Il Progetto persona-La buona cura
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Il Progetto persona-La buona cura
Anno XXXVII Dicembre 2016 211 Rivista trimestrale di politica sociosanitaria Le Case della Salute Il Progetto persona - La buona cura Contributi originali La qualità delle cure nelle RSA Il familiare, una risorsa per la relazione Presentazione Le Case della Salute: Innovazione e buone pratiche Dall’awarness all’emporwement di comunità Il nuovo sistema di welfare in Lombardia La riconversione in Presidio territoriale Un’assistenza territoriale innovativa La Casa della Salute al centro della rete territoriale I Presidi territoriali in Puglia tra presente e futuro L’integrazione attraverso le strutture sanitarie intermedie Dall’Ospedale di comunità alla telemedicina Deframmentazione del sistema curante e nuovi paradigmi Monografia 211 Rivista trimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. Gambassini FORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria Anno XXXVII – dicembre 2016 Direttore Responsabile Mariella Crocellà Comitato di Redazione Gianni Amunni Alessandro Bussotti Silvia Falsini Claudio Galanti Patrizia Mondini Benedetta Novelli Mariella Orsi Paola Palchetti Andrea Sanquerin Riccardo Tartaglia Luigi Tonelli Monia Vangelisti Segreteria amministrativa del Comitato di Redazione Laura Ammannati Comitato Scientifico Mario Del Vecchio, Professore Associato Università di Firenze, Docente SDA Bocconi Lucia Messina, Direttore FORMAS Antonio Panti, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Firenze Andrea Vannucci, Coordinatore Scientifico Agenzia Regionale Sanità Toscana (ARS) Redazione, Direzione Corrispondenza e invio contributi: Mariella Crocella [email protected] http://www.formas.toscana.it Edizione Pacini Editore Srl Via Gherardesca 1, 56121 Pisa Tel. 050313011 - Fax 0503130300 [email protected] www.pacinieditore.it Registrazione Tribunale di Firenze n. 2582 del 17/05/1977 Questo numero è stato chiuso in redazione il 30 dicembre 2016 Testata iscritta presso il Registro pubblico degli Operatori della Comunicazione (Pacini Editore Srl iscrizione n. 6269 del 29/08/2001) Pacini Editore Sommario 969 Il Progetto persona - La buona cura Laura Belloni, Annalena Ciolli, Maria Ditta, Daniela Lucà, Patrizia Niddomi, Lorenzo Lucidi, Emanuele Baroni 976 La qualità delle cure nelle RSA Tommaso Bellandi, Elena Beleffi 986 Il familiare, una risorsa per la relazione Francesca Ierardi, Manlio Matera, Antonella Pizzimenti, Laura Salmoiraghi Monografia Le Case della Salute a cura di Valeria Rappini 991 Presentazione Valeria Rappini 992 Le Case della Salute: Innovazione e buone pratiche Gavino Maciocco, Antonio Brambilla 997 Dall’awarness all’emporwement di comunità Giovanni Coglitore, Rosa Costantino, Vanessa Vivoli 1002 Il nuovo sistema di welfare in Lombardia Cristina Sarchi 1007 La riconversione in Presidio territoriale Chiara Serpieri, Sara Marchisio 1012 Un’assistenza territoriale innovativa Massimo Carboni, Maurizio Rachele 1017 La Casa della Salute al centro della rete territoriale Laura Figorilli, Marilina Colombo 1023 I Presidi territoriali in Puglia tra presente e futuro Giovanni Gorgoni, Ottavio Narracci, Maria Micaela Abbinante 1028 L’integrazione attraverso le strutture sanitarie intermedie Maria Micaela Abbinante, Luigi Lanzolla 1034 Dall’Ospedale di comunità alla telemedicina Maria Micaela Abbinante, Francesco Galasso 1038 Deframmentazione del sistema curante e nuovi paradigmi Maurizio Rocca, Giuseppe Perri, Mario Staglianò, Rocco Cilurzo, Giuliana Orlando Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 969 Il Progetto persona La buona cura Verso un’opportunità di integrazione e di senso per i servizi sociosanitari Laura Belloni1, Annalena Ciolli2, Maria Ditta3, Daniela Lucà4, Patrizia Niddomi3, Lorenzo Lucidi4, Emanuele Baroni3 Psichiatra, responsabile Medico, psicoterapeuta, Psicologo, psicoterapeuta, 4 Psicologo, 1 2 3 Centro Centro Centro Centro regionale regionale regionale regionale criticità criticità criticità criticità relazionali, relazionali, relazionali, relazionali, A.O.U. A.O.U. A.O.U. A.O.U. Careggi Careggi Careggi Careggi Abstract La cura della salute è un dovere innanzitutto della società civile troppo spesso delegato alle strutture istituzionali cui invece dovrebbe spettare essenzialmente un ruolo di supporto. Se consideriamo, ad esempio, l’incremento delle richieste di intervento in tema di salute legato al progressivo invecchiamento della popolazione, notiamo che a fronte di un fenomeno a cui concorrono molti fattori solo in parte sanitari, negli ultimi anni la risposta si è concentrata sull’intervento sanitario, ed in particolare sanitario-ospedaliero. La Regione Toscana, su impulso del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali (CRRCR) e del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC), ha dato avvio con la DGR. 1016 del 26/10/2015 al “Progetto persona – La buona cura”, coinvolgendo inoltre l’Agenzia regionale di sanità della Toscana (ARS), l’Associazione italiana malattia di Alzheimer (AIMA) e il Laboratorio management e sanità dell’Istituto di Management della Scuola superiore Sant’Anna (MeS). Il presente contributo ha l’obiettivo di presentare una prima disamina di quanto osservato ed elaborato nel “Progetto persona – La buona cura” per quanto di competenza del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali. Premessa e obiettivi La cura della salute è un dovere innanzitutto della società civile troppo spesso delegato alle strutture istituzionali cui invece dovrebbe spettare essenzialmente un ruolo di supporto. In questi termini i servizi sociosanitari avrebbero il compito di spostarsi da una lettura sanitarizzata dei bisogni, sempre più difficilmente sostenibile, a quella di prevenzione e di intervento di sostegno e tutela alle reti organizzative, culturali e relazionali. Tale inquadramento conferisce ampio significato alla multidimensionalità del benessere inteso non solo come spazio clinico, bensì come integrazione dei diversi mondi vitali quotidiani. La crescente espressione di bisogni di salute da parte delle comunità rende necessario un cambiamento culturale radicale che coinvolga i sistemi di cura e tutta la società. L’urgenza di questo cambiamento è particolarmente evidente in alcuni fenomeni caratteristici. Se consideriamo, ad esempio, l’incremento delle richieste di intervento in tema di salute legato al progressivo invecchiamento della popolazione, notiamo che a fronte di un fenomeno a cui concorrono molti fattori solo in parte sanitari, negli ultimi anni la risposta si è concentrata sull’intervento sanitario, ed in particolare sanitario-ospedaliero. La mancanza di una adeguata analisi della domanda da parte dei sistemi e la tendenza a fornire risposte automatiche ed immediate, hanno inoltre evidenziato una fragilità rispetto all’integrazione tra i diversi servizi e la loro organizzazione in una rete efficace ed efficiente. Le strutture sociosanitarie in generale e le Residenze sanitarie assistenziali in particolare, per le loro caratteristiche 970 Assistenza sociosanitaria organizzative, strutturali, storiche e per la funzione di delega che si trovano a sostenere, rappresentano ad oggi un panorama molto variegato e alquanto disomogeneo sul territorio regionale, con ripercussioni sulla qualità dei servizi offerti e il benessere di professionisti, residenti e loro familiari. Con l’obiettivo di consolidare la sostanziale riforma avviata in tal senso mediante la legge di riordino (L.R. 84/2015), ed identificando nello specifico delle Residenze sanitarie assistenziali un elemento chiave del sistema sociosanitario regionale, quali centri di competenza per la risposta residenziale nella non autosufficienza, la Regione Toscana, su impulso del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali (CRRCR) e del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC), ha dato avvio con la DGR. 1016 del 26/10/2015 al “Progetto persona – La buona cura”. Il Progetto, che ha visto fin dalle prime fasi il coinvolgimento e la partecipazione dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana (ARS), dell’Associazione italiana malattia di Alzheimer (AIMA) e del Laboratorio management e sanità dell’Istituto di management della Scuola Superiore Sant’Anna (MeS) si è posto le seguenti finalità: - Osservare il contesto operativo su temi prioritari per il benessere organizzativo e la qualità dell’assistenza, la qualità delle relazioni tra residenti ed operatori e all’interno del team degli operatori, le condizioni di lavoro, eventualmente indicative di disagio; - Supportare la Regione nella programmazione degli obiettivi di qualità e sicurezza dei servizi sociosanitari, sulla base dei risultati delle visite; - Svolgere attività di sensibilizzazione del macro e del micro-sistema in merito ai temi del benessere organizzativo. Il presente contributo ha l’obiettivo di presentare una prima disamina di quanto osservato ed elaborato nel “Progetto Persona – La Buona Cura” per quanto di competenza del Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali. Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRRCR) Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali, istituito con delibera n° 356 del 21 Maggio 2007 ed inserito tra le strutture di Governo Clinico (Art. 40, Legge Regionale n. 84 del 28 Dicembre 2015), è stato N. 211 - 2016 indentificato dalla Regione Toscana quale strumento per favorire la costruzione, la condivisione e la diffusione di buone pratiche e azioni di miglioramento della qualità dei Servizi e del benessere lavorativo all’interno delle organizzazioni sanitarie regionali. Tale organismo, con funzione di “coordinatore degli interventi sulle tematiche riguardanti le criticità relazionali e la salute organizzativa” (Ibid.) è composto da medici psichiatri, psicologi e psicoterapeuti con specifica formazione. La mission del CRRCR è promuovere nelle aziende sanitarie e sociosanitarie l’attenzione e la cura della dimensione psicologico-relazionale mantenendo come vertice osservativo i rapporti utente – operatore – gruppo di lavoro – organizzazione. Obiettivi principali delle attività promosse dal CRRCR sono: - promuovere la cultura delle competenze relazionali e psicologiche nelle organizzazioni sanitarie e sociosanitarie - sostenere la capacità/resilienza dei sistemi di rispondere ai cambiamenti organizzativi - sviluppare le competenze psicologiche e relazionali dei gruppi di lavoro - favorire lo sviluppo e il mantenimento di condizioni che favoriscono il benessere degli operatori e dei sistemi organizzativi - migliorare i processi relazionali e comunicativi nei sistemi sanitari e sociosanitari Il “Progetto Persona – La Buona Cura”, fortemente voluto dal CRRCR fin dalle prime fasi progettuali, anche sulla scorta della consulenza offerta in emergenza a seguito di criticità emerse in strutture sociosanitarie che già in precedenza avevano richiesto un intervento del Centro, ha avuto l’obiettivo specifico di approfondire le percezioni dei professionisti e dei gruppi di lavoro in servizio presso le RSA in merito alle seguenti dimensioni: - salute organizzativa - qualità dell’assistenza offerta - qualità delle relazioni tra residenti e operatori - qualità delle relazioni all’interno del team degli operatori - condizioni di lavoro eventualmente indicative di disagio Strumenti e metodi Il progetto ha coinvolto 5 RSA pubbliche presenti sul Territorio della Regione Toscana, selezionate sulla base della collocazione di almeno una struttura in ciascuna delle tre Aree Vaste. A seguito di una comunicazione formale inviata a N. 211 - 2016 ciascun ente gestore e alla rispettiva controparte istituzionale delle strutture coinvolte da parte del settore regionale competente, il CRRCR ha concordato con i direttori responsabili un primo incontro volto a presentare l’iniziativa progettuale ed illustrarne le fasi operative. Successivamente sono state calendarizzate le visite in struttura condotte da parte di un team multidisciplinare a composizione variabile, con la presenza di professionisti del CRRCR, del Centro GRC, dell’ARS e rappresentanti dell’AIMA. La metodologia utilizzata ha visto l’integrazione di un approccio sia qualitativo che quantitativo all’analisi del materiale raccolto. Nell’intento di perseguire un modello integrativo che potesse cogliere la complessità del fenomeno in analisi e scongiurare un approccio riduzionistico alle strutture, il CRRCR, assieme all’osservazione strutturata utilizzata dal Centro GRC e agli incontri con i familiari dei residenti condotti da AIMA, ha utilizzato i seguenti strumenti: 1. Intervista individuale semi-strutturata costruita ad hoc, volta ad approfondire la percezione degli intervistati relativamente ad alcune dimensioni: –– Organizzazione della struttura e del lavoro; –– Descrizione di avvenimenti e cambiamenti relativi alla struttura e reazione dei professionisti; –– Difficoltà sperimentate e strategie attuate per il loro superamento; –– Qualità delle relazioni interne ed esterne; –– Caratteristiche distintive della struttura e criticità percepite; –– Obiettivi di sviluppo, raggiungibilità degli stessi e leve per il loro conseguimento; –– Strategie e capacità di resilienza. Tale strumento è stato messo a punto per lo specifico contesto delle RSA sulla base delle principali teorie di stampo dinamico e sistemico di analisi clinica delle organizzazioni (Bion, W.R., 1961; Carli, R. e Paniccia, M.R., 1981; Kets De Vries, M.F.R., 1989, 1991; Perini, M., 2007, 2013; Quaglino, G., 2004). Il tempo di somministrazione di ciascuna intervista è stato di circa un’ora e mezza. Sono state somministrate individualmente da un professionista del CRRCR e contestualmente trascritte su computer da un secondo operatore. Le interviste sono state proposte ai ruoli apicali degli enti gestori e delle strutture, oltreché a figure specifiche, come ad esempio coordinatori e referenti, che per ruolo anche non formale o funzione, hanno un punto di vista chiave per l’operatività della struttura. In totale sono state raccolte 22 interviste per circa 170 pagine formato A4 complessive. Assistenza sociosanitaria 971 2. Focus Group. Ciascun incontro di gruppo (fino a due per ogni struttura) della durata di circa 2 ore, è stato volto ad approfondire in modo più esteso ed in forma collettiva (circa 15 partecipanti ad incontro) alcuni aspetti trattati anche nelle interviste, quali: –– Benessere dei professionisti; –– Qualità percepita delle relazioni nel gruppo di lavoro e fra operatori e ospiti; –– Criticità riscontrate; –– Elementi di resilienza percepiti. Tale strumento è stato pensato sulla base delle teorie di analisi organizzativa che vedono nel gruppo di lavoro l’unità minima di analisi delle dinamiche relazionali ed il contenitore nel quale vengono depositate le parti scisse e non mentalizzate del contesto organizzativo nel suo insieme (Comelli, F., 2009; Correale, A., 1991). Per opportunità di spazio e trattazione, rimandiamo ad altre pubblicazioni per un approfondimento (ad es: Calamai, M. et al, 2015). La partecipazione a tali focus group è stata lasciata libera a tutto il personale operante nelle strutture anche se con preferenza a quello coinvolto nell’assistenza, e gli incontri sono stati organizzati tenendo conto dell’orario dei turni e dell’operatività interna. Ciascun incontro è stato condotto da tre professionisti del team, due con ruolo di co-conduzione, uno con ruolo di trascrizione dei contenuti. Ad ogni incontro è seguito un momento di confronto tra i conduttori per la stesura di un report finale. In totale sono stati condotti 7 focus group per un totale di 74 partecipanti. 3. Multidimensional Organizational Health Questionnaire (MOHQ) (Avallone e Paplomatas, 2005), che rileva la percezione degli operatori in merito alla salute organizzativa rispetto alle seguenti dimensioni: –– Comfort –– Percezione dell’efficienza –– Percezione dei dirigenti –– Percezione dei colleghi –– Percezione dell’equità organizzativa –– Sicurezza –– Prevenzione –– Apertura all’innovazione –– Indicatori positivi –– Soddisfazione –– Percezione del conflitto –– Percezione dello stress –– Fatica –– Isolamento 972 Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 –– Disturbi psicosomatici –– Indicatori negativi Il Questionario è stato proposto a tutti i dipendenti delle strutture prese in esame, tramite i loro referenti, garantendone l’anonimato. In totale sono stati raccolti 138 questionari, con una percentuale di risposta complessiva pari a circa il 77%. Riportiamo nella seguente tabella (Tabella 1) una sintesi degli strumenti e dei partecipanti: Risultati Riportiamo qui di seguito i risultati aggregati del materiale raccolto tramite le interviste, i gruppi di approfondimento ed il questionario sulla salute organizzativa che, assieme alle osservazioni strutturate ed agli incontri con i familiari, hanno portato all’elaborazione di alcune considerazioni conclusive, riservando a future pubblicazioni una trattazione maggiormente approfondita del metodo di indagine e degli strumenti utilizzati. Area della qualità dell’assistenza Trasversalmente alle varie strutture viene riportato un generale cambiamento della tipologia dei residenti, legato all’aumento dell’età media, alle comorbilità e alla gravità clinica. Tale aspetto ha comportato nel tempo un progressivo aumento dei carichi di lavoro che, unitamente alla contrazione delle risorse ed alla conseguente riduzione del tempo dedicato alla relazione con gli assistiti, ha condotto alla prevalente percezione degli aspetti usuranti del lavoro assistenziale, in assenza di adeguati fattori protettivi. Tali considerazioni appaiono concordi con quanto rilevato anche dal questionario MOHQ (Grafico 1) nei fattori di Fatica (m=1,93), Percezione dello Stress (m=1,98) e Indicatori Negativi (m=2,73). La tipologia delle attività viene percepita come sovente sbilanciata sul versante sanitario, dove il bisogno prevalente degli operatori è quello di sicurezza, che talora sfocia nel bisogno di controllo (fattore della Sicurezza (m=3,28) percepito come positivo) con conseguente appiattimento della lettura dei desideri dell’anziano e dei suoi peculiari bisogni. Tabella 1 Attività Descrizione Partecipanti RSA Incontro preliminare in loco In quest’incontro viene illustrato il progetto e le attività che verranno svolte. Vengono inoltre fissate le date dei vari incontri. Viene presentata la struttura, il suo assetto organizzativo e la sua storia. Referente interno del Progetto Attività di comunicazione telefonica Comunicazione alla struttura delle finalità progettuali e modalità operative previste con coinvolgimento di tutto il personale Referente dell’RSA Interviste Intervista alle figure chiave della struttura (che hanno un punto di vista privilegiato) scelte dal Referente dell’RSA, di durata di 1h e 30 min. Presidente Ente gestore, Direttore RSA, Coordinatore, Referenti di settore, Infermieri, Educatori Somministrazione questionario Distribuzione, effettuata dal Referente di Struttura, del questionario MOHQ sul benessere organizzativo e sua compilazione a cura dei professionisti della struttura Personale della struttura Focus Group Incontri di gruppo (massimo 15 partecipanti scelti in base alla disponibilità) su argomenti quali: il benessere dei professionisti, le criticità percepite, gli elementi di resilienza. Personale della struttura su partecipazione volontaria A seconda del numero dei partecipanti sono state previste più edizioni per RSA Osservazione strutturata Attività di osservazione strutturata sul campo, con copertura di orario corrispondente ai turni diurni del personale (07.00 – 21.00) Personale della struttura dedicato all’assistenza Incontro familiari Incontro di confronto con i familiari degli ospiti su temi inerenti le percezioni sul funzionamento del servizio Familiari dei residenti N. 211 - 2016 Negli operatori, ciò non di meno, la consapevolezza di tali aspetti è spesso mantenuta, e la dissonanza cognitiva che ne può derivare è solo in parte risolta, attribuendo la responsabilità ad intrinseci limiti organizzativi che si frappongono tra quanto si ritiene possibile fare e quanto si ritiene andrebbe fatto. In tal senso appare inoltre concorde la percezione riportata nel fattore dei Disturbi Psicosomatici (m=2,96) che emergono come sintomo ed elemento non integrato ma somatizzato. Per quanto i fattori di Soddisfazione (m=3,21) e Indicatori Positivi (m=3,06) indichino una percezione connotata positivamente delle strutture nelle quali si presta servizio, sembrano fare da contraltare il significato percepito del ruolo dell’anziano e dell’RSA, spesso vissuta come luogo di confino, nella quale operatori e residenti riportano spesso di condividere un ruolo residuale, marginale e sclerotizzato. Tali aspetti sembrano peraltro confermati dai fattori di Isolamento (m=2,40) e Apertura all’Innovazione (m=2,92) percepiti come critici. Viene quindi riportata come disfunzionale una generale imitazione del modello ospedaliero, con insufficiente personalizzazione di cure e ambienti, scarsa integrazione degli aspetti sanitari e sociali e carente riconoscimento di alcune professionalità maggiormente deputate alla soddisfazione di bisogni di relazione ed interazione quali quelli dell’educatore e dell’animatore. Area della qualità delle relazioni Il tempo dedicato alla relazione è dovunque ed adeguatamente percepito come tempo di cura ma è ritenuto troppo scarso anche a causa del progressivo aumento degli adempimenti burocratici. In tal senso, la Percezione di Equità Organizzativa (m=2,43) sembra confermare l’impossibilità delle strutture organizzative a riconoscere e ad accogliere efficacemente i bisogni autentici di operatori e residenti. Le relazioni fra operatori nei gruppi di lavoro, pertanto, vengono espresse come fattori critici sia a causa del mancato riconoscimento e valorizzazione di alcune professionalità e ruoli, sia per la frammentazione e le conflittualità sovente non consapevoli, ma agite. Tale percezione sembra suffragata dal fattore Percezione del Conflitto (m=2,75). Sebbene la Percezione dei Colleghi (m=3,25) non rappresenti un fattore ritenuto critico, l’analisi del materiale di interviste e focus group sembra suggerire che talune categorie professionali, come ad esempio gli OSS o alcune posizioni apicali, vengano ritenute responsabili di varie problematiche dell’operatività quotidiana. Proprio i ruoli organizzativi vengono spesso utilizzati come difesa dal mancato riconoscimento della Assistenza sociosanitaria 973 propria professionalità e competenza e sembrano rappresentare un ostacolo ad un’autentica ed efficace integrazione dei gruppi di lavoro. Questo sembra portare ad una identità istituzionale non integrata, ferita, anche se per certi aspetti conseguita. Proprio il management riporta talvolta la necessità di percorsi formativi e/o professionali specifici per poter ricoprire tali ruoli di responsabilità, questo in accordo con la percezione di non essere sempre in possesso di adeguati strumenti per fronteggiare le necessità. I rapporti con i familiari sono riferiti come generalmente improntati alla collaborazione, ma polarizzati su aspetti difensivi in ragione dell’ambivalenza e di altri aspetti psicologici spesso non consapevoli che si ripercuotono su queste strutture. Analogamente il rapporto col volontariato, quando presente, viene riferito come positivo ma talora poco funzionale per mancanza di formazione adeguata dei volontari stessi che spesso, anziché una risorsa, possono rivelarsi un fattore confusivo per l’organizzazione del lavoro dei professionisti. Infine anche i rapporti con le istituzioni sono caratterizzati dalla percezione di scarsa conoscenza della realtà operativa delle strutture, di scarsa valorizzazione e riconoscimento dei professionisti delle RSA da parte dei sistemi più ampi, e del primato degli aspetti economico/organizzativi su quelli di cura. Area delle criticità L’identità percepita della RSA è quindi caratterizzata dalla mancata o incompleta integrazione tra le sue costitutive componenti sociale e sanitaria. Da parte dei professionisti si ha spesso la percezione di lavorare sul contingente con un aumento della Percezione dello Stress (m=1,98) e Fatica (m=1,93) e sembra mancare una progettualità condivisa e una visione a lungo termine (Apertura all’Innovazione (m=2,92). Nel dettaglio vengono poi riferite difficoltà organizzative quali un aumentato numero di ricoveri impropri nelle limitrofe strutture ospedaliere, legati alla ridotta presenza, quando non all’assenza, dell’assistenza infermieristica notturna, con ricorso al 118 non ovviabile in caso di sola presenza notturna di OSS. Negli scambi col territorio emergono come fattori di criticità sia gli invii da parte dell’Unità di Valutazione Multiprofessionale (UVM), che spesso vengono riferiti come impropri e/o intempestivi, sia l’ambito organizzativo e gestionale/logistico caratterizzato dalla mancanza di figure intermedie di riferimento o coordinamento, dalle difficoltà per l’approvvigionamento dei medicinali e in generale da una rete poco strutturata ed integrata con i servizi territoriali. Vengono inoltre 974 Assistenza sociosanitaria riferite come attività essenziali, ma non implementate a sistema, le funzioni psicologiche e le attività professionali deputate alla formazione, supervisione, sostegno e consulenza ai gruppi e all’organizzazione. Area dei punti di forza In tale quadro, i fattori del questionario quali Soddisfazione (m=3,21) e Indicatori positivi (m=3,06) sembrano rendere ragione di un generale e radicato senso di appartenenza al contesto, riferito come storia e radicamento delle strutture nel territorio, nonché alla diffusa percezione dell’importanza del proprio ruolo professionale all’interno dell’istituzione stessa e della società. La consapevolezza dei professionisti rispetto ai propri bisogni formativi e di sostegno, e contemporaneamente l’espresso desiderio di miglioramento e valorizzazione, sembrano emergere come caratteristiche distintive del sistema RSA come centro di competenza professionale, risposta al bisogno di assistenza residenziale nella non autosufficienza e prospettiva occupazionale. A fronte di ciò, vengono altresì riconosciuti impegno e motivazione sia da parte delle figure direttive nel far fronte ai problemi gestionali, come confermato dal fattore Percezione dei Dirigenti (m=3,03), sia da parte degli operatori nel far fronte ai bisogni degli assistiti nonostante le difficoltà, come confermato dal fattore Percezione dell’Efficienza (m=3,18). N. 211 - 2016 Discussioni e prospettive Le strutture sociosanitarie ed in particolare le RSA, sono realtà molto variegate e dislocate su tutto il territorio regionale. Le politiche sociosanitarie promosse in questi anni dalla Regione Toscana hanno progressivamente avvicinato le attività sociali a quelle sanitarie, sia per rispondere in modo olistico ai bisogni complessi della persona, sia allo scopo di razionalizzare l’offerta dei servizi cercando di garantire livelli adeguati di qualità dell’assistenza. Tale complessità è di fatto costitutiva delle RSA come sistema in rapporto ad altri sistemi, in uno scambio continuo e reciproco di fattori identitari. Ciascuno dei sottosistemi influenza ed è influenzato dagli altri e come sistemi aperti, ma non completamente permeabili, sono in continua relazione ed evoluzione (Figura 1). Il percorso di innovazione dei servizi sociosanitari, reso necessario ed improcrastinabile dall’esplosione, negli ultimi decenni, dei bisogni di cura e assistenza per le malattie croniche, correlate con l’età, richiede un parallelo e altrettanto imprescindibile percorso di innovazione culturale, che investa diverse dimensioni, oltre a quella prettamente medico – assistenziale, a partire da quella psicologica, a quella sociale a quella antropologica. In questo percorso è essenziale muoversi con una visione trasversale di sistema, che correli micro e macro, e un’impostazione longitudinale strategica. Appare essenziale, pertanto, ridefinire le relazioni tra rete formale e rete informale, le relazioni interne a ciascuna rete, le relazioni Grafico 1. La percezione della salute organizzativa: risultati del questionario MOHQ N. 211 - 2016 Assistenza sociosanitaria 975 Fig. 1. che concorrono al benessere delle organizzazioni e a quello delle persone che le costituiscono. In questo quadro, l’opportunità offerta dal “Progetto Persona – La Buona Cura” è di aver dato avvio ad un nuovo modo di cercare di comprendere la complessità del sistema RSA, integrando professionalità e competenze diverse, a partire dal gruppo di lavoro che compone il team multidisciplinare responsabile del progetto. Nella fase descritta in questo lavoro, il progetto ha cercato di identificare e dare significato alle domande di formazione, supporto e riorganizzazione sulle quali occorre costruire, in una successiva fase, risposte appropriate. Carli R., Paniccia R.M. (1981). Psicosociologia delle Organizzazioni. Bologna: Il Mulino. Bibliografia Perini M. (2007). L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni. Milano: Franco Angeli Bion W.R. (1961). Experiences in groups. London: Tavistock Publications (trad. it.: Esperienze nei gruppi. Roma: Armando, 1971) Calamai, M., Baroni, E., Romoli, D., & Belloni, L. (2015) Prendersi cura delle organizzazioni sanitarie: relazioni che curano e cura delle relazioni. Gruppi – Franco Angeli, 2, 2015. Comelli F. (2009). I gruppi terapeutici e il contenitore istituzionale: i fattori curanti del campo istituzionale psichiatrico e dei suoi elementi distruttivi. Funzione gamma, 27. Correale A., (1991). Il campo istituzionale. Roma: Borla. Kets de Vries, M.F.R. (1989). Alexithymia in organizational life: The organization man revised, in “Human Relations”, XLII n.12, pp.1079-1093. Kets de Vries, M.F.R. (1991). Organizations on the Couch, San Francisco: Jossey-Bass Inc. Perini M. (2013). Lavorare con l’ansia. Costi emotivi nelle moderne organizzazioni. Milano: Franco Angeli Quaglino G.P. (2004). La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro. Milano: Cortina Raffaello. 976 Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 La qualità delle cure nelle RSA Tommaso Bellandi, Elena Beleffi Centro GRC Regione Toscana Abstract Le strutture sociosanitarie, e in particolare le Residenze sanitarie assistenziali, rappresentano un panorama molto diversificato dal punto di vista organizzativo, sia interno alle strutture che in relazione con l’esterno, che si ripercuote sui livelli di qualità e di sicurezza dei servizi di assistenza alla persona che risultano essere disomogenei sul territorio toscano. Per poter avviare percorsi di cambiamento di tipo sistemico, tenendo anche conto che quella che stiamo attraversando è una fase di inevitabile e auspicata trasformazione e riorganizzazione del sistema sociosanitario in Toscana, è necessario conoscere la realtà organizzativa, le effettive risorse umane, tecnologiche e organizzative presenti e le criticità che maggiormente si presentano così da effettuare le scelte più adeguate per rispondere ai bisogni delle persone e delle famiglie che vivono l’esperienza della residenza in RSA. Con queste premesse, il Progetto Persona-la buona cura si è posto tra i suoi obiettivi, attraverso la collaborazione del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente (Centro GRC), la conoscenza delle criticità e delle buone prassi in essere nelle strutture sociosanitarie al fine della promozione della cultura della sicurezza e dell’imparare dall’errore, per introdurre cambiamenti per il miglioramento continuo della qualità delle cure. Il Progetto ha previsto una fase preliminare di presentazione dell’iniziativa ai responsabili delle 5 strutture individuate dalla Regione Toscana così da condividere con loro le finalità e la metodologia delle visite. Nel breve periodo è seguita la programmazione delle visite e quindi la loro successiva preparazione e realizzazione da parte di team multidisciplinari a composizione variabile con la presenza di operatori del centro GRC, del Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali, dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, rappresentanti dell’Associazione italiana malattia di Alzheimer. Il programma di ogni singola visita è stato definito per osservare la realtà delle RSA da diversi punti di vista: quello dei responsabili e degli operatori, quello dei familiari dei residenti e quello dei ricercatori del gruppo di lavoro. Pertanto sono stati condotti “focus group” e interviste con gli operatori volti a rilevare informazioni relative alla qualità delle relazioni e del benessere organizzativo, incontri di gruppo con i familiari dei residenti nelle strutture per raccogliere ed elaborare le storie di vita delle persone assistite, osservazioni strutturate sul campo nelle due aree complementari sanitaria e sociale per comprendere le cri- ticità ed i punti di forza nella qualità e sicurezza delle attività quotidiane. In questo articolo presentiamo la parte relativa al metodo ed ai risultati ottenuti con le osservazioni strutturate, che hanno contributo all’elaborazione di alcune considerazioni conclusive grazie al confronto con i risultati delle indagini con gli operatori ed i familiari. Il metodo dell’osservazione etnografica fa parte della ricerca qualitativa, è particolarmente indicato quando l’obiettivo dello studio è la conoscenza approfondita della realtà oggetto di osservazione, su cui non si dispone di una definizione chiara e condivisa nella comunità e nella cultura di riferimento (Hutchins, 1995). Le RSA sono luoghi ai confini delle comunità e delle organizzazioni dei servizi, esposte ai cambiamenti nelle persone assistite provocati dalla transizione epidemiologica e sociale degli ultimi decenni, nonché a pressioni di tipo politico ed economico dovute alla limitazione delle risorse per l’assistenza, con una forte variabilità nelle prestazioni stando ai dati disponibili e non completi (Nuti et al, 2016; ARS Toscana, 2014). Inoltre, i concetti della qualità e della sicurezza dell’assistenza in RSA sono anch’essi definiti in modo talvolta N. 211 - 2016 discordante (Castle et al, 2010; Mor et al, 2003; Mc Hugh et al, 2016), a seconda dei punti di vista e degli interessi in gioco, pertanto l’osservazione è un metodo particolarmente interessante per approfondire una realtà in movimento, restituendone una rappresentazione multidimensionale che non è sempre desumibile dai risultati delle indagini di tipo quantitativo. L’unità di analisi è stata una giornata di vita in RSA, suddivisa in due sessioni di osservazione pianificate un giorno successivo all’altro: il primo giorno di visita gli osservatori hanno raccolto informazioni dal pranzo al momento in cui gli ospiti vengono messi a letto per la notte; il secondo giorno di visita l’attività si è avviata all’inizio del turno della mattina fino al pranzo. La scelta del periodo di osservazione è motivata dall’obiettivo di osservare e rappresentare lo sviluppo delle attività quotidiane dal punto di vista delle persone assistite, letteralmente da quando aprono a quando chiudono gli occhi, nonché nella prospettiva degli operatori sanitari, degli addetti all’assistenza e del personale impegnato nelle attività socioeducative, sia interno che convenzionato. Le osservazioni si sono svolte con scopi conoscitivi e sono state previste in modalità esplicita, non partecipante, da due operatori per ciascuna sessione di lavoro, che hanno seguito con la tecnica dello shadowing tutte le figure professionali impegnate in RSA, secondo un campionamento “a valanga”, seguendo cioè il dispiegarsi delle attività guidati dalle unità di osservazione (Corbetta, 1999). In alcuni casi, sono state condotte brevi interviste etnografiche con gli operatori e con le persone assistite, per meglio comprendere il significato delle attività svolte e delle esperienze di vita in RSA. Le sessioni sono state programmate in accordo con i responsabili delle strutture e svolte nelle stesse giornate delle interviste agli operatori condotte dal personale del CRCR, in modo tale da potersi scambiare alcune riflessioni a caldo nell’arco delle stesse giornate di visita, aggiustando le osservazioni o le interviste successive su alcune criticità particolarmente significative. Per la conduzione delle osservazioni, è stato messo a punto uno strumento originale, ispirato alla definizione ed alle dimensioni della qualità indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2006), nonché tenendo conto delle modalità con le quali si può misurare la qualità dell’assistenza (Donabedian, 2003). La griglia declina per ogni dimensione uno o più temi specifici delle RSA, per ciascuno del quale sono stati individuati dei temi sensibilizzanti e delle unità di osserva- Assistenza sociosanitaria 977 zione, suscettibili di adattamento/integrazione sulla base degli elementi che durante la sperimentazione sarebbero eventualmente emersi. I temi sensibilizzanti e le unità di osservazione sono stati definiti secondo l’approccio sistemico dell’ergonomia e fattori umani (Carayon et al, 2006), tenendo conto dei problemi riconosciuti nell’ambito della letteratura esistente nella qualità delle strutture sociosanitarie (Mc Hugh et al, 2016), di studi e progetti condotti precedentemente in Toscana ed in Italia (ARS), dei temi generalmente considerati nei requisiti di accreditamento delle strutture socio-sanitarie (ARS). Gli osservatori sono gli autori del presente articolo, entrambi con formazione sui fattori umani e la sicurezza delle cure, con esperienza nella conduzione di visite sul campo in ambito sanitario. Le note osservazionali sono state raccolte in tempo reale mediante l’impiego di un applicazione gratuita disponibile su smartphone per la scrittura, il salvataggio automatico e la sincronizzazione di note. Le note grezze sono state successivamente riaggregate sulla griglia per temi e dimensioni dello schema di osservazione, da parte degli stessi osservatori. Si è impiegato un codice colore per classificare le note osservazionali per ciascuna categoria di attori osservati. Sono stati quindi sottoposti ad una verifica formale di qualità del dato e condivisi con gli altri componenti del gruppo di lavoro, per una prima valutazione di coerenza e compatibilità con quanto emerso dalle indagini con operatori e familiari. Infine, le griglie con i dati aggregati per tema sono state sottoposte ad una revisione esperta, da parte di infermieri (6) ed assistenti sociali (2) che hanno espresso valutazioni relative alle criticità ed ai punti di forza presenti in ciascuna delle strutture visitate nelle dimensioni oggetto di osservazione. Una prima elaborazione qualitativa del dato complessivo è stata quindi presentata alla direzione regionale, mentre una restituzione specifica per struttura è stata discussa nell’ambito di appositi incontri con i responsabili ed il personale presso le sedi delle RSA visitate. Risultati Sono state condotte 8 sessioni di osservazione della durata media di 8 ore e 30 minuti da parte dei due osservatori, per un totale di 134 ore di osservazione. In due occasioni, due colleghi del gruppo di lavoro impegnati nelle interviste con gli operatori e familiari hanno partecipato ad una parte delle sessioni di osservazione. In totale sono state raccolte 52 pagine (formato standard A4) di note osservazionali. 