Lezione 19 BENEFICI E COSTI DI UN`UNIONE MONETARIA

Transcript

Lezione 19 BENEFICI E COSTI DI UN`UNIONE MONETARIA
Riccardo Rovelli – Economia dell’Integrazione Europea
1
Aggiornato Dic. 2002
Lezione 19
BENEFICI E COSTI DI UN’UNIONE MONETARIA
Indice:
I.
Introduzione: vantaggi e problemi di un'unione monetaria
II.
La teoria delle aree monetarie ottimali
•
Rilevanza ed evoluzione delle asimmetrie tra paesi
•
L'integrazione reale e monetaria ridurrà oppure accrescerà l'attuale grado di asimmetria tra i
paesi europei?
•
Il ruolo del mercato del lavoro
•
Altre considerazioni critiche sul tasso di cambio come strumento di stabilizzazione
III.
Asimmetrie del meccanismo di trasmissione nell'UEM
IV.
Centralizzare la politica fiscale?
V.
Conclusioni
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
I.
2
INTRODUZIONE: VANTAGGI E PROBLEMI DI UN’UNIONE MONETARIA
Rinunciare ad uno strumento di politica economica (ossia, sostituire undici politiche monetarie
potenzialmente autonome con una sola) è per definizione costoso: ma quanto? e a fronte di quali
benefici? Per parlarne, è utile distinguere tra benefici e costi derivanti dalla fissazione irrevocabile
dei cambi, e quelli ulteriori dovuti all’adozione di una moneta unica. La Tabella 1 riassume in
forma schematica le voci positive e negative di un ipotetico bilancio dei benefici e costi
dell’adesione ad un’unione monetaria fra più paesi. Bisogna tenere presente, inoltre, che è più
difficile analizzare (e soprattutto quantificare) i benefici che i costi, in quanto i primi sono di natura
più microeconomica e quindi più “diffusa”, e inoltre la loro rilevanza si manifesta in ogni caso in
modo graduale nel tempo.
In una prospettiva “storica”, possiamo chiederci quale sia stata - rispetto ai temi indicati sopra - la
principale fonte di dubbi sull’opportunità di dar luogo ad un’unione monetaria in Europa. Non c’è
dubbio che fosse l’impossibilità di effettuare politiche monetarie di stabilizzazione nel caso di
recessioni che colpiscano in modo asimmetrico (o, come pure si dice, idiosincratico) i diversi paesi
aderenti (nella Tabella, punto 3.b), ed alla contemporanea carenza di strumenti adeguati a livello
delle politiche fiscali per supplire a questo vuoto operativo della politica monetaria (punto 4.a).
Possiamo specificare meglio questi dubbi articolandoli attorno a quattro domande:
a. quanto sono in effetti asimmetrici gli andamenti ciclici delle economie europee?
b. in che misura la politica monetaria (ovvero, la politica del tasso di cambio) potrebbe
essere utilizzata (al di fuori di un'unione monetaria) per ridurre le conseguenze di tali
asimmetrie?
c. in che misura la politica monetaria (in un'unione monetaria) potrebbe esasperare le
asimmetrie tra i paesi partecipanti?
d. in che misura la politica fiscale può essere utilizzata (all'interno di un'unione monetaria)
per ridurre le conseguenze di tali asimmetrie?
Nei paragrafi che seguono ci occuperemo di alcuni di questi problemi, mentre per altri li
rimanderemo ad una successiva discussione.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
3
Tabella 1
Pro e contro la moneta unica
1. Benefici legati alla fissazione irrevocabile dei cambi
a) Minore variabilità dei prezzi relativi di beni e fattori, e perciò minore incertezza nella
formazione delle aspettative sui prezzi futuri e nelle decisioni di investimento
b) Maggiore credibilità dell’orientamento anti-inflazionistico della politica monetaria, e
quindi maggiore efficacia di questa politica
c) Impossibilità del ricorso a svalutazioni competitive a catena (ossia a guerre commerciali
combattute con l’arma della svalutazione del cambio)
d) Riduzione del premio al rischio che i tassi d’interesse incorporano in previsione del rischio
di svalutazione, e quindi convergenza dei tassi d’interesse al livello più basso.
