Economia e università: il caso olandese
Transcript
Economia e università: il caso olandese
CHESS Centre for Higher Education & Society Studies Economia e università: il caso olandese Loris Perotti Università degli Studi di Milano CHESS WORKING PAPER N. 4/2010 1 Indice 1. Evoluzione storica del modello 2. Caratteristiche attuali del sistema olandese 3. I meccanismi di finanziamento 4. Il sistema di governance 5. La riorganizzazione dell’offerta formativa 6. I servizi agli studenti 7. La ricerca e il mondo delle imprese 8. Cenni conclusivi Riferimenti bibliografici 2 1. Evoluzione storica del modello Alla fine della Seconda guerra mondiale il sistema di istruzione superiore olandese non si discostava molto da quello di altri paesi europei, essendo un tipico esempio del cosiddetto “modello continentale”. Era molto centralizzato, amministrato con una pletora di leggi e norme che gli atenei erano chiamati a seguire pedissequamente, lasciando scarsissima autonomia alle istituzioni universitarie in quanto tali. L’integrazione sociale del sistema si reggeva pertanto su una polarizzazione del potere tra un ministero dirigista (almeno formalmente) e un corpo accademico apparentemente vincolato al rispetto di rigide procedure, ma che in realtà aveva saputo ritagliarsi estesi spazi di autonomia e di discrezionalità nella didattica e nella ricerca. Il senato accademico, organo responsabile della direzione degli atenei (composto da tutti i titolari di cattedra), era la chiara traduzione di questa forma di autogoverno dei docenti a livello di istituzione universitaria. Come in diversi altri paesi europei, però, l’espansione dell’istruzione superiore durante gli anni ’60 (figura 1) mise una pesante ipoteca sulla possibilità di mantenere un meccanismo di governo sostanzialmente inadatto ai grandi numeri dell’università di massa, stimolando dibattiti tra esperti e politici sulla necessità di riforme capaci di ridare efficienza a un sistema ormai inceppato dal legalismo burocratico e da una inadeguata conduzione corporativa. Inizia pertanto in questi anni a diffondersi una lunga retorica di delegittimazione del modello universitario, propedeutica all’intervento riformatore che si materializzerà di lì a qualche anno, nel 1970. 3 Figura 1: Immatricolati all'università e alle HBO in Olanda (1950-2004) Fonte: Kaiser e Vossensteyn (2005) Nel 1970 fu infatti approvata una riforma, la WUB, che rappresentò il primo tentativo di introdurre cambiamenti nel sistema olandese, evitando però brusche rotture con il passato. Furono istituiti due organismi di governo all’interno degli atenei, il Consiglio universitario, formato da una rappresentanza eletta di docenti, personale amministrativo, studenti e da un modesto numero di rappresentanti del mondo esterno, e il Comitato esecutivo (College van bestuur), composto da cinque persone1 tra cui il rettore, con compiti di gestione amministrativa (edilizia, questioni finanziarie, ecc.) ma in ogni caso soggetto alle decisioni del Consiglio universitario (de Boer 2003). Come dire, le esigenze di una maggiore efficienza trovarono espressione nell’istituzione di una sede operativa organizzativamente snella, il Comitato esecutivo, ma si decise comunque di non incidere troppo sugli assetti di potere radicati nelle università, limitandosi a temperare la conduzione corporativa precedente a favore di un governo partecipativo allargato, affiancando ai professori il personale amministrativo, gli studenti e alcuni membri laici. 1 Successivamente diventeranno tre. 4 Come non era difficile immaginare, la soluzione di compromesso portata avanti con la riforma del 1970 mostrò fin da subito problemi di implementazione e incongruenze. La posizione subordinata del Comitato esecutivo rispetto al Consiglio universitario rendeva infatti complicata una conduzione più rapida ed efficiente, per non parlare delle occasioni di conflitto che una ripartizione poco chiara dei compiti tra i due organismi di governo faceva sorgere di continuo. Alla fine del decennio ’70 la Commissione Polak, chiamata a valutare gli effetti della legge, ne mise in mostra gli scarsi risultati dal punto di vista sostanziale, decretando di fatto l’insuccesso degli esperimenti di gestione consensuale e assemblearistica. È appena il caso di sottolineare come il superamento di questo tipo di gestione fosse in ogni caso un compito piuttosto problematico in un paese come l’Olanda tradizionalmente improntato a prassi consultive e consensuali nel decision making (il cosiddetto “Polder model”2; cfr. Maassen 2000). La prima vera svolta si ebbe alla metà degli anni ’803, quando l’Olanda sembrò avviarsi lungo la strada che Neave (1998) e Jongbloed (2003) hanno definito di “mercatizzazione” dell’istruzione universitaria, seguendo, a loro dire, l’esempio di Gran Bretagna e Stati Uniti. Il governo decise infatti nel 1986 (Wet op het Wetenschappelijk Onderwijs) di rivedere il centralismo che aveva sempre caratterizzato il suo stile di governo a favore di un nuovo approccio basato sul controllo a distanza (steering from a distance) e sulla valutazione4. Nonostante il ruolo del ministero non scomparisse affatto, si decise di aumentare l’autonomia degli atenei e soprattutto si tentò di dare soluzione ai problemi emersi con la riforma del 1970. La logica dei rapporti tra Consiglio universitario e Comitato esecutivo fu quindi ribaltata: ora il potere veniva affidato al Comitato (a un organismo ristretto dunque), con l’eccezione di quei compiti che la legge lasciava al Consiglio, specificandoli però nel dettaglio per evitare per quanto possibile i conflitti di competenze tipici del passato. In realtà le cose non andarono esattamente come il governo aveva auspicato, e i conflitti tra i due 2 Espressione che col tempo ha assunto un’accezione negativa nel dibattito politico, proprio per la sua lentezza e laboriosità di funzionamento. 3 Nel 1985 vide la luce un importante white paper (HOAK, Higher Education: Autonomy and Quality) che diede l’impronta alla legislazione degli anni successivi. 4 Nell’anno accademico 1987/88 è stata introdotta la valutazione della didattica e dal 1993 quella della ricerca. La procedura è grossomodo la seguente: ogni facoltà è chiamata a preparare un rapporto di autovalutazione sui propri risultati in vista della visita di una commissione di 5 membri (docenti della medesima disciplina) secondo un principio di peer review. La relazione della commissione è pubblica e in caso di valutazione negativa impegna la facoltà a scrivere un piano di miglioramento, in mancanza del quale il ministero è tenuto ad ammonire la facoltà una prima volta, fino a poter cancellare il corso dal registro ufficiale che dà accesso ai finanziamenti. Dal 2003, per la ricerca, l’autovalutazione ha cadenza triennale, e la peer review entra in azione ogni sei anni. 5 organismi d’ateneo non cessarono. Stando ad un’indagine promossa dal ministero dell’istruzione a metà anni ’90, il problema risiedeva nella struttura bicefala del potere (alcuni osservatori parlarono di co-determinazione per la governance di quel periodo), orientata più alla ricerca del consenso che alla rapidità decisionale (de Boer 2003). È evidente che meccanismi di path dependence avevano fatto sì che il modello consensuale degli anni ’70 non potesse essere cancellato con un semplice tratto di penna dal legislatore. In un’ottica di lungo periodo, tuttavia, la legislazione degli anni ’80 (apparentemente inefficace) ebbe sicuramente una funzione propedeutica alla svolta “managerialista” di fine anni ’90 (si veda par. 4) da un lato perché intorno a essa si sviluppò un ampio dibattito che ebbe la conseguenza di rendere pubblici i limiti del modello passato, concorrendo per questa via a delegittimare la conduzione di tipo corporativo in mano ai docenti (l’espressione “torre d’avorio” è ricorrente). Dall’altro, perché delegando competenze alla periferia del sistema fece maturare negli atenei uno staff capace di andare oltre il rispetto formalistico delle norme, personale che sarebbe stato la spina dorsale dell’amministrazione futura degli atenei, precondizione per dare nuova centralità al livello di coordinamento rappresentato dalle istituzioni universitarie. Quando infatti nel 1997 vedrà la luce una nuova radicale riforma (conosciuta con l’acronimo MUB, Wet modernisering universitaire bestuursorganisatie), ispirata ai principi del New Public Management5 (Sporn 2006), le resistenze del corpo accademico, la categoria più penalizzata dalla nuova distribuzione del potere voluta dalla legge (tutt’oggi in vigore), furono tutto sommato contenute (Huisman et al. 2006). La relativa linearità con cui sono state riassunte le vicende dell’istruzione superiore olandese a noi più vicine, vale a dire un graduale spostamento da logiche di gestione centralistiche e burocratiche che lasciavano ampi margini di manovra al corpo docente, a logiche di controllo a distanza da parte dello stato, accompagnate dalla concessione di autonomia agli atenei, dal rafforzamento dei vertici (presidi e Comitato esecutivo) e dal contenimento dell’influenza dei professori, non deve comunque far pensare che l’intero processo sia stato uno spontaneo adeguamento alle riforme che si sono via via succedute nel corso del tempo. Raramente l’implementazione di una legge avviene in modo lineare, senza suscitare attriti e resistenze, oppure senza deviazioni dal disegno originario. La strategia adottata dal governo 5 Il processo di modernizzazione a cui in vari paesi è andata incontro la pubblica amministrazione sotto i dettami delle teorie del New Public Management vede nella crescente privatizzazione, nel managerialismo, nella misurazione della performance e nel tentativo di ricondurre le logiche di funzionamento delle istituzioni pubbliche a quelle dei “quasi-mercati” i principi guida che dovrebbero ispirare qualunque riforma. 