Articolo speciAle - Health Professionals Magazine

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Articolo speciAle - Health Professionals Magazine
Health Professionals Magazine
HPM 2014; 2(2):49-63 DOI: 10.12864/HPM.2014.123
Articolo speciale
Tubercolosi & Fumo di Tabacco:
problema immunitario ma non solo
LA DESINCRONIZZAZIONE DEI RITMI CIRCADIANI ED EFFETTI
SULLA
SALUTE DEI &
LAVORATORI
TURNISTI
Tuberculosis
tobacco smoke:
immune problem but not only
ADVERSE EFFECTS OF CIRCADIAN DESYNCHRONIZATION IN
PaolaNIGHT
Pironti WORK
SHIFT AND
U.O. di Pneumotisiologia Territoriale, AUSL di Bologna
1
2
SocietàCopertaro,
Italiana di Tabaccologia,
SITAB
Alfredo
Mariella Barbaresi,
Responsabile Servizio di Medicina del Lavoro-Ufficio Medico Competente - ASUR Area Vasta 2 Ancona;
Assistente Sanitaria Servizio di Medicina del Lavoro-Ufficio Medico Competente - ASUR Area Vasta 2 Ancona
1
2
Riassunto
Lo IARC nel 2007 ha classificato il lavoro a turni e notturno come un probabile cancerogeno per l’uomo (Classe
2A) aggiungendo alle malattie correlate con il lavoro a turni e notturno un nuovo potenziale fattore patogenetico.
La desincronizzazione dei ritmi circadiani e del ciclo sonno/veglia potrebbero rappresentare la causa che innesca la
comparsa di queste malattie che vanno dallo stress psico-sociale, alla cardiopatia ischemica, alle malattie gestrointestinali (ulcera peptica ecc.), alla sindrome metabolica, ai disturbi del sonno, ai disturbi d’ansia e depressione e
probabilmente il cancro. Questo articolo offre una panoramica sullo stato attuale delle conoscenze in merito alla
desincronizzazione dei ritmi circadiani, alle malattie correlate e sulle misure inerenti alla sorveglianza sanitaria a cui
debbono essere sottoposti i lavoratori coinvolti in questa organizzazione del lavoro.
Parole chiave: Ritmi circadiani, De sincronizzazione, Stress Psico-Sociale
Abstract
Adverse effects of circadian desynchronization in shift and night work
In 2007 the International Agency for Research on Cancer (IARC) classified shift-work and night-work as probably
carcinogenic to humans (Group 2A), by adding a new potential pathogenic factor to the shift-work and night-work
correlated diseases. The desynchronization of circadian rhythms and sleep-wake cycle may cause psycho-social
stress, ischemic heart disease, gastrointestinal disease (peptic ulcer, etc.), metabolic syndrome, sleep disorders, anxiety and depression disorders and probably also cancer. This article provides an overview of the current state of
knowledge about desynchronization of circadian rhythms and their related diseases, and about health surveillance
policies regarding night shift workers.
Key words: Circadian rhythms, Desynchronization, Psycho-Social Stress
Copyright © Società Editrice Universo (SEU)
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Introduzione
Il lavoro a turni e notturno coinvolge un
numero sempre maggiore di lavoratori; se negli
anni ’50 e ’60 tale tipologia organizzativa interessava solo alcune categorie di persone quali
panificatori, aziende metalmeccaniche, fonderie, trasporti, servizi sanitari e forze dell’ordine,
con la globalizzazione dei mercati e l’introduzione di forme flessibili di contratto e prestazioni
di lavoro, hanno di fatto abolito qualsiasi “fuso
orario” traghettandoci nella società delle 24 ore:
call center, internet, produzione e consumi h24,
industria del divertimento, canali satellitari, collegamenti aerei rappresentano esempi di questa
società in perenne movimento. I dati periodicamente pubblicati e riguardanti la popolazione
lavorativa indicano come sempre più frequentemente vengano utilizzati orari di lavoro regolari
ed irregolari e che prevedono il lavoro a turni
e notturno. Negli Stati Uniti i dati del Bureau
of Labor Statistics indicano come il 15% dei
lavoratori a tempo pieno vengano impiegati in
lavoro notturno; i dati dell’Eurispes indicano che
tale tipologia di lavoro coinvolge stabilmente il
6,5% del totale degli occupati con una maggiore
presenza nel Regno Unito (21,3%) in Portogallo
(20,2%) ed Islanda (19,2%) mentre la percentuale più bassa si registra in Spagna (9,8%). L’Italia
con l’11,6% si colloca in posizione intermedia
di questa graduatoria europea. È stato stimato
che in Italia siano complessivamente 2.550.000
i lavoratori impiegati in turni tra le 22 di sera e le
6 del mattino; analizzando i dati in relazione alla
zona geografica si osserva che il numero di lavoratori turnisti si concentra in modo preponderante al
Nord (42,4%) seguito dal Sud (32,5%) mentre nelle
regioni centrali si registra una percentuale minore
(25,1%). La maggioranza degli addetti effettua dalle 4 alle 8 notti al mese, un po’ meno sono coloro
che lavorano da 1 a 3 notti al mese mentre decisamente più bassa è la percentuale di coloro che
lavorano più di 8 notti al mese. Il lavoro notturno in
particolare rappresenta un potente fattore in grado di alterare le funzioni biologiche dell’organismo
con effetti patologici a carico della sfera del sonno,
dell’apparato gastroenterico e cardiometabolico
mentre recentemente lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato il lavoro a
turni e notturno come un probabile cancerogeno
per l’uomo 13.
I ritmi circadiani
Dalla sua comparsa sulla terra l’uomo si adattò immediatamente al contesto ambientale che
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
lo circondava e così di giorno cacciava, si procurava l’acqua, pescava mentre di notte riposava;
l’adattamento delle sue attività al ritmo luce/
buio, comportò anche lo sviluppo di modelli
organizzativi neuroendocrini in grado di attivarsi
e disattivarsi nell’arco delle 24 ore. Seguire il
ciclo luce/buio e quindi misurare il trascorrere
del tempo secondo un andamento lineare la cui
unità è rappresentata dal giorno non fu più sufficiente allorché l’uomo si dedicò all’agricoltura:
capì che il tempo nel suo trascorrere non seguisse solamente un andamento lineare ma anche
ciclico e per tale motivo iniziò a misurare le stagioni e quindi a seminare il grano in autunno per
poi raccoglierlo in estate. La cronobiologia studia appunto le fluttuazioni periodiche di funzioni e parametri biologici degli organismi viventi in
funzione del tempo che essi impiegano nel completare un ciclo distinguendo i cicli in ultradiani
(durata inferiore alle 20 ore), circadiani (20 ± 4
ore) ed infradiani (durata maggiore alle 28 ore).
La capacità da parte dell’uomo di misurare il
tempo è resa possibile grazie ad un cronometro
localizzato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN) detto appunto orologio “principale” (o master clock) in grado di sincronizzarsi con
l’ambiente esterno ed in particolare con il ciclo
luce/buio; la capacità di misurare il tempo rende
possibile all’ipotalamo di scandire in modo netto e preciso la secrezione di vari ormoni quali il
cortisolo e la melatonina con andamento orario.