2. Benefici legati all’adozione di una moneta unica
a) Risparmio sulle commissioni di cambio (anche se questa è una perdita netta per le banche)
b) Maggiore trasparenza dei prezzi relativi in Europa, minore segmentazione dei mercati
c) Maggiore trasparenza e confrontabilità dell’imposizione fiscale, e dei benefici e costi degli
interventi pubblici
d) Eliminazione del rischio di cambio interno all’area, e dei connessi premi al rischio
e) Diffusione del senso di appartenenza ad una comunità sovranazionale
3. Costi legati alla fissazione irrevocabile dei cambi
a) Impossibilità di utilizzare la manovra del cambio per aggiustare squilibri della bilancia
commerciale (se si adotta una moneta unica, d’altra parte, questo costo scompare, poiché gli
eventuali disavanzi delle partite correnti o dei movimenti di capitale tra "regioni" di una stessa
area monetaria non hanno rilevanza)
b) Impossibilità di utilizzare la manovra del cambio (e in generale la politica monetaria) per
stabilizzare il ciclo economico di un paese (questo è rilevante se le fluttuazioni cicliche dei
paesi partecipanti all’unione non avvengono in sincronia, e se comunque si ritiene che la
politica monetaria debba essere orientata a tali politiche di stabilizzazione)
c) Impossibilità di generare signoraggio in modo autonomo da parte delle banche centrali
nazionali (d’altra parte, l’importanza quantitativa del signoraggio è drasticamente ridotta in
tutti i paesi che hanno scelto di stabilizzare l’inflazione a tassi prossimi allo zero).
4. Costi legati all’adozione di una moneta unica
a) Necessità di ridefinire il ruolo ed il livello di centralizzazione della politica fiscale (questo
può non essere un costo, per chi ritiene che il ruolo della politica fiscale vada comunque
ridimensionato)
b) Squilibri derivanti dall’avere un’autorità monetaria centrale “forte” ed un’autorità politica
centrale debole (nella misura in cui l’unione monetaria non è anche un’unione politica).
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
II.
4
LA TEORIA DELLE AREE MONETARIE OTTIMALI
La toria della aree monetarie ottimali (Optimal Currency Areas, OCA) è stata formulata da Mundell
(1961) e McKinnon (1963). Nella Figura (derivata da Krugman, 1990) possiamo rappresentare i
costi e benefici della decisione di prendere parte ad un’UM in funzione del grado di integrazione,
ossia di apertura di un’economia.
Il costo di partecipare ad una UM dipende negativamente dal grado di apertura, nell’ipotesi
(McKinnon, 1973) che quest’ultimo condizioni negativamente la possibilità di un’economia di
scegliere (attraverso la PM, e quindi la politica del cambio) il livello appropriato del tasso di
cambio reale. In altre parole, in un’economia molto aperta una variazione del cambio nominale si
tradurrebbe ben presto in una corrispondente variazione del livello dei prezzi, in modo che il tasso
di cambio reale ne sarebbe invariato, e quindi l’effetto desiderato di stabilizzazione sarebbe nullo.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
5
In questo caso, ovviamente, essendo lo strumento inefficace, il costo di rinunciarvi (aderendo
all’UM) sarebbe nullo.
Nei riquadri che seguono, ricapitoliamo in breve la definizione di tasso di cambio reale e di “parità
del potere d’acquisto” tra due monete
Nominal and Real Exchange Rates
The nominal exchange rate, E , is the relative price of 2 currencies:
1€ = E$
($ : any currency whose value we measure as units per 1€)
•
At any time, given P€ and P$, fixing E implies fixing a value
for the real exchange rate:
•
η=
EP €
P$
The (long run) equilibrium value of η is the value at which
the Purchasing Power Parity (PPP) of the two monies is the
same. That is, η = 1.
