TO BEE - Slow Food Torino
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TO BEE don’t make a change, be a part of it! Torino e l’apicoltura urbana: uno sviluppo sostenibile POLITECNICO DI TORINO Design e Comunicazione Visiva a.a. 2015/2016 TESI DI LAUREA DI PRIMO LIVELLO Cecilia Roella RELATORE Cristian Campagnaro A tutti coloro che mi hanno vista piangere e ridere senza motivo, alla mia famiglia e a mio Nonno Virgilio senza il quale, sicuramente, non avrei mai scritto nulla di tutto ciò. TO BEE don’t make a change, be a part of it! Torino e l’apicoltura urbana: uno sviluppo sostenibile POLITECNICO DI TORINO Design e Comunicazione Visiva a.a. 2015/2016 TESI DI LAUREA DI PRIMO LIVELLO Cecilia Roella RELATORE Cristian Campagnaro Sommario 2 Il mondo delle api 15 18 21 Cos’è un’ape? Dove vive? Cosa produce? 1 3 La storia dell’apicoltura L’importanza delle api e il CCD 25 29 Il ruolo delle api in natura La sindrome dello spopolamento degli alveari 4 6 La nascita dell’apicoltura urbana L’introduzione dell’apicoltura in città 33 40 Nel mondo A Torino 73 78 82 La sconfitta dei luoghi comuni Il rapporto con gli orti urbani L’apicoltura urbana come innovazione sociale 5 7 Casi studio: il contributo dei progettisti Il ruolo del progettista in un processo di innovazione sociale 46 50 62 La comunicazione Le arnie urbane Le installazioni 97 100 104 108 Gli obiettivi del progettista La comunicazione visiva Strategic design e service design Il ruolo del progettista a Torino IN TRO DU ZIO NE L’apicoltura urbana è un fenomeno piuttosto recente che ha riscosso un considerevole successo nelle più grandi metropoli del mondo, da New York City a Parigi fino a Tokyo. Torino è la prima città di Italia che ha assistito al fenomeno delle api in città, grazie anche al lavoro di Antonio Barletta con Urbees, il quale ha tentato di essere da esempio per tutte le altre metropoli italiane. Tuttavia non possiamo dire che a Torino il fenomeno dell’apicoltura urbana abbia avuto un’enorme fortuna come nelle altre grandi città del mondo: sono infatti diverse le problematiche a cui si va incontro in seguito, o addirittura a priori, all’inserimento delle arnie nel contesto urbano. Primo fra tutti, il dissenso da parte dei concittadini. L’apicoltura rappresenta però un grande potenziale per la nostra città grazie ai numerosi benefici che è in grado di generare, i quali la rendono una vera e propria innovazione sociale. Il progettista deve così affrontare le problematiche esistenti per consentire alle api di vivere in tranquillità a Torino e ai cittadini di beneficiare non solo dei prodotti dell’alveare,ma anche di un ecosistema meno inquinato. L’obiettivo è quello di diffondere l’apicoltura nel contesto urbano attraverso l’attuazione di vere e proprie strategie operative e di comunicazione per garantire un miglioramento dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Il designer diventa in questo contesto un attore sociale, che collabora con gli esperti del settore per facilitare il processo e renderlo replicabile su larga scala. Il titolo di questa trattazione, To Bee , allude al verbo inglese “to be”, essere, in quanto come scoprirete nel corso di queste pagine il designer è parte essenziale di un processo di innovazione sociale. Si va oltre il classico product design per giungere ad una trasformazione del design stesso, che si pone al servizio della collettività e dei cambiamenti sociali. Nell’era in cui viviamo, infatti, la progettazione di oggetti dovrebbe passare in secondo piano, per lasciare spazio alle esigenze del XXI secolo che riguardano la sostenibilità e la salvaguardia dell’ambiente, che abbiamo a lungo danneggiato. CAPITOLO PRIMO LA STORIA DELL’ APICOLTURA Con apicoltura si intende l’allevamento di api con lo scopo di sfruttare i prodotti dell’alveare, inteso come un’arnia popolata da una famiglia di api. Il mestiere dell’apicoltore consiste nel procurare alle api ricovero e cure, in cambio di una quantità discreta del loro prodotto consistente in miele, polline, cera d’api, pappa reale e propoli. Attualmente è una pratica diffusa in tutti i continenti, ma differisce a seconda della varietà di api, del clima e dello sviluppo economico dell’apicoltore. Dopo questa breve introduzione, è opportuno chiederci come si è sviluppato questo fenomeno e quando ha iniziato a diffondersi in tutto il mondo. I dati più antichi conosciuti sono quelli scoperti da Hernandez Pacheco nel 1921 e risalenti a 7000 anni prima di Cristo: si tratta di diverse pitture rupestri che raffigurano un uomo nell’atto di carpire il miele, rinvenute nelle Grotte del Ragno nei pressi di Valencia, in Spagna. Per comprendere queste raffigurazioni bisogna tenere conto del fatto che in quei territori le api facevano il nido nelle crepe delle rocce e, nelle vicinanze della grotta in cui sono state ritrovate queste incisioni, era una pratica comune tra i contadini calarsi con funi e scale sulle pareti rocciose alla ricerca di favi e miele. Sui più antichi documenti scritti conosciuti, ovvero le tavolette d’argilla della società mesopotamica, sono presenti passi che descrivono il miele come medicina. È una testimonianza di come il miele, nel corso del tempo, sia sempre stato considerato come uno degli alimenti più preziosi accessibili all’uomo e spesso ritenuto miracoloso, sia come alimento sia come farmaco. La storia dell’apicoltura /11 Nell’antico Egitto l’ape compare come simbolo grafico presente nei cartigli che raffiguravano i nomi dei faraoni e viene inoltre usata come marchio rappresentante il Basso Egitto. I titoli del faraone erano sempre associati al simbolo dell’ape, emblema di sovranità e comando. Nelle numerosissime rappresentazioni egiziane, spesso raffiguranti l’estrazione del miele da arnie villiche e la sua conservazione in vasi dalla forma sferica, si comprende come nell’antico Egitto la tecnica apistica raggiunse livelli più alti che nel resto del mondo. Ancora oggi l’apicoltura tradizionale dell’Alto Egitto è rimasta simile ed un metodo d’allevamento dello stesso tipo è in uso anche nel Nord Africa. Anche i Greci forniscono molte notizie sul miele, da loro considerato come “il cibo degli dei”. Lo stesso Omero, nei sue racconti sulla guerra di Troia, parla di api e di miele, sempre presente nei copiosi banchetti. Le migliori trattazioni greche sulle api sono quelle di Aristotele, che nella sua Historia Animalium dell’488 a.C descrive l’ape come un “animale sociale” che vive in un gruppo organizzato, in cui tutti i membri si adoperano per un fine comune. È proprio nell’antichità classica, che non conosce dolcificanti alternativi al miele e che usa la cera per molti scopi, che l’apicoltura diventa un’attività di grande rilevanza economica. Secondo le fonti di Pericle risalenti al 461 a.C. la zona Attica, in Grecia, aveva oltre 20.000 alveari che erano fonte di ricchezza per i loro proprietari, poiché questa era la regione che vantava il miele di timo più pregiato al mondo. I Romani erano grandi consumatori di miele, tanto che la domanda eccedeva la produzione del tempo e, da sempre, importarono il miele e altri prodotti dell’alveare da Creta, Cipro e Malta, il cui nome originale Meilat, si pensa significasse appunto “terra del miele”. 12/ La storia dell’apicoltura Pitture rupestri nelle Grotte del ragno, Valencia Il miele veniva principalmente utilizzato come dolcificante, ma anche per la preparazione del vino di miele (idromiele), della birra di miele, di numerose salse agrodolci e come conservante alimentare. Plinio il Vecchio, nella sua opera Storia Naturale, presenta diversi e dettagliati utilizzi della cera, il che dimostra che si conosceva già il metodo di astrazione, purificazione e di sbiancamento della cera d’api. Nel 30 a.C., al tempo dell’imperatore Augusto, l’apicoltura era nella sua età d’oro. Le api venivano raccolte nei tronchi cavi d’albero o in casse di legno spalmate di creta e sterco bovino ed erano rare le case di campagna prive di alveari. L’apicoltura ebbe un’enorme fortuna anche sotto l’impero di Carlo Magno, il quale stabilì l’obbligo che in ogni podere dovesse lavorare anche un apicoltore, con il compito di badare alle api e di produrre miele e idromiele. In questo periodo era ampiamente diffusa l’arnia in paglia intrecciata, che porta alla nascita dell’apicoltura razionale in quanto l’uomo, per avere miele in abbondanza, decise di allevare le api entro contenitori. Nel corso dei secoli c’è stata una lenta evoluzione delle tecniche apistiche e delle arnie, fino ad arrivare a quella in uso attualmente inventata da Lorenzo Lorraine Langstroth nel 1851. Con la scomparsa delle grandi civiltà antiche e con la caduta dell’Impero Romano, l’apicoltura subì un’involuzione e continuò ad essere praticata solo Nell’Antica Grecia il miele era visto come il “cibo degli dei” dai monaci nei conventi per ricavare il prezioso miele e la cera utile alla produzione di candele per il culto. Dopo l’anno mille, col sorgere dei Comuni e delle fiorenti Repubbliche, l’apicoltura torna ad essere un’attività molto praticata e redditizia. Ben presto però, successivamente alla scoperta del Nuovo Mondo, il miele passò in secondo piano a causa della diffusione dello zucchero come dolcificante. L’apicoltura tornò così ad essere una pratica poco diffusa, gestita per lo più da contadini che si limitavano a raccogliere il miele eliminando le api. In epoca rinascimentale si registrò in tutta Europa un nuovo interesse per la biologia delle api e la nascita del microscopio diede un importante contributo per lo sviluppo di nuove conoscenze nel campo. A quei tempi erano ancora diffuse tante informazioni inesatte, ad esempio la credenza che il re dell’alveare fosse maschio, ma l’invenzione di Galileo portò un nuovo entusiasmo e le api furono i primi insetti ad essere dipinti come visti al microscopio. Nella seconda metà dell’ottocento ci furono molte invenzioni legate al mondo dell’apicoltura, le quali portarono alla nascita dell’arnia moderna. Come anticipato, fu infatti l’americano Langstroth ad inventare il telaio mobile con i listelli laterali staccati consentendo così di estrarre il miele con facilità e senza uccidere le api. In questo periodo in Italia nacquero anche molte riviste specializzate, come Le api e i fiori del 1883 e L’apicoltura nazionale risorta del 1885. A partire dal XIX secolo, l’apicoltura torna ad essere un’attività “nobile” e diffusa, grazie anche alle nuove scoperta che l’hanno resa più facile e alla portata di tutti. Per concludere questa riflessione generale sulla nascita, lo sviluppo e la diffusione dell’apicoltura,bisogna ricordare che è una pratica che affonda le sue radici in tempi molto lontani ma che, come vedremo nel corso di questa trattazione, è allo stesso tempo moderna ed attuale. Raffigurazione delle “skeps”, le ceste in paglia in cui venivano allevate le api prima dell’invenzione dell’arnia con telai mobili di Langstroth La storia dell’apicoltura /13 CAPITOLO SECONDO IL MONDO DELLE API L’APE Dopo aver tracciato una breve storia dell’apicoltura e della sua nascita come pratica razionale, è opportuno concentrarci sulla protagonista di questa attività: l’ape. Innanzitutto ho utilizzato il genere femminile in quanto, tecnicamente, l’ape è femmina. Come vedremo più avanti l’alveare è costituito da migliaia di individui dal sesso femminile e da un centinaio di fuchi, di sesso maschile. Dal punto di vista tassonomico l’ape è un insetto sociale appartenente alla famiglia Apidae, che raggruppa tutti gli insetti imenotteri come ad esempio la vespa, il bombo, la formica e appunto l’ape. Di quest’ultima esistono varie specie, ma due soltanto possono essere allevate dall’uomo: l’Apis mellifera e l’Apis cerana. Noi ci concentreremo maggiormente sulla prima specie, in quanto è diffusa in tutto il mondo ed è l’unica conosciuta nel continente europeo. Le api esistono sulla terra da circa quattro milioni di anni e, come dimostrano i reperti fossili, non hanno mai mutato il loro aspetto. Questa stabilità della specie è la dimostrazione della sua grande capacità di adattamento, che al giorno d’oggi le consente di sopravvivere anche in un ambiente urbano. Da sempre le api hanno avuto un enorme importanza per l’uomo, sia grazie alla loro produzione di miele sia grazie al ruolo fondamentale di impollinazione. Come ha asserito Albert Einstein “Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita”, affermazione che può apparire inizialmente drastica ma che dopo un opportuno ragionamento risulta essere veritiera. Le api sono infatti responsabili dell’impollinazione del 70% Il mondo delle api /15 delle angiosperme e, qualora dovessero estinguersi, l’uomo ne sarebbe colpito direttamente a causa della mancanza di beni primari come la frutta, la verdura ed il cotone. Più avanti approfondiremo questo aspetto e illustreremo tutti i benefici che l’uomo ricava dall’esistenza delle api. L’ape regina e l’ape operaia L’alveare è una società matriarcale governata da un’ape regina, l’unica femmina fertile della famiglia che dopo il volo nuziale, in cui viene fecondata dai fuchi, è in grado di deporre uova per i suoi quattro o cinque anni di vita. Vediamo ora quali sono le fasi che attraversano le uova appena deposte prima di giungere a maturazione. Dopo soli tre giorni dalla deposizione dell’uovo fecondato in una cella da parte della regina, questo si schiude. La larva viene inizialmente nutrita con la pappa reale, un liquido secreto dalle ghiandole faringee delle operaie. In seguito solo l’ape prescelta come regina continuerà ad essere nutrita in questo modo, alle api restanti verrà dato un misto di miele e polline. Al decimo giorno la larva ha completato il suo sviluppo e le api operaie procedono ad percolare la cella, ovvero a chiuderla. La larva si chiude in un bozzolo e, dodici giorni dopo, dalla celletta esce una giovane ape che presenta l’aspetto e le dimensioni definitive. Dunque dal momento della deposizione dell’uovo fecondato alla nascita dell’ape passano solo tre settimane. L’ape operaia nei suoi primi dieci giorni di vita si occupa di preparare le celle per le prossime uova e, una volta completato lo sviluppo delle sue ghiandole, diventa nutrice cioè è lei stessa a nutrire le giovani larve. Al termine di questo periodo l’ape operaia inizia a compiere i primi giri in volo intorno all’alveare. Nel periodo che va tra i dieci ed 16/ Da sinistra: ape operaia, ape regina e fuco. Il fuco i venti giorni di vita, si sviluppano le sue ghiandole sericipere, ovvero quelle che producono la cera. L’ape ha ora il ruolo di costruttrice e partecipa all’ampliamento dei favi, alla trasformazione del nettare in miele e alla regolazione termica dell’alveare, ottenuta agitando le ali “da fermo”. Protegge inoltre l’alveare e la regina dagli stranieri come le vespe ed i ladri, cioè tutte le api provenienti da un alveare diverso. L’ape operaia, ormai matura, diventa bottinatrice ed ha il compito di dirigersi in giro per la campagna alla ricerca di nettare, polline, melata, propoli ed acqua. E’ proprio in questo modo che l’ape operaia completa il suo ciclo di vita, a fine estate, morendo di sfinimento durante un suo ultimo giro di bottinaggio. Nel periodo che precede l’autunno nascono delle nuove api operaie che vivranno dai cinque ai sei mesi, grazie ad un corpo più ricco di acidi grassi che le consente di sopravvivere alla fredda stagione invernale. Il loro lavoro è quello di proteggere la regina e di mantenere l’alveare ad una temperatura di circa 30°C ed infine, con l’arrivo della primavera, di preparare le nuove generazioni. L’ultima categoria di ape presente nell’alveare è il fuco, di sesso maschile, che nasce tra la primavera e l’inizio dell’estate dalle uova non fecondate. Le sue dimensioni sono maggiori rispetto a quelle dell’ape operaia, ma è sprovvisto di pungiglione. I fuchi non partecipano al lavoro dell’alveare e non possono nutrirsi da soli per via delle lingua troppo corta e dipendono quindi interamente dalle operaie. Il loro ruolo è strettamente limitato alla fecondazione della giovane L’alveare è una società matriarcale regina durante il volo nuziale. Quelli che riescono ad accoppiarsi muoiono poco tempo dopo. Quanto agli altri, le operaie smettono di nutrirli alla fine dell’estate ed essi, sempre più deboli ma mano che l’autunno si avvicina, finiscono per essere cacciati dall’alveare o muoiono di sfinimento o freddo. Il mondo delle api /17 DOVE VIVE? Abbiamo visto come una colonia di api sia una società gerarchica e strutturata, all’interno della quale ogni individuo deve rispondere ad un compito ben preciso. Ora vediamo invece dove si rifugiano le api in natura e dove vengono ospitate nella pratica dell’apicoltura. Nel primo caso, le api si lasciano guidare dal loro istinto alla ricerca di una cavità dalle dimensioni appropriate in cui costruire i favi. Questi vengono attaccati al soffitto e alla pareti interne della cavità, creando così le condizioni termiche e di umidità adatte ad ospitare un famiglia di api. Nell’apicoltura razionale invece è l’allevatore a fornire alle api un riparo, che consiste sovente in una cassetta di legno, che prende il nome di arnia. Spesso nel linguaggio colloquiale il termine alveare è utilizzato come sinonimo di arnia, nonostante uno sia Arnia di Langstroth composta da: nido, melario, coprifavo, tetto e telai mobili 18/ Il mondo delle api più indicato per un rifugio di tipo naturale e l’altro per quello di tipo artificiale. Queste due tipologie possono essere classificate anche come arnia rustica, che si può trovare naturalmente nella cavità di una pianta, e arnia razionale, costruita artificialmente dall’uomo. È interessante spendere due parole in merito all’evoluzione di quest’ultima. La prima tipologia di arnia costruita dall’uomo prende il nome di arnia tradizionale o in inglese “skeps”, che significa cesta, proprio per indicare il materiale con cui questa veniva fabbricata, cioè la paglia. Venne ampiamente utilizzata nell’antico Egitto e in tutta la regione mediterranea, grazie alla sua economicità e alla semplicità degli elementi necessari per la sua costruzione. Tuttavia non può essere definita come arnia razionale, in quanto era necessario distruggere i favi per raccogliere il miele prodotto dalle api, le quali dovevano poi ricostruirli per una seconda raccolta. L’arnia in paglia venne utilizzata in Europa per secoli, fino al 1851 quando l’americano Langstroth inventò l’arnia con i pannelli mobili, che consentono di estrarre il miele senza distruggere i favi. Un’arnia di tipo razionale è generalmente composta da un fondo, dove è situato