l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 52 (47.486) Città del Vaticano sabato 4 marzo 2017 . Guerre, fenomeni climatici e rialzo dei prezzi mettono a rischio la sicurezza alimentare nel mondo Vivere e morire con dignità L’Africa ha fame La verità distorta sul fine vita Situazione critica soprattutto in ventotto paesi del continente colpiti dalla siccità y(7HA3J1*QSSKKM( +_!"!%!z!&! di FERDINAND O CANCELLI ROMA, 3. L’accesso al cibo è un problema globale. La sicurezza alimentare è gravemente a rischio in molte aree del mondo dilaniate da conflitti o fenomeni climatici. Il nuovo allarme è contenuto nel rapporto trimestrale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) dal titolo Crop Prospects and Food Situation (“Prospettive dei raccolti e situazione alimentare”). La situazione è critica, soprattutto in Africa. Circa 37 paesi richiedono assistenza alimentare esterna: di essi 28 sono in Africa, dilaniata dai persistenti effetti della siccità causata da fenomeno atmosferico El niño sui raccolti del 2016. Tuttavia, spiegano gli esperti della Fao, anche se ci si aspetta una ripresa della produzione agricola in Africa meridionale, il protrarsi dei conflitti e dei disordini sta facendo aumentare in modo preoccupante il numero degli sfollati e degli affamati in altre parti del continente e del mondo. La carestia è stata dichiarata formalmente in Sud Sudan e la situazione della sicurezza alimentare preoccupa nel nord della Nigeria, in Somalia e nello Yemen. «Questa è una situazione senza precedenti. Non è mai successo di dover affrontare quattro minacce di carestia in altrettanti paesi simultaneamente» ha affermato Kostas Stamoulis, assistente direttore generale e capo del dipartimento economia e sviluppo sociale della Fao. «È una situazione che richiede non solo un’azione rapida per fornire assistenza alimentare nell’immediato, ma anche sostegno ai mezzi di sussistenza per evitare che situazioni del genere si ripetano in futuro» ha aggiunto Stamoulis. La Fao chiede un’azione coordinata dell’Onu e dei governi locali per lanciare un vasto piano di aiuti alle popolazioni colpite. Bastano pochi numeri a far capire la gravità della situazione. In Sud Sudan 100.000 persone devono fare i conti con la fame: nel complesso 4,9 milioni di persone in tutto il paese sono state classificate in situazione di crisi, di emergenza o di carestia. Questo numero è destinato a salire a 5,5 milioni, quasi la metà della popolazione del paese, nel mese di luglio al culmine della stagione magra. Nel nord della Nigeria 8,1 milioni di persone si trovano in condizioni di insicurezza alimentare acuta e richiedono assistenza urgente salva-vita. Questa situazione andrà peggiorando nonostante il raccolto di cereali superiore alla media del 2016. Le principali cause sono i disagi causati dal conflitto con Boko Haram e il forte deprezzamento della valuta locale. Stesso registro per lo Yemen, dove 17 milioni di persone, i due terzi della popolazione, si stima siano in condizioni di insicurezza alimentare. In Somalia il conflitto, i disordini e la siccità hanno fatto raddoppiare da sei mesi a oggi il numero di persone — ora stimato intorno a 2,9 milioni — ritenute in grave situazione d’insicurezza alimentare. Inoltre — sottolinea il documento della Fao — conflitti e disordini civili in Afghanistan, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Myanmar e Siria stanno esacerbando le condizioni di insicurezza alimentare di milioni di persone oltre ad avere effetti sui paesi vicini che ospitano i profughi. Il paradosso che emerge dalle analisi della Fao — come fanno notare gli analisti — è che nel 2016 si è registrato un raccolto mondiale da record. Le risorse, dunque, non mancano. A complicare le cose ci sono non solo le guerre e i fenomeni atmosferici, ma anche la corsa al rialzo dei prezzi. A febbraio l’indice dei prezzi alimentari della Fao ha segnato il settimo aumento mensile consecutivo. L’indice ha raggiunto il valore più alto in quasi due anni, con una crescita dello 0,5 per cento rispetto a quello di gennaio e del 17,2 rispetto al febbraio 2016. Il l rapporto tra malato e medico «deve tornare a basarsi su di un dialogo fatto di ascolto, di rispetto, di interesse; deve tornare a essere un autentico incontro tra due uomini liberi o, come è stato detto, tra una fiducia e una coscienza» diceva Giovanni Paolo II ai medici riuniti in congresso che lo ascoltavano nell’ottobre del 1980. Il Papa parlava alle coscienze e, indirettamente, anche alle «fiducie»: parlava a tutti, medici e pazienti, sicuramente avendo bene in mente che vi sono medici divenuti pazienti e pazienti-medici. In Italia, i fatti di questi ultimi giorni, vissuti da medico palliativista, fanno soffrire e fanno riflettere. Da una parte c’è la sofferenza di chi non vede via d’uscita alla propria situazione se non quella di chiedere la morte e dall’altra parte c’è chi usa questa sofferenza come un grimaldello per scardinare non solo il rapporto tra medico e paziente ma anche quello alla base del vivere civile. Per portare avanti questa operazione, il cui vero volto è spesso quello di interessi economici palesi se si pensa al costo per la società di assistere i propri membri più fragili, non ci si può limitare a raccontare i fatti: si deve distorcere la realtà. E così ai cittadini viene insinuato il sospetto che i malati inguaribili vorrebbero morire al più presto magari con il suicidio assistito, vengono presentati dati dai quali si evincerebbe che l’Italia, consueto fanalino di coda di un dubbio progresso, sarebbe uno degli ultimi posti dove certi presunti diritti non vengono riconosciuti, viene affermato che l’alternativa è tra il soffrire senza speranza e il richiedere la morte. Il risultato che si ricerca non è quello di informare la popolazione in modo corretto ma di frastornarla, di confonderla, di impaurirla cercando di far andare quello che si immagina come un gregge in una direzione ben precisa: per portare ancora una volta alla trasformazione dei desideri in diritti, facendo credere che darsi la morte sia scontato e quasi doveroso in certe situazioni. Le cose non stanno così. Lo scrivo di sera, dopo una mattina trascorsa, come tante altre, con i malati e con le loro famiglie. I pazienti giunti al termine della loro vita non vogliono morire, ma vivere con dignità. Vorrebbero avere, come mi diceva poche ore fa il signor Giovanni, affetto da una sclerosi laterale amiotrofica che gli ha tolto la parola ma che ancora gli permette di scrivere, il tempo per pensare se di fronte a una crisi respiratoria vorranno essere tracheostomizzati o no. Vorrebbero provare, come la signora Anna affetta da un carcino- I Sfollati somali in fila per ricevere aiuti alimentari in un campo vicino Mogadiscio (Ap) trend di crescita è guidato dall’indice dei prezzi cerealicoli, saliti del 2,5 per cento da gennaio, trainato dall’aumento del grano. Aumenti anche per i prezzi della carne (1,1 per cento), come dei prodotti lattiero-caseari e dello zucchero (0,6). A conferma del buono stato della produ- zione, la Fao segnala che in Nord America gli agricoltori hanno ridotto le semine a favore di colture più costose, mentre le prospettive appaiono più solide in Russa, Unione europea, Cina, India e Pakistan. Per la terza stagione consecutiva, la situazione globale dell’offerta e della do- manda di cereali tra 2016 e 2017 è destinata a rimanere «in linea di massima soddisfacente». Sempre quest’anno le scorte mondiali di grano aumenteranno del 6,6 per cento, vale a dire di 15 milioni di tonnellate, raggiungendo quasi 240 milioni di tonnellate. Quasi quattrocento civili uccisi in Iraq nelle operazioni contro i jihadisti Palmira sottratta all’Is DAMASCO, 3. Le forze di Damasco hanno annunciato ieri di avere ripreso il pieno controllo di Palmira, la città sede del sito archeologico patrimonio dell’umanità dell’Unesco, in precedenza controllata dal cosiddetto stato islamico (Is). La riconquista — hanno fatto sapere le forze armate siriane — è avvenuta «grazie alla copertura dei bombardamenti russi e all’appoggio di truppe alleate e amiche». Conquistata una prima volta nel maggio del 2015 dall’Is, che si abbandonò a distruzioni di reperti archeologici e atrocità di ogni tipo, la città era stata ripresa nel marzo del 2016 dalle truppe siriane. Nel dicembre scorso era stata nuovamente occupata dai jihadisti. Ora, dopo quasi tre mesi, viene nuovamente conquistata dai governativi. La città rappresenta non solo un centro culturale di grande importanza, ma anche uno snodo strategico a livello territoriale. Altro fronte destinato a surriscaldarsi — dicono gli analisti — è quello di Manbij, un’altra roccaforte dell’Is nella Siria settentrionale espugnata dalle cosiddette forze della Siria democratica, per la maggior parte composte dai curdo-siriani dell’Ypg (Unità di difesa del popolo curdo). I curdi sono osteggiati in particolare dalla Turchia, che li considera terroristi legati al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e si oppone alla loro eventuale partecipazione ai colloqui di pace in corso a Ginevra. Ankara, entrata nel conflitto siriano la scorsa estate con l’operazione Scudo dell’Eufrate, ha lanciato ieri l’ennesimo ultimatum all’Ypg: «Si ritiri da Manbij o lo colpiremo» come ha dichiarato alla stampa il ministro degli esteri di Ankara, Mevlüt Çavuşoğlu. Intanto, continuano le violenze in Iraq. Almeno 392 civili sono stati uccisi e 613 feriti nel mese di febbraio durante attacchi terroristici o scontri con le formazioni jihadiste del cosiddetto stato islamico (Is). Il tragico bilancio è stato fornito ieri dalla missione dell’Onu nel paese (Unami). La maggior parte delle vittime civili è stata registrata nella provincia di Ninive, dove è in corso l’offensiva a Mosul. La rivincita del libro di carta Regalo con dedica GABRIELE NICOLÒ A PAGINA 4 Due migranti africani muoiono nel rogo in provincia di Foggia Bruciati vivi nella baraccopoli degli schiavi ROMA, 3. Due migranti africani, originari del Mali, sono morti carbonizzati questa notte nell’incendio che si è sviluppato all’interno di una baraccopoli nelle campagne tra San Severo e Rignano Garganico, in provincia di Foggia, nel quale dal primo marzo erano in atto le operazioni di sgombero per «infiltrazioni criminali». Non si esclude il dolo. La dinamica dei fatti è ancora tutta da accertare. Stando a quanto riferiscono i testimoni, quando intorno all’una di notte si è sviluppato il rogo, che in pochi minuti ha avvolto numerose baracche, erano già presenti sul posto vigili del fuoco, carabinieri e agenti di polizia che stavano presidiando l’area. Tuttavia per due dei circa cento migranti che si erano rifiutati di lasciare la struttura non c’è stato scampo. Erano braccianti e temevano di perdere il lavoro nei campi se avessero lasciato la struttura. La tragedia riporta dunque sotto i riflettori la terribile piaga sociale del caporalato con tutti suoi effetti sociali e umani. Nell’insediamento andato a fuoco, definito “il gran ghetto”, durante l’estate trovavano precaria sistemazione oltre tremila migranti, sfruttati nella raccolta dei pomodori. In pochi minuti le fiamme, hanno avvolto un centinaio di capanne — costruite per lo più in legno, plastica e cartone — aggredendo una superficie di circa cinquemila metri quadri e distruggendo tutto ciò che era all’interno. «Al momento — ha detto all’agenzia Ansa un ufficiale del vigili del fuoco intervenuto sul posto — non è possibile capire se si tratti di incendio doloso o meno». ma del polmone con metastasi cerebrali, semplicemente a farsi leggere qualcosa dalla figlia «per sentirne la voce ancora una volta». Vorrebbero non soffrire e continuare a vivere fino alla fine. La realtà è piena di sfumature, complessa come l’essere umano, piena di passi avanti e di ripensamenti: molto diversa da quello che molti in questi giorni vorrebbero farci credere, e comunque l’alternativa non è tra il soffrire senza speranza e il chiedere di morire. È come se si dimenticasse la vita con la sua forza dirompente, una forza incontenibile anche quando va tutto male. L’uomo è fatto per la vita e il medico ha il grande privilegio di distinguere questo sigillo anche quando è nascosto sotto le piaghe. Questo non vuol dire accanirsi per la vita a tutti i costi ma nemmeno abbandonare una persona alla propria scelta di suicidarsi, una scelta che vista sotto la giusta prospettiva è sempre e solo una sconfitta. Dialogo, ascolto, rispetto, interesse, incontro, libertà, fiducia, coscienza: sono le parole che Giovanni Paolo II ha utilizzato per indicarci la strada di una relazione vitale, sono le parole che in questi giorni paiono soffocate da un’onda di marea che vorrebbe privare l’uomo della sua complessità e della sua vera autonomia anche nell’estrema debolezza e nella dipendenza, rendendolo vittima di quella «cultura dello scarto» tante volte evocata da Papa Francesco. «La concezione dei diritti umani è naufragata — scriveva Hanna Arendt — nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana. Il mondo non ha trovato nulla di sacro nell’astratta nudità dell’essere umano». Ma sappiamo che l’uomo non è mai astrattamente nudo: la mano di Dio o quella di un altro uomo lo riscaldano anche nel freddo più intenso. Il cardinale Parolin sui temi etici Nessun oscurantismo PAGINA 8 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: — Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; — Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Professor Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Luis Dositeo Latorre Tapia, Ambasciatore di Ecuador, in visita di congedo. Vigili del fuoco in azione nella baraccopoli (Ansa) Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Reverendissimo Monsignore Fernando Ocáriz, Prelato dell’Opus Dei, con il Vicario Generale, Monsignor Mariano Fazio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 4 marzo 2017 Agente di polizia nel centro di Bruxelles (Ap) Procedure di infrazione contro chi non rispetta i ricollocamenti Juncker chiede più impegno sui migranti BRUXELLES, 3. «Grecia e Italia hanno fatto sforzi importanti per rendere possibili i ricollocamenti: ora tocca agli altri stati far fronte ai propri obblighi». In una lettera al presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, in vista del summit dei leader dell’Unione la prossima settimana, Jean-Claude