L’ipotalamo infatti nelle prime ore del mattino
attiva mediante la secrezione del corticotropinreleasing factor (CRF) l’asse ipofisi-surrene con
il rilascio del cortisolo, ormone che funge da attivatore ergotropico dell’organismo aumentandone la performance psico-fisica. L’ipotalamo
inoltre riceve segnali dalle cellule gangliari della
retina che funzionano da veri e propri sensori
luminosi in virtù della presenza nelle cellule del
fotopigmento melanopsina; la melanopsina è
in grado di rilevare i cambiamenti di luce durante le 24 ore e trasmette tale informazioni in
continuo al SCN dell’ipotalamo tramite il fascio
retino-ipotalamico: in condizione di luce il SCN
inibisce i pinealociti che vengono invece attivati
durante la notte biologica producendo melatonina. L’attività del SCN non si limita solamente
a regolare i cicli circadiani ma controlla e coordina attraverso messaggi ormonali tutti gli altri
orologi periferici residenti in quasi tutti i tessuti
del corpo. Nel 1997 nel nucleo delle cellule che
formano questi orologi, è stato scoperto il primo
gene responsabile del loro funzionamento e
venne chiamato dal suo scopritore Joseph Takahashi gene Clock (Circadian Locomotor Output
Cycles Kaput); a tale scoperta ne seguirono altre
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
cosicché oggi sappiamo come la funzione degli
orologi centrale e periferici sia subordinata al
corretto funzionamento del complesso di vari
geni clock: se mutiamo tali geni viene persa la
capacità di regolare il sonno e la veglia. Tuttavia
non è necessario arrivare alla loro mutazione
perché è sufficiente un banale volo transoceanico oppure lavorare di notte per ottenerne la
desincronizzazione degli orologi. Un’altra peculiarità di questi orologi è rappresentata dalla
loro capacità di autosostenere il proprio ritmo:
infatti i geni clock che ritroviamo all’interno del
nucleo delle cellule che costituiscono gli orologi
hanno un andamento anch’esso circadiano; gli
esperimenti che abbiamo condotto su un gruppo di volontari sani ha dimostrato infatti come
l’espressione dei geni clock vari nell’ambito delle
24 ore (Figura 1) con ritmo circadiano. Il complesso Bmal1-Clock attiva la trascrizione dei geni
Period (Per1, Per2, Per3), dei geni Cryptochrome
(Cry1, Cry2) e dei geni RevErbα che a loro volta
inibiscono la sintesi di Bmal1-Clock con meccanismo a feedback. Il complesso Bmal1-Clock
trova la sua massima espressione durante le ore
notturne seguito inizialmente dall’incremento di
espressione dei geni clock RevErbα nelle prime
ore del mattino e Per, Cry successivamente. L’incremento nel nucleo della trascrizione di questi
geni determina l’inibizione dell’espressione del
complesso Bmal1-Clock con meccanismo a feedback negativo durante le ore centrali del giorno
e solo quando successivamente interviene l’enzima caseina-chinasi1 che promuove la degradazione proteica di Per e Cry si assiste alla ripresa
della sintesi di Bmal1-Clock. Tale meccanismo
biologico consente quindi agli orologi circadiani di autoscillare mantenendo il proprio ritmo
anche quando sperimentalmente nell’animale si
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effettua l’ablazione del SCN: in tal caso l’orologio
principale conserva la capacità di autosostenere
il proprio ritmo per 30 giorni circa mentre gli
orologi periferici continuano ad autoscillare per
2-7 giorni. Infine è stato dimostrato come gli
orologi periferici non sono in grado di sincronizzarsi sul ciclo luce/buio come invece avviene
per l’orologio principale; tuttavia il controllo
gerarchico esercitato da quest’ultimo consente
agli orologi periferici di coordinarsi con il SCN
ed oscillare quindi con un ritmo circadiano che
rispetta e si integra con la produzione oraria di
cortisolo e melatonina (Figura 1). I fattori esterni
rappresentati dal ciclo luce/buio forniscono al
SCN dei segnali di riferimento importanti per
assicurare la periodicità circadiana; tuttavia in
assenza di essi il SCN e conseguentemente gli
orologi periferici sono in grado di misurare da
soli il tempo. Gli esperimenti condotti dallo
speleonauta Maurizio Montalbini che per lunghi periodi ha soggiornato con altri speleologhi
all’interno delle grotte di Frasassi (An) hanno
dimostrato come pur in assenza di fattori esterni
(zeitgeber) il SCN sia in grado di mantenere un
ritmo approssimativamente circadiano anche se
con una periodicità superiore alle 24 ore. I geni
clock non solo assicurano alla cellula una regolare e corretta attività circadiana ma sono anche
in grado di intervenire sul ciclo infradiano della
cellula controllando la proliferazione cellulare
e l’apoptosi. Inoltre i geni clock intervengono
direttamente sulle cellule danneggiate ad esempio dall’azione dei radicali liberi in corso di stress
ossidativo, impedendo la comparsa e la proliferazione di cloni cellulari abnormi, congelando
inizialmente l’attività della cellula danneggiata
in attesa che venga riparata o in caso contrario,
inducendone l’apoptosi precoce. I geni clock in-
Figura 1 - Espressione dei geni clock e secrezione del cortisolo e melatonina nell’arco di 24 ore
Figure 1 - Expression of clock genes and secretion of cortisol and melatonin in 24 hours
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tervengono nella proliferazione e nell’apoptosi
cellulare non solo direttamente ma anche mediante un’azione esercitata sui cosiddetti Clock
Controlled Genes (CCG) ossia geni non clock ma
con importanti azioni esplicate sulla cellula come ad esempio la riparazione del DNA danneggiato; ne sono esempio i geni riparatori Ogg1,
BRCA1, BRCA2, che sembrano oscillare anch’essi
con andamento circadiano (Figura 1).
Desincronizzazione dei ritmi circadiani
Ogni qualvolta si modificano i ritmi circadiani
allungando o riducendo o invertendo il ciclo
sonno/veglia avviene una desincronizzazione
dei ritmi stessi la cui entità è direttamente proporzionale alla durata, alla frequenza ed al tipo
di modifica indotta con possibili conseguenze
patologiche nei lavoratori turnisti 6,12. In biologia
le modifiche conseguenti ad un evento esterno
od interno sia che si tratti di un’infezione o di
una malattia degenerativa od autoimmunitaria,
possono avere un esito reversibile o irreversibile. Prendere un aereo a Roma per recarsi a New
York anziché a Pechino comporta nel viaggiatore
occasionale degli effetti reversibili conseguenti
alla desincronizzazione dei sistemi circadiani conosciuti come jet lag; ma un’hostess che compie
voli transcontinentali regolarmente una volta
alla settimana per 20 anni potrebbe andare
incontro ad effetti irreversibili quale il tumore
della mammella. Fortunatamente non tutti i lavoratori hostess comprese, sviluppano malattie
correlate al lavoro a turni e notturno, perché coesistono variabili genetiche, ambientali, organizzative e comportamentali in grado di interferire
sullo stato di salute del soggetto. I turni di lavoro
che vengono utilizzati in ambito produttivo ed
assistenziale possono essere suddivisi in:
1. turni permanentemente notturni con i lavoratori che lavorano esclusivamente di notte
2. turni a rotazione lenta con i lavoratori che
cambiano il turno ogni 15 giorni
3. turni a rotazione semi lenta con cambio
del turno settimanale
4. turni a rotazione rapida con cambio di
turno ogni 2-4 giorni
5. turni a rotazione ultrarapida con cambio
di turno ogni giorno
I turni permanenti od a rotazione lenta o
semi lenta possono desincronizzare i ritmi circadiani di vari ormoni (Figura 2). Recenti nostri
studi indicano come la temperatura corporea
nei lavoratori turnisti sia caratterizzata da due
acrofasi, la prima tra le ore 6-8 del mattino e la
seconda tra le ore 16-18 del pomeriggio; nella
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
popolazione generale invece è presente un’unica acrofase compresa tra le ore 16-18. I turni
a rotazione rapida ed ultrarapida consentono
un miglior adattamento dell’individuo alle necessità lavorative. Un ulteriore adattamento al
lavoro a turni si ottiene quando la direzione
del turno è in senso orario (mattino-pomeriggio-notte-riposo) anziché in senso antiorario
(pomeriggio-mattino-notte-riposo) perché nel
primo caso si guadagnano 8 ore di riposo tra la
fine di un turno e l’inizio del successivo, contrariamente a quanto avviene in un turno in anticipo di fase in cui spesso nello stesso giorno si
lavora al mattino e si inizia il turno notturno.