l’ingresso per le api nell’arnia, da una camera di allevamento, che ospita il nido, e dal melario, una parte rimovibile che contiene i telai mobili destinati ad essere riempiti di miele. Infine è sovrastata da un coprifavo e da un tetto, a protezione dal sole e dagli agenti atmosferici. Sui telai mobili le api operaie costruttrici creano i favi, costruzioni verticali in cera modellati con delle cellette esagonali che possono contenere miele, polline o covata. Infine, è utile sapere che un gruppo di arnie collocate in uno stesso sito prendono il nome di apiario. /19 COSA PRODUCE? Il miele Le api rappresentano una grande risorsa per l’uomo, per diversi motivi che indagheremo nel corso di questi capitoli. Uno tra questi, il più immediato e materialista, è la produzione di miele, cera, propoli e pappa reale. Fin dall’antichità il miele è stato un alimento molto importante per l’uomo, utilizzato per dolcificare, per preparare bevande fermentate e per conservare il cibo. Vediamo ora nel dettaglio cos’è e come viene prodotta questa sostanza da sempre ritenuta come “il cibo degli dei”. Il miele è un alimento prodotto dalle api sulla base di sostanze zuccherine che queste raccolgono in natura. I principale “ingredienti” sono il nettare, emesso dalle piante da fiori, e la melata, un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori che trattengono l’azoto ed espellono il liquido in eccesso ricco di zuccheri dalla linfa. Per le piante, il nettare serve ad attirare i vari insetti impollinatori, allo scopo di assicurare la fecondazione dei fiori. La composizione del nettare varia a seconda delle piante che lo producono, ma è solitamente composto da glucidi, come saccarosio e acqua. La produzione del miele inizia nel gozzo dell’ape bottinatrice, nel suo volo di ritorno verso l’alveare. Nella cavità orale dell’ape, l’invertasi, un enzima che ha la proprietà di scindere il saccarosio in glucosio e fruttosio, si aggiunge al nettare. Prende vita una reazione chimica, l’idrolisi, che porta alla creazione, appunto, di glucosio e fruttosio. Giunta nell’alveare, l’operaia rigurgita il nettare che deve essere disidrato per assicurarne la conservazione. A questo scopo, le bottinatrici lo depongono in strati sottili 20/ Il mondo delle api sulle pareti delle celle e, grazie al lavoro delle operaie ventilatrici che creano una corrente d’aria all’interno dell’alveare, l’acqua evapora. Quando questa è ridotta ad una percentuale del 17-18%, il miele è maturo. Viene dunque deposto in altre cellette che vengono sigillate con un sottile strato di cera. Da questo momento in poi è l’apicoltore che deve compiere una serie di lavorazioni per rendere il miele commercializzabile. Per avere accesso al miele, l’allevatore deve dapprima rimuovere le api contenute nel melario. Per questa operazione possono essere utilizzati due strumenti diversi: il soffiatore o gli apiscampi. Utilizzando il soffiatore, il melario viene posto in posizione verticale sull’arnia, lo strumento spazza via tutte le api in pochi secondi ed i telaini sono pronti per essere portati via. Il processo con gli apiscampi è invece più lungo, in quanto questi devono essere posizionati tra il nido ed il melario qualche giorno prima di poterlo portare via. Una volta asportati dall’arnia, i melari vengono portati in laboratorio ed accatastati. È necessario controllare il livello di umidità del miele con uno strumento apposito detto mielometro. Successivamente si procede con la disopercolatura, ovvero si asportano i tappi che chiudono le cellette del favo per consentire la fuoriuscita di miele. È un’operazione manuale effettuata con un’apposita forchetta o coltello, oppure attraverso un processo meccanizzato grazie alla macchina disopercolatrice. Una volta aperte le cellette, i telaini vengono posti nello smielatore che, grazie alla forza centrifuga, fa fuoriuscire il miele e lo convoglia nei maturatori. Il miele passa Il mondo delle api /21 qui attraverso dei filtri che trattengono i residui di cera, i resti delle api e qualsiasi altro materiale che fosse accidentalmente finito nel miele. Durante la smielatura la sostanza acquista dell’aria che viene eliminata durante la fase di decantazione, nella quale si formano delle bollicine in superficie sotto forma di schiuma, che viene infine rimossa. Il miele è ora pronto per essere consumato ma, per migliorarne la spalmabilità, viene fatto cristallizzare e aumenta così la sua cremosità. L’ultima fase è quella dell’invasettamento, agevolata da una macchina apposita che prende il nome di invasettatrice. L’apicoltura è in grado di offrire mieli assai vari per origine, aspetto e sapore. Le api infatti visitano migliaia di specie vegetali, che danno origine a mieli molto diversi, specialmente nel contesto urbano in cui la biodiversità è assai varia. Il miele è detto monofloreale,ed è generalmente più pregiato, se proviene da un’unica varietà di fiori. In questo caso l’apicoltore sistema le proprie arnie nel momento esatto della produzione del nettare del fiore desiderato e le ritira subito dopo per raccoglierlo. Gli altri mieli sono detti millefiori e sono più delicati. A seconda dei fiori da cui viene tratto il nettare, varia il colore, la consistenza ma soprattutto il sapore e le proprietà organolettiche del miele, ovvero le sue caratteristiche fisiche e chimiche che generano specifiche differenze nell’olfatto e nel gusto. Ottimo come alimento, il miele è anche conosciuto da tempo per le sue proprietà benefiche e antibatteriche, dovute alla sua alta concentrazione zuccherina e al PH acido. Infatti nella medicina erboristica il miele è suggerito per la cura dell’apparato respiratorio, contro la tosse ed il catarro se sciolto nel latte on nel tè. Le differenti proprietà curative di queste sostanza dipendono dalla sua flora nettarifera, ma nel complesso possiamo dire che è veramente “il cibo degli dei”. 22/ Il mondo delle api La pappa reale La pappa reale è prodotta dalle secrezioni del sistema ghiandolare della api tra il quinto ed il quattordicesimo giorno di vita, nella loro fase da nutrici. È una sostanza biancastra dalla consistenza gelatinosa, di sapore caldo, acido e leggermente dolce, che costituisce il nutrimento di tutte le larve della colonia, fino al loro terzo giorno di vita, e della regina. Il nome pappa reale infatti deriva dal fatto che le larve alimentate con questa sostanza diventano regine ed è per questo che viene ritenuta un alimento nobile. Similmente al miele, è un alimento con proprietà benefiche anche per l’uomo e vien commercializzato come una variante ancora più nutriente e benefica del miele stesso. Seconda la medicina erboristica è un ottimo ricostituente che dona energia e vitalità al corpo contro la stanchezza fisica. Il propoli Con il termine propoli si intende una serie di sostanze resinose e balsamiche dalla consistenza viscosa raccolte dalle api su alcuni vegetali. Le principali essenze, ovvero specie arboree, produttrici di propoli sono le conifere (pino, abete e peccio). All’interno dell’alveare il propoli assume diverse utilizzi, ad esempio serve a riempire e rinforzare i favi e le parti difettose e viene utilizzato come disinfettante nelle cellette prima della deposizione delle uova da parte della regina. Serve anche a mummificare gli intrusi morti evitandone la decomposizione, quando sono toppo grossi per essere portati fuori dall’alveare dalle api stesse. L’uomo utilizza il propoli nella produzione di caramelle e in soluzione alcolica per combattere le infezioni orali. In virtù delle sue innumerevoli attività benefiche, prodotti a base di profilo vengono utilizzati anche in campo agricolo per la difesa delle colture. La cera La cera è l’ultimo dei prodotti dell’alveare e forse quello maggiormente impiegato dall’uomo nella produzione di candele, prodotti cosmetici e farmaceutici, come rivestimento dei formaggi durante la stagionatura e in soluzione come lucidante per i mobili. Nonostante la sua enorme diffusione, spesso la cera non viene ricollegata direttamente alle api e al loro lavoro. È una secrezione prodotta da otto ghiandole situate sull’addome delle api giovani, tra i 12 e i 19 giorni, per costruire i favi. L’Apis mellifera utilizza la cera per costruire le celle del loro favo, dove vengono cresciute le larve e depositati miele e polline. Quando gli apicoltori estraggono il miele, disopercolano ogni singola cella, ovvero ne recidono la copertura. La cera può avere un coloro variabile dal giallo al marrone scuro, a seconda della purezza e dal tipo di fiore raccolto dalle api per la sua produzione. La cera dei favi di covata di covata tenere ad essere più scura di quelli in cui viene raccolto il miele, poiché le impurezze vi si accumulano più velocemente e dunque necessita di essere trattata prima di qualsiasi utilizzo. /23 CAPITOLO TERZO IL RUOLO DELLE API IN NATURA E IL CCD L’ape impollinatrice Abbiamo visto come i prodotti dell’alveare siano necessari all’uomo in campo alimentare e farmaceutico, ma il ruolo delle api in natura si estende al di là del fattore produttivo. Possiamo infatti dire senza esitazioni che questi piccoli imenotteri siano fondamentali per il nostro pianeta e la sua biodiversità. Le api sono infatti uno degli esemplari più laboriosi esistenti al mondo e grazie alla loro considerevole etica lavorativa, dobbiamo moltissimo, in qualità di essere umani, a questi insetti spesso non apprezzati. Verso la fine della primavera e per tutto il periodo estivo, possiamo gustare i frutti di alberi e campi coltivati. Ma ci domandiamo mai come vengono impollinati i nostri fiori e le nostre piante da cui nascono tutti i prodotti agricoli che consumiamo quotidianamente? Le api sono una parte essenziale di questo processo che porta alla nascita dei vegetali, che prende il nome di impollinazione. Con questo termine si intende il trasporto di polline dall’apparato riproduttivo maschile di una pianta all’apparato riproduttivo femminile di un’altra pianta della stessa specie. Mentre alcune piante sono in grado di fecondarsi da sole o con l’aiuto del vento, altre, in particolare le angiosperme, fanno affidamento sul ruolo di impollinazione di alcuni animali come i pipistrelli, le farfalle, le falene, i colibrì e le api. Quest’ultime tendono a focalizzare le proprie energie su un’unica specie di pianta alla volta, fattore che rende il loro lavoro particolarmente efficace. Infatti visitando la stessa tipologia di fiore durante un’escursione, l’ape rende migliore la quantità e la qualità dei frutti prodotti. Risulta immediato dunque pensare che se le api dovessero un giorno estinguersi dalla Terra, si Il ruolo delle api in natura e il CCD /25 giungerebbe ad un vero e proprio disastro biologico dal quale nemmeno l’uomo potrà uscirne immune. Come già disse il fisico e filosofo Albert Einstein, “Se le api dovessero scomparire dalla Terra, all’uomo potrebbero rimanere soltanto quattro anni di vita”. Purtroppo, al giorno d’oggi, la minaccia non è troppo lontana in quanto l’equilibrio biologico venutosi a creare in milioni di anni di evoluzione è ora a rischio per colpa dell’uomo. A causa dei fertilizzanti chimici impiegati nel settore agricolo e delle monocolture intensive, le famiglie di api si stanno lentamente estinguendo. Gli agricoltori cinesi della regione del Sichuan, Se le api dovessero scomparire dalla Terra, all’uomo potrebbero rimanere soltanto quattro anni di vita dopo 3000 anni di agricoltura sostenibile, sono stati costretti ad impollinare “manualmente” i fiori degli alberi di mele, a causa della grave moria di api registrata nella regione. Questo è solo un esempio di ciò che sta avvenendo in tutto il mondo, Europa compresa. L’allarme è stato lanciato dallo STEP, un programma finanziato dall’Unione Europea nel quale è evidente il declino delle api impollinatrici, dovuto ai repentini cambiamenti climatici in atto a livello globale, alla trasformazione del paesaggio, alla frammentazione degli habitat adatti alla sopravvivenza delle api, all’utilizzo di fertilizzanti chimici, all’intensificazione delle pratiche agricole 26/ 1947 6 milioni di alveari 1980 4.5 milioni di alveari 2008 2.4 milioni di alveari Declino delle colonie di api negli Stati Uniti censito dal U.S. Department of Agricolture e alla conseguente eliminazione delle flora spontanea . È dunque evidente come sia rilevante l’impatto umano nel declino degli impollinatori e come dovremmo contrastarlo con una gestione più sostenibile della campagna e degli ambienti urbani. Considerando che la produzione agricola mondiale si basa quasi completamente sull’impollinazione delle api, la loro estinzione potrebbe avere un effetto diretto sulla stabilità della produzione alimentare e sui prezzi di consumo. Le conseguenze non sarebbero dunque solo ambientali, ma anche economiche e riguardanti la salute dell’uomo a causa della limitata disponibilità di frutta e verdura. Per tutti questi motivi elencati è necessario preservare gli habitat naturali delle impollinatrici o fornire loro un habitat alternativo, preservando così la popolazione di questi preziosissimi insetti. Il ruolo delle api in natura e il CCD /27 L’ape come sentinella ambientale Un altro ruolo importante attribuibile all’ape è quello di sentinella ambientale. Da molti anni l’ape è utilizzata in laboratorio per saggiare la tossicità dei prodotti impiegati in agricoltura. Le percentuali di mortalità ottenute consentono di classificare il principio attivo dei fertilizzanti come altamente, moderatamente o leggermente tossico nei confronti delle api stesse. Negli ultimi decenni, tuttavia, l’interesse dei ricercatori si è spostato sulla valutazione dell’impatto ambientale su questo insetto in quanto organismo utile come impollinatore. Come abbiamo visto infatti ,gli agrofarmaci, se impiegati erroneamente, causano la morte di intere famiglie di api che vi entrano in contatto durante le attività di bottinaggio. Questo concetto può essere applicato per il biomonitoraggio dei metalli pesanti presenti in un dato 28/ Il ruolo delle api in natura e il CCD ecosistema, che possono essere “captati” facilmente dai peli del corpo delle api o essere ingeriti tramite il polline o il nettare successivamente stoccati nell’alveare. Analizzando le api o, ancor meglio, il miele è possibile ottenere informazioni riguardo la quantità di metalli pesanti presenti all’interno di un’area che sia essa rurale o urbana. Antonio Barletta, fondatore di Urbees, ha analizzato il miele prodotto dalle api presenti a Torino per controllarne la commestibilità ed in seguito lo ha utilizzato come strumento per tenere sotto controllo l’inquinamento della città. Su questo punto ci torneremo nel corso delle pagine successive. Quello che è importante ricordare è la moltitudine di utilizzi attribuibili al miele, visto non solo come alimento o farmaco, ma anche come bioindicatore. PERDITA PERCENTUALE DI COLONIE DI API NEL 2007/2008 0 PERDITA NORMALE DELLA COLONIA IN INVERNO Italia Francia Gran Bretagna Stati Uniti Danimarca 23% 20 29% 37,4% 15% Paesi Bassi 33% 32% 36% 40 60 80 100 Tratto dal 1° numero del Journal of Apicultural Research 2010 dedicato alle morie delle api in Europa. Sindrome di spopolamento degli alveari (CCD) Come accennato, negli ultimi decenni si è iniziato a parlare della sindrome di spopolamento degli alveari, conosciuta in inglese come CCD (Colony Collapse Disorder), un fenomeno per cui le api periscono bruscamente per cause ancora incerte, ma ricollegabili ai cambiamenti climatici, ai fertilizzanti chimici e ai parassiti. Negli Stati Uniti la perdita del 3040 per cento delle colonie di api avvenuta nel 2006 è stata collegata proprio a questo problema, che ha lasciato il Nord America con il minor numero di impollinatori domestici degli ultimi 50 anni (Unep 10). Queste perdite impressionanti si sono fatte sentire anche in Europa (come possiamo verificare nel grafico in alto) dove la mortalità delle colonie in inverno è stata in media di circa il 20 per cento. La sindrome dello spopolamento degli alveari non ha risparmiato il nostro paese, l’Italia, nel quale sono state osservate morie anomale di api, in particolare negli anni 2007 e 2008. Questo calo è dovuto ad una molteplicità di fattori che incidono sulla salute di tutti gli insetti impollinatori, che prenderemo in analisi singolarmente qui di seguito. Il ruolo delle api in natura e il CCD /29 Malattie e parassiti Cambiamenti climatici Una delle principali cause della moria delle api è una parassita altamente invasivo, l’acaro Varroa destructor, che si attacca al corpo dell’ape e la indebolisce succhiandone l’emolinfa. Diversi sono in sintomi che interessano gli alveari colpiti da Varroa: vi è un’improvvisa scomparsa delle api adulte della colonia e scorte di alimenti non saccheggiate nonostante la presenza di colonie attive nelle vicinanze, quasi ad indicare che le altre api evitano le colonie morte. L’acaro non è in grado di riprodursi sulle api, ma la sua presenza su di essi può essere un mezzo per diffondersi nel raggio di brevi distanze. Inoltre l’utilizzo eccessivo di pesticidi contribuisce ad indebolire le api che diventano più suscettibili a infezioni e parassiti. Anche i cambiamenti climatici, come l’innalzamento delle temperature e il mutato andamento delle precipitazioni e degli venti meteorologici, possono causare un impatto evidente sulla popolazione di api. Ad esempio, è stato documentato in Polonia che le api stanno rispondendo ai cambiamenti climatici anticipando la data del risveglio dopo l’inverno. Questo porta ad una differente interazione tra gli impollinatori e le loro fonti di cibo, modificando anche le date di fioritura. Recenti analisi indicano che tra il 17 e il 50 per cento degli impollinatori soffrirà di carenze alimentari in seguito ai cambiamenti climatici previsti. Il risultato atteso è la potenziale estinzione sia di alcuni impollinatori che di alcune piante (Memmot et al. 2007). L’agricoltura industriale Durante il secolo scorso l’agricoltura si è trasformata in maniera radicale, passando dall’essere sostenibile, ad utilizzare fertilizzanti chimici, monocolture e ad espandere le zone agricole a discapito di altri ecosistemi. Gli impollinatori non posso sfuggire i diversi e pesanti impatti dell’agricoltura industriale, sia a causa della distruzione degli habitat naturali causata da questo modello agricolo invasivo, sia per gli effetti nocivi delle colture intensive. Queste pratiche distruttive limitano la capacità delle api di nidificare, diventando una minaccia a livello globale per gli insetti impollinatori. 