la rivistaGHOO¶Arte Speciale Kamau Brathwaite

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la rivistaGHOO¶Arte Speciale Kamau Brathwaite
Speciale Kamau Brathwaite
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Andrea Gazzoni
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Con Kamau Brathwaite
Ringraziamo Kamau Brathwaite per averci donato i testi inediti (anche in lingua originale) New
Year Midnight Poems, Nest, Calabash e Song, e per averci dato preziosi consigli nella traduzione
della poesie già edite Retamar e Word-Making Man. Queste nostre versioni ci risultano essere le
prime della poesia di Brathwaite pubblicate in italiano, e ci auguriamo che presto possano aggiungersene altre, e più corpose. Dopo aver presentato ai lettori il “linciaggio culturale” che sta colpendo il poeta e i suoi archivi materiali e spirituali, personali e collettivi, offriremo un profilo sintetico
della sua opera, per concludere con alcune considerazioni sulla poetica di amicizia transculturale
che contrassegna Retamar e Word-Making Man, dedicati rispettivamente ai cubani Roberto Fernández Retamar e a Nicolás Guillen. A questo sentire, che è anche una forma di lettura e che nulla
ha a che fare con facili sentimentalismi, vorremmo invitare chi legge KB.
1. Cultural Lynching
«Gli oppressi / sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli / parlano nei telefoni, l’odio è
cortese, io stesso / credo di non sapere più di chi è la colpa». Dopo cinquant’anni le parole di Franco Fortini in Traducendo Brecht ci porgono ancora uno specchio lucido e terso del nostro arrenderci quotidiano alla presunta inevitabilità dell’ingiustizia: la accettiamo, la nutriamo, la dimentichiamo restando tranquilli, dentro la nostra suadente società dello spettacolo. Forse non siamo ancora
come il personaggio di Calibano che, alla fine della Tempesta di Shakespeare, dopo gli “spettacoli”
di Prospero, accetta tranquillo il suo ruolo servile di indigeno colonizzato? Eppure c’è chi di Calibano, servo e mostro indocile, ha raccolto tutta quella potenza rivoluzionaria che Shakespeare poté
intercettare solo in parte, confusamente, quasi incoscientemente. Per alcuni grandi poeti e intellettuali dell’arcipelago dei Caraibi, luogo dove oppressione significa da secoli colonialismo o neocolonialismo, ritrovare l’anima di Calibano è stato un passaggio decisivo per strappare oppressori e
oppressi alla loro tranquillità, traducendone l’insopportabilità. Lo ha fatto il cubano Roberto Fernández Retamar con il suo saggio di lotta transculturale Calibano (1971)1, lo ha fatto il martinicano
Aimé Césaire con Une tempête (1969)2, adattamento della Tempesta “per un teatro negro”, lo ha
fatto Kamau Brathwaite, da Barbados, facendo di Calibano una delle figure più complesse e sor-
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prendenti dell’alterNative (l’oppresso che rivendica a se stesso la sua esistenza prima negata o subordinata)3.
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Dopo mezzo secolo di attività che lo ha portato a divenire una delle grandi voci della poesia mondiale, oggi Brathwaite ha incontrato di nuovo l’oppressione in una forma post-coloniale antica e
nuova allo stesso tempo, chiamandola con il nome di cultural lynching.
Per “linciaggio culturale” intendo una versione artistica/intellettuale/spirituale/emozionale dell’impiccagione/rogo/castrazione di migliaia di neri, per lo più uomini, che ebbe luogo negli Stati Uniti nel periodo della
“Ricostruzione” post-schiavitù. L’idea era di depredare pubblicamente e collettivamente la gente nera della
propria dignità e dei propri sforzi per emergere dalla “inferiorità” che ci era stata assegnata – permanentemente, si sperava – durante la schiavitù4.
È Brathwaite stesso l’oggetto di questo linciaggio che, colpendo un singolo, propaga la sua violenza a tutta una cultura. A venire linciati nel poeta sono l’archivio e il paesaggio, questi due custodi
della memoria collettiva che, sommersa in secoli di storia coloniale e sgretolata dal tranquillo colonialismo culturale del nostro tempo, non ha ancora la sua “biblioteca di Alessandria”, né ha una
terra per celebrare e rinnovare sé stessa, nella continuità di legami che intesse tra vivi, morti e nonnati. Due sequenze di fatti in due luoghi diversi compongono il linciaggio.
A New York, in Washington Square. Dal 2005 l’archivio personale di Brathwaite, nel suo appartamento presso la New York University, dove è membro del dipartimento di Letteratura Comparata,
è stato poco alla volta privato di vari oggetti, misteriosamente, senza che sia stato possibile ricostruire i furti e individuarne i responsabili. Mancano oltre mille pezzi tra registrazioni, manoscritti,
supporti elettronici, premi, libri, riviste, lettere, carte private, tutte parti spesso insostituibili di una
memoria vivente della cultura caraibica, in particolare di quella evoluta attraverso/nonostante l’oppressione schiavista, coloniale, neocoloniale5. Gli stessi materiali di lavoro per i corsi che sta insegnando e i libri che sta scrivendo vengono sottratti, nell’indifferenza o nella diffidenza dell’imperturbabile accademia, che lascia il poeta quasi del tutto solo, costringendolo infine, nel 2011, al
pensionamento. È come se qualcuno volesse distruggere non solo il poeta ma tutto il suo lavoro e
tutta la cultura che lui ha attraversato ed è riuscito a tenere assieme in una vita. Chiediamoci allora:
che cosa facciamo per chi porta con sé la memoria di una cultura che, nella nostra tranquilla oppressione, riteniamo “inferiore” o perfino “non necessaria” perché indigeribile dalla cultura dominante dell’Occidente? Come reagire alla sottrazione, a una poeta e a una cultura, del loro
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«palenque – il circolo protettivo necessario naturale più spesso costruito», intorno al loro «oumfô –
lo spazio segreto sacro viven-/operan-/te»6?