1
•
•
The (long run) equilibrium value of E accordingly is:
1 E*
=
P € P$
If :
>
E E* ⇔ $ is under / over valued relative to €
<
•
At any time:
•
If ∆η < 0, then the RER of the $ is appreciating
•
If at the same time ∆E = 0, then appreciation of the $ is
∆η
€
∆E + π − π
η=
E
equal to the inflation differential:
−
$
∆η
$
π π
η= −
€
2
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
6
L’idea di Mc Kinnon è quindi che, in un’economia molto aperta, una variazione del tasso di cambio
nominale si tradurrebbe in una variazione corrispondente del tasso d’inflazione, in modo tale da
lasciare invariato il tasso di cambio reale.
Invece, in un’economia non molto aperta, una variazione del tasso di cambio nominale si
tradurrebbe almeno in parte in una variazione del cambio reale (uno scostamento dalla PPP) e
quindi avrebbe effetti reali: ossia, ad esempio, una svalutazione del cambio nominale si tradurrebbe
in un deprezzamento del cambio reale (miglioramento della competitività) e quindi migliorerebbe le
partite correnti, con un effetto espansivo sulla domanda aggregata.
La tabella sottostante (tratta da dati regolarmente aggiornati su The Economist) mostra un rozzo ma
divertente indicatore degli scostamenti dalla PPP (o meglio, dalla legge del prezzo unico) a metà del
2002.
Example: Mac Parities
E u ro
USA
UK
P ol
N E R to eu ro (x 1 0 0 )
100
97
63
404
L oca l P of B ig M a c
2 ,6 7
2 ,5 0
2 ,0 0
5 ,9 0
P P of loca l cu rrency
3 7 ,4 5
3 8 ,8 0
3 1 ,5 0
6 8 ,4 7
W .r.t. € , cu rrency is
=
E*
=
R eq . depr. (+ ) or a ppr.() of E for P P P
=
u nderv. overv. u nderv.
9 3 ,6 3
7 4 ,9 1
2 2 0 ,9 7
-3 ,4 7 % 1 8 ,9 0 % -4 5 ,3 %
3
In conclusione, abbiamo spiegato perché le curve dei costi CC sono decrescenti rispetto al grado di
integrazione.
Tuttavia, un secondo fattore di costo, nel rinunciare ad una politica monetaria autonoma, è dato dal
grado di asimmetria del ciclo economico rispetto agli altri paesi dell’unione. Ovvero, il costo è
tanto maggiore quanto più rilevanti sono gli shock che colpiscono in modo asimmetrico (rispetto
alla media dei paesi aderenti all'unione monetaria) la domanda e/o l'offerta aggregata. Un paese con
un ciclo economico molto “idiosincratico” (asimmetrico) subirà, a parità di grado di integrazione,
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
7
un costo maggiore dalla rinuncia allo strumento monetario: la sua curva CC sarà quindi, in questo
caso, traslata verso destra.
Definizione: è “simmetrica” una situazione in cui il ruolo dei fattori interni ad un paese (condizioni
di domanda e offerta in altri settori, livello e composizione della domanda finale, caratteristiche del
mercato del lavoro) nella determinazione delle fluttuazioni cicliche di un settore (oppure di una
regione del paese, o del paese nel suo complesso) non è dominante (o è basso) rispetto al ruolo
attribuibile ai fattori internazionali.
→
il ciclo economico è correlato temporalmente tra paesi (a livello di settori o anche aggregato).
E’ “asimmetrica” la situazione opposta, nella quale le variabili specifiche di paese giocano un ruolo
considerevole.
Infine, un terzo fattore di costo dipende dalla rilevanza delle rigidità nominali: sono infatti queste
rigidità che, ritardando l'aggiustamento dei prezzi relativi a seguito di uno shock, rendono utile
l'azione di stabilizzazione della politica monetaria. In un paese in cui è massima la flessibilità dei
prezzi dei beni e dei fattori nell’aggiustarsi a seguito di shock di domanda e offerta, sono i prezzi a
stabilizzare il livello di attività economica, e non è richiesto il ricorso a politiche di stabilizzazione.
Una maggiore flessibilità, dunque, traslerà a sinistra le curve CC della Figura.