978 Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 Griglia di osservazione Dimensioni qualità della assistenza (OMS, 2006) Sicurezza delle cure delivering health care which minimizes risks and harm to service users Centralità della persona assistita delivering health care which takes into account the preferences and aspirations of individual service users and the cultures of their communities Temi in RSA Unità di osservazione Cadute Modalità di movimentazione delle persone assistite (presenza ed impiego ausili, etc.) Orientamento alla mobilizzazione (quanto si evita l’allettamento) Promozione attività fisica (anche minima) Ordine percorsi interni/esterni (assenza ingombri soprattutto nei percorsi più frequenti) Qualità illuminazione Stato di manutenzione e qualità pavimenti, tempistica e modalità di alert durante la pulizia Valutazione del rischio di caduta Gestione delle conseguenze della caduta Terapie Stoccaggio farmaci e modalità di controllo delle dotazioni Registrazione terapie (completezza e rintracciabilità atti terapeutici – vedi requisiti STU) Aggiornamento prescrizioni Annotazione allergie Consapevolezza delle caratteristiche dei farmaci e dell’obiettivo nel loro utilizzo (soprattutto per malati cronici con problemi cardiorespiratori, diabete e salute mentale) Segnalazione eventi e reazione avverse Infezioni Consapevolezza delle modalità di prevenzione delle infezioni (cosa si fa qui per prevenire le infezioni) Collocazione bagni, disponibilità sapone e gel idroalcolico, frequenza lavaggio delle mani e controllo compliance Presenza strumenti di comunicazione per il lavaggio Gestione terapie antibiotiche (si fa qualcosa per) Gestione persona infetta (es. virus gastrointestinali, influenza, polmonite, che cosa si fa quando…) Ulcere da pressione Presenza ausili e procedure di movimentazione per i pazienti per la prevenzione delle UdP Valutazione del rischio e rilevazione fattori di rischio Presenza presidi per la medicazione Rischio nutrizionale Rispetto dei bisogni primari (igiene ed alimentazione) Modalità di preparazione, distribuzione e consumo dei pasti Pulizia e cura degli ambienti privati e di comunità interni ed esterni alla struttura Attenzione alla stagionalità e varietà dei cibi, alle richieste delle persone assistite e possibilità di prepararsi pasti autonomamente e/o con il supporto del personale Attenzione ai bisogni secondari e terziari (cura di sé, relazioni sociali e realizzazione desideri) Cura dell’abbigliamento e dell’aspetto della persona Ampiezza e qualità spazi comuni e spazi privati Possibilità di personalizzazione delle camere Possibilità di personalizzare le attività dei pazienti attraverso il loro coinvolgimento Dotazioni tecnologiche a supporto delle attività riabilitative e ludiche Programma di attività ricreative e socio-educative interne ed esterne Cura dei rapporti con i familiari Cura dei rapporti con la comunità circostante (quartiere, scuola, associazionismo, ecc.) Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 Accessibilità delivering health care that is timely, geographically reasonable, and provided in a setting where skills and resources are appropriate to medical need; 979 Fisica Comfort e qualità degli ambienti privati e comuni Percorsi effettivamente accessibili per raggiungere tutte le aree interne ed esterne alla struttura Caratteristiche dei letti, delle poltrone, delle sedie e dei tavoli impiegati nelle attività quotidiane Caratteristiche degli ambienti dedicati alla pulizia (bagno) della persona Cognitiva Comunicazioni alle persone assistite chiare e comprensibili, sia verbali che scritte in merito alle cure ed alle attività quotidiane Supporto alla partecipazione anche per le persone più fragili o con autonomia molto limitata Attività finalizzate al mantenimento delle funzioni cognitive di base (memoria, attenzione, ragionamento) Organizzativa Chiarezza dei ruoli e delle funzioni degli operatori Conoscenza delle modalità di uscita/accesso alla struttura per le persone assistite e per gli ospiti rapporti con l’esterno Equità delivering health care which does not vary in quality because of personal characteristics such as gender, race, ethnicity, geographical location, or socioeconomic status Rispetto e valorizzazione delle differenze culturali, religiose e sociali Atteggiamento nei confronti di ospiti stranieri o comunque non appartenenti alla comunità locale Rispetto delle pratiche religiose Prevenzione discriminazioni nei confronti dei soggetti più deboli dal punto di vista sociale e relazionale Efficacia delivering health care that is adherent to an evidence base and results in improved health outcomes for individuals and communities, based on need Adeguatezza ed appropriatezza delle cure rispetto ai bisogni di salute della persona Gestione emergenze in caso di deterioramento delle condizioni cliniche della persona per malattia o infortunio Collaborazione tra personale interno, medici di famiglia e specialisti dell’azienda sanitaria Partecipazione a programmi di gestione delle malattie croniche Gestione transizioni in caso di ricoveri in ospedale e/o visite specialistiche e/o periodi di rientro a casa. Efficienza delivering health care in a manner which maximizes resource use and avoids waste; Capacità di impiego delle risorse umane, tecnologiche ed organizzative disponibili nella struttura e nella comunità Quantità di lavoro osservata dedicata alle cure vs alle attività amministrative Effettivo utilizzo delle attrezzature disponibili a fini riabilitativi ed educativi Rapporti con la comunità per attività ricreative e culturali Formazione e aggiornamento del personale Ratio benefici/ sprechi per le persone assistite, gli operatori e l’ente Rilievo eventuali sprechi evidenti (es. spazi o strumenti inutilizzati, personale con sovraccarico o sottocarico di lavoro, mancata valorizzazione competenze specifiche del personale, etc.) 980 Assistenza sociosanitaria Innanzi tutto la presenza degli osservatori è stata accolta in modo adeguato da parte del personale delle strutture, che ha consentito la conduzione delle osservazioni in tutti gli spazi ed in tutte le attività svolte nell’arco delle sessioni di osservazione. Gli operatori osservati sono stati inoltre disponibili a fornire chiarimenti quando gli osservatori avevano bisogno di chiarimenti in merito alle attività svolte. Sul piano emotivo, gli osservatori si sono quindi sentiti bene accolti nelle strutture e legittimati a condurre le osservazioni come pianificato. Anche l’accesso alle persone assistite per eventuali brevi interviste etnografiche è stato consentito senza porre alcun ostacolo, sempre nel rispetto dell’intimità delle persone assistite e della pianificazione del lavoro degli operatori. Si riporta, di seguito, i risultati aggregati delle osservazioni per i temi della sicurezza delle cure e centralità della persona assistita, che sono i due temi più saturati nel corso delle osservazioni, cioè sui quali sono state raccolte più note osservazionali anche in considerazione del background dei due osservatori (TB sicurezza, EB partecipazione pazienti). I risultati sono descritti secondo l’approccio della grounded theory (Corbetta, 1999), in cui i narratori confrontano costantemente quanto osservato con i possibili costrutti teorici a cui quelle osservazioni fanno riferimento, per riadattarli e ridefinirli a partire dal materiale raccolto. Anche per motivi di spazio, si rimanda ad una successiva pubblicazione dell’intero report dello studio. Sicurezza delle cure Relativamente al problema della prevenzione e gestione delle cadute, sono state osservate criticità sul piano ambientale ed organizzativo in tutte le strutture visitate, mentre in merito alle decisioni ed ai comportamenti degli operatori e degli assistiti la situazione è apparsa più variegata. Sia nelle strutture più moderne che in quelle antiche, la criticità principale sul piano ambientale riguarda l’illuminazione artificiale degli ambienti di vita e di cura. Si è riscontrata sia la totale assenza di illuminazioni notturne che segnalino i percorsi sicuri per raggiungere il bagno, che l’impiego pressoché generalizzato di fonti di luce al neon con tonalità fredda ed intensità costante nei diversi ambienti delle strutture e negli orari della giornata, che possono provocare un abbagliamento della vista al momento del risveglio o del passaggio dalla posizione prona a quella eretta. Questo tipo di illuminazione provoca inoltre un affaticamento visivo e contribuisce sia al rischio di caduta che al disorientamento della persona N. 211 - 2016 assistita, da un punto di vista cognitivo e relazionale, perché diventa più difficile distinguere i momenti della giornata, gli ambienti di vita e di cura, gli spazi privati e pubblici. Questi aspetti impattano sulla probabilità di deterioramento cognitivo e di episodi di delirium. Per il resto, i percorsi interni alle strutture sono apparsi liberi da ingombri e sufficientemente ampi, generalmente dotati di corrimano e con pavimenti in stato di manutenzione accettabile. Le porte talvolta rappresentano un ostacolo, in quanto sono pensate sui requisiti strutturali e non sempre sull’uso effettivo degli ambienti, in cui agiscono più operatori impiegando presidi ingombranti per gestire l’interazione e la movimentazione degli assistiti. Sul piano organizzativo, la valutazione e gestione del rischio di caduta è apparsa poco approfondita e poco personalizzata alle esigenze delle persone assistite. In altre parole, l’organizzazione del lavoro prevale considerevolmente sui bisogni della persona: ad esempio, in tutte le strutture visitate, quasi tutte le persone assistite vengono messe a letto subito dopo cena, con le spondine del letto alzate nella convinzione che siano una soluzione utile a prevenire le cadute. Le spondine, soprattutto quando coprono tutta la lunghezza del letto, sono invece un possibile fattore di rischio di aggravamento della caduta, quando vengono impiegate in modo generalizzato senza una rivalutazione delle condizioni della persona ed un suo coinvolgimento nella scelta di usare tale mezzo di contenzione. Le attività di fisioterapia, che possono contribuire a ridurre il rischio di caduta, sono relativamente integrate con le altre attività assistenziali e più in generale con la vita quotidiana delle persone in RSA. I limiti sembrano dovuti agli orari di questo servizio ed alla scarsa consapevolezza collettiva dell’importanza che le attività motorie rivestono nel mantenimento dell’autonomia funzionale, anche ai fini della prevenzione delle cadute. Le decisioni ed i comportamenti degli operatori nella prevenzione e gestione delle cadute, come si è già osservato, appaiono dettati da una standardizzazione al contenimento della persona assistita. In nessun caso si è assistito ad una revisione delle terapie negli incontri con i curanti per ridurre il rischio di caduta, né a una rivalutazione dinamica del rischio di caduta. I racconti delle cadute recenti, sono stati tutti all’insegna dell’imprevedibilità dell’evento ed all’attribuzione della causa a comportamenti inadeguati o condizioni cliniche della persona assistita. La movimentazione delle persone non autosufficienti è apparsa invece adeguata, seppure condotta con gesti piuttosto meccanici e talvolta eccessivamente rapidi, a causa della evidente pressione del tempo sugli opera- N. 211 - 2016 tori, su cui torneremo in seguito discutendo la dimensione dell’efficienza. Da notare come elemento di buona pratica, in una delle strutture visitate, l’uso di coperte per proteggere le persone da possibili urti ed intrappolamenti tra le sbarre delle spondine. In un’altra struttura è invece da riportare la collaborazione tra fisioterapista ed educatore per impiegare la musica come una sollecitazione al movimento terapeutico ed al monitoraggio delle funzionalità residue. La gestione delle terapie è certamente l’attività più problematica in RSA, innanzi tutto a causa del carico di lavoro smisurato che comporta per il personale infermieristico, impegnato in larga parte del proprio turno nell’approvvigionamento, stoccaggio, preparazione, somministrazione, registrazione e revisione delle terapie. Partendo dall’approvvigionamento, l’attività risulta particolarmente complicata a causa dei diversi regimi con i quali la struttura deve gestire l’acquisizione dei farmaci a seconda delle condizioni socio-economiche del paziente e delle scelte della sua famiglia. Si va da situazioni in cui la fornitura avviene integralmente da parte della farmacia di continuità dell’Azienda sanitaria di riferimento, a situazioni in cui la famiglia acquista e consegna i farmaci alla struttura, ma nella maggior parte dei casi sono le situazioni intermedie a determinare il carico di lavoro smisurato per gli infermieri, che si trovano a doversi interfacciare con fino a 4 tipi diversi di attori per l’approvvigionamento: i familiari, il medico di famiglia, la farmacia di continuità, le farmacie territoriali. Questa varietà di fonti talvolta coesistenti in una stessa struttura, a cui si aggiunge la presenza di numerosi prescrittori (fino a 20 diversi medici di famiglia in una struttura osservata con 50 posti), rende molto difficile programmare in modo sistematico gli ordinativi dei farmaci ed anche laddove c’è un rapporto con la farmacia di continuità l’RSA non accede al software per la gestione degli ordini, per cui gli infermieri devono gestire per telefono e con le richieste individuali cartacee le richieste di farmaci e presidi. In una delle strutture visitate, malgrado l’investimento del gestore nell’acquisizione dei computer, dei software e la formazione del personale necessari alla gestione on-line dei rapporti con la farmacia di continuità, il coordinatore ha riferito che dopo più di due anni dall’investimento l’Azienda USL non ha ancora attivato l’accesso della RSA al software per la gestione degli ordinativi della farmacia. Lo stoccaggio dei farmaci è poi particolarmente complicato dalla necessità di registrare e conservare i farmaci personale di ogni persona assistita: quest’attività viene Assistenza sociosanitaria 981 condotta dagli infermieri senza l’impiego di un registro formale di carico e scarico delle scorte, con modalità di registrazione e stoccaggio basate su soluzioni pratiche trovate dallo stesso personale sulla base dei supporti documentali e degli spazi di stoccaggio disponibili. Nella maggior parte dei casi, la registrazione avviene spuntando gli ordini e annotando su ciascuna confezione il cognome della persona assistita con un pennarello, per poi riporla in armadi o scaffali in cui è ricavato uno scomparto per ciascun paziente, a cui si aggiunge di solito uno spazio per le scorte che vengono ricavate dagli avanzi delle persone alle quali viene sospeso un farmaco o che termina la sua permanenza in RSA a causa di trasferimento o decesso. Gli scomparti sono individuati con etichette in cui è scritto a mano il cognome del paziente. Questa stessa complicata organizzazione delle scorte è poi replicata sui carrelli della terapia, nei quali gli infermieri provano ad ordinare i farmaci ricavando uno o più scomparti per ciascun paziente. Nella maggior parte dei casi gli scomparti sono ricavati all’interno dei cassetti dei carrelli, in cui lo spazio è suddiviso da listellino di plastica o di cartone al cui interno sono collocate le scatole dei farmaci in uso e solitamente il cognome del paziente è scritto sul fondo di ogni scomparto. Nelle realtà più creative, questa organizzazione è replicata sull’alzatina al margine posteriore del piano di lavoro del carrello, in cui è stata collocata una piccola scaffalatura verticale di plastica, suddivisa in cassettini trasparenti all’interno dei quali sono collocate le dosi dei farmaci in blister o fiale, senza le scatole. I flaconi di dimensioni più grandi sono collocati al bisogno sul ripiano del carrello, oltre al nome del paziente è scritta a pennarello la data di apertura. Gli infermieri non sempre riescono a programmare lo stoccaggio, che può richiedere anche diverse ore di lavoro, in considerazione della quantità di farmaci approvvigionati e della molteplicità delle fonti di approvvigionamento su cui l’organizzazione della RSA non ha un controllo puntuale. La preparazione dei farmaci avviene in modo variabile a seconda dell’orario, dei carichi di lavoro e dello stile dell’infermiere. La modalità più comune prevede l’impiego di bicchierini di plastica da caffè, su cui l’infermiere scrive a pennarello il cognome del paziente e successivamente vi colloca le terapie orali personali, disponendo poi i bicchierini su vassoi di diverse dimensioni appoggiati sul ripiano del carrello o su altri supporti presenti in medicheria. L’infermiere che prepara segue le prescrizioni indicate generalmente su un formulario cartaceo ispirato alla scheda terapeutica unica, in cui sono indicati i dati identificativi del paziente, il nome del farmaco, la dose e 982 Assistenza sociosanitaria gli orari di somministrazione previsti. Ogni persona assistita ha la propria scheda della terapia, collocata in un fascicolo comune conservato in medicheria ed appoggiato sul ripiano del carrello al momento dei giri principali della somministrazione. Non sempre la scheda della terapia è firmata dal medico, con sincero rammarico da parte degli infermieri che oltre a dover ricopiare le terapie prescritte sulla scheda, riferiscono di dover “rincorrere” i curanti per farsi apporre la firma su questi documenti. In caso di deterioramento, modifica repentina delle condizioni di salute o rifiuto della terapia da parte dell’assistito, l’infermiere consulta il curante per telefono, o in sua assenza un altro medico che ha in carico altri pazienti presso la struttura, per discutere la possibile modifica di una terapia in corso. Quando questo è il caso, l’infermiere aggiorna la programmazione delle somministrazioni sulla scheda, talvolta anche in attesa della conferma scritta da parte del medico, con l’obiettivo pratico di seguire tempestivamente i bisogni del paziente. La preparazione nel bicchierino viene impiegata sia per le compresse, intere o sminuzzate, che per i liquidi. Lo sminuzzamento è piuttosto frequente, a causa del numero di persone assistite con problemi di deglutizione. In questi casi, l’infermiere che prepara, inserisce tutte le compresse o le parti di compresse prescritte per ciascun paziente in un “pesto” presente sul carrello, per poi trasferire i farmaci sminuzzati nel bicchierino. Lo stesso pesto è impiegato per tutte le preparazioni. Quando un paziente ha sia farmaci solidi che liquidi, i bicchierini a lui destinati sono messi uno accanto all’altro o impilati uno sull’altro. Il metodo del bicchierino, nella sua modalità più strutturata, viene impiegato soprattutto per anticipare la preparazione dei giri della terapia principali, quelli del mattino, dell’ora di pranzo e della sera. Lo stesso viene impiegato “just in time” per le terapie orali di metà mattino e del pomeriggio, che di solito sono quantitativamente meno impegnative per l’infermiere che quindi prepara in medicheria e somministra subito dopo recandosi dalle persone alle quali sono destinati i farmaci. Quando la somministrazione avviene invece in un momento successivo alla preparazione, talvolta anche 3-4 ore dopo, l’infermiere colloca sul carrello i vassoi con i bicchierini e procede con il giro della terapia presso le camere dei pazienti allettati e nella sala in cui vengono consumati i pasti dalle persone in condizioni di alimentarsi in modo sufficientemente autonomo. Nella maggior parte dei casi, l’infermiere che somministra segue passo passo le indicazioni della scheda di terapia, seppure l’anticipo della preparazione consenta giusto un controllo sui nominativi dei N. 211 - 2016 pazienti sulla forma delle preparazioni ormai collocate nei bicchierini. Talvolta si è osservato che l’infermiere va a memoria, somministrando senza ricontrollare la scheda di terapia ed affidandosi alla conoscenza delle persone assistite, la cui identificazione avviene anch’essa sempre a memoria. Nei giri principali della terapia, le somministrazioni avvengono con una frequenza molto serrata, visto che si è osservato che un solo infermiere può trovarsi a dover gestire in circa mezz’ora le somministrazioni di 50 persone che prendono in media 3-4 farmaci ciascuno, con una forte pressione del tempo connessa con l’inizio del pasto. Le terapie iniettabili vengono gestite con un flusso di lavoro a sé stante, con preparazione e somministrazione integrate e quasi sempre contestuali alla rilevazione dei parametri vitali. La terapia iniettabile più comune è l’insulina, che viene praticata ai pazienti diabetici agli orari previsti e nel luogo in cui la paziente si trova, che può essere la camera, la sala da pranzo o gli spazi comuni. Le altre terapie iniettabili vengono generalmente somministrate ai pazienti allettati, che sono in numero relativamente contenuto rispetto al totale, nelle 4 strutture visitate sempre al di sotto di un decimo dei residenti. Il problema delle infezioni correlate all’assistenza appare generalmente poco considerato, sia dal management, che dal personale e dagli assistiti. Le norme generali di igiene degli ambienti vengono rispettate e la pulizia appare molto curata, sia negli ambienti di cura che negli ambienti di vita delle residenze. Il lavaggio delle mani è invece sistematicamente omesso da parte degli operatori prima del contatto con i pazienti, sia che questo avvenga con che senza guanti, a dimostrazione della mancanza di una consapevolezza individuale e di gruppo in merito alle modalità più frequenti di trasmissione delle infezioni, cioè dalla carente igiene delle mani. Il rischio infettivo non sembra considerato neppure in caso di pazienti già febbricitanti o particolarmente esposti a causa degli accessi venosi o di eventuali ferite, per i quali le barriere preventive sono piuttosto routinarie, i parametri sono monitorati in modo reattivo e le terapie antibiotiche sono gestite come le altre. Il gel idroalcolico per il lavaggio delle mani senza acqua è generalmente disponibile in medicheria, ma non viene quasi mai impiegato e non è presente alcun cartello che ricordi agli operatori di lavarsi le mani presso i punti in cui viene fornita l’assistenza. A questo si aggiunge la difficoltà nella gestione delle indagini di laboratorio, per le quali è sempre lo stesso infermiere a dover gestire l’intero processo, inclusa la richiesta N. 211 - 2016 dell’esame ed i rapporti con il laboratorio, mediante telefonate, richieste e referti cartacei, con la collaborazione degli infermieri dei servizi territoriali che accedono nelle strutture per il prelievo ed il trasporto del campione al laboratorio. Non appare alcuna riflessione in merito alla prevalenza delle infezioni nelle persone assistite, né all’efficacia delle terapie ed agli esiti clinici. Con i medici di famiglia che hanno un rapporto più costante con l’RSA, gli infermieri intrattengono un buon dialogo per rispondere alle esigenze individuali del singolo assistito, seppure il tema delle infezioni non assuma l’evidenza di argomento specifico ma venga trattato come un problema tra i tanti. Le ulcere da pressione sono probabilmente il tema di sicurezza delle cure che è apparso più presidiato durante le osservazioni. Le persone a rischio sono monitorate e laddove necessario trattate sia con le medicazioni avanzate che con la giusta mobilizzazione, anche per gli allettati, con una buona collaborazione tra infermieri e OSS. Tuttavia, sono state osservate anche in questo caso medicazioni eseguite senza prima lavarsi le mani o in spazi angusti, con difficoltà posturali da parte dell’infermiere e degli OSS coinvolti nella medicazione. Il personale manifesta comunque una buona consapevolezza del problema, tant’è che talvolta lamentano il peggioramento delle lesioni da decubito che osservano nei pazienti al ritorno da eventuali ricoveri in Ospedale. Centralità della persona assistita La centralità della persona nell’erogazione di servizi sociosanitari è uno dei valori che dovrebbe fare da guida per la programmazione, lo svolgimento e la valutazione dei servizi erogati, fondata su un’alleanza reciproca tra organizzazioni e professionisti con le persone assistite e i loro familiari per il raggiungimento comune di benefici, sia per quanto concerne i desideri e le aspirazioni dei singoli individui (bisogni primari e secondari), ma anche in un’ottica più ampia di attenzione verso gli aspetti culturali di una comunità. Le unità di osservazione considerate nel progetto di studio sono risultate saturate durante le osservazioni: sono state seguite attentamente le modalità di preparazione, distribuzione e consumo dei pasti, la pulizia e cura degli ambienti privati e di comunità interni ed esterni alla struttura, l’attenzione data alle richieste delle persone assistite. Gli ospiti delle strutture che hanno aderito al progetto vengono chiamati per nome e solo in rari casi gli operatori si rivolgono alla persona assistita senza chiamarla con il nome che generalmente è quello di battesimo. Assistenza sociosanitaria 983 La somministrazione dei pasti rappresenta un’attività che a cadenza regolare, quattro volte al giorno, pone in relazione diretta gli operatori socioassistenziali e le persone residenti nella struttura. La preparazione dei pasti in quattro strutture su cinque è esternalizzata, nelle strutture sono presenti locali adibiti a cucina che fungono da supporto alle attività di somministrazione dei pasti. Le aree di mensa sono facilmente individuabili e accessibili - solo in una struttura si è osservata la presenza di piccoli scalini – oltre che puliti. La scelta delle pietanze e variata e indirizzata a cibi di stagione; per le persone con difficoltà di deglutizione è prevista la somministrazione di cibi liquidi o comunque sminuzzati. Ad ognuno viene offerta la possibilità di esprimere la preferenza tra un paio di opzioni a portata. Tutte le operazioni di preparazione delle porzioni e la loro consegna agli ospiti avvengono con il solo uso della memoria, senza che gli operatori utilizzino strumenti di supporto alla decisione. Dalle osservazioni effettuate durante i pasti non si evidenziano da parte delle persone residenti commenti contro gli operatori, l’attenzione delle persone è tutta rivolta alla qualità del cibo che talvolta viene commentato come freddo o non gustoso. Il personale infermieristico, impegnato nella somministrazione della terapia durante la consegna dei pasti, riesce a seguire anche le richieste particolari che riceve da alcuni ospiti combinando le attività di preparazione e consegna dei farmaci con il consumo dei pasti. Durante le operazioni di somministrazione del cibo gli operatori sono principalmente concentrati sulle attività di preparazione e consegna dei pasti e in minor misura sugli aspetti più direttamente legati alla conversazione. Si osserva inoltre che nella maggioranza delle situazioni osservate gli ospiti durante il tempo trascorso in mensa non conversano tra loro nel tempo dedicato al pranzo o alla cena. Gli ambienti si presentano generalmente puliti e ordinati, in alcuni casi l’odore dei prodotti igienizzanti si manifesta in modo pronunciato. La luce naturale viene utilizzata molto poco nelle camere di degenza, più spesso negli ambienti comuni di mensa e socializzazione. Gli impianti illuminanti risultano essere nella maggior parte dei casi inadeguati per posizione e tipologia, ovvero “al neon posti sul soffitto con luce piuttosto intensa e temperatura molto fredda” oppure con interruttori non raggiungibili dalla posizione di allettamento. Questo si traduce in situazioni di mancato comfort per le persone assistite Le attività diurne includono il trasferimento di materiali e terapie su carrelli che liberano rumori fastidiosi nello 984 Assistenza sociosanitaria spostamento nei corridoi, che si aggiunge ad altri suoni di lamentela o richiamo degli operatori da parte delle persone residenti. Le attività di pulizia delle persone assistite connesse al risveglio e alla messa a letto sono svolte in modo diversificato a seconda degli operatori che agiscono sull’ospite. In alcune occasioni si osserva un’alta attenzione alla movimentazione del corpo delle persone che si ripercuote positivamente su comportamenti collaborativi tra operatore e assistito, mentre nel resto delle attività osservate gli spostamenti risultano essere rapidi e talvolta imperativi, soprattutto alla fine del giro (di alzata o messa a letto). In generale si constata un legame piuttosto forte tra operatori socioassistenziali e persone assistite, che si riflette in una buona personalizzazione del servizio in cui le attività, va osservato, vengono svolte con un uso spinto della memoria e dell’abitudine. Per quanto concerne gli aspetti più direttamente legati alla cura di sé, le persone ospiti nelle strutture visitate si presentano per la quasi totalità curate nell’abbigliamento e nell’aspetto. Indossano abiti puliti, viene loro chiesto quali abiti preferiscono indossare scegliendo gli accessori, laddove disponibili, che la persona preferisce indossare quel giorno. La presenza programmata di attività ricreative e di socializzazione è diversificata a seconda della struttura visitata. In un paio di strutture, soprattutto per effetto di una presenza attiva e qualificata di educatori/animatori, le iniziative di socializzazione sono ben articolate e attese dai residenti tanto che “nelle ore che precedono l’attività ricreativa gli ospiti attendono con interesse l’ora di inizio della musica/ballo”. La settimana e la giornata sono scandite da appuntamenti che ciclicamente vedono la realizzazione di attività declinate sia sulla dimensione dell’individuo che su quella del gruppo: dalle attività motorie ai giochi, dalla possibilità di beneficiare di un’acconciatura o una pedicure a quella di prendere parte ad un evento ecclesiale, il supporto all’acquisto personalizzato di alcuni indumenti in negozi esterni alla struttura (es. un paio di calzini), gite a teatro o centri commerciali, attività in collaborazione con i bambini di alcune scuole del territorio. Durante i momenti di trasferimento da un locale all’altro (ad es. dalla sala comune a quella per il consumo dei pasti) e durante i periodi di attesa dei pasti o tra un’attività e l’altra gli operatori socioassistenziali cercano di intrattenere le persone facendo domande sul loro passato o stimolando la conversazione tra due o più soggetti in grado di conversare tra loro. N. 211 - 2016 Diversamente, nelle altre due strutture, le attività ludicoricreative risultano essere secondarie al resto delle altre operazioni di assistenza alla persona. I giochi di gruppo e le iniziative per mantenere la manualità mediante lavori con carta, lana e tessuti, materiali di recupero sono presenti ma vengono realizzati con uno scarso coinvolgimento attivo di tutti i presenti che celano in alcuni casi episodi di noia o di disagio a dover partecipare. Le attività di fisioterapia, per le quali i familiari esprimono apprezzamento laddove impiegate, coprono una parte ridotta del programma di attività complessivo e gli attrezzi presenti nelle strutture sono sottoutilizzati rispetto ai bisogni delle persone e alle opportunità di uso poco valorizzate. Tutte le strutture visitate prevedono l’apertura agli ospiti e familiari delle persone assistite, senza restrizioni di orario. Nella quasi totalità delle RSA si sono potuti vedere accessi dall’esterno che in alcune strutture è stato valorizzato dalla partecipazione dei familiari alle attività collettive, mentre in altri casi si è trattato di presenze più isolate e non integrate con le persone e gli operatori presenti. Discussione e prospettive Questo Progetto ci ha permesso di aprire una finestra sulla vita degli operatori sanitari e delle persone assistite nelle RSA, per osservare e descrivere le pratiche di lavoro quotidiano degli operatori sanitari nell’arco della giornata. La buona accoglienza da parte dei responsabili, degli operatori e delle persone assistite, è un primo dato su cui riflettere, non scontato, in quanto nelle visite gli operatori sono stati seguiti da vicino anche nei momenti più delicati o riservati, sia sul piano assistenziale che su quello relazionale. Certamente ha influito positivamente la preparazione della visita mediante un incontro con i responsabili ed il supporto al progetto di un atto di indirizzo politico regionale. Le precedenti esperienze in ambito sanitario degli osservatori hanno inoltre facilitato la comprensione delle pratiche, degli artefatti e dei linguaggi impiegati dagli operatori. Bisogna ricordare che si tratta di una modalità di studio onerosa in termine di progettazione, conduzione delle osservazioni, elaborazione ed analisi dei dati, stesura della reportistica, quindi difficilmente replicabile su larga scala. Nella modalità della ricerca intervento, potrebbe infatti offrire notevoli opportunità di accompagnamento del personale in progetti di miglioramento della qualità dell’assistenza, così come è emerso negli incontri di restituzione condotti in tre delle quattro strutture visitate. Ad esempio, sui temi elaborati nel presente articolo, sono stati immaginati e discussi possibili N. 211 - 2016 Assistenza sociosanitaria 985 interventi di tipo sistemico e a basso costo per migliorare l’illuminazione o la modalità di preparazione dei farmaci, che presuppongono la formazione del personale ed alcuni accorgimenti di tipo tecnico ed organizzativo ad alto impatto sul comfort degli ambienti e la sicurezza delle cure. Per questo motivo, è attualmente in discussione la possibilità di sistematizzare questa modalità di intervento, che integri incontri con il personale, momenti di osservazione con feedback strutturati finalizzati allo sviluppo di progetti di miglioramento in una modalità partecipativa ed auspicabilmente con la collaborazione di più strutture, per favorire il confronto, l’apertura verso l’esterno ed una sana competizione, che sono gli elementi fondamentali delle esperienze di successo per il miglioramento del valore dell’assistenza (Ovretveit, 2015). Chiaramente gli organismi tecnico-scientifici della Regione coinvolti nel progetto potranno lavorare per priorità, auspicabilmente coniugando una dinamica di adesione volontaria degli attori del territorio a questa proposta, con un impegno e un indirizzo politico a supporto dei processi di riorganizzazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria. nelle RSA. https://www.ars.toscana.it/it/aree-dintervento/cure-e-assistenza/assistenza-in-rsa/dati-e-statistiche/2780-progetto-ministeriale-ccm-qualita-e-sicurezza-nelle-rsa-novembre-2014. html (accesso al 28/11/2016). Bibliografia Nuti S, Rosa A, Trambusti B. La mappatura delle residenze per anziani non autosufficienti in Toscana - Report 2014. Laboratorio Management & Sanità, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. ARS Toscana. La normativa sull’assistenza in RSA in Toscana e Italia, https://www.ars.toscana.it/it/aree-dintervento/cure-eassistenza/assistenza-in-rsa/normativa/1213-regione-toscanala-normativa-sullassistenza-in-rsa-accreditamento.html (accesso al 28/11/2016). ARS Toscana. Progetto ministeriale CCM: qualità e sicurezza Carayon P, Schoofs Hundt A, T Karsh B, et al. Work system design for patient safety: the SEIPS model. Quality and Safety in Health Care 15.suppl 1. 