l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 52 (47.486)
Città del Vaticano
sabato 4 marzo 2017
.
Guerre, fenomeni climatici e rialzo dei prezzi mettono a rischio la sicurezza alimentare nel mondo
Vivere e morire con dignità
L’Africa ha fame
La verità distorta
sul fine vita
Situazione critica soprattutto in ventotto paesi del continente colpiti dalla siccità
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di FERDINAND O CANCELLI
ROMA, 3. L’accesso al cibo è un problema globale. La sicurezza alimentare è gravemente a rischio in molte
aree del mondo dilaniate da conflitti
o fenomeni climatici. Il nuovo allarme è contenuto nel rapporto trimestrale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura (Fao) dal titolo Crop
Prospects and Food Situation (“Prospettive dei raccolti e situazione alimentare”).
La situazione è critica, soprattutto
in Africa. Circa 37 paesi richiedono
assistenza alimentare esterna: di essi
28 sono in Africa, dilaniata dai persistenti effetti della siccità causata da
fenomeno atmosferico El niño sui
raccolti del 2016. Tuttavia, spiegano
gli esperti della Fao, anche se ci si
aspetta una ripresa della produzione
agricola in Africa meridionale, il
protrarsi dei conflitti e dei disordini
sta facendo aumentare in modo
preoccupante il numero degli sfollati
e degli affamati in altre parti del
continente e del mondo.
La carestia è stata dichiarata formalmente in Sud Sudan e la situazione della sicurezza alimentare
preoccupa nel nord della Nigeria, in
Somalia e nello Yemen. «Questa è
una situazione senza precedenti.
Non è mai successo di dover affrontare quattro minacce di carestia in
altrettanti paesi simultaneamente»
ha affermato Kostas Stamoulis, assistente direttore generale e capo del
dipartimento economia e sviluppo
sociale della Fao. «È una situazione
che richiede non solo un’azione rapida per fornire assistenza alimentare
nell’immediato, ma anche sostegno
ai mezzi di sussistenza per evitare
che situazioni del genere si ripetano
in futuro» ha aggiunto Stamoulis.
La Fao chiede un’azione coordinata
dell’Onu e dei governi locali per
lanciare un vasto piano di aiuti alle
popolazioni colpite.
Bastano pochi numeri a far capire
la gravità della situazione. In Sud
Sudan 100.000 persone devono fare
i conti con la fame: nel complesso
4,9 milioni di persone in tutto il
paese sono state classificate in situazione di crisi, di emergenza o di carestia. Questo numero è destinato a
salire a 5,5 milioni, quasi la metà
della popolazione del paese, nel mese di luglio al culmine della stagione
magra. Nel nord della Nigeria 8,1
milioni di persone si trovano in condizioni di insicurezza alimentare
acuta e richiedono assistenza urgente
salva-vita. Questa situazione andrà
peggiorando nonostante il raccolto
di cereali superiore alla media del
2016. Le principali cause sono i disagi causati dal conflitto con Boko
Haram e il forte deprezzamento della valuta locale. Stesso registro per
lo Yemen, dove 17 milioni di persone, i due terzi della popolazione, si
stima siano in condizioni di insicurezza alimentare.
In Somalia il conflitto, i disordini
e la siccità hanno fatto raddoppiare
da sei mesi a oggi il numero di persone — ora stimato intorno a 2,9 milioni — ritenute in grave situazione
d’insicurezza alimentare. Inoltre —
sottolinea il documento della Fao —
conflitti e disordini civili in Afghanistan, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del
Congo, Iraq, Myanmar e Siria stanno esacerbando le condizioni di insicurezza alimentare di milioni di persone oltre ad avere effetti sui paesi
vicini che ospitano i profughi.
