"Dirigenza Bancaria", n. 158 - Pontificia Università della Santa Croce
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"Dirigenza Bancaria", n. 158 - Pontificia Università della Santa Croce
CULTURA E SOCIETÀ Ritratti di Michelangelo nell’affresco del Giudizio? Il restauro degli affreschi della Cappella Sistina – conclusosi nel 1994– viene considerato uno degli eventi culturali più significativi del XX secolo. Questo giudizio riguarda soprattutto i dipinti di Michelangelo. Oggi possiamo contemplare gli affreschi nello splendore delle origini. La cromia che per secoli era rimasta nascosta sotto un velo di sostanze estranee - polvere, sporcizia, nero fumo - felicemente recuperata. La semplice pulitura di questo strato, realizzata con la massima accuratezza, ha svelato l’impiego di colori molto più luminosi di quanto si pensasse. Le varie analisi di laboratorio hanno mostrato un grado di carbonatazione dell’intonaco tale che soltanto un tecnico di altissimo livello sarebbe riuscito a ottenerlo. Le ricerche sulla composizione chimica dei pigmenti hanno portato alla luce la grande perizia con la quale sono stati scelti: soltanto quelli che meglio si adattavano alla tecnica dell’ affresco. La accuratezza con cui ha lavorato Michelangelo ha consentito la perfetta conservazione dei colori e del disegno al di sotto degli strati di patine strane1. Non soltanto nella scultura e nell’architettura l’artista toscano approdò a vette forse insuperate, ma pure di arte di affrescare, rispetto a cui si considerava molto meno equipaggiato. Di Michelangelo si ammira senz’altro il virtuosismo, la capacità di disegnare scorci difficili, le curve vigorose e contemporaneamente dolci delle sue sculture. Rimane forse, in ombra, il fatto che egli era un uomo di profonde convinzioni cristiane. Indubbiamente maestro nel produrre bellezza, ma una bellezza che sbocciava dalla sua profonda spiritualità. Una bellezza avvertita come splendore del divino, che trovava sempre nuovi percorsi di realizzazione nella lettura assidua della Sacra Scrittura e della Divina Commedia. Il 31 ottobre 2012 sono stati festeggiati i 500 anni della fine della Volta della Cappella Sistina. Le immagini che la coprono sono espressione della fede di Michelangelo. E lo sono ancora in modo più palese quelle del Giudizio Universale. Vorrei soffermarmi su qualche particolare di questo capolavoro, a motivo del quale la Cappella Sistina è stata chiamata Scuola del mondo, e più recentemente, da Giovanni Paolo II, Santuario della Teolo-gia del corpo. Se la Volta esprime lo sbocciare del progetto di Dio sull’uomo, il Giudizio echeggia la sua Dirigenza Bancaria, n. 158, 2012 45 di Maria Angeles Vitoria* consumazione. Nei due affreschi, non è soltanto lo stile che cambia, a trasformarsi è stato soprattutto l’atteggiamento di Michelangelo. Nei trenta anni circa trascorsi dall’inizio della Volta all’inizio del Giudizio, diversi eventi avevano sconvolto la storia di quel periodo e la vita stessa della Chiesa: basti pensare alla ferita provocata dal sacco di Roma nel 1527, alla separazione attuata dalla Riforma luterana e al penoso episodio dello scisma anglicano. Queste e altre tribolazioni avevano scosso profondamente anche la vita di Michelangelo. Gli anni in cui dipinge il Giudizio (1536-1541) segnano l’inizio di un percorso di grande spessore spirituale. L’artista, consapevole di possedere una genialità non comune, si rende conto di aver sprecato il talento ricevuto nella ricerca della propria gloria, invece di coltivarlo a servizio degli altri. Così si esprime in una delle sue Rime2: Giunto è già ‘l corso della vita mia, con tempestoso mar, per fragil barca, al comun porto, ov’a render si varca conto e ragion d’ogni opra trista e pia. Onde l’affettuosa fantasia CULTURA E SOCIETÀ che l’arte mi fece idol e monarca conosco or ben com’era d’error carca E quel c’a mal suo grado ogn’uom desia3. Questa percezione suscitò in Michelangelo il timore che la passione per la bellezza e l’arte, l’ abbiano allontanato da Dio, invece di avviarlo verso un più profondo rapporto con Lui. Le favole del mondo m’anno tolto il tempo dato a contemplare Iddio Né sol le grazie sue poste in oblio, Ma con lor, più che senza, a peccar volto. Quel c’altri saggio, me fa cieco