Articolo speciAle - Health Professionals Magazine
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Health Professionals Magazine HPM 2014; 2(2):49-63 DOI: 10.12864/HPM.2014.123 Articolo speciale Tubercolosi & Fumo di Tabacco: problema immunitario ma non solo LA DESINCRONIZZAZIONE DEI RITMI CIRCADIANI ED EFFETTI SULLA SALUTE DEI & LAVORATORI TURNISTI Tuberculosis tobacco smoke: immune problem but not only ADVERSE EFFECTS OF CIRCADIAN DESYNCHRONIZATION IN PaolaNIGHT Pironti WORK SHIFT AND U.O. di Pneumotisiologia Territoriale, AUSL di Bologna 1 2 SocietàCopertaro, Italiana di Tabaccologia, SITAB Alfredo Mariella Barbaresi, Responsabile Servizio di Medicina del Lavoro-Ufficio Medico Competente - ASUR Area Vasta 2 Ancona; Assistente Sanitaria Servizio di Medicina del Lavoro-Ufficio Medico Competente - ASUR Area Vasta 2 Ancona 1 2 Riassunto Lo IARC nel 2007 ha classificato il lavoro a turni e notturno come un probabile cancerogeno per l’uomo (Classe 2A) aggiungendo alle malattie correlate con il lavoro a turni e notturno un nuovo potenziale fattore patogenetico. La desincronizzazione dei ritmi circadiani e del ciclo sonno/veglia potrebbero rappresentare la causa che innesca la comparsa di queste malattie che vanno dallo stress psico-sociale, alla cardiopatia ischemica, alle malattie gestrointestinali (ulcera peptica ecc.), alla sindrome metabolica, ai disturbi del sonno, ai disturbi d’ansia e depressione e probabilmente il cancro. Questo articolo offre una panoramica sullo stato attuale delle conoscenze in merito alla desincronizzazione dei ritmi circadiani, alle malattie correlate e sulle misure inerenti alla sorveglianza sanitaria a cui debbono essere sottoposti i lavoratori coinvolti in questa organizzazione del lavoro. Parole chiave: Ritmi circadiani, De sincronizzazione, Stress Psico-Sociale Abstract Adverse effects of circadian desynchronization in shift and night work In 2007 the International Agency for Research on Cancer (IARC) classified shift-work and night-work as probably carcinogenic to humans (Group 2A), by adding a new potential pathogenic factor to the shift-work and night-work correlated diseases. The desynchronization of circadian rhythms and sleep-wake cycle may cause psycho-social stress, ischemic heart disease, gastrointestinal disease (peptic ulcer, etc.), metabolic syndrome, sleep disorders, anxiety and depression disorders and probably also cancer. This article provides an overview of the current state of knowledge about desynchronization of circadian rhythms and their related diseases, and about health surveillance policies regarding night shift workers. Key words: Circadian rhythms, Desynchronization, Psycho-Social Stress Copyright © Società Editrice Universo (SEU) 50 Introduzione Il lavoro a turni e notturno coinvolge un numero sempre maggiore di lavoratori; se negli anni ’50 e ’60 tale tipologia organizzativa interessava solo alcune categorie di persone quali panificatori, aziende metalmeccaniche, fonderie, trasporti, servizi sanitari e forze dell’ordine, con la globalizzazione dei mercati e l’introduzione di forme flessibili di contratto e prestazioni di lavoro, hanno di fatto abolito qualsiasi “fuso orario” traghettandoci nella società delle 24 ore: call center, internet, produzione e consumi h24, industria del divertimento, canali satellitari, collegamenti aerei rappresentano esempi di questa società in perenne movimento. I dati periodicamente pubblicati e riguardanti la popolazione lavorativa indicano come sempre più frequentemente vengano utilizzati orari di lavoro regolari ed irregolari e che prevedono il lavoro a turni e notturno. Negli Stati Uniti i dati del Bureau of Labor Statistics indicano come il 15% dei lavoratori a tempo pieno vengano impiegati in lavoro notturno; i dati dell’Eurispes indicano che tale tipologia di lavoro coinvolge stabilmente il 6,5% del totale degli occupati con una maggiore presenza nel Regno Unito (21,3%) in Portogallo (20,2%) ed Islanda (19,2%) mentre la percentuale più bassa si registra in Spagna (9,8%). L’Italia con l’11,6% si colloca in posizione intermedia di questa graduatoria europea. È stato stimato che in Italia siano complessivamente 2.550.000 i lavoratori impiegati in turni tra le 22 di sera e le 6 del mattino; analizzando i dati in relazione alla zona geografica si osserva che il numero di lavoratori turnisti si concentra in modo preponderante al Nord (42,4%) seguito dal Sud (32,5%) mentre nelle regioni centrali si registra una percentuale minore (25,1%). La maggioranza degli addetti effettua dalle 4 alle 8 notti al mese, un po’ meno sono coloro che lavorano da 1 a 3 notti al mese mentre decisamente più bassa è la percentuale di coloro che lavorano più di 8 notti al mese. Il lavoro notturno in particolare rappresenta un potente fattore in grado di alterare le funzioni biologiche dell’organismo con effetti patologici a carico della sfera del sonno, dell’apparato gastroenterico e cardiometabolico mentre recentemente lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato il lavoro a turni e notturno come un probabile cancerogeno per l’uomo 13. I ritmi circadiani Dalla sua comparsa sulla terra l’uomo si adattò immediatamente al contesto ambientale che Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 lo circondava e così di giorno cacciava, si procurava l’acqua, pescava mentre di notte riposava; l’adattamento delle sue attività al ritmo luce/ buio, comportò anche lo sviluppo di modelli organizzativi neuroendocrini in grado di attivarsi e disattivarsi nell’arco delle 24 ore. Seguire il ciclo luce/buio e quindi misurare il trascorrere del tempo secondo un andamento lineare la cui unità è rappresentata dal giorno non fu più sufficiente allorché l’uomo si dedicò all’agricoltura: capì che il tempo nel suo trascorrere non seguisse solamente un andamento lineare ma anche ciclico e per tale motivo iniziò a misurare le stagioni e quindi a seminare il grano in autunno per poi raccoglierlo in estate. La cronobiologia studia appunto le fluttuazioni periodiche di funzioni e parametri biologici degli organismi viventi in funzione del tempo che essi impiegano nel completare un ciclo distinguendo i cicli in ultradiani (durata inferiore alle 20 ore), circadiani (20 ± 4 ore) ed infradiani (durata maggiore alle 28 ore). La capacità da parte dell’uomo di misurare il tempo è resa possibile grazie ad un cronometro localizzato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN) detto appunto orologio “principale” (o master clock) in grado di sincronizzarsi con l’ambiente esterno ed in particolare con il ciclo luce/buio; la capacità di misurare il tempo rende possibile all’ipotalamo di scandire in modo netto e preciso la secrezione di vari ormoni quali il cortisolo e la melatonina con andamento orario. L’ipotalamo infatti nelle prime ore del mattino attiva mediante la secrezione del corticotropinreleasing factor (CRF) l’asse ipofisi-surrene con il rilascio del cortisolo, ormone che funge da attivatore ergotropico dell’organismo aumentandone la performance psico-fisica. L’ipotalamo inoltre riceve segnali dalle cellule gangliari della retina che funzionano da veri e propri sensori luminosi in virtù della presenza nelle cellule del fotopigmento melanopsina; la melanopsina è in grado di rilevare i cambiamenti di luce durante le 24 ore e trasmette tale informazioni in continuo al SCN dell’ipotalamo tramite il fascio retino-ipotalamico: in condizione di luce il SCN inibisce i pinealociti che vengono invece attivati durante la notte biologica producendo melatonina. L’attività del SCN non si limita solamente a regolare i cicli circadiani ma controlla e coordina attraverso messaggi ormonali tutti gli altri orologi periferici residenti in quasi tutti i tessuti del corpo. Nel 1997 nel nucleo delle cellule che formano questi orologi, è stato scoperto il primo gene responsabile del loro funzionamento e venne chiamato dal suo scopritore Joseph Takahashi gene Clock (Circadian Locomotor Output Cycles Kaput); a tale