Suicidi in polizia. Risvolti per la Polizia Municipale.

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Suicidi in polizia. Risvolti per la Polizia Municipale.
I suicidi in polizia: un fenomeno in preoccupante aumento. Quali risvolti per la polizia locale?
Sergio Bedessi
(da Polnews – editore Maggioli – 2013)
E’ di questi ultimi giorni (ANSA – 17 maggio) la notizia che un poliziotto della Squadra Mobile di Palermo,
Sezione Antirapine, ha ucciso il proprio figlio di sette anni e poi si è suicidato; il bambino non è morto
immediatamente ma poche ore dopo.
Le notizie degli organi di informazione riportano che nel suo appartamento sono state trovate diverse
lettere dove Ivan Irrera manifestava le sue preoccupazioni per il futuro, particolarmente a causa di alcuni
debiti, lettere dove chiede scusa a tutti ed in particolare alla moglie e dalle quali si capisce che l’intenzione
c’era già stata precedentemente all’evento, ma che poi aveva desistito.
I parenti ed i colleghi di lavoro lo definiscono come una persona estremamente equilibrata, e non riescono
a credere a ciò che è accaduto.
Pochi giorni dopo (22 maggio), un altro poliziotto spara alla moglie e poi si suicida.
Questa volta sembrerebbe che il motivo sia da ricondurre a motivi sentimentali, almeno stando alle prime
ricostruzioni.
Già prima di questi ultimi due casi, gli ultimi venti giorni circa erano stati funestati da molti casi di suicidio o
di omicidio – suicidio; recuperando le notizie ANSA si può infatti così ricostruire la cronologia:

22 maggio – un poliziotto uccide la moglie e poi si spara;

21 maggio – un ristoratore si uccide, probabilmente per problemi economici e sentimentali;

20 maggio - una persona non identificata viene trovata impiccata a Bari e si pensa al suicidio;

18 maggio – un cassaintegrato si suicida nel viterbese gettandosi da un ponte;

18 maggio – un detenuto, che aveva ucciso i figli, si suicida in cella;

17 maggio – un poliziotto della Squadra Mobile di Palermo uccide il figlio e poi si suicida;

15 maggio – a Palermo una persona uccide la moglie e poi si suicida;

9 maggio – a Milano un uomo si suicida buttandosi sotto il treno;

8 maggio – un ex imprenditore si suicida nel milanese;

6 maggio – il vicedirettore della RAI TGR Paolo Petruccioli si suicida gettandosi dalla finestra;

4 maggio – una guardia giurata a Roma spara alla moglie e poi si suicida;

4 maggio - a Ponsacco un disoccupato si suicida lanciandosi nel vuoto dall’alto di un palazzo;

3 maggio – in provincia di Bari, uccide la moglie e due figli e poi si suicida;

2 maggio – un detenuto maghrebino si suicida a Catanzaro;

