Il Progetto persona-La buona cura

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Il Progetto persona-La buona cura
Anno XXXVII
Dicembre 2016
211
Rivista trimestrale di politica sociosanitaria
Le Case della Salute
Il Progetto persona - La buona cura
Contributi originali
La qualità delle cure nelle RSA
Il familiare, una risorsa per la relazione
Presentazione
Le Case della Salute: Innovazione e buone pratiche
Dall’awarness all’emporwement di comunità
Il nuovo sistema di welfare in Lombardia
La riconversione in Presidio territoriale
Un’assistenza territoriale innovativa
La Casa della Salute al centro della rete territoriale
I Presidi territoriali in Puglia tra presente e futuro
L’integrazione attraverso le strutture sanitarie intermedie
Dall’Ospedale di comunità alla telemedicina
Deframmentazione del sistema curante e nuovi paradigmi
Monografia
211 Rivista trimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. Gambassini
FORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria
Anno XXXVII – dicembre 2016
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n. 2582 del 17/05/1977
Questo numero è stato chiuso in
redazione il 30 dicembre 2016
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29/08/2001)
Pacini
Editore
Sommario
969
Il Progetto persona - La buona cura
Laura Belloni, Annalena Ciolli, Maria Ditta, Daniela Lucà,
Patrizia Niddomi, Lorenzo Lucidi, Emanuele Baroni
976
La qualità delle cure nelle RSA
Tommaso Bellandi, Elena Beleffi
986
Il familiare, una risorsa per la relazione
Francesca Ierardi, Manlio Matera, Antonella Pizzimenti, Laura Salmoiraghi
Monografia
Le Case della Salute
a cura di Valeria Rappini
991
Presentazione
Valeria Rappini
992
Le Case della Salute: Innovazione e buone pratiche
Gavino Maciocco, Antonio Brambilla
997
Dall’awarness all’emporwement di comunità
Giovanni Coglitore, Rosa Costantino, Vanessa Vivoli
1002 Il nuovo sistema di welfare in Lombardia
Cristina Sarchi
1007 La riconversione in Presidio territoriale
Chiara Serpieri, Sara Marchisio
1012 Un’assistenza territoriale innovativa
Massimo Carboni, Maurizio Rachele
1017 La Casa della Salute al centro della rete territoriale
Laura Figorilli, Marilina Colombo
1023 I Presidi territoriali in Puglia tra presente e futuro
Giovanni Gorgoni, Ottavio Narracci, Maria Micaela Abbinante
1028 L’integrazione attraverso le strutture sanitarie intermedie
Maria Micaela Abbinante, Luigi Lanzolla
1034 Dall’Ospedale di comunità alla telemedicina
Maria Micaela Abbinante, Francesco Galasso
1038 Deframmentazione del sistema curante e nuovi paradigmi
Maurizio Rocca, Giuseppe Perri, Mario Staglianò, Rocco Cilurzo, Giuliana
Orlando
Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
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Il Progetto persona La buona cura
Verso un’opportunità di integrazione
e di senso per i servizi sociosanitari
Laura Belloni1, Annalena Ciolli2, Maria Ditta3, Daniela Lucà4,
Patrizia Niddomi3, Lorenzo Lucidi4, Emanuele Baroni3
Psichiatra, responsabile
Medico, psicoterapeuta,
Psicologo, psicoterapeuta,
4
Psicologo,
1
2
3
Centro
Centro
Centro
Centro
regionale
regionale
regionale
regionale
criticità
criticità
criticità
criticità
relazionali,
relazionali,
relazionali,
relazionali,
A.O.U.
A.O.U.
A.O.U.
A.O.U.
Careggi
Careggi
Careggi
Careggi
Abstract
La cura della salute è un dovere innanzitutto della società civile troppo spesso delegato alle strutture istituzionali cui invece
dovrebbe spettare essenzialmente un ruolo di supporto. Se consideriamo, ad esempio, l’incremento delle richieste di intervento in tema di salute legato al progressivo invecchiamento della popolazione, notiamo che a fronte di un fenomeno a
cui concorrono molti fattori solo in parte sanitari, negli ultimi anni la risposta si è concentrata sull’intervento sanitario, ed in
particolare sanitario-ospedaliero.
La Regione Toscana, su impulso del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali (CRRCR) e del Centro gestione
rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC), ha dato avvio con la DGR. 1016 del 26/10/2015 al “Progetto
persona – La buona cura”, coinvolgendo inoltre l’Agenzia regionale di sanità della Toscana (ARS), l’Associazione italiana malattia di Alzheimer (AIMA) e il Laboratorio management e sanità dell’Istituto di Management della Scuola superiore
Sant’Anna (MeS).
Il presente contributo ha l’obiettivo di presentare una prima disamina di quanto osservato ed elaborato nel “Progetto persona
– La buona cura” per quanto di competenza del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali.
Premessa e obiettivi
La cura della salute è un dovere innanzitutto della società civile troppo spesso delegato alle strutture istituzionali
cui invece dovrebbe spettare essenzialmente un ruolo di
supporto. In questi termini i servizi sociosanitari avrebbero il compito di spostarsi da una lettura sanitarizzata
dei bisogni, sempre più difficilmente sostenibile, a quella
di prevenzione e di intervento di sostegno e tutela alle reti
organizzative, culturali e relazionali. Tale inquadramento conferisce ampio significato alla multidimensionalità
del benessere inteso non solo come spazio clinico, bensì
come integrazione dei diversi mondi vitali quotidiani. La
crescente espressione di bisogni di salute da parte delle
comunità rende necessario un cambiamento culturale radicale che coinvolga i sistemi di cura e tutta la società.
L’urgenza di questo cambiamento è particolarmente evidente in alcuni fenomeni caratteristici. Se consideriamo,
ad esempio, l’incremento delle richieste di intervento in
tema di salute legato al progressivo invecchiamento della
popolazione, notiamo che a fronte di un fenomeno a cui
concorrono molti fattori solo in parte sanitari, negli ultimi
anni la risposta si è concentrata sull’intervento sanitario,
ed in particolare sanitario-ospedaliero. La mancanza di
una adeguata analisi della domanda da parte dei sistemi
e la tendenza a fornire risposte automatiche ed immediate, hanno inoltre evidenziato una fragilità rispetto all’integrazione tra i diversi servizi e la loro organizzazione in
una rete efficace ed efficiente.
Le strutture sociosanitarie in generale e le Residenze sanitarie assistenziali in particolare, per le loro caratteristiche
970
Assistenza sociosanitaria
organizzative, strutturali, storiche e per la funzione di delega che si trovano a sostenere, rappresentano ad oggi
un panorama molto variegato e alquanto disomogeneo
sul territorio regionale, con ripercussioni sulla qualità dei
servizi offerti e il benessere di professionisti, residenti e
loro familiari.
Con l’obiettivo di consolidare la sostanziale riforma
avviata in tal senso mediante la legge di riordino (L.R.
84/2015), ed identificando nello specifico delle Residenze sanitarie assistenziali un elemento chiave del sistema
sociosanitario regionale, quali centri di competenza per
la risposta residenziale nella non autosufficienza, la Regione Toscana, su impulso del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali (CRRCR) e del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC),
ha dato avvio con la DGR. 1016 del 26/10/2015 al
“Progetto persona – La buona cura”.
Il Progetto, che ha visto fin dalle prime fasi il coinvolgimento e la partecipazione dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana (ARS), dell’Associazione italiana malattia di Alzheimer (AIMA) e del Laboratorio management e
sanità dell’Istituto di management della Scuola Superiore
Sant’Anna (MeS) si è posto le seguenti finalità:
- Osservare il contesto operativo su temi
prioritari per il benessere organizzativo e la
qualità dell’assistenza, la qualità delle relazioni
tra residenti ed operatori e all’interno del
team degli operatori, le condizioni di lavoro,
eventualmente indicative di disagio;
- Supportare la Regione nella programmazione degli
obiettivi di qualità e sicurezza dei servizi sociosanitari, sulla base dei risultati delle visite;
- Svolgere attività di sensibilizzazione del macro e del
micro-sistema in merito ai temi del benessere organizzativo.
Il presente contributo ha l’obiettivo di presentare una prima disamina di quanto osservato ed elaborato nel “Progetto Persona – La Buona Cura” per quanto di competenza del Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità
Relazionali.
Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità
Relazionali (CRRCR)
Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali, istituito con delibera n° 356 del 21 Maggio 2007
ed inserito tra le strutture di Governo Clinico (Art. 40,
Legge Regionale n. 84 del 28 Dicembre 2015), è stato
N. 211 - 2016
indentificato dalla Regione Toscana quale strumento per
favorire la costruzione, la condivisione e la diffusione di
buone pratiche e azioni di miglioramento della qualità
dei Servizi e del benessere lavorativo all’interno delle
organizzazioni sanitarie regionali. Tale organismo, con
funzione di “coordinatore degli interventi sulle tematiche
riguardanti le criticità relazionali e la salute organizzativa” (Ibid.) è composto da medici psichiatri, psicologi e
psicoterapeuti con specifica formazione.
La mission del CRRCR è promuovere nelle aziende sanitarie e sociosanitarie l’attenzione e la cura della dimensione psicologico-relazionale mantenendo come vertice
osservativo i rapporti utente – operatore – gruppo di lavoro – organizzazione. Obiettivi principali delle attività
promosse dal CRRCR sono:
- promuovere la cultura delle competenze relazionali e
psicologiche nelle organizzazioni sanitarie e sociosanitarie
- sostenere la capacità/resilienza dei sistemi di rispondere ai cambiamenti organizzativi
- sviluppare le competenze psicologiche e relazionali
dei gruppi di lavoro
- favorire lo sviluppo e il mantenimento di condizioni
che favoriscono il benessere degli operatori e dei sistemi organizzativi
- migliorare i processi relazionali e comunicativi nei sistemi sanitari e sociosanitari
Il “Progetto Persona – La Buona Cura”, fortemente voluto
dal CRRCR fin dalle prime fasi progettuali, anche sulla
scorta della consulenza offerta in emergenza a seguito di
criticità emerse in strutture sociosanitarie che già in precedenza avevano richiesto un intervento del Centro, ha
avuto l’obiettivo specifico di approfondire le percezioni
dei professionisti e dei gruppi di lavoro in servizio presso
le RSA in merito alle seguenti dimensioni:
- salute organizzativa
- qualità dell’assistenza offerta
- qualità delle relazioni tra residenti e operatori
- qualità delle relazioni all’interno del team degli operatori
- condizioni di lavoro eventualmente indicative di disagio
Strumenti e metodi
Il progetto ha coinvolto 5 RSA pubbliche presenti sul Territorio della Regione Toscana, selezionate sulla base della collocazione di almeno una struttura in ciascuna delle tre Aree
Vaste. A seguito di una comunicazione formale inviata a
N. 211 - 2016
ciascun ente gestore e alla rispettiva controparte istituzionale delle strutture coinvolte da parte del settore regionale
competente, il CRRCR ha concordato con i direttori responsabili un primo incontro volto a presentare l’iniziativa progettuale ed illustrarne le fasi operative. Successivamente
sono state calendarizzate le visite in struttura condotte da
parte di un team multidisciplinare a composizione variabile, con la presenza di professionisti del CRRCR, del Centro
GRC, dell’ARS e rappresentanti dell’AIMA. La metodologia
utilizzata ha visto l’integrazione di un approccio sia qualitativo che quantitativo all’analisi del materiale raccolto.
Nell’intento di perseguire un modello integrativo che potesse cogliere la complessità del fenomeno in analisi e scongiurare un approccio riduzionistico alle strutture, il CRRCR,
assieme all’osservazione strutturata utilizzata dal Centro
GRC e agli incontri con i familiari dei residenti condotti da
AIMA, ha utilizzato i seguenti strumenti:
1. Intervista individuale semi-strutturata costruita ad hoc, volta ad approfondire la percezione
degli intervistati relativamente ad alcune dimensioni:
–– Organizzazione della struttura e del lavoro;
–– Descrizione di avvenimenti e cambiamenti relativi
alla struttura e reazione dei professionisti;
–– Difficoltà sperimentate e strategie attuate per il loro
superamento;
–– Qualità delle relazioni interne ed esterne;
–– Caratteristiche distintive della struttura e criticità
percepite;
–– Obiettivi di sviluppo, raggiungibilità degli stessi e
leve per il loro conseguimento;
–– Strategie e capacità di resilienza.
Tale strumento è stato messo a punto per lo specifico contesto delle RSA sulla base delle principali teorie di stampo dinamico e sistemico di analisi clinica
delle organizzazioni (Bion, W.R., 1961; Carli, R. e
Paniccia, M.R., 1981; Kets De Vries, M.F.R., 1989,
1991; Perini, M., 2007, 2013; Quaglino, G., 2004).
Il tempo di somministrazione di ciascuna intervista è
stato di circa un’ora e mezza. Sono state somministrate individualmente da un professionista del CRRCR e
contestualmente trascritte su computer da un secondo
operatore. Le interviste sono state proposte ai ruoli apicali degli enti gestori e delle strutture, oltreché a figure
specifiche, come ad esempio coordinatori e referenti,
che per ruolo anche non formale o funzione, hanno un
punto di vista chiave per l’operatività della struttura. In
totale sono state raccolte 22 interviste per circa 170
pagine formato A4 complessive.
Assistenza sociosanitaria
971
2. Focus Group. Ciascun incontro di gruppo (fino a
due per ogni struttura) della durata di circa 2 ore, è
stato volto ad approfondire in modo più esteso ed in
forma collettiva (circa 15 partecipanti ad incontro) alcuni aspetti trattati anche nelle interviste, quali:
–– Benessere dei professionisti;
–– Qualità percepita delle relazioni nel gruppo di lavoro e fra operatori e ospiti;
–– Criticità riscontrate;
–– Elementi di resilienza percepiti.
Tale strumento è stato pensato sulla base delle teorie di
analisi organizzativa che vedono nel gruppo di lavoro
l’unità minima di analisi delle dinamiche relazionali ed
il contenitore nel quale vengono depositate le parti scisse e non mentalizzate del contesto organizzativo nel
suo insieme (Comelli, F., 2009; Correale, A., 1991).
Per opportunità di spazio e trattazione, rimandiamo ad
altre pubblicazioni per un approfondimento (ad es: Calamai, M. et al, 2015). La partecipazione a tali focus
group è stata lasciata libera a tutto il personale operante nelle strutture anche se con preferenza a quello coinvolto nell’assistenza, e gli incontri sono stati organizzati
tenendo conto dell’orario dei turni e dell’operatività
interna. Ciascun incontro è stato condotto da tre professionisti del team, due con ruolo di co-conduzione, uno
con ruolo di trascrizione dei contenuti. Ad ogni incontro
è seguito un momento di confronto tra i conduttori per la
stesura di un report finale. In totale sono stati condotti 7
focus group per un totale di 74 partecipanti.
3. Multidimensional
Organizational
Health
Questionnaire (MOHQ) (Avallone e Paplomatas,
2005), che rileva la percezione degli operatori in
merito alla salute organizzativa rispetto alle seguenti
dimensioni:
–– Comfort
–– Percezione dell’efficienza
–– Percezione dei dirigenti
–– Percezione dei colleghi
–– Percezione dell’equità organizzativa
–– Sicurezza
–– Prevenzione
–– Apertura all’innovazione
–– Indicatori positivi
–– Soddisfazione
–– Percezione del conflitto
–– Percezione dello stress
–– Fatica
–– Isolamento
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Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
–– Disturbi psicosomatici
–– Indicatori negativi
Il Questionario è stato proposto a tutti i dipendenti
delle strutture prese in esame, tramite i loro referenti,
garantendone l’anonimato. In totale sono stati raccolti
138 questionari, con una percentuale di risposta complessiva pari a circa il 77%.
Riportiamo nella seguente tabella (Tabella 1) una sintesi
degli strumenti e dei partecipanti:
Risultati
Riportiamo qui di seguito i risultati aggregati del materiale raccolto tramite le interviste, i gruppi di approfondimento ed il questionario sulla salute organizzativa che,
assieme alle osservazioni strutturate ed agli incontri con
i familiari, hanno portato all’elaborazione di alcune considerazioni conclusive, riservando a future pubblicazioni
una trattazione maggiormente approfondita del metodo
di indagine e degli strumenti utilizzati.
Area della qualità dell’assistenza
Trasversalmente alle varie strutture viene riportato un generale cambiamento della tipologia dei residenti, legato
all’aumento dell’età media, alle comorbilità e alla gravità
clinica. Tale aspetto ha comportato nel tempo un progressivo aumento dei carichi di lavoro che, unitamente alla
contrazione delle risorse ed alla conseguente riduzione
del tempo dedicato alla relazione con gli assistiti, ha
condotto alla prevalente percezione degli aspetti usuranti del lavoro assistenziale, in assenza di adeguati fattori protettivi. Tali considerazioni appaiono concordi con
quanto rilevato anche dal questionario MOHQ (Grafico
1) nei fattori di Fatica (m=1,93), Percezione dello Stress
(m=1,98) e Indicatori Negativi (m=2,73). La tipologia
delle attività viene percepita come sovente sbilanciata sul
versante sanitario, dove il bisogno prevalente degli operatori è quello di sicurezza, che talora sfocia nel bisogno
di controllo (fattore della Sicurezza (m=3,28) percepito
come positivo) con conseguente appiattimento della lettura dei desideri dell’anziano e dei suoi peculiari bisogni.
Tabella 1
Attività
Descrizione
Partecipanti RSA
Incontro preliminare
in loco
In quest’incontro viene illustrato il progetto e le attività che
verranno svolte. Vengono inoltre fissate le date dei vari incontri.
Viene presentata la struttura, il suo assetto organizzativo e la
sua storia.
Referente interno del Progetto
Attività di
comunicazione
telefonica
Comunicazione alla struttura delle finalità progettuali e
modalità operative previste con coinvolgimento di tutto il
personale
Referente dell’RSA
Interviste
Intervista alle figure chiave della struttura (che hanno un punto
di vista privilegiato) scelte dal Referente dell’RSA, di durata di
1h e 30 min.
Presidente Ente gestore,
Direttore RSA, Coordinatore,
Referenti di settore, Infermieri,
Educatori
Somministrazione
questionario
Distribuzione, effettuata dal Referente di Struttura, del
questionario MOHQ sul benessere organizzativo e sua
compilazione a cura dei professionisti della struttura
Personale della struttura
Focus Group
Incontri di gruppo (massimo 15 partecipanti scelti in base alla
disponibilità) su argomenti quali: il benessere dei professionisti,
le criticità percepite, gli elementi di resilienza.
Personale della struttura su
partecipazione volontaria
A seconda del numero dei
partecipanti sono state previste
più edizioni per RSA
Osservazione
strutturata
Attività di osservazione strutturata sul campo, con copertura di
orario corrispondente ai turni diurni del personale (07.00 –
21.00)
Personale della struttura
dedicato all’assistenza
Incontro familiari
Incontro di confronto con i familiari degli ospiti su temi inerenti
le percezioni sul funzionamento del servizio
Familiari dei residenti
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Negli operatori, ciò non di meno, la consapevolezza di
tali aspetti è spesso mantenuta, e la dissonanza cognitiva
che ne può derivare è solo in parte risolta, attribuendo
la responsabilità ad intrinseci limiti organizzativi che si
frappongono tra quanto si ritiene possibile fare e quanto si ritiene andrebbe fatto. In tal senso appare inoltre
concorde la percezione riportata nel fattore dei Disturbi
Psicosomatici (m=2,96) che emergono come sintomo ed
elemento non integrato ma somatizzato.
Per quanto i fattori di Soddisfazione (m=3,21) e Indicatori Positivi (m=3,06) indichino una percezione connotata
positivamente delle strutture nelle quali si presta servizio,
sembrano fare da contraltare il significato percepito del
ruolo dell’anziano e dell’RSA, spesso vissuta come luogo di confino, nella quale operatori e residenti riportano spesso di condividere un ruolo residuale, marginale
e sclerotizzato. Tali aspetti sembrano peraltro confermati
dai fattori di Isolamento (m=2,40) e Apertura all’Innovazione (m=2,92) percepiti come critici. Viene quindi riportata come disfunzionale una generale imitazione del modello ospedaliero, con insufficiente personalizzazione di
cure e ambienti, scarsa integrazione degli aspetti sanitari
e sociali e carente riconoscimento di alcune professionalità maggiormente deputate alla soddisfazione di bisogni
di relazione ed interazione quali quelli dell’educatore e
dell’animatore.
Area della qualità delle relazioni
Il tempo dedicato alla relazione è dovunque ed adeguatamente percepito come tempo di cura ma è ritenuto troppo scarso anche a causa del progressivo aumento degli
adempimenti burocratici. In tal senso, la Percezione di
Equità Organizzativa (m=2,43) sembra confermare l’impossibilità delle strutture organizzative a riconoscere e ad
accogliere efficacemente i bisogni autentici di operatori
e residenti. Le relazioni fra operatori nei gruppi di lavoro, pertanto, vengono espresse come fattori critici sia a
causa del mancato riconoscimento e valorizzazione di
alcune professionalità e ruoli, sia per la frammentazione e le conflittualità sovente non consapevoli, ma agite.
Tale percezione sembra suffragata dal fattore Percezione
del Conflitto (m=2,75). Sebbene la Percezione dei Colleghi (m=3,25) non rappresenti un fattore ritenuto critico,
l’analisi del materiale di interviste e focus group sembra
suggerire che talune categorie professionali, come ad
esempio gli OSS o alcune posizioni apicali, vengano ritenute responsabili di varie problematiche dell’operatività
quotidiana. Proprio i ruoli organizzativi vengono spesso
utilizzati come difesa dal mancato riconoscimento della
Assistenza sociosanitaria
973
propria professionalità e competenza e sembrano rappresentare un ostacolo ad un’autentica ed efficace integrazione dei gruppi di lavoro. Questo sembra portare ad
una identità istituzionale non integrata, ferita, anche se
per certi aspetti conseguita.
Proprio il management riporta talvolta la necessità di percorsi formativi e/o professionali specifici per poter ricoprire tali ruoli di responsabilità, questo in accordo con la
percezione di non essere sempre in possesso di adeguati
strumenti per fronteggiare le necessità.
I rapporti con i familiari sono riferiti come generalmente
improntati alla collaborazione, ma polarizzati su aspetti difensivi in ragione dell’ambivalenza e di altri aspetti
psicologici spesso non consapevoli che si ripercuotono
su queste strutture. Analogamente il rapporto col volontariato, quando presente, viene riferito come positivo ma
talora poco funzionale per mancanza di formazione adeguata dei volontari stessi che spesso, anziché una risorsa,
possono rivelarsi un fattore confusivo per l’organizzazione del lavoro dei professionisti. Infine anche i rapporti
con le istituzioni sono caratterizzati dalla percezione di
scarsa conoscenza della realtà operativa delle strutture,
di scarsa valorizzazione e riconoscimento dei professionisti delle RSA da parte dei sistemi più ampi, e del primato
degli aspetti economico/organizzativi su quelli di cura.
Area delle criticità
L’identità percepita della RSA è quindi caratterizzata dalla mancata o incompleta integrazione tra le sue costitutive
componenti sociale e sanitaria. Da parte dei professionisti si ha spesso la percezione di lavorare sul contingente
con un aumento della Percezione dello Stress (m=1,98)
e Fatica (m=1,93) e sembra mancare una progettualità
condivisa e una visione a lungo termine (Apertura all’Innovazione (m=2,92).
Nel dettaglio vengono poi riferite difficoltà organizzative quali un aumentato numero di ricoveri impropri nelle
limitrofe strutture ospedaliere, legati alla ridotta presenza, quando non all’assenza, dell’assistenza infermieristica notturna, con ricorso al 118 non ovviabile in caso di
sola presenza notturna di OSS. Negli scambi col territorio
emergono come fattori di criticità sia gli invii da parte
dell’Unità di Valutazione Multiprofessionale (UVM), che
spesso vengono riferiti come impropri e/o intempestivi,
sia l’ambito organizzativo e gestionale/logistico caratterizzato dalla mancanza di figure intermedie di riferimento
o coordinamento, dalle difficoltà per l’approvvigionamento dei medicinali e in generale da una rete poco strutturata ed integrata con i servizi territoriali. Vengono inoltre
974
Assistenza sociosanitaria
riferite come attività essenziali, ma non implementate a
sistema, le funzioni psicologiche e le attività professionali
deputate alla formazione, supervisione, sostegno e consulenza ai gruppi e all’organizzazione.
Area dei punti di forza
In tale quadro, i fattori del questionario quali Soddisfazione (m=3,21) e Indicatori positivi (m=3,06) sembrano
rendere ragione di un generale e radicato senso di appartenenza al contesto, riferito come storia e radicamento
delle strutture nel territorio, nonché alla diffusa percezione
dell’importanza del proprio ruolo professionale all’interno dell’istituzione stessa e della società. La consapevolezza dei professionisti rispetto ai propri bisogni formativi e
di sostegno, e contemporaneamente l’espresso desiderio
di miglioramento e valorizzazione, sembrano emergere
come caratteristiche distintive del sistema RSA come centro di competenza professionale, risposta al bisogno di
assistenza residenziale nella non autosufficienza e prospettiva occupazionale.
A fronte di ciò, vengono altresì riconosciuti impegno e
motivazione sia da parte delle figure direttive nel far
fronte ai problemi gestionali, come confermato dal fattore Percezione dei Dirigenti (m=3,03), sia da parte degli
operatori nel far fronte ai bisogni degli assistiti nonostante le difficoltà, come confermato dal fattore Percezione
dell’Efficienza (m=3,18).
N. 211 - 2016
Discussioni e prospettive
Le strutture sociosanitarie ed in particolare le RSA, sono
realtà molto variegate e dislocate su tutto il territorio regionale. Le politiche sociosanitarie promosse in questi anni
dalla Regione Toscana hanno progressivamente avvicinato le attività sociali a quelle sanitarie, sia per rispondere
in modo olistico ai bisogni complessi della persona, sia
allo scopo di razionalizzare l’offerta dei servizi cercando
di garantire livelli adeguati di qualità dell’assistenza. Tale
complessità è di fatto costitutiva delle RSA come sistema
in rapporto ad altri sistemi, in uno scambio continuo e
reciproco di fattori identitari. Ciascuno dei sottosistemi influenza ed è influenzato dagli altri e come sistemi aperti,
ma non completamente permeabili, sono in continua relazione ed evoluzione (Figura 1).
Il percorso di innovazione dei servizi sociosanitari, reso
necessario ed improcrastinabile dall’esplosione, negli
ultimi decenni, dei bisogni di cura e assistenza per le
malattie croniche, correlate con l’età, richiede un parallelo e altrettanto imprescindibile percorso di innovazione
culturale, che investa diverse dimensioni, oltre a quella
prettamente medico – assistenziale, a partire da quella
psicologica, a quella sociale a quella antropologica. In
questo percorso è essenziale muoversi con una visione
trasversale di sistema, che correli micro e macro, e un’impostazione longitudinale strategica. Appare essenziale,
pertanto, ridefinire le relazioni tra rete formale e rete informale, le relazioni interne a ciascuna rete, le relazioni
Grafico 1. La percezione della salute organizzativa: risultati del questionario MOHQ
N. 211 - 2016
Assistenza sociosanitaria
975
Fig. 1.
che concorrono al benessere delle organizzazioni e a
quello delle persone che le costituiscono.
In questo quadro, l’opportunità offerta dal “Progetto Persona – La Buona Cura” è di aver dato avvio ad un nuovo
modo di cercare di comprendere la complessità del sistema RSA, integrando professionalità e competenze diverse, a partire dal gruppo di lavoro che compone il team
multidisciplinare responsabile del progetto. Nella fase
descritta in questo lavoro, il progetto ha cercato di identificare e dare significato alle domande di formazione,
supporto e riorganizzazione sulle quali occorre costruire,
in una successiva fase, risposte appropriate.
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Quaglino G.P. (2004). La vita organizzativa. Difese, collusioni e
ostilità nelle relazioni di lavoro. Milano: Cortina Raffaello.
976
Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
La qualità delle cure
nelle RSA
Tommaso Bellandi, Elena Beleffi
Centro GRC Regione Toscana
Abstract
Le strutture sociosanitarie, e in particolare le Residenze sanitarie assistenziali, rappresentano un panorama molto diversificato
dal punto di vista organizzativo, sia interno alle strutture che in relazione con l’esterno, che si ripercuote sui livelli di qualità
e di sicurezza dei servizi di assistenza alla persona che risultano essere disomogenei sul territorio toscano.
Per poter avviare percorsi di cambiamento di tipo sistemico, tenendo anche conto che quella che stiamo attraversando è una
fase di inevitabile e auspicata trasformazione e riorganizzazione del sistema sociosanitario in Toscana, è necessario conoscere la realtà organizzativa, le effettive risorse umane, tecnologiche e organizzative presenti e le criticità che maggiormente
si presentano così da effettuare le scelte più adeguate per rispondere ai bisogni delle persone e delle famiglie che vivono
l’esperienza della residenza in RSA.
Con queste premesse, il Progetto Persona-la buona cura si è posto tra i suoi obiettivi, attraverso la collaborazione del Centro
gestione rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC), la conoscenza delle criticità e delle buone prassi in essere
nelle strutture sociosanitarie al fine della promozione della cultura della sicurezza e dell’imparare dall’errore, per introdurre
cambiamenti per il miglioramento continuo della qualità delle cure.
Il Progetto ha previsto una fase preliminare di presentazione dell’iniziativa ai responsabili delle 5 strutture individuate dalla Regione Toscana così da condividere con loro
le finalità e la metodologia delle visite.
Nel breve periodo è seguita la programmazione delle
visite e quindi la loro successiva preparazione e realizzazione da parte di team multidisciplinari a composizione
variabile con la presenza di operatori del centro GRC, del
Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali,
dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, rappresentanti dell’Associazione italiana malattia di Alzheimer.
Il programma di ogni singola visita è stato definito per osservare la realtà delle RSA da diversi punti di vista: quello
dei responsabili e degli operatori, quello dei familiari dei
residenti e quello dei ricercatori del gruppo di lavoro. Pertanto sono stati condotti “focus group” e interviste con gli
operatori volti a rilevare informazioni relative alla qualità delle relazioni e del benessere organizzativo, incontri
di gruppo con i familiari dei residenti nelle strutture per
raccogliere ed elaborare le storie di vita delle persone
assistite, osservazioni strutturate sul campo nelle due aree
complementari sanitaria e sociale per comprendere le cri-
ticità ed i punti di forza nella qualità e sicurezza delle
attività quotidiane.
In questo articolo presentiamo la parte relativa al metodo
ed ai risultati ottenuti con le osservazioni strutturate, che
hanno contributo all’elaborazione di alcune considerazioni conclusive grazie al confronto con i risultati delle
indagini con gli operatori ed i familiari. Il metodo dell’osservazione etnografica fa parte della ricerca qualitativa,
è particolarmente indicato quando l’obiettivo dello studio
è la conoscenza approfondita della realtà oggetto di
osservazione, su cui non si dispone di una definizione
chiara e condivisa nella comunità e nella cultura di riferimento (Hutchins, 1995). Le RSA sono luoghi ai confini
delle comunità e delle organizzazioni dei servizi, esposte ai cambiamenti nelle persone assistite provocati dalla
transizione epidemiologica e sociale degli ultimi decenni,
nonché a pressioni di tipo politico ed economico dovute
alla limitazione delle risorse per l’assistenza, con una forte variabilità nelle prestazioni stando ai dati disponibili
e non completi (Nuti et al, 2016; ARS Toscana, 2014).
Inoltre, i concetti della qualità e della sicurezza dell’assistenza in RSA sono anch’essi definiti in modo talvolta
N. 211 - 2016
discordante (Castle et al, 2010; Mor et al, 2003; Mc
Hugh et al, 2016), a seconda dei punti di vista e degli
interessi in gioco, pertanto l’osservazione è un metodo
particolarmente interessante per approfondire una realtà
in movimento, restituendone una rappresentazione multidimensionale che non è sempre desumibile dai risultati
delle indagini di tipo quantitativo.
L’unità di analisi è stata una giornata di vita in RSA, suddivisa in due sessioni di osservazione pianificate un giorno
successivo all’altro: il primo giorno di visita gli osservatori hanno raccolto informazioni dal pranzo al momento in cui gli ospiti vengono messi a letto per la notte; il
secondo giorno di visita l’attività si è avviata all’inizio
del turno della mattina fino al pranzo. La scelta del periodo di osservazione è motivata dall’obiettivo di osservare e rappresentare lo sviluppo delle attività quotidiane
dal punto di vista delle persone assistite, letteralmente da
quando aprono a quando chiudono gli occhi, nonché nella prospettiva degli operatori sanitari, degli addetti all’assistenza e del personale impegnato nelle attività socioeducative, sia interno che convenzionato. Le osservazioni
si sono svolte con scopi conoscitivi e sono state previste
in modalità esplicita, non partecipante, da due operatori
per ciascuna sessione di lavoro, che hanno seguito con la
tecnica dello shadowing tutte le figure professionali impegnate in RSA, secondo un campionamento “a valanga”,
seguendo cioè il dispiegarsi delle attività guidati dalle unità di osservazione (Corbetta, 1999). In alcuni casi, sono
state condotte brevi interviste etnografiche con gli operatori e con le persone assistite, per meglio comprendere il
significato delle attività svolte e delle esperienze di vita in
RSA. Le sessioni sono state programmate in accordo con
i responsabili delle strutture e svolte nelle stesse giornate
delle interviste agli operatori condotte dal personale del
CRCR, in modo tale da potersi scambiare alcune riflessioni a caldo nell’arco delle stesse giornate di visita, aggiustando le osservazioni o le interviste successive su alcune
criticità particolarmente significative.
Per la conduzione delle osservazioni, è stato messo a
punto uno strumento originale, ispirato alla definizione
ed alle dimensioni della qualità indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2006), nonché
tenendo conto delle modalità con le quali si può misurare
la qualità dell’assistenza (Donabedian, 2003).
La griglia declina per ogni dimensione uno o più temi
specifici delle RSA, per ciascuno del quale sono stati individuati dei temi sensibilizzanti e delle unità di osserva-
Assistenza sociosanitaria
977
zione, suscettibili di adattamento/integrazione sulla base
degli elementi che durante la sperimentazione sarebbero
eventualmente emersi. I temi sensibilizzanti e le unità di
osservazione sono stati definiti secondo l’approccio sistemico dell’ergonomia e fattori umani (Carayon et al,
2006), tenendo conto dei problemi riconosciuti nell’ambito della letteratura esistente nella qualità delle strutture
sociosanitarie (Mc Hugh et al, 2016), di studi e progetti
condotti precedentemente in Toscana ed in Italia (ARS),
dei temi generalmente considerati nei requisiti di accreditamento delle strutture socio-sanitarie (ARS).
Gli osservatori sono gli autori del presente articolo, entrambi con formazione sui fattori umani e la sicurezza delle
cure, con esperienza nella conduzione di visite sul campo
in ambito sanitario. Le note osservazionali sono state raccolte in tempo reale mediante l’impiego di un applicazione
gratuita disponibile su smartphone per la scrittura, il salvataggio automatico e la sincronizzazione di note.
Le note grezze sono state successivamente riaggregate
sulla griglia per temi e dimensioni dello schema di osservazione, da parte degli stessi osservatori. Si è impiegato
un codice colore per classificare le note osservazionali
per ciascuna categoria di attori osservati. Sono stati quindi sottoposti ad una verifica formale di qualità del dato
e condivisi con gli altri componenti del gruppo di lavoro,
per una prima valutazione di coerenza e compatibilità
con quanto emerso dalle indagini con operatori e familiari. Infine, le griglie con i dati aggregati per tema sono
state sottoposte ad una revisione esperta, da parte di infermieri (6) ed assistenti sociali (2) che hanno espresso valutazioni relative alle criticità ed ai punti di forza presenti
in ciascuna delle strutture visitate nelle dimensioni oggetto
di osservazione.
Una prima elaborazione qualitativa del dato complessivo
è stata quindi presentata alla direzione regionale, mentre una restituzione specifica per struttura è stata discussa
nell’ambito di appositi incontri con i responsabili ed il
personale presso le sedi delle RSA visitate.