30/ Il ruolo delle api in natura e il CCD La prossima volta che vediamo un’ape ronzarci intorno ricordiamoci che la maggior parte del cibo che mangiamo dipende in modo significativo dal suo lavoro e da quello di altri insetti impollinatori, senza i quali un terzo delle colture a scopo alimentare dovrebbe essere impollinato con altri mezzi sicuramente più costosi. È una questione che riguarda il nostro futuro e quello della Terra in cui viviamo. 10 FRUTTI CHE NON AVREMMO SENZA LE API mela mandorla cetriolo zucca anguria melanzana mirtillo ciliegia lampone avocado /31 CAPITOLO QUARTO LA NASCITA DELL’APICOLTURA URBANA Ora che abbiamo qualche informazione in più riguardo l’apicoltura, le api e la loro importanza nell’ecosistema, possiamo concentrarci sull’argomento principe di questa trattazione: l’apicoltura urbana. Il termine apicoltura urbana sta ad indicare la produzione di miele in ambiente urbano e metropolitano, anche se la questione è in realtà più articolata in quanto essere apicoltore non significa necessariamente fare il miele, come vedremo nel corso di queste pagine. Ora, chi l’avrebbe mai detto che le api possano vivere meglio in città che in campagna? Data la disastrosa situazione attuale nelle zone rurali causata dallo sfruttamento intensivo del territorio e dall’utilizzo di pesticidi, le api si muovono alla ricerca di habitat più adatti alla loro sopravvivenza. Nasce in questo modo il fenomeno della fuga degli sciami d’api dalla campagna alla città. L’apicoltore urbano va alla ricerca di questi famiglie d’api vaganti in cerca di un riparo nella metropoli e fornisce un loro un vero e proprio rifugio, l’arnia. La città per le api è paradossalmente meno inquinata che la campagna e rappresenta un habitat ideale in quanto è ricca di biodiversità, le piante ed i fiori non subiscono trattamenti ed il clima è più mite. È così che nasce l’apicoltura urbana. Possiamo dire che sia un fenomeno piuttosto recente, sviluppatosi negli ultimi decenni, in seguito alle disastrose conseguenze dell’agricoltura industriale che hanno determinato un’anomala ed eccessiva moria di api. Gli apicoltori di tutti il mondo, preoccupati per la possibile estinzione di questi insetti impollinatori, si sono adattati alle esigenze dei tempi moderni e hanno iniziato a produrre il loro La nascita dell’apicoltura urbana /33 miele anche in città. La pratica si è diffusa in diverse metropoli a livello globale come Berlino, Londra, Parigi, New York, Tokyo e, in Italia, a Torino. A New York City Come abbiamo visto, il Nord America è lo stato che ha subito una maggiore perdita di colonie di api negli ultimi 10 anni e che di conseguenza non è rimasto estraneo al nascente fenomeno dell’apicoltura urbana. Secondo i dati del Dipartimento della Salute di New York, nel 2014, la città contava 99 apicoltori registrati e 261 alveari, un risultato notevole tenendo conto del fatto che l’apicoltura urbana è diventata legale a New York solo nel 2010. Molte di queste colonie risiedono sui tetti degli edifici, in particolare a Brooklyn, dove ha sede il primo ed il più grande apiario commerciale. La New York Beekeepers Association gioca un ruolo essenziale nella promozione dei benefici derivanti dalla pratica dell’apicoltura 34/ La nascita dell’apicoltura urbana e rappresenta il collegamento tra gli apicoltori e gli amanti del miele di New York. Uno dei più importanti apicoltori urbani di New York è Andrew Cote, il quale gestisce circa cinquanta colonie sparse per la città e, tra queste, una sul tetto al ventesimo piano del prestigioso hotel Waldorf Astoria che include 360.000 api in sei arnie. Circa due volte all’anno, Cote raccoglie il dolce contenuto dei suoi alveari, il quale viene servito nel ristorante dell’hotel ed utilizzato per la produzione di una speciale birra a base di miele creata dalla Empire Brewing Company. Al di fuori del Waldorf Hotel, gli estimatori possono acquistare il miele locale all’Union Square Greenmarket, dove Cote e altri apicoltori urbani vendono il loro miele raccolto nelle arnie di New York City. Secondo Cote il miele newyorkese è ottimo, oltre che nel gusto, per combattere le allergie poiché la città presenta una ricca varietà di polline e di conseguenza il miele è più efficace. Nonostante l’enorme successo che l’apicoltura ha avuto a New York, essere un’apicoltore urbano non è poi così facile: portare su e giù la strumentazione per le scale degli alti edifici newyorkesi è piuttosto faticoso. Meg Paska controlla le sue arnie sul tetto di Greenpoint, Brooklyn, NY. A Berlino Anche in Europa l’apicoltura urbana ha riscosso un notevole successo. Berlino, da sempre considerata come “la città organica” i cui abitanti sono costantemente impegnati a reintrodurre la natura in città, conta al giorno d’oggi circa 15.000 arnie. Un numero piuttosto elevato tenendo conto che gli spazi nelle città sono maggiormente ristretti e che un gran numero di arnie viene installato sui balconi e nei giardini dietro casa. Sono passati i giorni in cui le costruzioni di edifici industriali erano date per scontate, oggi l’interesse si muove in una direzione opposta: utilizzare il terreno per coltivare piante e viveri. E anche le api fanno parte di questa nuova concezione. Infatti nella maggior parte dei giardini urbani presenti a Berlino ci sono come minimo un paio di arnie controllate da un apicoltore, il quale si prende cura delle proprie api con cura e amore e nel modo più naturale possibile. Le arnie vengono posizionate in 36/ La nascita dell’apicoltura urbana alto, tra i rami degli alberi, per consentire alle api la massima libertà possibile e la produzione di miele passa in secondo piano. L’apicoltore urbano Heinz Risse ha installato un’arnia sul tetto della Camera dei Deputati di Berlino, prendendo parte al progetto Berlin Summt, un’iniziativa che cerca di catturare l’attenzione per la mancanza di apicoltori in Germania installando arnie nei luoghi più noti e nei quali non ci aspetteremmo mai di trovare delle api, come la Haus der Kulturen der Welt e il Berliner Dom. Nonostante la capitale tedesca possa sembrare all’apparenza una giungla di cemento, con blocchi di appartamenti ed edifici per uffici che dominano il panorama, è tuttavia ricca di biodiversità che la rende particolarmente ospitale per le api. L’apicoltura urbana per i tedeschi è simbolo di una nuova coscienza e consapevolezza ambientale in una nazione orgogliosa della sua posizione nei confronti della natura. A Londra A Londra gioca un ruolo essenziale nell’apicoltura la London Beekeepers Association, un’associazione che organizza incontri mensili educativi promuovendo un’apicoltura responsabile e sensibilizzando i cittadini sui problemi che riguardano le api. Tiene inoltre dei corsi per i nuovi apicoltori e per tutti coloro interessati al mondo dell’apicoltura. Nel Welfare State inglese lo stesso governo ha supportato la crescita degli apiari in città distribuendo delle arnie in plastica progettate appositamente per il contesto urbano. Proprio per questo motivo Londra è la città che conta il maggior numero di apiari, circa 10.000. Negli ultimi cinque anni a Londra il numero di arnie è grossomodo raddoppiato, aumentando anche la disponibilità di delizioso miele a km0. Londra, con il suo 61 per cento di spazi verdi, è all’apparenza una città adatta alle api, le quali necessitano di una quantità significativa di piante ricche di polline per il loro nutrimento. Tuttavia non tutte le piante costituiscono un nutrimento ideale per il numero di api in continua espansione. Infatti molti alberi londinesi sono sterili, ovvero non fioriscono e non producono nettare per gli alveari della città. Nonostante le api non abbiano accesso ad un’ingente quantità di cibo, la qualità di quest’ultimo è unico e purissimo e le api londinesi producono un miele dal sapore eccellente. Secondo Mark Patterson, fondatore della London Beekeepers Association, l’apicoltura urbana ha riscosso un enorme successo, con circa 2.000 apicoltori, grazie al desiderio dei cittadini di restaurare un rapporto con la natura, anche in una metropoli che conta circa 9 milioni di abitanti. L’apicoltura urbana è infatti il modo più semplice ed immediato per inserire una spiraglio di vita rurale nel movimentato contesto urbano in cui viviamo. La nascita dell’apicoltura urbana /37 A Parigi Parigi non è nuova al fenomeno dell’apicoltura urbana: sembra infatti che la città nel 1875 ospitasse più di 1290 arnie. Nel 1865 venne infatti fondata nella capitale francese la Société Centrale d’Apiculture, la prima associazione apicola istituita in Francia. A Parigi, i famosi posti turistici sono attualmente una delle location principali in cui sono state installate le arnie: tra queste ci sono l’Opera Garnier, Notre Dame de Paris, il Grand Palais e l’Assemblea Nazionale parigina. Diversi hotel, come il Mandarin Oriental e l’Eiffel Park Hotel, ospitano diversi alveari sui loro tetti e vendono il proprio miele ad un prezzo più che salato, 15 euro per un vasetto da 150 grammi. Le api trovano rifugio anche sul tetto del Liceo JeanJeurés per aiutare, tramite l’apicoltura, gli studenti in difficoltà. Jean Paucton, il settantacinquenne apicoltore che tiene le proprie arnie sul tetto dell’Opèra, ha constatato che nelle zone rurali le perdite delle colonie di api può arrivare fino al 50 per cento, mentre in città non si avvicina nemmeno al 5 per cento. Per questo 38/ La nascita dell’apicoltura urbana motivo un gran numero di apicoltori si sta trasferendo dalle zone di campagna verso quelle urbane, in cui la moria delle api non rappresenta più una minaccia. Nel 2010 la città contava già 400 arnie, numero che al giorno d’oggi possiamo considerare più che raddoppiato, alcune situate sui balconi degli appartamenti, altre nei parchi pubblici e altre ancora sui tetti degli edifici famosi. La principale ragione del successo delle api urbane, più produttive rispetto a quelle situate nelle zone rurali, è la presenza di una flora diversificata nei parchi, sui balconi, ai bordi della strada e nei giardini. Infatti, dalle analisi del miele prodotto a Parigi si è scoperto che questo contiene al suo interno più di 250 tipologie di polline a differenza dei mieli prodotti in campagna che ne contano tra i 15 e 20 tipi. La politica del Comune di Parigi è infatti quella di incrementare la superficie verde, aspetto che certamente favorisce questi imenotteri, e di impiantare specie ricche in polline e nettare. Infine l’allevamento apicolo didattico rivolto al grande pubblico sta avendo un crescente successo come mezzo per sensibilizzare i bambini alla natura o aiutare le persone diversamente abili, come nel caso dell’alveare pedagogico nel quartiere latino. Insomma, Parigi è affollata di api ed i turisti non sono più gli unici a sciamare per le vie ed i viali della capitale francese. A Tokyo Ginza, un prestigioso quartiere di Tokyo conosciuto in tutto il mondo per i suoi negozi e ristoranti, a primo impatto non rimanda di certo ad un mondo naturale. Tuttavia, dal 2006, è diventato sede per una piccola organizzazione di apicoltori locali, il Ginza Honeybee Project, la quale ha portato diversi visitatori e volontari sui tetti del quartiere consentendo loro di entrare in contatto con la natura anche nell’ambiente metropolitano. Così, ogni sabato dalla primavera all’autunno, i volontari prestano il proprio aiuto nella raccolta del miele e nella cura delle api. Vicino all’alveare sono state seminate alcune piante da frutto che necessitano del lavoro di impollinazione dell’ape, come ad esempio la pianta dei mirtilli, in modo da sottolineare l’importanza che questo insetto ha in natura. Il sito viene anche infatti utilizzato come strumento educativo durante le gite dei bambini della scuola elementare. La consapevolezza ambientale è l’obiettivo primario per il Ginza Honeybee Project e questa presa di coscienza è importante anche nella costruzione della relazione tra produttore e consumatore. Atsuo Tanaka, fondatore del progetto, crede che, coltivando e mangiando il cibo insieme, le relazioni tra le persone diventino più salde e che il numero di persone ora interessate a proteggere l’ambiente a Ginza è in continuo aumento. /39 Ora vediamo invece come questo fenomeno è stato accolto in Italia e chi, per primo, ha avuto l’idea di trasferire le arnie in città. A Torino Don Giacomo Angeleri Torino, dai primi del ‘900, operò colui che ha fatto da ponte tra l’apicoltura del passato e quella del futuro: Don Giacomo Angeleri. Egli cominciò l’apicoltura in condizioni di povertà, costruendosi le prime cento arnie con materiali di recupero. Ai primi del ‘900 infatti l’apicoltura razionale era ancora appannaggio di proprietarie terrieri, nobili, professionisti, commercianti e di numerosi sacerdoti. Don Angeleri, che possiamo considerare come il padre dell’apicoltura razionale italiana, operò come divulgatore e missionario della pratica e la sua influenza fu determinante nella nascita di moderne aziende apicole professionali, costituitesi a partire da uno sforzo delle classi più povere. Non esiste al giorno d’oggi apicoltore che non sia stato influenzato, in modo diretto o indiretto, da Don Angeleri. Nel 1921 assunse la direzione della rivista “L’apicoltore moderno” , fondata nel 1909, la quale ebbe un enorme peso sull’apicoltura piemontese e nazionale, grazie anche al suo carattere tagliente e polemico. Nel 1928 viene aperto a Torino il primo negozio italiano per la vendita del miele e dei suoi derivati, “La casa del Buon Miele”, in corso Giulio Cesare 99, nella sede che a partire dal 1922 era stata il “Quartier Generale” di Don Angeleri a Torino. Egli viene inoltre ricordato per il suo “Cinquant’anni con le api e gli apicoltori”, una sorta di bibbia della tradizione apistica, pubblicato nel lontano 1955 e nuovamente in commercio da marzo 2015, dopo esser stato introvabile per anni. 40/ La nascita dell’apicoltura urbana Urbees Torino, come Parigi, ha dunque un importante substrato culturale quando si parla di apicoltura e non vi è da stupirsi che sia stata la prima città italiana in cui ha preso piede il nascente fenomeno dell’apicoltura urbana. Urbees, un progetto fondato da Antonio Barletta nel 2010, si occupa infatti di portare le api sui tetti e nei parchi della città e invita tutti i cittadini a fornire a questi imenotteri ospitalità in cambio di miele. Il progetto nasce in realtà dal semplice desiderio del fondatore di avere le api sul balcone, in modo da dover evitare lunghi spostamenti per prendersi cura delle proprie arnie. Grazie ad un concorso il progetto è entrato a far parte Torino, come Parigi, ha un importante substrato culturale quando si parla di apicoltura urbana di un incubatore, il Make a Cube di Milano, che gli ha consentito di strutturarsi e di diventare una piccola impresa. Urbees parla di innovazione e vuole coinvolgere i cittadini nell’allevamento delle api in città non solo per beneficiare di miele, cera e propoli, ma anche dei servizi di biomonitoraggio: chiunque voglia ospitare le api riceve in cambio i prodotti dell’alveare ed è di aiuto nella creazione di una “centralina di monitoraggio” per la qualità delle ambiente urbano. Come ormai sappiamo, le api sono dei bioindicatori ed è giusto utilizzarle anche per quello che è il loro ruolo in natura. Attraverso le analisi del miele e Antonio Barletta all’opera. Foto di Francesca Ferrari /41 In fotografia possiamo osservare un affumicatore, strumento utilizzato per tranquillizzare le api durante le operazioni più delicate. della cera d’api, è possibile controllare la presenza di metalli pesanti e di inquinanti nell’ecosistema delle città, fattore che tuttavia non influisce sulla commestibilità del prodotto. Grazie a queste analisi, si può inoltre scoprire come varia la presenza botanica spontanea in città e creare una mappatura delle vegetazione urbana che consenta di ripristinare le piante necessarie all’ecosistema. La natura in città infatti non deve essere puramente estetica, ma anche funzionale e solo con essa possiamo pensare di ridurre l’inquinamento. Per collaborare con il progetto Urbees non è necessario essere apicoltori, è sufficiente il desiderio di ristabilire un rapporto con la natura anche in città. Associazione Parco del Nobile Un’altra associazione torinese impegnata sul fronte dell’apicoltura urbana è l’Associazione Parco del Nobile, fondatrice 42/ La nascita dell’apicoltura urbana di un centro didattico che consente a chiunque di osservare da vicino le api in completa sicurezza e tranquillità. Davide Lo Bue, il fondatore, si occupa di educazione ambientale e alla sostenibilità, organizzando anche dei corsi e workshop che coinvolgono insegnanti, famiglie e ragazzi. Questi laboratori permettono di fare esperienza diretta del contatto con gli animali e della loro presa in carico in quanto essere viventi che hanno bisogno di cure, attenzione e rispetto. Si parla dunque di un nuovo avvicinamento alla ruralità, al contatto con la natura e con gli animali, api comprese. È proprio questo l’obiettivo dell’apicoltura urbana, il creare uno spiraglio di vita rurale all’interno del caos metropolitano, in una sorta di nostalgico ritorno alla terra in cui le api sono i nostri nuovi animali domestici. L’apicoltura ci consente di avere tutti i benefici e le comodità di una vita in città, ma allo stesso tempo di avere un’identità parallela collegata al mondo naturale e al benessere di cui si fa portatore. Gli apiari di Torino: Urbees e Parco del Nobile Urbees Associazione Parco del Nobile BUNKER PARCO DELLA TESORIERA HOTEL PRINCIPE PAV PARCO DEL NOBILE CASCINA ROCCAFRANCA CAVORETTO La nascita dell’apicoltura urbana /43 CAPITOLO QUINTO CASI STUDIO: IL CONTRIBUTO DEI PROGETTISTI Ora che abbiamo tracciato una linea generale della nascita dell’apicoltura nelle maggiori metropoli del mondo e nel contesto torinese, è utile domandarci come i progettisti hanno reagito alla diffusione di questo nuovo fenomeno e qual è stato il loro apporto in termini di progettazione. A primo impatto l’apicoltura sembra essere un ambito di gran lunga distante da quello del progetto ma, come ogni evento ai suoi albori, anch’essa necessita di strumenti ed idee che le consentano di diffondersi su larga scala. In più, al giorno d’oggi, è limitativo considerare il product design, l’exhibit design o la comunicazione visiva come gli unici ambiti di intervento possibili per i progettisti. Esiste infatti un altro filone impegnato nel sociale che rappresenta un fertile campo di sperimentazione e che può generare dei cambiamenti importanti in merito alle relazioni tra individui e tra individui e natura. Il ruolo principale