita (quoziente 1,21 per la Toscana, 1,18 per l’Italia), ma solo grazie alla presenza di una significativa componente di partecipazioni in paesi con funzione di produzione -dati i prezzi relativi di capitale e lavoro- polarizzata su tecnologie utilizzatrici di lavoro; in termini di fatturato, la consistenza delle partecipazioni in entrata sopravanza invece nettamente quella delle partecipazioni in uscita (quoziente 0,54 per la Toscana e 0,72 per l’Italia). La composizione settoriale, sia in uscita che in entrata, vede accentuarsi per la Toscana la preminenza, pure evidente in ambito nazionale, dell’industria manifatturiera: con riferimento al numero di dipendenti delle imprese partecipate, la quota di tale comparto sul totale raggiunge l’85,4% in uscita e il 77,6% in entrata, contro medie italiane rispettivamente del 78,5% e del 65,1% (Tab. 12). Tabella 12 LE PARTECIPAZIONI TOSCANE ALL’ESTERO ED ESTERE IN TOSCANA AL 1.1.2005, PER SETTORE Imprese Dipendenti Imprese Dipendenti (a) (b) Dip. 6 322 0 10 389 144 20 25 916 213 29.473 0 46 3.699 847 161 91 34.530 3 125 7 12 114 16 9 22 308 147 22.171 789 214 3.013 590 298 1.361 28.583 1,45 1,33 0,00 0,21 1,23 1,44 0,54 0,07 1,21 PROVINCIA DI FIRENZE Industria estrattiva 3 Industria manifatturiera 135 Energia elettrica, gas e acqua 0 Costruzioni 0 Commercio all'ingrosso 236 Logistica e trasporti 33 Servizi di informatica e telecomunicazioni 5 Altri servizi professionali 14 TOTALE 426 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE 130 17.227 0 0 2.815 228 14 36 20.450 0 37 1 2 60 4 1 15 120 0 9.625 431 91 2.063 51 7 1.121 13.389 .. 1,79 0,00 0,00 1,36 4,47 2,00 0,03 1,53 Partecipazioni all’estero (a) TOSCANA Industria estrattiva Industria manifatturiera Energia elettrica, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di informatica e telecomunicazioni Altri servizi professionali TOTALE 20 Partecipazioni estere in Toscana (b) Dettagliando l’analisi si evidenzia la prevalenza delle partecipazioni in uscita (in termini di numero e dipendenti delle imprese partecipate) nell’industria estrattiva e manifatturiera, nel commercio all’ingrosso e nella logistica, mentre nei settori delle utilities, nelle costruzioni e nei servizi alle imprese (ICT e professionali) prevale il lato dell’internazionalizzazione passiva, a fronte di una presenza del tutto modesta delle imprese toscane all’estero. Più puntuali valutazioni di merito possono essere date esaminando, sempre comparativamente all’Italia, il grado di multinazionalizzazione attiva e passiva della regione, con riferimento all’insieme delle attività e per i singoli settori (Tab. 13). La tabella 14 offre inoltre la possibilità di confrontare le performance di internazionalizzazione attiva e passiva della Toscana con quella delle altre regioni italiane. Tabella 13 GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA, IN BASE AL NUMERO DI ADDETTI DELLE IMPRESE PARTECIPATE, PER SETTORE (a) Grado di internazionalizzazione attiva (b) Provincia Toscana ITALIA di Firenze Grado di internazionalizzazione passiva (c) Provincia Toscana ITALIA di Firenze Industria estrattiva 9,4 67,4 43,7 Industria manifatturiera 11,6 22,9 20,9 Energia, gas e acqua 0,0 0,0 12,9 Costruzioni 0,1 0,0 3,5 Commercio all'ingrosso 7,2 16,6 12,1 Logistica e trasporti 2,6 1,8 0,9 Servizi di tlc e di informatica 1,5 0,4 12,6 Altri servizi professionali 0,2 0,2 3,1 TOTALE 7,7 14,6 13,6 (a) I dati relativi alle imprese a partecipazione estera / partecipate all’estero sono riferiti al 1.1.2005. sono riferiti al Censimento 2001. (b) % Dipendenti delle imprese estere partecipate da imprese italiane Dipendenti in Italia delle imprese a base italiana (non controllate dall’estero) (c) 6,1 0,0 8,0 11,4 16,0 65,5 0,4 0,6 5,6 10,9 1,8 0,4 2,8 0,2 3,2 6,7 6,0 8,8 I dati relativi ai dipendenti in Italia 4,2 14,7 8,7 1,2 14,0 5,8 22,4 6,5 11,5 (Istat) % Dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera Dipendenti in Italia delle imprese italiane Fonte: elaborazioni su dati banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE, e Istat (Censimento 2001) Sul lato della multinazionalizzazione attiva, l’incidenza dei dipendenti all’estero rispetto al totale dei dipendenti delle imprese toscane non controllate dall’estero è pari al 7,7%, un valore non molto superiore alla metà del dato nazionale (13,6%). Nel nostro paese i settori a più alta multinazionalizzazione sono di gran lunga quelli dell’industria estrattiva e manifatturiera, del commercio all’ingrosso e dei servizi di informatica e telecomunicazioni, mentre relativamente ai margini rimangono gli altri settori terziari9. Ciò è ancora più evidente per la Toscana, dove solo l’industria, estrattiva e manifatturiera, e il commercio all’ingrosso presentano gradi di internazionalizzazione di un certo rilievo (rispettivamente 9,4% per l’industria estrattiva, 11,6% per l’industria manifatturiera e 7,2% per il commercio all’ingrosso), anche se sempre chiaramente inferiori al corrispondente dato nazionale. La provincia di Firenze mostra invece un grado di internazionalizzazione attiva superiore a quello nazionale sia per l’insieme dei settori considerati (14,6%), sia per l’industria manifatturiera (22,9% contro 20,9%). Nei rimanenti settori, il grado 9 Per questo settore, è opportuno richiamare l’attenzione sul diverso significato dell’indice. Mentre in generale, le partecipazioni all’estero di un settore competono per la gran parte dei casi a imprese che operano nello stesso settore (soprattutto nel caso di macroaggregazioni come quelle in corso di commento), nel caso del commercio all’ingrosso, le partecipazioni corrispondono prevalentemente a filiali commerciali di imprese di altri settori (soprattutto manifatturieri) e dunque l’indice non misura la proiezione all’estero delle imprese che compongono il settore medesimo. 21 di internazionalizzazione attiva della Toscana e della provincia di Firenze si attesta su livelli assai modesti e generalmente inferiori ai corrispondenti nazionali, l’unica eccezione essendo rappresentata dai servizi di logistica e trasporto (2,6% per la Toscana contro 0,9% per l’Italia). Anche nel caso degli investimenti esteri in entrata il grado di multinazionalizzazione della Toscana (6%, ovvero 6 dipendenti di imprese a partecipazione estera ogni 100 dipendenti delle imprese della regione) è di poco superiore al dato nazionale (11,5%). Tale riscontro si conferma anche limitatamente all’industria manifatturiera (8% contro 14,7%). In questo caso, la provincia di Firenze si inserisce in una posizione intermedia tra il dato regionale e quello nazionale, con un grado di internazionalizzazione pari all’8,8% per l’insieme dei settori considerati e all’11,4% per l’industria manifatturiera10. Il confronto con le altre regioni italiane del Centro-Nord evidenzia ancor di più la modesta performance della Toscana (Tab. 14). Solo Valle d’Aosta, Liguria e Umbria fanno segnare gradi di internazionalizzazione attiva chiaramente inferiori a quelle della Toscana, che appaiono non solo assai lontane da quelle delle regioni più internazionalizzate (Piemonte, Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna), ma inferiori anche a quelle di altre regioni caratterizzate dalla prevalenza di PMI operanti in settori a media e bassa intensità tecnologica, quali il Veneto e le Marche. Anche nel caso dell’entrata l’incidenza delle partecipazioni estere si mantiene su livelli alquanto inferiori alle medie nazionali. Il grado di multinazionalizzazione passiva, calcolato considerando come base dell’indice il numero di dipendenti delle imprese localizzate nel paese, a controllo sia italiano, sia estero11, si attesta per la Toscana su un valore di poco superiore alla metà della media nazionale (6% contro 11,5%). In ambito nazionale, l’industria manifatturiera, il commercio all’ingrosso12 e il settore dei servizi di informatica e telecomunicazioni si confermano come caratterizzati anche sul lato dell’entrata dai più alti gradi di internazionalizzazione. Il grado di internazionalizzazione passiva per la Toscana è inferiore a quello nazionale per tutti i settori aggregati, eccetto l’industria estrattiva (fenomeno peraltro poco significativo, data la limitata entità dei valori assoluti in gioco) e le utilities (energia elettrica, gas e acqua), che presentano per la Toscana il valore più elevato dell’indice considerato (16%). Nel comparto industriale il grado di internazionalizzazione passiva si ferma all’8%, contro il 14,7% nazionale; tra i rimanenti settori, solo l’industria estrattiva (6,1%) e il commercio all’ingrosso (5,6%) superano la soglia del 5%. Anche in questo caso il confronto con le altre regioni del Centro-Nord è sfavorevole alla Toscana. A parte le Marche (che denotano un grado di internazionalizzazione passiva allineato a quello del Mezzogiorno) e il Veneto, che si posiziona su livelli simili a quelli della Toscana, in tutte le altre regioni il peso delle imprese a partecipazione estera sull’economia locale appare assai più elevato. Queste evidenze inducono ad una disamina più dettagliata per settori e tipologie delle iniziative realizzate, indispensabile ai fini di una migliore comprensione dei caratteri propri dell’internazionalizzazione attiva e passiva della regione. 10 È opportuno enfatizzare la differenza a denominatore tra multinazionalizzazione in uscita e in entrata: nel primo caso, sono esclusi gli occupati presso le imprese a controllo estero, nel secondo no. La ragione risiede nella considerazione che le imprese a controllo estero insediate in Italia non partecipano al processo di multinazionalizzazione attiva. Nel caso esse controllino attività all’estero, ciò è generalmente il frutto di scelte proprietarie e organizzative delle IMN cui appartengono e sarebbe fuorviante attribuire contabilmente il controllo dei loro assets al nostro paese. 11 Sottolineiamo ancora la differenza di denominatore rispetto agli indici dell’uscita. 12 A differenza che per l’uscita, in questo caso l’indice ha un significato omogeneo agli altri settori, poiché descrive l’apporto delle IMN alla consistenza complessiva del settore in Italia. 22 Tabella 14 GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA DELLE REGIONI ITALIANE AL 1.1. 