Risultati
Sono state condotte 8 sessioni di osservazione della durata media di 8 ore e 30 minuti da parte dei due osservatori, per un totale di 134 ore di osservazione. In due
occasioni, due colleghi del gruppo di lavoro impegnati
nelle interviste con gli operatori e familiari hanno partecipato ad una parte delle sessioni di osservazione. In totale
sono state raccolte 52 pagine (formato standard A4) di
note osservazionali.
978
Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
Griglia di osservazione
Dimensioni qualità
della assistenza
(OMS, 2006)
Sicurezza delle cure
delivering health care
which minimizes risks
and harm to service
users
Centralità della
persona assistita
delivering health
care which takes
into account the
preferences and
aspirations of
individual service
users and the cultures
of their communities
Temi in RSA
Unità di osservazione
Cadute
Modalità di movimentazione delle persone assistite (presenza ed impiego ausili,
etc.)
Orientamento alla mobilizzazione (quanto si evita l’allettamento)
Promozione attività fisica (anche minima)
Ordine percorsi interni/esterni (assenza ingombri soprattutto nei percorsi più
frequenti)
Qualità illuminazione
Stato di manutenzione e qualità pavimenti, tempistica e modalità di alert durante la
pulizia
Valutazione del rischio di caduta
Gestione delle conseguenze della caduta
Terapie
Stoccaggio farmaci e modalità di controllo delle dotazioni
Registrazione terapie (completezza e rintracciabilità atti terapeutici – vedi requisiti
STU)
Aggiornamento prescrizioni
Annotazione allergie
Consapevolezza delle caratteristiche dei farmaci e dell’obiettivo nel loro utilizzo
(soprattutto per malati cronici con problemi cardiorespiratori, diabete e salute
mentale)
Segnalazione eventi e reazione avverse
Infezioni
Consapevolezza delle modalità di prevenzione delle infezioni (cosa si fa qui per
prevenire le infezioni)
Collocazione bagni, disponibilità sapone e gel idroalcolico, frequenza lavaggio
delle mani e controllo compliance
Presenza strumenti di comunicazione per il lavaggio
Gestione terapie antibiotiche (si fa qualcosa per)
Gestione persona infetta (es. virus gastrointestinali, influenza, polmonite, che cosa si
fa quando…)
Ulcere da
pressione
Presenza ausili e procedure di movimentazione per i pazienti per la prevenzione
delle UdP
Valutazione del rischio e rilevazione fattori di rischio
Presenza presidi per la medicazione
Rischio nutrizionale
Rispetto dei
bisogni primari
(igiene ed
alimentazione)
Modalità di preparazione, distribuzione e consumo dei pasti
Pulizia e cura degli ambienti privati e di comunità interni ed esterni alla struttura
Attenzione alla stagionalità e varietà dei cibi, alle richieste delle persone assistite e
possibilità di prepararsi pasti autonomamente e/o con il supporto del personale
Attenzione ai
bisogni secondari
e terziari (cura
di sé, relazioni
sociali e
realizzazione
desideri)
Cura dell’abbigliamento e dell’aspetto della persona
Ampiezza e qualità spazi comuni e spazi privati
Possibilità di personalizzazione delle camere
Possibilità di personalizzare le attività dei pazienti attraverso il loro coinvolgimento
Dotazioni tecnologiche a supporto delle attività riabilitative e ludiche
Programma di attività ricreative e socio-educative interne ed esterne
Cura dei rapporti con i familiari
Cura dei rapporti con la comunità circostante (quartiere, scuola, associazionismo, ecc.)
Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
Accessibilità
delivering health
care that is timely,
geographically
reasonable, and
provided in a
setting where skills
and resources are
appropriate to
medical need;
979
Fisica
Comfort e qualità degli ambienti privati e comuni
Percorsi effettivamente accessibili per raggiungere tutte le aree interne ed esterne
alla struttura
Caratteristiche dei letti, delle poltrone, delle sedie e dei tavoli impiegati nelle attività
quotidiane
Caratteristiche degli ambienti dedicati alla pulizia (bagno) della persona
Cognitiva
Comunicazioni alle persone assistite chiare e comprensibili, sia verbali che scritte in
merito alle cure ed alle attività quotidiane
Supporto alla partecipazione anche per le persone più fragili o con autonomia
molto limitata
Attività finalizzate al mantenimento delle funzioni cognitive di base (memoria,
attenzione, ragionamento)
Organizzativa
Chiarezza dei ruoli e delle funzioni degli operatori
Conoscenza delle modalità di uscita/accesso alla struttura per le persone assistite
e per gli ospiti
rapporti con l’esterno
Equità
delivering health
care which does
not vary in quality
because of personal
characteristics
such as gender,
race, ethnicity,
geographical
location, or
socioeconomic status
Rispetto e
valorizzazione
delle differenze
culturali, religiose
e sociali
Atteggiamento nei confronti di ospiti stranieri o comunque non appartenenti alla
comunità locale
Rispetto delle pratiche religiose
Prevenzione discriminazioni nei confronti dei soggetti più deboli dal punto di vista
sociale e relazionale
Efficacia
delivering health care
that is adherent to an
evidence base and
results in improved
health outcomes
for individuals and
communities, based
on need
Adeguatezza ed
appropriatezza
delle cure rispetto
ai bisogni di
salute della
persona
Gestione emergenze in caso di deterioramento delle condizioni cliniche della
persona per malattia o infortunio
Collaborazione tra personale interno, medici di famiglia e specialisti dell’azienda
sanitaria
Partecipazione a programmi di gestione delle malattie croniche
Gestione transizioni in caso di ricoveri in ospedale e/o visite specialistiche e/o
periodi di rientro a casa.
Efficienza
delivering health care
in a manner which
maximizes resource
use and avoids waste;
Capacità di
impiego delle
risorse umane,
tecnologiche ed
organizzative
disponibili nella
struttura e nella
comunità
Quantità di lavoro osservata dedicata alle cure vs alle attività amministrative
Effettivo utilizzo delle attrezzature disponibili a fini riabilitativi ed educativi
Rapporti con la comunità per attività ricreative e culturali
Formazione e aggiornamento del personale
Ratio benefici/
sprechi per le
persone assistite,
gli operatori e
l’ente
Rilievo eventuali sprechi evidenti (es. spazi o strumenti inutilizzati, personale
con sovraccarico o sottocarico di lavoro, mancata valorizzazione competenze
specifiche del personale, etc.)
980
Assistenza sociosanitaria
Innanzi tutto la presenza degli osservatori è stata accolta
in modo adeguato da parte del personale delle strutture,
che ha consentito la conduzione delle osservazioni in tutti
gli spazi ed in tutte le attività svolte nell’arco delle sessioni
di osservazione. Gli operatori osservati sono stati inoltre
disponibili a fornire chiarimenti quando gli osservatori
avevano bisogno di chiarimenti in merito alle attività svolte. Sul piano emotivo, gli osservatori si sono quindi sentiti
bene accolti nelle strutture e legittimati a condurre le osservazioni come pianificato. Anche l’accesso alle persone
assistite per eventuali brevi interviste etnografiche è stato
consentito senza porre alcun ostacolo, sempre nel rispetto
dell’intimità delle persone assistite e della pianificazione
del lavoro degli operatori.
Si riporta, di seguito, i risultati aggregati delle osservazioni per i temi della sicurezza delle cure e centralità
della persona assistita, che sono i due temi più saturati nel corso delle osservazioni, cioè sui quali sono state
raccolte più note osservazionali anche in considerazione del background dei due osservatori (TB sicurezza, EB
partecipazione pazienti). I risultati sono descritti secondo
l’approccio della grounded theory (Corbetta, 1999), in
cui i narratori confrontano costantemente quanto osservato con i possibili costrutti teorici a cui quelle osservazioni
fanno riferimento, per riadattarli e ridefinirli a partire dal
materiale raccolto. Anche per motivi di spazio, si rimanda ad una successiva pubblicazione dell’intero report
dello studio.
Sicurezza delle cure
Relativamente al problema della prevenzione e gestione delle cadute, sono state osservate criticità sul piano
ambientale ed organizzativo in tutte le strutture visitate,
mentre in merito alle decisioni ed ai comportamenti degli operatori e degli assistiti la situazione è apparsa più
variegata.
Sia nelle strutture più moderne che in quelle antiche, la
criticità principale sul piano ambientale riguarda l’illuminazione artificiale degli ambienti di vita e di cura. Si è
riscontrata sia la totale assenza di illuminazioni notturne
che segnalino i percorsi sicuri per raggiungere il bagno,
che l’impiego pressoché generalizzato di fonti di luce
al neon con tonalità fredda ed intensità costante nei diversi ambienti delle strutture e negli orari della giornata,
che possono provocare un abbagliamento della vista al
momento del risveglio o del passaggio dalla posizione
prona a quella eretta. Questo tipo di illuminazione provoca inoltre un affaticamento visivo e contribuisce sia al
rischio di caduta che al disorientamento della persona
N. 211 - 2016
assistita, da un punto di vista cognitivo e relazionale,
perché diventa più difficile distinguere i momenti della
giornata, gli ambienti di vita e di cura, gli spazi privati
e pubblici. Questi aspetti impattano sulla probabilità di
deterioramento cognitivo e di episodi di delirium. Per il
resto, i percorsi interni alle strutture sono apparsi liberi
da ingombri e sufficientemente ampi, generalmente dotati
di corrimano e con pavimenti in stato di manutenzione
accettabile. Le porte talvolta rappresentano un ostacolo,
in quanto sono pensate sui requisiti strutturali e non sempre sull’uso effettivo degli ambienti, in cui agiscono più
operatori impiegando presidi ingombranti per gestire l’interazione e la movimentazione degli assistiti.
Sul piano organizzativo, la valutazione e gestione del
rischio di caduta è apparsa poco approfondita e poco
personalizzata alle esigenze delle persone assistite. In
altre parole, l’organizzazione del lavoro prevale considerevolmente sui bisogni della persona: ad esempio, in
tutte le strutture visitate, quasi tutte le persone assistite vengono messe a letto subito dopo cena, con le spondine
del letto alzate nella convinzione che siano una soluzione
utile a prevenire le cadute. Le spondine, soprattutto quando coprono tutta la lunghezza del letto, sono invece un
possibile fattore di rischio di aggravamento della caduta,
quando vengono impiegate in modo generalizzato senza
una rivalutazione delle condizioni della persona ed un
suo coinvolgimento nella scelta di usare tale mezzo di
contenzione. Le attività di fisioterapia, che possono contribuire a ridurre il rischio di caduta, sono relativamente
integrate con le altre attività assistenziali e più in generale
con la vita quotidiana delle persone in RSA. I limiti sembrano dovuti agli orari di questo servizio ed alla scarsa
consapevolezza collettiva dell’importanza che le attività
motorie rivestono nel mantenimento dell’autonomia funzionale, anche ai fini della prevenzione delle cadute.
Le decisioni ed i comportamenti degli operatori nella
prevenzione e gestione delle cadute, come si è già osservato, appaiono dettati da una standardizzazione al
contenimento della persona assistita. In nessun caso si è
assistito ad una revisione delle terapie negli incontri con
i curanti per ridurre il rischio di caduta, né a una rivalutazione dinamica del rischio di caduta. I racconti delle
cadute recenti, sono stati tutti all’insegna dell’imprevedibilità dell’evento ed all’attribuzione della causa a comportamenti inadeguati o condizioni cliniche della persona
assistita. La movimentazione delle persone non autosufficienti è apparsa invece adeguata, seppure condotta con
gesti piuttosto meccanici e talvolta eccessivamente rapidi,
a causa della evidente pressione del tempo sugli opera-
N. 211 - 2016
tori, su cui torneremo in seguito discutendo la dimensione
dell’efficienza. Da notare come elemento di buona pratica, in una delle strutture visitate, l’uso di coperte per proteggere le persone da possibili urti ed intrappolamenti tra
le sbarre delle spondine. In un’altra struttura è invece da
riportare la collaborazione tra fisioterapista ed educatore
per impiegare la musica come una sollecitazione al movimento terapeutico ed al monitoraggio delle funzionalità
residue.
La gestione delle terapie è certamente l’attività più problematica in RSA, innanzi tutto a causa del carico di lavoro
smisurato che comporta per il personale infermieristico,
impegnato in larga parte del proprio turno nell’approvvigionamento, stoccaggio, preparazione, somministrazione, registrazione e revisione delle terapie. Partendo
dall’approvvigionamento, l’attività risulta particolarmente
complicata a causa dei diversi regimi con i quali la struttura deve gestire l’acquisizione dei farmaci a seconda delle
condizioni socio-economiche del paziente e delle scelte
della sua famiglia. Si va da situazioni in cui la fornitura
avviene integralmente da parte della farmacia di continuità dell’Azienda sanitaria di riferimento, a situazioni in cui
la famiglia acquista e consegna i farmaci alla struttura,
ma nella maggior parte dei casi sono le situazioni intermedie a determinare il carico di lavoro smisurato per gli
infermieri, che si trovano a doversi interfacciare con fino
a 4 tipi diversi di attori per l’approvvigionamento: i familiari, il medico di famiglia, la farmacia di continuità, le
farmacie territoriali. Questa varietà di fonti talvolta coesistenti in una stessa struttura, a cui si aggiunge la presenza
di numerosi prescrittori (fino a 20 diversi medici di famiglia in una struttura osservata con 50 posti), rende molto
difficile programmare in modo sistematico gli ordinativi
dei farmaci ed anche laddove c’è un rapporto con la farmacia di continuità l’RSA non accede al software per la
gestione degli ordini, per cui gli infermieri devono gestire
per telefono e con le richieste individuali cartacee le richieste di farmaci e presidi. In una delle strutture visitate,
malgrado l’investimento del gestore nell’acquisizione dei
computer, dei software e la formazione del personale necessari alla gestione on-line dei rapporti con la farmacia
di continuità, il coordinatore ha riferito che dopo più di
due anni dall’investimento l’Azienda USL non ha ancora
attivato l’accesso della RSA al software per la gestione
degli ordinativi della farmacia.
Lo stoccaggio dei farmaci è poi particolarmente complicato dalla necessità di registrare e conservare i farmaci
personale di ogni persona assistita: quest’attività viene
Assistenza sociosanitaria
981
condotta dagli infermieri senza l’impiego di un registro
formale di carico e scarico delle scorte, con modalità di
registrazione e stoccaggio basate su soluzioni pratiche
trovate dallo stesso personale sulla base dei supporti documentali e degli spazi di stoccaggio disponibili. Nella
maggior parte dei casi, la registrazione avviene spuntando gli ordini e annotando su ciascuna confezione il cognome della persona assistita con un pennarello, per poi
riporla in armadi o scaffali in cui è ricavato uno scomparto
per ciascun paziente, a cui si aggiunge di solito uno spazio per le scorte che vengono ricavate dagli avanzi delle
persone alle quali viene sospeso un farmaco o che termina la sua permanenza in RSA a causa di trasferimento o
decesso. Gli scomparti sono individuati con etichette in
cui è scritto a mano il cognome del paziente. Questa stessa complicata organizzazione delle scorte è poi replicata
sui carrelli della terapia, nei quali gli infermieri provano
ad ordinare i farmaci ricavando uno o più scomparti per
ciascun paziente. Nella maggior parte dei casi gli scomparti sono ricavati all’interno dei cassetti dei carrelli, in cui
lo spazio è suddiviso da listellino di plastica o di cartone
al cui interno sono collocate le scatole dei farmaci in uso
e solitamente il cognome del paziente è scritto sul fondo
di ogni scomparto. Nelle realtà più creative, questa organizzazione è replicata sull’alzatina al margine posteriore
del piano di lavoro del carrello, in cui è stata collocata
una piccola scaffalatura verticale di plastica, suddivisa
in cassettini trasparenti all’interno dei quali sono collocate le dosi dei farmaci in blister o fiale, senza le scatole.
I flaconi di dimensioni più grandi sono collocati al bisogno sul ripiano del carrello, oltre al nome del paziente è
scritta a pennarello la data di apertura. Gli infermieri non
sempre riescono a programmare lo stoccaggio, che può
richiedere anche diverse ore di lavoro, in considerazione
della quantità di farmaci approvvigionati e della molteplicità delle fonti di approvvigionamento su cui l’organizzazione della RSA non ha un controllo puntuale.
La preparazione dei farmaci avviene in modo variabile
a seconda dell’orario, dei carichi di lavoro e dello stile
dell’infermiere. La modalità più comune prevede l’impiego di bicchierini di plastica da caffè, su cui l’infermiere
scrive a pennarello il cognome del paziente e successivamente vi colloca le terapie orali personali, disponendo
poi i bicchierini su vassoi di diverse dimensioni appoggiati sul ripiano del carrello o su altri supporti presenti in medicheria. L’infermiere che prepara segue le prescrizioni
indicate generalmente su un formulario cartaceo ispirato
alla scheda terapeutica unica, in cui sono indicati i dati
identificativi del paziente, il nome del farmaco, la dose e
982
Assistenza sociosanitaria
gli orari di somministrazione previsti. Ogni persona assistita ha la propria scheda della terapia, collocata in un
fascicolo comune conservato in medicheria ed appoggiato sul ripiano del carrello al momento dei giri principali
della somministrazione. Non sempre la scheda della terapia è firmata dal medico, con sincero rammarico da parte degli infermieri che oltre a dover ricopiare le terapie
prescritte sulla scheda, riferiscono di dover “rincorrere”
i curanti per farsi apporre la firma su questi documenti.
In caso di deterioramento, modifica repentina delle condizioni di salute o rifiuto della terapia da parte dell’assistito, l’infermiere consulta il curante per telefono, o in sua
assenza un altro medico che ha in carico altri pazienti
presso la struttura, per discutere la possibile modifica di
una terapia in corso. Quando questo è il caso, l’infermiere aggiorna la programmazione delle somministrazioni
sulla scheda, talvolta anche in attesa della conferma scritta da parte del medico, con l’obiettivo pratico di seguire
tempestivamente i bisogni del paziente.
La preparazione nel bicchierino viene impiegata sia per
le compresse, intere o sminuzzate, che per i liquidi. Lo
sminuzzamento è piuttosto frequente, a causa del numero
di persone assistite con problemi di deglutizione. In questi
casi, l’infermiere che prepara, inserisce tutte le compresse
o le parti di compresse prescritte per ciascun paziente in
un “pesto” presente sul carrello, per poi trasferire i farmaci sminuzzati nel bicchierino. Lo stesso pesto è impiegato per tutte le preparazioni. Quando un paziente ha
sia farmaci solidi che liquidi, i bicchierini a lui destinati
sono messi uno accanto all’altro o impilati uno sull’altro.
Il metodo del bicchierino, nella sua modalità più strutturata, viene impiegato soprattutto per anticipare la preparazione dei giri della terapia principali, quelli del mattino,
dell’ora di pranzo e della sera. Lo stesso viene impiegato
“just in time” per le terapie orali di metà mattino e del
pomeriggio, che di solito sono quantitativamente meno
impegnative per l’infermiere che quindi prepara in medicheria e somministra subito dopo recandosi dalle persone
alle quali sono destinati i farmaci. Quando la somministrazione avviene invece in un momento successivo alla
preparazione, talvolta anche 3-4 ore dopo, l’infermiere
colloca sul carrello i vassoi con i bicchierini e procede
con il giro della terapia presso le camere dei pazienti
allettati e nella sala in cui vengono consumati i pasti dalle
persone in condizioni di alimentarsi in modo sufficientemente autonomo. Nella maggior parte dei casi, l’infermiere che somministra segue passo passo le indicazioni
della scheda di terapia, seppure l’anticipo della preparazione consenta giusto un controllo sui nominativi dei
N. 211 - 2016
pazienti sulla forma delle preparazioni ormai collocate
nei bicchierini. Talvolta si è osservato che l’infermiere va
a memoria, somministrando senza ricontrollare la scheda
di terapia ed affidandosi alla conoscenza delle persone
assistite, la cui identificazione avviene anch’essa sempre
a memoria. Nei giri principali della terapia, le somministrazioni avvengono con una frequenza molto serrata,
visto che si è osservato che un solo infermiere può trovarsi
a dover gestire in circa mezz’ora le somministrazioni di
50 persone che prendono in media 3-4 farmaci ciascuno,
con una forte pressione del tempo connessa con l’inizio
del pasto.
Le terapie iniettabili vengono gestite con un flusso di lavoro a sé stante, con preparazione e somministrazione integrate e quasi sempre contestuali alla rilevazione dei parametri vitali. La terapia iniettabile più comune è l’insulina,
che viene praticata ai pazienti diabetici agli orari previsti
e nel luogo in cui la paziente si trova, che può essere la
camera, la sala da pranzo o gli spazi comuni. Le altre
terapie iniettabili vengono generalmente somministrate ai
pazienti allettati, che sono in numero relativamente contenuto rispetto al totale, nelle 4 strutture visitate sempre al di
sotto di un decimo dei residenti.
Il problema delle infezioni correlate all’assistenza appare
generalmente poco considerato, sia dal management, che
dal personale e dagli assistiti. Le norme generali di igiene
degli ambienti vengono rispettate e la pulizia appare molto curata, sia negli ambienti di cura che negli ambienti di
vita delle residenze. Il lavaggio delle mani è invece sistematicamente omesso da parte degli operatori prima del
contatto con i pazienti, sia che questo avvenga con che
senza guanti, a dimostrazione della mancanza di una consapevolezza individuale e di gruppo in merito alle modalità più frequenti di trasmissione delle infezioni, cioè dalla
carente igiene delle mani. Il rischio infettivo non sembra
considerato neppure in caso di pazienti già febbricitanti
o particolarmente esposti a causa degli accessi venosi o
di eventuali ferite, per i quali le barriere preventive sono
piuttosto routinarie, i parametri sono monitorati in modo
reattivo e le terapie antibiotiche sono gestite come le altre.
Il gel idroalcolico per il lavaggio delle mani senza acqua
è generalmente disponibile in medicheria, ma non viene
quasi mai impiegato e non è presente alcun cartello che
ricordi agli operatori di lavarsi le mani presso i punti in
cui viene fornita l’assistenza.
A questo si aggiunge la difficoltà nella gestione delle indagini di laboratorio, per le quali è sempre lo stesso infermiere a dover gestire l’intero processo, inclusa la richiesta
N. 211 - 2016
dell’esame ed i rapporti con il laboratorio, mediante telefonate, richieste e referti cartacei, con la collaborazione
degli infermieri dei servizi territoriali che accedono nelle
strutture per il prelievo ed il trasporto del campione al
laboratorio. Non appare alcuna riflessione in merito alla
prevalenza delle infezioni nelle persone assistite, né all’efficacia delle terapie ed agli esiti clinici. Con i medici di
famiglia che hanno un rapporto più costante con l’RSA,
gli infermieri intrattengono un buon dialogo per rispondere alle esigenze individuali del singolo assistito, seppure il
tema delle infezioni non assuma l’evidenza di argomento
specifico ma venga trattato come un problema tra i tanti.
Le ulcere da pressione sono probabilmente il tema di sicurezza delle cure che è apparso più presidiato durante le
osservazioni. Le persone a rischio sono monitorate e laddove necessario trattate sia con le medicazioni avanzate
che con la giusta mobilizzazione, anche per gli allettati,
con una buona collaborazione tra infermieri e OSS. Tuttavia, sono state osservate anche in questo caso medicazioni eseguite senza prima lavarsi le mani o in spazi
angusti, con difficoltà posturali da parte dell’infermiere e
degli OSS coinvolti nella medicazione. Il personale manifesta comunque una buona consapevolezza del problema, tant’è che talvolta lamentano il peggioramento delle
lesioni da decubito che osservano nei pazienti al ritorno
da eventuali ricoveri in Ospedale.
Centralità della persona assistita
La centralità della persona nell’erogazione di servizi sociosanitari è uno dei valori che dovrebbe fare da guida
per la programmazione, lo svolgimento e la valutazione
dei servizi erogati, fondata su un’alleanza reciproca tra
organizzazioni e professionisti con le persone assistite e
i loro familiari per il raggiungimento comune di benefici,
sia per quanto concerne i desideri e le aspirazioni dei singoli individui (bisogni primari e secondari), ma anche in
un’ottica più ampia di attenzione verso gli aspetti culturali
di una comunità.
Le unità di osservazione considerate nel progetto di studio
sono risultate saturate durante le osservazioni: sono state
seguite attentamente le modalità di preparazione, distribuzione e consumo dei pasti, la pulizia e cura degli ambienti privati e di comunità interni ed esterni alla struttura,
l’attenzione data alle richieste delle persone assistite.
Gli ospiti delle strutture che hanno aderito al progetto vengono chiamati per nome e solo in rari casi gli operatori
si rivolgono alla persona assistita senza chiamarla con il
nome che generalmente è quello di battesimo.
Assistenza sociosanitaria
983
La somministrazione dei pasti rappresenta un’attività che
a cadenza regolare, quattro volte al giorno, pone in relazione diretta gli operatori socioassistenziali e le persone residenti nella struttura. La preparazione dei pasti in
quattro strutture su cinque è esternalizzata, nelle strutture
sono presenti locali adibiti a cucina che fungono da supporto alle attività di somministrazione dei pasti. Le aree
di mensa sono facilmente individuabili e accessibili - solo
in una struttura si è osservata la presenza di piccoli scalini – oltre che puliti. La scelta delle pietanze e variata e
indirizzata a cibi di stagione; per le persone con difficoltà di deglutizione è prevista la somministrazione di cibi
liquidi o comunque sminuzzati. Ad ognuno viene offerta
la possibilità di esprimere la preferenza tra un paio di opzioni a portata. Tutte le operazioni di preparazione delle
porzioni e la loro consegna agli ospiti avvengono con il
solo uso della memoria, senza che gli operatori utilizzino
strumenti di supporto alla decisione.
Dalle osservazioni effettuate durante i pasti non si evidenziano da parte delle persone residenti commenti contro
gli operatori, l’attenzione delle persone è tutta rivolta alla
qualità del cibo che talvolta viene commentato come freddo o non gustoso.
Il personale infermieristico, impegnato nella somministrazione della terapia durante la consegna dei pasti, riesce
a seguire anche le richieste particolari che riceve da alcuni ospiti combinando le attività di preparazione e consegna dei farmaci con il consumo dei pasti.
Durante le operazioni di somministrazione del cibo gli
operatori sono principalmente concentrati sulle attività
di preparazione e consegna dei pasti e in minor misura
sugli aspetti più direttamente legati alla conversazione.
Si osserva inoltre che nella maggioranza delle situazioni
osservate gli ospiti durante il tempo trascorso in mensa
non conversano tra loro nel tempo dedicato al pranzo o
alla cena.
Gli ambienti si presentano generalmente puliti e ordinati,
in alcuni casi l’odore dei prodotti igienizzanti si manifesta in modo pronunciato. La luce naturale viene utilizzata
molto poco nelle camere di degenza, più spesso negli
ambienti comuni di mensa e socializzazione. Gli impianti
illuminanti risultano essere nella maggior parte dei casi
inadeguati per posizione e tipologia, ovvero “al neon posti sul soffitto con luce piuttosto intensa e temperatura molto fredda” oppure con interruttori non raggiungibili dalla
posizione di allettamento. Questo si traduce in situazioni
di mancato comfort per le persone assistite
Le attività diurne includono il trasferimento di materiali
e terapie su carrelli che liberano rumori fastidiosi nello
984
Assistenza sociosanitaria
spostamento nei corridoi, che si aggiunge ad altri suoni
di lamentela o richiamo degli operatori da parte delle
persone residenti.
Le attività di pulizia delle persone assistite connesse al
risveglio e alla messa a letto sono svolte in modo diversificato a seconda degli operatori che agiscono sull’ospite.
In alcune occasioni si osserva un’alta attenzione alla movimentazione del corpo delle persone che si ripercuote
positivamente su comportamenti collaborativi tra operatore e assistito, mentre nel resto delle attività osservate gli
spostamenti risultano essere rapidi e talvolta imperativi,
soprattutto alla fine del giro (di alzata o messa a letto).
In generale si constata un legame piuttosto forte tra operatori socioassistenziali e persone assistite, che si riflette
in una buona personalizzazione del servizio in cui le attività, va osservato, vengono svolte con un uso spinto della
memoria e dell’abitudine.
Per quanto concerne gli aspetti più direttamente legati
alla cura di sé, le persone ospiti nelle strutture visitate si
presentano per la quasi totalità curate nell’abbigliamento
e nell’aspetto. Indossano abiti puliti, viene loro chiesto
quali abiti preferiscono indossare scegliendo gli accessori, laddove disponibili, che la persona preferisce indossare quel giorno.
La presenza programmata di attività ricreative e di socializzazione è diversificata a seconda della struttura
visitata. In un paio di strutture, soprattutto per effetto di
una presenza attiva e qualificata di educatori/animatori, le iniziative di socializzazione sono ben articolate e
attese dai residenti tanto che “nelle ore che precedono
l’attività ricreativa gli ospiti attendono con interesse l’ora
di inizio della musica/ballo”. La settimana e la giornata
sono scandite da appuntamenti che ciclicamente vedono
la realizzazione di attività declinate sia sulla dimensione
dell’individuo che su quella del gruppo: dalle attività motorie ai giochi, dalla possibilità di beneficiare di un’acconciatura o una pedicure a quella di prendere parte ad
un evento ecclesiale, il supporto all’acquisto personalizzato di alcuni indumenti in negozi esterni alla struttura
(es. un paio di calzini), gite a teatro o centri commerciali,
attività in collaborazione con i bambini di alcune scuole
del territorio.
Durante i momenti di trasferimento da un locale all’altro
(ad es. dalla sala comune a quella per il consumo dei
pasti) e durante i periodi di attesa dei pasti o tra un’attività e l’altra gli operatori socioassistenziali cercano di
intrattenere le persone facendo domande sul loro passato
o stimolando la conversazione tra due o più soggetti in
grado di conversare tra loro.
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Diversamente, nelle altre due strutture, le attività ludicoricreative risultano essere secondarie al resto delle altre
operazioni di assistenza alla persona. I giochi di gruppo
e le iniziative per mantenere la manualità mediante lavori
con carta, lana e tessuti, materiali di recupero sono presenti ma vengono realizzati con uno scarso coinvolgimento attivo di tutti i presenti che celano in alcuni casi episodi
di noia o di disagio a dover partecipare.
Le attività di fisioterapia, per le quali i familiari esprimono
apprezzamento laddove impiegate, coprono una parte
ridotta del programma di attività complessivo e gli attrezzi presenti nelle strutture sono sottoutilizzati rispetto
ai bisogni delle persone e alle opportunità di uso poco
valorizzate.
Tutte le strutture visitate prevedono l’apertura agli ospiti e
familiari delle persone assistite, senza restrizioni di orario.
Nella quasi totalità delle RSA si sono potuti vedere accessi dall’esterno che in alcune strutture è stato valorizzato
dalla partecipazione dei familiari alle attività collettive,
mentre in altri casi si è trattato di presenze più isolate e
non integrate con le persone e gli operatori presenti.
Discussione e prospettive
Questo Progetto ci ha permesso di aprire una finestra sulla vita degli operatori sanitari e delle persone assistite
nelle RSA, per osservare e descrivere le pratiche di lavoro
quotidiano degli operatori sanitari nell’arco della giornata. La buona accoglienza da parte dei responsabili, degli
operatori e delle persone assistite, è un primo dato su cui
riflettere, non scontato, in quanto nelle visite gli operatori
sono stati seguiti da vicino anche nei momenti più delicati
o riservati, sia sul piano assistenziale che su quello relazionale. Certamente ha influito positivamente la preparazione della visita mediante un incontro con i responsabili
ed il supporto al progetto di un atto di indirizzo politico
regionale. Le precedenti esperienze in ambito sanitario
degli osservatori hanno inoltre facilitato la comprensione
delle pratiche, degli artefatti e dei linguaggi impiegati
dagli operatori. Bisogna ricordare che si tratta di una
modalità di studio onerosa in termine di progettazione,
conduzione delle osservazioni, elaborazione ed analisi
dei dati, stesura della reportistica, quindi difficilmente
replicabile su larga scala. Nella modalità della ricerca
intervento, potrebbe infatti offrire notevoli opportunità di
accompagnamento del personale in progetti di miglioramento della qualità dell’assistenza, così come è emerso
negli incontri di restituzione condotti in tre delle quattro
strutture visitate. Ad esempio, sui temi elaborati nel presente articolo, sono stati immaginati e discussi possibili
N. 211 - 2016
Assistenza sociosanitaria
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interventi di tipo sistemico e a basso costo per migliorare
l’illuminazione o la modalità di preparazione dei farmaci, che presuppongono la formazione del personale ed
alcuni accorgimenti di tipo tecnico ed organizzativo ad
alto impatto sul comfort degli ambienti e la sicurezza delle cure. Per questo motivo, è attualmente in discussione la
possibilità di sistematizzare questa modalità di intervento,
che integri incontri con il personale, momenti di osservazione con feedback strutturati finalizzati allo sviluppo di
progetti di miglioramento in una modalità partecipativa
ed auspicabilmente con la collaborazione di più strutture, per favorire il confronto, l’apertura verso l’esterno ed
una sana competizione, che sono gli elementi fondamentali delle esperienze di successo per il miglioramento del
valore dell’assistenza (Ovretveit, 2015). Chiaramente gli
organismi tecnico-scientifici della Regione coinvolti nel
progetto potranno lavorare per priorità, auspicabilmente
coniugando una dinamica di adesione volontaria degli
attori del territorio a questa proposta, con un impegno e
un indirizzo politico a supporto dei processi di riorganizzazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria.
nelle RSA. https://www.ars.toscana.it/it/aree-dintervento/cure-e-assistenza/assistenza-in-rsa/dati-e-statistiche/2780-progetto-ministeriale-ccm-qualita-e-sicurezza-nelle-rsa-novembre-2014.
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986
Assistenza sociosanitaria
N. 211 - 2016
Il familiare, una risorsa
per la relazione
Francesca Ierardi1, Manlio Matera2,
Antonella Pizzimenti1, Laura Salmoiraghi2
ARS - Agenzia regionale di sanità della Toscana
AIMA - Associazione italiana malattia di Alzheimer
1
2
Abstract
Questo report focalizza la propria attenzione sull’analisi e la cura della relazione con il familiare di una persona non autosufficiente residente in RSA, mediante la diffusione di pratiche di accoglienza, di inclusione, di ascolto, di partecipazione.
Infatti, benché egli non abbia un ruolo professionale nella cura, il tipo di legame da un lato con l’anziano e dall’altro con
l’operatore ha un innegabile impatto sull’agire di questi due soggetti, individualmente e reciprocamente, e quindi in ultima
battuta sulla cura. Il risultato auspicato è la prevenzione di dinamiche relazionali negative, rigide o che tali rimangono, senza
offrire supporto, ma complicando i legami.
Il progetto “Persona - La buona cura” focalizza i propri
obiettivi su due oggetti di osservazione e di intervento
tra loro interrelati: la persona, facendo riferimento con
questo termine a tutti quei soggetti che hanno un ruolo
nella cura della persona non autosufficiente residente in
RSA (includendo, oltre agli operatori, la persona stessa
ed i suoi familiari); la cura, vista come un percorso entro
cui ogni persona che vi compare ha un ruolo collegato
agli altri da legami professionali, familiari ed affettivi in
un quadro in cui l’agire dell’uno influenza inevitabilmente
l’agire dell’altro. Ascoltare il punto di vista di ogni soggetto, i suoi bisogni, le difficoltà, le aspettative, è la strada
per perseguire la “buona cura”, ossia la sua efficacia e
sostenibilità nel tempo. Con parole diverse potremmo definire la cura come il “prendersi cura”, che non si limita
all’ambito medico e assistenziale, ma è il risultato di un
intreccio di relazioni reciproche tra i soggetti che compaiono nello scenario, considerando la comprensione delle
dinamiche relazionali come il mezzo per raggiungere
una efficacia in termini di benessere di ogni soggetto,
minimizzandone i limiti e valorizzandone le risorse.