2006:50-58. Castle NG, Jamie C. Ferguson. What is nursing home quality and how is it measured? The Gerontologist. 2010. Corbetta P. Metodologia e tecniche della ricerca sociale. Il Mulino, 1999. Donabedian A. An Introduction to Quality Assurance in Health Care. Oxford University Press, 2003. Hutchins E. Cognition in the Wild. MIT press, 1995. Mor V, Berg C, Angelelli J et al. The quality of quality measurement in US nursing homes. The Gerontologist 43. 2003:S23746. McHugh M, Shi Y, Ramsay P.P et al. 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Infatti, benché egli non abbia un ruolo professionale nella cura, il tipo di legame da un lato con l’anziano e dall’altro con l’operatore ha un innegabile impatto sull’agire di questi due soggetti, individualmente e reciprocamente, e quindi in ultima battuta sulla cura. Il risultato auspicato è la prevenzione di dinamiche relazionali negative, rigide o che tali rimangono, senza offrire supporto, ma complicando i legami. Il progetto “Persona - La buona cura” focalizza i propri obiettivi su due oggetti di osservazione e di intervento tra loro interrelati: la persona, facendo riferimento con questo termine a tutti quei soggetti che hanno un ruolo nella cura della persona non autosufficiente residente in RSA (includendo, oltre agli operatori, la persona stessa ed i suoi familiari); la cura, vista come un percorso entro cui ogni persona che vi compare ha un ruolo collegato agli altri da legami professionali, familiari ed affettivi in un quadro in cui l’agire dell’uno influenza inevitabilmente l’agire dell’altro. Ascoltare il punto di vista di ogni soggetto, i suoi bisogni, le difficoltà, le aspettative, è la strada per perseguire la “buona cura”, ossia la sua efficacia e sostenibilità nel tempo. Con parole diverse potremmo definire la cura come il “prendersi cura”, che non si limita all’ambito medico e assistenziale, ma è il risultato di un intreccio di relazioni reciproche tra i soggetti che compaiono nello scenario, considerando la comprensione delle dinamiche relazionali come il mezzo per raggiungere una efficacia in termini di benessere di ogni soggetto, minimizzandone i limiti e valorizzandone le risorse. Curare la relazione con il familiare può ridurre, fino ad eliminarlo, il disturbo e il controllo che esercita sul lavoro dell’operatore, che spesso si sente svalutato, e farlo diventare una risorsa per le relazioni interne ed esterne alla struttura. Questo cambiamento ha in sé un valore innovativo, come capacità di far emergere, raccogliere e fornire risposte ai bisogni dei familiari visti come un importante nodo per una efficace cura; ha valore sociale, poiché comporta un miglioramento delle relazioni dentro e fuori dalla struttura; infine ha valore culturale poiché porta e diffonde significati all’agire del familiare più consoni con la struttura sociale contemporanea. La RSA come scelta o necessità: le implicazioni relazionali Per comprendere le dinamiche di relazione tra familiari e operatori, è necessario osservare il contesto sociale, culturale e psicologico entro cui un familiare decide di ricorrere a questo tipo di servizio. La prima precisazione riguarda l’utilizzo del termine “scelta”, associato ad un significato culturale negativo poiché non più adeguato per l’attuale contesto di vita: l’inserimento di una persona non autosufficiente in struttura non è più, nella maggioranza dei casi, una scelta, come poteva esserlo alcuni decenni fa, ma è spesso l’unica possibilità percorribile. Nel corso dell’ultimo cinquantennio abbiamo visto cambiare molto la struttura della famiglia: fino alla fine degli anni cinquanta essa aveva la cosiddetta forma allargata, era rappresentata cioè da una rete costituita da diversi nu- N. 211 - 2016 clei, ognuno dei quali era composto da un ampio numero di persone (coniugi, fratelli, cugini, figli, nipoti, ecc.). In questo contesto sociale l’intera rete familiare si faceva carico dei bisogni di assistenza, anche in una condizione di estrema gravità, poiché le molte persone (risorse) su cui si poteva fare affidamento rendevano semplice l’assistenza, agevolata anche da una più breve durata media della vita. Date queste condizioni, ricorrere ad una struttura residenziale significava scegliere di abbandonare il proprio familiare e rifiutare di prendersi cura di lui, cosa socialmente riprovevole. Oggi le cose sono cambiate: la famiglia è divenuta mononucleare, composta sempre più frequentemente da un solo adulto. Non solo, ma la lunghezza media della vita si è sensibilmente estesa, aumentando la durata del carico assistenziale. Anziani e “grandi” anziani, con disabilità e/o pluripatologie croniche per periodi di vita sempre più lunghi sono assistiti da pochi o un solo familiare. In questo cinquantennio è inoltre cambiato il ruolo sociale della donna, che, entrando nel mondo del lavoro, non può più rappresentare la principale o unica figura dedita alla cura e all’assistenza. Nonostante ciò continuiamo ad aspettarci dalla famiglia (nucleare) e dalla donna ciò che ci si attendeva 50 anni fa, senza tener conto dei cambiamenti intercorsi nel frattempo. Ci scontriamo con un disallineamento tra i cambiamenti appena descritti, che comportano una forte contrazione delle risorse assistenziali familiari, soprattutto per periodi di tempo lunghi o molto lunghi, e le aspettative sociali legate ai retaggi del passato. Ricorrere ad una RSA continua pertanto ad essere percepito come una scelta d’abbandono e di rinuncia delle proprie responsabilità, nonostante l’estrema difficoltà di gestire una persona non autosufficiente per lunghi periodi di tempo e con risorse familiari estremamente contratte. A causa del vissuto “abbandonico” di questa decisione, la RSA è percepita come un’alternativa inizialmente rifiutata, a cui i familiari arrivano spesso dopo molti tentativi di assistenza al proprio domicilio, anche in assenza di condizioni (psicologiche, fisiche, assistenziali) adeguate, con forti ripercussioni sul benessere individuale e dell’intera famiglia. Si arriva ad accettare la residenzialità solo come extrema ratio, quando il disagio è tanto forte da legittimare questa decisione. Ciò nonostante, il prevalere del significato della RSA come scelta e non come unica soluzione percorribile, comporta vissuti di colpa molto forti. È importante comprendere questi aspetti culturali ed emozionali poiché in base ad essi il familiare mette in atto comportamenti e atteggiamenti che impattano sulla relazione con il suo anziano e con l’operatore che se ne prende cura. Assistenza sociosanitaria 987 Chi arriva ad inserire un suo familiare in RSA con un carico emozionale pesante adotta delle strategie per trovare conforto, strategie che si rivelano dannose per tutti i soggetti della cura e che si concretizzano in una sua presenza ingombrante all’interno della RSA. Il suo obiettivo è quello di ovviare al senso di colpa vissuto per l’abbandono, telefonando, essendo presente tutti i giorni o quasi nella struttura, controllando, consigliando e spesso correggendo gli operatori. Si producono effetti deleteri in campo personale e relazionale: 1. A livello individuale, infatti, il familiare non riesce a percepire la struttura come il mezzo per potersi riappropriare della sua vita e ricominciare a dare spazio alle proprie necessità o ad attività foriere di benessere; al contrario continua ad essere costantemente presente in struttura, fisicamente o anche solo mentalmente, cercando di coniugare questo comportamento con gli impegni personali, pressappoco come quando assisteva l’anziano al domicilio. Nel tentativo di attenuare il suo senso di colpa per la decisione presa, vanifica di fatto il beneficio del servizio di cui usufruisce. 2. A livello relazionale, incentiva un rapporto dannoso con l’anziano che, per affrontare le difficoltà del cambiamento o dell’adattamento alla residenza in struttura, ricatta affettivamente il familiare, chiedendo la sua presenza continua o il suo intercedere con gli operatori. Si innesca così un circolo vizioso in base al quale l’anziano, così facendo, aumenta i sensi di colpa del familiare che, a sua volta, per alleviarli, impiega strategie di maggiore presenza o di invasività sull’operato dei professionisti, con il risultato di aumentare il proprio carico emotivo. 3. La presenza invasiva del familiare in struttura ha poi degli effetti dannosi nel rapporto tra l’anziano e gli operatori della struttura: il familiare che non riesce ad affidare il suo caro, accresce le insicurezze dell’anziano, che percepisce la mancanza di fiducia del familiare nella struttura, reagendo con ostilità nei confronti dell’assistenza ricevuta. Gli anziani che sanno di poter contare sulla presenza a chiamata del familiare, tendono a mettersi molto poco in gioco, rimanendo in attesa dei loro cari, ostacolando l’operato dei professionisti e non socializzando con il contesto residenziale. Chiederanno sempre di più, esigendo, la presenza del familiare, innescando il circolo vizioso di cui sopra. 4. Quanto sin qui detto fa comprendere facilmente come il livello relazionale tra familiare e operatore della struttura venga messo a dura prova: la difficoltà del familiare nell’accettare di affidare il proprio caro alla struttura promuove relazioni disfunzionali con l’operatore, a cui viene 988 Assistenza sociosanitaria richiesta un’assistenza “perfetta” secondo il canone del familiare. Ciò non fa altro che rendere difficile il lavoro del professionista e teso il clima in cui agisce, mettendo a rischio l’efficacia dell’assistenza. La difficoltà di relazione con il familiare si interseca ed è alimentata da quella con l’anziano: con molta facilità questo innescarsi di criticità sfocerà in conflitti e frustrazioni per tutti i soggetti del percorso, provocando ricadute negative sul loro benessere e rendendo la collaborazione assistenziale, a cui tutti partecipano, un percorso dove l’efficacia è messa a dura prova, se non impossibile da ottenere. Strategie di supporto alla relazione con il caregiver Quali strategie possiamo mettere in atto per evitare l’implosione delle relazioni tra tutti i soggetti della rete affinché i legami che si creano in struttura siano collaborative e supportive? Avendo in questo report il familiare come figura di riferimento, sicuramente il primo passo consiste nell’aiutarlo ad affidare il proprio caro alla struttura, diminuendo il vissuto di colpa che si affianca a questa decisione. La presenza di uno psicologo, che operi in maniera autonoma e svincolata dalle dinamiche interne della struttura stessa, può rappresentare un modo per aiutare il familiare rassicurandolo, aiutandolo a modulare il vissuto abbandonico e a gestire tale eventuale vissuto in modi più salutari per sè e per il residente. È importante anche effettuare un percorso educativo del familiare, da un lato, e dell’operatore, dall’altro, aiutando entrambi a non mettere in moto strategie difensive, frutto di relazioni che si irrigidiscono su basi emozionali negative e frustrazioni: per il familiare, i propri continui tentativi di mettere pace ai sensi di colpa; per gli operatori, il bisogno di difendersi dalle pretese dei familiari e dalla difficoltà di sostenere la relazione di aiuto con gli anziani residenti. È necessario che, mediante incontri separati, i due gruppi di soggetti siano messi di fronte alla consapevolezza dei loro personali e reciproci limiti e dei motivi per cui mettono in atto determinati comportamenti, nonché le modalità individuali e relazionali per implementare questa consapevolezza nell’operatività lavorativa. Gli incontri con i familiari Nel progetto “Persona - La buona cura” il punto di vista dei familiari è stato rilevato attraverso incontri di gruppo nelle RSA visitate. L’invito e le modalità organizzative del gruppo di familiari erano parte integrante del progetto che non poteva prescindere da ciò che riguardava l’organizzazione complessiva e le dinamiche relazionali dell’intera struttura in N. 211 - 2016 questione (intendendo sia gli aspetti di relazioni interne che con il territorio e le risorse informali). Questi incontri, nei quali si sono raccolti i vissuti dei familiari, si caratterizzano anche come incontri di orientamento, promuovendo riflessioni sia sull’esperienza individuale che sulla vita della collettività /comunità. Ogni incontro organizzato in ciascuna delle quattro strutture individuate all’interno del progetto pilota era rivolto a tutti i familiari dei residenti. La media di partecipazione è stata di 10 familiari. La conduzione del lavoro col gruppo di familiari è stata affidata ad AIMA Firenze (Associazione italiana malattia di Alzheimer), che è stata affiancata, di volta in volta, da ARS Toscana (Agenzia regionale di sanità), GRC (Gestione rischio clinico) e CRCR (Centro ricerca criticità relazionali). L’incontro consisteva nella gestione di una narrazione di gruppo, guidata mediante una griglia che mirava ad ottenere informazioni sul livello di benessere percepito dal familiare in relazione all’esperienza dell’inserimento e della permanenza del proprio caro all’interno della struttura. Tutti i partecipanti hanno potuto raccontare la propria esperienza, affrontando gli argomenti proposti, avendo, allo stesso tempo, la libertà di introdurre spontaneamente argomenti che ritenevano rilevanti. Solo in rare occasioni, il familiare è stato sollecitato con domande dirette, ma ha sempre avuto completa autonomia. Le narrazioni con i familiari tengono sempre in considerazione che esse sono specchio della soggettività dei partecipanti, figure peraltro cui non possono essere attribuite “responsabilità di competenze”, a differenza di operatori e figure investite ufficialmente del ruolo di cura o di coordinazione dello stesso. Il familiare pertanto è visto, in tale contesto, come persona coinvolta nelle dinamiche psicologiche familiari e affettive nonché potenzialmente competente nel ruolo di persona emotivamente “vicina a”. L’attenzione è rivolta a valorizzare il vissuto personale, a proteggere le situazioni riservate e che si vogliono mantenere tali, a rispettare le scelte emotivamente rilevanti sperimentate e i vissuti di criticità legati a difficoltà fisiche, psicologiche, economiche o di altra natura. L’incontro, attraverso le modalità espresse sopra, ha permesso di facilitare una maggiore consapevolezza dei problemi esposti da parte dei partecipanti, la condivisione degli stessi e talvolta la visione da una nuova prospettiva, che ha potuto far intravedere una nuova soluzione. È stato inoltre orientato a valorizzare le risorse dei familiari stessi e della struttura, in particolar modo delle competenze e le potenzialità di cui sono portatori, in maniera trasversale, gli operatori addetti all’assistenza. N. 211 - 2016 L’incontro, infatti, come detto nella parte iniziale di questo lavoro, si pone un duplice obiettivo: valorizzare le risorse esistenti, prendendone atto in maniera maggiormente consapevole, e apportare nuove competenze affinché si sviluppi un ruolo di controllo sociale del familiare nella vita della struttura, intesa qui come comunità residenziale. La possibilità dei familiari di sentirsi capiti e di poter condividere le problematiche e i disagi con un soggetto terzo, che non è implicato nelle dinamiche interne alla struttura, permette di sviluppare un senso di fiducia e la sensazione di potersi appoggiare e farsi sostenere nel momento del bisogno. Questo naturalmente ricade sulle relazioni all’interno della comunità prevenendo atteggiamenti difensivi e posizioni rigide rispetto a ciò che accade o può accadere in struttura e, a lungo termine, comporta una serie di cambiamenti non solo sull’individuo ma sulla sua interazione con gli altri. Affiancando questi incontri con le altre attività previste nel progetto, come la supervisione, il sostegno e la formazione agli operatori addetti all’assistenza, si produrrà un effettivo miglioramento del contesto assistenziale e di cura dell’intero sistema RSA. Alcune suggestioni sui risultati La griglia, presa a riferimento nella conduzione degli incontri, è stata costruita sull’obiettivo di esplorare le motivazioni e le difficoltà che hanno portato all’inserimento in RSA della persona non autosufficiente, il livello di qualità di vita e di benessere percepito dal residente in seguito all’inserimento e rilevato dal familiare, le tipologie e le caratteristiche dei rapporti del familiare e del residente con gli operatori e con la Direzione, i punti di forza che sono riconosciuti alla struttura e quelli che invece risultano essere punti di miglioramento o meglio le criticità toccate con mano dal familiare stesso. Per ogni tema, di seguito, sono riportate alcune delle espressioni o sintesi delle stesse con cui i familiari si sono raccontati. Conclusioni Gli elementi essenziali per prevenire la formazione di dinamiche relazionali negative all’interno delle RSA sono l’accoglienza, l’inclusione, l’ascolto e la partecipazione. Solo una relazione improntata a questi principi può ottenere risultati apprezzabili, tanto per la “persona” quanto per la “cura”, e per tutto ciò che riguarda congiuntamente i due oggetti di osservazione ed intervento del progetto. In questo report siamo partiti dal punto di vista del familiare per osservare e comprendere sia le cause dei legami implosivi che si costruiscono tra i soggetti della struttu- Assistenza sociosanitaria 989 ra, sia le conseguenze che ricadono sull’intero sistema relazionale della RSA in termini di “buona cura” della “persona”: in particolare abbiamo visto come il senso di colpa dei familiari produca effetti deleteri non solo a livello individuale, su loro stessi, ma anche a livello di gruppo, massimizzando gli effetti negativi della relazione tra familiari, operatori e residenti e tra questi ultimi. Nell’articolo abbiamo messo in evidenza l’importanza di introdurre in RSA strategie di supporto al familiare: percorsi educativi con il coinvolgimento degli operatori, che consentano loro di abbandonare strategie relazionali difensive, basate su emozioni negative e frustrazioni, e attività di counseling e di sostegno psicologico, che forniscano e consolidino quelle competenze relazionali per migliorare il benessere individuale del familiare e di conseguenza quello del sistema (relazionale) RSA. Gli incontri con i familiari rappresentano inoltre uno strumento per la socializzazione e la diffusione di quei principi di accoglienza, inclusione, ascolto e partecipazione che concorrono a definire legami supportivi e collaborativi tra tutti i soggetti delle RSA, posto che le relazioni che i familiari intrattengono con gli operatori vanno ad influire su quelle che essi hanno con il loro caro ed indirettamente condizionano le relazioni tra residenti ed operatori. Da non dimenticare né sottovalutare il potenziale di questi incontri nel favorire il ruolo di “controllore sociale” del familiare sulla struttura, trasferendo la capacità di rivolgere l’attenzione non solo verso se stessi e verso la persona cara, ma verso tutto ciò che accade nella RSA e sulle persone che la vivono. Questo può far sì che essi rappresentino un osservatore efficiente, perché esterno, seppur coinvolto, delle criticità che possono produrre un impatto sugli operatori e sugli altri residenti. Bibliografia e sitografia Goeman D, Renehan E, Koch S. What is the effectiveness of the support worker role for people with dementia and their carers? A systematic review. BMC Health Services Research. 2016;16:285. Tinelli F. La fatica della famiglia che assiste l’anziano. Provincia di Novara, www.anniazzurri.it. Branca S, Spallina G.A, Caprino C et al. Paziente demente, caregiver, servizi: una triade da costruire e da difendere. G Gerontol. 2005;53:104-11. Prendersi cura di chi cura: il difficile ruolo del caregiver, www. anzianievita.it. Gozzoli C, Giorgi A, Falgares G. La qualità relazionale dell’RSA come strumento di promozione di benessere nei caregiver di 990 Assistenza sociosanitaria N. 211 - 2016 pazienti di Alzheimer. 2011:79. ed esperienze. Erickson 2016. Giorgi A, Lampasona R. Analisi di un gruppo di elaborazione clinico sociale di caregivers di pazienti affetti da demenza. Plexus n. 10, Giugno 2013. Grasselli B. L’arte dell’integrazione. Persone con disabilità costruiscono percorsi sociali. Armando Editore 2006. Marzotto C, Digrandi G. La conduzione di gruppi: metodologie Ferrari N, Tosi F. Narrazione guidata. Un sistema logico - linguistico. Streetlib 2016. 991 N. 211 - 2016 Monografia Le case della salute a cura di Valeria Rappini Presentazione Il tema dello sviluppo delle strutture intermedie tra l’Ospedale e il domicilio, genericamente riconducibili al modello delle Case della Salute, attraversa il dibattito sulla sanità da molto tempo. Ma che cosa esse esattamente siano è difficile dire. Le proposizioni regionali e locali sulle Case della Salute e strutture simili (Presidi territoriali di assistenza in Puglia e Presidi sociosanitari territoriali in Lombardia) mostrano “perimetri del possibile” particolarmente ampi in termini di target di utenza (cronici, occasionali) e gradi di specializzazione, livelli di cure ricompresi (cure primarie, specialistica ambulatoriale, diagnostica), intensità del ruolo assegnato ai MMG e di quello assegnato alla professione infermieristica, collegamento o meno con forme di medicina di iniziativa. A definire le nuove entità in formazione concorre ampiamente la necessità di trovare una soluzione ai problemi posti dalla messa in discussione della funzione svolta da preesistenti strutture (Ospedali riconvertiti). I vincoli che vengono dal passato, a partire da quelli di natura fisico-logistica o professionale, si combinano con ulteriori spinte e motivazioni (esigenze politiche di rinsaldare i legami con la comunità, tensioni ideali ancorate all’affermazione di nuovi modelli di cura e anche tendenze di carattere più manageriale finalizzate alla semplificazione dell’accesso e al miglioramento dell’esperienza di consumo degli utenti) e condizionano assetti e servizi offerti. I casi raccolti nella monografia (in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Puglia, Calabria) rappresentano altrettanti elementi di un puzzle in cui convivono principi e tensori diversi, con soluzioni contingenti, cioè adattate a ciascuna specifica realtà. Dal confronto tra le diverse analisi e riflessioni proposte nei contributi – a partire da quello di Brambilla e Maciocco sull’esperienza più consolidata di Toscana ed Emilia Romagna – potrà quindi essere valutato il grado di convergenza delle diagnosi e soluzioni, insieme alla molteplicità dei significati e dei ruoli attribuiti a tali nuove (o rinnovate) entità. In altri termini: di cosa parliamo quando parliamo di strutture intermedie quali le Case della Salute? Valeria Rappini SDA Professor Area Public Management & Policy di SDA Bocconi School of Management 992 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Le Case della Salute. Innovazione e buone pratiche Gavino Maciocco1, Antonio Brambilla2 Medico, docente Politica sanitaria nell’Università di Firenze Medico, direzione generale cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna 1 2 Abstract Sin dalla sua istituzione, il Servizio sanitario nazionale si è tradizionalmente organizzato e ha investito quasi esclusivamente nel settore delle malattie acute, secondo il paradigma dell’attesa e del modello biomedico di sanità: il sistema, i professionisti sanitari, si mobilitano cioè soltanto in occasione della manifestazione di un evento acuto o comunque a fronte di una richiesta del cittadino. Oggi, a fronte dello scenario epidemiologico mutato, le organizzazioni sanitarie – per rispondere adeguatamente ai bisogni di salute della popolazione – devono riorientare il proprio approccio alle malattie croniche secondo il paradigma della sanità d’iniziativa: il bisogno di salute deve essere riconosciuto prima dell’insorgere della malattia o del suo aggravamento. La sanità d’iniziativa si caratterizza per: • la presenza di un team multiprofessionale (medici di famiglia, infermieri, specialisti ecc.) in grado di svolgere un lavoro collaborativo e integrato in funzione dei bisogni del paziente; • una forte attenzione ai bisogni di salute della comunità, anche rispetto ai determinanti della salute (compresi quelli cosiddetti “distali”, ovvero quelli socioeconomici, che sono alla base delle crescenti disuguaglianze nella salute); • la continuità delle cure attraverso un sistema facilmente accessibile alla persona e integrato tra i diversi livelli di assistenza, fondato sui richiami proattivi e programmati delle persone; • l’enfasi sulla promozione della salute rivolta a tutta la popolazione e sulle strategie di prevenzione mirate più specificamente alle persone a maggior rischio. Per ridisegnare il sistema sanitario sulla base di questi elementi, è stato adottato a livello internazionale il modello concettuale del Chronic Care Model, elaborato da Ed H. Wagner, direttore del MacColl Center for Health Care Innovation. Il Chronic Care Model si fonda sulla capacità di differenziare, riconoscendoli, i bisogni della popolazione in relazione alla condizione clinica e di salute (stratificazione per gravità) delle persone, mettendo in atto differenti strategie assistenziali a seconda della gravità. La stratificazione è rappresentata efficacemente da una piramide. Il Chronic Care Model è stato adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità e largamente introdotto nelle strategie d’intervento dei sistemi sanitari di diversi Paesi, dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito, Italia compresa, che ha recentemente approvato il Piano nazionale della cronicità (Accordo Stato-Regioni del 15 settembre 2016). Un modello innovativo che richiede tempo per realizzarsi compiutamente, ma nella cui roadmap di avvicinamento trovano posto due fondamentali condizioni: a) un team multiprofessionale e multidisciplinare in condizione di fornire, da una parte, prestazioni cliniche di qualità e, dall’altra, una vasta gamma di interventi preventivi e di promozione della salute in una prospettiva di medicina proattiva; b) la presenza di strutture edilizie e di infrastrutture tecnologiche (informatiche e diagnostiche) che possano supportare adeguatamente team numericamente consistenti e che rappresentino per la popolazione un punto di riferimento concreto, riconoscibile, accogliente, facilmente accessibile, affidabile per tutti i servizi sanitari N. 211 - 2016 e sociali del territorio. Strutture di questo genere hanno avuto una denominazione – Case della salute – a partire dal 2006. Fu in quell’anno infatti – con il secondo governo Prodi – che il Ministro della sanità, Livia Turco, indicò nelle Case della salute un obiettivo strategico per realizzare “l’integrazione tra sanitario e sociale, in un quadro di sviluppo delle cure primarie a livello nazionale”. Nel luglio 2007 il Ministero della salute emanò un decreto per attuare la “Sperimentazione del modello assistenziale Case della Salute” (con un fondo di 10 milioni di euro). Al decreto era allegato un documento che conteneva la definizione della struttura: «La Casa della Salute, struttura polivalente in grado di erogare in uno stesso spazio fisico l’insieme delle prestazioni sociosanitarie, favorendo, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori, l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie, deve rappresentare la struttura di riferimento per l’erogazione dell’insieme delle cure primarie». Tra l’elenco delle caratteristiche della struttura al primo posto si leggeva: “All’interno della struttura devono trovare collocazione gli studi dei medici di medicina generale e deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su 7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di continuità assistenziale e di emergenza territoriale”. Da allora, diverse Regioni si sono impegnate nella realizzazione di Case della Salute, ma solo in due di esse il progetto ha superato la fase della sperimentazione ed è divenuto parte integrante e concreta della programmazione sanitaria regionale: l’Emilia- Romagna e la Toscana. L’esperienza della Regione Emilia-Romagna La realizzazione delle Case della Salute in Emilia-Romagna si colloca all’interno e in continuità di un più ampio percorso di innovazione avviato col Piano sanitario regionale 1999-2001, per promuovere l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, storicamente “a canne d’organo”, facilitando così l’accesso ai servizi da parte della popolazione e migliorando la presa in carico e la continuità dell’assistenza. Nell’anno 2000 sono stati istituiti i Nuclei di cure primarie (NCP) forme organizzative per l’erogazione dell’assistenza primaria alla popolazione di riferimento, composti da pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, infermieri, ostetriche, medici specialisti (prevalentemente a sostegno dei percorsi assistenziali per la cronicità) e assistenti sociali. I NCP hanno rappresentato un’opportunità per favorire la collaborazione tra medicina convenzionata (in primis i medici di medicina generale) ed i professionisti delle Aziende sanitarie (in Le Case della Salute 993 primis gli infermieri ed i medici specialisti) e dei Comuni (gli assistenti sociali). A 10 anni dall’avvio dei Nuclei di cure primarie, la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato le prime indicazioni sulle Case della Salute (Deliberazione n. 291 del 8 febbraio 2010), compiendo una ulteriore evoluzione rispetto ai NCP. Le Case della Salute intendono qualificarsi come strutture facilmente riconoscibili e raggiungibili dalla popolazione di riferimento, dove trovare risposta alla maggioranza dei bisogni di salute (di natura episodica e cronica) attraverso la garanzia dell’accesso e dell’erogazione dell’assistenza sanitaria, sociosanitaria e socio-assistenziale in integrazione con i professionisti dell’ambito sociale, e con la partecipazione della comunità locale (es. pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato). Dal 2011 ad oggi il numero di Case della Salute è raddoppiato, 42 nel 2011 e 84 nel 2016 (ottobre), rappresentando il punto di riferimento per il 43% dei 4 milioni e 500 mila abitanti dell’Emilia-Romagna e per il 60% dei 334 Comuni. Alle 84 Case della Salute funzionanti, se ne aggiungono 38 programmate per i prossimi anni. La maggioranza delle Case della Salute sono state realizzate come riqualificazione di strutture esistenti, sanitarie (es. sede di attività distrettuali, sede della medicina di gruppo, Poliambulatorio, piccolo Ospedale) e anche non sanitarie (ex-scuola o ex-teatro). L’investimento economico sostenuto per la sola riqualificazione edilizia ammonta a circa 70 milioni di euro, provenienti da diverse fonti finanziarie (statali, regionali, Aziende sanitarie, Comuni). La programmazione delle Case della Salute nei territori locali viene condivisa tra Azienda sanitaria / Distretto e sindaci. Ogni Casa della Salute presenta una sua specifica complessità assistenziale, in funzione dei bisogni della popolazione a cui si riferisce e delle caratteristiche del territorio. Le Case della Salute possono avere un livelli di complessità definibile come “basso”, riferito al 40% delle Case della Salute, e “medio/alto”, riferito al 60%. Il livello “basso” comprende l’assistenza di pediatri di libera scelta (PLS) / medici di medicina generale (MMG), l’assistenza infermieristica (ambulatorio prestazionale e ambulatorio per la gestione della cronicità in integrazione con MMG e medico specialista); l’assistenza specialistica a supporto dei percorsi per la cronicità; l’assistenza ostetrica e l’assistenza sociale. Il livello “medio/alto” comprende, in aggiunta alle tipologie di assistenza garantite dal livello “basso”, tutte le funzioni e le attività tipiche dell’assistenza distrettuale (es. funzioni amministrative di accesso, valutazione del bisogno, sanità pubblica, Consultorio familiare, salute mentale, assistenza specialistica 994 Le Case della Salute ambulatoriale). Nell’edificio che ospita le Case della Salute di “media/alta” complessità assistenziale possono essere, inoltre, presenti l’Ospedale di comunità e/o strutture residenziali e semi-residenziali per diversi target di utenza (es. anziani, disabili). Nell’ambito distrettuale le Case della Salute ed i Nuclei di cure primarie (NCP) si configurano come una rete simile al modello Hub&Spoke dell’assistenza ospedaliera, in cui le Case della Salute a “media\alta” complessità rappresentano l’Hub di quelle a bassa complessità (Spoke) e dei NCP non ancora inseriti nelle Case della Salute. Questa rete garantisce l’attuazione dei principi di prossimità ed equità dell’accesso e della presa in carico. A distanza di 6 anni dalle prime indicazioni sulle Case della Salute stanno per essere approvate dalla Giunta regionale le nuove, che sistematizzano le “buone prassi” maturate in questi anni nei singoli territori e le proposte emerse dal confronto e dalla discussione con tutti i soggetti coinvolti a livello locale e regionale. Le principali direttrici di sviluppo delle Case della Salute saranno il rafforzamento della partecipazione della comunità locale (pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato, fino ai singoli cittadini), dell’integrazione e del coordinamento delle attività della Casa della Salute, e della medicina d’iniziativa. In particolare, le nuove indicazioni regionali individuano per le Case della Salute a “media/alta” complessità assistenziale un coordinamento, organizzativo e clinico-assistenziale. Il coordinamento organizzativo è garantito da un responsabile, preferibilmente un coordinatore infermieristico e tecnico, e un board, composto da tutti gli attori coinvolti nella Casa della Salute. Il coordinamento clinico-assistenziale è garantito da referenti che hanno il compito di presidiare le funzioni di governo clinico delle diverse aree integrate di intervento della Casa della Salute (es. medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri, assistenti sociali). Queste sono organizzate per livelli di intensità assistenziale: prevenzione e promozione della salute; popolazione con bisogni occasionali-episodici; benessere riproduttivo, cure perinatali, infanzia e giovani generazioni; prevenzione e presa in carico della cronicità; non autosufficienza; rete cure palliative. Le attività di ogni area sono realizzate attraverso l’integrazione delle competenze dei Dipartimenti delle Aziende sanitarie (territoriali e ospedalieri) e dei Comuni. Le Case della Salute rappresentano una nuova soluzione organizzativa per affrontare il mutato contesto demografico, epidemiologico e socio-economico, che richiede, tuttavia, un profondo cambiamento culturale delle organizzazioni N. 211 - 2016 sanitarie e sociali, dei professionisti, e della popolazione stessa, ancora legata ad un modello “ospedalocentrico”. Ad oggi politici, professionisti e cittadini valutano positivamente l’esperienza delle Case della Salute, fattore determinante per garantirne il successivo sviluppo. L’esperienza della Regione Toscana Il primo atto formale della Regione Toscana sulle Case della Salute avviene quando nel febbraio 2008, dopo il relativo finanziamento statale introdotto nella legge finanziaria 2007 (ripreso dal D.M. attuativo del 10 luglio 2007 e dall’ Accordo Stato Regioni del 1 agosto 2007), la Giunta regionale approva i progetti pilota per la sperimentazione del “modello assistenziale Case della Salute” in alcune Asl della Regione1. Nel 2015 con delibera della Giunta regionale2 vengono emanate le Linee d’indirizzo regionali sulle Case della Salute, contenenti gli standard e i requisiti delle differenti tipologie di strutture. Nel 2015 è stata condotta una rilevazione delle Case della Salute in Toscana per monitorare l’espansione ed i cambiamenti dell’implementazione di tale modello nelle cure primarie ed approfondire così le sue prerogative, in particolare dal punto di vista dell’integrazione multi-professionale, della governance e della collaborazione con altri servizi aziendali3. La mappatura mette in evidenza la presenza di 46 Case della Salute (qualche altra è stata aperta successivamente). Se una prima esperienza di Casa della Salute è presente in Toscana dal 2006 (La Rosa, Asl 5 Pisa), ed altre quattro vengono aperte negli anni 20082009, il fenomeno comincia a consolidarsi dopo il 2010 e raggiunge un’elevata rilevanza in questi ultimi anni (oltre il 50% delle Case della Salute attualmente presenti sono state aperte nel 2013 e 2014). Solo l’Asl 4 Prato non ha Case della Salute attive, anche se il loro numero all’interno delle Aziende e la loro distribuzione tra le zone-distretto è molto diversificata. Le Case della Salute risultano concentrate in territori/città di medie o piccole dimensioni, mentre non sono ancora presenti nella grandi città. Ciò avvalora la tesi secondo cui tali Presidi funzionano probabilmente meglio in alcune tipologie di territori o comunque in condizioni strutturali particolari. Si osserva una grande variabilità in termini di ampiezza, che si riflette anche nel numero