6 olandese per accompagnare l’intero progetto riformista è stata quella di fare leva su alcune innovazioni nella distribuzione delle risorse per “sostenere” il cambiamento nelle università (qualcosa di simile a quanto si è verificato in Inghilterra durante l’epoca thatcheriana). Quando, direttamente o indirettamente, l’80% dei bilanci degli atenei dipende, come nel caso olandese, da trasferimenti statali anche l‘autonomia delle università assume un significato particolare, nel senso che qualsiasi comportamento può essere incentivato, o al contrario sanzionato dal ministero attraverso un’appropriata riduzione dei finanziamenti oppure, in modo più sottile, attraverso la revisione dei meccanismi di allocazione dei fondi. Così il ministero olandese – che si è prefisso sostanzialmente due scopi, prima di tutto far funzionare le università in modo più snello ed efficiente (ricordiamo il riferimento all’ideologia del New Public Management nella riforma del ’97), e poi costringerle ad aprirsi a logiche di mercato per avvicinarsi alla domanda sociale – decise di ridurre (in termini relativi) i trasferimenti su base automatica, privilegiando da un lato l’assegnazione di risorse su base competitiva (in particolare per la ricerca), e dall’altro costringendo le università a dipendere in misura crescente da fonti di finanziamento alternative (private o di provenienza europea6). In quest’ottica anche il fronte dei docenti, teoricamente tutti penalizzati dai cambiamenti nella governance in direzione di un maggior managerialismo, è andato incontro a delle spaccature, visto che almeno gli appartenenti alle discipline capaci di attrarre investimenti (ingegneria, economia, medicina, chimica, ecc.) hanno potuto trovare nelle nuove modalità di amministrazione degli atenei, oltre a minori vincoli per il minor tempo da dedicare alle questioni di governo, anche un sostegno alle proprie iniziative per il reperimento di risorse, oltre al contenimento delle dinamiche redistributive a favore di altri settori disciplinari (come le discipline umanistiche che sono state penalizzate dalla riforma dei finanziamenti). I privati non sono molto interessati alla filosofia [...] e noi non siamo mai stati coinvolti dal “secondo canale” [il canale che finanzia singoli progetti di ricerca su base competitiva, su temi spesso vicini alla domanda sociale]. A settembre la facoltà di filosofia cesserà di esistere, e sarà istituita una facoltà di Humanities dove confluiranno filosofia, teologia e arte. Il board dell’università ha ritenuto che una graduate school più grande fosse necessaria per ottenere più soldi attraverso il secondo canale. […] Negli ultimi anni il Supervisory board e il Consiglio d’ateneo sono diventati molto 6 Ad esempio con i Programmi Quadro o le altre iniziative comunitarie per la mobilità dei ricercatori, ecc.. 7 “convincenti” [ride e mima l’atto di pungolare qualcuno]. [Van Rijen, preside di Filosofia nell’Università di Leiden] 2. Caratteristiche attuali del sistema olandese Il sistema di istruzione superiore olandese è di tipo binario, suddiviso tra un ramo accademico (le università) e un ramo professionalizzante (le Hogescholen). Attualmente in Olanda esistono 14 atenei (di cui uno dedicato all’insegnamento a distanza: Open University, e uno finanziato dal Ministero dell’agricoltura con sede a Wageningen) e 41 Hogescholen (HBO)7. Fatto abbastanza atipico nel panorama europeo è che la quota maggioritaria di studenti sia iscritta ai percorsi di tipo professionalizzante (370mila iscritti alle HBO contro i 210mila delle università nell’anno accademico 2007/08; MINOCW, Key figures), e che anche in termini di trends recenti questi siano quasi costantemente a favore dei percorsi professionalizzanti (v. figura 1 sopra). Quindi non solo il settore vocational è stato il principale protagonista nella massificazione dell’istruzione superiore, ma continua ancor oggi a intercettare la quota nettamente maggioritaria della domanda. Tabella 1: Popolazione con titolo terziario nella fascia 25-64 anni, val. % (2006) Paese Terziaria tipo A* Paesi Bassi Italia Germania Francia UK Svezia USA Totale terziaria 28 12 14 15 21 22 29 30 13 24 26 30 31 39 OECD, Education at a glance 2008. * Con terziaria di tipo A l’OCSE intende la formazione di stampo accademico, mentre con tipo B intende quella extra-universitaria di natura professionalizzante. Secondo l’OCSE anche le Hogescholen rientrano nel tipo A pur avendo impronta vocational. Come vedremo in maggiore dettaglio più avanti, la circostanza che la maggioranza degli studenti si iscriva alle HBO ha conseguenze rilevanti sul nostro oggetto di ricerca (i rapporti 7 Numero già frutto di un’operazione di accorpamento e fusione tra le HBO (prima superavano le 350). Dati nel testo riferiti al 2006, tratti dal sito www.eurydice.org. 8 tra atenei e mondo esterno), e trova una prima spiegazione nella marcata stratificazione della scuola secondaria olandese, a cui si accede a 12 anni: - MBO: scuola di tipo professionale della durata di 4 anni il cui solo sbocco sono le HBO; - HAVO: scuola secondaria quinquennale che dà diritto ad iscriversi solo alle HBO; - VWO: scuola secondaria della durata di 6 anni al termine della quale si può scegliere di iscriversi sia ad una HBO che ad una università. A fronte quindi di tre diverse vie d’accesso ai percorsi professionalizzanti, ne esiste una sola (VWO), più lunga e impegnativa, che consente di iscriversi all’università8. È chiaro quindi che un sistema stratificato come questo, che costringe oltretutto a scegliere a soli 12 anni, risentirà della maggiore o minore avversione al rischio delle famiglie, oltre che della differente distribuzione delle informazioni sull’abilità dei propri figli e sulla difficoltà dei diversi percorsi scolastici (scegliere il liceo di fatto equivale a scegliere anche di proseguire gli studi all’università). Questa spiegazione non è peraltro sufficiente, visto che anche altri paesi (la Germania ad esempio) condividono alcune di queste caratteristiche istituzionali. Perché gli studenti decidano di iscriversi a una HBO servono almeno altre due condizioni: la prima è che il prestigio sociale associato ai corsi professionali a livello di secondaria e poi delle HBO non sia nettamente inferiore a quello dei corsi di tipo accademico, perché questo assocerebbe uno stigma negativo al fatto di iscriversi ad essi. La seconda condizione è che le chance occupazionali dopo aver terminato le HBO non differiscano in maniera significativa da quelle a cui si trova davanti chi ha scelto l’università. In effetti entrambe le condizioni sembrerebbero parzialmente soddisfatte nel senso che la rilevanza dei corsi diretti agli aspetti “applicativi” del mondo del lavoro è riconosciuta senza difficoltà a livello sociale (non sono i percorsi di serie B del caso italiano, per intenderci, cfr. OECD 2006). Questi corsi di scuola secondaria prevedono inoltre l’alternanza scuola-lavoro sulla falsariga del sistema duale tedesco e consentono quindi di acquisire reali competenze spendibili nel mercato del lavoro. Guardando poi dal lato dell’inserimento occupazionale, nonostante i salari dei laureati siano mediamente più elevati di quelli dei diplomati delle HBO9 (ma nelle discipline tecniche il 8 È possibile anche iscriversi all’università dopo aver completato il primo anno di HBO, seguendo comunque il medesimo indirizzo disciplinare. 