Curare la relazione con il familiare può ridurre, fino ad eliminarlo, il disturbo e il controllo che esercita sul lavoro dell’operatore, che spesso si sente svalutato, e farlo diventare una
risorsa per le relazioni interne ed esterne alla struttura.
Questo cambiamento ha in sé un valore innovativo, come
capacità di far emergere, raccogliere e fornire risposte ai
bisogni dei familiari visti come un importante nodo per
una efficace cura; ha valore sociale, poiché comporta un
miglioramento delle relazioni dentro e fuori dalla struttura; infine ha valore culturale poiché porta e diffonde significati all’agire del familiare più consoni con la struttura
sociale contemporanea.
La RSA come scelta o necessità: le implicazioni
relazionali
Per comprendere le dinamiche di relazione tra familiari
e operatori, è necessario osservare il contesto sociale,
culturale e psicologico entro cui un familiare decide di
ricorrere a questo tipo di servizio. La prima precisazione
riguarda l’utilizzo del termine “scelta”, associato ad un significato culturale negativo poiché non più adeguato per
l’attuale contesto di vita: l’inserimento di una persona non
autosufficiente in struttura non è più, nella maggioranza
dei casi, una scelta, come poteva esserlo alcuni decenni fa, ma è spesso l’unica possibilità percorribile. Nel
corso dell’ultimo cinquantennio abbiamo visto cambiare
molto la struttura della famiglia: fino alla fine degli anni
cinquanta essa aveva la cosiddetta forma allargata, era
rappresentata cioè da una rete costituita da diversi nu-
N. 211 - 2016
clei, ognuno dei quali era composto da un ampio numero
di persone (coniugi, fratelli, cugini, figli, nipoti, ecc.). In
questo contesto sociale l’intera rete familiare si faceva carico dei bisogni di assistenza, anche in una condizione
di estrema gravità, poiché le molte persone (risorse) su
cui si poteva fare affidamento rendevano semplice l’assistenza, agevolata anche da una più breve durata media
della vita. Date queste condizioni, ricorrere ad una struttura residenziale significava scegliere di abbandonare il
proprio familiare e rifiutare di prendersi cura di lui, cosa
socialmente riprovevole.
Oggi le cose sono cambiate: la famiglia è divenuta mononucleare, composta sempre più frequentemente da un
solo adulto. Non solo, ma la lunghezza media della vita
si è sensibilmente estesa, aumentando la durata del carico assistenziale. Anziani e “grandi” anziani, con disabilità e/o pluripatologie croniche per periodi di vita sempre
più lunghi sono assistiti da pochi o un solo familiare. In
questo cinquantennio è inoltre cambiato il ruolo sociale
della donna, che, entrando nel mondo del lavoro, non
può più rappresentare la principale o unica figura dedita
alla cura e all’assistenza. Nonostante ciò continuiamo ad
aspettarci dalla famiglia (nucleare) e dalla donna ciò che
ci si attendeva 50 anni fa, senza tener conto dei cambiamenti intercorsi nel frattempo. Ci scontriamo con un disallineamento tra i cambiamenti appena descritti, che comportano una forte contrazione delle risorse assistenziali
familiari, soprattutto per periodi di tempo lunghi o molto
lunghi, e le aspettative sociali legate ai retaggi del passato. Ricorrere ad una RSA continua pertanto ad essere percepito come una scelta d’abbandono e di rinuncia delle
proprie responsabilità, nonostante l’estrema difficoltà di
gestire una persona non autosufficiente per lunghi periodi
di tempo e con risorse familiari estremamente contratte.
A causa del vissuto “abbandonico” di questa decisione, la
RSA è percepita come un’alternativa inizialmente rifiutata,
a cui i familiari arrivano spesso dopo molti tentativi di assistenza al proprio domicilio, anche in assenza di condizioni
(psicologiche, fisiche, assistenziali) adeguate, con forti ripercussioni sul benessere individuale e dell’intera famiglia.
Si arriva ad accettare la residenzialità solo come extrema
ratio, quando il disagio è tanto forte da legittimare questa decisione. Ciò nonostante, il prevalere del significato
della RSA come scelta e non come unica soluzione percorribile, comporta vissuti di colpa molto forti. È importante
comprendere questi aspetti culturali ed emozionali poiché
in base ad essi il familiare mette in atto comportamenti e
atteggiamenti che impattano sulla relazione con il suo anziano e con l’operatore che se ne prende cura.
Assistenza sociosanitaria
987
Chi arriva ad inserire un suo familiare in RSA con un
carico emozionale pesante adotta delle strategie per trovare conforto, strategie che si rivelano dannose per tutti
i soggetti della cura e che si concretizzano in una sua
presenza ingombrante all’interno della RSA. Il suo obiettivo è quello di ovviare al senso di colpa vissuto per l’abbandono, telefonando, essendo presente tutti i giorni o
quasi nella struttura, controllando, consigliando e spesso
correggendo gli operatori. Si producono effetti deleteri in
campo personale e relazionale:
1. A livello individuale, infatti, il familiare non riesce a
percepire la struttura come il mezzo per potersi riappropriare della sua vita e ricominciare a dare spazio alle
proprie necessità o ad attività foriere di benessere; al
contrario continua ad essere costantemente presente in
struttura, fisicamente o anche solo mentalmente, cercando
di coniugare questo comportamento con gli impegni personali, pressappoco come quando assisteva l’anziano al
domicilio. Nel tentativo di attenuare il suo senso di colpa
per la decisione presa, vanifica di fatto il beneficio del
servizio di cui usufruisce.
2. A livello relazionale, incentiva un rapporto dannoso
con l’anziano che, per affrontare le difficoltà del cambiamento o dell’adattamento alla residenza in struttura, ricatta affettivamente il familiare, chiedendo la sua presenza
continua o il suo intercedere con gli operatori. Si innesca
così un circolo vizioso in base al quale l’anziano, così
facendo, aumenta i sensi di colpa del familiare che, a sua
volta, per alleviarli, impiega strategie di maggiore presenza o di invasività sull’operato dei professionisti, con il
risultato di aumentare il proprio carico emotivo.
3. La presenza invasiva del familiare in struttura ha poi
degli effetti dannosi nel rapporto tra l’anziano e gli operatori della struttura: il familiare che non riesce ad affidare il
suo caro, accresce le insicurezze dell’anziano, che percepisce la mancanza di fiducia del familiare nella struttura,
reagendo con ostilità nei confronti dell’assistenza ricevuta. Gli anziani che sanno di poter contare sulla presenza
a chiamata del familiare, tendono a mettersi molto poco
in gioco, rimanendo in attesa dei loro cari, ostacolando l’operato dei professionisti e non socializzando con
il contesto residenziale. Chiederanno sempre di più, esigendo, la presenza del familiare, innescando il circolo
vizioso di cui sopra.
4. Quanto sin qui detto fa comprendere facilmente come
il livello relazionale tra familiare e operatore della struttura venga messo a dura prova: la difficoltà del familiare
nell’accettare di affidare il proprio caro alla struttura promuove relazioni disfunzionali con l’operatore, a cui viene
988
Assistenza sociosanitaria
richiesta un’assistenza “perfetta” secondo il canone del
familiare. Ciò non fa altro che rendere difficile il lavoro
del professionista e teso il clima in cui agisce, mettendo a
rischio l’efficacia dell’assistenza. La difficoltà di relazione
con il familiare si interseca ed è alimentata da quella con
l’anziano: con molta facilità questo innescarsi di criticità sfocerà in conflitti e frustrazioni per tutti i soggetti del
percorso, provocando ricadute negative sul loro benessere e rendendo la collaborazione assistenziale, a cui tutti
partecipano, un percorso dove l’efficacia è messa a dura
prova, se non impossibile da ottenere.
Strategie di supporto alla relazione con il caregiver
Quali strategie possiamo mettere in atto per evitare l’implosione delle relazioni tra tutti i soggetti della rete affinché i legami che si creano in struttura siano collaborative
e supportive? Avendo in questo report il familiare come
figura di riferimento, sicuramente il primo passo consiste nell’aiutarlo ad affidare il proprio caro alla struttura,
diminuendo il vissuto di colpa che si affianca a questa
decisione. La presenza di uno psicologo, che operi in maniera autonoma e svincolata dalle dinamiche interne della
struttura stessa, può rappresentare un modo per aiutare il
familiare rassicurandolo, aiutandolo a modulare il vissuto
abbandonico e a gestire tale eventuale vissuto in modi più
salutari per sè e per il residente.
È importante anche effettuare un percorso educativo del
familiare, da un lato, e dell’operatore, dall’altro, aiutando
entrambi a non mettere in moto strategie difensive, frutto
di relazioni che si irrigidiscono su basi emozionali negative e frustrazioni: per il familiare, i propri continui tentativi
di mettere pace ai sensi di colpa; per gli operatori, il
bisogno di difendersi dalle pretese dei familiari e dalla
difficoltà di sostenere la relazione di aiuto con gli anziani
residenti. È necessario che, mediante incontri separati, i
due gruppi di soggetti siano messi di fronte alla consapevolezza dei loro personali e reciproci limiti e dei motivi
per cui mettono in atto determinati comportamenti, nonché le modalità individuali e relazionali per implementare
questa consapevolezza nell’operatività lavorativa.
Gli incontri con i familiari
Nel progetto “Persona - La buona cura” il punto di vista
dei familiari è stato rilevato attraverso incontri di gruppo
nelle RSA visitate.
L’invito e le modalità organizzative del gruppo di familiari erano parte integrante del progetto che non poteva
prescindere da ciò che riguardava l’organizzazione complessiva e le dinamiche relazionali dell’intera struttura in
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questione (intendendo sia gli aspetti di relazioni interne
che con il territorio e le risorse informali).
Questi incontri, nei quali si sono raccolti i vissuti dei familiari, si caratterizzano anche come incontri di orientamento, promuovendo riflessioni sia sull’esperienza individuale
che sulla vita della collettività /comunità.
Ogni incontro organizzato in ciascuna delle quattro strutture individuate all’interno del progetto pilota era rivolto a
tutti i familiari dei residenti. La media di partecipazione è
stata di 10 familiari. La conduzione del lavoro col gruppo
di familiari è stata affidata ad AIMA Firenze (Associazione italiana malattia di Alzheimer), che è stata affiancata,
di volta in volta, da ARS Toscana (Agenzia regionale di
sanità), GRC (Gestione rischio clinico) e CRCR (Centro
ricerca criticità relazionali).
L’incontro consisteva nella gestione di una narrazione di
gruppo, guidata mediante una griglia che mirava ad ottenere informazioni sul livello di benessere percepito dal familiare in relazione all’esperienza dell’inserimento e della
permanenza del proprio caro all’interno della struttura.
Tutti i partecipanti hanno potuto raccontare la propria
esperienza, affrontando gli argomenti proposti, avendo,
allo stesso tempo, la libertà di introdurre spontaneamente
argomenti che ritenevano rilevanti. Solo in rare occasioni,
il familiare è stato sollecitato con domande dirette, ma ha
sempre avuto completa autonomia.
Le narrazioni con i familiari tengono sempre in considerazione che esse sono specchio della soggettività dei partecipanti, figure peraltro cui non possono essere attribuite
“responsabilità di competenze”, a differenza di operatori
e figure investite ufficialmente del ruolo di cura o di coordinazione dello stesso. Il familiare pertanto è visto, in tale
contesto, come persona coinvolta nelle dinamiche psicologiche familiari e affettive nonché potenzialmente competente nel ruolo di persona emotivamente “vicina a”.
L’attenzione è rivolta a valorizzare il vissuto personale, a
proteggere le situazioni riservate e che si vogliono mantenere tali, a rispettare le scelte emotivamente rilevanti
sperimentate e i vissuti di criticità legati a difficoltà fisiche,
psicologiche, economiche o di altra natura.
L’incontro, attraverso le modalità espresse sopra, ha permesso di facilitare una maggiore consapevolezza dei
problemi esposti da parte dei partecipanti, la condivisione degli stessi e talvolta la visione da una nuova prospettiva, che ha potuto far intravedere una nuova soluzione. È
stato inoltre orientato a valorizzare le risorse dei familiari
stessi e della struttura, in particolar modo delle competenze e le potenzialità di cui sono portatori, in maniera
trasversale, gli operatori addetti all’assistenza.
N. 211 - 2016
L’incontro, infatti, come detto nella parte iniziale di questo
lavoro, si pone un duplice obiettivo: valorizzare le risorse esistenti, prendendone atto in maniera maggiormente
consapevole, e apportare nuove competenze affinché si
sviluppi un ruolo di controllo sociale del familiare nella
vita della struttura, intesa qui come comunità residenziale.
La possibilità dei familiari di sentirsi capiti e di poter condividere le problematiche e i disagi con un soggetto terzo,
che non è implicato nelle dinamiche interne alla struttura,
permette di sviluppare un senso di fiducia e la sensazione di potersi appoggiare e farsi sostenere nel momento
del bisogno. Questo naturalmente ricade sulle relazioni
all’interno della comunità prevenendo atteggiamenti difensivi e posizioni rigide rispetto a ciò che accade o può
accadere in struttura e, a lungo termine, comporta una
serie di cambiamenti non solo sull’individuo ma sulla sua
interazione con gli altri. Affiancando questi incontri con
le altre attività previste nel progetto, come la supervisione,
il sostegno e la formazione agli operatori addetti all’assistenza, si produrrà un effettivo miglioramento del contesto
assistenziale e di cura dell’intero sistema RSA.
Alcune suggestioni sui risultati
La griglia, presa a riferimento nella conduzione degli incontri, è stata costruita sull’obiettivo di esplorare le motivazioni e le difficoltà che hanno portato all’inserimento in
RSA della persona non autosufficiente, il livello di qualità
di vita e di benessere percepito dal residente in seguito
all’inserimento e rilevato dal familiare, le tipologie e le
caratteristiche dei rapporti del familiare e del residente
con gli operatori e con la Direzione, i punti di forza che
sono riconosciuti alla struttura e quelli che invece risultano
essere punti di miglioramento o meglio le criticità toccate
con mano dal familiare stesso.
Per ogni tema, di seguito, sono riportate alcune delle
espressioni o sintesi delle stesse con cui i familiari si sono
raccontati.
Conclusioni
Gli elementi essenziali per prevenire la formazione di dinamiche relazionali negative all’interno delle RSA sono
l’accoglienza, l’inclusione, l’ascolto e la partecipazione.
Solo una relazione improntata a questi principi può ottenere risultati apprezzabili, tanto per la “persona” quanto
per la “cura”, e per tutto ciò che riguarda congiuntamente
i due oggetti di osservazione ed intervento del progetto.
In questo report siamo partiti dal punto di vista del familiare per osservare e comprendere sia le cause dei legami
implosivi che si costruiscono tra i soggetti della struttu-
Assistenza sociosanitaria
989
ra, sia le conseguenze che ricadono sull’intero sistema
relazionale della RSA in termini di “buona cura” della
“persona”: in particolare abbiamo visto come il senso di
colpa dei familiari produca effetti deleteri non solo a livello individuale, su loro stessi, ma anche a livello di gruppo,
massimizzando gli effetti negativi della relazione tra familiari, operatori e residenti e tra questi ultimi.
Nell’articolo abbiamo messo in evidenza l’importanza
di introdurre in RSA strategie di supporto al familiare:
percorsi educativi con il coinvolgimento degli operatori,
che consentano loro di abbandonare strategie relazionali difensive, basate su emozioni negative e frustrazioni,
e attività di counseling e di sostegno psicologico, che
forniscano e consolidino quelle competenze relazionali
per migliorare il benessere individuale del familiare e di
conseguenza quello del sistema (relazionale) RSA. Gli
incontri con i familiari rappresentano inoltre uno strumento per la socializzazione e la diffusione di quei principi
di accoglienza, inclusione, ascolto e partecipazione che
concorrono a definire legami supportivi e collaborativi tra
tutti i soggetti delle RSA, posto che le relazioni che i familiari intrattengono con gli operatori vanno ad influire su
quelle che essi hanno con il loro caro ed indirettamente
condizionano le relazioni tra residenti ed operatori. Da
non dimenticare né sottovalutare il potenziale di questi
incontri nel favorire il ruolo di “controllore sociale” del
familiare sulla struttura, trasferendo la capacità di rivolgere l’attenzione non solo verso se stessi e verso la persona
cara, ma verso tutto ciò che accade nella RSA e sulle
persone che la vivono. Questo può far sì che essi rappresentino un osservatore efficiente, perché esterno, seppur
coinvolto, delle criticità che possono produrre un impatto
sugli operatori e sugli altri residenti.
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Ferrari N, Tosi F. Narrazione guidata. Un sistema logico - linguistico. Streetlib 2016.
991
N. 211 - 2016
Monografia
Le case della salute
a cura di Valeria Rappini
Presentazione
Il tema dello sviluppo delle strutture intermedie tra l’Ospedale e il domicilio, genericamente riconducibili
al modello delle Case della Salute, attraversa il dibattito sulla sanità da molto tempo.
Ma che cosa esse esattamente siano è difficile dire.
Le proposizioni regionali e locali sulle Case della Salute e strutture simili (Presidi territoriali di assistenza
in Puglia e Presidi sociosanitari territoriali in Lombardia) mostrano “perimetri del possibile” particolarmente ampi in termini di target di utenza (cronici, occasionali) e gradi di specializzazione, livelli di
cure ricompresi (cure primarie, specialistica ambulatoriale, diagnostica), intensità del ruolo assegnato
ai MMG e di quello assegnato alla professione infermieristica, collegamento o meno con forme di medicina di iniziativa.
A definire le nuove entità in formazione concorre ampiamente la necessità di trovare una soluzione ai
problemi posti dalla messa in discussione della funzione svolta da preesistenti strutture (Ospedali riconvertiti). I vincoli che vengono dal passato, a partire da quelli di natura fisico-logistica o professionale, si
combinano con ulteriori spinte e motivazioni (esigenze politiche di rinsaldare i legami con la comunità,
tensioni ideali ancorate all’affermazione di nuovi modelli di cura e anche tendenze di carattere più manageriale finalizzate alla semplificazione dell’accesso e al miglioramento dell’esperienza di consumo
degli utenti) e condizionano assetti e servizi offerti.
I casi raccolti nella monografia (in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna,
Puglia, Calabria) rappresentano altrettanti elementi di un puzzle in cui convivono principi e tensori
diversi, con soluzioni contingenti, cioè adattate a ciascuna specifica realtà.
Dal confronto tra le diverse analisi e riflessioni proposte nei contributi – a partire da quello di Brambilla
e Maciocco sull’esperienza più consolidata di Toscana ed Emilia Romagna – potrà quindi essere valutato il grado di convergenza delle diagnosi e soluzioni, insieme alla molteplicità dei significati e dei ruoli
attribuiti a tali nuove (o rinnovate) entità.
In altri termini: di cosa parliamo quando parliamo di strutture intermedie quali le Case della Salute?
Valeria Rappini
SDA Professor Area Public Management & Policy
di SDA Bocconi School of Management
992
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Le Case della Salute.
Innovazione e buone
pratiche
Gavino Maciocco1, Antonio Brambilla2
Medico, docente Politica sanitaria nell’Università di Firenze
Medico, direzione generale cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna
1
2
Abstract
Sin dalla sua istituzione, il Servizio sanitario nazionale si è tradizionalmente organizzato e ha investito quasi esclusivamente
nel settore delle malattie acute, secondo il paradigma dell’attesa e del modello biomedico di sanità: il sistema, i professionisti sanitari, si mobilitano cioè soltanto in occasione della manifestazione di un evento acuto o comunque a fronte di una
richiesta del cittadino. Oggi, a fronte dello scenario epidemiologico mutato, le organizzazioni sanitarie – per rispondere
adeguatamente ai bisogni di salute della popolazione – devono riorientare il proprio approccio alle malattie croniche secondo il paradigma della sanità d’iniziativa: il bisogno di salute deve essere riconosciuto prima dell’insorgere della malattia
o del suo aggravamento.
La sanità d’iniziativa si caratterizza per:
• la presenza di un team multiprofessionale (medici di
famiglia, infermieri, specialisti ecc.) in grado di svolgere un lavoro collaborativo e integrato in funzione
dei bisogni del paziente;
• una forte attenzione ai bisogni di salute della comunità, anche rispetto ai determinanti della salute (compresi quelli cosiddetti “distali”, ovvero quelli socioeconomici, che sono alla base delle crescenti disuguaglianze nella salute);
• la continuità delle cure attraverso un sistema facilmente accessibile alla persona e integrato tra i diversi livelli di assistenza, fondato sui richiami proattivi e programmati delle persone;
• l’enfasi sulla promozione della salute rivolta a tutta la
popolazione e sulle strategie di prevenzione mirate
più specificamente alle persone a maggior rischio.
Per ridisegnare il sistema sanitario sulla base di questi
elementi, è stato adottato a livello internazionale il modello concettuale del Chronic Care Model, elaborato da Ed
H. Wagner, direttore del MacColl Center for Health Care
Innovation.
Il Chronic Care Model si fonda sulla capacità di differenziare, riconoscendoli, i bisogni della popolazione in
relazione alla condizione clinica e di salute (stratificazione per gravità) delle persone, mettendo in atto differenti
strategie assistenziali a seconda della gravità. La stratificazione è rappresentata efficacemente da una piramide.
Il Chronic Care Model è stato adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità e largamente introdotto nelle
strategie d’intervento dei sistemi sanitari di diversi Paesi,
dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito,
Italia compresa, che ha recentemente approvato il Piano
nazionale della cronicità (Accordo Stato-Regioni del 15
settembre 2016).
Un modello innovativo che richiede tempo per realizzarsi
compiutamente, ma nella cui roadmap di avvicinamento
trovano posto due fondamentali condizioni: a) un team
multiprofessionale e multidisciplinare in condizione di
fornire, da una parte, prestazioni cliniche di qualità e,
dall’altra, una vasta gamma di interventi preventivi e di
promozione della salute in una prospettiva di medicina
proattiva; b) la presenza di strutture edilizie e di infrastrutture tecnologiche (informatiche e diagnostiche) che
possano supportare adeguatamente team numericamente consistenti e che rappresentino per la popolazione un
punto di riferimento concreto, riconoscibile, accogliente,
facilmente accessibile, affidabile per tutti i servizi sanitari
N. 211 - 2016
e sociali del territorio. Strutture di questo genere hanno
avuto una denominazione – Case della salute – a partire
dal 2006.
Fu in quell’anno infatti – con il secondo governo Prodi –
che il Ministro della sanità, Livia Turco, indicò nelle Case
della salute un obiettivo strategico per realizzare “l’integrazione tra sanitario e sociale, in un quadro di sviluppo
delle cure primarie a livello nazionale”.
Nel luglio 2007 il Ministero della salute emanò un decreto
per attuare la “Sperimentazione del modello assistenziale
Case della Salute” (con un fondo di 10 milioni di euro).
Al decreto era allegato un documento che conteneva la
definizione della struttura: «La Casa della Salute, struttura
polivalente in grado di erogare in uno stesso spazio fisico
l’insieme delle prestazioni sociosanitarie, favorendo, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori,
l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie, deve rappresentare la struttura di riferimento per l’erogazione dell’insieme delle cure primarie».
Tra l’elenco delle caratteristiche della struttura al primo posto si leggeva: “All’interno della struttura devono trovare
collocazione gli studi dei medici di medicina generale e
deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su
7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di
continuità assistenziale e di emergenza territoriale”.
Da allora, diverse Regioni si sono impegnate nella realizzazione di Case della Salute, ma solo in due di esse il
progetto ha superato la fase della sperimentazione ed è
divenuto parte integrante e concreta della programmazione sanitaria regionale: l’Emilia- Romagna e la Toscana.
L’esperienza della Regione Emilia-Romagna
La realizzazione delle Case della Salute in Emilia-Romagna si colloca all’interno e in continuità di un più ampio
percorso di innovazione avviato col Piano sanitario regionale 1999-2001, per promuovere l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, storicamente “a canne d’organo”,
facilitando così l’accesso ai servizi da parte della popolazione e migliorando la presa in carico e la continuità
dell’assistenza. Nell’anno 2000 sono stati istituiti i Nuclei
di cure primarie (NCP) forme organizzative per l’erogazione dell’assistenza primaria alla popolazione di riferimento, composti da pediatri di libera scelta, medici di
medicina generale, infermieri, ostetriche, medici specialisti (prevalentemente a sostegno dei percorsi assistenziali
per la cronicità) e assistenti sociali. I NCP hanno rappresentato un’opportunità per favorire la collaborazione tra
medicina convenzionata (in primis i medici di medicina
generale) ed i professionisti delle Aziende sanitarie (in
Le Case della Salute
993
primis gli infermieri ed i medici specialisti) e dei Comuni
(gli assistenti sociali). A 10 anni dall’avvio dei Nuclei di
cure primarie, la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna
ha approvato le prime indicazioni sulle Case della Salute
(Deliberazione n. 291 del 8 febbraio 2010), compiendo
una ulteriore evoluzione rispetto ai NCP. Le Case della Salute intendono qualificarsi come strutture facilmente riconoscibili e raggiungibili dalla popolazione di riferimento,
dove trovare risposta alla maggioranza dei bisogni di salute (di natura episodica e cronica) attraverso la garanzia
dell’accesso e dell’erogazione dell’assistenza sanitaria,
sociosanitaria e socio-assistenziale in integrazione con i
professionisti dell’ambito sociale, e con la partecipazione
della comunità locale (es. pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato).
Dal 2011 ad oggi il numero di Case della Salute è raddoppiato, 42 nel 2011 e 84 nel 2016 (ottobre), rappresentando il punto di riferimento per il 43% dei 4 milioni
e 500 mila abitanti dell’Emilia-Romagna e per il 60% dei
334 Comuni. Alle 84 Case della Salute funzionanti, se ne
aggiungono 38 programmate per i prossimi anni.
La maggioranza delle Case della Salute sono state realizzate come riqualificazione di strutture esistenti, sanitarie
(es. sede di attività distrettuali, sede della medicina di
gruppo, Poliambulatorio, piccolo Ospedale) e anche non
sanitarie (ex-scuola o ex-teatro). L’investimento economico
sostenuto per la sola riqualificazione edilizia ammonta
a circa 70 milioni di euro, provenienti da diverse fonti
finanziarie (statali, regionali, Aziende sanitarie, Comuni).
La programmazione delle Case della Salute nei territori
locali viene condivisa tra Azienda sanitaria / Distretto e
sindaci. Ogni Casa della Salute presenta una sua specifica complessità assistenziale, in funzione dei bisogni della
popolazione a cui si riferisce e delle caratteristiche del
territorio. Le Case della Salute possono avere un livelli di
complessità definibile come “basso”, riferito al 40% delle
Case della Salute, e “medio/alto”, riferito al 60%. Il livello “basso” comprende l’assistenza di pediatri di libera
scelta (PLS) / medici di medicina generale (MMG), l’assistenza infermieristica (ambulatorio prestazionale e ambulatorio per la gestione della cronicità in integrazione con
MMG e medico specialista); l’assistenza specialistica a
supporto dei percorsi per la cronicità; l’assistenza ostetrica e l’assistenza sociale. Il livello “medio/alto” comprende, in aggiunta alle tipologie di assistenza garantite
dal livello “basso”, tutte le funzioni e le attività tipiche
dell’assistenza distrettuale (es. funzioni amministrative di
accesso, valutazione del bisogno, sanità pubblica, Consultorio familiare, salute mentale, assistenza specialistica
994
Le Case della Salute
ambulatoriale). Nell’edificio che ospita le Case della Salute di “media/alta” complessità assistenziale possono
essere, inoltre, presenti l’Ospedale di comunità e/o strutture residenziali e semi-residenziali per diversi target di
utenza (es. anziani, disabili).
Nell’ambito distrettuale le Case della Salute ed i Nuclei di
cure primarie (NCP) si configurano come una rete simile
al modello Hub&Spoke dell’assistenza ospedaliera, in cui
le Case della Salute a “media\alta” complessità rappresentano l’Hub di quelle a bassa complessità (Spoke) e dei
NCP non ancora inseriti nelle Case della Salute. Questa
rete garantisce l’attuazione dei principi di prossimità ed
equità dell’accesso e della presa in carico.
A distanza di 6 anni dalle prime indicazioni sulle Case
della Salute stanno per essere approvate dalla Giunta regionale le nuove, che sistematizzano le “buone prassi”
maturate in questi anni nei singoli territori e le proposte
emerse dal confronto e dalla discussione con tutti i soggetti coinvolti a livello locale e regionale. Le principali
direttrici di sviluppo delle Case della Salute saranno il
rafforzamento della partecipazione della comunità locale
(pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato, fino ai singoli cittadini), dell’integrazione e del
coordinamento delle attività della Casa della Salute, e
della medicina d’iniziativa. In particolare, le nuove indicazioni regionali individuano per le Case della Salute a
“media/alta” complessità assistenziale un coordinamento, organizzativo e clinico-assistenziale. Il coordinamento
organizzativo è garantito da un responsabile, preferibilmente un coordinatore infermieristico e tecnico, e un board, composto da tutti gli attori coinvolti nella Casa della
Salute. Il coordinamento clinico-assistenziale è garantito
da referenti che hanno il compito di presidiare le funzioni
di governo clinico delle diverse aree integrate di intervento della Casa della Salute (es. medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri, assistenti sociali). Queste
sono organizzate per livelli di intensità assistenziale: prevenzione e promozione della salute; popolazione con bisogni occasionali-episodici; benessere riproduttivo, cure
perinatali, infanzia e giovani generazioni; prevenzione e
presa in carico della cronicità; non autosufficienza; rete
cure palliative. Le attività di ogni area sono realizzate attraverso l’integrazione delle competenze dei Dipartimenti
delle Aziende sanitarie (territoriali e ospedalieri) e dei
Comuni.
Le Case della Salute rappresentano una nuova soluzione organizzativa per affrontare il mutato contesto demografico,
epidemiologico e socio-economico, che richiede, tuttavia,
un profondo cambiamento culturale delle organizzazioni
N. 211 - 2016
sanitarie e sociali, dei professionisti, e della popolazione
stessa, ancora legata ad un modello “ospedalocentrico”.
Ad oggi politici, professionisti e cittadini valutano positivamente l’esperienza delle Case della Salute, fattore determinante per garantirne il successivo sviluppo.
L’esperienza della Regione Toscana
Il primo atto formale della Regione Toscana sulle Case
della Salute avviene quando nel febbraio 2008, dopo
il relativo finanziamento statale introdotto nella legge finanziaria 2007 (ripreso dal D.M. attuativo del 10 luglio
2007 e dall’ Accordo Stato Regioni del 1 agosto 2007),
la Giunta regionale approva i progetti pilota per la sperimentazione del “modello assistenziale Case della Salute”
in alcune Asl della Regione1.
Nel 2015 con delibera della Giunta regionale2 vengono
emanate le Linee d’indirizzo regionali sulle Case della
Salute, contenenti gli standard e i requisiti delle differenti
tipologie di strutture.
Nel 2015 è stata condotta una rilevazione delle Case
della Salute in Toscana per monitorare l’espansione ed i
cambiamenti dell’implementazione di tale modello nelle
cure primarie ed approfondire così le sue prerogative, in
particolare dal punto di vista dell’integrazione multi-professionale, della governance e della collaborazione con
altri servizi aziendali3. La mappatura mette in evidenza la
presenza di 46 Case della Salute (qualche altra è stata
aperta successivamente). Se una prima esperienza di Casa
della Salute è presente in Toscana dal 2006 (La Rosa, Asl
5 Pisa), ed altre quattro vengono aperte negli anni 20082009, il fenomeno comincia a consolidarsi dopo il 2010 e
raggiunge un’elevata rilevanza in questi ultimi anni (oltre il
50% delle Case della Salute attualmente presenti sono state aperte nel 2013 e 2014). Solo l’Asl 4 Prato non ha Case
della Salute attive, anche se il loro numero all’interno delle
Aziende e la loro distribuzione tra le zone-distretto è molto
diversificata. Le Case della Salute risultano concentrate in
territori/città di medie o piccole dimensioni, mentre non
sono ancora presenti nella grandi città. Ciò avvalora la tesi
secondo cui tali Presidi funzionano probabilmente meglio
in alcune tipologie di territori o comunque in condizioni
strutturali particolari. Si osserva una grande variabilità in
termini di ampiezza, che si riflette anche nel numero e nel
DGRT N. 139 del 25/02/2008
DGRT N. 117 del 16/02/2015
3
Bonciani M., Barsanti S. (2015) “La Case della Salute in Regione
Toscana: servizi, organizzazione ed esperienza di medici e assistiti.
Anno 2015” In corso di pubblicazione
1
2
N. 211 - 2016
tipo di servizi presenti (ad esempio Case della Salute di
grandi dimensioni includono anche Centri diurni e/o RSA).
Tale eterogeneità è dovuta anche al fatto che, in alcuni
casi, le sedi utilizzate da alcune Case della Salute sono
all’interno di Presidi distrettuali o ospedalieri già esistenti e
riorientati ad altra funzione. In larga maggioranza le Case
della Salute sono ubicate in strutture di proprietà dell’AUSL
o di altro ente pubblico.
Le Case della Salute sono aperte mediamente 12 ore al
giorno dal lunedì al venerdì e l’orario minimo di apertura
è di 7 ore. Senza considerare il servizio di continuità assistenziale, solo poche Case della Salute riportano di stare
aperte h24 per 7 giorni alla settimana e sono quelle che
inglobano servizi come RSA o Punto di primo soccorso,
altrimenti la metà delle strutture sono aperte soltanto alcune ore il sabato mattina.
In tutte le Case della Salute (con la sola eccezione di una)
sono presenti MMG, per oltre 300 MMG (mediamente
6-7 MMG per Casa della Salute), la cui maggioranza ha
il proprio ambulatorio prevalente all’interno della Casa
della Salute. Minore invece la partecipazione dei PLS,
presenti in 26 Case della Salute, per un totale di 33 PLS
coinvolti. Considerando il totale dei MMG e dei PLS che
operano in Case della Salute, la popolazione afferente
alle Case della Salute è rispettivamente di circa 372.000
e 24.500 assistiti, con un bacino medio di utenza per
Casa della Salute di circa 8.300 adulti e 1.000 bambini.
Gli infermieri e gli specialisti sono gli altri operatori sanitari maggiormente presenti nelle Case della Salute:
mediamente ogni Casa della Salute ha 9 infermieri e 9
specialisti, per un totale di oltre 400 operatori di ciascuno dei due gruppi professionali, diversificati però notevolmente dall’orario di presenza individuale all’interno
delle strutture. L’ambulatorio infermieristico è presente in
44 Case della Salute e la sanità di iniziativa viene svolta
in tutte le strutture, prevalentemente con percorsi relativi al
diabete mellito ed allo scompenso cardiaco. Gli ambulatori specialistici sono presenti in 42 Case della Salute, ed
altre 2 ne prevedono l’attivazione. Le specialità prevalenti
sono la cardiologia (in 30 Case della Salute), l’ostetriciaginecologia (in 23 Case della Salute), l’oculistica (in 23
Case della Salute), la dermatologia (in 23 Case della Salute) e l’ortopedia (in 19 Case della Salute).
Il servizio di assistenza sociale è presente in 40 Case
della Salute e gli uffici amministrativi in 38; si osserva
dunque che quasi tutte le Case della Salute toscane soddisfano il criterio di composizione minima di un’équipe
multidisciplinare, con MMG, infermieri, amministrativi,
specialisti ed operatori sociali.
Le Case della Salute
995
Il Centro unico prenotazioni (CUP) è inserito in quasi tutte
le Case della Salute (43 strutture e le altre 3 lo prevedono) ed anche il punto prelievi è ampiamente diffuso (40
Case della Salute). Il servizio di continuità assistenziale è
invece presente in poco più della metà delle Case della
Salute (26), ma in altre 15 è prevista la sua attivazione.
La diagnostica di primo livello (principalmente ecografie, radiologia convenzionale, spirometria ed ECG) è
presente in 29 Case della Salute ed il servizio di telemedicina solo in 13 strutture (e circa altrettante prevedono
di attivarlo).