scoperta ne seguirono altre La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti cosicché oggi sappiamo come la funzione degli orologi centrale e periferici sia subordinata al corretto funzionamento del complesso di vari geni clock: se mutiamo tali geni viene persa la capacità di regolare il sonno e la veglia. Tuttavia non è necessario arrivare alla loro mutazione perché è sufficiente un banale volo transoceanico oppure lavorare di notte per ottenerne la desincronizzazione degli orologi. Un’altra peculiarità di questi orologi è rappresentata dalla loro capacità di autosostenere il proprio ritmo: infatti i geni clock che ritroviamo all’interno del nucleo delle cellule che costituiscono gli orologi hanno un andamento anch’esso circadiano; gli esperimenti che abbiamo condotto su un gruppo di volontari sani ha dimostrato infatti come l’espressione dei geni clock vari nell’ambito delle 24 ore (Figura 1) con ritmo circadiano. Il complesso Bmal1-Clock attiva la trascrizione dei geni Period (Per1, Per2, Per3), dei geni Cryptochrome (Cry1, Cry2) e dei geni RevErbα che a loro volta inibiscono la sintesi di Bmal1-Clock con meccanismo a feedback. Il complesso Bmal1-Clock trova la sua massima espressione durante le ore notturne seguito inizialmente dall’incremento di espressione dei geni clock RevErbα nelle prime ore del mattino e Per, Cry successivamente. L’incremento nel nucleo della trascrizione di questi geni determina l’inibizione dell’espressione del complesso Bmal1-Clock con meccanismo a feedback negativo durante le ore centrali del giorno e solo quando successivamente interviene l’enzima caseina-chinasi1 che promuove la degradazione proteica di Per e Cry si assiste alla ripresa della sintesi di Bmal1-Clock. Tale meccanismo biologico consente quindi agli orologi circadiani di autoscillare mantenendo il proprio ritmo anche quando sperimentalmente nell’animale si 51 effettua l’ablazione del SCN: in tal caso l’orologio principale conserva la capacità di autosostenere il proprio ritmo per 30 giorni circa mentre gli orologi periferici continuano ad autoscillare per 2-7 giorni. Infine è stato dimostrato come gli orologi periferici non sono in grado di sincronizzarsi sul ciclo luce/buio come invece avviene per l’orologio principale; tuttavia il controllo gerarchico esercitato da quest’ultimo consente agli orologi periferici di coordinarsi con il SCN ed oscillare quindi con un ritmo circadiano che rispetta e si integra con la produzione oraria di cortisolo e melatonina (Figura 1). I fattori esterni rappresentati dal ciclo luce/buio forniscono al SCN dei segnali di riferimento importanti per assicurare la periodicità circadiana; tuttavia in assenza di essi il SCN e conseguentemente gli orologi periferici sono in grado di misurare da soli il tempo. Gli esperimenti condotti dallo speleonauta Maurizio Montalbini che per lunghi periodi ha soggiornato con altri speleologhi all’interno delle grotte di Frasassi (An) hanno dimostrato come pur in assenza di fattori esterni (zeitgeber) il SCN sia in grado di mantenere un ritmo approssimativamente circadiano anche se con una periodicità superiore alle 24 ore. I geni clock non solo assicurano alla cellula una regolare e corretta attività circadiana ma sono anche in grado di intervenire sul ciclo infradiano della cellula controllando la proliferazione cellulare e l’apoptosi. Inoltre i geni clock intervengono direttamente sulle cellule danneggiate ad esempio dall’azione dei radicali liberi in corso di stress ossidativo, impedendo la comparsa e la proliferazione di cloni cellulari abnormi, congelando inizialmente l’attività della cellula danneggiata in attesa che venga riparata o in caso contrario, inducendone l’apoptosi precoce. I geni clock in- Figura 1 - Espressione dei geni clock e secrezione del cortisolo e melatonina nell’arco di 24 ore Figure 1 - Expression of clock genes and secretion of cortisol and melatonin in 24 hours 52 tervengono nella proliferazione e nell’apoptosi cellulare non solo direttamente ma anche mediante un’azione esercitata sui cosiddetti Clock Controlled Genes (CCG) ossia geni non clock ma con importanti azioni esplicate sulla cellula come ad esempio la riparazione del DNA danneggiato; ne sono esempio i geni riparatori Ogg1, BRCA1, BRCA2, che sembrano oscillare anch’essi con andamento circadiano (Figura 1). Desincronizzazione dei ritmi circadiani Ogni qualvolta si modificano i ritmi circadiani allungando o riducendo o invertendo il ciclo sonno/veglia avviene una desincronizzazione dei ritmi stessi la cui entità è direttamente proporzionale alla durata, alla frequenza ed al tipo di modifica indotta con possibili conseguenze patologiche nei lavoratori turnisti 6,12. In biologia le modifiche conseguenti ad un evento esterno od interno sia che si tratti di un’infezione o di una malattia degenerativa od autoimmunitaria, possono avere un esito reversibile o irreversibile. Prendere un aereo a Roma per recarsi a New York anziché a Pechino comporta nel viaggiatore occasionale degli effetti reversibili conseguenti alla desincronizzazione dei sistemi circadiani conosciuti come jet lag; ma un’hostess che compie voli transcontinentali regolarmente una volta alla settimana per 20 anni potrebbe andare incontro ad effetti irreversibili quale il tumore della mammella. Fortunatamente non tutti i lavoratori hostess comprese, sviluppano malattie correlate al lavoro a turni e notturno, perché coesistono variabili genetiche, ambientali, organizzative e comportamentali in grado di interferire sullo stato di salute del soggetto. I turni di lavoro che vengono utilizzati in ambito produttivo ed assistenziale possono essere suddivisi in: 1. turni permanentemente notturni con i lavoratori che lavorano esclusivamente di notte 2. turni a rotazione lenta con i lavoratori che cambiano il turno ogni 15 giorni 3. turni a rotazione semi lenta con cambio del turno settimanale 4. turni a rotazione rapida con cambio di turno ogni 2-4 giorni 5. turni a rotazione ultrarapida con cambio di turno ogni giorno I turni permanenti od a rotazione lenta o semi lenta possono desincronizzare i ritmi circadiani di vari ormoni (Figura 2). Recenti nostri studi indicano come la temperatura corporea nei lavoratori turnisti sia caratterizzata da due acrofasi, la prima tra le ore 6-8 del mattino e la seconda tra le ore 16-18 del pomeriggio; nella Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 popolazione generale invece è presente un’unica acrofase compresa tra le ore 16-18. I turni a rotazione rapida ed ultrarapida consentono un miglior adattamento dell’individuo alle necessità lavorative. Un ulteriore adattamento al lavoro a turni si ottiene quando la direzione del turno è in senso orario (mattino-pomeriggio-notte-riposo) anziché in senso antiorario (pomeriggio-mattino-notte-riposo) perché nel primo caso si guadagnano 8 ore di riposo tra la fine di un turno e l’inizio del successivo, contrariamente a quanto avviene in un turno in anticipo di fase in cui spesso nello stesso giorno si lavora al mattino e si inizia il turno notturno. Gli effetti della desincronizzazione del SCN operato dall’inversione del ciclo sonno/veglia danno vita a tre epifenomeni: 1. una alterazione del ciclo sonno/veglia con incremento del debito di sonno 2. una immediata e reversibile riduzione della secrezione della melatonina dovuta all’esposizione notturna a luce artificiale 3. un crono caos a carico degli orologi periferici che sembra manifestarsi non nell’immediatezza del termine del turno notturno ma nei giorni successivi all’effettuazione del turno Il debito di sonno si manifesta nei turnisti non solo perché naturalmente lavorando di notte non riposano ma anche perché sia che vadano a riposare il pomeriggio prima di iniziare il turno notturno o al mattino dopo aver terminato il turno di notte la qualità e la quantità del sonno si dimostrano insufficienti a garantire il pieno recupero psico-fisico. Nei lavoratori notturni che si coricano al mattino per riposare, il sonno