Juncker torna a sottolineare la sua determinazione a «usare ogni strumento a disposizione per assicurare il rispetto degli impegni» sui ricollocamenti. Il presidente della commissione europea chiede quindi maggiore impegno e non esclude l’apertura di procedure di infrazione. «Non ci siamo ancora, ma se i paesi non inizieranno a dare risultati tangibili, non esiteremo ad aprire procedure d’infrazione» ha avvertito anche il commissario europeo per le migrazioni, Dimitris Avramopoulos. «Fino a oggi abbiamo cercato di convincerli, ma se sarà il caso, l’infrazione sarà un’opzione». Tra le misure allo studio, c’è anche una raccomandazione alle cancellerie sui rimpatri. In particolare Bruxelles si complimenta con l’Italia per i suoi sforzi anche in questo campo. Più in generale Bruxelles sollecita a impedire la fuga dei migranti irregolari trattenendoli in centri di detenzione fino alla chiusura della pratica per il loro rientro. Occorre semplificare le procedure e ridurre i tempi. L’Unione aiuterà Italia e Grecia «ad allestire i centri di detenzione» ha spiegato Avramopoulos. La situazione non è semplice. Secondo le stime della commissione, diffuse ieri, i paesi dell’Unione rischiano «di dover rimpatriare oltre un milione di migranti irregolari» nel 2017, visto che nel 2015-2016 sono state presentate 2,6 milioni di richieste d’asilo e che nei primi tre trimestri del 2016 il parere positivo è arrivato solo nel 57 per cento dei casi. Inoltre, se la percentuale delle decisioni di rimpatrio tra il 2014 e il 2015 è aumentata dal 41,8 al 42,5 per Mogherini in visita nei Balcani POD GORICA, 3. La volontà dell’Ue di integrare pienamente tutti i paesi dei Balcani occidentali è stata ribadita dall’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che dal Montenegro ha cominciato una visita nei paesi della regione. «Le porte dell’Ue sono aperte all’intera regione», ha detto Mogherini in un discorso al parlamento di Podgorica. «Vogliamo un futuro comune dell’intero continente», ha aggiunto, precisando che l’Unione europea non sarà completa fino a quando a essa non aderiranno i paesi dei Balcani occidentali. «I Balcani si trovano nel cuore dell’Europa, i popoli balcanici sono europei e meritano le stesse opportunità, gli stessi diritti, le stesse misure di protezione come tutti gli altri cittadini dell’Unione», ha proseguito l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Albania, Kosovo, Serbia ed ex Repubblica Jugoslava di Macedonia sono gli altri paesi della regione che Mogherini visiterà. A Belgrado sono previste discussioni sul futuro del dialogo, mediato dall’Unione europea, tra Serbia e Kosovo. La tappa di ieri in Bosnia ed Erzegovina è stata invece annullata per la nebbia, che ha impedito all’aereo dell’alto commissario di atterrare all’aeroporto di Sarajevo. Domani il tour di Mogherini si concluderà con una visita a Tirana. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va cento, il tasso di quelli eseguiti è sceso dal 36,6 al 36,4. Rimpatri, domande di asilo e ricollocamenti sono tre aspetti diversi di un unico problema. Dall’ultimo rapporto di Bruxelles sullo stato di attuazione del piano di ricollocamenti, deciso in sede europea, emerge che i trasferimenti a febbraio sono stati circa 1940. Il ritmo rimane ben al di sotto dell’obiettivo di almeno tremila trasferimenti mensili dalla Grecia e 1500 dall’Italia. Nel frattempo, ieri otto migranti iracheni, giunti in Austria tra maggio e dicembre 2015, sono stati condannati a pene che vanno dai nove ai tredici anni di reclusione per aver violentato una turista tedesca a Vienna la notte di Capodanno. Un nono sospetto è stato scagionato. A cinque degli otto condannati era stato riconosciuto lo status di rifugiato, un elemento che — dicono i commentatori tedeschi — contribuirà a far montare le polemiche anche in vista delle elezioni in Germania previste per il 24 settembre. Migrante subito dopo il soccorso su una nave della Croce rossa (Ansa) A un anno dagli attentati che provocarono 33 vittime A Bruxelles torna l’incubo del terrorismo BRUXELLES, 3. A quasi un anno dall’attentato che sconvolse la capitale del Belgio, Bruxelles è tornata ieri a vivere l’incubo del terrorismo jihadista. L’allarme è scattato nell’ora di punta del rientro dal lavoro nella zona di Porte de Halle, quando gli agenti hanno fermato una macchina — guidata da un uomo radicalizzato già condannato per terrorismo — con diverse bombole di gas al suo interno. Il premier auspica che la proposta di legge sull’attivazione della Brexit sia approvata senza modifiche May non teme i Lord LONDRA, 3. Theresa May non teme i Lord e quella che alcuni giornali britannici hanno definito come «la battuta d’arresto» nella sua corsa verso la Brexit. Il premier conservatore, il giorno dopo l’approvazione da parte della camera alta di un emendamento per tutelare i diritti dei cittadini dell’Ue nella proposta di legge per attivare l’articolo 50, ha lanciato un appello che, a detta degli analisti, suona più come un monito. «Il provvedimento — ha infatti dichiarato — deve essere approvato senza modifiche». May, rilevano gli osservatori, vuole il testo chiaro e semplice come in origine, chiedendo, quindi, alla camera dei comuni, cui spetta l’ultima parola, di eliminare i cambiamenti, promettendo che sarà comunque garantito lo status dei milioni di europei che si sono trasferiti nel Regno Unito. È lo stesso ministro per la Brexit, David Davis, che in nome dell’esecutivo Tory ha spiegato ieri come Londra sia pronta a un «accordo generoso» con Bruxelles, laddove venga rispettata la reciprocità coi tanti sudditi di sua maestà che hanno lasciato il paese per trasferirsi nel continente. Una ulteriore rassicurazione in questo senso è arrivata da una nota dell’ambasciata italiana a Londra, secondo cui il governo May continuerà a garantire «il pieno rispetto di diritti e obblighi europei fino al giorno in cui il Regno Unito uscirà dall’Ue, inclusi quindi i diritti di cui godono attualmente i cittadini di stati membri dell’Unione, tra i quali è compresa la libera circolazione delle persone». Precisazione doverosa, che smentisce così le recenti indiscrezioni di stampa su una pretesa intenzione del primo ministro d’imporre restrizioni alle dogane fin dall’avvio dei negoziati per il divorzio da Bruxelles, previsto entro marzo. Questo non toglie, quindi, che May voglia in ogni modo rispettare la sua tabella di marcia e, come ha sottolineato il «Daily Telegraph», attivare l’articolo 50 nel giro di due settimane. La proposta di legge ora deve completare il passaggio alla camera dei Lord entro il 7 marzo e quindi ritornare ai comuni, dove i conservatori intendono eliminare le modifiche approvate dai pari. Stoccolma ripristina il servizio militare Una seduta della camera dei Lord (Afp) Serbia al voto presidenziale il 2 aprile BELGRAD O, 3. Le elezioni presidenziali in Serbia si terranno il 2 aprile prossimo. Lo ha annunciato ieri il presidente del parlamento, Maja Gojković. L’eventuale turno di ballottaggio avrà luogo il 16 aprile. Grande favorito della consultazione è l’attuale primo ministro, Aleksandar Vučić, leader del Partito del progresso serbo (Sns, conservatore) e candidato dello schieramento governativo, che tutti i sondaggi danno vincente già al primo turno. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini Manifestazioni a Skopje per l’unità macedone Le presidenziali, indicano gli analisti politici, saranno l’occasione per testare il grado di popolarità di Vučić, un ex ultranazionalista passato una decina di anni fa su posizioni molto più moderate e apertamente europeiste, per questo molto apprezzato nelle principali cancellerie europee, anche per la sua politica volta alla riconciliazione e alla stabilità nella complessa regione balcanica. Il principale rivale di Vučić sarà l’ex ministro degli esteri, Vuk Jeremić, del Partito democratico. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione Però in quest’ultima fase si possono nascondere delle insidie. Crescono infatti le pressioni sui deputati Tories che potrebbero schierarsi in favore dell’emendamento per i cittadini dell’Unione europea. Per evitare ogni “ribellione”, concludono gli analisti politici, il primo ministro dovrà serrare sempre più i ranghi all’interno del suo partito. Secondo quanto hanno riferito i media locali, il conducente, fermato per eccesso di velocità e per essere passato con alcuni semafori rossi sul Boulevard de Waterloo, si è rifiutato di aprire il bagagliaio, insospettendo i poliziotti. A quel punto gli agenti hanno aperto il vano posteriore dell’auto e ha trovato le bombole di gas. Immediato l’arresto dell’uomo, del quale non sono state ancora fornite le generalità, subito sentito dai magistrati. Secondo il quotidiano belga «Derniere Heure», si tratterebbe di un amico di Najim Laachraoui, uno degli attentatori suicidi all’aeroporto internazionale di Bruxelles Zaventem. È quindi partito subito il blocco di tutta l’area intorno alla Porte de Halle, con lo sgombero degli edifici circostanti e della stazione della metropolitana, dove i treni hanno continuato a passare, ma senza più fermarsi. È stato richiesto l’intervento degli artificieri, che hanno fatto saltare il cofano dell’autovettura per aprirlo completamente. Il Belgio è ancora in stato di massima allerta dopo gli attacchi terroristici del 22 marzo del 2016 a Zaventem e a una fermata della metropolitana della capitale, che provocarono 33 morti e oltre 340 feriti. Il quartiere Molembeek di Bruxelles, hanno indicato gli inquirenti, si è rivelato il crocevia di cellule terroristiche ispirate al cosiddetto stato islamico (Is). Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va SKOPJE, 3. Alcune migliaia di persone, per il quarto giorno consecutivo, sono scese in piazza a Skopje per manifestare a sostegno dell’unità e della sovranità della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, contro le crescenti richieste di autonomia della minoranza albanese. La nuova manifestazione si è tenuta all’indomani del rifiuto del presidente, Gjorge Ivanov, di affidare l’incarico di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione, Zoran Zaev, a causa di un suo accordo di programma con i partiti Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale della comunità albanese, sulla base di ampie concessioni in chiave autonomistica, ritenuto anticostituzionale e pericoloso per l’unità del paese. Una decisione, questa, criticata dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che ha invitato il presidente a rivedere la sua posizione e a rispettare le regole democratiche, affidando l’incarico a Zaev, che assicura una maggioranza in parlamento a Skopje. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 STO CCOLMA, 3. Il governo svedese ha annunciato ieri che ripristinerà il servizio militare di leva obbligatorio, uno strumento ritenuto fino a non molto tempo fa obsoleto in occidente e che Stoccolma aveva abolito nel 2010. La Svezia, che essendo un paese dichiaratamente neutrale non è membro della Nato, ha annunciato per il 2018 e il 2019 l’arruolamento di un primo contingente di 4000 uomini e donne nati nel 1999 e il loro addestramento. «Se dobbiamo avere unità militari complete e addestrate, il sistema dell’arruolamento volontario di professione deve allora essere integrato con la leva», ha spiegato in televisione il ministro della difesa del governo di minoranza di centrosinistra, Peter Hultqvist. Nel 2016, ha detto, mancavano circa 1000 soldati operativi e circa 7000 riservisti dagli obiettivi strategici di difesa della Svezia, che prevedono in totale un minimo di 6600 militari di carriera e 10.000 riservisti, aggiungendo che per il 2022 l’obiettivo è di innalzare il numero degli operativi ad almeno 8000. Numeri comunque piccoli per un paese di 10 milioni di abitanti, distribuiti in un territorio molto vasto. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 marzo 2017 pagina 3 Obiettivi di Al Qaeda colpiti nello Yemen centrale (Ap) Tra le forze di sicurezza pakistane e miliziani fondamentalisti Battaglia nel Nord Waziristan Non si fermano i raid statunitensi Al Qaeda sotto attacco nello Yemen SAN’A, 3. Un’altra serie di attacchi con droni ed elicotteri militari sono stati lanciati contro obiettivi di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqpa) nel sud dello Yemen. Lo riferiscono testimoni all’emittente Al Arabiya. I velivoli con cui gli attacchi sono stati sferrati potrebbero essere statunitensi. Da questi, riferisce il sito della televisione panaraba, sono scesi soldati che per circa mezz’ora hanno avuto uno scontro a fuoco con militanti di Al Qaeda nell’area di Al Saeed, provincia di Shabwa. Dei responsabili tribali — come riferisce l’agenzia Afp — hanno parlato di un numero indeterminato di vittime, comprese donne e bambini, ma questa informazione non è stata confermata da fonti indipendenti. I raid compiuti questa notte hanno preso di mira la casa di Saad Atef, capo dell’organizzazione terroristica nella provincia di Shabwa. Un abitante della località di Al Saeed ha parlato di una «notte terrificante». Il Pentagono ieri aveva confermato una serie di attacchi con droni e caccia — inabituali per la loro intensità — contro delle postazioni e delle infrastrutture di Al Qaeda nelle province di Shabwa, Abyane e Baida. Almeno 12 miliziani qaedisti erano stati uccisi secondo fonti della sicurezza e tribali. I responsabili militari statunitensi non avevano però confermato le informazioni diffuse dai terroristi secondo le quali delle navi e dei commando erano stati utilizzati per gli attacchi nello Yemen. «Al Qaeda approfitta delle zone non controllate dalle forze yemenite per preparare, dirigere o ispirare attentati terroristici contro gli Stati Uniti e i loro alleati», aveva sottolineato il portavoce del Pentagono, Jeff Davis, aggiungendo che «le forze statunitensi continueranno il lavoro con il governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi per sconfiggere i terroristi di Al Qaeda». Gli Stati Uniti procedono da molti anni a colpire Al Qaeda, considerata come la branca più pericolosa della rete terroristica a livello globale, ma il ritmo delle operazioni è aumentato negli ultimi mesi. Il gruppo jihadista ha approfittato del sanguinoso conflitto in corso nello Yemen — tra le forze fedeli al presidente Hadi e i ribelli huthi — per estende- re la sua influenza soprattutto nel sud e nel sud-est del paese. La guerra che dura dall’estate del 2014 ha già provocato, secondo stime dell’Onu, almeno 7500 morti, oltre 40.000 feriti e non meno di 3,5 milioni di sfollati. La situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno a causa di un conflitto che è dimenticato da gran parte della stampa. ISLAMABAD, 3. Almeno quattro miliziani fondamentalisti e due membri delle forze di sicurezza sono morti ieri sera in Pakistan in una battaglia a Bannu, un’area semitribale fra il Waziristan settentrionale e la provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Lo scontro a fuoco, ha reso noto in un comunicato l’ufficio stampa dell’esercito (Ispr), è avvenuto quando le forze di sicurezza stavano realizzando un rastrellamento nell’ambito dell’operazione militare Radd-ul-Fasaad mirante a distruggere le basi terroristiche in tutto il paese. Da febbraio l’attività dei movimenti fondamentalisti si è intensificata con una ondata di attentati che hanno causato oltre 100 morti fra civili, polizia ed esercito. E le zone tribali nel nord-ovest del Pakistan, ritenute focolaio del terrorismo jihadista, saranno sottoposte alla legislazione ordinaria del paese e alle norme federali, sopprimendo l’autogoverno di coloniale memoria. Frontaliera dell’Afghanistan, l’area ha reso possibile ai talebani e ai qaedisti di operare in totale impunità. Le zone tribali sono rimaste regolate da un sistema legale speciale che prevede fra l’altro la sanzione collettiva dei clan per crimini commessi da un singolo appartenente. L’annuncio del cambiamento di legislazione è stato dato da Sartaj Aziz, consigliere del premier pakistano Nawaz Sharif, il quale ha spiegato che il governo ha approvato le linee espresse dal Fata, comitato di riforma delle zone tribali amministrate federalmente. Nel frattempo, due persone sono state uccise in un raid effettuato da un drone sulle zone tribali del nord-ovest del Pakistan. I due sono stati colpiti mentre viaggiavano in sella a una moto nella zona di Kurram e si è trattato del primo raid di un sospetto drone statunitense dall’insediamento a gennaio di Donald Trump alla Casa Bianca. Forze di sicurezza controllano le aree tribali pakistane (Ap) Per facilitare un incontro con il generale Haftar Il segretario alla giustizia nella bufera Al Sarraj guarda al Cremlino Trump sostiene Sessions MOSCA, 3. La Russia potrebbe svolgere un ruolo positivo nella risoluzione del conflitto in corso in Libia. È l’auspicio espresso dal designato premier libico, Fayez Al Sarraj, in visita ufficiale ieri e oggi a Mosca. Nel corso di una conferenza stampa, rilanciata dall’agenzia di stampa Interfax, Al Sarraj ha poi detto che la Libia è interessata a rafforzare la collaborazione con la Russia in tutti i campi, compreso quello militare e della sicurezza. Il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, dal canto suo, ha affermato che Mosca ritiene importante che si creino le condizioni tali che siano i libici stessi a risolvere la crisi in corso nel paese. Durante la sua visita a Mosca, Akl Sarraj ha incontrato diversi esponenti del governo russo, ma non il presidente Putin, come ha spiegato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. «La Russia vorrebbe che la Libia tornasse a essere un vero e proprio stato dopo l’interferenza straniera barbara nei suoi affari interni», ha aggiunto Peskov. La scorsa settimana Al Sarraj ha invitato Mosca a svolgere un ruolo maggiore nel porre fine alla situazione di stallo che si registra in Libia, anche facilitando l’incontro tra lui e il generale Khalifa Haftar, esponente del parlamento di Tobruk, sostenuto dalla Russia. E, intanto, la tensione creata a Tripoli da milizie avversarie che si fronteggiano ha spinto il segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul-Gheit, ha dirsi «estremamente preoccupato» per quella che ha definito «un’escalation pericolosa». Già ieri sera l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, con un tweet si era detto «preoccupato per le notizie di nuovi concentramenti di forze a Tripoli» e si era appellato alla «calma e all’attuazione di un cessate il fuoco» che era stato raggiunto la settimana scorsa dopo scontri che avevano causato una decina di morti. Forze leali al premier Al Sarraj hanno lanciato «un’allerta sicurezza di quattro giorni nella capitale». nel 2012, approfittando del vuoto di potere. Una coalizione a guida francese è intervenuta militarmente nel 2013 ma, benché abbia ottenuto alcune vittorie, non ha eliminato il problema e gli attacchi degli islamisti sono continuati verso sud. Nel frattempo il generale belga Jean-Paul Deconinck è stato nominato a capo dei caschi blu nel Mali, ha annunciato una fonte delle Nazioni Unite. Il generale rimpiazza il suo omologo danese Michael Lollesgaard al comando della missione dell’O nu nel Mali (Minusma). Forte di 13.000 uomini, la forza delle Nazioni Unite, che è stata ripetutamente attaccata nel nord del paese dai miliziani fondamentalisti legati ad Al Qaeda, è la missione di mantenimento della pace dell’Onu che ha pagato il maggior prezzo in vite umane (dopo la Somalia 1993-1995) con già oltre un centinaio di caschi blu uccisi. WASHINGTON, 3. «Una totale caccia alle streghe»: così il presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, ha definito al senato, durante le audizioni per la conferma della nomina, le accuse al segretario alla giustizia, Jeff Sessions, di aver nascosto i suoi incontri con l’ambasciatore russo. «Sessions è un uomo onesto. Non ha fatto nulla di sbagliato. Merkel ne ha parlato col presidente egiziano Al Sisi Piano Marshall per l’Africa TUNISI, 3. Gettare le basi di un Piano Marshall per l’Africa per arginare e gestire al meglio gli arrivi dei migranti in Europa: con questo obiettivo il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha fatto tappa ieri al Cairo e oggi è giunta a Tunisi. Merkel, accompagnata da una delegazione di alto livello comprendente il ministro della coope- razione economica e dello sviluppo e alcuni capi d’impresa, incontra il presidente della Repubblica tunisina, Béji Caïd Essebsi, e il premier Youssef Chahed. Nel primo pomeriggio il cancelliere tedesco pronuncerà un discorso davanti ai deputati del parlamento del Bardo riuniti in sessione plenaria e a conclusione presiederà il forum Tre gruppi jihadisti si alleano nel Mali BAMAKO, 3. Tre fazioni di fondamentalisti del Mali si sono fusi e hanno dichiarato fedeltà al gruppo terroristico Al Qaeda. Lo ha reso noto il Site, gruppo di intelligence statunitense per il monitoraggio dei siti jihadisti. In un video messo in rete ieri, riferisce il Site, i leader di Ansar Dine, di Al Mourabitoun e di Al Qaeda nel Maghreb islamico hanno dichiarato ufficialmente la loro fusione in un nuovo gruppo denominato Jamàat nusrat al islam wal muslimeen che tradotto significa “supporto all’islam e ai musulmani”. A capo della nuova entità vi è il fondamentalista Iyad Ag Ghaly, ex leader di Ansar Dine e originario della regione di Kidal. Nel video Ag Ghaly afferma che le tre fazioni si sono ispirate all’unificazione dei diversi gruppi in Siria. I fondamentalisti legati ad Al Qaeda hanno conquistato il nord del Mali Le sette aree interessate, che contano circa otto milioni di abitanti, saranno accorpate alla provincia vicina di Khyber Pakhtunkhwa entro cinque anni, ma le riforme principali, come l’abolizione delle punizioni collettive e il passaggio sotto la giurisdizione dei tribunali di diritto comune saranno realizzate già nei prossimi mesi. Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente egiziano Al Sisi (Ansa) economico tuniso-tedesco organizzato dall’Utica (la confindustria tunisina). Tra i temi in agenda, oltre alla cooperazione in materia di controllo dei flussi migratori, la crisi libica, il terrorismo, la cooperazione economica e il sostegno agli investimenti per il rilancio dell’economia tunisina. L’Egitto del presidente Abdel Fattah Al Sisi, assieme a Tunisi, è stato individuato da Angela Merkel come un potenziale candidato con cui impostare un accordo sui migranti simile — anche se non uguale — a quello raggiunto con la Turchia per tamponare la falla attraverso cui centinaia di migliaia di profughi cercano di raggiungere l’Europa puntando sull’ormai peraltro chiusa rotta balcanica. «Abbiamo qui un compito comune: migliorare il destino dei profughi», ha detto ieri il cancelliere tedesco in una conferenza stampa congiunta con Al Sisi al termine di un colloquio. Merkel si è riferita al sostegno tedesco sia al miglioramento delle condizioni di vita dei cinque milioni di migranti bloccati in Egitto, tra cui 500.000 siriani, sia al lavoro delle organizzazioni internazionali. «Ci sono grandi sfide» e «noi parliamo di aiuti tangibili», ha detto Angela Merkel senza fornire cifre e confermando quindi che la sua missione è più di sondaggio che non mirata a stringere accordi precisi. Circa la Libia, con cui l’Egitto condivide un lungo confine, il cancelliere tedesco ha detto che Berlino e l’Ue si impegneranno più intensamente per trovare una soluzione politica alla crisi che da sei anni spacca il paese. Merkel ha inoltre sottolineato la comunanza con il Cairo in fatto di lotta al terrorismo e ha rilanciato la cooperazione economica. Avrebbe potuto rispondere in modo più accurato ma è chiaramente non intenzionale» ha dichiarato Trump in una nota accusando i democratici, che ne avevano chiesto le dimissioni, di «esagerare». Sessions è stato accusato sulla base delle rivelazioni del «Wall Street Journal» di aver mentito al senato durante il giuramento per la conferma della sua nomina riguardo incontri avuti con l'ambasciatore russo a Washington. Secondo il «Wall Street Journal», Sessions parlò con l’ambasciatore russo, Serghiei Kisliak, per un paio di volte nel 2016, quando era anche consigliere di politica estera della campagna di Trump. «Ho incontrato l’ambasciatore. Abbiamo parlato di Ucraina, terrorismo, ma non ricordo di aver avuto con lui colloqui di carattere specificamente politico. Fu l’ambasciatore a chiedermi di incontrarlo, a settembre» ha detto ieri Sessions. Il segretario ha quindi ammesso di aver sbagliato: «Avrei dovuto dirlo in senato» aggiungendo poi di ritenere comunque «corrette e oneste» le risposte rese all’epoca in aula. Questa mattina, inoltre, sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, il quale ha parlato senza mezzi termini di «caccia alle streghe». Nuovo ministro degli esteri brasiliano BRASILIA, 3. Il senatore Aloysio Nunes è stato indicato ieri dal presidente brasiliano, Michel Temer, come nuovo ministro degli esteri, in sostituzione del dimissionario José Serra. La nomina, informa la stampa del paese sudamericano, dovrebbe essere ufficializzata nelle prossime ore, dopo un incontro tra Temer e lo stesso Nunes al palazzo presidenziale di Planalto. Nunes, 71 anni, attuale capogruppo del governo al senato, è stato ministro della giustizia nell’esecutivo di Fernando Henrique Cardoso. Serra, 74 anni, si è dimesso la settimana scorsa per motivi di salute. In una lettera inviata al presidente Temer, ha spiegato «di non essere più in grado di mantenere il ritmo di viaggi internazionali». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 4 marzo 2017 La rivincita del libro di carta Regalo con dedica di GABRIELE NICOLÒ i sta consumando la rivincita del libro di carta che, in questi anni, era stato dato per morto. A seppellirlo, e senza nemmeno i dovuti onori, sarebbe stato — avevano previsto in tanti — l’e-book, ovvero il libro che si può leggere con appositi supporti digitali. Ma gli ultimi dati riguardanti l’editoria mondiale mostrano che è in atto un’inversione di tendenza. In Gran Bretagna le vendite del libro tradizionale sono cresciute del 2,6 per cento, negli Stati Uniti del tre per cento, in Russia addirittura dell’otto per cento. Stessa tendenza anche in Italia: nel 2016, informa l’Associazione italiana editori (Aie), a dispetto di previsioni indicanti un tracollo, si è registrato un incremento dell’1,6 per cento. Forse è prematuro sottoscrivere senza riserve quanto dichiara ora la maggioranza degli intellettuali britannici, book is back. Tuttavia i segnali, in tal senso, sono chiari e lo scenario dell’editoria sembra di conseguenza orientato a riacquisire, seppure molto gradualmente, i classici tratti di una volta. S A rifocalizzare l’attenzione su un tema così coinvolgente è l’inserto “Economia” del «Corriere della Sera» di lunedì 27 che, con gli articoli di Raffaella Polato e Maria Teresa Cometto, subito sottolinea che, nonostante il mercato del libro sia in ripresa, ciò non significa che gli editori si siano lasciati definitivamente alle spalle una crisi che ha falcidiato fatturati e utili. Ma in questo scenario fluido, sempre foriero di sorprese, spicca un dato che fa notizia: adesso negli Stati Uniti l’e-book costa più della carta e mentre le vendite dei libri tradizionali, come detto, sono cresciute del tre per cento, quelle degli e-book sono diminuite del sedici. Insomma sembra essere tornato prepotente il gusto di sfogliare le pagine e avere così un contatto fisico con l’opera: e se il prezzo è più conveniente, tanto meglio. Tra i numerosi esempi a conferma di questo fatto, l’inserto cita il nuovo giallo di John Grisham, L’informatore, che sul sito statunitense di Amazon costa 14,47 dollari con la copertina rigida, ovvero 52 centesimi in meno della versione per il Kindle (l’apparecchio per la lettura digitale). Inoltre si evidenzia che anche molte edizioni tascabili costano meno di quelle digitali: Il rifugio di William Young in paperback viene 8.81 dollari, su Kindle 9.99. Anche «L’Espresso» del 26 febbraio, in un articolo di Raffaele Simone, indaga le dinamiche legate alla «ripresa della domanda di questa nobile merce», ovvero il libro di carta. Il linguista è cauto nel dare per scontato un ritorno, per quanto graduale, alla tradizione, tanto che parla di «timidi conati che non alterano il trend», costituito appunto dall’avanzata del libro online. Ma è innegabile, evidenzia Raffaele Simone, che quelle doti che hanno sempre rappresentato i talenti distintivi del libro di carta, ovvero la socievolezza e l’affettività (essi si possono prestare e si possono regalare ponendovi una dedica), «per il momento non appartengono all’e-book». Ma già due anni fa «The New York Times» aveva intuito che nel mercato editoriale qualcosa stava cambiando e che il libro tradizionale, “bruciato” sulla pira innalzata dall’e-book, stava cominciando a risorgere dalle ceneri. Nell’articolo di Alexandra Alter intitolato «The Plot Twist: e-book sales slip, and print is far from dead», si sottolineava che l’«ondata migratoria» verso i supporti digitali di lettura stava invertendo la rotta, per ritornare al punto di partenza, ovvero al libro di carta. E questo perché? Tra le risposte s’impone, sottolinea il quotidiano newyorkese, quella dettata dalla consapevolezza riguardo alla fragilità che insidia il mondo digitale, dove problemi tecnici di varia natura rischiano, con sempre maggiore frequenza, di frantumare l’illusione di una memoria archivistica indistruttibile. Il materiale cartaceo, se preservato con le dovute cure, può, nella peggiore delle ipotesi, ingiallire, e per quanto segnato dalle rughe del tempo, sarà sempre leggibile: e così esso può assurgere, incontrastato, a memoria permanente di un patrimonio culturale di inestimabile valore. Insomma il riscatto del libro tradizionale trova nella carta — che simboleggia, sul piano sentimentale, l’amore per la tradizione e, sul piano pragmatico, rappresenta un baluardo contro le ingiurie del tempo e le insidie della tecnologia — un formidabile alleato. Molto indicativo, a tale proposito, è il boom di vendite del settimanale britannico «The New European», fondato l’8 luglio 2016 come risposta al referendum sulla Brexit del 24 giugno, così da porsi come un riferimento per coloro che, in Gran Bretagna, «ancora credono nell’Europa». Si tratta di un’iniziativa editoriale che, in controtendenza, punta solo sul materiale cartaceo: la prima edizione ha venduto più di quarantamila copie. C’è chi pensava che tale clamoroso dato fosse dovuto principalmente all’effetto novità. A smentire questa tesi sono state le tirature fatte registrare dalle successive edizioni, vicine alla soglia delle cinquantamila copie. Estinzione biologica e comportamenti umani Un tesoro da salvare iodiversità, una parola spesso citata, ripetuta come slogan, usata come bandiera, ma non sempre adeguatamente capita, si legge nella relazione finale del convegno «Estinzione biologica. Come salvare l’ambiente naturale da cui dipendiamo», organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali dal 27 febbraio al 1° marzo. Spesso sfugge il nesso tra questa parola, “biodiversità”, e la nostra vita quotidiana, e il suo legame inscindibile con quello che mangiamo e che beviamo, o con le medicine che usiamo per curarci. E il fatto tanto semplice quanto rimosso, che dipendiamo dall’ambiente in cui siamo. Migliaia di specie di piante vengono coltivate per fornire cibo, ma di queste solo 103 costituiscono circa il novanta B per cento delle derrate alimentari mondiali. Secondo recenti stime conosciamo in modo documentato e dettagliato solo un quinto delle specie di piante esistenti, e molte di queste rischiano di estinguersi entro la fine del ventunesimo secolo, prima ancora di essere censite e studiate. Lo stesso pericolo incombe su migliaia di microorganismi che non vediamo a occhio nudo ma sono preziosi — o potrebbero, in futuro, diventarlo — in campo medico, alimentare, industriale. I risultati del simposio che si è svolto nella Casina Pio IV in Vaticano sono stati presentati alla Sala stampa della Santa Sede giovedì scorso. Alla conferenza, introdotta dal direttore della Sala stampa, Greg Burke e dal vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, sono intervenuti Werner Arber, premio Nobel per la Medicina e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, e due studiosi della stessa Accademia: Peter Hamilton Raven, biologo del Missouri Botanical Garden, e Partha Sarathi Dasgupta, economista dell’università di Cambridge. «Dal momento che l’estinzione è permanente» ha spiegato Raven, questa rappresenta anche una minaccia «più pericolosa dei cambiamenti climatici». Alterare il ciclo dell’acqua, fonte di vita, significa anche alterare la biodiversità, ha sottolineato Sánchez Sorondo, introducendo gli interventi dei relatori. Il passaggio alle energie pulite è una delle soluzioni auspicate dagli accademici, insieme a nuove tecniche di agricoltura e a nuove configurazioni delle città che seguono modelli di gestione intelli- gente delle risorse; è stato citato l’esempio virtuoso delle smart city sorte in Brasile e in Arizona, più piccole e meglio integrate con l’ambiente circostante. Ma non solo le nuove realtà, «ci sono vecchie città — ha detto il presule — come New Orleans che stanno mettendo in atto grandi cambiamenti». Prioritaria resta sempre la lotta alla povertà, diretta o indiretta, causa di ogni grave minaccia all’ambiente, dato che le comunità più povere si trovano costrette talvolta a vendere intere foreste a prezzi ridicoli per sopravvivere. Strada maestra a uno sviluppo bilanciato e sostenibile dei popoli è favorire l’esistenza della famiglia in senso cristiano; i problemi non nascono tanto — come molti affermano — dalla grande quantità della popolazione, quanto dalle attività umane che vengono intraprese, pianificate e realizzate. In gio- Prioritaria resta sempre la lotta alla povertà diretta o indiretta Causa di ogni grave minaccia all’ambiente co c’è sempre la libertà del singolo; e moltissimo dipende, si legge nel documento redatto dagli esperti che hanno partecipato al convegno, «dall’adozione di principi di giustizia sociale e sostenibilità». (silvia guidi) Dalla metropoli alla cattedrale Come in un flashback di GIANFRANCO RAVASI a trama si apre con un atto capitale della cattolicità e della stessa storia mondiale, il Conclave del 2013 che ci vide accanto, nella mirabile cornice della Cappella Sistina, per l’elezione di Papa Francesco, sotto lo sguardo non solo dell’umanità intera ma soprattutto di quel Cristo michelangiolesco che incombeva su di noi elettori quando deponevamo le nostre schede sull’altare posto sotto il «Giudizio universale». Il cardinale traccia in modo limpido la spiritualità e la personalità del predecessore Benedetto XVI, che era stato in visita come pellegrino all’interno della basilica della Sagrada Familia e che aveva «aperto un nuovo modo di porre fine all’esercizio del ministero del Papa». Ma la sua analisi vuole dipingere soprattutto un L Conversazioni Pubblichiamo parte della prefazione del prefetto del Pontificio consiglio della cultura a Un cardinale si confessa (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2017, pagine 244, euro 15), che raccoglie le conversazioni tra il cardinale Martínez Sistach e il giornalista Jordi Piquer Quintina. ritratto suggestivo del successore, e del suo magistero. La “confessione” del cardinale, perciò, si svolge quasi come in un flashback ricco di scene intense e vivaci e, quindi, si muove dal suo attuale presente, quello di un “pensionato attivo” che si impegna ancora su alcuni nodi tematici attorno ai quali si era svolta la sua precedente missione pastorale. Uno di questi nuclei fondamentali è costituito dalla realtà della metropoli, divenuta ai nostri giorni la meta di addensamento della popolazione di intere nazioni (questo accade già ora per oltre la metà degli abitanti del nostro pianeta, collocati in centri urbani spesso imponenti). «I credenti devono guardare la città con uno sguardo contemplativo, uno sguardo di fede in questa presenza di Dio», senza per questo ignorare che nelle grandi città operano oltre agli angeli anche i demoni. Questi ultimi sono più visibili nella loro opera (disintegrazione del tessuto sociale, violenza urbana, cultura della paura, speculazione e corruzione, consumismo e caduta dei valori etici comuni). Ma non si deve dimenticare che questo “segno dei tempi” è popolato anche di straordinarie occasioni “angeliche” di fede, di carità, di annuncio cristiano. Non per nulla nel 2012 Barcellona fu una delle dodici grandi città europee scelte per la “Missione Metropoli”. Entra, così, in scena un altro soggetto caro al cardinale fin dagli esordi dei suoi studi teologici, la presenza viva e operosa del laicato nella Chiesa: il suo testo più noto al riguardo, riedito più volte, Le associazioni di fedeli, centra proprio questo tema, che verrà spesso ripreso in molti altri scritti, anche di natura giuridica, tenendo conto delle competenze accademiche del cardinale. Il principio è netto: per i laici è necessario «passare dalla collaborazione alla corresponsabilità», anche perché in una società secolarizzata la loro è una voce efficace. Ma per attuare questa prospettiva di fondo bisogna rivedere certe dinamiche cristallizzate per cui — usando l’immagine della “piramide rovesciata” di Papa Francesco — si deve riconoscere che «il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune di tutti i battezzati». In questo contesto ecclesiale un ampio spazio è riservato alla famiglia. Ricordo gli interventi appassionati del cardinale Martínez Sistach agli ultimi due sinodi ai quali abbiamo insieme partecipato. Le pagine che in questo volume vengono dedicate al tema in tutte le sue complesse articolazioni — comprese quelle giuridico-canoniche — e l’attenzione riservata a un documento importante come l’esortazione Amoris laetitia possono costituire una preziosa testimonianza sia dell’esperienza sinodale, sia dell’impegno pastorale dell’arcivescovo di Barcellona in questo ambito. Non si dimentichi, infatti, che nella sua ampia bibliografia si incontra un titolo emblematico: Requisitos para que el matrimonio sea una “íntima” comunidad de vida y amor (2008). Da questo nucleo germinale della società il discorso s’allarga spontaneamente a un orizzonte più vasto, quello dell’intera comunità civile. Calorosa è la sua professione di amore per la città di Barcellona «“cap i casal” di Catalunya, la capitale politica, culturale, religiosa ed economica del Principato». Egli, orgoglioso della «Medaglia d’Oro della Generalitat de Catalunya» di cui è stato insignito, affronta con discrezione anche la dialettica politica molto accesa che pervade la società catalana riguardo al tema della nazionalità, consapevole però sempre della distinzione evangelica tra fede e politica. Il dibattito aperto è evidentemente complesso perché «la questione di fondo è se si accetta o meno che la Catalunya sia una nazione, dato che una nazione, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, ha dei diritti e dei doveri che deve poter esercitare». Certo è che, al di là dei termini specifici politici della questione, dai quali l’arcivescovo si astiene, «c’è il desiderio di assicurare che siano rispettati in modo efficace la propria lingua, la cultura, l’istruzione e il benessere sociale». Il progetto generale che anima la mente dell’arcivescovo è comunque quello, più culturale e pastorale, di «una Catalunya dove si rispettano le differenti opzioni religiose e che, senza pregiudizi ideologici, si riconosca il bene che offrono le religioni alla realizzazione delle persone e del bene comune, rispettando pienamente il diritto civile e la libertà reli- Particolare della facciata della Sagrada Familia (Barcellona) giosa». Si entra, così, nel tema più generale della secolarità, una qualità che ha la sua matrice nel cristianesimo stesso con la celebre affermazione di Gesù riguardo al duplice rispetto per Dio e per Cesare (Matteo 22,15-22). La storia nazionale, con l’esperienza del franchismo e la successiva secolarizzazione (ben diversa dalla “secolarità” legittima perché esclude dimensioni religiose al vivere sociale), ha reso la Spagna «un paese di contrasti drammatici», come ha affermato Benedetto XVI nell’intervista a Peter Seewald. Proprio per questo è indispensabile ribadire che “laicità” non è uguale a “laicismo”, come appunto la “secolarità” non lo è rispetto al “secolarismo”. L’aconfessionalità dello Stato non esclude, perciò, la presenza della Chiesa e delle religioni nella società con un proprio contributo allo sviluppo civile in un dialogo fecondo interculturale. Il simbolo di questo intreccio armonico tra comunità civica e religiosa è per Barcellona la Sagrada Familia, il “gran tempio” non solo della Catalunya ma cattedrale dell’intera Europa, monumento ideale della nuova evangelizzazione e dell’incontro tra fede e cultura, come recita appunto il titolo di un saggio del cardinale pubblicato nel 2012 (La Sagrada Familia, un dialogo tra fede e cultura). Era, per altro, questo il progetto ideale del suo grande artefice, Antonio Gaudí che aveva voluto comporre in armonia le tre vie della Rivelazione divina: il «Libro della Natura», il «Libro della Sacra Scrittura» e il «Libro della Liturgia». La visita a questo straordinario monumento, simile a una creatura vivente ancora in crescita, è per tutti emozionante e lo è stata anche per me durante una memorabile conclusione del Cortile dei Gentili con un imponente concerto vocale in cui quattro cori distribuiti nei punti cardinali della basilica si accordavano in un unico inno di fede e di bellezza. Giustamente Sistach dichiara che «la Sagrada Familia è per molti dei suoi visitatori non credenti un autentico “cortile dei Gentili” per il dialogo tra la fede e la cultura, tra la credenza e la non credenza». Da questo spazio simbolico, che è contemporaneamente sacrale, civile e artistico, deve procedere la Chiesa nella sua uscita missionaria, un altro soggetto tematico che appassiona l’arcivescovo. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 marzo 2017 pagina 5 Villa Torlonia (Roma) Fra coscienza individuale e relazione con il maestro spirituale D ifficile equilibrio Un romanzo di Massimiliano Boni D imenticare la Shoah di ANNA FOA n romanzo, un’opera di fantasia che ha dietro di sé le storie di sei milioni di ebrei morti nella Shoah. Così l’autore, Massimiliano Boni, consigliere alla Corte Costituzionale, definisce il suo libro (Il museo delle penultime cose, Roma, 66thand2nd, 2017, pagine 373, euro 18), il terzo romanzo da lui scritto. Un libro il cui vero protagonista è il museo della Shoah di Villa Torlonia, un museo, come sappiamo, non ancora nato, con alle spalle una storia travagliata, destinato a occupare la villa che fu la residenza di Mussolini. Nel romanzo, che si svolge in un futuro non lontano, nel 2030, il museo è ormai una realtà, ha passato un periodo di grande successo, con tanti visitatori, ma è ormai in crisi. Crisi finanziaria ma anche crisi di interesse che lo svuota di visitatori. È diretto da un non ebreo, coadiuvato da un giovane studioso ebreo romano, Pacifico Lattes. Pacifico si occupa di Shoah, ma ha paura della Shoah. Non ha mai visitato Auschwitz, in compenso ha letto tutto quello che si poteva trovare di memorialistica, ha ascoltato e visto i video dei viaggi della memoria, vive immerso nella storia di novant’anni prima. Non lo interessa però tanto il destino successivo alla deportazione, il campo di concentramento e di sterminio, ma vuole invece restituire vita ai deportati, agli ebrei romani di cui soprattutto si occupa, coglierli prima che siano inghiottiti nel buco nero della Shoah. Per studiarli, si ferma davanti ai portoni delle loro case, vorrebbe avvertirli, far tornare indietro la loro storia. Il direttore, Mario, si è invece molto occupato dei so- U pravvissuti, li ha conosciuti, frequentati, intervistati, ha curato le edizioni dei loro scritti e diari. Il suo progetto è quello di sostituire la memoria alla testimonianza diretta, a far sì che ci possa essere sempre qualcuno a raccontare. Infatti il problema è che non ci sono più sopravvissuti. Anche il clima politico del paese è torbido. È andato al potere un nuovo partito, la cui sigla ricorda quella del Pnf, il Piano nazionale della felicità. Non ci sono violenze aperte o leggi liberticide, ma sempre più spesso viene limitata la libertà di opposizione. Una forma di fascismo morbido, populista, che si accompagna a una crescita dell’antisemitismo neofascista. La crisi del museo è così crisi della memoria, ma anche crisi generale di una società ormai molto lontana dai valori del mondo uscito dalla guerra e dalla Shoah. Ed ecco che Pacifico e Mario sono raggiunti, attraverso un sacerdote che opera in una casa di riposo alla periferia di Roma, da una notizia che ha per loro dell’incredibile: esisterebbe un ultimo sopravvissuto, un uomo di novantotto anni di nome Attilio, ricoverato nell’ospizio. Questi ha sempre taciuto sulla sua storia, ma ora afferma di essere stato ad Auschwitz, di essere ebreo, e chiede per sé un funerale secondo il rito ebraico. Parlargli non è facile, Mario non ci riesce perché il vecchio non vuole parlare con un non ebreo, ci riesce Pacifico ma ne esce con dubbi enormi: il nome dell’uomo non risulta in nessuna lista di deportati, l’uomo stesso parla con difficoltà e non fa i nomi che consentirebbero a Pacifico di indagare sulla sua storia. È un ebreo o non lo è? È davvero stato ad Auschwitz o ha messo insieme frammenti di conoscen- ze comuni per attribuirsi questa storia? Pacifico indaga, scava nelle storie dei deportati, sempre più tormentato, mentre intorno il mondo sembra precipitare nell’oscurità: la memoria si è persa quasi del tutto, le violenze fasciste finiscono per colpire sanguinosamente gli stessi dirigenti del museo, Pacifico precipita in una sorta di depressione e di incapacità di reagire. Ad aiutarlo sono i figli bambini, la moglie forte e coraggiosa, e anche il fatto di essere riuscito, nonostante le sue esitazioni, a decifrare la storia complicata di Attilio, l’ultimo sopravvissuto. Il vero protagonista è il museo di Villa Torlonia dedicato allo sterminio degli ebrei Non è ancora nato ma ha già alle spalle una storia travagliata Forse il mondo intorno a lui riuscirà a cambiare strada. Già il Presidente del paese, l’inventore del Piano della felicità, è costretto dagli scandali a dare le dimissioni. Il museo riprende a vivere e a trasmettere la memoria. Una piccola storia, quella di Attilio, ha rimesso in moto il ricordo, gli ha ridato il valore morale che aveva perduto nel logorarsi del tempo e del mondo intorno. Non sappiamo se basterà per tutti e non solo per il museo e per i suoi difensori della memoria. Il romanzo si chiude con parole di speranza non prive, però, di una certa cautela: l’angelo della morte è stato sconfitto. Ma solo per il momento. Se la filosofia aiuta a comprendere il cinema Con la pubblicazione di L’immaginetempo (Torino, Einaudi, 2017, pagine 343, euro 28) si completa la riedizione delle riflessioni sul cinema del filosofo Gilles Deleuze, iniziata lo scorso anno con l’uscita del primo volume intitolato L’immagine-movimento. Divenuta un classico degli studi sulla settima arte, a più di trent’anni dalla sua comparsa l’opera di Deleuze è considerata una rielaborazione del pensiero sul cinema, di cui ridefinisce l’essenza stessa. Se fulcro del primo volume è l’unitarietà del cinema classico, con una classificazione delle immagini prodotte che subordina il tempo al movimento, nel secondo tale prospettiva viene rovesciata. Le situazioni non si articolano più in azione e reazione, ma divengono pure situazioni ottiche e sonore. Quanto alla teoria, questa per Deleuze non si fonda sul cinema bensì sui concetti da questo suscitati. In sostanza sono proprio i concetti a creare l’unicità della settima arte ed è per questo che non bisogna chiedersi “che cos’è il cinema” ma “che cos’è la filosofia”. Domanda lecita per un sag- gio che parte proprio dalla riflessione filosofica per abbracciare estetica e storia del cinema in un originale punto di vista. «Il cinema stesso — spiega in proposito Deleuze — è una nuova pratica delle immagini e dei segni, di cui la filosofia deve fare la teoria in quanto pratica concettuale». Una nuova prospettiva, dunque, per rileggere le opere di Visconti, Fellini, Wells, Bresson Kubrick e di altri grandi maestri, pensatori oltre che artisti. di GIOVANNI CERRO a direzione spirituale, intesa come relazione tra maestro e discepolo finalizzata al perseguimento della perfezione interiore, è comune a tradizioni culturali e religiose molto diverse, dal pitagorismo al neoplatonismo, dal confucianesimo al buddhismo. Tuttavia, è solo all’interno del cristianesimo che storicamente si impone come strumento fondamentale sia per l’indagine della coscienza individuale sia per la costruzione di modelli comportamentali e disciplinari, assumendo nel corso dei secoli caratteristiche specifiche. Il fenomeno si istituzionalizza tra basso medioevo e prima età moderna, anche attraverso una diffusione trasversale ai ceti sociali e l’estensione al laicato, come mostra il recente volume di Gabriella Zarri, Uomini e donne nella direzione spirituale (XIII-XVI secolo), edito dal Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto (2016, pagine 296, euro 40). Nel libro sono raccolti saggi pubblicati tra il 1991 e il 2012, frutto di più di un ventennio di ricerche dedicate allo studio delle istituzioni ecclesiastiche e della vita religiosa. Uno dei meriti di Zarri — protagonista della stagione di rinnovamento storiografico sul tema della direzione spirituale in età moderna — sta nel proporre un affresco di lunga durata in chiave storico-critica, capace di rilevare come al centro della cura animarum vi fosse un sistema di relazioni non solo di tipo spirituale, ma anche umano e sociale. Due sono i fili conduttori che attraversano il libro: da una parte, l’intenzione di studiare la direzione spirituale sia nei suoi aspetti teorici, così come vengono presentati nei testi agiografici e letterari, sia nella sua attuazione pratica, attraverso un’attenta ricognizione di epistolari, scritture autobiografiche e agiografiche; dall’altra parte, la volontà di porre a confronto la dimensione maschile e quella femminile nell’esercizio del consiglio e della predicazione, mostrando come non fossero infrequenti i rovesciamenti di ruoli. Nella ricostruzione che apre la prima parte del volume, Zarri rileva che le origini della pratica della guida delle anime risalgono a quel rapporto di fiducia tra padre spirituale e discepolo che si sviluppa all’interno della tradizione monastica e che mira al progresso spirituale e al discernimento dei pensieri. Rispetto al mondo antico, dove pure esisteva un percorso di iniziazione alla vita filosofica, il modello monastico presenta almeno due elementi di novità: anzitutto, il maestro deve avere una profonda conoscenza del discepolo, dei suoi desideri, delle sue tentazioni, dei suoi dubbi; quindi, il discepolo deve dimostrarsi obbediente e umile, fino ad annullare la propria volontà. Questa forma comunitaria di direzione, in cui spetta all’abate il compito di pastore delle anime, trova una prima teorizzazione nelle Conferenze di Giovanni Cassiano ai suoi monaci e resta sostanzialmente immutata fino al basso medioevo. La direzione spirituale, tuttavia, non si esaurisce nell’esempio monastico e nella prassi del discernimento degli spiriti. Zarri ne individua infatti una modalità ulteriore nell’amicizia spirituale, in cui non esiste una relazione di genere fissa del tipo uomo/direttore e donna/diretta. Lo dimostra, ad esempio, L il caso della terziaria Angela da Foligno, la più importante mistica italiana del Duecento, che diventa maestra del suo stesso confessore e biografo. Il modello dell’amicizia spirituale acquisisce centralità parallelamente al diffondersi di nuove forme di vita religiosa, che guardano con favore sia alla confessione frequente sia alla presenza di una guida che affianchi il credente nel suo cammino di perfezionamento e di contemplazione. La grande diffusione del misticismo femminile, che aveva dato luogo anche a casi di santità simulata, indicazioni tridentine si riflettono puntualmente in alcune varianti apportate al testo. Significativa è anche l’esperienza di direzione spirituale rivolta ad alcuni membri dell’aristocrazia bresciana da parte di suor Laura Magnani, agostiniana vissuta nel monastero di Santa Croce, la cui fama di santità era legata all’esercizio di doni carismatici come la precognizione, la profezia e l’intercessione attraverso la preghiera. Il terzo e ultimo esempio riportato da Zarri è quello della mistica Chiara Bugni, clarissa veneziana di nobile Stampa del XIV secolo raffigurante Angela da Foligno con gli strumenti della Passione di Gesù rende però necessaria tra fine famiglia, costretta negli ultimi Trecento e primo Quattrocento anni della sua vita alla carcerauna maggiore attenzione alle zione e al silenzio. I suoi sermoesperienze descritte da sedicenti ni alle consorelle sono contenuti santi, profeti e visionari. I tratta- nel Libro della beata Chiara, sinti del cancelliere di Parigi Jean golare caso di scrittura comuniGerson rappresentano in questo taria a cui partecipano sia illusenso una pietra miliare: vi si stri teologi, come il francescano sostiene che solo un sacerdote Francesco Zorzi, autore di una esperto e dalla vita santa, e non prima e incompleta biografia un semplice maestro privato, è della Bugni, sia monache colte, in grado di discernere i veri do- accomunate dalla volontà di ni dello spirito. Il ruolo del di- perpetuarne la memoria e prorettore spirituale, declinato tutto muoverne il culto dentro e fuori al maschile, viene perciò parzial- il monastero. mente a sovrapporsi a quello di In conclusione, Zarri dimostra confessori e inquisitori. che la lunga durata del concetto La seconda parte del libro è di direzione spirituale non imdedicata all’indagine di tre figu- plica affatto l’accettazione della re carismatiche di madri spirituali vissute tra fine Quattrocento Il libro vuole e primo Cinquecento. La prima ad essere da una parte studiare presentata è Camilla la direzione spirituale Battista da Varano, figlia di Giulio Cesare, nei suoi aspetti teorici e pratici che dopo aver preso i Dall’altra vuole porre a voti tra le clarisse osservanti divenne abbaconfronto la dimensione maschile dessa del monastero di e quella femminile Santa Maria Nuova di Camerino. Nelle sue nell’esercizio del consiglio Istruzioni al discepolo, e della predicazione un trattato epistolare di inizio Cinquecento, suor Camilla si rivolge al proprio padre spirituale, sua «atemporalità», ma al conunendo consigli sulla condotta a trario richiede un’indagine stotestimonianze autobiografiche e riografica attenta, capace di teprecisando che l’autorità per ner conto dei cambiamenti relaesercitare questo magistero le tivi alle concezioni della religioproviene direttamente da Dio. sità, della spiritualità e della In questo senso, è di grande inpratica sacramentale. Solo così teresse l’appendice al saggio, in cui Zarri mette a confronto alcu- si può accedere alla comprensioni brani tratti da tre diverse re- ne di un fenomeno complesso, dazioni delle Istruzioni, una di che si definisce nel difficile equiepoca cinquecentesca e due sei- librio tra libertà e dottrina, cocentesche, mostrando come i scienza individuale e relazione mutamenti culturali in atto e le con l’altro. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 LAHORE, 3. Raccolta di fondi per le vedove, aiuti ai poveri, visita ai malati e ai disabili: sono alcune delle iniziative promosse dalla Chiesa cattolica in Pakistan per la quaresima di quest’anno. Il periodo di digiuno e penitenza in preparazione alla Pasqua cade in un momento di estrema difficoltà e tensione, con il paese dilaniato da attentati terroristici a luoghi pubblici e di culto. Nei giorni scorsi, l’esercito pachistano ha lanciato un’operazione su scala nazionale contro il terrorismo e per garantire sicurezza nei luoghi di culto. Nonostante i pericoli, i cattolici non cesseranno la loro opera di sostegno alle fasce più povere della popolazione e a coloro che sono in difficoltà. I cattolici sono una delle minoranze più colpite dal fondamentalismo islamico del paese. La legge sulla blasfemia, così come le “hudood laws” (norme che regolano la vita civile ispirandosi ai principi islamici), rendono difficile la vita delle minoranze. Su quasi centocinquanta milioni di abitanti, i cattolici sono 1,2 milioni: di questi, inoltre, l’85 per cento vive appena al di sopra della soglia di povertà. «Abbiamo raccolto fondi per aiutare più di settanta vedove e i loro figli. La quaresima — ha dichiarato ad AsiaNews monsignor Samson Shukardin, vescovo di Hyderabad in Pakistan (nella provincia del Sindh) — ci dà l’opportunità di portare avanti campagne per mostrare il volto misericordioso di Cristo in questo nostro difficile Paese». Di qui, l’invito del vescovo ai fedeli: «Chiedo ai cristiani di tutto il Pakistan di digiunare e pregare per la pace nel venerdì prima della domenica sabato 4 marzo 2017 L’invito dell’arcivescovo di Varsavia Serve più accoglienza Quaresima in Pakistan Il senso del sacrificio delle Palme». Alla cattedrale del Sacro Cuore dell’arcidiocesi di Lahore è stato deciso di organizzare un viaggio in pullman per fare visita ai disabili mentali e fisici. Si tratta di un pellegrinaggio spirituale, che si svolge tutti gli anni, durante il quale i fedeli pachistani fanno anche opere concrete, passando una giornata con i meno fortunati. L’emittente televisiva cattolica del paese, «Catholic Tv Pakistan», sta mandando in onda in questi giorni programmi incentrati sulla quaresima, sulla penitenza e sul suo significato. Queste iniziative — ha spiegato il direttore dell’emittente Jasber Ashiq — sono anche ispirate dall’esistenza di un generale pre- giudizio diffuso fra i musulmani, sulla pratica del digiuno fra i cristiani. E anche fra gli stessi fedeli si fa molta confusione sul motivo dei quaranta giorni di digiuno: «E al riguardo — ha spiegato Ashiq — non sanno cosa rispondere alle domande che spesso gli vengono rivolte dai musulmani». Nel sud del paese, l’arcidiocesi di Karachi ha organizzato un programma di approfondimento dal titolo: «Aprite le porte del vostro cuore» che si terrà per tutto il mese di marzo, due volte a settimana, presso il centro per la catechesi dell’arcidiocesi. Padre Mario Rodrigues, rettore della cattedrale di St. Patrick, ha spiegato che «i parrocchiani hanno raccolto ogni domenica generi alimentari, che verranno suddivisi in duecentocinquanta cesti e distribuiti ai poveri della città. Stiamo tentando — ha aggiunto il rettore — di coinvolgere persone di tutte le età in questo periodo quaresimale. Gli studenti del catechismo della domenica e i gruppi parrocchiali visiteranno gli anziani e le persone con disabilità. Il prossimo fine settimana abbiamo invitato nella cattedrale trecentocinquanta coppie per approfondire il tema della quaresima. Infine, i bambini delle scuole sono invitati a condividere il periodo di preparazione alla Pasqua e porteranno la croce nelle stazioni della via crucis». VARSAVIA, 3. L’arcivescovo di Varsavia, il cardinale Kazimierz Nycz, ha lanciato un appello affinché la Polonia accolga alcune centinaia di rifugiati siriani che hanno bisogno di cure mediche urgenti. In una lettera pastorale diffusa alla stampa nella giornata di mercoledì delle ceneri e che sarà letta in tutte le parrocchie della diocesi domenica prossima, il porporato ha sottolineato quanto sia importante l’accoglienza per ogni fedele cristiano: «Ne va dell’immagine della Polonia e della Chiesa in Polonia», ha dichiarato l’arcivescovo di Varsavia, che ha auspicato un’apertura all’accoglienza anche da parte delle autorità. Al momento nel paese si registra un forte dibattito fra chi si schiera per aiuti da inviare esclusivamente in Siria e quanti ritengono invece sia necessario rispondere alle urgenti necessità di chi fugge dalla guerrra, prestando accoglienza e sostegno. Secondo il cardinale Nycz, il progetto chiamato “Famiglia a famiglia” che prevede l’assistenza tra famiglie polacche e siriane funziona discretamente già da qualche tempo. «Ci auguriamo che il prossimo passo sarà un programma di aiuti attraverso i corridoi umanitari. Consisterà nell’accogliere in Polonia poche centinaia di rifugiati che Ecumenismo in Nuova Zelanda Il patriarca di Antiochia dei Siri sulla persecuzione dei cristiani Verso una visione comune Affinché torni la speranza «Verso una visione comune» è stato il tema dell’annuale scuola di ecumenismo che si è tenuta nei giorni scorsi a Christchurch, in Nuova Zelanda. L’idea di organizzare una scuola di ecumenismo nasce dall’impegno per la promozione del dialogo da parte della Chiesa metodista della Nuova Zelanda che, nel 2002, ha voluto rendere chiaro quanto prioritario consideri questo impegno con la pubblicazione di un documento, To be methodist is to be ecumenical, che rappresenta tuttora un punto di riferimento per il movimento ecumenico in Nuova Zelanda. Quest’anno l’istituto è stato sostenuto anche dal National Dialogue on Christian Unity, che, nato ufficialmente il 25 febbraio 2016, è formato dalla Chiesa metodista, dalla Chiesa anglicana e dalla Chiesa cattolica, con la presenza, in qualità di osservatori, della Chiesa presbiteriana e dell’Esercito della salvezza della Nuova Zelanda. Con la creazione di questo organismo — che riprende l’eredità del Consiglio delle Chiese cristiane in Nuova Zelanda — si è voluto dare un segno della grande importanza di rafforzare i legami tra cristiani, come ha detto l’arcivescovo anglicano di Aotearoa, Nuova Zelanda e Polinesia, Philip Richardson, eletto presidente del National Dialogue on Christian Unity, proprio per rendere più efficace la missione della Chiesa una. A Christchurch, nei giorni delle lezioni tenutesi nella scuola di ecumenismo, scanditi dalla preghiera e dalla lettura della Parola di Dio, ci si è confrontati sul fondamento biblico dell’unità della Chiesa e come esso costituisca la fonte principale per la teologia ecumenica. È stata poi affrontata la situazione del dialogo ecumenico, con grande attenzione ai temi che sono al centro della riflessione e della testimonianza dei cristiani nell’area dell’O ceano pacifico, come l’appello per un maggiore impegno nella salvaguardia del creato, con la denuncia dei cambiamenti climatici in atto e con l’indicazione di proposte forti in grado di modificare realmente la situazione. Un altro argomento affrontato è stato il rapporto con le comunità cristiane maori, con le quali si è sottolineata la necessità di proseguire un cammino di riconciliazione in grado di favorire una maggiore comunione. Sono state prese in esame anche le vicende storiche del dialogo ecumenico, soprattutto quelle relative alla stagione che si è aperta con la recezione del concilio Vaticano II e che vive un tempo nuovo con il pontificato di Papa Francesco, così come i più recenti documenti ecumenici bilaterali e il lavoro della Commissione fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese. Sono stati giorni utili per conoscere qual è lo stato del dialogo ecumenico, dopo tanti passi condivisi e con delle questioni ancora aperte, e per riaffermare la scelta irreversibile dei cristiani di trovare sempre nuove forme per annunciare insieme Cristo al mondo. (riccardo burigana) BEIRUT, 3. «Tutta la popolazione della nostra diocesi è stata cacciata ed è la più perseguitata dai miliziani dello Stato islamico: di 12.000 famiglie più della metà sono in Kurdistan come profughi, altre 5000 famiglie hanno ripiegato in Libano. Qui abbiamo anche 1300 famiglie siriane, altrettante in Giordania e circa 700 famiglie in Turchia. Un po’ più della metà della comunità siro-cattolica si trova nel Kurdistan iracheno». Appello del patriarcato caldeo per Ninive BAGHDAD, 3. Un appello a sostenere anche finanziariamente la ricostruzione dei villaggi della Piana di Ninive, dove abitavano i cristiani fuggiti davanti all’avanzata del cosiddetto stato islamico, è stato rivolto dal patriarcato di Babilonia dei Caldei alle proprie diocesi e alle comunità caldee sparse nel mondo, formate da emigranti che hanno lasciato l’Iraq. Il patriarcato e alcune singole diocesi hanno già messo a disposizione quasi 500 milioni di dinari iracheni — pari a più di 380.000 euro — per accelerare il ripristino di abitazioni e chiese danneggiate o distrutte durante gli anni di occupazione jihadista, e così consentire il rientro degli sfollati che desiderano tornare alle proprie case. Nell’appello, il patriarcato chiede a tutte le comunità caldee di continuare a sostenere con generosità i programmi di ricostruzione. E, come riferito dall’agenzia Fides, si dichiara anche favorevole al coinvolgimento di osservatori internazionali incaricati di monitorare eventuali violazioni e conflitti da parte delle forze impegnate nella guerra contro lo stato islamico e prevenire eventuali scontri tra governo centrale e governo autonomo del Kurdistan iracheno nella direzione dei territori liberati. È una “fotografia” dai toni forti quella che il patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssif III Younan, scatta sulle condizioni in cui versa la propria comunità dopo anni di sofferenze e persecuzioni. E tutto questo nonostante alcuni importanti centri iracheni siano stati recentemente liberati. «Ovunque ho trovato non solo la devastazione che ci aspettavamo ma i segni dell’odio religioso: prima di andarsene hanno bruciato la metà delle case e delle chiese», racconta il patriarca in una intervista rilasciata a Terrasanta.net, il sito in rete della custodia francescana. Parole in cui si coglie l’immensa amarezza per quello che viene definito un «genocidio» e cioè il tentativo di sradicare il popolo cristiano dalla propria terra. «Il martirio — ricorda — è sempre esistito e ha fecondato la Chiesa, certo. Ma oggi c’è una differenza fondamentale rispetto al passato: oggi non sono a rischio solo gli individui, oggi l’intera nostra minoranza siro-cattolica rischia di scomparire per sempre dalla faccia della terra o sopravvivere perdendo la sua identità culturale, ecclesiale e linguistica». Per il patriarca «quello che è avvenuto in questi sei anni ci ha devastato il cuore: dopo infiniti appelli inascoltati, non c’è più molto altro da dire: questi anni sono stati una tragedia senza fine». Nella sola notte fra il 6 e il 7 agosto 2014, circa 140.000 cristiani sono stati sradicati dalla Piana di Ninive, in Iraq. E ancora oggi, afferma, «non sappiamo quando sarà possibile per le varie comunità cristiane tornare in sicurezza nelle loro case. Più di tutto, non sappiamo come convincere la nostra gioventù a farsi coraggio, tornare nelle loro terre e vivere la speranza cristiana». In sostanza, sottolinea ancora, «in gioco c’è la nostra stessa sopravvivenza nelle nostre terre e anche come comunità siro-cattolica, una comunità antichissima che ancora oggi usa come lingua liturgica l’aramaico, la lingua di Gesù. La gente non vede la possibilità di tornare: se emigreranno in Australia o raggiungeranno le famiglie che già sono in Canada o negli Stati Uniti il Medio oriente resterà privo di una componente fondamentale della sua storia, della sua identità, questi paesi saranno deprivati di comunità che sole possono garantire pluralismo e rispetto delle differenze». hanno urgente bisogno di cure mediche e di assistenza necessaria per sopravvivere. Questo programma — ha sottolineato il cardinale Nycz — interpella anche le istituzioni pubbliche. La Caritas Polonia e le diocesi sono pronte, ma la cosa più importante è il coinvolgimento delle comunità locali». «Credo che un simile appello — ha risposto il ministro della Famiglia e del lavoro, Elzbieta Rafalska, intervistata da una radio privata — possa essere accolto dal governo, ma se si parla di soluzioni concrete, bisogna sapere a chi è dedicato e quale deve essere l’ampiezza dell’assistenza». Regalo da bimbi cambogiani a rifugiati siriani PHNOM PENH, 3. Per aiutare i loro coetanei in Siria, segnati dalla guerra e dalla miseria, un gruppo di bambini e ragazzi cambogiani della parrocchia di Kdol Leu hanno rinunciato al pranzo per due settimane e hanno inviato il denaro così risparmiato ai bambini in Siria. La cifra non è grande in termini assoluti, ma ha naturalmente un grande significato. I bimbi hanno rinunciato a quella che nelle scuole occidentali sarebbe definita come “merendina” ma che in Cambogia è di fatto l’unico pasto diurno. Una merenda costa 500-1000 riel (circa 10-20 centesimi di euro) e può consistere in riso condito con carne di maiale, oppure in alcuni alimenti preconfezionati. «L’impegno — ha spiegato ad AsiaNews il parroco, padre Luca Bolelli — era, oltre che a rinunciare alla merenda, a pregare per i bambini siriani». I piccoli che hanno partecipato a questo sacrificio in preparazione alla quaresima hanno fra gli 11 e i 13 anni. Tutti partecipano al catechismo settimanale, alcuni per prepararsi alla prima comunione, altri per il battesimo. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 marzo 2017 pagina 7 José Gabriel Brochero Il parroco gaucho di JORGE MILIA Venerdì 14 ottobre era una giornata dal tempo incerto a Roma. Dalla mattina presto un gruppo di operai aveva cominciato ad adornare la basilica di San Pietro con i tipici arazzi che raffigurano le persone che quel giorno sarebbero state canonizzate. Ne avevano già sistemati quattro quando una pioggia improvvisa li interruppe. Ne mancava solo uno. Ma poi la pioggia cessò, il sole tornò a splendere e gli operai poterono terminare il lavoro. Apparve così l’immagine di José Gabriel Brochero, un prete argentino lontano nello spazio, lontano nel tempo, ma vicino al cuore della sua gente, alla quale offrì la sua fede, la sua parola, la sua salute e il suo esempio di vita. Attirò la mia attenzione il fatto che l’immagine includesse il suo mezzo di trasporto, ossia una mula, che lo aiutò nei suoi continui spostamenti per prendersi cura degli abitanti delle colline. Non fui l’unico a sorprendermi. Uno spagnolo, nell’affollata piazza san Pietro, disse meravigliato a un altro: «Guarda, sembra che ci sarà un santo su un asino. O una mu- la, non lo so. Papa Francesco è fissato con l’umiltà. Prima i santi montavano a cavallo, pensa a san Giorgio, a san Giacomo». Quell’osservazione mi fece sorridere e, a conferma che in quel posto, anche se parli una lingua diversa c’è sempre qualcuno che capisce quello che dici, senza essere invitato a farlo, m’intromisi nella conversazione dicendo: «Sicuramente per lei il “Capo” entrò a Gerusalemme in sella a una Harley Davidson…». L’uomo si stupì della mia intromissione ma, rendendosi conto di quello che intendevo dire, accusò il colpo: «Mamma mia, l’avevo dimenticato. Ha ragione lei, su un asino. Questo prete deve aver preso esempio da lui». Scoppiammo a ridere tutti e due, lui ripensando alla moto, proprio perché la marca ha a che vedere con il “Figlio di David”. Ci salutammo e ognuno se ne andò per la sua strada. Io rimasi lì a guardare l’immagine di quel parroco che, per la sua umiltà, non avrei mai pensato che un giorno sarebbe stata esposta a piazza San Pietro. José Gabriel Brochero, più noto come cura Brochero, fu un pa- I presuli messicani chiedono azioni concrete a sostegno dei migranti CITTÀ DEL MESSICO, 3. Promuovere azioni concrete a beneficio dei migranti. È quanto chiede la Chiesa in Messico sempre più preoccupata per le misure restrittive imposte dall’amministrazione americana. «È il momento di impegnarsi per assistere questi