2005, (a) Grado di internazionalizzazione attiva (b) TOTALE Industria manifatturiera Grado di internazionalizzazione passiva (c) TOTALE Industria manifatturiera Italia Nord-Occidentale 24,4 36,4 Valle d'Aosta 1,7 1,4 Piemonte 34,4 49,8 Lombardia 22,2 32,3 Liguria 3,9 5,7 Italia Nord-Orientale 14,3 20,5 Veneto 12,0 15,7 Trentino-Alto Adige 8,2 17,7 Friuli-Venezia Giulia 7,8 8,7 Emilia-Romagna 19,4 29,8 Italia Centrale 11,2 17,0 Toscana 7,7 11,6 - provincia di Firenze 14,6 22,9 Umbria 2,7 4,6 Marche 11,5 14,2 Lazio 14,0 36,3 Italia Meridionale e Isole 2,0 4,1 Abruzzo 2,3 3,4 Molise 3,7 7,0 Campania 1,8 3,8 Puglia 2,3 4,9 Basilicata 0,5 0,9 Calabria 0,7 2,2 Sicilia 2,0 6,1 Sardegna 2,9 3,1 TOTALE ITALIA 15,1 23,9 (a) I dati relativi alle imprese a partecipazione estera / partecipate all’estero sono riferiti al 1.1.2005. I dati sono riferiti al 2003. (b) % Dipendenti delle imprese estere partecipate da imprese italiane Dipendenti in Italia delle imprese a base italiana (non controllate dall’estero) (c) 19,2 18,8 18,3 20,0 12,6 7,0 5,3 10,2 12,2 7,0 7,7 6,0 8,8 5,9 2,1 10,2 4,0 13,9 2,0 4,1 2,6 12,7 1,5 2,6 6,4 11,6 relativi ai dipendenti in Italia 21,3 28,1 24,3 20,2 16,8 9,3 6,5 17,7 15,8 10,0 11,7 8,0 11,4 9,5 2,6 27,1 7,9 21,5 3,2 6,3 4,4 26,7 0,7 6,1 11,9 14,7 (Istat) % Dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera Dipendenti in Italia delle imprese italiane Fonte: elaborazioni su dati banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE, e Istat (Censimento 2001) 3.2 La dinamica Le tabelle 15-18 illustrano la dinamica dell’internazionalizzazione attiva e passiva della Toscana. In particolare, le tabelle 15 e 17 mostrano l’evoluzione delle partecipazioni, rispettivamente in uscita e in entrata, per tutti i settori considerati dalla banca dati Reprint con riferimento agli anni più recenti, mentre le tabelle 16 e 18 si riferiscono ad un periodo assai più ampio (dal 1.1.1986 al 1.1.2005) ma limitatamente al solo settore manifatturiero, il quale peraltro, come già ricordato, rappresenta la parte più consistente del fenomeno. Con riferimento alle partecipazioni in uscita, nei primi anni duemila la provincia di Firenze e la Toscana evidenziano a livello aggregato una crescita superiore alla media nazionale per quanto riguarda il numero di imprese partecipate all’estero (+11,8% e +12,1%, rispettivamente, contro +10,5%), ma inferiore in termini di addetti all’estero (+1,7% per la Toscana e -5,1% per la provincia di Firenze, contro +4,8% per l’Italia, Tab. 15). Approfondendo l’analisi a livello dei diversi comparti, va sottolineata per Firenze e la Toscana la crescita degli indicatori relativi a commercio all’ingrosso, segnale di una crescente propensione delle imprese toscane a presidiare i mercati internazionali di sbocco tramite filiali commerciali dirette. Stagnante invece l’occupazione delle filiali produttive all’estero delle imprese della regione e addirittura in calo per la provincia di Firenze, nonostante l’aumentato numero di imprese partecipate, a sottolineare fenomeni di razionalizzazione delle strutture produttive estere. 23 Tabella 15 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ALL'ESTERO NEL PERIODO 1.1.2001–1.1.2005, PER SETTORE Provincia di Firenze Al 1.1.01 Al 1.1.05 Var. % IMPRESE PARTECIPATE (N.) Industria estrattiva 2 3 Industria manifatturiera 123 135 Energia, gas e acqua 0 0 Costruzioni 0 0 Commercio all'ingrosso 209 236 Logistica e trasporti 30 33 Servizi di tlc e informatica 4 5 Altri servizi professionali 13 14 TOTALE 381 426 DIPENDENTI DELLE IMPRESE PARTECIPATE (N.) Industria estrattiva 128 130 Industria manifatturiera 18.643 17.227 Energia, gas e acqua 0 0 Costruzioni 0 0 Commercio all'ingrosso 2.484 2.815 Logistica e trasporti 250 228 Servizi di tlc e informatica 14 14 Altri servizi professionali 36 36 TOTALE 21.555 20.450 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Al 1.1.01 Toscana Al 1.1.05 Var. % Al 1.1.01 ITALIA Al 1.1.05 Var. % 50,0 9,8 12,9 10,0 25,0 7,7 11,8 5 280 0 9 349 133 18 23 817 6 322 0 10 389 144 20 25 916 20,0 15,0 11,1 11,5 8,3 11,1 8,7 12,1 220 5.157 323 724 6.773 810 396 832 15.235 245 5.863 411 840 7.210 844 483 936 16.832 11,4 13,7 27,2 16,0 6,5 4,2 22,0 12,5 10,5 1,6 -7,6 13,3 -8,8 0,0 0,0 -5,1 211 29.310 0 46 3.263 862 160 89 33.941 213 29.473 0 46 3.699 847 161 91 34.530 0,9 0,6 0,0 13,4 -1,7 0,6 2,2 1,7 12.707 788.667 14.381 27.527 82.846 7.113 74.334 27.284 1.034.859 12.688 851.635 15.671 29.967 93.393 7.760 44.721 28.582 1.084.417 -0,1 8,0 9,0 8,9 12,7 9,1 -39,8 4,8 4,8 Tabella 16 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ALL'ESTERO DELLE IMPRESE FIORENTINE E TOSCANE IN ATTIVITÀ MANIFATTURIERE, 1.1.1986– 1.1.2005 Provincia di Firenze (a) Indice % su Italia (1986=100) N. IMPRESE INVESTITRICI (N.) – al 1.1.1986 13 – al 1.1.1991 19 – al 1.1.1996 33 – al 1.1.2001 53 – al 1.1.2002 57 – al 1.1.2003 60 – al 1.1.2004 58 – al 1.1.2005 61 IMPRESE ESTERE PARTECIPATE (N.) – al 1.1.1986 21 – al 1.1.1991 48 – al 1.1.1996 74 – al 1.1.2001 123 – al 1.1.2002 130 – al 1.1.2003 134 – al 1.1.2004 131 – al 1.1.2005 135 DIPENDENTI DELLE IMPRESE ESTERE PARTECIPATE (N.) – al 1.1.1986 1.642 – al 1.1.1991 12.658 – al 1.1.1996 12.315 – al 1.1.2001 18.643 – al 1.1.2002 16.981 – al 1.1.2003 17.055 – al 1.1.2004 17.198 – al 1.1.2005 17.227 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE N. TOSCANA (b) Indice (1986=100) % su Italia % (a)/(b) 100,0 146,2 253,8 407,7 438,5 461,5 446,2 469,2 4,6 4,0 2,7 2,2 2,3 2,3 2,1 2,2 23 32 80 154 160 165 166 170 100,0 139,1 347,8 669,6 695,7 717,4 721,7 739,1 8,2 6,7 6,5 6,5 6,3 6,2 6,0 6,0 39,4 26,0 23,7 18,9 19,3 19,5 18,5 18,9 100,0 228,6 352,4 585,7 619,0 638,1 623,8 642,9 3,0 3,7 2,6 2,4 2,4 2,4 2,3 2,3 33 73 139 280 295 308 313 322 100,0 221,2 421,2 848,5 893,9 933,3 948,5 975,8 4,7 5,7 4,9 5,4 5,4 5,5 5,5 5,5 63,6 65,8 53,2 43,9 44,1 43,5 41,9 41,9 100,0 770,9 750,0 1135,4 1034,2 1038,7 1047,4 1049,1 0,7 2,4 1,9 2,4 2,1 2,1 2,0 2,0 3.910 20.558 22.926 29.310 27.904 28.550 28.893 29.473 100,0 525,8 586,3 749,6 713,7 730,2 739,0 753,8 1,6 4,0 1,9 3,7 3,4 3,5 3,4 3,5 42,0 61,6 63,6 63,6 60,9 59,7 59,5 58,5 24 Particolarmente interessante appare l’analisi di lungo periodo riferita all’internazionalizzazione attiva (vedi Tab. 16), che riguarda, come precedentemente rilevato, un momento fondamentale dell’inseguimento multinazionale dell’industria italiana. In questo contesto, è interessante evidenziare come anche nel lungo periodo la Toscana evidenzi una crescita degli indicatori di consistenza delle partecipazioni all’estero maggiore della media nazionale, nonostante l’incidenza in termini di numero di soggetti investitori si sia ridotta tra la metà degli anni ottanta e oggi (dall’8,2% al 6%). In relazione al numero di imprese partecipate all’estero, l’incidenza della Toscana sul totale nazionale sale dal 4,7% del 1986 al 5,5% di inizio 2005, mentre in termini di numero di dipendenti delle consociate estere si passa dall’1,6% al 3,5%; sempre in termini di numero di dipendenti, la provincia di Firenze sale invece da un invero modesto 0,7% del totale nazionale all’attuale 2%. Questi riscontri sembrano dunque suggerire che le PMI toscane abbiano partecipato in misura meno significativa delle imprese di altre regioni all’allargamento della base investitrice, mentre segnali più positivi provengono dalle medie e mediograndi imprese toscane, che hanno accresciuto la loro presenza produttiva all’estero negli utimi due decenni. Sul lato dell’entrata, la dinamica delle partecipazioni estere riferita al periodo più recente (1.1.2001-1.1.2005) appare contrastato (Tab. 17). A fronte di una crescita del numero di imprese partecipate da investitori esteri di poco inferiore alla media nazionale (+6,6% contro +7,4%; +7,1% per la provincia di Firenze), si registra una contrazione del numero dei dipendenti delle imprese a partecipazione estera, che scende da quasi 25.400 a poco più di 22mila unità, determinando una controtendenza rispetto al dato nazionale (-7,0% contro +0,8%). Responsabile di questo andamento è l’industria manifatturiera, che perde oltre il 12% (-6,3% il dato nazionale); tale apparentemente negativo andamento è peraltro influenzato in misura non trascurabile da una specifica operazione, l’uscita di Piaggio dal novero delle imprese toscane a partecipazione estera in seguito alla cessione del controllo della stessa da parte di Deutsche Bank (per tramite del fondo statunitense Morgan Grenfell) ad un soggetto nazionale (il gruppo Colaninno); non considerando tale operazione il numero degli addetti delle imprese toscane partecipate dall’estero sarebbe risultato sostanzialmente invariato. Tabella 17 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI DALL'ESTERO NEL PERIODO 1.1.2001–1.1.2005, PER SETTORE Provincia di Firenze Al 1.1.01 Al 1.1.05 Var. % IMPRESE PARTECIPATE (N.) Industria estrattiva 0 0 Industria manifatturiera 33 37 Energia, gas e acqua 0 1 Costruzioni 2 2 Commercio all'ingrosso 58 60 Logistica e trasporti 4 4 Servizi di tlc e informatica 2 1 Altri servizi professionali 13 15 TOTALE 112 120 DIPEND. DELLE IMP. PARTECIPATE (N.) Industria estrattiva 0 0 Industria manifatturiera 10.390 9.625 Energia, gas e acqua 0 431 Costruzioni 63 91 Commercio all'ingrosso 1.790 2.063 Logistica e trasporti 120 51 Servizi di tlc e informatica 279 7 Altri servizi professionali 596 1.121 TOTALE 13.238 13.389 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Al 1.1.01 Toscana Al 1.1.05 Var. % Al 1.1.01 12,1 0,0 3,4 0,0 -50,0 15,4 7,1 3 114 7 12 113 14 9 17 289 3 125 7 12 114 16 9 22 308 0,0 9,6 0,0 0,0 0,9 14,3 0,0 29,4 6,6 21 2.517 61 77 2.558 328 493 633 6.688 20 2.595 126 92 2.728 365 539 716 7.181 -4,8 3,1 106,6 19,5 6,6 11,3 9,3 13,1 7,4 -7,4 44,4 15,3 -57,5 -97,5 88,1 1,1 147 25.392 327 156 2.949 491 608 767 30.837 147 22.171 789 214 3.013 590 298 1.361 28.583 0,0 -12,7 141,3 37,2 2,2 20,2 -51,0 77,4 -7,3 1.135 639.520 2.671 5.918 99.772 37.822 79.250 46.746 912.834 1.288 598.989 10.968 10.727 108.761 49.897 80.912 59.033 920.575 13,5 -6,3 310,6 81,3 9,0 31,9 2,1 26,3 0,8 25 ITALIA Al 1.1.05 Var. % Crescite assai sostenute nell’occupazione delle partecipate estere si rilevano nel comparto terziario, ma spesso sull’entità relativa dell’incremento incidono in misura significativa gli assai modesti livelli iniziali. Forte anche la crescita delle consistenza delle partecipazioni estere nel settore delle utilities (+65,3%), che peraltro si inserisce in un quadro più generale che ha visto concretizzarsi una prima ondata di un certo rilievo di investimenti dall’estero nel nostro Paese, a seguito dei processi in atto di apertura dei mercati e liberalizzazione delle attività, di cui il +426,2% registrato a livello nazionale è efficace testimonianza. L’analisi di lungo periodo riferita al comparto manifatturiero (Tab. 18) evidenzia nel lungo periodo un trend di crescita delle partecipazioni dall’estero, che nell’arco dei 18 anni considerati (1.1.1986-1.1.2004) consente alla Toscana di incrementare le sue quote sul totale nazionale: dal 3,3% al 4,7% in relazione al numero di imprese partecipate (che da 47 salgono a 120), dal 3,3% al 3,6% in relazione al numero di dipendenti (da 17.284 a 22.088), dopo aver superato la soglia del 4% nei primi anni del nuovo millennio. In sintonia con il più generale andamento nazionale, anche nel caso della Toscana il periodo di maggiore crescita è rappresentato dagli anni novanta; la crescita è stata anzi in questo caso ancora più sostenuta, tanto che la quota della regione sul totale nazionale in termini di numero di dipendenti delle imprese a partecipazione estera è aumentata in questo periodo di 1 punto percentuale. Tabella 18 EVOLUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA FIORENTINA E TOSCANA, 1.1.1986 - 1.1.2005 Provincia di Firenze (a) Indice N. % su Italia (1986=100) IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA (N.) – al 1.1.1986 26 – al 1.1.1991 28 – al 1.1.1996 29 – al 1.1.2001 31 – al 1.1.2002 33 – al 1.1.2003 34 – al 1.1.2004 33 – al 1.1.2005 34 ADDETTI DELLE IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA (N.) – al 1.1.1986 11.813 – al 1.1.1991 8.338 – al 1.1.1996 9.733 – al 1.1.2001 9.955 – al 1.1.2002 10.390 – al 1.1.2003 10.509 – al 1.1.2004 9.944 – al 1.1.2005 9.700 STABILIMENTI DI IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA (N.) – al 1.1.2001 49 – al 1.1.2002 51 – al 1.1.2003 52 – al 1.1.2004 52 – al 1.1.2005 52 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE N. TOSCANA (b) Indice (1986=100) % su Italia % (a)/(b) 100,0 107,7 111,5 106,9 113,8 117,2 113,8 117,2 1,8 1,6 1,4 1,3 1,3 1,3 1,3 1,3 47 68 90 102 114 119 122 120 100,0 144,7 191,5 113,3 126,7 132,2 135,6 133,3 3,3 3,8 4,4 4,2 4,5 4,6 4,8 4,7 55,3 41,2 32,2 30,4 28,9 28,6 27,0 28,3 100,0 70,6 82,4 84,3 88,0 89,0 84,2 82,1 2,3 1,6 1,5 1,7 1,6 1,6 1,6 1,6 17.284 15.983 22.991 24.279 25.392 25.723 25.115 22.088 100,0 92,5 133,0 140,5 146,9 148,8 145,3 127,8 3,3 3,0 3,6 4,2 4,0 4,0 4,0 3,6 68,3 52,2 42,3 41,0 40,9 40,9 39,6 43,9 100,0 104,1 106,1 106,1 106,1 1,4 1,4 1,4 1,4 1,4 184 192 205 203 205 100,0 104,3 111,4 110,3 111,4 5,3 5,3 5,6 