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A CowPastor, Barbados. Sulla sua isola natale Brathwaite ha acquistato un terreno per costruire un
centro per studiosi e artisti e per reimpiantare e rendere a tutti disponibile finalmente quella
“biblioteca d’Alessandria” che ha portato sempre con sé dopo la distruzione della sua casaarchivio in Giamaica, a seguito di un uragano nel 1988. Secondo Brathwaite fino al 2000, prima
dell’intervento del governo della Barbados, che per costruire una strada di collegamento con l’aeroporto ha rimosso tutto il bestiame che viveva tutt’intorno, CowPastor era uno dei posti più incantevoli dell’isola, un «Serengetti» di pascoli e pace, «un sito sacro»7. Lì nel 1999 Brathwaite ha la
visione/illuminazione della schiava Namsetoura, apparsa mentre egli tentava di fotografare un ragno e una ragnatela con una macchina fotografica che si guastava puntualmente al momento dello
scatto. La narrazione si trova nei Namsetoura Papers:
Così torno indietro e faccio altri scatti insiste. dopo di che l’intero prezioso autofocus SI SPACCA come se
io avessi un attacco di cuore o qualcuno mi stesse maledicendo E intanto Chad [l’attuale moglie di KB] diceva che correva a prendere la vecchia piccola camera Kodak per provare leistessa qualche scatto ed è da
questa scatola che otteniamo questa im. magi. ne non di ragni o ragnatele. ma questo. l’unico scatto di un
intero rullino di neri e vuoti di pellicola. questa Namsetoura. ed è lei. leistessa. che scrive a me questa poesia8.
La foto, dove al posto del ragno appare il volto della donna, è quella posta sulla copertina del libro
Born to Slow Horses, nel quale è inclusa anche la poesia “dettata” da Namsetoura, che rimprovera
aspramente il poeta e lo spinge a lottare per custodire la memoria del luogo9. Difatti il terreno, secondo gli archeologi, ricoprirebbe un antico cimitero degli schiavi, probabilmente l’unico di tutta
l’isola al tempo della schiavitù10. Con la “visitazione” di Namsetoura Brathwaite “vede” una volta
di più la persistenza profonda della sua cultura, traducendola con tutta la responsabilità e la radicalità di visione del poeta che nella “parola”, nella sua etimologia, vede i movimenti stessi che generano la “cosa”: «Nam è un concetto della mente che è all’opposto della mente dell’uomo [man],
man detto a rovescio, e nam VLJQLILFDDQFKHXQRVSLULWRLPSHULWXURFRVuman è una deformazione
di nam. E Namse è una versione di Anansi il Ragno. Così il ragno è parte del Nam e il Nam è parte
del Ragno. E toura è un modo di raccontare storie»11. Anansi era una divinità del popolo Akan (in
Ghana), un ragno-trickster sopravissuto nell’oralità folklore caraibico come briccone astuto, maschera di una cultura ancestrale che deve sopravvivere nascosta e deformata nella vita in schiavitù12.
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Queste e altre connessioni mitopoietiche che proliferano intorno al terreno di CowPastor illuminano tutta la ecologia poetica di Brathwaite (intendendo con “ecologia” non solo l’ambiente fisico
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ma tutte le dimensioni e relazioni che in esso si intrecciano). La sua mobilitazione, che dal 2004 si
è attivata soprattutto attraverso internet e che non è ancora riuscita a fermare le operazioni del governo, ci colpisce essa stessa come poesia13. Per noi noi oppressi tranquilli, illusi che la nostra cultura stia anch’essa tranquilla, depositata in libri, biblioteche e musei, è possibile cogliere la destabilizzante energia che Brathwaite raccoglie e rielabora nonostante/attraverso la mancanza o sparizione della sua cultura, priva delle strutture di conservazione che in Occidente ci paiono così
“naturali”? Il compito di co-operare a ricreare le condizioni di un equilibrio eco-culturale (o amicizia transculturale) tra i nostri mondi è tutto davanti a noi.
2. Grandezza di un poeta
Parte di quella generazione di scrittori che ha fondato e reinventato la letteratura dei Caraibi anglofoni (insieme ad autori come Derek Walcott, V.S. Naipaul, Wilson Harris, Sam Selvon e George
Lamming), Kamau Brathwaite ha elaborato una delle più originali poetiche di decolonizzazione
della lingua e dell’immaginazione, portando il linguaggio a trasformarsi in musica e visione per
esplorare la storia, la memoria, le distruzioni, le rinascite, i riti, i miti, il paesaggio, la vita quotidiana e l’immaginazione del suo arcipelago. Il “regno di questo mondo”14 per Brathwaite è un continuum che va dalle galassie a spirale alle spirali dell’utero descritte dal dogon Ogotemmêli15, dagli
spettri dei non-nati alla vita interna alle parole, dalla voce inarticolata allo schermo luminoso dei
computer, dall’universo einsteniano al battito dei tamburi di Shango: è il realismo magico di un
cosmo allo stesso tempo arcaico e modernissimo (Magical Realism è appunto il titolo del capolavoro critico di Brathwaite, quaderno di lavoro e al contempo summa dell’immaginazione transculturale). Dal nucleo centrale dell’esperienza afrocaraibica fino ai ritmi comuni dell’arcipelago caraibico e dell’arcipelago-mondo, Brathwaite ha espanso sempre più la sua scrittura secondo quel ritmo di innalzamento e abbassamento della marea (in inglese tide) che lui stesso ha chiamato tidalectics: «versione caribb dell’inter-<azione percettiva/xperienziale: soggetto-oggetto-orizzonte. differisce dalla dialettica nel suo principio di ritorno e la sua relazione al moto d’ond(a)/equilibrio»16.
Nulla di questo immenso lavoro poetico/storico/critico è giunto finora in Italia, se non qualche eco
isolata e fioca17. Questa piccola scelta di poesie ospitata da «Kuma&Transculturazione» vuole offrire ai lettori italiani una prima occasione per conoscere un poeta da tempo divenuto un classico
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per chi studia le letterature postcoloniali18, vincitore di riconoscimenti importanti come i premi
della Casa de las Américas per la saggistica e la poesia, il Griffin Poetry Prize e il Neustadt Inter155
national Prize for Literature19.