fratelli che sono tanto abbandonati e discriminati. Nelle case dei migranti — ha dichiarato durante una conferenza stampa dedicata all’emergenza migranti il segretario generale della Conferenza episcopale messicana e vescovo ausiliare di Monterrey, monsignor Alfonso Gerardo Miranda Guardiola — i volontari che offrono il loro servizio sono insufficienti, dato che nei centri di accoglienza possono arrivare da 15 fino a più di 300 persone al giorno da accudire. La Chiesa vuole rivolgere un appello a tutta la comunità cattolica: agli studenti, ai lavoratori e agli imprenditori, perché promuovano azioni concrete. Non si può restare a braccia conserte» di fronte al muro che l’amministrazione statunitense ha annunciato di voler costruire. «All’inizio di questa quaresima — ha concluso il vescovo — mi permetto di fare eco al messaggio di Papa Francesco, nel quale ci invita a comprendere e intensificare la vita dello Spirito guardando all’altro come a un dono. In questo momento della nostra storia vogliamo mettere in evidenza che siamo in un tempo propizio per guardare al migrante come a un dono di Dio». store di anime, nato in Argentina, che fece suo — molto tempo prima che lo dicesse Papa Francesco — quell’«andare nelle periferie in cerca del fratello che ha bisogno di noi». Nella provincia argentina di Córdoba, la cui capitale è una delle più antiche del paese, ricca di meriti intellettuali, scientifici e religiosi, il semplice parroco decise di rinunciare alle comodità cittadine per portare l’aiuto della fede alla solitudine dei poveri abitanti delle colline, abbandonando quindi una città in cui, fin dai suoi albori coloniali, erano fioriti templi e circoli intellettuali. In una zona priva di cammini agevoli, l’asino o la mula erano il mezzo più idoneo per spostarsi da un posto all’altro. Brochero scelse una mula soprannominata Malacara. Nulla riusciva a fermarlo, né le piogge estive che gonfiavano i ruscelli con il rischio di pericolose alluvioni di acqua mista a pietre, né i freddi inverni che ricoprivano i campi di gelo traditore. Fedele alla missione che si era dato, salì e discese molte volte da quelle colline, portando sempre con sé Cristo. Si è parlato molto in questi giorni della sua figura e delle sue opere, come a ribadire quel che è già noto, ma l’importanza dell’evento va al di là del suo carattere aneddotico. Ricordo qui le parole che monsignor Cargniello, arcivescovo di Salta, ha detto in una riunione a Roma, dopo la canonizzazione di Brochero e prima del ritorno a casa di tutti i vescovi argentini: «La canonizzazione di Brochero è stato probabilmente l’evento più importante per il cattolicesimo argentino. Un pastore che vive per prendersi cura delle sue pecore; che le assiste non solo in campo spirituale; che le sostiene psicologicamente e le consiglia nel loro operato quotidiano, sempre fedele al mandato divino con cui inizia il suo cammino di santità e che viene, molto tempo dopo, canonizzato da un Papa, a sua volta argentino». Sono venuto a conoscenza della storia di Brochero — già allora un po’ leggenda — più di cinquant’anni fa, da adolescente, durante le vacanze invernali, quando le colline cordovesi si ricoprivano di neve e noi, studenti dei gesuiti, ci recavamo con il nostro collegio della Inmaculata Concepción de Santa Fe alla Pampa de Achala. Un’area tra le colline dove Brochero aveva svolto la sua opera pastorale. Mi colpì il fatto che la gente del posto parlasse di un tale cura Brochero, di cui alcuni custodivano una foto che lo raffigurava sulla sua mula, mentre altri raccontavano i suoi gesti di abnegazione e di sacrificio come se li avessero vissuti. In una fattoria isolata, dove viveva con la sua famiglia, un leonero — così vengono chiamati sulle colline quelli che cacciano i puma — mi raccontò che quando spostava il suo gregge da un pascolo all’altro, si affidava sempre al parroco gaucho perché proteggesse dal puma lui e le sue pecore, che davano da vivere alla sua famiglia. Mi sorprese allora l’attualità di quelle storie, visto che padre Brochero era morto cinquant’anni prima. Pochi di loro potevano averlo conosciuto di persona, ma nessuno parlava di lui al passato; sembrava piuttosto che continuasse ad accompagnarli. Non so chi né perché, ma qualcuno aveva riunito e stampato diversi suoi detti, che in molti ripetevano. Eccone uno: «La grazia di Dio è come una pioggia che bagna tutti». Quando lo udii, rimasi molto colpito. Le parole trascendevano la semplice frase, trasformandola in orazione, in preghiera. Ma allora non mi fu facile capire appieno quell’adesione della gente, che a volte mescola il sacro e il profano; dopo tutto per loro io ero un sempliciotto. «Dio è come i pidocchi, è ovunque, ma preferisce i poveri». José Gabriel non esitò, e si dedicò completamente a loro, ai più bisognosi, alle persone sole. Ma andò oltre. La lebbra era allora la stessa malattia biblica presente in tutta la storia e i lebbrosi gli stessi esclusi. La carità poteva portare ad avvicinarsi a loro, ma non a toccarli. Lui invece scendeva dalla sua mula, li salutava, li abbracciava, beveva il mate con loro e, se necessario, curava le loro ferite, cambiava le bende e dava medicine. La lebbra non gli perdonò di averla trattata senza paura; con il tempo conquistò il suo corpo e lo distrusse. Ma non riuscì mai a fiaccare il suo spirito; con le sue parole confortava la gente o consigliava ai giovani preti che erano giunti lì di farsi carico di quello che considerava un campo di battaglia. Frasi come: «Ho già detto al vescovo, e glielo ho ripetuto fino alla nausea, che lo accompagnerò fino alla morte come semplice soldato che desidera morire nelle battaglie di Gesù Cristo», o «Gesù invita, in modo molto soave, con parole dolcissime, a seguirlo e a mettersi sotto la sua bandiera. Nella croce stanno la nostra salvezza e la nostra vita, la forza del cuore, la gioia dello spirito e la speranza del cielo», denotavano la sua concezione della fede come milizia di Cristo. La cecità fu parte del fardello finale della sua malattia; lui l’accettò come un atto di servizio: «Il Signore mi ha dato la salute, lui me la toglie; benedetta sia la sua santa volontà. Dobbiamo adeguarci sempre ai disegni di Dio». Da tempo José Gabriel Brochero era considerato santo dalla sua gente, da molto prima della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo. Forse ancor prima che morisse. Molti ricorrevano a lui nella preghiera, altri assicuravano di essere stati benedetti da qualche sua grazia, al punto che la gente del posto parlava addirittura di miracoli. Mi colpì la sua storia, di cui a poco a poco venni a conoscenza in quell’inverno sulle colline. Con il passare del tempo la commozione di un momento si trasforma in un aneddoto, la realtà quasi in oblio. Trovarmi a Roma mi confuse un po’ perché, mentre guardavo l’arazzo con il primo santo argentino, mi tornavano in mente tutti i detti del leonero, le storie degli abitanti delle colline, le frasi che qualcuno aveva stampato. Mi domandai con tono un po’ scherzoso: si potrà entrare in cielo a dorso di mula? Pensai di porre quella domanda a un amico che lavorava lì, ma poi mi risposi da solo: sì, a cavallo, a dorso di asino o di mula, persino in Vespa o su una Harley Davidson, non ha importanza, i cammini del Signore sono imperscrutabili; dipende da quello che si sceglie, qualsiasi mezzo va bene. Guardai nuovamente l’arazzo e mi sembrò che sul volto di san José Gabriel ci fosse un sorriso. In Guatemala per la dignità di ogni essere umano CITTÀ DEL GUATEMALA, 3. «Manteniamo il nostro impegno per la difesa della vita sin dal concepimento, come previsto dalla Costituzione della repubblica del Guatemala nell’articolo 3». È quanto si legge nel comunicato della Conferenza episcopale del Guatemala, che condanna l’organizzazione olandese “Women on Waves” conosciuta per la pratica di aborti gratuiti sulla sua nave. Il presidente Jimmy Morales ha risposto in prima persona all’appello dei vescovi ordinando un’azione militare che ha bloccato l’arrivo dell’imbarcazione al porto di San José. «Come Chiesa cattolica promuoviamo e difendiamo la dignità di ogni essere umano, ed è per questo — scrivono i vescovi — che esortiamo la popolazione a mantenersi in allerta di fronte all’azione di queste organizzazioni che attentano al diritto fondamentale alla vita umana». L’aborto in Guatemala è previsto solo in caso di grave pericolo per la salute della madre. Dedicata alle prossime elezioni la campagna quaresimale in Kenya Allarme dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo Esempi di integrità L’urgenza del dialogo NAIROBI, 3. Il 2017 è un anno molto importante per il Kenya. Ad agosto si vota per le elezioni presidenziali e legislative e la Conferenza episcopale ha pensato di dedicare la campagna di Quaresima proprio a questo appuntamento cruciale per il futuro del Paese. Peaceful and credible elections. Leaders of integrity il tema scelto dalla Commissione per la giustizia e la pace che ha organizzato l’iniziativa, lanciata nei giorni scorsi nella capitale con due processioni e una concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale arcivescovo di Nairobi, John Njue, assieme al vescovo di Eldoret, Cornelius Kipng’eno Arap Korir, presidente della commissione. «Vogliamo andare alle urne con la consapevolezza di quanto sia importante eleggere bravi leader, soprattutto perché stiamo sperimentando un sistema decentrato di governo e abbiamo ora la possibilità di migliorarlo», spiega in un messaggio monsignor Arap Korir, il quale non nasconde come la corruzione e l’appropriazione indebita di fondi pubblici siano delle vere e proprie piaghe. «Dobbiamo essere cittadini responsabili per votare dei leader di integrità. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo essere guidati dagli insegnamenti sociali della Chiesa. Anche se quest’ultima esorta a non adorare il denaro, saranno molte le persone che voteranno solo per interessi economici. Dobbiamo esaminare con attenzione i programmi dei candidati e votare con la nostra coscienza, non con il nostro stomaco», afferma ancora il responsabile di Giustizia e Pace, citando l’Evangelii gaudium (56) di Papa Francesco. Arap Korir invita inoltre i cittadini a comportarsi in modo pacifico, prima, durante e dopo le elezioni, evitando qualsiasi forma di violenza. Durante le cinque settimane che precederanno la Pasqua, i fedeli keniani saranno invitati a riflettere su altrettanti temi che interessano la vita del Paese. La prima settimana sarà dedicata alla sicurezza, da quella dei bambini non nati e dell’infanzia a quella di tutti i cittadini nei vari ambiti della società. La seconda si concentrerà sui giovani, la terza sulla cura e la protezione del creato, mentre la quarta sarà dedicata alle elezioni, in particolare all’esigenza di un voto responsabile, trasparente e pacifico. Infine, la quinta e ultima settimana di Quaresima sarà incentrata sulla piaga — ancora diffusa in Kenya — della negative ethnicity, dove il pluralismo etnico, invece di essere fattore di arricchimento per la società, diventa motivo di divisione e conflitti. KINSHASA, 3. «L’impasse politica è preoccupante e rischia di far sprofondare il nostro paese in un disordine incontrollabile». È l’allarme lanciato dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo che mettono in rilievo le drammatiche conseguenze della mancata formazione del governo di unità nazionale, previsto dagli accordi di San Silvestro, che dovrebbe portare il paese alle elezioni. Una impasse inattesa, in parte forse dovuta alla scomparsa dell’oppositore storico del presidente Joseph Kabila, Étienne Tshisekedi, morto il 1° febbraio a Bruxelles. Fatto sta che «le divergenze in seno alla classe politica, e le tensioni nel Paese, possono condurre la nazione all’implosione e al caos», avvertono i vescovi. Ricapitolando le tappe della crisi, nata «dal blocco del processo elettorale la cui regolarità e continuità sono state interrotte» — si doveva infatti votare entro dicembre 2016 per eleggere un nuovo capo dello Stato — i vescovi ricordano che era stato lo stesso presidente Kabila a sollecitare la loro mediazione, che ha portato agli accordi del 31 dicembre. Un ruolo di mediazione che alcuni osservatori mettono in collegamento con la serie di atti vandalici che ha colpito nelle ultime settimane chiese e istituti cattolici. Attentati che, come è noto, sono stati recentemente condannati anche dalla Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo. A ogni modo, due sono i due nodi sui quali sembra essersi arenato il dialogo: le modalità di designazione del primo ministro e quelle di ripartizione dei diversi dicasteri tra maggioranza e opposizione. Per superare questi ostacoli, i vescovi chiedono alle forze politiche «un dialogo franco, basato sulla buona fede e la fiducia reciproca» e ricordano che la Conferenza episcopale ha solo un ruolo di mediazione. In questo senso, sono inaccettabili «le minacce e le violenze ricorrenti, frutto di manipolazioni, dirette contro la Chiesa cattolica per ragioni inconfessate». Soprattutto, però, i presuli temono «un’organizzazione per ritardare o impedire la tenuta delle elezioni». Non solo, «la moltiplicazione dei focolai d’insicurezza e di violenza che si generano sulla quasi totalità del territorio nazionale e fanno pensare a una balcanizzazione della Repubblica Democratica del Congo». Di qui l’appello rivolto dai vescovi alle parti politiche di impegnarsi lealmente per applicare l’accordo di San Silvestro e alla popolazione di evitare di cadere nella trappola dei discorsi incitanti all’odio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 4 marzo 2017 Il digiuno non è solo privarsi del pane È anche dividere il pane con l’affamato Messa a Santa Marta Il vero digiuno Ma come si fa a pagare una cena duecento euro e poi far finta di non vedere un uomo affamato all’uscita dal ristorante? E come si fa a parlare di digiuno e penitenza e poi non pagare i contributi alle collaboratrici domestiche o il giusto stipendio ai propri dipendenti ricorrendo al salario in nero? Proprio dal rischio di cadere nella tentazione di «prendere la tangente della vanità», del voler apparire buoni facendo «una bella offerta alla Chiesa» mentre si «sfruttano» le persone, Papa Francesco ha messo in guardia nella messa celebrata Macha Chmakoff, «Gesù nel deserto» venerdì mattina, 3 