Gli effetti della desincronizzazione del SCN
operato dall’inversione del ciclo sonno/veglia
danno vita a tre epifenomeni:
1. una alterazione del ciclo sonno/veglia con
incremento del debito di sonno
2. una immediata e reversibile riduzione
della secrezione della melatonina dovuta all’esposizione notturna a luce artificiale
3. un crono caos a carico degli orologi periferici che sembra manifestarsi non nell’immediatezza del termine del turno notturno ma nei giorni successivi all’effettuazione del turno
Il debito di sonno si manifesta nei turnisti
non solo perché naturalmente lavorando di
notte non riposano ma anche perché sia che
vadano a riposare il pomeriggio prima di iniziare
il turno notturno o al mattino dopo aver terminato il turno di notte la qualità e la quantità del
sonno si dimostrano insufficienti a garantire il
pieno recupero psico-fisico. Nei lavoratori notturni che si coricano al mattino per riposare, il
sonno è ridotto di 2-4 h, spesso è interrotto da
risvegli precoci ed è più povero della fase 2 e del
sonno REM (Rapid Eye Movement); tale situazione genera un conflitto tra bisogno di dormire
e gli ostacoli che ad esso si contrappongono determinando nel breve-medio periodo un debito
di sonno in grado di interferire negativamente
sulla performance psico-fisica del soggetto con
eccessiva sonnolenza diurna, diminuita capacità
di attenzione e concentrazione sul lavoro, tutte
situazioni che possono favorire l’infortunio lavorativo. Inoltre va considerato anche un altro
aspetto: i turnisti quando lavorano al mattino
iniziano il turno generalmente attorno alle ore 6
con la necessità quindi di una sveglia anticipata
in relazione della distanza tra casa e luogo di lavoro, dell’orario dei mezzi di trasporto utilizzati
ecc.; nel caso che non venga anticipato l’orario
di coricamento della sera precedente, ancora
più pronunciata sarà la sonnolenza diurna con
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
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Figura 2 - Variazioni di alcuni ritmi circadiani in lavoratori turnisti vs
giornalieri
Figure 2 - Changes in some circadian
rhythms in shift workers vs. daily
un debito complessivo di sonno destinato a
crescere ulteriormente. I disturbi del sonno
sono molto frequenti nei lavoratori turnisti, interessando circa il 75% di essi con insonnia ed
eccessiva sonnolenza diurna; nella popolazione
generale l’insonnia interessa invece il 25-30%
delle persone mentre nei lavoratori giornalieri l’insonnia riguarda il 10-30% dei lavoratori.
Recentemente l’International Classification of
Sleep Disorders (ICSD) definisce il disturbo del
sonno conseguente al lavoro a turni come caratterizzato da sintomi di insonnia o eccessiva sonnolenza non solo diurna (turno del mattino) ma
anche notturna (turno di notte); l’insonnia viene
definita “lieve” quando il debito di sonno varia
da 1-2 ore, “moderata” quando il debito varia
tra 2-3 ore ed infine “grave” quando il deficit di
sonno supera le 3 ore. Riguardo alla durata, l’ICSD definisce l’insonnia “acuta” se dura da meno
di 7 giorni, “sub-acuta” se dura fino a 3 mesi e
“cronica” se supera i 3 mesi. La minor qualità
e quantità di sonno è dovuta alla desincronizzazione del ciclo sonno/veglia rispetto ai ritmi
circadiani preimpostati; infatti quando il turnista
si corica nel pomeriggio o il mattino successivo
al turno l’organismo si trova in condizione di
attivazione ergotropica dovuta al cortisolo il cui
ritmo circadiano difficilmente viene alterato dal
lavoro a turni. Lo stesso vale per la melatonina:
ripristinando le normali condizioni di luce/buio
essa riprende immediatamente il proprio ritmo
circadiano e quindi il pomeriggio che precede
il turno ed a maggior ragione il mattino dopo
il turno notturno, i bassi valori di melatonina
presenti in circolo non sono in grado di indurre
al sonno. Infine anche la temperatura corporea
che non viene modificata dal lavoro notturno
rappresenta un ulteriore ostacolo al riposo diurno: infatti i suoi valori iniziano a salire attorno
alle ore 6 del mattino raggiunge un plateau attorno alle ore 10 perdurante fino alle 17 dopodiché scende soprattutto durante le ore notturne
dedicate al sonno. Gli elevati valori della temperatura corporea ostacolano il sonno diurno
determinando la difficoltà a prendere sonno. Il
sonno è un importante regolatore nei confronti
dei geni clock e quando esso è insufficiente induce modificazioni nella loro espressione. In un
recente studio2 condotto su una popolazione di
infermiere turniste in pre-menopausa con turno
a rotazione ultrarapida ed in ritardo di fase confrontate con un gruppo analogo di infermiere
che lavorano su turno giornaliero, abbiamo
misurato la melatonina presente nelle urine
raccolte durante il turno lavorativo notturno
confrontandolo con i campioni di urine raccolte nello stesso periodo dalle infermiere non
turniste e come atteso, i livelli di melatonina
urinaria erano significativamente minori nelle
turniste rispetto alle giornaliere. Ma il dato più
interessante veniva dallo studio dei geni clock:
mediante un prelievo di sangue effettuato in
entrambi i gruppi attorno alle ore 7 del mattino è stata valutata l’espressione dei geni clock
nei monociti, senza rilevare alcuna differenza
statisticamente significativa tra i due cluster
studiati. Successivamente abbiamo ripetuto
la misura nelle urine della notte della melatonina nelle infermiere turniste, quando queste
analogamente alle infermiere non turniste,
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Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
iniziavano il turno del mattino ad una distanza
di due giorni da quando avevano lavorato di
notte3. Ebbene mentre i valori di melatonina
urinaria nei due campioni non dimostravano
differenze statisticamente significative, il dosaggio dell’espressione dei geni clock rivelava invece differenze fortemente significative
tra turniste e giornaliere come pure veniva
apprezzata una significatività seppur modesta nel dosaggio del 17 ß-estradiolo ematico
(Tabella 1). I risultati di questi studi sembrano
indicare come a seguito di un turno notturno,
la melatonina prodotta dall’epifisi subisce una
riduzione immediata per poi ritornare rapidamente su valori fisiologici, mentre “l’onda
lunga” quale effetto della desincronizzazione
subita dal SCN sembra raggiungere i geni clock
periferici dopo qualche tempo. Naturalmente
questa osservazione va confermata da ulteriori studi atti a verificare l’espressione dei
geni clock periferici in popolazioni di turnisti
nell’arco delle 24 ore e su turni diversi compreso il giorno di riposo.
Malattie correlate al lavoro notturno
DISTURBI PSICOLOGICI E MENTALI
Indubbiamente il lavoro a turni e notturno
può rappresentare uno stressor per i lavoratori
dovuto al debito di sonno, alla desincronizzazione circadiana per il mancato rispetto della notte
biologica ed alla difficoltà ad aggiustare gli orari
di lavoro con gli impegni sociali e familiari. A tal
proposito in un recente studio5 abbiamo valutato l’interferenza che il supporto sociale percepito nelle lavoratrici turniste esercita nei confronti
del sistema immunitario: ad un basso supporto
sociale corrisponde una attivazione significativa
dei linfociti CD8+CD57+ (markers d’immunosenescenza) e del TNF-α. I lavoratori turnisti
lamentano frequentemente irritabilità, nervosismo, incremento dei conflitti familiari, difficoltà
di concentrazione, ansia, insonnia, stanchezza
cronica, nevrosi e disturbi dell’umore, depressione che possono associarsi ad incremento del
consumo di sigarette, disordini alimentari ed
abuso di sostanze alcoliche. In particolari casi
nel tentativo di sconfiggere l’insonnia possono
far ricorso all’uso di sedativi e ipnotici.
MALATTIE GASTROINTESTINALI
Numerosi studi epidemiologici riportano una
associazione tra lavoro a turni e patologie gastrointestinali quali dispepsia, colon irritabile,
pirosi gastrica, reflusso gastro-esofageo, ulcera
peptica e perfino il cancro. I disturbi gastrointestinali sono molto frequenti nella popolazione
generale e molto comuni sia tra turnisti che
lavoratori giornalieri. Le prime osservazioni datano al 1921 quando Vernon segnalò una maggiore prevalenza di malattie gastriche in turnisti
che lavoravano in fabbriche di armamenti. Da
allora sono stati pubblicati numerosi lavori che
hanno esaminato questa associazione, spesso
confermandola altre volte non rilevandola. La
spiegazione va ricercata nelle diverse metodiche d’indagine utilizzate per diagnosticare le
malattie, dai questionari o interviste o certificati
medici per poi arrivare ad una più puntuale definizione mediante l’utilizzo di tecniche radiologiche per immagini fino all’endoscopia con
prelievo bioptico. Knutsson e Bøggild hanno
condotto nel 2010 una review sistematica dei
Tabella 1 - Livelli dell’espressione dei geni clock, 6-sulphatoxymelatonina (aMT6s) e del 17 ß-estradiolo in infermiere giornaliere (DT) e turniste (SW)
Table 1 - Expression levels of genes clock, 6-sulphatoxymelatonina (aMT6s) and 17 β-estradiol on day nurse (DT) and turniste (SW)
Espressione dei geni clock:
BMAL
CLOCK
NPAS2
PER 1
PER 2
PER 3
CRY 1
CRY 2
REVERBα
aMT6s
17 ß-estradiolo
DT infermiere 95% Cl
0.5 – 2.2
0.9 – 11.3
0.7 – 1.4
2.1 – 4.6
3.6 – 7.6
2.3 – 6.3
9.3 – 23.4
10.9 – 33.5
3.9 – 18.0
28.7 – 43.6
31.8 – 43.7
SW infermiere 95% Cl
3.4 – 8.6
2.0 – 17.8
1.4 – 2.5
3.2 – 7.3
8.5 – 14.2
1.8 – 4.1
6.6 – 13.4
7.8 – 12.4
14.6 – 35.9
34.1 – 54.8
44.5 – 58.8
p
0.001
0.027
0.001
0.025
0.002
0.029
0.006
0.006
0.007
0.301
0.040
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
lavori pubblicati su questo argomento dal 1966
al 200916 ed i risultati sono riportati in Tabella 2.
