i paesi emergenti e il dilemma ambientale: cina

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i paesi emergenti e il dilemma ambientale: cina
I PAESI EMERGENTI
E IL DILEMMA
AMBIENTALE:
CINA E INDIA AL BIVIO
TRA MODELLO
AMERICANO E
GIAPPONESE
Protezione dell'ambiente
BILL EMMOT
Scrittore, ex Direttore
The Economist
La rapida crescita economica di Cina e India sta
trasformando il più grande sogno del mondo in
realtà: sradicare la povertà dai due Paesi che
rappresentano complessivamente un terzo della
popolazione globale.
Già la liberalizzazione economica avviata in Cina a
partire dal 1978 e in India dal 1991 ha sollevato una
parte significativa di popolazione dalla piaga della
povertà assoluta in tempi più rapidi di quanto sia mai
avvenuto nella storia dell’umanità. Eppure, questo sogno
si sta tramutando per molti ambientalisti in un incubo
minaccioso. Se più di due miliardi di indiani e di cinesi
cercheranno di raggiungere lo stesso stile di vita degli
attuali 300 milioni di americani e 400 milioni di europei,
si verificheranno terribili conseguenze in termini di
inquinamento, esaurimento delle risorse e cambiamento
climatico globale. In altre parole, l’attuale modello di
crescita di cinesi e indiani è da molti considerato insostenibile dal punto di vista globale. Si sente comunemente
dire da ambientalisti più o meno radicali che avremmo
bisogno di due o tre pianeti per soddisfare le aspirazioni
dei cinesi e degli indiani e che un pianeta solo non basta.
Sono numerosi gli argomenti a sostegno di questa visione
pessimistica, che tuttavia rischia di perdere di vista la
storia vera. Il modello di crescita di cinesi e indiani è
destinato a cambiare sotto la pressione del fattore
ambientale e di altri fattori. La vera questione è quindi
comprendere come questo modello cambierà e che cosa
potrà significare tale cambiamento in primo luogo per
Cina e India.
SPESSO SI SENTE DIRE
CHE AVREMMO BISOGNO
DI DUE O TRE PIANETI
PER SODDISFARE
LE ASPIRAZIONI ATTUALI
DEI CINESI E DEGLI INDIANI.
MA È PROPRIO VERO?
UN ENORME IMPATTO AMBIENTALE SUL PIANETA
Ma partiamo dagli argomenti a favore del pessimismo. È
assolutamente vero che sia la Cina che l'India stanno
creando enormi problemi ambientali per i loro territori e
per il pianeta. Tuttavia la maggior parte di questi
problemi hanno natura diversa nei due Paesi. I peggiori
problemi ambientali della Cina sono il risultato di un
rapido e prolungato sviluppo economico, mentre in India
sono in primo luogo il risultato della povertà e non della
prosperità. Questa realtà sta cambiando e comincerà a
cambiare rapidamente nel corso dei prossimi 5-10 anni.
Ma in termini di danno ambientale e di scelte di policy,
l'India è circa 10-15 anni indietro rispetto alla Cina. Nel
2007, la Cina ha superato l'America diventando il più
grande produttore mondiale di emissioni di gas serra
(l’India è al quarto posto). Ciò riflette le dimensioni della
popolazione cinese e la crescita della sua economia, ma
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sdVision
LA POLITICA DEL GOVERNO
CINESE HA INIZIATO
LENTAMENTE A DARE
PRIORITÀ AI CONTROLLI
AMBIENTALI.
Bill Emmot
anche una tendenza a breve termine. Dall'inizio della
liberalizzazione dell'economia cinese a opera di Deng
Xiaoping (nel 1978-80) fino al 2002 circa, l'efficienza
energetica della Cina è aumentata ogni anno. In termini
statistici, ciò ha significato l’utilizzo di meno energia per
ogni unità di PIL. Le vecchie, sporche fabbriche dell’era
di Mao e le centrali obsolete sono state progressivamente
sostituite da impianti più puliti, moderni e più efficienti;
anche nelle realtà urbane sono state introdotte forme di
riscaldamento più pulito. Ma negli ultimi 5-6 anni questa
tendenza al miglioramento si è invertita. L’efficienza
energetica dell'economia cinese è andata di nuovo
peggiorando per il fatto che la forza della valuta cinese e
il basso costo del capitale hanno spinto le imprese verso
massicci investimenti nell’industria pesante fortemente
energivora, come l’industria dell’acciaio, dell’alluminio,
dei prodotti chimici, del cemento e altro. Nel frattempo,
anche se le leggi ambientali sono almeno teoricamente
severe in Cina, in pratica non vengono applicate. Il PIL
della Cina è cresciuto più rapidamente di quanto la
maggior parte degli economisti aveva previsto, ma è
cresciuta contemporaneamente anche la domanda del
Paese di petrolio, carbone e di altre fonti di energia. Le
previsioni avevano annunciato che la Cina sarebbe
diventata il più grande produttore di gas serra entro il
2010 circa, ma in realtà sono state battute con tre anni di
anticipo. Allo stesso tempo, le città cinesi sono diventate
famose per la loro aria inquinata e per i livelli di inquinamento generati dalle acque di fogna o, peggio ancora,
da rifiuti industriali spesso tossici. Nel 2005 l'esplosione
in un impianto chimico ha causato lo sversamento di
enormi quantità di benzene nel fiume Songhua vicino ad
Harbin, nel nord-est della Cina, privando milioni di case
di acqua potabile e provocando tensioni internazionali
dovute al fatto che il fiume scorre sul confine tra Cina e
Russia.