30 aprile – un appartenente alla polizia penitenziaria si suicida nel carcere minorile di Lecce.
Tralasciando le notizie straniere (il 16 maggio, in Francia, una persona si suicida davanti ad un asilo e il 21
maggio uno storico francese si suicida a Parigi nella cattedrale di Notre Dame) che possono comunque
servire a verificare come vi sia indubbiamente una aumentata attenzione, da parte degli organi di
informazione e standosene alle notizie ANSA (per cui non si esclude che vi siano altri suicidi o altre morti al
momento non catalogate come suicidio) degli ultimi 20 giorni circa, si viaggia alla media di un suicidio ogni
meno di 48 ore, per un totale di 15 dei quali ben 3 sono relativi a poliziotti.
Indipendentemente dai casi specifici, che sono sempre casi umani, sembra che si stia dando poca
attenzione ad un fenomeno che invece sta aumentando e sta divenendo endemico: il suicidio in polizia,
spesso accompagnato da un precedente omicidio.
Da un punto di vista generale si può dire che certamente il suicidio è anche un problema psichiatrico; chi
arriva a togliersi la vita ha problemi di tipo personale: prova una sofferenza atroce di fronte a sconfitte ed
umiliazioni e vede il suicidio come l’unica via d’uscita per porre fine alla sofferenza mentale che sta
provando.
L’errore però sarebbe relegare il problema esclusivamente nell’ambito personale; quello che si sa ormai da
molto tempo è che il suicidio non è un problema solo psichiatrico o psicologico: è anche un problema
sociale e sociologico1.
La persona che si suicida non vive avulsa dal contesto sociale ed il contesto sociale ha indubbiamente una
responsabilità nell’evento, e questo è tanto più vero quando si tratta di poliziotti.
Il poliziotto è più esposto, rispetto alla generalità delle persone, al rischio suicidio per vari motivi, uno dei
quali è senza dubbio l’avere a disposizione uno strumento facile per commetterlo: l’arma d’ordinanza.
Ci si deve allora chiedere se non vi sia la necessità di verificare meglio lo stato psicologico dell’operatore di
polizia, con riferimento alla capacità di gestire l’arma che ha in dotazione, non solo al momento
dell’assunzione (cosa che senza dubbio viene fatta), ma anche durante l’intera carriera professionale (cosa
che non sempre viene fatta, almeno per gli appartenenti alla polizia locale).
La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: i dati che sopra sono stati elencati fanno rientrare il suicidio
dei poliziotti nella media dei suicidi (peraltro in aumento) della popolazione italiana in generale, oppure
esiste un aumento dei suicidi in polizia rispetto alla generalità?
In caso di risposta affermativa ci si dovrebbe poi chiedere quali sono le cause di questo fenomeno specifico.
Infine ci si deve porre il problema di una prevenzione, possibile senza dubbio a livello generale, ma tanto
più doverosa nel caso specifico di chi appartiene ad un organo di polizia.
Purtroppo manca un osservatorio nazionale sul fenomeno dei suicidi ed una politica di prevenzione
specifica; a questo si aggiunga che manca un’attenzione al fenomeno dei suicidi in polizia, se non altro
perché vi è una cripticità di alcuni dati che sarebbero invece utili per l’analisi. In più le organizzazioni di
polizia tendono a definire il problema come personale anche perché ammettere che il suicidio è derivato
1
Il sociologo Émile Durkheim fu fra i primi a studiare il fenomeno sotto questo punto di vista (cfr. É. Durkheim, Il
suicidio, Rizzoli, Milano 2007, opera originale É. Durkheim, Le Suicide : Étude de sociologie, Paris, Félix Alcan, 1897)
(anche) da cause che risalgono all’organizzazione potrebbe avere conseguenze rilevanti sia dal punto di
vista delle responsabilità sia dal punto di vista delle misure di prevenzione che si dovrebbero adottare.
Che i suicidi, a livello generale, siano aumentati è chiaro, ed è la stessa ANSA che lo riporta citando uno
studio contenuto nel Rapporto Osservasalute 2012 (presentato il 29 aprile 2013 all’Università Cattolica di
Roma, secondo il quale, oltre ad essere aumentato il consumeo di farmaci antidepressivi (quadruplicato in