è ridotto di 2-4 h, spesso è interrotto da risvegli precoci ed è più povero della fase 2 e del sonno REM (Rapid Eye Movement); tale situazione genera un conflitto tra bisogno di dormire e gli ostacoli che ad esso si contrappongono determinando nel breve-medio periodo un debito di sonno in grado di interferire negativamente sulla performance psico-fisica del soggetto con eccessiva sonnolenza diurna, diminuita capacità di attenzione e concentrazione sul lavoro, tutte situazioni che possono favorire l’infortunio lavorativo. Inoltre va considerato anche un altro aspetto: i turnisti quando lavorano al mattino iniziano il turno generalmente attorno alle ore 6 con la necessità quindi di una sveglia anticipata in relazione della distanza tra casa e luogo di lavoro, dell’orario dei mezzi di trasporto utilizzati ecc.; nel caso che non venga anticipato l’orario di coricamento della sera precedente, ancora più pronunciata sarà la sonnolenza diurna con La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti 53 Figura 2 - Variazioni di alcuni ritmi circadiani in lavoratori turnisti vs giornalieri Figure 2 - Changes in some circadian rhythms in shift workers vs. daily un debito complessivo di sonno destinato a crescere ulteriormente. I disturbi del sonno sono molto frequenti nei lavoratori turnisti, interessando circa il 75% di essi con insonnia ed eccessiva sonnolenza diurna; nella popolazione generale l’insonnia interessa invece il 25-30% delle persone mentre nei lavoratori giornalieri l’insonnia riguarda il 10-30% dei lavoratori. Recentemente l’International Classification of Sleep Disorders (ICSD) definisce il disturbo del sonno conseguente al lavoro a turni come caratterizzato da sintomi di insonnia o eccessiva sonnolenza non solo diurna (turno del mattino) ma anche notturna (turno di notte); l’insonnia viene definita “lieve” quando il debito di sonno varia da 1-2 ore, “moderata” quando il debito varia tra 2-3 ore ed infine “grave” quando il deficit di sonno supera le 3 ore. Riguardo alla durata, l’ICSD definisce l’insonnia “acuta” se dura da meno di 7 giorni, “sub-acuta” se dura fino a 3 mesi e “cronica” se supera i 3 mesi. La minor qualità e quantità di sonno è dovuta alla desincronizzazione del ciclo sonno/veglia rispetto ai ritmi circadiani preimpostati; infatti quando il turnista si corica nel pomeriggio o il mattino successivo al turno l’organismo si trova in condizione di attivazione ergotropica dovuta al cortisolo il cui ritmo circadiano difficilmente viene alterato dal lavoro a turni. Lo stesso vale per la melatonina: ripristinando le normali condizioni di luce/buio essa riprende immediatamente il proprio ritmo circadiano e quindi il pomeriggio che precede il turno ed a maggior ragione il mattino dopo il turno notturno, i bassi valori di melatonina presenti in circolo non sono in grado di indurre al sonno. Infine anche la temperatura corporea che non viene modificata dal lavoro notturno rappresenta un ulteriore ostacolo al riposo diurno: infatti i suoi valori iniziano a salire attorno alle ore 6 del mattino raggiunge un plateau attorno alle ore 10 perdurante fino alle 17 dopodiché scende soprattutto durante le ore notturne dedicate al sonno. Gli elevati valori della temperatura corporea ostacolano il sonno diurno determinando la difficoltà a prendere sonno. Il sonno è un importante regolatore nei confronti dei geni clock e quando esso è insufficiente induce modificazioni nella loro espressione. In un recente studio2 condotto su una popolazione di infermiere turniste in pre-menopausa con turno a rotazione ultrarapida ed in ritardo di fase confrontate con un gruppo analogo di infermiere che lavorano su turno giornaliero, abbiamo misurato la melatonina presente nelle urine raccolte durante il turno lavorativo notturno confrontandolo con i campioni di urine raccolte nello stesso periodo dalle infermiere non turniste e come atteso, i livelli di melatonina urinaria erano significativamente minori nelle turniste rispetto alle giornaliere. Ma il dato più interessante veniva dallo studio dei geni clock: mediante un prelievo di sangue effettuato in entrambi i gruppi attorno alle ore 7 del mattino è stata valutata l’espressione dei geni clock nei monociti, senza rilevare alcuna differenza statisticamente significativa tra i due cluster studiati. Successivamente abbiamo ripetuto la misura nelle urine della notte della melatonina nelle infermiere turniste, quando queste analogamente alle infermiere non turniste, 54 Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 iniziavano il turno del mattino ad una distanza di due giorni da quando avevano lavorato di notte3. Ebbene mentre i valori di melatonina urinaria nei due campioni non dimostravano differenze statisticamente significative, il dosaggio dell’espressione dei geni clock rivelava invece differenze fortemente significative tra turniste e giornaliere come pure veniva apprezzata una significatività seppur modesta nel dosaggio del 17 ß-estradiolo ematico (Tabella 1). I risultati di questi studi sembrano indicare come a seguito di un turno notturno, la melatonina prodotta dall’epifisi subisce una riduzione immediata per poi ritornare rapidamente su valori fisiologici, mentre “l’onda lunga” quale effetto della desincronizzazione subita dal SCN sembra raggiungere i geni clock periferici dopo qualche tempo. Naturalmente questa osservazione va confermata da ulteriori studi atti a verificare l’espressione dei geni clock periferici in popolazioni di turnisti nell’arco delle 24 ore e su turni diversi compreso il giorno di riposo. Malattie correlate al lavoro notturno DISTURBI PSICOLOGICI E MENTALI Indubbiamente il lavoro a turni e notturno può rappresentare uno stressor per i lavoratori dovuto al debito di sonno, alla desincronizzazione circadiana per il mancato rispetto della notte biologica ed alla difficoltà ad aggiustare gli orari di lavoro con gli impegni sociali e familiari. A tal proposito in un recente studio5 abbiamo valutato l’interferenza che il supporto sociale percepito nelle lavoratrici turniste esercita nei confronti del sistema immunitario: ad un basso supporto sociale corrisponde una attivazione significativa dei linfociti CD8+CD57+ (markers d’immunosenescenza) e del TNF-α. I lavoratori turnisti lamentano frequentemente irritabilità, nervosismo, incremento dei conflitti familiari, difficoltà di concentrazione, ansia, insonnia, stanchezza cronica, nevrosi e disturbi dell’umore, depressione che possono associarsi ad incremento del consumo di sigarette, disordini alimentari ed abuso di sostanze alcoliche. In particolari casi nel tentativo di sconfiggere l’insonnia possono far ricorso all’uso di sedativi e ipnotici. MALATTIE GASTROINTESTINALI Numerosi studi epidemiologici riportano una associazione tra lavoro a turni e patologie gastrointestinali quali dispepsia, colon irritabile, pirosi gastrica, reflusso gastro-esofageo, ulcera peptica e perfino il cancro. I disturbi gastrointestinali sono molto frequenti nella popolazione generale e molto comuni sia tra turnisti che lavoratori giornalieri. Le prime osservazioni datano al 1921 quando Vernon segnalò una maggiore prevalenza di malattie gastriche in turnisti che lavoravano in fabbriche di armamenti. Da allora sono stati pubblicati numerosi lavori che hanno esaminato questa associazione, spesso confermandola altre volte non rilevandola. La spiegazione va ricercata nelle diverse metodiche d’indagine utilizzate per diagnosticare le malattie, dai questionari o interviste o certificati medici per poi arrivare ad una più puntuale definizione mediante l’utilizzo di tecniche radiologiche per immagini fino all’endoscopia con prelievo bioptico. Knutsson e Bøggild hanno condotto nel 2010 una review sistematica dei Tabella 1 - Livelli dell’espressione dei geni clock, 6-sulphatoxymelatonina (aMT6s) e del 17 ß-estradiolo in infermiere giornaliere (DT) e turniste (SW) Table 1 - Expression levels of genes clock, 6-sulphatoxymelatonina (aMT6s) and 17 β-estradiol on day nurse (DT) and turniste (SW) Espressione dei geni clock: BMAL CLOCK NPAS2 PER 1 PER 2 PER 3 CRY 1 CRY 2 REVERBα aMT6s 17 ß-estradiolo DT infermiere 95% Cl 0.5 – 2.2 0.9 – 11.3 0.7 – 1.4 2.1 – 4.6 3.6 – 7.6 2.3 – 6.3 9.3 – 23.4 10.9 – 33.5 3.9 – 18.0 28.7 – 43.6 31.8 – 43.7 SW infermiere 95% Cl 3.4 – 8.6 2.0 – 17.8 1.4 – 2.5 3.2 – 7.3 8.5 – 14.2 1.8 – 4.1 6.6 – 13.4 7.8 – 12.4 14.6 – 35.9 34.1 – 54.8 44.5 – 58.8 p 0.001 0.027 0.001 0.025 0.002 0.029 0.006 0.006 0.007 0.301 0.040 La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti lavori pubblicati su questo argomento dal 1966 al 200916 ed i risultati sono riportati in Tabella 2. L’Helicobacter pylori (HP) è un batterio presente nello stomaco in grado di promuovere la comparsa di ulcera peptica. L’infezione da HP anche se colpisce in egual misura i lavoratori turnisti e giornalieri, è responsabile di un maggior numero di ulcere peptiche nei turnisti (28,7% ) rispetto ai giornalieri (9,3%), probabilmente a causa di una minore efficacia delle difese immunitarie locali. I clock genes sono presenti nell’apparato gastroenterico e la loro attivazione avviene in modo autonomo rispetto all’orologio principale soprachiasmatico, in concomitanza con l’orario dei pasti. Nei lavoratori turnisti l’orario in cui vengono consumati i pasti, subisce continue variazioni in rapporto alle necessità lavorative e questo determina una continua desincronizzazione dei ritmi circadiani scanditi dai clock genes periferici. MALATTIE CARDIOVASCOLARI La rivista The Lancet pubblicò nel 1986 uno studio condotto da Knutsson e Ǻkersted che denunciava nei turnisti un incremento del rischio di cardiopatia ischemica (CVD) correlata all’aumento dell’anzianità lavorativa: dopo 20 anni di turnazioni il RR calcolato era pari a 2.8. Nel 1999 Bøggild condusse una prima revisione di 17 lavori pubblicati in letteratura sull’argomento1, concludendo che i turnisti presentavano un eccesso di rischio di infarto del miocardio rispetto ai giornalieri, quantificandolo nell’ordine del 40%. Knutsson e Bøggild nel 200017 attribuirono l’aumento del rischio allo stress causato dall’inversione del ciclo sonno/veglia e conseguente 55 desincronizzazione del ritmo circadiano in grado di interferire anche sul controllo autonomico del cuore; anche altri fattori quali la deprivazione del sonno, le modifiche degli stili di vita (dieta, fumo ecc.) e la possibile insorgenza di conflitti socio-familiari, sono in grado di interferire negativamente sulla salute del lavoratore notturno. Del resto già Marmot nello Studio Whitehall svolto su 17.530 dipendenti statali aveva rilevato come la mortalità fosse maggiore negli impiegati di livello più basso rispetto ai colleghi di livello superiore. Queste osservazioni furono successivamente confermate dagli epidemiologi cardiovascolari che evidenziarono una stretta associazione tra cardiopatia ischemica e bassi livelli culturali, economici e di scolarizzazione responsabili di stili di vita a rischio a cui si accompagna una maggior difficoltà ad accedere ai servizi di prevenzione e cura. Knutsson in una review pubblicata nel 200318 dopo aver esaminato i lavori pubblicati su tale argomento negli ultimi 30 anni, conclude ribadendo per un’evidente associazione tra lavoro a turni e CVD (Tabella 3). Nel 2011 la rivista Occupational Medicine ha pubblicato uno studio epidemiologico finalizzato a valutare le evidenze scientifiche riguardo ad una possibile associazione tra lavoro a turni e malattie croniche; in Tabella 4 sono riportati i lavori revisionati da Wang31 e da Frost8. Secondo Wang non esiste un’associazione causale tra infarto del miocardio e lavoro a turni mentre Frost dopo una valutazione dei lavori condotta modificando in parte il metodo proposto dal Royal College of General Practitioners, conclude sostenendo che esiste una evidenza moderata riguardo all’associazione tra lavoro a turni e malattie cardiovascolari. Tabella 2 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattie apparato digerente (Knutsson A, Bøggild H. 2010) Table 2 - Results of review on association between shift work and digestive diseases (Knutsson A, Bøggild H. 2010) Associazione con disturbi gastrointestinali Autore ed anno Associazione Dirken 1966 No Koller 1983 Si Alfredsson 1991 No Enck 1995 Si Prunier-Poulmaire 1998 Si Caruso 2004 Si Associazione con reflusso gastro-esofageo Autore/anno Associazione Li 2008 Si Associazione con ulcera peptica Autore ed anno Associazione Segawa 1987 Si Angersbach 1980 Si Higashi 1988 No Tüchsen 1994 Si Sugisawa 1988 Si Zober 1998 Si Associazione con M. di Crohn e colite ulcerosa Autore/anno Associazione Sonnenberg 1990 Si Bøggild 1996 Si Associazione con tumori gastrointestinali Autore/anno Associazione Schernhammer 2003 Si Taylor 1972 No 56 Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 Tabella 3 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattia cardiovascolare (Knutsson 2003) Table 3 - Results of review on association between shift work and cardiovascular disease (Knutsson 2003) Anno 1972 1980 1982 1986 1996 1996 1996 1997 1999 1999 Autore Taylor and Pocock Angersbach Alfredsson Knutsson McNamee Steeland Kawachi Tenkanen Knutsson Boggild Numerosità campionaria 8603 640 14500 504 934 944 79000 1804 4648 5249 RR o OR Nessuna associazione Nessuna associazione 1,25 1,41 0,90 0,64 1,38 1,40 1,30 0,96 Tabella 4 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattia cardiovascolare (Wang et al. 2011) Table 4 - Results of review on association between shift work and cardiovascular disease (Wang et al. 2011) Anno 2007 2007 2008 2009 Autore Ellingsen Hermansson Haupt Brown Numerosità campionaria 223 507 1057 74423 DISORDINI METABOLICI Le malattie cardiovascolari riconoscono fattori di rischio ben precisi quali il fumo di sigaretta, l’obesità, il diabete, dislipidemie, ipertensione arteriosa e la sedentarietà. Theorell ed Ǻkersted nel 1976 dimostrarono un incremento dei valori di potassiemia, acido urico, glucosio, colesterolo e lipidi totali nel siero dei lavoratori turnisti e d’allora diversi studi sono stati condotti per valutare un’eventuale associazione tra lavoro a turni e sindrome metabolica e la maggior parte di essi concorda sull’incremento del rischio di sviluppare la sindrome metabolica in chi svolge lavoro a turni. La sindrome metabolica (SM) comprende un insieme di fattori di rischio tra loro associati, rappresentati da adiposità addominale, ipertensione arteriosa, iperglicemia, aumento dei trigliceridi, decremento del colesterolo HDL. La patogenesi sembra doversi ricondurre all’insulino-resistenza con incremento del rischio di sviluppare diabete mellito e malattie cardiocircolatorie. Non esiste una condivisione riguardo ai criteri da utilizzare per porre la diagnosi di SM: una ne fornisce il Third Report of the National Cholesterol Education Program Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (NCEP-ATPIII), un’altra è quella adottata dall’International Diabetes Federation (IDF), un’altra ancora quella del World RR o HR 1.65 1,0 1,53 1,04 Associazione Si No Si No Health Organization ed infine c’è quella dell’European Group for the Study of Insulin Resistance. La variabilità dei metodi utilizzati condiziona l’esito dei risultati e del resto anche la scelta del campione e la sua omogeneità all’interno di un comparto è decisiva per l’attendibilità dello studio. Così la stima della prevalenza della sindrome metabolica nella popolazione generale e nei comparti lavorativi dimostra una variabilità di risultati in relazione sia al metodo impiegato per fare diagnosi che alla definizione utilizzata di lavoratore turnista. In una nostra esperienza condotta nel 2008 è stata valutata la prevalenza della SM in un campione di medici ed infermieri divisi in turnisti-notturni ed in turnisti-giornalieri a seconda che effettuassero o meno, una o più notti al mese4. Per ottenere un campione più omogeneo sono stati successivamente messi a confronto solo gli infermieri raggruppandoli in due cluster a seconda