L’Helicobacter pylori (HP) è un batterio presente
nello stomaco in grado di promuovere la comparsa di ulcera peptica. L’infezione da HP anche
se colpisce in egual misura i lavoratori turnisti e
giornalieri, è responsabile di un maggior numero di ulcere peptiche nei turnisti (28,7% ) rispetto ai giornalieri (9,3%), probabilmente a causa
di una minore efficacia delle difese immunitarie
locali. I clock genes sono presenti nell’apparato
gastroenterico e la loro attivazione avviene in
modo autonomo rispetto all’orologio principale
soprachiasmatico, in concomitanza con l’orario
dei pasti. Nei lavoratori turnisti l’orario in cui
vengono consumati i pasti, subisce continue
variazioni in rapporto alle necessità lavorative e
questo determina una continua desincronizzazione dei ritmi circadiani scanditi dai clock genes
periferici.
MALATTIE CARDIOVASCOLARI
La rivista The Lancet pubblicò nel 1986 uno
studio condotto da Knutsson e Ǻkersted che denunciava nei turnisti un incremento del rischio
di cardiopatia ischemica (CVD) correlata all’aumento dell’anzianità lavorativa: dopo 20 anni
di turnazioni il RR calcolato era pari a 2.8. Nel
1999 Bøggild condusse una prima revisione di
17 lavori pubblicati in letteratura sull’argomento1, concludendo che i turnisti presentavano un
eccesso di rischio di infarto del miocardio rispetto ai giornalieri, quantificandolo nell’ordine del
40%. Knutsson e Bøggild nel 200017 attribuirono
l’aumento del rischio allo stress causato dall’inversione del ciclo sonno/veglia e conseguente
55
desincronizzazione del ritmo circadiano in grado
di interferire anche sul controllo autonomico del
cuore; anche altri fattori quali la deprivazione
del sonno, le modifiche degli stili di vita (dieta,
fumo ecc.) e la possibile insorgenza di conflitti
socio-familiari, sono in grado di interferire negativamente sulla salute del lavoratore notturno.
Del resto già Marmot nello Studio Whitehall
svolto su 17.530 dipendenti statali aveva rilevato come la mortalità fosse maggiore negli
impiegati di livello più basso rispetto ai colleghi
di livello superiore. Queste osservazioni furono
successivamente confermate dagli epidemiologi
cardiovascolari che evidenziarono una stretta
associazione tra cardiopatia ischemica e bassi
livelli culturali, economici e di scolarizzazione
responsabili di stili di vita a rischio a cui si accompagna una maggior difficoltà ad accedere ai
servizi di prevenzione e cura. Knutsson in una review pubblicata nel 200318 dopo aver esaminato
i lavori pubblicati su tale argomento negli ultimi
30 anni, conclude ribadendo per un’evidente
associazione tra lavoro a turni e CVD (Tabella
3). Nel 2011 la rivista Occupational Medicine ha
pubblicato uno studio epidemiologico finalizzato a valutare le evidenze scientifiche riguardo
ad una possibile associazione tra lavoro a turni
e malattie croniche; in Tabella 4 sono riportati i
lavori revisionati da Wang31 e da Frost8. Secondo
Wang non esiste un’associazione causale tra
infarto del miocardio e lavoro a turni mentre
Frost dopo una valutazione dei lavori condotta
modificando in parte il metodo proposto dal
Royal College of General Practitioners, conclude
sostenendo che esiste una evidenza moderata
riguardo all’associazione tra lavoro a turni e malattie cardiovascolari.
Tabella 2 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattie apparato digerente (Knutsson A, Bøggild H. 2010)
Table 2 - Results of review on association between shift work and digestive diseases (Knutsson A, Bøggild H. 2010)
Associazione con disturbi gastrointestinali
Autore ed anno
Associazione
Dirken 1966
No
Koller 1983
Si
Alfredsson 1991
No
Enck 1995
Si
Prunier-Poulmaire 1998
Si
Caruso 2004
Si
Associazione con reflusso
gastro-esofageo
Autore/anno
Associazione
Li 2008
Si
Associazione con ulcera peptica
Autore ed anno
Associazione
Segawa 1987
Si
Angersbach 1980
Si
Higashi 1988
No
Tüchsen 1994
Si
Sugisawa 1988
Si
Zober 1998
Si
Associazione con M. di Crohn
e colite ulcerosa
Autore/anno
Associazione
Sonnenberg 1990
Si
Bøggild 1996
Si
Associazione con
tumori gastrointestinali
Autore/anno
Associazione
Schernhammer 2003
Si
Taylor 1972
No
56
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
Tabella 3 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattia cardiovascolare (Knutsson 2003)
Table 3 - Results of review on association between shift work and cardiovascular disease (Knutsson 2003)
Anno
1972
1980
1982
1986
1996
1996
1996
1997
1999
1999
Autore
Taylor and Pocock
Angersbach
Alfredsson
Knutsson
McNamee
Steeland
Kawachi
Tenkanen
Knutsson
Boggild
Numerosità campionaria
8603
640
14500
504
934
944
79000
1804
4648
5249
RR o OR
Nessuna associazione
Nessuna associazione
1,25
1,41
0,90
0,64
1,38
1,40
1,30
0,96
Tabella 4 - Risultati della review su associazione tra lavoro a turni e malattia cardiovascolare (Wang et al. 2011)
Table 4 - Results of review on association between shift work and cardiovascular disease (Wang et al. 2011)
Anno
2007
2007
2008
2009
Autore
Ellingsen
Hermansson
Haupt
Brown
Numerosità campionaria
223
507
1057
74423
DISORDINI METABOLICI
Le malattie cardiovascolari riconoscono fattori di rischio ben precisi quali il fumo di sigaretta,
l’obesità, il diabete, dislipidemie, ipertensione
arteriosa e la sedentarietà.
Theorell ed Ǻkersted nel 1976 dimostrarono
un incremento dei valori di potassiemia, acido
urico, glucosio, colesterolo e lipidi totali nel
siero dei lavoratori turnisti e d’allora diversi
studi sono stati condotti per valutare un’eventuale associazione tra lavoro a turni e sindrome
metabolica e la maggior parte di essi concorda
sull’incremento del rischio di sviluppare la sindrome metabolica in chi svolge lavoro a turni.
La sindrome metabolica (SM) comprende un
insieme di fattori di rischio tra loro associati,
rappresentati da adiposità addominale, ipertensione arteriosa, iperglicemia, aumento dei
trigliceridi, decremento del colesterolo HDL.
La patogenesi sembra doversi ricondurre all’insulino-resistenza con incremento del rischio di
sviluppare diabete mellito e malattie cardiocircolatorie. Non esiste una condivisione riguardo
ai criteri da utilizzare per porre la diagnosi di SM:
una ne fornisce il Third Report of the National
Cholesterol Education Program Expert Panel on
Detection, Evaluation, and Treatment of High
Blood Cholesterol in Adults (NCEP-ATPIII), un’altra è quella adottata dall’International Diabetes
Federation (IDF), un’altra ancora quella del World
RR o HR
1.65
1,0
1,53
1,04
Associazione
Si
No
Si
No
Health Organization ed infine c’è quella dell’European Group for the Study of Insulin Resistance.