5,5 5,5 26,6 26,6 25,4 25,6 25,4 In sintonia con il più generale andamento nazionale, anche nel caso della Toscana il periodo di maggiore crescita è rappresentato dagli anni novanta; la crescita è stata anzi in questo caso ancora più sostenuta, tanto che la quota della regione sul totale nazionale in termini di numero 26 di dipendenti delle imprese a partecipazione estera è aumentata in questo periodo di oltre 1 punto percentuale, per poi scendere nei primi anni del nuovo decennio. Il peso della regione sul totale nazionale appare in sia pure lenta crescita anche se si guarda al numero di unità produttive localizzate sul territorio (indipendentemente dalla localizzazione della sede principale dell’impresa stessa). Sono infatti oltre 200 le unità produttive localizzate in Toscana facenti capo ad imprese a partecipazione estera del settore manifatturiero, per un incidenza pari al 5,5% del totale nazionale. Gli stabilimenti produttivi localizzati in provincia di Firenze sono invece 52. Un importante aspetto concerne le modalità scelte dalle IMN per investire in attività produttive, con particolare riferimento alla scelta fra l’avvio di una nuova attività -investimento greenfield- e l’acquisizione di attività esistenti. Con riguardo all’industria manifatturiera toscana, la tabella 19 offre il quadro di dettaglio relativo agli ultimi dieci anni. Al di là della conferma di come la netta predominanza delle acquisizioni rappresenti un fenomeno ormai irreversibile13, è evidente l’esiguità delle attività produttive avviate ex novo da investitori esteri dalla metà degli anni novanta ad oggi. A livello nazionale, l’incidenza degli investimenti greenfield si attesta nel corso dell’intero periodo al di sotto del 15% del totale in termini di numero di iniziative e del 4% in termini di apporto all’occupazione. Gli anni più recenti sembrerebbero indicare un’ulteriore rarefazione delle iniziative greenfield, anche se la prudenza nel commentare tale dato è d’obbligo, data la possibilità che alcune iniziative recenti “a prato verde” (comunque di limitata consistenza), per ora sfuggite alla rilevazione, “emergano” nei prossimi anni, al crescere dell’attività. I dati rilevati per la Toscana appaiono sostanzialmente allineati alla media nazionale: l’incidenza degli investimenti greenfield appare leggermente inferiore (10,8% contro 14,7%) in relazione alla numerosità delle iniziative, ma identica (3,6%) se si guarda al numero di dipendenti interessati. Tabella 19 NUOVE PARTECIPAZIONI ESTERE NELL’INDUSTRIA MANIFATTURIERA TOSCANA E INCIDENZA DEGLI INVESTIMENTI GREENFIELD, 1996-2004 Totale nuove partecipazioni (a) Imprese Dipendenti 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 (6 mesi) 15 8 4 12 15 3 11 2 8 5 984 977 329 5.779 1.941 104 1.200 20 309 3.390 1996–1999 39 8.069 2000–2003 39 3.574 Fonte: elaborazione su banca dati REPRINT, R&P - POLITECNICO di Milano - ICE 13 di cui greenfield (b) Imprese Dipendenti Incidenza % (b) / (a) Imprese Dipendenti 4 1 0 1 1 1 1 0 0 0 387 2 0 33 5 18 100 0 0 0 26,7 12,5 0,0 8,3 6,7 33,3 9,1 0,0 0,0 0,0 39,3 0,2 0,0 0,6 0,3 17,3 8,3 0,0 0,0 0,0 6 3 422 123 15,4 7,7 5,2 3,4 Si ricorda che sino alla fine degli anni cinquanta gli investimenti greenfield rappresentavano oltre i 3/4 del totale delle nuove partecipazioni estere in Italia, sia in termini di numero di iniziative che di dipendenti coinvolti, mentre già a partire dagli anni settanta le acquisizioni hanno preso chiaramente il sopravvento (Cominotti e Mariotti 1994). 27 3.3 Le caratteristiche strutturali dell’internazionalizzazione attiva Le tabelle 20 e 21 illustrano la ripartizione settoriale delle attività partecipate all’estero da investitori toscani, con riferimento rispettivamente all’insieme di tutte le partecipazioni (di controllo, paritarie e minoritarie) e alle sole partecipazioni di controllo. Tabella 20 LE PARTECIPAZIONI ALL’ESTERO DELLE IMPRESE TOSCANE, PER SETTORE, AL 1.1.2005 Imprese partecipate all’estero (N.) Prov. Di Firenze TOSCANA Dipendenti delle imprese Fatturato delle imprese partecipate partecipate all’estero (N.) all’estero (Mn. euro) Prov. di TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Firenze Industria estrattiva 3 6 130 Industria manifatturiera 135 322 17.227 Alimentari, bevande e tabacco 5 30 85 Tessile e maglieria 6 34 598 Abbigliamento 22 56 2.083 Pelli, cuoio, calzature e pelletteria 11 33 1.091 Legno e prodotti in legno 3 7 232 Carta, derivati, stampa e editoria 4 30 98 Derivati del petrolio 0 0 0 Chimica, farmaceutica, fibre sint. 20 24 4.181 Prodotti in gomma e plastica 2 12 229 Prodotti dei minerali non metalliferi 22 29 1.904 Metallo e prodotti derivati 15 16 5.508 Macchine e apparecchi meccanici 3 13 132 Prodotti elettrici ed ottici 11 14 557 Autoveicoli e componentistica auto 0 3 0 Altri mezzi di trasporto 5 8 236 Mobili e altre industrie manifatt. 6 13 293 Energia, gas e acqua 0 0 0 Costruzioni 0 10 0 Commercio all'ingrosso 236 389 2.815 Logistica e trasporti 33 144 228 Servizi di telecom. e di informatica 5 20 14 Altri servizi professionali 14 25 36 TOTALE 426 916 20.450 Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE 213 29.473 733 2.188 6.669 2.168 337 1.853 0 4.457 382 2.101 5.615 376 844 528 524 698 0 46 3.699 847 161 91 34.530 26 2.981 6 32 101 71 11 7 0 598 8 330 1.692 15 91 0 14 8 0 0 1.008 97 7 17 4.137 31 3.873 62 142 239 149 18 246 0 617 45 387 1.697 50 144 9 44 23 0 17 1.446 398 41 33 5.840 Si è sottolineato in precedenza come le partecipazioni estere delle imprese toscane si concentrino nell’industria manifatturiera e nel comparto a questa fortemente legato del commercio all’ingrosso (le attività estere in tale settore sono prevalentemente costituite da filiali commerciali di imprese di altri settori, soprattutto manifatturieri), mentre nel comparto dei servizi solo il settore della logistica e dei trasporti vanta una presenza all’estero sufficientemente articolata. Le imprese estere attive nel comparto manifatturiero partecipate da imprese toscane sono 322, con circa 29.500 dipendenti e un fatturato di quasi 3,9 miliardi di euro. Tre comparti (metallo e prodotti derivati, chimico-farmaceutico e abbigliamento) contribuiscono da soli quasi alla metà dell’occupazione complessiva delle partecipate estere delle imprese toscane. In particolare: – il settore della produzione di metalli e loro leghe, grazie principalmente a KME-Europa Metalli, vanta oltre 6.600 addetti all’estero, con un fatturato di quasi 1,5 milioni di euro, in 12 imprese produttive partecipate all’estero; – la filiera chimica conta oltre 5.200 addetti all’estero, con un fatturato di oltre 640 milioni di euro, in 26 imprese estere, attive soprattutto nella farmaceutica (Menarini e Laboratori Baldacci) e nei profumi (Ferragamo); 28 – anche l’abbigliamento supera quota 5mila addetti all’estero (37 le imprese partecipate, con un fatturato di 134 milioni di euro), per effetto degli investimenti di numerose imprese, tra cui spiccano Industria Confezioni Montecatini e Super Rifle, finalizzati prevalentemente al contenimento dei costi di produzione attraverso insediamenti produttivi in paesi a basso costo dei lavoro. Altri tre settori dell’industria toscana possono vantare oltre 2mila addetti all’estero: si tratta del tessile, del cuoio e della lavorazione dei minerali non metalliferi (materiali per l’edilizia, vetro e ceramica), mentre poco al di sotto di tale soglia è il settore della carta, che ha ridotto la sua proiezione internazionale dopo l’uscita da novero delle IMN toscane di Cartoinvest, a seguito della sua acquisizione da parte dal gruppo svedese SCA nel 2002. Tabella 21 LE ATTIVITÀ CONTROLLATE ALL’ESTERO DALLE IMPRESE TOSCANE, PER SETTORE, AL 1.1.2005 Imprese partecipate Dipendenti delle imprese Fatturato delle imprese all’estero (N.) partecipate all’estero (N.) partecipate all’estero (Mn. euro) Prov. di Firenze TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Industria estrattiva 3 6 130 Industria manifatturiera 103 248 15.346 Alimentari, bevande e tabacco 2 27 63 Tessile e maglieria 6 27 598 Abbigliamento 11 32 1.358 Pelli, cuoio, calzature e pelletteria 9 19 497 Legno e prodotti in legno 0 5 0 Carta, derivati, stampa e editoria 3 29 95 Derivati del petrolio 0 0 0 Chimica, farmaceutica, fibre sint. 17 20 4.180 Prodotti in gomma e plastica 2 7 227 Prodotti dei minerali non metalliferi 21 26 1.873 Metallo e prodotti derivati 13 14 5.476 Macchine e apparecchi meccanici 3 12 132 Prodotti elettrici ed ottici 7 10 366 Autoveicoli e componentistica auto 0 2 0 Altri mezzi di trasporto 5 8 235 Mobili e altre industrie manifatt. 4 10 246 Energia, gas e acqua 0 0 0 Costruzioni 0 6 0 Commercio all'ingrosso 207 340 2.768 Logistica e trasporti 32 135 224 Servizi di telecom. e di informatica 5 16 14 Altri servizi professionali 14 21 36 TOTALE 364 772 18.518 Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE 213 26.411 671 2.032 5.959 893 110 1.829 0 4.416 303 1.936 5.584 345 654 497 524 658 0 34 3.538 828 141 79 31.244 26 2.833 3 32 35 42 0 7 0 598 8 323 1.687 15 66 0 14 5 0 0 959 96 7 16 3.938 31 3.586 58 129 162 80 7 244 0 616 19 336 1.695 48 120 7 44 20 0 11 1.333 385 33 27 5.405 Unico tra i settori terziari a vantare presenze all’estero di una certa consistenza è la logistica, grazie alle filiali estere operanti a supporto delle spedizioni internazionali di gruppi quali Albini e Pitignani, Savino del Bene, Albatrans, Intertransport Systems e altri. Per quanto riguarda le partecipazioni estere delle imprese fiorentine, occorre rimarcare come oltre la metà delle partecipate estere sia costituita da attività commerciali all’ingrosso, ovvero -nella larga maggioranza dei casi- da filiali commerciali di imprese manifatturiere (ben 236 su un totale di 426), mentre tra le iniziative produttive all’estero spiccano quelle nei comparti metallurgico, chimico, dell’abbigliamento e dei minerali non metalliferi. La composizione settoriale ha un ruolo importante nello spiegare la collocazione della regione rispetto alla media nazionale. Il basso grado di internazionalizzazione in uscita può essere alternativamente spiegato, ai due estremi, o da una composizione delle attività economica sbilanciata verso settori intrinsecamente meno aperti alle opportunità di crescita all’estero via investimenti diretti, o, a parità di composizione settoriale media, da una performance modesta 29 rispetto alla media di taluni peculiari settori. Naturalmente, si potranno nella realtà riscontrare possibili combinazioni tra queste due configurazioni estreme. Per chiarire questi aspetti, la tabella 22 raccoglie e compara, per ciascun settore di attività, il grado di internazionalizzazione della provincia di Firenze, della Toscana e del paese, nonché il grado di specializzazione settoriale della regione, misurato da un semplice indicatore (si veda la legenda in tabella), che assume valore tanto più superiore (inferiore) all’unità, quanto più il singolo settore è sovrarappresentato (sottorappresentato) nella regione. Tabella 22 GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E INDICE DI SPECIALIZZAZIONE DELLA TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005 Grado di internazionalizzazione attiva (a) TOTALE Partecipazioni di controllo Toscana ITALIA Toscana ITALIA Indice di specializzazione della Toscana (a) 9,4 43,7 9,4 36,2 11,6 23,9 10,4 19,3 4,8 39,7 4,4 38,0 5,7 18,5 5,2 14,1 33,7 25,2 30,1 22,5 5,4 15,2 2,2 10,9 4,6 8,9 1,5 7,4 13,2 16,1 13,1 14,5 0,0 21,2 0,0 12,7 63,1 33,7 62,6 22,4 4,6 20,2 3,6 18,4 13,5 39,0 12,5 34,7 21,2 12,6 21,1 9,6 2,3 21,0 2,1 18,3 6,7 37,7 5,2 24,3 34,6 67,1 32,6 52,4 7,1 20,7 7,1 9,2 3,0 6,9 2,8 6,4 0,0 12,9 0,0 3,5 0,1 3,5 0,1 3,2 7,2 14,0 6,9 