9 Nel 2004 il salario orario medio di un diplomato di HBO era di 21.4 euro contro i 27.8 euro di un laureato (OECD 2006). 9 divario si riduce), i tassi di disoccupazione sono a favore di questi ultimi (4.1% contro 4.9%). Ciò del resto non dovrebbe sorprendere se teniamo conto della particolare configurazione del sistema industriale olandese, polarizzato tra alcune grandi multinazionali (Shell, Philips, Unilever, ecc.) e una vasta gamma di piccole imprese per le quali non esistono forti incentivi a stabilire relazioni con il sistema universitario, né per quanto riguarda la domanda di forza lavoro (un diplomato di una Hogeschol è più che sufficiente alle loro necessità), né per la ricerca (che sostanzialmente non fanno). Figura 2: Immatricolati alle Hogescholen per campo di studi 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Istruzione Ingegneria Salute 2004 2005 Economia 2006 Scienze sociali 2007 Fonte: MINOCW 10 Lingue 2008 Agricoltura Figura 3: Immatricolati all'università per campo di studi 12 10 8 6 4 2 2004 2005 2006 2007 Ag ri c ol tu ra Li ng ue so ci al i Sc ie nz e Le gg e Ec on om ia Sa lu te In ge gn er ia Sc ie nz e 0 2008 Fonte: MINOCW 3. I meccanismi di finanziamento Il finanziamento del sistema universitario è una questione centrale nella comprensione delle strategie messe in campo da atenei e stakeholders. Non soltanto perché influisce sulle capacità (e modalità) di espansione e di riproduzione delle istituzioni, ma anche perché, come ha spiegato Polanyi, le logiche che sottostanno al principio della “redistribuzione”10 (che caratterizza l’agire delle stato) sono in grado di incidere sulle condizioni di dipendenza, e quindi di potere, tra governo, docenti/amministrazioni e attori economici. Nel caso dell’Olanda il discorso non vale solo per gli istituti che dipendono direttamente dal ministero, dato che i centri formalmente non statali (3 università confessionali11 e la quasi totalità delle HBO) se “approvati”, cioè riconosciuti dallo stato, vedono la propria sostenibilità finanziaria subordinata ai trasferimenti pubblici12 (circa il 70% del budget delle 10 La redistribuzione è quella forma di integrazione dell’economia che vede flussi di risorse andare dalla periferia al centro (che cos’è l’imposizione fiscale?) e da questo tornare poi alla periferia. 11 Il resto della formazione di livello universitario privata, vale a dire quella degli atenei riconosciuti ma non finanziati dallo stato, ha un ruolo estremamente residuale (1% degli iscritti). Nel caso delle HBO, questo tipo di istituzioni, pur numerose, è specializzato in poche discipline (in genere economico-manageriali) e rappresenta comunque una quota marginale degli iscritti (Jongbloed 2003). 12 Dagli anni ’80, ciclicamente, si ripresenta poi il dibattito sulla opportunità o meno di introdurre un modello di finanziamenti attraverso il meccanismo dei voucher. Alcune sperimentazioni in tal senso sono state avviate nel 2001 (per un approfondimento sui voucher in Olanda cfr. http://doc.utwente.nl/56084/). 11 HBO e quasi l’80% di quello delle università13). Questa circostanza spiega tra l’altro il notevole potere di regolazione che il governo olandese esercita anche nei confronti degli istituti privati (Jongbloed 2003). Figura 4:Trasferimenti del governo olandese a università e Hogescholen (milioni di euro) 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 2004 2005 2006 Università 2007 2008 Hogescholen Fonte: MINOCW, Key figures 2004-2008 (www.minocw.nl) I finanziamenti provengono da tre canali. Il primo, e più consistente, proviene dal ministero che concede fondi sulla base di alcuni parametri dimensionali (il principale è il numero di immatricolati) e di alcuni indicatori di (pseudo-)performance (ad esempio il numero di laureati). Di fatto questo flusso è rimasto sostanzialmente stabile nel corso dell’ultimo decennio (OECD 2006, p. 61), il che si è tradotto in una sua contrazione in termini relativi per via dell’aumento degli iscritti. Il secondo canale è quello per la ricerca e deriva dal Consiglio delle ricerche (NWO) e dall’Accademia Reale delle Arti e delle Scienze (KNAW), sempre di fonte pubblica quindi, erogato però su base competitiva: gli atenei sono invitati a presentare progetti di ricerca che vengono finanziati solo se ritenuti meritevoli. Questo canale sta acquisendo sempre maggiore peso ed è in crescita negli ultimi anni. La decisione del ministero di dirottare risorse dal primo canale, che funziona in larga parte su base storica, al secondo che opera invece su base competitiva sta creando qualche preoccupazione all’interno delle università, perché a fronte di costi in buona misura fissi (salari, edilizia, ecc.) gli atenei si trovano a doversi districare tra finanziamenti incerti quanto 13 Nelle università è maggiore per via dei fondi per la ricerca che sono per ora molto contenuti nelle HBO. 12 a entità e durata, rendendo complicata una programmazione a medio e lungo termine. Inoltre, alcune discipline, come le scienze umane14, sono state di fatto penalizzate da tale meccanismo di allocazione delle risorse e quindi sempre più sottofinanziate15. Il governo ha cambiato politica [dei finanziamenti] perché ha dirottato le risorse verso la Fondazione nazionale delle scienze e ha diminuito il budget delle università. Pertanto i nostri ricercatori ora devono competere per i finanziamenti con progetti di ricerca. Questo è un cambiamento molto importante che non ci ha reso molto felici perché noi abbiamo sempre gli stessi edifici da mantenere, dobbiamo educare gli studenti, ecc. [van der Heijden, rettore e presidente dell’Executive board dell’università di Leiden] Il terzo e ultimo flusso di finanziamenti, abbastanza vario, è quello che deriva oltre che dalle tasse studentesche16 e dai programmi comunitari, dai rapporti di mercato intrattenuti dalle università con imprese private (circa il 15% della voce17) o enti pubblici/non-profit. Questo canale rappresenta oggi circa un quarto delle entrate complessive delle università, ed è anch’esso in crescita (per le Hogescholen la quota è però più bassa vista la scarsa incidenza della ricerca). Tabella 2: Finanziamento di Hogescholen e Università, anno 2007 (%) HBO UNIVERSITA’ Ministero 67.2% 63.5% Tasse studentesche 18.7% 5.8% - 5.8% - 25.0% 14.1% - Ricerca: fondi nazionali (NWO) Ricerca su commissione, Progetti europei, altre entrate Altre entrate Fonte: MINOCW, Key figures (www.minocw.nl). 14 Segnali di ciò sono ad esempio i processi in corso in alcuni atenei, come quello storico di Leiden, per abolire facoltà come Filosofia e Teologia, prima indipendenti, riunendo i rispettivi insegnamenti sotto un’unica macro facoltà di “Scienze umane” (“Humanities”). 15 Ad esempio, il preside della facoltà di Filosofia dell’università di Leiden ha riferito che le discipline filosofiche sono “sconfitte in partenza” perché chiamate a confrontarsi con le scienze sociali che godono di maggiore favore da parte del Consiglio delle ricerche. 16 Le tasse in Olanda si aggirano in media intorno ai 1.600 euro all’anno, ma gli studenti godono di varie forme di sostegno, tarate sulle condizioni individuali (borse, prestiti agevolati, tariffe convenzionate per i servizi di trasporto). 17 Dato riportato su Eurybase – Netherlands, reperibile all’indirizzo: www.eurydice.org. 13 Volendo sintetizzare, il tentativo del ministero è stato insomma quello di contenere la spesa per l’istruzione superiore (come si evince dalla tabella seguente la spesa per studente è diminuita costantemente tra il 2001 e il 2006, cfr. anche OECD 2006, p. 62), e di erogare i finanziamenti per quanto possibile su base competitiva, premiando inoltre le discipline più vicine alla domanda sociale. Segnale di questo sono ad esempio i processi in corso in alcuni atenei, come quello storico di Leiden ad esempio, per abolire facoltà come Filosofia e Teologia, prima indipendenti, riunendo i rispettivi insegnamenti sotto un’unica macro facoltà di “Scienze umane” (“Humanities”), raggiungendo così due risultati: la riduzione delle spese di gestione amministrativa e il miglioramento degli indicatori di performance in base ai quali il ministero calibra i finanziamenti (come il numero di laureati e di studenti iscritti ai corsi di dottorato, per esempio). Tabella 3: Finanziamenti pubblici all'università (1995-2006) Studenti Spesa per studente 1995 171.236 5.343 1996 160.594 5.561 1997 155.217 5.655 1998 155.116 5.599 1999 157.674 5.659 2000 161.475 5.483 2001 168.092 5.678 2002 174.799 5.464 2003 183.976 5.136 2004 193.931 4.944 2005 199.261 5.014 2006 212.200 4.878 Fonte: VSNU http://www.vsnu.nl/web/show/id=89786/langid=42 Quanto alle Hogescholen, esse hanno uno schema di finanziamento abbastanza differente da quello delle università. Nel loro caso, infatti, il capitolo ricerca è sostanzialmente assente (anche se dal 2007 le HBO possono ricevere fondi per la ricerca applicata). Il bilancio degli istituti che appartengono al ramo vocational dipende nella quasi totalità da due tipi di 14 entrate: dai finanziamenti statali (rapportati al totale degli studenti iscritti18, al numero di diplomati, e inversamente proporzionale al numero di drop-outs e al tempo necessario a completare gli studi) da un lato, e dalle tasse pagate dagli studenti dall’altro. Come vedremo più avanti, nel corso degli ultimi anni il graduale disimpegno economico del ministero nei confronti dell’istruzione terziaria ha incentivato le Hogescholen a rivedere le proprie “missions istituzionali” al fine di aumentare le entrate, lungo un percorse di graduale, ancorché parziale accademizzazione. 