La variabilità dei metodi utilizzati condiziona
l’esito dei risultati e del resto anche la scelta
del campione e la sua omogeneità all’interno di
un comparto è decisiva per l’attendibilità dello
studio. Così la stima della prevalenza della sindrome metabolica nella popolazione generale e
nei comparti lavorativi dimostra una variabilità
di risultati in relazione sia al metodo impiegato
per fare diagnosi che alla definizione utilizzata
di lavoratore turnista. In una nostra esperienza
condotta nel 2008 è stata valutata la prevalenza
della SM in un campione di medici ed infermieri
divisi in turnisti-notturni ed in turnisti-giornalieri
a seconda che effettuassero o meno, una o più
notti al mese4. Per ottenere un campione più
omogeneo sono stati successivamente messi a
confronto solo gli infermieri raggruppandoli in
due cluster a seconda che effettuassero lavoro a
turni e notturno (5 notti/mese) oppure lavoro a
turni diurno. Il rischio cardiometabolico è stato
valutato utilizzando tre metodi frequentemente
proposti, per quantificare il rischio nella popolazione: l’EUROCISS (European Cardiovascular Indicators Surveillance Set) il NCEP-ATPIII 2005 e l’IDF.
L’EUROCISS è un sistema che attraverso l’analisi
dei fattori di rischio stima la possibilità di incorrere in un evento cardiovascolare (ictus) nell’arco di
10 anni ed è ampiamente utilizzato per stimare il
rischio nella popolazione generale. L’impiego del
57
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
metodo in un campione lavorativo rappresentato
da operatori sanitari non si è dimostrato sufficientemente sensibile a stimare l’effettivo rischio
perché non tiene conto di variabili rappresentate
dai valori di pressione diastolica, dall’incremento
ponderale, né dei trigliceridi e della glicemia a
digiuno, tutti fattori di rischio spesso presenti
nei turnisti a causa del consumo di pasti ad orari
diversi e l’utilizzo di cibi raffinati durante il turno
notturno. Inoltre il metodo EUROCISS non tiene conto della variabile relativa all’attività fisica
anch’essa importante per la stima del bilancio
calorico e metabolico in grado quindi d’interferire
non solo sul peso ma anche sui valori pressori
arteriosi. I risultati ottenuti impiegando il metodo
EUROCISS, posizionavano su sei classi di rischio
previste, nella classe 1 (probabilità di CVD < 5%)
oltre l’80% del campione; in classe 2 (probabilità
di CVD 5-10%) quasi il 18%, in classe 3 (10-15%
di probabilità di CVD) l’1,3% dei soggetti ed infine
lo 0,7% risultava posizionato in classe 4 (15-20%
di rischio CVD); nessun operatore era ricompreso
nelle restanti due classi a rischio ulteriormente
maggiore. In Tabella 5 sono invece presentati i risultati ottenuti applicando allo stesso campione il
metodo ATPIII 2005 ed IDF, per la diagnosi di SM.
L’utilizzo di un metodo più restrittivo quale l’IDF
fa emergere differenze significative nel campione
analizzato e le differenze in termini di prevalenza
si acuiscono nel gruppo omogeneo composto
da soli infermieri con un più elevato numero di
notti mensili lavorate. Infine riguardo a poche
segnalazioni apparse in letteratura sulla presenza
di elevati valori di omocisteina plasmatica nei
lavoratori turnisti rispetto ai giornalieri, i risultati
del nostro studio escludono la presenza di qualsiasi associazione con questo fattore di rischio;
limitando le osservazioni alla sola differenza tra
medie, anche nel campione esaminato i maggiori
livelli di omocisteina erano associati al lavoro a
turni ma quando i dati sono stati sottoposti ad
analisi di regressione logistica aggiustata per età,
sesso, consumo di alcool, abitudine tabagica,
consumo di verdure legumi e frutta ed utilizzo
di contraccettivi orali, tale differenza ha perso di
significatività.
CLOCK GENES E SINDROME METABOLICA
Nel topo è stato evidenziato un oscillatore
extra SCN in grado di coordinarsi sullo zeitgeber
rappresentato dal ciclo fame/sazietà. Tale ciclo
alimentare è attivato con un sistema di controllo
a feed-back dagli ormoni leptina e grielina come
anche da prodotti del metabolismo alimentare
(glucosio, trigliceridi ecc.) e sembra in grado di
coinvolgere e trascinare molti degli oscillatori
periferici. Varianti genetiche del gene umano
CLOCK sono associate ad un aumento dell’introito energetico mentre quelle di Per2 con l’iperglicemia a digiuno e quelle di NPAS2 all’ipertensione arteriosa. Ciò suggerisce l’ipotesi che la
sindrome metabolica possa essere espressione
della desincronizzazione operata dal lavoro a
turni sui ritmi circadiani.
DIABETE
È stato ipotizzato che il lavoro a turni potesse essere associato ad una maggiore incidenza
di diabete; i risultati dei più significativi studi
epidemiologici prevalentemente condotti nella
popolazione giapponese (Tabella 6) evidenziano
un’intolleranza al glucosio nei lavoratori notturni con un aumento dell’insulino-resistenza durante le ore notturne ed una più alta prevalenza
(quasi doppia) di diabete di tipo 2 nei turnisti
rispetto ai giornalieri21,28. Inoltre una maggiore
anzianità lavorativa in turni notturni sembra
associarsi ad un incremento della prevalenza di
diabete tipo 2. Nagaya21 ha riportato che i lavoratori a turni presentavano valori di glicemia più
elevati ed un numero significativo di essi era in
trattamento con farmaci antidiabetici rispetto ai
colleghi diurnisti solo nella fascia di età compresa tra i 30-39 anni (OR=6.75, 95% CI 1.31-56.1)
mentre tale significatività si perdeva nella fascia
di età compresa tra 40-49 anni (OR=1.2, 95%
CI 0.68-2.10) e tra 50-59 anni (OR=0.93, 95% CI
0.53-1.55). Anche la direzione del turno sembra
interferire sulla glicemia: turni in anticipo di
fase predispongono all’insorgenza dell’iperglicemia molto di più dei turni in ritardo di fase.
Tabella 5 - Prevalenza di sindrome metabolica negli operatori sanitari
Table 5 - Prevalence of metabolic syndrome in healthcare
Metodo
ATP III
IDF
in tutti gli opera- nei medici ed infertori sanitari
mieri con turno notturno
10,8%
11,4%
28,6%
37,1% *
nei medici ed infermieri negli infermieri con negli infermieri con
con turno diurno
turno notturno
turno diurno
10,3%
20,8%
12,5%
40,6% *
*Differenza statisticamente significativa (p < 0,005) tra i due gruppi dello stesso campione
14,6%
17,1%
58
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
Tabella 6 - Diabete e lavoro a turni
Table 6 - Diabetes and shift work
Anno
1983
1999
2002
2005
2009
Autore
Mikuni
Kawakami
Nagaya
Morikawa
Suwazono
Numerosità campionaria
2167
2194
826
2368
7104
L’interpretazione dei dati riguardo una presunta
associazione tra diabete e lavoro a turni è resa
difficile per l’incompletezza delle informazioni
riportate, le tipologie di lavoro a turni non confrontabili tra i diversi studi e pertanto l’evidenza
epidemiologica è piuttosto limitata.