della figura del designer è infatti lo “stare al passo con i tempi”, e con questo non si intendono solamente le innovazioni di tipo tecnologico, ma anche quelle sottese alla società in cui viviamo. Le esigenze dell’uomo sono mutevoli ed il progettista deve essere in grado di coglierle per proporre idee di successo. Se la figura del designer in Italia alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso operava in un contesto rivoluzionario collocandosi anch’essa in una posizione critica nei confronti della società e della situazione politica, attualmente deve prendersi a carico di problematiche di portata perfino maggiore che riguardano l’ambiente ed i danni permanenti che l’uomo gli ha inferto nel corso degli anni. Il designer deve dunque ampliare il proprio raggio di azione ed agire, attraverso gli strumenti culturali Casi Studio: il contributo dei progettisti /45 ed operativi che possiede, tenendo conto di queste tematiche ambientali. Da qui nasce probabilmente la volontà di questi progettisti che hanno contribuito o più semplicemente facilitato lo sviluppo dell’apicoltura nelle grandi metropoli, attraverso la realizzazioni di progetti di diversa catalogazione. Dopo un primo sguardo all’insieme dei progetti che vedremo in queste pagine, è possibile suddividerli in tre macroaree: la comunicazione ed i cortometraggi, le arnie urbane e le installazioni. Nella prima categoria rientrano i packaging, realizzati per distinguere il miele urbano da quello rurale, e tutto il materiale informativo prodotto nel tentativo 46/ Casi Studio: il contributo dei progettisti di sensibilizzare i cittadini riguardo l’importanza delle api nell’ecosistema e spronarli alla consapevolezza ambientale. I cortometraggi, ad esempio, sono particolarmente interessanti perché illustrano il lavoro dell’apicoltore urbano in differenti contesti metropolitani, dalla California fino a Torino. Che siano essi più o meno amatoriali, danno la possibilità a chiunque sia interessato di vivere l’esperienza “in diretta”, seguendo di passo in passo l’apicoltore e svelando i benefici e le difficoltà del mestiere. La seconda categoria rientra nell’ambito del product design poiché riguarda la progettazione di arnie innovative, per forma o funzione, e maggiormente adattabili al contesto urbano in cui spesso la disponibilità di spazio è ridotta. Infine la categoria delle installazioni comprende tutte le realizzazione di impronta artistica collocate nel contesto urbano per divulgare un messaggio in modo indiretto, incoraggiando all’accettazione delle api in città. Molte infatti danno la possibilità di avvicinare il cittadino, fisicamente e non, a questi imenotteri in modo del tutto tranquillo e sicuro. Ora vedremo nel dettaglio i progetti che risultano essere significativi, mantenendo questa distinzione per macroaree. La comunicazione ed i cortometraggi Nell’ambito della comunicazione visiva, molti sono i progettisti che hanno focalizzato la propria attenzione sullo studio del marchio e del packaging del miele urbano, per privarlo di quell’aria di rusticità e renderlo “cittadino” a tutti gli effetti. A primo impatto è infatti la confezione che ci consente di distinguere un prodotto da un altro e dunque è il modo più semplice e diretto per distanziare il miele urbano da quello rurale. Cosmopollen Cosmopollen è un collettivo di apicoltori urbani provenienti dalle città più grandi ed abitate del mondo. Ogni città produce un proprio miele urbano, che differisce nel gusto e nell’apparenza a seconda dell’ubicazione delle arnie. Louise Twizell, graphic designer londinese, ha tentato di fondare un marchio che unificasse tutti gli apicoltori urbani del mondo, occupandosi anche del packaging per i loro prodotti. Poiché il luogo di impollinazione determina notevolmente il gusto del prodotto, il nome del brand si focalizza proprio su questo aspetto, sottolineando l’universalità del miele. Lo studio del packaging si concentra sui motivi ricorrenti nell’architettura di ogni città e li rende più geometrici, come se fossero visti dalle api stesse. Di conseguenza lo schema grafico che troviamo sul barattolo del miele urbano di New York, sarò diverso da quello del miele urbano di Madrid. Twizell è riuscita a creare un marchio globale, graficamente unificato, nel quale possiamo tuttavia distinguere le particolarità e la provenienza di ogni singolo miele. nome / Cosmpollen designer / Louise Twizell dove / Londra, GB anno / 2013 interessante perchè / riprende i motivi architettenici delle città Casi Studio: il contributo dei progettisti /47 Urban Honey Un’altro esempio significativo nella progettazione del packaging è quello di Maisie Benson realizzato per il concorso indetto dal JKR, un’agenzia di design di importanza globale. L’impronta minimale del packaging si nome / Urban Honey designer /Maisie Benson dove / Leicester, GB anno / 2013 interessante perchè / ripresa della segnaletica stradale, simbolo delle metropoli 48/ Casi Studio: il contributo dei progettisti basa nuovamente sul rapporto tra città e miele a livello grafico, tralasciando le proprietà benefiche della sostanza che tutti conoscono: è fonte di energia naturale ed il gusto dipende fortemente dalla città di produzione. L’identità finale del marchio prende ispirazione dalla segnaletica orizzontale di ciascuna città che viene riportata sul barattolo del miele, dove si crea un gioco di contrasto cromatico tra il giallo/arancione della sostanza ed il nero dei motivi geometrici. Anche in questo caso, all’interno di un marchio unificato a livello globale, possiamo facilmente riconoscere la città di produzione del miele e distinguerlo da quello prodotto nelle zone rurali. Liquid Gold “Liquid Gold” è un breve video documentario realizzato da MUNCHIES, un sito web e canale digitale che parla di cibo in modo rivoluzionario e da una prospettiva piuttosto giovanile. Attraverso il contenuto originale dei suoi video, MUNCHIES offre una visione all’avanguardia del rapporto uomo-cibo. In questo breve video spiega e presenta l’attività di Chris Barnes e Paul Webb, due dei più grandi produttori di miele urbano a Londra. I due apicoltori vengono seguiti dalla videocamera sul campo e mostrano una delle principali difficoltà del mestiere: trasportare le arnie in tutta la loro pesantezza fino in cima ai tetti degli edifici londinesi. Dopo aver ispezionato il sito in cui installare l’apiario, devono infatti raggiungerlo con tutta la strumentazione, api comprese, facendo attenzione a non farle innervosire troppo durante il trasporto. Il proprietario del Cafe Spice, sul cui tetto ora si trovano le api di Barnes&Webb, parla della possibilità di introdurre il miele nelle ricette del suo ristorante e di venderlo in barattoli ai suoi clienti, i quali potranno acquistare un vero e proprio pezzo di Londra. Successivamente i due apicoltori mostrano il processo di invasettamento del miele, del quale si occupano generalmente nel mese di settembre. La particolarità del loro miele, oltre che nel gusto, sta nell’etichetta che prende il nome del codice postale della zona in cui è situata l’arnia dalla quale è stato estratto. L’idea è quella di vendere un miele prodotto “just around the corner from where you live”, ovvero proprio dietro casa tua. Il lavoro è sicuramente faticoso nella stagione estiva, in cui bisogna visitare ogni singolo alveare almeno una volta alla settimana e lavorare sotto il sole rovente, ma in inverno le api richiedono molto meno tempo e fatiche, e i due apicoltori possono prendersi una pausa. In fin dei conti per Barnes e Webb il miele è denaro, da qui il titolo “Liquid Gold”. L’obiettivo di questo video documentario sta nell’avvicinare i londinesi, così come tutti i cittadini delle grandi metropoli, al fenomeno dell’apicoltura urbana mostrando loro la pratica in modo ravvicinato e rendendola meno misteriosa e pericolosa di quello sembra. nome / Liquid Gold designer /Munchies dove / Londra, GB anno / 2015 interessante perchè / segue di passo in passo il lavoro di due apicoltori urbani londinesi Casi Studio: il contributo dei progettisti /49 Le arnie urbane Beehaus Beehive La Beehaus è una nuova arnia creata appositamente per allevare le api in giardino o sul terrazzo di casa. In grado di garantire a questi insetti un ambiente comodo e sicuro in cui vivere, trasforma l’apicoltura in una pratica semplice e nome / Beehaus Beehive designer /Omlet Design dove / Gran Bretagna anno / 2009 interessante perchè / trasforma l’arnia tradizionale in un modello urbano, più attento agli spazi 50/ Casi Studio: il contributo dei progettisti alla portata di tutti. La struttura prende ispirazione dal modo in cui le api selvatiche si comportano in natura ed è successivamente costruita secondo i principi classici dell’apicoltura. L’arnia è costituita da due entrate, una su ogni lato, e presenta spazio sufficiente per ospitare 22 telaini, il doppio rispetto ad un alveare tradizionale. In primavera, quando la regina depone il maggior numero di uova, la colonia di api si espande molto velocemente e dunque, lo spazio extra all’interno della Beehaus consente sia di accogliere le giovani api sia di dividere l’alveare in due, creando così una nuova famiglia. In questo modo risulta più semplice gestire il bisogno naturale delle api di sciamare. Inoltre le api “moderne” necessitano di uno spazio maggiore rispetto al passato poiché la regina è stata educata a deporre un numero più elevato di uova e di conseguenza anche le famiglie di api sono più numerose. La Beehaus è dotata di quattro melari, da appoggiare sopra il nido in primavera quando le api iniziano la raccolta del nettare. La dimensione di questi melari è dimezzata rispetto a quella dell’arnia tradizionale garantendo così anche una riduzione nel peso e una gestione più maneggevole. L’innovativo sistema di isolamento a doppia parete aiuta le api a creare delle condizioni climatiche più favorevoli anche in inverno, fattore importante poiché devono mantenere una temperatura ideale di 35°C all’interno dell’alveare. Tuttavia, il pavimento forato dell’arnia assicura un continuo ricambio di aria e facilita l’espulsione di detriti e acari dall’ambiente, garantendo così la salute delle api. Le cinque varianti cromatiche disponibili, in grado di adattarsi a qualsiasi giardino o terrazzo, le danno l’immagine di “un’arnia tradizionale addomesticata” e la forma compatta rende più facile la sua collocazione anche negli spazi più piccoli. Nel complesso la Beehaus è interessante perché può essere considerata come l’evoluzione dell’arnia tradizionale in un modello urbano, più pratico e attento agli spazi. Casi Studio: il contributo dei progettisti /51 Urban Beehive La Urban Beehive è stata progettata con l’intento di abolire il timore che potrebbe trattenere le persone dal possedere una propria arnia, che riguarda generalmente i costi e la complessità di manutenzione. È perfetta per i principianti, semplice e facile da montare. Il progettista Rowan Dunford ha infatti deciso di venderla separata nella sue componenti, così da consentire un’ottimizzazione dello spazio in fase di stoccaggio, e di fornire tutte le indicazioni ai consumatori per l’auto-assemblaggio, nome / Urban Beehive designer /Rowan Dunford dove / Auckland, NZ anno / 2013 interessante perchè / progettata appositamente per gli spazi angusti 52/ Casi Studio: il contributo dei progettisti fattore che ha permesso di abbattere i costi di spedizione ad esempio. L’entrata per le api è situata nella parte sottostante dell’arnia, dalla quale questi imenotteri possono iniziare a costruire direttamente i favi all’interno del cubo. Il design moderno e la disponibilità in quattro varianti cromatiche, la rende particolarmente adatta a qualsiasi contesto urbano che sia esso un giardino, un balcone o un cortile. Ogni unità è inoltre modulare ed impilabile, elemento che consente di espandere l’apiario in verticale e di ridurre così enormemente l’impiego di spazi. Anche chi dispone solamente di un balcone stretto, può in questo modo diventare apicoltore e produrre il miele che lui stesso consuma. Nonostante qualche difetto progettuale se la consideriamo dal punto di vista dell’apicoltore, la Urban Beehive è degna di attenzione per la sua impilabilità che ne consente il posizionamento anche in spazi angusti. Flow Flow è un sistema rivoluzionario per la raccolta del miele, progettato da Cedar e Stuart Anderson, che si appresta a cambiare per sempre le abitudini degli apicoltori in quanto è in grado di risolvere in pochi passaggi alcune delle problematiche più comuni del settore. Il progetto è indirizzato all’apicoltura in generale, che sia essa urbana o rurale, ma il sistema al suo interno consente anche ai meno esperti di posizionare un’arnia sul balcone o nel giardino di casa. Flow permette infatti di raccogliere il miele senza aprire l’alveare, senza disturbare le api e senza il rischio di essere punti. Nato come frutto del risultato di quasi 10 anni di ricerca, è stato lanciato grazie ad una campagna di crowdfunding lanciata su Indiegogo che ha riscosso un enorme successo, raccogliendo più di 1 milione di dollari in donazioni. Oltre ad agevolare la raccolta del miele, Flow viene presentato come un mezzo per proteggere le api e per fare in modo che possano continuare a svolgere indisturbate il loro lavoro di impollinazione. Cedar Anderson ebbe infatti l’intuizione per un nuovo metodo di estrazione del miele, in seguito ad un’esperienza personale che vide la morte di alcune api durante la tradizionale raccolta del miele. In questo modo l’apicoltore si limita a girare un rubinetto per far fuoriuscire il miele direttamente nel barattolo, così che l’arnia diventa una nome / Flow designer / Cedar & Stuart Anderson dove / Byron Bay, Australia anno / 2015 interessante perchè / perfetta per i principianti, poichè eliminala fase più complicata nell’apicoltura : la smielatura Casi Studio: il contributo dei progettisti /53 sorta di distributore automatico. Ma come funziona esattamente? Il telaino, di misura standard, viene inserito all’interno dell’arnia razionale di Langstroth la quale dispone di un’apertura su un lato per agevolare la raccolta del miele, l’osservazione del telaio e le operazioni di manutenzione. Il telaino Flow è costituito da celle esagonali in parte già strutturate, che vengono successivamente completate con la cera dal lavoro delle operaie costruttrici prima della deposizione del miele. Quando il telaino è pronto per la raccolta, è sufficiente rimuovere i due “tappi” di chiusura ed inserire al loro posto uno strumento apposito che, dopo una rotazione di 90 gradi, divide le celle artificiali da quelle costruite in cera consentendo al miele di fuoriuscire. Flow presenta comunque delle criticità, come ad esempio l’impossibilità di far fuoriuscire il miele se cristallizzato e il lungo tempo di invasettamento, che la rende poco pratica per gli apicoltori con un elevato numero di arnie. Ma forse questo è l’intento degli Anderson, quello di progettare un sistema di facile estrazione per chi possiede un paio di arnie e desidera consumare il miele fresco ogni giorno. Insomma, Flow è perfetto per i principianti e per tutti coloro che desiderano avvicinarsi all’apicoltura perché basta aprire un rubinetto per gustare un prodotto ultra-locale. 54/ Casi Studio: il contributo dei progettisti Project B In un contesto in cui le colonie di api sono in pericolo e l’apicoltura urbana ottiene un consenso sempre maggiore, Project B si allinea a questo sforzo globale per la salvaguardia degli imenotteri offrendo un sistema di apicoltura che si adatta ai bisogni della ristorazione. Parte fondante del progetto è un’arnia innovativa che sfrutta al meglio il benessere della colonia ospitata all’interno e che lavora in armonia con il ristorante per offrire alla clientela un’esperienza di degustazione unica. Project B crea una connessione tra le api, il cuoco e i clienti del ristorante presentando, in modo del tutto innovativo, i prodotti direttamente dall’alveare. Il miele ancora all’interno del favo viene mostrato ai clienti, in modo che possano osservare l’incredibile lavoro di precisione delle api. Il miele passa così dall’essere un semplice condimento al diventare il componente principale della portata, ottenendo il posto e l’attenzione che merita. Il progetto vuole infatti porre in enfasi le celle ripiene di miele come elemento primario del piatto per migliorare la cultura del miele e sviluppare la consapevolezza del lavoro faticoso delle api. Project B è dunque interessante perché tenta di agevolare sia le api e l’apicoltura, mostrando ai normali clienti di un ristorante l’operosità di questi insetti e la loro importanza in natura, sia i ristoranti, che dispongono in questo modo un valore aggiunto che li differenzia dalla concorrenza. nome / Project B designer / Marc-André Roberge dove / Montreal, Canada anno / 2015 interessante perchè / unisce le esigenze dell’apicoltura con quelle della ristorazione Casi Studio: il contributo dei progettisti /55 56/ Urban Beehive by Philips La Microbial Home, tradotto la “casa microbica”, è un ecosistema domestico che affronta i problemi legati all’energia, all’illuminazione, alla pulizia e allo smaltimento degli scarti dell’uomo, rappresentati da una serie di componenti domestici differenti. Tra questi troviamo l’arnia urbana che, nel procurare un ricovero per le api all’interno dell’habitat dell’uomo, aiuta a prevenire il fenomeno della moria di questi preziosi insetti. L’arnia è progettata per essere inserita all’interno dell’ambiente domestico e per permetterci di dare un’occhiata all’interno dell’alveare, fattore importante che consentirà di educare le generazioni future riguardo l’importanza delle api. L’apparecchio è costituito da due parti: un’entrata con un vaso per fiori situato all’esterno dell’abitazione ed un grosso recipiente in vetro contenente una varietà di telaini collocato all’interno dell’appartamento. Gli stessi telai interni sono stai progettati seguendo la struttura del favo per facilitare il processo di costruzione delle celle da parte delle api. La copertura in vetro filtra la luce proveniente dall’esterno dell’alveare e lascia passare solo le lunghezze d’onda arancioni che consentono alle api di vedere meglio. L’arnia può essere periodicamente aperta per la raccolta del miele e dunque è dotata di un dispositivo che emette del fumo in grado di tranquillizzare le api. Ma la produzione di miele non è il punto focale del progetto, è un di più. La concezione alla base è infatti la salvaguardia delle api, senza le quali il nostro intero