4. Il sistema di governance L’Olanda è stato uno dei paesi europei in cui nel corso degli ultimi quindici anni i cambiamenti nella governance sono stati tra i più incisivi e radicali. Dopo una lunga fase caratterizzata da un marcato centralismo ministeriale e da una gestione di natura consensuale dentro gli atenei, gestione che vedeva il proprio fulcro nell’azione di un organismo assembleare di tipo rappresentativo come il Consiglio universitario, il governo decise a metà degli anni ’80 di rivedere il dirigismo che lo aveva sempre caratterizzato a favore di un nuovo approccio basato sul controllo a distanza (steering from a distance) e sulla valutazione. Nel primo paragrafo si è già accennato alla svolta managerialista di fine anni ’90 successiva all’approvazione della legge conosciuta come MUB (Wet modernisering universitaire bestuursorganisatie). La MUB, concentra quasi tutto il potere nelle mani dei presidi (a livello di facoltà) e del Comitato esecutivo (a livello d’ateneo), tenuto a rendere conto del proprio operato a un neoistituito Supervisory board (Raad van Toezicht), di nomina ministeriale e formato da membri esterni all’accademia, a cui spetta anche il compito, in un processo a cascata, di nominare i componenti del Comitato esecutivo (ma sono gli atenei a indicarne i nomi). Gli organismi rappresentativi, ovvero i consigli di facoltà e d’ateneo, non detengono più un potere decisionale diretto, dovendosi limitare a funzioni consultive, anche se informalmente, e nella prassi, il loro ruolo è maggiore di quello teoricamente loro lasciato sulla carta dalla legge del 1997. È in ogni caso indubbio che rispetto all’assetto istituzionale preesistente la capacità di azione dei docenti in quanto 18 Quindi non dei soli immatricolati come per le università. 15 categoria sia notevolmente diminuita, portandoli, tra l’altro, a disertare i Consigli o addirittura a non candidarsi alle elezioni per entrare a farne parte (Maassen 2000). Figura 5: Struttura della governance d’ateneo in Olanda SUPERVISORY BOARD (membri esterni) EXECUTIVE BOARD PRESIDE DI FACOLTA’ PRESIDE DI FACOLTA’ PRESIDE DI FACOLTA’ DIPARTIMENTI e docenti DIPARTIMENTI e docenti DIPARTIMENTI e docenti La governance assume quindi oggi un piglio più manageriale, con un coinvolgimento diretto di personale esterno ai vertici degli atenei, essendo tra l’altro ormai prassi comune quella di chiamare ex manager di alto livello nel Supervisory board. L’ingresso di membri laici all’interno delle università è stato senz’altro agevolato dalla transizione da un sistema elettivo in cui le cariche accademiche venivano decise e votate dalla stessa comunità universitaria, ad un sistema basato sulla nomina. Senza immaginare che questo mutamento si sia tradotto nell’imposizione di vertici sgraditi al ceto professorale (è già stato ricordato che i componenti del Comitato esecutivo sono quasi sempre indicati dai professori dell’ateneo al Supervisory board che ha il compito di nominarli), è indubbio che abbia contribuito a ridurre l’autoreferenzialità nella selezione degli individui chiamati a ricoprire le cariche 16 universitarie. Il nuovo assetto ha inoltre consentito una maggiore circolazione dello stesso personale accademico tra organismi di governo di atenei diversi, suggerendo una professionalizzazione della governance universitaria in gran parte sconosciuta prima del 199719. Peraltro non sempre, vale a dire non in tutti gli atenei, i rapporti tra membri esterni e staff accademico sono ben delineati, e un osservatore attento e acuto come Harry de Boer ci ricorda come il ruolo e il funzionamento dei Supervisory boards restino in molti casi questioni poco chiare (de Boer 2009). 5. La riorganizzazione dell’offerta formativa In Olanda, come quasi ovunque in Europa, il più importante fattore di mutamento dell’offerta formativa negli ultimi anni è stato il Processo di Bologna, anche se esso ha influito più spesso per via mediata (ad esempio attraverso le nuove procedure di accreditamento dei corsi) che direttamente. Tra i cambiamenti che hanno interessato l’offerta formativa uno dei più importanti è stato il venir meno della netta distinzione tra università che potevano rilasciare titoli ufficiali, e Hogescholen che potevano al contrario rilasciare solo dei “certificati” (Lub, van der Wende e Witte 2003). Dal 2002, vale a dire dall’introduzione del modello bachelor-master in Olanda, sia le università che le Hogescholen hanno il diritto di attivare corsi di laurea di primo e secondo livello20, pur restando alcune distinzioni nei titoli conseguiti e nella durata dei corsi: Università: - bachelor di 180 crediti (3 anni) - master di 60, 90 o 120 crediti (1, 1.5 o 2 anni); in ingegneria, matematica, scienze naturali e agraria sono quasi sempre di 2 anni. Hogescholen: - bachelor di 240 crediti (4 anni): la maggiore lunghezza rispetto ai corsi impartiti dagli atenei è dovuta al periodo di formazione in azienda che nelle Hogescholen è obbligatorio e dura svariati mesi. 19 20 L’ ex rettore dell’Università di Amsterdam, ad esempio, è oggi rettore dell’ateneo di Leiden. Le HBO tendono però a concentrarsi sui corsi di livello bachelor. 17 - master di 60-120 crediti (1 o 2 anni) Tabella 4: Numero di corsi bachelor e master nelle università olandesi (2009) Area disciplinare Bachelor Master Agricoltura 19 29 Scienze 66 102 Ingegneria 43 76 Discipline sanitarie 28 48 Economia 36 70 Diritto 28 64 Scienze sociali 64 115 145 256 - 131 429 891 Lingue Insegnamento Totale Fonte: VSNU (www.vsnu.nl) Contemporaneamente al passaggio al nuovo modello europeo, nel 2003, è stata introdotta una nuova procedura di accreditamento21 per tutti i corsi, dal cui esito (da rendere pubblico) discende il diritto a ricevere finanziamenti pubblici. Questa procedura è basata su peer reviews (già radicate in passato) e su una valutazione ad opera di agenzie indipendenti riconosciute: la QANU (Quality Assurance Netherlands Universities) per le università e la NQA (Netherlands Quality Agency) per le Hogescholen. I criteri in base ai quali vengono valutati i corsi vanno dalla dotazione di personale ai servizi offerti, dal numero di laureati alla rilevanza scientifica del corso e alla sua rispondenza alla domanda del mercato del lavoro (OECD 2006). Dalla ricerca sul campo è emerso chiaramente come i maggiori cambiamenti nella didattica (almeno nelle università) siano proprio da ascrivere al nuovo principio dell’accreditamento, conseguente all’attivazione dei corsi post-Bologna, più che al riordino dei cicli in sé. Il ministero ha infatti sfruttato l’opportunità offerta dal processo di armonizzazione europeo, per costringere gli atenei a passare da un sistema di valutazione precedentemente imperniato sulla corporazione docente (tradottasi nella centralità della peer review) all’accreditamento ad opera di agenzie esterne indipendenti ma legate al ministero da cui discendono i finanziamenti. 21 Attualmente si svolge ogni sei anni ed è gestita dalla NVAO, l’organizzazione per l’accreditamento legata al ministero. 