Anche l'India sta registrando elevati inquinamenti atmosferici nelle città. Nel Paese si riscontrano inoltre casi tra
i più gravi al mondo di esposizione umana a rifiuti
tossici, in particolare in prossimità delle miniere di
metalli come il cromo. Il numero di auto di proprietà è in
aumento nelle aree urbane, proprio come è accaduto in
Cina un decennio fa, e questo fenomeno sta peggiorando
l'inquinamento dell’aria. La maggior parte dei problemi
ambientali in India sono, tuttavia, più strutturali a partire
dalla mancanza di un adeguato trattamento delle acque
reflue, di acqua pulita, di metodi moderni di riscaldamento domestico, così come dalla mancata applicazione
di controlli sulla sicurezza del lavoro e sugli standard
ambientali nelle miniere. Il fiume Yamuna che scorre
attraverso la capitale, Delhi, è un esempio lampante: a
causa dello scarico nel fiume di 3.595,75 milioni di litri
di acque reflue al giorno, il fiume stesso è praticamente
morto quando lascia la città. La crescita economica
dell’India sta cominciando ad assomigliare sempre più a
quella della Cina: l'incremento del PIL nel 2007 ha
raggiunto il 9,6% e la produzione manifatturiera è
cresciuta più rapidamente dei servizi. L’investimento di
capitali è aumentato drasticamente. In termini di reddito
e di sviluppo industriale, tuttavia, l'India è decisamente
indietro rispetto alla Cina: il suo PIL pro capite è pari
soltanto a un terzo di quello cinese; c’è quindi ancora
spazio per una industrializzazione intensiva con un
potenziale effetto inquinante.
L’ESPERIENZA DEL GIAPPONE
Ci sono quindi molte ragioni per essere pessimisti. Le
condizioni ambientali in Cina e in India sono tutt’altro
che buone, sia per la sicurezza e la salute dei cittadini dei
due Paesi sia per il futuro stato di salute del pianeta nel
suo complesso. Ma nel vicino nord-est asiatico c’è un
Paese che fornisce alcuni spunti di ottimismo.
É il Giappone. Durante il suo periodo di rapida crescita
economica, avvenuta negli anni '60 e paragonabile a
quello cinese, la situazione ambientale in Giappone era
appunto molto simile a quella della Cina oggi. I settori
dell’industria pesante fortemente inquinanti e ad alto
consumo energetico si svilupparono rapidamente.
A differenza della Cina di oggi, il Giappone nel 1960 non
aveva alcuna legislazione ambientale generale. Le sue
città, tra cui Tokyo, Osaka e Kita-Kyushu, divennero così
inquinate che era raro riuscire a vedere il sole. Il meraviglioso mare interno tra l'isola di Shikoku e il continente
di Honshu, dove si trovano le città di Osaka, Kobe e
Hiroshima, divenne terribilmente inquinato. Lo stesso
destino è toccato a laghi e fiumi. Inoltre come è noto, gli
scarichi di mercurio gettati in mare nella Minamata Bay
da una azienda giapponese, la Chisso Corporation, hanno
provocato terribili malattie, malformazioni e almeno
1.700 morti. Questi scarichi di mercurio sono continuati
Protezione dell'ambiente
per quasi un decennio, anche dopo l'accertamento delle
cause e dei danni (nel 1959). Altri rifiuti tossici, tra cui
il cadmio, hanno letteralmente avvelenato i cittadini
giapponesi. Nel corso degli anni ‘60, la protesta contro
l'inquinamento e altri rischi ambientali è cresciuta notevolmente. Nel solo 1971 ci sono state 76.000 proteste
e petizioni. Di conseguenza il governo giapponese si è
visto costretto a introdurre, nei primi anni ‘70, leggi
ambientali e a farle rispettare con rigore. Ciò ha coinciso
con due altri eventi che hanno contribuito a ridurre
l'inquinamento e il consumo di energia: la rivalutazione
dello yen nel 1971, quando l'America ha abbandonato
il sistema di cambi fissi in vigore dal 1945, e la crisi
petrolifera del 1973, quando l’embargo petrolifero arabo
ha determinato un drammatico aumento dei prezzi del
petrolio e un aumento dell’inflazione in tutto il mondo.