Il paradosso che emerge dalle
analisi della Fao — come fanno notare gli analisti — è che nel 2016 si è
registrato un raccolto mondiale da
record. Le risorse, dunque, non
mancano. A complicare le cose ci sono non solo le guerre e i fenomeni
atmosferici, ma anche la corsa al
rialzo dei prezzi. A febbraio l’indice
dei prezzi alimentari della Fao ha segnato il settimo aumento mensile
consecutivo. L’indice ha raggiunto il
valore più alto in quasi due anni,
con una crescita dello 0,5 per cento
rispetto a quello di gennaio e del
17,2 rispetto al febbraio 2016. Il
l rapporto tra malato e medico
«deve tornare a basarsi su di
un dialogo fatto di ascolto, di
rispetto, di interesse; deve tornare a
essere un autentico incontro tra
due uomini liberi o, come è stato
detto, tra una fiducia e una coscienza» diceva Giovanni Paolo II
ai medici riuniti in congresso che
lo ascoltavano nell’ottobre del
1980. Il Papa parlava alle coscienze
e, indirettamente, anche alle «fiducie»: parlava a tutti, medici e pazienti, sicuramente avendo bene in
mente che vi sono medici divenuti
pazienti e pazienti-medici.
In Italia, i fatti di questi ultimi
giorni, vissuti da medico palliativista, fanno soffrire e fanno riflettere.
Da una parte c’è la sofferenza di
chi non vede via d’uscita alla propria situazione se non quella di
chiedere la morte e dall’altra parte
c’è chi usa questa sofferenza come
un grimaldello per scardinare non
solo il rapporto tra medico e paziente ma anche quello alla base
del vivere civile. Per portare avanti
questa operazione, il cui vero volto
è spesso quello di interessi economici palesi se si pensa al costo per
la società di assistere i propri membri più fragili, non ci si può limitare a raccontare i fatti: si deve distorcere la realtà.
E così ai cittadini viene insinuato
il sospetto che i malati inguaribili
vorrebbero morire al più presto
magari con il suicidio assistito,
vengono presentati dati dai quali si
evincerebbe che l’Italia, consueto
fanalino di coda di un dubbio progresso, sarebbe uno degli ultimi
posti dove certi presunti diritti non
vengono riconosciuti, viene affermato che l’alternativa è tra il soffrire senza speranza e il richiedere la
morte. Il risultato che si ricerca
non è quello di informare la popolazione in modo corretto ma di frastornarla, di confonderla, di impaurirla cercando di far andare
quello che si immagina come un
gregge in una direzione ben precisa: per portare ancora una volta alla trasformazione dei desideri in diritti, facendo credere che darsi la
morte sia scontato e quasi doveroso
in certe situazioni.
Le cose non stanno così. Lo scrivo di sera, dopo una mattina trascorsa, come tante altre, con i malati e con le loro famiglie. I pazienti giunti al termine della loro vita
non vogliono morire, ma vivere
con dignità. Vorrebbero avere, come mi diceva poche ore fa il signor
Giovanni, affetto da una sclerosi
laterale amiotrofica che gli ha tolto
la parola ma che ancora gli permette di scrivere, il tempo per pensare
se di fronte a una crisi respiratoria
vorranno essere tracheostomizzati o
no. Vorrebbero provare, come la signora Anna affetta da un carcino-
I
Sfollati somali in fila per ricevere aiuti alimentari in un campo vicino Mogadiscio (Ap)
trend di crescita è guidato dall’indice dei prezzi cerealicoli, saliti del 2,5
per cento da gennaio, trainato
dall’aumento del grano. Aumenti anche per i prezzi della carne (1,1 per
cento), come dei prodotti lattiero-caseari e dello zucchero (0,6). A conferma del buono stato della produ-
zione, la Fao segnala che in Nord
America gli agricoltori hanno ridotto
le semine a favore di colture più costose, mentre le prospettive appaiono più solide in Russa, Unione europea, Cina, India e Pakistan. Per la
terza stagione consecutiva, la situazione globale dell’offerta e della do-
manda di cereali tra 2016 e 2017 è
destinata a rimanere «in linea di
massima soddisfacente».
Sempre quest’anno le scorte mondiali di grano aumenteranno del 6,6
per cento, vale a dire di 15 milioni di
tonnellate, raggiungendo quasi 240
milioni di tonnellate.