e nel DGRT N. 139 del 25/02/2008 DGRT N. 117 del 16/02/2015 3 Bonciani M., Barsanti S. (2015) “La Case della Salute in Regione Toscana: servizi, organizzazione ed esperienza di medici e assistiti. Anno 2015” In corso di pubblicazione 1 2 N. 211 - 2016 tipo di servizi presenti (ad esempio Case della Salute di grandi dimensioni includono anche Centri diurni e/o RSA). Tale eterogeneità è dovuta anche al fatto che, in alcuni casi, le sedi utilizzate da alcune Case della Salute sono all’interno di Presidi distrettuali o ospedalieri già esistenti e riorientati ad altra funzione. In larga maggioranza le Case della Salute sono ubicate in strutture di proprietà dell’AUSL o di altro ente pubblico. Le Case della Salute sono aperte mediamente 12 ore al giorno dal lunedì al venerdì e l’orario minimo di apertura è di 7 ore. Senza considerare il servizio di continuità assistenziale, solo poche Case della Salute riportano di stare aperte h24 per 7 giorni alla settimana e sono quelle che inglobano servizi come RSA o Punto di primo soccorso, altrimenti la metà delle strutture sono aperte soltanto alcune ore il sabato mattina. In tutte le Case della Salute (con la sola eccezione di una) sono presenti MMG, per oltre 300 MMG (mediamente 6-7 MMG per Casa della Salute), la cui maggioranza ha il proprio ambulatorio prevalente all’interno della Casa della Salute. Minore invece la partecipazione dei PLS, presenti in 26 Case della Salute, per un totale di 33 PLS coinvolti. Considerando il totale dei MMG e dei PLS che operano in Case della Salute, la popolazione afferente alle Case della Salute è rispettivamente di circa 372.000 e 24.500 assistiti, con un bacino medio di utenza per Casa della Salute di circa 8.300 adulti e 1.000 bambini. Gli infermieri e gli specialisti sono gli altri operatori sanitari maggiormente presenti nelle Case della Salute: mediamente ogni Casa della Salute ha 9 infermieri e 9 specialisti, per un totale di oltre 400 operatori di ciascuno dei due gruppi professionali, diversificati però notevolmente dall’orario di presenza individuale all’interno delle strutture. L’ambulatorio infermieristico è presente in 44 Case della Salute e la sanità di iniziativa viene svolta in tutte le strutture, prevalentemente con percorsi relativi al diabete mellito ed allo scompenso cardiaco. Gli ambulatori specialistici sono presenti in 42 Case della Salute, ed altre 2 ne prevedono l’attivazione. Le specialità prevalenti sono la cardiologia (in 30 Case della Salute), l’ostetriciaginecologia (in 23 Case della Salute), l’oculistica (in 23 Case della Salute), la dermatologia (in 23 Case della Salute) e l’ortopedia (in 19 Case della Salute). Il servizio di assistenza sociale è presente in 40 Case della Salute e gli uffici amministrativi in 38; si osserva dunque che quasi tutte le Case della Salute toscane soddisfano il criterio di composizione minima di un’équipe multidisciplinare, con MMG, infermieri, amministrativi, specialisti ed operatori sociali. Le Case della Salute 995 Il Centro unico prenotazioni (CUP) è inserito in quasi tutte le Case della Salute (43 strutture e le altre 3 lo prevedono) ed anche il punto prelievi è ampiamente diffuso (40 Case della Salute). Il servizio di continuità assistenziale è invece presente in poco più della metà delle Case della Salute (26), ma in altre 15 è prevista la sua attivazione. La diagnostica di primo livello (principalmente ecografie, radiologia convenzionale, spirometria ed ECG) è presente in 29 Case della Salute ed il servizio di telemedicina solo in 13 strutture (e circa altrettante prevedono di attivarlo). Presenti attività di prevenzione (vaccinazioni e screening della cervice uterina) in circa la metà delle Case della Salute, ed ancor meno diffusa l’attività di promozione della salute rivolta alla comunità di riferimento. Da migliorare invece il consolidamento di percorsi volti alla continuità assistenziale sia all’interno delle Case della Salute che con altri servizi aziendali. Solo poco più della metà delle Case della Salute, infatti, riferisce l’esistenza di agende dedicate per la specialistica che i MMG possono utilizzare per i propri assistiti, ma nella maggioranza dei casi solo per quelli coinvolti nei moduli della sanità di iniziativa. Limitata anche la collaborazione con l’esterno: poco più di una Casa della Salute su tre ha rapporti con gli ambulatori specialistici interni e con il servizio sociale del Comune o di altro ente, mentre non esistono collaborazioni con i reparti ospedalieri e il Pronto Soccorso in oltre il 50% delle Case della Salute. Anche l’integrazione professionale è un aspetto che deve essere rafforzato: si osserva una più diffusa abitudine a svolgere incontri periodici di tipo organizzativo, rispetto a quelli di tipo clinico, che, se svolti, risultano esserlo in base all’esigenza di discutere e confrontarsi su casi o situazioni complesse piuttosto che ad una previa programmazione periodica. I professionisti che hanno ormai un’abitudine consolidata ad incontrarsi sono i MMG e gli infermieri, mentre i MMG e quelli della continuità assistenziale svolgono meno frequentemente incontri, sia di tipo organizzativo che clinico. Le Case della Salute hanno una discreta dotazione tecnologica, in termini di postazioni informatiche e connessioni (rete LAN e collegamento alla rete aziendale), ma non è ancora omogeneamente diffuso l’utilizzo di software gestionali al loro interno, ad eccezione dei programmi relativi al CUP, alla gestione dell’anagrafe assistiti ed il sistema gestionale per MMG/PLS. L’aspetto più critico riguarda la mancanza di cartelle informatizzate, con 8 Case della Salute che non utilizzano tale strumento tecnologico per la condivisione dei dati dei pazienti, che 996 Le Case della Salute costituisce invece un elemento facilitante l’integrazione professionale. La condivisione dei dati nelle Case della Salute da parte dei MMG e degli infermieri è generalmente diffusa, forse anche in relazione alle varie attività della sanità di iniziativa, mentre è più limitato l’accesso ai dati da parte di altri professionisti sociosanitari, degli specialisti, dei PLS e dei medici di continuità assistenziale. Sono ancora poche, infine, le Case della Salute in To- N. 211 - 2016 scana che si sono dotate di sistema di governance e di strumenti di programmazione e controllo (identificazione di figure di coordinamento, definizione di programmi e obiettivi, budget, valutazione e reportistica). Bibliografia Brambilla A, Maciocco G, Le Case della Salute. Innovazione e buone pratiche, Carocci Faber, Roma 2016. Le Case della Salute N. 211 - 2016 997 Dall’awareness all’empowerment di comunità Giovanni Coglitore, Rosa Costantino, Vanessa Vivoli Area Reputation &Brand - Staff Direzione strategica, Azienda USL di Modena Abstract L’implementazione delle Case della Salute nel territorio della provincia di Modena sta determinando lo sviluppo di nuove modalità di relazione e di un nuovo modello di servizio per la comunità di riferimento. Il progetto “Praticare la partecipazione nella Casa della Salute” in Azienda USL di Modena, attraverso un modello di pratica partecipativa basata sull’integrazione di metodi e saperi diversi, si propone di co-costruire il senso e il significato del nuovo modello di costruzione della salute sul territorio al fine di rendere i cittadini consapevoli del cambiamento in un’ottica di empowerment di comunità. Utilizzando la metodologia del digital storytelling, è stato possibile integrare una moltitudine di stimoli e significati all’interno di una struttura narrativa coerente rafforzando la percezione della Casa della Salute che si concretizza come innovazione sostanziale per la comunità. “Le Case della Salute sono una struttura territoriale di riferimento alla quale i cittadini possono rivolgersi in ogni momento della giornata per trovare risposte concrete, competenti e adeguate ai loro diversi bisogni di salute e di assistenza primaria, nella quale operano congiuntamente medici di medicina generale, specialisti, infermieri, ostetriche, operatori.” (Delibera di Giunta regionale dell’Emilia Romagna n. 291 del 08/02/2010). Da questa definizione risulta evidente che le Case della Salute si pongono nei confronti dei cittadini come un’esperienza nuova non solo in termini di servizi offerti ma anche come nuova modalità di relazione. Il brand “Casa della Salute” si carica di significati come la valorizzazione della comunità locale, l’integrazione delle politiche per la salute, il coinvolgimento attivo e proattivo dei professionisti sanitari, sociosanitari e sociali. Un “nuovo luogo” nato per integrare e facilitare i percorsi e i rapporti tra i servizi e i cittadini, per restituire alla popolazione una visione unitaria della salute, non solo come diritto del singolo ma anche come interesse della collettività. Sulla base di queste premesse nasce il progetto “Praticare la partecipazione nello sviluppo delle Case della Salute” in Azienda USL di Modena, dove attraverso la pratica della partecipazione si perseguono al tempo stesso con- sapevolezza e ingaggio dei cittadini affinché non siano solo informati del cambiamento – in termini di servizi erogati – ma diventino contemporaneamente consapevoli del valore potenziale che le Case della Salute aggiungono nel loro territorio sentendosi inclusi nel progetto di cambiamento. Il progetto è stato, ad oggi, attuato nelle Case della Salute di Castelfranco Emilia, Spilamberto e Guiglia. Di fronte, infatti, alla complessità reale, ci si è resi conto di quanto gli approcci comunicativi tradizionali, che si basano spesso su strategie esclusive – decisione tecnica, scelta migliore per i cittadini e annuncio alla comunità – possano creare un vuoto di significato ed essere ad elevato rischio di polemica e controversia. Da questo punto di vista, la partecipazione, intesa come leva strategica inclusiva, apre alla co-costruzione di senso, rafforza l’accountability delle scelte, e attiva anche azioni di ascolto e consultazione al fine di individuare nuovi bisogni e fragilità, attuando o ricalibrando progettualità. La partecipazione resta tuttavia non solo un mezzo ma anche un fine che in termini di risultati può portare sia a scelte migliori ma anche a migliori relazioni, rafforzando quindi il legame di fiducia tra istituzioni pubbliche e cittadini. In senso longitudinale, si può infatti affermare 998 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Fig. 1. Rappresentazione del processo di sviluppo dei soggetti che partecipano al policy making (Palumbo, Torrigiani 2009) che un processo partecipativo contribuisce a sviluppare un percorso di crescita, quindi di apprendimento dei soggetti coinvolti, prevedendo anche il processo evolutivo di cittadini, da potenziali stakeholder, informati o che si informano, a stakeholder consultatati e ascoltati, che a loro volta possano diventare shareholder, cioè cittadini responsabili non solo della propria salute ma anche responsabili della salute della propria comunità (Fig. 1), attivando processi di empowerment (Palumbo, Torrigiani 2009). Nello stesso tempo, la stessa organizzazione apprende, allontanandosi dall’idea che esista un one best way determinato dal sapere tecnico-specialistico e riconoscendo come nelle società complesse sia impossibile una netta separazione tra “sapere esperto” e “sapere profano”, portando nei processi decisionali anche le conoscenze esperienziali dei cittadini, considerati anche nelle loro forme di rappresentanza (Cervia, 2014). L’impianto metodologico La partecipazione rischia di essere considerata positiva in sé ma spesso vaga e con poche ricadute in termini di risultati. Per tale ragione, siamo partiti da un impianto concettuale che considera le dimensioni sociali della partecipazione, definita come un insieme categoriale di azioni che ripropongono le “pratiche che intervengono nel percorso partecipativo”, nello specifico: comunicazione, animazione (engagement), ascolto ed empowerment. (Fig. 2). L’individuazione di categorie, tuttavia, non deve indurre a pensare la partecipazione come sommatoria di azioni, in modo particolare per l’impossibilità di individuare confini netti che separino inequivocabilmente una categoria dall’altra e consentano in questo modo di isolare e considerare distintamente ciascuna pratica. Al contrario, all’interno del processo partecipativo, le azioni di comunicazione, di animazione, di consultazione e di empowerment non solo si alimentano a vicenda, ma si richiamano di continuo (Ciaffi, Mela, 2006). Affinché questo “richiamo” non produca ridondanza e confusione è altresì necessario che dietro un progetto partecipativo così concepito ci sia sempre una strategia intenzionale e condivisa con tutti gli attori interessati e che le azioni siano agite in modo coordinato, tempestivo e riflessivo sui risultati prodotti. In particolare due sono le questioni sui cui porre attenzione durante tutto il processo: i soggetti da coinvolgere e l’orchestrazione degli strumenti operativi che si intende proporre nelle diverse fasi. In riferimento agli attori, è importante sottolineare l’atten- Le Case della Salute N. 211 - 2016 999 Fig. 2. Le quattro “dimensioni sociali” della partecipazione (Ciaffi, Mela, 2006) zione che si è posta nel mapparne le risorse formali e informali presenti nel territorio, cercando quindi di andare al di là dei “soliti noti”, allargando il coinvolgimento a soggetti diversi fra loro ma che fossero il più possibile rappresentativi dell’interesse della collettività (grado di inclusività orizzontale). Pensare a chi coinvolgere significa anche rivolgersi verso l’interno del sistema Azienda, agganciando i professionisti sanitari, protagonisti del processo e andare verso altri attori istituzionali (grado d’inclusività verticale). Alla luce di queste ultime considerazioni una delle conditio sine qua non per impostare un percorso di partecipazione delle comunità alla salute risulta la sua qualità “embedded” che definisce quanto i risultati ottenibili siano strettamente connessi al territorio e contesto sociale in cui si vuole agire. Le azioni (Le pratiche partecipative) Il primo gradino, prerequisito da cui partono tutte le altre azioni che inducono all’inclusione, è quello relativo alla comunicazione. Con-dividere l’informazione è il primo passo per la definizione di un frame comune, al cui interno si potranno poi costruire linguaggi, conoscenze e comportamenti che contribuiranno a generare le azioni successive. Le informazioni non dovranno essere percepite come calate dall’alto, al fine di trasformare il messaggio in una risorsa personale o di gruppo utile per intervenire. Per questo, nel caso specifico del nostro progetto abbiamo ritenuto opportuno utilizzare la metodologia del digital storytelling (letteralmente “atto del narrare”), metodo che, attraverso le piattaforme di comunicazione digitali, usa la narrazione come mezzo creato dalla mente per inquadrare gli eventi della realtà e spiegarli secondo una logica di senso. Attraverso un processo narrativo digitale è stata posta in essere una strategia di avvicinamento all’innovazione con lo scopo di rendere comprensibile e rafforzare il significato della Casa della Salute per la comunità. Tale metodologia ha permesso di utilizzare una moltitudine di stimoli e significati all’interno di una struttura narrativa coerente “umanizzando” il brand (Campegiani, 2016). Il processo di umanizzazione del brand si basa sul convincimento che il processo narrativo dovrebbe far percepire alla comunità la consapevolezza che per costruire salute l’Azienda ha la necessità (prima e più dell’obbligo) di ascoltare la sua storia per fare in modo che la comunità stessa ne voglia diventare parte positiva e attiva. Sul piano operativo sono stati utilizzati tutti i canali di comunicazione digitali dell’Azienda USL di Modena: portale web, intranet, pagina Facebook, profilo Twitter, canale YouTube, app MyAUSL insieme ai canali di comunicazio- 1000 Le Case della Salute ne più tradizionali. I contenuti multimediali (immagini, video, testi) sono stati resi fruibili secondo una strategia che sul piano temporale potesse rendere il cittadino/utente il più possibile allineato in termini di awareness coinvolgendo i soggetti che potessero generare quello che nel linguaggio del web è definito come “sentiment” nel territorio di riferimento in una logica di engagement di comunità (Iscoe e Harris 1984; Fabbri 2009). I soggetti coinvolti nelle iniziative di avvicinamento hanno riguardato un pool eterogeneo con l’obiettivo di raccontare il senso e il significato della Casa della Salute da più punti di vista: professionisti sanitari, mondo del volontariato, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, istituzioni. L’eterogeneità delle persone coinvolte nella produzione di materiale multimediale ha permesso al cittadino di ottenere una rappresentazione del significato e del valore della Casa della Salute da tutte le angolazioni possibili. Inoltre, i professionisti che lavoreranno in rete sono stati tutti coinvolti secondo una strategia di rafforzamento del brand. La strategia adottata ha permesso anche di enfatizzare il principio di trasparenza nell’utilizzo delle risorse destinate all’implementazione delle nuove strutture. Nello specifico, la produzione di contenuti multimediali ha riguardato: • video sullo stato di avanzamento dei lavori architettonici (utilizzando la tecnica del Time-Lapse); • video-interviste ai professionisti che avrebbero lavorato nelle Case della Salute (MMG, PLS, specialisti, amministrativi); • video-interviste a stakeholder significativi, quali forme di rappresentanza dei cittadini (volontariato) e agli esponenti del mondo delle istituzioni (sindaci, assessori, etc.); • brochure, banner e inviti, sia in formato cartaceo che digitale, volti a spiegare nel dettaglio le iniziative di presentazione e apertura delle Case della Salute; • immagini e video sugli eventi di inaugurazione e/o open day delle Case della Salute; • videoalternanza real & digital degli spazi della nuova struttura e dei servizi da essa erogati. La creazione di eventi sulla pagina aziendale Facebook, insieme ad una sezione ad hoc del sito web e della App aziendale “MyAUSL”, ha permesso di raggiungere, seguendo la geolocalizzazione, più utenti possibili del territorio di riferimento. Sono stati altresì promossi incontri sul territorio (circoli cittadini, Centri diurni, etc.) per i potenziali utenti che non utilizzano (o sotto-utilizzano) piattafor- N. 211 - 2016 me digitali di comunicazione, rispondendo e rafforzando il principio di equità informativa. L’engagement della comunità ha trovato il suo culmine nelle iniziative di presentazione e apertura delle Case della Salute ai loro cittadini. Le attività di engagement fanno infatti riferimento a forme di rafforzamento del senso di comunità di un determinato territorio ad elevata valenza espressiva e si prefiggono di stimolare la popolazione non solo sul piano cognitivo ma anche emozionale, facendo leva sul senso d’appartenenza territoriale con lo scopo di ri-creare legame di fiducia tra collettività e Azienda sanitaria locale. Gli eventi di presentazione e apertura delle Case della Salute, che abbiamo organizzato, dal punto di vista strategico hanno agito come una cassa di risonanza delle azioni e dei messaggi comunicativi realizzati fino a quel momento “centrale”. Innanzitutto, richiamando il metodo del digital storytelling, abbiamo scelto di raccontare la Casa della Salute attraverso “percorsi narrativi” di storie di salute con cui i cittadini, riconoscendosi, potessero identificarsi, storie che hanno consentito di mostrare non solo i luoghi nuovi ma anche come la presa in carico del bisogno fosse multiprofessionale e integrata tra servizi ospedalieri e territoriali. E proprio per questo si è agito in modo che tutti i professionisti sanitari, socio-sanitari e sociali coinvolti nei percorsi fossero presenti il giorno dell’iniziativa, indipendentemente che lavorassero o meno all’interno della Casa della Salute. Allo stesso tempo, abbiamo puntato sul messaggio che la Casa della Salute non rappresenta un riferimento solo nel momento di necessità sanitaria ma si pone come un luogo dove si produce salute. Da qui l’idea delle “Piazze del benessere”, dove si è chiesto a tutti i principali stakeholder esterni all’Azienda ma co-produttori di benessere per la Comunità, di esserci e di mostrare le loro attività e buone prassi. In questo modo abbiamo ottenuto la presenza attiva dell’Ente locale, della Scuola e delle principali Associazioni di volontariato, partner dell’Azienda, che attraverso giochi e laboratori hanno coinvolto i cittadini. In questo modo abbiamo puntato a due obiettivi importanti per il brand: il primo riguarda il consolidamento dell’immagine dell’Azienda sanitaria nel suo ruolo di stewardship, ovvero di guida nel campo delle relazioni tra gli attori esterni ma che operano nel sistema salute; il secondo invece riguarda il coinvolgimento anche di cittadini non propriamente abituati a riferirsi ai servizi sanitari, quali ad esempio i bambini e le loro famiglie, e gli adolescenti. Le Case della Salute N. 211 - 2016 In modo contemporaneo alle azioni di comunicazione ed engagement si sono sviluppate anche attività di ascolto e consultazione della comunità in riferimento a specifiche progettualità che si stavano definendo per le Case della Salute nel territorio di Modena. Si è voluto così sperimentare come alla base della identificazione di priorità sulle quali agire, fossero posti non solo dati amministrativi ed epidemiologici ma anche indagini qualitative che permettessero di includere l’esperienza vissuta dai cittadini, potenziali target degli interventi, e il punto di vista, ancora una volta, di stakeholder esterni all’Azienda ma che a livello operativo potevano contribuire alla realizzazione della policy. Abbiamo quindi realizzato specifici interventi di ricercaazione attraverso Focus Group, interviste in profondità, etc, che hanno permesso ai professionisti sanitari di “guardare fuori” e ridefinire le loro progettualità, cogliendo bisogni non sempre evidenti, aspettative inattese e collaborazioni diverse. A nostro giudizio, le diverse azioni implementate rimandano di continuo al quadrante dell’empowerment che, rispetto all’impianto metodologico descritto, risulta essere sia parte costituente del processo (mezzo) che risultato atteso (fine). L’esito finale atteso del coinvolgimento vuole essere quello di migliorare l’empowerment individuale, avendo lavorato sulla convinzione soggettiva di poter influire sulle decisioni che riguardano la propria vita, sia quello di comunità, avendo attivato connessioni tra le organizzazione e risorse presenti nel territorio, cercando di rafforzare “comunità competenti” in cui i cittadini hanno le conoscenze, le risorse e le motivazioni per intraprendere insieme con l’Azienda sanitaria attività volte al miglioramento della loro salute. L’incertezza sul risultato è d’obbligo, in questo caso, poiché l’empowerment costituisce il lascito più importante in termini formativi a conclusione di un percorso partecipativo, la cui istituzione di per sé non è però sufficiente a garantire l’accrescimento delle capacità dei cittadini. Ciò può verificarsi nei casi in cui il processo partecipativo non si concluda solo con azioni di engagement e adozione di scelte condivise che tengano conto delle istanze emerse, ma con azioni che rispondano più propriamente ai bisogni di salute di quella comunità e che ne possano anche favorire un esperienza più positiva e una maggiore fiducia (impatti). E questo è quello che intendiamo valutare nel prossimo futuro. Conclusioni L’approccio seguito, sia da un punto di vista strategico che operativo, ha rappresentato una modalità nuova con rife- 1001 rimento alla metodologia di lavoro che integra metodi e saperi diversi nella costruzione di senso e nella narrazione della Casa della Salute. Con queste premesse, l’implementazione di un sistema di valutazione delle performance e dell’efficacia, basato sulla produzione di indicatori che riescano a valutare aspetti considerati, in larga misura, intangibili, come la comunicazione intesa come awareness, l’empowerment, l’engagement e la capacità di ascolto, sarà di primaria importanza, nell’immediato futuro, con l’obiettivo di rafforzare e migliorare la percezione del brand “Casa della Salute” che si realizza e si concretizza come innovazione sostanziale per la comunità. Bibliografia e sitografia Ambrosini M. Sociologia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna 2005. Bauman Z. La società dell’incertezza. Il Mulino, Bologna 1999. Bobbio L. (a cura di). A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 2004. Campegiani N. http://www.popupmag.it/come-creare-unbuon-digital-storytelling-nel-settore-medico/. (2016). Cervia S. 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Agenzia Sanitaria e sociale regionale dell’Emilia-Romagna. 2015. Palumbo M, Torrigiani C (a cura di). La partecipazione fra ricerca e valutazione. Franco Angeli, Milano 2009. Palumbo M. Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare. Franco Angeli, Milano 2001. 1002 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Il nuovo sistema di welfare in Lombardia Cristina Sarchi Direttore generale RSA Villa dei Cedri Merate Abstract Il nuovo sistema di welfare lombardo raccoglie in sé importanti innovazioni sia sul fronte legislativo sia sul fronte organizzativo. Il testo ripercorre le tappe normative fondanti il nuovo modello e approfondisce i dettami della recente Legge regionale lombarda 23/2015 che si pone come obiettivo prioritario l’integrazione del sistema sanitario con quello socio-assistenziale. La cosiddetta integrazione Ospedale-territorio dovrà assicurare al cittadino una presa in carico globale dei bisogni di salute e benessere. La nuova forma organizzativa identificata nei Presidi sociosanitari territoriali offre la possibilità a tutti gli attori istituzionali e privati di sperimentare nuove forme di collaborazione interprofessionale per superare la frammentazione dei servizi e della presa in carico. Il nuovo sistema di welfare lombardo, consolidato nei suoi tratti peculiari con l’introduzione della Legge regionale (LR) 23/2015, e già delineato nei principi ispiratori dalla LR 31/1997, cerca di portare a compimento un modello capace di creare integrazione tra il sistema sanitario e il sistema socio-assistenziale. Entrambi i sistemi sono tradizionalmente caratterizzati per una forte differenziazione sia del quadro legislativo di riferimento sia per le modalità organizzative adottate. Il sistema sanitario è fondato sul principio “autorizzativo” – secondo il quale per rispondere ai bisogni sanitari serve un atto di autorizzazione della Pubblica Amministrazione (art. 32 della Costituzione italiana) – mentre il sistema socio-assistenziale, da sempre meno normato, si fonda sul principio di “libertà” (art. 38 della Costituzione italiana) riconoscendo ai soggetti erogatori la libertà di organizzarsi per l’agire sociale. Questi due ambiti (sanitario e socio-assistenziale) di fatto rappresentano una unica area di bisogno indifferenziato per l’individuo, che fatica a distinguere tra ciò che viene definito come bisogno strettamente sanitario e ciò che afferisce alla sfera sociale e assistenziale. Di conseguenza, per realizzare una reale integrazione tra i due sistemi anche la legislazione regionale e nazionale stanno evolvendo verso una normazione dei due ambiti più coerente e integrata. La necessità di non creare soluzione di continuità nella presa in carico dei bisogni di salute e benessere dei cittadini, rappresenta una rinnovata sfida del SSN che permea sia i recenti atti legislativi regionali sia le direttive nazionali (si veda il Patto per la Salute e il Piano per la cronicità 2016 oltre ai nuovi LEA e alle Linee guida per i LEA sociosanitari). In effetti non è poi così vero che le peculiarità del “modello di welfare lombardo” si differenziano profondamente dalle linee evolutive indicate a livello di governo centrale, anzi a una attenta rilettura degli atti legislativi di questi ultimi anni, emerge una sostanziale convergenza sui principi di fondo che sanciscono l’importanza di offrire al cittadino una presa in carico globale e integrata dei bisogni di salute e benessere, lasciando spazi di autonomia più ampi sul fronte delle forme organizzative da adottare. Considerando l’andamento demografico ed epidemiologico della società sempre più caratterizzata da popolazione anziana in condizioni di cronicità e fragilità, aumento dei nuclei mono familiari, ridotte risorse economiche a disposizione dei cittadini, emerge un quadro di progressivo aumento dei bisogni in area sociale e assistenziale fortemente integrati con gli aspetti sanitari (Mallarini, Rappini e Vercellino 2015). In passato il cosiddetto “Modello sanitario lombardo”, ha puntato sulla ricerca dell’eccellenza in ambito ospedaliero, raggiungendo elevati livelli di servizio sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, rappresentando un punto di riferimento per le cure ospedaliere anche per i residenti di altre Regioni d’Italia. A corollario e a supporto delle cure ospedaliere post acuzie, ha sempre operato in Lombardia il sistema degli attori N. 211 - 2016 territoriali, che hanno offerto servizi socio-assistenziali domiciliari e residenziali, con percorsi di presa in carico autonomi e per ora scarsamente integrati con l’Ospedale. La sfida di rinnovamento introdotta già con la LR 33/2009 e con la successiva LR 23/2015, riporta al centro del sistema di welfare il settore sociale e il socio-assistenziale che dovranno necessariamente evolvere come soggetti integrati nel percorso di cura non più di carattere prettamente sanitario. Così l’auspicata integrazione Ospedaleterritorio dovrà concretizzarsi nell’adozione di percorsi di cura che vedranno l’alternanza virtuosa di differenti professionalità, specializzazioni, ruoli, competenze, andando a rompere i consolidati confini che fino ad ora hanno caratterizzato il mondo delle professioni mediche, paramediche, assistenziali e sociali. Differenti saranno gli attori istituzionali pubblici e privati che dovranno costruire una rete integrata di servizi che ponga al centro le esigenze del paziente. L’azione di governo della Regione Lombardia tramite le sue Agenzie di tutela della salute (ATS) sarà sempre più orientata a svolgere il ruolo di ente “programmatore e regolatore” di un sistema complesso di attori che fino ad ora hanno lavorato prevalentemente secondo processi verticali di specializzazione con scarsa integrazione orizzontale. Esprimere capacità di governo significa dunque essere in grado di orientare verso obiettivi comuni e condivisi, attori pubblici e privati molteplici, con interessi non sempre convergenti, che andranno attivati sempre più dal “basso” con modalità inclusive secondo il principio di sussidiarietà che caratterizza il nostro sistema di welfare. Dato il quadro legislativo di riferimento e gli obiettivi da raggiungere, la sfida del rinnovamento si sposta sul livello della ricerca e sperimentazione di nuovi modelli organizzativi da adottare per facilitare il lavoro in rete degli erogatori. Ecco dunque che, in coerenza con quanto già previsto dal Patto per la Salute, con i cosiddetti Presidi territoriali, nella LR 23/2015 (art. 7 comma 16 e comma 17) vengono introdotte nuove modalità organizzative di riferimento con lo scopo di integrare le attività e le prestazioni di carattere sanitario, sociosanitario e sociale che concorrono alla presa in carico della persona cronica e fragile. I Presidi sociosanitari territoriali (PreSST) vengono identificati come il luogo organizzativo (fisico e non) ove si: erogano prestazioni sanitarie e sociosanitarie ambulatoriali e domiciliari a media e bassa intensità; possono attivare degenze intermedie, subacute, post acute e riabilitative, a bassa intensità prestazionale ed in funzione delle particolarità territoriali, secondo la programmazione dell’ATS territorialmente competente; Le Case della Salute 1003 promuovono percorsi di sanità d’iniziativa, di prevenzione e di educazione sanitaria. Sempre all’art. 7 comma 14 della LR 23/2015 si cita “Tali Presidi possono essere preferibilmente organizzati in collegamento funzionale con le Unità complesse di cura primarie, garantendo il coordinamento con l’attività degli specialisti ambulatoriali [...] Tali Presidi devono essere ben identificabili dal cittadino e costituiti all’interno di strutture, quali Presidi ospedalieri, poliambulatori, strutture territoriali e Unità d’offerta sociosanitarie, collegate in via informatica con l’Azienda di appartenenza e dotate di strumentazioni di base, che costituiscono sedi privilegiate per l’esercizio della medicina di iniziativa nei confronti delle cronicità e delle fragilità, e concorrono a garantire la continuità delle cure” . Attualmente il sistema di welfare lombardo è caratterizzato da una pluralità di attori, strutture e punti di accesso nel quale il paziente si muove tra i punti della rete per fare integrazione e costruire il “suo” percorso di cura. Il ripensamento dei setting del sistema di offerta e la ridefinizione dei modelli di presa in carico caratterizzati da continuità assistenziale secondo logiche orizzontali di process management, saranno finalizzati a governare e rendere fluidi gli spostamenti del paziente tra cure primarie, secondarie e terziarie. Il PreSST si configura pertanto come uno strumento di politiche socio-sanitarieassistenziali integrate che dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi: • migliorare l’esperienza individuale di cura; • assicurare continuità e appropriatezza delle cure; • promuovere l’integrazione tra Ospedale-territorio; • prevenire le riacutizzazioni (riduzione dei ricoveri ospedalieri); • contribuire alla sostenibilità economica del complessivo sistema di welfare con la riduzione delle prestazioni improprie. Il Presidi sociosanitari territoriali (PreSSt) si configura come il luogo della integrazione (complessa, multidisciplinare, multidimensionale e policentrica), è una modalità organizzativa e va inteso come uno strumento di connessione che deve collegare punti di offerta differenti, deve essere pensato in ottica flessibile e di adattabilità alle diverse esigenze dei territori. È utile per: • il superamento di un modello di assistenza a “compartimenti stagni” fondato sul concetto delle singole prestazioni che spetta al paziente “integrare” in un percorso; • il passaggio da un approccio specialistico tradiziona- 1004 Le Case della Salute N. 211 - 2016 le che mette al centro la malattia (disease oriented) a un approccio focalizzato sulla persona e sulla valutazione e gestione globale e multidisciplinare dei suoi problemi (person oriented); • favorire una visione “sistemica” dell’assistenza, fondamentale nelle patologie croniche, considerando tutti gli attori e le tappe del processo di cura; • costruire una rete funzionale integrata con forte valorizzazione della responsabilità e dell’autonomia professionale di tutti gli operatori. L’integrazione professionale serve essenzialmente a far confluire i saperi e le competenze detenute da persone diverse e in luoghi differenti. Le relazioni di interdipendenza tra strutture di offerta e le attività da erogare per la presa in carico unitaria, possono essere facilitate e sostenute anche da strumenti di lavoro gestionali condivisi quali la valutazione multidimensionale integrata del bisogno (VMI), i piani assistenziali individuali (PAI), i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA). Con queste strumentazioni si cerca di superare la logica verticale dei processi erogativi basati sulle singole prestazioni, rendendo routinari e stabili i collegamenti tra i diversi punti e soggetti della rete d’offerta. L’integrazione professionale in ambito clinico e socio-assistenziale rappresenta una variabile fondamentale rispetto all’implementazione di soluzioni collaborative di presa in carico e può assumere diverse gradazioni in un continuum che va da forme poco formalizzate a soluzioni più strutturate e formali. Anche la scelta delle soluzioni di integrazione con condivisione fisica di spazi o solo di processi lascia la porta aperta a molteplici possibilità realizzative. Come si vede Figura d’integrazione organizzativa. Figura11Le - Lelogiche logiche d'integrazione organizzativa Alto Livello di integrazione organizzativa (a livello strutturale) Provider/Struttura con coordinamento interno alto Provider/Struttura multi servizio con coordinazione interna bassa Rete di Provider/Strutture Rete di Provider/strutture organizzate e coordinate Basso Debole Livello di coordinamento nella erogazione del servizio (es: regole, processi, procedure, sistemi informativi) Fonte: Adattata da Curry e Ham (2010) Forte nello schema sottostante (figura 1) il PreSSt potrebbe assumere diverse “configurazioni” a seconda delle esigenze peculiari del territorio e dei suoi attori. Certo che la sola condivisione di spazi fisici non assicura il livello adeguato di integrazione professionale e di processi che stanno alla base della presa in carico unitaria del paziente, è necessario agire anche sul fronte della messa in comune delle modalità di lavoro, delle prassi operative, dei metodi e degli strumenti, per raggiungere un adeguato livello di coerenza nella erogazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali. I PreSST nell’ATS Brianza: stato di avanzamento dei lavori L’azione di governo della ATS della Brianza, neo costituita ad inizio 2016, già dalle fasi iniziali di attività si è caratterizzata per una forte tensione al coinvolgimento attivo dei soggetti rappresentativi del territorio, introducendo nuove modalità di lavoro condiviso. A giugno 2016 è stato siglato un innovativo “Accordo territoriale per un welfare partecipato” a cui hanno aderito tutti i principali stakeholder istituzionali pubblici e privati. L’accordo territoriale poneva le basi per il successivo lavoro di forte coinvolgimento dei soggetti erogatori che ha permesso di avviare il primo progetto di PreSST sul territorio montano della Valsassina. E’ importante sottolineare alcuni contenuti dell’accordo che ben individuano lo “spirito” che sta permeando l’azione di governo della ATS della Brianza. “… Il presente Accordo è un patto condiviso e aperto a tutti i soggetti che operano per il benessere della popolazione del territorio, per dare le risposte che solo agendo in rete, in maniera coordinata, integrando le filiere del sociale, del sociosanitario e del sanitario, si possono offrire alla comunità. Tale patto assume le complessità attuali della risposta ai bisogni di salute, chiamando alla condivisione e alla responsabilità sociale e pubblica tutti gli attori che concorrono alla definizione del welfare. L’Accordo vuole dare continuità e rilanciare lo spirito con il quale nel territorio dell’ATS della Brianza si sono sviluppate, negli anni, importanti intese locali e azioni per lo sviluppo del welfare, politiche sociali per il lavoro, la casa e la salute [...] In particolare l’impegno di tutti sarà rivolto a realizzare in via prioritaria i seguenti obiettivi: migliorare l’informazione e l’accesso ai servizi sul territorio; garantire la continuità assistenziale, soprattutto quando il percorso di assistenza prevede il passaggio da un soggetto ad un altro della rete dei servizi; promuovere la cultura della prevenzione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, dei corretti stili di vita e della salute della persona e N. 211 - 2016 dell’ambiente ...”