Presenti attività di prevenzione (vaccinazioni e screening
della cervice uterina) in circa la metà delle Case della Salute, ed ancor meno diffusa l’attività di promozione della
salute rivolta alla comunità di riferimento.
Da migliorare invece il consolidamento di percorsi volti
alla continuità assistenziale sia all’interno delle Case della Salute che con altri servizi aziendali. Solo poco più della metà delle Case della Salute, infatti, riferisce l’esistenza
di agende dedicate per la specialistica che i MMG possono utilizzare per i propri assistiti, ma nella maggioranza
dei casi solo per quelli coinvolti nei moduli della sanità di
iniziativa. Limitata anche la collaborazione con l’esterno:
poco più di una Casa della Salute su tre ha rapporti con
gli ambulatori specialistici interni e con il servizio sociale
del Comune o di altro ente, mentre non esistono collaborazioni con i reparti ospedalieri e il Pronto Soccorso in
oltre il 50% delle Case della Salute.
Anche l’integrazione professionale è un aspetto che deve
essere rafforzato: si osserva una più diffusa abitudine a
svolgere incontri periodici di tipo organizzativo, rispetto a quelli di tipo clinico, che, se svolti, risultano esserlo
in base all’esigenza di discutere e confrontarsi su casi
o situazioni complesse piuttosto che ad una previa programmazione periodica. I professionisti che hanno ormai
un’abitudine consolidata ad incontrarsi sono i MMG e
gli infermieri, mentre i MMG e quelli della continuità assistenziale svolgono meno frequentemente incontri, sia di
tipo organizzativo che clinico.
Le Case della Salute hanno una discreta dotazione tecnologica, in termini di postazioni informatiche e connessioni
(rete LAN e collegamento alla rete aziendale), ma non
è ancora omogeneamente diffuso l’utilizzo di software
gestionali al loro interno, ad eccezione dei programmi
relativi al CUP, alla gestione dell’anagrafe assistiti ed il
sistema gestionale per MMG/PLS. L’aspetto più critico
riguarda la mancanza di cartelle informatizzate, con 8
Case della Salute che non utilizzano tale strumento tecnologico per la condivisione dei dati dei pazienti, che
996
Le Case della Salute
costituisce invece un elemento facilitante l’integrazione
professionale.
La condivisione dei dati nelle Case della Salute da parte
dei MMG e degli infermieri è generalmente diffusa, forse
anche in relazione alle varie attività della sanità di iniziativa, mentre è più limitato l’accesso ai dati da parte di altri
professionisti sociosanitari, degli specialisti, dei PLS e dei
medici di continuità assistenziale.
Sono ancora poche, infine, le Case della Salute in To-
N. 211 - 2016
scana che si sono dotate di sistema di governance e di
strumenti di programmazione e controllo (identificazione
di figure di coordinamento, definizione di programmi e
obiettivi, budget, valutazione e reportistica).
Bibliografia
Brambilla A, Maciocco G, Le Case della Salute. Innovazione e
buone pratiche, Carocci Faber, Roma 2016.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
997
Dall’awareness
all’empowerment
di comunità
Giovanni Coglitore, Rosa Costantino, Vanessa Vivoli
Area Reputation &Brand - Staff Direzione strategica, Azienda USL di Modena
Abstract
L’implementazione delle Case della Salute nel territorio della provincia di Modena sta determinando lo sviluppo di nuove
modalità di relazione e di un nuovo modello di servizio per la comunità di riferimento. Il progetto “Praticare la partecipazione
nella Casa della Salute” in Azienda USL di Modena, attraverso un modello di pratica partecipativa basata sull’integrazione
di metodi e saperi diversi, si propone di co-costruire il senso e il significato del nuovo modello di costruzione della salute sul
territorio al fine di rendere i cittadini consapevoli del cambiamento in un’ottica di empowerment di comunità. Utilizzando la
metodologia del digital storytelling, è stato possibile integrare una moltitudine di stimoli e significati all’interno di una struttura
narrativa coerente rafforzando la percezione della Casa della Salute che si concretizza come innovazione sostanziale per
la comunità.
“Le Case della Salute sono una struttura territoriale di riferimento alla quale i cittadini possono rivolgersi in ogni
momento della giornata per trovare risposte concrete,
competenti e adeguate ai loro diversi bisogni di salute
e di assistenza primaria, nella quale operano congiuntamente medici di medicina generale, specialisti, infermieri, ostetriche, operatori.” (Delibera di Giunta regionale
dell’Emilia Romagna n. 291 del 08/02/2010).
Da questa definizione risulta evidente che le Case della
Salute si pongono nei confronti dei cittadini come un’esperienza nuova non solo in termini di servizi offerti ma
anche come nuova modalità di relazione. Il brand “Casa
della Salute” si carica di significati come la valorizzazione della comunità locale, l’integrazione delle politiche
per la salute, il coinvolgimento attivo e proattivo dei professionisti sanitari, sociosanitari e sociali. Un “nuovo luogo” nato per integrare e facilitare i percorsi e i rapporti
tra i servizi e i cittadini, per restituire alla popolazione
una visione unitaria della salute, non solo come diritto del
singolo ma anche come interesse della collettività.
Sulla base di queste premesse nasce il progetto “Praticare
la partecipazione nello sviluppo delle Case della Salute”
in Azienda USL di Modena, dove attraverso la pratica
della partecipazione si perseguono al tempo stesso con-
sapevolezza e ingaggio dei cittadini affinché non siano
solo informati del cambiamento – in termini di servizi
erogati – ma diventino contemporaneamente consapevoli
del valore potenziale che le Case della Salute aggiungono nel loro territorio sentendosi inclusi nel progetto di
cambiamento. Il progetto è stato, ad oggi, attuato nelle
Case della Salute di Castelfranco Emilia, Spilamberto e
Guiglia.
Di fronte, infatti, alla complessità reale, ci si è resi conto
di quanto gli approcci comunicativi tradizionali, che si
basano spesso su strategie esclusive – decisione tecnica,
scelta migliore per i cittadini e annuncio alla comunità
– possano creare un vuoto di significato ed essere ad
elevato rischio di polemica e controversia.
Da questo punto di vista, la partecipazione, intesa come
leva strategica inclusiva, apre alla co-costruzione di senso, rafforza l’accountability delle scelte, e attiva anche
azioni di ascolto e consultazione al fine di individuare
nuovi bisogni e fragilità, attuando o ricalibrando progettualità. La partecipazione resta tuttavia non solo un mezzo ma anche un fine che in termini di risultati può portare
sia a scelte migliori ma anche a migliori relazioni, rafforzando quindi il legame di fiducia tra istituzioni pubbliche
e cittadini. In senso longitudinale, si può infatti affermare
998
Le Case della Salute
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Fig. 1. Rappresentazione del processo di sviluppo dei soggetti che partecipano al policy making (Palumbo, Torrigiani
2009)
che un processo partecipativo contribuisce a sviluppare
un percorso di crescita, quindi di apprendimento dei soggetti coinvolti, prevedendo anche il processo evolutivo
di cittadini, da potenziali stakeholder, informati o che si
informano, a stakeholder consultatati e ascoltati, che a
loro volta possano diventare shareholder, cioè cittadini
responsabili non solo della propria salute ma anche responsabili della salute della propria comunità (Fig. 1),
attivando processi di empowerment (Palumbo, Torrigiani
2009).
Nello stesso tempo, la stessa organizzazione apprende,
allontanandosi dall’idea che esista un one best way determinato dal sapere tecnico-specialistico e riconoscendo
come nelle società complesse sia impossibile una netta
separazione tra “sapere esperto” e “sapere profano”,
portando nei processi decisionali anche le conoscenze
esperienziali dei cittadini, considerati anche nelle loro forme di rappresentanza (Cervia, 2014).
L’impianto metodologico
La partecipazione rischia di essere considerata positiva
in sé ma spesso vaga e con poche ricadute in termini di
risultati.
Per tale ragione, siamo partiti da un impianto concettuale
che considera le dimensioni sociali della partecipazione,
definita come un insieme categoriale di azioni che ripropongono le “pratiche che intervengono nel percorso partecipativo”, nello specifico: comunicazione, animazione
(engagement), ascolto ed empowerment. (Fig. 2).
L’individuazione di categorie, tuttavia, non deve indurre
a pensare la partecipazione come sommatoria di azioni, in modo particolare per l’impossibilità di individuare
confini netti che separino inequivocabilmente una categoria dall’altra e consentano in questo modo di isolare e
considerare distintamente ciascuna pratica. Al contrario,
all’interno del processo partecipativo, le azioni di comunicazione, di animazione, di consultazione e di empowerment non solo si alimentano a vicenda, ma si richiamano
di continuo (Ciaffi, Mela, 2006).
Affinché questo “richiamo” non produca ridondanza e
confusione è altresì necessario che dietro un progetto
partecipativo così concepito ci sia sempre una strategia
intenzionale e condivisa con tutti gli attori interessati e
che le azioni siano agite in modo coordinato, tempestivo
e riflessivo sui risultati prodotti.
In particolare due sono le questioni sui cui porre attenzione durante tutto il processo: i soggetti da coinvolgere
e l’orchestrazione degli strumenti operativi che si intende
proporre nelle diverse fasi.
In riferimento agli attori, è importante sottolineare l’atten-
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
999
Fig. 2. Le quattro “dimensioni sociali” della partecipazione (Ciaffi, Mela, 2006)
zione che si è posta nel mapparne le risorse formali e
informali presenti nel territorio, cercando quindi di andare al di là dei “soliti noti”, allargando il coinvolgimento
a soggetti diversi fra loro ma che fossero il più possibile
rappresentativi dell’interesse della collettività (grado di
inclusività orizzontale). Pensare a chi coinvolgere significa anche rivolgersi verso l’interno del sistema Azienda,
agganciando i professionisti sanitari, protagonisti del
processo e andare verso altri attori istituzionali (grado
d’inclusività verticale).
Alla luce di queste ultime considerazioni una delle conditio sine qua non per impostare un percorso di partecipazione delle comunità alla salute risulta la sua qualità
“embedded” che definisce quanto i risultati ottenibili siano strettamente connessi al territorio e contesto sociale in
cui si vuole agire.
Le azioni (Le pratiche partecipative)
Il primo gradino, prerequisito da cui partono tutte le altre
azioni che inducono all’inclusione, è quello relativo alla
comunicazione. Con-dividere l’informazione è il primo
passo per la definizione di un frame comune, al cui interno si potranno poi costruire linguaggi, conoscenze e comportamenti che contribuiranno a generare le azioni successive. Le informazioni non dovranno essere percepite
come calate dall’alto, al fine di trasformare il messaggio
in una risorsa personale o di gruppo utile per intervenire.
Per questo, nel caso specifico del nostro progetto abbiamo
ritenuto opportuno utilizzare la metodologia del digital
storytelling (letteralmente “atto del narrare”), metodo che,
attraverso le piattaforme di comunicazione digitali, usa la
narrazione come mezzo creato dalla mente per inquadrare gli eventi della realtà e spiegarli secondo una logica
di senso. Attraverso un processo narrativo digitale è stata
posta in essere una strategia di avvicinamento all’innovazione con lo scopo di rendere comprensibile e rafforzare
il significato della Casa della Salute per la comunità. Tale
metodologia ha permesso di utilizzare una moltitudine di
stimoli e significati all’interno di una struttura narrativa
coerente “umanizzando” il brand (Campegiani, 2016). Il
processo di umanizzazione del brand si basa sul convincimento che il processo narrativo dovrebbe far percepire
alla comunità la consapevolezza che per costruire salute
l’Azienda ha la necessità (prima e più dell’obbligo) di
ascoltare la sua storia per fare in modo che la comunità
stessa ne voglia diventare parte positiva e attiva.
Sul piano operativo sono stati utilizzati tutti i canali di comunicazione digitali dell’Azienda USL di Modena: portale web, intranet, pagina Facebook, profilo Twitter, canale
YouTube, app MyAUSL insieme ai canali di comunicazio-
1000
Le Case della Salute
ne più tradizionali. I contenuti multimediali (immagini, video, testi) sono stati resi fruibili secondo una strategia che
sul piano temporale potesse rendere il cittadino/utente il
più possibile allineato in termini di awareness coinvolgendo i soggetti che potessero generare quello che nel linguaggio del web è definito come “sentiment” nel territorio
di riferimento in una logica di engagement di comunità
(Iscoe e Harris 1984; Fabbri 2009).
I soggetti coinvolti nelle iniziative di avvicinamento hanno
riguardato un pool eterogeneo con l’obiettivo di raccontare il senso e il significato della Casa della Salute da più
punti di vista: professionisti sanitari, mondo del volontariato, medici di medicina generale e pediatri di libera
scelta, istituzioni. L’eterogeneità delle persone coinvolte
nella produzione di materiale multimediale ha permesso
al cittadino di ottenere una rappresentazione del significato e del valore della Casa della Salute da tutte le angolazioni possibili. Inoltre, i professionisti che lavoreranno
in rete sono stati tutti coinvolti secondo una strategia di
rafforzamento del brand. La strategia adottata ha permesso anche di enfatizzare il principio di trasparenza nell’utilizzo delle risorse destinate all’implementazione delle
nuove strutture.
Nello specifico, la produzione di contenuti multimediali
ha riguardato:
• video sullo stato di avanzamento dei lavori architettonici (utilizzando la tecnica del Time-Lapse);
• video-interviste ai professionisti che avrebbero lavorato nelle Case della Salute (MMG, PLS, specialisti,
amministrativi);
• video-interviste a stakeholder significativi, quali forme
di rappresentanza dei cittadini (volontariato) e agli
esponenti del mondo delle istituzioni (sindaci, assessori, etc.);
• brochure, banner e inviti, sia in formato cartaceo che
digitale, volti a spiegare nel dettaglio le iniziative di
presentazione e apertura delle Case della Salute;
• immagini e video sugli eventi di inaugurazione e/o
open day delle Case della Salute;
• videoalternanza real & digital degli spazi della nuova
struttura e dei servizi da essa erogati.
La creazione di eventi sulla pagina aziendale Facebook,
insieme ad una sezione ad hoc del sito web e della App
aziendale “MyAUSL”, ha permesso di raggiungere, seguendo la geolocalizzazione, più utenti possibili del territorio di riferimento. Sono stati altresì promossi incontri sul
territorio (circoli cittadini, Centri diurni, etc.) per i potenziali utenti che non utilizzano (o sotto-utilizzano) piattafor-
N. 211 - 2016
me digitali di comunicazione, rispondendo e rafforzando
il principio di equità informativa.
L’engagement della comunità ha trovato il suo culmine
nelle iniziative di presentazione e apertura delle Case
della Salute ai loro cittadini.
Le attività di engagement fanno infatti riferimento a forme
di rafforzamento del senso di comunità di un determinato
territorio ad elevata valenza espressiva e si prefiggono di
stimolare la popolazione non solo sul piano cognitivo ma
anche emozionale, facendo leva sul senso d’appartenenza territoriale con lo scopo di ri-creare legame di fiducia
tra collettività e Azienda sanitaria locale.
Gli eventi di presentazione e apertura delle Case della
Salute, che abbiamo organizzato, dal punto di vista strategico hanno agito come una cassa di risonanza delle
azioni e dei messaggi comunicativi realizzati fino a quel
momento “centrale”.
Innanzitutto, richiamando il metodo del digital storytelling, abbiamo scelto di raccontare la Casa della Salute
attraverso “percorsi narrativi” di storie di salute con cui
i cittadini, riconoscendosi, potessero identificarsi, storie
che hanno consentito di mostrare non solo i luoghi nuovi
ma anche come la presa in carico del bisogno fosse multiprofessionale e integrata tra servizi ospedalieri e territoriali. E proprio per questo si è agito in modo che tutti i
professionisti sanitari, socio-sanitari e sociali coinvolti nei
percorsi fossero presenti il giorno dell’iniziativa, indipendentemente che lavorassero o meno all’interno della Casa
della Salute.
Allo stesso tempo, abbiamo puntato sul messaggio che la
Casa della Salute non rappresenta un riferimento solo nel
momento di necessità sanitaria ma si pone come un luogo
dove si produce salute. Da qui l’idea delle “Piazze del
benessere”, dove si è chiesto a tutti i principali stakeholder esterni all’Azienda ma co-produttori di benessere per
la Comunità, di esserci e di mostrare le loro attività e
buone prassi. In questo modo abbiamo ottenuto la presenza attiva dell’Ente locale, della Scuola e delle principali
Associazioni di volontariato, partner dell’Azienda, che
attraverso giochi e laboratori hanno coinvolto i cittadini.
In questo modo abbiamo puntato a due obiettivi importanti per il brand: il primo riguarda il consolidamento
dell’immagine dell’Azienda sanitaria nel suo ruolo di
stewardship, ovvero di guida nel campo delle relazioni
tra gli attori esterni ma che operano nel sistema salute; il
secondo invece riguarda il coinvolgimento anche di cittadini non propriamente abituati a riferirsi ai servizi sanitari, quali ad esempio i bambini e le loro famiglie, e gli
adolescenti.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
In modo contemporaneo alle azioni di comunicazione ed
engagement si sono sviluppate anche attività di ascolto e
consultazione della comunità in riferimento a specifiche
progettualità che si stavano definendo per le Case della
Salute nel territorio di Modena. Si è voluto così sperimentare come alla base della identificazione di priorità sulle quali agire, fossero posti non solo dati amministrativi ed epidemiologici ma anche indagini qualitative che permettessero
di includere l’esperienza vissuta dai cittadini, potenziali
target degli interventi, e il punto di vista, ancora una volta,
di stakeholder esterni all’Azienda ma che a livello operativo potevano contribuire alla realizzazione della policy.
Abbiamo quindi realizzato specifici interventi di ricercaazione attraverso Focus Group, interviste in profondità, etc, che hanno permesso ai professionisti sanitari di
“guardare fuori” e ridefinire le loro progettualità, cogliendo bisogni non sempre evidenti, aspettative inattese e collaborazioni diverse.
A nostro giudizio, le diverse azioni implementate rimandano di continuo al quadrante dell’empowerment che, rispetto
all’impianto metodologico descritto, risulta essere sia parte
costituente del processo (mezzo) che risultato atteso (fine).
L’esito finale atteso del coinvolgimento vuole essere quello
di migliorare l’empowerment individuale, avendo lavorato
sulla convinzione soggettiva di poter influire sulle decisioni che riguardano la propria vita, sia quello di comunità,
avendo attivato connessioni tra le organizzazione e risorse presenti nel territorio, cercando di rafforzare “comunità
competenti” in cui i cittadini hanno le conoscenze, le risorse e le motivazioni per intraprendere insieme con l’Azienda sanitaria attività volte al miglioramento della loro salute.
L’incertezza sul risultato è d’obbligo, in questo caso, poiché l’empowerment costituisce il lascito più importante in
termini formativi a conclusione di un percorso partecipativo, la cui istituzione di per sé non è però sufficiente a
garantire l’accrescimento delle capacità dei cittadini. Ciò
può verificarsi nei casi in cui il processo partecipativo non
si concluda solo con azioni di engagement e adozione di
scelte condivise che tengano conto delle istanze emerse,
ma con azioni che rispondano più propriamente ai bisogni di salute di quella comunità e che ne possano anche
favorire un esperienza più positiva e una maggiore fiducia
(impatti).
E questo è quello che intendiamo valutare nel prossimo
futuro.
Conclusioni
L’approccio seguito, sia da un punto di vista strategico che
operativo, ha rappresentato una modalità nuova con rife-
1001
rimento alla metodologia di lavoro che integra metodi e
saperi diversi nella costruzione di senso e nella narrazione
della Casa della Salute. Con queste premesse, l’implementazione di un sistema di valutazione delle performance e
dell’efficacia, basato sulla produzione di indicatori che
riescano a valutare aspetti considerati, in larga misura, intangibili, come la comunicazione intesa come awareness,
l’empowerment, l’engagement e la capacità di ascolto,
sarà di primaria importanza, nell’immediato futuro, con l’obiettivo di rafforzare e migliorare la percezione del brand
“Casa della Salute” che si realizza e si concretizza come
innovazione sostanziale per la comunità.
Bibliografia e sitografia
Ambrosini M. Sociologia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna
2005.
Bauman Z. La società dell’incertezza. Il Mulino, Bologna 1999.
Bobbio L. (a cura di). A più voci. Amministrazioni pubbliche,
imprese e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni
Scientifiche Italiane, Roma 2004.
Campegiani N. http://www.popupmag.it/come-creare-unbuon-digital-storytelling-nel-settore-medico/. (2016).
Cervia S. La partecipazione dei cittadini in Sanità. Franco Angeli, Milano 2014.
Ciaffi D., Mela A. La partecipazione, Carocci, Roma 2006.
Fabbri, M. Empowerment e nuove tecnologie. Nuove sfide per
la prevenzione e la riabilitazione della dipendenza, Ricerche di
pedagogia e didattica, 4, 2009.
Franceschini S. (a cura di). PartecipAzioni: sostantivo, plurale.
Guida metodologica per la gestione di processi di partecipazione integrati, Quaderni della Partecipazione, Regione EmiliaRomagna. 2016.
Iscoe, I., & Harris, L.C. Social and Community Interventions. Annual Review of Psychology. 1984;35:333-60.
Mazzoli G., Pellegrino V., Lelli MB, et al. Le energie rinnovabili e il Community Lab. Agenzia Sanitaria e sociale regionale
dell’Emilia-Romagna. 2013.
Nicoli MA, Mazzoli G, Pellegrino V, et al. La programmazione
partecipata per un welfare di comunità. Linee guida per la sperimentazione delle pratiche partecipative nell’ambito dei Piani
di zona per la salute e il benessere sociale. Agenzia Sanitaria e
sociale regionale dell’Emilia-Romagna. 2015.
Palumbo M, Torrigiani C (a cura di). La partecipazione fra ricerca e valutazione. Franco Angeli, Milano 2009.
Palumbo M. Il processo di valutazione. Decidere, programmare,
valutare. Franco Angeli, Milano 2001.
1002
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Il nuovo sistema di welfare
in Lombardia
Cristina Sarchi
Direttore generale RSA Villa dei Cedri Merate
Abstract
Il nuovo sistema di welfare lombardo raccoglie in sé importanti innovazioni sia sul fronte legislativo sia sul fronte organizzativo. Il testo ripercorre le tappe normative fondanti il nuovo modello e approfondisce i dettami della recente Legge regionale
lombarda 23/2015 che si pone come obiettivo prioritario l’integrazione del sistema sanitario con quello socio-assistenziale.
La cosiddetta integrazione Ospedale-territorio dovrà assicurare al cittadino una presa in carico globale dei bisogni di salute
e benessere. La nuova forma organizzativa identificata nei Presidi sociosanitari territoriali offre la possibilità a tutti gli attori
istituzionali e privati di sperimentare nuove forme di collaborazione interprofessionale per superare la frammentazione dei
servizi e della presa in carico.
Il nuovo sistema di welfare lombardo, consolidato nei suoi
tratti peculiari con l’introduzione della Legge regionale
(LR) 23/2015, e già delineato nei principi ispiratori dalla
LR 31/1997, cerca di portare a compimento un modello capace di creare integrazione tra il sistema sanitario
e il sistema socio-assistenziale. Entrambi i sistemi sono
tradizionalmente caratterizzati per una forte differenziazione sia del quadro legislativo di riferimento sia per le
modalità organizzative adottate. Il sistema sanitario è fondato sul principio “autorizzativo” – secondo il quale per
rispondere ai bisogni sanitari serve un atto di autorizzazione della Pubblica Amministrazione (art. 32 della Costituzione italiana) – mentre il sistema socio-assistenziale,
da sempre meno normato, si fonda sul principio di “libertà” (art. 38 della Costituzione italiana) riconoscendo ai
soggetti erogatori la libertà di organizzarsi per l’agire
sociale. Questi due ambiti (sanitario e socio-assistenziale)
di fatto rappresentano una unica area di bisogno indifferenziato per l’individuo, che fatica a distinguere tra ciò
che viene definito come bisogno strettamente sanitario e
ciò che afferisce alla sfera sociale e assistenziale. Di conseguenza, per realizzare una reale integrazione tra i due
sistemi anche la legislazione regionale e nazionale stanno evolvendo verso una normazione dei due ambiti più
coerente e integrata. La necessità di non creare soluzione
di continuità nella presa in carico dei bisogni di salute e
benessere dei cittadini, rappresenta una rinnovata sfida
del SSN che permea sia i recenti atti legislativi regionali
sia le direttive nazionali (si veda il Patto per la Salute e il
Piano per la cronicità 2016 oltre ai nuovi LEA e alle Linee
guida per i LEA sociosanitari).
In effetti non è poi così vero che le peculiarità del “modello di welfare lombardo” si differenziano profondamente
dalle linee evolutive indicate a livello di governo centrale,
anzi a una attenta rilettura degli atti legislativi di questi ultimi anni, emerge una sostanziale convergenza sui
principi di fondo che sanciscono l’importanza di offrire
al cittadino una presa in carico globale e integrata dei bisogni di salute e benessere, lasciando spazi di autonomia
più ampi sul fronte delle forme organizzative da adottare.
Considerando l’andamento demografico ed epidemiologico della società sempre più caratterizzata da popolazione anziana in condizioni di cronicità e fragilità,
aumento dei nuclei mono familiari, ridotte risorse economiche a disposizione dei cittadini, emerge un quadro di
progressivo aumento dei bisogni in area sociale e assistenziale fortemente integrati con gli aspetti sanitari (Mallarini, Rappini e Vercellino 2015). In passato il cosiddetto
“Modello sanitario lombardo”, ha puntato sulla ricerca
dell’eccellenza in ambito ospedaliero, raggiungendo elevati livelli di servizio sia dal punto di vista qualitativo che
quantitativo, rappresentando un punto di riferimento per
le cure ospedaliere anche per i residenti di altre Regioni
d’Italia.
A corollario e a supporto delle cure ospedaliere post acuzie, ha sempre operato in Lombardia il sistema degli attori
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territoriali, che hanno offerto servizi socio-assistenziali domiciliari e residenziali, con percorsi di presa in carico autonomi e per ora scarsamente integrati con l’Ospedale. La
sfida di rinnovamento introdotta già con la LR 33/2009
e con la successiva LR 23/2015, riporta al centro del
sistema di welfare il settore sociale e il socio-assistenziale
che dovranno necessariamente evolvere come soggetti
integrati nel percorso di cura non più di carattere prettamente sanitario. Così l’auspicata integrazione Ospedaleterritorio dovrà concretizzarsi nell’adozione di percorsi
di cura che vedranno l’alternanza virtuosa di differenti
professionalità, specializzazioni, ruoli, competenze, andando a rompere i consolidati confini che fino ad ora
hanno caratterizzato il mondo delle professioni mediche,
paramediche, assistenziali e sociali. Differenti saranno gli
attori istituzionali pubblici e privati che dovranno costruire una rete integrata di servizi che ponga al centro le
esigenze del paziente. L’azione di governo della Regione
Lombardia tramite le sue Agenzie di tutela della salute
(ATS) sarà sempre più orientata a svolgere il ruolo di ente
“programmatore e regolatore” di un sistema complesso
di attori che fino ad ora hanno lavorato prevalentemente
secondo processi verticali di specializzazione con scarsa
integrazione orizzontale.
Esprimere capacità di governo significa dunque essere in
grado di orientare verso obiettivi comuni e condivisi, attori pubblici e privati molteplici, con interessi non sempre
convergenti, che andranno attivati sempre più dal “basso” con modalità inclusive secondo il principio di sussidiarietà che caratterizza il nostro sistema di welfare. Dato il
quadro legislativo di riferimento e gli obiettivi da raggiungere, la sfida del rinnovamento si sposta sul livello della
ricerca e sperimentazione di nuovi modelli organizzativi
da adottare per facilitare il lavoro in rete degli erogatori.
Ecco dunque che, in coerenza con quanto già previsto
dal Patto per la Salute, con i cosiddetti Presidi territoriali,
nella LR 23/2015 (art. 7 comma 16 e comma 17) vengono introdotte nuove modalità organizzative di riferimento
con lo scopo di integrare le attività e le prestazioni di carattere sanitario, sociosanitario e sociale che concorrono
alla presa in carico della persona cronica e fragile. I Presidi sociosanitari territoriali (PreSST) vengono identificati
come il luogo organizzativo (fisico e non) ove si:
erogano prestazioni sanitarie e sociosanitarie ambulatoriali e domiciliari a media e bassa intensità;
possono attivare degenze intermedie, subacute, post acute e riabilitative, a bassa intensità prestazionale ed in funzione delle particolarità territoriali, secondo la programmazione dell’ATS territorialmente competente;
Le Case della Salute
1003
promuovono percorsi di sanità d’iniziativa, di prevenzione e di educazione sanitaria.
Sempre all’art. 7 comma 14 della LR 23/2015 si cita
“Tali Presidi possono essere preferibilmente organizzati in collegamento funzionale con le Unità complesse di
cura primarie, garantendo il coordinamento con l’attività
degli specialisti ambulatoriali [...] Tali Presidi devono essere ben identificabili dal cittadino e costituiti all’interno
di strutture, quali Presidi ospedalieri, poliambulatori, strutture territoriali e Unità d’offerta sociosanitarie, collegate in via informatica con l’Azienda di appartenenza e
dotate di strumentazioni di base, che costituiscono sedi
privilegiate per l’esercizio della medicina di iniziativa nei
confronti delle cronicità e delle fragilità, e concorrono a
garantire la continuità delle cure” .
Attualmente il sistema di welfare lombardo è caratterizzato da una pluralità di attori, strutture e punti di accesso nel
quale il paziente si muove tra i punti della rete per fare
integrazione e costruire il “suo” percorso di cura.
Il ripensamento dei setting del sistema di offerta e la ridefinizione dei modelli di presa in carico caratterizzati
da continuità assistenziale secondo logiche orizzontali
di process management, saranno finalizzati a governare e rendere fluidi gli spostamenti del paziente tra cure
primarie, secondarie e terziarie. Il PreSST si configura
pertanto come uno strumento di politiche socio-sanitarieassistenziali integrate che dovrebbe perseguire i seguenti
obiettivi:
• migliorare l’esperienza individuale di cura;
• assicurare continuità e appropriatezza delle cure;
• promuovere l’integrazione tra Ospedale-territorio;
• prevenire le riacutizzazioni (riduzione dei ricoveri
ospedalieri);
• contribuire alla sostenibilità economica del complessivo sistema di welfare con la riduzione delle prestazioni improprie.
Il Presidi sociosanitari territoriali (PreSSt) si configura
come il luogo della integrazione (complessa, multidisciplinare, multidimensionale e policentrica), è una modalità
organizzativa e va inteso come uno strumento di connessione che deve collegare punti di offerta differenti, deve
essere pensato in ottica flessibile e di adattabilità alle diverse esigenze dei territori.
È utile per:
• il superamento di un modello di assistenza a “compartimenti stagni” fondato sul concetto delle singole
prestazioni che spetta al paziente “integrare” in un
percorso;
• il passaggio da un approccio specialistico tradiziona-
1004
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
le che mette al centro la malattia (disease oriented) a
un approccio focalizzato sulla persona e sulla valutazione e gestione globale e multidisciplinare dei suoi
problemi (person oriented);
• favorire una visione “sistemica” dell’assistenza, fondamentale nelle patologie croniche, considerando tutti
gli attori e le tappe del processo di cura;
• costruire una rete funzionale integrata con forte valorizzazione della responsabilità e dell’autonomia professionale di tutti gli operatori.
L’integrazione professionale serve essenzialmente a far
confluire i saperi e le competenze detenute da persone
diverse e in luoghi differenti. Le relazioni di interdipendenza tra strutture di offerta e le attività da erogare per
la presa in carico unitaria, possono essere facilitate e sostenute anche da strumenti di lavoro gestionali condivisi
quali la valutazione multidimensionale integrata del bisogno (VMI), i piani assistenziali individuali (PAI), i percorsi
diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA).
Con queste strumentazioni si cerca di superare la logica
verticale dei processi erogativi basati sulle singole prestazioni, rendendo routinari e stabili i collegamenti tra i
diversi punti e soggetti della rete d’offerta.
L’integrazione professionale in ambito clinico e socio-assistenziale rappresenta una variabile fondamentale rispetto
all’implementazione di soluzioni collaborative di presa in
carico e può assumere diverse gradazioni in un continuum che va da forme poco formalizzate a soluzioni più
strutturate e formali.
Anche la scelta delle soluzioni di integrazione con condivisione fisica di spazi o solo di processi lascia la porta
aperta a molteplici possibilità realizzative. Come si vede
Figura
d’integrazione
organizzativa.
Figura11Le
- Lelogiche
logiche d'integrazione
organizzativa
Alto
Livello di integrazione
organizzativa
(a livello strutturale)
Provider/Struttura con
coordinamento interno
alto
Provider/Struttura
multi servizio con
coordinazione interna
bassa
Rete di Provider/Strutture
Rete di Provider/strutture
organizzate e coordinate
Basso
Debole
Livello di coordinamento nella
erogazione del servizio (es: regole,
processi, procedure, sistemi
informativi)
Fonte: Adattata da Curry e Ham (2010)
Forte
nello schema sottostante (figura 1) il PreSSt potrebbe assumere diverse “configurazioni” a seconda delle esigenze
peculiari del territorio e dei suoi attori.
Certo che la sola condivisione di spazi fisici non assicura
il livello adeguato di integrazione professionale e di processi che stanno alla base della presa in carico unitaria
del paziente, è necessario agire anche sul fronte della
messa in comune delle modalità di lavoro, delle prassi
operative, dei metodi e degli strumenti, per raggiungere
un adeguato livello di coerenza nella erogazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali.
I PreSST nell’ATS Brianza: stato di avanzamento dei
lavori
L’azione di governo della ATS della Brianza, neo costituita ad inizio 2016, già dalle fasi iniziali di attività si è
caratterizzata per una forte tensione al coinvolgimento attivo dei soggetti rappresentativi del territorio, introducendo nuove modalità di lavoro condiviso. A giugno 2016
è stato siglato un innovativo “Accordo territoriale per un
welfare partecipato” a cui hanno aderito tutti i principali
stakeholder istituzionali pubblici e privati. L’accordo territoriale poneva le basi per il successivo lavoro di forte
coinvolgimento dei soggetti erogatori che ha permesso di
avviare il primo progetto di PreSST sul territorio montano
della Valsassina. E’ importante sottolineare alcuni contenuti dell’accordo che ben individuano lo “spirito” che sta
permeando l’azione di governo della ATS della Brianza.
“… Il presente Accordo è un patto condiviso e aperto a
tutti i soggetti che operano per il benessere della popolazione del territorio, per dare le risposte che solo agendo
in rete, in maniera coordinata, integrando le filiere del sociale, del sociosanitario e del sanitario, si possono offrire
alla comunità. Tale patto assume le complessità attuali della risposta ai bisogni di salute, chiamando alla condivisione e alla responsabilità sociale e pubblica tutti gli attori
che concorrono alla definizione del welfare. L’Accordo
vuole dare continuità e rilanciare lo spirito con il quale nel
territorio dell’ATS della Brianza si sono sviluppate, negli
anni, importanti intese locali e azioni per lo sviluppo del
welfare, politiche sociali per il lavoro, la casa e la salute
[...] In particolare l’impegno di tutti sarà rivolto a realizzare in via prioritaria i seguenti obiettivi: migliorare l’informazione e l’accesso ai servizi sul territorio; garantire
la continuità assistenziale, soprattutto quando il percorso
di assistenza prevede il passaggio da un soggetto ad un
altro della rete dei servizi; promuovere la cultura della
prevenzione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, dei corretti stili di vita e della salute della persona e
N. 211 - 2016
dell’ambiente ...”.
La prima ricaduta concreta di questo accordo tra soggetti
è stato lo start up del primo PreSST concretizzatasi con
la firma del Documento di intesa tra ATS della Brianza,
ASST di Lecco, Consiglio di rappresentanza dei sindaci
dell’ambito di Bellano, Comunità montana, Federfarma
Lecco, i medici di medicina generale della Valsassina, del
3 novembre 2016.
