Africa - Water conflicts, cambiamenti climatici e questioni

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Africa - Water conflicts, cambiamenti climatici e questioni
AFRICA
Water conflicts, cambiamenti climatici e questioni di sovranità territoriale
di
Claudio LAISO
An Africa where there is an equitable and
sustainable use and management of water
resources for poverty alleviation, socio
economic development, regional cooperation,
and the environment.
Un’Africa dove ci sia un uso ed una gestione
equa e sostenibile della risorse idriche per:
ridurre la povertà, lo sviluppo socioeconomico, la cooperazione regionale e
l’ambiente.
(UN Water - The Africa Water Vision 2025)
2
Indice
Premessa...........................................................................................................................................pag. 4
Introduzione.....................................................................................................................................pag. 7
1. AFRICA. Uno sguardo al continente.......................................................................................pag. 10
2. AFRICA NORD-ORIENTALE. L’importanza strategica del Nilo......................................pag. 13
2.1. La storica disputa per le acque del Nilo ...................................................................................pag. 15
2.2. Etiopia e Kenya, due Paesi in prima linea nelle future crisi d’acqua mondiali....................pag. 20
3. AFRICA OCCIDENTALE. Esempi di aree di tensione passate, attuali e potenziali .........pag. 22
3.1. Il bacino del Komadugu Yobe in Nigeria: un esempio di rischio di conflitto inter-statale indotto
dal clima .............................................................................................................................................pag. 24
3.2. Il Bacino fluviale del Senegal: rischio di un conflitto armato tra Mauritania e Senegal .....pag. 25
3.3. Controversie tra Ghana e Burkina Faso sulle cause della crisi energetica ...........................pag. 27
3.4. Niger e Nigeria: controversie tra Paesi a monte e a valle del fiume Niger............................pag. 28
3.5. Tensioni tra Camerun e Nigeria sul Lago Chad......................................................................pag. 28
4. AFRICA MERIDIONALE. Alcuni casi studio di conflitti collegati alle risorse idriche ....pag. 29
4.1. Disputa tra Angola, Namibia e Botswana per il prelievo di acqua dal fiume Okavango ....pag. 30
4.2. La controversia tra Namibia e Botswana sul possesso dell’isola di Sedudu/Kasikili nel fiume
Chobe..................................................................................................................................................pag. 32
4.3. Disputa territoriale e per i diritti di accesso all’acqua tra Namibia e Sudafrica, lungo il fiume
Orange................................................................................................................................................pag. 34
Conclusioni.....................................................................................................................................pag. 35
Bibliografia.....................................................................................................................................pag. 40
APPENDICE (A). Cambiamenti climatici, scarsità d’acqua e conflitti ...................................pag. 43
APPENDICE (B). African water conflict chronology .................................................................pag. 50
La presente ricerca si pubblica a seguito di scadenza dei diritti riservati. (Giugno 2011).
3
Premessa
Ogni minuto 15 bambini muoiono per aver bevuto acqua non pulita. Oggi molti “poveri” muoiono
a causa della mancanza di acqua, mentre “ i ricchi” consumano enormi quantitativi di acqua.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale 80 Paesi hanno una carenza idrica che coinvolge più
di 2,8 miliardi di persone che vivono in aree a forte stress idrico.
“Dall’Africa Subsahariana all’America Latina, dal Bangladesh al Medio Oriente, il mondo ha sete.
Il 12% della popolazione mondiale usa l’85% del bene più prezioso del pianeta. Se uno statunitense
usa al giorno 425 litri di acqua, un italiano 237 e un francese 150, in Madagascar non supera i 10
litri la disponibilità media giornaliera pro capite di questa risorsa. Un bambino nato in un Paese
industrializzato consuma acqua da 30 a 50 volte più di un bambino di un Paese in via di sviluppo.
Si disegna uno scenario fatto di sprechi inauditi da un lato, e penurie incolmabili dall’altro. Sono
1,6 miliardi le persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile; 2,6 miliardi non
hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base; 2,4 miliardi di persone – più di un terzo della
popolazione mondiale – non hanno a disposizione impianti fognari adeguati, 5 milioni muoiono
ogni anno per malattie legate all’acqua, di cui 1,8 milioni sono bambini (4.900 al giorno, in 8 mesi
tutti i bambini d’Italia). Se queste cifre fanno paura, le previsioni per il futuro sono ancora meno
rassicuranti. Secondo diversi studi, entro il 2025 è destinato a salire a 3,5 milioni il numero di
persone che non avranno accesso alla risorsa più preziosa del millennio, generando una crisi
idrica di proporzioni enormi”1. Nel 2010 il World Economic Forum di Davos, a proposito
dell’acqua, giungeva alla seguente conclusione: «il nostro è un mondo che sta fallendo».
“Dall’Africa alla Cina, dagli Stati Uniti all’Europa nessun luogo è immune dalla crisi idrica.
Come fa notare l’IERPE (Institut Européen de Recherche sur la Politique de l'Eau) non è un
problema di penuria fisica, bensì economica. Una delle ragioni principali del non accesso
all’acqua per miliardi di persone non è, infatti, la mancanza di questa risorsa nelle regioni dove
abitano, ma la povertà. L’impossibilità di accedere alle tecnologie che permetterebbero di disporre
di questo bene”2.
Secondo i dati dell’ONU il continente più esposto rimane comunque l’Africa: fino a 250 milioni di
persone coinvolte e seri rischi per l’area sub-sahariana. Se la stima del consumo medio di acqua di
una famiglia occidentale è di oltre 300 litri al giorno, tale valore scende drasticamente sotto i 20
litri per una famiglia africana.
Tale situazione di insufficienza idrica rappresenta oggi una minaccia più grande di quella
costituita dalla crisi finanziaria globale, così come sostiene il Worldwatch Institute statunitense,
1
Si veda, Il Redattore Sociale, Il 12% delle persone nel mondo usa l’85% dell’acqua, 22 Marzo 2011, in
http://social.tiscali.it/articoli/speciali/11/03/01_acqua_mondo.html.
2
Ibid.
4
che rischia di provocare un deterioramento dei rapporti tra Stati, ma soprattutto tra le comunità,
all’interno degli Stati, che condividono le risorse idriche.
Ad esempio la scarsità d’acqua è alla radice del conflitto in Darfur scoppiato più di otto anni fa e
che ha fatto centinaia di migliaia di morti e circa due milioni di profughi. Secondo gli analisti, la
disputa per le scarse risorse idriche e i pascoli, tra gli agricoltori africani e le comunità pastorali
arabe, ha acceso il conflitto. Oggi la mancanza di accesso all’acqua resta comunque uno dei fattori
guida del conflitto in Darfur. Una conferenza internazionale che si terrà a Khartoum alla fine di
giugno 2011 si concentrerà sulla questione cruciale dell’acqua e su come l’uso e la gestione equa
di tale risorsa limitata possa aiutare a costruire la pace in questa tormentata regione. Tale
conferenza si pone l’obiettivo di ricercare dei donatori per ottenere circa 1,5 miliardi di dollari da
destinare a 56 progetti nei prossimi sei anni. Questi progetti si focalizzeranno sulla ricostruzione
delle infrastrutture idriche, devastate dal conflitto ed abbandonate, ed introdurranno nuove
tecnologie e sistemi per la gestione dell’acqua al fine di aiutare gli agricoltori a far fronte alla
siccità e ai cambiamenti climatici. Questi ultimi sono fattori determinanti dell’inasprimento degli
scontri tribali nel Corno d’Africa al confine tra il Kenya e l’Etiopia. Tale area infatti “è un punto
caldo del cambiamento climatico, soggetto a inondazioni, siccità e carestia. Un numero sempre più
crescente di precipitazioni, la deforestazione e l’erosione del suolo si stanno verificando in
contemporanea al rapido aumento della popolazione e alla limitatezza di risorse di terra e acqua.
Situazione ulteriormente aggravata dalla nuova diga Gilgel Gibe III in costruzione in Etiopia lungo
il fiume Omo. Una volta completata, la diga sarà il più grande progetto idroelettrico a sud del
Sahara. Se da una parte tale costruzione fornirà energia elettrica in Egitto, Sudan, Gibuti, Kenya,
Uganda, e persino Yemen, allo stesso tempo ridurrà il flusso del fiume Omo, minacciando la
sopravvivenza di 800.000 membri delle tribù locali”3 che, quindi, si troveranno a competere tra
loro per l’accesso alle risorse idriche. In particolare, le tribù semi-nomadi etiopi, come i
Dassanech, i Nyangatom e i Mursi, nel seguire il corso del fiume si trovano in conflitto con le tribù
pastorali del Kenya. Nella prima settimana di maggio si sono registrati combattimenti al confine
tra Kenya ed Etiopia che hanno provocato 34 morti.
Un importante fattore della crescente scarsità d’acqua è il cambiamento climatico. Molte delle
principali organizzazioni come l’ONU e la NASA sono concordi nel ritenere che tale cambiamento
stia creando un ulteriore pressione sulle scarse forniture idriche, attraverso l’aumento delle
temperature, l’alterazione delle precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacci. Si prevede che il 38%
della superficie globale sia destinata a desertificare – specialmente alle medie latitudini e nelle
3
Si veda, Elena Intra, Corno d’Africa: carenza d’acqua, migrazioni e scontri tribali, La Stampa.it, 20 Giugno 2011, in
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/vociglobali/grubrica.asp?ID_blog=286&ID_articolo=328&ID_sezio
ne=654&sezione=.
5
aree subtropicali, dove vive la maggior parte della popolazione più povera del mondo –
determinando un grave incremento del gap tra domanda ed offerta, una vasta ineguaglianza per
l’accesso all’acqua e quindi un aggravamento della crisi idrica.
Secondo un rapporto del Senato statunitense dello scorso marzo, dal titolo “Avoiding Water Wars:
Water scarcity and Central Asia’s growing importance for stability in Afghanistan e Pakistan”, la
crescente scarsità di acqua rappresenta un fattore determinante di insicurezza, instabilità e
conflitto, che richiede di agire a livello globale. Il rischio che si aggravino situazioni di conflitto in
Africa, Medio Oriente ed Asia ha spinto le Nazioni Unite a promuovere la cosiddetta idrodiplomazia in Medio Oriente e Nord Africa al fine di evitare o almeno gestire le emergenti tensioni
per l’accesso alle risorse idriche. Inoltre lo US Foreign Assistance sta investendo molto in attività
volte a promuovere la sicurezza idrica, mentre la Commissione Europea sta programmando di
presentare il “Blueprint for safeguarding Europe’s water” nel 2012. Ma la situazione richiede una
risposta che vada oltre le iniziative nazionali e regionali e che rappresenti, quindi, un piano idrico
globale. Nel 2010 al World Water Week, svoltosi a Stoccolma, l’International Water Management
Institute (IWMI) ha definito un piano in sei punti per evitare una crisi idrica. Secondo l’Istituto,
sono necessarie le seguenti azioni: 1) raccogliere dati di alta qualità sulle risorse idriche; 2)
prendersi cura dell’ambiente; 3) riformare il modo con cui sono gestite le risorse idriche; 4)
rivitalizzare come l’acqua viene utilizzata per l’agricoltura; 5) gestire meglio la richiesta, urbana e
municipale, di acqua; 6) coinvolgere le persone emarginate nella gestione delle acque.
La ricerca che segue si pone come obiettivo di evidenziare la complessità delle questioni relative
all’acqua che, sebbene risorsa in grado di esacerbare i rapporti tra soggetti concorrenti –
specialmente a livello di comunità locali – non la si può ritenere la causa primaria di un conflitto,
anche violento. Infatti anche se in alcuni casi esistono collegamenti tra l’acqua e il conflitto, questi
non rappresentano necessariamente la norma. Lo stress idrico ha spesso condotto a conflitti a
livello locale e regionale. A livello continentale invece le controversie sorgono tra gli Stati “a
monte” e “a valle” di un fiume transfrontaliero.
Dal momento che l’Africa rappresenta il continente a maggior rischio, la ricerca concentra
l’attenzione su di esso suddividendo l’analisi a diversi casi-studio che riguardano la regione nordorientale, occidentale e meridionale. Si sottolinea come la “questione acqua” se gestita in modo
cooperativo possa scongiurare o porre rimedio a situazioni di conflitto.
Seguono quindi due appendici: una dedicata all’impatto negativo dei cambiamenti climatici sulle
risorse idriche, con il rischio che si accentuino situazioni di instabilità; l’altra invece riporta
cronologicamente i principali episodi di water conflict avvenuti in Africa negli anni scorsi.
Salerno, 20 giugno 2011
6
Introduzione
L’inizio del XXI secolo ha visto l’emergere di nuove sfide e minacce alla pace e alla sicurezza. In
tale contesto l’ambiente e le risorse naturali giocano un ruolo centrale. Le minacce alla sicurezza
ora includono anche quelle che vengono definite minacce soft. Il degrado ambientale e la scarsità di
risorse sono fonte di potenziali conflitti, e in quanto tali richiedono una particolare attenzione.
L’acqua, in special modo, è chiaramente una risorsa scarsa in alcune regioni del mondo, ed intorno
ad essa sorgono tensioni (per l’uso, l’accesso, la proprietà e i diritti) che in futuro potrebbero
crescere. La situazione del Medio Oriente e dell’Africa, in particolare, suscitano grande
preoccupazione: secondo l’UNEP per il 2025, 40 Paesi, in entrambe le regioni, si troveranno a
dover affrontare problemi di scarsità d’acqua o di stress idrico (water-stress)4.
La scarsità d’acqua è funzione della domanda e dell’offerta. La domanda d’acqua risulta in forte
crescita in alcune regioni a causa dell’altrettanto forte crescita della popolazione e dell’uso pro
capite. Altro elemento di crisi è rappresentato dal deterioramento della qualità dell’acqua.
L’agricoltura attraverso l’uso di fertilizzanti e pesticidi ha contaminato, o rischia di contaminare, le
risorse idriche sia in superficie che sotterranee. L’inquinamento domestico ed industriale sta
crescendo con conseguenti rischi per le risorse idriche. Il problema ovviamente affligge sia i Paesi
sviluppati che in via di sviluppo.
Infine, l’uso delle risorse idriche assume una dimensione geopolitica. L’acqua, in particolare i
fiumi, muove da zone a monte verso le zone a valle, di conseguenza il prelievo e il tipo di uso che
se ne fa nelle prime può incidere sulla quantità e qualità delle forniture nelle seconde.