3. Profilo di Kamau Brathwaite
Nato nel 1930 a Bridgetown, capitale di Barbados, come molti suoi coetanei cresciuti sotto l’impero britannico Edward Brathwaite (cambierà il nome di battesimo in Kamau più avanti negli anni)
ebbe l’occasione di trasferirsi in Inghilterra con una borsa di studio, per laurearsi in storia a Cambridge. In seguito, dal 1955 al 1962 fu in Ghana lavorando come Education Officer, proprio negli
anni in cui il paese passava dal colonialismo all’indipendenza sotto la guida di Kwame Nkrumah.
Questo periodo africano fu decisivo per la poetica di Brathwaite, suggestionata del modernismo
ma ancora in cerca di un’espressione propria, insoddisfatta dalla sensazione d’essere «un potenziale afro-sassone» senza radici, fino al lento imporsi della consapevolezza della presenza dell’Africa
nella cultura dei Caraibi, in relazione sommersa ma ininterrotta che ha continuato per secoli a legare i due continenti congiunti e divisi dal Middle Passage (la deportazione di milioni schiavi nelle
Americhe)20. Con indagine di storico e con visione di poeta, Brathwaite arrivò a comprendere e a
ricostruire il nucleo vitale di una cultura africana sopravvissuta ed evoluta nella popolazione dei
Caraibi, sebbene del tutto trascurata se non disprezzata dalla cultura ufficiale e coloniale, tutta rinchiusa dentro i fasti della Great Tradition europea. Ad essa Brathwaite ha fin da allora contrapposto con radicalità la little tradition conservata nella lingua, nella vita quotidiana, nei riti e nella religione degli afrocaraibici, eredi dell’energia e della memoria, nonché misconosciuto motore del
lungo processo di creolizzazione della società caraibica. Brathwaite ricominciò su queste basi il
suo percorso, da una parte con il ritorno in Inghilterra per conseguire un dottorato alla Sussex University con la ricerca storica The Development of Creole Society in Jamaica 1770-1820)21, d’altra
parte con un decisivo lavoro di organizzazione culturale insieme ad altri artisti ed intellettuali caraibici, fondando con Andrew Salkey e John La Rose il Caribbean Artist Movement, uno straordinario luogo di raccordo, elaborazione e sperimentazione per la cultura delle West Indies che rinasceva tra l’arcipelago e Londra. Più tardi, quando sarà alla University of West Indies a Mona, in
Giamaica, Brathwaite continuerà la sua militanza culturale fondando la rivista «Savacou» e l’omonima casa editrice, fondamentali per il dibattito culturale di quegli anni, e spendendo senza riserva
le proprie energie per mettere in contatto scrittori anglofoni, ispanofoni e francofoni dell’arcipela-
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go, nella consapevolezza di lavorare per la formazione di una coscienza comune che possa abbracciare tutte le differenze delle isole. Le riflessioni e la poetica di Brathwaite, a loro volta, diverran156
no presto un riferimento per i più grandi intellettuali e pensatori caraibici della sua generazione, da
Édouard Glissant a Roberto Fernández Retamar.
La pubblicazione dei tre poemi Rights of Passage (1967), Masks (1968) e Islands (1969), poi raccolti in un unico volume intitolato The Arrivants: A New World Trilogy (1973), fu un evento decisivo per la letteratura dei Caraibi. Rights of Passage è un itinerario nella diaspora nera, costruito
sui ritmi della musica afroamericana e afrocaraibica (jazz, blues, ska, calypso), che scandiscono le
WUDVIRUPD]LRQL GHO SRSROR QHUR OXQJR LO VXR LQFHVVDQWH HVRGR QHO PRQGR PRGHUQR Masks è una
discesa nell’Africa prima della Tratta degli schiavi, tra riti ed immagini che prefigurano tanto la
FDWDVWURIHDYHQLUHTXDQWRODVRSUDYYLYHQ]DIXWXUDQHO1XRYR0RQGRIslands, infine, riscopre le
tracce e lo spirito di quell’Africa dimenticata dentro il paesaggio, i riti, i corpi e la psiche dell’arcipelago, ricomponendo i frammenti in una nuova visione volta al futuro: «ora si svegliano / fanno //
fanno / con i loro // ritmi qualche / cosa di lacero // e nuovo»22. Tra echi di Eliot e Césaire, della
Bibbia e delle recenti ricerche etno-antropologiche sulle culture africane, con la trilogia Brathwaite
ha messo a punto una lingua multiforme capace di far risuonare tutti i ritmi e le sonorità del Black
Atlantic in uno spettro amplissimo di variazioni, dentro al quale diviene sempre più centrale il nation language, ovvero l’inglese creolizzato parlato dagli afrocaraibici. Quasi mai semplice riproduzione del parlato, il nation language della poesia di Brathwaite diviene sempre di più un mezzo di
scavo e di esplorazione della storia e della geografia per giungere a quel movimento generatore
che tiene insieme le isole e le loro differenze, dentro un’unica vibrazione e un’unica catastrofe
(«l’unità è sottomarina», dirà con riferimento agli schiavi gettati in mare, ma anche pensando al
collegamento subacqueo con l’Africa perduto, quella che nel voodoo è la remotissima Guinée)23.
La nascita dell’arcipelago, per esempio, può essere pensata come il battito di un ritmo che si propaga, come leggiamo in Calypso, la poesia che per Brathwaite segna il primo punto di svolta del
suo lavoro:
Il sasso aveva fatto un salto un arco e fiori che erano isole
Cuba e Santo Domingo
Giamaica e Puerto Rico
Grenada Guadalupe Bonaire
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il sasso curvo fischiava dentro lo scoglio
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l’onda i denti piantava dentro la creta
la schiuma bianca brillava dentro gli spruzzi
Bathsheba Montego Bay
in fiore lungo l’arco le estati …24
/HLVROHVRQRFUHDWHGDXQVDVVRJHWWDWRFRPHJLRFDQGRDULPEDO]HOORFRQXQULWPRFKHqTXHOORGHO
calypso, ogni rimbalzo lungo l’arco che saranno i Caraibi fa nascere un’isola. La poesia di Brathwaite si configura allora nella sua singolare sperimentalità25 come una ricerca delle forme più adatte per dire il movimento dell’arcipelago, la sua energia, la sua memoria, la sua psiche piena di faglie e linee di rottura e ricomposizione.