Prima di analizzare le caratteristiche del PreSST della
Valsassina è utile soffermarsi sulle condizioni socio-demografiche che caratterizzano questo territorio in Provincia
di Lecco che vede la presenza di circa 19.310 abitanti
sparsi su 17 piccoli Comuni. Si tratta di una porzione di
area montana con bassa densità di popolazione, scarsa
urbanizzazione, condizioni di viabilità difficili che spesso
rendono problematico l’accesso ai servizi di welfare. Il
tessuto sociale è caratterizzato da una popolazione mediamente più anziana rispetto al dato medio delle Province lombarde, da una presenza consistente di nuclei familiari composti da persone anziane sole ed emerge una
domanda di servizi sociosanitari in forte aumento. Nella
fascia d’età sopra i 65 anni il trend di famiglie composte
da una sola persona è significativo tanto che da una ricerca svolta nel Comune di Lecco anno 2013, emerge che
il 30% degli anziani over65 vive solo e la percentuale
si alza a oltre il 50% negli over85. Le condizioni sociodemografiche rilevate comportano elevate condizioni di
fragilità della popolazione che si ripercuotono su alti tassi
di ospedalizzazione superiori alla media regionale.
Condizioni facilitanti l’avvio del PreSST della Valsassina
Già in passato su questo territorio si erano sviluppate efficaci forme di collaborazione tra MMG con soluzioni organizzative a elevata integrazione e complessità. Si tratta, in particolare, della forma associativa prevista nel progetto regionale del Chronic Related Group (CReG) che,
in questa realtà, risultava particolarmente attiva. Inoltre,
nello stesso territorio, erano già operanti:
un ambulatorio infermieristico sotto la direzione degli
MMG che si occupava anche della gestione di alcune
terapie per i cronici,
il Presidio territoriale della ASST di Lecco che assicurava
l’erogazione di prestazioni sanitarie di prossimità quali il
front office per il disbrigo di alcune pratiche amministrative, il punto prelievi, il Consultorio familiare, le cure palliative e domiciliari e la possibilità di prenotare prestazioni
specialistiche.
C’erano dunque già in atto sul territorio alcune iniziative
di integrazione dei servizi sanitari, ai quali andavano ne-
Le Case della Salute
1005
cessariamente interconnessi anche quelli di natura maggiormente sociale ed assistenziale. L’opportunità offerta
dalla Legge 23/15 con l’avvio dei PreSST ha offerto un
contenitore legislativo ed organizzativo ad hoc per sperimentare nuove forme di lavoro in rete che ha ben valorizzato le potenzialità del territorio.
Caratteristiche del PreSST della Valsassina
La firma del Documento d’intesa che istituisce il 3 novembre 2016 nel Comune di Introbio il PreSST della Valsassina (presso i locali del Presidio territoriale della ex ASL
di Lecco) nasce dunque dalla collaborazione fattiva di
soggetti istituzionali quali ATS della Brianza, MMG del
territorio, ASST di Lecco, Federfarma di Lecco, i Consigli
di rappresentanza dei sindaci di Lecco e di Monza Brianza e ambito territoriale di Bellano/Comunità montana,
tutti impegnati a sviluppare una rete di servizi e soggetti
atti a prendere in carico in modo unitario e integrato la
popolazione residente caratterizzata da fragilità, cronicità e disabilità.
Il progetto alla base del documento d’intesa, ribadisce l’obiettivo di voler costruire una “rete della cronicità” come
elemento costitutivo e fondante, che garantisca interventi
efficaci valorizzando il più possibile tutti gli attori della
rete d’offerta esistente.
Da oltre 10 anni nel territorio della Valsassina, le aggregazioni dei MMG si sono distinte per una cultura orientata alla collaborazione interprofessionale che rappresenta
l’humus fondamentale per la costruzione di nuove sperimentazioni quali quelle proposte dalla Legge 23/15. Il
PReSST che ne deriva, si propone come il soggetto coordinatore, che tramite tali aggregazioni, lavorerà in un’ottica di semplificazione per il paziente e di sostenibilità
generale del sistema.
Il modello proposto dal gruppo aggregato di MMG, è centrato sulla elaborazione del PAI (previa valutazione multidimensionale), con l’identificazione di sistemi di relazione
e funzionamento della rete che unisca tutti gli altri attori, a
partire dai Comuni sino agli erogatori delle prestazioni di
secondo livello e alle RSA. Il PReSST dovrà quindi attivare
una rete di relazioni (formalizzate e strutturate) che collochi
l’assistito al centro del sistema socio-sanitario-assistenziale.
Questo significa che il paziente potrà avere accesso alla
rete dei servizi offerti, accedendo da qualsiasi parte della
rete stessa, potendo usufruire di un pacchetto di prestazioni
(socio-sanitarie-assistenziali) personalizzato e di una modalità di accompagnamento che costituisce l’essenza di un
sistema centrato sulla persona.
Dall’Atto di intesa del 3-11-2016 si riconoscono quali
1006
Le Case della Salute
obiettivi concreti del PreSST:
• assicurare per ogni paziente una adeguata valutazione dei bisogni anche attraverso gli strumenti della
valutazione multidimensionale, l’orientamento della
domanda e se necessaria, la definizione di un Piano
di assistenza individualizzato (PAI) che tenga conto di
tutte le aree di bisogno, sia sanitario che sociale;
• gestire il follow-up delle patologie croniche anche attraverso il ricorso alla telemedicina;
• costituire un unico punto di accesso al sistema di governo del paziente con particolare attenzione al soggetto cronico/fragile;
• realizzare la piena integrazione dell’area sanitaria,
sociosanitaria con l’area sociale di competenza dei
Comuni;
• assicurare dei sistemi di contatto (es. call center) tra
i soggetti deputati alla presa in carico ed il paziente
cronico/fragile.
Il target di riferimento individuato dagli estensori del progetto PReSST della Valsassina è:
l’orientamento della globalità dei pazienti residenti sul
territorio;
lo svolgimento di attività di presa in carico nei confronti
dei pazienti definiti cronici e fragili.
Attori e Servizi operanti sul territorio
Al momento della firma dell’Atto d’intesa sono presenti 7
medici di medicina generale, che tra breve diventeranno
8, organizzati in una forma associativa mista (medicina
di gruppo e rete) con una sede di riferimento ubicata nella struttura edilizia dell’ex Distretto ASL di Introbio.
I medici associati hanno in carico ad oggi circa 10.500
assistiti che saliranno a 12.000 con il nuovo medico; sul
territorio sono inoltre presenti altri 4 MMG e 3 PLS (uno
presente nell’ex presidio distrettuale). Nella medesima
N. 211 - 2016
struttura distrettuale esiste lo sportello della ATS, un Poliambulatorio ASST con un centro prelievi, attività di medicina specialistica (oculistica, medicina di igiene, psichiatria del centro psicosociale e consultorio ginecologico) e il
front office. Sono presenti sul territorio 4 RSA (a Premana,
Vendrogno, Introbio e Barzio), una struttura residenziale
(a Introbio) e un centro diurno (a Primaluna) dedicate ai
disabili, un’associazione di volontari del soccorso (Soccorso centro Valsassina) e, infine, 2 strutture fisioterapiche
a Introbio. Queste sono le risorse afferenti all’ambito sanitario- assistenziale e in parte al terzo settore, a cui vanno
aggiunte le risorse in capo ai Comuni in ambito sociale.
Tutte queste risorse, ed altre eventualmente identificate,
entreranno con modalità e tempi da definire a far parte
della rete d’offerta di cui potranno godere gli abitanti del
territorio della Valsassina attraverso il coordinamento e il
governo dei servizi effettuato dal nuovo PreSST.
Le tappe di attuazione del progetto PreSST prevedono che
tutti i soggetti coinvolti dal documento d’intesa si impegnino per la messa a punto dei meccanismi operativi necessari per realizzare entro e non oltre il primo trimestre
2017 la stabilizzazione e la sistematizzazione dei servizi
erogativi. In particolare per facilitare un efficace sistema
di relazione tra le diverse parti coinvolte, viene istituito un
Comitato composto dai firmatari dell’accordo che ha il
compito di monitorare la corretta messa in atto degli impegni assunti e della implementazione progressiva delle
attività previste.
Bibliografia
Natasha C, Chris H. Clinical and service integration. The route
to improved outcomes. The King’s Fund, London 2019.
Mallarini E, Rappini V, Vercellino L. Over65 non autosufficienti:
la domanda in Del Vecchio M, Mallarini E, Rappini V (a cura di)
Rapporto OCPS 2015, Egea. 2015:152-83.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1007
La riconversione
in Presidio territoriale
Chiara Serpieri1, Sara Marchisio2
Direttore generale, ASL VC di Vercelli
Dirigente medico responsabile, struttura semplice qualità
1
2
Abstract
La Casa della Salute di Varallo è un presidio fisico dell’Azienda sanitaria VC di Vercelli collocato nella parte montana a nord
del territorio aziendale e con un bacino di utenza di circa 10.000 abitanti.
Già sede di attività ospedaliera, poi riconvertita in Presidio territoriale a seguito della concentrazione delle attività di ricovero
nel vicino Ospedale di Borgosesia, oggi è sede di articolazione organizzata di servizi all’interno del Distretto. La revisione
organizzativa in atto da un lato ne conferma il ruolo di erogazione di servizi di prossimità, dall’altro ne rivede alcuni contenuti oggi non adeguati rispetto alla necessità di garantire standard di cura e di assistenza uniformi con livelli di efficienza
sostenibili.
L’ASL VC, situata nel Piemonte Nord Orientale, si estende
su un territorio di 2.038 Km2, in gran parte coincidente
con quello della Provincia di Vercelli. Complessivamente
è costituita da 91 Comuni, di cui 7 della Provincia di
Biella e 4 della Provincia di Novara, mentre 6 Comuni
della Provincia di Vercelli appartengono ad altre 2 ASL.
La popolazione residente nella ASL di Vercelli è inferiore
di 2.892 unità rispetto a quella della Provincia.
Al 31.12.2015 sul territorio dell’ASL VC si rilevano
172.012 residenti, pari al 3,91% della popolazione piemontese 1.
L’atto aziendale di recente adozione individua un unico
Distretto sanitario in cui sono evidenziabili 2 aree territoriali con caratteristiche geografiche diverse: l’area a sud
pianeggiante, il Vercellese, con 44 Comuni fra cui Vercelli, il centro urbano di maggiori dimensioni e in totale una
popolazione di 102.030 abitanti; l’area montana a nord,
la Valsesia, con 47 Comuni e una popolazione pari a
69.982 abitanti 2. Il 21% dei Comuni registra una popolazione compresa fra 500 e 1000 residenti e ben il 45%
dei Comuni registra una popolazione inferiore ai 500 residenti. Solo 2 Comuni superano i 10.000 residenti. Tale
caratteristica contribuisce a determinare una densità di
abitanti (83 abitanti/km2) nettamente inferiore a quella
rilevata per la Regione Piemonte (174 abitanti/km2).
A Vercelli e a Borgosesia sono localizzati un Ospedale di
I livello (Ospedale S. Andrea di Vercelli, 243 posti letto)
e un Ospedale di base (Ospedale SS. Pietro e Paolo di
Borgosesia, 90 posti letto).
Sul territorio aziendale sono inoltre attivi due Presidi sanitari polifunzionali (Santhià e Gattinara) e una Casa della
Salute (Varallo Sesia) derivanti da precedenti riconversioni di attività ospedaliera.
La popolazione dell’ASL VC è fortemente caratterizzata
da un progressivo invecchiamento, superiore a quello
regionale. La popolazione dell’ASL VC è infatti composta per un quarto da anziani (>65 anni) e risulta fortemente caratterizzata da un progressivo invecchiamento,
anch’esso superiore a quello regionale. L’indice di vecchiaia, indicatore che descrive il peso della popolazione
anziana in una popolazione, nella ASL di Vercelli è risultato pari a 230,66% rispetto al 193,67% della Regione
Piemonte, mentre l’indice di invecchiamento della ASL è
risultato pari a 26,73% rispetto a 24,78% della Regione.
Tali caratteristiche demografiche della popolazione, sommate alla naturale conformazione del territorio montano,
rendono il quadro dell’offerta di servizi sanitari e sociosanitari integrati particolarmente complesso in termini di
accessibilità e tipologia dei servizi, considerata la prevalenza di patologie ad andamento cronico in quelle fasce
di età della popolazione.
1008
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
La struttura
La Casa della Salute di Varallo è una struttura posta nel
centro del Comune di Varallo Sesia. Essa nasce come
presidio ospedaliero dell’Alta Valsesia, zona montana
rinomata per la bellezza delle sue aspre valli e per la
estensione e numerosità delle stesse. La viabilità è difficile
e disagiata, rendendo l’area meta di un turismo da amatori. La popolazione è dispersa in piccoli Comuni poco
serviti di cui Varallo è centro naturale di riferimento. La
caratteristica del territorio produce soprattutto isolamento
e comunque difficoltà nelle relazioni, negli spostamenti,
nell’accesso ai servizi. In origine, quindi, il Presidio ospedaliero copriva un bisogno di assistenza e presa un carico ancora concentrato sul ricovero.
La sede, articolata su numerosi piani e tre volumi di edifici,
è strutturalmente in ottime condizioni, ancorché sottoposta
a periodici interventi di manutenzione anche in relazione
alla necessità di adeguamento alle nuove funzioni di volta
in volta inserite. Le aree precedentemente adibite a degenza ospedaliera sono state dismesse, e le attività sono
state concentrate nel corpo centrale della struttura.
La Casa delle Salute in quanto tale è stata istituita con un
progetto sperimentale coerente con il modello organizzativo delineato dalla Regione Piemonte nel 2009 3. Nella
sostanza, nonostante l’evoluzione normativa riguardante
i Presidi territoriali e le cure primarie, essa è rimasta una
sede funzionale nel soddisfare i bisogni di salute del territorio 4 5.
Ad oggi si presenta caratterizzata dalla concentrazione
in una sede unica di operatori sanitari e sociali che garantiscono le seguenti attività:
• sportello amministrativo per la prenotazione delle prestazioni sanitarie ambulatoriali e socio sanitarie integrate, la gestione amministrativa della anagrafica de-
gli assistiti, l’accettazione e il supporto alle prestazioni
erogate nella sede;
• assistenza sanitaria infermieristica ambulatoriale (prestazioni infermieristiche di base);
• Centro prelievi;
• Centrale delle cure domiciliari;
• sede di attività vaccinali;
• ambulatorio di medicina legale;
• Consultorio familiare;
• prestazioni di fisioterapia e di logopedia;
• ambulatori specialistici di chirurgia, dermatologia,
diagnostica ecografica, neurologia, odontoiatria, otorinolaringoiatria, pneumologia, urologia, diabetologia, neuropsichiatria infantile;
• presenza di medici di medicina generale con articolazione di medicina di gruppo
• Country Hospital (10 Posti letto);
• postazione di continuità assistenziale (ex Guardia medica);
• postazione del Servizio di emergenza territoriale (SET)
118.
In tabella 1 è riportato un estratto dell’attività più significativa riguardante il Country Hospital.
La revisione organizzativa in atto
Le attività ambulatoriali erogate presso la Casa della Salute, al pari di quelle erogate sull’intero territorio aziendale, dal 2015 sono state oggetto del riordino dell’offerta
sanitaria territoriale descritto nel Programma delle attività
territoriali distrettuali (PAT) 6. In tale ambito l’Azienda ha
effettuato un lavoro di classificazione delle sedi di erogazione delle prestazioni ambulatoriali.
A tale scopo, è stato progettato un percorso di razionalizzazione della rete aziendale basato su criteri espliciti
Tabella 1. Dati di attività del Country Hospital
anno
N° giornate
Tasso
occupazione
Totale ricoveri
Continuità assistenziale
da ospedale
Dal domicilio
2013
3.076
84,27%
157
92 (58,6%)
65 (41,4%)
2014
3.254
89,15%
166
112 (67,5) *
54 (32,5%)
2015
3.250
89,04%
172
107 (62%)**
65 (38%)
-4%
-0,11%
+ 3,6%
- 4,5%
+ 20,4%
Incremento 2015 verso
2014 in %
*di cui n. 93 dai PP.OO. Asl VC, n. 9 da altri PP.OO
** di cui n. 98 dai PP.OO. Asl VC, n. 9 da altri PP.OO
N. 211 - 2016
e condivisi con gli stakeholder che ha previsto le seguenti
fasi di realizzazione:
• caratterizzazione dell’offerta aziendale e della domanda dei residenti nella fase precedente alla riorganizzazione attraverso indicatori proxy di efficienza, di
accessibilità e di bisogno di salute. Ciò ha consentito
di evidenziare lo stato dell’arte e di condividere le priorità di riorganizzazione con gli stakeholder (personale, Comuni, associazioni di volontariato);
• individuazione di standard di livello di erogazione a
complessità crescente per classificare le sedi ambulatoriali aziendali e semplificare l’approccio alla riorganizzazione;
• ridisegno dell’organizzazione aziendale allocando le
risorse in coerenza con gli standard di livello predefiniti per massimizzare l’efficienza della rete;
• avvio della riorganizzazione della rete ambulatoriale
aziendale.
La riorganizzazione, che sarà completamente a regime
entro il 2017, prevede una classificazione dei punti di
erogazione basata su 3 livelli a complessità crescente
applicando una logica analoga a quella utilizzata per
classificare i Presidi ospedalieri 7:
• punti di erogazione di base, per l’erogazione di prestazioni prevalentemente monospecialistiche e monodisciplinari a bassa complessità (visite specialistiche
che richiedono un contesto tecnologicamente ed organizzativamente poco articolato);
• punti di erogazione di I livello, per l’erogazione di
prestazioni specialistiche di base, di prestazioni richiedenti una maggior dotazione tecnologica (es.
radiografia del torace), di prestazioni di assistenza
primaria e con la possibilità di erogare “pacchetti di
prestazioni” a completamento della visita iniziale;
• punti di erogazione di II livello, localizzati nei Presidi
ospedalieri dove sono concentrate le alte specialità e
le tecnologie ad alto costo.
Sulla base del modello sopra descritto sono stati individuati 7 punti di erogazione aziendali di prestazioni specialistiche, a fronte dei 12 punti di erogazione precedentemente esistenti.
Per quanto riguarda la localizzazione sul territorio dei
punti di erogazione di diverso livello, la scelta è risultata
naturale per le sedi di II livello (n. 2 punti di erogazione
localizzati nell’Ospedale di Vercelli/Piastra ambulatoriale e nell’Ospedale di Borgosesia) e per le sedi di I livello
(n. 3 punti di erogazione localizzati nei Presidi sanitari
polifunzionali di Santhià di Gattinara e nella Casa della
Salute di Varallo).
Le Case della Salute
1009
La Casa della Salute è stata collocata al livello di complessità intermedia delle prestazioni, condividendo con
la sede di Gattinara le caratteristiche di complessità e di
integrazione che presuppongono la istituzione di una Unità complessa di cure primarie (UCCP) come definita dalla
recente normativa nazionale e regionale 5 6.
Ciò ha significato l’ampliamento delle tipologia di prestazioni erogabili per quanto concerne le discipline specialistiche ambulatoriali.
Come per tutte le altre sedi preesistenti, l’Azienda ha riconfermato in sede la effettuazione delle prestazioni infermieristiche di base e del Centro prelievi, in ragione del
fatto che a fronte di costi molto limitati vengono garantiti
una capillarità ed un comfort nei confronti dei pazienti
molto elevati. Contestualmente è stato effettuato un potenziamento delle attività di assistenza domiciliare, tramite
ampliamento degli standard di servizio sia in termini di
orario che di numero di operatori disponibili.
Relativamente all’attività residenziale, prima della riorganizzazione il Country Hospital accoglieva per lo più
pazienti provenienti dal territorio, per i quali il medico
di medicina generale referente poneva le indicazioni ad
una osservazione medica prolungata ed una assistenza
infermieristica di base. Solo in parte, il Country Hospital
serviva il post ricovero di pazienti provenienti dall’Ospedale di Borgosesia, raramente per pazienti residenti a
sud del Presidio ospedaliero borgosesiano. Inoltre in un
numero non irrilevante di casi era necessario gestire una
pluralità di trasferimenti interni tra il Presidio ospedaliero
e la Casa della Salute in relazione alle condizioni di salute dei pazienti.
La rilettura dei bisogni assistenziali di continuità delle
cure, in particolare con riferimento alla fase di post ricovero, ha suggerito la ricollocazione dei posti letto presenti
nella Casa della Salute all’interno del Presidio ospedaliero di Borgosesia, con contestuale ridefinizione del livello
di complessità in continuità assistenziale a Valenza Sanitaria (CAVS). Infatti, una delle prime azioni intraprese è
consistita nella rivalutazione del bisogno sanitario dei pazienti in carico ai servizi ospedalieri e territoriali aziendali rispetto ai criteri di indicazione all’assistenza erogata
in regime di CAVS 8 9. È stato necessario rivalutare la più
opportuna allocazione dei 40 posti letto CAVS assegnati
all’ASL VC dal livello regionale e successivamente avviarne la completa messa a regime 10.
Al momento in cui si scrive, analizzato il bisogno di salute
e il contesto locale è stato ritenuto opportuno per il miglior
percorso dei pazienti ed economicamente più efficiente
andare a regime mantenendo un servizio a gestione di-
1010
Le Case della Salute
retta ed attivare i posti letto CAVS possibili all’interno dei
due Presidi ospedalieri di Vercelli e di Borgosesia.
Nelle more della realizzazione di quanto sopra, sono
state attribuite al Country Hospital di Varallo le funzioni
di CAVS per i casi di moderata intensità clinico-assistenziale. La struttura ha contestualmente assunto la nuova
denominazione di “CAVS della Valsesia”. Entro la fine del
2016 questi posti letto saranno definitivamente riallocati
nel Presidio di Borgosesia.
Tali cambiamenti nell’offerta di servizi sono stati possibili
solo con un paziente lavoro di confronto in cui la iniziale
naturale diffidenza è stata per lo più superata in favore
di un sempre maggiore grado di coinvolgimento e il conseguimento di un miglior clima di fiducia di operatori e
stakeholder. Preziosi sono stati in particolare i contributi
delle Associazioni che collaborano con serietà ed impegno nell’unico interesse dei pazienti. Altrettanto prezioso
il ruolo dei rappresentanti delle istituzioni che per lo più
hanno accettato di essere coinvolti personalmente o per
mezzo dei propri collaboratori su temi difficili da comprendere per i non addetti ai lavori e ancora più difficili da comunicare e far comprendere ai propri cittadini.
Non può infatti non riconoscersi il ruolo di questo Presidio
come un “baluardo” della presenza e della attenzione
delle istituzioni circa quello che viene considerato il bene
più prezioso.
Per quanto riguarda la gestione della presa in carico del
paziente con bisogni sociosanitari la Casa della Salute
è stata identificata come uno degli 11 punti di accesso
aziendali dello Sportello unico sociosanitario (SUSS) 11.
Il SUSS è rivolto principalmente ai cittadini residenti che
vertono in condizioni di fragilità ed è stato implementato con l’obiettivo di fornire la prima interfaccia, unica e
integrata, tra il paziente fragile e i servizi sociosanitari e
sociali erogati dall’ASL e dagli Enti gestori.
Lo SUSS rappresenta, cioè, una porta unitaria di accesso all’articolato sistema dei servizi sociosanitari dedicato
prioritariamente a quei soggetti che vertono in condizioni
di non autosufficienza e alle loro famiglie (anziani non
autosufficienti, minori e adulti affetti da patologie invalidanti che determinano notevoli limitazioni della loro autonomia).
L’implementazione e il potenziamento dell’integrazione tra
i servizi sociali e sanitari del territorio, anche attraverso
una postazione di SUSS localizzata nella Casa della Salute, sono stati necessari per superare le criticità legate alla
dispersione geografica del territorio, le difficoltà di accesso
ai servizi, l’incremento delle situazioni ad alta complessità
sociosanitaria e alla frammentazione amministrativa.
N. 211 - 2016
Da ultimo, il percorso di revisione delle postazioni di continuità assistenziale ha confermato la presenza di questo servizio all’interno del Presidio, e ne ha assegnato
le competenze gestionali alla Azienda sanitaria di area
sovrazonale capofila.
Analogamente la rete del 118, nel frattempo riorganizzata su base regionale ed assegnata alla gestione del vicino Ospedale hub, ha confermato in loco la postazione
preesistente.
Conclusioni
L’esperienza fin qui esposta evidenzia come la Casa della
Salute abbia, nel tempo, visto una evoluzione dei servizi erogati, alla luce del mutamento dei bisogni di salute
e anche in relazione alla evoluzione delle modalità di
definizione dell’offerta sanitaria, oggi sempre più volti a
garantire in modo sistemico la mission istituzionale di tutela della salute con garanzia dell’equità distributiva dei
servizi e della uniformità della qualità delle prestazioni,
con contestuale rispetto di vincoli esterni di sostenibilità.
Nel contempo, nella visione delle istituzioni locali, la Casa
della Salute, considerata le caratteristiche anagrafiche e
socio-culturali della popolazione servita, conserva la sua
funzione di riferimento e testimonianza di attenzione e
presenza fisica dei servizi sanitari, pur accompagnandosi con lo sviluppo e la implementazione di servizi “soft”
anche di elevato livello tecnologico, quali ad esempio
l’accessibilità on line e la refertazione a distanza, ancora
poco fruibili per quelle fasce di popolazione.
Bibliografia
Piemonte STAtistica e B.D.D.E - PISTA all’ultimo aggiornamento disponibile del 31.12.2015
1
Delibera del Direttore Generale dell’ASL VC n. 817 del
29/10/2015 “Adozione dell’atto aziendale di cui all’art. 3,
comma 1 bis, del D.lgs n. 502/1992 e s.m.i. a seguito del
recepimento dei rilievi regionali di cui alla D.G.R. n. 43-2297
del 19/10/2015”
2
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del
17 novembre 2008 n. 57-10097, “Accordo Regionale della
Medicina Generale per l’avvio dei Gruppi di Cure Primarie e
le Case della Salute, in costituzione nelle ASL piemontesi” e
D.G.R. 4 Agosto 2009, n. 105-12026 “Approvazione Accordo Regionale della Medicina Generale per la definizione del
“modello organizzativo” di sperimentazione dei Gruppi di Cure
Primarie (G.C.P.)/ Case della Salute (C.S.).”
3
Regione Piemonte. Deliberazione del Consiglio Regionale del
3 aprile 2012 n. 167-14087. Piano sociosanitario 2012-2015
4
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Legge 8 novembre 2012, n. 189 “Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese
mediante un più alto livello di tutela della salute.”
5
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 29
giugno 2015, n. 26-1653 “Interventi per il riordino della rete
territoriale in attuazione del Patto per la Salute 2014/2016 e
della D.G.R. n. 1-600 del 19.11.2014 e s.m.i.”
6
Decreto Ministeriale del 2 aprile 2015, n. 70 “Regolamento
recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera”
7
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale
14 marzo 2013, n. 6-5519 Programmazione sanitaria regionale. Interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese,
in applicazione della D.C.R. n. 167-14087 del 03.04.2012
(P.S.S.R. 2012-2015)
8
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 28
9
1011
gennaio 2011, n. 13-1439 “Criteri di appropriatezza organizzativa, clinico-gestionale per le attività di Recupero e Rieducazione funzionale di 3’, 2’ e 1’ livello e per le attività di
lungodegenza e definizione della funzione extraospedaliera di
continuità assistenziale a valenza sanitaria.”
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del
7 marzo 2016 n. 30-3016 “Modifiche ed integrazioni alla DGR
n. 77-2775 del 29 dicembre 2015 recante “Definizione del fabbisogno della funzione extraospedaliera di continuità assistenziale a valenza sanitaria. Modifica alla DGR n. 6-5519/2013.
Modifiche ed integrazioni agli allegati A), B) e C) alla DGR n.
13-2022 del 5 agosto 2015”.
10
Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del
28 luglio 2008 n. 55-9323 “Definizione delle modalità e dei
criteri dell’utilizzo da parte delle A.S.L. e dei Soggetti gestori
delle funzioni socio assistenziali, delle risorse assegnate a livello nazionale, al “Fondo per le non autosufficienze” per l’anno
2007 ed attribuite alla Regione Piemonte”.
11
1012
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Un’assistenza territoriale
innovativa
Massimo Carboni1, Maurizio Rachele2
Dirigente medico Direzione di Distretto 5 ASL di Cagliari
Responsabile SC Distretto 5 ASL di Cagliari
1
2
Abstract
La Casa della Salute rappresenta una nuova modalità organizzativa dei servizi territoriali per attuare strategie efficaci nel
rispondere ai bisogni di salute della persona e della comunità. La riqualificazione dell’assistenza territoriale deve garantire
una più veloce e specifica presa in carico del bisogno assistenziale attraverso la collaborazione e l’integrazione fra le diverse figure professionali operanti e le varie istituzioni: Provincia, Comuni, Associazioni di volontariato, erogatori di prestazioni
private. Si viene a realizzare un luogo fisico dove l’utente/paziente possa trovare risposta appropriata, efficace ed efficiente
alla domanda di salute.
Il Piano regionale dei Servizi sanitari 2006-2008 (PRSS)
pone come elemento portante della programmazione regionale “la necessità che in tutte le azioni contemplate sia
sempre riconoscibile la centralità del paziente” e che lo
sviluppo delle attività territoriali “è obiettivo strategico”
per “permettere ai cittadini di trovare risposta ai propri
bisogni di salute non solo nell’Ospedale, ma soprattutto
nel territorio di appartenenza, luogo nel quale si realizza
concretamente l’integrazione fra il sistema dei servizi sociali e quello dei servizi sanitari”.
La riqualificazione dell’assistenza territoriale (DGR
n.32/10, 2008 Programma regionale “Casa della Salute” - Regione Sardegna) (DGR n.1/14, 2015 “Riorganizzazione dell’assistenza territoriale” - Allegato Delibera commissario straordinario ASL Cagliari, n.387 del
27.03.2015), è perseguita attraverso l’integrazione dei
processi di cura e la continuità assistenziale tra i diversi
centri di offerta, in particolare tra Ospedale e territorio,
e lo sviluppo di risposte integrate sociosanitarie, tenendo
conto della crescente domanda di assistenza da parte di
persone e famiglie con bisogni complessi.
Su tali principi la Casa della Salute (CdS) è il modello
organizzativo finalizzato a realizzare, sul territorio, l’integrazione dei processi di cura e la continuità assistenziale,
per una effettiva affermazione del diritto alla salute. Rappresenta lo strumento di riqualificazione dell’assistenza
territoriale da definirsi come una nuova struttura di assistenza sanitaria extra ospedaliera polifunzionale.
Nella direzione della riorganizzazione dell’assistenza
territoriale con l’istituzione delle CdS, si propone la riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale (Allegato DGR n.53/727.12.2007 - ”Linee operative per la
riorganizzazione del Servizio di continuità assistenziale”
- Regione Sardegna) già prevista dal Piano regionale dei
Servizi sanitari (PRSS) 2006-2008, attraverso un Progetto
obiettivo adottato ai sensi dell’articolo 12, comma 2, della legge regionale 28 luglio 2006, n. 10. Tale progetto è
diretto a garantire:
• appropriatezza, tempestività delle risposte ed equità
nell’accesso, operando anche un processo di riallocazione delle sedi presso Presidi sanitari o sociosanitari
presenti nei territori di riferimento (Ospedali, poliambulatori, postazioni di soccorso avanzato);
• il mantenimento degli attuali livelli occupazionali con
l’impiego degli stessi sanitari in altre attività distrettuali;
• integrazione professionale con tutti i servizi distrettuali, principio imprescindibile per la realizzazione della
Casa della Salute;
• l’aggiornamento e la riqualificazione dei medici operanti nel servizio di continuità assistenziale al fine di
realizzare la loro integrazione nei punti di soccorso
territoriale;
• condizioni di massima sicurezza per il personale.
La riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale si pone i seguenti obiettivi di sistema:
N. 211 - 2016
• riqualificare gli standard di risposta al cittadino;
• definire e attuare modelli organizzativi adeguati a
ciascuna singola realtà, differenziati anche in ragione
dell’offerta complessiva dei servizi nel territorio e in
una logica di sistema;
• garantire ai cittadini l’erogazione delle prestazioni nel
luogo più appropriato;
• garantire le condizioni di sicurezza degli operatori,
proteggendo le strutture (modelli strutturali) e l’attività
del medico (modelli funzionali);
• riqualificare professionalmente i medici e gli infermieri attraverso la ricollocazione in contesti operativi più
idonei e funzionali;
• sviluppare l’informatizzazione del servizio, garantendo il collegamento ai dati sanitari remoti, quando possibile;
• potenziare la rete dei servizi in emergenza;
• sviluppare modelli innovativi di integrazione professionale avanzata, attraverso l’adozione di forme di
integrazione funzionale, nell’ambito delle équipe territoriali, secondo un sistema diffuso di disponibilità
domiciliare, o in modo strutturato attraverso la realizzazione delle CdS in ciascun Distretto;
• la piena integrazione delle attività di continuità assistenziale nella rete integrata dei servizi distrettuali, con
l’attribuzione a ciascun medico, di norma, di almeno
4 ore ulteriori per attività istituzionali non notturne;
• razionalizzare i costi di gestione del sistema attuale;
• garantire un progressivo adeguamento agli standard
di rapporto ottimale previsti dall’Accordo collettivo nazionale e dal Piano regionale dei Servizi sanitari.
Il modello di continuità assistenziale che si è proposto
di realizzare è quello H24 (Allegato DGR n.53/7 del
27.12.2007 - ”Linee operative per la riorganizzazione
del Servizio di continuità assistenziale” - Regione Sardegna, pag 5) funzionale alla realizzazione di un programma di revisione e potenziamento della rete territoriale
dell’emergenza-urgenza che preveda risposte adeguate
in tempi idonei. La realizzazione del modello H24 presuppone:
• la presenza nella struttura della postazione del 118
che garantisce la copertura H24 del servizio nei sette
giorni della settimana;
• l’erogazione di prestazioni ambulatoriali da parte dei
medici di continuità assistenziale, e la garanzia di una
immediata attivazione degli stessi per interventi in urgenza;
• la presenza di almeno 6 medici a 38 ore settimanali
per ciascuna sede ambulatoriale;
Le Case della Salute
1013
• l’aggiornamento e la riqualificazione dei medici operanti nella struttura;
• l’integrazione con le Centrali operative 118 che dispongono tutte le attività erogate all’esterno della struttura, ivi comprese le visite domiciliari, che rivestono
carattere di emergenza-urgenza;
• la piena adesione ai piani di intervento e ai protocolli
operativi integrati definiti dalle Centrali operative del
118.
La CdS (DGR n.32/10 04/06/2008 - Programma regionale “Casa della Salute” - Regione Sardegna) permette di
conseguire i seguenti obiettivi strategici (Brambilla A. e
Maciocco G, 2016):
• centralità del cittadino: i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, la presa in carico, l’orientamento di
pazienti e/o familiari all’interno del sistema rappresentano binari obbligati per lo svolgimento dell’intera
attività. L’operatività è costruita per rispondere a questi
bisogni, e ciò pone le condizioni per cui la centralità
del cittadino sia l’asse strategico intorno al quale si
struttura tutta la attività, pena la negazione dei bisogni
e delle domande per le quali essa nasce;
• riconoscibilità e unitarietà: luogo fisico ben definito nel
quale si concentrano servizi ed attività frammentati e
dispersi nel territorio;
• accessibilità: deve essere fisicamente accessibile e organizzata in maniera da garantire la massima disponibilità dei propri servizi ed attività;
• integrazione: la CdS è costruita per operare garantendo servizi integrati in rete, tra sanitario e sanitario e
tra sociale e sanitario;
• semplificazione: concentra e integra i servizi e i percorsi per l’accesso ad essi, privilegiando la semplificazione burocratica;
• appropriatezza: privilegiando la presa in carico e i
percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali promuove e favorisce la appropriatezza delle cure a vantaggio dei cittadini;
• efficacia: centralità del cittadino, accessibilità, integrazione, semplificazione, appropriatezza concorrono
alla efficacia complessiva delle attività svolte;
• punto di riferimento della rete: operare in rete con tutti
i servizi e le strutture presenti sul territorio, rende questa realtà il riferimento in relazione alle funzioni svolte
e alle attività che si concentrano al suo interno;
• autorevolezza e affidabilità: la CdS costruita e realizzata per rispondere a queste esigenze la rende
autorevole e affidabile, dove il cittadino può trovare
risposte alle sue esigenze che sino ad ora venivano
1014
Le Case della Salute
date dall’ospedale.