La mancanza di un’adeguata cornice legale per risolvere le dispute internazionali sulle risorse
idriche rappresenta un altro problema. Le questioni di sovranità sui fiumi internazionali
generalmente coinvolgono una delle quattro dottrine: 1) sovranità territoriale assoluta, che implica
che gli Stati rivieraschi possono utilizzare le risorse d’acqua in qualsiasi modo essi vogliono; 2)
completa integrità territoriale, che suggerisce che l’uso delle acque di un fiume a monte non
dovrebbe influire negativamente sugli Stati a valle; 3) sovranità territoriale limitata, che rappresenta
una combinazione delle due precedenti entro una cornice di un uso equo da parte di tutti i soggetti
coinvolti; 4) dottrina dell’interesse comune, che promuove una gestione integrata dei bacini
fluviali5.
Secondo la Commissione delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (United Nations
Commission on Sustainable Development) i problemi riguardanti la scarsità d’acqua e il
4
La scarsità d’acqua implica meno di 1000 m3 d’acqua disponibili per persona per anno, mentre lo stress idrico
significa una disponibilità d’acqua pro capite per anno tra i 1000 e i 1500 m3.
5
Per maggiori dettagli si veda, Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?,
The
African
Dialogue
Lecture
Series,
Pretoria
University,
24
Febbraio
2000,
in
http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
7
deterioramento delle risorse idriche potranno avere gravi ripercussioni economiche generando una
serie di crisi a livello locale e regionale, con implicazioni anche a livello globale.
Strettamente connesso a tali crisi è il rischio di futuri conflitti violenti, o addirittura guerre, a causa
delle risorse idriche. Sebbene le esperienze passate suggeriscano che ciò sia poco probabile, molti
sostengono che la probabilità che si verifichino tali conflitti stia crescendo. Alla base di tali
proiezioni, generalmente c’è la considerazione che la crescita della domanda, la progressiva
riduzione della disponibilità di acqua dolce e gli effetti negativi sulla salute, dovuti alla scarsa
qualità dell’acqua disponibile, provocherà violenza e guerre. Senza dimenticare, poi, che molti
fiumi internazionali sono condivisi da più Stati, per cui l’acqua e il relativo uso possono essere
causa di tensione tra di essi. Altri, tuttavia, sostengono che, molti dei problemi che concernono la
disponibilità e la fornitura di acqua, in futuro, potranno essere risolti attraverso accordi di
cooperazione ed investimenti economici. Secondo Steve Lonergan, Direttore della Divisione Early
Warning and Assesment dell’UNEP, se c’è una volontà politica per la pace, allora l’acqua non
costituirà un ostacolo. Ma se si cercano ragioni per combattere, le questioni concernenti l’acqua
forniranno un’ampia opportunità per farlo6. Si potrebbe dire che, difficilmente, l’acqua rappresenta
l’unica causa di conflitti o guerre. Nonostante tutto le risorse idriche restano una questione di
sicurezza per molti Paesi, specialmente in Africa e in Medio Oriente.
Storicamente ci sono poche prove che la scarsità d’acqua abbia provocato conflitti violenti sebbene,
in molti casi, tale risorsa sia stata usata come obiettivo strategico nell’ambito di attività militari7. In
alcuni casi, comunque, le risorse idriche hanno contribuito al sorgere di conflitti internazionali. Al
contrario, invece, ci sono state, e ci sono tuttora, molte controversie sull’acqua all’interno degli
Stati.
Sembra che la probabilità che si verifichino conflitti violenti sia inversamente proporzionale alla
dimensione e al tipo di soggetto politico coinvolto. Alla base di un conflitto, che può coinvolgere
attori statali e non statali, ci può essere il controllo delle risorse d’acqua ed in tal caso le forniture
d’acqua e l’accesso alle risorse idriche sono alla radice delle tensioni; oppure esigenze di sviluppo,
per cui il sistema idrico diventa la maggiore fonte di contenzioso in contesti di progresso economico
e sociale8.
È importante, però tener presente la distinzione tra conflitto violento, guerra e conflitto in senso
stretto. Non ci sono prove di Stati impegnati in conflitti violenti esclusivamente a causa delle risorse
idriche. Ma queste ultime, come detto in precedenza, possono essere un elemento di conflitti
violenti. Esistono, poi, conflitti che non raggiungono il livello di una guerra, l’assenza della quale
6
Si veda, Steve Lonergan, Water and War, in http://www.unep.org/OurPlanet/imgversn/154/lonergan.html.
Si veda l’Appendice (B), African water conflict chronology.
8
Ibid.
7
8
non significa assenza di conflitto. All’interno degli Stati esistono molti esempi di conflitti anche
violenti intorno alla risorsa acqua. Nel Ciad e nel Darfur occidentale diverse tribù e, in alcuni casi,
membri della stessa tribù combattono per le limitate risorse d’acqua. Tra l’Etiopia e l’Egitto esiste
una situazione di conflitto relativamente all’utilizzo delle acque del Nilo. Le problematiche relative
a tale risorsa naturale sono quasi sempre subordinate al più ampio contesto politico, per cui se le
relazioni politiche tendono a migliorare, difficilmente le prime possono sfociare in un conflitto
armato. Purtroppo simili questioni, in non poche situazioni, sono elemento o causa di conflitto, non
necessariamente violento. L’acqua, quindi, in vari modi tende ad assumere una dimensione politica
(a tal proposito è stato coniato il termine di idro-politica). Se si tiene presente che più di due terzi
della superficie terrestre è coperta da acqua di cui il 97,5% è salata, e che soltanto una piccola parte
del 2,5% di acqua dolce è utilizzabile dall’uomo, si comprende come l’accesso alle risorse idriche
possa rappresentare una questione politica e geo-politica, oltreché economica, dal momento che i
fenomeni di privatizzazione tendono a peggiorare la situazione. Tutto ciò assume connotazioni
drammatiche in quelle regioni del mondo particolarmente soggette a fenomeni climatici quali siccità
ed alluvioni9.
Tutto ciò premesso è possibile fare alcune considerazioni sintetiche sui fattori che entrano in gioco:
− un conflitto violento è molto probabile che scoppi in quelle aree che sono state coinvolte in
guerra negli ultimi 10 anni;
− la disuguaglianza nell’accesso e nella distribuzione delle risorse naturali è una delle
principali cause di conflitto, sebbene non esclusiva;
− movimenti migratori di massa potranno provocare una crescita della competizione per le
risorse in alcuni Paesi e regioni;
− sebbene la reale causa del conflitto sarà l’accesso alle risorse naturali, molti conflitti
saranno, come in anni recenti, combattuti sulla base delle divisioni etniche, religiose,
politiche, ecc.;
− quei Paesi attualmente in conflitto, o che si stanno riprendendo da esso, e situati in regioni
particolarmente afflitte dai cambiamenti climatici sono a maggior rischio;
− a rischio, sebbene non tutti gli studiosi siano d’accordo, sono anche quelle regioni in cui le
acque di fiumi e laghi attraversano i confini di differenti Stati.
Un rapporto del 2007 dell’ Overseas Development Institute mette in guardia contro i potenziali
conflitti che potrebbero sorgere nella Valle di Awash in Etiopia. Tale rapporto considera un’ampia
gamma di rischi di conflitti violenti, che l’Unione Europea potrebbe trovarsi ad affrontare nel Corno
d’Africa, senza però presentare alcuno scenario di guerra ed affermando che l’accesso alle risorse
9
A riguardo si veda l’Appendice (A), Cambiamenti climatici, scarsità d’acqua e conflitti.
9
naturali, tra cui l’acqua, potrà esacerbare le tensioni. Tale rapporto cita l’esempio dell’Egitto in cui
pastori locali reclamano un maggiore accesso alla terra e alle risorse d’acqua, entrando in conflitto
con le istituzioni ai vari livelli.
Secondo, un rapporto, delle Nazioni Unite l’accesso all’acqua potrà, nei prossimi 25 anni, divenire
la principale causa di conflitto e scontro armato in Africa. È molto probabile che tali scontri si
verificheranno in quelle regioni dove i fiumi o i laghi sono condivisi da più di uno Stato come nel
caso del bacino del fiume Nilo per il quale esiste un’intensa competizione internazionale per l’uso
delle sue acque per l’irrigazione e la produzione di energia10.
1. AFRICA. Uno sguardo al continente
L’Africa è particolarmente vulnerabile alle implicazioni geopolitiche derivanti dalle variazioni
idrologiche.
I confini sono purtroppo un’eredità coloniale; di conseguenza, ogni Paese africano condivide
almeno un fiume. Ma pochi di questi fiumi sono effettivamente gestiti congiuntamente. Esistono
almeno 34 fiumi condivisi da due Paesi; 28 invece condivisi da tre o più Paesi. Dieci dei bacini
fluviali internazionali (Congo, Limpopo, Niger, Nilo, Ogooue, Okavango, Orange, Senegal, Volta e
Zambezi) sono condivisi da quattro o più Paesi. Il Nilo è condiviso da 10 Stati rivieraschi: Burundi,
Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Tanzania e
Uganda. Tale situazione di condivisione, ma non sempre di efficace ed efficiente gestione comune
dei bacini fluviali, può avere delle ripercussioni in termini di conflitto tra le parti coinvolte. Ma un
altro modo per valutare le potenzialità di conflitti legati all’acqua è di guardare al numero di fiumi
internazionali all’interno dei singoli Paesi. Ogni Paese africano ha almeno un fiume internazionale;
41 di loro ne hanno due o più, mentre 15 ne hanno cinque o più. La Guinea in particolare è
attraversata da 14 fiumi internazionali; la Costa d’Avorio e il Mozambico da 9.
Per poter mappare le potenziali zone di conflitto legate all’acqua, si deve, quindi, guardare da un
lato ai Paesi che hanno un’alta concentrazione di fiumi internazionali e, dall’altro, ai bacini fluviali
che sono condivisi da molti Stati.
Nella sua accezione più ampia, l’acqua è una componente critica della prosperità nazionale di un
Paese. Questo perché l’acqua è inestricabilmente legata all’irrigazione e a processi di produzione
alimentare, nonché alla fornitura di energia e, di tanto in tanto, ai sistemi di trasporto.
L’accesso alle risorse idriche adeguate è solitamente vista come una questione di “vita o di morte”.
10
L’Egitto, nel 1991, avvisò che sarebbe stato pronto ad usare la forza per proteggere il suo accesso alle acque del Nilo,
che attraversano anche l’Etiopia e il Sudan.
10
In casi estremi, il confronto tra le parti concorrenti può aggravarsi con l’esplosione della violenza
(nel caso di individui o comunità), o raggiungere il confronto militare e, più raramente, il conflitto
armato, nel caso di Stati.
A livello strategico, è possibile elencare 5 principali caratteristiche geografiche e geopolitiche in
grado di influenzare la facilità con cui l’acqua può diventare una fonte di rivalità strategica o di
confronto tra Stati vicini:
1. il grado di carenza idrica già esistente nella regione;
2. la misura in cui l’approvvigionamento idrico è condiviso da uno o più Stati o regioni;
3. i rapporti di forza che esistono tra gli Stati che condividono risorse idriche;
4. la disponibilità di fonti idriche alternative e la loro accessibilità;
5. la misura in cui i confini nazionali di un determinato Paese sono in linea con i sistemi
fluviali condivisi.
Si tratta di caratteristiche strettamente connesse a due questioni strategiche ovvero: il grado con cui
uno Stato mette in campo azioni volte a mantenere la sua integrità territoriale e la sovranità
nazionale; e questioni politiche, sociali ed economiche legate alla sicurezza delle risorse nazionali.
Purtroppo un fiume non conosce confini, e tutto ciò che accade ad esso ad un certo punto del suo
percorso si riflette per tutta la sua lunghezza fino a che non ha raggiunto il mare. Quindi nel caso in
cui le attività umane incidono sul flusso d’acqua a monte, le conseguenze si trasmettono anche a
valle.
Poiché pochi fiumi, a parte i sistemi fluviali relativamente piccoli, sono contenuti entro i confini di
un singolo Stato, l’accesso alle forniture di acqua diventa sempre più una fonte di potenziale
conflitto ogni volta che un fiume attraversa un confine internazionale.
Questo tipo di situazione è ulteriormente aggravata dalle variazioni stagionali dei flussi e da
fenomeni quali siccità ed inondazioni.
Su scala geografica è possibile individuare 4 classi separate di conflitto:
1. intra-comunitario, dove il conflitto relativo a qualche aspetto legato all’acqua può avvenire
in un’area molto limitata che si estende tra i membri di una stessa comunità;
2. tra comunità, che rappresenta una scala leggermente più ampia, dove tutti o la maggior parte
degli individui all’interno di ciascuna comunità può costituire un fronte unito nella disputa
con una comunità vicina;
3. inter-provinciale, in cui gruppi di comunità o autorità locali all’interno di una provincia o
regione può contestare il diritto di un’autorità provinciale vicina, nello stesso Paese, ad
utilizzare l’acqua che non si trova all’interno della zona geografica di relativa competenza;
4. internazionale, in cui un Paese può contestare alcuni o tutti i diritti di utilizzo di acqua da un
sistema idrico che condivide con uno o più Stati confinanti.
11
Alcune considerazioni geopolitiche a quanto detto in precedenza possono aggiungere altre
dimensioni del conflitto:
1. conflitti che sorgono tra i Paesi “a monte” e “a valle” come risultato di specifiche attività o
esigenze di uno o di entrambi i Paesi interessati;
2. conflitti che sorgono quando i Paesi contestano l’ubicazione precisa dei confini
internazionali che li separano e che sono in linea con fiumi o altri sistemi idrici;
3. conflitti causati dalla naturale o artificiale alterazione dei corsi fluviali che costituiscono o
delimitano i confini internazionali tra i due Paesi.
La figura che segue mostra la corrispondenza tra le zone dell’Africa attraversate da sistemi fluviali
e lacustri (A) e le zone dove si riscontrano situazioni di tensione o di potenziale conflitto (B).
Figura 1. Zone di potenziale conflitto.
Fonte: Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, The African Dialogue
Lecture Series, Pretoria University, 24 Febbraio 2000, in http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
Inevitabilmente, le aree più a rischio sono quelle dove le forniture idriche sono più ridotte. Con ogni
probabilità, gli effetti negativi associati a possibili cambiamenti climatici globali, come la
diminuzione delle precipitazioni o l’aumento delle temperature, aggraverà la situazione. Queste
osservazioni però si riferiscono a conflitti su scala ridotta dove sono coinvolti alcuni individui o
aree territoriali relativamente piccole. Al contrario è difficile che i casi più estremi di conflitto, dove
l’intervento militare si intensifica al punto in cui è dichiarata la guerra tra due Paesi concorrenti, si
verifichino come causa diretta o indiretta dell’acqua. In tali circostanze, se la guerra dovesse essere
dichiarata, l’acqua sarebbe destinata a rimanere un problema aggiuntivo o secondario piuttosto che
la causa principale o la forza trainante del conflitto.
12
Figura 2. Aree di maggiore rischio.