Parte di questa poetica è anche l’aggiunta, al nome di battesimo Edward, del nome “Kamau”, assegnatogli in Kenya dalla nonna del romanziere NgNJgƭ wa Thiong’o26. Più che un nome [name] questa per Brathwaite è la scoperta del suo nam, parola che, come abbiamo visto con Namsetorua, indica un nucleo vitale che persiste nonostante le distruzioni. Nam è
non solo l’atomo/anima ma l’indistruttibile sé/senso della cultura in crisi. il suo significato comprende parole-radice da molte culture (con il significato di “anima”, ma anche (per me) uomo [man] sotto mentite
spoglie (man scritto alla rovescia)), e la parte principale [main] o la criniera [mane] del nome [name] dopo
che la debole e RFRGDqVWDWDGLYRUDWDGDOFRQTXLVWDWRUHODVFLDQGRODYLWDa/alfa) protetta dalle consonantimacigno n e m. nel suo futuro, nam è capace di esplosione atomica: nam... dynamo...dynamite... e apoteosi:
nam...nyam...onyame...27
Nei nomi come nel paesaggio, nelle etimologie come nella musica, nella memoria come nell’oblio,
il Brathwaite poeta (insieme al Brathwaite storico, che diviene sempre più poeta affinando le sue
capacità di visione) percorre tutta la realtà, dalla cronaca al mito, alla ricerca di questo nucleo. Abbiamo allora i poemi della seconda trilogia, poi raccolti nel 2001 con il titolo Ancestors28. Il primo,
Mother Poem (1977), ruota intorno alle figure femminili dell’isola di Barbados e della famiglia del
poeta, mentre il secondo, Sun Poem (1982), è dedicato a quelle maschili. Con il terzo capitolo, X/
Self (1987), arriviamo al punto di concentrazione e di esplosione di questo mondo, dove l’esperienza del soggetto caraibico si riscopre dentro trame storiche e geografiche allucinate in una luce catastrofica e apocalittica. Come annunciano i primi versi della poesia Salt («Roma brucia / e la nostra
schiavitù comincia»)29, un movimento a spirale, come un unico sisma psico-storico, porta dalla ca-
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duta dell’ordine del mondo antico alla schiavitù coloniale che inaugura il mondo moderno.
158Con X/Self abbiamo anche i primi tentativi di una scrittura che sfrutta le possibilità graficovisuali offerte dal computer e che viene denominato Sycorax Video Style, in omaggio alla madre
di Calibano nominata, ma non rappresentata, da Shakespeare30. Differentemente da tanta letteratura suggestionata dalla tecnologia, Brathawaite utilizza il computer come se fosse un medium
che apre strati nascosti e ancestrali della parola, quelli dove giace la strega Sycorax appunto,
producendo una sorta di video-glifi che vanno al di là della stessa opposizione ormai scolastica
tra tecniche di oralità e di scrittura31.
Poesia, prosa e saggio diventano inestricabili in partiture grafiche che dilagano nei testi di quello
che Brathwaite ha chiamato il suo Time of Salt, segnato da tre eventi personali che produrranno
altrettanti dolorosi testi: nel 1986 la morte della moglie Doris (The Zea Mexican Diaries: 7 Sept
1926 – 7 Sept 1986), nel 1988 il passaggio in Giamaica dell’uragano Gilbert, che distrugge la
casa del poeta e compromette irreparabilmente i suoi archivi (Shar: Huricane Poem), nel 1990
l’aggressione subita da Brathwaite nel suo appartamento a Kingston (Trench Town Rock)32. Lo
stile Sycorax si arricchisce e si intensifica nei prosepoems di Dreamstories33 e nelle due grandi
ricapitolazioni poetico-critiche affidate a Barabajan Poems e ConVERSations with Nathaniel
Mackey34, due libri in cui rielaborando rispettivamente una conferenza e un’intervista, con inserzioni di poesie, riflessioni, testimonianze biografiche, Brathwaite riesce nell’impresa di offrire
due summae della sua cosmografia epica portandosi completamente al di là della categoria di
genere o forma (letteraria o saggistica). Dal Time of Salt intanto la scrittura di Brathwaite esce
mutata: la persona dello scrittore che sembrava identificare la sua voce con il coro della cultura
caraibica, dissolto come individuo dalle molteplici voci e figure della sua poesia, emerge ora come centro – dolorante o euforico – del discorso. Il nome del poeta, come il suo corpo, si porta
con il suo movimento balbettante dentro al flusso vitale della tribù: «K/Ka/Kam/Kama/
Kamau / too sacred [troppo sacro] = scared [spaventato]»35. Riportiamo questa etimologia del
nome da Barabjan Poems)36, come esempio della scrittura Sycorax di Brathwaite e del suo strutturarsi, sia nella pagina che nell’intero volume, come un ipertesto o, per meglio dire, un testoarcipelago:
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All’inizio degli anni Novanta Brathwaite lascia la Giamaica e si stabilisce a New York, dove insegna presso il dipartimento di Comparative Literature della NY University. Questo periodo della
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sua vita, che egli ha chiamato post-Salt, vede nuovi libri di poesia come Born to Slow Horses, che
include Hawk, un toccante poemetto composto sulle note di Body and Soul di Coleman Hawkins
per commemorare le vittime degli attentati dell’11 settembre 2001 a New York: il lutto sembra
attraversare tutta la violenza del mondo concentrata in un breve spazio, fino a sfociare in un mesto
canto d’amore per i perduti e per chi ancora vive. Questa mescolanza di sentimenti segna anche
l’ultima raccolta edita di poesie di Brathwaite, Elegguas37, libro fin dal titolo sotto il segno dell’elegia e di Eleggua, la divinità yoruba delle soglie e degli incroci.