Quasi quattrocento civili uccisi in Iraq nelle operazioni contro i jihadisti
Palmira sottratta all’Is
DAMASCO, 3. Le forze di Damasco
hanno annunciato ieri di avere ripreso il pieno controllo di Palmira,
la città sede del sito archeologico
patrimonio dell’umanità dell’Unesco, in precedenza controllata dal
cosiddetto stato islamico (Is). La riconquista — hanno fatto sapere le
forze armate siriane — è avvenuta
«grazie alla copertura dei bombardamenti russi e all’appoggio di
truppe alleate e amiche».
Conquistata una prima volta nel
maggio del 2015 dall’Is, che si abbandonò a distruzioni di reperti archeologici e atrocità di ogni tipo, la
città era stata ripresa nel marzo del
2016 dalle truppe siriane. Nel dicembre scorso era stata nuovamente
occupata dai jihadisti. Ora, dopo
quasi tre mesi, viene nuovamente
conquistata dai governativi. La città
rappresenta non solo un centro culturale di grande importanza, ma
anche uno snodo strategico a livello
territoriale.
Altro fronte destinato a surriscaldarsi — dicono gli analisti — è quello di Manbij, un’altra roccaforte
dell’Is nella Siria settentrionale
espugnata dalle cosiddette forze
della Siria democratica, per la maggior parte composte dai curdo-siriani dell’Ypg (Unità di difesa del popolo curdo). I curdi sono osteggiati
in particolare dalla Turchia, che li
considera terroristi legati al Pkk
(Partito dei lavoratori del Kurdistan) e si oppone alla loro eventuale partecipazione ai colloqui di pace
in corso a Ginevra.
Ankara, entrata nel conflitto siriano la scorsa estate con l’operazione Scudo dell’Eufrate, ha lanciato ieri l’ennesimo ultimatum all’Ypg: «Si ritiri da Manbij o lo colpiremo» come ha dichiarato alla
stampa il ministro degli esteri di
Ankara, Mevlüt Çavuşoğlu.
Intanto, continuano le violenze
in Iraq. Almeno 392 civili sono stati
uccisi e 613 feriti nel mese di febbraio durante attacchi terroristici o
scontri con le formazioni jihadiste
del cosiddetto stato islamico (Is). Il
tragico bilancio è stato fornito ieri
dalla missione dell’Onu nel paese
(Unami). La maggior parte delle
vittime civili è stata registrata nella
provincia di Ninive, dove è in corso
l’offensiva a Mosul.
La rivincita del libro di carta
Regalo
con dedica
GABRIELE NICOLÒ
A PAGINA
4
Due migranti africani muoiono nel rogo in provincia di Foggia
Bruciati vivi nella baraccopoli degli schiavi
ROMA, 3. Due migranti africani, originari del Mali, sono morti carbonizzati questa notte nell’incendio
che si è sviluppato all’interno di una
baraccopoli nelle campagne tra San
Severo e Rignano Garganico, in
provincia di Foggia, nel quale dal
primo marzo erano in atto le operazioni di sgombero per «infiltrazioni
criminali». Non si esclude il dolo.
La dinamica dei fatti è ancora tutta da accertare. Stando a quanto riferiscono i testimoni, quando intorno all’una di notte si è sviluppato il
rogo, che in pochi minuti ha avvolto numerose baracche, erano già
presenti sul posto vigili del fuoco,
carabinieri e agenti di polizia che
stavano presidiando l’area. Tuttavia
per due dei circa cento migranti che
si erano rifiutati di lasciare la struttura non c’è stato scampo. Erano
braccianti e temevano di perdere il
lavoro nei campi se avessero lasciato
la struttura. La tragedia riporta dunque sotto i riflettori la terribile piaga
sociale del caporalato con tutti suoi
effetti sociali e umani. Nell’insediamento andato a fuoco, definito “il
gran ghetto”, durante l’estate trovavano precaria sistemazione oltre tremila migranti, sfruttati nella raccolta
dei pomodori.