sistema agricolo ed economico verrebbe distrutto. Al momento il progetto è in forma di prototipo e non si sa ancora quando entrerà in produzione. Quello che è certo è che l’impegno della Philips nei confronti delle api, e più genericamente dell’ambiente, rispecchia una tendenza progettuale degli ultimi anni che mira a diminuire l’impatto ambientale del vivere umano. nome / Microbial Home by Philips designer / Peter Gal dove / Amsterdam, Paesi Bassi anno / 2011 interessante perchè / è l’acquario del futuro Casi Studio: il contributo dei progettisti /57 BEEcosystem Molto simile all’arnia domestica della Philips, il BEEcosystem si pone l’obiettivo di riconnettere gli individui con la natura e l’origine del cibo, rendendo l’apicoltura accessibile a tutti. È infatti un’arnia da interni che consente di osservare il lavoro delle api grazie alla superficie di rivestimento in vetro e che ha l’intento di far scaturire conversazioni spontanee in merito a questi imenotteri dopo il momento di osservazione. Le dimensioni maneggevoli le consentono di essere installata in qualsiasi spazio e la sua modularità offre la possibilità di estendere la colonia lungo le pareti, similmente a come avviene con l’arnia tradizionale di nome / BEEcosystem designer /Mike Zaengle dove / Penn State University, USA anno / 2015 interessante perchè / L’arnia diventa un oggetto d’arredo, una sorta di acquario che consente di osservare le api 58/ Casi Studio: il contributo dei progettisti Langstroth, la quale viene tuttavia impilata. Questa espansione modulare è consentita tramite l’utilizzo di punti magnetici, in attesa di brevetto, che permettono alle due arnie esagonali di unirsi. Inoltre, asportando da entrambe le arnie i pannelli laterali di areazione, è possibile creare uno spazio interno unico fornendo in questo modo uno spazio maggiore alla colonia per crescere. Al di là della modularità, ci sono altre caratteristiche che differenziano la BEEcosystem dalle altre arnie di osservazione. Tra queste, una chiusura ermetica a scatto che impedisce alle api di fuoriuscire all’interno dell’ambiente domestico, ed un tubo di trasporto con sfogo nell’ambiente esterno, che permette alle api di entrare ed uscire dall’alveare. Pertanto non è necessario ricavare un buco nella parete di casa per installare l’arnia, come spesso invece avviene negli altri casi. Con questo progetto l’arnia si trasforma in un oggetto d’arredo sostenibile, una sorta di acquario che consente di osservare la produzione del miele, e l’ape diventa il nostro nuovo animale domestico. TO-BEE L’arnia progettata dallo studente israeliano della Bezalel Academy of Arts and Design, prende ispirazione dal design di una mensola per libri. Realizzata in terra cotta, il componente principale dell’arnia è un’area dalla forma di un tubo cilindrico all’interno della quale le api possono costruire i favi. Esse hanno accesso all’alveare tramite un’apertura situata sul lato corto della mensola e, dopo aver percorso un tunnel stretto e buio, sbucano all’interno della zona principale. Quest’ultima presenta due scompartimenti trasparenti che consentono all’apicoltore, o a chiunque sia di passaggio, di osservare il lavoro delle api tenendo d’occhio anche la produzione di miele. La forma ultra compatta dell’arnia, progettata specificatamente per il contesto urbano, la rende un accessorio domestico adatto ai piccoli spazi esterni. nome / TO-BEE designer / Lavi Bar dove / Israele anno / 2014 interessante perchè / il profilo compatto le consente di essere installata in qualsiasi spazio urbano Casi Studio: il contributo dei progettisti /59 Apiarium Apiarium è il progetto di Bettina Böhm realizzato per la tesi di laurea conseguita presso la Facoltà di Design e Arti dell’Università di Bolzano che ha meritato la Targa Giovani 2014, premio che l’ADI destina ai giovani designer. Contrariamente a quello che si possa pensare, per le api mellifere le condizioni di vita in città sono spesso migliori rispetto a quelle dei campi e dunque sono sempre più numerosi gli apicoltori che scelgono di collocare le arnie sui tetti dei fabbricati di grandi metropoli. L’idea nome / Apiarium designer /Bettina Böhm dove / Libera Università di Bolzano anno / 2012 interessante perchè / studiata per la riqualifica delle zone più povere delle città 60/ Casi Studio: il contributo dei progettisti di base di Apiarium trae spunto da tali considerazioni e, attraverso l’inserimento di un’arnia su una fioriera, trasforma un comune elemento d’arredo per spazi pubblici in un vero e proprio microhabitat urbano. La trasformazione è dichiarata visivamente e formalmente da un elemento sfaccettato che risalta nel profilo essenziale della fioriera/arnia. Il progetto si connota anche di una valenza sociale e culturale, prevedendo la rivalutazione di spazi poco utilizzati o degradati della città attraverso l’installazione delle arnie. La popolazione locale verrebbe invitata infatti ad apprendere le tecniche di base dell’apicoltura, per poi continuare a prendersi cura dello sciame di api e godere della produzione del miele. Il progetto si propone in tal modo di offrire ai cittadini un passatempo produttivo ed ecologicamente responsabile, capace nello stesso tempo di intensificare i legami sociali e di quartiere. /61 Le installazioni Vulkan Beehive Al di là dei mezzi di comunicazione tradizionali, esiste un metodo diverso per attirare l’attenzione dei cittadini, ovvero l’installazione. Con il termine installazione si intende un’opera d’arte in genere tridimensionale, che ha come soggetto principale il fruitore. Tutto è costruito per sollecitare la curiosità e la percezione dello spettatore, senza il quale l’opera d’arte non esiste. Infatti essa nasce proprio per trasmettere un determinato messaggio o una sensazione e non è dunque fine a se stessa. Le due gigantesche arnie Vulkan, un’installazione artistica situata ad Oslo, nascono con l’intento di portare un maggior numero di api in città e di sensibilizzare i cittadini sul ruolo fondamentale delle api nel nostro ecosistema. Situate a Mathallen, sul tetto del Dansen Hus,non solo per le relazioni del quartiere con il cibo ed il miele, ma anche per la moltitudine dei suoi spazi verdi. La geometria naturale del favo è stata fonte di ispirazione per il progetto, la cui forma deriva dall’intersezione tra due volumi esagonali, modificati successivamente in altezza e larghezza per rispondere ai bisogni dell’apicoltore. Utilizzando un legno di colore chiaro con un rivestimento nelle tonalità del miele, Snøhetta ha voluto creare una relazione tra la struttura e l’attività delle api. Nonostante il loro posizionamento sul tetto, le due arnie Vulkan non passano sicuramente inosservate nel loro tentativo di sensibilizzazione dei cittadini. nome / Vulkan Beehive designer / SnohettaDesign dove / Oslo, Norvegia anno / 2014 interessante perchè / ripresa dell’estetica dell’alverare nel tentativo di sensibilizzare i cittadini 62/ Casi Studio: il contributo dei progettisti UK Pavilion All’ultima Expo tenutasi a Milano nel 2015, la Gran Bretagna ha stupito tutti con un padiglione che prende ispirazione dal viaggio dell’ape mellifera ed evidenzia il ruolo vitale svolto dagli insetti impollinatori nella catena alimentare mondiale. È una metafora utilizzata per presentare il Regno Unito come alveare di innovazione e creatività, che contribuisce alla produzione alimentare del mondo. Il percorso del Padiglione accompagna il visitatore attraverso un frutteto e un prato di fiori spontanei del Regno Unito prima di entrare nell’Alveare alto 14 metri. Il prato è sopraelevato, con le piante all’altezza degli occhi, per offrire al visitatore la veduta dell’ambiente naturale che avrebbe un’ape. I visitatori sono così invitati a provare le sensazioni di un’ape e a osservare il mondo sotto un’ottica diversa. All’interno del gigantesco alveare, grazie a una singolare collaborazione tra uomo e ape mellifera, è possibile udire un gioco di suoni pre-registrati sempre diversi, collegati a un vero alveare. Il messaggio che vuole trasmettere, in un contesto come quello dell’Expo 2015 legato al cibo, risulta ben chiaro: l’impollinazione da parte delle api è indispensabile per nutrire il nostro pianeta. nome / UK Pavilion, EXPO 2015 designer / Wolfgang Buttress dove / Milano, Italia anno / 2015 interessante perchè / offre un’esperienza singolare in cui l’uomo osserva la realtà nell’ottica di un’ape Casi Studio: il contributo dei progettisti /63 Honey Bank Nel 2004 l’istituto francese Parti Poétique ha cominciato ad occuparsi di un progetto di ricerca cross-disciplinaria riguardante la città in collaborazione con l’artista ed apicoltore Olivier Darné. In seguito a numerose ricerche sull’impollinazione dell’ambiente urbano, sono giunti alla progettazione dell’Honey Bank a partire nome / Honey Bank designer / Olivier Darné dove / Parigi, Francia anno / 2009 interessante perchè / tenta di avvicinare l’uomo alle api, senza che il contatto sia fisico 64/ Casi Studio: il contributo dei progettisti dal 2009. Con le api come testimoni, il progetto collocato negli spazi pubblici mette in discussione il nostro rapporto con l’ambiente urbano, i suoi flussi, le sue tensioni e la sua organizzazione sociale. L’installazione artistica porta il pubblico ad una nuova interpretazione della città dal punto di vista politico e culturale. Degno di nota, tra i vari progetti realizzati, è una casetta dipinta di nero con la quale Olivier Darné ha tentato di stabilire un contatto tra i cittadini e le api in un modo del tutto sicuro. Grazie ad un bancomat integrato, le persone che desiderano supportare le api possono donare del denaro, il quale viene restituito sotto forma di miele urbano. Le donazioni vengono utilizzate per costruire nuovi habitat adatti alla sopravvivenza delle api in città. Apiario d’artista Il 4 Ottobre 2015 è stato inaugurato, non lontano dalla Stazione Centrale di Milano, il primo apiario d’artista del mondo realizzato da Green Island, in collaborazione con Legambiente, per la salvaguardia delle biodiversità urbana ed il recupero di aree verdi dismesse. Le api metropolitane hanno trovato rifugio all’interno di arnie colorate ed originali progettate da artigiani locali e designer internazionali, tra cui Bee Collective, Judith Cowan, Simone Berti, Lois Weinberger e molto altri ancora. Il progetto avrà però anche un risvolto sul fronte della produzione: la comunità locale insieme ad apicoltori professionisti produrrà il miele urbano Mi-Mi, acronimo di “Miele Milano”. Quest’oasi urbana si trova presso gli Orti di Via Padova a Milano ed è stata affiancata da un tappeto fiorito con specie botaniche adatte ad attirare gli insetti impollinatori, tra cui borragine, timo e trifogli, una miscela di semi selvatici utili alla biodiversità. Il mix di semi VerdeVivo è contenuto presso il deposito sotterraneo globale dei semi, dove ha la sede la banca mondiale di sementi che si trova sull’isola di Spitsbergen nell’arcipelago di Svalbard dove sono contenute otre 500.000 specie di semi, dentro un’enorme ghiacciaia, per preservare la biodiversità. Le api infatti, oltre ad indicare la qualità dell’ambiente, garantiscono con il processo di impollinazione la produzione della maggior parte dei frutti che arrivano sulla nostra tavola. Per finanziare il progetto è stata utilizzata una campagna di crowdfunding “Adotta un’Arnia”: in cambio di una donazione di minimo 300 euro, si può ricevere il miele milanese e contribuire alla salvaguardia dell’ambiente urbano. Diamo ora uno sguardo ad una delle arnie più significative che hanno preso parte al progetto. /65 Sky Hive Il gruppo Bee Collective trasforma le arnie in arredo urbano, collocandole in cima ad una torre gialla alta circa 20 metri. Il primo prototipo di Sky Hive mai installato si trova tuttora nello Sphinxpark di Maastricht e, grazie alla sua altezza, si rende facilmente visibile attirando nuove generazioni di apicoltori. Altre nome /Sky Hive designer / Bee Collective dove / Maastricht, Olanda anno / 2012 interessante perchè / l’arnia diventa parte integrante dell’arredo urbano, senza essere impattante a livello visivo 66/ Casi Studio: il contributo dei progettisti due arnie sono state installate a Milano: una nel quartiere Ventura Lambrate in occasione della Milano Design Week e l’altra all’interno dell’apiario d’artista, di cui abbiamo discusso in precedenza. La concezione alla base del progetto vede la volontà di allevare le api in mezzo alla città, pur tenendole lontane da atti di vandalismo. La struttura è costituita da un palo che sostiene due arnie, le quali possono essere alzate ed abbassate in modo da facilitare il lavoro dell’apicoltore e da garantire la sicurezza sia per le api che per i passanti. Quando lasciano l’alveare infatti, le api volano verso l’alto e si recano alla ricerca di nettare e polline nel raggio di tre chilometri, in questo modo non vi è il rischio che un passante possa essere punto al di sotto dell’arnia. L’accesso all’alveare per la sua manutenzione e per estrarne il prezioso miele è molto semplice: basta azionare un sistema a manovella che permette di regolarne l’altezza, portandolo facilmente fino a terra. Una volta a settimana un gruppo di apicoltori urbani provvede a raccogliere il miele prodotto dalle api delle Sky Hive e a effettuare le operazioni di manutenzione dell’alveare per garantire la salute e la crescita delle colonie ospitate. Di recente la prima versione dello Sky Hive è stata aggiornata tramite l’inserimento di due pannelli solari su ciascuna arnia, i quali rendono meccanizzato il sistema di sollevamento delle stesse. Oltre ad essere vantaggiosa per gli aspetti elencati, favorisce anche la riunificazione degli individui appartenenti ad una stessa comunità ed incoraggia il lavoro di squadra. La scelta cromatica infatti non è sicuramente casuale: se da un lato riprende il colore delle preziose api, dall’altro attira l’attenzione dei passanti lasciandoli così incuriositi. Insomma più che una semplice arnia, lo Sky Hive vuole diventare un vero e proprio punto di ritrovo per i cittadini, in cui è possibile discutere di innovazione, consapevolezza ambientale e produzione locale. Casi Studio: il contributo dei progettisti /67 Honey Factory Francesco Faccin, allievo di Enzo Mari, si avvicina inizialmente alle api con una ONG di Haiti che lo invita a lavorare sull’autosussistenza alimentare in quei territori dove procurarsi del cibo fresco non è una missione facile. Subito pensa al tema del miele poiché è una sostanza che, con la cura dell’uomo ed il lavoro delle api, continua ad essere prodotto anche, e soprattutto, nei climi tropicali in cui le nome /Honey Factory designer / Francesco Faccin dove / Milano, Italia anno / 2015 interessante perchè / consente di osservare da vicino, in tutta sicurezza, il lavoro dell’apicoltore 68/ Casi Studio: il contributo dei progettisti fioriture avvengono tutto l’anno senza interruzioni. Invitato dal Salone Satellite a lavorare sul tema dell’Expo 2015, nutrire il pianeta, decide di portare le api in città, in un contesto totalmente differente. La Honey Factory però non è solamente un luogo di produzione del miele, contenente arnie tradizionali, ma anche un punto di informazione urbano in merito all’antica ed attuale pratica dell’apicoltura. La struttura protegge le arnie dal cattivo tempo, mantenendo una temperatura costante e ottimizzando la ventilazione. Il grande “camino”, che è chiaramente il punto focale del progetto, aiuta le api ad entrare ed uscire dall’alveare mantenendosi distante dai bambini e dai passanti, evitando così anche possibili atti di vandalismo. Le api solitamente si alzano in volo a pochi centimetri dal terreno, ma in questo caso lo fanno a 4,5 metri di /69 altezza. La struttura è inoltre costituita da una parete interamente vetrata che consente l’osservazione da vicino delle api e del lavoro dell’apicoltore. Quest’ultimo infatti, per la manutenzione dell’arnia, deve entrare all’interno della struttura, dalla quale può mostrare ai visitatori il complesso mondo di questi insetti. La parete vetrata è coperta da un pannello in legno fissato alla struttura tramite due perni e su di esso si legge “Aprite questa porticina, osservate le api e poi richiudete!”