Questi stessi anni sono fecondi anche dal punto di vista dell’insegnamento, nonostante l’isolamento di Brathwaite dentro all’accademia. Del suo approccio all’insegnamento ha detto:
«Insegnare è una poesia. Ogni volta che insegno è un’altra poesia che sto scrivendo, ma spesso
questo mi impedisce di scrivere la poesia, perché la sto insegnando! Il corso che insegno rispecchia in modo crescente regioni di poesie < quelle in cui mi trovo. I miei studenti […] lo apprezzano nel senso che è una cosa >> coerente e organica, anche se potrebbero non essere sicuri fino alla
fine del semestre perché è così»38. Testimonianza massima di questo lavoro sono i due volumi di
MR/Magical Realism, che nasce dai materiali dei corsi tenuti alla NYU e si estende come una
mappa non-lineare che segue le fratture e le linee di forza del cosmo magico-realistico generatosi
nei Caraibi e nelle Americhe dalla modernità ad oggi, a partire dalle espansioni geografiche e dal
colonialismo.
Da metà dello scorso decennio comincia quello che Brathwaite ha chiamato The Second Time of
Salt. È il tempo del cultural lynching, che aggrava il progressivo isolamento che sta tuttora colpendo Brathwaite come poeta, in difficoltà persino a pubblicare i suoi nuovi testi, sempre scritti in
Sycorax Video Style. Costretto alle dimissioni dalla New York University, Brathwaite è tornato a
CowPastor, a Barbados, come ritornando alla “Piantagione”. Nonostante queste amare vicende lo
abbiano piegato nel fisico e ancora di più ferito nello spirito, il poeta è tuttora straordinariamente
lucido e creativo, in quello stato di visione acuita che forse è attinto solo da chi si trova a confronto con tutta la propria fragilità come individuo e come parte di una cultura. Il poeta epico sembra
ora andare avanti senza più il coro del suo popolo, ma ascoltandolo/leggendolo sentiamo che la
sua voce indebolita è tutta popolata, come per uno di quei salti che solo lo “stile tardo” dell’età
avanzata rende possibili.
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Un suo messaggio di posta elettronica recente, accompagnato da due nuove poesie brevi, recita:
«L’agonia e il miracolo di questa carême. scrivendo poesie che non avevo mai sognato prima per161
ché non sono più quello che ero prima. Ma guardate queste “File di piante di mais” e questa
“Chiesa” ora. tentando di tenere la testa sopra l’acqua mentre divento più basso. <<>> 1 luglio
2012, quasi mezzogiorno, c/le prime pioggie dell’harmattan su di noi»39. Come nelle poesie del
tempo del cultural lynching tradotte per questo numero di «Kuma&Transculturazione» (New Year
Midnight Poems, Nest, Calabash, Song), vi risuona tutta la fragilità che, pure indebolendo il corpo,
porta la mente e il cuore e la lingua verso illuminazioni, abbandoni e visioni ulteriori. Un inedito
datato 29 giugno 2012 (An early Sunday Morning Poem) ha questo intraducibile verso, da leggere
nell’eco della struggente homelessness della poesia Nest (Nido):
the house has lost its home tho not its hoom
Per comprendere meglio, ricaviamo da Magical Realism una etimologia/definizione del neologismo hoom (casa [home], condanna, rovina [doom], buco [hole], ma anche la m di nam…):
la casa [home] divenuta spirito e come capsula. capace di sopravvivere al trapianto [nella piantagione:
transplantation] c/cultura intatta e/o capace di adattamento resposabile nel nam o memoria maroon
dell’Antenato. l’oumfô è l’e/laborazione infinita del hoom in un popolo/spirito continuo di spazio/<tempo
per “adorazione”/comunicazione - <essenzialmente una negoziazione di equilibrio40.
Le poesie ultime di Brathwaite traducono questa nuova vibrazione in un canto che si fa sommesso
ma non si spegne, nel saliscendi della tidalectics del mondo.
4. Retamar e Uomo fabbricaparole: per l’amicizia transculturale
Oltre alle poesie inedite, traduciamo per «Kuma&Transculturazione» anche due poesie meno recenti, Word-Making Man (1979) e Retamar (2002). Le abbiamo scelte in quanto entrambe poesie
amicali, che omaggiando due grandi scrittori cubani cantano un’amicizia che si stende attraverso
l’arcipelago caraibico come forma di una relazione non solo personale ma culturale.
Prediamo l’inizio di Word-Making Man, con quell’attacco formale in «sir» che subito si contraddice per passare alla vicinanza di «compañero», rivolgendosi a Guillen con le parole stesse di una
sua poesia, Tengo (Io ho): «Io ho, vediamo un po’, / ho il piacere di andare / (è solo un esempio) /
in un banca a parlare con l’amministratore, / non in inglese, / non dandogli del signore / ma dicen-
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dogli compañero come si dice in spagnolo»41. Brathwaite comincia la sua poesia traducendo e ri162
modulando la poesia di Guillen per trovare il ritmo di una lingua in comune – non nel senso di una
lingua effettivamente parlata da entrambi ma in quanto lingua che congiunge, mette in relazione e
restituisce all’interlocutore la propria lingua in una versione differente (ricordiamo, a sottolineare
come tutto sia un movimento traduttivo, che Brathwaite a sua volta legge Guillen dell’antologia
bilingue Man-Making Words)42. Se scendiamo ancora di più nei particolari, con un occhio al testo
di Guillen, possiamo accorgerci che Brathwaite non solo cita ma prende una parola, un frammento, per intesservi intorno una diversa costellazione, fedele tuttavia a quella dell’originale, per rendere il poeta cubano un compagno, un amico in traduzione lungo tutta la poesia.