18 Fino a pochissimi anni fa le università erano anche l’unica sede in cui fosse consentito organizzare graduate school e quindi assegnare i dottorati; oggi, nonostante il quadro normativo resti formalmente invariato sotto questo punto di vista, le HBO hanno iniziato ad attivare dei particolari corsi postlaurea chiamati “dottorati professionali”, insidiando le università persino nel settore più prestigioso della didattica. Scarso impatto sul contenuto dei corsi ha invece avuto la riorganizzazione dell’offerta formativa in cicli (tre, compreso il dottorato). Gli atenei, e i docenti, si sono quasi sempre limitati a dividere in due i vecchi corsi, senza pensare realmente a innovarli, e senza che i rappresentanti dell’economia facessero sentire la loro voce. E’ emersa anzi come fondamentale la questione dell’autonomia dei docenti nel fissare i contenuti dei propri insegnamenti, quasi un dovere della professione accademica. Il confronto con il mercato e la domanda sociale è invece ritenuto opportuno ex post, per cercare di stabilire se una laurea sia ben congegnata agli occhi di imprese e ordini professionali. D’altronde, si frappongono almeno due ostacoli alla cooperazione tra sistema delle imprese e atenei nella didattica. Il primo ostacolo è dato dall’alta specializzazione della professione docente, che rende difficile per i rappresentanti dell’economia riuscire a entrare nel merito e stabilire indirizzi o priorità. Il secondo ostacolo è invece riconducibile al disallineamento temporale tra le esigenze del mercato e quelle del riordino dei curricula. Come ha dichiarato un rettore, ad esempio, qualora le associazioni imprenditoriali segnalassero il bisogno di una determinata figura professionale, i tempi di risposta dell’università non potrebbero che porsi un orizzonte di 5 o 6 anni almeno, prima che il relativo corso sia progettato, attivato e inizi a laureare un numero sufficiente di studenti in grado di rispondere a quel bisogno. Se poi teniamo conto del fatto che quando si rivolgono al settore universitario (per le Hogescholen il discorso è diverso) le imprese puntano prevalentemente a laureati di secondo livello, è facile intuire che il gap temporale tra domanda e tempi di risposta non possa che dilatarsi ulteriormente22. Nelle facoltà tecniche, come ingegneria (Politecnico di Delft), i rapporti tra atenei e sistema produttivo sono comprensibilmente più stretti, ma anche qui le relazioni non puntano tanto a definire obiettivi formativi o alla co-progettazione dei corsi, quanto a sottoporre particolari problemi di ricerca che vengono affrontati prevalentemente a livello 22 Nelle facoltà tecniche, come ingegneria, i rapporti tra atenei e sistema produttivo sono comprensibilmente più stretti, ma anche qui le relazioni non puntano tanto a definire obiettivi formativi o alla co-progettazione dei corsi, quanto a sottoporre particolari problemi di ricerca che vengono affrontati a livello di master22, mentre per le lauree di primo livello il discorso non si discosta da quello di (relativamente) scarsa collaborazione visto a proposito delle discipline in generale. 19 master23, mentre per le lauree di primo livello il discorso non si discosta da quello che è stato descritto più sopra a proposito del quadro generale (ovvero scarse relazioni con l’esterno). Ciò che si sta invece diffondendo è l’istituzione di “commercial programmes” a livello master, o comunque post-laurea, rivolti al mercato. Sono corsi in genere non finanziati dal ministero e che quindi richiedono tasse piuttosto elevate agli studenti (o ai professionisti che vedono in queste attività delle occasioni di aggiornamento o specializzazíone secondo una logica di life-long learning). Ne sono stati trovati esempi sia nelle facoltà di ingegneria che in quelle di economia, e la loro diffusione è dovuta per un verso all’esigenza delle università di cercare canali di finanziamento complementari a quelli statali, e per l’altro a un processo inflativo delle credenziali educative che, stante la tiepida accoglienza riservata dalle imprese ai laureati di primo livello, conduce molti studenti a iscriversi a più master, generalmente due, nonostante il ministero sussidi gli studi solo per 4 anni totali (un corso bachelor più un solo master annuale quindi). I master rivestono inoltre una importante funzione di raccordo tra università e Hogescholen, visto che il sistema olandese consente il passaggio dei diplomati di primo livello delle HBO ai corsi di secondo livello universitari, circostanza che ha aumentato il disappunto degli atenei nei confronti della possibilità concessa alle HBO dal ministero (a seguito del Processo di Bologna) di istituire master propri (ricordiamo che 2/3 delle iscrizioni all’istruzione superiore avvengono nelle Hogescholen, che rappresentano quindi un mercato potenziale vastissimo per le università). Pur non essendo riconosciute come “università” nel sistema olandese, le HBO hanno iniziato a pubblicizzare se stesse, attraverso uno scaltro escamotage, con l’espressione inglese “universities of applied sciences”, locuzione che contribuisce a legittimarle, almeno dal punto di vista linguistico, come centri universitari (seppur distinti dalle università tradizionali). A questo slittamento linguistico è corrisposto il già ricordato ampliamento dei compiti didattici con l’introduzione di corsi di secondo livello organizzati in collaborazione con alcune università inglesi (in genere ex politecnici) per potersi fregiare anche in patria, tramite il riconoscimento del corso operato dall’ateneo straniero, della denominazione di “master” (in precedenza riservata alle sole università), e poter così richiedere tasse più elevate per i nuovi corsi di livello avanzato. La questione delle lauree di secondo livello non è in realtà l’unico conflitto esistente tra il ramo accademico e quello professionalizzante all’interno dell’istruzione superiore olandese. 23 Ad esempio nell’ateneo tecnico di Delft ci sono casi di collaborazione con la Philips, che però non finanzia il corso ma si limita ad assegnare alcuni premi agli studenti. 20 Per quanto il prestigio associato ai corsi universitari resti più elevato dei loro equivalenti impartiti nelle HBO, stanno cominciando a manifestarsi segnali di avvicinamento tra i due canali che hanno allarmato gli atenei. Innanzitutto il connubio di ascendenza humboldtiana tra didattica e ricerca, che è stato tradizionalmente il principale tratto distintivo tra i due percorsi, inizia a diventare un confine dalle linee meno marcate: anche le Hogescholen hanno infatti iniziato a fare ricerca (definita “applicata”), anche se in misura ancora lontana da quanto accade nelle università con la ricerca di tipo tradizionale, e si stanno attrezzando per fornire corsi di “dottorato professionale”. Stanno insomma cercando di replicare il modello universitario, non senza difficoltà peraltro24, tarandolo però su un mercato di sbocco che rimane quello delle piccole e medie imprese olandesi (da cui la ribadita attenzione ai contenuti professionalizzanti). Nelle HBO, infatti, la didattica è sempre stata molto attenta alle esigenze del mondo produttivo: sono previsti percorsi in alternanza scuola/lavoro con internships obbligatorie della durata di diversi mesi (circa 9), e i rappresentanti delle imprese siedono abitualmente negli organismi direttivi dei singoli istituti. Questo, tra l’altro, ha fatto sì che le pressioni dell’economia sul settore accademico fossero meno forti; non a caso, pur avendo il legislatore introdotto nel 1998 la possibilità di replicare il sistema duale delle HBO, solo pochi studenti delle università vi hanno effettivamente aderito. Anche gli stage, pur essendo un’opportunità offerta agli studenti universitari di tutti gli indirizzi disciplinari, si rivelano una pratica relativamente diffusa solamente nelle facoltà tecniche. Generalmente vengono svolti al livello master, dato che gli atenei preferiscono presentare alle imprese il tirocinio come un’occasione per avvalersi a costi contenuti delle competenze di studenti ormai quasi completamente formati (nell’Università tecnica di Delft si usa ad esempio l’espressione di “quasi ingegneri”). La durata dei tirocini, da cui dipende il numero di crediti formativi riconosciuti, non è quasi mai inferiore ai 2 mesi, ma può arrivare anche a 5 o 6 per i progetti legati alla realizzazione della tesi25. Le mosse di avvicinamento compiute dalle HBO rischiano comunque di mettere in discussione la chiara suddivisione dei ruoli tra i due rami che ne aveva garantito pacifici rapporti di complementarità più che di concorrenza. Non a caso le associazioni degli imprenditori si sono dichiarate contrarie a qualsiasi forma di “accademizzazione” delle 24 Un ostacolo è dato ad esempio dal bassissimo numero di docenti di Hogeschol in possesso del dottorato. Sono infatti state avviate iniziative per far loro conseguire il PhD. 25 Al termine dell’esperienza di stage lo studente è tenuto a redigere una scheda di valutazione dell’impresa presso la quale ha lavorato, anche se quest’ultima può richiedere che la relazione sia utilizzata solo come documento interno, senza quindi consentirne la consultazione da parte di terzi. 