marzo, a Santa Marta. Una riflessione sul significato del «vero digiuno» scaturita dalla eloquente attualità delle parole del profeta Isaia: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?». «La parola del Signore — ha subito fatto presente Francesco — oggi parla del digiuno cioè della penitenza che noi siamo invitati a fare in questo tempo di quaresima: la penitenza per avvicinarsi al Signore». Nel salmo 50, infatti, «abbiamo pregato: “Tu gradisci, Signore, il cuore penitente”». E «il cuore che si sente peccatore e sa di essere peccatore, davanti a Dio si presenta così e davanti agli altri lo stesso: “Sono peccatore e per questo cerco di umiliarmi”». La prima lettura, ha spiegato il Papa facendo riferimento al passo tratto dal profeta Isaia (58, 1-9), «è proprio un dibattito fra Dio e quelli che si lamentano che Dio non ascolta le loro preghiere, le loro penitenze, i loro digiuni». Il Signore dice: «Il vostro digiuno è un digiuno artificiale, non è un digiuno di verità, è un digiuno per compiere una formalità». Perché, ha affermato Francesco, «loro digiunavano solo per ottemperare a certe leggi». E nel passo di Isaia «si lamentano perché il loro digiuno non era efficace» e domandano: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ma «ecco — risponde il Signore — nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui». Insomma, «da una parte digiunate, fate penitenza, e dall’altra parte, fate ingiustizie». In fin dei conti, ha spiegato il Pontefice, «questi credevano che digiunare era un po’ truccarsi il cuore: “Io sono giusto perché digiuno”». Ed «è la lamentela che fanno a Gesù questi discepoli di Giovanni — che erano buoni — e i farisei: “Sono giusto, mi trucco il cuore ma poi litigo, sfrutto la gente”». «Nel giorno del digiuno curate i vostri affari»: questo «è il senso più incisivo», ha detto ancora il Papa, aggiungendo che si tratta di «affari sporchi». Un modo di fare che «Gesù sempre ha detto che è ipocrisia». Così, ha proseguito, «abbiamo sentito quando Gesù parla di questo, mercoledì scorso: “Quando digiunate non fate i malinconici, la faccia triste, perché tutta le gente veda che digiunate”». E «quando preghi non farti vedere che stai pregando (@Pontifex_it) perché la gente dica: “ma che persona buona, giusta”». Insomma, «quando fate elemosina non fate suonare la tromba». Sempre nel brano di Isaia, «il Signore spiega a questa gente che si lamenta qual era il vero digiuno: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Questo voglio io, questo è il digiuno che io voglio”». L’altro, invece, «è il digiuno “ipocrita” — è la parola che usa tanto Gesù — ed è un digiuno per farsi vedere o per sentirsi giusto, ma nel frattempo ho fatto ingiustizie, non sono giusto, sfrutto la gente». Non vale dire: «Io sono generoso, farò una bella offerta alla Chiesa». Piuttosto, «dimmi: tu paghi il giusto alle tue collaboratrici domestiche? Ai tuoi dipendenti li paghi in nero? O come vuole la legge perché possano dare da mangiare ai loro figli?». «Mi viene in mente — ha confidato Francesco — una storia che ho sentito raccontare da padre Arrupe», il religioso spagnolo che è stato preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983: «Quando lui era missionario in Giappone, all’inizio, pieno di zelo apostolico, dopo la bomba atomica, ha fatto un giro per alcuni Paesi del mondo per suscitare questo zelo apostolico e chiedere preghiere per la missione del Giappone e chiedere aiuto. E faceva delle conferenze e spiegava. Era un uomo di grande zelo apostolico e un uomo di preghiera, davvero». Padre Arrupe, «parlando di questa ipocrisia, raccontò che un giorno, dopo una conferenza, gli si avvicina una persona molto importante di quella società di quel Paese e gli dice: “Ma sono rimasto commosso, padre, di quello che lei ha detto. Io vorrei aiutarla, pure. Venga da me, al mio ufficio, domani, perché io vorrei fare un’offerta, un aiuto. L’aspetto domani”». E così «il giorno dopo» il gesuita «andò da lui»; ma quell’uomo «lo aspettava con un fotografo e con un giornalista. Era un affarista conosciuto e gli dice: “Padre, grazie tante”. Ha fatto un piccolo discorso, ha aperto il cassetto, ha preso una busta: “Questa è l’offerta per il Giappone che io voglio dare. Grazie tante”. Hanno parlato un po’ e se ne è andato. Ha fatto un’altra conferenza. Poi dà la busta al segretario che lo aiutava e viene il segretario e gli dice: “Ma, padre, questa busta chi gliel’ha data?” - “Quel signore per ringraziarmi” – “Ma ci sono dieci dollari dentro!”». «Questo — ha fatto notare il Papa — è lo stesso che noi facciamo quando non paghiamo il giusto alla nostra gente». Così «noi prendiamo dalle nostre penitenze, dai nostri gesti di preghiera, di digiuno, di elemosina, prendiamo una “tangente”: la tangente della vanità, del farci vedere». Ma «quella non è autenticità, è ipocrisia». Dunque, ha insistito il Pontefice, «quando Gesù dice: “quando pregate fatelo di nascosto, quando date l’elemosina non fate suonare la tromba, quando digiunate non fate i malinconici”, è lo stesso che se dicesse: “per favore, quando fate un’opera buona non prendete la tangente di quest’opera buona, è soltanto per il Padre”». Nel brano di Isaia, ha proseguito il Papa, c’è una parola del Signore rivolta a coloro «che fanno questo digiuno ipocrita», che «sembra detta per i nostri giorni: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?”». Francesco ha suggerito di pensare «a queste parole: pensiamo al nostro cuore, come noi digiuniamo, preghiamo, diamo elemosine». E «anche — ha concluso il Papa — ci aiuterà pensare cosa sente un uomo dopo una cena che ha pagato, non so, duecento euro, torna a casa e vede uno affamato e non lo guarda e continua a camminare. Ci farà bene pensarci». Calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa a marzo e ad aprile Marzo 13 GIOVEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA Basilica Vaticana, ore 9.30, Santa Messa del Crisma 17 VENERDÌ Basilica Vaticana, Liturgia penitenziale, ore 17 25 SABATO SOLENNITÀ DELL’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE Visita pastorale a Milano 14 VENERDÌ SANTO Basilica Vaticana, ore 17, Cappella Papale, Celebrazione della Passione del Signore Colosseo, ore 21.15, Via Crucis 15 SABATO SANTO Basilica Vaticana, ore 20.30, Cappella Papale, Veglia pasquale nella Notte Santa Aprile 2 D OMENICA V DI QUARESIMA Visita pastorale a Carpi 9 D OMENICA DELLE PALME PASSIONE DEL SIGNORE E DELLA Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Commemorazione dell’ingresso del Signore a Gerusalemme e Santa Messa 16 D OMENICA DI PASQUA Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa del giorno Loggia centrale della Basilica Vaticana, ore 12, Benedizione «Urbi et Orbi» Città del Vaticano, 3 marzo 2017 Monsignor GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie A Firenze il cardinale Parolin spiega come i preti devono annunciare il Vangelo Paradossi della gioia Un prete che testimonia «agli altri il Vangelo con il volto triste»? Una «contraddizione» per il cardinale Pietro Parolin, che in un incontro nel seminario arcivescovile di Firenze ha parlato della figura del sacerdote come custode di una gioia che non può non annunciare con le parole e soprattutto con la vita. Anche nei momenti difficili, di scoraggiamento, quando si scontra con dolori e tribolazioni personali e della gente che a lui è affidata. Nell’ambito degli incontri di spiritualità promossi dall’ufficio catechistico diocesano, il segretario di Stato è intervenuto il 2 marzo sul tema «La dolce e confortante gioia di evangelizzare» alla luce dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Al centro della sua relazione, un’ampia e approfondita analisi della spiritualità sacerdotale, condotta portando spesso l’esempio, caro ai fiorentini, del cardinale Elia Dalla Costa. L’incontro si è svolto alla presenza dell’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori. Se il desiderio di felicità, ha detto il porporato, «pulsa nel cuore di ogni uomo» ma si rivela spesso «come una delle più cocenti frustrazioni» per l’uomo, cosa significa per un prete e un vescovo la «gioia di evangelizzare»? Di fronte a questa domanda il cardinale ha tracciato un vero e proprio profilo del sacerdote, operando un continuo richiamo tra il messaggio evangelico e il confronto, a volte anche duro, con la vita di ogni giorno. Punto di partenza è stato proprio il Vangelo che a più riprese, a partire dall’annuncio a Maria, si caratterizza come l’annuncio «di una gioia debordante». Ha commentato il segretario di Stato: «È del tutto inconcepibile un annuncio del Vangelo privo della gioia: essa ne costituisce una dimensione intrinseca e necessaria. È come se si parlasse del sole senza la luce». Annunciare il Vangelo, ha detto, porta inevitabilmente con sé «una promessa di felicità». Ma è una felicità che, paradossalmente, deve saper fare i conti con il «fallimento». E se lo stesso Gesù era consapevole che il suo annuncio dovesse incontrare «ostacoli e rifiuti», a maggior ragione questa realtà è vissuta da ogni uomo e, in particolare, dal sacerdote. Ecco allora, ha spiegato il segretario di Stato, che «quando si fatica e si patiscono delusioni e tribolazioni», le reazioni «più spontanee sono la rabbia e lo scoraggiamento, e a lungo andare si è tentati di rassegnarsi e di gettare la spugna». Il prete, «immerso nella vita della gente», non può evitare la continua esposizione «alle gioie della vita e alle devastazioni della tristezza». Addirittura, ha aggiunto il porporato con un’efficace immagine, «la prostrazione a terra durante il rito dell’ordinazione, mentre vengono invocati i santi in paradiso, potrebbe essere interpretata come un’iniziazione a tutte le prostrazioni dolorose che si incontreranno nel ministero, con la sola differenza che, invece di sentire il canto delle litanie, il presbitero dovrà spesso ascoltare e condividere i lamenti della gente». E in quante situazioni, ha sottolineato il cardinale Parolin, i sacerdoti, pur trovandosi in situazioni personali dolorose, sono «capaci di offrire conforto a chi sta male». Questo perché essi sono custodi del «segreto della gioia»: cioè che «alla luce della morte e risurrezione di Gesù, tutte le tristezze sono già state debellate». I preti, ha spiegato, non sono «operatori sociali, né psicoterapeuti», ma sono forti del Vangelo Mona Elisa, «L’annuncio» «che intercetta l’umano in tutte le sue sfumature e lo fa fiorire». Il presbitero è «custode della gioia», perché sa che «prima o poi, nonostante tutto, “il deserto diventerà un giardino”». Nessun oscurantismo sui temi etici Di fronte alle grandi questioni bioetiche oggetto di dibattito in questi giorni, la Chiesa, proprio perché fedele al Vangelo, «se dice dei no è perché ha dei sì più grandi». Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin a margine dell’incontro di Firenze. Pur mantenendo un «atteggiamento» di ascolto e «di grande rispetto nei confronti di tutti», il porporato ha spiegato che «evidentemente non si possono condividere tutte le scelte». E questa — ha precisato — «non è una risposta esclusivamente negativa, ma è per qualcosa di più, una pienezza maggiore di vita e di gioia». Perché «la Chiesa ha il Vangelo da annunciare e il Vangelo ha sempre buone notizie per tutti». Secondo il segretario di Stato «se non ci fosse la voce della Chiesa, che magari è scomoda, la società sarebbe molto impoverita» proprio sui «problemi estremamente nuovi e complessi, di fronte a cui nemmeno la società mi pare così preparata: si interroga e dà risposte differenziate». Nessuna visione «oscurantista» dunque, ha affermato. Anzi, «anche noi siamo parte di questa realtà, anche noi abbiamo le nostre difficoltà, ma tutto lo sforzo che fa la Chiesa va in questo senso: capire il mondo, interpretarlo e dare risposte». L’«atteggiamento di fondo», ha insistito il cardinale, deve essere segnato dalla «volontà di capire e rispondere in modo evangelico, che non vuol dire né chiudersi né accettare del tutto». Del resto «la Chiesa ha una sua proposta da fare di fronte ai nuovi problemi del matrimonio, della vita, della famiglia: lo dico perché lo vedo, c’è volontà che i sacerdoti siano preparati per dare risposte adeguate». Rispondendo alle domande dei giornalisti, il cardinale Parolin ha affermato che non si può parlare di «solitudine del Pa- pa», il quale — ha ricordato — «ha veramente la grande capacità di essere sereno». Sul caso delle dimissioni di Marie Collins dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori, il porporato ha detto che «ci sono stati alcuni episodi che hanno portato la signora Collins a questo passo: per quello che io conosco, lei li ha interpretati così e ha sentito che l’unica maniera di reagire, anche un po’ per scuotere l’albero, era quella di dare le dimissioni». Il cardinale Parolin ha assicurato di aver «visto sempre un grande impegno del cardinale O’Malley e della commissione. Stanno portando avanti un bel lavoro di sensibilizzazione. Di per sé la commissione non deve occuparsi degli abusi sessuali, è la Congregazione per la dottrina della fede che lo fa, ma deve preoccuparsi — ha concluso — di creare un ambiente che difenda i bambini, li tuteli, e non permetta più casi di questo tipo». Il 2 aprile a Carpi e Mirandola Francesco nei luoghi del sisma Sono Carpi e Mirandola le città emiliane che Papa Francesco visiterà il prossimo 2 aprile per testimoniare la propria solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto del 2012. Nella quinta domenica di quaresima, il Pontefice raggiungerà in elicottero dapprima Carpi, per celebrare la messa in piazza Martiri. Al termine benedirà le prime pietre della chiesa nuova della parrocchia carpigiana di Sant’Agata, della casa di esercizi spirituali di Sant’Antonio in Mercadello a Novi di Modena e della cittadella della carità di Carpi. Dopo l’Angelus e il pranzo nel seminario vescovile, incontrerà sacerdoti, seminaristi e religiosi della diocesi guidata dal vescovo Francesco Cavina. Successivamente in automobile raggiungerà Mirandola, dove visiterà il duomo, ancora inagibile a causa del sisma, per poi rivolgere nella piazza antistante un discorso alle popolazioni terremotate. Infine si trasferirà nella parrocchia di San Giacomo Roncole per un omaggio floreale al monumento delle vittime del sisma. Nel tardo pomeriggio il rientro in Vaticano.