Così tutte le altre citazioni da Guillen, sia quelle tra virgolette che quelle immerse nel flusso del
testo di Brathwaite, contribuiscono a creare questa atmosfera condivisa all’interno della quale appaiono storie e personaggi che sono come un’eredità comune, alcuni già cantati da Guillen (come
Emmet Till o Martí), altri introdotti da Brathwaite stesso (il sassofonista John Coltrane, la divinità
Xangô). Allo stesso modo Brathwaite riprende gli indovinelli (Adivinanzas) di Guillen43 con tre
distici che si concludono con il passaggio alla prima persona plurale (assente in Guillen), rinforzata come relazione/traduzione dalla forma usata dai rastafariani, I-and-I: «who is it’ who is not? /
the negro // who is it? who is not? / my hunger // who i sit? who is not? // i&i talkin to ya». Da
qui in avanti, come se Brathwaite avesse introdotto un nuovo motivo, la poesia si popola di pronomi e aggettivi possessivi di prima persona plurale, fino all’ultima splendida terzina dove il verso
«now mine forever & so yours, amigo», dopo aver espresso il “mio” e il “tuo”, fa culminare la
poesia, tutto il suo movimento, nella parola in spagnolo che dice l’amicizia, poi prolungata nel
verso seguente contratto al solo pronome «ours», prima dell’ultimo verso che si espande fino
all’orizzonte e al cielo. Questo modo di costruire il ritmo del testo, convocando la parola amigo
solo alla fine (ma preparata due versi prima dall’inglese «friend»), la rende carica di tutto quello
che è passato per la poesia (storia, vita privata, politica, letteratura,musica, paesaggio, lingue,
ecc.): amigo diventa una parola radiante, chiave dell’omaggio a Guillen, a Cuba e a tutto l’arcipelago44.
Ma occorre anche aggiungere il riverbero della terzultima strofa («together we say wind / […] together we say fire»), con una straordinaria rievocazione/variazione di un passo del Cahier d’un
retour au pays natal di Aimé Césaire: «Dirò tempesta. Dirò fiume. Dirò tornado. Dirò foglia. Dirò
albero. Sarò inumidito da tutte le rugiade»45. Con il suo genio traduttivo e amicale, Brathwaite fa
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diventare il Je di Césaire un «insieme noi», così che anche Césaire si unisce al coro dei poeti, che
riunisce così tutti i Caraibi: anglofoni, ispanofoni, francofoni. E ricordiamoci infine anche che Bra163
thwaite lesse questa poesia alla Carifesta del 1979, a L’Avana, nello stadio “José Martí”, alla presenza di Guillen stesso e di Fidel Castro. L’uditorio che ben conosceva la vita e le poesie di Guillen (che usava recitare e discutere con il pubblico i suoi testi) ed era pronto a cogliere il gioco di
richiami in Word-Making Man, andrà immaginato come un moltiplicatore e propagatore dell’amicizia modulata da Brathwaite.
Con Brathwaite a L’Avana c’era allora Roberto Fernández Retamar, che lo aiutava con la traduzione spagnola. Retamar, critico e poeta cubano46, aveva già conosciuto in precedenza il lavoro di
Brathwaite, citando nel suo grande testo su Calibano proprio la poesia Caliban, significativamente
dedicata a Cuba: «All’Avana quella mattina […] Era il due dicembre millenovecentocinquantasei, / Era il primo agosto milleottocentotrentotto. / Era il dodici ottobre millequattrocentonovantadue. […] Quante esplosioni, quante rivoluzioni?»47. L’amicizia di Retamar e Brathwaite diviene
poesia, in maniera differente per certi versi da quanto era accaduto con Guillen. In Retamar il discorso si svolge sull’onda della memoria di una frequentazione personale rievocata con gioia e calore. Come in Word-Making Man l’amicizia porta nella sua scia tutta una cultura che è evocata con
parole, nomi di persona, toponimi, cibi, bevande, musiche, paesaggi, in un’oscillazione storica che
va dai nativi precolombiani Taino fino all’embargo degli anni Novanta contro Cuba. Il realismo
magico di Brathwaite vede africani che attraversano l’oceano, Cervantes pronto a salpare per i Caraibi, Martí sovrapposto con il mambo, gli spettri dell’Atlantico entrare in casa di Retamar, e così
via, dandoci uno splendido esempio di come l’amicizia transculturale sia un modo straordinario di
connettersi ed espandersi attraverso la condivisione, la prossimità e l’empatia che provengono da
una consapevolezza di quanto è - o può essere - in comune (ancora, come nella poesia per Guillen,
il “nostro” arcipelago si manifesta con il possessivo: «the sea . / bearing our islands»).
L’amicizia tra due poeti è l’emblema del mondo aperto e rinnovato che può uscire dal meticciato e
dalla creolizzazione delle Americhe. Retamar, difatti, in Calibano si richiama più volte a quella
che Martí chiamava «nostra America meticcia»: si noti ancora il possessivo, che sotto l’effetto
dell’aggettivo “meticcia” viene liberato da quella chiusura, da quell’autismo culturale che così
spesso, ad ogni latitudine, poggiano sull’ambiguità includente/escludente del noi. Meticcia - ovvero mista e aperta – è la poesia Retamar, sia nella lingua (inserti spagnoli, neologismi, ecc.) sia nelle
immagini, unico modo per chiamarci alla solidarietà e all’azione, come Brathwaite dice della figlia
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di Retamar. Ancora in analogia a Word-Making Man potremmo dire che tutta la poesia tende a
questo momento conclusivo, in cui la verità dell’agire si staglia sulla tidalectics del mare, su e giù
164
senza fine («rises & falls & rises / nvr ends its effortless»).
Quanto cerca di contenere questa nostra espansione è parente del colonialismo ricordato nella poesia. Si noti in particolare l’immagine della scatola (box), che prima rinchiude Cervantes («boxed in
by centralizing Spain»), poi inscatola e vende la bauxite giamaicana («box- / ite») e le banane delle
piantagioni («the clatter of banana boxes»). Torniamo un’ultima volta a Magical Realism, per cercare una definizione di BOX nella poetica di Brathwaite: «segno e simbolo di/per la Piantagione
mercantilista (che modifica e < reifica). specialmente im/piegata nel suo settore anglicano di trasporto e vendita», nonché «forma (anti-<anima)»48.