La CdS è una struttura territoriale dove opera il personale del Distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico,
della riabilitazione, dell’intervento sociale, ecc.), i medici
di medicina generale (MMG), i pediatri di libera scelta
(PLS), i medici di continuità assistenziale (MCA), gli specialisti ambulatoriali interni (SAI), il personale dell’emergenza territoriale (PET), nonché il personale dei servizi
sociali dei Comuni afferenti dedicati alla pianificazione e
gestione degli interventi sociali ad integrazione sanitaria.
In tale struttura si accolgono le domande dei cittadini e si
organizza la risposta più appropriata.
Modello organizzativo della “Casa della Salute Senorbì”
La struttura si realizza nel Comune di Senorbì, sede della direzione del Distretto n°5 dell’ASL di Cagliari, area
sociosanitaria che si estende per 1194 Kmq di superficie comprendente 28 Comuni e una popolazione di n°
42342 abitanti.
Il modello proposto, prevede la ristrutturazione e ampliamento dell’attuale struttura e la realizzazione di un Presidio sociosanitario, al cui interno verrà a realizzarsi la
CdS al cui interno opereranno i MMG, operanti nel Comune, che lavoreranno in stretta collaborazione con gli
SAI operanti nella struttura e con i MCA e con il servizio
emergenza-urgenza e grazie anche ad una rete informatica con le strutture ospedaliere e con servizi sanitari e
non sanitari.
La CdS cosi organizzata, svolge differenti funzioni (Allegato DGR n. 31/2 del 20.07.2011 - Piano di riorganizzazione dell’assistenza sanitaria della Regione Sardegna):
• accoglienza;
• prima valutazione del bisogno con orientamento ai
servizi svolta ed effettuata dal punto unico d’accesso
(PUA);
• presa in carico complessiva dei pazienti attraverso la
gestione coordinata delle grandi aree di cronicità (diabete, broncopneumopatie cronico ostruttive (BPCO),
scompenso cardiaco, rischio cardiovascolare, cronicità oncologica) secondo percorsi / protocolli concordati con i soggetti e le strutture di secondo livello;
• pianificazione e gestione integrata delle cure domiciliari finalizzata alla presa in carico di quelle patologie
non necessitanti di ricovero in strutture specialistiche di
livello superiore;
• garanzia dell’integrazione sociale e sanitaria;
• erogazione di prestazioni di diagnostica strumentale e
prestazioni specialistiche da parte di medici sia dipen-
N. 211 - 2016
denti che convenzionati;
• posto di primo soccorso per codici bianchi e codici
verdi, sotto il coordinamento della Centrale operativa
della rete per le emergenze (modello H24).
La CdS, opererà 5 giorni su 7, 12 ore al giorno (8.00
– 20.00) e le restanti ore della settimana, all’interno del
Presidio distrettuale H24, l’assistenza verrà garantita dai
MCA e da una postazione medicalizzata dell’emergenza
territoriale.
Organizzazione funzionale
Le attività della CdS sono organizzate per aree funzionali
dedicate che rispecchiano quello che è l’assetto strutturale
del Presidio sociosanitario / CdS di Senorbì integrate dal
punto di vista tecnico organizzativo (Tabella 1):
1. Area delle attività di accoglienza/amministrazione/
supporto: dove opera il personale amministrativo,
articolate in due zone: una per la gestione del front
office (riscossione ticket, Centro unico di prenotazione
(CUP), scelta e revoca del MMG e PLS, ufficio relazioni del pubblico (URP), rilascio esenzioni per reddito e
patologia, e rilascio autorizzazioni per protesi e ausili
e ricoveri extraregione) e l’altra per le attività interne
(personale, specialistica ambulatoriale);
2. Area delle cure primarie: organizzata su due zone:
una dove sono presenti n° 2 ambulatori dedicati ai
MMG e PLS adeguatamente attrezzati dove svolgeranno alternativamente la loro attività e contemporaneamente connessi telematicamente e strutturalmente
con gli SAI del Presidio (rete orizzontale) e con le altre strutture aziendali (rete verticale) e un ambulatorio
infermieristico dove poter svolgere prestazioni non
differibili e che non richiedono dell’accesso al Pronto
Soccorso (medicazioni successive, rimozioni punti di
sutura, prelievi, cicli di terapie, educazione sanitaria).
La seconda zona dedicata alle cure domiciliari;
a. PUA nel quale opera un infermiere case manager
per la decodifica iniziale del bisogno e l’iniziale
presa in carico globale del bisogno dell’utente, coadiuvato dal medico di organizzazione distrettuale
e dall’assistente sociale aziendale o del Piano unitario locale dei servizi alla persona (PLUS);
b. ufficio unità di valutazione territoriale (UVT) dove
un’équipe multi professionale e multidisciplinare
(infermiere, medico di organizzazione, assistente
sociale aziendale e specialista in diverse branche
a seconda del problema sanitario) provvede alla
presa in carico integrata e globale del bisogno
dell’utente (inserimento in cure domiciliari integra-
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1015
TABELLA 1: Servizi, funzioni, attività e organizzazione della Casa della Salute di Cagliari
Servizi - funzioni - attività - organizzazione - integrazione
Servizi, funzioni e attività
Informazione
Accesso
Punto unico d’accesso (PUA)
Unità di valutazione territoriale (UVT)
Servizi amministrativi: riscossione ticket, rilascio esenzioni per reddito e patologia e
invalidità, scelta e revoca del MMG e PLS, ufficio ricoveri extraregione, ufficio integrativa e
protesica e ufficio rapporti internazionali
Centro unico di prenotazione (CUP)
Assistenza primaria (ambulatorio di MMG, ambulatorio infermieristico, continuità
assistenziale)
Assistenza specialistica (allergologia, angiologia, cardiologia, chirurgia, dermatologia,
diabetologia, endocrinologia, fisiatria, geriatria, ginecologia, medicina dello sport,
nefrologia, oncologia, oculistica, odontoiatria, ortopedia, otorinolaringoiatria, pediatria,
pneumologia, reumatologia, scienza dell’alimentazione, urologia) suddivisa in poli
specialistici
Centro prelievi
Servizio di radiologia (radiologia tradizionale, mammografia ed ecografia)
Servizio di fisiochinesiterapia
Prevenzione
Servizio di vaccinazioni e altri servizi afferenti a dipartimenti centri (medicina legale, igiene
pubblica)
Integrazione sociosanitaria Prevista fra comuni attraverso gli assistenti sociali e il PUA e l’UVT
Altri servizi e funzioni
territoriali
Consultorio familiare, Farmaceutica territoriale, Cure Domiciliari Integrate (UODI),
Neuropsichiatria infantile, emergenza territoriale (postazione 118 medicalizzata)
Organizzazione
Dipendenza gerarchica dal Distretto sotto la responsabilità del Direttore del Distretto
Professionalità integrate
MMG, Infermieri, SAI, MCA, Amministrativi, Assistenti sociali
te, comunità integrate e residenze sanitarie assistite, progetti socio-assistenziali complessi autorizzati
dalla Regione);
c. ufficio cure domiciliari integrate (UODI) che lavora
in sinergia con i MMG/PLS e l’UVT.
3. Area della continuità assistenziale che prevede una
zona adiacente all’area delle cure primarie dedicata
ai MMG/PLS dove i MCA svolgeranno la loro attività in sinergia con i sanitari di assistenza primaria
e dell’emergenza territoriale. Prevista la presenza di
una stanza di osservazione breve per il trattamento
delle urgenze minori e per la stabilizzazione del paziente ad alta complessità.
4. Area delle attività sociosanitarie: deputata alla presa
in carico del paziente con erogazione di prestazioni
sociosanitarie con attività integrata con la rete servizi
sociali territoriali (assistenza sociale del Comune, residenze sanitarie assistite, associazioni di volontariato,
ecc.), con la collaborazione degli uffici amministrativi
della direzione del Distretto.
5. Area dell’emergenza - urgenza: sede di postazione
118 medicalizzata.
6. Area delle prestazioni specialistiche e della diagnosi:
prevede una vasta gamma di attività svolte dai SAI
che effettuano prestazioni cliniche e di diagnostica di
base (es: holter, ecocardiografia, ecografia generale,
ecografia vascolare), punto prelievi, diagnostica radiologica (tradizionale e mammografica). In tale area
rientra anche il servizio di riabilitazione. Gli accessi
sono destinati sia ai pazienti all’interno di un percor-
1016
Le Case della Salute
so stabilito, sia ai pazienti occasionali. Organizzata
in poli specialistici ben definiti con uno sportello di
accettazione per la gestione delle prenotazioni. L’integrazione delle varie aree permetterà di organizzare,
attivare e sviluppare percorsi diagnostici terapeutici
per malattie croniche: diabete, ipertensione arteriosa,
scompenso cardiaco, BPCO.
7. Area della prevenzione che effettua le vaccinazioni
e le certificazioni medico-legali, nonché il riconoscimento dell’invalidità civile e tutte le attività connesse
con la prevenzione degli ambienti di vita e di lavoro
(tecnici della prevenzione). Insiste in quest’area anche
l’attività consultoriale.
La connotazione organizzativa che quindi deve essere
data alla Casa della Salute al fine di mantenere tale standard di erogazione sono quindi:
• la riorganizzazione strutturale e funzionale degli ambulatori al fine di garantire un miglioramento qualitativo e quantitativo dell’offerta di prestazioni specialistiche in ambito distrettuale;
• l’integrazione degli SAI con i servizi e gli operatori
del territorio;
• la condivisione di percorsi clinico-assistenziali con la
componente ospedaliera, i MMG e i PLS;
N. 211 - 2016
• un’attiva partecipazione della specialistica alle forme
complesse di assistenza primaria;
• l’abbattimento delle liste d’attesa anche attraverso un
miglioramento di appropriatezza della domanda.
Un concetto importante da tener presente è che una parte
cospicua delle attività ambulatoriali diagnostiche / terapeutiche attualmente erogata presso Presidi ospedalieri
può essere svolta presso questo tipo di strutture. L’integrazione con l’Ospedale favorisce la programmazione di
ricoveri d’elezione e per diagnostica invasiva attraverso
la stretta collaborazione tra medici delle cure primarie e
gli specialisti ospedalieri, anche attraverso i sistemi informatici.
L’apertura per 12 h al giorno, garantisce all’utenza una
risposta alternativa e appropriata all’accesso al Pronto
Soccorso e, sulla base di protocolli concordati, può consentire di completare il percorso diagnostico e/o terapeutico per i pazienti inviati avviati, con appropriato codice
di priorità, dal 118/PS.
Bibliografia
Brambilla A, Maciocco G. Le case della salute. Innovazione e
buone pratiche. Carocci, Roma 2016.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1017
La Casa della Salute al centro
della rete territoriale
Laura Figorilli1, Marilina Colombo2
Direttore generale ASL di Rieti
Direttore sanitario ASL di Rieti
1
2
Abstract
Nella Regione Lazio l’adozione del modello della Casa della Salute rappresenta un’evoluzione relativamente recente rispetto
all’esperienza delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna. Il nuovo modello regionale, introdotto in occasione della stesura
dei nuovi atti aziendali (DCA n. 428 del 2013), “riassume” le diverse tipologie di strutture intermedie introdotte in normative precedenti quali i Centri clinici assistenziali distrettuali (CeCaD), i Presidi territoriali di prossimità (PTP) e gli Ospedali
distrettuali e per l’ASL di Rieti ha rappresentato l’occasione per sostenere il progetto di potenziamento e riorganizzazione
dell’assistenza territoriale, a partire dall’esperienza dei PDTA già sviluppati in Azienda. La Casa della Salute di Magliano
Sabina della ASL di Rieti è la quinta inaugurata in Regione Lazio, su complessive 10 attualmente funzionanti.
Nella Regione Lazio l’adozione del modello della CdS
rappresenta un’evoluzione relativamente recente rispetto
all’esperienza di altre Regioni come Toscana ed Emilia
Romagna (Brambilla, Maciocco 2016; Del Vecchio, Prenestini, Rappini 2016). Le prime indicazioni sono contenute nel documento allegato al DCA n. 428 del 2013
– “Raccomandazioni per la stesura degli Atti aziendali,
di cui al DCA n.206/2013, riguardo all’organizzazione delle Case della salute” – in cui la Regione propone
alle nuove Direzioni generali “un nuovo modello” di riferimento, la Casa della Salute appunto, che “riassume”
le diverse tipologie di strutture intermedie introdotte in
normative precedenti quali i Centri clinici assistenziali distrettuali (CeCaD), i Presidi territoriali di prossimità (PTP) e
gli Ospedali distrettuali. Le caratteristiche principali della
nuova configurazione sono ulteriormente regolamentate
in successivi decreti attuativi. In particolare:
• il DCA n.40/2014 “Approvazione dei documenti relativi al percorso attuativo, allo schema di intesa ed
ai requisiti minimi delle Case della Salute” precisa i
principi alla base del modello organizzativo e definisce modalità di avvio, funzionamento e valutazione
delle CdS;
• il DCA n.380/2014 “Attivazione della Casa della
Salute in strutture aziendali diverse da quelle in riconversione. Approvazione dello schema d’intesa” apre
alla realizzazione delle CdS in nuove sedi al fine di
consentire la loro presenza presso ciascun Distretto
(Poliambulatori pubblici o altre strutture territoriali diverse dagli Ospedali oggetto di riconversione e anche
Poliambulatori o Case di cura private accreditate da
riconvertire);
• il DCA n. 414/2014 “Casa della Salute. Modifica e
approvazione degli allegati di cui al DCA n.40/2014
e al n.380/2014” richiama i principali provvedimenti
di riorganizzazione e qualificazione dell’assistenza
distrettuale e approva gli allegati ai precedenti documenti modificati per quanto attiene, in particolare, la
tematica dell’emergenza-urgenza e i suoi rapporti con
le CdS.
Il modello di CdS della Regione Lazio è di tipo “modulare” con funzioni di base (area dell’assistenza primaria e
area pubblica) e moduli funzionali aggiuntivi (tabella 1).
Le CdS in questo momento funzionanti in Regione Lazio
sono dieci (Zagarolo, Atina, Ladispoli, Ostia, Pontecorvo,
Sezze, Magliano Sabina, Prati, Rocca Priora e Tenuta di
Torrenova). La CdS di Magliano Sabina della ASL di Rieti
è la quinta inaugurata in Regione Lazio e, in questo momento, l’unica dell’Azienda.
1018
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Tabella 1 Le aree della Casa della Salute nel modello “modulare” della Regione Lazio.
Area dell’assistenza primaria
Assistenza primaria garantita da MMG e PLS
Attività specialistiche (con particolare riferimento alle discipline di cardiologia,
ginecologia, pneumologia, diabetologia, oculistica, otorinolaringoiatria, chirurgia
generale e, eventualmente, angiologia, neurologia, malattie dell’apparato digerente)
Ambulatorio infermieristico
Attività di diagnostica strumentale di primo livello
Area pubblica
Area dell’accoglienza
Sportello CUP
Punto Unico di Accesso (PUA)
Area di sorveglianza temporanea
Area del volontariato e della mutualità
Moduli funzionali aggiuntivi
Area delle cure intermedie a gestione infermieristica
Assistenza ambulatoriale complessa (per esempio, chirurgia ambulatoriale, day
service)
Centri territoriali per le demenze
Centri antiviolenza
Assistenza farmaceutica
Attività Fisica Adattata (AFA)
Funzione ambulatoriale dedicata al trattamento del dolore cronico
Punto di Primo Intervento (PPI)
Area gestionale e funzionale
Tale area può comprendere, a seconda delle dimensioni della Casa della Salute, gli
uffici amministrativi, la zona degli spogliatoi ed eventualmente sale riunioni dedicate
e altri spazi, tra cui sedi di associazioni di volontariato.
Fonte: DCA n.428/2013 e ss.
La Casa della Salute di Magliano Sabina della ASL di
Rieti
La CdS di Magliano Sabina nasce nell’ambito del processo di riconversione dell’Ospedale di Magliano che,
in una prima fase, secondo quanto previsto nel DCA
n.80/2012, è stato trasformato in CeCAD e, in una seconda fase, a seguito delle più recenti disposizioni regionali (DCA n. 40/2014), ha visto ridefinita e perfezionata
la sua identità in Casa della Salute.
Il progetto di realizzazione della nuova struttura rappresenta il fulcro della strategia di potenziamento dell’assistenza territoriale avviata con il nuovo Atto aziendale. Il
nuovo modello introdotto dalla Regione Lazio ha fornito il
contesto strutturale, organizzativo e culturale in grado di
dare risposta all’evoluzione dei bisogni e, quindi, l’occasione per sostenere il progetto di innovazione dell’insieme
delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie
dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie e
degli incidenti di più larga diffusione e minore gravità,
delle malattie e disabilità ad andamento cronico.
La CdS è il luogo in cui si possono integrare culture, approcci, sensibilità e strumenti che identificano nuove paro-
le chiave, quali: accoglienza integrata, proattività, presa
in carico della cronicità, percorsi diagnostico terapeutici,
innovazione tecnologica, partecipazione comunitaria.
Nel disegno progettuale di questa Azienda, la CdS non
si esaurisce dunque all’interno delle mura fisiche, ma si
estende in uno spazio geografico che coincide con l’ambito distrettuale di riferimento e comprende gli ambulatori
dei medici di medicina generale (MMG), dei pediatri di
libera scelta (PLS) e l’Assistenza domiciliare. Alla CdS,
sulla base del modello clinico-organizzativo così come
progettato, vengono ricondotte alcune aree prioritarie di
responsabilità:
• migliorare l’accessibilità dei servizi sanitari e sociosanitari, la continuità delle cure e la qualità e sicurezza
dell’assistenza;
• sviluppare sinergie e supportare una forte integrazione verticale (tra assistenza primaria, assistenza ospedaliera, assistenza di alta specializzazione) e orizzontale (nell’ambito delle discipline coinvolte nei PDTA);
• rafforzare il collegamento della rete dell’emergenza
urgenza;
• sviluppare progetti di promozione della salute basati
N. 211 - 2016
sulla stratificazione del rischio della popolazione.
Il percorso di riconversione della struttura (da CeCAD a
CdS) inizia nel mese di maggio 2014 con l’istituzione di
un “gruppo aziendale di pilotaggio” finalizzato alla: definizione e condivisione del modello clinico-assistenziale
ed organizzativo; individuazione e predisposizione delle
precondizioni strutturali e organizzative; condivisione delle priorità e definizione del crono programma.
In accordo con l’idea di “partecipazione comunitaria”, i
contenuti del progetto sono stati presentati e condivisi con
l’amministrazione locale di Magliano Sabina, di Poggio
Mirteto (Comune “capo Distretto”), con la Comunità montana e nell’ambito della Conferenza dei sindaci. Abbiamo inoltre coinvolto i MMG, le organizzazioni sindacali
dei MMG e degli specialisti ambulatoriali, le Associazioni
di volontariato e il personale dell’Azienda interessato al
funzionamento della nuova struttura. A seguire, nei mesi
di settembre e ottobre, abbiamo avviato un piano di formazione degli operatori, definito l’accordo con i MMG
e con l’amministrazione locale di Magliano Sabina per
l’attivazione del PUA.
Per la riconversione della struttura sono stati necessari lavori di ristrutturazione e riqualificazione di alcune aree
(quella dedicata all’accoglienza e quelle dedicate agli
ambulatori e alle cure primarie) e di adeguamento delle
infrastrutture informatiche per attivare il sistema di gestione della cartella clinica ambulatoriale ed il software per
la gestione dei percorsi di presa in carico delle patologie
croniche (diabete, BPCO, scompenso cardiaco). Il progetto è stato sottoposto all’approvazione della Regione che
ha concesso alla nostra Azienda un finanziamento di 450
mila euro (deliberazione n. 289 del 27/05/2014). Nel
mese di ottobre sono terminati i lavori di ristrutturazione
e abbiamo avviato il processo di autorizzazione all’esercizio e di accreditamento. A dicembre 2014 è stata inaugurata la nuova struttura.
L’edificio che ospita la CdS, in precedenza sede di uno
stabilimento ospedaliero, è sviluppato su tre piani (oltre a
un piano interrato e uno seminterrato) ed è dotato di un
ampio parcheggio. La struttura, ora connotata secondo
i parametri e gli standard previsti dalla Regione (colori,
loghi, cartellonistica, ecc.) dispone di ampi spazi non ancora utilizzati (tra cui anche sale attrezzate per attività
chirurgica).
In questo momento la responsabilità della gestione della
CdS è assegnata al direttore del Distretto di afferenza ma,
in prospettiva, è previsto che sia assegnata nell’ambito
della Unità operativa complessa (UOC) di cure primarie.
Nell’assetto organizzativo aziendale in divenire, infatti, il
Le Case della Salute
1019
Distretto rappresenterà l’articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale e il luogo dell’esercizio
della committenza e della garanzia della esigibilità dei
livelli essenziali di assistenza, mentre la UOC di cure primarie sarà responsabile della gestione dei fattori produttivi per la produzione di beni e servizi.
Tale modifica di ruolo prevede che il direttore della UOC
di cure primarie abbia la responsabilità della produzione
di prestazioni e servizi attraverso la gestione di una rete
integrata di risorse territoriali che vede nella CdS il suo
punto di riferimento fondamentale per garantire al cittadino una risposta esauriente alle diverse esigenze assistenziali, sanitarie e sociali, con particolare riferimento alla
presa in carico dei pazienti con patologie croniche”. Il
direttore della UOC è responsabile, inoltre, “della razionalizzazione e dello sviluppo dei percorsi assistenziali”
e risponde del proprio operato alla Direzione sanitaria
aziendale che, consapevole della strategicità del progetto, segue direttamente lo sviluppo del modello.
La CdS di Magliano è dunque progettata come “un sistema integrato di servizi” che prende in carico il paziente
all’interno di un sistema capace di esaurire le sue esigenze favorendo “unità di luogo e di tempo” e relazionandosi
con altre strutture specialistiche (intra ed extra aziendali).
Le specifiche modalità operative di funzionamento della
CdS sono definite nel programma attuativo e nel relativo
regolamento. Si segnalano come aspetti qualificanti:
• presenza di una èquipe multiprofessionale e multidisciplinare di assistenza primaria, formata da MMG,
infermieri, assistenti sociali;
• introduzione della funzione di case management;
• sviluppo di percorsi assistenziali condivisi a livello
aziendale (PDTA);
• avvio di esperienze di medicina d’iniziativa mirate a
evitare (o rinviare) nel tempo la progressione delle patologie croniche;
• sviluppo di strumenti di governo clinico con il ricorso
alle metodologie di audit dei processi;
• sviluppo di una rete di “facilitatori” per la gestione del
rischio clinico;
• coinvolgimento delle associazioni di volontariato.
L’essenza del nuovo modello è rappresentata dal superamento dell’approccio reattivo, basato sul paradigma
dell’attesa dell’evento, tipico delle malattie acute, a favore di un approccio proattivo, improntato al paradigma
della medicina d’iniziativa che promuove modalità di presa in carico e di rinforzo della compliance alle cure più
adeguate alla gestione delle patologie croniche.
1020
Le Case della Salute
In coerenza con quanto stabilito dal DCA n. 40/2014,
la CdS di Magliano Sabina prevede moduli funzionali di
base e aggiuntivi. Nei moduli base rientrano:
• L’assistenza primaria. Per tale ambito si configura una
modifica dell’assetto organizzativo per renderlo più
aderente alla normativa regionale che prevede l’inserimento, all’interno della CdS, dell’Unità di cure primarie (UCP) locale, costituita da 7 MMG che, attraverso il
raccordo complementare degli orari, garantiscono la
copertura dell’assistenza primaria per 9 ore al giorno
dedicata ai propri assistiti pur assicurando ognuno l’apertura del secondo ambulatorio nei comuni periferici.
L’aspetto qualificante è rappresentato dalla gestione
dei pazienti affetti da patologia cronica. A tale scopo
sono identificate due differenti modalità di coinvolgimento dei medici di assistenza primaria:
–– la prima, riguarda l’arruolamento e presa in carico
dei pazienti assistiti dai medici della UCP presente
all’interno della CdS;
–– la seconda prevede l’arruolamento on line degli
assistiti attraverso il portale della CdS da parte di
tutti i medici del Distretto di riferimento sulla base
degli accordi regionali recepiti a livello aziendale,
l’arruolamento degli assistiti nei percorsi per la cronicità è comunque valorizzato economicamente.
• Il servizio di continuità assistenziale che garantisce
l’assistenza notturna, festiva e prefestiva su chiamata per tutta la popolazione di riferimento distrettuale,
laddove l’ambulatorio di cure primarie, aperto h24,
come prossima evoluzione del PPI (Punto di primo intervento), ne garantirà l’assistenza ambulatoriale.
• L’ambulatorio infermieristico che prevede una configurazione tradizionale dedicata a prestazioni di base
(prelievo di sangue capillare e venoso, medicazioni
di ferite e ulcere, rimozione di punti, medicazione di
ustione, rilevazione dei parametri vitali, ecc.) e una
configurazione per patologia nell’ambito dei PDTA
per i quali è previsto lo sviluppo di competenze specialistiche (per esempio, “piede diabetico”) finalizzate
al rinforzo della compliance alle cure, alla promozione di comportamenti virtuosi per il controllo dei fattori
di rischio, di self management delle problematiche di
bassa complessità.
• L’attività specialistica erogata da medici specialisti a
contratto SUMAI e da medici dipendenti che prevede
un’offerta di discipline specialistiche molto ampia e
differenziata (cardiologia, chirurgia generale, dermatologia, diabetologia, gastroenterologia, medicina
dello sport, medicina fisica e riabilitativa, ginecologia,
N. 211 - 2016
neurologia, oculistica, ortopedia, ORL, nefrologia,
pneumologia e urologia) e di diagnostica strumentale di base (radiologia tradizionale, TAC, ecografie,
mammografie). Nella struttura è inoltre presente l’attività di chirurgia ambulatoriale per il trattamento della
cataratta, come APA (Accorpamento di Prestazioni
Ambulatoriali complesse), in prospettiva, e sulla base
delle indicazioni regionali, potrà essere prevista l’estensione ad altre patologie di tale setting di erogazione dell’assistenza.
Il target di pazienti raggiunti è riconducibile a due diverse
tipologie:
• pazienti cronici presi in carico dai medici di assistenza primaria nell’ambito dei percorsi delle patologie
croniche (obiettivo strategico della CdS);
• pazienti che accedono alle visite secondo un approccio prestazionale attraverso la prenotazione al Centro
regionale di prenotazione.
L’area dell’accoglienza si basa sulla funzionalità del PUA
(Punto unico d’accesso) snodo organizzativo che assicura
l’accettazione dei pazienti e l’orientamento ai servizi, al
quale i cittadini accedono attraverso un front office. Il PUA
è in grado di integrare funzioni di accesso, accoglienza
ed ascolto professionale e di fornire diverse tipologie di
risposta: orientamento verso il setting assistenziale appropriato, risposta immediata a un bisogno semplice, risposte
a necessità più complesse di presa in carico della cronicità
e inserimento in percorsi di attivazione dimissioni protette,
avvio di percorsi di integrazione sociosanitaria, inserimento dei pazienti affetti da malattie croniche nei PDTA aziendali o in progetti di case management, in collaborazione
con l’ambulatorio infermieristico della CdS, ecc.
Il PUA si avvale di personale sanitario e assistenziale ed
al bisogno di mediatori culturali ed è “in continuità operativa” con l’Unità di valutazione multidimensionale distrettuale (UVM).
L’UVM rappresenta lo snodo professionale per l’accesso
a quelle prestazioni che si configurano come risposte a
bisogni complessi (dimissioni protette, assistenza domiciliare integrata, progetti residenziali in RSA, progetti ambulatoriali e residenziali di tipo riabilitativo, ingresso in
Hospice). È costituita dal MMG, dal medico del CAD, dai
medici di organizzazione, dagli specialisti e si integra, di
volta in volta, con l’infermiere o il fisioterapista.
L’area del volontariato e della mutualità, ospitata in una
saletta dedicata, ha favorito una serie di collaborazioni
per lo sviluppo di programmi di promozione della salute,
di umanizzazione dell’assistenza e di supporto all’ope-
N. 211 - 2016
ratività come per esempio l’accompagnamento a visite
mediche ed esami e la consegna dei farmaci a domicilio
dei pazienti affetti da patologia cronica.
Il portafoglio di servizi presente all’interno della CdS
prevede infine il Consultorio familiare, pediatrico e per
l’adolescenza, il Servizio di salute mentale e la neuropsichiatria infantile; è inoltre possibile accedere ai programmi di screening oncologici per il tumore della mammella
(mammografia ed ecografia mammaria) e della cervice
uterina (pap test con ricerca HPV).
I moduli aggiuntivi attivati sono:
• L’Unità di degenza infermieristica (UDI con 15 posti
letto) dedicata a trattare persone affette da patologie
croniche in fase di iniziale scompenso che non necessitano di terapie intensive o di diagnostica a elevata
tecnologia, e che non possono, per motivi sia di natura clinica sia sociale, essere adeguatamente trattati
a domicilio, con l’obiettivo di ridurre il ricorso all’ospedalizzazione inappropriata. La degenza infermieristica valorizza il ruolo del MMG, che è il punto di
riferimento clinico per il paziente per alcune ore della
giornata, e quello del personale infermieristico, che
è responsabile della presa in carico assistenziale finalizzata al ripristino delle condizioni di temporanea
non autosufficienza. La tipologia di assistenza erogata
dalla degenza infermieristica possiede caratteristiche
intermedie tra il ricovero ospedaliero e le altre risposte
assistenziali domiciliari (ADI) o residenziali (RSA). A
differenza dell’analogo modulo in ospedale essa dovrebbe, nella visione della Direzione strategica aziendale, “prevenire il ricovero piuttosto che favorire le
dimissioni”.
• L’assistenza farmaceutica con distribuzione diretta di
farmaci e presidi ai pazienti esterni e anche per le
patologie rare e per la fibrosi cistica.
• Il Punto di primo intervento (PPI), aperto 24 ore, che
è in fase di adeguamento alle indicazioni del dm
70/2014, infatti da sede alternativa ad un Pronto Soccorso ospedaliero per la gestione delle urgenze di basso e medio livello, sarà trasformato in un ambulatorio
di cure primarie la cui gestione sarà affidata ai MMG
che effettueranno turni attivi giornalieri h 24. L’ambulatorio fornirà gratuitamente prestazioni in risposta a
condizioni cliniche e patologie di bassa complessità
che possono trovare adeguata risposta nell’ambito
delle cure primarie e sarà aperto a tutti i cittadini. Saranno concordate precise procedure con ARES 118
per la gestione delle patologie tempo dipendenti e la
centralizzazione di quei pazienti in condizioni criti-
Le Case della Salute
1021
che che dovessero accedere autonomamente.
• Il servizio Dialisi con 10 posti letto per 26 pazienti in
trattamento.
• Una postazione del 118 con ambulanza aperta 24
ore con infermiere.
La logistica
La CdS di Magliano Sabina rappresenta il riferimento
sanitario territoriale per i cittadini che abitano nell’ambito del Distretto n. 2 dell’Azienda (Salario-Mirtense). Il
Distretto, in cui risiedono 60.471 abitanti, confina con
l’Umbria (Provincia di Terni) e con i Distretti delle ASL laziali di Viterbo e Roma. L’altitudine media del territorio è
più bassa di quella del Distretto Montepiano Reatino, ma
la diversa situazione geo-morfologica non rende migliore la viabilità interna. Il collegamento tra i Comuni e la
CdS si aggira fra i 20 e 36 chilometri, questo non facilita
l’accesso degli assistiti residenti nei Comuni più distanti,
infatti registriamo che i pazienti inseriti nei percorsi provengono principalmente dai Comuni più vicini. La nostra
idea progettuale, considerata la particolare situazione
geografica, la difficile viabilità, la numerosità dei Comuni
e la distribuzione degli ambulatori dei MMG, PREVEDE la
futura creazione di due “sedi satellite” della CdS nei Comuni Poggio Mirteto e di Passo Corese (che hanno quasi
6.000 abitanti), allo scopo di garantire equità di accesso alla popolazione e valorizzare il progetto nell’ambito
dell’intero Distretto.
Inoltre stiamo approfondendo la possibilità di predisporre
soluzioni di trasporto protetto per i pazienti dei Comuni
più distanti.
La valutazione
La CdS di Magliano è ben posizionata rispetto agli indicatori oggetto di monitoraggio e rileviamo un ottimo livello di adesione, compliance e soddisfazione al modello
proposto, rimangono spazi di miglioramento per quanto
riguarda gli indicatori di valutazione previsti a livello regionale, in particolare riguardo la riduzione dei ricoveri
legati a complicanze a breve e lungo termine per patologie croniche ed il consumo di farmaci.
Altri “indicatori di successo” della funzionalità della CdS
sono identificabili nell’elevata attenzione della comunità
locale e nella “frequentazione” del luogo che, sebbene
sia ancora molto legata alla presenza dell’offerta specialistica, consente la conoscenza e la diffusione del nuovo
modello e di coinvolgere i cittadini “più giovani” per creare, in prospettiva, “una cultura della salute” (tabella 2).
L’ASL di Rieti ha previsto nell’Atto aziendale la realizza-
1022
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Tabella 2 Prestazioni e pazienti in carico nella Casa della Salute di Magliano Sabina.
Casa della Salute
PDTA Pazienti arruolati
(a giugno 2016)
Diabete
BPCO
~ 1000
ECG Visite Cardiologiche
~ 1000
Esame Fundus Oculi
Degenza Infermieristica
~ 1000
~ 280
Accessi 2015
2.950
Accessi Giugno 2016
1.235
Pazienti 2015
221
Pazienti Giugno 2016
119
Prestazioni
Attività Ambulatoriale 2015
Altre Prestazioni Specialistiche
zione di una seconda CdS presso il Poliambulatorio di
Rieti che rappresenterà la sede di realizzazione dei percorsi per le patologie croniche finora realizzati “solo in
fase ospedaliera”. La prevista realizzazione della seconda CdS a Rieti sarà un’occasione per sperimentare un modello di CdS diverso perché situata in un contesto urbano
dove è presente l’Ospedale della ASL e sarà quindi più
visibile e comprensibile per la popolazione la diversità
dell’approccio, della presa in carico ed il valore dei percorsi di cura per la cronicità.
~ 250
APA Cataratta (2016)
Ambulatorio Infermieristico 2015
Diagnostica Strumentale 2015
56
Visite Diabetologiche
Eco Cardio
PPI
490
1.012
11.055
Cardiologia
2.925
Oculistica
6.775
Med. Fisica e Riabilitativa
4.626
Gastroenterologia
1.214
Pneumologia
723
Diagn. Vascolare
421
Laboratorio Analisi
77.836
Nefrologia e Dialisi
18.718
Radiologia
9.992
Radiologia Tradizionale
8.948
TAC
1.044
Bibliografia
Brambilla, A, G. Maciocco. Le case della salute. Innovazione e
buone pratiche. Carocci, Roma 2016.
Del Vecchio M, Prenestini A, Rappini V. Le nuove strutture intermedie: modelli organizzativi, target di utenti e formule di servizio in CeRGAS Bocconi (a cura di) Rapporto OASI 2016. Egea,
Milano 2016.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1023
I Presidi territoriali in Puglia
tra presente e futuro
Giovanni Gorgoni1, Ottavio Narracci2, Maria Micaela Abbinante3
Direttore Dipartimento salute, benessere e sport per tutti Regione Puglia
2
Direttore generale ASL Bt
3
Responsabile Comunicazione ASL B
1
Abstract
La Regione Puglia, dal 2010 ad oggi, è interessata da processi di profonda trasformazione della propria rete ospedaliera e
ha per questo ri-determinato il servizio di assistenza territoriale, sostenendone una organizzazione complessa. L’articolo mette
in evidenza i principali passaggi di questo processo e analizza il caso dell’ex Presidio ospedaliero di Trani, oggi Presidio
territoriale di assistenza (PTA), che è in piena fase di riorganizzazione.