Fonte: Russel Smith, Africa's potential
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/454926.stm.
water
wars,
BBC
News,
15
Novembre
1999,
in
2. AFRICA NORD-ORIENTALE. L’importanza strategica del Nilo
In Africa, il 60% del continente è coperto da bacini fluviali transfrontalieri. Tuttavia, circa un terzo
della popolazione (300 milioni di persone) vive in una situazione di scarsità d’acqua. Si prevede che
entro il 2025 metà dei Paesi africani sperimenterà uno stress idrico e la condivisione di acqua avrà
un ruolo significativo nei rapporti tra Stati nell’ambito di una combinazione di crescita della
popolazione e ricorrenti siccità e carestie in alcune parti del continente11. Concentrandosi in
particolare sulla porzione nord-orientale dell’Africa, le proiezioni relative alla tasso di crescita della
popolazione prevedono il 3,2% l’anno in Etiopia, il 2,6% in Uganda, e il 2,2% in Kenya e Sudan,
mentre il tasso medio mondiale previsto è di 0,8%. In numeri reali, significa che la popolazione
dell’Etiopia aumenterà da 62 milioni nel 1998 a circa 212 milioni nel 2050, un aumento di 150
milioni; quella dell’Uganda da 21 a 66 milioni nello stesso periodo, e le popolazioni del Kenya e
Sudan cresceranno entrambe da 29 a 66 milioni. A questo ritmo, la popolazione totale del bacino
del Nilo, incluso l’Egitto, crescerà di 300 milioni di persone tra il 2000 e il 205012.
L’Egitto è di per sé un caso speciale. Al momento dell’indipendenza, nel 1922, la sua popolazione
era di circa 13,5 milioni di persone; nel 1960 aveva raggiunto i 30 milioni e, nel 1998, i 66 milioni.
Entro il 2025 la popolazione egiziana dovrebbe raggiungere 95 milioni di abitanti. Con tutte le sue
11
Si veda Marcel Kitissou, Politics of water: conflict and cooperation in Africa, Institute for African Development, 21
Ottobre 2004, in http://www.einaudi.cornell.edu/files/calendar/3918/Kitissou_paper.pdf.
12
Ibid.
13
terre arabili già sfruttate, è chiaramente evidente l’urgenza della conversione del deserto in campi
coltivati e di assicurare un affidabile approvvigionamento di acqua potabile13.
“L’Egitto è un esempio dei dilemmi e delle incertezze che devono affrontare i Paesi con una rapida
crescita demografica e fonti di approvvigionamento idrico molto limitate sul proprio territorio
nazionale. Ben 56 milioni di persone in Egitto dipendono quasi interamente dalle acque del Nilo,
ma le origini del fiume non si trovano all’interno dei confini del Paese”
14
. L’85% del Nilo è
generato dalla piovosità in Etiopia e scorre come Nilo Azzurro nel Sudan prima di entrare in Egitto.
La parte restante dipende dal sistema del Nilo Bianco, che nasce dal Lago Vittoria, e si congiunge al
Nilo Azzurro nei pressi di Khartoum. Il fiume più lungo del mondo, prima di raggiungere il
Mediterraneo, rifornisce in tutto nove nazioni, e solo l’ultimo tratto scorre in Egitto che, quindi,
dipende, per il suo approvvigionamento idrico, dagli Stati “a monte”.
Sulla base di un accordo sottoscritto nel 1959 con il Sudan, l’Egitto ha diritto ogni anno a 55,5
miliardi di metri cubi d’acqua del Nilo, mentre al Sudan ne sono stati assegnati 18,5. Per soddisfare
il suo fabbisogno l’Egitto integra l’acqua del Nilo con piccole quantità di acque freatiche, con
l’acqua del drenaggio agricolo e con acque reflue municipali trattate.
“Nel 1990 la sua disponibilità è stata aumentata a 63,5 miliardi di metri cubi di acqua.
Sfortunatamente, anche secondo le proiezioni più modeste la domanda idrica egiziana salirà a 69,4
miliardi di metri cubi per la fine del decennio”15.
Sebbene le nazioni del bacino del Nilo abbiano partecipato tutte ad un forum per la cooperazione
tramite un gruppo chiamato undugu, che in swahili significa “fraternità”, nell’immediato futuro non
appare probabile una collaborazione significativa, soprattutto tra l’Etiopia, l’Egitto e il Sudan. Già
durante l’Africa Water Summit tenutosi al Cairo nel giugno 1990, l’Etiopia dimostrò la sua
indisponibilità a condividere con i suoi vicini persino i dati idrologici di base. Per l’Etiopia, la
cooperazione è condizionata alla rinegoziazione dell’accordo sulla ripartizione dell’acqua raggiunto
da Egitto e Sudan nel 1959. L’Etiopia, infatti, considera il trattato iniquo e impraticabile perché
destina una grande quantità di acqua del Nilo a questi due Paesi, che contribuiscono molto poco al
flusso del fiume. In particolare l’Egitto e il Sudan usufruiscono delle quote più elevate, pari a circa
l’87% della portata del fiume16.
Nel 1999 viene costituita, quindi, la Nile Basin Iniziative che riunisce Burundi, Repubblica
Democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Tanzania e Uganda. Il suo
13
Ibid.
Si veda Donato Rivolta, Le guerre dell’acqua, in http://www.comune.torino.it/circ5/informahandicap/cdpglobal1a.htm.
15
Ibid.
16
Ibid.
14
14
obiettivo è il rafforzamento della cooperazione tra i Paesi rivieraschi del Nilo per un’equa
condivisione delle risorse del fiume e per la promozione della pace e della sicurezza regionale.
Purtroppo il Nilo resta una fonte di tensione per tutti i Paesi che attraversa. In particolare le tensioni
sono accese tra Egitto ed Etiopia e tra Sudan e Uganda per i quali il fiume Nilo è stato per secoli la
fonte di sostentamento della vita umana.
Gli egiziani hanno usato la forza militare per garantire il loro controllo sulle sorgenti del Nilo,
perché il Paese non ha altra fonte d’acqua. Sudan, Etiopia ed Uganda hanno realizzato diversi
progetti per aumentare i loro prelievi di acqua annuale, condizionando il controllo egiziano sul Nilo.
Tuttavia, in alcuni casi i governi nazionali si sono accordati per ripartire l’acqua che scorre tra i loro
Paesi. Per esempio, i leader di Uganda, Sudan ed Egitto hanno firmato un patto di condivisione
delle acque del fiume Nilo. Indubbiamente tali soluzioni possono virtualmente impedire la scarsità
di acqua e scongiurare situazioni di conflitto. Ciò assume maggiore importanza se si tiene conto che
secondo il capo del Worldwatch Environmental Research Institute, Lester Brown, la scarsità
d’acqua è ora “la minaccia maggiore per la sicurezza alimentare globale” e poiché la popolazione
complessiva dei tre Paesi che attraversa il Nilo - Etiopia, Sudan ed Egitto - salirà di circa il 127%
entro il 2050, allora potrebbe generarsi una forte concorrenza per le risorse idriche sempre più
limitate. E pertanto è poco probabile che l’Egitto accetti di buon grado di perdere il controllo di una
tale risorsa a favore dell’Etiopia, Paese con un decimo del suo reddito nazionale.
2.1. La storica disputa per le acque del Nilo
Il Nilo è il fiume più lungo del mondo. Esso attraversa 10 Stati, dall’Africa Equatoriale a sud fino al
Mar Mediterraneo a nord del continente: circa 6.800 km. Il bacino del “grande fiume” comprende
3,35 milioni di chilometri quadrati, cioè il 10% della massa continentale, abitati dal 40% della
popolazione africana. Se l’attuale tasso di crescita della popolazione nel bacino del Nilo rimanesse
inalterato, nell’immediato futuro la popolazione totale del bacino salirebbe a 859 milioni entro il
202517 con ovvie conseguenze sulla disponibilità di risorse idriche da parte degli Stati rivieraschi i
quali sperimenteranno una scarsità di acqua.
Tuttavia, la situazione in Egitto, merita una particolare attenzione in primo luogo perché la maggior
parte del Paese (circa il 98%) è desertica e la crescente popolazione è concentrata in un 2% di
territorio, in secondo luogo perchè l’Egitto è la prima potenza economica e militare nella regione.
Di conseguenza, il Paese tende ad esercitare il controllo piuttosto che cercare la cooperazione nella
gestione delle acque del Nilo.
La storia dell’Egitto moderno relativa al suo sfruttamento del Nilo è una storia di confronti, minacce
e intimidazioni.
17
Si veda Marcel Kitissou, Politics of water: conflict and cooperation in Africa, op. cit.
15
Figura 3. Il bacino del fiume Nilo.
Fonte:
Abigail
Ofori-Amoah,
Water
Wars
http://academic.evergreen.edu/g/grossmaz/OFORIAA/.
and
International
Conflict,
2004,
in
16
È fondamentale ricordare che, nel 1979, dopo aver firmato un trattato di pace con Israele, il
Presidente Anwar Sadat dichiarò: «L’unica questione che potrebbe portare l’Egitto in guerra è
quella riguardante l’acqua».
Dopo circa un decennio, nel 1990, Boutros Boutros-Ghali, allora Ministro di Stato per gli Affari
Esteri, sostenne lo stesso pericolo: «La sicurezza nazionale dell’Egitto, che è basata sulle acque del
Nilo, è nelle mani di altri Paesi africani». Infatti da un punto di vista strategico sembra evidente che
l’Egitto abbia bisogno della pace con Israele in modo da essere in grado di proteggere i suoi più
vitali interessi di sicurezza nazionale in Africa. A tal proposito si ricorda che Anwar Sadat fece una
promessa, nel dicembre 1979, per il transito di un canale nel deserto del Negev destinato al
trasferimento di circa 365 milioni di metri cubi di acqua del Nilo ogni anno ad Israele;
successivamente, in un discorso del dicembre 1993, il governatore del nord del Sinai, il Generale
Shash Mounier, propose dei piani per uno scopo simile. In questo modo però la diminuzione delle
tensioni in Palestina potrebbe determinare una crescita delle stesse nella Valle del Nilo.
Sotto il presidente Gamal Abdel Nasser, la crisi idropolitica, con risvolti geopolitici, ebbe luogo nel
1956. Nasser, infatti, stava pianificando un importante progetto ingegneristico sul Nilo, ossia la Alta
Diga di Assuan. Nel luglio del 1956, però, gli Stati Uniti rifiutarono di finanziare il progetto
affermando: « [...] il governo degli Stati Uniti ha deciso che nelle attuali circostanze non è
opportuno partecipare al progetto. Comunque, sono disposti a considerare, in un secondo momento,
e su richiesta dei Paesi rivieraschi, quali misure potrebbero essere adottate per un uso più efficace
delle acque del Nilo a beneficio di tutti i popoli della Regione».
L’ex Unione Sovietica invece decise di finanziare la diga. Nel frattempo, Nasser nazionalizzò il
Canale di Suez, al fine di procurare fondi per il suo progetto. Come co-proprietari del Canale, la
Gran Bretagna e la Francia inviarono le truppe. La spedizione militare fu condannata dalle allora
due superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Le truppe furono ritirate ma nel frattempo il
panorama geopolitico era cambiato.
La crisi del 1956 era solo la “punta dell’iceberg”. Il Nilo, fonte di vita, è anche fonte di conflitto.
Dopo che il protettorato britannico finì nel 1922, il governo egiziano fu lasciato con una grande
questione: il Sudan e il suo uso del Nilo. Tale questione divenne maggiormente preoccupante
quando, nel 1954, il Sudan presentò i piani per una diga sul Nilo Azzurro per estendere la
irrigazione a Gezira e per fornire energia idroelettrica a Khartoum-Omdurman.
Gli egiziani videro la Diga di Roseires come un’interferenza al pieno utilizzo della loro Diga di
Assuan. Le tensioni rimasero anche dopo che il Sudan divenne indipendente nel 1956 e la Diga di
Roseires venne infine completata nel 1966 con l’aiuto finanziario della Banca Mondiale e della
Germania Ovest.
17
Purtroppo se prima la questione riguardava solo due Paesi rivieraschi, dopo la loro rispettiva
indipendenza, Tanganika, Uganda, Ruanda, Burundi e Congo-Zaire considerarono la loro parte del
fiume come una questione di sovranità nazionale.
In assenza di accordi di cooperazione, all’Egitto, secondo alcuni, resterebbero tre opzioni
strategiche18. La prima è di ricorrere ad una strategia di proiezione della forza sostenendo fazioni
interne in una regione ricca di guerre civili e lotte comunitarie. Quasi tutti gli Stati rivieraschi sono
afflitti da guerre civili, lotte tra comunità e flussi di profughi. Questa situazione rappresenta un
handicap per lo sviluppo economico, compreso i piani per utilizzare l’acqua del Nilo. Burundi,
Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Tanzania, Uganda e Repubblica Democratica del Congo,
sono tutti afflitti, in vario modo, da una situazione di instabilità cronica. Secondo la realpolitik, è
nel miglior interesse dell’Egitto che la situazione rimanga così, in particolare se si tiene conto che
tutti gli Stati rivieraschi hanno sviluppato la dannosa abitudine di sostenere i gruppi di insorti dei
loro vicini. Per esempio, nel 1960, l’Etiopia permise ad esperti israeliani di attraversare il confine
con il Sudan e di stabilire collegamenti con la guerriglia che combatteva contro il governo di
Khartoum. La stessa Etiopia si lamentò del fatto che il Sudan e altri Paesi arabi sostenevano i ribelli
in Eritrea e il Fronte di Liberazione Oromo (Oromo Liberation Front) nell’Etiopia sud-occidentale.
Si ritiene che l’Uganda abbia dato il proprio supporto all’Esercito di Liberazione Popolare Sudanese
(Sudanese Popular Liberation Army - SPLA), del Sudan meridionale e che il Sudan, a sua volta,
abbia sostenuto l’Esercito di Resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army - LRA) nel nord
dell’Uganda.
A quanto pare, valutando questo stato di cose come un vantaggio, l’Egitto ha cercato di perpetuare
la sua posizione privilegiata sul Nilo aiutando le forze antigovernative nei Paesi vicini. Ciò ha
implicato il sostegno agli irredentisti somali nella regione etiopica dell’Ogaden e i ribelli del SPLA
nel sud del Sudan.
La stessa guerra civile in Sudan è stata determinata dagli sforzi del governo di Khartoum di
mantenere il controllo sia del Nilo Bianco (a sud) che dei nuovi giacimenti petroliferi nella regione
centrale del Sudan.
Le altre due opzioni a disposizione dell’Egitto riguardano azioni militari dirette. La prima è quella
di sviluppare una forza aerea schiacciante in grado di operare in tutta la regione. Se e quando
necessario, questa forza aerea potrà essere utilizzata per bombardare le dighe e le altre strutture in
grado di influenzare la disponibilità di acqua del Nilo. L’Egitto ha fatto ricorso ad una simile
minaccia nel 1978, quando l’Etiopia annunciò un piano per utilizzare l’acqua del Nilo per una serie
di progetti nazionali di irrigazione.