che effettuassero lavoro a turni e notturno (5 notti/mese) oppure lavoro a turni diurno. Il rischio cardiometabolico è stato valutato utilizzando tre metodi frequentemente proposti, per quantificare il rischio nella popolazione: l’EUROCISS (European Cardiovascular Indicators Surveillance Set) il NCEP-ATPIII 2005 e l’IDF. L’EUROCISS è un sistema che attraverso l’analisi dei fattori di rischio stima la possibilità di incorrere in un evento cardiovascolare (ictus) nell’arco di 10 anni ed è ampiamente utilizzato per stimare il rischio nella popolazione generale. L’impiego del 57 La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti metodo in un campione lavorativo rappresentato da operatori sanitari non si è dimostrato sufficientemente sensibile a stimare l’effettivo rischio perché non tiene conto di variabili rappresentate dai valori di pressione diastolica, dall’incremento ponderale, né dei trigliceridi e della glicemia a digiuno, tutti fattori di rischio spesso presenti nei turnisti a causa del consumo di pasti ad orari diversi e l’utilizzo di cibi raffinati durante il turno notturno. Inoltre il metodo EUROCISS non tiene conto della variabile relativa all’attività fisica anch’essa importante per la stima del bilancio calorico e metabolico in grado quindi d’interferire non solo sul peso ma anche sui valori pressori arteriosi. I risultati ottenuti impiegando il metodo EUROCISS, posizionavano su sei classi di rischio previste, nella classe 1 (probabilità di CVD < 5%) oltre l’80% del campione; in classe 2 (probabilità di CVD 5-10%) quasi il 18%, in classe 3 (10-15% di probabilità di CVD) l’1,3% dei soggetti ed infine lo 0,7% risultava posizionato in classe 4 (15-20% di rischio CVD); nessun operatore era ricompreso nelle restanti due classi a rischio ulteriormente maggiore. In Tabella 5 sono invece presentati i risultati ottenuti applicando allo stesso campione il metodo ATPIII 2005 ed IDF, per la diagnosi di SM. L’utilizzo di un metodo più restrittivo quale l’IDF fa emergere differenze significative nel campione analizzato e le differenze in termini di prevalenza si acuiscono nel gruppo omogeneo composto da soli infermieri con un più elevato numero di notti mensili lavorate. Infine riguardo a poche segnalazioni apparse in letteratura sulla presenza di elevati valori di omocisteina plasmatica nei lavoratori turnisti rispetto ai giornalieri, i risultati del nostro studio escludono la presenza di qualsiasi associazione con questo fattore di rischio; limitando le osservazioni alla sola differenza tra medie, anche nel campione esaminato i maggiori livelli di omocisteina erano associati al lavoro a turni ma quando i dati sono stati sottoposti ad analisi di regressione logistica aggiustata per età, sesso, consumo di alcool, abitudine tabagica, consumo di verdure legumi e frutta ed utilizzo di contraccettivi orali, tale differenza ha perso di significatività. CLOCK GENES E SINDROME METABOLICA Nel topo è stato evidenziato un oscillatore extra SCN in grado di coordinarsi sullo zeitgeber rappresentato dal ciclo fame/sazietà. Tale ciclo alimentare è attivato con un sistema di controllo a feed-back dagli ormoni leptina e grielina come anche da prodotti del metabolismo alimentare (glucosio, trigliceridi ecc.) e sembra in grado di coinvolgere e trascinare molti degli oscillatori periferici. Varianti genetiche del gene umano CLOCK sono associate ad un aumento dell’introito energetico mentre quelle di Per2 con l’iperglicemia a digiuno e quelle di NPAS2 all’ipertensione arteriosa. Ciò suggerisce l’ipotesi che la sindrome metabolica possa essere espressione della desincronizzazione operata dal lavoro a turni sui ritmi circadiani. DIABETE È stato ipotizzato che il lavoro a turni potesse essere associato ad una maggiore incidenza di diabete; i risultati dei più significativi studi epidemiologici prevalentemente condotti nella popolazione giapponese (Tabella 6) evidenziano un’intolleranza al glucosio nei lavoratori notturni con un aumento dell’insulino-resistenza durante le ore notturne ed una più alta prevalenza (quasi doppia) di diabete di tipo 2 nei turnisti rispetto ai giornalieri21,28. Inoltre una maggiore anzianità lavorativa in turni notturni sembra associarsi ad un incremento della prevalenza di diabete tipo 2. Nagaya21 ha riportato che i lavoratori a turni presentavano valori di glicemia più elevati ed un numero significativo di essi era in trattamento con farmaci antidiabetici rispetto ai colleghi diurnisti solo nella fascia di età compresa tra i 30-39 anni (OR=6.75, 95% CI 1.31-56.1) mentre tale significatività si perdeva nella fascia di età compresa tra 40-49 anni (OR=1.2, 95% CI 0.68-2.10) e tra 50-59 anni (OR=0.93, 95% CI 0.53-1.55). Anche la direzione del turno sembra interferire sulla glicemia: turni in anticipo di fase predispongono all’insorgenza dell’iperglicemia molto di più dei turni in ritardo di fase. Tabella 5 - Prevalenza di sindrome metabolica negli operatori sanitari Table 5 - Prevalence of metabolic syndrome in healthcare Metodo ATP III IDF in tutti gli opera- nei medici ed infertori sanitari mieri con turno notturno 10,8% 11,4% 28,6% 37,1% * nei medici ed infermieri negli infermieri con negli infermieri con con turno diurno turno notturno turno diurno 10,3% 20,8% 12,5% 40,6% * *Differenza statisticamente significativa (p < 0,005) tra i due gruppi dello stesso campione 14,6% 17,1% 58 Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 Tabella 6 - Diabete e lavoro a turni Table 6 - Diabetes and shift work Anno 1983 1999 2002 2005 2009 Autore Mikuni Kawakami Nagaya Morikawa Suwazono Numerosità campionaria 2167 2194 826 2368 7104 L’interpretazione dei dati riguardo una presunta associazione tra diabete e lavoro a turni è resa difficile per l’incompletezza delle informazioni riportate, le tipologie di lavoro a turni non confrontabili tra i diversi studi e pertanto l’evidenza epidemiologica è piuttosto limitata. PATOLOGIA NEOPLASTICA Nel 1987 da Stevens RG è stata avanzata l’ipotesi che l’aumento del rischio di sviluppare il cancro al seno nella società industrializzata fosse dovuto all’allungamento delle attività umane nella fascia oraria notturna con maggior esposizione alla luce elettrica, diminuita secrezione complessiva della melatonina, aumento dei livelli degli estrogeni responsabili dell’incremento del rischio di cancro al seno (melatonin hypothesis). L’idea di Stevens era suffragata dai risultati ottenuti sul modello animale; infatti topi esposti a livelli costanti di luce artificiale sviluppavano tumori della mammella. Più recentemente la ricerca sull’associazione tra lavoro a turni e cancro sta indagando sul ruolo che la desincronizzazione dei ritmi circadiani, la deprivazione del sonno, l’interazione dei clock genes possono determinare sullo sviluppo del cancro. Straif27 ha valutato per conto dello IARC i risultati di otto studi epidemiologici sull’associazione tra cancro della mammella e lavoro a turni in popolazioni lavorative rappresentate da assistenti di volo, infermiere ed operatrici radio telegrafiste; sei di questi studi hanno evidenziato un incremento del rischio relativo di cancro al seno soprattutto nelle turniste con maggiore anzianità di lavoro. Sulla base dei risultati degli studi epidemiologici e di altri di tipo sperimentale finalizzati a verificare i meccanismi fisiopatologici responsabili di una associazione tra lavoro a turni e notturno e cancro, lo IARC ha definito il lavoro a turni che causa una perturbazione dei ritmi circadiani come probabilmente cancerogeno per l’uomo (Classe 2A) in base ad una limitata evidenza nell’uomo e sufficiente evidenza negli animali da esperimento per la cancerogenicità dimostrata dall’esposizione alla Associazione Si No Si Si Si luce artificiale durante il periodo di buio (notte biologica). Successivamente alla classificazione dello IARC sono apparsi due lavori, il primo una revisione sistematica operata da Kolstad19 e condotta su 13 studi epidemiologici di cui 8 riguardavano l’associazione