sviluppo economico, convergenza e istituzioni intermedie

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sviluppo economico, convergenza e istituzioni intermedie
Parole Chiave: Istituzioni, Sviluppo locale, Convergenza, Italia
Alessandro Arrighetti e Gilberto Seravalli
SVILUPPO ECONOMICO,
CONVERGENZA E ISTITUZIONI INTERMEDIE
WP 8/1998
Luglio 1998
1. Introduzione1
La teoria economica non possiede ancora modelli evoluti in grado di spiegare l'influenza delle
istituzioni sull'evoluzione delle economie locali e più in generale l’interazione tra sviluppo economico
e istituzioni (Musu, 1996). In parte questo ritardo deriva dalla scarsa rilevanza attribuita a questo
tema dalla teoria neoclassica della crescita. Se applicate allo studio delle differenze nei livelli di sviluppo locale, le ipotesi neoclassiche infatti prescrivono che, all’interno di uno stesso paese, debba
realizzarsi nel tempo una convergenza significativa dei livelli del reddito pro-capite regionale. La presenza di differenziali di reddito pro-capite viene ricondotta a difformi dotazioni di capitale riproducibile per addetto ereditate dal passato. Nell’ambito di un processo di unificazione nazionale, tali diversità possono essere considerate condizioni di squilibrio rispetto ai sentieri di crescita di lungo periodo. Poichè il percorso verso l’equilibrio dinamico sarebbe significativamente condizionato dai rendimenti decrescenti, nelle regioni ricche la maggiore dotazione di capitale sarebbe associata ad una sua
minore produttività marginale, e viceversa nelle regioni povere. Il tasso di crescita osservato nella
transizione da condizioni iniziali di squilibrio verso l’equilibrio dinamico sarebbe di conseguenza
maggiore nelle regioni povere e minore nelle regioni ricche e tutte tenderebbero, più o meno lentamente, allo stesso tasso di sviluppo di lungo periodo. La mobilità dei fattori produttivi darebbe luogo
ad un’accelerazione di questo processo di convergenza. Tale risultato sarebbe favorito anche dal fatto che le aree arretrate godono di un altro vantaggio rispetto a quelle avanzate e cioè che
l’imitazione delle innovazioni tecniche ed organizzative è meno costosa della loro scoperta e prima
introduzione.
In questo modo di vedere le istituzioni non hanno alcun ruolo specifico nei processi di sviluppo. Esse infatti sono concepite o come parte del complesso di circostanze storiche che sono alla base
della dotazione di capitale iniziale (infrastrutture e capitale umano) o come elementi che influiscono
nel corso dello sviluppo intervenendo esclusivamente sul funzionamento dei mercati. Nel primo caso
non vi sarebbe alcun bisogno di considerare in modo esplicito le istituzioni, una volta che si tenga
conto delle differenze iniziali del reddito e quindi della dotazione di capitali. Nel secondo avrebbero
rilevanza solo le istituzioni nazionali: le sole preposte alla eliminazione delle barriere di accesso alle
risorse e a tutelare la disciplina della concorrenza. Sentieri di sviluppo di lungo periodo potrebbero,
quindi, risultare diversi tra paesi, ma ben difficilmente tra regioni di uno stesso paese. Se non si concepiscono altre funzioni economiche delle istituzioni al di là della loro influenza sull’operare dei mercati, contano infatti le istituzioni nazionali, che facilitano gli scambi all’interno e mantengono barriere
più o meno elevate verso l’esterno.
Nella teoria della crescita endogena emergono, invece, indizi di un ruolo specifico attribuito alle istituzioni. Essa afferma che le aree ricche possono crescere permanentemente più delle aree povere (riducendo gli effetti di convergenza ovvero restringendoli a sottogruppi di aree) quando si verifi1
Il presente saggio costituisce una parziale revisione di un precedente contributo dal titolo "Sviluppo locale e istituzioni intermedie". Gli autori sono grati a Valerio Bassi e Michele Borghi per il contributo di idee e il paziente e accurato lavoro di raccolta e
di sistematizzazione dei dati statistici. Si ringraziano per i suggerimenti e ancora di più per le critiche Sebastiano Brusco, Vincenzo Dall'Aglio, Silvio Goglio, Alberto Guenzi, Luca Lanzalaco, Sergio Paba, Ida Regalia, Fabio Sforzi, Massimo Tamberi,
Giovanni Verga, Guglielmo Wolleb
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chino circostanze capaci di annullare per alcuni fattori accumulabili i rendimenti decrescenti o di dar
luogo a economie di scala. Tali circostanze sono individuate nel fatto che l’istruzione riproduce il
capitale umano a rendimenti costanti, che si hanno esternalità positive dovute a processi di apprendimento per esperienza, che sono cumulative le possibilità di incremento della varietà dei processi
produttivi sia dei beni finali che dei beni intermedi. In questi casi può essere previsto un ruolo delle
istituzioni anche a sostegno dello sviluppo locale, dal momento che le istituzioni possono essere concepite non più solo in funzione del mercato, ma anche per promuovere la diffusione e la qualità
dell’istruzione, per favorire l’apprendimento per esperienza, per estendere la divisione del lavoro tra
imprese e l’ampliamento della varietà delle produzioni. La teoria della crescita endogena ammette
pertanto la possibilità di un ruolo delle istituzioni nell'influenzare le traiettorie di lungo periodo dello
sviluppo locale, anche se non distingue tra effetti locali delle istituzioni centrali e interventi specifici
di istituzioni decentrate. Si tratta, comunque, solo di una possibilità non ancora adeguatamente esplorata. L’elaborazione di modelli di crescita endogena aperti è ai primi tentativi e la teoria rilevante
è ancora largamente riferita a sistemi economici chiusi. Non è chiaro così se l’accumulazione del capitale umano, dell’apprendimento per esperienza e dell'ampliamento della varietà dele produzioni
possano dar luogo a sentieri di sviluppo diversi anche in sistemi economici completamente aperti,
come è il caso delle regioni all’interno di uno stesso paese.
Allo scopo di approfondire questo tema, nel presente lavoro viene proposta una distinzione esplicita tra l'azione delle istituzioni centrali e di quelle decentrate e viene tentata una verifica dell'influenza delle due forme di regolazione sull'intensità e la traiettoria dello sviluppo delle economie locali. L'operazione è resa possibile dall'identificazione e introduzione nell'analisi di una nuovo livello di
regolazione situato funzionalmente tra lo stato centrale e le comunità locali e definito 'regolazione
istituzionale intermedia'. Le istituzioni intermedie sono costituite da organismi collettivi e sistemi di
regole2 finalizzati all’offerta localmente differenziata di beni pubblici ‘categoriali’, cioè destinati a
specifici soggetti o categorie di soggetti economici, con l’effetto di mutare i prezzi relativi di risorse
locali specifiche. Rientrano in questa categoria istituzionale, per esempio, le organizzazioni locali degli interessi, le amministrazioni pubbliche periferiche dello stato, le strutture educative, le organizzazioni consortili non temporanee e le norme esplicite o consuetudinarie che regolano i loro rapporti.