L’industria giapponese è stata costretta da queste pressioni di costo e dalle nuove leggi ambientali a orientarsi
rapidamente e in modo massiccio verso tecnologie più
avanzate e verso prodotti e processi a minor consumo
di energia. L'era del motorino e dell’industria dell’acciaio
è stata sostituita dall’era del microchip e del video-registratore a cassette. Oggi nelle grandi città giapponesi il
cielo è azzurro tutte le volte in cui le condizioni atmosferiche lo permettono. L'acqua è pulita. I risultati conseguiti
dal Giappone nella bonifica dei rifiuti tossici sono meno
significativi, ma la situazione è certamente migliorata.
Le preoccupazioni ambientali in Giappone non riguardano più l’inquinamento ma l’estetica del paesaggio
legata alla perdita di aree boschive o al degrado delle
coste. L’industria giapponese è la più efficiente al mondo
in termini di consumi di energia.
CINA E INDIA SEGUIRANNO L’ESEMPIO GIAPPONESE?
Parlando di Cina e India ci si chiede normalmente se il
mondo sarebbe in grado di farcela se cinesi e indiani
adottassero lo stile di vita americano. Ma la domanda
dovrebbe essere un’altra: il mondo ce la farebbe se questi
Paesi adottassero l'attuale stile di vita giapponese? La
risposta, naturalmente, è che il mondo potrebbe far fronte
a questa prospettiva a condizione di un adattamento
Gli orientamenti delle politiche
ambientali nel nord-est asiatico
mettono in evidenza l'esempio
di un Paese che offre spunti
di ottimismo: il Giappone
generalizzato delle diverse aree geo-politiche al nuovo
andamento dei costi e alle nuove tecnologie. Ma bisogna
porsi un'altra domanda: la Cina e l'India, di fatto, seguiranno il Giappone?
Non c'è modo di saperlo con sicurezza, poichè non siamo
in grado di predire il futuro. Ma almeno per la Cina, ci
sono segnali incoraggianti, che il modello giapponese
possa effettivamente essere seguito. Lo stato attuale
dell'economia cinese, nel primo decennio del ventunesimo secolo, è sorprendentemente simile alla situazione
del Giappone della fine degli anni Sessanta e dei primi
anni Settanta.
Come il Giappone, la Cina ha favorito recentemente
l’espansione dell'industria pesante incoraggiata dal basso
costo del capitale e da una moneta stabile, generando
uno straordinario surplus commerciale. Tuttavia sta
cominciando a soffrire per l’aumento dell’inflazione
causato dai prezzi elevati del petrolio e dei prodotti
alimentari e anche dall'incremento del costo del lavoro.
Contemporaneamente, la protesta sui rischi ambientali si
sta diffondendo in molte città cinesi. Inoltre, il governo
cinese non intende vedere la sua immagine internazionale danneggiata da preoccupazione ambientali.
La politica del governo cinese ha iniziato lentamente a
dare priorità ai controlli ambientali e a una più rapida
rivalutazione della moneta cinese. Questo cambiamento è
appena iniziato, ma è vero d’altro canto che anche la
trasformazione della struttura industriale e della politica
ambientale del Giappone negli anni Settanta ha richiesto
tempo.
L’India, paradossalmente, potrebbe rivelarsi più lenta nel
rispondere alle questioni ambientali pur rappresentando
un contesto politico democratico. Ci si potrebbe infatti
aspettare da uno stato democratico una risposta più
veloce alla protesta dei cittadini. Ma in India, nei prossimi anni, la spinta democratica tenderà a concentrarsi
più sulla riduzione della povertà, sulla crescita economica
e sullo sviluppo delle infrastrutture che non sulla qualità
dell’ambiente. Da questo punto di vista, come nel suo
sviluppo economico, l'India è circa 10-15 anni indietro
rispetto alla Cina. „
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