18
Si veda Marcel Kitissou, Politics of water: conflict and cooperation in Africa, op. cit.
18
La seconda opzione è l’occupazione del territorio. Tale possibilità è stata effettivamente dimostrata
nel 1994 quando le sue forze entrarono nel distretto di Halayeb, una zona di confine contestata sul
Mar Rosso, occupato dal Sudan.
Per ironia della sorte, ristabilire la pace all’interno dei Paesi rivieraschi potrebbe solo aumentare la
tensione nella valle del Nilo. I colloqui di pace sono in corso in molte aree: in Sudan e nella regione
dei Grandi Laghi; esiste, invece, un fragile accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea dal 2000.
Purtroppo nel momento in cui la pace prevale, segue uno sviluppo economico che richiede un
maggiore sfruttamento delle risorse idriche. Infatti, l’Etiopia ha annunciato piani ambiziosi per
deviare le acque dal Nilo Azzurro per nuovi sviluppi nel settore agricolo. L’Uganda sta valutando
nuovi progetti idroelettrici. Il Sudan ha manifestato l’intenzione di attingere più acqua dal Fiume.
Nello stesso tempo, però, il governo di Khartoum è stato impegnato nell’accrescimento della
propria capacità militare con l’assistenza dell’Iran e dell’ex Iraq di Saddam Hussein, attraverso
l’acquisto di sistemi d’arma dalla Cina e dall’ex Unione Sovietica.
Una dichiarazione del 1989 di Boutros-Boutros-Ghali sembra suggerire un’idea della situazione
conflittuale: «Ciò che è peggio è che ogni Paese del Nilo si aspetta diversi benefici dal controllo e
dalla gestione delle risorse idriche [...]. Gli altri Paesi africani [...] non hanno raggiunto il livello di
agricoltura che abbiamo, e pertanto, non sono così interessati al problema della carenza idrica. È la
classica differenza di atteggiamento riscontrato tra i Paesi “a monte” e “a valle”, che sono situati
lungo lo stesso fiume internazionale»19.
Sebbene ci sia una situazione di conflittualità, i Paesi rivieraschi non si sono mai apertamente
dichiarati, gli uni gli altri, nemici, fatta eccezione per l’Etiopia e l’Eritrea nel 1998 e 2000. Inoltre ci
sono stati molti tentativi di cooperazione nella valle del Nilo, sotto forma di trattati, organizzazioni,
commissioni ed iniziative.
Nel 1929, l’Accordo per le acque del Nilo (Nile Waters Agreement) tra Egitto e Sudan era rivolto a
regolare la pianificazione e l’uso delle acque del fiume più lungo del continente. L’accordo fu
firmato nel 1929 da Egitto e Gran Bretagna, quest’ultima per conto delle sue allora colonie
dell’Africa Orientale
L’Accordo per la Piena Utilizzazione delle acque del Nilo (Agreement for Full Utilization of the
Nile Waters) del 1959 fu un tentativo di riparare al rapporto contraddittorio generato dal precedente
Accordo. Un comitato misto fu istituito per controllare tutti gli accordi di lavoro per i futuri progetti
di conservazione del Bacino. Due limiti, tuttavia, hanno caratterizzato l’Accordo del 1959. In primo
luogo, ha omesso di includere gli altri Stati rivieraschi. In secondo luogo, è troppo rigido: non ha
previsto, infatti, eventuali modifiche che sarebbero state determinate dal cambiamento delle
condizioni climatiche, dalla crescita demografica, e da situazioni economiche e militari.
19
Si veda Marcel Kitissou, Politics of water: conflict and cooperation in Africa, op. cit.
19
Ad esempio, l’Accordo stabiliva che per un flusso annuo di 84 miliardi di metri cubi d’acqua,
all’Egitto dovessero esserne destinati 55,5 miliardi di metri cubi per anno mentre al Sudan 18,5
miliardi di metri cubi. Il flusso residuo di 10 miliardi di metri cubi all’anno rappresentava la perdita
prevista dovuta all’evaporazione e al deflusso di acqua dal Lago Nasser.
Nel 1977, i Paesi rivieraschi del Kagera (importante affluente del Nilo), cioè, Burundi, Ruanda,
Tanzania e Uganda, crearono un’organizzazione per il Bacino. Lo stesso Egitto provò a creare,
senza successo, un’organizzazione dell’intero Bacino. Questo fallimento può essere visto, in parte,
come una delle conseguenze della guerra civile in Burundi, Etiopia, Rwanda, Sudan e, in
particolare, a causa delle tensioni politiche tra il Sudan e l’Egitto. Nel 1992, l’Iniziativa per il
Bacino del Nilo (Nile Basin Initiative) fu lanciata dal Consiglio dei Ministri degli Affari dell’Acqua
degli Stati del Bacino del Nilo (Council of Ministers of Water Affairs of the Nile Basin States) per
promuovere la cooperazione e lo sviluppo nella valle. Il Comitato di Cooperazione Tecnica per la
Promozione dello Sviluppo e la Tutela Ambientale del Bacino del Nilo (Technical Cooperation
Committee for the Promotion of the Development and Environmental Protection of the Nile Basin)
(TECCONILE)20 comprende sei degli Stati rivieraschi, la Repubblica Democratica del Congo,
l’Egitto, il Ruanda, il Sudan, la Tanzania e l’Uganda.
Ovviamente molto lavoro è ancora necessario per creare un sistema di gestione integrata delle acque
del Nilo.
2.2. Etiopia e Kenya, due Paesi in prima linea nelle future crisi d’acqua mondiali21
Il giornalista Alex Stonehill afferma che in Africa Orientale dove la maggior parte della
popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, l’acqua, ovvero il liquido che alimenta il corpo,
sta diventando ancora più controverso del liquido che alimenta le auto.
La Terza Guerra Mondiale sarà combattuta per l’acqua e non per il petrolio. Secondo le
testimonianze raccolte dal giornalista in Etiopia “una donna deve camminare per miglia ogni giorno
per raccogliere acqua potabile; gli agricoltori sono spinti in conflitti mortali a causa del deperimento
dei sistemi fluviali, e le forniture idriche cittadine sono esaurite da una irrigazione eccessiva”.
Le frange dei fertili altipiani dell’Etiopia sono punteggiate da campi che ospitano i profughi dei
conflitti legati all’acqua nel resto del Paese. A pochi chilometri fuori dall’antica città musulmana di
Harar, lungo un letto di fiume asciutto, si trova un campo di circa 5.000 somali. Essi sono fuggiti
dalla Regione dell’Ogaden a causa dei conflitti tra clan per l’accesso all’acqua e ai pascoli. Queste
persone hanno perso tutto il loro bestiame che era il loro mezzo di sostentamento, così come molti
20
Il TECCONILE ha il compito di assistere le parti, nei loro sforzi di sviluppo, per assicurare un approccio integrato e
in modo sostenibile.
21
Il paragrafo trae spunto da, Alex Stonehill, World Water Crisis, Z Magazine, 19 Giugno 2008, in
http://khodari.wordpress.com/2009/11/24/off-the-record-world-water-crisis/.
20
dei loro familiari, a causa del conflitto, e ora sopravvivono nutrendosi di cactus e con gli aiuti
occasionali della gente del luogo. Per ottenere l’acqua di cui hanno bisogno per bere e lavarsi
scavano nel fondo sabbioso del letto asciutto del fiume fino a quando non fuoriesce acqua fangosa.
I pastori sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, poiché, vivendo già in aree
dove l’agricoltura non è redditizia, una piccola diminuzione delle precipitazioni può essere una
condanna a morte per gli animali, se le poche pozze d’acqua sparse si prosciugano. Ma la maggior
parte dei pastori sono armati contro i predatori e pertanto potrebbero ben presto “imbracciare le
armi” contro altri gruppi per ottenere l’accesso all’acqua piuttosto che stare a guardare i loro
animali morire.
I disordini che attualmente pressano il governo etiope sono rivolti all’indipendenza della Oromia e
dell’Ogaden, entrambe aree pianeggianti a lungo trascurate, con popolazioni pastorali di grandi
dimensioni.
L’acqua, però, è fondamentale non solo per i pastori ma anche per gli agricoltori e pertanto è reale il
rischio di scontri tra i due gruppi. I genocidi avvenuti in Ruanda e in Darfur sono sorti dallo scontro
culturale tra pastori ed agricoltori.
Non si può negare che questi sono tutti i conflitti a sfondo politico, ma è altrettanto innegabile che
la scarsità d’acqua giochi un ruolo nel creare i presupposti di disperazione e malcontento.
“L’acqua è vita”. Questa è una frase ripetuta moltissime volte dagli operatori umanitari dell’Africa
Orientale. Ma “l’acqua simboleggia anche ricchezza”. Ovunque ci sia la povertà, i problemi idrici
sono di primaria importanza. Anche negli altipiani urbani di capitali come Addis Abeba e Nairobi,
dove le temperature sono fresche e le piogge sono abbondanti, l’accesso ad impianti di acqua
potabile e a servizi igienici adeguati è in cima alla lista dei problemi citati dagli abitanti dei quartieri
poveri, che rappresentano circa la metà della popolazione. I morti per malattie dovute alla carenza
d’acqua, sebbene superiori a quelli per AIDS, ricevono meno attenzione. Nella città di Nairobi, le
infrastrutture idriche terminano ai margini di Kibera, la seconda baraccopoli più grande del
continente. Le milioni di persone che vivono a Kibera in genere finiscono per pagare centinaia di
volte in più rispetto agli altri quartieri di Nairobi per un’acqua che li fa addirittura star male.
I residenti delle cosiddette slum, sono arrabbiati per questa negligenza ed indifferenza del governo.
Le tensioni sono cresciute ulteriormente quando tale indifferenza è stata associata a differenze
etniche. Quando i residenti delle slum si sono ribellati, come è accaduto a seguito delle elezioni del
dicembre 2007 in Kenya, tale evento è stato presentato dai media come semplice violenza o come
conflitto etnico. Invece non è una coincidenza che ciò si verifichi spesso in luoghi dove le persone
non hanno accesso ai servizi di base come l’acqua, e neanche altre opzioni per ottenere l’attenzione
dei loro leader politici. Quando il caos scoppiò a Kibera nel mese di gennaio 2008, alcuni dei primi
21
obiettivi degli atti di vandalismo furono i serbatoi di proprietà dei venditori d’acqua che per anni
avevano venduto a prezzi non ragionevoli.
Secondo un ambientalista ugandese il secondo lago più largo del mondo è destinato a prosciugarsi.
Infatti, il livello del Lago Vittoria è diminuito di diversi metri, negli ultimi anni, provocando la fine
degli allevamenti di pesce, mettendo in pericolo i 30 milioni di africani che vivono intorno al Lago,
e ponendo le basi per un conflitto internazionale. Come è accaduto quando i pescatori kenioti
nell’inseguire i pesci in acque più profonde ugandesi sono stati arrestati e torturati dai soldati.
Anche tra i pescatori dei due Paesi ci sono stati degli scontri.
Il conflitto internazionale per le risorse idriche del sistema Lago Vittoria- Fiume Nilo sembra quasi
inevitabile. I nove Paesi che condividono il sistema (Egitto, Etiopia, Sudan, Tanzania, Kenya,
Uganda, Burundi, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo) sono alcune delle nazioni più
povere del mondo e le loro popolazioni stanno esplodendo, aumentando in maniera esponenziale lo
stress sulle risorse idriche quindi sempre più a rischio22.
3. AFRICA OCCIDENTALE. Esempi di aree di tensione passate, attuali e potenziali
Il rischio di conflitti (water conflict) nell’Africa occidentale è particolarmente serio per diverse
ragioni. In primo luogo perché vi è una forte “interdipendenza idrica” tra i Paesi di questa Regione,
ognuno dei quali, con l’eccezione della Repubblica di Capo Verde, condivide almeno uno dei 25
fiumi transfrontalieri. E tale interdipendenza può contribuire al sorgere di tensioni e conflitti tra i
Paesi intorno alle risorse idriche.
In secondo luogo, il cambiamento climatico ha provocato una sensibile riduzione nelle
precipitazioni annuali con gravi conseguenze per i principali sistemi fluviali. Infatti, secondo alcuni
studi la regione dell’Africa Occidentale ha subito, nel periodo 1968-1972, una riduzione delle
precipitazioni dal 15% al 30% a seconda delle zone. Di conseguenza i principali fiumi, quali il
Volta, il Niger e il Senegal, hanno subito una riduzione del volume d’acqua, in media dal 40% al
60%. Infine, molti Paesi hanno pianificato un aumento degli investimenti in grandi infrastrutture,
come le dighe, con il rischio di modificare radicalmente il naturale percorso di distribuzione idrica
tra i Paesi.
Una delle principali caratteristiche dell’Africa Occidentale è l’assoluto contrasto tra le zone umide e
quelle aride. Questo contrasto è, comunque, attenuato dalla configurazione della rete idrografica
della Regione. Infatti, i principali fiumi, avendo le loro sorgenti nelle zone piovose, e scorrendo,
22
Proprio come gli agricoltori kenioti stanno diminuendo l’afflusso verso il Lago Vittoria, tagliando le foreste lungo i
suoi bacini idrografici, il governo dell’Uganda sta aumentando il deflusso facendo fluire più acqua attraverso le sue
nuove dighe sul Nilo. Proprio come gli etiopi stanno spingendo per industrializzare il settore agricolo per
l’esportazione, irrigando nuove terre centinaia di miglia lungo il Nilo, l’Egitto sta canalizzando milioni di galloni di
acqua dal Fiume per rendere fertili vaste aree di deserto.
22
poi, attraverso il Sahel, regione colpita da un cronico deficit di precipitazioni, assicurano un
trasferimento di acqua dalle aree umide a quelle aride. Questo trasferimento inter-zonale crea un
alto livello di interdipendenza idrica tra i Paesi della Regione. Per esempio il fiume Niger è
condiviso da 11 Paesi, mentre le acque del Bacino del Lago Chad, del fiume Volta e del Senegal
sono rispettivamente condivise da 8, 6 e 4 Stati. La maggioranza dei Paesi dell’Africa Occidentale
ha, quindi, un rapporto di dipendenza idrica superiore al 40%; il che significa che più del 40% delle
risorse idriche rinnovabili di un Paese è generato al di fuori dei suoi confini.
Figura 4. Mappa dei principali fiumi dell’Africa Occidentale.
Fonte: IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, Giugno 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
In risposta all’imprevedibilità delle condizioni idro-climatiche e a dimostrazione di una crescente
pressione sulle risorse idriche, in Africa Occidentale c’è stato un significativo incremento nella
costruzione di grandi dighe il cui numero, sebbene attualmente ancora basso rispetto ad altre regioni
dell’Africa, sarà destinato a crescere, visto l’elevato numero di progetti. Questi mostrano la
freneticità delle risposte ai cambiamenti climatici e rischiano di accrescere la competizione tra gli
Stati. Soltanto sul fiume Niger sono stati elaborati non meno di venti progetti per la costruzione di
nuove dighe. Tra quelli più avanzati ci sono quelli previsti in Guinea, in Mali, in Benin, in Nigeria e
in Niger23.