12,9 2,8 1,0 2,7 0,8 1,5 15,6 1,3 8,0 0,2 3,3 0,2 3,1 7,7 15,1 7,0 12,2 Dipendenti delle imprese estere partecipate (a) Grado di internazionalizzazione attiva = Dipendenti delle imprese domestiche non a controllo estero Quota della Toscana sul numero totale di dipendenti in un settore (b) Indice di specializzazione settoriale = Quota della Toscana sul numero totae di dipendenti in Italia Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE 1,34 1,14 0,77 2,47 1,42 4,02 1,10 1,25 0,24 1,06 0,75 1,30 0,68 0,69 0,61 0,38 1,51 1,68 0,66 1,02 1,18 0,62 0,50 0,79 1,00 Industria estrattiva Industria manifatturiera Alimentari, bevande e tabacco Tessili e maglieria Abbigliamento Pelli, cuoio, calzature e pelletteria Legno e prodotti in legno Carta, derivati, stampa e editoria Derivati del petrolio e altri combustibili Prodotti chimici, fibre sintetiche e artif. Articoli in gomma e materie plastiche Lavorazione dei minerali non metalliferi Metallo e prodotti derivati Macchine e apparecchi meccanici Macchine e apparecch. elettriche e ottiche Autoveicoli e componentistica auto Altri mezzi di trasporto Mobili e altre industrie manifatturiere Energia, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di telecomunicazione e di informatica Altri servizi professionali TOTALE Dall’esame comparato dei dati, si può concludere che la performance aggregata di internazionalizzazione in uscita della regione sia da ascrivere ad effetti combinati, in cui tuttavia prevale la performance di alcuni peculiari settori, piuttosto che la “composizione industriale”. La regione infatti ha scarse presenze in numerosi settori ad alta vocazione di internazionalizzazione produttiva, quali prodotti elettrici ed elettronici, autoveicoli, derivati del petrolio, servizi di telecomunicazione e di informatica; al tempo stesso, la maggior parte dei settori di specializzazione presenta tassi di internazionalizzazione inferiori o al più allineati alla media nazionale. Tra i casi più eclatanti il tessile (indice di specializzazione 2,47; grado di internazionalizzazione 5,7% contro il 18,5% nazionale); pelletteria e cuoio (indice di specializzazione 4,02; grado di internazionalizzazione 5,4% contro il 15,2% nazionale); la lavorazione dei minerali non metalliferi (indice di specializzazione 1,30; grado di internazionalizzazione 13,5% contro il 39% nazionale). Tutti questi settori presentano performance di 30 internazionalizzazione superiori alla media a livello nazionale ma nettamente inferiore in Toscana, contribuendo in misura significativa, data la loro consistenza, a ridurre la media generale della regione. Tra i settori di specializzazione della Toscana, solo l’abbigliamento, la carta, la chimica e la lavorazione dei metalli mostrano performance di internazionalizzazione superiori al grado di internazionalizzazione attiva medio dell’Italia e allineate o non molto inferiori (è il caso della carta) a quelle dei rispettivi settori in ambito nazionale e sostengono dunque in misura significativa le performance di internazionalizzazione della Toscana. Negativa anche la performance del commercio all’ingrosso (grado di internazionalizzazione pari a 7,2 contro una media nazionale di 14): ciò testimonia di una bassa propensione delle imprese regionali a seguire entrambe le vie dell’internazionalizzazione tramite investimenti diretti all’estero, sia quella “pesante”, con filiali di produzione, sia quella “leggera”, con filiali commerciali e di servizio all’estero. La ripartizione geografica delle attività partecipate all’estero (Tab. 23) evidenzia una forte concentrazione delle partecipazioni estere delle imprese toscane e fiorentine in Europa; in entrambi i casi circa i 2/3 dei dipendenti delle partecipate estere operano nel Vecchio continente, ma con una diversa ripartizione tra Europa occidentale (oltre il 60% per Firenze, 45% circa per la Toscana) ed orientale (10,5% per Firenze, 23,4% per la Toscana). Riguardo ai principali paesi dell’Europa occidentale, cresce il peso di Germania, Francia, Svezia e della penisola iberica, mentre si riduce quello del Regno Unito; in Europa orientale emerge una netta preferenza da parte delle imprese toscane per la direttrice Romania-Ucraina-Bulgaria, a scapito soprattutto di quella più settentrionale verso Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Russia, a segnalare un maggiore interesse nell’area verso i paesi a più basso costo del lavoro rispetto a quelli con maggiori opportunità prospettiche di sbocchi di mercato. Superiore alla media nazionale la quota del nord Africa, dove sono state delocalizzate alcune attività prevalentemente del tessile-abbigliamento. Nel complesso assai modesta la presenza diretta delle imprese toscane in Asia e nelle Americhe, presidiate prevalentemente attraverso filiali commerciali e non con attività produttive. Tabella 23 RIPARTIZIONE % DELLE PARTECIPAZIONI ALL’ESTERO PER AREA GEOGRAFICA, AL 1.1.2005 Provincia di Firenze Imprese Dipendenti Unione Europea 38,7 Europa Centro-Orientale 16,2 Altri paesi europei 4,5 Africa settentrionale 4,5 Altri paesi africani 0,5 America settentrionale 13,4 America centrale e meridionale 7,3 Medio Oriente 0,0 Asia centrale 1,4 Asia orientale 12,4 Oceania 1,2 TOTALE 100,0 Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE 56,8 10,5 4,2 13,8 <0,1 3,7 4,0 0,0 0,1 6,7 0,2 100,0 Imprese Toscana Dipendenti 35,5 21,4 3,7 7,3 1,1 11,2 5,8 0,9 1,3 10,7 1,1 100,0 41,2 23,4 4,1 14,6 0,4 3,9 4,0 0,2 0,4 7,8 0,2 100,0 Imprese 41,1 17,9 3,6 4,2 1,4 11,3 8,3 1,0 1,5 8,3 1,2 100,0 ITALIA Dipendenti 36,5 19,7 4,6 5,2 1,7 8,2 13,0 0,5 1,8 7,7 1,1 100,0 Nel complesso, il profilo geografico delle attività estere non evidenzia per la provincia di Firenze l’agire di fenomeni di delocalizzazione (intesa come il trasferimento di attività produttive finalizzato alla mera riduzione dei costi di produzione, in particolare del costo del lavoro) di entità preoccupante. L’incidenza complessiva delle aree dove prevalentemente le 31 imprese italiane hanno delocalizzato le loro negli ultimi anni tramite investimenti diretti (Europa orientale e Nord Africa) si attesta al 24,3% per la provincia di Firenze, contro il 24,9% medio nazionale. Anche il dato regionale (38%) non deve destare particolare preoccupazione, alla luce della forte specializzazione dell’economia toscana nei settori tradizionali (in particolare tessile, abbigliamento, cuoio e calzature), per loro stessa natura più propensi di altri (ad es. meccanica, chimica, ecc.) a combinare le caratteristiche di stile e design tipiche del made in Italy con la inevitabile ricerca di vantaggi di costo all’estero per rimanere competitivi di fronte alla concorrenza dei paesi emergenti. Preoccupa piuttosto la mancanza di globalità che caratterizza le partecipazioni all’estero delle imprese fiorentine e toscane, le cui attività internazionali sono quasi esclusivamente limitate all’Europa e al bacino del Mediterraneo. 3.4 Le caratteristiche strutturali dell’internazionalizzazione passiva La tabella 24 illustra la ripartizione settoriale delle partecipazioni estere in provincia di Firenze all’inizio del 2005, evidenziando una assai marcata concentrazione delle attività partecipate dall’estero nel settore manifatturiero: 125 imprese partecipate, con 22.171 dipendenti e un fatturato 2004 di 8,27 miliardi di euro. Di particolare rilievo il ruolo della filiera chimica e della meccanica (macchine e apparecchi meccanici), settori che congiuntamente contano quasi 12mila dipendenti in imprese partecipate dall’estero. Tabella 24 LE IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005 Imprese a partecipazione Dipendenti delle imprese a estera (N.) partecipazione estera (N.) Prov. di Firenze TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Industria estrattiva 0 3 0 Industria manifatturiera 37 125 9.625 Alimentari, bevande e tabacco 1 6 120 Tessile e maglieria 0 4 0 Abbigliamento 2 2 237 Pelli, cuoio, calzature e pelletteria 7 12 834 Legno e prodotti in legno 0 0 0 Carta, derivati, stampa e editoria 1 8 6 Derivati del petrolio 1 2 100 Chimica, farmaceutica, fibre sint. 6 22 2.516 Prodotti in gomma e plastica 0 4 0 Prodotti dei minerali non metalliferi 2 12 213 Metallo e prodotti derivati 1 7 37 Macchine e apparecchi meccanici 4 20 3.652 Prodotti elettrici ed ottici 5 11 469 Autoveicoli e componentistica auto 4 8 1.178 Altri mezzi di trasporto 3 5 263 Mobili e altre industrie manifatt. 0 2 0 Energia, gas e acqua 1 7 431 Costruzioni 2 12 91 Commercio all'ingrosso 60 114 2.063 Logistica e trasporti 4 16 51 Servizi di telecom. e di informatica 1 9 7 Altri servizi professionali 15 22 1.121 TOTALE 120 308 13.389 Incidenza % su totale Italia 1,7 4,3 1,5 Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE 147 22.171 642 150 237 1.120 0 1.735 136 5.601 437 1.064 1.320 5.545 1.366 2.320 453 45 789 214 3.013 590 298 1.361 28.583 3,1 Fatturato delle imprese a partecipazione estera (N.) Prov. di Firenze TOSCANA 0 4.283 53 0 50 423 0 1 48 1.007 0 29 6 2.090 96 420 59 0 67 12 1.016 41 1 542 5.961 1,6 65 8.270 244 49 50 512 0 630 49 2.142 106 243 554 2.565 266 752 104 6 116 33 1.549 233 34 580 10.881 2,8 In particolare, nella filiera chimica operano 22 imprese partecipate dall’estero, con oltre 5.600 dipendenti; tra le presenze di maggiore spicco si segnalano quelle di Eli Lilly, Chiron e 32 Boehringer Ingelheim nella farmaceutica, Solvay nella chimica di base, Tioxide nella chimica specialty, di Lafarge Paints (Baldini) nelle vernici e dell’olandese Bolton (Società ItaloBritannica Manetti-Roberts) nei prodotti chimici di consumo. Nel settore meccanico le imprese partecipate dall’estero sono 20, con oltre 5.500 dipendenti; su tutte spicca ovviamente il Nuovo Pignone, acquisito nel 1994 da General Electric e divenuta capofila del gruppo americano nel settore delle turbine a gas; meritano di essere segnalate anche Fabio Perini (macchine per l’industria cartaria, acquisita dalla tedesca Korber nel 1993), Sta Rite (ex Nocchi Pompe, entrata sempre nel 1993 a far parte del gruppo statunitense Wicor) e Leder Pumps (acquisita nel 1998 dalla danese Grundfos). Le presenze estere assumono un certo rilievo anche nel settore degli autoveicoli e dei relativi componenti, grazie alle iniziative che hanno interessato il distretto della Val d’Elsa specializzato nella produzione di motorhomes e roulottes (Trigano e Laika, alle quali si è aggiunta nel 2004 Rimor) e alle attività della tedesca Siemens e della britannica GKN nel comparto della componentistica. Destinato a crescere in misura significativa la presenza estera nel settore della lavorazione dei metalli, dopo l’acquisizione avvenuta all’inizio del 2005 del gruppo Lucchini da parte della russa Silverstal, che va ad aggiungersi alla ormai consolidata presenza di Arcelor (ex Usinor) ne La Magona d’Italia. Lo stesso per il comparto dei prodotti elettrici, in virtù dell’accordo tra Finmeccanica e la britannica BAE Systems che ha condotto nel corso del 2005 alla costituzione della holding Selex Sensors and Airborne Systems SpA (75% Finmeccanica e 25% BAE System), cui è stato conferito il controllo di Galileo Avionica. Infine, tra le imprese manifatturiere a partecipazione estera meritano una citazione almeno Kappa Packaging (carta), Magnetek (elettromeccanica), Gucci (pelletteria), Saint-Gobain Glass Italia e Schott Italvetro (vetro) e Banfi (vino). Ove si eccettui il settore del commercio all’ingrosso, che vanta oltre 5.100 addetti in 189 imprese a partecipazione estera, nessun altro dei grandi comparti considerati (industria estrattiva, utilities, costruzioni, logistica e trasporti, software e telecomunicazioni, altri servizi professionali) riesce a raggiungere la soglia dei 1.000 dipendenti nelle imprese a partecipazione estera. Tra le imprese a partecipazione estera con sede in Toscana operanti in questi comparti si segnalano le seguenti: – nel settore estrattivo, Imerys Materiali (estrazione di caolina e granulati di marmo), filiale dell’omonimo gruppo francese nato nel 1999 dall’integrazione delle attività della britannica English China Clays nella transalpina Imetal; – nel settore delle utilities, le attività dei gruppi francesi Suez (Acque Toscane, partecipazione di minoranza in Acque), Vivendi (partecipazione in Geal) e Bouygues (Lunigiana Acque) – nel settore delle costruzioni, varie imprese controllate o partecipate da Ceam (a sua volta controllata dal gruppo statunitense United Technologies) attive nell’installazione e manutenzione di ascensori ed elevatori; – nella logistica, il Terminal Darsena Toscana, partecipato dal gruppo tedesco Eurokai; – nel software, Infogroup Informatica e Servizi, partecipata dalla francese Segin, e Obi Systemzentrale, che svolge le attività di elaborazione dati per le altre imprese del gruppo tedesco Tengelmann, attive nel settore della grande distribuzione. La ripartizione settoriale delle attività a partecipazione estera in provincia di Firenze riflette sostanzialmente quella della Toscana; assumono maggior peso le filiali commerciali, mentre si riduce il ruolo dell’industria mineraria, della lavorazione dei minerali non metalliferi e del settore metallurgico, nei quali le attività di maggior rilievo sono localizzate in altre provincie della regione. 