Ma come giudicare se una qualsiasi entità geografica costituisce un’area monetaria ottimale? In
effetti, non è semplice misurare il grado di asimmetria dei cicli economici fra due paesi o fra due
aree geografiche. vista della loro misura, sia dal punto di vista di quale sia la "pietra di paragone".
E’ probabile che molte economie già da tempo consolidate non posseggano le caratteristiche di
un'OCA (rispetto alle regioni che compongono il sistema economico). Ad esempio, l'Italia non è
chiaramente mai stata un'OCA.
Questo implica che, se volessimo chiederci, all'interno della teoria delle OCA, se valga la pena per
l'Italia di aderire all'UEM, non potremmo assumere che l'Italia sia già, di per sé, un'area ottimale.
Posta questa importante premessa, possiamo porci tre domande:
1.
Quanto sono rilevanti le asimmetrie tra i paesi europei?
2.
Le asimmetrie aumenteranno o diminuiranno con l’UEM?
3.
In particolare, come si modificheranno i mercati del lavoro - nei quali tipicamente risiede una
fonte di rigidità nominali (o anche reali) - con l'integrazione monetaria?
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
II.1
8
Rilevanza ed evoluzione delle asimmetrie tra paesi
La letteratura sulla trasmissione del ciclo economico tra paesi, ha in genere evidenziato come le
fluttuazioni cicliche dell’output tra paesi siano in prevalenza asimmetriche [Backus, Kehoe e
Kidland (JPE, 1992) e Costello (JPE, 1993)]. Inoltre, si è mostrato che i rendimenti del mercato
azionario sono più correlati fra i diversi settori di uno stesso paese che per lo stesso settore fra
diversi paesi [Drummen e Zimmerman (Fin.Analysts J, 1992) e Heston e Rouwenhorst (JFE,
1994)]: questo punta a dare evidenza ai fattori nazionali, e quindi asimmetrici, delle fluttuazioni
cicliche.
Studiando invece i paesi europei, e mettendoli a confronto con le regioni all'interno degli USA,
Bayoumi e Eichengreen (1993) trovano che esiste un nucleo omogeneo nell’Unione Europea,
centrato intorno alla Germania, e comprendente Belgio, Danimarca, Francia e Olanda. Tale nucleo è
caratterizzato da un'elevata correlazione degli shock di offerta e, in misura inferiore, degli shock di
domanda.
Bini Smaghi e Vori (BdI, TdD 187, 1993), usando dati disaggregati fra settori per i sei paesi
fondatori della Comunità Europea, trovano che il 60% della varianza del prodotto manifatturiero
dipende dagli shock specifici di settore (quindi ha natura simmetrica tra paesi). Per i 10 paesi
membri della Comunità Europea nel periodo 1976-1990 tale percentuale scende al 23%.
Helg, Manasse, Monacelli e Rovelli (EER, 1995): trovano che, considerando tutti i paesi membri
dell’UE, la varianza degli shock del prodotto all'interno del settore manifatturiero (disaggregato in
13 settori industriali) è spiegata più a livello di paese che di settore. Ciò indica nuovamente
l’esistenza di un elevato grado di asimmetria. Tuttavia identificano un gruppo di paesi
“simmetrici”, che include nel nucleo più interno Belgio, Germania e Olanda, seguiti da Danimarca e
Francia.
Bayoumi e Prasad (CEPR DP 1172, 1995) considerano il valore aggiunto di 8 macro-settori, la cui
somma costituisce il PIL. Nel lungo periodo, guardando ai tassi medi di crescita, shock specifici di
regione sono prevalenti in Europa e di scarso peso negli Stati Uniti. Rispetto al ciclo economico, le
fluttuazioni di breve periodo in Europa tendono in generale ad essere più idiosincratiche e
relativamente più importanti che negli Stati Uniti, e spiegano il 20-28% della varianza totale.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
9
II.2 L'integrazione reale e monetaria ridurrà oppure accrescerà l'attuale grado di asimmetria
tra i paesi europei?