In pochi minuti le fiamme, hanno
avvolto un centinaio di capanne —
costruite per lo più in legno, plastica e cartone — aggredendo una superficie di circa cinquemila metri
quadri e distruggendo tutto ciò che
era all’interno. «Al momento — ha
detto all’agenzia Ansa un ufficiale
del vigili del fuoco intervenuto sul
posto — non è possibile capire se si
tratti di incendio doloso o meno».
ma del polmone con metastasi cerebrali, semplicemente a farsi leggere qualcosa dalla figlia «per sentirne la voce ancora una volta».
Vorrebbero non soffrire e continuare a vivere fino alla fine.
La realtà è piena di sfumature,
complessa come l’essere umano,
piena di passi avanti e di ripensamenti: molto diversa da quello che
molti in questi giorni vorrebbero
farci credere, e comunque l’alternativa non è tra il soffrire senza speranza e il chiedere di morire. È come se si dimenticasse la vita con la
sua forza dirompente, una forza incontenibile anche quando va tutto
male. L’uomo è fatto per la vita e
il medico ha il grande privilegio di
distinguere questo sigillo anche
quando è nascosto sotto le piaghe.
Questo non vuol dire accanirsi per
la vita a tutti i costi ma nemmeno
abbandonare una persona alla propria scelta di suicidarsi, una scelta
che vista sotto la giusta prospettiva
è sempre e solo una sconfitta.
Dialogo, ascolto, rispetto, interesse, incontro, libertà, fiducia, coscienza: sono le parole che Giovanni Paolo II ha utilizzato per indicarci la strada di una relazione vitale, sono le parole che in questi
giorni paiono soffocate da un’onda
di marea che vorrebbe privare l’uomo della sua complessità e della
sua vera autonomia anche nell’estrema debolezza e nella dipendenza, rendendolo vittima di quella
«cultura dello scarto» tante volte
evocata da Papa Francesco.
«La concezione dei diritti umani
è naufragata — scriveva Hanna
Arendt — nel momento in cui sono
comparsi individui che avevano
perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana. Il mondo non ha trovato nulla di sacro nell’astratta nudità dell’essere umano». Ma sappiamo che l’uomo non è mai
astrattamente nudo: la mano di
Dio o quella di un altro uomo lo
riscaldano anche nel freddo più intenso.
Il cardinale Parolin sui temi etici
Nessun
oscurantismo
PAGINA
8
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza gli
Eminentissimi Cardinali:
— Gerhard Ludwig Müller,
Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede;
— Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza il
Professor Andrea Riccardi,
Fondatore della Comunità di
Sant’Egidio.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
Sua Eccellenza il Signor Luis
Dositeo Latorre Tapia, Ambasciatore di Ecuador, in visita di congedo.
Vigili del fuoco in azione nella baraccopoli (Ansa)
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza il
Reverendissimo Monsignore
Fernando Ocáriz, Prelato
dell’Opus Dei, con il Vicario
Generale, Monsignor Mariano Fazio.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
sabato 4 marzo 2017
Agente di polizia
nel centro di Bruxelles (Ap)
Procedure di infrazione contro chi non rispetta i ricollocamenti
Juncker chiede
più impegno sui migranti
BRUXELLES, 3. «Grecia e Italia hanno fatto sforzi importanti per rendere possibili i ricollocamenti: ora tocca agli altri stati far fronte ai propri
obblighi». In una lettera al presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, in vista del summit dei leader
dell’Unione la prossima settimana,
Jean-Claude Juncker torna a sottolineare la sua determinazione a «usare
ogni strumento a disposizione per
assicurare il rispetto degli impegni»
sui ricollocamenti. Il presidente della commissione europea chiede quindi maggiore impegno e non esclude
l’apertura di procedure di infrazione.
«Non ci siamo ancora, ma se i
paesi non inizieranno a dare risultati
tangibili, non esiteremo ad aprire
procedure d’infrazione» ha avvertito
anche il commissario europeo per le
migrazioni, Dimitris Avramopoulos.
«Fino a oggi abbiamo cercato di
convincerli, ma se sarà il caso, l’infrazione sarà un’opzione». Tra le misure allo studio, c’è anche una raccomandazione alle cancellerie sui rimpatri. In particolare Bruxelles si
complimenta con l’Italia per i suoi
sforzi anche in questo campo. Più in
generale Bruxelles sollecita a impedire la fuga dei migranti irregolari
trattenendoli in centri di detenzione
fino alla chiusura della pratica per il
loro rientro. Occorre semplificare le
procedure e ridurre i tempi. L’Unione aiuterà Italia e Grecia «ad allestire i centri di detenzione» ha spiegato Avramopoulos.