. La Honey Factory aspira ad ottenere un ruolo nell’educazione di grandi e piccoli all’importanza che le api hanno all’interno dell’ecosistema. L’azienda Riva1920 ha da subito accolto il progetto e realizzato il primo prototipo in legno, una vera e propria micro architettura che lascia un segno nel paesaggio urbano in cui è collocata. Grazie alla collaborazione con Mauro Veca, apicoltore professionista, la struttura è stata realizzata seguendo i principi alla base dell’apicoltura, il che la rende scientificamente corretta ed idonea ad accogliere una colonia di api. Il nome, Honey Factory, sta certamente ad indicare un luogo di produzione del miele, ma deriva forse anche dall’estatica della fabbrica che la contraddistingue e la rende particolarmente adatta al contesto urbano. L’apicoltura urbana, come ormai sappiamo, è un fenomeno ancora giovane ma che ha tuttavia suscitato un grande interesse in quei progettisti che hanno deciso di contribuire, in un modo o nell’altro, alla sua affermazione. Gli studi riguardanti il packaging e la comunicazione visiva hanno indubbiamente avuto un impatto positivo sull’apicoltura urbana, conferendogli una dignità propria e prendendo le distanze dalla pratica rurale. Infatti, i packaging che abbiamo esaminato mettono in evidenza 70/ la provenienza del miele grazie ai motivi grafici che recuperano parti ed elementi della città. I cortometraggi, in particolare Liquid Gold, sono significativi poiché spiegano il lavoro dell’apicoltore urbano, illustrando allo stesso tempo la rilevanza degli imenotteri sulla Terra. Veicolano così un messaggio di sostenibilità ambientale e salvaguardia delle risorse. La progettazione delle cosiddette arnie urbane è invece, a mio parere, ad un livello ancora sperimentale in quanto tocca una questione più delicata, che riguarda le api e la creazione di un habitat adatto alla loro sopravvivenza. Molte delle arnie che abbiamo preso in esame sono state criticate dagli esperti del settore in quanto sono state studiate perfettamente dal punto di vista estetico ed espressivo, ma mancano di funzionalità e non prendono in considerazione i bisogni reali delle api. Il design della Urban Beehive di Rowan Dunford ad esempio, rende quasi impossibile individuare possibili malattie e parassiti all’interno dell’alveare e l’utilizzo della plastica come materiale di costruzione potrebbe non adattarsi alle esigenze delle api. L’Apiarium di Bettina Bohm, vincitore di un Compasso D’Oro nella categoria giovani talenti nel 2014, presenta una criticità non indifferente: la forma cilindrica dell’arnia infatti non consente l’utilizzo di telaini standard, i quali devono essere pertanto costruiti su misura incrementando così i costi di produzione. Vincente sotto tutti gli altri aspetti, l’Apiarium non ha preso in considerazione parte delle esigenze dell’apicoltore nel caso in cui dovesse sostituire un telaio in seguito a rottura. Per ottenere un progetto valido sia dal punto di vista estetico sia funzionale, credo sia necessaria una collaborazione tra apicoltore esperto e progettista, poiché uno possiede le competenze scientifiche nel settore apicolo e l’altro gli strumenti necessari alla progettazione. Ciò è avvenuto nel caso dell’Honey Factory di Francesco Faccin con Mauro Veca, i quali sono riusciti a creare una struttura perfettamente in sintonia sia con il mondo delle api sia con quello dell’uomo. Tuttavia la Honey Factory rientra nella categoria delle installazioni, non in quella delle arnie funzionali, e di conseguenza avremmo potuto perdonarle anche qualche imprecisione. Nelle installazioni infatti la produzione di miele è secondaria e assume un maggior rilievo il messaggio che queste vogliono trasmettere ed il rispetto del contesto in cui sono inserite, pur rispettando i bisogni delle api. A conclusione di quest’analisi, vorrei precisare che l’apporto che il progettista può fornire all’apicoltura urbana varia a seconda del contesto in cui questi opera. Infatti le esigenze degli apicoltori urbani di New York City sono sicuramente differenti da quelle degli apicoltori urbani di Tokyo o di Parigi. Per questo motivo credo sia opportuno focalizzarci, d’ora in poi, maggiormente sul contesto torinese e su come possiamo noi operare in questa scena urbana. Casi Studio: il contributo dei progettisti /71 CAPITOLO SESTO L’INTRODUZIONE DELL’APICOLTURA IN CITTÀ I luoghi comuni Immaginiamo di disporre di un centinaio di arnie abitate da altrettante famiglie di api in buona salute e di dover semplicemente decidere dove posizionarle nel contesto urbano torinese, quali sono le difficoltà che potremmo incontrare nel nostro percorso di introduzione dell’apicoltura in città? Abbiamo tutti gli strumenti necessari e fingiamo di avere anche una squadra di apicoltori disposti ad aiutarci, ma qualcosa comunque ci impedisce di procedere in maniera fluida: i cittadini. Il mondo delle api e dell’apicoltura è infatti sconosciuto a molti e non tutti sono a conoscenza dei benefici che questa pratica può introdurre all’interno delle nostre città. Dopo aver letto online i commenti lasciati dagli abitanti di Torino sotto un articolo che parlava di Urbees e dell’apicoltura urbana, mi è sembrato opportuno affrontare questo argomento. “Odio le api perchè pungono”, “il miele sarà sicuramente inquinato” e “Lasciamo queste cose alla campagna”, sono i commenti ricorrenti dei cittadini torinesi. Così, in qualità di progettisti che operano a Torino, dobbiamo prepararci allo scontro con alcuni pregiudizi che affollano le menti quando si parla di apicoltura urbana. Nei paragrafi a venire, cercherò di confutare questi preconcetti perché sono sicura che anche voi che stata leggendo questa mia trattazione siete dubbiosi sulla possibilità di inserire le api nel contesto urbano. L’introduzione dell’apicoltura in città /73 L’ape punge Uno dei primi motivi per cui la maggior parte degli abitanti di una città si dimostra diffidente nei confronti dell’apicoltura è il timore che esiste nei confronti dell’ape e della sua fatidica puntura. Per prima cosa, l’ape è un insetto che possiamo definire vegetariano. Il suo nutrimento è infatti costituito da nettare e polline nella stagione primaverile ed estiva e dal miele nel periodo invernale. Di conseguenza un’ape non andrà mai alla ricerca di un individuo da infastidire e pungere, per nutrirsi del suo sangue. Non bisogna infatti confondere l’ape con la vespa, la quale rappresenta una minaccia oltre che per l’uomo anche per l’ape stessa. Dal punto di vista fisico l’ape ha una forma più tozza rispetto alla vespa, che per parte sua ha un “corpo” diviso in due, con la “vita” molto stretta a segnare le due componenti. In più il corpo dell’ape è ricoperto di pelo, attraverso il quale è in grado impollinare 74/ L’introduzione dell’apicoltura in città fiori e piante. Non si può tuttavia negare il fatto che l’ape sia dotata di un pungiglione, che usa tuttavia solo nel momento in cui crede sia necessario per la difesa dell’alveare. Le api operaie hanno infatti un’ ”etica lavorativa” molto sviluppata e trascorrono la loro intera vita a lavorare e proteggere il loro nido. Di conseguenza è molto difficile venire punti da un’ape a meno che non ci si trovi in prossimità dell’alveare, come avviene nel caso degli apicoltori. Inoltre è importante sapere che l’ape muore dopo aver punto un individuo. Questo poichè il suo pungiglione è seghettato, contrariamente a quello della vespa, e dunque viene trattenuto nella carne della vittima, staccandosi, insieme alla sacca velenifera e a gran parte degli organi dell’ape stessa. Insomma, l’ape non sacrifica la sua vita per spaventarci ed infastidirci, ma lo fa solo nel momento in cui riconosce un pericolo. HONEY HONEY HONEY Il miele è inquinato Spesso si pensa che un miele prodotto in città, dove le automobili e le fabbriche inquinano l’aria e l’ambiente, non sia un prodotto commestibile. Non pensiamo però al fatto che nelle campagne l’agricoltura industriale utilizza i fertilizzanti chimici e che dunque il miele prodotto nelle zone rurali può essere altrettanto, se non maggiormente, inquinato, così come tutti i prodotti di cui ci cibiamo quotidianamente. Urbees, il primo esperimento italiano di apicoltura urbana, ha misurato la presenza di piombo, nichel, cromo e benzene nel suo miele, cosa che non fanno i produttori tradizionali. I metalli pesanti erano presenti solo in minime tracce, del tutto irrilevanti dal punto di vista della commestibilità e della salute umana. Bisogna inoltre ricordare che proprio a causa dell’inquinamento, dei pesticidi, delle monoculture e del clima poco favorevole nelle zone rurali, le api migrano naturalmente in città alla ricerca di fiori e piante non trattate. L’ape va alla ricerca di un habitat più adeguato alle sue esigenze e così facendo produce un miele che è sicuramente meno pericoloso. Considerando infatti tutti i trattamenti che le piante subiscono in campagna, il miele rurale non può essere meno inquinato. Un’altro vantaggio che deriva dalla produzione del miele urbano è la possibilità di misurare la presenza di metalli pesanti ed inquinanti presenti in esso e di conseguenza nell’atmosfera cittadina. E’ un ottimo modo per tenere sotto controllo l’ecosistema delle nostra città e per creare una sprta di mappa della biodiversità urbana. L’introduzione dell’apicoltura in città /75 L’ape sta in campagna In natura abbiamo pari probabilità di trovare un’ape in campagna così come in città. Le api sono infatti parte integrante dell’ambiente cittadino, come possono testimoniare le nostre piante che senza il fondamentale lavoro di impollinazione delle api, non ci darebbero mai i loro fiori e frutti. Senza dubbio, negli ultimi decenni il numero di api in città è aumentato, in seguito alla fuga degli sciami d’api dalla campagna, ormai troppo inquinata. Paradossalmente l’ape vive meglio in città, in quanto l’inquinamento cittadino non ne causa la morte contrariamente ai pesticidi e ai fertilizzanti chimici utilizzati nelle zone rurali. L’ambiente cittadino è ricco di piante e fiori sui balconi e di vegetazione spontanea nei parchi e lungo le strade e, di conseguenza, è adatto ad ospitare le api. Non è pertanto così raro trovare uno sciame d’api in città, spesso al riparo in prossimità di tetti o segnali 76/ L’introduzione dell’apicoltura in città stradali. Gli apicoltori urbani si occupano di recuperare questi sciami “selvatici” e di fornire loro un rifugio adeguato. È da qui che, come abbiamo già visto, nasce il fenomeno dell’apicoltura urbana. Più avanti vedremo come spesso non sia sufficiente confutare questi luoghi comuni per convincere un gruppo di individui ad accettare la presenza di api in città. Bisogna infatti individuare anche quali sono i possibili vantaggi che gli abitanti potrebbero trarre dal fenomeno ed utilizzarli come strumento di persuasione. Ora invece ci occuperemo in breve del rapporto che l’apicoltura ha instaurato con l’agricoltura urbana per comprendere se le due pratiche debbano essere complementari o possano vivere di vita propria. Le api del Waldorf Astoria Hotel a New York City /77 Il rapporto con gli orti urbani MAPPA DEGLI ORTI URBANI PUBBLICI 6. 5. 4. 7. 1. 3. 2. 8. 9. 10. 1 / Cascina Quadrilatero Piazza Emanuele Filiberto 4 / Viale della Frutta - Via Servais Officina Verde Tonolli - Via Valgioie 5 / Orto Piazza Manno - Piazza Manno Orto Massari - Via Massari 6 / Laghetti Falchera - Via degli Ulivi 78/ L’introduzione dell’apicoltura in città Parco dell’Arrivore - Strada dell’Arrivore Orto del Bunker - Via Niccolò Paganini 7 / Orto del Meisino - Parco del Meisino 8 / Orto Campana- Via Campana 10/ Miraorti- Strada Castello Mirafiori Cascina Parco Piemonte - Strada Castello Mirafiori MAPPA DEGLI ORTI URBANI PUBBLICI 6. 5. 4. 7. 1. 3. O 2. 8. 9. 10. 2/ 4/ 6/ Urbees - Cascina Roccafranca Associazioni Parco del Nobile - Parco della Tesoriera Urbees- Bunker 8 / Urbees - Hotel Principe Urbees - Cavoretto Associazione Parco del Nobile 9 / Urbees - Parco d’Arte Vivente L’introduzione dell’apicoltura in città /79 È opportuno ora chiarire cos’è un orto urbano e come nasce. Gli orti pubblici sono terreni che le ammistrazioni comunali assegnano ad enti e associazioni attraverso dei bandi popolari, con l’obiettivo di recuperare e valorizzare degli spazi urbani. La creazione di questi orti consente inoltre di promuovere iniziative sociali ed educative e di rendere migliore il paesaggio cittadino, incoraggiando il concetto di “bene comune”. Esistono poi quelli che possiamo definire come orti privati, assegnati dal Comune ai privati cittadini, e orti spontanei o abusivi, non ancora regolarizzati. Nella nostra mappa prenderemo in considerazione la prima categoria di orti urbani, quelli pubblici, poiché di dimensioni maggiormente rilevanti e più facilmente geolocalizzabili. Dall’analisi simultanea della mappa degli orti urbani e della mappa degli apiari, possiamo notare come in tre circoscrizioni su dieci siano presenti entrambe le componenti. È una percentuale minima che fa comprendere come le due pratiche non debbano essere strettamente legate per poter essere efficienti. Le api infatti si nutrono di tutta la vegetazione spontanea presente in città ed impollinano le piante nel raggio di due chilometri dal loro alveare. Bisogna infatti tenere conto di come le api possano essere utili alla vegetazione dell’intera città, trasformandola e rendendola più rigogliosa e verde, non solo a quella di un lotto di terra adibito ad orto. Dunque pensare di affiancare le arnie solamente agli orti urbani , nonostante li rendano più produttivi, è riduttivo. In un periodo storico in cui il fattore inquinamento risulta essere sempre più alto, è importante reintrodurre il verde, il “polmone”, nei centri abitati. Le arnie non devono essere confinate nei lotti adibiti alla pratica agricola, ma possono vivere autonomamente in qualsiasi angolo della nostra città. 80/ RAPPORTO TRA ORTO E APIARIO 6. 5. 4. 7. 1. 3. 2. 8. 9. 10. presenza di orti urbani presenza di apiari urbani presenza di orti e apiari urbani L’introduzione dell’apicoltura in città /81 L’apicoltura urbana come innovazione sociale Nel corso di questi capitoli abbiamo analizzato l’apicoltura urbana ed il suo svilippo nelle più grandi metropoli del mondo, abbiamo preso in considerazione l’apporto che i progettisti hanno voluto dare al nascente fenomeno e individuato le principali probematiche che impediscono all’apicoltura di diffondersi nel tessuto urbano come vorremmo. Ora è giunto il momento di spiegare perchè l’apicoltura è così importante per le nostre città e per quale motivo possiamo considerarla un’innovazione sociale. Innanzitutto è bene dare una breve definizione di questo termine, anche se risulta piuttosto complesso tracciare dei confini analitici ad un fenomeno i cui caratteri essenziali si manifestano nelle pratiche. Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan, nel loro Libro Bianco sull’Innovazione Sociale, la illustrano in questo modo: “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa.” Essa dunque non nasce dalla ricerca di profitto, ma dall’esistenza di bisogni insoddisfatti, di risorse sprecate e di emergenze ambientali o sociali. Ne il mercato ne le amministrazioni pubbliche sono in grado di soddisfare questi bisogni, aprendo così la strada al campo del privato sociale, all’imprenditorialità dal basso e alle comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare nuovi e vecchi bisogni e per ottimizzare l’utilizzo 82/ L’introduzione dell’apicoltura in città delle risorse. L’innovazione sociale non è solo un’idea, che sia essa più o meno radicale, ma è l’applicazione sostenibile di un’idea di prodotto o servizio e risulta efficace quando fa un’uso ottimale delle risorse per il conseguimento di un risultato sociale. Alla base vi è la volontà di dimostrare che la nuova visione funziona meglio delle soluzioni esistenti e genera valore per la società. La sostenibilità è una delle componenti principali a cui ambisce l’innovazione sociale e, come vedremo, l’apicoltura urbana vuole farsi promotrice di questa sostenibilità. Ciò che differenzia un’innovazione sociale dalle altre pratiche tradizionali è la capacità di “stare sul mercato” e di finanziarsi grazie a dei ricavi generati dall’attività stessa. Inoltre entrano in gioco forme di coordinamento e collaborazione piuttosto che forme verticali di controllo. Questo aumenta le capacità di azione della collettività che si mobilita e crea nuovi ruoli e relazioni tra gli individui coinvolti. Non ci sono attori e settori più idonei di altri nello sviluppare pratiche di innovazione sociale. Anzi possiamo dire che le esperienze più interessanti e radicali sono il frutto della collaborazione tra diversi attori appartenenti a mondi diversi. Dunque l’innovazione sociale ha una spiccata dimensione collettiva, non appartiene solo all’immaginazione e alla creatività di un attore singolo, quanto alla capacità collettiva di partire da un’intuizione e di svilupparla sino a trasformarla in una pratica diffusa. Intuizione e collaborazione sono dunque alla base di un qualsiasi processo di innovazione sociale, mentre l’obiettivo finale è la creazione di un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile. L’introduzione dell’apicoltura in città /83 Come ho già anticipato, smentire i luoghi comuni che riguardano l’apicoltura urbana non è sufficiente a far si che i cittadini di Torino la accettino di buon grado e che siano disposti a collaborare alla sua diffusione. Nell’analisi di scenario, il progettista deve individuare le problematiche ed i vantaggi che riguardano il fenomeno a cui è interessato, per poter affrontare gli uni ed usare a suo favore gli altri. Ad esempio per fronteggiare il problema riguardante il dissenso dei concittadini, il progettista può impiegare i benefici da lui individuati come mezzo di persuasione e far si che retrocedano sul loro pensiero. Infatti, in qualità di essere umani, tendiamo ad interessarci ad un qualsiasi fenomeno solo se consapevoli che questo possa avere un riscontro positivo anche nei nostri confronti. Quello che sto cercando di dire è: se io vi dicessi 84/ L’introduzione dell’apicoltura in città che dobbiamo salvaguardare le api perché sono a rischio di estinzione e null’altro, sono sicura che ad un grande percentuale di voi non interesserebbe. Mentre se vi dico che dobbiamo salvaguardare le api perché sono a rischio di estinzione e senza il loro lavoro di impollinazione non avremo più frutta e verdura da consumare quotidianamente, la mia affermazione ha sicuramente un impatto differente. La sensibilizzazione del cittadino deve dunque avvenire mostrando non solo una determinata problematica che bisogna risolvere, ma mostrando anche una sorta di ricompensa che il cittadino stesso potrebbe ricavare in seguito al suo contributo. Questi vantaggi che andremo ad esaminare sono le caratteristiche che rendono l’apicoltura urbana un’innovazione sociale. Per il progettista questi benefici diventano Definiamo innovazioni sociali le nuove idee che soddisfano dei bisogni sociali e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. infatti degli obiettivi che questi deve raggiungere tramite gli strumenti operativi che possiede. Sono tutti fattori acquisibili solo mediante l’introduzione e la diffusione dell’apicoltura in città e il designer deve dunque impegnarsi poiché questo avvenga . Ora esaminiamo nel dettaglio quali potrebbero essere questi benefici derivanti dall’inserimento delle arnie in città. Ve li introdurrò in una sorta di ordine cronologico, presentando dapprima quelli che potrebbero manifestarsi fin dall’inizio e in seguito quelli che richiedono tempi di incubazione maggiore. Dobbiamo tuttavia tener presente che tutti i vantaggi che prenderemo in considerazione sono una conseguenza diretta della sensibilizzazione del cittadino che, dopo aver inteso a fondo i benefici che potrebbe trarre del fenomeno, presta il suo consenso ed il suo contributo agli apicoltori urbani , dando così inizio ad un processo di innovazione sociale. Proprio grazie a questa collaborazione tra designer e cittadini è possibile ottenere dei risultati favorevoli per tutti, ecosistema urbano compreso. L’introduzione dell’apicoltura in città /85 Educazione Il primo punto in analisi, l’educazione, è una sorta di premessa nonchè la massima conseguenza diretta della sensibilizzazione del cittadino, senza la quale non sarebbe possibile ottenere la sua approvazione nel processo di diffusione dell’apicoltura nel contesto urbano. Come abbiamo ripetuto più volte, le api spesso non sono apprezzate in città in quanto vi è la credenza ed il timore che siano insetti pericolosi per l’essere umano. Talvolta sono i comuni stessi a rendere l’apicoltura urbana illegale come nel caso di Segrate, cittadina lombarda, in cui la pratica è stata proibita nel centro abitato in seguito alle lamentale degli abitanti residenti. Questo avviene