. La prima ricaduta concreta di questo accordo tra soggetti è stato lo start up del primo PreSST concretizzatasi con la firma del Documento di intesa tra ATS della Brianza, ASST di Lecco, Consiglio di rappresentanza dei sindaci dell’ambito di Bellano, Comunità montana, Federfarma Lecco, i medici di medicina generale della Valsassina, del 3 novembre 2016. Prima di analizzare le caratteristiche del PreSST della Valsassina è utile soffermarsi sulle condizioni socio-demografiche che caratterizzano questo territorio in Provincia di Lecco che vede la presenza di circa 19.310 abitanti sparsi su 17 piccoli Comuni. Si tratta di una porzione di area montana con bassa densità di popolazione, scarsa urbanizzazione, condizioni di viabilità difficili che spesso rendono problematico l’accesso ai servizi di welfare. Il tessuto sociale è caratterizzato da una popolazione mediamente più anziana rispetto al dato medio delle Province lombarde, da una presenza consistente di nuclei familiari composti da persone anziane sole ed emerge una domanda di servizi sociosanitari in forte aumento. Nella fascia d’età sopra i 65 anni il trend di famiglie composte da una sola persona è significativo tanto che da una ricerca svolta nel Comune di Lecco anno 2013, emerge che il 30% degli anziani over65 vive solo e la percentuale si alza a oltre il 50% negli over85. Le condizioni sociodemografiche rilevate comportano elevate condizioni di fragilità della popolazione che si ripercuotono su alti tassi di ospedalizzazione superiori alla media regionale. Condizioni facilitanti l’avvio del PreSST della Valsassina Già in passato su questo territorio si erano sviluppate efficaci forme di collaborazione tra MMG con soluzioni organizzative a elevata integrazione e complessità. Si tratta, in particolare, della forma associativa prevista nel progetto regionale del Chronic Related Group (CReG) che, in questa realtà, risultava particolarmente attiva. Inoltre, nello stesso territorio, erano già operanti: un ambulatorio infermieristico sotto la direzione degli MMG che si occupava anche della gestione di alcune terapie per i cronici, il Presidio territoriale della ASST di Lecco che assicurava l’erogazione di prestazioni sanitarie di prossimità quali il front office per il disbrigo di alcune pratiche amministrative, il punto prelievi, il Consultorio familiare, le cure palliative e domiciliari e la possibilità di prenotare prestazioni specialistiche. C’erano dunque già in atto sul territorio alcune iniziative di integrazione dei servizi sanitari, ai quali andavano ne- Le Case della Salute 1005 cessariamente interconnessi anche quelli di natura maggiormente sociale ed assistenziale. L’opportunità offerta dalla Legge 23/15 con l’avvio dei PreSST ha offerto un contenitore legislativo ed organizzativo ad hoc per sperimentare nuove forme di lavoro in rete che ha ben valorizzato le potenzialità del territorio. Caratteristiche del PreSST della Valsassina La firma del Documento d’intesa che istituisce il 3 novembre 2016 nel Comune di Introbio il PreSST della Valsassina (presso i locali del Presidio territoriale della ex ASL di Lecco) nasce dunque dalla collaborazione fattiva di soggetti istituzionali quali ATS della Brianza, MMG del territorio, ASST di Lecco, Federfarma di Lecco, i Consigli di rappresentanza dei sindaci di Lecco e di Monza Brianza e ambito territoriale di Bellano/Comunità montana, tutti impegnati a sviluppare una rete di servizi e soggetti atti a prendere in carico in modo unitario e integrato la popolazione residente caratterizzata da fragilità, cronicità e disabilità. Il progetto alla base del documento d’intesa, ribadisce l’obiettivo di voler costruire una “rete della cronicità” come elemento costitutivo e fondante, che garantisca interventi efficaci valorizzando il più possibile tutti gli attori della rete d’offerta esistente. Da oltre 10 anni nel territorio della Valsassina, le aggregazioni dei MMG si sono distinte per una cultura orientata alla collaborazione interprofessionale che rappresenta l’humus fondamentale per la costruzione di nuove sperimentazioni quali quelle proposte dalla Legge 23/15. Il PReSST che ne deriva, si propone come il soggetto coordinatore, che tramite tali aggregazioni, lavorerà in un’ottica di semplificazione per il paziente e di sostenibilità generale del sistema. Il modello proposto dal gruppo aggregato di MMG, è centrato sulla elaborazione del PAI (previa valutazione multidimensionale), con l’identificazione di sistemi di relazione e funzionamento della rete che unisca tutti gli altri attori, a partire dai Comuni sino agli erogatori delle prestazioni di secondo livello e alle RSA. Il PReSST dovrà quindi attivare una rete di relazioni (formalizzate e strutturate) che collochi l’assistito al centro del sistema socio-sanitario-assistenziale. Questo significa che il paziente potrà avere accesso alla rete dei servizi offerti, accedendo da qualsiasi parte della rete stessa, potendo usufruire di un pacchetto di prestazioni (socio-sanitarie-assistenziali) personalizzato e di una modalità di accompagnamento che costituisce l’essenza di un sistema centrato sulla persona. Dall’Atto di intesa del 3-11-2016 si riconoscono quali 1006 Le Case della Salute obiettivi concreti del PreSST: • assicurare per ogni paziente una adeguata valutazione dei bisogni anche attraverso gli strumenti della valutazione multidimensionale, l’orientamento della domanda e se necessaria, la definizione di un Piano di assistenza individualizzato (PAI) che tenga conto di tutte le aree di bisogno, sia sanitario che sociale; • gestire il follow-up delle patologie croniche anche attraverso il ricorso alla telemedicina; • costituire un unico punto di accesso al sistema di governo del paziente con particolare attenzione al soggetto cronico/fragile; • realizzare la piena integrazione dell’area sanitaria, sociosanitaria con l’area sociale di competenza dei Comuni; • assicurare dei sistemi di contatto (es. call center) tra i soggetti deputati alla presa in carico ed il paziente cronico/fragile. Il target di riferimento individuato dagli estensori del progetto PReSST della Valsassina è: l’orientamento della globalità dei pazienti residenti sul territorio; lo svolgimento di attività di presa in carico nei confronti dei pazienti definiti cronici e fragili. Attori e Servizi operanti sul territorio Al momento della firma dell’Atto d’intesa sono presenti 7 medici di medicina generale, che tra breve diventeranno 8, organizzati in una forma associativa mista (medicina di gruppo e rete) con una sede di riferimento ubicata nella struttura edilizia dell’ex Distretto ASL di Introbio. I medici associati hanno in carico ad oggi circa 10.500 assistiti che saliranno a 12.000 con il nuovo medico; sul territorio sono inoltre presenti altri 4 MMG e 3 PLS (uno presente nell’ex presidio distrettuale). Nella medesima N. 211 - 2016 struttura distrettuale esiste lo sportello della ATS, un Poliambulatorio ASST con un centro prelievi, attività di medicina specialistica (oculistica, medicina di igiene, psichiatria del centro psicosociale e consultorio ginecologico) e il front office. Sono presenti sul territorio 4 RSA (a Premana, Vendrogno, Introbio e Barzio), una struttura residenziale (a Introbio) e un centro diurno (a Primaluna) dedicate ai disabili, un’associazione di volontari del soccorso (Soccorso centro Valsassina) e, infine, 2 strutture fisioterapiche a Introbio. Queste sono le risorse afferenti all’ambito sanitario- assistenziale e in parte al terzo settore, a cui vanno aggiunte le risorse in capo ai Comuni in ambito sociale. Tutte queste risorse, ed altre eventualmente identificate, entreranno con modalità e tempi da definire a far parte della rete d’offerta di cui potranno godere gli abitanti del territorio della Valsassina attraverso il coordinamento e il governo dei servizi effettuato dal nuovo PreSST. Le tappe di attuazione del progetto PreSST prevedono che tutti i soggetti coinvolti dal documento d’intesa si impegnino per la messa a punto dei meccanismi operativi necessari per realizzare entro e non oltre il primo trimestre 2017 la stabilizzazione e la sistematizzazione dei servizi erogativi. In particolare per facilitare un efficace sistema di relazione tra le diverse parti coinvolte, viene istituito un Comitato composto dai firmatari dell’accordo che ha il compito di monitorare la corretta messa in atto degli impegni assunti e della implementazione progressiva delle attività previste. Bibliografia Natasha C, Chris H. Clinical and service integration. The route to improved outcomes. The King’s Fund, London 2019. Mallarini E, Rappini V, Vercellino L. Over65 non autosufficienti: la domanda in Del Vecchio M, Mallarini E, Rappini V (a cura di) Rapporto OCPS 2015, Egea. 2015:152-83. Le Case della Salute N. 211 - 2016 1007 La riconversione in Presidio territoriale Chiara Serpieri1, Sara Marchisio2 Direttore generale, ASL VC di Vercelli Dirigente medico responsabile, struttura semplice qualità 1 2 Abstract La Casa della Salute di Varallo è un presidio fisico dell’Azienda sanitaria VC di Vercelli collocato nella parte montana a nord del territorio aziendale e con un bacino di utenza di circa 10.000 abitanti. Già sede di attività ospedaliera, poi riconvertita in Presidio territoriale a seguito della concentrazione delle attività di ricovero nel vicino Ospedale di Borgosesia, oggi è sede di articolazione organizzata di servizi all’interno del Distretto. La revisione organizzativa in atto da un lato ne conferma il ruolo di erogazione di servizi di prossimità, dall’altro ne rivede alcuni contenuti oggi non adeguati rispetto alla necessità di garantire standard di cura e di assistenza uniformi con livelli di efficienza sostenibili. L’ASL VC, situata nel Piemonte Nord Orientale, si estende su un territorio di 2.038 Km2, in gran parte coincidente con quello della Provincia di Vercelli. Complessivamente è costituita da 91 Comuni, di cui 7 della Provincia di Biella e 4 della Provincia di Novara, mentre 6 Comuni della Provincia di Vercelli appartengono ad altre 2 ASL. La popolazione residente nella ASL di Vercelli è inferiore di 2.892 unità rispetto a quella della Provincia. Al 31.12.2015 sul territorio dell’ASL VC si rilevano 172.012 residenti, pari al 3,91% della popolazione piemontese 1. L’atto aziendale di recente adozione individua un unico Distretto sanitario in cui sono evidenziabili 2 aree territoriali con caratteristiche geografiche diverse: l’area a sud pianeggiante, il Vercellese, con 44 Comuni fra cui Vercelli, il centro urbano di maggiori dimensioni e in totale una popolazione di 102.030 abitanti; l’area montana a nord, la Valsesia, con 47 Comuni e una popolazione pari a 69.982 abitanti 2. Il 21% dei Comuni registra una popolazione compresa fra 500 e 1000 residenti e ben il 45% dei Comuni registra una popolazione inferiore ai 500 residenti. Solo 2 Comuni superano i 10.000 residenti. Tale caratteristica contribuisce a determinare una densità di abitanti (83 abitanti/km2) nettamente inferiore a quella rilevata per la Regione Piemonte (174 abitanti/km2). A Vercelli e a Borgosesia sono localizzati un Ospedale di I livello (Ospedale S. Andrea di Vercelli, 243 posti letto) e un Ospedale di base (Ospedale SS. Pietro e Paolo di Borgosesia, 90 posti letto). Sul territorio aziendale sono inoltre attivi due Presidi sanitari polifunzionali (Santhià e Gattinara) e una Casa della Salute (Varallo Sesia) derivanti da precedenti riconversioni di attività ospedaliera. La popolazione dell’ASL VC è fortemente caratterizzata da un progressivo invecchiamento, superiore a quello regionale. La popolazione dell’ASL VC è infatti composta per un quarto da anziani (>65 anni) e risulta fortemente caratterizzata da un progressivo invecchiamento, anch’esso superiore a quello regionale. L’indice di vecchiaia, indicatore che descrive il peso della popolazione anziana in una popolazione, nella ASL di Vercelli è risultato pari a 230,66% rispetto al 193,67% della Regione Piemonte, mentre l’indice di invecchiamento della ASL è risultato pari a 26,73% rispetto a 24,78% della Regione. Tali caratteristiche demografiche della popolazione, sommate alla naturale conformazione del territorio montano, rendono il quadro dell’offerta di servizi sanitari e sociosanitari integrati particolarmente complesso in termini di accessibilità e tipologia dei servizi, considerata la prevalenza di patologie ad andamento cronico in quelle fasce di età della popolazione. 1008 Le Case della Salute N. 211 - 2016 La struttura La Casa della Salute di Varallo è una struttura posta nel centro del Comune di Varallo Sesia. Essa nasce come presidio ospedaliero dell’Alta Valsesia, zona montana rinomata per la bellezza delle sue aspre valli e per la estensione e numerosità delle stesse. La viabilità è difficile e disagiata, rendendo l’area meta di un turismo da amatori. La popolazione è dispersa in piccoli Comuni poco serviti di cui Varallo è centro naturale di riferimento. La caratteristica del territorio produce soprattutto isolamento e comunque difficoltà nelle relazioni, negli spostamenti, nell’accesso ai servizi. In origine, quindi, il Presidio ospedaliero copriva un bisogno di assistenza e presa un carico ancora concentrato sul ricovero. La sede, articolata su numerosi piani e tre volumi di edifici, è strutturalmente in ottime condizioni, ancorché sottoposta a periodici interventi di manutenzione anche in relazione alla necessità di adeguamento alle nuove funzioni di volta in volta inserite. Le aree precedentemente adibite a degenza ospedaliera sono state dismesse, e le attività sono state concentrate nel corpo centrale della struttura. La Casa delle Salute in quanto tale è stata istituita con un progetto sperimentale coerente con il modello organizzativo delineato dalla Regione Piemonte nel 2009 3. Nella sostanza, nonostante l’evoluzione normativa riguardante i Presidi territoriali e le cure primarie, essa è rimasta una sede funzionale nel soddisfare i bisogni di salute del territorio 4 5. Ad oggi si presenta caratterizzata dalla concentrazione in una sede unica di operatori sanitari e sociali che garantiscono le seguenti attività: • sportello amministrativo per la prenotazione delle prestazioni sanitarie ambulatoriali e socio sanitarie integrate, la gestione amministrativa della anagrafica de- gli assistiti, l’accettazione e il supporto alle prestazioni erogate nella sede; • assistenza sanitaria infermieristica ambulatoriale (prestazioni infermieristiche di base); • Centro prelievi; • Centrale delle cure domiciliari; • sede di attività vaccinali; • ambulatorio di medicina legale; • Consultorio familiare; • prestazioni di fisioterapia e di logopedia; • ambulatori specialistici di chirurgia, dermatologia, diagnostica ecografica, neurologia, odontoiatria, otorinolaringoiatria, pneumologia, urologia, diabetologia, neuropsichiatria infantile; • presenza di medici di medicina generale con articolazione di medicina di gruppo • Country Hospital (10 Posti letto); • postazione di continuità assistenziale (ex Guardia medica); • postazione del Servizio di emergenza territoriale (SET) 118. In tabella 1 è riportato un estratto dell’attività più significativa riguardante il Country Hospital. La revisione organizzativa in atto Le attività ambulatoriali erogate presso la Casa della Salute, al pari di quelle erogate sull’intero territorio aziendale, dal 2015 sono state oggetto del riordino dell’offerta sanitaria territoriale descritto nel Programma delle attività territoriali distrettuali (PAT) 6. In tale ambito l’Azienda ha effettuato un lavoro di classificazione delle sedi di erogazione delle prestazioni ambulatoriali. A tale scopo, è stato progettato un percorso di razionalizzazione della rete aziendale basato su criteri espliciti Tabella 1. Dati di attività del Country Hospital anno N° giornate Tasso occupazione Totale ricoveri Continuità assistenziale da ospedale Dal domicilio 2013 3.076 84,27% 157 92 (58,6%) 65 (41,4%) 2014 3.254 89,15% 166 112 (67,5) * 54 (32,5%) 2015 3.250 89,04% 172 107 (62%)** 65 (38%) -4% -0,11% + 3,6% - 4,5% + 20,4% Incremento 2015 verso 2014 in % *di cui n. 93 dai PP.OO. Asl VC, n. 9 da altri PP.OO ** di cui n. 98 dai PP.OO. Asl VC, n. 9 da altri PP.OO N. 211 - 2016 e condivisi con gli stakeholder che ha previsto le seguenti fasi di realizzazione: • caratterizzazione dell’offerta aziendale e della domanda dei residenti nella fase precedente alla riorganizzazione attraverso indicatori proxy di efficienza, di accessibilità e di bisogno di salute. Ciò ha consentito di evidenziare lo stato dell’arte e di condividere le priorità di riorganizzazione con gli stakeholder (personale, Comuni, associazioni di volontariato); • individuazione di standard di livello di erogazione a complessità crescente per classificare le sedi ambulatoriali aziendali e semplificare l’approccio alla riorganizzazione; • ridisegno dell’organizzazione aziendale allocando le risorse in coerenza con gli standard di livello predefiniti per massimizzare l’efficienza della rete; • avvio della riorganizzazione della rete ambulatoriale aziendale. La riorganizzazione, che sarà completamente a regime entro il 2017, prevede una classificazione dei punti di erogazione basata su 3 livelli a complessità crescente applicando una logica analoga a quella utilizzata per classificare i Presidi ospedalieri 7: • punti di erogazione di base, per l’erogazione di prestazioni prevalentemente monospecialistiche e monodisciplinari a bassa complessità (visite specialistiche che richiedono un contesto tecnologicamente ed organizzativamente poco articolato); • punti di erogazione di I livello, per l’erogazione di prestazioni specialistiche di base, di prestazioni richiedenti una maggior dotazione tecnologica (es. radiografia del torace), di prestazioni di assistenza primaria e con la possibilità di erogare “pacchetti di prestazioni” a completamento della visita iniziale; • punti di erogazione di II livello, localizzati nei Presidi ospedalieri dove sono concentrate le alte specialità e le tecnologie ad alto costo. Sulla base del modello sopra descritto sono stati individuati 7 punti di erogazione aziendali di prestazioni specialistiche, a fronte dei 12 punti di erogazione precedentemente esistenti. Per quanto riguarda la localizzazione sul territorio dei punti di erogazione di diverso livello, la scelta è risultata naturale per le sedi di II livello (n. 2 punti di erogazione localizzati nell’Ospedale di Vercelli/Piastra ambulatoriale e nell’Ospedale di Borgosesia) e per le sedi di I livello (n. 3 punti di erogazione localizzati nei Presidi sanitari polifunzionali di Santhià di Gattinara e nella Casa della Salute di Varallo). Le Case della Salute 1009 La Casa della Salute è stata collocata al livello di complessità intermedia delle prestazioni, condividendo con la sede di Gattinara le caratteristiche di complessità e di integrazione che presuppongono la istituzione di una Unità complessa di cure primarie (UCCP) come definita dalla recente normativa nazionale e regionale 5 6. Ciò ha significato l’ampliamento delle tipologia di prestazioni erogabili per quanto concerne le discipline specialistiche ambulatoriali. Come per tutte le altre sedi preesistenti, l’Azienda ha riconfermato in sede la effettuazione delle prestazioni infermieristiche di base e del Centro prelievi, in ragione del fatto che a fronte di costi molto limitati vengono garantiti una capillarità ed un comfort nei confronti dei pazienti molto elevati. Contestualmente è stato effettuato un potenziamento delle attività di assistenza domiciliare, tramite ampliamento degli standard di servizio sia in termini di orario che di numero di operatori disponibili. Relativamente all’attività residenziale, prima della riorganizzazione il Country Hospital accoglieva per lo più pazienti provenienti dal territorio, per i quali il medico di medicina generale referente poneva le indicazioni ad una osservazione medica prolungata ed una assistenza infermieristica di base. Solo in parte, il Country Hospital serviva il post ricovero di pazienti provenienti dall’Ospedale di Borgosesia, raramente per pazienti residenti a sud del Presidio ospedaliero borgosesiano. Inoltre in un numero non irrilevante di casi era necessario gestire una pluralità di trasferimenti interni tra il Presidio ospedaliero e la Casa della Salute in relazione alle condizioni di salute dei pazienti. La rilettura dei bisogni assistenziali di continuità delle cure, in particolare con riferimento alla fase di post ricovero, ha suggerito la ricollocazione dei posti letto presenti nella Casa della Salute all’interno del Presidio ospedaliero di Borgosesia, con contestuale ridefinizione del livello di complessità in continuità assistenziale a Valenza Sanitaria (CAVS). Infatti, una delle prime azioni intraprese è consistita nella rivalutazione del bisogno sanitario dei pazienti in carico ai servizi ospedalieri e territoriali aziendali rispetto ai criteri di indicazione all’assistenza erogata in regime di CAVS 8 9. È stato necessario rivalutare la più opportuna allocazione dei 40 posti letto CAVS assegnati all’ASL VC dal livello regionale e successivamente avviarne la completa messa a regime 10. Al momento in cui si scrive, analizzato il bisogno di salute e il contesto locale è stato ritenuto opportuno per il miglior percorso dei pazienti ed economicamente più efficiente andare a regime mantenendo un servizio a gestione di- 1010 Le Case della Salute retta ed attivare i posti letto CAVS possibili all’interno dei due Presidi ospedalieri di Vercelli e di Borgosesia. Nelle more della realizzazione di quanto sopra, sono state attribuite al Country Hospital di Varallo le funzioni di CAVS per i casi di moderata intensità clinico-assistenziale. La struttura ha contestualmente assunto la nuova denominazione di “CAVS della Valsesia”. Entro la fine del 2016 questi posti letto saranno definitivamente riallocati nel Presidio di Borgosesia. Tali cambiamenti nell’offerta di servizi sono stati possibili solo con un paziente lavoro di confronto in cui la iniziale naturale diffidenza è stata per lo più superata in favore di un sempre maggiore grado di coinvolgimento e il conseguimento di un miglior clima di fiducia di operatori e stakeholder. Preziosi sono stati in particolare i contributi delle Associazioni che collaborano con serietà ed impegno nell’unico interesse dei pazienti. Altrettanto prezioso il ruolo dei rappresentanti delle istituzioni che per lo più hanno accettato di essere coinvolti personalmente o per mezzo dei propri collaboratori su temi difficili da comprendere per i non addetti ai lavori e ancora più difficili da comunicare e far comprendere ai propri cittadini. Non può infatti non riconoscersi il ruolo di questo Presidio come un “baluardo” della presenza e della attenzione delle istituzioni circa quello che viene considerato il bene più prezioso. Per quanto riguarda la gestione della presa in carico del paziente con bisogni sociosanitari la Casa della Salute è stata identificata come uno degli 11 punti di accesso aziendali dello Sportello unico sociosanitario (SUSS) 11. Il SUSS è rivolto principalmente ai cittadini residenti che vertono in condizioni di fragilità ed è stato implementato con l’obiettivo di fornire la prima interfaccia, unica e integrata, tra il paziente fragile e i servizi sociosanitari e sociali erogati dall’ASL e dagli Enti gestori. Lo SUSS rappresenta, cioè, una porta unitaria di accesso all’articolato sistema dei servizi sociosanitari dedicato prioritariamente a quei soggetti che vertono in condizioni di non autosufficienza e alle loro famiglie (anziani non autosufficienti, minori e adulti affetti da patologie invalidanti che determinano notevoli limitazioni della loro autonomia). L’implementazione e il potenziamento dell’integrazione tra i servizi sociali e sanitari del territorio, anche attraverso una postazione di SUSS localizzata nella Casa della Salute, sono stati necessari per superare le criticità legate alla dispersione geografica del territorio, le difficoltà di accesso ai servizi, l’incremento delle situazioni ad alta complessità sociosanitaria e alla frammentazione amministrativa. N. 211 - 2016 Da ultimo, il percorso di revisione delle postazioni di continuità assistenziale ha confermato la presenza di questo servizio all’interno del Presidio, e ne ha assegnato le competenze gestionali alla Azienda sanitaria di area sovrazonale capofila. Analogamente la rete del 118, nel frattempo riorganizzata su base regionale ed assegnata alla gestione del vicino Ospedale hub, ha confermato in loco la postazione preesistente. Conclusioni L’esperienza fin qui esposta evidenzia come la Casa della Salute abbia, nel tempo, visto una evoluzione dei servizi erogati, alla luce del mutamento dei bisogni di salute e anche in relazione alla evoluzione delle modalità di definizione dell’offerta sanitaria, oggi sempre più volti a garantire in modo sistemico la mission istituzionale di tutela della salute con garanzia dell’equità distributiva dei servizi e della uniformità della qualità delle prestazioni, con contestuale rispetto di vincoli esterni di sostenibilità. Nel contempo, nella visione delle istituzioni locali, la Casa della Salute, considerata le caratteristiche anagrafiche e socio-culturali della popolazione servita, conserva la sua funzione di riferimento e testimonianza di attenzione e presenza fisica dei servizi sanitari, pur accompagnandosi con lo sviluppo e la implementazione di servizi “soft” anche di elevato livello tecnologico, quali ad esempio l’accessibilità on line e la refertazione a distanza, ancora poco fruibili per quelle fasce di popolazione. Bibliografia Piemonte STAtistica e B.D.D.E - PISTA all’ultimo aggiornamento disponibile del 31.12.2015 1 Delibera del Direttore Generale dell’ASL VC n. 817 del 29/10/2015 “Adozione dell’atto aziendale di cui all’art. 3, comma 1 bis, del D.lgs n. 502/1992 e s.m.i. a seguito del recepimento dei rilievi regionali di cui alla D.G.R. n. 43-2297 del 19/10/2015” 2 Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del 17 novembre 2008 n. 57-10097, “Accordo Regionale della Medicina Generale per l’avvio dei Gruppi di Cure Primarie e le Case della Salute, in costituzione nelle ASL piemontesi” e D.G.R. 4 Agosto 2009, n. 105-12026 “Approvazione Accordo Regionale della Medicina Generale per la definizione del “modello organizzativo” di sperimentazione dei Gruppi di Cure Primarie (G.C.P.)/ Case della Salute (C.S.).” 3 Regione Piemonte. Deliberazione del Consiglio Regionale del 3 aprile 2012 n. 167-14087. Piano sociosanitario 2012-2015 4 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Legge 8 novembre 2012, n. 189 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.” 5 Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 29 giugno 2015, n. 26-1653 “Interventi per il riordino della rete territoriale in attuazione del Patto per la Salute 2014/2016 e della D.G.R. n. 1-600 del 19.11.2014 e s.m.i.” 6 Decreto Ministeriale del 2 aprile 2015, n. 70 “Regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera” 7 Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 14 marzo 2013, n. 6-5519 Programmazione sanitaria regionale. Interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese, in applicazione della D.C.R. n. 167-14087 del 03.04.2012 (P.S.S.R. 2012-2015) 8 Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 28 9 1011 gennaio 2011, n. 13-1439 “Criteri di appropriatezza organizzativa, clinico-gestionale per le attività di Recupero e Rieducazione funzionale di 3’, 2’ e 1’ livello e per le attività di lungodegenza e definizione della funzione extraospedaliera di continuità assistenziale a valenza sanitaria.” Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del 7 marzo 2016 n. 30-3016 “Modifiche ed integrazioni alla DGR n. 77-2775 del 29 dicembre 2015 recante “Definizione del fabbisogno della funzione extraospedaliera di continuità assistenziale a valenza sanitaria. Modifica alla DGR n. 6-5519/2013. Modifiche ed integrazioni agli allegati A), B) e C) alla DGR n. 13-2022 del 5 agosto 2015”. 10 Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale del 28 luglio 2008 n. 55-9323 “Definizione delle modalità e dei criteri dell’utilizzo da parte delle A.S.L. e dei Soggetti gestori delle funzioni socio assistenziali, delle risorse assegnate a livello nazionale, al “Fondo per le non autosufficienze” per l’anno 2007 ed attribuite alla Regione Piemonte”. 11 1012 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Un’assistenza territoriale innovativa Massimo Carboni1, Maurizio Rachele2 Dirigente medico Direzione di Distretto 5 ASL di Cagliari Responsabile SC Distretto 5 ASL di Cagliari 1 2 Abstract La Casa della Salute rappresenta una nuova modalità organizzativa dei servizi territoriali per attuare strategie efficaci nel rispondere ai bisogni di salute della persona e della comunità. La riqualificazione dell’assistenza territoriale deve garantire una più veloce e specifica presa in carico del bisogno assistenziale attraverso la collaborazione e l’integrazione fra le diverse figure professionali operanti e le varie istituzioni: Provincia, Comuni, Associazioni di volontariato, erogatori di prestazioni private. Si viene a realizzare un luogo fisico dove l’utente/paziente possa trovare risposta appropriata, efficace ed efficiente alla domanda di salute. Il Piano regionale dei Servizi sanitari 2006-2008 (PRSS) pone come elemento portante della programmazione regionale “la necessità che in tutte le azioni contemplate sia sempre riconoscibile la centralità del paziente” e che lo sviluppo delle attività territoriali “è obiettivo strategico” per “permettere ai cittadini di trovare risposta ai propri bisogni di salute non solo nell’Ospedale, ma soprattutto nel territorio di appartenenza, luogo nel quale si realizza concretamente l’integrazione fra il sistema dei servizi sociali e quello dei servizi sanitari”. La riqualificazione dell’assistenza territoriale (DGR n.32/10, 2008 Programma regionale “Casa della Salute” - Regione Sardegna) (DGR n.1/14, 2015 “Riorganizzazione dell’assistenza territoriale” - Allegato Delibera commissario straordinario ASL Cagliari, n.387 del 27.03.2015), è perseguita attraverso l’integrazione dei processi di cura e la continuità assistenziale tra i diversi centri di offerta, in particolare tra Ospedale e territorio, e lo sviluppo di risposte integrate sociosanitarie, tenendo conto della crescente domanda di assistenza da parte di persone e famiglie con bisogni complessi. Su tali principi la Casa della Salute (CdS) è il modello organizzativo finalizzato a realizzare, sul territorio, l’integrazione dei processi di cura e la continuità assistenziale, per una effettiva affermazione del diritto alla salute. Rappresenta lo strumento di riqualificazione dell’assistenza territoriale da definirsi come una nuova struttura di assistenza sanitaria extra ospedaliera polifunzionale. Nella direzione della riorganizzazione dell’assistenza territoriale con l’istituzione delle CdS, si propone la riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale (Allegato DGR n.53/727.12.2007 - ”Linee operative per la riorganizzazione del Servizio di continuità assistenziale” - Regione Sardegna) già prevista dal Piano regionale dei Servizi sanitari (PRSS) 2006-2008, attraverso un Progetto obiettivo adottato ai sensi dell’articolo 12, comma 2, della legge regionale 28 luglio 2006, n. 10. Tale progetto è diretto a garantire: • appropriatezza, tempestività delle risposte ed equità nell’accesso, operando anche un processo di riallocazione delle sedi presso Presidi sanitari o sociosanitari presenti nei territori di riferimento (Ospedali, poliambulatori, postazioni di soccorso avanzato); • il mantenimento degli attuali livelli occupazionali con l’impiego degli stessi sanitari in altre attività distrettuali; • integrazione professionale con tutti i servizi distrettuali, principio imprescindibile per la realizzazione della Casa della Salute; • l’aggiornamento e la riqualificazione dei medici operanti nel servizio di continuità assistenziale al fine di realizzare la loro integrazione nei punti di soccorso territoriale; • condizioni di massima sicurezza per il personale. La riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale si pone i seguenti obiettivi di sistema: N. 211 - 2016 • riqualificare gli standard di risposta al cittadino; • definire e attuare modelli organizzativi adeguati a ciascuna singola realtà, differenziati anche in ragione dell’offerta complessiva dei servizi nel territorio e in una logica di sistema; • garantire ai cittadini l’erogazione delle prestazioni nel luogo più appropriato; • garantire le condizioni di sicurezza degli operatori, proteggendo le strutture (modelli strutturali) e l’attività del medico (modelli funzionali); • riqualificare professionalmente i medici e gli infermieri attraverso la ricollocazione in contesti operativi più idonei e funzionali; • sviluppare l’informatizzazione del servizio, garantendo il collegamento ai dati sanitari remoti, quando possibile; • potenziare la rete dei servizi in emergenza; • sviluppare modelli innovativi di integrazione professionale avanzata, attraverso l’adozione di forme di integrazione funzionale, nell’ambito delle équipe territoriali, secondo un sistema diffuso di disponibilità domiciliare, o in modo strutturato attraverso la realizzazione delle CdS in ciascun Distretto; • la piena integrazione delle attività di continuità assistenziale nella rete integrata dei servizi distrettuali, con l’attribuzione a ciascun medico, di norma, di almeno 4 ore ulteriori per attività istituzionali non notturne; • razionalizzare i costi di gestione del sistema attuale; • garantire un progressivo adeguamento agli standard di rapporto ottimale previsti dall’Accordo collettivo nazionale e dal Piano regionale dei Servizi sanitari. Il modello di continuità assistenziale che si è proposto di realizzare è quello H24 (Allegato DGR n.53/7 del 27.12.2007 - ”Linee operative per la riorganizzazione del Servizio di continuità assistenziale” - Regione Sardegna, pag 5) funzionale alla realizzazione di un programma di revisione e potenziamento della rete territoriale dell’emergenza-urgenza che preveda risposte adeguate in tempi idonei. La realizzazione del modello H24 presuppone: • la presenza nella struttura della postazione del 118 che garantisce la copertura H24 del servizio nei sette giorni della settimana; • l’erogazione di prestazioni ambulatoriali da parte dei medici di continuità assistenziale, e la garanzia di una immediata attivazione degli stessi per interventi in urgenza; • la presenza di almeno 6 medici a 38 ore settimanali per ciascuna sede ambulatoriale; Le Case della Salute 1013 • l’aggiornamento e la riqualificazione dei medici operanti nella struttura; • l’integrazione con le Centrali operative 118 che dispongono tutte le attività erogate all’esterno della struttura, ivi comprese le visite domiciliari, che rivestono carattere