La proliferazione delle dighe, sebbene aiuti a far fronte ai momenti di scarsità, può avere impatti
negativi, alterando il regime fluviale, a causa della frammentazione dei corsi d’acqua, e ponendo un
problema di uguaglianza nell’accesso all’acqua. Tutto ciò rischia di creare situazioni di tensione e
conflitto. Non a caso negli ultimi anni si sono verificati vari episodi in cui comunità e anche autorità
23
Si veda, IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, Giugno 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
23
governative hanno accusato gli Stati a monte di essere stati la causa di fenomeni quali la riduzione
del flusso d’acqua ed inondazioni, che in molti casi appaiono piuttosto collegati alle variazioni
climatiche.
Per evitare che tali questioni sfocino in conflitti armati sono stati creati alcuni organismi (Senegal
River Basin Development Authority, Niger Basin Authority, Lake Chad Basin Commission, Gambia
River Development Authority, ecc.) e sono stati stipulati vari accordi bilaterali (Niger-Nigeria Joint
Committee on Water, Memorandum of Understanding between Cameron and Nigeria on the
Benoue River, ecc.) che, purtroppo, sono rimasti soltanto sulla carta, senza un’effettiva traduzione
in una reale cooperazione.
3.1. Il bacino del Komadugu Yobe in Nigeria: un esempio di rischio di conflitto interstatale indotto dal clima
Il sistema fluviale del Komadugu Yobe (tributario del Lago Chad) ha subito il grave impatto dei
cambiamenti climatici. Inoltre le due dighe, di Tiga e Challawa, completate rispettivamente nel
1972 e nel 1992, hanno provocato la deviazione di una sostanziale quota del flusso d’acqua per usi
domestici e per l’irrigazione.
Figura 5. Bacino fluviale del Komadugu Yobe, Nigeria settentrionale.
Fonte: IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, June 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
24
La combinazione dei due effetti ha inciso negativamente sul flusso idrico, principalmente nel tratto
inferiore del sistema fluviale. Infatti, attualmente, il fiume Yobe contribuisce soltanto con l’1% del
totale flusso d’acqua che scorre verso il Lago Chad. Tale situazione ha spinto gli Stati più a valle, di
Jigawa, Yobe e Borno, a lamentarsi sempre più violentemente per la mancanza di equità nella
condivisione delle acque fluviali con lo Stato di Kano, a monte. Il Governo Federale della Nigeria
ha, quindi, stabilito, nel 1999, un Comitato Interministeriale per dare delle risposte a questa
situazione di tensione. Nel frattempo gli agricoltori degli Stati a valle hanno intrapreso una sorta di
guerra dell’acqua scavando canali per deviare quanta più acqua possibile per i loro campi,
modificando profondamente la naturale rete di drenaggio del bacino.
3.2. Il Bacino fluviale del Senegal: rischio di un conflitto armato tra Mauritania e
Senegal
In seguito alla grave siccità che colpì il bacino del Senegal negli anni 70 e 80 del Novecento, il
Mali, la Mauritania e il Senegal decisero di creare la Senegal River Basin Development Authority
(OMVS) con il preciso compito di sviluppare ed implementare importanti programmi
infrastrutturali che includessero la costruzione della diga di Diama a valle e di quella a monte di
Manantali. Purtroppo, verso la fine degli anni 80, due anni dopo l’inaugurazione della prima diga, e
pochi mesi dopo il completamento della seconda, esplose un conflitto tra Senegal e Mauritania. Le
tensioni iniziarono quando il fiume cominciò a ritirarsi dall’adiacente pianura alluvionale. Gli
agricoltori senegalesi, che venivano verso la riva destra del fiume per preparare i loro terreni,
furono scacciati dalle guardie di confine mauritane. Le autorità senegalesi, a loro volta, per
ritorsione, inviarono indietro in Mauritania le greggi di cammelli, che di solito trascorrevano la
maggior parte della stagione secca nella regione del Sahel conosciuta come Ferlo (Senegal
Settentrionale). Pochi mesi dopo, nell’aprile del 1989, a seguito di una disputa tra gli agricoltori
senegalesi e i pastori mauritani in una zona reclamata dai due Paesi, le guardie di confine mauritane
uccisero due agricoltori senegalesi e ne arrestarono altri 13. La tensione crebbe e diversi scontri tra
agricoltori e pastori, ebbero luogo lungo il fiume. Pochi giorni dopo, alcuni negozi, gestiti da
mauritani, nelle cittadine lungo il fiume e a Dakar, furono saccheggiati da bande di giovani. In
risposta, centinaia di cittadini senegalesi furono uccisi in Mauritania. Questo episodio provocò una
caccia “al mauritano” sia a Dakar che in altre grandi città del Senegal: decine di Mauritani furono
uccisi. Di fronte a tale situazione i due governi decisero di imporre un coprifuoco nei loro rispettivi
Paesi. Alla fine di giugno 1989, 75.000 senegalesi e 150.000 mauritani furono rimpatriati e i due
Paesi troncarono le loro relazioni diplomatiche, lasciando la situazione particolarmente tesa per
tutto il resto dell’anno. Nei mesi di ottobre e novembre, si verificarono degli scontri tra i rispettivi
eserciti, schierati lungo il fiume Senegal, anche con scambi di artiglieria pesante.
25
Finalmente, nel 1992, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi vennero ristabilite, ma gli effetti della
crisi restarono per lungo tempo.
Da allora c’è stato quello che alcuni definiscono un “ispessimento” del confine24.
Figura 6. Il bacino del fiume Senegal.
Fonte: IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, June 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
Nel giugno del 2000, il governo mauritano ha accusato il Presidente senegalese Abdoulaye Wade,
di essere intenzionato a riprendere e a rilanciare il Fossil Valley Rehabilitation Project consistente
nel deviare l’acqua del fiume condiviso verso una rete di bacini tributari nel centro-nord del
Senegal. Il governo mauritano, immediatamente, ha reagito dando 15 giorni di tempo, ai residenti
senegalesi, di lasciare la Mauritania. A questo punto, il Presedente Wade ha dovuto rinunciare al
progetto in modo da allentare le tensioni.
24
Si veda, IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses, op. cit.
26
3.3. Controversie tra Ghana e Burkina Faso sulle cause della crisi energetica
Il sistema fluviale del Volta è sfruttato sia dal Ghana che dal Burkina Faso per fa fronte alle
rispettive esigenze di sviluppo. La diga di Akosombo25 e quella di Kpong, costruita a valle della
prima nel 1982, rappresentano complessivamente una capacità di 1.060 MW, o, in altri termini, il
95% della fornitura totale di elettricità del Ghana. Annualmente, in media, il 56% delle acque che
fluiscono nel bacino di Akosombo proviene dal Volta Bianco e dal Volta Nero.
Nel 1998 l’acqua del bacino scese al di sotto del livello operativo provocando una grave
insufficienza energetica.
Figura 7. Andamento del livello d’acqua nel bacino di Akosombo.
Fonte: IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, Giugno 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
L’accaduto fu oggetto di speculazioni. Infatti, si ritenne che una delle cause era da ricercare
nell’ingiusto incremento del prelievo di acqua nella parte superiore del bacino attraverso la
costruzione di una diga e l’incremento dell’irrigazione. Infatti, pochi anni prima il Burkina Faso
aveva annunciato un piano per la costruzione di 3 grandi dighe sui tributari del fiume Volta presenti
sul suo territorio per fornire acqua alla capitale Ouagadougou (la diga di Ziga) e per la produzione
di energia. Allora, il Burkina Faso aveva già costruito 2 grandi dighe e circa 1.500 piccole dighe
nella parte superiore del bacino del fiume Volta. In aggiunta a ciò, la superficie irrigata, in Burkina
Faso, crebbe da 2.000 ha, nel 1966, a 25.000 ha, nei tardi anni novanta, mentre in Ghana la
25
La diga di Akosombo, completata nel 1965, creò il più grande lago artificiale del mondo con una superficie di 8.500
Km2 ed un volume di raccolta di 148 Km3.
27
superficie crebbe da 1.000 ha a 7.000 ha nello stesso periodo26. Quindi, tale trend sembrava
supportare l’ipotesi che gli investimenti del Burkina Faso in infrastrutture fossero stati la principale
causa del deficit idrico nella parte inferiore del Volta. Altri, invece, hanno in seguito sostenuto che
era più plausibile collegare la crisi energetica del Ghana del 1998 agli effetti negativi, sul fiume
Volta, del cambiamento climatico e della variabilità delle precipitazioni.
3.4. Niger e Nigeria: controversie tra Paesi a monte e a valle del fiume Niger
La Nigeria, che ha fortemente investito in progetti di irrigazione e di idroelettricità a valle del fiume
Niger (le dighe di Kainji e Jebba), oggi teme che la costruzione di dighe a monte, come quella di
Kandadji in Niger e Taoussa in Mali, provocherà una riduzione del flusso d’acqua verso la parte
Nigeriana. Perciò, in molte occasioni, le autorità nigeriane hanno espresso la loro opposizione a
qualsiasi progetto di costruzione sul fiume Niger che potrebbe provocare una riduzione, superiore al
10%, del volume d’acqua annualmente ricevuto in Nigeria.
Considerando che la variabilità climatica degli ultimi anni ha prodotto una caduta, del flusso
annuale medio del fiume Niger, dal 20% al 50%, e che il futuro cambiamento climatico peggiorerà
la situazione, si potrebbe attribuire al clima la causa delle controversie tra le zone a valle e quelle a
monte piuttosto che alle dighe e ai progetti di irrigazione.
3.5. Tensioni tra Camerun e Nigeria sul Lago Chad
Negli ultimi anni si è verificata una disputa (water dispute) tra Camerun e Nigeria sulla parte
meridionale del Lago Chad, in particolare nel villaggio di Darak e negli insediamenti circostanti. Il
villaggio, situato in territorio camerunese, 35 Km ad est del confine con la Nigeria, fu fondato nel
1987 da pescatori di origine nigeriana che vi emigrarono a causa del progressivo ritirarsi delle
acque del lago, dovuto al susseguirsi di annuali deficit delle precipitazioni. Infatti la superficie
lacustre scese da 37.000 Km2 nei primi anni 50 fino a 15.000 Km2 nei primi anni 90. Secondo stime
attuali la superficie media dovrebbe essere di 17.800 Km2.
A metà degli anni 90 esistevano, nella parte camerunese del Bacino del Lago Chad, più di 30
villaggi, abitati da immigrati nigeriani.
La tensione tra Camerun e Nigeria crebbe poiché le autorità nigeriane, nel seguire gli spostamenti
dei propri cittadini, stabilirono, nei villaggi da essi occupati, in territorio camerunese, il controllo
statale e i relativi servizi pubblici: strutture militari e di polizia, scuole, servizi sanitari, ecc.. Inoltre,
questi villaggi furono integrati nel sistema di amministrazione decentralizzata del territorio
nigeriano divenendo parte del Distretto nigeriano di Wulgo.
26
Si veda, IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses, op. cit.
28
Figura 8. Flusso migratorio dei pescatori nigeriani verso la parte camerunese del Lago Chad.
Fonte: IUCN-West Africa Regional Office (IUCN-BRAO), Climate-Induced Water Conflict Risks in West Africa:
Recognizing and Coping with Increasing Climate Impacts on Shared Watercourses. International Workshop on Human
Security and Climate Change, Oslo, Giugno 2005, in http://www.gechs.org/downloads/holmen/Niasse.pdf.
Dopo una serie di scontri armati, negli anni 80 e 90, i due Paesi cercarono, senza successo, di
risolvere il problema nell’ambito della Lake Chad Basin Commission (LCBC) di cui fanno parte.
Nel 1994, perciò, la Nigeria e il Camerun decisero di portare la questione dinanzi alla Corte
Internazionale di Giustizia che, solo nell’ottobre del 2002, emise la sentenza in favore del Camerun.
La Nigeria, quindi, a partire da dicembre 2003, iniziò a ritirare le truppe dai territori contestati.
4. AFRICA MERIDIONALE. Alcuni casi studio di conflitti collegati alle risorse idriche27
Secondo Peter Ashton28 se l’acqua non rappresenta l’unica causa diretta di guerra nell’Africa
Meridionale è molto probabile invece che essa diventerà un importante fattore che contribuirà alla
instabilità regionale a mano a mano che la domanda raggiungerà la soglia limite delle forniture
disponibili. In quasi tutti i conflitti legati all’acqua che si sono verificati nell’Africa Meridionale, il
ruolo dell’acqua è stato secondario in relazione alla sovranità territoriale. Nella maggior parte dei
casi, tali dispute sono state determinate dalla percezione che l’integrità territoriale di un Paese
venisse compromessa o minacciata dalle rivendicazioni dei territori confinanti.
27
28
Si veda, Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, op. cit.
Si veda Peter Ashton, Are Water conflicts inevitabile?, op. cit..
29
Molti dei confini internazionali in Africa Meridionale sono in linea con fiumi e corsi d’acqua,
risultato delle decisioni delle potenze coloniali. Tuttavia, poiché i fiumi sono sistemi dinamici che
cambiano frequentemente i loro corsi, in futuro le controversie tra Stati potranno mutare in funzione
della forma e configurazione assunta dagli stessi fiumi.
4.1. Disputa tra Angola, Namibia e Botswana per il prelievo di acqua dal fiume
Okavango
Il Namibian Department of Water Affairs ha dovuto affrontare considerevoli pressioni pubbliche nel
cercare di alleviare la carenza d’acqua provocata dalla siccità che ha colpito la Namibia negli anni
passati. Una delle opzioni proposte implicava il prelievo di circa 17 Mm3 di acqua all’anno dal
fiume Okavango, nella zona di Rundu, e il suo trasferimento, attraverso un acquedotto lungo 260
Km, alla città di Grootfontein (si veda figura sotto).
Figura 9. Mappa del Fiume Okavango. Posizione dei principali fiumi e dei Paesi in relazione
al delta del fiume.
Fonte: Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, The African Dialogue
Lecture Series, Pretoria University, 24 Febbraio 2000, in http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
30
Tre Paesi includono il bacino del delta dell’Okavango: l’Angola, la Namibia e il Botswana. Lo
Zimbabwe, invece, è attraversato dall’affluente Nata che sfocia nel Bacino del Makgadikgadi e non
contribuisce a formare parte del bacino del delta. Di conseguenza lo Zimbabwe non dovrebbe essere
coinvolto in questioni che riguardano azioni o attività che potrebbero incidere sul delta del fiume
Okavango.