Questo livello istituzionale sembra abbia avuto un ruolo particolarmente rilevante in Italia (Arrighetti
e Seravalli 1997), mentre l’azione delle istituzioni centrali è risultata più incerta, meno coordinata e
meno efficace. Tale ‘modello’ istituzionale, debole al centro e relativamente più forte al livello locale,
sembra aver avuto un peso significativo nel consolidamento di una struttura industriale dualistica. In
2
Si mettono insieme, in questa definizione, due elementi, quello organizzativo e quello istituzionale, che invece vengono tenuti di
regola separati. Si distingue tradizionalmente tra organizzazioni ed istituzioni considerando le prime come coordinamento di
mezzi per uno scopo collettivo e le seconde come ‘regole del gioco’. “Istituzioni è il termine che gli economisti evoluzionisti (istituzionalisti) usano per indicare il comportamento costante, strutturato degli individui in una società e le idee e valori associati
a questa regolarità” (Hodgson, Samuels, Tool, 1994, p.402). Questa distinzione è sempre stata considerata importante per diverse ragioni. Dal punto di vista del cambiamento, le organizzazioni mutano più in fretta delle istituzioni. “La gente può essere in
grado di pianificare razionalmente una nuova organizzazione ... in breve tempo. Ma vi è consenso generale sul fatto che il processo di generazione delle norme e delle istituzioni può durare decadi o anche secoli; e che questo processo non è sotto il controllo di qualche persona o gruppo" (Acheson, 1994, p.25). In un’organizzazione, inoltre, è facile ed è prevista l’esclusione di
‘chi non ci sta’. Le regole esistono e funzionano, invece, in tanto in quanto sono ‘universalmente’ condivise e praticate. La distinzione è utile, infine, anche perchè permette di analizzare separatamente il soggetto e l’oggetto del cambiamento. Le organizzazioni, da questo punto di vista, possono essere considerate il soggetto che agisce per cambiare e le istituzioni possono essere
considerate ciò che le organizzazioni si propongono di cambiare. E’ una distinzione che separa, quindi, il fare (proprio delle organizzazioni) dal come fare (proprio delle istituzioni). Nel presente lavoro tale distinzione resta utile ma non è sufficiente. Come si cercherà di mostrare, una parte rilevante del fare (nell’ambito della produzione di beni pubblici) si colloca ad un livello intermedio nel quale non sono in grado di dare tutte le regole necessarie nè le istituzioni centrali (sinteticamente la legge) nè le istituzioni di base (sinteticamente la cultura), che sono le due grandi sponde istituzionali presenti nella tradizione. In questo livello intermedio, quindi, si producono nello stesso tempo sia il fare che il come fare. Per questa ragione vi è necessità di introdurre
un terzo elemento, che non è nè pura regola nè pura organizzazione, ma entrambe le due cose assieme. Si usa perciò in questo
senso il termine ‘soggetti o corpi istituzionali intermedi’, per brevità, ma con lo stesso significato, ‘istituzioni intermedie’.
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questo contesto istituzionale, il segmento delle piccole imprese, che ha fornito un contributo decisivo
all’estensione e al rafforzamento del sistema manifatturiero, non solo ha potuto crescere quantitativamente, ma ha potuto svilupparsi in forma autonoma, senza rilevanti fenomeni, altrove frequenti, di
marginalizzazione o, al contrario, di dipendenza dalle grandi imprese.
Tradurre queste considerazioni sul ruolo delle istituzioni in schemi verificabili empiricamente
non è una operazione né semplice né immediata. In termini esplorativi nel presente lavoro viene utilizzata l’equazione della convergenza incrementata con variabili istituzionali relative sia all'azione
delle istituzioni centrali che a quella delle istituzioni intermedie. Sulla base delle considerazioni svolte
in apertura è atteso che la verifica empirica mostri per l’Italia la significatività di proxy della presenza
e dell’azione delle istituzioni intermedie. Mentre è prevista una scarsa o almeno minore significatività
di variabili riguardanti l’impatto locale delle politiche centrali.
2. La convergenza
Nei lavori empirici sulla convergenza, di cui è ormai ricca la letteratura, è stato ottenuto un risultato (parametro pari a 0,02) che, per la sua ripetizione in periodi ed in paesi diversi, appare come una regolarità rilevante. L’equazione stimata della convergenza condizionale (cross-section) è la
seguente:
yi ,t
log
yi ,0
1 e t
a
log yi ,0 Si ,t ui ,0,t
t
t
(1)
Con y=reddito pro-capite ed S=variabili indipendenti destinate a cogliere le differenze territoriali di natura strutturale ed istituzionale, i(1... n) per le diverse aree territoriali, t=numero di periodi
cui si riferisce l’arco temporale considerato per il calcolo della crescita, =parametro di convergenza.
Il segno positivo assunto da beta nelle stime segnala un processo significativo di convergenza, che
emerge in modo generalizzato quando si tenga conto della significatività delle variabili S, le quali indicano, dunque, la maggiore o minore presenza nei vari contesti di sentieri di sviluppo differenti per
gruppi di paesi o regioni. In prima approssimazione, queste variabili possono essere sostituite da
dummy. Nel nostro caso l'introduzione di dummy ha lo scopo di accertare preliminarmente se e
quanto forte sia la convergenza condizionale (o, se del caso, assoluta).
Per avere stime corrette occorre tuttavia tener conto di diverse considerazioni. La prima riguarda il problema dell’ ‘errore nelle variabili’. Nel caso dell’equazione (1) il livello del reddito di
partenza riferito ad un solo anno (che figura tra le variabili indipendenti) rende tale problema certamente presente. Oltre a errori di stima o di rilevazione, il dato puntuale del reddito è improbabile che
costituisca una misura adeguata delle capacità produttive di partenza perchè può dipendere da circostanze congiunturali (Koutsoyiannis 1973; Romer 1989). Se ciò avviene le stime sono distorte ed
inefficienti. Una misura che si può ritenere utile per evitare questo problema è, nel nostro caso, quella che consiste nel considerare le condizioni iniziali come media del reddito pro-capite 1951-1963 e,
pertanto, la variabile dipendente come media dei tassi di crescita annui 1951-1994 e 1963-1994. Una
seconda considerazione riguarda l’opportunità di saggiare la robustezza dei risultati mediante il metodo suggerito da Levine e Renelt (1992). Una terza, infine, riguarda il problema della simultaneità,
certamente presente quando si opera tale controllo, e probabilmente presente in ogni modo quando si
introducono le variabili istituzionali. Sul problema della simultaneità si tornerà tra poco.
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Per le province italiane Cosci e Mattesini (1995) hanno già calcolato, sul periodo 1951-1990,
un valore del coefficiente pari a 0,011 che appare significativo (t=5,97; R2=0,39). L’aggiornamento
di questa stima, dal 1951 al 1994 con gli accorgimenti indicati per evitare il problema dell’errore nelle variabili (e correzioni nei dati per tener conto delle ultime statistiche Istat regionali - si veda in appendice), porta ad una stima pari a 0,009, (t=4,3, R2=0,23). Tale tasso di convergenza assoluta è
meno della metà di quello calcolato negli USA nello stesso periodo. Ma basta aggiungere una
dummy per le province meridionali, e il coefficiente sale assieme ai test di significatività3. Ciò conferma che il Nord ed il Sud del paese hanno seguito sentieri di crescita differenti4.
Tabella 1
Analisi di sensibilità dei coefficienti dell’equazione della crescita del reddito pro-capite delle province italiane 1951-1994 - dummy territoriali.
Parametri
t
Sud
t
R2a
Stima inferiore
0,0140
5,4
-0,0020
-3,4
0,47
Stima base
0,0216
5,8
-0,0072
-5,6
0,45
3. Il ruolo delle istituzioni centrali
Controllando per la convergenza e per la struttura produttiva iniziale5, il ruolo delle istituzioni
sullo sviluppo locale può essere presentato secondo due paradigmi nettamente differenti ed alternativi (nel senso che le variabili presenti nel primo non appaiono significative se aggiunte nel secondo). Il
primo comprende variabili che possono essere collegate all’azione delle istituzioni centrali, il secondo
a variabili che riguardano invece le istituzioni locali intermedie. Ciò che emerge è che il primo paradigma appare chiaramente inferiore al secondo. Ma non solo. Il primo paradigma sembra confermare
3
La dummy Sud assumme valore 0 per le province del Piemonte, Lombardia, Liguria, Trentino Alto
Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche; valore 1 per tutte
le altre. Nella colonna ‘Stima inferiore’ i valore dei coefficienti delle variabili esogene riportati sono
la differenza tra i valori stimati con la variabile interveniente e il doppio dell’errore standard della
stima. Le stime sono ottenute con il metodo generalizzato dei momenti previa determinazione della
variabile interveniente predetta quando non è possibile escludere che l’originaria sia endogena. E'
opportuno precisare che problemi di reperibilità e di comparabilità dei dati statistici hanno costretto a
limitare l'analisi a 87 province.