PATOLOGIA NEOPLASTICA
Nel 1987 da Stevens RG è stata avanzata
l’ipotesi che l’aumento del rischio di sviluppare
il cancro al seno nella società industrializzata fosse dovuto all’allungamento delle attività
umane nella fascia oraria notturna con maggior
esposizione alla luce elettrica, diminuita secrezione complessiva della melatonina, aumento
dei livelli degli estrogeni responsabili dell’incremento del rischio di cancro al seno (melatonin
hypothesis). L’idea di Stevens era suffragata dai
risultati ottenuti sul modello animale; infatti
topi esposti a livelli costanti di luce artificiale sviluppavano tumori della mammella. Più
recentemente la ricerca sull’associazione tra
lavoro a turni e cancro sta indagando sul ruolo
che la desincronizzazione dei ritmi circadiani, la
deprivazione del sonno, l’interazione dei clock
genes possono determinare sullo sviluppo del
cancro. Straif27 ha valutato per conto dello IARC
i risultati di otto studi epidemiologici sull’associazione tra cancro della mammella e lavoro a
turni in popolazioni lavorative rappresentate da
assistenti di volo, infermiere ed operatrici radio
telegrafiste; sei di questi studi hanno evidenziato un incremento del rischio relativo di cancro
al seno soprattutto nelle turniste con maggiore
anzianità di lavoro. Sulla base dei risultati degli
studi epidemiologici e di altri di tipo sperimentale finalizzati a verificare i meccanismi fisiopatologici responsabili di una associazione tra
lavoro a turni e notturno e cancro, lo IARC ha
definito il lavoro a turni che causa una perturbazione dei ritmi circadiani come probabilmente
cancerogeno per l’uomo (Classe 2A) in base ad
una limitata evidenza nell’uomo e sufficiente
evidenza negli animali da esperimento per la
cancerogenicità dimostrata dall’esposizione alla
Associazione
Si
No
Si
Si
Si
luce artificiale durante il periodo di buio (notte
biologica). Successivamente alla classificazione
dello IARC sono apparsi due lavori, il primo
una revisione sistematica operata da Kolstad19
e condotta su 13 studi epidemiologici di cui 8
riguardavano l’associazione tra lavoro notturno
e cancro della mammella e il secondo di Costa7
che evidenziavano come gli otto studi su cui si
era basata la classificazione dello IARC mostrassero due aspetti metodologici che ne limitavano
la validità: la stima approssimativa riguardo alla
effettiva esposizione al lavoro a turni e notturno
nei campioni selezionati e l’incompleta valutazione di altri fattori di rischio “confondenti” e/o
“concorrenti”. Successivamente alla classificazione dello IARC sono stati pubblicati tre studi
caso-controllo11,20,23 ed uno studio di coorte25.
Due studi caso-controllo condotti sugli infermieri indicano un’associazione tra il lavoro a turni
e notturno ed il cancro al seno, dopo aggiustamento dei maggiori fattori di confondimento;
nello studio condotto da Lie20 su 49.402 infermiere che effettuavano turni lavorativi giorno/
notte è stata riscontrata un significativo aumento del rischio di tumore al seno nelle infermiere
che lavoravano da ≥ 5 anni con una frequenza
pari o maggiore a 5 notti consecutive suggerendo quindi che un rischio maggiore di cancro al
seno sia correlato al numero di turni notturni
consecutivamente svolti. Hansen e Stevens11
hanno condotto uno studio intervistando una
coorte nazionale di infermiere danesi richiedendo informazioni dettagliate riguardo la durata
effettiva del lavoro a turni ed altri potenziali
fattori di confondimento. Nelle infermiere che
hanno lavorato in turni a rotazione dopo mezzanotte, presentavano un significativo aumento
(OR=1,8; Cl 1,2-2,8) del cancro al seno rispetto
alle colleghe che lavoravano di giorno. Nell’analisi condotta tenendo presenti varie tipologie di
turnazione, un OR più elevato (OR2,6; Cl 1,8-3,8)
è stato osservato nel lavoro a turni a lungo termine. I risultati pertanto confermano anche con
l’utilizzo di una metodologia più rigorosa che il
lavoro a turni e notturno aumenta il rischio di
tumore al seno particolarmente se si prolunga
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
per lungo tempo. In conclusione gli studi successivamente condotti al 2007 non hanno indotto
una revisione riguardo alle conclusioni raggiunte
dallo IARC.
La luce artificiale e la soppressione di melatonina
Il lavoro notturno determina a carico dei
lavoratori una esposizione a luce artificiale che
inibisce la secrezione di melatonina in maniera
dose-dipendente con soglia tra i 200 e 400 Lux
mentre una soppressione totale la si ottiene
per valori di Lux compresi tra 2000-2500. La
ridotta secrezione di melatonina, determina un
aumento degli estrogeni ed immunosoppressione. Nel 1978 osservazioni condotte da Cohen
dimostrarono come la soppressione notturna
della melatonina determinasse un incremento
degli estrogeni. Stevens nel 1987, formulando
la “melatonin hypotesis” ipotizzava come la
pandemia di tumore alla mammella registrata
nel secondo dopoguerra, potesse essere messa
in relazione al maggiore utilizzo e quindi alla
prolungata esposizione alla luce elettrica a seguito del prolungamento delle attività umane
durante l’orario notturno e non solo per motivi
produttivi ma anche ricreativi (pensiamo alla
diffusione della televisione in Europa negli anni
cinquanta del secolo scorso che ha modificato gli orari e gli stili di vita dei telespettatori).
Key14 verificò come l’iperestrogenismo fosse una
causa riconosciuta di tumore della mammella
confermando il modello biologico secondo cui
l’esposizione alla luce artificiale comporta una
minore produzione di melatonina, incremento
degli estrogeni, con aumento del rischio di cancro al seno. La melatonina esercita un’azione
regolatrice sul sistema immunitario essendo in
grado di interagire con esso grazie alla presenza
di recettori specifici sulle cellule linfocitarie; una
riduzione della produzione di melatonina endogena ottenuta mediante pinealectomia o una
depressione funzionale come si verifica con la
luce artificiale durante le ore notturne, determina immunodepressione con riduzione delle cellule NK, dei linfociti T citotossici, delle citochine
proinfiammatorie IL-2 e IL-12, dell’interferone
γ e del fattore di necrosi tissutale (TNF), tutte
condizioni in grado di favorire lo sviluppo e la
crescita di cloni cellulari neoplastici. Gli effetti
immunomodulatori della melatonina si esplicano mediante l’attivazione del complesso delle
citochine che inibiscono la crescita antitumorale. Le citochine vengono prodotte dai linfociti
sulla cui superfice sono presenti i recettori per
la melatonina; quando la melatonina si unisce
ai linfociti non solo determina la produzione di
citochine ma innesca una attivazione generale
59
del sistema immunitario con proliferazione delle cellule coinvolte nella risposta immunitaria
(linfociti B e T e NK) ed aumento della loro capacità di risposta nei confronti di virus, batteri
e cellule tumorali. La melatonina inoltre, svolge
un’importante azione anche come antiossidante: i radicali liberi sono prodotti collaterali del
metabolismo cellulare altamente instabili, caratterizzati da elettroni spaiati su un orbitale
esterno, in grado di reagire rapidamente con
qualunque molecola sottraendo un elettrone
e producendo in tal modo danni reversibili od
irreversibili a carico sia delle membrane cellulari
e della loro componente lipoproteica sia a carico degli acidi nucleici in grado di promuovere
o l’apoptosi cellulare oppure il formarsi di cloni
composti da cellule cancerogene; il tutto dipende dall’entità del danno ma anche dalla capacità
dell’organismo a ripararlo utilizzando sostanze
antiossidanti quali la melatonina, le vitamine
A,C,E, glutatione ecc. e l’azione dei geni non
clock riparatori. La melatonina tuttavia sembra
avere una marcia in più rispetto agli altri antiossidanti, sia per la sua capacità di legarsi agli acidi
nucleici proteggendo quindi il DNA particolarmente sensibile all’azione dei radicali liberi, sia
per le sue caratteristiche lipofile ed idrofile che
le consentono di penetrare in qualsiasi cellula
del corpo umano superando anche la placenta e
la barriera ematoencefalica dove invece gli altri
antiossidanti non arrivano. La melatonina svolge
quindi un’azione protettiva a carico delle cellule
nei confronti degli agenti in grado di produrre
danni al DNA, promuovendo anche la riparazione del DNA eventualmente danneggiato.
Quando la produzione di radicali liberi eccede
le capacità “depurative” dell’organismo, allora
si parla di stress ossidativo: quantità adeguate
di melatonina assicurano una maggiore attività
protettiva nei confronti delle cellule ad opera
dello stress ossidativo. La melatonina infatti
può proteggere la cellula dal danno al DNA da
parte degli agenti cancerogeni e dei radicali
liberi bloccandoli direttamente come pure intervenendo indirettamente stimolando l’attività
d’importanti sistemi antiossidanti quali quello
del glutatione. L’azione anticancerogena della
melatonina nel tumore della mammella si esplica riducendo la sintesi locale degli estrogeni, inibendo l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi con conseguente decremento degli estrogeni circolanti
ed infine interagendo direttamente sul recettore
estrogenico ERα, neutralizzando così gli effetti
dell’estradiolo sulla proliferazione ed invasività
delle cellule tumorali mammarie; inoltre inibisce
gli enzimi aromatasi che controllano la conversione degli androgeni in estrogeni. Recenti studi
60
sottolineano come la melatonina sia in grado di
svolgere la propria azione oncostatica, inibendo la captazione degli acidi grassi (ac. linoleico
in particolare) da parte della cellula tumorale,
allo scopo di prevenire la formazione di ac.13idrossioctadecadienoico, un composto ad elevata capacità mitogena. Infine esercita un’azione
antimitotica, antiossidante ed antiangiogenica
nei confronti delle cellule neoplastiche.