33 Anche per l’internazionalizzazione in entrata è utile discutere come gli orientamenti settoriali incidano sulla negativa performance di internazionalizzazione della regione, espressa, come sottolineato in precedenza, da un grado di internazionalizzazione nettamente inferiore alla media nazionale (Tab. 25). Tabella 25 GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE PASSIVA E INDICE DI SPECIALIZZAZIONE DELLA TOSCANA, PER SETTORE, AL 1.1.2005 Grado di internazionalizzazione passiva (a) TOTALE Partecipazioni di controllo Toscana ITALIA Toscana ITALIA Industria estrattiva Industria manifatturiera Alimentari, bevande e tabacco Tessili e maglieria Abbigliamento Pelli, cuoio, calzature e pelletteria Legno e prodotti in legno Carta, derivati, stampa e editoria Derivati del petrolio e altri combustibili Prodotti chimici, fibre sintetiche e artif. Articoli in gomma e materie plastiche Lavorazione dei minerali non metalliferi Metallo e prodotti derivati Macchine e apparecchi meccanici Macchine e apparecch. elettriche e ottiche Autoveicoli e componentistica auto Altri mezzi di trasporto Mobili e altre industrie manifatturiere Energia, gas e acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso Logistica e trasporti Servizi di telecomunicazione e di informatica Altri servizi professionali TOTALE 6,1 4,2 6,1 4,2 8,0 14,7 7,6 12,4 4,1 10,7 1,4 10,2 0,4 2,5 0,4 1,9 1,2 1,6 1,2 1,4 2,7 2,4 2,4 2,1 0,0 0,2 0,0 0,1 11,1 12,7 10,6 9,9 39,0 28,6 28,7 24,8 44,8 50,8 43,6 49,3 5,0 19,3 5,0 18,6 6,5 11,7 5,3 10,6 4,8 7,6 4,4 6,6 25,1 18,8 24,9 17,6 9,8 25,7 9,8 20,6 60,3 44,3 60,3 20,2 5,7 16,0 5,7 15,0 0,2 3,2 0,2 3,0 16,0 8,7 5,6 3,5 0,4 1,2 0,4 1,2 5,6 14,0 5,3 13,6 1,9 6,1 0,6 5,2 2,8 22,4 2,6 20,7 3,2 6,5 3,0 6,1 6,0 11,6 5,5 10,0 Dipendenti delle imprese a partecipazione estera (a) Grado di internazionalizzazione passiva = Dipendenti delle imprese domestiche Quota della Toscana sul numero totale di dipendenti in un settore (b) Indice di specializzazione settoriale = Quota della Toscana sul numero totae di dipendenti in Italia Fonte: banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - R&P - ICE Indice di specializzazione della Toscana (a) 1,34 1,14 0,77 2,47 1,42 4,02 1,10 1,25 0,24 1,06 0,75 1,30 0,68 0,69 0,61 0,38 1,51 1,68 0,66 1,02 1,18 0,62 0,50 0,79 1,00 A differenza di quanto rilevato sul lato dell’uscita, su tale performance sembra incidere più l’effetto “composizione” che la negativa performance di taluni specifici settori, in quanto non si rilevano per la Toscana, a parità di settori, gradi di internazionalizzazione sistematicamente inferiori a quelli nazionali. I settori dell’industria manifatturiera a più alta vocazione intrinseca di internazionalizzazione (attiva e dunque anche passiva) sono infatti come ricordato per lo più sottorappresentati nella regione, mentre risultano per lo più specielizzati i settori a bassa vocazione intrinseca di internazionalizzazione (tessili e maglieria, abbigliamento, pelletteria e cuoio, legno). Al di fuori dell’industria manifatturiera, merita di essere sottolineata la negativa performance dei servizi di telecomunicazione e di informatica (grado di internazionalizzazione attiva 2,8% contro il 22,4% nazionale, peraltro determinato in via quasi esclusiva dalle attività internazionali di Telecom Italia) e soprattutto del commercio all'ingrosso (indice di specializzazione 1,18; grado di internazionalizzazione 5,6% contro il 14% nazionale), a denotare una specifica bassa capacità di attrazione di IMN anche in termini di filiali distributive. 34 La composizione settoriale ha un ruolo importante nello spiegare la collocazione della regione rispetto alla media nazionale. Un grado di internazionalizzazione inferiore a quello medio nazionale può essere alternativamente spiegato, ai due estremi, o da una composizione delle attività economica sbilanciata verso settori intrinsecamente meno aperti alle opportunità di investimento dall’estero via investimenti diretti, o, a parità di composizione settoriale media, da una performance particolarmente modesta rispetto alla media di taluni peculiari settori. Naturalmente, si potranno nella realtà riscontrare possibili combinazioni tra queste due configurazioni estreme. Per chiarire questi aspetti, la tabella 25 raccoglie e compara, per ciascun settore di attività, il grado di internazionalizzazione passiva della Toscana e dell’Italia, nonché il grado di specializzazione settoriale della regione, misurato da un semplice indicatore (si veda la legenda in tabella), che assume valore tanto più superiore (inferiore) all’unità, quanto più il singolo settore è sovrarappresentato (sottorappresentato) nella regione. Sulla performance della Toscana sembra incidere più l’effetto “composizione” che la negativa performance di taluni specifici settori, in quanto non si rilevano per la Toscana, a parità di settori, gradi di internazionalizzazione sistematicamente inferiori a quelli nazionali. La regione infatti ha scarse presenze in numerosi settori ad alta vocazione di internazionalizzazione produttiva, quali elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi, autoveicoli, derivati del petrolio, strumentazione; al tempo stesso, la maggior parte dei settori di specializzazione presenta tassi di internazionalizzazione inferiori o al più allineati alla media nazionale. I settori dell’industria manifatturiera a più alta vocazione intrinseca di internazionalizzazione (attiva e dunque anche passiva) sono infatti, come già ricordato, per lo più sottorappresentati nella regione (elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi, autoveicoli, derivati del petrolio, prodotti chimici, tabacco), mentre i settori di marcata specializzazione della regione sono generalmente caratterizzati da bassa vocazione intrinseca di internazionalizzazione (tessili e maglieria, abbigliamento, pelletteria e cuoio, legno). Al di fuori dell’industria manifatturiera, merita di essere sottolineata la negativa performance dei servizi di informatica e telecomunicazioni (grado di internazionalizzazione attiva 5,5% contro il 23,4% nazionale, peraltro determinato in via quasi esclusiva dalle attività internazionali di Telecom Italia e Tiscali) e soprattutto del commercio all'ingrosso (indice di specializzazione 1,18; grado di internazionalizzazione 6,0 contro il 14,9 nazionale), a denotare una specifica bassa capacità di attrazione di IMN anche in termini di filiali distributive. Le tabelle 26 e 27 illustrano la ripartizione delle principali variabili relative alle partecipazioni estere in provincia di Firenze e in Toscana in relazione alla provenienza geografica degli investitori. La ripartizione delle partecipazioni estere per origine della casa-madre rispecchia sostanzialmente la situazione che si presenta a livello nazionale, perlomeno a livello di macroaree, con la netta prevalenza dei paesi della Triade (Europa, Nord America e Giappone). Alle IMN che originano dagli altri paesi dell’Unione Europea compete il 65,8% delle imprese a partecipazione estera con sede in provincia di Firenze, il 56,6% dei loro dipendenti e il 47,1% del fatturato; includendo gli investitori provenienti dagli altri paesi europei, le quote del Vecchio Continente salgono rispettivamente a 70%, 57,1% e 47,9%. Alle IMN nordamericane spetta il 20,8% delle imprese, il 40,6% dei dipendenti e il 49,3% del volume d’affari, mentre le quote del Giappone sono pari rispettivamente al 4,2%, 1,7% e 2,5%. Il contributo dell’eterogeneo insieme residuale di paesi (resto dell’Asia, America Latina, Oceania ed Africa) è dunque complessivamente limitato e pari al 4,2% delle imprese, allo 0,6% dei dipendenti e allo 0,9% del fatturato. 35 Tabella 26 IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER ORIGINE GEOGRAFICA DEGLI INVESTITORI ESTERI Imprese a partecipazione Dipendenti delle imprese a estera (N.) partecipazione estera (N.) Prov. Di Firenze TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Unione Europea 79 201 7.572 Belgio 1 10 3 Francia 32 65 4.060 Germania 16 42 1.786 Gran Bretagna 12 28 996 Lussemburgo 1 4 5 Paesi Bassi 6 15 502 Svezia 1 10 38 Europa Centro-Orientale 1 1 3 Altri paesi europei 5 12 68 Svizzera 5 11 68 Africa 0 1 0 America settentrionale 25 75 5.439 Stati Uniti 25 75 5.439 America centrale e meridionale 2 2 23 Asia 8 16 284 Giappone 5 10 230 Oceania 0 0 0 TOTALE 120 308 13.389 Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE 18.193 1.274 5.982 4.316 1.970 1.123 1.329 1.304 3 204 197 7 9.312 9.312 23 841 703 0 28.583 Fatturato delle imprese a partecipazione estera (N.) Prov. di Firenze TOSCANA 2.826 4 1.625 614 253 10 262 5 1 30 30 0 2.937 2.937 42 124 90 0 5.961 6.595 593 2.247 1.352 527 625 488 503 1 55 49 3 3.940 3.940 42 243 192 0 10.881 Tabella 27 IMPRESE A PARTECIPAZIONE ESTERA IN PROVINCIA DI FIRENZE E IN TOSCANA, PER ORIGINE GEOGRAFICA DEGLI INVESTITORI ESTERI Incidenze % sul totale Imprese a partecipazione Dipendenti delle imprese a estera (N.) partecipazione estera (N.) Prov. di Firenze TOSCANA Prov. di Firenze TOSCANA Unione Europea 65,8 65,3 56,6 Belgio 0,8 3,2 0,0 Francia 26,7 21,1 30,3 Germania 13,3 13,6 13,3 Gran Bretagna 10,0 9,1 7,4 Lussemburgo 0,8 1,3 0,0 Paesi Bassi 5,0 4,9 3,7 Svezia 0,8 3,2 0,3 Europa Centro-Orientale 0,8 0,3 0,0 Altri paesi europei 4,2 3,9 0,5 Svizzera 4,2 3,6 0,5 Africa 0,0 0,3 0,0 America settentrionale 20,8 24,4 40,6 Stati Uniti 20,8 24,4 40,6 America centrale e meridionale 1,7 0,6 0,2 Asia 6,7 5,2 2,1 Giappone 4,2 3,2 1,7 Oceania 0,0 0,0 0,0 TOTALE 100,0 100,0 100,0 (a) % Incidenza della provincia di Firenze (Toscana) sul totale nazionale nel settore Incidenza complessiva della provincia di Firenze (Toscana) sul totale nazionale Fonte: elaborazione su dati Eurostat, Istat e banca dati REPRINT, Politecnico di Milano - ICE 63,6 4,5 20,9 15,1 6,9 3,9 4,6 4,6 0,0 0,7 0,7 0,0 32,6 32,6 0,1 2,9 2,5 0,0 100,0 Fatturato delle imprese a partecipazione estera (N.) Prov. di Firenze TOSCANA 47,4 0,1 27,3 10,3 4,2 0,2 4,4 0,1 0,0 0,5 0,5 0,0 49,3 49,3 0,7 2,1 1,5 0,0 100,0 60,6 5,5 20,7 12,4 4,8 5,7 4,5 4,6 0,0 0,5 0,5 0,0 36,2 36,2 0,4 2,2 1,8 0,0 100,0 Gli USA rappresentano il principale paese investitore in relazione alla consistenza delle attività partecipate in provincia di Firenze (così come in Toscana e in Italia): le 25 imprese a partecipazione statunitense in provincia di Firenze occupano oltre 9.300 dipendenti e il loro giro 36 d’affari nel 2004 ha superato i 2,8 miliardi di euro. In regione le imprese partecipate da IMN americane sono 75, con oltre 9.300 dipendenti e un giro d’affari di poco inferiore ai 4 miliardi di euro. Al secondo posto tra i paesi investitori in provincia di Firenze in funzione del numero di dipendenti delle imprese partecipate è la Francia, con oltre 4mila dipendenti (quasi 6mila in Toscana), seguita a notevole distanza da Germania (circa 1.800 a Firenze e oltre 4.300 in Toscana), Gran Bretagna (circa mille a Firenze e 2mila in Toscana) e Paesi Bassi (500 a Firenze e oltre 1.300 in Toscana). Superano quota 1.000 dipendenti in Regione anche Belgio, Svezia e Lussemburgo. 