Grumi (Memorie del cazzo)

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Grumi (Memorie del cazzo)
Persinsala Teatro
Alessandro Paesano
luglio 6, 2012
Grumi (memorie del cazzo) di Niccolò Matcovich ha per
protagonista un omicida borderline al quale piacciono i ragazzi,
forse un po’ poco per annoverare il testo tra gli spettacoli di
una rassegna di teatro omosessuale.
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Nel monologo Grumi (memorie del cazzo) di Niccolò Matcovich il
protagonista ripercorre la sua gioventù fatta di incontri sessuali con dei
ragazzi, prima, e con una ragazza, dopo. Quello che sembra il racconto di
una vita libertina vira sul finale nel resoconto di un omicidio, commesso
con leggerezza e all’improvviso, per il quale il protagonista è condannato a
vent’anni di carcere, dal quale, capiamo solamente alla fine, ci sta
raccontando la sua storia.
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Il racconto di sperimentazione sessuale di un giovane ragazzo e la
parabola di una mente borderline che giunge al suo destino omicida e al
carcere rimangono due elementi il cui accostamento non è sostenuto da
alcuna necessità narrativa, perché omicidio e omosessualità non hanno tra
di loro legame alcuno né nella vita reale né in quella del protagonista del
monologo.
Il fatto che questi due percorsi vengano proposti insieme getta sul testo
una sinistra luce omofobica lasciando presumere – senza dirlo
esplicitamente ma senza nemmeno negarlo chiaramente – che qualche
legame ci sia.
In scena il protagonista è sdoppiato in due presenze distinte, non
sappiamo se già nel testo o per intenzione del regista, un adulto borghese
(Marco Marelli) che parla impassibile della sua gioventù libertina e un
ragazzo (Michele Balducci) al contempo sfrontato e ingenuo. Uno
sdoppiamento che all’inizio dà qualche timido risultato drammaturgico – la
descrizione dei giovani coi quali fa sesso fatta dall’adulto è sempre
contraddetta dalla sua controparte giovane – diventando ben presto
ingombrante perché non ha una vera necessità narrativa.
L’io adulto non rappresenta il protagonista invecchiato in carcere né una
sua componente caratteriale, e la sua presenza è ben presto scalzata da
quella della controparte giovane che rimane in scena da sola.
Gli attori sono bravi nell’eseguire il monologo ma la debolezza del testo
offusca il loro impegno lasciando lo spettatore perplesso e confuso dinanzi
un racconto ambiguo.
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L’ambiguità non riguarda l’identità sessuale del suo protagonista – com’è
omofobicamente riportato nel programma di sala – ma la maniera
stereotipata con cui si racconta di un omosessuale omicida.
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Il protagonista lungi dall’essere, semplicemente, un ragazzo al quale
piacciono i ragazzi, è, come vuole il cliché, un omosessuale promiscuo. I
suoi incontri ci vengono descritti con ripetuti ed espliciti dettagli sessuali: il
fallo sporco di sangue dopo l’unico rapporto anale da insertivo, gli effetti di
un grosso fallo sul suo ano, quando intraprende la strada da ricettivo, le
dimensioni di quello di un compagno delle medie. Questi dettagli
sembrano rifarsi a quelli di tanti testi, anche non teatrali, della seconda
metà del secolo scorso, nei quali si legittimava la sessualità tra uomini
parlandone “senza peli sulla lingua”.
Oggi che le istanze delle persone omosessuali sono ben altre – accesso al
matrimonio, omogenitorialità – quei dettagli appaiono anacronistici e fini a
se stessi, non costituendo nemmeno l’indizio di una personalità borderline,
perché, per quanto compulsiva, episodica e anaffettiva, la sessualità agita
dal protagonista è del tutto sana e “normale”.
Sempre secondo il cliché il protagonista è incapace di rapportarsi col
femminile: quando conosce a Siviglia una ragazza, pur provando
dell’attrazione per lei, ribadisce subito il bisogno degli uomini – bisogno
che si limita alla penetrazione anale da ricettivo.
La ragazza viene descritta con misoginia che non è solamente del
protagonista, ma propria del testo che fa di lei un personaggio castrante,
manipolatore, che rimane intenzionalmente incinta del protagonista dopo
averlo quasi violentato, con l’ausilio dell’alcool e di chissà quale droga per
fargli avere un’erezione. Dinanzi una possibile paternità il protagonista
fugge terrorizzato pregandola di abortire ed è al suo rientro in Italia che
uccide un bambino che forse gli ricordava quello che teme di avere messo
al mondo.
Dopo, quando è già in galera, riceve una lettera nella quale la ragazza lo
informa di stare con una donna e di avere abortito perché non sopportava
l’idea che “due froci” – letterale nel testo – facessero un figlio insieme.
Un coup de théâtre che stride talmente tanto con la situazione
contemporanea delle persone omosessuali, che sempre più spesso
mettono su famiglia con figli nati proprio in virtù del legame omoaffettivo,
da indurre a chiedersi a chi giovi questo testo, e soprattutto, perché sia
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stato annoverato tra gli spettacoli di una rassegna di teatro omosessuale.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Belli
piazza Sant’Apollonia 11/a, Roma
martedì 19 e mercoledì 20 giugno, ore 21.15
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Garofano Verde – Scenari di teatro omosessuale presenta
Grumi (Memorie del cazzo)
di Niccolò Matcovich
regia Marco Maltauro
con Michele Balducci, Marco Marelli
aiuto regia Alessia Sandrini
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