La situazione non è semplice. Secondo le stime della commissione,
diffuse ieri, i paesi dell’Unione rischiano «di dover rimpatriare oltre
un milione di migranti irregolari»
nel 2017, visto che nel 2015-2016 sono state presentate 2,6 milioni di richieste d’asilo e che nei primi tre trimestri del 2016 il parere positivo è
arrivato solo nel 57 per cento dei casi. Inoltre, se la percentuale delle decisioni di rimpatrio tra il 2014 e il
2015 è aumentata dal 41,8 al 42,5 per
Mogherini
in visita
nei Balcani
POD GORICA, 3. La volontà dell’Ue di
integrare pienamente tutti i paesi dei
Balcani occidentali è stata ribadita
dall’alto rappresentante dell’Unione
europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che dal Montenegro ha cominciato una visita nei paesi della regione.
«Le porte dell’Ue sono aperte
all’intera regione», ha detto Mogherini in un discorso al parlamento di
Podgorica. «Vogliamo un futuro comune dell’intero continente», ha aggiunto, precisando che l’Unione europea non sarà completa fino a
quando a essa non aderiranno i paesi dei Balcani occidentali.
«I Balcani si trovano nel cuore
dell’Europa, i popoli balcanici sono
europei e meritano le stesse opportunità, gli stessi diritti, le stesse misure
di protezione come tutti gli altri cittadini dell’Unione», ha proseguito
l’alto rappresentante dell’Unione per
gli affari esteri e la politica di sicurezza. Albania, Kosovo, Serbia ed ex
Repubblica Jugoslava di Macedonia
sono gli altri paesi della regione che
Mogherini visiterà.
A Belgrado sono previste discussioni sul futuro del dialogo, mediato
dall’Unione europea, tra Serbia e
Kosovo. La tappa di ieri in Bosnia
ed Erzegovina è stata invece annullata per la nebbia, che ha impedito
all’aereo dell’alto commissario di atterrare all’aeroporto di Sarajevo. Domani il tour di Mogherini si concluderà con una visita a Tirana.
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cento, il tasso di quelli eseguiti è
sceso dal 36,6 al 36,4.
Rimpatri, domande di asilo e ricollocamenti sono tre aspetti diversi
di un unico problema. Dall’ultimo
rapporto di Bruxelles sullo stato di
attuazione del piano di ricollocamenti, deciso in sede europea, emerge che i trasferimenti a febbraio sono stati circa 1940. Il ritmo rimane
ben al di sotto dell’obiettivo di almeno tremila trasferimenti mensili
dalla Grecia e 1500 dall’Italia.
Nel frattempo, ieri otto migranti
iracheni, giunti in Austria tra maggio e dicembre 2015, sono stati condannati a pene che vanno dai nove
ai tredici anni di reclusione per aver
violentato una turista tedesca a Vienna la notte di Capodanno. Un nono
sospetto è stato scagionato. A cinque
degli otto condannati era stato riconosciuto lo status di rifugiato, un
elemento che — dicono i commentatori tedeschi — contribuirà a far
montare le polemiche anche in vista
delle elezioni in Germania previste
per il 24 settembre.
Migrante subito dopo il soccorso su una nave della Croce rossa (Ansa)
A un anno dagli attentati che provocarono 33 vittime
A Bruxelles torna
l’incubo del terrorismo
BRUXELLES, 3. A quasi un anno
dall’attentato che sconvolse la capitale del Belgio, Bruxelles è tornata
ieri a vivere l’incubo del terrorismo
jihadista. L’allarme è scattato
nell’ora di punta del rientro dal lavoro nella zona di Porte de Halle,
quando gli agenti hanno fermato
una macchina — guidata da un uomo radicalizzato già condannato
per terrorismo — con diverse bombole di gas al suo interno.