di emergenza-urgenza; • la piena adesione ai piani di intervento e ai protocolli operativi integrati definiti dalle Centrali operative del 118. La CdS (DGR n.32/10 04/06/2008 - Programma regionale “Casa della Salute” - Regione Sardegna) permette di conseguire i seguenti obiettivi strategici (Brambilla A. e Maciocco G, 2016): • centralità del cittadino: i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, la presa in carico, l’orientamento di pazienti e/o familiari all’interno del sistema rappresentano binari obbligati per lo svolgimento dell’intera attività. L’operatività è costruita per rispondere a questi bisogni, e ciò pone le condizioni per cui la centralità del cittadino sia l’asse strategico intorno al quale si struttura tutta la attività, pena la negazione dei bisogni e delle domande per le quali essa nasce; • riconoscibilità e unitarietà: luogo fisico ben definito nel quale si concentrano servizi ed attività frammentati e dispersi nel territorio; • accessibilità: deve essere fisicamente accessibile e organizzata in maniera da garantire la massima disponibilità dei propri servizi ed attività; • integrazione: la CdS è costruita per operare garantendo servizi integrati in rete, tra sanitario e sanitario e tra sociale e sanitario; • semplificazione: concentra e integra i servizi e i percorsi per l’accesso ad essi, privilegiando la semplificazione burocratica; • appropriatezza: privilegiando la presa in carico e i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali promuove e favorisce la appropriatezza delle cure a vantaggio dei cittadini; • efficacia: centralità del cittadino, accessibilità, integrazione, semplificazione, appropriatezza concorrono alla efficacia complessiva delle attività svolte; • punto di riferimento della rete: operare in rete con tutti i servizi e le strutture presenti sul territorio, rende questa realtà il riferimento in relazione alle funzioni svolte e alle attività che si concentrano al suo interno; • autorevolezza e affidabilità: la CdS costruita e realizzata per rispondere a queste esigenze la rende autorevole e affidabile, dove il cittadino può trovare risposte alle sue esigenze che sino ad ora venivano 1014 Le Case della Salute date dall’ospedale. La CdS è una struttura territoriale dove opera il personale del Distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale, ecc.), i medici di medicina generale (MMG), i pediatri di libera scelta (PLS), i medici di continuità assistenziale (MCA), gli specialisti ambulatoriali interni (SAI), il personale dell’emergenza territoriale (PET), nonché il personale dei servizi sociali dei Comuni afferenti dedicati alla pianificazione e gestione degli interventi sociali ad integrazione sanitaria. In tale struttura si accolgono le domande dei cittadini e si organizza la risposta più appropriata. Modello organizzativo della “Casa della Salute Senorbì” La struttura si realizza nel Comune di Senorbì, sede della direzione del Distretto n°5 dell’ASL di Cagliari, area sociosanitaria che si estende per 1194 Kmq di superficie comprendente 28 Comuni e una popolazione di n° 42342 abitanti. Il modello proposto, prevede la ristrutturazione e ampliamento dell’attuale struttura e la realizzazione di un Presidio sociosanitario, al cui interno verrà a realizzarsi la CdS al cui interno opereranno i MMG, operanti nel Comune, che lavoreranno in stretta collaborazione con gli SAI operanti nella struttura e con i MCA e con il servizio emergenza-urgenza e grazie anche ad una rete informatica con le strutture ospedaliere e con servizi sanitari e non sanitari. La CdS cosi organizzata, svolge differenti funzioni (Allegato DGR n. 31/2 del 20.07.2011 - Piano di riorganizzazione dell’assistenza sanitaria della Regione Sardegna): • accoglienza; • prima valutazione del bisogno con orientamento ai servizi svolta ed effettuata dal punto unico d’accesso (PUA); • presa in carico complessiva dei pazienti attraverso la gestione coordinata delle grandi aree di cronicità (diabete, broncopneumopatie cronico ostruttive (BPCO), scompenso cardiaco, rischio cardiovascolare, cronicità oncologica) secondo percorsi / protocolli concordati con i soggetti e le strutture di secondo livello; • pianificazione e gestione integrata delle cure domiciliari finalizzata alla presa in carico di quelle patologie non necessitanti di ricovero in strutture specialistiche di livello superiore; • garanzia dell’integrazione sociale e sanitaria; • erogazione di prestazioni di diagnostica strumentale e prestazioni specialistiche da parte di medici sia dipen- N. 211 - 2016 denti che convenzionati; • posto di primo soccorso per codici bianchi e codici verdi, sotto il coordinamento della Centrale operativa della rete per le emergenze (modello H24). La CdS, opererà 5 giorni su 7, 12 ore al giorno (8.00 – 20.00) e le restanti ore della settimana, all’interno del Presidio distrettuale H24, l’assistenza verrà garantita dai MCA e da una postazione medicalizzata dell’emergenza territoriale. Organizzazione funzionale Le attività della CdS sono organizzate per aree funzionali dedicate che rispecchiano quello che è l’assetto strutturale del Presidio sociosanitario / CdS di Senorbì integrate dal punto di vista tecnico organizzativo (Tabella 1): 1. Area delle attività di accoglienza/amministrazione/ supporto: dove opera il personale amministrativo, articolate in due zone: una per la gestione del front office (riscossione ticket, Centro unico di prenotazione (CUP), scelta e revoca del MMG e PLS, ufficio relazioni del pubblico (URP), rilascio esenzioni per reddito e patologia, e rilascio autorizzazioni per protesi e ausili e ricoveri extraregione) e l’altra per le attività interne (personale, specialistica ambulatoriale); 2. Area delle cure primarie: organizzata su due zone: una dove sono presenti n° 2 ambulatori dedicati ai MMG e PLS adeguatamente attrezzati dove svolgeranno alternativamente la loro attività e contemporaneamente connessi telematicamente e strutturalmente con gli SAI del Presidio (rete orizzontale) e con le altre strutture aziendali (rete verticale) e un ambulatorio infermieristico dove poter svolgere prestazioni non differibili e che non richiedono dell’accesso al Pronto Soccorso (medicazioni successive, rimozioni punti di sutura, prelievi, cicli di terapie, educazione sanitaria). La seconda zona dedicata alle cure domiciliari; a. PUA nel quale opera un infermiere case manager per la decodifica iniziale del bisogno e l’iniziale presa in carico globale del bisogno dell’utente, coadiuvato dal medico di organizzazione distrettuale e dall’assistente sociale aziendale o del Piano unitario locale dei servizi alla persona (PLUS); b. ufficio unità di valutazione territoriale (UVT) dove un’équipe multi professionale e multidisciplinare (infermiere, medico di organizzazione, assistente sociale aziendale e specialista in diverse branche a seconda del problema sanitario) provvede alla presa in carico integrata e globale del bisogno dell’utente (inserimento in cure domiciliari integra- Le Case della Salute N. 211 - 2016 1015 TABELLA 1: Servizi, funzioni, attività e organizzazione della Casa della Salute di Cagliari Servizi - funzioni - attività - organizzazione - integrazione Servizi, funzioni e attività Informazione Accesso Punto unico d’accesso (PUA) Unità di valutazione territoriale (UVT) Servizi amministrativi: riscossione ticket, rilascio esenzioni per reddito e patologia e invalidità, scelta e revoca del MMG e PLS, ufficio ricoveri extraregione, ufficio integrativa e protesica e ufficio rapporti internazionali Centro unico di prenotazione (CUP) Assistenza primaria (ambulatorio di MMG, ambulatorio infermieristico, continuità assistenziale) Assistenza specialistica (allergologia, angiologia, cardiologia, chirurgia, dermatologia, diabetologia, endocrinologia, fisiatria, geriatria, ginecologia, medicina dello sport, nefrologia, oncologia, oculistica, odontoiatria, ortopedia, otorinolaringoiatria, pediatria, pneumologia, reumatologia, scienza dell’alimentazione, urologia) suddivisa in poli specialistici Centro prelievi Servizio di radiologia (radiologia tradizionale, mammografia ed ecografia) Servizio di fisiochinesiterapia Prevenzione Servizio di vaccinazioni e altri servizi afferenti a dipartimenti centri (medicina legale, igiene pubblica) Integrazione sociosanitaria Prevista fra comuni attraverso gli assistenti sociali e il PUA e l’UVT Altri servizi e funzioni territoriali Consultorio familiare, Farmaceutica territoriale, Cure Domiciliari Integrate (UODI), Neuropsichiatria infantile, emergenza territoriale (postazione 118 medicalizzata) Organizzazione Dipendenza gerarchica dal Distretto sotto la responsabilità del Direttore del Distretto Professionalità integrate MMG, Infermieri, SAI, MCA, Amministrativi, Assistenti sociali te, comunità integrate e residenze sanitarie assistite, progetti socio-assistenziali complessi autorizzati dalla Regione); c. ufficio cure domiciliari integrate (UODI) che lavora in sinergia con i MMG/PLS e l’UVT. 3. Area della continuità assistenziale che prevede una zona adiacente all’area delle cure primarie dedicata ai MMG/PLS dove i MCA svolgeranno la loro attività in sinergia con i sanitari di assistenza primaria e dell’emergenza territoriale. Prevista la presenza di una stanza di osservazione breve per il trattamento delle urgenze minori e per la stabilizzazione del paziente ad alta complessità. 4. Area delle attività sociosanitarie: deputata alla presa in carico del paziente con erogazione di prestazioni sociosanitarie con attività integrata con la rete servizi sociali territoriali (assistenza sociale del Comune, residenze sanitarie assistite, associazioni di volontariato, ecc.), con la collaborazione degli uffici amministrativi della direzione del Distretto. 5. Area dell’emergenza - urgenza: sede di postazione 118 medicalizzata. 6. Area delle prestazioni specialistiche e della diagnosi: prevede una vasta gamma di attività svolte dai SAI che effettuano prestazioni cliniche e di diagnostica di base (es: holter, ecocardiografia, ecografia generale, ecografia vascolare), punto prelievi, diagnostica radiologica (tradizionale e mammografica). In tale area rientra anche il servizio di riabilitazione. Gli accessi sono destinati sia ai pazienti all’interno di un percor- 1016 Le Case della Salute so stabilito, sia ai pazienti occasionali. Organizzata in poli specialistici ben definiti con uno sportello di accettazione per la gestione delle prenotazioni. L’integrazione delle varie aree permetterà di organizzare, attivare e sviluppare percorsi diagnostici terapeutici per malattie croniche: diabete, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, BPCO. 7. Area della prevenzione che effettua le vaccinazioni e le certificazioni medico-legali, nonché il riconoscimento dell’invalidità civile e tutte le attività connesse con la prevenzione degli ambienti di vita e di lavoro (tecnici della prevenzione). Insiste in quest’area anche l’attività consultoriale. La connotazione organizzativa che quindi deve essere data alla Casa della Salute al fine di mantenere tale standard di erogazione sono quindi: • la riorganizzazione strutturale e funzionale degli ambulatori al fine di garantire un miglioramento qualitativo e quantitativo dell’offerta di prestazioni specialistiche in ambito distrettuale; • l’integrazione degli SAI con i servizi e gli operatori del territorio; • la condivisione di percorsi clinico-assistenziali con la componente ospedaliera, i MMG e i PLS; N. 211 - 2016 • un’attiva partecipazione della specialistica alle forme complesse di assistenza primaria; • l’abbattimento delle liste d’attesa anche attraverso un miglioramento di appropriatezza della domanda. Un concetto importante da tener presente è che una parte cospicua delle attività ambulatoriali diagnostiche / terapeutiche attualmente erogata presso Presidi ospedalieri può essere svolta presso questo tipo di strutture. L’integrazione con l’Ospedale favorisce la programmazione di ricoveri d’elezione e per diagnostica invasiva attraverso la stretta collaborazione tra medici delle cure primarie e gli specialisti ospedalieri, anche attraverso i sistemi informatici. L’apertura per 12 h al giorno, garantisce all’utenza una risposta alternativa e appropriata all’accesso al Pronto Soccorso e, sulla base di protocolli concordati, può consentire di completare il percorso diagnostico e/o terapeutico per i pazienti inviati avviati, con appropriato codice di priorità, dal 118/PS. Bibliografia Brambilla A, Maciocco G. Le case della salute. Innovazione e buone pratiche. Carocci, Roma 2016. Le Case della Salute N. 211 - 2016 1017 La Casa della Salute al centro della rete territoriale Laura Figorilli1, Marilina Colombo2 Direttore generale ASL di Rieti Direttore sanitario ASL di Rieti 1 2 Abstract Nella Regione Lazio l’adozione del modello della Casa della Salute rappresenta un’evoluzione relativamente recente rispetto all’esperienza delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna. Il nuovo modello regionale, introdotto in occasione della stesura dei nuovi atti aziendali (DCA n. 428 del 2013), “riassume” le diverse tipologie di strutture intermedie introdotte in normative precedenti quali i Centri clinici assistenziali distrettuali (CeCaD), i Presidi territoriali di prossimità (PTP) e gli Ospedali distrettuali e per l’ASL di Rieti ha rappresentato l’occasione per sostenere il progetto di potenziamento e riorganizzazione dell’assistenza territoriale, a partire dall’esperienza dei PDTA già sviluppati in Azienda. La Casa della Salute di Magliano Sabina della ASL di Rieti è la quinta inaugurata in Regione Lazio, su complessive 10 attualmente funzionanti. Nella Regione Lazio l’adozione del modello della CdS rappresenta un’evoluzione relativamente recente rispetto all’esperienza di altre Regioni come Toscana ed Emilia Romagna (Brambilla, Maciocco 2016; Del Vecchio, Prenestini, Rappini 2016). Le prime indicazioni sono contenute nel documento allegato al DCA n. 428 del 2013 – “Raccomandazioni per la stesura degli Atti aziendali, di cui al DCA n.206/2013, riguardo all’organizzazione delle Case della salute” – in cui la Regione propone alle nuove Direzioni generali “un nuovo modello” di riferimento, la Casa della Salute appunto, che “riassume” le diverse tipologie di strutture intermedie introdotte in normative precedenti quali i Centri clinici assistenziali distrettuali (CeCaD), i Presidi territoriali di prossimità (PTP) e gli Ospedali distrettuali. Le caratteristiche principali della nuova configurazione sono ulteriormente regolamentate in successivi decreti attuativi. In particolare: • il DCA n.40/2014 “Approvazione dei documenti relativi al percorso attuativo, allo schema di intesa ed ai requisiti minimi delle Case della Salute” precisa i principi alla base del modello organizzativo e definisce modalità di avvio, funzionamento e valutazione delle CdS; • il DCA n.380/2014 “Attivazione della Casa della Salute in strutture aziendali diverse da quelle in riconversione. Approvazione dello schema d’intesa” apre alla realizzazione delle CdS in nuove sedi al fine di consentire la loro presenza presso ciascun Distretto (Poliambulatori pubblici o altre strutture territoriali diverse dagli Ospedali oggetto di riconversione e anche Poliambulatori o Case di cura private accreditate da riconvertire); • il DCA n. 414/2014 “Casa della Salute. Modifica e approvazione degli allegati di cui al DCA n.40/2014 e al n.380/2014” richiama i principali provvedimenti di riorganizzazione e qualificazione dell’assistenza distrettuale e approva gli allegati ai precedenti documenti modificati per quanto attiene, in particolare, la tematica dell’emergenza-urgenza e i suoi rapporti con le CdS. Il modello di CdS della Regione Lazio è di tipo “modulare” con funzioni di base (area dell’assistenza primaria e area pubblica) e moduli funzionali aggiuntivi (tabella 1). Le CdS in questo momento funzionanti in Regione Lazio sono dieci (Zagarolo, Atina, Ladispoli, Ostia, Pontecorvo, Sezze, Magliano Sabina, Prati, Rocca Priora e Tenuta di Torrenova). La CdS di Magliano Sabina della ASL di Rieti è la quinta inaugurata in Regione Lazio e, in questo momento, l’unica dell’Azienda. 1018 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Tabella 1 Le aree della Casa della Salute nel modello “modulare” della Regione Lazio. Area dell’assistenza primaria Assistenza primaria garantita da MMG e PLS Attività specialistiche (con particolare riferimento alle discipline di cardiologia, ginecologia, pneumologia, diabetologia, oculistica, otorinolaringoiatria, chirurgia generale e, eventualmente, angiologia, neurologia, malattie dell’apparato digerente) Ambulatorio infermieristico Attività di diagnostica strumentale di primo livello Area pubblica Area dell’accoglienza Sportello CUP Punto Unico di Accesso (PUA) Area di sorveglianza temporanea Area del volontariato e della mutualità Moduli funzionali aggiuntivi Area delle cure intermedie a gestione infermieristica Assistenza ambulatoriale complessa (per esempio, chirurgia ambulatoriale, day service) Centri territoriali per le demenze Centri antiviolenza Assistenza farmaceutica Attività Fisica Adattata (AFA) Funzione ambulatoriale dedicata al trattamento del dolore cronico Punto di Primo Intervento (PPI) Area gestionale e funzionale Tale area può comprendere, a seconda delle dimensioni della Casa della Salute, gli uffici amministrativi, la zona degli spogliatoi ed eventualmente sale riunioni dedicate e altri spazi, tra cui sedi di associazioni di volontariato. Fonte: DCA n.428/2013 e ss. La Casa della Salute di Magliano Sabina della ASL di Rieti La CdS di Magliano Sabina nasce nell’ambito del processo di riconversione dell’Ospedale di Magliano che, in una prima fase, secondo quanto previsto nel DCA n.80/2012, è stato trasformato in CeCAD e, in una seconda fase, a seguito delle più recenti disposizioni regionali (DCA n. 40/2014), ha visto ridefinita e perfezionata la sua identità in Casa della Salute. Il progetto di realizzazione della nuova struttura rappresenta il fulcro della strategia di potenziamento dell’assistenza territoriale avviata con il nuovo Atto aziendale. Il nuovo modello introdotto dalla Regione Lazio ha fornito il contesto strutturale, organizzativo e culturale in grado di dare risposta all’evoluzione dei bisogni e, quindi, l’occasione per sostenere il progetto di innovazione dell’insieme delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie e degli incidenti di più larga diffusione e minore gravità, delle malattie e disabilità ad andamento cronico. La CdS è il luogo in cui si possono integrare culture, approcci, sensibilità e strumenti che identificano nuove paro- le chiave, quali: accoglienza integrata, proattività, presa in carico della cronicità, percorsi diagnostico terapeutici, innovazione tecnologica, partecipazione comunitaria. Nel disegno progettuale di questa Azienda, la CdS non si esaurisce dunque all’interno delle mura fisiche, ma si estende in uno spazio geografico che coincide con l’ambito distrettuale di riferimento e comprende gli ambulatori dei medici di medicina generale (MMG), dei pediatri di libera scelta (PLS) e l’Assistenza domiciliare. Alla CdS, sulla base del modello clinico-organizzativo così come progettato, vengono ricondotte alcune aree prioritarie di responsabilità: • migliorare l’accessibilità dei servizi sanitari e sociosanitari, la continuità delle cure e la qualità e sicurezza dell’assistenza; • sviluppare sinergie e supportare una forte integrazione verticale (tra assistenza primaria, assistenza ospedaliera, assistenza di alta specializzazione) e orizzontale (nell’ambito delle discipline coinvolte nei PDTA); • rafforzare il collegamento della rete dell’emergenza urgenza; • sviluppare progetti di promozione della salute basati N. 211 - 2016 sulla stratificazione del rischio della popolazione. Il percorso di riconversione della struttura (da CeCAD a CdS) inizia nel mese di maggio 2014 con l’istituzione di un “gruppo aziendale di pilotaggio” finalizzato alla: definizione e condivisione del modello clinico-assistenziale ed organizzativo; individuazione e predisposizione delle precondizioni strutturali e organizzative; condivisione delle priorità e definizione del crono programma. In accordo con l’idea di “partecipazione comunitaria”, i contenuti del progetto sono stati presentati e condivisi con l’amministrazione locale di Magliano Sabina, di Poggio Mirteto (Comune “capo Distretto”), con la Comunità montana e nell’ambito della Conferenza dei sindaci. Abbiamo inoltre coinvolto i MMG, le organizzazioni sindacali dei MMG e degli specialisti ambulatoriali, le Associazioni di volontariato e il personale dell’Azienda interessato al funzionamento della nuova struttura. A seguire, nei mesi di settembre e ottobre, abbiamo avviato un piano di formazione degli operatori, definito l’accordo con i MMG e con l’amministrazione locale di Magliano Sabina per l’attivazione del PUA. Per la riconversione della struttura sono stati necessari lavori di ristrutturazione e riqualificazione di alcune aree (quella dedicata all’accoglienza e quelle dedicate agli ambulatori e alle cure primarie) e di adeguamento delle infrastrutture informatiche per attivare il sistema di gestione della cartella clinica ambulatoriale ed il software per la gestione dei percorsi di presa in carico delle patologie croniche (diabete, BPCO, scompenso cardiaco). Il progetto è stato sottoposto all’approvazione della Regione che ha concesso alla nostra Azienda un finanziamento di 450 mila euro (deliberazione n. 289 del 27/05/2014). Nel mese di ottobre sono terminati i lavori di ristrutturazione e abbiamo avviato il processo di autorizzazione all’esercizio e di accreditamento. A dicembre 2014 è stata inaugurata la nuova struttura. L’edificio che ospita la CdS, in precedenza sede di uno stabilimento ospedaliero, è sviluppato su tre piani (oltre a un piano interrato e uno seminterrato) ed è dotato di un ampio parcheggio. La struttura, ora connotata secondo i parametri e gli standard previsti dalla Regione (colori, loghi, cartellonistica, ecc.) dispone di ampi spazi non ancora utilizzati (tra cui anche sale attrezzate per attività chirurgica). In questo momento la responsabilità della gestione della CdS è assegnata al direttore del Distretto di afferenza ma, in prospettiva, è previsto che sia assegnata nell’ambito della Unità operativa complessa (UOC) di cure primarie. Nell’assetto organizzativo aziendale in divenire, infatti, il Le Case della Salute 1019 Distretto rappresenterà l’articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale e il luogo dell’esercizio della committenza e della garanzia della esigibilità dei livelli essenziali di assistenza, mentre la UOC di cure primarie sarà responsabile della gestione dei fattori produttivi per la produzione di beni e servizi. Tale modifica di ruolo prevede che il direttore della UOC di cure primarie abbia la responsabilità della produzione di prestazioni e servizi attraverso la gestione di una rete integrata di risorse territoriali che vede nella CdS il suo punto di riferimento fondamentale per garantire al cittadino una risposta esauriente alle diverse esigenze assistenziali, sanitarie e sociali, con particolare riferimento alla presa in carico dei pazienti con patologie croniche”. Il direttore della UOC è responsabile, inoltre, “della razionalizzazione e dello sviluppo dei percorsi assistenziali” e risponde del proprio operato alla Direzione sanitaria aziendale che, consapevole della strategicità del progetto, segue direttamente lo sviluppo del modello. La CdS di Magliano è dunque progettata come “un sistema integrato di servizi” che prende in carico il paziente all’interno di un sistema capace di esaurire le sue esigenze favorendo “unità di luogo e di tempo” e relazionandosi con altre strutture specialistiche (intra ed extra aziendali). Le specifiche modalità operative di funzionamento della CdS sono definite nel programma attuativo e nel relativo regolamento. Si segnalano come aspetti qualificanti: • presenza di una èquipe multiprofessionale e multidisciplinare di assistenza primaria, formata da MMG, infermieri, assistenti sociali; • introduzione della funzione di case management; • sviluppo di percorsi assistenziali condivisi a livello aziendale (PDTA); • avvio di esperienze di medicina d’iniziativa mirate a evitare (o rinviare) nel tempo la progressione delle patologie croniche; • sviluppo di strumenti di governo clinico con il ricorso alle metodologie di audit dei processi; • sviluppo di una rete di “facilitatori” per la gestione del rischio clinico; • coinvolgimento delle associazioni di volontariato. L’essenza del nuovo modello è rappresentata dal superamento dell’approccio reattivo, basato sul paradigma dell’attesa dell’evento, tipico delle malattie acute, a favore di un approccio proattivo, improntato al paradigma della medicina d’iniziativa che promuove modalità di presa in carico e di rinforzo della compliance alle cure più adeguate alla gestione delle patologie croniche. 1020 Le Case della Salute In coerenza con quanto stabilito dal DCA n. 40/2014, la CdS di Magliano Sabina prevede moduli funzionali di base e aggiuntivi. Nei moduli base rientrano: • L’assistenza primaria. Per tale ambito si configura una modifica dell’assetto organizzativo per renderlo più aderente alla normativa regionale che prevede l’inserimento, all’interno della CdS, dell’Unità di cure primarie (UCP) locale, costituita da 7 MMG che, attraverso il raccordo complementare degli orari, garantiscono la copertura dell’assistenza primaria per 9 ore al giorno dedicata ai propri assistiti pur assicurando ognuno l’apertura del secondo ambulatorio nei comuni periferici. L’aspetto qualificante è rappresentato dalla gestione dei pazienti affetti da patologia cronica. A tale scopo sono identificate due differenti modalità di coinvolgimento dei medici di assistenza primaria: –– la prima, riguarda l’arruolamento e presa in carico dei pazienti assistiti dai medici della UCP presente all’interno della CdS; –– la seconda prevede l’arruolamento on line degli assistiti attraverso il portale della CdS da parte di tutti i medici del Distretto di riferimento sulla base degli accordi regionali recepiti a livello aziendale, l’arruolamento degli assistiti nei percorsi per la cronicità è comunque valorizzato economicamente. • Il servizio di continuità assistenziale che garantisce l’assistenza notturna, festiva e prefestiva su chiamata per tutta la popolazione di riferimento distrettuale, laddove l’ambulatorio di cure primarie, aperto h24, come prossima evoluzione del PPI (Punto di primo intervento), ne garantirà l’assistenza ambulatoriale. • L’ambulatorio infermieristico che prevede una configurazione tradizionale dedicata a prestazioni di base (prelievo di sangue capillare e venoso, medicazioni di ferite e ulcere, rimozione di punti, medicazione di ustione, rilevazione dei parametri vitali, ecc.) e una configurazione per patologia nell’ambito dei PDTA per i quali è previsto lo sviluppo di competenze specialistiche (per esempio, “piede diabetico”) finalizzate al rinforzo della compliance alle cure, alla promozione di comportamenti virtuosi per il controllo dei fattori di rischio, di self management delle problematiche di bassa complessità. • L’attività specialistica erogata da medici specialisti a contratto SUMAI e da medici dipendenti che prevede un’offerta di discipline specialistiche molto ampia e differenziata (cardiologia, chirurgia generale, dermatologia, diabetologia, gastroenterologia, medicina dello sport, medicina fisica e riabilitativa, ginecologia, N. 211 - 2016 neurologia, oculistica, ortopedia, ORL, nefrologia, pneumologia e urologia) e di diagnostica strumentale di base (radiologia tradizionale, TAC, ecografie, mammografie). Nella struttura è inoltre presente l’attività di chirurgia ambulatoriale per il trattamento della cataratta, come APA (Accorpamento di Prestazioni Ambulatoriali complesse), in prospettiva, e sulla base delle indicazioni regionali, potrà essere prevista l’estensione ad altre patologie di tale setting di erogazione dell’assistenza. Il target di pazienti raggiunti è riconducibile a due diverse tipologie: • pazienti cronici presi in carico dai medici di assistenza primaria nell’ambito dei percorsi delle patologie croniche (obiettivo strategico della CdS); • pazienti che accedono alle visite secondo un approccio prestazionale attraverso la prenotazione al Centro regionale di prenotazione. L’area dell’accoglienza si basa sulla funzionalità del PUA (Punto unico d’accesso) snodo organizzativo che assicura l’accettazione dei pazienti e l’orientamento ai servizi, al quale i cittadini accedono attraverso un front office. Il PUA è in grado di integrare funzioni di accesso, accoglienza ed ascolto professionale e di fornire diverse tipologie di risposta: orientamento verso il setting assistenziale appropriato, risposta immediata a un bisogno semplice, risposte a necessità più complesse di presa in carico della cronicità e inserimento in percorsi di attivazione dimissioni protette, avvio di percorsi di integrazione sociosanitaria, inserimento dei pazienti affetti da malattie croniche nei PDTA aziendali o in progetti di case management, in collaborazione con l’ambulatorio infermieristico della CdS, ecc. Il PUA si avvale di personale sanitario e assistenziale ed al bisogno di mediatori culturali ed è “in continuità operativa” con l’Unità di valutazione multidimensionale distrettuale (UVM). L’UVM rappresenta lo snodo professionale per l’accesso a quelle prestazioni che si configurano come risposte a bisogni complessi (dimissioni protette, assistenza domiciliare integrata, progetti residenziali in RSA, progetti ambulatoriali e residenziali di tipo riabilitativo, ingresso in Hospice). È costituita dal MMG, dal medico del CAD, dai medici di organizzazione, dagli specialisti e si integra, di volta in volta, con l’infermiere o il fisioterapista. L’area del volontariato e della mutualità, ospitata in una saletta dedicata, ha favorito una serie di collaborazioni per lo sviluppo di programmi di promozione della salute, di umanizzazione dell’assistenza e di supporto all’ope- N. 211 - 2016 ratività come per esempio l’accompagnamento a visite mediche ed esami e la consegna dei farmaci a domicilio dei pazienti affetti da patologia cronica. Il portafoglio di servizi presente all’interno della CdS prevede infine il Consultorio familiare, pediatrico e per l’adolescenza, il Servizio di salute mentale e la neuropsichiatria infantile; è inoltre possibile accedere ai programmi di screening oncologici per il tumore della mammella (mammografia ed ecografia mammaria) e della cervice uterina (pap test con ricerca HPV). I moduli aggiuntivi attivati sono: • L’Unità di degenza infermieristica (UDI con 15 posti letto) dedicata a trattare persone affette da patologie croniche in fase di iniziale scompenso che non necessitano di terapie intensive o di diagnostica a elevata tecnologia, e che non possono, per motivi sia di natura clinica sia sociale, essere adeguatamente trattati a domicilio, con l’obiettivo di ridurre il ricorso all’ospedalizzazione inappropriata. La degenza infermieristica valorizza il ruolo del MMG, che è il punto di riferimento clinico per il paziente per alcune ore della giornata, e quello del personale infermieristico, che è responsabile della presa in carico assistenziale finalizzata al ripristino delle condizioni di temporanea non autosufficienza. La tipologia di assistenza erogata dalla degenza infermieristica possiede caratteristiche intermedie tra il ricovero ospedaliero e le altre risposte assistenziali domiciliari (ADI) o residenziali (RSA). A differenza dell’analogo modulo in ospedale essa dovrebbe, nella visione della Direzione strategica aziendale, “prevenire il ricovero piuttosto che favorire le dimissioni”. • L’assistenza farmaceutica con distribuzione diretta di farmaci e presidi ai pazienti esterni e anche per le patologie rare e per la fibrosi cistica. • Il Punto di primo intervento (PPI), aperto 24 ore, che è in fase di adeguamento alle indicazioni del dm 70/2014, infatti da sede alternativa ad un Pronto Soccorso ospedaliero per la gestione delle urgenze di basso e medio livello, sarà trasformato in un ambulatorio di cure primarie la cui gestione sarà affidata ai MMG che effettueranno turni attivi giornalieri h 24. L’ambulatorio fornirà gratuitamente prestazioni in risposta a condizioni cliniche e patologie di bassa complessità che possono trovare adeguata risposta nell’ambito delle cure primarie e sarà aperto a tutti i cittadini. Saranno concordate precise procedure con ARES 118 per la gestione delle patologie tempo dipendenti e la centralizzazione di quei pazienti in condizioni criti- Le Case della Salute 1021 che che dovessero accedere autonomamente. • Il servizio Dialisi con 10 posti letto per 26 pazienti in trattamento. • Una postazione del 118 con ambulanza aperta 24 ore con infermiere. La logistica La CdS di Magliano Sabina rappresenta il riferimento sanitario territoriale per i cittadini che abitano nell’ambito del Distretto n. 2 dell’Azienda (Salario-Mirtense). Il Distretto, in cui risiedono 60.471 abitanti, confina con l’Umbria (Provincia di Terni) e con i Distretti delle ASL laziali di Viterbo e Roma. L’altitudine media del territorio è più bassa di quella del Distretto Montepiano Reatino, ma la diversa situazione geo-morfologica non rende migliore la viabilità interna. Il collegamento tra i Comuni e la CdS si aggira fra i 20 e 36 chilometri, questo non facilita l’accesso degli assistiti residenti nei Comuni più distanti, infatti registriamo che i pazienti inseriti nei percorsi provengono principalmente dai Comuni più vicini. La nostra idea progettuale, considerata la particolare situazione geografica, la difficile viabilità, la numerosità dei Comuni e la distribuzione degli ambulatori dei MMG, PREVEDE la futura creazione di due “sedi satellite” della CdS nei Comuni Poggio Mirteto e di Passo Corese (che hanno quasi 6.000 abitanti), allo scopo di garantire equità di accesso alla popolazione e valorizzare il progetto nell’ambito dell’intero Distretto. Inoltre stiamo approfondendo la possibilità di predisporre soluzioni di trasporto protetto per i pazienti dei Comuni più distanti. La valutazione La CdS di Magliano è ben posizionata rispetto agli indicatori oggetto di monitoraggio e rileviamo un ottimo livello di adesione, compliance e soddisfazione al modello proposto, rimangono spazi di miglioramento per quanto riguarda gli indicatori di valutazione previsti a livello regionale, in particolare riguardo la riduzione dei ricoveri legati a complicanze a breve e lungo termine per patologie croniche ed il consumo di farmaci. Altri “indicatori di successo” della funzionalità della CdS sono identificabili nell’elevata attenzione della comunità locale e nella “frequentazione” del luogo che, sebbene sia ancora molto legata alla presenza dell’offerta specialistica, consente la conoscenza e la diffusione del nuovo modello e di coinvolgere i cittadini “più giovani” per creare, in prospettiva, “una cultura della salute” (tabella 2). L’ASL di Rieti ha previsto nell’Atto aziendale la realizza- 1022 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Tabella 2 Prestazioni e pazienti in carico nella Casa della Salute di Magliano Sabina. Casa della Salute PDTA Pazienti arruolati (a giugno 2016) Diabete BPCO ~ 1000 ECG Visite Cardiologiche ~ 1000 Esame Fundus Oculi Degenza Infermieristica ~ 1000 ~ 280 Accessi 2015 2.950 Accessi Giugno 2016 1.235 Pazienti 2015 221 Pazienti Giugno 2016 119 Prestazioni Attività Ambulatoriale 2015 Altre Prestazioni Specialistiche zione di una seconda CdS presso il Poliambulatorio di Rieti che rappresenterà la sede di realizzazione dei percorsi per le patologie croniche finora realizzati “solo in fase ospedaliera”. La prevista realizzazione della seconda CdS a Rieti sarà un’occasione per sperimentare un modello di CdS diverso perché situata in un contesto urbano dove è presente l’Ospedale della ASL e sarà quindi più visibile e comprensibile per la popolazione la diversità dell’approccio, della presa in carico ed il valore dei percorsi di cura per la cronicità. ~ 250 APA Cataratta (2016) Ambulatorio Infermieristico 2015 Diagnostica Strumentale 2015 56 Visite Diabetologiche Eco Cardio PPI 490 1.012 11.055 Cardiologia 2.925 Oculistica 6.775 Med. Fisica e Riabilitativa 4.626 Gastroenterologia 1.214 Pneumologia 723 Diagn. Vascolare 421 Laboratorio Analisi 77.836 Nefrologia e Dialisi 18.718 Radiologia 9.992 Radiologia Tradizionale 8.948 TAC 1.044 Bibliografia Brambilla, A, G. Maciocco. Le case della salute. Innovazione e buone pratiche. Carocci, Roma 2016. Del Vecchio M, Prenestini A, Rappini V. Le nuove strutture intermedie: modelli organizzativi, target di utenti e formule di servizio in CeRGAS Bocconi (a cura di) Rapporto OASI 2016. Egea, Milano 2016. Le Case della Salute N. 211 - 2016 1023 I Presidi territoriali in Puglia tra presente e futuro Giovanni Gorgoni1, Ottavio Narracci2, Maria Micaela Abbinante3 Direttore Dipartimento salute, benessere e sport per tutti Regione Puglia 2 Direttore generale ASL Bt 3 Responsabile Comunicazione ASL B 1 Abstract La Regione Puglia, dal 2010 ad