e stolto e tardi a riconoscer l’error mio. Manca la speme, e pur cresce ‘l desio che da te sia dal proprio amor disciolto. Ammezzami la strada, c’al ciel sale, Signor mio caro, e a quel mezzo solo salir m’è di bisogno la tuo ‘ita. Mettimi in odio quante ‘l mondo vale e quante suo bellezze onoro e colo. C’anzi morte caparri eterna vita4 Sono momenti in cui riflette sulla propria vita, ricorda la predicazione del Savonarola che tanto lo aveva colpito nella giovinezza. Poi, l’incontro e la profonda amicizia con Vittoria Colonna, che lo avevano avvicinato ad una concezione che vede la salvezza provenire dalla benevolenza di Dio, tanto che Michelangelo chiede a Dio la grazia per una rinascita spirituale, Né proprie forze ho, ch’al bisogno sièno. Per cangiar vita, amor, costume o sorte, senza le tuo divino e chiare scorte, d’ogni fallace corso guida e freno5 Peraltro con accenti di particolare tenerezza: Gl’ infiniti pensier mie, d’error pieni, ne gli ultim’anni della vita mia, ristringer si dovrien ‘n sol che sia guida agli eterni suo giorni sereni. Ma che poss’io, Signor, s’a me non viene coll’usata ineffabil cortesia?6 Al di là di questo, che rientra perfettamente nel quadro di una ermeneutica cattolica, mi sembra che l’opinione, che vede nell’ultimo Michelangelo un avvicinamento al protestantesimo, non abbia sufficiente fondamento. Michelangelo è sempre stato un cristiano sincero, seppur la sua fede è stata particolarmente sofferta nell’ultimo periodo della sua vita. Lui, che nella Volta aveva saputo esprimere, con tratti vigorosi, nella raffigurazione della creazione di Adamo ed Eva la più alta dignità dell’uomo, mettendo a fuoco la loro libera risposta alla chiamata di Dio, non solo scopre tardivamente la pienezza del senso della sua vocazione all’arte, ma si pone pure dei dubbi riguardo al vigore di una libertà capace, o meno, di far sinergia con la grazia divina nel raggiungimento della salvezza. In precedenza, com’è noto, l’artista vivrà ancora parecchi anni, e in questo tempo, quello che aveva negato a Dio, avrà Dirigenza Bancaria, n. 158, 2012 46 l’opportunità di affermarlo con una infinita contrizione materializzata negli incarichi ottenuta dopo il Giudizio, in particolare, nella direzione dei lavori per la costruzione della nuova Basilica di San Pietro e nelle ultime Pietà, la Pietà fiorentina e la Pietà Rondanini. A mio avviso, l’affresco michelangelesco del Giudizio lascia intravedere il problema della colpa e della grazia, della Giustizia divina, così diversa dalla umana. In definitiva, la questione del rapporto tra fede e opere. Nel dipinto possiamo identificare il Cielo, l’Inferno e il Purgatorio. Esso ci mette davanti agli occhi un verdetto nel quale contano le opere di chi è giudicato. Nei Libri sono contenuti i meriti e colpe. I dannati trascinano con se quello che è stato il motivo della loro rovina. Ne è la prova la figura dell’uomo in procinto di essere trascinato all’Inferno, che mostra in primo piano una borsa ricolma di monete; i beati, che godono in Cielo di massima felicità, mostrano, a loro volta, gli strumenti usati dai loro aguzzini. Al traguardo finale non si arriva, quindi, soltanto per grazia di Dio. Il Dio che ci da la grazia, è lo stesso a volere l’uomo veramente libero. E così, sempre all’interno del Mistero, possiamo intravedere come la Misericordia di Dio sia compatibile con l’esistenza dell’Inferno. Se le offese a Dio non fossero rilevanti, allora, con la stessa logica non lo sarebbero nemmeno le buone azioni. La grandezza dell’amore di Dio si manifesta proprio nella serietà con la quale prende in considerazione le azioni buone e cattive degli uomini. CULTURA E SOCIETÀ La Volta della Cappella Sistina (Foto © Musei Vaticani) L’esistenza dell’Inferno, che certamente è un mistero, dichiara fino a quale punto Dio ha preso sul serio la nostra libertà. Vorrei finire con un breve commento riguardo ai ritratti di Michelangelo presenti nell’affresco del Giudizio. A mio avviso rispecchiano la vicenda sul problema della salvezza, che travagliava il cuore dell’artista in quegli anni. Un primo ritratto, più visibile dopo il lavoro di pulitura, lo si trova nella zona della risurrezione dei morti. Lì vediamo emergere il volto di Michelangelo, che si fa strada tra le