Un altro modo di guardare al problema è di chiedersi se la situazione di maggiore o minore
asimmetria del ciclo (e quindi di minore o maggiore opportunità di formare un’UM) tra paesi sia un
fatto strutturale oppure se esso possa evolversi nel tempo, ed in particolare a seguito della decisione
di formare un’UM: ossia, in altre parole, se il fatto di costituire un’UM non sia in grado di generare
dele condizioni che convalidino nel tempo tale scelta. A questo proposito si confrontano due visioni
opposte.
La visione pessimista. Secondo Krugman (Geography and Trade, 1991) il processo di integrazione
faciliterà la concentrazione geografica dell’industria in alcuni “poli”, dove le imprese possono
godere di rendimenti crescenti. Questi si verificherà in Europa come si è verificato negli USA: ma
in Europa avviene in un ambiente dove la flessibilità del mercato del lavoro (e la mobilità del
lavoro) sono molto minori. Nel tempo, le asimmetrie strutturali si aggraveranno.
La visione euro-ottimista. Un approccio diverso è sostenuto dalla Commissione Europea (One
market, one money, 1990). Il commercio intra-europeo è già di per sé un commercio intraindustriale: ossia, nella stessa industria, il commercio tra due paesi europei tende ad essere
bidirezionale. In quest'ottica, ulteriori progressi verso l'integrazione portano sì a riallocazioni
produttive, ma non a polarizzazioni geografiche radicali nell'una o nell'altra industria. A sua volta,
questa crescente integrazione delle economie porta ad una crescente integrazione dei cicli
economici. In questo filone, Frankel e Rose (NBER WP 5700, 1996) esaminano i dati sul
commercio bilaterale e sulle attività reali per 21 paesi e trovano che “closer international trade links
result in more closely correlated business cycles across countries.” Paci e Rovelli (1999) trovano
che:
• i settori che sono più aperti al commercio internazionale hanno più probabilità di essere colpiti
da shock simmetrici tra paesi;
• settori con una maggiore intensità tecnologica (misurata dal rapporto tra spese per R&S e valore
aggiunto) sono anche caratterizzati da un più elevato grado di simmetria.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
10
II.3 Il ruolo del mercato del lavoro
Un fattore che influenza il grado di auto-aggiustamento delle economia rispetto a shock di domanda
o di offerta (e quindi rende meno utili politiche monetarie di stabilizzazione per la singola
economia) è il grado di flessibilità dei salari reali.
A questo proposito alcuni autori (Calmfors e Driffill, Economic Policy, 1988) hanno rilevato come,
nei paesi con contrattazione salariale più concentrata, i sindacati probabilmente internalizzano
maggiormente il fatto che la rigidità dei salari reali a fronte di shock negativi ha implicazioni
negative per l’occupazione. Pertanto, essi non si opporranno all’aggiustamento dei salari, e questo
renderà meno necessarie politiche di stabilizzazione. All’estremo opposto, in un mercato del lavoro
polverizzato, i lavoratori non dispongono di un elevato potere contrattuale, e dunque nuovamente i
salari reali si adegueranno alle situazioni cicliche contingenti. E’ solo in situazioni intermedie, con
numerosi sindacati (eventualmente in competizione fra di loro) operanti in singoli settori produttivi
che può essere maggiore la rigidità dei salari reali, e quindi la persistenza di shock asimmetrici.
D’altra parte, è anche vero che in questo caso (trattandosi di rigidità dal lato dell’offerta) la PM
probabilmente è inefficace ed il suo utilizzo inopportuno.