oggi, è interessata da processi di profonda trasformazione della propria rete ospedaliera e ha per questo ri-determinato il servizio di assistenza territoriale, sostenendone una organizzazione complessa. L’articolo mette in evidenza i principali passaggi di questo processo e analizza il caso dell’ex Presidio ospedaliero di Trani, oggi Presidio territoriale di assistenza (PTA), che è in piena fase di riorganizzazione. La Regione Puglia, a partire dal Piano di Riorganizzazione ospedaliera del 2010, è stata interessata da importanti processi di dismissione di Presidi ospedalieri e contestuale riconversione delle stesse strutture in Presidi territoriali di assistenza (Del Vecchio, Prenestini, Rappini 2016). Nel corso degli ultimi anni si sono definite procedure di riorganizzazione del sistema sanitario di assistenza e cura su tutto il territorio che hanno portato, ad oggi, all’attivazione di 356 posti letto negli Ospedali di comunità, 315 posti destinati a Residenza sanitaria assistenziale a totale carico del Servizio sanitario regionale (RSA R1), nonché ulteriori degenze territoriali nell’ambito dell’assistenza residenziale, delle cure palliative, dell’assistenza psichiatrica e dei servizi. Gli obiettivi perseguiti dal governo regionale e definiti nei documenti di indirizzo sono rivolti a ottenere la massima efficienza erogativa, la migliore efficacia attraverso la messa in comune delle competenze e delle abilità, la migliore appropriatezza nell’uso delle risorse e la maggiore integrazione possibile con la rete dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali a ciclo diurno e a carattere domiciliare. Il Presidio territoriale di assistenza (PTA) si realizza sia attraverso un pieno accorpamento dei servizi territoriali, di norma presso il Comune sede del Distretto sociosanitario e non servito da un presidio ospedaliero. Sono possibili aggregazioni parziali degli stessi all’interno dell’ambito distrettuale qualora, per complessità dei contesti territoriali e dei fabbisogni rilevati, tale flessibilità sia necessaria ad assicurare la continuità dell’assistenza. All’interno del PTA possono pertanto essere svolte diverse funzioni, in ragione dello specifico contesto di offerta di servizi e di fabbisogno. Quelle previste dal livello regionale e assegnate alle nuove strutture riconvertite prevedono sia funzioni di “degenza territoriale” sia un’ampia gamma di “servizi sanitari e sociosanitari” (tabella 1). La responsabilità gestionale, organizzativa e igienicosanitaria fa capo al Direttore del Distretto sociosanitario territorialmente competente, che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche. Al momento nella Regione Puglia, così come edivenziato nel Regolamento regionale 14/2015, sono presenti 27 PTA (6 nella ASL di Foggia, 2 nella ASL Bt, 9 nella ASL Bari, 3 nella ASL di Brindisi, 2 nella ASL di Taranto e 5 nella ASL di Lecce), organizzati in maniera più o meno complessa per quantità e qualità dei servizi attivati. Quelle previste dal livello regionale e assegnate (sempre dal livello regionale) alle nuove strutture riconvertite prevedono sia funzioni di “degenza territoriale” sia un’ampia gamma di “servizi sanitari e sociosanitari” (tabella 1). Tutti gli attuali PTA ospitano le degenze territoriali. Tra queste rientrano sia l’Ospedale di comunità (definito come “una struttura sanitaria con un numero limitato di posti letto di degenza territoriale di norma non superiore a 20 posti letto gestiti da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è garantita nelle 24 ore da MMG, PLS o da altri medici dipendenti o convenzionati con il SSN”) sia le Residenze sanitarie assistenziali (RSA) di tipologia R1 che erogano prestazioni a pazienti gravemente non au- 1024 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Tabella 1 Le funzioni previste nei PTA della Regione Puglia. Degenza Territoriale Ospedale di comunità Centro risvegli Assistenza Residenziale Hospice Servizi Sanitari e Socio Sanitari Accesso Unico alle cure: CUP; Accesso Unico Facilitato al Sistema; Gestione e presa in carico delle cosiddette “dimissioni protette” e raccordo con l’UVM distrettuale. Attività Amministrativa: Scelta e revoca del Medico Esenzioni ticket Rimborsi Ausili, presidi e protesi Assistenza Integrativa Farmaceutica Attività Medica di base e Specialistica Ambulatoriale: Associazionismo complesso dei MMG e PLS Continuità assistenziale Cure Domiciliari Integrate (CDI) Assistenza Farmaceutica Territoriale Poliambulatorio Specialistico (secondo l’articolazione definita con LR 23/2008) Day service medico Day service chirurgico Ambulatorio delle cronicità Diagnostica di Base Radiodiagnostica Centro Prelievi Assistenza Consultoriale e Materno Infantile: Consultorio Familiare Procreazione Medicalmente Assistita Emergenza-Urgenza: Punto di primo Intervento Territoriale Postazione 118 Prevenzione: Vaccinazioni; Medicina legale e fiscale Salute Mentale: Centro Salute Mentale Centro diurno psichiatrico Centro residenziale/semiresidenziale per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) Dipendenze Patologiche: Ser.T. Riabilitazione: Centro riabilitazione ambulatoriale Trattamenti domiciliari Servizi a gestione ospedaliera: Posti rene Le Case della Salute N. 211 - 2016 1025 Tabella 2 Elenco PTA di cui al Regolamento Regionale 14/2015 e posti letto territoriali. ASL ASL Foggia ASL Bt ASL Ba DISTRETTO POSTI LETTO ATTIVI NUOVI POSTI LETTO Torremaggiore 28 54 Monte Sant’Angelo 28 60 Vico del Gargano 12 20 Sannicandro garganico 60 60 Troia/Accadia 89 89 Minervino Murge 8 44 Spinazzola 8 38 Rutigliano - 30 Altamura - 16 Gravina - 10 Bitonto 22 32 Ruvo di Puglia 12 48 Gioia del Colle 12 12 - 16 Grumo Appula 24 40 Conversano 12 12 - 44 Ceglie Messapica 12 64 Cisternino 12 16 Massafra 11 11 - 40 Campi Salentina 20 35 Nardò 12 52 Poggiardo 6 50 Maglie - 40 Gagliano del Capo 9 41 397 974 Noci Asl Br ASL Ta Mesagne Mottola ASL Le Totale tosufficienti (stati vegetativi o coma prolungato, con gravi insufficienze respiratorie, affetti da malattie neurodegenerative progressive, ecc.) richiedenti “trattamenti intensivi a elevata integrazione sanitaria essenziali per il supporto alle funzioni vitali”. La tabella 1 mette in evidenza lo sviluppo dei 27 PTA presenti sul territorio regionale e dei relativi posti letto territoriali. Nella Regione Puglia, contestualmente alla riconversione delle strutture ospedaliere in PTA è stato implementato il Chronic Care Model di presa in carico globale del paziente per garantire continuità assistenziale, delle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali. Il modello è stato in una prima fase sperimentato in pochi Distretti e solo dopo una prima valutazione è stata avviata una seconda fase di implementazione del servizio sulle principali patologie croniche. Nella terza fase lo stesso modello è stato diffuso su tutti i Distretti socio-sanitari della Puglia ed è stato proposto come “modello ordinario di gestione 1026 Le Case della Salute dei protocolli diagnostici, terapeutici e assistenziali per la presa in carico della persona affetta da patologie a lungo termine”. In quest’ultima fase del percorso di sviluppo le figure infermieristiche coinvolte sono quelle presenti nelle forme di associazionismo medico e presso gli ambulatori distrettuali. Il caso Trani Il processo di riconversione dei Presidi ospedalieri in PTA è in continua e necessaria evoluzione ed è stato definito anche nelle norme nazionali (Decreto ministeriale n.70/2015 e Legge di stabilità 2016) e nei documenti di recente redazione della Regione Puglia (Piano di riordino ospedaliero e Programma operativo), attualmente in fase di adozione. Un importante processo di completa riconversione in Presidio territoriale di assistenza riguarda il Presidio ospedaliero di Trani, nel territorio della ASL Barletta-Andria-Trani. La riorganizzazione dei servizi è stata oggetto di un protocollo di intesa, inteso quale Progetto pilota regionale, firmato dalla Presidenza della Regione Puglia, dalla Direzione generale della ASL e dal Comune di Trani (delibera della ASL Bt n. 1758 dell’1 settembre 2016) e prevede una definizione ad ampio raggio dei servizi sociosanitari offerti sul territorio, anche attraverso una rideterminazione degli spazi di proprietà comunale messi a disposizione della ASL per l’erogazione dei servizi. Quello di Trani è stato plesso ospedaliero del Presidio Trani-Bisceglie – quest’ultimo definito nei nuovi regolamenti regionali come Ospedale di base – e la sua organizzazione è storicamente oggetto di profondo interesse da parte dei cittadini. La riorganizzazione, pertanto, non può non passare attraverso un processo culturale di cambiamento, già avviato nel 2012 con l’attivazione del primo Centro polifunzionale territoriale (CPT) della ASL Bt con il diretto coinvolgimento di dieci medici di medicina generale che assicurano, all’interno del Presidio, assistenza h12. Ecco perché tutti i processi avviati sono accompagnati da una fase di confronto con l’amministrazione comunale, al fine di migliorare l’integrazione dei servizi offerti, e di presentazione al più ampio pubblico per metterne in evidenza caratteristiche, vantaggi e opportunità di cura e assistenza. In particolare, il progetto del PTA di Trani prevede al suo interno le seguenti funzioni: • farmacia territoriale; • servizio di medicina di laboratorio territoriale; N. 211 - 2016 • centro polifunzionale territoriale con 10 medici di medicina generale; • area dei servizi di emergenza/urgenza composta da continuità assistenziale (ex guardia medica), ambulatorio (SCAP), Punto di primo intervento territoriale (PPT) e servizio di 118; • area di front office con Info-Point e servizio di CUPTicket; • servizio dialisi e “punto rene”; • unità di raccolta fissa (?); • servizio di radiologia con RMN; • polo didattico universitario per la medicina di comunità con salone congressi; • piastra operatoria a valenza aziendale; • attività specialistica di 1° e 2° livello con una piastra ambulatoriale che ospita diverse specialità sia del Distretto (cardiologia e cardiologia pediatrica, chirurgia, dermatologia, endocrinologia/diabetologia, medicina dello sport, neurologia, oculistica, otorinolaringoiatria, ortopedia, odontoiatria e urologia) sia a gestione ospedaliera (cardiologia, chirurgia, endoscopia, gastroenterologia e nutrizione, ginecologia, pneumologia e medicina interna, ortopedia, urologia, terapia del dolore, diabete mellito e malattie cardiometaboliche, malattie dell’apparato respiratorio, allergologia, servizio di medicina pre-natale con endoscopia ginecologica, attività ambulatoriale di ostetricia e ginecologia e di screening oncologico e ginecologico di 2° e 3° livello); • ambulatorio infermieristico; • servizio di oncoematologia; • servizio di pneumotisiologia; • ospedale di comunità con 10 posti letto; • sistema complesso di telemedicina; • area di riabilitazione specialistica pediatrica (ex art. 26). Nel PTA di Trani si intende inoltre valutare la possibilità di dare vita, ai sensi della Delibera n. 427 dell’11 marzo 2015, a una esperienza di sinergia pubblico-privato nel campo della riabilitazione di eccellenza, con particolare riferimento alla fascia di età pediatrica. Il PTA ospita anche la Direzione e i servizi amministrativi del Distretto socio-sanitario. Il processo di riorganizzazione passa anche attraverso interventi strutturali, già definiti dallo stesso protocollo di intesa, e per i quali è stato previsto un costo complessivo di 15 milioni di euro (programma del Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020). Le Case della Salute N. 211 - 2016 Tra i servizi di recente attivazione, bisogna mettere in evidenza il day service chirurgico che può contare su una piastra operatoria di recentissima riqualificazione strutturale e strumentale. A partire da settembre 2016 sono stati attivati interventi in day service per le branche di ginecologia, chirurgia vascolare, ortopedia, urologia, chirurgia senologica e oculistica. Il servizio ha carattere aziendale e in soli tre mesi di attività ha visto crescere in modo esponenziale (da 10 interventi a settembre a 100 interventi a novembre 2016) la quantità di interventi eseguiti, con una ricaduta significativa e potenzialmente importante sulle liste di attesa aziendali. Alla base iniziale di organizzazione, è susseguita una fase di definizione della complessità degli interventi con conseguente previsione di posti letto tecnici e protocolli diagnostici-terapeutici di gestione delle urgenze e delle criticità. La riorganizzazione del PTA è oggetto di continue e metodiche riunioni operative che, in questa delicata fase di 1027 lavoro, hanno lo scopo di accompagnare tutti i protagonisti del processo di cambiamento. La definizione dell’uso dei luoghi, la predisposizione dei servizi, l’organizzazione di protocolli diagnostici terapeutici necessitano infatti – soprattutto nella fase iniziale – della stretta collaborazione di referenti sanitari e amministrativi dell’ex Presidio ospedaliero e del Distretto sociosanitario che è chiamato a rideterminare il posizionamento sul territorio. E questo deve avvenire non solo in termini logistici, con un impatto più o meno forte sulla popolazione, ma anche in termini di qualità e quantità dei servizi offerti. Bibliografia Del Vecchio M, Prenestini A, Rappini V. Le nuove strutture intermedie: modelli organizzativi, target di utenti e formule di servizio, in CeRGAS - Bocconi (a cura di) 2016, L’aziendalizzazione della sanità in Italia: Rapporto OASI 2016, Milano, Egea, pp. 509-47. 1028 Le Case della Salute N. 211 - 2016 L’integrazione attraverso le strutture sanitarie intermedie Maria Micaela Abbinante1, Luigi Lanzolla2 Responsabile comunicazione ASL Bt Direttore Distretto sociosanitario Campi Salentina (ASL Lecce) 1 2 Abstract Il lavoro analizza l’esperienza maturata nel Distretto sociosanitario di Campi Salentina della ASL Lecce, la seconda più grande della Puglia. In particolare vengono messi in evidenza i risultati raggiunti attraverso la realizzazione del Presidio territoriale di assistenza, l’Unità di degenza territoriale (UDT) e l’attivazione di modelli di presa in carico come il Programma Care-Puglia. Nel Gennaio 2007 dalla fusione dell’AUSL LE/1 e LE/2 nasce l’ASL Lecce che per popolazione residente (808.939 abitanti) è la seconda ASL della Regione Puglia dopo quella di Bari e comprende 97 Comuni distribuiti su una superficie di Kmq 2.759. L’assistenza territoriale nell’ASL Lecce è articolata in 10 Distretti socio sanitari. Il Distretto di Campi Salentina comprende 8 Comuni (Campi Salentina, Carmiano, Guagnano, Novoli, Salice Salentino, Squinzano, Trepuzzi, Veglie) e risponde alle esigenze di salute di una popolazione complessiva di 88.817 unità. Nel Distretto sono presenti: • 1 Poliambulatorio; • 4 Consultori familiari; • 7 sedi di continuità assistenziale; • 1 Residenza sanitaria assistenziale (RSA); • 2 Residenze sociosanitarie Assistenziali (RSSA); • 76 medici di medicina generale (MMG); • 13 pediatri di libera scelta (PLS). La grande maggioranza dei medici di medicina generale lavora in associazione (3 gruppi, 8 super gruppi); la quasi totalità dei pediatri di libera scelta lavora in associazione (12 pediatri su 13). Con atto deliberativo n.24/2011, in attuazione di quanto disposto dal Regolamento regionale n.18/2010, è stata disposta la riconversione dello stabilimento ospedaliero di Campi Salentina in “Presidio territoriale per le cronicità con particolare riferimento alle cronicità immuno-mediate e ambiente correlate”. Il dettaglio del Piano di riconversione è stato disposto con l’atto deliberativo n.1070/2011: la responsabilità della attivazione del Presidio territoriale e della organizzazione sanitaria e amministrativa è stata affidata alla Direzione del Distretto sociosanitario con nota del maggio 2012. Da allora sono in corso i processi di riconversione logistici, organizzativi e soprattutto culturali per la realizzazione del Presidio territoriale oggi meglio definito come Presidio territoriale di assistenza (Regolamento regionale n.14/2015). Nel PTA sono state trasferite tutte le attività distrettuali che si trovavano dislocate nel territorio del Distretto comprese quelle afferenti alle Unità operative periferiche dei Dipartimenti di prevenzione, salute mentale e riabilitazione (tabella 1). Non è stata ancora trasferita l’Unità operativa periferica del Dipartimento delle dipendenze patologiche (SERT). La costruzione logistica del PTA ha consentito di raggiungere tre obiettivi: 1. Eliminare la frammentarietà dell’assistenza sul territorio e favorire di conseguenza l’integrazione tra i servizi sanitari e sociosanitari. 2. Costituire un luogo unico di accesso per l’assistenza territoriale favorendo la costruzione della immagine di un punto unico di riferimento per il cittadino-utente che così può trovare in un luogo unico la risposta ai suoi bisogni cronici di salute. 3. Risparmio economico (oltre 250.000 euro/anno rappresentato dalla eliminazione dei canoni d’affitto che l’ Azienda sanitaria sosteneva). Le Case della Salute N. 211 - 2016 1029 Tabella 1. Organizzazione logistica PTA PIANI SERVIZI Seminterrato Magazzino; Farmacia; Laboratorio analisi Rialzato Cup-ticket; Urp; Uos Emodialisi; Uoc Radiodiagnostica; Punto di Primo Intervento; Postazione 118 Primo Centro diurno psichiatrico; Crap; Consultorio familiare Secondo Poliambulatorio: Cardiologia, Oculistica, Orl, Dermatologia, Endocrinologia, Neurologia, Pneumologia, Medicina Interna, Gastroenterologia, Geriatria, Reumatologia, Fisiatria, Ginecologia, Odontoiatria, Diabetologia, Chirurgia, Medicina Sportiva, Oncologia, Ufficio Protesi e Ausili. Terzo UOC Centro di Salute Mentale, Igiene Pubblica, Igiene Veterninaria, Unità fissa di raccolta sangue Quarto Direzione Distretto, UOS Cure Primarie, UVM, Udmg (Ufficio distrettuale per il monitoraggio attività medicina generale), Assistenza domiciliare, Udpls (Ufficio distrettuale per il monitoraggio attività pediatri di libera scelta) La tabella mostra l’organizzazione logistica del PTA e la distribuzione di tutti i servizi attivi. L’obiettivo primario del PTA è quello di organizzare in modo appropriato, efficace ed efficiente i “percorsi dei pazienti” in relazione ai loro bisogni di salute rivolgendo particolare interesse alle persone con patologia cronicodegenerativa, alla non-autosufficienza, alla parziale autosufficienza che costituiscono una delle maggiori sfide per il nostro sistema assistenziale. Tale obiettivo può essere perseguito attraverso l’adozione e la messa in atto di modelli organizzativi che riescano a operare cambiamento culturale. Ci riferiamo a modelli che perseguono la presa in carico globale del paziente, il lavoro in èquipe, l’empowerment del paziente (chronic care model), il criterio della erogazione multi-professionale, l’integrazione Ospedale-territorio anche attraverso l’attivazione di strutture sanitarie intermedie (Ospedale di comunità, Hospice, RSA, RSSA o altre Unità di degenza territoriali - UDT). Nel PTA di Campi Salentina sono stati adottati tali modelli attraverso l’attivazione dell’Ospedale di comunità, i dayservices per l’ipertensione e il diabete e il Programma Care-Puglia. L’ Ospedale di Comunità – Unità di degenza territoriale attivata nel Distretto di Campi Salentina a novembre 2012 con 8 posti letto – è una struttura sanitaria che può rispondere al bisogno di salute di quei pazienti che a giudizio del medico di medicina generale non necessitano di un’assistenza sanitaria complessa quale quella erogata da una struttura ospedaliera oppure può rispondere al bisogno di salute di quei pazienti che dopo aver concluso l’iter del ricovero ospedaliero hanno ancora necessità assistenziali che non possono essere fornite al domicilio o attraverso altre strutture territoriali quali la RSA o la RSSA. L’UDT quindi possiede le caratteristiche di una struttura intermedia tra il ricovero ospedaliero e il domicilio e non è in contrapposizione, in alternativa rispetto alle altre strutture di degenza territoriale, ma piuttosto si pone in stretto rapporto di collaborazione funzionale nel tentativo di costruire una rete di servizi sanitari extraospedalieri prevalentemente mirata alle problematiche della patologia cronico-degenerativa. In questo modo l’UDT riesce a evitare che pazienti dal domicilio finiscano per produrre ricoveri ospedalieri inappropriati e consente alla struttura ospedaliera di ridurre la degenza ospedaliera correlata a tale tipo di casistica. L’UDT ha una forte funzione di integrazione tra servizi distrettuali e strutture sanitarie quali l’Ospedale, il laboratorio analisi, la radiologia, il punto di primo intervento e il 118, la farmacia, la dialisi, il Poliambulatorio e l’assistenza domiciliare. Al contempo, l’UDT rappresenta anche uno strumento di integrazione tra professionalità diverse (medici di medicina generale, medici specialistici, infermieri professionali, terapisti della riabilitazione). I diversi professionisti impegnati nelle attività dell’UDT sono coordinati, oltre che da un infermiere, anche da un medico: si tratta di uno specialista in medicina interna che coadiuva il Direttore del Distretto nella responsabilità igienicoorganizzativa della struttura, partecipa alla discussione del caso e alla definizione del PAI (Percorso assistenziale individuale) all’interno dell’UVM (Unità di valutazione multidimensionale) del Distretto, collabora, ove richiesto, con il medico di medicina generale nella gestione clinica del paziente, programma la dimissione, gestisce la lista d’attesa ove presente, provvede alla raccolta dati ed elaborazioni statistiche che invia al Direttore del Distretto. 1030 Le Case della Salute L’esperienza maturata nel distretto di Campi Salentina porta a ritenere questa figura un valore aggiunto in quanto si è rivelata grande facilitatore nel superare le barriere che spesso si apponevano all’integrazione tra servizi, strutture, professionalità. Il medico di medicina generale è il responsabile clinico dell’assistenza e della documentazione clinica. Egli propone il ricovero del proprio assistito, concorda con i medici della unità operativa del Presidio ospedaliero l’eventuale trasferimento del proprio assistito dal Presidio ospedaliero all’UDT, collabora alla definizione del Piano assistenziale individuale, stabilisce la dimissione predisponendo la lettera di dimissione, concorda all’interno della Unità di valutazione multidimensionale il percorso post-ricovero ove sussista la necessità di proseguire l’intervento assistenziale. La proposta/richiesta di ricovero in UDT, oltre che dal medico di medicina generale, può essere formulata dal medico ospedaliero dopo la stabilizzazione della fase acuta del paziente, dal medico specialista ambulatoriale, dal medico di continuità assistenziale, da un familiare del paziente. La proposta/richiesta di ricovero in UDT va comunque indirizzata al Direttore del Distretto e valutata all’interno della Unità di valutazione multidisciplinare che provvede a redigere il Piano di assistenza individuale. Dall’analisi dei dati è emerso che il tasso di utilizzo della struttura nell’anno 2015 è stato vicino al 100%, l’accessibilità alla struttura è stata di poco superiore ai 10 giorni, la patologia oggetto di ricovero in linea con gli obiettivi di una struttura intermedia. Il Poliambulatorio distrettuale situato all’interno del secondo piano del PTA ha un buon tasso di utilizzo: in media ogni residente del Distretto esegue circa quattro prestazioni/ anno escluse quelle di laboratorio e gli accessi al Punto di primo intervento (PPI). Sono presenti all’interno del Poliambulatorio, così come stabilito dalla Regione Puglia, le seguenti specialità: cardiologia, chirurgia generale, dermatologia, diabetologia, endocrinologia, gastroenterologia, geriatria, ginecologia, medicina fisica e riabilitativa, medicina interna, medicina dello sport, neurologia, oculistica, odontoiatria, oncologia, ortopedia, otorinolaringoiatria (ORL), reumatologia e pneumatologia. Le risorse umane sono rappresentate da: 28 medici specialisti, 2 medici di organizzazione sanitaria, 1 coordinatore del Centro psicosociale (CPS), 19 infermieri professionali del CPS e 2 ausiliari specializzati. L’attività specialistica è costituita dalle seguenti tipologie di prestazioni: N. 211 - 2016 • visite ambulatoriali secondo il criterio della priorità clinica; • visite domiciliari; • visite presso l’Unità operativa di dialisi; • visite presso l’UDT; • visite presso l’ambulatorio delle cronicità; • visite per i day-service; • visite in ALPI (Attività libero professionale intramuraria) • visite per invalidità. L’attività specialistica è stata riorganizzata seguendo il criterio della priorità clinica e il criterio della erogazione multiprofessionale. Il criterio della prenotazione e quindi della erogazione professionale specialistica secondo “priorità clinica” significa che il medico prescrittore ha a disposizione quattro differenti sigle per chiedere l’erogazione della prestazione specialistica: - U-Urgente: la richiesta deve essere evasa dalla struttura entro 72 ore; in questo gruppo sono stati aggiunti anche ultranovantenni e bambini tra i 0 e i 14 anni con disabilità o patologia cronica grave; - B-Breve: la richiesta deve essere evasa entro 10 giorni; in questo gruppo sono stati aggiunti anche ultraottantacinquenni e donne in gravidanza a termine; - D-Differita: la richiesta può essere evasa entro 30 giorni se si tratta di visite, entro 60 giorni se si tratta di accertamenti; - P-Programmabile: la richiesta può essere evasa oltre i tempi stabiliti per la differita. Tale criterio ha consentito di governare l’erogazione specialistica secondo fasce di priorità relative al bisogno del paziente stabilito dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta. Ciò ha consentito di intervenire sui tempi di attesa modulandoli in funzione delle necessità cliniche dei pazienti. L’altra logica che è stata adottata nel riorganizzare l’attività specialistica è stata quella di cambiare la cultura dell’erogazione specialistica mono-professionale a favore di quella multi-professionale. Tanto in quanto è stato ampiamente dimostrato che con i pazienti cronici con equilibri precari si possono ottenere risposte efficienti ed efficaci solo attraverso approcci integrati e multi-professionali in grado di migliorare l’empowerment del paziente. Per i pazienti con patologia cronica compensata sono invece sufficienti controlli mono-specialistici dilazionati nel tempo. I modelli che seguono questa logica, e che sono stati attivati nel PTA del Distretto di Campi Salentina sono: N. 211 - 2016 • il day-service; • il programma Care-Puglia. Anche il day service, infatti, è un modello organizzativo che comporta interventi integrati, interdisciplinari e articolati attraverso i quali il territorio può gestire alcune patologie croniche complesse favorendo la de-ospedalizzazione e riducendo i ricoveri inappropriati nella struttura ospedaliera. Si tratta di una presa in carica del paziente per un inquadramento globale e la definizione della relativa gestione assistenziale in tempi necessariamente brevi. Per questi percorsi sono previsti: accesso facilitato alla struttura, team di operatori dedicati a tale attività con alto livello di integrazione organizzativa ed operativa, erogazione di pacchetti di prestazioni in luoghi e tempi concentrati, monitoraggio. A Campi Salentina è stato attivato il day-service per l’ipertensione arteriosa e il day-service per il diabete mellito. Nel primo caso, il medico di medicina generale richiede una visita specialistica per attivare il day-service, quindi il paziente si prenota nell’ambito delle agende di prenotazione esclusive per il percorso. Lo specialista cardiologo dopo aver visitato il paziente, se individua la necessità, arruola il paziente e lo prende in carico. La presa in carico prevede un percorso organizzato così schematizzato: • ore 8,15 raccolta dei dati anagrafici e sanitari, anamnesi; • ore 8,30 prelievo di sangue venoso; • ore 8,45 colazione; • ore 9,45 ecocolordoppler; • ore 10,00 ECG, visita cardiologica ed ecocardiogramma; • ore 10,45 applicazione holter pressorio (ritorna il giorno seguente). In settima giornata la relazione definitiva viene inviata al medico di medicina generale e in trentesima giornata viene effettuata la visita di controllo già programmata. Il programma Care-Puglia Rispetto al programma Care-Puglia e il suo modello di attuazione “ambulatori della cronicità”, va precisato che nel Distretto di Campi Salentina già negli anni 2006-2007 nell’ASL Lecce è stata condotta una sperimentazione del Programma di Disease and Care Management di alcune condizioni croniche (malattia cardiovascolare, scompenso cardiaco, diabete, rischio di malattia cardiovascolare) attraverso il Progetto Leonardo. La sperimentazione è stata concepita sui contenuti fondamentali del Chronic Care Model (CCM) che prevedeva un modello assistenziale basato sull’alleanza tra comunità e il sistema sanitario. Le cure erano basate su: Le Case della Salute 1031 • percorsi adeguati alla realtà locale, condivisi e sostenuti da una forte integrazione tra i professionisti; • promozione e sostegno al self-management; • sistema informatico finalizzato oltre che alla raccolta dei dati, anche al supporto decisionale per la gestione della cronicità. L’intero modello poggia su un pilastro fondamentale: l’empowerment del paziente che è il prodotto della positiva interazione tra un team assistenziale competente, proattivo e responsabilizzante e un paziente informato, attento e attivo nella gestione della sua condizione cronica. Molto importante a questo fine è stata la figura presente nel team del care-manager, un infermiere professionale opportunamente formato alle tecniche di comunicazione. L’obiettivo era quello di migliorare la aderenza di questi pazienti ai percorsi di cura e al trattamento, con una forte attenzione agli stili di vita salutari, per ottenere migliori outcome clinici. Successivamente, sulla base dei risultati positivi ottenuti con questa sperimentazione, la Regione Puglia nei Comuni interessati al riordino ospedaliero ha attivato negli anni 2011-2012 un modello assistenziale di gestione e di presa in carico di pazienti con patologie croniche (malattia cardiovascolare cronica conclamata, o alto rischio di sviluppare patologie cardiache, scompenso cardiaco, diabete mellito, broncopneumopatia cronico ostruttiva) denominato Progetto Nardino. Nel Distretto di Campi Salentina il Progetto Nardino è stato attivato non solo nel Comune di Campi Salentina, ma anche in tutti quei Comuni dove i medici di medicina generale in associazione complessa hanno manifestato interesse di adesione. A partire da Gennaio 2013 la Regione Puglia con il Programma Care-Puglia ha di fatto esteso a tutto il territorio regionale il modello organizzativo assistenziale ispirato al Chronic Care Model. I modelli organizzativi nell’ambito Programma Care-Puglia sono: • modello basato sulla Unità di medicina generale: Medicina di gruppo/ supergruppo con presenza dell’infermiere care-manager; • gli ambulatori per le cronicità (nei Presidi territoriali e/o nelle sedi di associazionismo complesso); • modello basato sui Presidi territoriali di assistenza (PTA), sulle Case della Salute e/o Centri polifunzionali. Nel Distretto di Campi Salentina sulla base dell’esperienza acquisita con il Progetto Leonardo prima e in seguito 1032 Le Case della Salute N. 211 - 2016 con il Progetto Nardino, si è avviato, a partire dalla fine dell’anno 2013, un programma di organizzazione di ambulatori per la cronicità all’interno delle associazioni mediche complesse nonché nella sede del Presidio territoriale di assistenza prevedendo due modelli organizzativi: 1. Nei Comuni limitrofi alla sede del Distretto i medici specialistici ambulatoriali svolgono la loro attività di collaborazione/consulenza con i medici di medicina generale nelle sedi delle associazioni mediche complesse. 2. Nel Comune di Campi Salentina la sede dell’Ambulatorio delle cronicità è presso il Presidio territoriale di assistenza dove si recano i medici di medicina generale insieme all’infermiere care-manager nella giornata dedicata al paziente cronico. L’ambulatorio della cronicità con l’utilizzo di spazi comuni da parte del team delle cure (MMG, specialista ambula- toriale, infermiere care-manager) ha lo scopo di favorire l’integrazione tra i professionisti e consente una migliore gestione del paziente cronico. Inoltre limita gli spostamenti del paziente e riduce i tempi di attesa delle prestazioni specialistiche in una logica di prestazioni programmate secondo un percorso clinico-assistenziale condiviso. Si è provveduto all’inserimento di infermieri care-manager a tempo pieno in ciascuna associazione medica complessa, opportunamente formati alla tecnica di comunicazione e al counselling del paziente cronico. I percorsi clinicoassistenziali, condivisi dal team delle cure, sono integrati in un modello innovativo teso non soltanto a razionalizzare e rendere facilmente fruibile un processo di cura e assistenza per la condizione cronica, ma anche a favorire l’effettiva aderenza alle raccomandazioni e al followup. Il paziente viene coinvolto nella determinazione del proprio profilo di cura per ottenere la migliore aderenza Tabella 2. Procedure di presa in carico del paziente cronico SELEZIONE E GESTIONE FOLLOW-UP Medico di Medicina Generale: Inquadramento paziente Selezione paziente per visita specialistica: •Pazienti affetti da MCV conclamata •Pazienti affetti da Rischio MCV •Pazienti affetti da Scompenso Cardiaco •Pazienti affetti da BPCO e altre patologie respiratorie croniche •pazienti affetti da Diabete I e II L’elenco pazienti viene consegnato al CM segnalando eventuali priorità per la prenotazione Medico di Medicina Generale: Periodicità della visita del MMG 6-12 mesi Richiesta esami ematochimici in base ai percorsi diagnosticiterapeutici e al profilo di cura individuale del paziente. Compilazione della scheda per la consulenza specialistica Disponibilità ad interfacciarsi con gli specialisti durante la visita. Infermiere Care-Manager (CM): Supporto educazionale del paziente Organizzazione delle agende specialistiche Periodicità della visita infermieristica 2-6 mesi. Predisposizione di eventuali esami ematochimici necessari prima della visita specialistica. Attività in relazione alla visita specialistica: •Consigliano al paziente documentazione sanitaria da portare all’atto della visita •Somministrano al paziente i questionari propedeutici alla visita specialistica •Collabora con lo specialista durante la visita •Seguono i pazienti negli intervalli tra le visite fornendo supporto educazionale. Medici Specialisti: Inquadramento nuovi pazienti ed invio al MMG; collaborazione e consulenze con i MMG per la definizione dei profili di cura individuali dei pazienti; Riferimento specialistico per la gestione del paziente cronico complesso. Medici Specialisti: Follow-up periodico dei pazienti in base a quanto definito dai percorsi assistenziali dal profilo di cura individuale. N. 211 - 2016 ad esso. La presa in carico del paziente cronico da parte del team delle cure, nell’ambito dell’Ambulatorio delle cronicità, prevede le fasi di selezione, gestione, follow-up (tabella 2). L’organizzazione ha richiesto dapprima un periodo di pianificazione e successivamente un coinvolgimento dei medici di medicina generale, degli specialisti ambulatoriali e degli infermieri nonché una individuazione degli spazi nelle sedi delle associazioni complesse, la formazione degli infermieri soprattutto sulle tecniche di comunicazione e la condivisione dei percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali. Gli incontri tra tutti gli attori hanno portato alla stesura di un documento (definizione della procedura) e alla programmazione della fase operativa. Le Case della Salute 1033 L’avvio del programma è avvenuto in maniera graduale per favorire la fase osservazionale con il riesame delle procedure e la rilevazione delle criticità. Attualmente, con il programma Care-Puglia, sono stati presi in carico negli ambulatori per la cronicità del Distretto di Campi Salentina 1.244 pazienti cronici. Riteniamo che questo tipo di organizzazione migliorando la coesione tra tutti gli operatori sanitari favorisca la continuità assistenziale e la presa in carico globale del paziente cronico e, inoltre, riduca i tempi di attesa per l’esecuzione delle visite specialistiche Riteniamo inoltre che questo modello porti il paziente a diventare parte attiva nella gestione della sua condizione cronica, istruito, responsabilizzato ed educato nell’autocura nonché nell’utilizzo appropriato dei servizi sanitari. 