Lungo questo fiume, il confine internazionale tra Namibia e Angola è localizzato sulla porzione più
profonda del canale fluviale (il cosiddetto Thalweg). Perciò, sia la Namibia che l’Angola ritengono
di avere il diritto (Riparian Right) di prelevare l’acqua da questa sezione del fiume in funzione
dell’esigenze locali e nazionali.
In ogni caso, l’opzione proposta all’epoca suscitò non pochi dubbi, sia in Namibia che in Botswana,
circa le conseguenze negative per il delta dell’Okavango in Botswana. Per cui fu fatta un
valutazione di impatto ambientale sulla potenziale riduzione del flusso d’acqua nelle zone limitrofe
il delta. Nonostante i risultati rassicuranti, sia in Namibia che in Botswana l’opinione pubblica ebbe
una percezione completamente negativa del progetto, che fu visto come una potenziale minaccia per
l’industria del turismo, lungo il fiume Okavango in Namibia e nel delta in Botswana, con il rischio
di perdite pecuniarie per la popolazione locale. La valutazione di impatto ambientale, però, non
evidenziò alcun problema tale da ostacolare l’inizio del progetto. I risultati delle analisi tecniche
infatti indicarono chiaramente che l’impatto sarebbe stato molto limitato e, comunque, in molte
aree, difficilmente misurabile con tecniche convenzionali di rilevamento. Nonostante tutto
l’opinione pubblica si era formata e vi era un generale rifiuto verso i risultati presentati
pubblicamente. Per cui se si fosse proceduto con il piano di estrazione, probabilmente la
popolazione locale avrebbe attribuito ad esso, ed ai Paesi che lo sostenevano, qualsiasi effetto
ambientale negativo, indipendentemente dalle reali cause.
Nel settembre del 1994 Angola, Namibia e Botswana siglarono un accordo per creare la Okavango
River Basin Water Commission (OKACOM) e nello stesso anno fu proposta una Trilateral
Permanent Water Commission (TPWC) al fine di fornire consigli sullo sviluppo socialmente e
ambientalmente sostenibile delle acque del fiume Okavango.
31
4.2.
La
controversia
tra
Namibia
e
Botswana
sul
possesso
dell’isola
di
Sedudu/Kasikili29 nel fiume Chobe
La controversa proprietà dell’isola di Sedudu/Kasikili, situata nel fiume Chobe, tra Namibia e
Botswana, rappresenta un perfetto esempio della complessità di un conflitto legato all’acqua.
La rivendicazione sulla proprietà dell’isola stata oggetto di una formale disputa tra i governi di
Namibia e Botswana dal 1996, quando entrambi decisero di sottoporre le loro richieste per la
sovranità sull’isola di Sedudu/Kasikili alla Corte Internazionale di Giustizia. Prima di tale
formalizzazione, la sovranità sull’isola è stata oggetto di disputa tra la popolazione locale in
Namibia e Botswana, oltre che durante i governi coloniali, fin dal Trattato di Berlino del 1890.
La figura 7 mostra la posizione geografica dell’isola Sedudu/Kasikili e la posizione di altre 5 isole
oggetto di disputa (1. Mantugu; 2. Impalila; 4. Kavula; 5. Lumbo; 6. Muntungobuswa), due di
queste sono situate lungo il fiume Zambezi mentre le altre tre lungo il fiume Chobe.
Figura 10. Posizione geografica dell’isola di Sedudu/Kasikili nella regione del Caprivi
orientale.
Fonte: Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, The African Dialogue
Lecture Series, Pretoria University, 24 Febbraio 2000, in http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
29
L’isola è conosciuta come Sedudu in Botswana e come Kasikili in Namibia.
32
Figura 11. Vista ingrandita della posizione dell’isola di Sedudu/Kasikili.
Fonte: Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, The African Dialogue
Lecture Series, Pretoria University, 24 Febbraio 2000, in http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
L’isola è ampia circa 3,5 Km2 ed è situata lungo il fiume Chobe che si divide intorno ad essa,
scorrendo sia nord che a sud. L’isola per tre o quattro mesi all’anno, in base alla stagione delle
piogge, è soggetta a inondazioni.
L’origine storica della controversia è da ricercare nel Trattato di Berlino del 1890, quando il confine
orientale del Dito di Caprivi (Caprivi Strip), lungo il fiume Chobe, fu definito in maniera poco
precisa come il centro del canale principale del fiume, così da separare la sfere di influenza di
Germania e Gran Bretagna. Quindi la questione è incentrata sulla precisa individuazione del canale
principale che secondo il Botswana scorre a nord dell’isola mentre secondo la Namibia si
troverebbe a sud di essa.
A tal fine la Corte Internazionale di Giustizia ha proceduto ad individuare correttamente il canale
principale considerando, profondità, larghezza e volume di acqua, oltre che la configurazione del
letto e la navigabilità, dei due canali.
Ai fini della formazione del verdetto la Corte ha dovuto prendere in considerazione anche le
rivendicazioni della popolazione locale namibiana che, dall’inizio del XX secolo, ha
periodicamente occupato l’isola. E questa storica occupazione è stata posta alla base delle
rivendicazioni della Namibia.
La decisione finale della Corte è stata presa in favore del Botswana, indicando che il canale a nord
dell’isola dovrebbe essere considerato il canale principale del fiume Chobe. Quindi il confine
formale tra Namibia e Botswana, d’ora in poi, deve essere localizzato nel canale settentrionale del
33
fiume Chobe. A tal fine i due Paesi hanno concordato che le rispettive imbarcazioni potranno
liberamente navigare entrambi i canali intorno all’isola.
La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia è stata ben accolta dopo un lungo periodo di
controversie e minacce di azioni militari, inclusa l’occupazione dell’isola da parte delle Forze di
Difesa del Botswana.
Tale disputa fornisce un chiaro esempio di water-based conflict in cui l’oggetto del contendere è la
sovranità territoriale e in secondo luogo l’accesso all’acqua, la quale, in questo caso, rappresenta la
il fattore determinante i cambiamenti nei confini territoriali. A tal proposito si deve ricordare che,
come altri fiumi, il Chobe è un sistema fluviale dinamico, per cui è molto probabile che i
progressivi mutamenti continueranno, in futuro, ad alterare la posizione e la configurazione del suo
canale principale che, a sua volta, potrebbe essere la causa del riaccendersi della disputa tra i due
Paesi.
4.3. Disputa territoriale e per i diritti di accesso all’acqua tra Namibia e Sudafrica,
lungo il fiume Orange
La disputa tra Namibia e Sudafrica sulla parte inferiore del fiume Orange ha molti elementi in
comune con quella tra Namibia e Botswana riguardante l’isola di Sedudu/Kasikili. Ancora una
volta, la questione principale è la sovranità territoriale collegata alla precisa posizione del confine
internazionale, sebbene essa includa anche aspetti legati all’accesso all’acqua e alle risorse situate
lungo il fiume.
Figura 12. Parte del fiume Orange che forma il confine namibiano meridionale con il
Sudafrica.
Fonte: Peter Ashton, Southern African water conflicts: are they inevitabile or preventable?, The African Dialogue
Lecture Series, Pretoria University, 24 Febbraio 2000, in http://www.dams.org/docs/kbase/submissions/opt147.pdf.
34
A complicare la situazione vi è la presenza di importanti depositi minerari (principalmente
diamanti) nel letto del fiume e nelle terre alluvionali, oltre al tradizionale uso delle isole, presenti
lungo il fiume, come pascoli per il bestiame dei residenti locali.
La parte inferiore del fiume Orange scorre attraverso una regione che è per la maggior parte deserta
o semi-deserta formando un’oasi lineare di 535 Km che demarca il confine tra Namibia e Sudafrica.
Pochissime persone, quasi esclusivamente pastori nomadi, abitano le terre estremamente aride al
nord e al sud del fiume Orange.
Per contro l’espansione delle attività minerarie in questa regione ha provocato drammatici
cambiamenti nello stile di vita delle popolazioni locali.
Le potenze coloniali (Germania e Gran Bretagna), in passato, non sono mai state in grado di
raggiungere un accordo per la precisa definizione del confine territoriale tra i due Paesi. La Gran
Bretagna ha sempre sostenuto che il confine dovesse essere formato dal livello d’acqua più alto
della riva settentrionale, namibiana, mentre la Germania preferiva la localizzazione del confine al
centro del canale principale. Tuttavia, la popolazione locale su entrambi i lati del fiume ha
continuato ad esercitare il tradizionale diritto di pascolo e i minatori sudafricani a sfruttare i depositi
di diamanti lungo il letto del fiume. Soltanto nel 1991, dopo l’indipendenza della Namibia, il
Sudafrica fu d’accordo a modificare la posizione del confine dalla sponda nord al centro del canale
principale.
La decisione, però, ha permesso alla Namibia di reclamare giustamente la sua quota di risorse
(acqua, diamanti e terra) fornite dal fiume Orange. La decisione ha, inoltre, generato notevole
confusione nel caso della validità degli esistenti contratti di locazione delle miniere situate lungo il
letto del fiume e ha provocato il divieto ai locali residenti sudafricani il diritto di pascolo del proprio
bestiame sulle isole che ora sono parte del territorio namibiano.
Conclusioni
L’acqua ha un ruolo vitale per la capacità di risposta alla crisi socio-economica in cui versa
l’Africa. Sebbene siano stati dispiegati diversi strumenti economici per affrontare questa crisi, il
buon risultato di tali sforzi dipenderà molto dalla disponibilità di risorse idriche sostenibili. A sua
volta, il successo dei processi di sviluppo economico è necessario per garantire un flusso sostenibile
di fondi per lo sviluppo delle risorse idriche. Tale interdipendenza tra la disponibilità d’acqua e lo
sviluppo può essere semplificato attraverso il collegamento tra acqua e povertà. Infatti, a causa della
povertà, l’accesso all’acqua e a servizi igienici adeguati è molto limitato in Africa. Ma, per la
mancanza di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, vi è un’alta incidenza di
malattie trasmissibili che riducono la vitalità e la produttività economica del continente. Pertanto da
dove si dovrebbe cominciare?
35
Secondo la Africa Water Vision 202530 occorre partire dai cosiddetti “Principi di Dublino”
sviluppati nel 1992:
− l’acqua dolce è una risorsa limitata e vulnerabile, essenziale per la vita, lo sviluppo e
l’ambiente;
− lo sviluppo e la gestione delle risorse idriche deve essere basata su un approccio
partecipativo in grado di coinvolgere gli utenti, i pianificatori e i responsabili politici a tutti
i livelli;
− l’acqua ha un valore economico in tutti i suoi usi e deve pertanto essere considerata un bene
economico.
In base a tali principi l’acqua deve essere pertanto considerata non solo un bene economico ma
soprattutto un bene sociale necessario per sostenere la vita e l’ambiente.
A prima vista, l’Africa sembra essere dotata di risorse idriche abbondanti. Presenta grandi fiumi,
grandi laghi, vaste paludi, ed estese falde acquifere. Gran parte di tali risorse è concentrata nella
regione dell’Africa Centrale. Il continente, quindi, ha un enorme potenziale in termini di produzione
di energia idroelettrica stimato in circa 1,4 milioni di GWh all’anno. Inoltre, senza tener conto della
variabilità climatica spaziale e temporale, si ritiene che l’Africa comunque goda di abbondanti
precipitazioni e di livelli relativamente bassi di prelievi d’acqua per i tre usi principali, ovvero:
agricoltura, approvvigionamento idrico delle comunità ed industria.
A dispetto di questa apparente abbondanza di risorse idriche a livello continentale, ci sono regioni e
Paesi in Africa che stanno vivendo una crescente carenza idrica. Questa situazione è il risultato di
una serie di questioni che riguardano il continente africano e che è possibile suddividere in due
grandi categorie: questioni relative alle risorse idriche e questioni relative alla domanda di tali
risorse. Le prime si riferiscono alla distribuzione, protezione, gestione e sostenibilità delle risorse
idriche disponibili. Le seconde invece riguardano la gestione e la soddisfazione, in modo equo e
sostenibile, della crescente richiesta di acqua disponibile.
Le questioni relative alle risorse idriche possono essere sintetizzate in:
1. molteplicità di bacini idrici transfrontalieri e quindi forte interdipendenza tra Stati31;
2. elevata variabilità spaziale e temporale delle precipitazioni;
3. crescente scarsità d’acqua32;
30
Si veda, Economic Commission for Africa, The Africa Water Vision for 2025: Equitable and Sustainable Use of
Water for Socioeconomic Development, UN WATER/AFRICA, 2004.
31
Una questione fondamentale è la presenza in Africa di una molteplicità di bacini idrici internazionali cui si
accompagna un inadeguato sistema legislativo internazionale e una debole cooperazione regionale in materia. L’Africa
ha circa un terzo dei bacini idrici internazionali più importanti al mondo. Praticamente tutti i Paesi continentali dell’
Africa Sub-sahariana e l’Egitto condividono almeno un bacino d’acqua internazionale. Nel continente ci sono
circa 80 bacini transfrontalieri tra fiumi e laghi. Il bacino del Nilo, per esempio, attraversa 10 Stati, il fiume Congo 9,
il Niger 9, lo Zambezi 8, il Volta 6, il lago Chad 5. Infine ci sono Paesi come la Guinea attraversati da più fiumi
internazionali.
36
4. inadeguatezza degli strumenti istituzionali e di finanziamento33;
5. inadeguatezza dei dati sulle risorse idriche34;
6. processi di sviluppo inadeguati35;
7. esaurimento delle risorse idriche per sfruttamento umano36.
Dal lato della domanda, invece, l’Africa deve affrontare le seguenti questioni:
1. la mancanza di un accesso, sicuro ed adeguato, alle forniture idriche e ai servizi sanitari37;
2. la mancanza di risorse idriche per l’alimentazione e la sicurezza energetica38;
3. l’inefficienza e lo spreco nel consumo d’acqua39;
4. le varie minacce alla sostenibilità ambientale40.
32
La variabilità delle precipitazioni determina abbondanti risorse idriche in alcune aree, un’endemica e diffusa siccità, e
una crescete scarsità d’acqua in altre (per esempio il Sahel ed alcuni Paesi dell’Africa Meridionale). Secondo la Africa
Water Vision 2025 la frequenza di siccità è aumentata negli ultimi 30 anni, causando notevoli costi sociali, economici
e ambientali a carico per lo più dei poveri. L’apparente scomparsa del lago Chad in Africa Occidentale è sintomatico
della crescente scarsità d’acqua nel continente. Infatti, dal 1963 ad oggi la sua capacità idrica è diminuita del 90%,
passando da 25.000 Km2 agli odierni 2.000.
33
Gli attuali strumenti istituzionali sono spesso inadeguati e i dispositivi per il finanziamento di investimenti,
insostenibili. È quindi necessaria una riforma istituzionale, attraverso una cooperazione tra Stati e a livello regionale, al
fine di migliorare le performance nel settore idrico.