tra lavoro notturno e cancro della mammella e il secondo di Costa7 che evidenziavano come gli otto studi su cui si era basata la classificazione dello IARC mostrassero due aspetti metodologici che ne limitavano la validità: la stima approssimativa riguardo alla effettiva esposizione al lavoro a turni e notturno nei campioni selezionati e l’incompleta valutazione di altri fattori di rischio “confondenti” e/o “concorrenti”. Successivamente alla classificazione dello IARC sono stati pubblicati tre studi caso-controllo11,20,23 ed uno studio di coorte25. Due studi caso-controllo condotti sugli infermieri indicano un’associazione tra il lavoro a turni e notturno ed il cancro al seno, dopo aggiustamento dei maggiori fattori di confondimento; nello studio condotto da Lie20 su 49.402 infermiere che effettuavano turni lavorativi giorno/ notte è stata riscontrata un significativo aumento del rischio di tumore al seno nelle infermiere che lavoravano da ≥ 5 anni con una frequenza pari o maggiore a 5 notti consecutive suggerendo quindi che un rischio maggiore di cancro al seno sia correlato al numero di turni notturni consecutivamente svolti. Hansen e Stevens11 hanno condotto uno studio intervistando una coorte nazionale di infermiere danesi richiedendo informazioni dettagliate riguardo la durata effettiva del lavoro a turni ed altri potenziali fattori di confondimento. Nelle infermiere che hanno lavorato in turni a rotazione dopo mezzanotte, presentavano un significativo aumento (OR=1,8; Cl 1,2-2,8) del cancro al seno rispetto alle colleghe che lavoravano di giorno. Nell’analisi condotta tenendo presenti varie tipologie di turnazione, un OR più elevato (OR2,6; Cl 1,8-3,8) è stato osservato nel lavoro a turni a lungo termine. I risultati pertanto confermano anche con l’utilizzo di una metodologia più rigorosa che il lavoro a turni e notturno aumenta il rischio di tumore al seno particolarmente se si prolunga La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti per lungo tempo. In conclusione gli studi successivamente condotti al 2007 non hanno indotto una revisione riguardo alle conclusioni raggiunte dallo IARC. La luce artificiale e la soppressione di melatonina Il lavoro notturno determina a carico dei lavoratori una esposizione a luce artificiale che inibisce la secrezione di melatonina in maniera dose-dipendente con soglia tra i 200 e 400 Lux mentre una soppressione totale la si ottiene per valori di Lux compresi tra 2000-2500. La ridotta secrezione di melatonina, determina un aumento degli estrogeni ed immunosoppressione. Nel 1978 osservazioni condotte da Cohen dimostrarono come la soppressione notturna della melatonina determinasse un incremento degli estrogeni. Stevens nel 1987, formulando la “melatonin hypotesis” ipotizzava come la pandemia di tumore alla mammella registrata nel secondo dopoguerra, potesse essere messa in relazione al maggiore utilizzo e quindi alla prolungata esposizione alla luce elettrica a seguito del prolungamento delle attività umane durante l’orario notturno e non solo per motivi produttivi ma anche ricreativi (pensiamo alla diffusione della televisione in Europa negli anni cinquanta del secolo scorso che ha modificato gli orari e gli stili di vita dei telespettatori). Key14 verificò come l’iperestrogenismo fosse una causa riconosciuta di tumore della mammella confermando il modello biologico secondo cui l’esposizione alla luce artificiale comporta una minore produzione di melatonina, incremento degli estrogeni, con aumento del rischio di cancro al seno. La melatonina esercita un’azione regolatrice sul sistema immunitario essendo in grado di interagire con esso grazie alla presenza di recettori specifici sulle cellule linfocitarie; una riduzione della produzione di melatonina endogena ottenuta mediante pinealectomia o una depressione funzionale come si verifica con la luce artificiale durante le ore notturne, determina immunodepressione con riduzione delle cellule NK, dei linfociti T citotossici, delle citochine proinfiammatorie IL-2 e IL-12, dell’interferone γ e del fattore di necrosi tissutale (TNF), tutte condizioni in grado di favorire lo sviluppo e la crescita di cloni cellulari neoplastici. Gli effetti immunomodulatori della melatonina si esplicano mediante l’attivazione del complesso delle citochine che inibiscono la crescita antitumorale. Le citochine vengono prodotte dai linfociti sulla cui superfice sono presenti i recettori per la melatonina; quando la melatonina si unisce ai linfociti non solo determina la produzione di citochine ma innesca una attivazione generale 59 del sistema immunitario con proliferazione delle cellule coinvolte nella risposta immunitaria (linfociti B e T e NK) ed aumento della loro capacità di risposta nei confronti di virus, batteri e cellule tumorali. La melatonina inoltre, svolge un’importante azione anche come antiossidante: i radicali liberi sono prodotti collaterali del metabolismo cellulare altamente instabili, caratterizzati da elettroni spaiati su un orbitale esterno, in grado di reagire rapidamente con qualunque molecola sottraendo un elettrone e producendo in tal modo danni reversibili od irreversibili a carico sia delle membrane cellulari e della loro componente lipoproteica sia a carico degli acidi nucleici in grado di promuovere o l’apoptosi cellulare oppure il formarsi di cloni composti da cellule cancerogene; il tutto dipende dall’entità del danno ma anche dalla capacità dell’organismo a ripararlo utilizzando sostanze antiossidanti quali la melatonina, le vitamine A,C,E, glutatione ecc. e l’azione dei geni non clock riparatori. La melatonina tuttavia sembra avere una marcia in più rispetto agli altri antiossidanti, sia per la sua capacità di legarsi agli acidi nucleici proteggendo quindi il DNA particolarmente sensibile all’azione dei radicali liberi, sia per le sue caratteristiche lipofile ed idrofile che le consentono di penetrare in qualsiasi cellula del corpo umano superando anche la placenta e la barriera ematoencefalica dove invece gli altri antiossidanti non arrivano. La melatonina svolge quindi un’azione protettiva a carico delle cellule nei confronti degli agenti in grado di produrre danni al DNA, promuovendo anche la riparazione del DNA eventualmente danneggiato. Quando la produzione di radicali liberi eccede le capacità “depurative” dell’organismo, allora si parla di stress ossidativo: quantità adeguate di melatonina assicurano una maggiore attività protettiva nei confronti delle cellule ad opera dello stress ossidativo. La melatonina infatti può proteggere la cellula dal danno al DNA da parte degli agenti cancerogeni e dei radicali liberi bloccandoli direttamente come pure intervenendo indirettamente stimolando l’attività d’importanti sistemi antiossidanti quali quello del glutatione. L’azione anticancerogena della melatonina nel tumore della mammella si esplica riducendo la sintesi locale degli estrogeni, inibendo l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi con conseguente decremento degli estrogeni circolanti ed infine interagendo direttamente sul recettore estrogenico ERα, neutralizzando così gli effetti dell’estradiolo sulla proliferazione ed invasività delle cellule tumorali mammarie; inoltre inibisce gli enzimi aromatasi che controllano la conversione degli androgeni in estrogeni. Recenti studi 60 sottolineano come la melatonina sia in grado di svolgere la propria azione oncostatica, inibendo la captazione degli acidi grassi (ac. linoleico in particolare) da parte della cellula tumorale, allo scopo di prevenire la formazione di ac.13idrossioctadecadienoico, un composto ad elevata capacità mitogena. Infine esercita un’azione antimitotica, antiossidante ed antiangiogenica nei confronti delle cellule neoplastiche. Cancro al seno e cecità: La maggioranza degli studi sperimentali supporta l’ipotesi che in condizioni di completa oscurità gli alti livelli di melatonina esplichino non solo una potente azione anti-cancro nei confronti delle cellule neoplastiche