Fuori dalla scatola c’è la mente comune di Brathwaite, Retamar, Guillen, con il loro arcipelago e
con noi tutti. Per questo “amicizia transculturale” è amicizia portata oltre il ristretto cerchio della
propria esistenza biografica. Retamar si conclude infatti con un verso che ci dice bene quel che in
Word-Making Man era I-and-I: «i feel to you so near me and so friend», parole apparentemente
semplici che però, dopo tutta la poesia, si muovono per tracciare mondi o costellazioni di senso.
Non sono più parole o menti “statiche” ma incroci, come accade nella poesia Angel/Engine alla
donna posseduta dal dio Shango durante una cerimonia cristiana: «la mia testa è una croce / è una
croce- // via»49.
In uno scambio di email Brathwaite mi scrive che «friend» nell’ultimo verso di Retamar per lui
diventa come un verbo attivo: «amico è una vibrazione sismica che noi sentiamo attraverso/per
tutto l’arcipelago – ecco perché lo chiamo verbo attivo» (19 luglio 2012). Praticare l’amicizia
transculturale, leggerne la poesia, è quest’arte del ricevere e propagare le onde del sentire, per metterle «lì dove sta la ferita» (Retamar).
Contro il linciaggio culturale, questa amicizia.
Cesena, 31 luglio 2012
1
Tradotto in RETAMAR ROBERTO FERNÁNDEZ, Calibano. saggi sull’identità culturale dell’America Latina,
Milano, Sperling e Kupfer, 2002.
2
CÉSAIRE AIMÉ, Une tempête, Paris, Seuil, 1969.
3
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Vedi BRATHWAITE KAMAU, Caribbean Culture: Two Paradigms, Bremen, University of Bremen, 1983, pp. 8-54,
e anche la sequenza poetica Caliban inclusa in The Arrivants: A New World Trilogy, Oxford, Oxford University Press,
1973, pp. 191-195.
165
4
BRATHWAITE KAMAU, Cultural Lynching, «Nation», 27 luglio 2010,
http://www.nationnews.com/index.php/letters/view/cultural-lynching/ (tutti i link riportati in queste note sono stati
consultati per l’ultima volta il 31 luglio 2012). Qui e oltre, le traduzioni sono mie, laddove non si citino traduzioni italiani edite.
5
Vedi una ricostruzione della vicenda e un’impressionante lista di sottrazioni in due articoli del «Bajan Reporter» del
16 e 28 marzo 2010, http://www.bajanreporter.com/2010/03/kamau-brathwaite-disgraced-abroad-and-at-home-whereis-justice-literary-icon-of-barbados-reports-continuous-theft-of-memoirs-and-souvenirs-%E2%80%93-ny-policeignore-claims/ http://www.bajanreporter.com/2010/03/part-2-professor-kamau-brathwaite-no-justice-at-cow-pasturenor-nyc-literary-icon-of-barbados-lists-more-stolen-items/.
6
BRATHWAITE KAMAU, The Second Time of Salt, in corso di stampa in «Scritture migranti», vol.5, 2011 (in uscita
in autunno 2012). Oumfô: il centro della casa delle cerimonie voodoo dove gli spiriti si manifestano nella possessione
dei celebranti, inteso anche come cerchio cosmico archetipico.
7
BRATHWAITE KAMAU and SAJÉ NATASHA, KB in Utah, «Ariel: A Review of international English», vol. 40,
n. 2-3, p. 262.
8
BRATHWAITE KAMAU, The Namsetoura Papers, p. 45, versione riportata sul sito http://tomraworth.com/np.pdf.
La versione a stampa è stata pubblicata su «Hambone», 17, 2004.
9
BRATHWAITE KAMAU, Born to Slow Horses, Middletown, Wesleyan University Press, pp. 118-122. Ma un’altra
versione è anche in Words Need Love Too, Cambridge, Salt, 2004, pp. 77-85.
10
Vedi MCSWEENEY JOYELLE, Poetics, Revelations and Catastrophes: an Interview with Kamau Brathwaite,
«RAINTAXI», edizione online, autunno 2005, http://www.raintaxi.com/online/2005fall/brathwaite.shtml.
11
Ibidem.
12
Vedi la poesia Ananse in BRATHWAITE KAMAU, The Arrivants: A New World Trilogy, Oxford, Oxford Univeristy Press, 1973, pp. 165-167.
13
Vedi tutti i materiali su CowPastor sul sito http://tomraworth.com/wordpress/.
14
Il regno di questo mondo, titolo del romanzo del 1949 di Alejo Carpentier (Torino, Einaudi, 1990), ha suggestionato
più e più volte Brathwaite lungo gli anni.
15
Vedi GRIAULE MARCEL, Dio d’acqua. Conversazioni con Ogotemmêli, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.
16
BRATHWAITE KAMAU, MR/Magical Realism, New York, Savacou North, pp. 654-655.
17
Da segnalare, il capitolo ispirato alla poetica dello scritto-orale di Brathwaite in CAVARERO ADRIANA, A più
voci. Filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003.
18
D’altra parte è anche il confinamento di Brathwaite dentro i dipartimenti di anglistica, dove pure pochi lo leggono e
pochissimi ne leggono più di un’opera, a tenerlo lontano dal lettore non-specialista.
19
Sia detto a riprova del provincialismo della nostra industria culturale che gli ultimi due premi sono stati vinti anche
da un poeta quasi del tutto sconosciuto in Italia prima del recentissimo Nobel, ovvero Tomas Tranströmer. Notiamo
che la prima edizione del Neustadt fu vinta da Ungaretti nel 1970, anno della sua scomparsa, unico italiano in una lista
che include i grandissimi della letteratura del nostro tempo.