dieci anni), è aumentato il tasso di suicidi, “…in continuo aumento negli ultimi anni, che nel biennio 20082009 si é attestato a 7,23 per 100.000 residenti dai 15 anni in su (nel 2009 se ne sono registrati 3870 contro
i 3.607 del 2006)…”.
Lo stesso Rapporto osserva: “… un aumento dei suicidi tra gli uomini (in particolare tra i 25 e i 69 anni) per i
quali il tasso è passato da 11,70 (per 100.000) nel 2006 e nel 2007 a 11,90 (per 100.000) nel 2008 e 12,20
(per 100.000) nel 2009. A togliersi la vita è un uomo nel 77% dei casi (il tasso di mortalità è pari a 12,05 per
100.000 per gli uomini e a 3,12 per le donne).”.
E’ chiaro dunque che i suicidi, a livello generale, sono in aumento e osservando la percentuale di questi
commessi da appartenenti ad organi di polizia è altrettanto chiaro come vi sia un problema del suicidio in
polizia.
Il problema era già stato rilevato, da alcuni anni, da vari sindacati di categoria2.
Per la polizia municipale al problema della mancanza di una politica generale di prevenzione del fenomeno,
si aggiunge la mancanza di controlli specifici che da soli potrebbero certamente servire a prevenire il
fenomeno.
Per inciso va ricordato che la normativa sulle armi relativa alla polizia locale non è chiara; la legge quadro
7 marzo 1986, n. 65, ed il correlato D.M. 4 marzo 1987, n. 145, infatti non dicono molto, anche se una
circolare ministeriale, la 559/LEG/112.552.3/S.3, equipara i controlli cui gli appartenenti della polizia
locale devono sottoporsi al fine di andare armati agli stessi cui si deve sottoporre il comune cittadino che
intenda ottenere (o rinnovare) il porto d’armi per difesa personale.
Da questo deriva, evidentemente, la necessità di un controllo annuale dei requisiti psico-fisici, cosa che
non tutti i comandi di polizia municipale purtroppo fanno.
Ci si deve quindi chiedere al di là dei controlli medici specifici a cadenza annuale (che non sempre sono in
grado di individuare qualcosa a meno che non via siano patologie evidenti in sede di visita medica), se
possono esservi dei segnali che potrebbero aiutare a prevenire il fenomeno.
Molti autori sono concordi che segnali preoccupanti in questo senso possano essere:
-
2
precedenti tentativi di suicidio. Ovvio che chi ha già tentato il suicidio sia un soggetto a rischio, al
quale andrebbe, quanto meno, tolta la disponibilità dell’arma di ordinanza e che l’aver già tentato il
(cfr. COISP – “Suicidi in polizia: chi è responsabile? … a un aumento dei suicidi tra gli uomini (in particolare tra i 25 e i
69 anni) per i quali il tasso è passato da 11,70 (per 100.000) nel 2006 e nel 2007 a 11,90 (per 100.000) nel 2008 e 12,20
(per 100.000) nel 2009. A togliersi la vita è un uomo nel 77% dei casi (il tasso di mortalità è pari a 12,05 per 100.000
per gli uomini e a 3,12 per le donne)”. – LISAPP – “Finalmente al DAP si accorgono del problema dopo quasi 100 suicidi
dal 2000” - SAP – “Aumentano i suicidi, servono soluzioni concrete”).
suicidio, qualora le cause che hanno condotto al gesto non siano risolte, sia il più importante segno
premonitore;
-
cambiamenti comportamentali. Improvvisi cambiamenti del comportamento usuale possono
essere un segnale del fatto che l’operatore di polizia sta vivendo un momento di disagio psicologico,
dovuto a cause a monte. Il cambiamento comportamentale deve essere riguardato come un
segnale utile ad indagare le cause che l’hanno generato che, se non risolte, potrebbero portare al
suicidio;
-
stati di agitazione e di aggressività. Il verificarsi, durante il servizio, di stati d’agitazione e, di più, di
aggressività, dovrebbe essere un segnale che fa riflettere chi ha la responsabilità del personale
della polizia municipale;
-
alternarsi, in cicli brevi, di stati euforici a stati di depressione. L’alternarsi, in cicli brevi (se si tratta
di cicli lunghi si può pensare a ciclotimia o a disturbi bipolari) di stati euforici, nel quale l’operatore
di polizia dà il meglio di sé stesso, a stati di depressione, nei quali lo stesso diviene improduttivo o
comunque carico di negatività, deve far pensare ad un forte disagio psicologico del soggetto;
-
esternazione ricorrente di pensieri sul concetto di morte. L’esternazione ricorrente di concetti che
riguardano la morte, o anche qualcosa strettamente correlato (ad esempio il predisporre e