piegature del lenzuolo che copre lo scheletro di un uomo o di una donna. La faccia del Buonarroti è all’interno dello spazio circoscritto dall’uomo, che chiede aiuto per non essere trascinato dal dia- volo che lo ha afferrato con un lenzuolo, il Savonarola, che sta tirando fuori dalla terra la metà del corpo di un giovane rannicchiato la cui gamba è ancora imprigionata nella terra. Sappiamo che Michelangelo aspirava ad ascendere tra gli eletti per grazia di Dio. Po’ che non fusti del Tuo Sangue avaro Che sarà di tal dono la tuo cremenza, Se ‘il ciel non s’apre a noi con altre chiave?7 Sarà, forse, questo il motivo per il quale l’artista si è dipinto nel Giudizio sfiorando la terra, quasi come aspettando di essere condotto verso il Cielo? Il secondo ritratto, quello universalmente conosciuto, presenta il volto sfigurato di Dirigenza Bancaria, n. 158, 2012 47 Michelangelo sulla pelle scorticata di San Bartolomeo. Sembra che così l’artista abbia voluto infilarsi nel Paradiso quasi come attraverso una botola. Ma questa raffigurazione comunica, sopratutto, la necessità dell’aiuto degli altri, singolarmente di Dio, per salire alla sommità della felicità eterna. Finalmente, pure in Cielo, troviamo un terzo ritratto. Il volto di Michelangelo si affaccia dietro il legno della Croce caricata dal Cireneo. Lo si vede nell’angolo di quasi 90 gradi tracciato dalla parte superiore della traversa verticale con il braccio destro di Simone di Cirene. Michelangelo è lì, in Cielo, alla altezza di San Pietro Apostolo sebbene a maggiore distanza dal Cristo Giudice. Un particolare significativo è che in tutte le tre raffigurazio- CULTURA E SOCIETÀ considerato da lui il suo libro di vita cristiana, ha pensato a questa terzina nel tratteggiare le pennellate che hanno raffigurato, per ben tre volte, il suo viso nell’affresco che veste la parete principale della Cappella Sistina. Queste tre raffigurazioni presentano un aspetto particolare. In tutte e tre, Michelangelo guarda lo spettatore, quasi a invitarlo a leggere nel dipinto la meraviglia e la sorpresa dell’annuncio cristiano, che lui, grazie al dono ricevuto da Dio, è riuscito a plasmare avvicinando con arte forme e colori. Note Cfr. MONUMENTI, MUSEI E GALLERIE PONTIFICIE, Michelangelo e la Sixtina. La tecnica. Il restauro. Il mito, Fratelli Palombi, 1990; F. MANCINELLI, La Cappella Sixtina, Città del Vaticano 1993, pp. 66-95; MONUMENTI, MUSEI E GALLERIE PONTIFICIE (a cura di FABRIZIO MANCINELLI), Michelangelo. La Cappella Sistina. Documentazione e Interpretazioni, 3 vol (I: Tavole. La Volta restaurata; II: Rapporto sul restauro della Volta; III: Atti del Convegno Internazionale di Studio “Michelangelo. La Cappella Sistina”), Istituto Geografico De Agostini, Novara 1994 (co-edizione con la Nippon Television Network Corporation); MONUMENTI, MUSEI E GALLERIE PONTIFICIE, Michelangelo. La Capella Sixtina I: Documentazione sul restauro del Giudizio universale, Musei Vaticani – Istituto Geografico De Agostini, Novara 1999. 2 Per il testo delle Rime di Michelangelo vedi : MICHELANGELO BUONARROTI, Rime e Lettere (a cura di Paola Mastrocola), Utet, Torino 1992. 3 Rima, 285. 4 Rima, 288. 5 Rima, 293. 6 Rima, 286. 7 Rima, 289. 8 DANTE, Divina Comedia, Purgatorio X, 124-126. 1 S. Bartolomeo che tiene in mano la propria pelle con il volto sfigurato di Michelangelo (Foto © Musei Vaticani) ni, Michelangelo compare senza pennello, senza cuneo, senza scalpello: privo delle attrezzature di cui si è servito per realizzare la passione della sua vita. San Lorenzo, San Biagio, Santa Caterina, San Sebastiano, e tanti altri, compaiono, invece con gli strumenti che richiamano il martirio subìto o la missione che hanno svolto in vita. Con questo rappresentarsi privo di ogni attrezzo, non ha voluto forse indicare la funzione sub- ordinata dell’arte a quello che possiede valore eterno? Spesso nel guardare la sequenza di queste tre raffigurazioni, mi vengono in mente tre versetti della Divina Commedia, ben conosciuti da Michelangelo. Non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla che vola alla giustizia senza schermi8. Forse Michelangelo, lettore assiduo del poema dantesco, Dirigenza Bancaria, n. 158, 2012 48 *Docente di Filosofia. Pontificia Università della Santa Croce.