La Regione Puglia, a partire dal Piano di Riorganizzazione ospedaliera del 2010, è stata interessata da importanti processi di dismissione di Presidi ospedalieri e
contestuale riconversione delle stesse strutture in Presidi
territoriali di assistenza (Del Vecchio, Prenestini, Rappini
2016). Nel corso degli ultimi anni si sono definite procedure di riorganizzazione del sistema sanitario di assistenza e cura su tutto il territorio che hanno portato, ad
oggi, all’attivazione di 356 posti letto negli Ospedali di
comunità, 315 posti destinati a Residenza sanitaria assistenziale a totale carico del Servizio sanitario regionale
(RSA R1), nonché ulteriori degenze territoriali nell’ambito
dell’assistenza residenziale, delle cure palliative, dell’assistenza psichiatrica e dei servizi. Gli obiettivi perseguiti
dal governo regionale e definiti nei documenti di indirizzo sono rivolti a ottenere la massima efficienza erogativa,
la migliore efficacia attraverso la messa in comune delle
competenze e delle abilità, la migliore appropriatezza
nell’uso delle risorse e la maggiore integrazione possibile
con la rete dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali a
ciclo diurno e a carattere domiciliare.
Il Presidio territoriale di assistenza (PTA) si realizza sia attraverso un pieno accorpamento dei servizi territoriali, di
norma presso il Comune sede del Distretto sociosanitario
e non servito da un presidio ospedaliero. Sono possibili
aggregazioni parziali degli stessi all’interno dell’ambito
distrettuale qualora, per complessità dei contesti territoriali e dei fabbisogni rilevati, tale flessibilità sia necessaria
ad assicurare la continuità dell’assistenza.
All’interno del PTA possono pertanto essere svolte diverse
funzioni, in ragione dello specifico contesto di offerta di
servizi e di fabbisogno. Quelle previste dal livello regionale e assegnate alle nuove strutture riconvertite prevedono sia funzioni di “degenza territoriale” sia un’ampia
gamma di “servizi sanitari e sociosanitari” (tabella 1).
La responsabilità gestionale, organizzativa e igienicosanitaria fa capo al Direttore del Distretto sociosanitario
territorialmente competente, che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche.
Al momento nella Regione Puglia, così come edivenziato
nel Regolamento regionale 14/2015, sono presenti 27
PTA (6 nella ASL di Foggia, 2 nella ASL Bt, 9 nella ASL
Bari, 3 nella ASL di Brindisi, 2 nella ASL di Taranto e 5
nella ASL di Lecce), organizzati in maniera più o meno
complessa per quantità e qualità dei servizi attivati. Quelle previste dal livello regionale e assegnate (sempre dal livello regionale) alle nuove strutture riconvertite prevedono
sia funzioni di “degenza territoriale” sia un’ampia gamma di “servizi sanitari e sociosanitari” (tabella 1). Tutti
gli attuali PTA ospitano le degenze territoriali. Tra queste
rientrano sia l’Ospedale di comunità (definito come “una
struttura sanitaria con un numero limitato di posti letto di
degenza territoriale di norma non superiore a 20 posti
letto gestiti da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è garantita nelle 24 ore da MMG, PLS o da
altri medici dipendenti o convenzionati con il SSN”) sia
le Residenze sanitarie assistenziali (RSA) di tipologia R1
che erogano prestazioni a pazienti gravemente non au-
1024
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Tabella 1 Le funzioni previste nei PTA della Regione Puglia.
Degenza
Territoriale
Ospedale di comunità
Centro risvegli
Assistenza Residenziale
Hospice
Servizi
Sanitari
e Socio
Sanitari
Accesso Unico alle cure:
CUP;
Accesso Unico Facilitato al Sistema;
Gestione e presa in carico delle cosiddette “dimissioni protette” e raccordo con l’UVM distrettuale.
Attività Amministrativa:
Scelta e revoca del Medico
Esenzioni ticket
Rimborsi
Ausili, presidi e protesi
Assistenza Integrativa Farmaceutica
Attività Medica di base e Specialistica Ambulatoriale:
Associazionismo complesso dei MMG e PLS
Continuità assistenziale
Cure Domiciliari Integrate (CDI)
Assistenza Farmaceutica Territoriale
Poliambulatorio Specialistico (secondo l’articolazione definita con LR 23/2008)
Day service medico
Day service chirurgico
Ambulatorio delle cronicità
Diagnostica di Base
Radiodiagnostica
Centro Prelievi
Assistenza Consultoriale e Materno Infantile:
Consultorio Familiare
Procreazione Medicalmente Assistita
Emergenza-Urgenza:
Punto di primo Intervento Territoriale
Postazione 118
Prevenzione:
Vaccinazioni;
Medicina legale e fiscale
Salute Mentale:
Centro Salute Mentale
Centro diurno psichiatrico
Centro residenziale/semiresidenziale per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
Dipendenze Patologiche:
Ser.T.
Riabilitazione:
Centro riabilitazione ambulatoriale
Trattamenti domiciliari
Servizi a gestione ospedaliera:
Posti rene
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1025
Tabella 2 Elenco PTA di cui al Regolamento Regionale 14/2015 e posti letto territoriali.
ASL
ASL Foggia
ASL Bt
ASL Ba
DISTRETTO
POSTI LETTO ATTIVI
NUOVI POSTI LETTO
Torremaggiore
28
54
Monte Sant’Angelo
28
60
Vico del Gargano
12
20
Sannicandro garganico
60
60
Troia/Accadia
89
89
Minervino Murge
8
44
Spinazzola
8
38
Rutigliano
-
30
Altamura
-
16
Gravina
-
10
Bitonto
22
32
Ruvo di Puglia
12
48
Gioia del Colle
12
12
-
16
Grumo Appula
24
40
Conversano
12
12
-
44
Ceglie Messapica
12
64
Cisternino
12
16
Massafra
11
11
-
40
Campi Salentina
20
35
Nardò
12
52
Poggiardo
6
50
Maglie
-
40
Gagliano del Capo
9
41
397
974
Noci
Asl Br
ASL Ta
Mesagne
Mottola
ASL Le
Totale
tosufficienti (stati vegetativi o coma prolungato, con gravi
insufficienze respiratorie, affetti da malattie neurodegenerative progressive, ecc.) richiedenti “trattamenti intensivi
a elevata integrazione sanitaria essenziali per il supporto
alle funzioni vitali”. La tabella 1 mette in evidenza lo sviluppo dei 27 PTA presenti sul territorio regionale e dei
relativi posti letto territoriali.
Nella Regione Puglia, contestualmente alla riconversione
delle strutture ospedaliere in PTA è stato implementato il
Chronic Care Model di presa in carico globale del paziente per garantire continuità assistenziale, delle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali. Il modello è stato
in una prima fase sperimentato in pochi Distretti e solo
dopo una prima valutazione è stata avviata una seconda fase di implementazione del servizio sulle principali
patologie croniche. Nella terza fase lo stesso modello è
stato diffuso su tutti i Distretti socio-sanitari della Puglia
ed è stato proposto come “modello ordinario di gestione
1026
Le Case della Salute
dei protocolli diagnostici, terapeutici e assistenziali per
la presa in carico della persona affetta da patologie a
lungo termine”.
In quest’ultima fase del percorso di sviluppo le figure infermieristiche coinvolte sono quelle presenti nelle forme di
associazionismo medico e presso gli ambulatori distrettuali.
Il caso Trani
Il processo di riconversione dei Presidi ospedalieri in
PTA è in continua e necessaria evoluzione ed è stato definito anche nelle norme nazionali (Decreto ministeriale
n.70/2015 e Legge di stabilità 2016) e nei documenti di
recente redazione della Regione Puglia (Piano di riordino
ospedaliero e Programma operativo), attualmente in fase
di adozione.
Un importante processo di completa riconversione in Presidio territoriale di assistenza riguarda il Presidio ospedaliero di Trani, nel territorio della ASL Barletta-Andria-Trani.
La riorganizzazione dei servizi è stata oggetto di un protocollo di intesa, inteso quale Progetto pilota regionale,
firmato dalla Presidenza della Regione Puglia, dalla Direzione generale della ASL e dal Comune di Trani (delibera
della ASL Bt n. 1758 dell’1 settembre 2016) e prevede
una definizione ad ampio raggio dei servizi sociosanitari
offerti sul territorio, anche attraverso una rideterminazione degli spazi di proprietà comunale messi a disposizione della ASL per l’erogazione dei servizi.
Quello di Trani è stato plesso ospedaliero del Presidio
Trani-Bisceglie – quest’ultimo definito nei nuovi regolamenti regionali come Ospedale di base – e la sua organizzazione è storicamente oggetto di profondo interesse
da parte dei cittadini.
La riorganizzazione, pertanto, non può non passare attraverso un processo culturale di cambiamento, già avviato
nel 2012 con l’attivazione del primo Centro polifunzionale territoriale (CPT) della ASL Bt con il diretto coinvolgimento di dieci medici di medicina generale che assicurano, all’interno del Presidio, assistenza h12.
Ecco perché tutti i processi avviati sono accompagnati da
una fase di confronto con l’amministrazione comunale,
al fine di migliorare l’integrazione dei servizi offerti, e
di presentazione al più ampio pubblico per metterne in
evidenza caratteristiche, vantaggi e opportunità di cura
e assistenza.
In particolare, il progetto del PTA di Trani prevede al suo
interno le seguenti funzioni:
• farmacia territoriale;
• servizio di medicina di laboratorio territoriale;
N. 211 - 2016
• centro polifunzionale territoriale con 10 medici di medicina generale;
• area dei servizi di emergenza/urgenza composta da
continuità assistenziale (ex guardia medica), ambulatorio (SCAP), Punto di primo intervento territoriale
(PPT) e servizio di 118;
• area di front office con Info-Point e servizio di CUPTicket;
• servizio dialisi e “punto rene”;
• unità di raccolta fissa (?);
• servizio di radiologia con RMN;
• polo didattico universitario per la medicina di comunità con salone congressi;
• piastra operatoria a valenza aziendale;
• attività specialistica di 1° e 2° livello con una piastra
ambulatoriale che ospita diverse specialità sia del
Distretto (cardiologia e cardiologia pediatrica, chirurgia, dermatologia, endocrinologia/diabetologia,
medicina dello sport, neurologia, oculistica, otorinolaringoiatria, ortopedia, odontoiatria e urologia) sia
a gestione ospedaliera (cardiologia, chirurgia, endoscopia, gastroenterologia e nutrizione, ginecologia,
pneumologia e medicina interna, ortopedia, urologia,
terapia del dolore, diabete mellito e malattie cardiometaboliche, malattie dell’apparato respiratorio, allergologia, servizio di medicina pre-natale con endoscopia ginecologica, attività ambulatoriale di ostetricia e
ginecologia e di screening oncologico e ginecologico
di 2° e 3° livello);
• ambulatorio infermieristico;
• servizio di oncoematologia;
• servizio di pneumotisiologia;
• ospedale di comunità con 10 posti letto;
• sistema complesso di telemedicina;
• area di riabilitazione specialistica pediatrica (ex art.
26).
Nel PTA di Trani si intende inoltre valutare la possibilità
di dare vita, ai sensi della Delibera n. 427 dell’11 marzo
2015, a una esperienza di sinergia pubblico-privato nel
campo della riabilitazione di eccellenza, con particolare
riferimento alla fascia di età pediatrica.
Il PTA ospita anche la Direzione e i servizi amministrativi
del Distretto socio-sanitario.
Il processo di riorganizzazione passa anche attraverso
interventi strutturali, già definiti dallo stesso protocollo di
intesa, e per i quali è stato previsto un costo complessivo
di 15 milioni di euro (programma del Fondo europeo di
sviluppo regionale 2014-2020).
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Tra i servizi di recente attivazione, bisogna mettere in evidenza il day service chirurgico che può contare su una
piastra operatoria di recentissima riqualificazione strutturale e strumentale. A partire da settembre 2016 sono stati
attivati interventi in day service per le branche di ginecologia, chirurgia vascolare, ortopedia, urologia, chirurgia
senologica e oculistica. Il servizio ha carattere aziendale
e in soli tre mesi di attività ha visto crescere in modo esponenziale (da 10 interventi a settembre a 100 interventi
a novembre 2016) la quantità di interventi eseguiti, con
una ricaduta significativa e potenzialmente importante
sulle liste di attesa aziendali. Alla base iniziale di organizzazione, è susseguita una fase di definizione della
complessità degli interventi con conseguente previsione
di posti letto tecnici e protocolli diagnostici-terapeutici di
gestione delle urgenze e delle criticità.
La riorganizzazione del PTA è oggetto di continue e metodiche riunioni operative che, in questa delicata fase di
1027
lavoro, hanno lo scopo di accompagnare tutti i protagonisti del processo di cambiamento. La definizione dell’uso
dei luoghi, la predisposizione dei servizi, l’organizzazione di protocolli diagnostici terapeutici necessitano infatti
– soprattutto nella fase iniziale – della stretta collaborazione di referenti sanitari e amministrativi dell’ex Presidio
ospedaliero e del Distretto sociosanitario che è chiamato
a rideterminare il posizionamento sul territorio. E questo
deve avvenire non solo in termini logistici, con un impatto
più o meno forte sulla popolazione, ma anche in termini
di qualità e quantità dei servizi offerti.
Bibliografia
Del Vecchio M, Prenestini A, Rappini V. Le nuove strutture intermedie: modelli organizzativi, target di utenti e formule di servizio, in CeRGAS - Bocconi (a cura di) 2016, L’aziendalizzazione
della sanità in Italia: Rapporto OASI 2016, Milano, Egea, pp.
509-47.
1028
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
L’integrazione attraverso le
strutture sanitarie intermedie
Maria Micaela Abbinante1, Luigi Lanzolla2
Responsabile comunicazione ASL Bt
Direttore Distretto sociosanitario Campi Salentina (ASL Lecce)
1
2
Abstract
Il lavoro analizza l’esperienza maturata nel Distretto sociosanitario di Campi Salentina della ASL Lecce, la seconda più
grande della Puglia. In particolare vengono messi in evidenza i risultati raggiunti attraverso la realizzazione del Presidio
territoriale di assistenza, l’Unità di degenza territoriale (UDT) e l’attivazione di modelli di presa in carico come il Programma
Care-Puglia.
Nel Gennaio 2007 dalla fusione dell’AUSL LE/1 e
LE/2 nasce l’ASL Lecce che per popolazione residente
(808.939 abitanti) è la seconda ASL della Regione Puglia
dopo quella di Bari e comprende 97 Comuni distribuiti
su una superficie di Kmq 2.759. L’assistenza territoriale
nell’ASL Lecce è articolata in 10 Distretti socio sanitari.
Il Distretto di Campi Salentina comprende 8 Comuni
(Campi Salentina, Carmiano, Guagnano, Novoli, Salice
Salentino, Squinzano, Trepuzzi, Veglie) e risponde alle
esigenze di salute di una popolazione complessiva di
88.817 unità.
Nel Distretto sono presenti:
• 1 Poliambulatorio;
• 4 Consultori familiari;
• 7 sedi di continuità assistenziale;
• 1 Residenza sanitaria assistenziale (RSA);
• 2 Residenze sociosanitarie Assistenziali (RSSA);
• 76 medici di medicina generale (MMG);
• 13 pediatri di libera scelta (PLS).
La grande maggioranza dei medici di medicina generale
lavora in associazione (3 gruppi, 8 super gruppi); la quasi totalità dei pediatri di libera scelta lavora in associazione (12 pediatri su 13).
Con atto deliberativo n.24/2011, in attuazione di quanto
disposto dal Regolamento regionale n.18/2010, è stata
disposta la riconversione dello stabilimento ospedaliero
di Campi Salentina in “Presidio territoriale per le cronicità
con particolare riferimento alle cronicità immuno-mediate
e ambiente correlate”. Il dettaglio del Piano di riconversione è stato disposto con l’atto deliberativo n.1070/2011:
la responsabilità della attivazione del Presidio territoriale
e della organizzazione sanitaria e amministrativa è stata affidata alla Direzione del Distretto sociosanitario con
nota del maggio 2012. Da allora sono in corso i processi
di riconversione logistici, organizzativi e soprattutto culturali per la realizzazione del Presidio territoriale oggi
meglio definito come Presidio territoriale di assistenza
(Regolamento regionale n.14/2015).
Nel PTA sono state trasferite tutte le attività distrettuali che
si trovavano dislocate nel territorio del Distretto comprese
quelle afferenti alle Unità operative periferiche dei Dipartimenti di prevenzione, salute mentale e riabilitazione (tabella 1). Non è stata ancora trasferita l’Unità operativa
periferica del Dipartimento delle dipendenze patologiche
(SERT).
La costruzione logistica del PTA ha consentito di raggiungere tre obiettivi:
1. Eliminare la frammentarietà dell’assistenza sul territorio e favorire di conseguenza l’integrazione tra i servizi sanitari e sociosanitari.
2. Costituire un luogo unico di accesso per l’assistenza
territoriale favorendo la costruzione della immagine di
un punto unico di riferimento per il cittadino-utente che
così può trovare in un luogo unico la risposta ai suoi
bisogni cronici di salute.
3. Risparmio economico (oltre 250.000 euro/anno rappresentato dalla eliminazione dei canoni d’affitto che
l’ Azienda sanitaria sosteneva).
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1029
Tabella 1. Organizzazione logistica PTA
PIANI
SERVIZI
Seminterrato
Magazzino; Farmacia; Laboratorio analisi
Rialzato
Cup-ticket; Urp; Uos Emodialisi; Uoc Radiodiagnostica; Punto di Primo Intervento; Postazione 118
Primo
Centro diurno psichiatrico; Crap; Consultorio familiare
Secondo
Poliambulatorio: Cardiologia, Oculistica, Orl, Dermatologia, Endocrinologia, Neurologia,
Pneumologia, Medicina Interna, Gastroenterologia, Geriatria, Reumatologia, Fisiatria, Ginecologia,
Odontoiatria, Diabetologia, Chirurgia, Medicina Sportiva, Oncologia, Ufficio Protesi e Ausili.
Terzo
UOC Centro di Salute Mentale, Igiene Pubblica, Igiene Veterninaria, Unità fissa di raccolta sangue
Quarto
Direzione Distretto, UOS Cure Primarie, UVM, Udmg (Ufficio distrettuale per il monitoraggio attività
medicina generale), Assistenza domiciliare, Udpls (Ufficio distrettuale per il monitoraggio attività
pediatri di libera scelta)
La tabella mostra l’organizzazione logistica del PTA e la distribuzione di tutti i servizi attivi.
L’obiettivo primario del PTA è quello di organizzare in
modo appropriato, efficace ed efficiente i “percorsi dei
pazienti” in relazione ai loro bisogni di salute rivolgendo
particolare interesse alle persone con patologia cronicodegenerativa, alla non-autosufficienza, alla parziale autosufficienza che costituiscono una delle maggiori sfide per
il nostro sistema assistenziale.
Tale obiettivo può essere perseguito attraverso l’adozione
e la messa in atto di modelli organizzativi che riescano a
operare cambiamento culturale.
Ci riferiamo a modelli che perseguono la presa in carico
globale del paziente, il lavoro in èquipe, l’empowerment
del paziente (chronic care model), il criterio della erogazione multi-professionale, l’integrazione Ospedale-territorio anche attraverso l’attivazione di strutture sanitarie
intermedie (Ospedale di comunità, Hospice, RSA, RSSA
o altre Unità di degenza territoriali - UDT).
Nel PTA di Campi Salentina sono stati adottati tali modelli
attraverso l’attivazione dell’Ospedale di comunità, i dayservices per l’ipertensione e il diabete e il Programma
Care-Puglia.
L’ Ospedale di Comunità – Unità di degenza territoriale attivata nel Distretto di Campi Salentina a novembre
2012 con 8 posti letto – è una struttura sanitaria che può
rispondere al bisogno di salute di quei pazienti che a giudizio del medico di medicina generale non necessitano
di un’assistenza sanitaria complessa quale quella erogata
da una struttura ospedaliera oppure può rispondere al
bisogno di salute di quei pazienti che dopo aver concluso l’iter del ricovero ospedaliero hanno ancora necessità
assistenziali che non possono essere fornite al domicilio o
attraverso altre strutture territoriali quali la RSA o la RSSA.
L’UDT quindi possiede le caratteristiche di una struttura intermedia tra il ricovero ospedaliero e il domicilio e non è in
contrapposizione, in alternativa rispetto alle altre strutture
di degenza territoriale, ma piuttosto si pone in stretto rapporto di collaborazione funzionale nel tentativo di costruire
una rete di servizi sanitari extraospedalieri prevalentemente mirata alle problematiche della patologia cronico-degenerativa. In questo modo l’UDT riesce a evitare che pazienti dal domicilio finiscano per produrre ricoveri ospedalieri
inappropriati e consente alla struttura ospedaliera di ridurre la degenza ospedaliera correlata a tale tipo di casistica.
L’UDT ha una forte funzione di integrazione tra servizi
distrettuali e strutture sanitarie quali l’Ospedale, il laboratorio analisi, la radiologia, il punto di primo intervento e il
118, la farmacia, la dialisi, il Poliambulatorio e l’assistenza domiciliare. Al contempo, l’UDT rappresenta anche
uno strumento di integrazione tra professionalità diverse
(medici di medicina generale, medici specialistici, infermieri professionali, terapisti della riabilitazione).
I diversi professionisti impegnati nelle attività dell’UDT sono
coordinati, oltre che da un infermiere, anche da un medico: si tratta di uno specialista in medicina interna che coadiuva il Direttore del Distretto nella responsabilità igienicoorganizzativa della struttura, partecipa alla discussione
del caso e alla definizione del PAI (Percorso assistenziale
individuale) all’interno dell’UVM (Unità di valutazione multidimensionale) del Distretto, collabora, ove richiesto, con il
medico di medicina generale nella gestione clinica del paziente, programma la dimissione, gestisce la lista d’attesa
ove presente, provvede alla raccolta dati ed elaborazioni
statistiche che invia al Direttore del Distretto.
1030
Le Case della Salute
L’esperienza maturata nel distretto di Campi Salentina
porta a ritenere questa figura un valore aggiunto in quanto si è rivelata grande facilitatore nel superare le barriere che spesso si apponevano all’integrazione tra servizi,
strutture, professionalità.
Il medico di medicina generale è il responsabile clinico
dell’assistenza e della documentazione clinica. Egli propone
il ricovero del proprio assistito, concorda con i medici della
unità operativa del Presidio ospedaliero l’eventuale trasferimento del proprio assistito dal Presidio ospedaliero all’UDT,
collabora alla definizione del Piano assistenziale individuale,
stabilisce la dimissione predisponendo la lettera di dimissione, concorda all’interno della Unità di valutazione multidimensionale il percorso post-ricovero ove sussista la necessità di proseguire l’intervento assistenziale.
La proposta/richiesta di ricovero in UDT, oltre che dal medico di medicina generale, può essere formulata dal medico
ospedaliero dopo la stabilizzazione della fase acuta del paziente, dal medico specialista ambulatoriale, dal medico di
continuità assistenziale, da un familiare del paziente.
La proposta/richiesta di ricovero in UDT va comunque indirizzata al Direttore del Distretto e valutata all’interno della
Unità di valutazione multidisciplinare che provvede a redigere il Piano di assistenza individuale.
Dall’analisi dei dati è emerso che il tasso di utilizzo della
struttura nell’anno 2015 è stato vicino al 100%, l’accessibilità
alla struttura è stata di poco superiore ai 10 giorni, la patologia oggetto di ricovero in linea con gli obiettivi di una struttura intermedia.
Il Poliambulatorio distrettuale situato all’interno del secondo piano del PTA ha un buon tasso di utilizzo: in media ogni
residente del Distretto esegue circa quattro prestazioni/
anno escluse quelle di laboratorio e gli accessi al Punto di
primo intervento (PPI).
Sono presenti all’interno del Poliambulatorio, così come stabilito dalla Regione Puglia, le seguenti specialità: cardiologia, chirurgia generale, dermatologia, diabetologia, endocrinologia, gastroenterologia, geriatria, ginecologia, medicina
fisica e riabilitativa, medicina interna, medicina dello sport,
neurologia, oculistica, odontoiatria, oncologia, ortopedia,
otorinolaringoiatria (ORL), reumatologia e pneumatologia.
Le risorse umane sono rappresentate da: 28 medici specialisti, 2 medici di organizzazione sanitaria, 1 coordinatore del
Centro psicosociale (CPS), 19 infermieri professionali del CPS
e 2 ausiliari specializzati.
L’attività specialistica è costituita dalle seguenti tipologie di
prestazioni:
N. 211 - 2016
• visite ambulatoriali secondo il criterio della priorità clinica;
• visite domiciliari;
• visite presso l’Unità operativa di dialisi;
• visite presso l’UDT;
• visite presso l’ambulatorio delle cronicità;
• visite per i day-service;
• visite in ALPI (Attività libero professionale intramuraria)
• visite per invalidità.
L’attività specialistica è stata riorganizzata seguendo il criterio della priorità clinica e il criterio della erogazione multiprofessionale.
Il criterio della prenotazione e quindi della erogazione professionale specialistica secondo “priorità clinica” significa che
il medico prescrittore ha a disposizione quattro differenti sigle per chiedere l’erogazione della prestazione specialistica:
- U-Urgente: la richiesta deve essere evasa dalla struttura
entro 72 ore; in questo gruppo sono stati aggiunti anche
ultranovantenni e bambini tra i 0 e i 14 anni con disabilità
o patologia cronica grave;
- B-Breve: la richiesta deve essere evasa entro 10 giorni; in
questo gruppo sono stati aggiunti anche ultraottantacinquenni e donne in gravidanza a termine;
- D-Differita: la richiesta può essere evasa entro 30 giorni
se si tratta di visite, entro 60 giorni se si tratta di accertamenti;
- P-Programmabile: la richiesta può essere evasa oltre i
tempi stabiliti per la differita.
Tale criterio ha consentito di governare l’erogazione specialistica secondo fasce di priorità relative al bisogno
del paziente stabilito dal medico di medicina generale
o dal pediatra di libera scelta. Ciò ha consentito di intervenire sui tempi di attesa modulandoli in funzione delle
necessità cliniche dei pazienti. L’altra logica che è stata
adottata nel riorganizzare l’attività specialistica è stata
quella di cambiare la cultura dell’erogazione specialistica
mono-professionale a favore di quella multi-professionale.
Tanto in quanto è stato ampiamente dimostrato che con i
pazienti cronici con equilibri precari si possono ottenere
risposte efficienti ed efficaci solo attraverso approcci integrati e multi-professionali in grado di migliorare l’empowerment del paziente.
Per i pazienti con patologia cronica compensata sono invece sufficienti controlli mono-specialistici dilazionati nel
tempo.
I modelli che seguono questa logica, e che sono stati attivati
nel PTA del Distretto di Campi Salentina sono:
N. 211 - 2016
• il day-service;
• il programma Care-Puglia.
Anche il day service, infatti, è un modello organizzativo
che comporta interventi integrati, interdisciplinari e articolati attraverso i quali il territorio può gestire alcune patologie croniche complesse favorendo la de-ospedalizzazione e riducendo i ricoveri inappropriati nella struttura ospedaliera. Si tratta di una presa in carica del paziente per
un inquadramento globale e la definizione della relativa
gestione assistenziale in tempi necessariamente brevi.
Per questi percorsi sono previsti: accesso facilitato alla
struttura, team di operatori dedicati a tale attività con alto
livello di integrazione organizzativa ed operativa, erogazione di pacchetti di prestazioni in luoghi e tempi concentrati, monitoraggio.
A Campi Salentina è stato attivato il day-service per l’ipertensione arteriosa e il day-service per il diabete mellito.
Nel primo caso, il medico di medicina generale richiede
una visita specialistica per attivare il day-service, quindi il
paziente si prenota nell’ambito delle agende di prenotazione esclusive per il percorso. Lo specialista cardiologo
dopo aver visitato il paziente, se individua la necessità,
arruola il paziente e lo prende in carico. La presa in carico prevede un percorso organizzato così schematizzato:
• ore 8,15 raccolta dei dati anagrafici e sanitari, anamnesi;
• ore 8,30 prelievo di sangue venoso;
• ore 8,45 colazione;
• ore 9,45 ecocolordoppler;
• ore 10,00 ECG, visita cardiologica ed ecocardiogramma;
• ore 10,45 applicazione holter pressorio (ritorna il giorno
seguente).
In settima giornata la relazione definitiva viene inviata al
medico di medicina generale e in trentesima giornata viene
effettuata la visita di controllo già programmata.
Il programma Care-Puglia
Rispetto al programma Care-Puglia e il suo modello di
attuazione “ambulatori della cronicità”, va precisato che
nel Distretto di Campi Salentina già negli anni 2006-2007
nell’ASL Lecce è stata condotta una sperimentazione del
Programma di Disease and Care Management di alcune
condizioni croniche (malattia cardiovascolare, scompenso cardiaco, diabete, rischio di malattia cardiovascolare)
attraverso il Progetto Leonardo. La sperimentazione è stata concepita sui contenuti fondamentali del Chronic Care
Model (CCM) che prevedeva un modello assistenziale
basato sull’alleanza tra comunità e il sistema sanitario. Le
cure erano basate su:
Le Case della Salute
1031
• percorsi adeguati alla realtà locale, condivisi e sostenuti
da una forte integrazione tra i professionisti;
• promozione e sostegno al self-management;
• sistema informatico finalizzato oltre che alla raccolta
dei dati, anche al supporto decisionale per la gestione
della cronicità.
L’intero modello poggia su un pilastro fondamentale: l’empowerment del paziente che è il prodotto della positiva
interazione tra un team assistenziale competente, proattivo e responsabilizzante e un paziente informato, attento e attivo nella gestione della sua condizione cronica.
Molto importante a questo fine è stata la figura presente
nel team del care-manager, un infermiere professionale
opportunamente formato alle tecniche di comunicazione.
L’obiettivo era quello di migliorare la aderenza di questi
pazienti ai percorsi di cura e al trattamento, con una forte
attenzione agli stili di vita salutari, per ottenere migliori
outcome clinici.
Successivamente, sulla base dei risultati positivi ottenuti
con questa sperimentazione, la Regione Puglia nei Comuni interessati al riordino ospedaliero ha attivato negli
anni 2011-2012 un modello assistenziale di gestione e
di presa in carico di pazienti con patologie croniche (malattia cardiovascolare cronica conclamata, o alto rischio
di sviluppare patologie cardiache, scompenso cardiaco,
diabete mellito, broncopneumopatia cronico ostruttiva)
denominato Progetto Nardino.
Nel Distretto di Campi Salentina il Progetto Nardino è stato
attivato non solo nel Comune di Campi Salentina, ma anche in tutti quei Comuni dove i medici di medicina generale
in associazione complessa hanno manifestato interesse di
adesione.
A partire da Gennaio 2013 la Regione Puglia con il Programma Care-Puglia ha di fatto esteso a tutto il territorio
regionale il modello organizzativo assistenziale ispirato
al Chronic Care Model.
I modelli organizzativi nell’ambito Programma Care-Puglia sono:
• modello basato sulla Unità di medicina generale: Medicina di gruppo/ supergruppo con presenza dell’infermiere care-manager;
• gli ambulatori per le cronicità (nei Presidi territoriali
e/o nelle sedi di associazionismo complesso);
• modello basato sui Presidi territoriali di assistenza (PTA),
sulle Case della Salute e/o Centri polifunzionali.
Nel Distretto di Campi Salentina sulla base dell’esperienza
acquisita con il Progetto Leonardo prima e in seguito
1032
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
con il Progetto Nardino, si è avviato, a partire dalla fine
dell’anno 2013, un programma di organizzazione di
ambulatori per la cronicità all’interno delle associazioni
mediche complesse nonché nella sede del Presidio territoriale di assistenza prevedendo due modelli organizzativi:
1. Nei Comuni limitrofi alla sede del Distretto i medici specialistici ambulatoriali svolgono la loro attività di collaborazione/consulenza con i medici di medicina generale nelle sedi delle associazioni mediche complesse.
2. Nel Comune di Campi Salentina la sede dell’Ambulatorio delle cronicità è presso il Presidio territoriale di
assistenza dove si recano i medici di medicina generale insieme all’infermiere care-manager nella giornata
dedicata al paziente cronico.
L’ambulatorio della cronicità con l’utilizzo di spazi comuni
da parte del team delle cure (MMG, specialista ambula-
toriale, infermiere care-manager) ha lo scopo di favorire
l’integrazione tra i professionisti e consente una migliore
gestione del paziente cronico. Inoltre limita gli spostamenti del paziente e riduce i tempi di attesa delle prestazioni
specialistiche in una logica di prestazioni programmate
secondo un percorso clinico-assistenziale condiviso. Si è
provveduto all’inserimento di infermieri care-manager a
tempo pieno in ciascuna associazione medica complessa, opportunamente formati alla tecnica di comunicazione e al counselling del paziente cronico. I percorsi clinicoassistenziali, condivisi dal team delle cure, sono integrati
in un modello innovativo teso non soltanto a razionalizzare e rendere facilmente fruibile un processo di cura e
assistenza per la condizione cronica, ma anche a favorire l’effettiva aderenza alle raccomandazioni e al followup. Il paziente viene coinvolto nella determinazione del
proprio profilo di cura per ottenere la migliore aderenza
Tabella 2. Procedure di presa in carico del paziente cronico
SELEZIONE E GESTIONE
FOLLOW-UP
Medico di Medicina Generale:
Inquadramento paziente
Selezione paziente per visita specialistica:
•Pazienti affetti da MCV conclamata
•Pazienti affetti da Rischio MCV
•Pazienti affetti da Scompenso Cardiaco
•Pazienti affetti da BPCO e altre patologie respiratorie
croniche
•pazienti affetti da Diabete I e II
L’elenco pazienti viene consegnato al CM segnalando
eventuali priorità per la prenotazione
Medico di Medicina Generale:
Periodicità della visita del MMG 6-12 mesi
Richiesta esami ematochimici in base ai percorsi diagnosticiterapeutici e al profilo di cura individuale del paziente.
Compilazione della scheda per la consulenza specialistica
Disponibilità ad interfacciarsi con gli specialisti durante la
visita.
Infermiere Care-Manager (CM):
Supporto educazionale del paziente
Organizzazione delle agende specialistiche
Periodicità della visita infermieristica 2-6 mesi.
Predisposizione di eventuali esami ematochimici necessari
prima della visita specialistica.
Attività in relazione alla visita specialistica:
•Consigliano al paziente documentazione sanitaria da
portare all’atto della visita
•Somministrano al paziente i questionari propedeutici alla
visita specialistica
•Collabora con lo specialista durante la visita
•Seguono i pazienti negli intervalli tra le visite fornendo
supporto educazionale.
Medici Specialisti:
Inquadramento nuovi pazienti ed invio al MMG;
collaborazione e consulenze con i MMG per la
definizione dei profili di cura individuali dei pazienti;
Riferimento specialistico per la gestione del paziente
cronico complesso.
Medici Specialisti:
Follow-up periodico dei pazienti in base a quanto definito dai
percorsi assistenziali dal profilo di cura individuale.
N. 211 - 2016
ad esso. La presa in carico del paziente cronico da parte del team delle cure, nell’ambito dell’Ambulatorio delle
cronicità, prevede le fasi di selezione, gestione, follow-up
(tabella 2).
L’organizzazione ha richiesto dapprima un periodo di
pianificazione e successivamente un coinvolgimento dei
medici di medicina generale, degli specialisti ambulatoriali e degli infermieri nonché una individuazione degli
spazi nelle sedi delle associazioni complesse, la formazione degli infermieri soprattutto sulle tecniche di comunicazione e la condivisione dei percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali.