perché non si è a conoscenza dei servizi che questi imenotteri sono in grado di fornirci, i quali vanno ben oltre la produzione di miele, cera e propoli. L’ape ha infatti un ruolo importante tanto 86/ L’introduzione dell’apicoltura in città in città quanto in campagna perchè, grazie alla sua attività di impollinazione, consente la crescita di piante e fiori nell’ambiente in cui viviamo. La presenza di colonie di api in un determinato quartiere è sinonimo del benessere e dell’abbondanza di vegetazione nella zona in quanto rappresenta un habitat ideale per le api, le quali necessitano di una generosa presenza di piante e fiori. È pertanto necessario educare il cittadino all’importanza dell’ape nel nostro ecosistema, se vogliamo dar vita ad un processo di innovazione sociale. Un cittadino educato, sensibilizzato e consapevole accetta la presenza di apiari in città in quanto è al corrente dei vantaggi che ne derivano, tra questi la possibilità di vivere in una città ricca di biodiversità e di raccogliere i frutti delle piante che tiene sul proprio balcone. Animazione di comunità L’introduzione dell’apicoltura in un contesto cittadino, così come è già avvenuto per l’agricoltura urbana e periurbana, comporta una conseguente coesione sociale intesa come un gruppo di persone che si riuniscono grazie ad un interesse comune. In città infatti non sono solitamente presenti le condizioni necessarie ed i pretesti per l’organizzazione di eventi che riuniscano tutti gli abitanti di uno stesso quartiere o circoscrizione, contrariamente a come avviene in un contesto di paese. Spesso non sappiamo nemmeno chi abita nel condominio di fronte al nostro, a causa della vita frenetica che conduciamo. L’apicoltura urbana consente invece questo ritorno alla comunità e all’appartenenza ad una comunità, aspetto che si è totalmente perso nel contesto cittadino. Immaginiamo infatti di poter installare un numero di arnie nel parco del quartiere in cui viviamo e di impegnare parte del nostro tempo per prenderci cura delle colonie di api con l’aiuto di tutti gli abitanti del quartiere interessati alla pratica, per motivi anche differenti. In questo modo avremo la possibilità di entrare in contatto con le persone che vivono vicino a noi e di instaurare un rapporto che potrà sicuramente tornarci utile in un futuro. È come condividere il quartiere con degli alleati, disposti ad aiutarci nelle situazioni di estremo bisogno poiché sono stati abbattuti i muri dell’indifferenza e dell’estraneità. In questo senso l’apicoltura può essere considerata come un punto focale intorno al quale possono nascere diverse attività che stimolano la coesione sociale ed il lavoro di squadra all’interno di una determinata zona. Quest’aspetto è stato L’introduzione dell’apicoltura in città /87 già in parte esplorato nell’esperienza degli orti urbani, in quanto esiste un gruppo di persone che si prende la responsabilità e l’impegno di curare le piante ed in una visione utopica queste persone sono gli abitanti di uno stesso quartiere o edificio. Applicando questo concetto all’apicoltura, si potrebbe giungere alla creazione di palazzi autosufficienti che producono i beni che consumano, che siano essi frutti o miele. Inoltre la presenza di alveari in un quartiere e la conseguente possibilità di pianificare attività ed incontri sul tema, si trasforma in un’opportunità per attrarre il turismo e l’organizzazione di eventi, i quali rappresentano una fonte di ricchezza per gli abitanti della zona. Un’esempio è riscontrabile nell’esperienza degli apicoltori urbani di Ginza, a Tokyo, che organizzano settimanalmente delle visite guidate sui tetti del quartiere alla scoperta del mondo delle api nel contesto cittadino. I turisti si lasciano guidare in questa avventura e contribuiscono ai processi di smielatura, diventando parte della manodopera. Per concludere, possiamo dire che l’apicoltura è una pratica sociale adatta a qualsiasi età, sesso e religione in grado di accrescere il sentimento di identità comune, l’orgoglio e la qualità della vita all’interno di un quartiere, portando alla nascita di piccole comunità all’interno di una grande città. Riqualifica urbana Il terzo beneficio che incontriamo sulla nostra “linea temporale” fittizia interessa la riqualificazione della città e, nello specifico, delle zone urbane maggiormente degradate. Per presentare questo vantaggio mi ricollego all’esperienza dell’urban farming, ovvero dell’agricoltura urbana, in quanto è un fenomeno già sedimentato 88/ nel contesto torinese e che rende più facile la comprensione dei concetti che andrò a spiegare. L’agricoltura urbana si è sviluppata nelle grandi metropoli in seguito ai periodi di industrializzazione e di migrazione dei contadini verso la città. La classe operaia proveniente dalla campagna, guadagnando un misero salario, spesso viveva in condizioni di povertà e malnutrizione, motivo per cui vennero costruiti i primi “orti per poveri” sui tetti degli edifici. È un fenomeno che nasce dunque per adempiere alle insufficienze alimentari di un intera classe sociale e in cui il fattore produttivo è il più importante, se non l’unico. Nel corso degli anni abbiamo tuttavia assistito ad un’evoluzione dell’urban farming, in cui hanno preso il sopravvento altri fattori al di la di quello fruttifero. Attualmente l’agricoltura urbana è infatti multifunzionale, ovvero non serve solo alla produzione di viveri, ma anche a creare un ecosistema urbano che promuova la biodiversità. In questo contesto è necessaria la presenza di api in città in quanto non solo agevola la crescita di piante, fiori e frutti negli orti urbani, ma aiuta anche il proliferare della vegetazione spontanea in tutto il tessuto urbano. In questo modo contribuisce alla riqualificazione di aree urbane inutilizzate o degradate, attribuendogli anche un valore estetico che migliora il paesaggio urbano grazie ad una presenza maggiore di flora. L’arnia Apiarium, su progetto di Bettina Bohm, nasce proprio per essere installata nelle aree maggiormente degradate e che dispongono di ampi spazi vuoti, valorizzandole e incrementando il valore delle zone circostanti. La riqualifica estetica ed ambientale di un’area della città determina un incremento nella ricchezza dell’area stessa, grazie all’aumento del turismo ad esempio, comportando così anche una trasformazione positiva a livello sociale. Dunque l’installazione di orti e apiari nelle zone suburbane è funzionale ad un miglioramento estetico, sociale e territoriale, in grado di elevare la qualità della vita all’interno della città stessa. L’introduzione dell’apicoltura in città /89 Miele eterogeneo In città non è possibile produrre un miele monofloreale, in quanto la vegetazione spontanea sui balconi e nei giardini è piuttosto varia e solitamente non controllabile. Come noto, le api vanno alla ricerca di nettare e polline nel raggio di due chilometri dal proprio alveare e dunque in un contesto urbano incontrano un’immensa varietà di piante e fiori. Con ciò non significa che il miele urbano, millefiori, sia tutto uguale, anzi in un certo senso è possibile scegliere la qualità del miele da produrre, a seconda della posizione in cui si vanno a collocare le arnie. I mieli urbani prodotti da Urbees, ad esempio, si differenziano per colore, densità e proprietà organolettiche e osservandoli non ci verrebbe mai da pensare che siano stati prodotti nella stessa città o addirittura nella stessa circoscrizione. 90/ L’introduzione dell’apicoltura in città Questa è infatti la ricchezza che deriva dall’apicoltura urbana, ovvero la possibilità di produrre miele millefiori differenti tra loro in base alla prevalenza di un certo tipo di vegetazione in un’area della città. Inoltre il miele prodotto in città contiene al suo interno un’enorme varietà di polline, circa 250 specie, il che lo rende particolarmente efficace per combattere le allergie. Infatti l’ingestione in piccole quantità del polline contenuto nel miele aiuta i soggetti allergici ad affrontare più facilmente il disturbo respiratorio. Infine va ricordato che il miele urbano è un prodotto a chilometro zero, ben distante dalle miscele con provenienza ignota acquistabili al supermercato. Posizionando un’arnia sul nostro balcone o nel cortile del condominio, possiamo facilmente usufruire di un prodotto di qualità elevata e dal gusto unico. Ecosistema controllato Nel contesto urbano la produzione di miele non è fine a stessa, ma diventa un mezzo di misurazione della qualità dell’ambiente in cui viviamo. L’ape è infatti una sentinella ambientale, in grado di monitorare l’ambiente e di riferirci i suoi cambiamenti. I ricercatori della Statale Annamaria Costa e Francesco Tangorra in collaborazione con gli apicoltori urbani Mauro e Davide Veca, che gestiscono l’arnia della Triennale al Parco Sempione, hanno analizzato i metalli pesanti che rimangono sul corpo delle api dopo la loro morte, incrociando i dati con le rilevazioni atmosferiche. Questo esperimento si è svolto a Milano, dove l’inquinamento è ancora un problema rilevante e la presenza nell’aria di sostanze come piombo, cadmio, nichel e rame è una certezza. Hanno così confrontato i residui rimanenti sul corpo dell’ape con i dati raccolti dalle centraline Arpa, trovando una relazione tra ciò che viene rinvenuto sul corpo dell’insetto e la concentrazione media di particolato nell’atmosfera. Queste sperimentazioni aprono la strada alla possibilità di realizzare un sistema di monitoraggio ambientale alternativo a basso costo, utilizzando questo imenottero e il suo polline. Queste rilevazione possono essere effettuate in maniera ancora più precisa analizzando il miele prodotto dalle api metropolitane, come ci insegna Antonio Barletta di Urbees. Dopo avere esaminato i prodotti delle sue arnie per assicurarne la commestibilità, si è reso conto del potenziale di queste analisi per controllare la presenza dei metalli pesanti e degli inquinanti nell’aria e rilevare cosa sta cambiando nell’ecosistema della città. Inoltre è possibile sviluppare una mappatura della vegetazione urbana, utile anche per chi soffre di allergie, e /91 rispristinare in questo modo le piante necessarie all’ecosistema, per creare una natura in città che sia funzionale e non solo pura estetica. Coinvolgendo dunque i cittadini nell’allevamento delle api in città si può beneficiare non solo di miele, cera e propoli, ma anche dei servizi di biomonitoraggio delle api: un metodo alternativo che ci consente di ridurre l’inquinamento. Sostenibilità Una città sostenibile è una città educata alla consapevolezza ambientale, che conosce ed impiega le sue risorse nel rispetto del territorio. L’apicoltura lavora a stretto contatto con gli orti urbani, facilitando la crescita di frutta e ortaggi. Dunque l’introduzione dell’apicoltura nel contesto cittadino favorisce uno sviluppo sostenibile proprio grazie al ruolo di impollinazione da parte delle api, che agevolano la produzione di 92/ L’introduzione dell’apicoltura in città prodotti agricoli all’interno delle città. Questo consente ai cittadini di disporre di maggiori quantità di frutta e verdura a chilometro zero senza grandi spese, incoraggiando in questo modo una crescita sia produttiva che economica sostenibile. Inoltre, l’agricoltura urbana riduce l’impiego di pesticidi e abbrevia o annulla le distanze tra agricoltore e consumatore, abbattendo così anche i costi di trasporto. Dunque mettendo in atto tutti i benefici che abbiamo preso in esame in questo capitolo, la città non può che essere maggiormente sostenibile in quanto ricca di vegetazione, meno inquinata e promotrice di prodotti agricoli e melliferi a chilometro zero. La sostenibilità è così il punto terminale della nostra linea temporale ed è una conseguenza derivante da una serie di azioni che si muovono verso essa. Nel prossimo capitolo vedremo come e se questi obiettivi sono stati conseguiti a Torino da parte delle due organizzazioni di apicoltura urbana già esistenti, Urbees e l’Associazione Parco del Nobile, e come potrebbero eventualmente essere incentivati. /93 IN SINTESI Apicoltura come strumento di aggregazione all’interno di una comunità o quartiere urbano, intesa come collaborazione tra cittadini. RIQUALIFICA DEI QUARTIERI EDUCAZIONE ANIMAZIONE DI COMUNITÀ Intesa come sensibilizzazione del popolo cittadino sull’importanza del ruolo delle api nell’ecosistema mondiale. 94/ L’introduzione dell’apicoltura in città Aumento della vegetazione urbana con il conseguente miglioramento estetico, sociale e territoriale. Produzione di miele urbano millefiori, con note e gusti totalmente nuovi derivanti dalla grande diversità botanica presente in città. Intesa come promozione di un’agricoltura sostenibile, attuata nel rispetto sia delle risorse naturali che del lavoratore. ECOSISTEMA CONTROLLATO MIELE ETEROGENEO SOSTENIBILITÀ Il lavoro delle api consente di tenere sotto controllo l’ecosistema urbano in cui viviamo, attraverso un’attenta analisi di miele e cera. L’introduzione dell’apicoltura in città /95 CAPITOLO SETTIMO IL RUOLO DEL PROGETTISTA IN UN PROCESSO DI INNOVAZIONE SOCIALE Gli obiettivi del progettista a Torino Nel capitolo precedente abbiamo esplorato tutti i vantaggi che possiamo ottenere dall’introduzione dell’apicoltura in città, aspetti che la rendono potenzialmente un’innovazione sociale. Questi benefici sono tali per i cittadini, mentre per il progettista assumono la forma di obiettivi da raggiungere attraverso l’attuazione di strategie di sensibilizzazione ed operative. Ora prendiamo in considerazione quali sono i traguardi che Urbees e Parco del Nobile si prepongono quotidianamente di raggiungere, per valutare quali aspetti potrebbero essere incentivati. Antonio Barletta ha deciso di conferire un valore aggiunto al proprio miele, visto inizialmente come indicatore ambientale e poi come dolcificante e prodotto alimentare. Analizzandolo è infatti possibile rilevare la quantità di metalli pesanti presenti nell’ecosistema torinese e realizzare una mappatura delle vegetazione urbana. Questo obiettivo primario di Urbees consente di tenere sotto controllo l’inquinamento e di promuovere un utilizzo consapevole dei mezzi di trasporto e delle risorse. Inoltre Urbees si pone come obiettivo ultimo del suo operato la creazione di una rete sociale, che metta in relazione tutti gli abitanti di Torino interessati all’apicoltura, all’ambiente o più semplicemente al miele. Questo aspetto è purtroppo ancora in una fase iniziale ed è un traguardo che si potrà raggiungere solo quando un maggior numero di persone verrà a conoscenza del fenomeno dell’apicoltura urbana e deciderà di prendervi parte. Infine la produzione di un miele eterogeneo è una conseguenza diretta dell’apicoltura urbana ed è una caratteristica che accomuna Urbees con l’Associazione Parco del Il ruolo del progettista /97 OBIETTIVI Nobile. Quest’ultima pone come traguardo principale del suo operato l’educazione dei più piccoli attraverso l’organizzazione di diversi percorsi di formazione ambientale che coinvolgono principalmente scuole e famiglie. Promuove una pedagogia attiva, dell’imparare facendo, tramite la pianificazione di laboratori, giornate e campi estivi. Il fine ultimo è incentivare la conoscenza del mondo rurale e degli animali attraverso esperienze pratiche e condivise rivolte ad un pubblico che ormai ha perso ogni tipo di contatto con la natura. Quali sono pertanto gli aspetti che potrebbero essere presi in considerazione e sviluppati dal progettista a Torino? sensibilizzazione creazione di una rete sociale riqualifica urbana 98/ Il ruolo del progettista Senza dubbio l’aspetto dell’educazione, in parte già portato avanti con i bambini, va ora ampliato ad un pubblico adulto che sia il più vasto possibile poiché, per consentire l’inserimento di arnie in città, è necessario e gradito il consenso degli abitanti. Un gruppo di cittadini educati e consapevoli può diventare il punto di partenza per la nascita di una rete sociale, che coinvolga tutti gli individui interessati a prestare il loro contributo alla pratica. Inoltre, in seguito all’installazione di apiari nei quartieri più degradati di Torino, è possibile iniziare un percorso di riqualifica urbana, conferendo alla città un valore aggiunto ed una vegetazione più fitta. Mettendo in atto questi tre aspetti citati, la città comincerà a muoversi lentamente verso la sostenibilità, di cui l’apicoltura urbana vuole farsi promotrice. Ora vediamo quali sono le discipline appartenenti al mondo del design che ci consentono di portare avanti un progetto che genera un cambiamento a livello sociale e territoriale. Il design per le innovazioni sociali Al giorno d’oggi il designer svolge un ruolo importante all’interno della società, la quale è in continua evoluzione e deve adattarsi ai cambiamenti ambientali, sociali e culturali. Come sostiene Ezio Manzini in Design, when everybody designs, la disciplina progettuale può porsi al servizio delle innovazioni sociali ed il progettista deve offrire il suo supporto ai progetti collettivi ed individuali. Egli viene infatti descritto come un attore sociale che, grazie agli strumenti culturali ed operativi che possiede, é in grado di sostenere i processi in cui tutti noi siamo quotidianamente coinvolti. Nella società odierna il designer acquista così un ruolo del tutto nuovo e differente rispetto a quello che ha avuto fino ad ora. Cento anni fa abbiamo osservato come il nascente industrial design riuscì a stare al passo con le innovazioni di tipo tecnologico, oggi dovremmo assistere ad un fenomeno simile che riguarda le innovazioni sociali.Queste infatti possono potenzialmente cambiare il mondo in cui viviamo, ma necessitano di una nuova disciplina che li guidi nel processo ed il design è in grado di assumersi questo ruolo. Parlando di innovazione sociale, il designer deve dunque accompagnare gli esperti di un certo settore nel processo di trasformazione e creare le condizioni che possano facilitarlo. Deve semplicemente scoprire un nuovo modo di guardare al mondo e al modo in cui il design può interagire con le persone che ci vivono. Dunque il design per le innovazioni sociali riguarda tutto ciò che gli esperti della progettazione possono fare per attivare, sostenere e orientare i processi alla base dei cambiamenti sociali verso una nuova sostenibilità. /99 Questo può avvenire seguendo due strade diverse o perseguendole entrambe contemporaneamente: una inerente alla parte strategica e l’altra legata alla comunicazione. In quest’ultimo capitolo vedremo in che modo questi due mezzi possano essere funzionali alla diffusione