34
Una forte limitazione sia a livello nazionale che regionale è la scarsità di dati sulle risorse idriche. Questa limitazione
è strettamente legata all’incapacità delle persone nella raccolta, valutazione e diffusione dei dati sulle risorse idriche per
la pianificazione, lo sviluppo e la realizzazione di progetti.
35
La scarsità d’acqua in Africa non è completamente dovuta a fenomeni naturali. Si ritiene, infatti, che essa sia in parte
dovuta ai bassi livelli di valorizzazione e sfruttamento delle risorse idriche sebbene la domanda d’acqua cresca in
funzione della crescita demografica e dello sviluppo economico. Infatti secondo la Africa Water Vision 2025 entro il
2025 circa il 16% della popolazione Africa (ossia 230 milioni di persone) vivranno in Paesi con scarsità d’acqua e il
32% (ossia 460 milioni di persone) in Paesi con stress idrico.
36
Le risorse idriche disponibili purtroppo sono spesso oggetto di attività umane che ne riducono quantità e qualità.
L’inquinamento idrico nel continente africano è in crescita. L’inefficienza nell’uso della terra e, in particolare, delle
pratiche agricole accresce tali problemi. Di conseguenza, le concentrazioni di rifiuti superano spesso la capacità dei
fiumi di assimilarle, per cui si diffondono sempre più malattie veicolate dall’acqua. Questo deterioramento della qualità
delle acque non è altro che una grave forma di riduzione delle risorse idriche disponibili, con la conseguenza che, nel
migliore dei casi, aumentano i costi di sviluppo e, nel peggiore dei casi, aumenta la scarsità d'acqua.
37
L’accesso all’acqua e ai servizi igienici di base è molto inadeguato in Africa. Nelle zone rurali, circa il 65% della
popolazione non ha accesso a forniture idriche adeguate e il 73% non può accedere a servizi igienici adatti. Nelle
aree urbane, invece, il 25% e il 43% della popolazione non ha rispettivamente accesso all’acqua e ai servizi
igienici adeguati. A causa di queste limitazioni, quasi la metà di tutti gli africani soffre di una delle principali malattie
legate all’acqua come la diarrea e il colera.
38
Secondo la Africa Water Vision 2025, nel corso degli ultimi tre decenni, la produzione agricola è cresciuta in media
di meno del 2% all’anno, mentre la popolazione è aumentata del 3% circa. Sotto la spinta dell’attuale domanda si
prevede che le importazioni di cereali aumentino dagli attuali 10 milioni di tonnellate all’anno a 30 milioni nei prossimi
25 anni. Ciò può essere in parte spiegato dal fatto che circa un terzo della popolazione africana vive in aree soggette a
siccità. Nell’Africa Orientale e Meridionale, il numero di persone soggette ad “insicurezza alimentare” è quasi
raddoppiato, passando da 22 milioni nei primi anni 80 a 39 milioni nei primi anni 90. È stato stimato che è necessario
un aumento del 33% annuo della produzione agricola per garantire la sicurezza alimentare al continente. Però vale la
pena di sottolineare che nonostante gli elevati livelli di “insicurezza alimentare”, molti Paesi africani non hanno ancora
sviluppato tutto il loro potenziale in termini di irrigazione delle aree coltivate (i due terzi ha sviluppato meno del 20%
del proprio potenziale).
39
Tale questione dipende molto probabilmente dall’uso di tecnologie inefficienti e dalla scarsa manutenzione degli
impianti esistenti.
40
Molto spesso non si tiene conto di come il deterioramento delle risorse idriche possa danneggiare gravemente gli
ecosistemi e la loro funzione di sostegno alla vita.
37
Ma accanto alle suddette questioni ne esistono altre che combinandosi tra loro possono avere un
impatto rilevante sulle risorse idriche in Africa:
− instabilità politica e conflitto all’interno di uno Stato e tra Stati;
− carenza a livello istituzionale e legale di dispositivi per disciplinare la proprietà,
l’allocazione e la gestione delle risorse idriche,
− scarsa consapevolezza dell’opinione pubblica e delle parti interessate;
− mancanza di ricerche adeguate per lo sviluppo delle risorse idriche;
− basso sviluppo socio-economico e tecnologico;
− scarsa capacità delle istituzioni pubbliche di finanziare gli investimenti necessari allo
sviluppo e gestione delle risorse idriche, compresa la loro protezione e ripristino;
− insufficiente partecipazione, del settore privato, ad operazioni di finanziamento.
L’acqua è chiaramente un fattore importante per la ripresa socio-economica e lo sviluppo in Africa.
Il continente sembra disporre di risorse idriche sufficienti ma ha una serie di problemi, gravi e
complessi, di ordine naturale ed artificiale, che limitano lo sfruttamento e il corretto sviluppo del
suo potenziale idrico. Si tratta comunque di problemi non insormontabili che potranno essere
superati solo attraverso: un uso ed una gestione più equa e sostenibile delle risorse dell’Africa, le
riforme politico-istituzionali, la cooperazione regionale e costanti e sostanziali investimenti.
La domanda quindi che ci si pone è se i conflitti legati all’acqua siano inevitabili.
La risposta più semplice ed immediata è inequivocabilmente “si”. Ma, ad un’analisi più attenta e
senza voler essere pessimisti, tali conflitti sono inevitabili solo se si continuerà a non fare alcunché
per prevenirli. La competizione per le forniture di acqua continuerà ad aumentare fino ad un punto
in cui saranno necessari interventi radicali. Inoltre i water conflict che sono legati alla posizione dei
confini internazionali continueranno a verificarsi in quei luoghi in cui gli Stati coinvolti non
avranno raggiunto degli accordi comuni.
Una questione fondamentale in questo dibattito è la constatazione che la dimensione del problema
ha un rapporto preciso con la gamma di opzioni disponibili per prevenire le controversie per
l’acqua. Per esempio a livello locale gli individui o le comunità che sono in disaccordo tra di loro
per l’accesso e per l’uso di una fonte d’acqua, hanno a disposizione un minor numero di opzioni per
prevenire i conflitti. Ciò è in netto contrasto con situazioni a livello nazionale o internazionale, dove
è possibile ricorrere a trattati, accordi ed altri strumenti normativi.
Il futuro della gestione delle risorse idriche appare quindi quanto mai complesso e delicato, e allo
stesso tempo sottovalutato dai governi e dalle organizzazioni sovranazionali, che non comprendono
38
il potenziale di rischio socio-politico che deriva da un uso irrazionale e non lungimirante di questa
importante risorsa ambientale.
L’acqua in passato non ha certamente attirato l’interesse della comunità mondiale, specialmente
quella del Nord industrializzato, allo stesso modo del petrolio. Per questi players mondiali
purtroppo l’acqua nelle aree del Medio Oriente e dell’Africa interessa soltanto da un punto di vista
strategico fintanto che le controversie sulla sua scarsità rappresentano un’altra fonte di instabilità
politica in una regione già spaventosamente destabilizzata dal conflitto Arabo-Israeliano.
39
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42
APPENDICE (A). Cambiamenti climatici, scarsità d’acqua e conflitti
Uno degli aspetti meno discussi del cambiamento climatico è il ruolo che esso potrà giocare nel
generare conflitti. La scarsità di terra, acqua e altre risorse naturali è spesso considerata uno dei
principali fattori alla base di violenti conflitti. Questa, insieme ad altri effetti del cambiamento
climatico, porterà ad una aumento dei fenomeni migratori, specialmente in quelle regioni
maggiormente afflitte dalla scarsità di risorse naturali e dalla variabilità climatica, seguiti quindi da
una forte pressione sulle risorse presenti nei Paesi confinanti, eventualmente già instabili e a rischio
di conflitto. Tutto ciò non significa che il cambiamento climatico sarà la causa diretta di conflitto in
futuro, ma l’ambiente, come risultato dei cambiamenti climatici diventerà un importante fattore per
il suo scoppio, che andrà a combinarsi con le esistenti divisioni su base etnica, nazionalista o
religiosa.
Figura 1A. Rappresentazione concettuale dell’effetto dei cambiamenti ambientali sulla nascita
di conflitti.
Fonte: Oli Brown, Anne Hammil, Robert McLeman, Climate change as the ‘new’ security threat: implications for
Africa. International Affairs 83: 6 (2007), in http://www.iisd.org/pdf/2007/climate_security_threat_Africa.pdf.
Tre tipologie di potenziali conflitti possono generarsi come risultato del cambiamento climatico41:
− violenza politica;
− scontro tra comunità;
− guerra interstatale.
L’International Alert, una ONG che si occupa di peace-building, ha identificato 61 Paesi a rischio
cambiamento climatico e di conflitto. Secondo il suo rapporto, in quei Paesi, che sono già instabili
e/o hanno sperimentato, di recente, conflitti armati, l’impatto sociale delle conseguenze fisiche del
cambiamento climatico, sarà molto più difficile da gestire.
Di questi 61 Paesi 31 sono situati nel continente africano (si veda tabella 1A).
Il rapporto ha preso in considerazione diversi aspetti tra cui:
41
Per maggiori dettagli si veda, Kate Johnston, “Climate Change: A Cause of Conflict?”, in Global Politics Magazine,
Gennaio 2008.
43
− l’inclusione o meno del Paese nella lista (DFID proxy list) del UK Department for
International Development, in cui sono elencati tutti quei Paesi che possono essere
considerati fragili da un punto di vista economico, sociale e di governance;
− le recenti esperienze di conflitti armati, nel periodo 1995-2000, che hanno interessato i
Paesi in questione;
− l’esistenza di altri Stati a rischio instabilità, che non sono inseriti nella DFID proxy list e
che di recente non hanno vissuto situazioni di conflitto;
− i principali rischi climatici e ambientali che affliggono i Paesi oggetto di analisi
(innalzamento del livello del mare, deforestazione, scarsità idrica, malattie, tempeste, ecc.).
La selezione dei Paesi a rischio cambiamento climatico si è quindi basata sulle valutazioni
dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 2001.
Tabella 1A. Paesi esposti al doppio rischio: cambiamento climatico e conflitto. (Continua).
44
(Segue) Tabella 1A. Paesi esposti al doppio rischio: cambiamento climatico e conflitto.
(Continua).
45
(Segue) Tabella 1A. Paesi esposti al doppio rischio: cambiamento climatico e conflitto.
Fonte: Dan Smith, The double-headed, climate change and armed conflict. Climate brief. Marzo 2007, in
http://www.international-alert.org.
In un successivo rapporto, del novembre del 2007, l’International Alert ha stilato un elenco di Stati,
esposti ad un alto rischio di conflitto armato o di instabilità politica, come conseguenza dei
cambiamenti climatici.
Tabella 2A. Lista degli Stati a rischio. (Continua).
A: Stati esposti ad un alto rischio di conflitto B: Stati esposti ad un alto rischio di
armato, come conseguenza del cambiamento instabilità politica, come conseguenza del
climatico.
cambiamento climatico.
1. Afghanistan
2. Algeria
3. Angola
4. Bangladesh
5. Bolivia
6. Bosnia & Herzegovina
7. Burma
8. Burundi
9. Central African Republic
10. Chad
11. Colombia
12. Congo
13. Côte d’Ivoire
14. Dem. Rep. Congo
15. Djibouti
16. Eritrea
17. Ethiopia
18. Ghana
19. Guinea
1. Albania
2. Armenia
3. Azerbaijan
4. Belarus
5. Brazil
6. Cambodia
7. Cameroon
8. Comoros
9. Cuba
10. Dominican Republic
11. Ecuador
12. Egypt
13. El Salvador
14. Equatorial Guinea
15. Fiji
16. Gambia
17. Georgia
18. Guatemala
19. Guyana
46
(Segue). Tabella 2A. Lista degli Stati a rischio.
A: Stati esposti ad un alto rischio di conflitto B: Stati esposti ad un alto rischio di
armato, come conseguenza del cambiamento instabilità politica, come conseguenza del
climatico.
cambiamento climatico.
20. Guinea Bissau
21. Haiti
22. India
23. Indonesia
24. Iran
25. Iraq
26. Israel & Occupied Territories
27. Jordan
28. Lebanon
29. Liberia
30. Nepal
31. Nigeria
32. Pakistan
33. Peru
34. Philippines
35. Rwanda
36. Senegal
37. Sierra Leone
38. Solomon Islands
39. Somalia
40. Somaliland
41. Sri Lanka
42. Sudan
43. Syria
44. Uganda
45. Uzbekistan
46. Zimbabwe
20. Honduras
21. Jamaica
22. Kazakhstan
23. Kenya
24. Kiribati
25. Kyrgyzstan
26. Laos
27. Libya
28. Macedonia
29. Maldives
30. Mali
31. Mauritania
32. Mexico
33. Moldova
34. Montenegro
35. Morocco
36. Niger
37. North Korea
38. Papua New Guinea
39. Russia
40. Saudi Arabia
41. Serbia (Kosovo)
42. South Africa
43. Taiwan
44. Tajikistan
45. Thailand
46. Timor-Leste
47. Togo
48. Tonga
49. Trinidad and Tobago
50. Turkey
51. Turkmenistan
52. Ukraine
53. Vanuatu
54. Venezuela
55. Western Sahara
56. Yemen
Fonte: Dan Smith e Janani Vivekananda, A Climate of Conflict. The links between climate change, peace and war.
Novembre 2007, in http://www.international-alert.org.
Secondo tale rapporto, l’impatto dei cambiamenti climatici renderà, le già povere comunità presenti
nel mondo, ancora più povere. Molte di queste sono tormentate da conflitti e instabilità politica e
perciò si trovano a dover affrontare un duplice rischio.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici rischierà di alimentare violenti conflitti, che
ostacoleranno la capacità dei governi e delle comunità locali di adattarsi e reagire al peso di tali
cambiamenti.
47
In base all’elenco ci sono 46 Stati (di cui 24 africani), dove vivono 2,7 miliardi di persone, in cui gli
effetti dei cambiamenti climatici, interagendo con i problemi politici, economici e sociali,
determineranno un grave rischio di conflitto. Esiste, quindi, un secondo gruppo di 56 Paesi (di cui
11 africani) in cui, sebbene il rischio di un conflitto armato non sia immediato, l’interazione degli
effetti climatici e altri fattori (tra cui la scarsità d’acqua), può creare le condizioni per una instabilità
politica, con il rischio di potenziali conflitti. Questi 56 Paesi sono abitati complessivamente da circa
1,2 miliardi di persone.
Tenuto conto che la stragrande maggioranza dei poveri, nella maggior parte dei Paesi africani, basa
il proprio sostentamento sull’agricoltura e i loro raccolti sono molto influenzabili anche da piccoli
cambiamenti delle temperature, il surriscaldamento del pianeta e i cambiamenti climatici in atto
aumentano il rischio di guerre civili in Africa.