Il premier auspica che la proposta di legge sull’attivazione della Brexit sia approvata senza modifiche
May non teme i Lord
LONDRA, 3. Theresa May non teme
i Lord e quella che alcuni giornali
britannici hanno definito come «la
battuta d’arresto» nella sua corsa
verso la Brexit. Il premier conservatore, il giorno dopo l’approvazione
da parte della camera alta di un
emendamento per tutelare i diritti
dei cittadini dell’Ue nella proposta
di legge per attivare l’articolo 50,
ha lanciato un appello che, a detta
degli analisti, suona più come un
monito. «Il provvedimento — ha infatti dichiarato — deve essere approvato senza modifiche».
May, rilevano gli osservatori,
vuole il testo chiaro e semplice come in origine, chiedendo, quindi,
alla camera dei comuni, cui spetta
l’ultima parola, di eliminare i cambiamenti, promettendo che sarà comunque garantito lo status dei milioni di europei che si sono trasferiti nel Regno Unito. È lo stesso ministro per la Brexit, David Davis,
che in nome dell’esecutivo Tory ha
spiegato ieri come Londra sia pronta a un «accordo generoso» con
Bruxelles, laddove venga rispettata
la reciprocità coi tanti sudditi di
sua maestà che hanno lasciato il
paese per trasferirsi nel continente.
Una ulteriore rassicurazione in
questo senso è arrivata da una nota
dell’ambasciata italiana a Londra,
secondo cui il governo May continuerà a garantire «il pieno rispetto
di diritti e obblighi europei fino al
giorno in cui il Regno Unito uscirà
dall’Ue, inclusi quindi i diritti di
cui godono attualmente i cittadini
di stati membri dell’Unione, tra i
quali è compresa la libera circolazione delle persone».
Precisazione doverosa, che smentisce così le recenti indiscrezioni di
stampa su una pretesa intenzione
del primo ministro d’imporre restrizioni alle dogane fin dall’avvio dei
negoziati per il divorzio da Bruxelles, previsto entro marzo.
Questo non toglie, quindi, che
May voglia in ogni modo rispettare
la sua tabella di marcia e, come ha
sottolineato il «Daily Telegraph»,
attivare l’articolo 50 nel giro di due
settimane. La proposta di legge ora
deve completare il passaggio alla
camera dei Lord entro il 7 marzo e
quindi ritornare ai comuni, dove i
conservatori intendono eliminare le
modifiche approvate dai pari.
Stoccolma
ripristina
il servizio militare
Una seduta della camera dei Lord (Afp)
Serbia al voto presidenziale
il 2 aprile
BELGRAD O, 3. Le elezioni presidenziali in Serbia si terranno il 2
aprile prossimo. Lo ha annunciato
ieri il presidente del parlamento,
Maja Gojković. L’eventuale turno
di ballottaggio avrà luogo il 16
aprile. Grande favorito della consultazione è l’attuale primo ministro, Aleksandar Vučić, leader del
Partito del progresso serbo (Sns,
conservatore) e candidato dello
schieramento governativo, che tutti i sondaggi danno vincente già al
primo turno.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
Manifestazioni a Skopje
per l’unità macedone
Le presidenziali, indicano gli
analisti politici, saranno l’occasione per testare il grado di popolarità di Vučić, un ex ultranazionalista
passato una decina di anni fa su
posizioni molto più moderate e
apertamente europeiste, per questo
molto apprezzato nelle principali
cancellerie europee, anche per la
sua politica volta alla riconciliazione e alla stabilità nella complessa
regione balcanica. Il principale rivale di Vučić sarà l’ex ministro degli esteri, Vuk Jeremić, del Partito
democratico.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
Però in quest’ultima fase si possono nascondere delle insidie. Crescono infatti le pressioni sui deputati Tories che potrebbero schierarsi
in favore dell’emendamento per i
cittadini dell’Unione europea. Per
evitare ogni “ribellione”, concludono gli analisti politici, il primo ministro dovrà serrare sempre più i
ranghi all’interno del suo partito.