ma anche una protezione nei confronti delle cellule normali dall’avvio del processo cancerogeno. Le donne non vedenti producono a causa della mancata o ridotta percezione della luce una quantità maggiore di melatonina rispetto alle vedenti. Nel 1991 Hahan10 pubblicò uno studio caso-controllo dimostrando come nelle donne affette da tumore della mammella solo lo 0,15% fossero cieche; altri tre studi condotti in USA e Europa, hanno dimostrato che l’incidenza del cancro alla mammella è ridotta in donne cieche rispetto alle vedenti. Un altro studio più “raffinato” condotto da Verkasalo30 ha definito il grado di danno visivo in cinque categorie che vanno dalla visione moderatamente bassa alla completa cecità; nel periodo 1983-1996 furono monitorate 11.000 donne affette da grave deficit visivo e solo in 124 di queste, venne posta diagnosi di cancro della mammella. Il tasso standardizzato d’incidenza del tumore al seno diminuiva da 1,05 nelle donne affette da moderata bassa visione allo 0,47 in quelle completamente cieche. Infine uno studio condotto nel 2001 da Kliukiene15 su 15.000 donne norvegesi ha dimostrato come il rischio di cancro della mammella risultasse più basso in chi è diventato cieco prima di 65 anni. Del resto, numerose prove sperimentali concordano sull’ipotesi che in condizioni di buio completo, gli alti livelli di melatonina rappresentino un potente segnale anticancro nei confronti delle cellule tumorali proteggendo inoltre le cellule normali dall’iniziale processo cancerogeno; è stato appurato che l’esposizione a livelli costanti di luce fluorescente negli animali durante la notte, promuova l’accelerazione dello sviluppo di tumori mammari indotti chimicamente. Ulteriori studi sperimentali confermano che l’esposizione alla luce artificiale durante la notte sia in grado di promuovere nelle donne la tumorogenesi mammaria a causa della ridotta produzione di melatonina. Cancro al seno e latitudine nord: in Lapponia la regione che comprende il nord della Norvegia, Svezia e Finlandia, l’incidenza di cancro della mammella è più basso rispetto al resto del ter- Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 ritorio di Finlandia e Norvegia. In Alaska invece, la mortalità per cancro della mammella è maggiore rispetto a quella registrata tra le donne bianche in USA anche se fino alla fine degli anni sessanta era più basso; il tasso è triplicato dal 1969 per motivi sconosciuti. Cancro al seno ed inquinamento luminoso notturno: pochi studi sono stati condotti misurando i livelli di luminosità all’interno della stanza da letto oppure rilevando l’entità dell’inquinamento luminoso sulle città; tuttavia le diverse modalità utilizzate per quantificare i livelli di luminosità non consentono al momento di associare la prolungata esposizione alla luce artificiale notturna con un incremento del rischio di cancro della mammella. Desincronizzazione dei ritmi circadiani e cancro I nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo ospitano l’orologio principale che tarato sul ciclo luce/buio dell’ambiente esterno scandisce i ritmi circadiani agli orologi periferici ospitati negli organi e tessuti mediante segnali umorali, endocrini e nervosi. La ritmicità circadiana è un’attività che si autosostiene ed alimenta mediante un sistema a feedback di transcrizione-traslazione che regola l’espressione dei geni dell’orologio biologico (clock genes). Il lavoro notturno comporta la perdita della normale sincronizzazione luce-attività/buio-riposo creando una desincronizzazione dei ritmi biologici che avviene in modo disarmonico facendo perdere quell’organizzazione gerarchica che metteva in relazione l’orologio principale con gli orologi periferici; ogni orologio sia centrale che periferico inizia a scandire un proprio ritmo sostituendo l’organizzazione gerarchica con una disorganizzazione anarchico-individualista. Siamo in presenza di un vero e proprio crono-caos . Nel 2006 furono Haus e Smolensky a spostare l’attenzione sugli orologi biologici studiando la desincronizzazione operata dal lavoro a turni: il repentino cambiamento operato sul pacemaker principale ipotalamico dall’antitesi attività/buio si ripercuote sugli orologi secondari periferici che comunicano con il master clock utilizzando lo stesso linguaggio fatto di segnali ormonali e nervosi con cui il sistema neuroendocrino comunica con il sistema immunitario. Diversi riscontri sia negli animali che nell’uomo suggeriscono che il cancro possa essere correlato a disordini dei ritmi circadiani e come l’orologio circadiano principale, possa svolgere un ruolo importante nel controllo endogeno della crescita del tumore: l’ablazione del nucleo sovrachiasmatico determina infatti la rapida crescita dei tumori in modelli animali. Schematicamente, gli effetti prodotti dalla desincronizzazione dei ritmi circadiani interessano: La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti 1.Il master clock ipotalamico con ridotta secrezione di melatonina e di prolattina ed incremento del cortisolo con effetti immunodepressivi. A tale proposito ricordiamo che il ritmo circadiano fisiologico della prolattina prevede un suo aumento tra le 24 e le 3 del mattino ma nei lavoratori notturni non si assiste alla curva di picco notturna bensì all’appiattimento della produzione di prolattina; la prolattina è un ormone che ha un effetto stimolante nei confronti delle linee cellulari rappresentate dai linfociti T e B ed una sua ridotta produzione determina immunodepressione. 2.I clock genes periferici che regolano la proliferazione cellulare e l’apoptosi sia direttamente sia indirettamente tramite il controllo che essi esercitano su numerosi altri geni responsabili a loro volta della oncosoppressione, della riparazione del DNA e del ciclo cellulare. In particolare si sottolinea il ruolo dei geni di riparo del DNA controllati dai clock genes: la stabilità del genoma umano dipende in larga misura dall’efficienza dei sistemi di riparo del DNA ed un sistema di riparo inefficiente si caratterizza per il gran numero di polimorfismi a carico dei principali geni di riparo e dalla loro desincronizzazione. L’importanza del clock genes nello sviluppo del cancro è testimoniata dal fatto che una elevata espressione dei geni Per 1 si associa ad una riduzione della crescita delle cellule tumorali mentre sotto-espressioni dei geni Per1 si ritrovano nei tessuti sede di cellule tumorali. Nel cancro della mammella il confronto tra cellule attigue normali e cancerose, rileva come più del 95% delle cellule cancerose presentino anomalie genetiche a carico dei geni Per1, Per2 e Per3. Tuttavia anche variazioni strutturali del gene Per3 e polimorfismi di NPAS2 sono associati ad un aumento del rischio di sviluppare il cancro del seno in donne in epoca precedente la menopausa; infatti un loro assetto strutturale atipico potrebbe indurre una suscettibilità familiare al cancro del seno che colpisce le giovani donne e che non può essere spiegata esclusivamente dalle mutazioni di BRCA1 e BRCA2. La variante genetica di NPAS2 rappresenta un marker di suscettibilità del cancro32 come dimostrato in diversi studi caso-controllo mentre, alti livelli di espressione di NPAS2 sono associati ad una maggiore sopravvivenza delle donne affette da cancro della mammella. Recenti studi hanno dimostrato il ruolo di NPAS2 nella possibile regolazione di altri geni non clock correlati all’oncogenesi in grado di riparare i danni del DNA. I geni clock che regolano il ciclo cellulare 61 sono in grado se “normoespressi” di esercitare un’azione di controllo nei confronti di cellule danneggiate dall’azione dei radicali liberi ma difetti genetici, polimorfismi o la stessa desincronizzazione dei ritmi circadiani, potrebbero determinare una alterazione del sistema di transcrizione-traslazione con la conseguenza di rendere inefficace il controllo del ciclo cellulare e la risposta riparativa ai danni del DNA favorendo potenzialmente i processi di cancerogenesi. La desincronizzazione dei ritmi