1034 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Dall’Ospedale di comunità alla telemedicina Maria Micaela Abbinante1, Francesco Galasso2 Responsabile comunicazione ASLBt Direttore Distretto sociosanitario n. 3 Francavilla Fontana (ASL Br) - Referente Regionale AL BR per la Telemedicina -ASL Brindisi 1 2 Abstract Il lavoro analizza l’esperienza maturata nel Comune di Ceglie Messapica del Distretto n.3 della ASL di Brindisi. In particolare vengono messi in evidenza i risultati raggiunti con l’attivazione del Presidio territoriale di assistenza (PTA) e l’implementazione dei servizi di telemedicina. Nella ASLdi Brindisi, sulla base di quanto previsto dalla normativa regionale (Piano di riordino ospedaliero del 2010), nel dicembre del 2011 con delibera n.3136 è stato approvato un progetto di riconversione e riqualificazione dello stabilimento ospedaliero di Ceglie Messapica in Presidio territoriale di assistenza (PTA), al fine di rispondere da un lato alle esigenze di salute espresse dal territorio di riferimento e, dall’altro,di integrare la rete di servizi ospedalieri e territoriali. La riqualificazione ha previsto la realizzazione di un modello unico e innovativo avente le caratteristiche di un Presidio polifunzionale in grado di erogare tutti i servizi necessari al territorio (cure primarie, continuità assistenziale, gestione dell’emergenza-urgenza, attività di prevenzione e riabilitazione, attività amministrative, prestazioni di medicina generale e di specialistica ambulatoriale, nonché di radiologia, laboratorio analisi, farmacia 1. L’attività di valutazione diagnostica e terapeutica è di competenza di un team di più operatori appartenenti ad ambiti specialistici differenti che, nel caso specifico del PTA di Ceglie Messapica, derivano dall’accorpamento logistico, all’interno del medesimo Presidio, di consulenti preposti alle attività di specialistica ambulatoriale e di medicina di base 2. Nel Presidio territoriale di Ceglie Messapica, dunque, coesistono – integrandosi perfettamente secondo la logica della cooperazione e della interdisciplinarità – un gran numero di professionisti e servizi, suddivisi in cinque macroaree di attività: • l’area della continuità assistenziale con la postazione 118 e il Punto di Primo intervento (PPI); • l’area dell’assistenza sanitaria con gli ambulatori medici di medicina generale per la gestione della cronicità (progetto Nardino*), l’Ospedale di comunità, la radiologia, il Centro prelievi, il day service medicochirurgico, il Poliambulatorio specialistico, il servizio riabilitativo distrettuale, l’ufficio di igiene e medicina legale, la farmacia; • l’area socio-sanitaria con l’Assistenza domiciliare integrata (ADI); • l’area dell’accoglienza/amministrazione/supporto con la Porta unica di accesso (PUA), il Centro unico di prenotazione (CUP), gli uffici amministrativi distrettuali el’ufficio di assistenza protesica; • l’area delle attività sociali con le associazioni di volontariato (in particolare, l’Associazione nazionale tumori - ANT). All’interno di questo complesso assetto organizzativo, centrale diviene il ruolo del nuovo Distretto (figura 1) che rappresenta il principale garante facilitatore poiché è in grado di assicurare, attraverso la riorganizzazione del governo clinico del territorio la piena integrazione tra i * Il Progetto Nardino è un’iniziativa promossa dall’AReS Puglia che punta al sostegno e al coaching dei pazienti con patologie croniche, attraverso l’attività dei care manager, che operano in stretta collaborazione con i medici di medicina generale e i medici specialisti (team delle cure). L’utente non è più un fruitore passivo ma diventa attore principale nella gestione della sua salute. Le Case della Salute N. 211 - 2016 1035 Fig. 1. Il Presidio Territoriale di Assistenza di Ceglie Messapica: funzioni e attività. medici di medicina generale e gli specialisti ospedalieri e territoriali, l’organizzazione dei diversi team multi-professionali e lo sviluppo delle cure domiciliari. L’attività di day service All’interno del PTA vengono erogate diverse attività di day service con volumi di attività e complessità che sono andati crescendo negli anni tanto che nel 2015 sono stati eseguiti 1.231 interventi di diversa tipologia. In particolare: • 292 interventi di day service ortopedico; • 616 interventi di day service oculistico; • 24 interventi di chirurgia generale per ernia inguinale; • 195 interventi di day service per ipertensione; • 104 interventi di day service per diabete. L’ospedale di comunità All’interno del PTA trova collocazione anche un Ospedale di comunità con 12 posti letto ubicati al secondo piano della struttura. I responsabili del processo assistenziale sono i medici di medicina generale. A Ceglie Messapica partecipano a questo processo 14 medici di medicina generale su un totale di 18 attivi sul territorio. L’Ospedale di comunità garantisce l’assistenza in regime residenziale di natura medico-infermieristica a quei soggetti che, spesso appartenenti alle fasce più deboli della popolazione (anziani e fragili), sono affetti da riacutizzazione di patologie croniche per le quali non servono cure ad alta intensità o diagnostica a elevata tecnologia e che non possono, per motivi sia di natura clinica che sociale, essere adeguatamente trattati a domicilio. L’Ospedale di comunità, quindi, favorisce l’integrazione dei servizi sanitari e sociali, e valorizza il ruolo del medico di medicina generale e degli altri professionisti che operano nell’area delle cure primarie e intermedie. Tale ambito assistenziale si colloca a pieno titolo nella rete dei servizi territoriali ed è da considerarsi quale “domicilio allargato” 3 4. La tipologia di assistenza erogata possiede, pertanto, caratteristiche intermedie tra il ricovero ospedaliero e le altre risposte assistenziali domiciliari (ADI) o residenziali (RSA), rispetto alle quali non si pone in alternativa, ma piuttosto in un rapporto di forte integrazione e collaborazione, rappresentando uno snodo fondamentale della rete di assistenza territoriale 5. Il ricovero nell’Ospedale di comunità è proposto dal medico di medicina generale al direttore del Distretto che ne 1036 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Tabella 1. Dati di attività dell’ospedale di comunità (2015). Ricoveri Giorni di degenza Durata media dei ricoveri (giorni) 226 4.256 16 Frequenza per sesso Percentuale sul totale Maschi 123 44,86% Femmine 144 55,14% verifica l’appropriatezza sulla base dei criteri di ammissione corrispondenti a specifiche esigenze assistenziali: • proseguimento o stabilizzazione di una terapia; • prevenzione di complicanze e recupero autonomia; • trattamento di patologie acute/subacute non necessitanti di ricovero ospedaliero ordinario; • esecuzione di terapie palliative. I percorsi di afferenza-efferenza all’Ospedale di comunità prevedono diverse combinazioni: • domicilio -Ospedale di comunità - domicilio; • PPI/118 - Ospedale di comunità - domicilio; • Ospedale - Ospedale di comunità - domicilio; • Ospedale di comunità - Ospedale - Ospedale di comunità-domicilio. Nel corso del 2015 (tabella 1) sono stati eseguiti 266 ricoveri per un totale di giorni di degenza di 4.256 giorni: la media dei ricoveri è stata di 16 giorni. Tra le principali patologie per le quali è stato effettuato il ricovero nell’Ospedale di comunità ci sono le cardiovascolari (247 ricoveri), le patologie dell’apparato respiratorio (113 ricoveri), le endocrinologiche (91 ricoveri), le muscoloscheletriche (52 ricoveri), le gastrointestinali (40 ricoveri). L’Ospedale di comunità oltre a rappresentare un modello organizzativo “a ponte” tra Ospedale e territorio, favorendo, da un lato, le dimissioni protette e, dall’altro, l’integrazione tra professionisti 6-10, ha offerto l’opportunità di sperimentare un progetto di telemedicina per la gestione delle patologie croniche. Infatti ha consentito: • la formazione sul campo dei medici di medicina generale e degli infermieri dedicati che hanno familiarizzato con la nuova tecnologia prima di applicarla presso il domicilio dei propri pazienti; • l’attivazione all’interno dell’Ospedale di comunità della Centrale operativa per il monitoraggio dei flussi registrati dai device allocati presso il domicilio degli assistiti. Il progetto di telemedicina Da ottobre 2015 è stato avviato, nell’Ospedale di comunità di Ceglie Messapica e direttamente al domicilio degli utenti, un progetto di telemonitoraggio, teleconsulto e teleassistenza, denominato TeleHomeCare, rivolto a pazienti affetti da scompenso cardiaco, BPCO e diabete. Il progetto è stato proposto come supporto tecnologico all’attività già strutturata di assistenza domiciliare con l’obiettivo principale di incidere favorevolmente sulla riduzione del tasso di re-ospedalizzazione e sul miglioramento della qualità dell’assistenza presso il domicilio del paziente, validando altresì nuovi modelli di telemedicina applicati a percorsi diagnostico-terapeutici per la gestione della cronicità 11-13. I pazienti, opportunamente selezionati, vengono seguiti dai propri medici di famiglia con interventi sia domiciliari che attraverso il telemonitoraggio mediante l’utilizzo gli innovativi strumenti tecnologici H@H Hospital at Home, in grado di rilevare i principali parametri clinici e strumentali oltre alla somministrazione terapeutica di ossigeno e alla bronco-aspirazione delle secrezioni. I pazienti affetti da patologie croniche a rischio di instabilità, preventivamente selezionati e presi in carico nel setting delle cure domiciliari, vengono seguiti utilizzando il protocollo assistenziale previsto dal progetto, che definisce tempi e modalità di intervento. Il progetto – che prevede l’utilizzo di 11 dispositivi denominati H@H Hospital at Home installati presso il domicilio dei pazienti e presso l’Ospedale di comunità di Ceglie Messapica – ha consentito l’assistenza ad oggi con il supporto della telemedicina di 102 pazienti. L’esame dei dati preliminari del primo anno di attività, consente di apprezzare l’efficacia del sistema di telemonitoraggio oltre che rilevare un favorevole giudizio da parte dei pazienti con riferimento ad una migliore qualità dell’assistenza. In particolare, analizzando i primi dati, dal totale dei pazienti (90 paz. over 65), 45 risultano affetti da scompenso cardiaco, 36 da BPCO e 21 da diabete. Il tempo medio di monitoraggio è stato di 28 giorni, Le Case della Salute N. 211 - 2016 mentre il numero totale delle giornate di monitoraggio è stato di 2.956 per complessive 3.484 misurazioni dei parametri vitali con una media di 1,2 misurazioni domiciliari al giorno/procapite. In particolare, per i pazienti affetti da BPCO, nei casi in cui si è presentato un peggioramento delle condizioni cliniche dovute a un ridotto livello di saturazione di ossigeno, l’intervento da remoto e la somministrazione di terapia, mediante concentratore di ossigeno, ha permesso un recupero e un miglioramento delle condizioni cliniche; in molti dei casi è stata eseguita un’emogasanalisi a riposo e una saturimetria notturna, così come spesso si è reso necessario modificare la terapia farmacologica. Allo stesso modo, per i pazienti affetti da scompenso cardiaco, il peggioramento delle condizioni cliniche dovute ad esempio ad alterazioni della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa è stato risolto con intervento terapeutico gestito direttamente da remoto da parte del medico di medicina generale. Parallelamente, il collegamento mediante videocomunicazione ha agevolato l’intervento e l’affiancamento a domicilio del personale caregiver 14-17. Da febbraio 2016 è stato attivato all’interno del PTA anche l’ambulatorio territoriale dello scompenso cardiaco consentendo l’integrazione con il livello specialistico ospedaliero rappresentato dall’UTIC del Presidio ospedaliero di Francavilla Fontana. Tale ulteriore progettualità ha consentito ai diversi attori (medico di medicina generale, medico specialista ospedaliero, medico specialista ambulatoriale e caregiver) una concreta collaborazione per la presa in carico del paziente, generando una vera integrazione Ospedale-territorio. I pazienti dimessi infatti in modo protetto dalla cardiologia del Presidio ospedaliero di Francavilla Fontana o già sul territorio e curati dai propri medici di medicina generale, verificati i criteri di inclusione nel progetto, sono stati trattati e monitorati a domicilio, presi in carico dai propri medici di medicina generale, supportati in caso di necessità dal contributo specialistico del cardiologo sia ospedaliero che territoriale. Possiamo affermare che il progetto di telemedicina ormai a regime ha consentito di attivare le dimissioni protette dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco e di evitare, nella quasi totalità dei casi, il ricorso al ricovero ospedaliero con il ripristino di una situazione di stabilità clinica. Lo stesso servizio è risultato particolarmente gradito tanto ai pazienti che hanno valutato la qualità dei trattamenti attraverso la compilazione di questionari quanto agli operatori, favorendo l’integrazione tra professionisti con una 1037 graduale e progressiva adesione al progetto da parte dei medici di medicina generale (oggi 12 su 18 presenti nel territorio di Ceglie Messapica). Bibliografia Ferraro R. Il presidio territoriale di prossimità. Un modello da sperimentare. Agenzia di Sanità Pubblica - Laziosanità, 2010. 1 Mirza Z. Intermediate Care Review Project, South Kent Clinical Commissioning Grout, 2013. 2 Guzzanti E. Fondazione “CELERI” ONLUS - Ospedale di Comunità - Anno 2013 ASL Roma D - Ospedale di Comunità, 2012. 3 Aulizio G. FIMMG - Linee Guida Ospedale di Comunità - Avvenire medico, 2011. 4 RC Agenas. “L’Ospedale di Comunità” - Country hospital in Italia. Studio della normativa nazionale e regionale, 2009. 5 Ferraro R. Sistemi Integrati di Assistenza in Regime di Prossimità: l’Ospedale di Comunità, 2014-2015. 6 David H. Community hospitals-the place of local service provision in a modernizing NHS: an integrative thematic literature. BMC Public Health, 2006. 7 Sturgeon N. Community Hospitals: Strategy Refresh. Scottish Government, 2012. 8 Aullizio G. Ospedali di Comunità: una realtà che deve crescere. Avvenire Medico, 2011. 9 Ferraro R. Ospedali di comunità (OsCo) per le cure intermedie sanitarie della regione Emilia Romagna, documento programmatico. Regione Emilia Romagna, 2013-2015. 10 De Filippo V. Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Contributo delle regioni all’Agenda Digitale Italiana (ADI), 2012. 11 Burstow P. United Kingdom Department of Health. A concordat between the Department of Healthand the telehealth and telecare industry, 2012. 12 Commissione Europea. La strategia Europa 2020. Iniziative prioritarie, 2012. 13 Conferenza Stato-Regioni - Ministero della Salute. Telemedicina: Linee di indirizzo nazionali, 2014. 14 Ugenti R. Telemedicina: la salute a portata di click. Contesto di riferimento e Ruolo delle istituzioni Forum PA, 2010. 15 Selvaggi S. Telemedicina. Springer-Verlag Italia, 2010. 16 Zanaboni P-Wootton R. Adoption of telemedicine: from pilot stage to routine delivery. BMC Medical Informatics and Decision Making, 2012. 17 1038 Le Case della Salute N. 211 - 2016 Deframmentazione del sistema curante e nuovi paradigmi Maurizio Rocca1, Giuseppe Perri2, Mario Staglianò3, Rocco Cilurzo3, Giuliana Orlando3 Coordinatore Casa della Salute di Chiaravalle - Azienda sanitaria provinciale Catanzaro Direttore generale Azienda sanitaria provinciale Catanzaro 3 Casa della Salute di Chiaravalle - Azienda sanitaria provinciale 1 2 Abstract Nell’ottobre 2014 l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro ha dato avvio all’attivazione della Casa della Salute in attuazione del processo di riconversione del locale Presidio ospedaliero. La scelta adottata è stata quella di accompagnare questo processo di deospedalizzazione delle aspettative comunitarie di salute e di contestuale riorientamento/contaminazione delle professionalità, utilizzando la leva della formazione (formazione - azione) realizzata in collaborazione con la Facoltà di medicina dell’Università di Catanzaro. Elemento ulteriore è consistito nell’aver integrato la presenza di operatori SSN, enti locali, organizzazioni di rappresentanza dei cittadini e volontariato con la finalità di puntare sulla costruzione di una condivisa e partecipata governance comunitaria per la salute. Nel 2016 la formazione, e quindi il processo di sviluppo operativo, si è orientato alla costruzione di una “Carta della Salute del cittadino”. Prerequisito culturale dell’intero percorso è rappresentato dai temi del Manifesto delle Case della Salute 1. MANIFESTO PER UNA AUTENTICA CASA DELLA SALUTE (sintesi) Il Sistema sanitario del nostro Paese prevede lo sviluppo sul territorio nazionale delle “Case della Salute” (…) 1.La salute è un diritto umano fondamentale ed è un bene comune essenziale per lo sviluppo sociale ed economico della comunità. 2.La salute è creata e vissuta negli ambienti dove le persone vivono tutti i giorni: dove imparano, lavorano, giocano ed amano (OMS 1986); (...) 3.La salute è un bene da perseguire come comunità, in tutte le sue articolazioni di benessere fisico, psichico, affettivo, relazionale, spirituale (...) 4.La salute non è una merce alla stregua di ogni altro oggetto, prodotto e offerto da un mercato nel quale le persone, espropriate di saperi fondamentali, diventano consumatori passivi di prestazioni che le singole istituzioni producono (...) 5.La salute oggi può rappresentare il luogo di una nuova identità comunitaria, in una società contraddistinta dalla diversità e dalla pluralità e può rappresentare il volano per un recupero della coesione sociale e per l’affermarsi delle relazioni di reciprocità che qualificano e sostengono il vivere stesso nella comunità. 6.La comunità è il luogo naturale della cultura e della produzione di salute, a partire dalle risorse e dai saperi in essa presenti (...) 7.“Il patto sociale per la salute” è lo strumento che - partendo da una adeguata conoscenza della comunità, delle sue risorse e dei suoi problemi - promuove cittadinanza e rafforza il nesso tra comunità, servizi e istituzioni, contro ogni logica settoriale e prestazionistica. 8.La Casa della Salute si propone perciò come luogo in cui: -- si realizza una nuova identità comunitaria nel segno di un welfare efficace e partecipato; -- prendono corpo i diritti di cittadinanza, quelli riconosciuti e quelli negati; -- i cittadini esprimono, attraverso la partecipazione, la consapevolezza dei doveri di solidarietà; -- le risorse del territorio, comprese quelle istituzionali, si integrano nella costruzione e nel sostegno di azioni condivise per la salute; -- le persone si sentono accolte, soprattutto le più deboli, riconoscendo il valore delle differenze (...) N. 211 - 2016 La Casa della Salute di Chiaravalle trae origine, nel rispetto della programmazione regionale di cui al Decreto del presidente della Giunta regionale n. 185/2012, dal processo di riconversione del locale Presidio ospedaliero attivo sin dal 1978. L’area di riferimento è costituita da 10 Comuni collinari, posti nella zona delle pre-Serre, con una popolazione pari a 16.723 residenti di cui il 25% ultrasessantacinquenni. Deve sottolinearsi come, negli ultimi 20 anni, si sia assistito a un significativo e progressivo decremento demografico (-15%) e al trasferimento degli uffici/servizi zonali quali Pretura, Sede notarile, Agenzie delle entrate. Nel dicembre 2013, ultimato lo studio di fattibilità correlato alla sostenibilità (value) dell’investimento (7 milioni di euro destinati ai lavori di ristrutturazione e 1,5 milioni destinati alla tecnologia), l’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Catanzaro ha stipulato apposita convenzione con la Regione Calabria per la realizzazione del progetto. Nelle more della definizione di tutte le procedure connesse ai preliminari studi di vulnerabilità sismica e, quindi, di progettazione, nell’ottobre 2014 l’ASP ha deciso di avviare comunque le attività assistenziali. Propedeutica a tale avvio (la struttura ospitava già servizi specialistici ambulatoriali e il consultorio familiare) è apparsa la necessità di definire un accordo con i medici di medicina generale per garantirne la presenza all’interno della struttura. Nel dicembre dello stesso anno la forma associativa di gruppo Kos, operante in Chiaravalle con sede unica, veniva ospitata nella struttura grazie alla destinazione esclusiva di un ex reparto di degenza con disponibilità di 5 studi medici, un ambulatorio infermieristico, una segreteria, un’ampia sala d’attesa dedicata. Contestualmente veniva predisposto un progetto di formazione-azione annuale condiviso con la Facoltà di medicina dell’Università Magna Grecia di Catanzaro. La leva della formazione. Anno 2015 Il progetto formativo annuale “Una governance comunitaria per la Salute” 2–, avviato nel gennaio 2015, si è ispirato ai valori del Manifesto “Case della Salute” che ha guidato lo sforzo organizzativo nell’avviamento dei differenti servizi/attività oggi presenti. In altri termini, il progetto Casa della Salute di Chiaravalle nasce da un’idea di salute che non si omologa con il concetto di sanità o, ancor peggio, di medicina. L’idea di fondo non è quindi permeata dal negativismo dell’assenza di malattia, quanto piuttosto, dal positivismo Le Case della Salute 1039 di una condizione di benessere da raggiungere attraverso una concreta integrazione di tutti gli attori (professionali, organizzativi e istituzionali) che si muovono nel contesto della comunità, ma, soprattutto, attraverso la costruzione di una mappa condivisa di (e con) tutte le risorse che si muovono all’interno della comunità medesima. La complessiva impostazione del percorso di formazioneazione ha posto in essere un vero e proprio processo di riposizionamento culturale, o meglio sarebbe dire di contaminazione dei saperi professionali rimescolati con il punto di vista dei cittadini, non più fruitori dei servizi (in un’ottica consumistica e di mercificazione del welfare) quanto piuttosto protagonisti corresponsabili della complessiva definizione del progetto di Salute (solidale). In estrema sintesi, quindi, le finalità formative si sono incentrate sulle seguenti tematiche: • condivisione di una cultura comune della salute in una logica di governance comunitaria e di integrazione sociosanitaria; • analisi della situazione di partenza (profilo di comunità) in termini sia di bisogni di salute che di offerta di servizi sociali e sanitari; • ridefinizione dei percorsi diagnostico-terapeutici delle principali patologie cronico-degenerative prevalenti sul territorio locale (nel contesto della rete integrata ospedale-territorio aziendale) al fine di avviare una più stretta collaborazione e integrazione fra professionisti e strutture, secondo il principio dei percorsi di cura; • individuazione dei percorsi di accoglienza e riconoscimento dei bisogni del cittadino e di orientamento ai servizi attraverso il Punto unico di accesso (PUA) con il contributo di una strategia di healthability 3. Il percorso 2015 è stato agito su quattro direttrici fondamentali: • Deospedalizzazione delle aspettative comunitarie. Il primo problema è consistito nel riorientare le aspettative culturali delle comunità locali, dei loro amministratori e degli stessi professionisti (rielaborazione del lutto per la perdita del proprio ospedale ed accettazione della Casa della Salute come nuovo tipo di Presidio operante in una logica completamente diversa e centrata sul territorio e sulla messa in rete di tutti i servizi sanitari e sociali in esso presenti quale risposta necessaria e più adeguata al modificarsi dei bisogni e della domanda di salute). • Ricentratura dei bisogni di cura. In tale prospettiva, il secondo problema affrontato è stato quello di ricen- 1040 Le Case della Salute trare l’attenzione di professionisti e cittadini nei confronti dei bisogni di cura (passaggio dalla esclusiva attenzione alla malattia quale catalizzatore delle cure stesse alla promozione della salute quale bene comune e orizzonte entro il quale perseguire gli obiettivi di benessere della persona e della comunità). • De-settorializzazione e integrazione delle attività. Il terzo problema è consistito nella necessità di superamento di una logica iperspecialistica, di compartimentalizzazione delle risposte ai bisogni di salute per poter perseguire la consapevolezza di una de-settorializzazione degli interventi quale premessa necessaria per un approccio olistico e multidimensionale, basato su percorsi integrati di cura multidisciplinari e multiprofessionali. • Decentramento e superamento dell’autoreferenzialità dei professionisti (orientata alla difesa corporativa della propria giurisdizione e del proprio sapere specialistico) e riorientamento verso un decentramento e un’apertura dei professionisti al sapere comune e alle potenzialità di una partnership con i cittadini. Le attività Parallelamente al percorso formativo, oltre alle attività specialistiche già presenti e ovviamente alle attività dei MMG, sono stati attivati tutta una serie di funzioni per come di seguito schematizzate: • Punto unico di accesso (PUA); • Unità di valutazione multidimensionale (UVM); • Servizio di cure sanitarie domiciliari; • Punto di primo intervento (PPI); • Ambulatorio per le fragilità (garantito grazie all’integrazione tra MMG e uno specialista geriatra); • Supporto all’assistenza domiciliare con strumenti di tele monitoraggio. Il processo di deframmentazione si è concretizzato attraverso lo sviluppo e la formalizzazione, sempre sostenuto dalla leva della formazione, di percorsi di cura integrati (PIC) attraverso un approccio per processi in grado di selezionare prima e di valutare poi gli interventi più appropriati ed efficaci rispetto agli obiettivi assistenziali più realistici. In altri termini l’opzione adottata non è stata quella di costruire dei classici percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (di natura esclusivamente clinica e territoriale) ma dei percorsi di cura integrati orientati alla continuità assistenziale ospedale-territorio e alla completezza della presa in carico multidisciplinare e multiprofessionale, grazie anche all’inclusione delle risorse di natura N. 211 - 2016 sociale e non professionale. Ovviamente, muovendo da una preliminare diagnosi di comunità e valorizzando le risorse a disposizione, si è provveduto a costruire i seguenti percorsi integrati: • Percorso accesso al sistema curante; • Percorso valutazione multidimensionale; • Percorso diabete; • Percorso ipertensione arteriosa; • Percorso BPCO; • Percorso ADI; • Percorso ambulatorio infermieristico; • Percorso consultoriale; • Percorso riabilitativo (scomposto in differenti sottopercorsi); • Percorso salute mentale; • Percorso dipendenze; • Percorso neuropsichiatria infantile. Si è ancora provveduto a formalizzare, grazie all’adozione di uno specifico statuto, l’attivazione di un Forum dei cittadini e di un Punto di ascolto, strettamente correlato con il PUA, gestito dalle associazioni di categoria presenti sul territorio. La formazione 2016 A gennaio 2016 ha avuto il via il secondo piano formativo che si è posto i seguenti obiettivi: • valutazione preliminare delle problematiche incontrate nel corso della realizzazione del percorso formativo 2015 e individuazione dei fattori abilitanti per una sua effettiva realizzazione; • introduzione e acquisizione, da parte dei professionisti sociosanitari e dei volontari, della strategia di sistema integrato della qualità che veda pienamente coinvolti anche i cittadini, le loro associazioni e le istituzioni del governo locale; • costruzione della Carta dei servizi della Casa della Salute quale strumento preliminare per la realizzazione della strategia di sistema integrato della qualità mediante la realizzazione di un percorso partecipato di co-progettazione e di definizione dei suoi elementi costitutivi secondo il modello della governance comunitaria per la salute; • definizione delle modalità di manutenzione, aggiornamento, pubblicizzazione e diffusione della Carta dei servizi e dei suoi contenuti fra la popolazione del bacino di utenza della Casa della Salute; • definizione e implementazione delle modalità di monitoraggio in collaborazione con il Forum dei cittadini; N. 211 - 2016 • supporto culturale e operativo all’attivazione e al funzionamento del Forum dei cittadini quale organismo innovativo di partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni alla programmazione, gestione e valutazione dei servizi della Casa della Salute. Parallelamente è stato attivato, in collaborazione con la Cooperativa anziani e non solo di Carpi, un percorso di formazione/sostegno al ruolo del caregiver familiare, coniugato con la compresenza dei professionisti e delle organizzazione di volontariato. Il paradigma della relazione nella costruzione della qualità Il percorso Chiaravalle 2016 è stato improntato, in continuità con l’approccio di governance comunitaria già intrapreso, alla costruzione di una Carta della salute del cittadino, utilizzando la leva della ricerca di un sistema integrato della qualità. Non si tratta, evidentemente, della costruzione di una Carta dei servizi sviluppata nella dimensione burocraticoamministrativa, ispirata agli adempimenti normativi di settore. La carta proposta non è, in altri termini, l’orario ferroviario da consultare al bisogno per fruire di servizi on demand relegati in una lista di prestazioni integrata con orari di erogazione e altre istruzioni per l’uso. I principi ispiratori, in altri termini, non albergano nel contenitore consumistico della mercificazione delle azioni di welfare ma assumono la rilevanza della relazione che intercorre tra i vertici di un immaginario triangolo, rappresentati dall’organizzazione, dai professionisti e dai cittadini (contrasto al fenomeno dell’over use). In questa esperienza, quindi, viene essenzialmente privilegiata la dimensione relazionale che pone in rapporto il cittadino, epicentro del sistema (considerato nella dimensione comunitaria e nella dimensione sociale), con l’organizzazione ma anche con i professionisti (cittadino, questa volta, inteso nella dimensione umana, dimensione della persona e della relazione di cura). E in tale relazione si è cercato di tenere conto di una categoria speciale di cittadini, i caregiver, che sono catalizzatori delle divergenze di sistema tipiche della relazione triadica tra organizzazione - professionisti - cittadini. I paradigmi nuovi di un siffatto approccio coinvolgono dimensioni ulteriori, malcelate dalla dimensione sociale, che appartengono all’identità comunitaria e che includono elementi che rendono unica la comunità (nella dimensione sociale) così come, d’altronde, unica è la persona Le Case della Salute 1041 nella relazione di cura. Così come non dovremmo più rivolgere la nostra attenzione alla malattia ma alla persona, dobbiamo affermare che non è più possibile utilizzare soluzioni organizzative decontestualizzate e asettiche, in altri termini standardizzate, ma condividere, piuttosto, strategie organizzative – personalizzate – con quella specifica comunità (una sorta di processo di personalizzazione comunitaria nell’ambito di una transizione da standardizzazione a personalizzazione dei prodotti). Da una parte, quindi, personalizzazione del rapporto tra persona e professionista/i e, dall’altra, personalizzazione (seppur collettiva) del rapporto tra organizzazione e comunità. L’equilibrio (o il dis-equilibrio) di sistema viene essenzialmente governato da due forze contrapposte: quella inclusiva, che spinge i bisogni nel recinto delle garanzie (riconoscimento dei diritti di cittadinanza), e quella esclusiva che invece relega i bisogni nell’area grigia dell’esclusione (cultura della scarto). La vulnerabilità, intesa sia come esclusione sociale [R. Lenoir 4], sia come mancata valorizzazione delle capability [A. Seng 5], rappresenta l’oggetto dell’attenzione della costruzione della nostra redazione attiva e partecipata della Carta della salute della comunità, ispirata ai valori, ripresi dal manifesto delle Case della Salute, “dell’andare verso” e “del cercare chi non arriva”. Si è detto dei caregiver, definiti una categoria speciale di cittadini, che nei fatti rappresentano il misconosciuto catalizzatore delle divergenze (derive) di sistema che, ed è qui la correlazione con il nostro percorso, rappresentano proprio gli ambiti di cambiamento, di ri-orientamento della rotta, che la nostra esperienza vuole aggredire alla luce di nuovi paradigmi. Se analizziamo, seppur sinteticamente, quelle divergenze, possiamo chiarire come le aspettative comunitarie (collettive) e individuali di salute siano ostacolate dalla deriva aziendalistica delle organizzazioni e dalla deriva correlata all’autoreferenzialità delle professioni. Il caregiver, dicevamo, rappresenta il catalizzatore di tali divergenze in quanto cittadino e, quindi, da una parte posto in relazione (sociale) con l’organizzazione e, dall’altra, con il mondo professionale in quanto mediatore della persona portatrice di malattia, che è il soggetto reale della relazione di cura. Ma, allo stesso tempo, il caregiver rimane attratto nella sfera professionale in quanto egli stesso, in una sorta di processo di parasubordinazione professionale, viene delegato a porre in essere vere e proprie attività di cura. Con l’evidente conseguenza di 1042 Le Case della Salute venir spinto fuori dal recinto del sistema di garanzie ed essere fagocitato nella zona grigia dell’emarginazione. Il processo di de-frammentazione delle attività assistenziali che i Percorsi integrati di cura (PIC) concretizzano e che rappresentano il comune denominatore del nostro percorso, costituisce il principale elemento di contrasto a quella autoreferenzialità che caratterizza la deriva professionale e orienta l’azione di cura degli operatori su quella nuova rotta di multiprofessionalità e di riconoscimento della persona e non più della malattia (qualità erogata). La capacità di ascoltare le istanze comunitarie e di rendere attiva la partecipazione della collettività all’individuazione dei bisogni e, quindi, all’identificazione di priorità e di scelte nella costruzione dei servizi, trasforma l’atteggiamento rivendicativo della collettività in emporwement di comunità (qualità sociale). Il nuovo rapporto tra organizzazione e mondo professionale che insieme declinano, attraverso la leva della formazione, le scelte e le strategie di costruzione dei servizi, consente di contrastare la deriva aziendalistica e di seguire la rotta di un’aziendalizzazione intesa quale etica allocativa (qualità organizzativa) a sostegno dell’universalismo del welfare. Attraverso, quindi, la riconversione dei conflitti (derive) in punti di forza e, soprattutto, attraverso la costruzione di un condiviso e partecipato sistema integrato della qualità, l’area delle divergenze si trasforma in area delle convergenze. Così le forze inclusive sopravanzano quelle di esclusione, limitando, qualitativamente e quantitativamente, le condizioni di vulnerabilità. Ruolo centrale, nella determinazione di un siffatto approccio, è il sistema di accesso ai servizi che non può essere più improntato al paradigma dell’attesa (il cancello viene aperto quando qualcuno bussa). Il paradigma nuovo dev’essere quello dell’iniziativa (i sensori aprono i cancelli perché intercettano chi deve entrare) in quanto orientati all’andare verso e al cercare chi non arriva. N. 211 - 2016 atte a contrastare le superate logiche di standardizzazione delle attività di cura. La logica della presa in carico, accompagnata da un concreto empowerment (unitario e collettivo) e dalla effettiva attività di co-production del cittadino (anche attraverso la valorizzazione dei caregiver), allontana dalla avversa logica produttivistico-prestazionale e diviene tensore per allontanarsi sempre più dalla standardizzazione e varcare, finalmente, i confini della personalizzazione (comunitaria, sotto il profilo programmatorio) e individuale (nell’alveo delle attività di cura), sempre a condizione di garantire la “clusterizzazione” dei pazienti (riduzione del fenomeno della variabilità di consumo). Le interdipendenze interne, professionali e organizzative, così come quelle esterne, interistituzionali (formali) e informali, trovano, all’interno della Casa della Salute, il proprio humus e rappresentano, seppur in un microcosmo comunitario, un effettivo banco di prova per divenire oggetto di benchmarking diffuso. Bibliografia Salute bene Comune - Manifesto per un’autentica Casa della Salute - Fondazione Santa Clelia Barbieri / Casa della Carità Milano Angelo Abriani. 1 Giarelli G, Rocca M, Cilurzo R, et al. Una governance comunitaria per la salute. Percorso di formazione - azione per la costituzione della Casa della Salute di Chiaravalle. Università Magna Graecia - Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, Catanzaro 2015. 2 Ravazzini M, Jacchetti G, De Filippo T, et al. Domande di cura e risposte di cure. Il ruolo della vulnerabilità sociale nell’accesso alla cura: un vero discorso di salute. R&P. 2016;5:198-210. 3 Lenoir R. Les exclus, Editions du Seuil, Parigi 1974. 4 Sen AK. Inequality re - examinned, Il mulino (vers. italiana), Bologna 1992. 5 Brambilla A, Maciocco G. Le case della Salute, Carocci Faber ed., Firenze 2016. 6 Borsari M, Damen V, Mazzoli G. Una Casa per la salute della comunità, Agenzia sanitaria e sociale Regione Emilia Romagna, Bologna 2016. 7 Conclusioni Le nuove metriche utilizzate nell’esperienza Chiaravalle si ispirano essenzialmente a paradigmi nuovi che possono garantire lo sviluppo di strategie di vantaggio competitivo Giordani C, Spandonaro F. 11° Rapporto Sanità. L’universalismo diseguale, Università Tor Vergata, Roma 2015. 8