l’organizzare le cose personali per quando si sarà morti) deve essere un segnale da percepire da
parte del responsabile del servizio;
-
frequenti assenze dal servizio per malattia. Al di là delle specifiche cause mediche (che fra l’altro
non sono osservabili direttamente vista la segretezza di questi dati), un’eccessiva frequenza delle
assenze dal servizio per malattia è un segnale di una certa importanza, anche perché lo stato
psicologico influisce sulle malattie fisiche.
Una lista completa, anche se non esaustiva, dei fattori di rischio per il suicidio (per la popolazione in
generale e per i tre ambiti individuale, socio-culturale, situazionale) è fornita dalla Organizzazione Mondiale
per la Sanità (World Health Organization); questa lista, opportunamente contestualizzata per il lavoro della
polizia locale, può senz’altro aiutare.
Al di là dei segnali anzidetti si dovrebbe avere riguardo al fatto che il dipendente della polizia municipale
possa avere, in quel determinato periodo problemi economici (debiti per i quali si trova in difficoltà per la
restituzione) o problemi familiari (ipotesi di litigio, separazione o divorzio, aggravate dalla presenza di figli).
Vi è poi un fattore che accomuna la polizia locale agli organi di polizia dello Stato e al quale non si sta dando
opportuna attenzione e che invece deve essere considerato come uno dei fattori di rischio più importanti: il
disgregarsi del sentimento di appartenenza ad istituzioni o comunque il disgregarsi della sensazione che
l’istituzione ci protegge, che l’istituzione è forte, che si fa parte di una famiglia allargata molto forte.
E’ indubbio che vi sia stato un progressivo sgretolarsi della cornice di valori che teneva insieme anche lo
Stato e con esso molte istituzioni e che questo sgretolarsi si rifletta ormai a livello individuale.
Il paradosso al quale si assiste è dunque il seguente: il poliziotto, che per lavoro dovrebbe avere un
equilibrio psichico più stabile di altri soggetti, e che in effetti lo dimostra di fronte ad eventi esterni che
producono stress, sembra tendere a perderlo quando gli eventi che producono stress provengono invece
dall’interno dell’istituzione cui appartiene o almeno quando vengono a cadere una serie di punti di
riferimento importanti.
Tutto questo deve portare a dire che il comandante della polizia municipale, quale responsabile delle
condizioni di lavoro dei propri subordinati, responsabile riguardo anche alla corretta tenuta delle armi,
sotto tutti i punti di vista, compreso quello dell’equilibrio psico-fisico, vista la (scarsa e poco chiara)
legislazione vigente, dovrebbe, al momento in cui percepisce in qualche operatore alcuni dei segnali
anzidetti:
-
farsi un quadro chiaro della situazione, con riferimento anche alla frequenza delle assenze del
dipendente;
-
procedere quanto meno con colloqui individuali tesi a comprendere se l’operatore stia
effettivamente vivendo un momento di disagio personale che possa avere risvolti psicologici e
comportamentali;
-
richiedere il supporto del medico incaricato dall’ente per la sicurezza sul luogo di lavoro, affinché
lo stesso possa eventualmente disporre apposita visita specialistica;
arrivando, nei casi dubbi e per un principio di cautela, a segnalare la cosa al Sindaco al fine dell’eventuale
revoca dell’assegnazione dell’arma in via continuativa (art. 6 comma 3 D.M. 145/1987) ed in caso che
l’arma non sia stata assegnata in via continuativa, esentando l’operatore in questione da servizi armati;
questa operazione deve essere fatta con molta delicatezza in quanto potrebbe essere mal accettata da
parte del soggetto.
Un’altra operazione utile, tenuto conto che le problematiche psicologiche sono innescate da problematiche
pratiche (disagio familiare, disagio economico, disagio sullo stesso posto di lavoro), è quella del supporto
fra pari, vantaggiosamente sperimentata in alcune strutture fra cui la Polizia Municipale di Firenze 3.
Tutto questo non è detto che automaticamente possa scongiurare un suicidio, ma sicuramente può servire
dal punto di vista della prevenzione oltre che essere doveroso per il comandante della polizia locale.
3
Su questo vedere: www.cerchioblu.eu sezione “Supporto psicologico fra pari”.