Cancro al seno e cecità: La maggioranza degli
studi sperimentali supporta l’ipotesi che in condizioni di completa oscurità gli alti livelli di melatonina esplichino non solo una potente azione
anti-cancro nei confronti delle cellule neoplastiche ma anche una protezione nei confronti delle
cellule normali dall’avvio del processo cancerogeno. Le donne non vedenti producono a causa
della mancata o ridotta percezione della luce
una quantità maggiore di melatonina rispetto alle vedenti. Nel 1991 Hahan10 pubblicò uno studio
caso-controllo dimostrando come nelle donne
affette da tumore della mammella solo lo 0,15%
fossero cieche; altri tre studi condotti in USA e
Europa, hanno dimostrato che l’incidenza del
cancro alla mammella è ridotta in donne cieche
rispetto alle vedenti. Un altro studio più “raffinato” condotto da Verkasalo30 ha definito il grado
di danno visivo in cinque categorie che vanno
dalla visione moderatamente bassa alla completa
cecità; nel periodo 1983-1996 furono monitorate
11.000 donne affette da grave deficit visivo e solo
in 124 di queste, venne posta diagnosi di cancro
della mammella. Il tasso standardizzato d’incidenza del tumore al seno diminuiva da 1,05 nelle
donne affette da moderata bassa visione allo
0,47 in quelle completamente cieche. Infine uno
studio condotto nel 2001 da Kliukiene15 su 15.000
donne norvegesi ha dimostrato come il rischio
di cancro della mammella risultasse più basso
in chi è diventato cieco prima di 65 anni. Del
resto, numerose prove sperimentali concordano
sull’ipotesi che in condizioni di buio completo, gli
alti livelli di melatonina rappresentino un potente segnale anticancro nei confronti delle cellule
tumorali proteggendo inoltre le cellule normali
dall’iniziale processo cancerogeno; è stato appurato che l’esposizione a livelli costanti di luce fluorescente negli animali durante la notte, promuova
l’accelerazione dello sviluppo di tumori mammari
indotti chimicamente. Ulteriori studi sperimentali
confermano che l’esposizione alla luce artificiale
durante la notte sia in grado di promuovere nelle
donne la tumorogenesi mammaria a causa della
ridotta produzione di melatonina.
Cancro al seno e latitudine nord: in Lapponia
la regione che comprende il nord della Norvegia, Svezia e Finlandia, l’incidenza di cancro della
mammella è più basso rispetto al resto del ter-
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
ritorio di Finlandia e Norvegia. In Alaska invece,
la mortalità per cancro della mammella è maggiore rispetto a quella registrata tra le donne
bianche in USA anche se fino alla fine degli anni
sessanta era più basso; il tasso è triplicato dal
1969 per motivi sconosciuti.
Cancro al seno ed inquinamento luminoso
notturno: pochi studi sono stati condotti misurando i livelli di luminosità all’interno della
stanza da letto oppure rilevando l’entità dell’inquinamento luminoso sulle città; tuttavia le diverse modalità utilizzate per quantificare i livelli
di luminosità non consentono al momento di
associare la prolungata esposizione alla luce artificiale notturna con un incremento del rischio
di cancro della mammella.
Desincronizzazione dei ritmi circadiani e cancro
I nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo ospitano l’orologio principale che tarato sul ciclo
luce/buio dell’ambiente esterno scandisce i ritmi circadiani agli orologi periferici ospitati negli
organi e tessuti mediante segnali umorali, endocrini e nervosi. La ritmicità circadiana è un’attività che si autosostiene ed alimenta mediante un
sistema a feedback di transcrizione-traslazione
che regola l’espressione dei geni dell’orologio
biologico (clock genes). Il lavoro notturno comporta la perdita della normale sincronizzazione
luce-attività/buio-riposo creando una desincronizzazione dei ritmi biologici che avviene in modo
disarmonico facendo perdere quell’organizzazione gerarchica che metteva in relazione l’orologio
principale con gli orologi periferici; ogni orologio
sia centrale che periferico inizia a scandire un
proprio ritmo sostituendo l’organizzazione gerarchica con una disorganizzazione anarchico-individualista. Siamo in presenza di un vero e proprio
crono-caos . Nel 2006 furono Haus e Smolensky
a spostare l’attenzione sugli orologi biologici studiando la desincronizzazione operata dal lavoro
a turni: il repentino cambiamento operato sul
pacemaker principale ipotalamico dall’antitesi
attività/buio si ripercuote sugli orologi secondari
periferici che comunicano con il master clock
utilizzando lo stesso linguaggio fatto di segnali
ormonali e nervosi con cui il sistema neuroendocrino comunica con il sistema immunitario.
Diversi riscontri sia negli animali che nell’uomo
suggeriscono che il cancro possa essere correlato
a disordini dei ritmi circadiani e come l’orologio
circadiano principale, possa svolgere un ruolo
importante nel controllo endogeno della crescita
del tumore: l’ablazione del nucleo sovrachiasmatico determina infatti la rapida crescita dei tumori
in modelli animali. Schematicamente, gli effetti
prodotti dalla desincronizzazione dei ritmi circadiani interessano:
La desincronizzazione dei ritmi circadiani ed effetti sulla salute dei lavoratori turnisti
1.Il master clock ipotalamico con ridotta secrezione di melatonina e di prolattina ed
incremento del cortisolo con effetti immunodepressivi. A tale proposito ricordiamo
che il ritmo circadiano fisiologico della prolattina prevede un suo aumento tra le 24 e
le 3 del mattino ma nei lavoratori notturni
non si assiste alla curva di picco notturna
bensì all’appiattimento della produzione
di prolattina; la prolattina è un ormone
che ha un effetto stimolante nei confronti
delle linee cellulari rappresentate dai linfociti T e B ed una sua ridotta produzione
determina immunodepressione.
2.I clock genes periferici che regolano la
proliferazione cellulare e l’apoptosi sia
direttamente sia indirettamente tramite il
controllo che essi esercitano su numerosi
altri geni responsabili a loro volta della
oncosoppressione, della riparazione del
DNA e del ciclo cellulare. In particolare
si sottolinea il ruolo dei geni di riparo del
DNA controllati dai clock genes: la stabilità
del genoma umano dipende in larga misura dall’efficienza dei sistemi di riparo del
DNA ed un sistema di riparo inefficiente si
caratterizza per il gran numero di polimorfismi a carico dei principali geni di riparo e
dalla loro desincronizzazione.
L’importanza del clock genes nello sviluppo
del cancro è testimoniata dal fatto che una elevata espressione dei geni Per 1 si associa ad una
riduzione della crescita delle cellule tumorali
mentre sotto-espressioni dei geni Per1 si ritrovano nei tessuti sede di cellule tumorali. Nel
cancro della mammella il confronto tra cellule
attigue normali e cancerose, rileva come più del
95% delle cellule cancerose presentino anomalie genetiche a carico dei geni Per1, Per2 e Per3.