II.4 Altre considerazioni critiche sul tasso di cambio come strumento di stabilizzazione
Consideriamo uno shock di domanda asimmetrico e permanente tra due paesi. I meccanismi di
mercato che intervengono in seguito a questo shock per ristabilire l'equilibrio macroeconomico
sono la flessibilità di prezzi e salari. In alternativa, il disequilibrio causato dallo shock
(disoccupazione in un paese, pressioni inflazionistiche nell'altro) potrebbe essere curato da una
variazione del tasso di cambio. Tuttavia, nel lungo periodo, la svalutazione verrebbe incorporata nel
nuovo livello di prezzi e salari, e l'iniziale disequilibrio si ristabilirebbe. In altri termini, una
svalutazione del cambio nominale si traduce in una variazione solo temporanea del cambio reale. In
ultima analisi, uno shock di domanda negativo e persistente deve accompagnarsi ad una riduzione
dei salari reali. L'efficacia del tasso di cambio come strumento di aggiustamento è quindi limitata al
breve periodo, ossia può contribuire ad evitare la recessione che si avrebbe, nel breve periodo, in
seguito allo shock di domanda, nel caso che i salari reali siano temporaneamente rigidi. D'altro
canto, nel lungo periodo l'uso di tale manovra può indurre ad una spirale di inflazione-svalutazione,
e anche a svalutazioni competitive tra paesi.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
11
In aggiunta, W. Buiter osserva che “The foreign exchange market and the exchange rate can ... be a
source of extraneous shocks as well as a mechanism for adjusting to fundamental shocks. The
potential advantages of nominal exchange rate flexibility as an effective adjustment mechanism or
shock absorber are bundled with the undoubted disadvantages of excessive noise and unwarranted
movements on the exchange rate, inflicting unnecessary real adjustments on the rest of the
economy” (Scottish Journal of Political Economy, 2000, p.236).
III. ASIMMETRIE DEL MECCANISMO DI TRASMISSIONE NELL'UEM
Anche se i paesi aderenti ad un'unione monetaria si muovessero in modo sincrono rispetto al ciclo
economico, è possibile che una politica monetaria unica, decisa dalla banca centrale a scopo di
stabilizzazione, si manifesti tuttavia nei singoli paesi con effetti quantitativi oppure con una
struttura di ritardi diversa tra i diversi paesi. Quanto sono rilevanti, allora, le asimmetrie che
nascono all'interno del meccanismo di trasmissione della politica monetaria? Diversi autori si sono
preoccupati di analizzare questo tema, ma le loro analisi, anche di natura empirica, si possono
applicare all'attuale assetto dell'UEM solo in modo approssimativo, dato che si riferiscono
ovviamente ad un precedente e diverso regime di politica monetaria.
Una domanda interessante è se le diverse caratteristiche dei sistemi finanziari in Europa possano
implicare una diversa efficacia della politica monetaria in tali paesi.
In particolare, una caratteristica che può essere rilevante da questo punto di vista è il grado e tipo di
indebitamento delle famiglie: famiglie che hanno una ricchezza finanziaria netta positiva (negativa)
ricavano un effetto ricchezza positivo (negativo) da un aumento dei tassi d’interesse, e dunque
probabilmente reagiscono in modo opposto ad una PM restrittiva. Al contrario, se le famiglie sono
indebitate, sia l’effetto ricchezza che l’effetto sostituzione, conseguenti ad un aumento dei tassi
d’interesse, tendono a ridurre la spesa per consumi, contribuendo con ciò all’efficacia della politica
monetaria. Da questo punto di vista, ci si può aspettare che la PM sia assai efficace in Spagna,
Svezia ed UK. Al contrario, è stato talvolta osservato che una politica monetaria restrittiva aveva
negli anni ottanta effetti paradossalmente espansivi sulla spesa delle famiglie in Italia (in quanto,
essendo trascurabile l’indebitamento delle famiglie, a causa dell’inefficienza dei mercati finanziari,
una politica restrittiva causava un aumento anche rilevante del reddito disponibile).
In modo simile, è rilevante anche il tipo di indebitamento delle imprese. Più sono indebitate a breve
o con strumenti indicizzati ai tassi a breve, più (e più rapidamente) la politica monetaria è efficace
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
12
nei loro confronti: da questo punto di vista, ci si può aspettare che la PM sia particolarmente rapida
in Italia e in UK.
Per concludere su questo punto, possiamo osservare che un’importante canale di trasmissione della
politica monetaria è rappresentato proprio dal tasso di cambio, e che esso ha importanza crescente
nei paesi piccoli e molto aperti. Una volta che economie diverse confluiscono nella stessa UM, è
probabile che questa naturale fonte di asimmetrie scompaia o comunque si riduca di molto.
IV.
CENTRALIZZARE LA POLITICA FISCALE?