dell’apicoltura a Torino e perché uno venga considerato come subordinato all’altro. Prima però è opportuno concentrarci sul significato di “strategia” e di “comunicazione” e su come siano attinenti al mondo del design. La comunicazione visiva La comunicazione visiva è fondamentale in un processo di innovazione sociale poiché, attraverso la divulgazione di un’idea o progetto, è possibile coinvolgere il maggior numero di persone interessate. Consente infatti di raggiungere un target di persone vario ed ampio e di avere un 100/ Il ruolo del progettista feedback diretto ed immediato da parte del fruitore del messaggio. È inoltre il metodo più efficace per connettere tra di loro tutte le persone con un interesse comune. In questo contesto, il designer può guidare gli esperti del settore all’utilizzo consapevole e strategico del web per la promozione del suo progetto. Diverse sono le modalità di comunicazione di un concetto e vanno dalla creazione di una strategia digitale divulgabile online all’organizzazione di eventi sul tema. Nell’era in cui viviamo le piattaforme digitali assumono una grande importanza, diventando il “punto d’incontro” virtuale dove le persone con un interesse in comune possono confrontarsi e scambiare opinioni. Qualsiasi strategia d’azione quindi deve essere modellata sul locale, ma applicabile ad un modello universale, per reggere anche il confronto con il mondo virtuale. Il campo della comunicazione visiva può quindi considerarsi laterale e subordinato a quello strategico, in quanto lo accompagna di passo in passo verso la meta finale. La comunicazione al servizio della sensibilizzazione del cittadino L’informazione, e di conseguenza la conoscenza, è alla base del processo di accettazione di un determinata novità. È risaputo che tutto ciò che ci è sconosciuto ci fa paura. Nel caso dell’apicoltura urbana, questo avviene perché non conosciamo le api né i benefici che possiamo trarre dal loro operato. Il fattore informativo e di sensibilizzazione è dunque di primaria importanza nel tema dell’apicoltura urbana, in quanto è un fenomeno recente e poco conosciuto. Essa deve coinvolgere il maggior numero di persone possibile ed essere portatrice di un messaggio da comunicare. L’obiettivo è quello di rendere consapevole il cittadino riguardo l’importanza delle api nel nostro ecosistema e di ottenere il suo consenso per l’inserimento di arnie in città. Un cittadino sensibilizzato infatti accetta l’apicoltura urbana e prende parte al suo processo di diffusione, che sia in maniera diretta o indiretta. Possiamo dire che un individuo partecipa alla divulgazione dell’apicoltura in città in maniera indiretta quando da il proprio consenso a coloro che volessero avvicinarsi alla pratica o decide di contribuire coltivando fiori e piante che siano funzionali alla produzione di miele. In questo modo le api ottengono il giusto nutrimento e i cittadini beneficiano di mieli eterogenei. Il cittadino può inoltre sostenere il lavoro degli apicoltori acquistando il miele urbano e finanziando così il progetto. L’apicoltura rappresenta in questo modo una fonte di guadagno per coloro che non hanno altre entrate. La partecipazione diventa diretta quando un individuo decide di prendere parte al processo di introduzione dell’apicoltura in città in maniera attiva, prendendosi THEY GO, WE GO save -thebees /101 EDUCAZIONE AZIONE lui stesso cura di un’arnia all’interno di un apiario collettivo ed impegnandosi a visitarla settimanalmente. Egli può perfino creare un piccolo apiario composto da una o due arnie sul balcone o nel giardino di casa, producendosi così il miele che lui stesso consuma. In questo modo contribuisce anche allo sviluppo della vegetazione nel proprio quartiere. L’educazione del cittadino, intesa sia come sensibilizzazione al tema delle api in natura sia come istruzione alla pratica dell’apicoltura, si trasforma così in azione. tipologie, in base anche all’ampiezza del target che desideriamo raggiungere. La sensibilizzazione di un gruppo ristretto di persone con una caratteristica in comune è attuabile attraverso incontri sul tema e dibattiti, tramite la diffusione di materiale informativo cartaceo o digitale e infine con la potenza delle installazione simboliche, le quali possono essere considerate come un forma di comunicazione indiretta che trasmette un messaggio senza palesarlo ma stimolando l’immaginazione del fruitore. Quest’ultimo è un ottimo metodo per conquistare un target anche più esteso, come ad esempio gli abitanti di un quartiere o di un’intera città, i quali possono imbattersi casualmente nell’opera e rimanerne colpiti. Invece l’organizzazione di incontri sul tema è meno appropriata per un pubblico più ampio poiché diventa impossibile convincere un numero di persone così elevato a prendervi parte. Gli strumenti digitali che rientrano nel campo delle comunicazione sono inoltre utili per gestire facilmente e velocemente una rete sociale di individui con un interesse o un’esigenza in comune. L’ambito della comunicazione visiva è dunque di primaria importanza nell’educazione di un gruppo di cittadini, ma assume anche un ruolo rilevante nella gestione dei rapporti tra individui. Quali sono gli strumenti che possono essere impiegati nella sensibilizzazione del cittadino? La comunicazione è fondamentale per coinvolgere un gruppo di individui in un determinato processo e può essere di due tipologie, diretta o indiretta. Con comunicazione diretta si intende un messaggio che si palesa da solo con l’utilizzo della parola e che non può essere inteso diversamente. Quella indiretta invece lascia maggiore libertà all’interpretazione e stimola la curiosità. In un processo di innovazione sociale possiamo usufruire di entrambe le 102/ Il ruolo del progettista IN SINTESI COMUNICAZIONE per SENSIBILIZZARE/EDUCARE GESTIRE UNA RETE SOCIALE attraverso attraverso THE BEES AND THE CITY APICOLTURA URBANA A Torino il primo esperimento di apicoltura urbana in Italia. Unisciti a noi e adotta la tua arnia! materiale informativo incontri sul tema installazioni piattaforma online Il ruolo del progettista /103 Strategic design e service design Si può parlare di strategia, quando il progettista utilizza le sue competenze per riconoscere le invenzioni sociali già esistenti e per trasformarle in soluzioni più efficaci, durature e potenzialmente replicabili su larga scala. Esistono due discipline legate al mondo del design che consentono di progettare un processo di innovazione sociale in modo da renderlo adatto al contesto locale, ma allo stesso replicabile globalmente: lo strategic design ed il service design. Il design strategico non riguarda la progettazione di un prodotto ma di un intero sistema di prodotti e servizi che devono rispondere ad una determinata domanda di benessere. Rispetto al service design, il design strategico si occupa della progettazione di nuove partnership tra gli attori di un sistema, generando innovazioni più radicali e possibilmente con maggiori vantaggi sotto il profilo ambientale. Il prodotto ed il fattore economico passano in secondo piano, lasciando maggiore spazio alle relazioni e alle esperienze. Nel caso dell’apicoltura urbana, questo si dimostra un mezzo interessante poiché è proprio sulla nascita di queste relazioni che bisogna concentrarsi se si vogliono avere sviluppi futuri, con possibili ed eventuali riscontri anche sotto il profilo economico. Nel design strategico il designer si occupa pertanto di progettare la “rete sociale” che deve inglobare gli esperti del settore e coloro che vogliono trarre dei benefici da un servizio. Una volta che il processo inizia a diventare più fluido e di maggior successo, può intervenire il service design. Questo consiste nello sviluppo di idee e soluzioni mirate a migliorare l’esperienza, in termini di qualità, tra il fornitore del servizio ed il consumatore finale. Riguarda dunque l’organizzazione e la 104/ Il ruolo del progettista pianificazione di personale, infrastrutture e materiali, tutti elementi costitutivi di un servizio che collega un produttore ad un consumatore. Nel service design il progetto segue i bisogni del consumatore finale e di conseguenza, per poter essere user-friendly e competitivo, è necessario uno studio dettagliato sui comportamenti del consumatore. Il fine ultimo è quello di offrire un’esperienza semplice, funzionale e piacevole al fruitore finale. L’applicazione di questo concetto alla nascente apicoltura Il designer è un attore sociale che, grazie agli strumenti culturali ed operativi che possiede, è in grado di sostenere i processi di innovazione sociale urbana di Torino risulta difficile, in quanto non è ancora del tutto presente un vero pubblico di consumatori né un fornitore in grado di garantire un servizio abbastanza esteso. In più il fattore economico e di competitività, solitamente rilevante nel service design, è una semplice conseguenza nell’apicoltura, non un obiettivo primario. Bisogna pertanto occuparsi prima di costruire le relazioni tra i possibili fruitori e consumatori, per poi progettare un servizio che soddisfi i bisogni di entrambe le categorie. IN SINTESI SUPPORTO STRATEGIA/AZIONE COMUNICAZIONE strategic design sensibilizzazione progettazione di nuove partnership tra gli attori di un sistema divulgazione service design progettazione di nuove soluzioni mirate a migliorare l’esperienza tra il fornitore del servizio ed il consumatore finale promozione unione Il ruolo del progettista /105 Lo strategic design per la creazione di una rete sociale Un cittadino educato al tema della salvaguardia delle api e a conoscenza dei benefici inizia ad interessarsi al fenomeno dell’apicoltura urbana. Magari non vuole praticarla, ma desidera ugualmente beneficiare dei prodotti dell’alveare. È dunque disposto ad accettare l’installazione di apiari nei pressi della sua abitazione o addirittura nel suo guardino o balcone, chiedendo in cambio una piccola quantità di miele. Nasce così la condivisione dei beni, uno spazio in cambio di un prodotto, che porta alla creazione di una smart community. Il progettista, a conoscenza delle potenzialità che derivano dall’inserimento dell’apicoltura in città, cerca dunque di mettere in contatto i gruppi di persone con un desiderio in comune, cioè beneficiare di miele, con gli apicoltori che possono fornirglielo. Si sviluppa in questo modo una rete sociale in cui vi è una continua collaborazione e condivisione di ricchezze, la quale può essere eventualmente regolato da un ulteriore gruppo di individui. Può portare 106/ Il ruolo del progettista così alla nascita di nuovi posti di lavoro e ad uno sviluppo economico sostenibile. In che modo può essere regolata questo rete sociale basata sulla condivisione? Uno dei metodi più rapidi ed efficaci è la creazione di una piattaforma online. Il web è infatti uno strumento molto potente che può essere impiegato per connettere persone a distanza e condividere informazioni in modo rapido. Parlando di distanza, non si intendono inevitabilmente migliaia di chilometri, ma il termine può indicare anche due persone che vivono nella stessa città ma che per questioni di tempo non possono incontrarsi fisicamente. La creazione di una piattaforma online sull’apicoltura urbana torinese può agevolare le relazioni tra gli specialisti del settore e i cittadini interessati alla pratica, i quali possono usufruire di tutte le informazioni necessarie in modo gratuito. /107 Il ruolo del progettista a Torino INDIVIDUAZIONE DEL TARGET Arriviamo ora alla conclusione di tutti i ragionamenti effettuati nel corso di questi capitoli e rispondiamo alla seguente domanda: Cosa posso e devo fare per consentire la diffusione dell’apicoltura a Torino? individui che dispongono di ampi spazi individui che dispongono di tempo libero 108/ Il ruolo del progettista Devo innanzitutto individuare i possibili attori disposti a prendere parte al processo in modi differenti. Le due categorie generiche che mi vengono in mente quando rifletto sulle diverse possibilità sono le persone che dispongono di tempo libero e le persone che possiedono ampi spazi. Il primo gruppo può comprendere sia apicoltori esperti che persone interessate all’apprendimento della pratica che hanno sufficiente tempo da impiegare nell’attività. Questi possono essere pensionati, persone senza un occupazione fissa che mirano anche al guadagno e tutti coloro in cerca di un hobby sostenibile. Il secondo gruppo comprende invece enti pubblici o cittadini privati che hanno aree più o mene ampie in gradi di ospitare arnie ed apiari. Tra questi ci sono sicuramente il Comune di Torino, con tutti i suoi parchi pubblici, i cittadini privati che dispongono di un balcone o giardino ed il settore della ristorazione. Dopo aver individuato i possibili attori, devo ideare una strategia di persuasione che li convinca a partecipare alla diffusione dell’apicoltura in città. Devo così presentare loro tutti i benefici che possono trarre da questa pratica e dalla presenza delle api nel tessuto urbano, cosa che sarà sicuramente semplice visto che ho già individuato tutti i benefici nei capitolo precedenti. Coloro disposti a concedere parte del loro spazio avranno in cambio del miele prodotto a chilometro PRESENTAZIONE DEI BENEFICI HONEY HONEY HONEY HONEY HONEY miele eterogeneo riqualifica urbana animazione di comunità zero, nonché un giardino o balcone con piante e fiori più rigogliosi. Nel caso di bar e ristoranti, questi potranno vantare sul loro menù un miele dal gusto unico e prodotto in loco che diventerà un valore aggiunto, in grado di attirare un maggior numero di clienti. Coloro che invece si impegneranno nella pratica prestando la loro manodopera potranno usufruire del servizio dell’apicoltura come pet therapy, che consente di alleviare lo stress ed aumentare la sensazione di benessere, e avranno altrettanto miele a chilometro zero da consumare e, nel migliore dei casi, da vendere con anche un ritorno dal punto di vista economico. Per entrambe le categorie ci sarà la possibilità di un ritorno al senso di comunità e al lavoro di gruppo, ormai andato perso nel contesto cittadino. Dopo aver convinto questi due gruppi di persone a prendere parte al mio progetto, devo costruire la relazione tra gli individui per consentire l’installazione delle arnie, avviando così il processo di innovazione. Sicuramente i tempi di incubazione di questo processo di innovazione sociale sono piuttosto alti, perché la nascita di relazioni tra le persone richiede del tempo così come la produzione di miele che deriva da questi vincoli. Una volta che le relazioni saranno più stabili ed il processo di condivisione degli spazi e beni sarà più fluido, il progettista può pensare di ideare un servizio che migliori la qualità degli scambi e delle possibili vendite. Vediamo così come il design strategico ed il design dei servizi si pongono entrambi al servizio della diffusione dell’apicoltura anche a Torino, il primo per instaurare le relazione alla base di un processo di innovazione sociale ed il secondo per migliorare l’esperienza e le condivisioni che costituiscono una rete di individui. Il designer deve prestare sempre attenzione al contesto in cui opera e a Torino sarebbe inutile pensare di progettare un’arnia piuttosto che un servizio di distribuzione del miele, poiché non esistono ancora gli utenti che potrebbero usufruirne. Il progettista deve dunque mettere in atto delle strategie operative, servendosi anche dell’ambito della comunicazione, per costruire le basi che consentano lo sviluppo e la diffusione dell’apicoltura, diventando egli stesso un anello che costituisce una lunga catena di individui. Il designer non crea un prodotto che genera un cambiamento, ma è lui stesso parte di questo cambiamento. Il ruolo del progettista /109 1 IN SINTESI INDIVIDUI CHE DISPONGONO DI TEMPO LIBERO IDENTIFICAZIONE DEI POSSIBILI ATTORI INDIVIDUI CHE DISPONGONO DI AMPI SPAZI 2 PRESTAZIONE DI MANODOPERA PERSUASIONE DEGLI ATTORI IDENTIFICATI I BENEFICI PER I CITTADINI COINVOLTI CONCEDENTI SPAZIO Produzione e consumo • di miele a km0 Ritorno alla comunità • Aumento del verde • Miele come• valore aggiunto CONCEDENTI TEMPO • Produzione e consumo di miele a km0 • Ritorno alla comunità • Apicoltura come pet therapy • Possibilità di ritorno economico 110/ Il ruolo del progettista CONCESSIONE DI SPAZI ESPRESSO 3 INSTALLAZIONE DEGLI APIARI 03 06 MARZO GIUGNO CREAZIONE DELLE RELAZIONI ANIMAZIONE DI COMUNIT RI UALIFICA URBANA HONEY HONEY HONEY HONEY HONEY PRODUZIONE DI MIELE 4 RETE BASATA SULLA VENDITA HONEY APICOLTORI HONEY HONEY HONEY HONEY VENDITA DI MIELE CONSUMATORI FINALI CREAZIONE DI UNA RETE DI SERVIZI CONCESSIONE DI SPAZI RETE BASATA SULLO SCAMBIO PRESTANTI MANODOPERA PROPRIETARI DI SPAZI HONEY HONEY HONEY HONEY HONEY CONCESSIONE DI MIELE /111 In conclusione ... Non si può dire che solo perchè siamo arrivati all’ultima pagina di questa trattazione, esista una vera e propria conclusione. Questo è solo l’inizio, il principio di un fenomeno che, spero, troverà presto una sua dignità ed otterrà il successo che merita. Il mio intento era semplicemente quello di illustrare a voi lettori le possibilità che derivano dall’apicoltura urbana e le modalità in cui possiamo agevolare la sua diffusione nel ruolo di progettisti. Da questo punto in poi si può iniziare ad agire, seguendo queste linea guida, innescando così una reazione a catena che porterà ad un futuro pù sostenibile. Un futuro in cui le grandi metropoli presteranno maggiore attenzione al loro contesto ambientale e agli individui che le abitano, in cui la collettività avrà prevalenza sui singoli e dove troveremo finalmente quello spiraglio di tranquillità e ruralità tanto cercato. Siamo qui per progettare il nostro futuro e quello del nostro pianeta. 112/ In conclusione In conclusione /113 Bibliografia e sitografia 1. Barletta Antonio, 2015, L’arnia sul balcone, Montaonda Editore 2. Manzini Ezio, 2015, Design,when everybody designs, Cambridge, Massachussets, MIT Press 3. Moore L.J. & Kosut M., 2013, Buzz: Urban Beekeeping and the Power of the Bee, New York City, NYU Press 4. Thackara John, 2015, How to Thrive in the Next Economy, London, United Kingdom, Thames & Hudson 5. Thackara John, In the Bubble: Designing in a Complex World. Cambridge, Mass: MIT Press, 2005 6. Apiterapia, “Storia dell’apicoltura e del miele”, http://www.apiterapia.it/storia-apicoltura. html 7. Apicoltura Angrisani, “Api, sentinelle della biodiversità”, http://www.apicolturangrisani.it/ notizie/392-api-sentinelle-dellabiodiversita.html 8. 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