21 Hogescholen, sostenendo anzi che i percorsi professionali quadriennali andrebbero rivisti a favore di corsi più brevi, intermedi tra la scuola secondaria e il livello terziario. In risposta a queste sollecitazioni dal 2006 alcune Hogescholen hanno attivato in via sperimentale dei corsi biennali che consentono alternativamente di inserirsi nel mercato del lavoro oppure di proseguire per un ulteriore biennio per conseguire il titolo di bachelor. Una delle ragioni della sovrapposizione di funzioni tra HBO e atenei deriva dal fatto che le strategie adottate da università e Hogescholen rispondono a finalità molto simili. In entrambi i casi le trasformazioni avvenute nella didattica sono state attivate in modo diretto (la riorganizzazione dei corsi) o mediato (l’istituzione dell’accreditamento) dal Processo di Bologna, che però è stato interpretato come un’“opportunità contingente” per cercare di attrarre nuove risorse. Le università hanno pertanto concentrato i propri sforzi sulle lauree di secondo livello, sia perché consentono tasse relativamente elevate e comunque più alte di quelle del bachelor, sia perché possono attrarre i diplomati delle HBO (mentre come abbiamo visto questo non è vero per il primo livello visto che la possibilità di accedervi è subordinata al tipo di scuola secondaria frequentato). Le Hogescholen, simmetricamente, hanno cercato di accreditarsi come “università professionali”, e non più come istituzioni formative estranee al settore universitario (come continua a stabilire la legislazione olandese), grazie alla collaborazione con alcuni atenei inglesi che ha consentito loro di fregiarsi del titolo di “university” (seppur di “scienze applicate”), e di aprirsi al redditizio mercato della formazione post-laurea (con i master e i dottorati professionalizzanti). Il processo sembrerebbe pertanto, in entrambi i casi, “resource-driven”, nel senso che è stata la necessità di contrastare la tendenza al contenimento della spesa pubblica in istruzione superiore, e quindi la diminuzione dei finanziamenti ministeriali, a innescare i maggiori mutamenti. Tabella 5: Didattica: la cooperazione con l’esterno Politecnico di Delft I nuovi corsi di livello master tendono ad essere più vicini alla domanda sociale ed esistono corsi co-progettati (ad esempio con Philips). In genere questi master assegnano premi agli studenti, partendo da problemi segnalati dalle imprese (qui didattica e ricerca si mischiano quindi). Ci sono docenti esterni che provengono da agenzie di design Università di Leiden I vecchi programmi non sono cambiati molto in seguito a Bologna. Le associazioni imprenditoriali concentrano il loro interesse sui corsi di livello master. Non si segnalano né corsi co-progettati con le 22 Università di Amsterdam Hogeschol di Amsterdam 6. imprese, né regolari contatti con le associazioni imprenditoriali. Ci sono però incontri con gli ordini professionali (ad esempio a Legge) per capire se la preparazione dei laureati sia ritenuta adeguata dal mercato del lavoro. Anche in questo ateneo gli stakeholders non sembrano influenzare molto la didattica. Esistono però corsi “non standard” (come i “commercial programmes”) rivolti all’esterno per ottenere fondi con il lifelong learning. Sono presenti docenti esterni in alcuni corsi ma restano un fenomeno limitato. Non ci sono corsi finanziati dalle imprese; stando ad un nostro interlocutore la mentalità delle imprese sarebbe quella di ritenere che le tasse (pagate dalle aziende) finanzino già le università e quindi non occorrerebbero altri trasferimenti diretti. Secondo altri la presenza di lay members nella governance non ha influenzato la programmazione della didattica. A livello master la tendenza è quella di introdurre dei vocational master accanto ai research master di 2 anni. Tradizionalmente nelle HBO i programmi sono tarati sulle esigenze delle imprese (le HBO sono quasi tutte private, anche se ricevono denaro pubblico) ed esistono network a livello locale tra HBO, imprese e politici. Nell’offerta formativa università e HBO si stanno avvicinando (fatto assai sgradito alle imprese, come ci ha riferito il Senior advisor Education and training della VNO-NCW, la “Confindustria” olandese): le HBO tentano di emulare le università introducendo la ricerca, e gli atenei si avvicinano alle HBO offrendo master professionalizzanti. I servizi agli studenti Gli atenei olandesi sono ben finanziati (a parità di studenti il loro budget è circa il doppio di quello degli atenei italiani, giusto per fare un confronto), e questo fa sì che le strutture di servizio siano generalmente ben funzionanti. In tutte le università esiste una vasta rete di servizi rivolti agli studenti, che va dall’aiuto nel reperimento di un alloggio alla cura dei bambini, dal counselling psicologico ai corsi di lingua. La situazione, però, cambia se ci spostiamo sui servizi di raccordo con il mercato del lavoro. I servizi dedicati all’inserimento occupazionale dei laureati godano infatti di scarsa visibilità e diffusione. Anzi, negli ultimi anni alcuni di questi uffici sono andati incontro a tagli del personale, se non a vere e proprie chiusure. C’è peraltro da riconoscere che i tassi di disoccupazione giovanile sono bassi in Olanda e forse proprio per questo il ricorso a uffici di placement e orientamento da parte 23 degli studenti è sempre stato piuttosto modesto. Del resto, se pensiamo proprio ai compiti di orientamento di queste strutture, per studenti e famiglie è sufficiente consultare un sito come “Study choice”26 per avere informazioni sugli esiti occupazionali dei diversi corsi di studio. La sensazione di un modesto impegno degli atenei sul fronte dei servizi per il lavoro dei propri studenti trova un’ulteriore conferma se pensiamo agli stage. Come è già stato ricordato, si rivelano una pratica relativamente diffusa solamente nelle facoltà tecniche. Generalmente vengono svolti durante il master, con una prevalente funzione occupazionale dunque, piuttosto che formativa, consentendo alle imprese di “mettere alla prova” (a costi molto bassi) stagisti giunti al termine del percorso universitario. La durata dei tirocini oscilla tra i 2 e i 6 mesi per progetti legati alla realizzazione della tesi. Al termine del periodo di stage lo studente è tenuto a redigere una scheda di valutazione dell’impresa presso la quale ha lavorato anche se quest’ultima può chiedere che la relazione sia utilizzata solo come documento interno, senza quindi consentirne la consultazione da parte di terzi. Come possiamo provare a spiegare la diffusione piuttosto modesta nelle università di stage e servizi di placement? Oltre alla già ricordata favorevole situazione occupazionale olandese e all’esistenza di agenzie statali alternative, un peso rilevante è senza dubbio da attribuire alla presenza delle Hogescholen, vale a dire di un canale formativo di tipo professionalizzante (a cui, ricordiamolo, si iscrive più del 60% degli studenti) in cui i tirocini sono al contrario prassi diffusa. 7. La ricerca e il mondo delle imprese Gli anni ’80 sono stati uno spartiacque per le questioni che riguardano la ricerca. Con una serie di provvedimenti il ministero decise di imprimere una svolta nelle logiche con cui fino a quel momento erano state finanziate e programmate (o meglio, non programmate) le attività di ricerca portate avanti nelle università. L’iniziativa dei governi olandesi appare del resto perfettamente comprensibile se si tiene conto del fatto che le principali imprese del paese sono tra le multinazionali più importanti su scala europea e mondiale, la maggior parte delle quali, per giunta, specializzata in settori knowledge intensive in cui la ricerca scientifica è vitale per la stessa sopravvivenza nel mercato. L’obiettivo fu dunque quello di promuovere la costituzione di network tra 26 http://www.studychoice123.nl/web/site/default.aspx 24 ricercatori universitari e sistema delle imprese, nel tentativo di risolvere ciò che nel dibattito pubblico di quegli anni era conosciuto come il “paradosso olandese” (declinazione a livello locale del più noto “paradosso europeo”), ovvero la presenza di un sistema della ricerca capace di performance molto buone, ma contemporaneamente di un tasso di innovazione di prodotti e processi che potremmo definire modesto. Figura 6: Citation impact degli articoli scientifici (2003-2006) 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 D FR A JA P KO R IR L FI N SW BE UK CA N NO RV DK NL US CH 0 Fonte: VSNU (2008), Annual report of research universities in the Netherlands. Figura 7: Percentuale di imprese innovative che hanno rapporti di collaborazione con università o istituti di ricerca pubblici (2002-2004) 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Francia Paesi Bassi UK 25 Germania Finlandia Fonte : NOWT (2008). Fu pertanto