Nel suo rapporto del 2007 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha affermato che
l’Africa è uno dei continenti più vulnerabili ai cambiamenti climatici e alla variabilità climatica. Le
previsioni sui cambiamenti climatici parlano di un’ampia gamma di conseguenze per il benessere
economico e sociale in molte parti dell’Africa: riduzione delle risorse idriche o aggravamento
dell’attuale situazione di insufficienza, danni all’agricoltura, specialmente nelle regioni semi-aride,
rischio inondazioni, ecc.. È probabile che le precipitazioni annuali diminuiscano in quasi tutto il
continente, con l’eccezione dell’Africa orientale, dove, invece, si prevede che aumentino. Entro il
2050 è previsto che l’Africa Subsahariana subisca una riduzione fino al 10% delle precipitazioni
annuali. Ciò avrà gravi conseguenze per l’agricoltura di questa Regione che per il 75% è alimentata
dalle piogge.
Come risultato del cambiamento climatico, è probabile che gli attuali problemi idrici peggiorino. Le
intense precipitazioni accresceranno l’incidenza delle inondazioni in molte aree, mentre la
complessiva riduzione del flusso d’acqua peggiorerà l’attuale stress idrico, riducendo la qualità e la
quantità di acqua disponibile per gli usi domestici e industriali e per la produzione di energia
elettrica.
L’accesso all’acqua nei Paesi situati lungo il fiume Nilo, per esempio, è dipendente dal flusso
d’acqua proveniente dalle regioni montuose dell’Etiopia e dal livello del Lago Vittoria, entrambi
molto sensibili alle variazioni delle precipitazioni.
Intorno alla fine del XXI secolo, la prevista crescita del livello del mare metterà a rischio quelle
aree costiere a bassa quota con grandi popolazioni: il nord dell’Egitto, il Gambia, il Golfo di Guinea
e il Senegal. Si tratta di un grave problema specialmente per quei Paesi che hanno una larga parte
della loro capacità industriale in zone al disotto del livello del mare. Per esempio la zona del Delta
del Nilo è una delle aree più densamente popolate del mondo ed è estremamente vulnerabile
all’innalzamento del livello del mare.
48
A dimostrazione di quanto detto si può citare come esempio il Darfur. Infatti, secondo un rapporto
dell’UNEP (United Nations Environment Programme), del giugno 2007, il conflitto in Darfur è
stato, in parte, causato dai cambiamenti climatici e dalla degradazione ambientale. Nel corso di 40
anni le precipitazioni sono diminuite del 30% e il Sahara è avanzato di più di un miglio all’anno. La
progressiva scomparsa di pascoli e la riduzione della disponibilità d’acqua e di terra coltivabile ha
acceso le tensioni, tra pastori e agricoltori, che a loro volta, si ritiene, siano all’origine del conflitto.
Tutto questo, inoltre, rischia di riaccendere la cinquantennale guerra tra il nord e il sud del Sudan,
attualmente sospesa dal fragile accordo di pace del 2005. La tribù Nuba del sud, infatti, ha avvisato
che potrebbe riprendere gli scontri se i nomadi di origine araba, spinti nel loro territorio dalla
siccità, continuano ad abbattere i “loro” alberi e le “loro” piante per fornire foraggio ai propri
cammelli42.
Figura 2A. Rappresentazione geografica dei Paesi africani esposti al doppio rischio
cambiamento climatico e conflitto.
Fonte: Dan Smith e Janani Vivekananda, A Climate of Conflict. The links between climate change, peace and war.
Novembre 2007, in http://www.international-alert.org.
42
Si veda, United Nations Environment Programme, Sudan: post-conflict environmental assessment (Nairobi: UNEP,
2007).
49
APPENDICE (B). African water conflict chronology
La seguente appendice è stata tratta dal rapporto del dott. Peter H. Gleick, del Pacific Institute for
Studies in Development, Environment, and Security, intitolato Water Conflict Chronology, ponendo
l’attenzione sugli avvenimenti che hanno interessato il continente africano a partire dal secondo
dopoguerra. L’obiettivo è di evidenziare come un water conflict, non necessariamente violento,
possa sorgere per diversi motivi:
− il possesso o il controllo delle risorse idriche di un’altra nazione, trasforma il sistema idrico
in un obiettivo politico o militare (Control of water resources, Political tool, Military goal);
− l’ineguale distribuzione ed accesso alle risorse idriche, oltre che la degradazione di quelle di
un altro soggetto, può essere anche il risultato di processi di sviluppo economico e sociale
trasformando l’acqua in un obiettivo strategico (Development dispute);
− infine, il sistema idrico può essere utilizzato come strumento militare o come bersaglio di
operazioni militari o terroristiche, (Military target o Military tool, Terrorism)43.
Tabella 1B. African water conflict chronology.
DATA
PARTI
COINVOLTE
BASE DEL
CONFLITTO
CONFLITTO
VIOLENTO O
IN UN
CONTESTO
DI
VIOLENZA?
1958
Egitto, Sudan
Military tool,
Development
dispute
Si
19631964
Etiopia,
Somalia
Development
dispute,
Military tool
Si
Zambia,
Rodesia, Gran Military target
Bretagna
No
1965
DESCRIZIONE
L'Egitto invia, senza successo, una spedizione
militare nei territori oggetto di disputa durante i
sospesi negoziati sulle acque del fiume Nilo, le
elezioni generali in Sudan, e il voto egiziano
sull'unificazione Egitto-Sudan; il Nile Water Treaty
viene siglato quando un governo filo-egiziano
viene eletto in Sudan.
La definizione dei confini nel 1948 lascia le
popolazioni nomadi di origine somala sotto il
governo etiope; scaramucce di confine si
verificano intorno ai territori contestati nel deserto
dell'Ogaden dove sono localizzate risorse idriche
critiche; il "cessate il fuoco" viene negoziato
solamente dopo che diverse centinaia di persone
sono uccise.
Il Presidente Kenneth Kaunda si appella al
governo britannico affinché invii sue truppe per
difendere la diga di Kariba da possibili attacchi di
sabotatori rodesi.
43
Un esempio di utilizzo dell’acqua come arma è la guerriglia condotta in Sudan tra il governo islamico e le forze
ribelli del sud, di religione cristiana e animista. Punto strategico è stata la città di Damazin sul Nilo Azzurro, sede della
diga che fornisce l’80% dell’acqua consumata dalla capitale Karthoum.
Il controllo dell’acqua diviene anche un pretesto per mascherare interessi politici e di potere. Alfreda Somoza, L’acqua
risorsa
strategica
del
2000,
Peace
Reporter,
7
Febbraio
2005,
in
http://it.peacereporter.net/articolo/1265/L'acqua+risorsa+strategica+del+2000.
50
DATA
PARTI
COINVOLTE
BASE DEL
CONFLITTO
CONFLITTO
VIOLENTO O
IN UN
CONTESTO
DI
VIOLENZA?
1975
Angola,
Sudafrica
Military goal,
military target
Si
1978
Egitto, Etiopia
Development
dispute,
Political tool
No
19781984
Sudan
Development
dispute,
Military target,
Terrorism
Si
Anni 80
Mozambico,
Rodesia,
Zimbabwe,
Sudafrica
Military target,
Terrorism
Si
19811982
Angola
Military target,
Military tool
Si
1986
Lesotho,
Sudafrica
Military goal,
Development
dispute
Si
1988
Angola,
Sudafrica,
Cuba
Military goal,
military target
Si
1990
Sudafrica
Development
dispute
No
1998
Angola
Military and
political tool
Si
1998
Repubblica
Democratica
del Congo
Military target,
Terrorism
Si
Eritrea, Etiopia Military target
Si
19982000
1999
Lusaka,
Zambia
Terrorism,
Political tool
Si
DESCRIZIONE
Truppe sudafricane muovono in Angola per
occupare e difendere il complesso idroelettrico di
Ruacana, comprendente la diga di Gové sul fiume
Kunene. Lo scopo è quello di prendere possesso e
difendere le risorse idriche dell'Africa sudoccidentale e della Namibia.
Vecchie tensioni si riaccendono, riguardanti le
acque del Nilo Blu. La proposta etiope di costruire
una diga a monte del fiume induce l'Egitto a
dichiarare ripetutamente l'importanza vitale
dell'acqua. "La sola questione che potrebbe
spingere l'Egitto nuovamente in guerra è l'acqua"
(Sadat, 1979). "La prossima guerra nella nostra
regione avverrà per le acque del fiume Nilo e non
per la politica" (Boutrous Ghali, 1988).
Dimostrazioni a Juba, Sudan, per impedire la
costruzione del canale di Jonglei, causano la
morte di due studenti. La costruzione del canale
viene forzatamente sospesa nel 1984 in seguito
ad una serie di attacchi contro il sito.
Distruzione delle linee idroelettriche della diga di
Cahora Bassa durante i combattimenti per
l'indipendenza nella regione. La diga è presa di
mira dal RENAMO, la Resistenza Nazionale del
Mozambico.
Le strutture idriche, comprendenti dighe e la
principale conduttura di Cunene-Cuvelai, sono
bersagliate durante i conflitti in Angola e Namibia
negli anni 80.
Il Sudafrica appoggia il colpo di stato in Lesotho. Il
nuovo governo sigla subito il Lesotho Highlands
water agreement.
Le forze angolane e cubane lanciano un attacco
aereo e terrestre sulla diga di Calueque. Vengono
inflitti gravi danni alle infrastrutture della diga, con
ripercussioni sulla fornitura energetica.
L'acquedotto verso Owamboland viene distrutto.
Il Consiglio pro-apartheid toglie l'acqua alla
cittadina di Wesselton abitata da 50.000 neri, in
seguito alle proteste sulle gravi condizioni di vita.
Nel settembre del 1998 violenti combattimenti tra
l'UNITA e le forze governative angolane si
verificano nei pressi della diga di Gove, sul fiume
Kunene, per il controllo dell'installazione.
Attacchi alla diga di Inga durante i tentativi per
rovesciare il Presidente Kabila. Interruzione della
fornitura di energia elettrica e delle forniture idriche
a Kinshasa.
L'impianto di pompaggio delle acque e
l'acquedotto nella città di confine di Adi Quala
sono distrutti durante la guerra civile tra Etiopia ed
Eritrea.
L'esplosione di una bomba distrugge il principale
acquedotto interrompendo così la fornitura idrica
per la città di Lusaka, con 3.000.000 di abitanti.
51
DATA
PARTI
COINVOLTE
BASE DEL
CONFLITTO
CONFLITTO
VIOLENTO O
IN UN
CONTESTO
DI
VIOLENZA?
1999
Sudafrica
Terrorism
Si
1999
Angola
Terrorism,
Political tool
Si
19992000
Namibia,
Botswana,
Zambia
Military goal:
Development
dispute
No
2000
Etiopia
Development
dispute
Si
Military tool,
Sudan, Darfur Military target,
Terrorism
Si
20032007
2004
Sudafrica
Development
dispute
Si
20042006
Somalia,
Etiopia
Development
dispute
Si
2005
Kenya
Development
dispute
Si
2006
Etiopia
Development
dispute, water
scarcity
Si
2006
Etiopia, Kenya
Development
dispute
Si
DESCRIZIONE
Una bomba artigianale è scoperta nei pressi di un
bacino idrico a Wallmansthal, vicino Pretoria.
L'obiettivo: sabotare la fornitura d'acqua per gli
agricoltori.
100 corpi vengono trovati in quattro pozzi di acqua
potabile, nell'Angola centrale.
Isola di Sedudu/Kasikili, nel fiume Chobe. Disputa
sulla definizione del confine e l'accesso alle risorse
idriche. La questione è posta alla Corte
Internazionale di Giustizia.
Un uomo è pugnalato a morte nel combattimento
per l'accesso alle acque “pulite” durante la carestia
in Etiopia.
La guerra civile in corso in Sudan ha comportato
anche azioni violente contro le risorse idriche. Nel
2003, gli abitanti di un villaggio intorno Tina hanno
affermato che i bombardamenti hanno distrutto i
pozzi d'acqua, mentre, a Kasan Basao, l'acqua dei
pozzi è stata avvelenata. Nel 2004, i pozzi in
Darfur sono stati, intenzionalmente, contaminati,
come parte di una strategia rivolta contro i
profughi.
La scarsa distribuzione d'acqua e gli scarsi servizi
sanitari nella cittadina di Phumelela conducono a
molti mesi di proteste con danni alle proprietà
municipali. Nessuno è ucciso durante le proteste e
pochi sono i feriti gravi.
Almeno 250 persone uccise e molte di più ferite
negli scontri per i pozzi d'acqua e le terre da
pascolo. Gli abitanti dei villaggi parlano di una
cosiddetta "guerra dei pozzi". Una triennale siccità
ha portato ad una estesa violenza, per le limitate
risorse idriche, peggiorata dalla mancanza di un
reale governo centrale.
La polizia è inviata nella parte nord-occidentale del
Kenya per controllare la violenta disputa sull'acqua
tra i gruppi Kikuyu e Maasai. Più di 20 persone
vengono uccise nei combattimenti di gennaio. A
luglio le morti superano le 90 persone,
principalmente nel centro rurale di Turbi. I pastori
Maasai accusano un politico locale Kikuyu di
deviare le acque del fiume per irrigare la sua terra,
sottraendola, quindi, al bestiame a valle. I
combattimenti provocano più di 2.000 sfollati e
riflettono le tensioni tra le comunità nomadi e
quelle stanziali.
Almeno 12 persone muoiono e più di 20 vengono
ferite negli scontri per le rivalità sull'accesso
all'acqua e ai pascoli lungo il confine somalo.
Almeno 40 persone muoiono in Kenya e in Etiopia
nei continui scontri per l'acqua. Combattimenti
avvengono nel sud dell'Etiopia, nella regione di
Oromo, e nel distretto di Marsabit, Kenya
settentrionale.
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BASE DEL
CONFLITTO
CONFLITTO
VIOLENTO O
IN UN
CONTESTO
DI
VIOLENZA?
DESCRIZIONE
DATA
PARTI
COINVOLTE
2007
Burkina Faso,
Ghana, Costa
D'Avorio
Development
dispute
Si
La riduzione delle piogge ha provocato un
aumento degli scontri tra pastori ed agricoltori.
Nell'agosto del 2000 gli abitanti sono stati costretti
ad abbandonare le proprie case per i
combattimenti nella provincia di Zounweogo.
2008
Nigeria
Development
dispute
Si
Le proteste relative al prezzo dell'acqua in
Nyanya, Abuja, sono sfociate in violenza con
l'aggressione e il pestaggio dei venditori di acqua.
Fonte: Peter H. Gleick, Water Conflict Chronology, Pacific Institute for Studies in Development, Environment, and
Security, Maggio 2008, in http://worldwater.org/conflictchronology.html .
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