Secondo quanto hanno riferito i
media locali, il conducente, fermato per eccesso di velocità e per essere passato con alcuni semafori
rossi sul Boulevard de Waterloo, si
è rifiutato di aprire il bagagliaio,
insospettendo i poliziotti. A quel
punto gli agenti hanno aperto il
vano posteriore dell’auto e ha trovato le bombole di gas. Immediato
l’arresto dell’uomo, del quale non
sono state ancora fornite le generalità, subito sentito dai magistrati.
Secondo il quotidiano belga
«Derniere Heure», si tratterebbe di
un amico di Najim Laachraoui,
uno degli attentatori suicidi all’aeroporto internazionale di Bruxelles
Zaventem. È quindi partito subito
il blocco di tutta l’area intorno alla
Porte de Halle, con lo sgombero
degli edifici circostanti e della stazione della metropolitana, dove i
treni hanno continuato a passare,
ma senza più fermarsi. È stato richiesto l’intervento degli artificieri,
che hanno fatto saltare il cofano
dell’autovettura per aprirlo completamente.
Il Belgio è ancora in stato di
massima allerta dopo gli attacchi
terroristici del 22 marzo del 2016 a
Zaventem e a una fermata della
metropolitana della capitale, che
provocarono 33 morti e oltre 340
feriti. Il quartiere Molembeek di
Bruxelles, hanno indicato gli inquirenti, si è rivelato il crocevia di cellule terroristiche ispirate al cosiddetto stato islamico (Is).
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SKOPJE, 3. Alcune migliaia di persone, per il quarto giorno consecutivo, sono scese in piazza a Skopje
per manifestare a sostegno dell’unità e della sovranità della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, contro le crescenti richieste di autonomia della minoranza albanese.
La nuova manifestazione si è tenuta all’indomani del rifiuto del
presidente, Gjorge Ivanov, di affidare l’incarico di formare il nuovo
governo al leader dell’opposizione,
Zoran Zaev, a causa di un suo accordo di programma con i partiti
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
della comunità albanese, sulla base
di ampie concessioni in chiave autonomistica, ritenuto anticostituzionale e pericoloso per l’unità del
paese. Una decisione, questa, criticata dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari
esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che ha invitato il
presidente a rivedere la sua posizione e a rispettare le regole democratiche, affidando l’incarico a
Zaev, che assicura una maggioranza in parlamento a Skopje.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
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STO CCOLMA, 3. Il governo svedese
ha annunciato ieri che ripristinerà
il servizio militare di leva obbligatorio, uno strumento ritenuto fino
a non molto tempo fa obsoleto in
occidente e che Stoccolma aveva
abolito nel 2010.
La Svezia, che essendo un paese
dichiaratamente neutrale non è
membro della Nato, ha annunciato
per il 2018 e il 2019 l’arruolamento
di un primo contingente di 4000
uomini e donne nati nel 1999 e il
loro addestramento. «Se dobbiamo
avere unità militari complete e addestrate, il sistema dell’arruolamento volontario di professione deve
allora essere integrato con la leva»,
ha spiegato in televisione il ministro della difesa del governo di minoranza di centrosinistra, Peter
Hultqvist. Nel 2016, ha detto, mancavano circa 1000 soldati operativi
e circa 7000 riservisti dagli obiettivi
strategici di difesa della Svezia, che
prevedono in totale un minimo di
6600 militari di carriera e 10.000 riservisti, aggiungendo che per il
2022 l’obiettivo è di innalzare il
numero degli operativi ad almeno
8000. Numeri comunque piccoli
per un paese di 10 milioni di abitanti, distribuiti in un territorio
molto vasto.
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Società Cattolica di Assicurazione
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L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 marzo 2017
pagina 3
Obiettivi di Al Qaeda colpiti
nello Yemen centrale (Ap)
Tra le forze di sicurezza pakistane e miliziani fondamentalisti
Battaglia nel Nord Waziristan
Non si fermano i raid statunitensi
Al Qaeda sotto attacco
nello Yemen
SAN’A, 3. Un’altra serie di attacchi
con droni ed elicotteri militari sono
stati lanciati contro obiettivi di Al
Qaeda nella penisola arabica (Aqpa)
nel sud dello Yemen. Lo riferiscono
testimoni all’emittente Al Arabiya.