37 38 4. CONCLUSIONI Schematicamente, le principali indicazioni scaturite dalle analisi condotte nel rapporto possono essere così sintetizzate come segue. Sul lato della multinazionalizzazione in uscita, il grado di internazionalizzazione attiva della Toscana, misurato dall’incidenza dei dipendenti all’estero rispetto al totale dei dipendenti delle imprese non a controllo estero, è sensibilmente inferiore alla media nazionale. Dettagliando l’analisi a livello settoriale si osserva che tutti gli aggregati settoriali considerati presentano gradi di internazionalizzazione alquanto inferiori ai corrispondenti dati nazionali, testimoniando una insufficiente propensione delle imprese della regione a seguire la via dell’internazionalizzazione, sia produttiva, sia “leggera”, con filiali commerciali e di servizio all’estero. Particolarmente modesta appare la performance dei settori non industriali: utilities, costruzioni, servizi alle imprese. Riguardo all’industria manifatturiera, la performance aggregata di internazionalizzazione in uscita della regione deve però essere ascritta ad effetti combinati, in quanto la negativa performance di peculiari settori si accompagna ad una “sfavorevole” composizione industriale. Scarso peso hanno infatti nell’industria regionale numerosi settori ad alta vocazione di internazionalizzazione produttiva, quali elettronica, telecomunicazioni e relativi servizi, autoveicoli e derivati del petrolio, prodotti chimici, carta. Viceversa, tra i settori nei quali la Toscana vanta elevata specializzazione regionale, ben pochi -segnatamente la chimica e la lavorazione dei metalli- presentano tassi di internazionalizzazione più elevati della media nazionale; gli altri mostrano invece performance di internazionalizzazione attiva simili (e talvolta inferiori) sia alle medie nazionali di settore, sia al grado medio generale di internazionalizzazione del paese, contribuendo in tal modo, grazie alla loro consistenza locale, ad abbassare la media generale della regione. La composizione settoriale e geografica delle iniziative delle imprese Toscane in generale e fiorentine in particolare non dà supporto ai timori da più parti avanzati del pericolo di generalizzata “fuga” dalle imprese locali, spinte ad investire all’estero per delocalizzare in paesi a più basso costo del lavoro le proprie attività produttive. Sembra più concreta invece la preoccupazione circa la capacità delle imprese fiorentine e toscane (ma più in generale, italiane) di inserirsi nei vasti processi di integrazione internazionale che caratterizzano l’economia mondiale, pena un serio rischio di essere emarginati come produttori e player sul mercato globale, a opera sia dei paesi europei, verso cui la leva del cambio debole della lira non vale più dopo l’entrata nell’euro, sia dei numerosi e agguerriti nuovi competitori del “Sud del mondo”, caratterizzati da più bassi costi del lavoro, ma anche da forte capacità di assorbimento delle tecnologie e delle competenze. In particolare, la debolezza come investitori all’estero appare marcata proprio nei settori a più rapida crescita e a più alta elasticità al reddito della domanda, caratterizzati da forti economie di scala e/o ad alto tasso di innovazione tecnologica, con funzioni di produzione che incorporano in misura crescente beni immateriali, quali conoscenze, organizzazione, servizi avanzati. Un altro e forse più importante aspetto merita di essere sottolineato. La delocalizzazione di talune attività della catena del valore verso paesi a più basso costo del lavoro non deve essere giocoforza considerata una “fuga dall’Italia”, in quanto -se inserita in una strategia coerentepuò costituire un momento essenziale di ristrutturazione competitiva dell’impresa in risposta ai mutamenti in atto del contesto internazionale. Ciò avviene quando la proiezione internazionale 39 della catena del valore dal lato delle fasi produttive si accompagna al riposizionamento dell’impresa verso produzioni a maggiore contenuto qualitativo e fasce di mercato più remunerative e meno esposte alla pressione competitiva dei paesi emergenti. Questo “sentiero virtuoso” è ravvisabile ad esempio nel cammino intrapreso negli anni scorsi da molte imprese del sistema tessile-abbigliamento-calzature, che hanno dovuto fronteggiare la crescita impetuosa dei paesi di nuova industrializzazione e l’evoluzione dei rapporti domanda/offerta verso il modello del “pronto moda”. L’esempio forse più emblematico, per la Toscana, è rappresentato dal distretto di Prato, dove nella seconda metà degli anni ottanta una forte crisi aveva determinato una drastica contrazione del numero di imprese. Le imprese sopravvissute hanno reagito implementando strategie articolate che prevedevano la delocalizzazione di alcune attività del ciclo produttivo, il significativo ampliamento del mix produttivo (articoli in lana pettinata, cotone, viscosa, lino e seta rispetto alla precedente prevalenza della lana cardata), il forte investimento nei processi di qualità e il riposizionamento dell’offerta nei segmenti medio-alti del mercato. Questo spiega perché gli studi sinora condotti sul fenomeno delocalizzativo non abbiano rilevato una riduzione di competitività della produzione nazionale, quanto piuttosto un riposizionamento nella divisione internazionale del lavoro e una spinta verso processi di riaggiustamento industriale. Ad esempio, le analisi sui mercati del lavoro condotte in alcuni dei distretti industriali maggiormente esposti ai fenomeni di delocalizzazione hanno messo in evidenza come gli effetti occupazionali siano stati complessivamente limitati, grazie alla notevole capacità di assorbimento dell’offerta di lavoro (si veda ad esempio Mariotti et al., 2004). Ciò è dovuto ai cambiamenti intervenuti nelle economie locali, in termini sia di sviluppo delle funzioni critiche delle catene del valore presidiate localmente e di riposizionamento strategico su fasce di mercato meno esposte alla concorrenza di prezzo, sia di diversificazione produttiva (in particolare, con la crescita dei servizi e dei diversi comparti della meccanica strumentale). In altri termini, conquista dei mercati e accesso alle risorse tramite la delocalizzazione di talune attività della catena del valore debbono rappresentare momenti di un’unica strategia “globale” di affermazione e consolidamento del vantaggio competitivo, volta a conseguire un assetto efficiente dell’impresa lungo l’intera catena del valore: maggiore efficienza nell’accesso alle risorse, tramite la scomposizione/frammentazione internazionale del ciclo produttivo; più efficace presidio strategico degli sbocchi finali; maggiore capacità di risposta ai cambiamenti locali, tramite la superiore capacità di mobilitazione internazionale delle risorse; progressivo spostamento verso le fasce del mercato più ricche e meno esposte alla concorrenza internazionale che basa la propria strategia competitiva principalmente sui prezzi. A fronte di questo stato dell’arte, va sottolineato con forza che non vi è alternativa alla via dell’internazionalizzazione. Se le nostre imprese -grandi e piccole- non vogliono lentamente scivolare sui mercati internazionali in una dimensione complementare ad altre imprese leader, subordinata ai main contractors e ai clienti più forti e, in definitiva, più esposta al rischio e all’instabilità, debbono investire risorse finanziarie e umane per costruire reti mutinazionali stabili, in grado di assicurare una presenza diretta e legami solidi con il mercato. Le opportunità non mancano, in un mondo che si apre, abbatte barriere e sollecita ovunque investimenti internazionali, ma il nostro sistema produttivo riesce oggi a sfruttarle in modo limitato. Anche sul lato degli investimenti esteri in entrata, la Toscana mostra un grado di internazionalizzazione (misurato dall’incidenza dei dipendenti delle imprese a partecipazione estera sui dipendenti delle imprese residenti) inferiore a quello medio nazionale sia a livello complessivo, sia per tutti i settori aggregati (con l’unica eccezione dell’industria estrattiva, peraltro poco significativa data la limitata entità dei valori assoluti in gioco). Tale situazione è 40 peraltro determinata più dalla specifica specializzazione settoriale della regione, fortemente caratterizzata dalla presenza di PMI operanti in attività a bassa vocazione specifica di internazionalizzazione (industria “leggera”, settori del made in Italy), che non ad una negativa performance di specifici settori. Non di meno, infatti, la presenza delle IMN appare particolarmente qualificata in alcuni settori ad elevata vocazione di internazionalizzazione (chimica, farmaceutica, componentistica auto, meccanica strumentale). L’analisi della dinamica di breve e di lungo periodo evidenza peraltro una crescita più sostenuta per la Toscana rispetto alla media nazionale sia in uscita e dunque un parziale recupero negli ultimi anni del gap di internazionalizzazione rispetto alla media nazionale. Non sembra dunque mancare lo spazio per azioni di politica industriale volte ad incoraggiare gli investimenti dall’estero, con particolare riguardo sia ai settori ad elevata vocazione multinazionale nei quali la Toscana può vantare punti di eccellenza in ambito industriale e nell’ambito delle attività di R&S -in particolare farmaceutica, chimica fine, biotecnologie, ICT-, sia ai settori dei servizi e delle filiali commerciali, nei quali la presenza estera nella regione è allo stato attuale affatto modesta e dove assai ampi appaiono di conseguenza gli spazi disponibili. Spazi di intervento si possono configurare anche nei settori manifatturieri di elevata specializzazione della Toscana, per lo più a medio-bassa vocazione multinazionale, ma nei quali le performance della regione sono inferiori a quelle nazionali. Ai fini della loro efficacia, gli eventuali interventi di politica industriale dovranno tenere in debito conto lo specifico posizionamento della regione nel mercato nazionale e mondiale. A questo proposito, appare utile sottolineare come gli investimenti greenfield manifatturieri tendano sempre più a localizzarsi in aree del mondo diverse dall’Occidente, mentre in quest’ultimo si accentua la competizione tra paesi per attrarre attività di servizio, logistiche, di R&S, di headquarter. In tutti i settori dell’internazionalizzazione produttiva, nei paesi industrializzati il veicolo fondamentale degli IDE è sempre più rappresentato dalle acquisizioni di imprese già esistenti, siano esse apportatrici alle IMN acquirenti di siti produttivi, di reti distributive e di assistenza tecnica, quando non di assets intangibili (marchi, competenze, reputazione, ecc.). Assai spesso, anche quando la IMN preveda consistenti piani di