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Queste stime appaiono solide. Il controllo, suggerito da Levine e Renelt consiste nella determinazione, con variabili
intervenienti, di limiti minimi nella stima di in corrispondenza dei quali essa deve conservare il segno e restare statisticamente significativa per essere considerata robusta. Paci e Pigliaru (1995) hanno applicato questo metodo di controllo in uno studio sulla convergenza tra le regioni italiane (1970-1989) concludendo che il reddito pro-capite iniziale
non è una variabile robusta. Si possono così utilizzare le stesse variabili intervenienti, che essi hanno trovato in grado
di depotenziare la stima di , per vedere se anche al livello provinciale e su un periodo di tempo più lungo abbiano lo
stesso effetto. La variabile interveniente da noi usata in questa come nelle successive equazioni, che è risultata sempre
altamente significativa, è il logaritmo del rapporto tra specializzazione manifatturiera 1991 e specializzazione manifatturiera 1951. Per la possibile determinazione simultanea della crescita economica e di tale cambiamento della specializzazione settoriale, è necessario utilizzare metodi di stima indiretti e modelli marginali. I risultati sono esposti
nella tabella 1. La stima della convergenza beta emerge robusta considerando il più lungo periodo 1951-1994.
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E’ stata utilizzata a questo scopo una variabile di controllo (FAC) relativa alla composizione della struttura produttiva 1951 (si veda in appendice per le modalità di calcolo). L’inserimento di questa variabile è giustificata dalla necessità di evitare il rischio che le altre variabili indipendenti inserite nelle equazioni possano cogliere non genuini
elementi istituzionali, ma condizioni tecniche e organizzative.
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che in Italia le istituzioni centrali hanno avuto un ruolo poco rilevante e anzi in alcuni casi negativo.
Delle cinque variabili indipendenti direttamente o indirettamente collegate all'azione delle istituzioni
centrali, appaiono significative infatti solo due (vedi Tab. 2). Ma una di esse assume segno contrario
alle attese. L'indice di diffusione dell'istruzione superiore (SUP) assume, infatti, segno negativo nella
stima base, ossia opposto a quello normalmente atteso in considerazione del ruolo propulsivo previsto dall'accumulazione di capitale umano. Gli aiuti all’industria nella forma di contributi a fondo perduto disposti dalla Cassa per il Mezzogiorno nel periodo 1972-1981 (CMEZ), gli aiuti dello stato
all’industria al netto di quelli distribuiti dalla Cassa per il Mezzogiorno (AIND) e il livello di infrastrutturazione economica normalizzato per la specializzazione manifatturiera (INFEC/MN91) non
risultano significative neppure nelle stime base.
Tabella 2
Analisi di sensibilità dei coefficienti dell’equazione della crescita del reddito pro-capite delle province italiane 1951-1994 - istituzioni centrali6.
Parametri
t
SUP
t
AAGR
t
AIND
t
CMEZ
t
INFEC/MN91
t
FAC
t
R2 a
Stima inferiore
0,0057
3,6
-0,0002
-3,9
9,92E-05
3,2
NS
Stima base
0,0112
4,9
-0,0004
-4,2
0,0003
3,4
NS
NS
NS
NS
NS
2,73E-04
2,5
0,53
0,0014
2,5
0,54
Questi risultati appaiono congruenti con la nostra ipotesi non essendo significative o perfino
con il segno diverso dalle attese numerose variabili che riguardano l’impatto locale degli interventi
promossi dalle istituzioni centrali.
Un secondo paradigma associato al ruolo delle istituzioni intermedie sembra avere una capacità
interpretativa nettamente migliore. Prima però di poter considerare questi risultati alternativi è necessario seguire un percorso preliminare utile alla determinazione delle variabili indipendenti di natura
istituzionale in grado di incorporare l’idea secondo cui la differenziazione locale significativa è data
da sistemi o modelli istituzionali locali.
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La scelta di periodi di riferimento per queste variabili spostati per quanto possibile indietro nel tempo è stata fatta per evitare
problemi di simultaneità che, tuttavia, non possono essere del tutto esclusi neppure in questo modo. Il metodo di stima perciò è
sempre a due stadi con variabili strumentali, come è suggerito dalla prassi sempre più frequente nei lavori cross-country (Brunetti 1997) e come è raccomandabile giuste le considerazioni di vari critici dei metodi più tradizionali (si veda per esempio
Mauro, 1995). Si è usato il metodo generalizzato dei momenti che nell’analisi sezionale è particolarmente consigliabile in quanto non richiede ipotesi restrittive in merito alla correlazione dei residui ed è quindi efficiente contro l’eteroschedasticità (Hamilton, 1994, cap.14).
6
4. Per una geografia delle istituzioni intermedie in Italia
Ogni cambiamento nella struttura del sistema economico altera l'allocazione delle risorse e modifica i prezzi relativi dei fattori della produzione. In relazione alle caratteristiche del sistema produttivo, alcune risorse diventano quindi più scarse o relativamente più costose di altre ed emergono fenomeni di razionamento. Spesso la scarsità riguarda risorse con una forte connotazione territoriale
(per esempio specifiche competenze professionali legate ai settori nei quali cresce la specializzazione), oppure risorse riproducibili solo localmente perchè legate all'apprendimento o all'innovazione
interorganizzativa o, infine, beni pubblici legati all'assetto e destinazione del capitale fisso sociale
come il sistema viario, le infrastrutture localizzative e l'uso del suolo. Oltre che dalle caratteristiche
del sistema produttivo locale, le risorse che il cambiamento economico e sociale rende scarse saranno
differenziate anche in funzione della durata e velocità del cambiamento stesso. Si assisterà quindi ad
una progressiva estensione del razionamento che potrà interessare una gamma sempre più ampia di
fattori.
Le conseguenze saranno duplici. Da un lato, si amplierà la varietà delle traiettorie di sviluppo
locale perchè la scarsità dei fattori specifici potrà indebolire o annullare i vantaggi relativi collegati al
sentiero di crescita tradizionale. Dall’altro lo sviluppo risulterà sempre più dipendente dalle modalità
e dalla rapidità con cui singoli mercati e le istituzioni provvederanno ad attenuare i problemi di razionamento degli input più scarsi. In questo senso si osserva che il mercato e le istituzioni centrali possono accentuare la mobilità e l'offerta di beni con caratteristiche di fungibilità o di universalità (capitali, ricerca di base, istruzione), ma non sono in grado di intervenire efficacemente sulla disponibilità
di risorse che presentano una marcata specificità locale. E’ nel caso in cui il vincolo allo sviluppo sia
rappresentato dalla scarsità di tali beni, quindi, che il ruolo delle istituzioni intermedie diviene particolarmente rilevante.
Infatti, nel campo dei beni pubblici caratterizzati sia da forti elementi di indivisibilità e di discontinuità dell’offerta, che da elevata differenziazione e connotazione locale, il superamento di fenomeni di scarsità può essere affidato esclusivamente o prevalentemente all'azione delle istituzioni
intermedie, che operano su una dimensione territoriale più ridotta rispetto a quelle centrali e che sono in grado di offrire beni categoriali (non universali). Esempi di tali beni sono la formazione professionale, i servizi informativi, le infrastrutture economiche e civili e l'offerta di incentivi alla cooperazione tra imprese.