introdotto il principio del “conditional research funding” allo scopo di aumentare il volume, l’efficienza e la qualità della ricerca (de Boer et al. 2006), primo tentativo di limitare la tradizionale autonomia del corpo accademico nello stabilire i temi da indagare scientificamente. Parte dei finanziamenti fu vincolata a programmi mirati, costringendo ricercatori e docenti a competere per ottenere le risorse di provenienza ministeriale necessarie al proprio lavoro di ricerca. L’intenzione del ministero era quella di incentivare (costringere?) gli atenei a stabilire, accanto al canale ordinario di finanziamento, rapporti di mercato con lo stato e con i privati, in modo da favorire l’incontro con la domanda sociale, riducendo al contempo la spesa pubblica attraverso una razionalizzazione dei finanziamenti27. Tabella 6: Finanziamenti a università, istituti di ricerca e imprese per attività di R&D, divisi per provenienza (miliardi di euro) Istruzione superiore Istituti di ricerca Imprese Governo 2,2 1,0 0,2 Imprese 0,2 0,2 4,5 Non-profit privato 0,1 0 0 Estero 0,1 0,1 1,1 Totale 2,6 1,3 5,8 Fonte: MINOCW, Key figures 2004-2008 (www.minocw.nl). Accanto a strategie generali come quelle appena ricordate, sono poi stati varati specifici programmi direttamente o indirettamente finanziati dal governo olandese, per incentivare i rapporti di cooperazione tra sistema di istruzione superiore e sistema produttivo: 27 Si noti che pur essendo questi gli anni in cui si afferma il principio del “governo a distanza” del sistema di istruzione superiore, il governo non sembrò affatto voler abdicare a un ruolo di attivo indirizzo: nel 1987 fu stabilito che il governo pubblicasse ogni due anni dei piani strategici (Hoger onderwijs en onderzoek plan, HOOP) segnalando quelli che a suo avviso sarebbero stati gli sviluppi prossimi del sistema di istruzione superiore, e indicando una stima dei finanziamenti per i successivi quattro anni. 26 - Programmi di ricerca orientati all’innovazione, attivi in diversi campi tra cui: l’elaborazione di immagini, la genomica, le proteine di sintesi, l’interazione uomo-macchina, le tecnologie ambientali e l’elettronica; - il finanziamento di programmi da parte dell’Organizzazione per la ricerca scientifica applicata (TNO) per trasformare la ricerca scientifica di base in ricerca dalle ricadute produttive; - Progetto per la partnership tecnologica (TS) per favorire la costituzione di progetti di ricerca condotti da networks di imprese, atenei e centri di ricerca; - il finanziamento da parte della Fondazione STW Technology di centri di ricerca universitari sulla base di progetti di eccellenza “demand driven” che prevedano il coinvolgimento dei futuri utilizzatori delle scoperte; - Leading Technology Institutes (LTIs), vale a dire istituti di ricerca virtuali costituiti da networks misti di imprese (alcune delle quali multinazionali, ad esempio Unilever) e atenei. Ad oggi sono quattro istituti individuati (dall’Accademia Reale delle Scienze, da una società di consulenza internazionale e da una commissione di esperti, la “Commissione van Wijzen”) tra diciannove progetti. Oltre a questi interventi, è stata prevista l’erogazione di “knowledge vouchers” a favore delle piccole e medie imprese (del valore di 2.500 e di 7.500 euro), generalmente escluse dai grandi programmi a sostegno della ricerca (OECD 2007). Data l’esiguità delle somme in gioco, il fine appare quello di creare una maggiore familiarità con l’ambiente universitario da parte di piccole aziende generalmente poco inclini a stabilire relazioni con gli atenei. Le facoltà a più diretto contatto con il sistema produttivo hanno così iniziato ad affiancare ai progetti curiosity driven, altri progetti nati da precise domande di ricerca delle imprese. Emblematico il caso del politecnico di Delft che organizza corsi tematici di alcune settimane o mesi per sviluppare indagini stimolate da committenti esterni (e in parte da questi finanziate). Il problema è che, stando almeno a quanto dichiarato da alcuni protagonisti, queste occasioni di incontro tra “interno ed esterno” raramente riescono a trasformarsi in collaborazioni durature e istituzionalizzate, restando più che altro episodi nati da interessi di breve periodo delle imprese. Date le peculiarità del modello produttivo olandese in cui sono prevalentemente le grandi multinazionali (che sono dotate di efficienti centri di ricerca) a relazionarsi con gli atenei, ci si rivolge all’università più che altro nei casi in cui non è facile 27 stabilire a priori la profittabilità di un investimento in ricerca. In questo senso appare più conveniente impegnare somme di denaro tutto sommato modeste in un dipartimento universitario piuttosto che fare ricerca intramoenia su temi dal dubbio ritorno economico. Il mutamento nella politica nazionale sulla ricerca non ha però solo significato una maggiore apertura di alcune facoltà alle istanze socio-economiche, ma ha avuto conseguenze sull’intero sistema di istruzione superiore. Per prima cosa, ci sono stati effetti sulle facoltà umanistiche, sia per l’operare delle agenzie governative che nell’allocazione dei fondi tendono a penalizzare la ricerca puramente speculativa, lontana dagli interessi del tessuto produttivo, sia per la minore capacità di queste discipline nell’attrarre risorse alternative ponendosi in una logica di mercato. Anche per le discipline di maggiore successo nel reperire fondi nascono però alcune difficoltà: per poter accedere ai finanziamenti basati su progetti le università sono infatti chiamate a partecipare alle spese di ricerca mediamente nell’ordine di 80 centesimi per ogni euro ricevuto28, con un conseguente drenaggio di risorse dai fondi a disposizione dei ricercatori per le loro libere indagini, e quindi con possibili effetti disincentivanti vista l’entità del contributo a carico degli atenei. Un altro effetto, già ricordato e certo non meno importante, connesso al nuovo indirizzo del ministero è stato quello di incentivare anche le Hogescholen a competere con il settore universitario per ottenere finanziamenti esterni. Le Hogescholen hanno così iniziato a insidiare il monopolio delle università nella ricerca proponendosi alle imprese come fornitrici di “applied research”. Sebbene la portata di questa innovazione sia ancora contenuta in termini di incidenza sui bilanci delle istituzioni del ramo vocational, è pur vero che il numero di “lettori” (lectoren) – il cui compito è quello da un lato di consentire il trasferimento di conoscenze dalle Hogescholen alle imprese (in particolare piccole e medie), dall’altro di raccogliere gli stimoli di ricerca che provengono dal tessuto produttivo facendo incontrare le attività dei gruppi di ricerca nelle HBO e la domanda delle imprese olandesi – ha avuto una progressione notevole (dai 18 del 2002 ai circa 300 del 2007, OECD 2008). Questo ha portato a una maggiore indeterminatezza nella distinzione funzionale tra i due rami del sistema di istruzione superiore olandese (HBO e università), con esiti non sempre graditi neppure alla parte imprenditoriale, la tutela dei cui interessi era peraltro stato il fine dichiarato dell’azione del governo. Perché se il sistema produttivo ha sicuramente accettato di buon grado l’inedito impegno delle Hogescholen sul fronte della ricerca dalle immediate 28 OECD 2006, p. 66. 28 ricadute economiche con l’istituzione dei “lettori” incaricati di fungere da trait d’union tra ricerca applicata ed esigenze del mondo economico, altrettanto non può essere detto per l’implicita accademizzazione delle HBO che l’impegno nella ricerca, e non più solo sulla didattica, sta comportando. 