20
BRATHWAITE KAMAU, Timheri, in The Routledge Reader in Caribbean Literature, ed. by . Donnel and S. Lawson Welsh, London – New York, Routledge, 1996, pp. 346-347.
21
BRATHWAITE KAMAU, The Development of Creole Society 1770-1820, Oxford, Oxford University Press.
22
BRATHWAITE KAMAU, The Arrivants, cit., pp. 269-270: «now waking / maging // making / with their // rhythms
some- / thing torn // and new».
23
BRATHWAITE KAMAU, Contradictory Omens: Cultural Diversity and Integration in the Caribbean, Mona, Savacou, 1974, p. 64.
24
BRATHWAITE KAMAU, The Arrivants, cit. p. 48: «The stone had skidded arc’d and bloomed into islands / Cuba
and San Domingo / Jamaica and Puerto Rico / Grenada Guadeloupe Bonaire // curved stone hissed into reef / wave
teeth fanged into clay / white splash flashed into spray / Bathseba Montego Bay // bloom of the arcing summers …».
25
Inteso non come avanguardia estetica all’europea ma come avanguardia che è già nella lingua e nel mondo presenti e
vivi (su questo vedi quanto, in contrapposizione al surrealismo, scrisse Alejo Carpentier nel prologo al già citato Regno
di questo mondo).
26
Vedi BRATHWAITE KAMAU, Barabajan Poems 1492-1992, New York, Savacou North, 1994.
27
BRATHWAITE KAMAU, X/Self, Oxford - New York, Oxford University Press, 1987, p. 127. Onyame (oppure
Nyame) è il primo nome dell’Essere Supremo, del Creatore, presso i popoli Akan, gruppo etnico africano, prevalentemente stanziato in Costa d’Avorio, Ghana, Togo.
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28
BRATHWAITE KAMAU, Ancestors: A Reinvention of Mother Poem, Sun Poem, and X/Self, New York, New Directions, 2001.
29
BRATHWAITE KAMAU, X/Self, cit., p. 5: «Rome burns / and our slavery begins».
166
30
Diventa pratica usuale in Brathwaite la riscrittura dei propri testi adattandoli al nuovo Video Style e reintegrandoli in
raccolte successive, magari in sequenze diverse che ne rivisitino il senso. Si tratta di qualcosa di assolutamente prossimo al remix musicale. Da qui l’uso sempre più spinto e creativo di mispellings o neologismi che sembrano nascere nel
momento stesso in cui le dita del poeta si muovono sulla tastiera e battono sui tasti.
31
La fedeltà, spirituale ancor prima che stilistica, a Sycorax dagli anni Novanta fino ad oggi ha continuato a costare
caro a Brathwaite in termini di pubblicazione e circolazione delle sue opere, in quanto è risultato sempre più difficile
riuscire a trovare editori disposti a lavorare su pagine che scardinano la convenzione tipografica della pagina “neutra”.
32
BRATHWAITE KAMAU, The Zea Mexican Diaries 7 Sept. 1926-7 Sept. 1986, Madison, The University of WisFRQVLQ3UHVVShar: Hurricane Poem1HZ<RUN6DYDFRX1RUWKTrench Town Rock, Providence, Lost
Roads, 1994.
33
BRATHWAITE KAMAU, Dreamstories, Harlow, Longman, 1994. Vedi anche DS (2) dreamstories, New York,
New Directions, 2007.
34
BRATHWAITE KAMAU, ConVersations with Nathaniel Mackey, Staten Island - Minneapolis, We Press - Xcp:
Cross-Cultural Poetics, 1999.
35
BRATHWAITE KAMAU, Barabajan Poems, cit., p. 189.
36
Ivi, pp. 239-240.
37
BRATHWAITE KAMAU, Elegguas, Middletown, Wesleyan University Press, 2010.
38
BRATHWAITE KAMAU and SAJÉ NATASHA, KB in Utah, cit., p. 264.
39
Si riferisce alle due poesie inedite allegate al messaggio di posta elettronica.
40
BRATHWAITE KAMAU, Magical Realism, cit., p. 647. Maroon: gli schiavi che fuggivano dalle piantagioni. Per
oumfô vedi nota 6.
41
GUILLEN NICOLÁS, Elegie e canti cubani, a cura di D. Puccini, Milano, Accademia, 1971. In originale: «tengo el
gusto de ir / (es un ejemplo) / a un banco y cabla con el administrador, / non en ingés, / non en señor, / sino decirle
compañero come se dice en español».
42
GUILLEN NICOLÁS, Man Making Words: Selected Poems, Amherst, University of Massachussets Press, 1972.
43
GUILLEN NICOLÁS, Elegie e canti cubani, cit., p. 75.
44
Vedi, per analogia, Praise Poem, in BRATHWAITE KAMAU, Words Need Love Too, pp. 72-76.
45
CÉSAIRE AIMÉ, La poèsie, Paris, Seuil, 2006, p. 20: «Je dirais orage. Je dirais fleuve. Je dirais tornade. Je dirais
feuille. Je dirais arbre. Je serais mouillé de toutes les pluies, humecté de toutes le rosées».
46
In italiano oltre a Calibano (vedi nota 1), sono stati pubblicati Poesia conversazionale (Calstanissetta-Roma, Sciascia, 1969), L’isola recuperata (Parma, Guanda, 1970), Martí e il sogno panamericano (Bolsena, Massari, 1995, scritto con Cintio Vitier), Per una teoria della letteratura ispanoamericana (Roma, Meltemi, 1999) e Cuba defendida
(Milano, Sperling & Kupfer, 2001).
47
RETAMAR ROBERTO FERNÁNDEZ, Calibano, cit., p. 21. Abbiamo riportato le traduzioni della citazione da
Brathwaite fornite in questa edizione italiana. L’originale di Caliban è in BRATHWAITE KAMAU, The Arrivants,
cit., pp. 191-192.
48
BRATHWAITE KAMAU, Magical Realism, cit., p. 644.
49
BRATHWAITE KAMAU, Mother Poem, cit., p. 101: «my head is a cross / is a cross- // road ».