La configurazione e l'articolazione delle istituzioni intermedie non sono neutrali rispetto al superamento dei limiti di offerta di beni pubblici specifici: le istituzioni intermedie, per loro natura, tendono ad operare una selezione dei beni pubblici da immettere nel sistema locale. Possono essere individuati almeno tre ordini di motivi che sono alla base della parzialità e quindi della selettività dell'intervento delle istituzioni intermedie. La prima consegue direttamente dal fatto che tanto più intenso è
il cambiamento economico, tanto più ampia è la gamma dei beni pubblici categoriali che vengono
richiesti e quindi più difficile l'adeguamento dell'offerta all'intera gamma della domanda. In secondo
luogo la produzione di beni pubblici è condizionata da vincoli e inerzie organizzative che, del resto,
non sono sconosciuti neppure nella produzione di beni privati. E’ possibile quindi che in alcune fasi
storiche le strutture amministrative e gestionali a disposizione delle istituzioni locali consentano interventi in alcuni campi ma non in altri. Il consolidamento delle istituzioni locali segue, infine, percorsi in misura significativa indipendenti dall'evoluzione della struttura economica. Le istituzioni rispondono ad esigenze di regolazione che interessano settori della vita sociale più vasti e quindi possono
non essere in grado di soddisfare completamente la domanda di beni pubblici proveniente dalla struttura produttiva, o perchè non hanno le risorse sufficienti o anche solo perchè non hanno le competenze o le strutture gestionali ed amministrative necessarie.
7
Gli effetti più rilevanti della selettività dell’azione delle istituzioni intermedie si ripercuotono
come vincoli e condizionamenti imposti alla traiettoria di sviluppo dell’economia locale. Il cambiamento istituzionale è infatti di regola più lento del cambiamento economico. Le modifiche che le istituzioni sono capaci di imprimere all'allocazione delle risorse e ai prezzi relativi restano perciò orientate a lungo nella stessa direzione. Ciò riduce il numero delle alternative percorribili e favorisce l'affermarsi di specializzazioni produttive, dimensionali e tecnologiche del sistema economico. L’offerta
selettiva di beni pubblici, inoltre, attenuando vincoli alla crescita e diminuendo i costi di aggiustamento della struttura produttiva, accelera lo sviluppo locale e depotenzia almeno in parte gli effetti dei
rendimenti decrescenti nelle aree più ricche, mentre li amplifica in quelle più povere.
Un terzo elemento, insieme alla selettività e alla durata, caratterizza l'intervento delle istituzioni
intermedie ed è la loro differenziazione territoriale. L'emergere di un particolare assetto delle istituzioni intermedie è il risultato di processi cumulativi di lungo periodo. Essi hanno le loro radici storiche nelle specificità culturali, nelle tradizioni e nelle forme assunte dall'azione collettiva in una determinata comunità. La conseguenza è che comunità diverse per storia, organizzazione sociale e struttura economica tendono ad essere diverse anche per le forme di regolazione istituzionale adottate. La
varietà degli assetti istituzionali si traduce quindi in una molteplicità di modelli di sviluppo locale, che
tende ad essere tanto più articolata quanto più intensa ed estesa è l’istituzionalizzazione dei sistemi
locali.
La verifica empirica di questo schema interpretativo e del ruolo assunto dalle istituzioni intermedie nello sviluppo delle diverse aree del paese è solo agli inizi e questo lavoro è un tentativo in tale
direzione. L'obiettivo, in questa fase esplorativa, è di individuare e descrivere i contorni di una geografia degli assetti delle istituzioni intermedie in Italia con riferimento agli anni che hanno preceduto
l'affermazione del modello di industrializzazione diffusa. A questo scopo si sono cercate proxy della
struttura e dell'azione istituzionale intermedia relative agli anni Cinquanta e Sessanta. In mancanza di
informazioni più disaggregate e per problemi di omogeneità delle informazioni è stato scelto di utilizzare la provincia come unità di indagine territoriale7.
Le variabili utilizzate appartengono a tre categorie (cfr. l’appendice per una descrizione dettagliata). La prima raccoglie proxy delle caratteristiche, dell'azione e per alcuni versi del radicamento
delle istituzioni economiche e degli enti locali. Comprende infatti indicatori della diffusione e della
rilevanza del sistema delle banche locali (BP), dell'offerta di istruzione tecnica in eccesso rispetto al
livello di industrializzazione dell'area (RTEC), della propensione dei comuni della singola provincia a
investire in istruzione e opere pubbliche (SPESAPRO), della tradizione di autonomia politica e amministrativa (TOM), dell'età e delle capacità relazionali e promozionali delle camere di commercio
(FACAM). La seconda categoria di indicatori misura la propensione all'azione collettiva delle organizzazioni economiche e comprende variabili come il tasso di adesione alla Confindustria (CONF), il
tasso di adesione alle associazioni artigiane (ART70), la partecipazione alle elezioni delle commissioni provinciali dell’artigianato (VOTALB70), la propensione da parte delle imprese commerciali alla
creazione di consorzi di acquisto (GRUPPI). La terza segnala l'orientamento della comunità civile ed
economica verso l'associazionismo ed è costituita da tre variabili quali il grado assoluto di associazionismo (ASSOC), la rilevanza dell'associazionismo economico e tecnico (ASSOECO) e di quello
culturale (ASSCULT).
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A causa dell’incompletezza delle informazioni, come per le stime illustrate in precedenza, anche in questo caso le regioni Friuli
Venezia Giulia, Molise e Sardegna sono state considerate nel loro insieme (in queste regioni sono nate nuove province per le
quali non è stato possibile ricostruire gli specifici dati riferiti agli anni precedenti la loro formazione). Nella Fig. 1 le province di
queste regioni sono state di necessità classificate tutte nello stesso modo sulla base del risultato regionale. Tuttavia la provincia
di Trieste è stata collocata nel cluster 1 (se ne veda la definizione che verrà data tra poco), a differenza del resto della regione
Friuli Venezia Giulia, e questo sulla base di informazioni specifiche che, seppure parziali, hanno consigliato tale distinzione.
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Queste variabili sono state impiegate come base informativa per una procedura di clustering a
centroidi non prefissati. Lo scopo dell'analisi è l'individuazione di gruppi di province con caratteristiche istituzionali simili. La metodologia prescelta consente di verificare due delle ipotesi prima illustrate, e cioè l'esistenza di assetti istituzionali marcatamente differenziati sul piano territoriale e la
presenza di aree con gradi diversi di consolidamento e operatività delle istituzioni intermedie.
Il raggruppamento più efficiente in termini di massimizzazione della distanza euclidea tra i diversi centroidi è risultato coincidere con l'individuazione di quattro cluster. I risultati dell’analisi (vedi Tab.3-4 e Fig. 1) mettono in evidenza l’elevata omogeneità istituzionale delle province del Sud e,
invece, la sostanziale differenziazione delle strutture istituzionali del Centro-Nord. Mentre, infatti, le
province meridionali appartengono, con una sola eccezione, ad un unico gruppo (cluster 3), le aree
del Centro Nord presentano una morfologia più articolata e sono classificate in tre cluster diversi
(1,2,4) con la presenza di alcune province del Nord nel cluster 3 tipico di quelle meridionali (Imperia,
Massa Carrara e Lucca). Si può quindi osservare che al dualismo economico Nord-Sud corrisponde,
già a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, un altrettanto marcato dualismo istituzionale. Si nota
inoltre che nel Nord la consueta ripartizione Est-Ovest non appare significativa e che i caratteri istituzionali delle province settentrionali si estendono a gran parte delle province del Centro. Di conseguenza sfumano sul piano delle configurazioni istituzionali le demarcazioni tradizionali Nord-Centro
oltre che Nord-Ovest e Nord-Est.
Passando all'esame delle specificità dei singoli cluster (vedi Fig. 2), si osserva che il Mezzogiorno non si distingue dal Nord solo in termini di maggiore omogeneità, ma per la minore intensità
dell'azione delle istituzioni intermedie. Tale intensità è colta, in questa prima approssimazione, dal
livello assunto dalle variabili impiegate nell’elaborazione dei cluster. Il cluster 3, che connota le province meridionali, è infatti caratterizzato da valori molto bassi (per 10 delle 12 variabili considerate,
addirittura dai valori minimi) degli indicatori analizzati. Il modello istituzionale diffuso nell'Italia meridionale si caratterizza così per la limitatezza o assenza di forme significative di regolazione intermedia sia sul piano dell'intervento degli enti economici locali che su quello legato
all’associazionismo.