espansione produttiva e commerciale in loco, l’azione di partenza è costituita dall’acquisizione di attività locali, per accelerare i processi di insediamento, ridurne i rischi, accedere a risorse complementari esclusive e/o a valenza country-specific. Deve dunque essere abbandonata la visione secondo cui l’investimento greenfield rappresenta il canale privilegiato per apportare valore all’economia ospite, in termini di contributo all’occupazione e allo sviluppo locale, pena un approccio velleitario ed errato nei confronti dell’attrazione degli investimenti. Come dimostrano ormai numerose ricerche, le performance delle imprese acquisite dalle IMN, in termini di produttività e di incremento dell’occupazione, sono, ceteris paribus, spesso significativamente superiori a quelle delle imprese locali, grazie alla superiore capacità delle IMN di valorizzarne gli assets e di inserirle nei circuiti internazionali rilevanti. Quanto osservato ha importanti implicazioni, se si tiene conto dei caratteri strutturali dell’economia nazionale e in essa di quella regionale. In un quadro di assoluta rilevanza delle cross-border M&As, deve essere enfatizzata l’importanza di un efficiente e vasto mercato nazionale per il “corporate control”. Un sistema economico fondato sulle piccole imprese e sul capitalismo familiare mostra al riguardo una chiara debolezza strutturale: scarsa visibilità delle opportunità di investimento, limitata trasparenza, ridotta contendibilità delle imprese. Se a ciò si aggiunge una specializzazione internazionale polarizzata su settori per natura intrinseca meno propensi all’internazionalizzazione produttiva (e invece spesso assai propensi all’internazionalizzazione commerciale), si identifica una componente importante del puzzle interpretativo relativo al gap di internazionalizzazione in entrata in generale dell’Italia 41 (componente spesso sottovalutata, a favore di più generali e facili esercizi sull’inefficienza del “sistema paese”) e nello specifico della Toscana. Il problema della crescita dell’impresa e dell’affermarsi di mercati finanziari e di un capitalismo industriale evoluti secondo gli standard internazionali è dunque parte essenziale della questione “attrattività”, sia a livello nazionale, sia a livello regionale. La politica verso le IMN deve inoltre sapersi modulare e articolare in ragione delle diverse realtà economiche che compongono il sistema economico. Se in altre parti del paese appare opportuno che gli sforzi per attrarre iniziative greenfield e/o di più larga scala debbano indirizzarsi nelle aree a più bassa intensità di sviluppo e/o in crisi di ristrutturazione, anche ai fini di un riequilibrio economico–territoriale, pur non trascurando i necessari sforzi in questa direzione per la Toscana l’obiettivo prioritario può essere invece identificato nella necessità di qualificare il tessuto economico locale con apporti selettivi ad alto contenuto di innovatività, managerialità e modelli di business in grado di contribuire alla crescita delle imprese. L’obiettivo si può conseguire attraendo iniziative anche di piccola taglia ma qualificate, con l’apertura a partnership internazionali e con l’integrazione societaria delle imprese locali in gruppi multinazionali. 42 APPENDICE – NOTE METODOLOGICHE La metodologia di base e le fonti Per la corretta interpretazione dei dati e delle analisi presenti in questo Rapporto si rende indispensabile l’illustrazione della metodologia seguita per identificare le IMN investitrici e le partecipazioni, anche alla luce della distinzione tra partecipazione diretta e di portafoglio. Date le finalità della ricerca, i criteri si sono ispirati a principi di significatività economica, piuttosto che di natura formale e giuridico-amministrativa. Essi vengono illustrati nei punti sottostanti. 1. La distinzione fra partecipazione diretta alla gestione dell’impresa e partecipazione esclusivamente finanziaria è talvolta sottile. Non si è ritenuto opportuno assumere soglie minime per la quota di partecipazione e/o per il valore assoluto dell’investimento in qualità di discriminanti decisive, sebbene questi siano importanti ingredienti nella valutazione complessiva. Nel caso di partecipazioni in gruppi finanziario–industriali con strutture complesse, si è tenuto conto sia dell’architettura della partecipazione, sia del significato a essa attribuito dalle parti coinvolte. 2. Coerentemente alla definizione di IMN e di IDE, non sono state considerate le partecipazioni estere attivate da istituti finanziari. Tuttavia, si deve registrare l’esistenza di forme intermedie che pongono problemi difficili da dirimere: è questo il caso delle merchant banks che operano con una strategia industriale mirata, attraverso partecipazioni di controllo in imprese appartenenti a selezionati settori industriali e intervenendo direttamente nella loro gestione. Queste partecipazioni sono state incluse nell’analisi, mentre sono state escluse, sia dal lato dell’uscita che da quello dell’entrata, le partecipazioni (talora di controllo) assunte in imprese industriali da merchant banks nell’ambito di operazioni di management buy-out e da fondi di investimento, qualora non vi sia da parte di questi un intervento diretto nella gestione dell’impresa partecipata. 3. Nel giudicare le partecipazioni estere in entrata e in uscita, è stata indagata l’eventuale catena di controlli successivi che configura forme di controllo indiretto, con l’obiettivo di risalire all’anello finale, cioè al soggetto che controlla/partecipa nella società attraverso la suddetta gerarchia di meccanismi azionari. Nel caso di partecipazioni minoritarie, la catena viene generalmente interrotta al primo anello, cioè alla prima e principale società cui è riferibile la partecipazione. Risultano dunque escluse dall’analisi le eventuali società controllate in cascata dalla suddetta società principale, poiché a esse non appare immediatamente e meccanicisticamente trasferibile la partecipazione estera minoritaria nella società controllante. Dunque, per gli investimenti in entrata, sono state in genere considerate a partecipazione estera le società controllate da altre società italiane a loro volta controllate da IMN estere. Talune eccezioni si possono riscontrare nel caso di partecipazioni di minoranza assunte in holding finanziarie a capo di gruppi di imprese industriali e/o di servizio. Tali eccezioni sono state gestite ancora una volta cercando di rispettare la significatività economica delle partecipazioni, anche a scapito della coerenza formale dal punto di vista giuridicoamministrativo. Ad esempio, si è ritenuto ragionevole considerare partecipate da General Motors Fiat Auto e le altre imprese italiane del settore auto del gruppo Fiat, nonostante in realtà non vi sia stata in esse alcuna partecipazione diretta da parte dell’impresa americana, che aveva infatti acquisito una partecipazione del 20% del capitale di una holding di diritto olandese, Fiat Auto N.V. (poi dismessa nel corso del 2005), la quale a sua volta controllava il 100% delle attività europee del settore automobilistico del gruppo torinese. 43 4. Il nome e la nazionalità dell’IMN associati all’impresa italiana partecipata sono quelle dell’impresa finale e non di eventuali società intermedie, le quali possono avere nazionalità diversa (fenomeno non trascurabile, soprattutto a livello dei maggiori gruppi multinazionali). Viceversa, non sono state considerate a partecipazione estera le società italiane controllate o partecipate da società finanziarie costituite all’estero da società a base italiana. Ad esempio, sono considerate a tutti gli effetti italiane società e gruppi industriali quali Pirelli, Ferrero, Carlo Gavazzi e numerosi altri, controllati o partecipati da holding finanziarie di diritto straniero, ovvero le consociate italiane di gruppi industriali esteri a loro volta controllati da imprese italiane. In modo del tutto simmetrico si è proceduto nel caso delle partecipazioni in uscita. In particolare, le partecipazioni sono state sempre attribuite alle effettive case–madri italiane, piuttosto che alle eventuali finanziarie appositamente costituite all’estero per la gestione delle attività (come nel caso delle varie holding olandesi del gruppo Fiat). Qualora l’investitore corrisponda a un gruppo variamente organizzato in holding e sub–holding ne è stata rilevata la struttura, a partire dalla società operativa direttamente impegnata nella gestione della partecipazione, per risalire alla holding di controllo e giungendo, infine, alla società finanziaria che rappresenta gli interessi degli azionisti di controllo. 5. Per discriminare tra partecipazioni di controllo e non, è stato fatto riferimento alla nozione di controllo maggioritario (quota di partecipazione superiore al 50%), ovvero all’ufficiale riconoscimento da parte degli interessati circa il conferimento all’azionista di maggioranza relativa della responsabilità gestionale dell’impresa. Nei casi dubbi ci si è ricondotti all’obiettività della quota di partecipazione. 6. Il giudizio circa l’origine geografica delle partecipazioni è stato dato tenendo conto del luogo ove si sono svolte le attività che hanno originato il flusso delle risorse finanziarie a disposizione dell’investitore. Al riguardo, le imprese partecipate da titolari/azionisti che, pur conservando la cittadinanza estera, hanno storicamente iniziato la loro attività imprenditoriale in Italia, ove continuano a essere localizzati in modo esclusivo o preponderante gli assets industriali da essi posseduti, non sono state incluse nel repertorio delle imprese partecipate dall’estero. Conseguentemente, eventuali (invero sporadiche) attività estere da esse controllate sono state incluse nel repertorio delle imprese estere partecipate dall’Italia. Sono state peraltro escluse dall’analisi le partecipazioni detenute in imprese industriali estere da privati cittadini italiani, e reciprocamente le partecipazioni detenute in imprese industriali italiane da cittadini esteri, quando tali titolari/azionisti non abbiano mai avuto, ovvero abbiano abbandonato qualsiasi attività imprenditoriale nel proprio paese di origine. Anche in questo caso, riferimenti a casi concreti aiutano a delucidare il criterio adottato. Le attività del gruppo Sutter, di origine elvetica, sono considerate a tutte gli effetti italiane, in quanto da tempo l’impresa italiana, nata nel 1910, costituisce il baricentro del gruppo (la Sutter svizzera, fondata nel 1858, è stata ceduta al gruppo Unilever nel 1976; la stessa impresa si definisce “una multinazionale italiana”). Al conrario, le attività italiane del gruppo Rocca-Techint sono considerate a tutti gli effetti estere, nonostante le origini italiane della famiglia Rocca, poiché la base industriale che ha storicamente generato i flussi internazionali di investimento del gruppo suddetto è tuttora localizzata in Argentina (Siderca-Techint). 7. Le partecipazioni estere da parte di imprese italiane attualmente controllate dall’estero sono escluse dal repertorio delle partecipazioni italiane all’estero, anche nel caso di investimenti storici effettuati dall’impresa italiana in unità tuttora formalmente gestite da essa nel quadro della struttura organizzativa della nuova casamadre estera. Tale situazione interessa ad esempio le partecipazioni estere di gruppi quali Martini & Rossi, ecc., ma anche IBM Italia, 44 Electrolux Zanussi, ecc. Simmetricamente, le partecipazioni estere di imprese italiane in passato controllate da gruppi esteri e attualmente a capitale italiano sono considerate a tutti gli effetti partecipazioni estere in uscita a partire dal momento in cui la casa-madre è stata acquisita da investitori italiani. Ad esempio, a partire dal 2003 il gruppo Piaggio è stato nuovamente inserito tra le IMN a base italiana, in seguito alla sua acquisizione da parte della finanziaria IMMSI, controllata da Roberto Colaninno. 