8. Cenni conclusivi Il sistema di istruzione superiore olandese è andato incontro a molteplici cambiamenti nel corso degli ultimi vent’anni. Dalla seconda metà degli anni ’80 ha visto cambiare i principi ispiratori dell’azione del ministero (dal centralismo al decentramento con valutazione), i meccanismi di finanziamento (dai trasferimenti su base storica all’assegnazione di risorse su base competitiva), il modello di governance degli atenei (da partecipativo-consensuale a manageriale), e l’organizzazione dell’offerta formativa (per l’introduzione del Processo di Bologna). Questi mutamenti hanno a loro volta influito sulla propensione di università e Hogescholen ad aprirsi alla domanda sociale e sulle modalità con cui questa stessa apertura è avvenuta. Ad esempio, come abbiamo visto, aumentando il bisogno di ricorrere a fonti di finanziamento complementari a quelle pubbliche (in calo), oppure creando opportunità per rivedere la tradizionale divisione del lavoro tra settore vocational e ramo accademico nel rispondere alla domanda di ricerca proveniente dalle imprese. L’“apertura all’esterno” delle istituzioni educative, e specularmente l’aumentata propensione di imprese e mondo produttivo a collaborare con esse, non può però ridursi alla sola rassegna delle riforme legislative (nella governance, nei curricula, ecc.) che hanno cercato di promuovere l’incontro di università e HBO da un lato, e imprese dall’altro. In realtà è necessario fare riferimento ad almeno quattro livelli analitici distinti per la comprensione del nostro oggetto di ricerca. Innanzitutto, sul piano ideologico-culturale, c’è stato un lungo lavoro di delegittimazione dell’università in quanto istituzione tendenzialmente impermeabile alle pressioni esterne, completamente autonoma nello stabilire gli obiettivi di ricerca, che in Olanda si è manifestato con le polemiche degli anni ’80 sulle “università-torri d’avorio”. Ben presto su queste polemiche si innestò tutto il dibattito sulla riforma del settore pubblico e sui principi dettati dal New Public Management (trasparenza, valutazione, 29 apertura alle logiche di mercato, ecc.) che ebbero non poco peso sulla successiva legislazione universitaria. Sul piano legislativo lo stimolo più forte a far incontrare istruzione superiore e mercato è stata la riforma dei meccanismi di finanziamento che ha letteralmente costretto atenei e Hogescholen a cercare nuove strategie per garantirsi risorse complementari. Di qui l’impegno sul livello master per le più alte tasse che garantisce e sui “commercial programmes”, oltre alle inedite iniziative delle HBO sul fronte della ricerca applicata e dei “dottorati professionali”. Ma almeno altre due leggi vanno ricordate: la MUB del 1997 che ha rafforzato i vertici d’ateneo (presidi e rettore) e gli organismi ristretti di governo (Comitato esecutivo e Supervisory board), dando al contempo rilievo ai membri esterni, e la riforma dei cicli post-Bologna (un’opportunità abilmente sfruttata soprattutto dalle HBO) con le annesse nuove procedure di accreditamento dei corsi in cui viene vagliata anche l’utilità sociale degli insegnamenti, cioè la loro rispondenza alla domanda del mercato. La pressione a favore del mercato esercitata dal ministero ha però dovuto confrontarsi con le caratteristiche del tessuto economico olandese. Le grandi multinazionali non si sono mostrate granché interessate a stringere legami con le università, vista la possibilità di ricorrere a propri centri di ricerca molto ben finanziati, e le occasioni di collaborazione hanno spesso mostrato tratti di opportunismo di breve periodo (ad esempio si affidano ricerche agli atenei quando è dubbio il ritorno economico dell’eventuale scoperta). Le piccole imprese, invece, non dispongono di sufficienti risorse materiali e cognitive per rivolgersi all’università a fini di ricerca, mentre per quanto riguarda la forza lavoro il bacino da cui attinge questo tipo di aziende è quello offerto dalle Hogescholen più che dagli atenei tradizionali. Raramente, però, il reciproco avvicinamento di istituzioni educative e mondo economico ha avuto carattere spontaneo: il primum movens è stata spesso la possibilità di accedere a denaro pubblico, sia sotto forma di programmi di cooperazione sussidiati dallo stato o di vouchers, sia sotto forma di centri di ricerca a cui sono stati associati vantaggi di varia natura (fiscali, infrastrutturali, ecc.). I 4 livelli analitici nello studio dell’apertura all’esterno di atenei e Hogescholen IDEOLOGICO Delegittimazione dell’università-torre d’avorio Principi del New Public Management 30 NORMATIVO Riforma dei meccanismi di finanziamento Riforme della governance (MUB) Implementazione del Processo di Bologna ECONOMICO-TERRITORIALE Polarizzazione del tessuto industriale Dipendenza dalle esportazioni Difficoltà nell’innovazione (“paradosso olandese”) STATEGICO Finanziamenti complementari a quelli ministeriali Sviluppo di master e commercial programmmes Iniziative di ricerca applicata nelle HBO Parziale accademizzazione delle HBO 31 Riferimenti bibliografici Ballarino, G. e Regini, M. (2005), Formazione e professionalità per l’economia della conoscenza. Strategie di mutamento delle università milanesi, Franco Angeli, Milano. Brint, S. e Karabel, J. (2000), “Origini e trasformazioni istituzionali. Il caso dei community college americani”, in W. Powell e P. DiMaggio (a cura di), Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa, Ed. Comunità, Milano. CHEPS (2008), New degrees in the Netherlands, scaricabile all’indirizzo http://doc.utwente.nl/60092/. Clark, B.R. (2004), Sustaining change in universities, Open University Press. Clark, B. R. (1983), The Higher Education System. Academic Organization in CrossNational Perspective, University of California Press, Berkeley. de Boer, H. (2009), Reforming university governance: a report from the Netherlands, presentazione alla conferenza “Reforms in higher education in Europe” tenuta a Varsavia il 12 marzo 2009. de Boer, H. (2003), Institutional change and professional autonomy, CHEPS, Twente. de Boer, H. (2002), “On Nails, Coffins and Councils”, European Journal of Education, vol. 37, n. 1, pp. 7-20. de Boer, H., Leisité, L. e Enders, J. (2006), “The Netherlands. Steering from a distance”, in Kehm, B. e Lanzendorf, U. (a cura di), Reforming university governance. Changing conditions for research in forur countries, Lemmens, Bonn, pp. 59-98. Jongbloed, B. (2003), “Marketisation in higher education, Clark’s triangle and the essential ingredients of markets”, Higher education quarterly, n. 2, pp. 110-135. Huisman, J., de Boer, H. e Goedegebuure, L. (2006), “The perception of participation in executive governance structure in Dutch universities”, Tertiary Education and Management, n. 12, pp. 227-239. Kaiser, F. e Vossensteyn, H. (2005), “Targets and tools in Dutch access policies”, Higher Education Quarterly, n. 3, pp. 187-204. Kessels, J. e Kwakman, K. (2007), “Interface: establishing knowledge networks between higher vocational education and businesses”, Higher Education, n. 54, pp. 689-703. Lub, A., van der Wende, M. e Witte, J. (2003), “Bachelor-Master programmes in the Netherlands and Germany”, Tertiary Education and Management, n. 9, pp. 249-266. Maassen, P. (2000), “The changing roles of stakeholders in Dutch university governance”, European Journal of Education, n. 4, pp. 449-464. Merton, R.K: (2000), Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna. MINOCW (2008), Key figures 2003-2007, consultabile su http://www.minocw.nl. Moscati, R. e Vaira, M. (2008, a cura di), L’università di fronte al cambiamento, il Mulino, Bologna. Neave, G. (1998), “The Evaluative State reconsidered”, European Journal of Education, n. 3, pp. 265-284. NOWT (2008), Science and Technology Indicators 2008, consultabile su www.nowt.nl. OECD (2008), Update of Country background report for the Netherlands, scaricabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/dataoecd/36/48/40451754.pdf. OECD (2007), Thematic review of tertiary education. Country note for The Netherlands, scaricabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/dataoecd/24/31/38469224.pdf. 32 OECD (2006), OECD thematic review of tertiary education. The Netherlands, scaricabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/dataoecd/39/18/37411491.pdf. OECD (2004), Public-private partnerships for research and innovation: an evaluation of the Dutch experience, scaricabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/dataoecd/58/19/21693395.pdf. Scharpf, F.W. (1997), Games real actors play, Westview Press, Oxford. Sporn, B. (2006),“Convergence or Divergence in International Higher Education Policy”, scaricabile dal sito www.educause.edu/ir/library/pdf/ffpfp0305.pdf. Streeck, W. e Thelen K. (2005, a cura di), Beyond Continuity. Institutional Change in Advanced Political Economies, Oxford University Press, New York. Teichler, U. (2004), “Changing Structures of the Higher Education Systems: The Increasing Complexity of Underlying Forces”, UNESCO, Occasional papers series, n. 6, pp 315. Teichler, U. (2001), “Mass Higher Education and the Need for New Responses”, Tertiary Education and Management, n. 7, pp. 3-7. Trow, M. (1974),“Problems in the Transition from Elite to Mass Higher Education”, Policies for Higher Education, OECD, Paris. Witte, J.K. (2006), Change of degrees and degrees of change, tesi di dottorato, pubblicata da CHEPS/UT e scaricabile da www.che.de/downloads/C6JW144_final.pdf. Wolf, A. (2004), “Education and economic performance: simplistic theories and their policy consequences”, Oxford Review of Economic Policy, n. 2, pp. 315-333. 33