Nel Centro-Nord, invece, il modello corrispondente al cluster 1, che presenta la maggiore diffusione in parte delle aree di più antica industrializazione del Piemonte, Lombardia e Veneto, è caratterizzato da un forte legame tra azione automa degli enti locali (SPESAPRO), delle istituzioni economiche locali (FACAM) e della rappresentanza degli interessi delle imprese di maggiori dimensioni
(CONF), con un modesto rilievo dell'associazionismo visto nel suo complesso e di quello economico
(ASSOC, ASSOECO), ma con una significativa eccezione per quello culturale (ASSCULT). L'interazione istituzionale in questo modello appare diretta, negli anni Cinquanta e Sessanta, attraverso un
processo di concertazione marcatamente oligopolistico e limitato ad un numero circoscritto di attori
istituzionali, alla selezione di obiettivi di governo e di riassetto del territorio e di sostegno
dell’economia mediante beni pubblici infrastrutturali.
Il cluster 2, a cui appartengono le province emiliane, trentine e parte di quelle venete e toscane,
denota un modello molto differente e più articolato nelle diverse componenti istituzionali, con una
presenza di soggetti relativamente più equilibrata. Si notano però la rilevanza dell'associazionismo
artigiano (ART70 e VOTALB70) e il modesto tasso di adesione alla Confindustria (CONF). Banche
locali, istituzioni economiche ed enti locali appaiono sufficientemente attivi e integrati da far ritenere
che l’esito della loro interazione sia stato alla base del rafforzamento dei processi di industrializzazione diffusa e abbia favorito la creazione di esternalità positive per le imprese di minori dimensioni.
Una conferma di questa impressione è rintracciabile nell’assoluto rilievo che vi assume la formazione
9
tecnica (RTEC), la quale appare come la più esplicita e forse la più marcata scelta selettiva attuata in
questo modello istituzionale.
Tabella 3
Cluster e valori dei centroidi finali (variabili standardizzate)
cluster 1 cluster 2 cluster 3 cluster 4
Numero casi
16
21
34
17
BP
0,26
0,21
-0,69
0,88
RTEC
0,08
0,76
-0,60
0,22
SPESAPRO
-0,56
-0,26
0,60
-0,37
TOM
0,63
0,90
0,21
0,76
FACAM
1,28
0,05
-0,53
-0,22
CONF
0,65
-0,37
-0,31
0,37
ART70
-0,08
1,56
-0,64
-0,47
VOTALB70
-0,12
1,13
-0,32
-0,58
GRUPPI
0,97
0,78
-0,73
-0,42
ASSOC
0,05
0,36
-0,54
0,18
ASSOECO
-0,12
0,24
-0,51
0,79
ASSCULT
0,39
0,28
-0,57
0,12
Il cluster 4 presenta un modello ancora diverso. La debolezza relativa delle istituzioni e degli
enti locali e in certa misura anche delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi imprenditoriali, sembra essere compensata dal ruolo dominante dall'associazionismo economico (ASSOECO) e dal
sistema delle banche locali (BP). Questo modello è caratteristico delle aree più periferiche del Nord e
del Centro e appare coerente con la valorizzazione e conservazione di forme tradizionalmente molto
radicate di localismo economico. In questi contesti l'intervento istituzionale, pure circoscritto, non è
irrilevante. L'intreccio associazionismo economico-banche locali è in grado, superando barriere informative e fiduciarie molto rilevanti in altre aree, di incanalare il risparmio e le risorse finanziarie
locali verso gli impieghi più promettenti e di sviluppare un circuito creditizio breve particolarmente
efficiente.
Due osservazioni a conclusione di questa parte del lavoro. In primo luogo, sembra emergere
una conferma del carattere selettivo dell’azione delle istituzioni locali, quando essa è rilevante e sufficientemente ampia. Nel cluster 1 la selettività dell’intervento si concretizza nell’orientamento delle
amministrazioni comunali volto a privilegiare nei loro bilanci più le spese per opere pubbliche che le
spese correnti generali, dietro cui si percepisce un’attenzione particolare al governo del territorio e
alla predisposizione e manutenzione delle infrastrutture locali. Nel cluster 2 è chiara invece la particolare attenzione alla formazione tecnica e professionale. Nel cluster 4, infine, alla raccolta e
all’impiego del risparmio. In secondo luogo, si ha anche la conferma che queste tre diverse scelte
strategiche appaiono coerenti con l’architettura stessa del sistema istituzionale locale: con il suo carattere oligopolistico nel primo cluster, pluralista nel secondo e polarizzato nel quarto (vedi Fig. 2).
10
Tabella 4
Analisi della varianza dei risultati della procedura di clustering (variabili standardizzate)
Cluster errors
Mean
Square
df
Mean
Square
df
F
Sig.
BP
10,481
3
0,668
83
15,696
0,000
RTEC
8,158
3
0,741
83
11,005
0,000
SPESAPRO
7,077
3
0,780
83
9,069
0,000
TOM
2,450
3
0,171
83
14,352
0,000
FACAM
12,105
3
0,611
83
19,824
0,000
CONF
4,947
3
0,856
83
5,778
0,001
ART70
22,102
3
0,237
83
93,153
0,000
VOTALB70
11,566
3
0,618
83
18,712
0,000
GRUPPI
15,949
3
0,465
83
34,287
0,000
ASSOC
4,188
3
0,280
83
14,962
0,000
ASSOECO
6,938
3
0,786
83
8,832
0,000
ASSCULT
4,956
3
0,532
83
9,312
0,000
Allo scopo di misurare l’impatto dei diversi modelli istituzionali sullo sviluppo locale, i singoli cluster
- ricodificati in variabili dummy - sono stati inseriti nella stima dell’equazione della convergenza. Nel
seguente paragrafo vengono presentati i risultati di tale elaborazione.
5. Il ruolo delle istituzioni intermedie
La specificazione dell’equazione della convergenza, aumentata con le variabili che si riferiscono ai modelli istituzionali appena descritti, include tra i regressori anche una variabile di controllo
(FAC) relativa alla struttura produttiva iniziale. I quattro cluster sono indicati dalle dummy C1, C2,
C3, C4. Gli strumenti esogeni sempre utilizzati, oltre alle variabili dell’equazione e alla variabile aggiunta (cambiamento della specializzazione manifatturiera 1951-91) per il controllo di robustezza,
sono la costante e SUP (istruzione superiore 1951).
Come si vede nella Tab. 5, controllando per la convergenza e per la struttura produttiva originaria, le variabili che distinguono i sistemi istituzionali locali risultano significative ad eccezione di
quella per il Sud (che non viene presentata nella tabella). Nel complesso i risultati appaiono chiaramente migliori di quelli ottenuti con riferimento al primo paradigma. Infatti, anche senza tener conto
di altri test statistici, non solo l’R quadro aggiustato è più elevato, ma soprattutto la stima del parametro di convergenza (condizionale) è del tutto in linea con i risultati ottenuti in altri paesi. Occorre
ribadire che, se aggiunte in questa equazione, sono risultate o non robuste o con segno contrario alle
attese tutte le variabili indicate in precedenza attinenti l’azione diretta o indiretta delle istituzioni centrali8 ( ad eccezione di AAGR).
8
La correlazione con il reddito iniziale (V) delle variabili dummy dei cluster è: C1 0,44; C2 0,26; C3 -0,71; C4 0,16.
11
Figura 1
Distribuzione territoriale dei cluster
cluster 1 (17)
cluster 2 (23)
cluster 3 (40)
cluster 4 (23)
Figura 2
Centroidi finali dei cluster
BP
ASSCULT
RTEC
ASSOECO
SPESAPRO
ASSOC
TOM
GRUPPI
FACAM
VOTALB70
CONF
ART70
cluster 1
cluster 2
cluster 3
cluster 4
12
Tabella 5
Analisi di sensibilità dei coefficienti dell’equazione della crescita del reddito pro-capite delle province italiane 1951-1994 - istituzioni locali intermedie.