8. L’anno di inizio della partecipazione (in entrata e in uscita) è quello del primo investiento. Alle imprese che sono oggetto di successive transazioni “estero su estero”, per l’entrata, e “Italia su Italia”, per l’uscita, sono perciò associate le date relative alla prima partecipazione. Infine, nel caso di fusione tra due o più imprese a partecipazione estera alla società risultante dalla fusione viene attribuito l’anno di partecipazione della società incorporata a più antica partecipazione estera. Alla luce dei criteri illustrati si è giunti alla predisposizione dei Repertori delle imprese estere a partecipazione italiana e delle imprese italiane a partecipazione estera, i quali costituiscono la struttura portante della banca dati Reprint. Essa è stata contestualmente arricchita di ogni informazione economica rilevante disponibile sui soggetti identificati. Da tali informazioni scaturiscono tutte le analisi presentate nel Rapporto. La banca dati è attualmente aggiornata alla data del 1 gennaio 2005. Alla base della predisposizione di Reprint vi è un lungo e sistematico lavoro di raccolta e di verifica incrociata di notizie e dati provenienti da una pluralità di fonti, tutte di carattere parziale (per singole imprese, per singoli paesi, per specifiche aree territoriali, per determinati settori di attività, ecc.), con informazioni incomplete o non aggiornate, a volte reciprocamente contraddittorie, quando non contrassegnate da errori. In particolare, sono stati utilizzati più strumenti di rilevazione: a) indagine diretta tramite questionari e consultazione su rete Internet di siti aziendali e altri siti (Unioncamere, notizie stampa, ecc.); b) rassegna della stampa economica, quotidiana e periodica, italiana e internazionale; c) bilanci delle società quotate (italiane ed estere); d) repertori ed elenchi di: Uffici esteri dell’ICE, Camere di Commercio italiane all’estero ed estere in Italia, Ambasciate italiane e altri enti ufficiali esteri, Ambasciate e rappresentanze estere in Italia, Agenzie per l’attrazione degli investimenti esteri, Associazioni industriali italiane; e) banche dati e repertori: Centrale dei Bilanci, Kompass Italia, “Principal International Business. The World Marketing Directory”, “D&B europe”, “Business to Business” e “Who Owns Whom” di Dun & Bradstreet, “Aida” e “Amadeus” del Bureau Van Dijk, Annuari R&S, “Le principali società italiane” di Mediobanca, ecc.; f) ricerche e studi ad hoc di varia origine a livello di settore, paese, area territoriale, ecc.. Le differenze rispetto alle analisi basate sugli IDE Le differenze tra le analisi proposte in questo Rapporto e quelle basate sugli IDE vanno al di là della semplice diversità tra le variabili rilevate (flussi e stock di investimenti internazionali nel caso degli IDE, non censiti dalla presente indagine). Generalmente parlando, la formazione di una IMN comporta flussi di IDE tra i paesi, ovverosia investimenti esteri che, in armonia con la definizione dell’International Monetary Fund (1977), comportano l’acquisizione del controllo o di interessi durevoli (minoritari o paritari) in un’impresa, con qualche grado di coinvolgimento dell’investitore nella direzione e nella gestione delle sue attività. Essi in tal modo vengono distinti dagli investimenti di portafoglio, rivolti a partecipazioni di natura finanziaria e attuati da soggetti istituzionalmente o 45 di fatto non interessati alla gestione dell’impresa. Tuttavia, solo una parte del capitale investito nelle IMN è finanziato tramite movimenti registrati dalle bilance dei pagamenti, essendo possibile reperire risorse finanziarie complementari sui mercati locali di insediamento. La rilevazione diretta della presenza delle IMN e delle loro partecipazioni ha il pregio di abbracciare l’intero campo delle iniziative, evitando possibili sottostime dei fenomeni di internazionalizzazione delle strutture industriali. In secondo luogo, i flussi e gli stock di IDE soffrono di significative distorsioni, con particolare riguardo alla destinazione geografica, al settore di attività e persino alla loro direzione14; le distorsioni derivano principalmente dal criterio utilizzato nelle rilevazioni (immediate beneficiary), che non consente di controllare la destinazione finale degli IDE nel caso essi transitino da un soggetto intermedio. Nuovamente, la rilevazione diretta delle strutture proprietarie e delle logiche di investimento mette rimedio a questo inconveniente, tale da inficiare le analisi, tanto più quanto più esse sono condotte a livello disaggregato. Al contrario, la ricchezza e l’articolazione dei dati raccolti sulle IMN consente analisi di dettaglio sulla struttura e sulla natura dei processi di internazionalizzazione, che non sarebbero altrimenti possibili. Infine, è importante sottolineare come la diversa natura delle rilevazioni renda difficile sia il confronto, sia l’uso congiunto delle informazioni. I raffronti intertemporali tra IDE e altri indicatori di formazione e di attività delle IMN sono complicati dalla loro diversa scansione temporale, generalmente di difficile identificazione; il flusso degli investimenti ha distribuzioni temporali diverse e più erratiche rispetto a quelle di altri indicatori di attività (produzione, import-export, ecc.). Questa diversità rende conto del perché il confronto superficiale delle evidenze prodotte dalle due fonti ingeneri talvolta contraddizioni apparentemente di difficile spiegazione. I limiti della banca dati La discussione sui possibili limiti della rilevazione è principalmente da riferire alla questione cruciale concernente il grado di copertura dell’universo. Sul lato dell’internazionalizzazione attiva, il maggiore problema è dato dall’esplosione delle iniziative delle PMI italiane verso l’estero, accompagnata dal “rumore” rappresentato dalle molte iniziative annunciate che rimangono allo stadio della pure intenzione e dalla “area grigia” costituita dal proliferare dell’imprenditorialità italiana all’estero. La sistematica verifica delle informazioni implica grande profusione di tempo e complica il lavoro dei ricercatori. Tuttavia, al di sopra della soglia di 2,5 milioni di euro di giro d’affari all’estero, si ritiene che alla rilevazione possano essere sfuggite solo talune “multinazionali sommerse”, ovvero aggregati di impresa regolati non da strutture proprietarie formali, ma da affiliazioni basate su rapporti informali, non infrequentemente di natura familiare15. Diverso è il caso delle iniziative al di sotto della soglia indicata, per le quali è stata esclusa a priori la possibilità di una 14 Un caso emblematico, segnalato anche dalla Relazione Annuale della Banca d’Italia (2000), chiarisce la gravità dei problemi. All’inizio del 1999, le società di servizi di telecomunicazione Infostrada e Omnitel erano partecipate congiuntamente da Olivetti (50,1%) e dalla tedesca Mannesmann (49,9%), tramite la holding di diritto olandese Oliman BV. Nel giugno dello stesso anno, Mannesmann ha acquisito le quote di Olivetti nelle due società, divenendone l’unica azionista. Il passaggio ha comportato la cessione alla società tedesca delle quote di Olivetti in Oliman. Come è stata registrata l’operazione nella bilancia dei pagamenti e di conseguenza nelle statistiche dei flussi di IDE? Essa risulta essere un disinvestimento diretto italiano nei Paesi Bassi nel settore finanziario (holding). L’economia reale registra tre errori: (i) di direzione, poiché si tratta di un investimento diretto tedesco in Italia; (ii) di paese, poiché il flusso è dalla Germania all’Italia e non dall’Italia ai Paesi Bassi; (iii) di settore, poiché l’investimento concerne i servizi di telecomunicazioni e non i servizi finanziari. Le statistiche sugli IDE sono purtroppo ricche di questi casi. 15 Al proposito vi è peraltro da chiedersi se queste configurazioni associative rientrino nella categoria, pur definita in senso ampio, delle “imprese multinazionali”. 46 rappresentazione dell’universo. Sono numerose le partecipazioni, particolarmente di natura commerciale e di servizio, che rientrano in questa categoria. Anche micro-iniziative di natura industriale possono sfuggire alle rilevazioni più accurate: esse riguardano principalmente l’Europa orientale e, in misura minore, alcune aree in via di sviluppo dei continenti africano e asiatico e costituiscono un mondo su cui talvolta si fantastica16. Nei Rapporti “Italia Multinazionale”, cui si rinvia per i relativi approfondimenti (Mariotti e Mutinelli, 2004 e 2005), sono state proposte stime, fondate su estrapolazioni da indagini campionarie, circa la consistenza complessiva del fenomeno della multinazionalizzazione del Paese, a includere quanto non direttamente rilevato nella banca dati. Per il principale comparto analizzato, quello dell’industria manifatturiera, si evinceva da esse, come il probabile scostamento tra il censito e l’universo non superasse il 20% in termini di numero di imprese investitrici all’estero, percentuale che scendeva al 5%, se riferita ai dipendenti e al fatturato all’estero. Riguardo all’internazionalizzazione passiva, la compiutezza della rilevazione può essere valutata grazie alle indagini che Istat ha iniziato a condurre sulle imprese italiane a controllo estero (Istat, 2004 e 2005), nel quadro delle statistiche comunitarie FATS (Foreign Affiliates Trade Statistics). Non si tratta di un censimento, quanto di una rilevazione assai estesa e statisticamente fondata che consente di produrre una stima sulla consistenza economica dell’universo delle partecipazioni estere, accompagnata da disaggregazioni per settori, dimensioni delle imprese controllate e nazionalità della IMN investitrice. Il confronto tra i dati di “Italia Multinazionale” e le stime elaborate da Istat per gli stessi aggregati settoriali conferma l’affidabilità del database Reprint. In termini di dipendenti e di valore aggiunto, lo scostamento tra il database e l’indagine Istat è pari all’1-2% in meno per Reprint, divario assai contenuto e comprensibilmente motivato da attività minori che sfuggono alla rilevazione diretta. 16 È questo certamente il caso della Romania, paese in cui sono ormai circa 15.000 le imprese registrate partecipate da soggetti italiani. Ma la stessa stampa quotidiana, nei propri reportages, ridimensiona tali dati, parlando di aziende fantasma, di iniziative mai partite, di avventure poco nobili celate sotto il nome di società inesistenti. Ad esempio, un’indagine condotta tre anni fa dal Corriere della Sera ha stimato realisticamente in circa 3.000 unità il numero di imprese partecipate da soggetti italiani (imprese o privati cittadini) allora effettivamente attive in tale paese, dedite a qualsivoglia attività (produttiva, commerciale, finanziaria, immobiliare, di servizio, ecc.). 47 48 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BALCET G., EVANGELISTA R. (2005), “Global Technology: Innovation Strategies of Foreign Affiliates in Italy”, Transnational Corporations, 14 (2) BANCA D’ITALIA (2000), Relazione annuale, Roma BARBA NAVARETTI G., VENABLES A.J. (2004), Multinational Firms in the World Economy, Princeton University Press, Princeton GÖRG H., STROBL E. (2001), “Multinational Companies and Productivity Spillovers: a Meta–analysis”, Economic Journal, 111 INTERNATIONAL MONETARY FUND (1977), Balance of Payments Manual, Washington ISTAT (2004), “Struttura e attività delle imprese a controllo estero. 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