Gli incontri tra tutti gli attori hanno portato alla stesura di
un documento (definizione della procedura) e alla programmazione della fase operativa.
Le Case della Salute
1033
L’avvio del programma è avvenuto in maniera graduale per
favorire la fase osservazionale con il riesame delle procedure
e la rilevazione delle criticità.
Attualmente, con il programma Care-Puglia, sono stati
presi in carico negli ambulatori per la cronicità del Distretto di Campi Salentina 1.244 pazienti cronici.
Riteniamo che questo tipo di organizzazione migliorando la coesione tra tutti gli operatori sanitari favorisca la
continuità assistenziale e la presa in carico globale del
paziente cronico e, inoltre, riduca i tempi di attesa per
l’esecuzione delle visite specialistiche
Riteniamo inoltre che questo modello porti il paziente a
diventare parte attiva nella gestione della sua condizione
cronica, istruito, responsabilizzato ed educato nell’autocura nonché nell’utilizzo appropriato dei servizi sanitari.
1034
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Dall’Ospedale di comunità
alla telemedicina
Maria Micaela Abbinante1, Francesco Galasso2
Responsabile comunicazione ASLBt
Direttore Distretto sociosanitario n. 3 Francavilla Fontana (ASL Br) - Referente Regionale AL BR per la Telemedicina -ASL Brindisi
1
2
Abstract
Il lavoro analizza l’esperienza maturata nel Comune di Ceglie Messapica del Distretto n.3 della ASL di Brindisi. In particolare
vengono messi in evidenza i risultati raggiunti con l’attivazione del Presidio territoriale di assistenza (PTA) e l’implementazione
dei servizi di telemedicina.
Nella ASLdi Brindisi, sulla base di quanto previsto dalla
normativa regionale (Piano di riordino ospedaliero del
2010), nel dicembre del 2011 con delibera n.3136 è
stato approvato un progetto di riconversione e riqualificazione dello stabilimento ospedaliero di Ceglie Messapica in Presidio territoriale di assistenza (PTA), al fine di
rispondere da un lato alle esigenze di salute espresse dal
territorio di riferimento e, dall’altro,di integrare la rete di
servizi ospedalieri e territoriali.
La riqualificazione ha previsto la realizzazione di un modello unico e innovativo avente le caratteristiche di un Presidio polifunzionale in grado di erogare tutti i servizi necessari al territorio (cure primarie, continuità assistenziale,
gestione dell’emergenza-urgenza, attività di prevenzione
e riabilitazione, attività amministrative, prestazioni di medicina generale e di specialistica ambulatoriale, nonché
di radiologia, laboratorio analisi, farmacia 1.
L’attività di valutazione diagnostica e terapeutica è di
competenza di un team di più operatori appartenenti ad
ambiti specialistici differenti che, nel caso specifico del
PTA di Ceglie Messapica, derivano dall’accorpamento
logistico, all’interno del medesimo Presidio, di consulenti preposti alle attività di specialistica ambulatoriale e di
medicina di base 2.
Nel Presidio territoriale di Ceglie Messapica, dunque, coesistono – integrandosi perfettamente secondo la logica
della cooperazione e della interdisciplinarità – un gran
numero di professionisti e servizi, suddivisi in cinque macroaree di attività:
• l’area della continuità assistenziale con la postazione
118 e il Punto di Primo intervento (PPI);
• l’area dell’assistenza sanitaria con gli ambulatori medici di medicina generale per la gestione della cronicità (progetto Nardino*), l’Ospedale di comunità, la
radiologia, il Centro prelievi, il day service medicochirurgico, il Poliambulatorio specialistico, il servizio
riabilitativo distrettuale, l’ufficio di igiene e medicina
legale, la farmacia;
• l’area socio-sanitaria con l’Assistenza domiciliare integrata (ADI);
• l’area
dell’accoglienza/amministrazione/supporto
con la Porta unica di accesso (PUA), il Centro unico di
prenotazione (CUP), gli uffici amministrativi distrettuali
el’ufficio di assistenza protesica;
• l’area delle attività sociali con le associazioni di volontariato (in particolare, l’Associazione nazionale tumori
- ANT).
All’interno di questo complesso assetto organizzativo,
centrale diviene il ruolo del nuovo Distretto (figura 1) che
rappresenta il principale garante facilitatore poiché è in
grado di assicurare, attraverso la riorganizzazione del
governo clinico del territorio la piena integrazione tra i
* Il Progetto Nardino è un’iniziativa promossa dall’AReS Puglia che
punta al sostegno e al coaching dei pazienti con patologie croniche,
attraverso l’attività dei care manager, che operano in stretta collaborazione con i medici di medicina generale e i medici specialisti
(team delle cure). L’utente non è più un fruitore passivo ma diventa
attore principale nella gestione della sua salute.
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
1035
Fig. 1. Il Presidio Territoriale di Assistenza di Ceglie Messapica: funzioni e attività.
medici di medicina generale e gli specialisti ospedalieri e
territoriali, l’organizzazione dei diversi team multi-professionali e lo sviluppo delle cure domiciliari.
L’attività di day service
All’interno del PTA vengono erogate diverse attività di
day service con volumi di attività e complessità che sono
andati crescendo negli anni tanto che nel 2015 sono stati
eseguiti 1.231 interventi di diversa tipologia. In particolare:
• 292 interventi di day service ortopedico;
• 616 interventi di day service oculistico;
• 24 interventi di chirurgia generale per ernia inguinale;
• 195 interventi di day service per ipertensione;
• 104 interventi di day service per diabete.
L’ospedale di comunità
All’interno del PTA trova collocazione anche un Ospedale
di comunità con 12 posti letto ubicati al secondo piano
della struttura.
I responsabili del processo assistenziale sono i medici di
medicina generale. A Ceglie Messapica partecipano a
questo processo 14 medici di medicina generale su un
totale di 18 attivi sul territorio. L’Ospedale di comunità
garantisce l’assistenza in regime residenziale di natura
medico-infermieristica a quei soggetti che, spesso appartenenti alle fasce più deboli della popolazione (anziani e
fragili), sono affetti da riacutizzazione di patologie croniche per le quali non servono cure ad alta intensità o
diagnostica a elevata tecnologia e che non possono, per
motivi sia di natura clinica che sociale, essere adeguatamente trattati a domicilio. L’Ospedale di comunità, quindi, favorisce l’integrazione dei servizi sanitari e sociali,
e valorizza il ruolo del medico di medicina generale e
degli altri professionisti che operano nell’area delle cure
primarie e intermedie. Tale ambito assistenziale si colloca
a pieno titolo nella rete dei servizi territoriali ed è da considerarsi quale “domicilio allargato” 3 4.
La tipologia di assistenza erogata possiede, pertanto,
caratteristiche intermedie tra il ricovero ospedaliero e le
altre risposte assistenziali domiciliari (ADI) o residenziali
(RSA), rispetto alle quali non si pone in alternativa, ma
piuttosto in un rapporto di forte integrazione e collaborazione, rappresentando uno snodo fondamentale della
rete di assistenza territoriale 5.
Il ricovero nell’Ospedale di comunità è proposto dal medico di medicina generale al direttore del Distretto che ne
1036
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Tabella 1. Dati di attività dell’ospedale di comunità (2015).
Ricoveri
Giorni di degenza
Durata media dei ricoveri (giorni)
226
4.256
16
Frequenza per sesso
Percentuale sul totale
Maschi
123
44,86%
Femmine
144
55,14%
verifica l’appropriatezza sulla base dei criteri di ammissione corrispondenti a specifiche esigenze assistenziali:
• proseguimento o stabilizzazione di una terapia;
• prevenzione di complicanze e recupero autonomia;
• trattamento di patologie acute/subacute non necessitanti di ricovero ospedaliero ordinario;
• esecuzione di terapie palliative.
I percorsi di afferenza-efferenza all’Ospedale di comunità
prevedono diverse combinazioni:
• domicilio -Ospedale di comunità - domicilio;
• PPI/118 - Ospedale di comunità - domicilio;
• Ospedale - Ospedale di comunità - domicilio;
• Ospedale di comunità - Ospedale - Ospedale di comunità-domicilio.
Nel corso del 2015 (tabella 1) sono stati eseguiti 266 ricoveri per un totale di giorni di degenza di 4.256 giorni:
la media dei ricoveri è stata di 16 giorni. Tra le principali
patologie per le quali è stato effettuato il ricovero nell’Ospedale di comunità ci sono le cardiovascolari (247
ricoveri), le patologie dell’apparato respiratorio (113
ricoveri), le endocrinologiche (91 ricoveri), le muscoloscheletriche (52 ricoveri), le gastrointestinali (40 ricoveri).
L’Ospedale di comunità oltre a rappresentare un modello
organizzativo “a ponte” tra Ospedale e territorio, favorendo, da un lato, le dimissioni protette e, dall’altro, l’integrazione tra professionisti 6-10, ha offerto l’opportunità di
sperimentare un progetto di telemedicina per la gestione
delle patologie croniche. Infatti ha consentito:
• la formazione sul campo dei medici di medicina generale e degli infermieri dedicati che hanno familiarizzato con la nuova tecnologia prima di applicarla presso
il domicilio dei propri pazienti;
• l’attivazione all’interno dell’Ospedale di comunità della
Centrale operativa per il monitoraggio dei flussi registrati
dai device allocati presso il domicilio degli assistiti.
Il progetto di telemedicina
Da ottobre 2015 è stato avviato, nell’Ospedale di comunità di Ceglie Messapica e direttamente al domicilio degli
utenti, un progetto di telemonitoraggio, teleconsulto e teleassistenza, denominato TeleHomeCare, rivolto a pazienti
affetti da scompenso cardiaco, BPCO e diabete. Il progetto è stato proposto come supporto tecnologico all’attività
già strutturata di assistenza domiciliare con l’obiettivo
principale di incidere favorevolmente sulla riduzione del
tasso di re-ospedalizzazione e sul miglioramento della
qualità dell’assistenza presso il domicilio del paziente,
validando altresì nuovi modelli di telemedicina applicati a
percorsi diagnostico-terapeutici per la gestione della cronicità 11-13. I pazienti, opportunamente selezionati, vengono seguiti dai propri medici di famiglia con interventi sia
domiciliari che attraverso il telemonitoraggio mediante
l’utilizzo gli innovativi strumenti tecnologici H@H Hospital
at Home, in grado di rilevare i principali parametri clinici
e strumentali oltre alla somministrazione terapeutica di ossigeno e alla bronco-aspirazione delle secrezioni.
I pazienti affetti da patologie croniche a rischio di instabilità, preventivamente selezionati e presi in carico nel
setting delle cure domiciliari, vengono seguiti utilizzando
il protocollo assistenziale previsto dal progetto, che definisce tempi e modalità di intervento.
Il progetto – che prevede l’utilizzo di 11 dispositivi denominati H@H Hospital at Home installati presso il domicilio
dei pazienti e presso l’Ospedale di comunità di Ceglie
Messapica – ha consentito l’assistenza ad oggi con il supporto della telemedicina di 102 pazienti.
L’esame dei dati preliminari del primo anno di attività,
consente di apprezzare l’efficacia del sistema di telemonitoraggio oltre che rilevare un favorevole giudizio da
parte dei pazienti con riferimento ad una migliore qualità
dell’assistenza. In particolare, analizzando i primi dati,
dal totale dei pazienti (90 paz. over 65), 45 risultano
affetti da scompenso cardiaco, 36 da BPCO e 21 da diabete. Il tempo medio di monitoraggio è stato di 28 giorni,
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
mentre il numero totale delle giornate di monitoraggio è
stato di 2.956 per complessive 3.484 misurazioni dei parametri vitali con una media di 1,2 misurazioni domiciliari al giorno/procapite.
In particolare, per i pazienti affetti da BPCO, nei casi
in cui si è presentato un peggioramento delle condizioni
cliniche dovute a un ridotto livello di saturazione di ossigeno, l’intervento da remoto e la somministrazione di terapia, mediante concentratore di ossigeno, ha permesso
un recupero e un miglioramento delle condizioni cliniche;
in molti dei casi è stata eseguita un’emogasanalisi a riposo e una saturimetria notturna, così come spesso si è reso
necessario modificare la terapia farmacologica.
Allo stesso modo, per i pazienti affetti da scompenso cardiaco, il peggioramento delle condizioni cliniche dovute ad esempio ad alterazioni della frequenza cardiaca
e della pressione arteriosa è stato risolto con intervento
terapeutico gestito direttamente da remoto da parte del
medico di medicina generale.
Parallelamente, il collegamento mediante videocomunicazione ha agevolato l’intervento e l’affiancamento a domicilio del personale caregiver 14-17.
Da febbraio 2016 è stato attivato all’interno del PTA
anche l’ambulatorio territoriale dello scompenso cardiaco consentendo l’integrazione con il livello specialistico
ospedaliero rappresentato dall’UTIC del Presidio ospedaliero di Francavilla Fontana. Tale ulteriore progettualità
ha consentito ai diversi attori (medico di medicina generale, medico specialista ospedaliero, medico specialista
ambulatoriale e caregiver) una concreta collaborazione
per la presa in carico del paziente, generando una vera
integrazione Ospedale-territorio. I pazienti dimessi infatti
in modo protetto dalla cardiologia del Presidio ospedaliero di Francavilla Fontana o già sul territorio e curati dai
propri medici di medicina generale, verificati i criteri di
inclusione nel progetto, sono stati trattati e monitorati a
domicilio, presi in carico dai propri medici di medicina
generale, supportati in caso di necessità dal contributo
specialistico del cardiologo sia ospedaliero che territoriale.
Possiamo affermare che il progetto di telemedicina ormai
a regime ha consentito di attivare le dimissioni protette dei
pazienti ricoverati per scompenso cardiaco e di evitare,
nella quasi totalità dei casi, il ricorso al ricovero ospedaliero con il ripristino di una situazione di stabilità clinica.
Lo stesso servizio è risultato particolarmente gradito tanto
ai pazienti che hanno valutato la qualità dei trattamenti
attraverso la compilazione di questionari quanto agli operatori, favorendo l’integrazione tra professionisti con una
1037
graduale e progressiva adesione al progetto da parte dei
medici di medicina generale (oggi 12 su 18 presenti nel
territorio di Ceglie Messapica).
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sperimentare. Agenzia di Sanità Pubblica - Laziosanità, 2010.
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1038
Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Deframmentazione del
sistema curante e nuovi
paradigmi
Maurizio Rocca1, Giuseppe Perri2, Mario Staglianò3,
Rocco Cilurzo3, Giuliana Orlando3
Coordinatore Casa della Salute di Chiaravalle - Azienda sanitaria provinciale Catanzaro
Direttore generale Azienda sanitaria provinciale Catanzaro
3
Casa della Salute di Chiaravalle - Azienda sanitaria provinciale
1
2
Abstract
Nell’ottobre 2014 l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro ha dato avvio all’attivazione della Casa della Salute in
attuazione del processo di riconversione del locale Presidio ospedaliero. La scelta adottata è stata quella di accompagnare
questo processo di deospedalizzazione delle aspettative comunitarie di salute e di contestuale riorientamento/contaminazione delle professionalità, utilizzando la leva della formazione (formazione - azione) realizzata in collaborazione con la
Facoltà di medicina dell’Università di Catanzaro. Elemento ulteriore è consistito nell’aver integrato la presenza di operatori
SSN, enti locali, organizzazioni di rappresentanza dei cittadini e volontariato con la finalità di puntare sulla costruzione di
una condivisa e partecipata governance comunitaria per la salute. Nel 2016 la formazione, e quindi il processo di sviluppo
operativo, si è orientato alla costruzione di una “Carta della Salute del cittadino”. Prerequisito culturale dell’intero percorso
è rappresentato dai temi del Manifesto delle Case della Salute 1.
MANIFESTO PER UNA AUTENTICA CASA DELLA SALUTE (sintesi)
Il Sistema sanitario del nostro Paese prevede lo sviluppo sul territorio nazionale delle “Case della Salute” (…)
1.La salute è un diritto umano fondamentale ed è un bene comune essenziale per lo sviluppo sociale ed economico della comunità.
2.La salute è creata e vissuta negli ambienti dove le persone vivono tutti i giorni: dove imparano, lavorano, giocano ed amano (OMS
1986); (...)
3.La salute è un bene da perseguire come comunità, in tutte le sue articolazioni di benessere fisico, psichico, affettivo, relazionale,
spirituale (...)
4.La salute non è una merce alla stregua di ogni altro oggetto, prodotto e offerto da un mercato nel quale le persone, espropriate di
saperi fondamentali, diventano consumatori passivi di prestazioni che le singole istituzioni producono (...)
5.La salute oggi può rappresentare il luogo di una nuova identità comunitaria, in una società contraddistinta dalla diversità e dalla
pluralità e può rappresentare il volano per un recupero della coesione sociale e per l’affermarsi delle relazioni di reciprocità che
qualificano e sostengono il vivere stesso nella comunità.
6.La comunità è il luogo naturale della cultura e della produzione di salute, a partire dalle risorse e dai saperi in essa presenti (...)
7.“Il patto sociale per la salute” è lo strumento che - partendo da una adeguata conoscenza della comunità, delle sue risorse e
dei suoi problemi - promuove cittadinanza e rafforza il nesso tra comunità, servizi e istituzioni, contro ogni logica settoriale e
prestazionistica.
8.La Casa della Salute si propone perciò come luogo in cui:
-- si realizza una nuova identità comunitaria nel segno di un welfare efficace e partecipato;
-- prendono corpo i diritti di cittadinanza, quelli riconosciuti e quelli negati;
-- i cittadini esprimono, attraverso la partecipazione, la consapevolezza dei doveri di solidarietà;
-- le risorse del territorio, comprese quelle istituzionali, si integrano nella costruzione e nel sostegno di azioni condivise per la salute;
-- le persone si sentono accolte, soprattutto le più deboli, riconoscendo il valore delle differenze (...)
N. 211 - 2016
La Casa della Salute di Chiaravalle trae origine, nel rispetto della programmazione regionale di cui al Decreto
del presidente della Giunta regionale n. 185/2012, dal
processo di riconversione del locale Presidio ospedaliero
attivo sin dal 1978.
L’area di riferimento è costituita da 10 Comuni collinari, posti nella zona delle pre-Serre, con una popolazione
pari a 16.723 residenti di cui il 25% ultrasessantacinquenni. Deve sottolinearsi come, negli ultimi 20 anni, si
sia assistito a un significativo e progressivo decremento
demografico (-15%) e al trasferimento degli uffici/servizi
zonali quali Pretura, Sede notarile, Agenzie delle entrate.
Nel dicembre 2013, ultimato lo studio di fattibilità correlato alla sostenibilità (value) dell’investimento (7 milioni
di euro destinati ai lavori di ristrutturazione e 1,5 milioni
destinati alla tecnologia), l’Azienda sanitaria provinciale
(ASP) di Catanzaro ha stipulato apposita convenzione
con la Regione Calabria per la realizzazione del progetto.
Nelle more della definizione di tutte le procedure connesse ai preliminari studi di vulnerabilità sismica e, quindi,
di progettazione, nell’ottobre 2014 l’ASP ha deciso di
avviare comunque le attività assistenziali.
Propedeutica a tale avvio (la struttura ospitava già servizi
specialistici ambulatoriali e il consultorio familiare) è apparsa la necessità di definire un accordo con i medici di
medicina generale per garantirne la presenza all’interno
della struttura.
Nel dicembre dello stesso anno la forma associativa di
gruppo Kos, operante in Chiaravalle con sede unica,
veniva ospitata nella struttura grazie alla destinazione
esclusiva di un ex reparto di degenza con disponibilità di
5 studi medici, un ambulatorio infermieristico, una segreteria, un’ampia sala d’attesa dedicata. Contestualmente
veniva predisposto un progetto di formazione-azione annuale condiviso con la Facoltà di medicina dell’Università
Magna Grecia di Catanzaro.
La leva della formazione. Anno 2015
Il progetto formativo annuale “Una governance comunitaria per la Salute” 2–, avviato nel gennaio 2015, si è
ispirato ai valori del Manifesto “Case della Salute” che
ha guidato lo sforzo organizzativo nell’avviamento dei
differenti servizi/attività oggi presenti. In altri termini, il
progetto Casa della Salute di Chiaravalle nasce da un’idea di salute che non si omologa con il concetto di sanità
o, ancor peggio, di medicina.
L’idea di fondo non è quindi permeata dal negativismo
dell’assenza di malattia, quanto piuttosto, dal positivismo
Le Case della Salute
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di una condizione di benessere da raggiungere attraverso
una concreta integrazione di tutti gli attori (professionali,
organizzativi e istituzionali) che si muovono nel contesto
della comunità, ma, soprattutto, attraverso la costruzione
di una mappa condivisa di (e con) tutte le risorse che si
muovono all’interno della comunità medesima.
La complessiva impostazione del percorso di formazioneazione ha posto in essere un vero e proprio processo
di riposizionamento culturale, o meglio sarebbe dire di
contaminazione dei saperi professionali rimescolati con
il punto di vista dei cittadini, non più fruitori dei servizi
(in un’ottica consumistica e di mercificazione del welfare)
quanto piuttosto protagonisti corresponsabili della complessiva definizione del progetto di Salute (solidale).
In estrema sintesi, quindi, le finalità formative si sono incentrate sulle seguenti tematiche:
• condivisione di una cultura comune della salute in una
logica di governance comunitaria e di integrazione
sociosanitaria;
• analisi della situazione di partenza (profilo di comunità) in termini sia di bisogni di salute che di offerta di
servizi sociali e sanitari;
• ridefinizione dei percorsi diagnostico-terapeutici delle
principali patologie cronico-degenerative prevalenti
sul territorio locale (nel contesto della rete integrata
ospedale-territorio aziendale) al fine di avviare una
più stretta collaborazione e integrazione fra professionisti e strutture, secondo il principio dei percorsi di
cura;
• individuazione dei percorsi di accoglienza e riconoscimento dei bisogni del cittadino e di orientamento ai
servizi attraverso il Punto unico di accesso (PUA) con il
contributo di una strategia di healthability 3.
Il percorso 2015 è stato agito su quattro direttrici fondamentali:
• Deospedalizzazione delle aspettative comunitarie. Il
primo problema è consistito nel riorientare le aspettative culturali delle comunità locali, dei loro amministratori e degli stessi professionisti (rielaborazione del lutto
per la perdita del proprio ospedale ed accettazione
della Casa della Salute come nuovo tipo di Presidio
operante in una logica completamente diversa e centrata sul territorio e sulla messa in rete di tutti i servizi
sanitari e sociali in esso presenti quale risposta necessaria e più adeguata al modificarsi dei bisogni e della
domanda di salute).
• Ricentratura dei bisogni di cura. In tale prospettiva, il
secondo problema affrontato è stato quello di ricen-
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Le Case della Salute
trare l’attenzione di professionisti e cittadini nei confronti dei bisogni di cura (passaggio dalla esclusiva
attenzione alla malattia quale catalizzatore delle cure
stesse alla promozione della salute quale bene comune e orizzonte entro il quale perseguire gli obiettivi di
benessere della persona e della comunità).
• De-settorializzazione e integrazione delle attività. Il
terzo problema è consistito nella necessità di superamento di una logica iperspecialistica, di compartimentalizzazione delle risposte ai bisogni di salute per
poter perseguire la consapevolezza di una de-settorializzazione degli interventi quale premessa necessaria
per un approccio olistico e multidimensionale, basato
su percorsi integrati di cura multidisciplinari e multiprofessionali.
• Decentramento e superamento dell’autoreferenzialità
dei professionisti (orientata alla difesa corporativa
della propria giurisdizione e del proprio sapere specialistico) e riorientamento verso un decentramento e
un’apertura dei professionisti al sapere comune e alle
potenzialità di una partnership con i cittadini.
Le attività
Parallelamente al percorso formativo, oltre alle attività
specialistiche già presenti e ovviamente alle attività dei
MMG, sono stati attivati tutta una serie di funzioni per
come di seguito schematizzate:
• Punto unico di accesso (PUA);
• Unità di valutazione multidimensionale (UVM);
• Servizio di cure sanitarie domiciliari;
• Punto di primo intervento (PPI);
• Ambulatorio per le fragilità (garantito grazie all’integrazione tra MMG e uno specialista geriatra);
• Supporto all’assistenza domiciliare con strumenti di
tele monitoraggio.
Il processo di deframmentazione si è concretizzato attraverso lo sviluppo e la formalizzazione, sempre sostenuto
dalla leva della formazione, di percorsi di cura integrati
(PIC) attraverso un approccio per processi in grado di
selezionare prima e di valutare poi gli interventi più appropriati ed efficaci rispetto agli obiettivi assistenziali più
realistici. In altri termini l’opzione adottata non è stata
quella di costruire dei classici percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (di natura esclusivamente clinica e
territoriale) ma dei percorsi di cura integrati orientati alla
continuità assistenziale ospedale-territorio e alla completezza della presa in carico multidisciplinare e multiprofessionale, grazie anche all’inclusione delle risorse di natura
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sociale e non professionale. Ovviamente, muovendo da
una preliminare diagnosi di comunità e valorizzando le risorse a disposizione, si è provveduto a costruire i seguenti
percorsi integrati:
• Percorso accesso al sistema curante;
• Percorso valutazione multidimensionale;
• Percorso diabete;
• Percorso ipertensione arteriosa;
• Percorso BPCO;
• Percorso ADI;
• Percorso ambulatorio infermieristico;
• Percorso consultoriale;
• Percorso riabilitativo (scomposto in differenti sottopercorsi);
• Percorso salute mentale;
• Percorso dipendenze;
• Percorso neuropsichiatria infantile.
Si è ancora provveduto a formalizzare, grazie all’adozione di uno specifico statuto, l’attivazione di un Forum dei
cittadini e di un Punto di ascolto, strettamente correlato
con il PUA, gestito dalle associazioni di categoria presenti sul territorio.
La formazione 2016
A gennaio 2016 ha avuto il via il secondo piano formativo che si è posto i seguenti obiettivi:
• valutazione preliminare delle problematiche incontrate
nel corso della realizzazione del percorso formativo
2015 e individuazione dei fattori abilitanti per una
sua effettiva realizzazione;
• introduzione e acquisizione, da parte dei professionisti sociosanitari e dei volontari, della strategia di
sistema integrato della qualità che veda pienamente
coinvolti anche i cittadini, le loro associazioni e le istituzioni del governo locale;
• costruzione della Carta dei servizi della Casa della
Salute quale strumento preliminare per la realizzazione della strategia di sistema integrato della qualità
mediante la realizzazione di un percorso partecipato
di co-progettazione e di definizione dei suoi elementi
costitutivi secondo il modello della governance comunitaria per la salute;
• definizione delle modalità di manutenzione, aggiornamento, pubblicizzazione e diffusione della Carta
dei servizi e dei suoi contenuti fra la popolazione del
bacino di utenza della Casa della Salute;
• definizione e implementazione delle modalità di monitoraggio in collaborazione con il Forum dei cittadini;
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• supporto culturale e operativo all’attivazione e al funzionamento del Forum dei cittadini quale organismo
innovativo di partecipazione dei cittadini e delle loro
associazioni alla programmazione, gestione e valutazione dei servizi della Casa della Salute.
Parallelamente è stato attivato, in collaborazione con la
Cooperativa anziani e non solo di Carpi, un percorso
di formazione/sostegno al ruolo del caregiver familiare,
coniugato con la compresenza dei professionisti e delle
organizzazione di volontariato.
Il paradigma della relazione nella costruzione della
qualità
Il percorso Chiaravalle 2016 è stato improntato, in continuità con l’approccio di governance comunitaria già
intrapreso, alla costruzione di una Carta della salute del
cittadino, utilizzando la leva della ricerca di un sistema
integrato della qualità.
Non si tratta, evidentemente, della costruzione di una
Carta dei servizi sviluppata nella dimensione burocraticoamministrativa, ispirata agli adempimenti normativi di
settore.
La carta proposta non è, in altri termini, l’orario ferroviario da consultare al bisogno per fruire di servizi on
demand relegati in una lista di prestazioni integrata con
orari di erogazione e altre istruzioni per l’uso.
I principi ispiratori, in altri termini, non albergano nel contenitore consumistico della mercificazione delle azioni di
welfare ma assumono la rilevanza della relazione che
intercorre tra i vertici di un immaginario triangolo, rappresentati dall’organizzazione, dai professionisti e dai
cittadini (contrasto al fenomeno dell’over use).
In questa esperienza, quindi, viene essenzialmente privilegiata la dimensione relazionale che pone in rapporto
il cittadino, epicentro del sistema (considerato nella dimensione comunitaria e nella dimensione sociale), con
l’organizzazione ma anche con i professionisti (cittadino,
questa volta, inteso nella dimensione umana, dimensione
della persona e della relazione di cura). E in tale relazione si è cercato di tenere conto di una categoria speciale
di cittadini, i caregiver, che sono catalizzatori delle divergenze di sistema tipiche della relazione triadica tra
organizzazione - professionisti - cittadini.
I paradigmi nuovi di un siffatto approccio coinvolgono
dimensioni ulteriori, malcelate dalla dimensione sociale,
che appartengono all’identità comunitaria e che includono elementi che rendono unica la comunità (nella dimensione sociale) così come, d’altronde, unica è la persona
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nella relazione di cura.
Così come non dovremmo più rivolgere la nostra attenzione alla malattia ma alla persona, dobbiamo affermare
che non è più possibile utilizzare soluzioni organizzative
decontestualizzate e asettiche, in altri termini standardizzate, ma condividere, piuttosto, strategie organizzative –
personalizzate – con quella specifica comunità (una sorta
di processo di personalizzazione comunitaria nell’ambito
di una transizione da standardizzazione a personalizzazione dei prodotti).
Da una parte, quindi, personalizzazione del rapporto tra
persona e professionista/i e, dall’altra, personalizzazione (seppur collettiva) del rapporto tra organizzazione e
comunità.
L’equilibrio (o il dis-equilibrio) di sistema viene essenzialmente governato da due forze contrapposte: quella inclusiva, che spinge i bisogni nel recinto delle garanzie (riconoscimento dei diritti di cittadinanza), e quella esclusiva
che invece relega i bisogni nell’area grigia dell’esclusione (cultura della scarto).
La vulnerabilità, intesa sia come esclusione sociale [R. Lenoir 4], sia come mancata valorizzazione delle capability
[A. Seng 5], rappresenta l’oggetto dell’attenzione della
costruzione della nostra redazione attiva e partecipata
della Carta della salute della comunità, ispirata ai valori,
ripresi dal manifesto delle Case della Salute, “dell’andare
verso” e “del cercare chi non arriva”.
Si è detto dei caregiver, definiti una categoria speciale
di cittadini, che nei fatti rappresentano il misconosciuto
catalizzatore delle divergenze (derive) di sistema che, ed
è qui la correlazione con il nostro percorso, rappresentano proprio gli ambiti di cambiamento, di ri-orientamento
della rotta, che la nostra esperienza vuole aggredire alla
luce di nuovi paradigmi.
Se analizziamo, seppur sinteticamente, quelle divergenze, possiamo chiarire come le aspettative comunitarie
(collettive) e individuali di salute siano ostacolate dalla
deriva aziendalistica delle organizzazioni e dalla deriva
correlata all’autoreferenzialità delle professioni.
Il caregiver, dicevamo, rappresenta il catalizzatore di tali
divergenze in quanto cittadino e, quindi, da una parte posto in relazione (sociale) con l’organizzazione e, dall’altra, con il mondo professionale in quanto mediatore della
persona portatrice di malattia, che è il soggetto reale della relazione di cura. Ma, allo stesso tempo, il caregiver
rimane attratto nella sfera professionale in quanto egli
stesso, in una sorta di processo di parasubordinazione
professionale, viene delegato a porre in essere vere e
proprie attività di cura. Con l’evidente conseguenza di
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venir spinto fuori dal recinto del sistema di garanzie ed
essere fagocitato nella zona grigia dell’emarginazione.
Il processo di de-frammentazione delle attività assistenziali che i Percorsi integrati di cura (PIC) concretizzano e che
rappresentano il comune denominatore del nostro percorso, costituisce il principale elemento di contrasto a quella
autoreferenzialità che caratterizza la deriva professionale
e orienta l’azione di cura degli operatori su quella nuova
rotta di multiprofessionalità e di riconoscimento della persona e non più della malattia (qualità erogata).
La capacità di ascoltare le istanze comunitarie e di rendere attiva la partecipazione della collettività all’individuazione dei bisogni e, quindi, all’identificazione di priorità
e di scelte nella costruzione dei servizi, trasforma l’atteggiamento rivendicativo della collettività in emporwement
di comunità (qualità sociale).
Il nuovo rapporto tra organizzazione e mondo professionale che insieme declinano, attraverso la leva della formazione, le scelte e le strategie di costruzione dei servizi,
consente di contrastare la deriva aziendalistica e di seguire la rotta di un’aziendalizzazione intesa quale etica
allocativa (qualità organizzativa) a sostegno dell’universalismo del welfare.
Attraverso, quindi, la riconversione dei conflitti (derive) in
punti di forza e, soprattutto, attraverso la costruzione di
un condiviso e partecipato sistema integrato della qualità,
l’area delle divergenze si trasforma in area delle convergenze.
Così le forze inclusive sopravanzano quelle di esclusione,
limitando, qualitativamente e quantitativamente, le condizioni di vulnerabilità.
Ruolo centrale, nella determinazione di un siffatto approccio, è il sistema di accesso ai servizi che non può essere
più improntato al paradigma dell’attesa (il cancello viene aperto quando qualcuno bussa). Il paradigma nuovo
dev’essere quello dell’iniziativa (i sensori aprono i cancelli perché intercettano chi deve entrare) in quanto orientati
all’andare verso e al cercare chi non arriva.
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atte a contrastare le superate logiche di standardizzazione delle attività di cura.
La logica della presa in carico, accompagnata da un concreto empowerment (unitario e collettivo) e dalla effettiva
attività di co-production del cittadino (anche attraverso
la valorizzazione dei caregiver), allontana dalla avversa logica produttivistico-prestazionale e diviene tensore
per allontanarsi sempre più dalla standardizzazione e
varcare, finalmente, i confini della personalizzazione (comunitaria, sotto il profilo programmatorio) e individuale
(nell’alveo delle attività di cura), sempre a condizione di
garantire la “clusterizzazione” dei pazienti (riduzione del
fenomeno della variabilità di consumo).
Le interdipendenze interne, professionali e organizzative, così come quelle esterne, interistituzionali (formali) e
informali, trovano, all’interno della Casa della Salute, il
proprio humus e rappresentano, seppur in un microcosmo
comunitario, un effettivo banco di prova per divenire oggetto di benchmarking diffuso.
Bibliografia
Salute bene Comune - Manifesto per un’autentica Casa della
Salute - Fondazione Santa Clelia Barbieri / Casa della Carità
Milano Angelo Abriani.
1
Giarelli G, Rocca M, Cilurzo R, et al. Una governance comunitaria per la salute. Percorso di formazione - azione per la
costituzione della Casa della Salute di Chiaravalle. Università
Magna Graecia - Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro,
Catanzaro 2015.
2
Ravazzini M, Jacchetti G, De Filippo T, et al. Domande di cura
e risposte di cure. Il ruolo della vulnerabilità sociale nell’accesso
alla cura: un vero discorso di salute. R&P. 2016;5:198-210.
3
Lenoir R. Les exclus, Editions du Seuil, Parigi 1974.
4
Sen AK. Inequality re - examinned, Il mulino (vers. italiana),
Bologna 1992.
5
Brambilla A, Maciocco G. Le case della Salute, Carocci Faber
ed., Firenze 2016.
6
Borsari M, Damen V, Mazzoli G. Una Casa per la salute della
comunità, Agenzia sanitaria e sociale Regione Emilia Romagna,
Bologna 2016.
7
Conclusioni
Le nuove metriche utilizzate nell’esperienza Chiaravalle si
ispirano essenzialmente a paradigmi nuovi che possono
garantire lo sviluppo di strategie di vantaggio competitivo
Giordani C, Spandonaro F. 11° Rapporto Sanità. L’universalismo diseguale, Università Tor Vergata, Roma 2015.
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