Parametri
t
Stima inferiore
0,0238
6,5
Stima base
0,0316
6,6
C1
t
0,0026
3,8
0,0082
6,2
C2
t
0,0041
5,4
0,0081
6,9
C4
t
0,0025
3,9
0,0066
5,5
FAC
t
5,89E-04
3,3
0,0015
2,8
R2a
0,57
0,54
E’ ulteriormente significativo il confronto tra questi risultati e quelli che si ottengono con
dummy riferite alla tradizionale divisione territoriale tra Nord-Ovest e Nord-Est (vedi tabella 6). Le
variabili dummy per il Nord-Ovest ed il Nord-Est risultano deboli, tanto che al limite inferiore delle
stime i coefficienti, risultano non significative.
Le province italiane hanno quindi vissuto processi di crescita economica che le hanno portate a
convergere (quelle che avevano redditi pro-capite di partenza bassi hanno avuto tassi di crescita elevati e viceversa), ma questo è avvenuto verso sentieri di sviluppo di lungo periodo differenziati. Queste aree di convergenza, tuttavia, non comprendono solo province contigue, se non nel caso del
Mezzogiorno. Al Nord la divisione è più complessa rispetto al taglio verticale Nord-Ovest e NordEst. Acquista senso una diversa suddivisione che si basa sulle omogeneità e sulle differenze delle istituzioni locali originarie. Da questo punto di vista sembra emergere una certa continuità orizzontale
che va dal Piemonte a Trieste (cluster 1) ed un blocco centro-settentrionale che va dall’EmiliaRomagna a parte della Toscana e delle Marche (cluster 2). Ma in entrambi questi due ambiti, ai margini ma anche al loro interno, vi sono aree differenti (cluster 4) e perfino alcune aree (Imperia, Massa
Carrara e Lucca) simili piuttosto al Mezzogiorno.
Sulla base di questi risultati si può quindi osservare che:
1. Le differenze nella morfologia delle istituzioni intermedie hanno avuto nel Nord un impatto positivo sullo sviluppo delle economie locali e tendenzialmente hanno accentuato l’originaria disomogeneità strutturale. Emergerebbe perciò una conferma di ipotesi già formulate (Musu 1996) secondo cui è importante ai fini dello sviluppo un’aderenza delle istituzioni formali alle istituzioni
informali, di base (i valori, la cultura), che sono per loro natura differenziate9.
9
Un punto rilevante a questo proposito deve essere sottolineato. Questa conclusione circa l’importanza ai fini dello sviluppo di una
aderenza delle istituzioni locali formali ed informali non può essere intesa nel senso di rendere perciò sfumata o perfino super-
13
Tabella 6
Risultati della stima dell’equazione della crescita del reddito pro-capite delle province italiane
1951-1994 con dummy per i differenti sistemi istituzionali locali, per il Nord-Ovest ed il Nord-Est
Parametri
t
Stima inferiore
0,0258
5,3
Stima base
0,0428
4,9
C1
t
0,0019
3,2
0,0064
4,8
C2
t
0,0032
4,2
0,0067
4,8
C4
t
0,0025
3,8
0,0060
5,0
NO
t
NS
0.0045
3,1
NE
t
NS
0,0030
2,3
FAC
t
6,83E-04
3,5
0,0015
2,9
R2a
0,57
0,56
2. Se questo è vero al Centro-Nord, non lo è al Sud. All’interno del Mezzogiorno, mentre esistono
percorsi di sviluppo plurimi, le istituzioni locali sono invece molto più omogenee nella loro inefficienza. Ciò sembra in linea con tesi note secondo cui una politica centrale prevalentemente assistenziale ha debilitato la capacità operativa delle istituzioni locali. Le connessioni empiriche tra
crescita e ruolo delle istituzioni conferma che lo sviluppo economico italiano è stato un processo
dal basso, quando c’è stato, mentre sono in gran parte falliti i tentativi di produrlo dall’alto. Questi tentativi non solo non hanno avuto risultati, ma ne hanno spesso minato le basi, rendendo omogenee istituzioni intermedie formali e accentuando così la loro distanza dalle istituzioni informali.
3. Oltre ai sistemi istituzionali, sembrano avere una influenza sullo sviluppo le caratteristiche del sistema produttivo originario (FAC), in particolare la presenza di un consistente settore del commercio all’ingrosso e la completezza della struttura settoriale negli anni Cinquanta.
4. Considerate le differenze dei sistemi istituzionali locali e della struttura produttiva originaria, è
confermata la forza dei rendimenti decrescenti, della mobilità dei fattori e delle innovazioni tecniflua la dimensione istituzionale ‘intermedia’ a vantaggio dell’esclusiva centralità delle istituzioni ‘di base’ largamente informali.
Non si deve infatti dimenticare che le istituzioni intermedie hanno forti connotati amministrativi e perciò i loro confini sono in
genere più ampi e spesso non coincidenti con quelli delle identità locali di base più profonde e radicate. La constatazione che le
istituzioni intermedie contano, perciò, sottolinea la loro importanza, si direbbe, proprio nel senso che esse permettono un adeguato equilibrio tra identità locali profonde e dimensioni amministrative e politiche, ancora locali, ma più aperte e più ampie.
14
che che hanno preso la forma di un processo di convergenza condizionale significativo, simile per
intensità a quello che si è realizzato negli altri paesi industrializzati.
6. Conclusioni
Michael Storper (1997) ha scritto recentemente : “... regole, istituzioni e strutture di azione
sono sempre state importanti. Ma esse erano considerate essenzialmente come imperfezioni del capitalismo moderno, riassunte nell’espressione ‘stato contro mercato’. Da alcuni erano viste come forze
non-economiche o pre-moderne che non consentivano al capitalismo di svilupparsi compiutamente,
da altri come un freno, socialmente necessario, alle tendenze rapaci del mercato. ... In Occidente (invece), il trionfo del capitalismo - ironia della sorte - non si è compiuto attraverso la generalizzazione
di mercati anonimi, standard, perfetti; esso, piuttosto, è coinciso con un nuovo grande avanzamento
... della diffusa varietà all’interno di ciascuno degli stessi sistemi economici. Sotto molti aspetti, i
mercati capitalistici sono ora più intrecciati che mai con forze non-mercantili e ricevono impulsi dalla
‘società civile’” (p.9). La ricerca qui presentata sembra raggiungere risultati del tutto in linea con
questo scenario. La varietà degli intrecci locali tra sistemi istituzionali e processi di crescita economica emerge come la cifra propria dello sviluppo, mentre l’omogeneità istituzionale appare piuttosto
propria del sottosviluppo. Tutto il contrario - cioè e appunto - di quanto poteva essere atteso sulla
base della teoria economica ortodossa.
Emerge una nuova ragione per comprendere la persistenza ed il valore della dimensione territoriale. Nell’ambito dell’economia eterodossa, i sistemi locali sono generalmente visti come circoscritti
da confini persistenti (e quindi come sistemi differenziati), anche quando le tecnologie e le organizzazioni sono in grado di superare tali barriere. I risultati delle verifiche appena illustrate indicano che,
accanto alle istituzioni di base, sono rilevanti anche istituzioni locali intermedie. Queste evidenziano
caratteri quasi esclusivamente formali (contro la frequente informalità delle istituzioni di base), sono
definite e definiscono confini amministrativi che non coincidono necessariamente con quelli delle comunità locali e soprattutto sono in grado di esprimere un’offerta selettiva di beni pubblici differenziati. Esaminando il ruolo di tali istituzioni intermedie si può provare empiricamente quanto asserito dalla teoria eterodossa secondo cui la differenziazione dei sistemi locali è propria dello sviluppo e
l’omogeneità è, se mai, propria del sottosviluppo.
15
APPENDICE
Il valore aggiunto provinciale
Non sono disponibili stime ufficiali del valore aggiunto provinciale. L’Istat aggiorna periodicamente solo la
contabilità economica regionale ed attualmente sono disponibili i dati annuali a prezzi correnti e a prezzi 1990
per il periodo 1980-1994. L’Istituto Tagliacarne cura da tempo una stima del valore aggiunto provinciale a
prezzi correnti e costanti e su tale base è ricostruibile10 il tasso di crescita in termini reali del valore aggiunto
pro-capite dal 1951 al 1990 per intervalli decennali. Per il 1951 ed il 1963 si ha quindi solo la stima Tagliacarne e come tale viene assunta. E’ poi possibile, aggregando i dati provinciali moltiplicati per la popolazione,
fare un confronto tra stime Istat e Tagliacarne del valore aggiunto regionale a prezzi costanti 1990. Come si
vede nella figura seguente, le discrepanze esistono, ma non superano in media il 5% nel 1980 e l’8% nel 1990.
