"Le origini del Rosato: la lacrima" di Raffaele Anchora in formato

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"Le origini del Rosato: la lacrima" di Raffaele Anchora in formato
LE ORIGINI DEL ROSATO: LA LACRIMA
Di Raffaele Anchora
LA STORIA DEI ROSATI IN PUGLIA
La storia dei rosati pugliesi è antica e significativa. Dobbiamo partire dal NEGROAMARO per capire il
rosato. Il negroamaro è un vitigno antichissimo che oggi si coltiva solo nel Salento in un area molto vasta
che comprende quasi tutte le due provincie di Lecce e di Brindisi. All’inizio era conosciuto con vari nomi ed
era presente non solo nella Terra d’Otranto, ma in molti territori dell’Italia meridionale. Nel napoletano era
conosciuto come uva “OLIVELLA”, in Puglia e nel Salento con vari sinonimi: per esempio a Gallipoli –
Melissano e Casarano, Rosso di Lecce, ad Ugento uva lacrima, a Galatina Jonico, lacrima a Squinzano e a
Latiano. L’origine di questo vitigno è iscrivibile alla vecchia “ILLIRIA” da dove sarebbe giunto in Puglia
all’epoca della colonizzazione greca che aveva portato nella MAGNA GRECIA , più di un vitigno. Furono
(probabilmente) i coloni greci ad insegnare ai contadini salentini, come ottenere questi vini con il sistema a
“LACRIMA”, sottoponendo, a delicata pigiatura le uve nere raccolte in sacchi, in modo da farle “lacrimare” e
da raccogliere il mosto fiore, senza tenerlo ulteriormente a contatto con le bucce. Possiamo dire che i vini
“ROSATI” hanno caratterizzato la viti- enologia in Puglia. Già i latini conoscevano la “LACRIMA” . Era quel
mosto vergine che PLINIO chiamava“PROTROPUM” e che COLUMELLA molto appropriatamente definiva
“MOSTUM LIXIVIUM”, il quale mescolato al miele veniva utilizzato per preparare il “MULSUM” che
veniva servito come aperitivo. CATONE accennava già ai vini grigi o rosati (HELVEOLUM VINUM) e insegnava
a farli prendendo uve del tipo “HELVOLAE”, vino “APICIO” (VINO BIANCO DA DESSERT) derivato da uve di
vitigno “APICIUM,” perché prediletto dalle api. Nei secoli successivi si continua a produrre lacrima o lagrima
semplicemente perché facile da ottenere, gustosa e soprattutto precoce, anche se la passione per i vini
vecchi, quelli centenari non aveva limiti. Le uve prima della pigiatura, venivano lasciate nel “FORUM
VINARIUM” o “CALCATORIUM” ove subivano una compressione naturale che lasciava fuoriuscire una prima
porzione di mosto. La lacrima fermentata a parte, è sempre stata tenuta nella massima considerazione per
il consumo familiare. Era appunto il primo mosto, che fuoriusciva dal palmento ove erano state collocate le
uve appena raccolte. Sino alla metà del XIX secolo, il vino rosato conserva la sua funzione di prodotto di
autoconsumo ricavato con la tecnica della lacrima. Le tecniche di vinificazione per la produzione dei rosati,
è probabile che siano state introdotte nel Mezzogiorno d’Italia, già nel periodo della “MAGNA GRECIA”,
con la pratica della vinificazione “A LACRIMA”, consistente nella pigiatura delicata di uve nere poste in
sacchi, in modo da farle lacrimare e da raccogliere il mosto senza tenerlo a contatto con le bucce per lungo
tempo. La spremitura soffice, venne in epoche successive, realizzata facendo pigiare le uve nere dai piedi di
donne e fanciulli. In altri casi dato che i vigneti del tempo ospitavano solitamente diverse varietà di viti, si
procedeva, semplicemente ad una mescolanza di uve bianche e nere. Nei primi decenni del XIX secolo il
rosato sfuso, denominato “LAGRIMA” alla maniera latina, era molto apprezzato nel salento per
l’autoconsumo delle famiglie, dei contadini e della borghesia rurale. Le prime aziende in Puglia a produrre
questa tipologia di vino su scala industriale e ad esportarla all’estero, furono verso la fine dell’ottocento, la
cantina PAVONCELLI di Cerignola e quella della famiglia Rogadeo di Ruvo. Un grande storico rilancio del
rosato pugliese avvenne nel 1943 ad opera di SALVATORE DE CASTRIS, che nella sua azienda di Salice
Salentino, confezionò in bottiglie da birra chiuse da tappo metallico, un negroamaro proveniente dalla
tenuta “CINQUE ROSE”. Le metodologie di produzione sono sostanzialmente tre, e seguono un
procedimento preparatorio similare; raccolta di uve a bacca rossa, pigiatura e ottenimento del mosto.
Divieto assoluto per l’assemblaggio di vini diversi (a meno che non si tratti di basi per la spumantizzazione).
Una prima tecnica che consente di produrre vini leggermente rosati, i quali in Francia vengono definiti “VIN
GRIS”, consiste nel pigiare l’uva rossa, di separarne il mosto dalle bucce subito dopo, per poi procedere con
la vinificazione. Il metodo più consueto invece prevede un breve periodo di macerazione sulle bucce,
generalmente non più di 24 ore. Al termine, ne viene prelevato il mosto e la sua trasformazione in vino
continua, utilizzando le procedure tipiche dei bianchi. Un’ultima tecnica, è il cosiddetto “sanguinamento”
dal francese “SAIGNE’”. Viene prelevata una quantità di mosto prodotto da uve rosse dopo un breve
periodo di macerazione sulle bucce, sempre entro le 24 ore, dopo che il processo di fermentazione è
avviato. La parte prelevata, che avrà un colore rosa, sarà vinificata in bianco, mentre la restante parte, che
continuerà a macerare e a fermentare, sulle bucce, sarà utilizzata per la produzione di vino rosso. Il vino
rosato è stato, quindi la molla che ha fatto decollare i vini salentini ed ha consentito l’approccio con il
mercato dei consumi. Il vino rosato rappresenta l’emblema di un possibile riscatto sociale, per una terra
messa ai margini dalla storia. E’ stato il vino rosato a dare l’impulso alla commercializzazione in bottiglia dei
vini salentini, consentendo alla nostra terra di affacciarsi al mercato dei consumi. Un vino nobile che ha
permesso di reagire allo storico complesso di inferiorità della ns. terra, con la sua enologia portata verso
prodotti da taglio ed ha fatto decollare i vini salentini. Il vino rosato, rappresenta la storia della ns. civiltà.
Attualmente il rosato attraversa un momento di grande popolarità, grazie al costante lavoro di promozione
territoriale, delle tradizioni Salentine, nonché pugliesi, di enti ed associazioni come quella del CENACOLO
DEL ROSATO che promuove esclusivamente il vino rosato ed il suo territorio. Pertanto, il rilancio dei rosati
pugliesi, non è soltanto un’operazione di immagine o una mera questione di comunicazione, ma una sfida a
coniugare le preziose eredità del passato e del territorio con le capacità di innovazione e di continuo
perfezionamento in vigna ed in cantina.
Raffaele Anchora
www.cenacolodelrosato.org