Tuttavia anche variazioni strutturali del gene
Per3 e polimorfismi di NPAS2 sono associati ad
un aumento del rischio di sviluppare il cancro
del seno in donne in epoca precedente la menopausa; infatti un loro assetto strutturale atipico
potrebbe indurre una suscettibilità familiare al
cancro del seno che colpisce le giovani donne
e che non può essere spiegata esclusivamente
dalle mutazioni di BRCA1 e BRCA2. La variante
genetica di NPAS2 rappresenta un marker di
suscettibilità del cancro32 come dimostrato in
diversi studi caso-controllo mentre, alti livelli
di espressione di NPAS2 sono associati ad una
maggiore sopravvivenza delle donne affette da
cancro della mammella. Recenti studi hanno
dimostrato il ruolo di NPAS2 nella possibile
regolazione di altri geni non clock correlati
all’oncogenesi in grado di riparare i danni del
DNA. I geni clock che regolano il ciclo cellulare
61
sono in grado se “normoespressi” di esercitare
un’azione di controllo nei confronti di cellule
danneggiate dall’azione dei radicali liberi ma
difetti genetici, polimorfismi o la stessa desincronizzazione dei ritmi circadiani, potrebbero
determinare una alterazione del sistema di transcrizione-traslazione con la conseguenza di rendere inefficace il controllo del ciclo cellulare e la
risposta riparativa ai danni del DNA favorendo
potenzialmente i processi di cancerogenesi. La
desincronizzazione dei ritmi circadiani non si impernia quindi esclusivamente sul clock master,
ma determina anche la deregulation dei clock
genes periferici che si sottraggono al controllo
gerarchico del clock master: di conseguenza
le funzioni biologiche cellulari controllate dal
sistema di transcrizione-traslazione subiscono
modificazioni che possono comportare una difforme espressione dei geni clock che perdono le
loro capacità di controllo nei confronti del ciclo
cellulare e dei geni oncosoppressori che mediano la riparazione del DNA. In tal modo la cellula
danneggiata, non più efficacemente “scudata”
dalla melatonina e dai geni clock, potrebbe non
essere più in grado di riparare il proprio DNA
danneggiato; inoltre, “liberata” dal controllo dei
geni clock, non andrebbe più incontro all’apoptosi, iniziando invece a proliferare e dando vita a
cloni cellulari aberranti su cui un sistema immunitario alterato non è più in grado di intervenire
efficacemente. La desincronizzazione del ritmo
circadiano rappresenta attualmente la via patogenetica principale per spiegare il collegamento
tra lavoro a turni e comparsa di malattie anche
se altri meccanismi patogenetici non possono
essere esclusi. L’ipotesi di evitare il lavoro notturno, mediante il ricorso a modelli organizzativi
differenti che non prevedano tale tipologia di
lavoro, non appare al momento praticabile ai
fini di un’efficace piano preventivo, e di conseguenza è necessario intervenire organizzando
turni lavorativi che minimizzano le alterazioni
circadiane intervenendo anche sulla correzione
di quei fattori comportamentali e di stile di vita
pericolosi per la salute dei lavoratori turnisti.
Deprivazione del sonno e cancro
La deprivazione di sonno che colpisce in
genere chi effettua lavoro notturno a rotazione
lenta è la risultante della somma del sonno perso durante la notte + scarsa efficacia del riposo
diurno. Gli effetti negativi della perdita di sonno
si manifestano con insonnia, ansia e depressione,
irritabilità, ipertensione arteriosa, dispepsia, eccessiva sonnolenza durante gli orari di lavoro con
minore capacitò di concentrazione ed aumento
del rischio di errori ed infortuni. Inoltre la deprivazione del sonno come tutti gli stress cronici,
62
determina un anomalo funzionamento dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene. Reiche nel 2004 dimostrò come la persistente attivazione dell’asse HPA
come risposta allo stress cronico fosse in grado di
determinare direttamente, interferenze immunitarie mediante la diminuzione delle cellule NK e
dei linfociti citotossici con evidenti implicazioni
sull’efficacia del sistema di sorveglianza antitumorale. Inoltre l’incrementata sintesi di cortisolo comporta una ridotta risposta ai mitogeni ed
inibizione dell’attività di fagocitosi da parte delle
cellule citotossiche (linfociti T e cellule NK) come
pure una ridotta capacità di produrre immunoglobuline da parte dei linfociti B; tali disfunzioni
immunitarie, potrebbero favorire lo sviluppo e la
proliferazione di cloni cellulari tumorali. Infine
il sistema immunitario sembra evidenziare una
sofferenza funzionale come diretta conseguenza
dell’alterazione del ritmo sonno/veglia come dimostrato da recenti studi di laboratorio condotti
da Faraut et al. in condizioni di deprivazione del
sonno controllato, con conseguenti alterazioni
funzionali dell’attività d’immunosorveglianza nei
confronti delle cellule cancerose.
Pochi studi prospettici hanno valutato l’associazione tra la durata del sonno e rischio di cancro
al seno ed i risultati appaiono inconcludenti. Due
studi22,24 non hanno evidenziato alcuna associazione mentre in uno studio di Verkasalo29 è stata
dimostrata un’associazione inversa tra durata
maggiore di sonno (> 9 ore) e cancro al seno. È
stato valutato anche il rapporto tra numero di ore
di sonno e la produzione di M attraverso l’escrezione del metabolita urinario 6-OHMS: chi dorme
più di 9 ore produce una maggiore quantità di
melatonina, in media il 42% in più rispetto a chi
dorme ≤ 6 ore. Uno studio giapponese condotto
su 206 donne in postmenopausa non ha trovato
invece maggiori livelli di melatonina urinaria
associati alla durata maggiore di sonno. Grundy9
non ha trovato associazioni tra durata del sonno
e livelli di melatonina urinaria ed anche i risultati
del Nurses Health Study26 non supportano associazioni tra melatonina ed ore di sonno. In conclusione, le prove riguardo ad una possibile associazione tra durata maggiore di sonno e minore
incidenza di cancro al seno come pure rispetto
ad un aumento di produzione della melatonina
in chi dorme più a lungo, appaiono al momento
contradittorie e non definitive.
Conclusioni
La normativa italiana in tema di lavoro a turni
e notturno (D.Lgs. 66/2003, D.Lgs. 213/2004,
Legge 6 agosto 2008 n°133, Legge 4 novembre 2010 n°183) impone al datore di lavoro di
Health Professionals Magazine 2, 2, 2014
attivare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori
esposti a rischio, tramite il medico competente.
Il medico del lavoro deve pertanto adottare tutte quelle misure preventive atte a diminuire il
rischio ed a salvaguardare la salute dei lavoratori. Molte condizioni fisiologiche (es. gravidanza)
e patologiche vanno attentamente valutate soprattutto quando la desincronizzazione dei ritmi
circadiani può aggravare le condizioni di salute
del soggetto. Ad esempio condizioni patologiche
gravi a carico del sistema gastroenterico (ulcera
peptica, epatite cronica attiva, morbo di Chron
e rettocolite ulcerosa) vanno attentamente valutate dal medico del lavoro nell’esprimere il
giudizio di idoneità. Ma anche malattie quali
l’ipertensione maligna, le cardiopatie, disturbi
cronici del sonno, ansia, depressione, epilessia,
diabete insulino dipendente, tireopatie, insufficienza renale cronica e cancro, possono portare il
medico ad esprimere un giudizio di non idoneità al
lavoro notturno. Anche l’organizzazione del lavoro
va presa in considerazione nell’esprimere il giudizio
di idoneità alla mansione: infatti turni a rotazione
rapida ed ultrarapida in ritardo di fase impattano
meno sulle condizioni psicofisiche del lavoratore rispetto ai turni a rotazione lenta o permanente ed in
anticipo di fase. La valutazione delle condizioni del
lavoratore e l’idoneità al lavoro notturno debbono
essere condotte prima che il lavoratore inizi a lavorare e poi riconsiderate periodicamente ogni 2 anni
con lo scopo di rilevare i primi segni di disadattamento psico-fisico al turno di notte. La visita medica
va integrata con esami di laboratorio atti a valutare
la presenza di segni di dismetabolismo, alterazioni
ormonali nel sesso femminile, presenza di tireopatia, test psicometrici per rilevare la presenza di una
eccessiva sonnolenza diurna, ECG di base od Holter
come esami preventivi o test cardiopolmonare per
valutare il reinserimento lavorativo in chi ha sofferto
di ischemia miocardica risolta con intervento chirurgico. Non deve essere invece anticipata nelle donne
turniste in assenza di familiarità o di alterazioni a
carico del seno la mammografia di screening che
normalmente va iniziata dopo i 50 anni.
Dichiarazione di conflitto di interesse
Gli autori dichiarano di non aver ricevuto alcun finanziamento per il seguente studio e di non aver alcun
interesse finanziario nell’argomento trattato o nei risultati
ottenuti.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr. Alfredo Copertaro
Responsabile Servizio di Medicina del Lavoro
ASUR MARCHE AREA VASTA 2 - ANCONA
[email protected]