Dal momento che l’Istituto Tagliacarne ha rivisto molte volte i suoi metodi indiretti di stima e siccome anche
l’Istat ha più volte introdotto discontinuità nelle proprie serie, non è applicabile il principio secondo cui è preferibile utilizzare sempre la stessa fonte. Nel nostro caso è probabilmente più utile integrarle. E’ quanto si è
fatto sostituendo i totali regionali Istat 1980 e 1990 a quelli Tagliacarne e utilizzando le quote provinciali Tagliacarne per ripartire nelle province il valore aggiunto stimato dall’Istat. In tal modo, il tasso di crescita del
valore aggiunto pro-capite in termini reali fino al 1990 è il risultato dei tassi di crescita Tagliacarne 1951-80, e
dei tassi di crescita Istat-Tagliacarne per il decennio 1980-90. Per giungere ai dati provinciali 1994 si è fatto
lo stesso, dopo aver completato la serie ricostruita da Cosci e Mattesini.
Figura A.1
Rapporti tra dati Istat e Tagliacarne del valore aggiunto pro-capite 1980 (I/T va80)
e 1990 (I/T va90) per regioni, prezzi costanti 1990
1,19
1,14
1,09
1,04
I/T va80
10
Media
Sardegna
Sicilia
Calabria
Basilicata
Puglia
Campania
Molise
Abruzzo
Lazio
Marche
Umbria
Toscana
Emilia-R
Liguria
Friuli
Veneto
Trentino A.A.
Lombardia
V.Aosta
0,94
Piemonte
0,99
I/T va90
Ciò è stato fatto da Cosci e Mattesini (1995) dal cui lavoro sono stati tratti i dati di base per le successive elaborazioni e completamenti.
16
Le variabili utilizzate
3. AAGR = agevolazioni finanziarie dello Stato all'agricoltura (migliaia di lire costanti per ettaro di SAU).
Le agevolazioni sono relative al periodo 1972-1981 e gli ettari di superficie agraria coltivata sono quelli
rilevati dai Censimenti dell’Agricoltura del 1970 e del 1982. Per agevolazioni si intende valore attuale della differenza tra rata di ammortamento di un mutuo ordinario e rata del mutuo agevolato sia di miglioramento che di esercizio (Seravalli, 1984).
4. AIND = agevolazioni finanziarie dello stato all'industria (migliaia di lire costanti per addetto). Le agevolazioni sono relative al periodo 1972-1981 e gli addetti (in unità locali) sono quelli rilevati dai Censimenti
dell’Industria e Commercio del 1971 e del 1981. Per agevolazioni si intende valore attuale della differenza
tra rata di ammortamento di un mutuo ordinario e rata del mutuo agevolato (Seravalli 1984).
5. ART70 = densità associativa degli artigiani nel 1970, come rapporto tra gli artigiani iscritti alle diverse
associazioni nel 1970 e numero di imprese iscritte all’Albo delle imprese artigiane nello stesso anno. La ricostruzione del numero di artigiani iscritti all’Albo è stata fatta sulla base di informazioni disponibili presso le sedi nazionali delle Associazioni controllate con dati Artigiancassa. Più difficile è stata invece la ricostruzione del numero di artigiani associati. Queste informazioni sono disponibili solo per anni molto recenti. Una stima è stata elaborata sulla base dei risultati delle elezioni per le Commissioni Provinciali
dell’Artigianato nel 1970, che sono stati messi a disposizione gentilmente dal signor Adriano Calabrini curatore dell’Archivio Storico “Giorgio Coppa” della sede centrale della Confederazione Nazionale
dell’Artigianato con sede in Roma. In tale archivio sono stati reperiti gli iscritti alla CNA nel 1970, i voti
avuti dalle liste CNA ed i totale dei voti validi espressi. Si è ipotizzato che fosse, provincia per provincia,
uguale per tutte le organizzazioni artigiane la percentuale di iscritti sui voti ottenuti dalle liste CNA, ricavando in questo modo una stima delle iscritti a tutte le organizzazioni.
6. ASSCULT = numero medio di associazioni a carattere culturale esistenti nel 1982 (Mortara, 1985) ogni
100000 abitanti (ISTAT, Censimento generale della Popolazione del 1981).
7. ASSOC = numero medio di associazioni (escluse le associazioni di carattere sportivo, quelle di rappresentanza di interessi e le pro loco) esistenti nel 1982 (Mortara, 1985) ogni 100000 abitanti (ISTAT, Censimento generale della popolazione del 1981).
8. ASSOECO = numero medio di associazioni a carattere tecnico-economico esistenti nel 1982 (Mortara,
1985) ogni 100000 abitanti (ISTAT, Censimento generale della Popolazione del 1981).
9. BP = rapporto tra valore degli impieghi di banche popolari, cooperative, casse di risparmio e monti della
singola provincia e il valore degli impieghi del totale delle aziende di credito nel 1960 (Banca d’Italia Servizio Studi, Bollettino Mensile 1960) moltiplicato per MN51.
10. C1 = primo cluster: Torino, Genova, Varese, Como, Milano, Bergamo, Brescia, Pavia, Cremona, Verona,
Vicenza, Venezia, Padova, Piacenza, Ancona, Trieste.
11. C2 = secondo cluster: Asti, Alessandria, La Spezia, Bolzano, Belluno, Rovigo, Parma, Reggio Emilia,
Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, Pesaro e Urbino, Pistoia, Firenze, Livorno, Arezzo, Siena,
Grosseto.
12. C3 = terzo cluster: Imperia, Massa Carrara, Lucca, Latina, Frosinone, Caserta, Benevento, Napoli, Avellino, Salerno, L’Aquila, Pescara, Chieti, Foggia, Bari, Taranto, Brindisi, Lecce, Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Trapani, Palermo, Messina, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania, Ragusa, Siracusa, Campobasso, Isernia, Cagliali, Nuoro, Sassari, Oristano.
13. C4 = quarto cluster: Vercelli, Novara, Cuneo, Aosta, Sondrio, Mantova, Treviso, Udine, Pordenone, Gorizia, Savona, Macerata, Ascoli Piceno, Pisa, Perugia, Terni, Viterbo, Rieti, Roma, Teramo, Matera.
14. CMEZ = agevolazioni finanziarie della Cassa per il Mezzogiorno (migliaia di lire costanti per addetto
all’industria). Le agevolazioni sono relative al periodo 1972-1981 e gli addetti sono quelli rilevati dai Censimenti dell’Industria e Commercio del 1971 e del 1981. Per agevolazioni si intende in questo caso il valore delle sovvenzioni a fondo perduto erogate dalla Cassa del Mezzogiorno (Seravalli, 1984)
15. CONF = densità associativa alla CONFINDUSTRIA , come rapporto tra dipendenti delle imprese associate alla CONFINDUSTRIA nel 1969 e gli addetti all’industria (in unità locali) al Censimento del 1971
(dati comunicati direttamente dalla sede centrale della Confederazione Nazionale dell’Industria).
FAC= fattore di struttura industriale originaria (1951) risultante dall'analisi delle componenti principali
relativa a due variabili costruite su dati censuari (il fattore risultante spiega l'80.1% della varianza delle
variabili originarie): i) quota di addetti (in unità locali) al commercio all’ingrosso sul totale degli addetti
(sempre in unità locali) del commercio nel 1951 (indice di dotazione iniziale di strutture commerciali in
17
grado di raggiungere mercati vasti); ii) indice di completezza della struttura industriale manifatturiera nel
1951. Tale indice viene costruito sulla base dell’indice di diversificazione di Utton, modificato per tenere
conto dell’effetto di specializzazione settoriale. L’indice di diversificazione di Utton (u) cerca di sintetizzare il numero e la dimensione relativa delle industrie (settori) in cui opera una certa impresa. Questo indice
fornisce un valore correlato all’area al di sopra della curva di diversificazione dell’impresa, per la cui raffigurazione si può vedere Clarke R. (1991), «Economia industriale», Giappichelli. Formalmente, l’indice
di Utton può essere espresso nel modo seguente:
u
2
k
js j
1
j 1
16.