Il passaggio ad una politica monetaria unica tra gli undici paesi aderenti all’Unione Economica e
Monetaria implica che, d’ora in poi, la politica monetaria non potrà essere orientata a perseguire
politiche di stabilizzazione macroeconomica che abbiano una dimensione solo nazionale. È naturale
allora chiedersi se la perdita della dimensione nazionale della politica monetaria implichi una
maggiore attenzione della politica fiscale alla dimensione nazionale dei cicli economici. In questa
prospettiva, bisogna tenere conto di due fatti che caratterizzano la situazione attuale:
• Da un lato, il bilancio complessivo aggregato dell’Unione Europea è di dimensioni assai limitate,
pari a circa l’1,2% del PIL comunitario, e per metà è destinato alla politica agricola comune.
Perciò gli spazi per una politica fiscale di stabilizzazione al livello comunitario sono assai
modesti.
• Dall'altro, il patto di stabilità e di crescita (che discuteremo in una lezione successiva) prevede
che la limitazione dei disavanzi fiscali al di sotto del 3%, prevista nel Trattato di Maastricht,
rimanga in vigore nell’UEM. Anzi, tale criterio viene reso più restrittivo: ciascun paese deve
convergere, nel medio termine, al pareggio di bilancio.
Secondo alcuni, questi due fatti insieme - aggiunti all’adozione di una politica monetaria unica determinano una grave carenza di strumenti di stabilizzazione del ciclo economico, soprattutto nelle
sue manifestazioni asimmetriche tra i paesi e le regioni dell’unione. Pertanto, continuano questi
critici, il processo di costruzione dell’Unione Economica e Monetaria è attualmente incompleto, e
deve essere ripreso, nella direzione di rafforzare l’autorità politica centrale, e in particolare di
aumentare la dimensione del bilancio comunitario.
Abbiamo discusso questi problemi nella parte dedicata all’analisi delle politiche fiscali, e pertanto
non li riprendiamo qui.
Riccardo Rovelli - Economia dell'integrazione europea - Benefici e costi di un'unione monetaria
V.
13
CONCLUSIONI
Alcuni commentatori hanno previsto che la rinuncia esplicita alla dimensione nazionale delle politiche
monetarie sarà foriera di ampi contrasti (tra i governatori delle banche centrali nazionali; tra banchieri
centrali e uomini di governo; nelle opinioni pubbliche dei diversi paesi) e qualche autorevole
economista1 si è spinto addirittura a profetizzare un futuro di conflitti scatenati dalla decisione di
unificare le politiche monetarie. Credo che queste preoccupazioni denotino da un lato una sovrastima
delle possibilità operative delle politica monetaria (soprattutto tra piccole economie reciprocamente
aperte), dall’altro una sottostima delle possibilità compensative che esistono, dal lato della politica
fiscale, anche nell’attuale scenario istituzionale.
In conclusione, credo che la teoria delle aree monetarie ottimali non sia l’argomento principale alla
luce del quale esaminare l’opportunità di costituire o meno un’UM fra paesi. Guardando in un’ottica
più generale ai diversi possibili benefici di un’UM fra i paesi dell’UE, la decisione di dar luogo
all’UEM appare largamente motivata.
Tuttavia, in questo contesto, occorre chiedersi quali siano le motivazioni specifiche adottate per
l’opting out da Danimarca, Regno Unito e Svezia, se la loro sia stata una decisione condivisibile per
un osservatore esterno, e se e perché essa verrà modificata nel prossimo futuro2.
1
Martin Feldstein, EMU and International Conflict, Foreign Affairs; 76(6), Nov.-Dec. 1997, pages 60-73,
del quale riproduco di seguito l'Abstract: Jean Monnet's dream that European integration would eliminate
conflict may have been a delusion. France and other countries do not share Germany's fixation on sound
money-or its hegemonic vision. A European central bank would be unresponsive to local unemployment,
while political union would remove competitive pressures within Europe for structural reform, prompting
protectionism and conflict with the United States. A Europe of 300 million people and an independent
military might be a force for world peace, but war is also a distinct possibility.
2
La Svezia terrà un referendum di adesione nel 2003.