circadiani non si impernia quindi esclusivamente sul clock master, ma determina anche la deregulation dei clock genes periferici che si sottraggono al controllo gerarchico del clock master: di conseguenza le funzioni biologiche cellulari controllate dal sistema di transcrizione-traslazione subiscono modificazioni che possono comportare una difforme espressione dei geni clock che perdono le loro capacità di controllo nei confronti del ciclo cellulare e dei geni oncosoppressori che mediano la riparazione del DNA. In tal modo la cellula danneggiata, non più efficacemente “scudata” dalla melatonina e dai geni clock, potrebbe non essere più in grado di riparare il proprio DNA danneggiato; inoltre, “liberata” dal controllo dei geni clock, non andrebbe più incontro all’apoptosi, iniziando invece a proliferare e dando vita a cloni cellulari aberranti su cui un sistema immunitario alterato non è più in grado di intervenire efficacemente. La desincronizzazione del ritmo circadiano rappresenta attualmente la via patogenetica principale per spiegare il collegamento tra lavoro a turni e comparsa di malattie anche se altri meccanismi patogenetici non possono essere esclusi. L’ipotesi di evitare il lavoro notturno, mediante il ricorso a modelli organizzativi differenti che non prevedano tale tipologia di lavoro, non appare al momento praticabile ai fini di un’efficace piano preventivo, e di conseguenza è necessario intervenire organizzando turni lavorativi che minimizzano le alterazioni circadiane intervenendo anche sulla correzione di quei fattori comportamentali e di stile di vita pericolosi per la salute dei lavoratori turnisti. Deprivazione del sonno e cancro La deprivazione di sonno che colpisce in genere chi effettua lavoro notturno a rotazione lenta è la risultante della somma del sonno perso durante la notte + scarsa efficacia del riposo diurno. Gli effetti negativi della perdita di sonno si manifestano con insonnia, ansia e depressione, irritabilità, ipertensione arteriosa, dispepsia, eccessiva sonnolenza durante gli orari di lavoro con minore capacitò di concentrazione ed aumento del rischio di errori ed infortuni. Inoltre la deprivazione del sonno come tutti gli stress cronici, 62 determina un anomalo funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Reiche nel 2004 dimostrò come la persistente attivazione dell’asse HPA come risposta allo stress cronico fosse in grado di determinare direttamente, interferenze immunitarie mediante la diminuzione delle cellule NK e dei linfociti citotossici con evidenti implicazioni sull’efficacia del sistema di sorveglianza antitumorale. Inoltre l’incrementata sintesi di cortisolo comporta una ridotta risposta ai mitogeni ed inibizione dell’attività di fagocitosi da parte delle cellule citotossiche (linfociti T e cellule NK) come pure una ridotta capacità di produrre immunoglobuline da parte dei linfociti B; tali disfunzioni immunitarie, potrebbero favorire lo sviluppo e la proliferazione di cloni cellulari tumorali. Infine il sistema immunitario sembra evidenziare una sofferenza funzionale come diretta conseguenza dell’alterazione del ritmo sonno/veglia come dimostrato da recenti studi di laboratorio condotti da Faraut et al. in condizioni di deprivazione del sonno controllato, con conseguenti alterazioni funzionali dell’attività d’immunosorveglianza nei confronti delle cellule cancerose. Pochi studi prospettici hanno valutato l’associazione tra la durata del sonno e rischio di cancro al seno ed i risultati appaiono inconcludenti. Due studi22,24 non hanno evidenziato alcuna associazione mentre in uno studio di Verkasalo29 è stata dimostrata un’associazione inversa tra durata maggiore di sonno (> 9 ore) e cancro al seno. È stato valutato anche il rapporto tra numero di ore di sonno e la produzione di M attraverso l’escrezione del metabolita urinario 6-OHMS: chi dorme più di 9 ore produce una maggiore quantità di melatonina, in media il 42% in più rispetto a chi dorme ≤ 6 ore. Uno studio giapponese condotto su 206 donne in postmenopausa non ha trovato invece maggiori livelli di melatonina urinaria associati alla durata maggiore di sonno. Grundy9 non ha trovato associazioni tra durata del sonno e livelli di melatonina urinaria ed anche i risultati del Nurses Health Study26 non supportano associazioni tra melatonina ed ore di sonno. In conclusione, le prove riguardo ad una possibile associazione tra durata maggiore di sonno e minore incidenza di cancro al seno come pure rispetto ad un aumento di produzione della melatonina in chi dorme più a lungo, appaiono al momento contradittorie e non definitive. Conclusioni La normativa italiana in tema di lavoro a turni e notturno (D.Lgs. 66/2003, D.Lgs. 213/2004, Legge 6 agosto 2008 n°133, Legge 4 novembre 2010 n°183) impone al datore di lavoro di Health Professionals Magazine 2, 2, 2014 attivare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a rischio, tramite il medico competente. Il medico del lavoro deve pertanto adottare tutte quelle misure preventive atte a diminuire il rischio ed a salvaguardare la salute dei lavoratori. Molte condizioni fisiologiche (es. gravidanza) e patologiche vanno attentamente valutate soprattutto quando la desincronizzazione dei ritmi circadiani può aggravare le condizioni di salute del soggetto. Ad esempio condizioni patologiche gravi a carico del sistema gastroenterico (ulcera peptica, epatite cronica attiva, morbo di Chron e rettocolite ulcerosa) vanno attentamente valutate dal medico del lavoro nell’esprimere il giudizio di idoneità. Ma anche malattie quali l’ipertensione maligna, le cardiopatie, disturbi cronici del sonno, ansia, depressione, epilessia, diabete insulino dipendente, tireopatie, insufficienza renale cronica e cancro, possono portare il medico ad esprimere un giudizio di non idoneità al lavoro notturno. Anche l’organizzazione del lavoro va presa in considerazione nell’esprimere il giudizio di idoneità alla mansione: infatti turni a rotazione rapida ed ultrarapida in ritardo di fase impattano meno sulle condizioni psicofisiche del lavoratore rispetto ai turni a rotazione lenta o permanente ed in anticipo di fase. La valutazione delle condizioni del lavoratore e l’idoneità al lavoro notturno debbono essere condotte prima che il lavoratore inizi a lavorare e poi riconsiderate periodicamente ogni 2 anni con lo scopo di rilevare i primi segni di disadattamento psico-fisico al turno di notte. La visita medica va integrata con esami di laboratorio atti a valutare la presenza di segni di dismetabolismo, alterazioni ormonali nel sesso femminile, presenza di tireopatia, test psicometrici per rilevare la presenza di una eccessiva sonnolenza diurna, ECG di base od Holter come esami preventivi o test cardiopolmonare per valutare il reinserimento lavorativo in chi ha sofferto di ischemia miocardica risolta con intervento chirurgico. Non deve essere invece anticipata nelle donne turniste in assenza di familiarità o di alterazioni a carico del seno la mammografia di screening che normalmente va iniziata dopo i 50 anni. Dichiarazione di conflitto di interesse Gli autori dichiarano di non aver ricevuto alcun finanziamento per il seguente studio e di non aver alcun interesse finanziario nell’argomento trattato o nei risultati ottenuti. Bibliografia 1. Bøggild H, Knutsson A. Shifth work, risk factors and cardiovascular disease. Scand J Work Envitron Health 1999; 25: 85-99. La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti 2. Bracci M, Copertaro A, Manzella N, Staffolani S, Strafella E, Nocchi L,et a. Influence of night-shift and napping at work on urinary melatonin, 17-β-estradiol and clock gene expression in pre-menopausal nurses. J Biol Regul Homeost Agents. 2013 Jan-Mar;27(1):267-74 3. Bracci M, Manzella N, Copertaro A, Staffolani S, Strafella E, Barbaresi M et a. Rotating-shift nurses after a day off: peripheral clock gene expression, urinary melatonin, and serum 17-β-estradiol levels. 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