17.
18.
19.
dove j rappresenta il rango (posizione) del singolo settore nell’ordinamento decrescente delle quote del
fatturato totale dell’impresa; k rappresenta il numero dei settori in cui è impegnata l’impresa; sj è la quota
del fatturato realizzato nel settore j-esimo sul fatturato totale. Allo scopo allora di misurare il grado di diversificazione (completezza) dell’apparato manifatturiero locale (adattando quindi l’indice di Utton alla
stima di un problema di natura più macroeconomica che microeconomica), si provvede: a sostituire la
quota del fatturato con l’incidenza dell’occupazione del singolo settore sul totale dell’occupazione manifatturiera della provincia;a eliminare il settore di specializzazione provinciale (il settore manifatturiero
cioè che ha il maggiore numero di occupati fra tutti i settori dell’industria manifatturiera provinciale) e a
ricalcolare le quote settoriali (per tenere conto appunto dell’eliminazione del settore di specializzazione).
FACAM = fattore relativo alla capacità relazionale delle Camere di Commercio risultante dall’analisi delle componenti principali comprendente due variabili: i) rapporto tra numero di riunioni degli organi collegiali tenute nelle Camere di Commercio nel 1953 e numero ditte censite nel censimento del 1951 (Unione
Italiana Camere di Commercio Industria e Agricoltura, 1954; Censimento Industria e Commercio 1951),
ii) dummy relativa all’esistenza di Camere di Commercio prima del Regio Decreto del 1862 (Documentazione nell’Archivio della Camera di Commercio di Parma, fonti varie).
GRUPPI = Rapporto percentuale fra numero di associati a gruppi d’acquisto o ad unioni volontarie nel
1965 (Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, «Caratteri strutturali del sistema distributivo in Italia nel 1965») e numero di licenze di commercio fisso esistenti nel 1965 (ISTAT, Annuario di statistiche provinciali 1964-67).
INFEC = Indice di infrastrutturazione economica. E' tratto da Di Palma (1990) e tiene conto della rete
stradale, ferroviaria, degli aeroporti, porti, trasporti metropolitani ed extraurbani, della rete telefonica, di
quella elettrica, dei gasdotti e oleodotti e della rete idrica. I dati sono riferiti ad anni tra l'inizio e la metà
del decennio Ottanta. La presenza di multicollinearità rispetto a V ha consigliato di dividere INFEC per
MN91.
MN51 e MN91 = indice di specializzazione provinciale dell’industria manifatturiera calcolato sulla base
degli addetti: l’indice di specializzazione di una provincia i nel settore j è calcolato, in riferimento alla popolazione in condizione professionale, come:
Si , j
ai , j a
a j ai
dove ai,j indica gli attivi nella provincia i nel settore j; aj gli attivi in Italia nel settore j; ai gli attivi (in
particolare, gli attivi nell'industria manifatturiera, nel commercio, nei trasporti, in servizi vari, nel settore
del credito e in quello assicurativo e infine nella pubblica amministrazione) nella provincia i; a gli attivi
(negli stessi settori appena elencati) in Italia (ISTAT, Censimenti generali della Popolazione del 1951 e
del 1991).
20. TEC = tasso di istruzione tecnica e professionale, come rapporto tra somma di iscritti in istituti tecnici,
scuole tecniche e avviamento sul totale degli iscritti in scuole medie inferiori e superiori, anno scolastico
1950-51 (ISTAT, Annuario statistico dell'Istruzione italiana 1950-51).
21. RTEC = istruzione tecnica e professionale eccedente il livello di industrializzazione in termini di residui
della regressione TEC = a + bTIND51.
18
22. SPESAPRO = spese effettuate (pagamenti) dai comuni per l'ordinaria amministrazione in rapporto alle
spese per opere pubbliche (media 1961, 1962, 1963). Rapporto fra somma di oneri patrimoniali, spese generali, polizia sanità ed igiene, sicurezza pubblica e giustizia e somma dei pagamenti effettuati per la costruzione di opere pubbliche, per la loro manutenzione e per l'istruzione (ISTAT, Bilanci delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, anni vari)
23. NO= Dummy per Nord-Ovest (provincie del Piemonte, Lombardia, Liguria)
24. NE= Dummy per Nord-Est (provincie del Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, EmiliaRomagna, Toscana, Umbria, Marche).
25. SUD= Dummy per Sud (tutte le altre)
26. SUP = diffusione dell'istruzione superiore nel 1951 come numero di studenti iscritti alle scuole medie superiori di tutti i tipi nel 1951 sulla popolazione di età compresa tra 15 e 18 anni (ISTAT, Annuario statistico dell'Istruzione italiana 1950-51)
27. TIND51 = quota degli attivi nell'industria (estrattiva + manifatturiera + edilizia + energetica) sul totale
degli attivi nel 1951 (ISTAT, Censimento generale della Popolazione del 1951)
28. TOM = tradizione di autonomia economica-politica. Dummy che assume valore 1 per le province che
hanno una tradizione di lunga durata di autonomia economico-politica e 0 per le province che hanno avuto
una esperienza storica caratterizzata dall'essere stata parte di sistemi economici e politici più vasti e quindi
dipendenti da entità statuali sovraordinate e dominanti, cioè con carattere eterodiretto. La dummy assume
valore 1 nel caso di: Aosta, Torino, Cuneo, Novara, Alessandria, Asti, Vercelli, Genova, La Spezia, Savona, Imperia, Bergamo, Brescia, Treviso, Venezia, Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, Modena, Bologna,
Forlì, Ferrara, Ravenna, Belluno, Udine, Gorizia, Pordenone Trieste, Firenze, Arezzo, Grosseto, Lucca,
Livorno, Pisa, Siena, Pistoia, Perugia, Terni, Frosinone, Latina, Macerata, Pesaro e Urbino, Rieti, Roma,
Viterbo. Il periodo storico di riferimento comprende i 200 anni antecedenti l’Unità d’Italia. Per ogni provincia è stata compilata una scheda sintetica delle vicende storiche, con attenzione ai due caratteri
dell’autonomia e dell’eteronomia, e su tale base è stato attribuito un punteggio da 1 a 10 in ordine crescente di autonomia sulla base di un giudizio su elementi qualitativi. La dummy ha poi assunto valore uno per
le province con punteggi superiori a 5 a 0 le altre. Questo lavoro di ricostruzione storica è stato realizzato
dalla dott. Monica Pellinghelli per la sua tesi di laurea presentata nella Facoltà di Economia
dell’Università di Parma, anno accademico 1995-96
29. V = rapporto fra il logaritmo naturale della media 1951-1963 del valore aggiunto pro capite (in milioni di
lire a prezzi costanti 1951) e la media della durata dei periodi 1951-1994 e 1963-1994 (rispettivamente 43
e 31 anni). L’algoritmo di calcolo in questo caso è dato dalla seguente espressione:
V = (LN((VA5151+VA5163)/2))/((43+31)/2)
30. G = Media aritmetica semplice dei tassi (esponenziali) di crescita annui medi del valore aggiunto pro capite in termini reali nei periodi 1951-1994 e 1963-1994. In particolare, l’algoritmo di calcolo è il seguente:
G = ((LN(VA5194/VA5151)/43)+(LN(VA5194/VA5163)/31))/2
dove 43 e 31 rappresentano il numero di anni rispettivamente del periodo 1951-1994 e del periodo 19631994.
31. VOTALB70 = voti complessivi validi degli artigiani alle elezioni delle CPA 1970 sugli iscritti all'albo (si
veda ART70).
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