I velivoli con cui gli attacchi sono
stati sferrati potrebbero essere statunitensi. Da questi, riferisce il sito
della televisione panaraba, sono scesi
soldati che per circa mezz’ora hanno
avuto uno scontro a fuoco con militanti di Al Qaeda nell’area di Al Saeed, provincia di Shabwa.
Dei responsabili tribali — come riferisce l’agenzia Afp — hanno parlato di un numero indeterminato di
vittime, comprese donne e bambini,
ma questa informazione non è stata
confermata da fonti indipendenti. I
raid compiuti questa notte hanno
preso di mira la casa di Saad Atef,
capo dell’organizzazione terroristica
nella provincia di Shabwa. Un abitante della località di Al Saeed ha
parlato di una «notte terrificante».
Il Pentagono ieri aveva confermato una serie di attacchi con droni e
caccia — inabituali per la loro intensità — contro delle postazioni e delle
infrastrutture di Al Qaeda nelle province di Shabwa, Abyane e Baida.
Almeno 12 miliziani qaedisti erano
stati uccisi secondo fonti della sicurezza e tribali. I responsabili militari
statunitensi non avevano però confermato le informazioni diffuse dai
terroristi secondo le quali delle navi
e dei commando erano stati utilizzati per gli attacchi nello Yemen.
«Al Qaeda approfitta delle zone
non controllate dalle forze yemenite
per preparare, dirigere o ispirare attentati terroristici contro gli Stati
Uniti e i loro alleati», aveva sottolineato il portavoce del Pentagono,
Jeff Davis, aggiungendo che «le forze statunitensi continueranno il lavoro con il governo del presidente Abd
Rabbo Mansour Hadi per sconfiggere i terroristi di Al Qaeda».
Gli Stati Uniti procedono da molti anni a colpire Al Qaeda, considerata come la branca più pericolosa
della rete terroristica a livello globale, ma il ritmo delle operazioni è aumentato negli ultimi mesi. Il gruppo
jihadista ha approfittato del sanguinoso conflitto in corso nello Yemen
— tra le forze fedeli al presidente
Hadi e i ribelli huthi — per estende-
re la sua influenza soprattutto nel
sud e nel sud-est del paese.
La guerra che dura dall’estate del
2014 ha già provocato, secondo stime dell’Onu, almeno 7500 morti, oltre 40.000 feriti e non meno di 3,5
milioni di sfollati. La situazione
umanitaria peggiora di giorno in
giorno a causa di un conflitto che è
dimenticato da gran parte della
stampa.
ISLAMABAD, 3. Almeno quattro miliziani fondamentalisti e due membri
delle forze di sicurezza sono morti
ieri sera in Pakistan in una battaglia
a Bannu, un’area semitribale fra il
Waziristan settentrionale e la provincia di Khyber Pakhtunkhwa.
Lo scontro a fuoco, ha reso noto
in un comunicato l’ufficio stampa
dell’esercito (Ispr), è avvenuto
quando le forze di sicurezza stavano
realizzando un rastrellamento nell’ambito dell’operazione militare
Radd-ul-Fasaad mirante a distruggere le basi terroristiche in tutto il
paese.
Da febbraio l’attività dei movimenti fondamentalisti si è intensificata con una ondata di attentati che
hanno causato oltre 100 morti fra
civili, polizia ed esercito.
E le zone tribali nel nord-ovest
del Pakistan, ritenute focolaio del
terrorismo jihadista, saranno sottoposte alla legislazione ordinaria del
paese e alle norme federali, sopprimendo l’autogoverno di coloniale
memoria. Frontaliera dell’Afghanistan, l’area ha reso possibile ai talebani e ai qaedisti di operare in totale impunità. Le zone tribali sono rimaste regolate da un sistema legale
speciale che prevede fra l’altro la
sanzione collettiva dei clan per crimini commessi da un singolo appartenente. L’annuncio del cambiamento di legislazione è stato dato
da Sartaj Aziz, consigliere del premier pakistano Nawaz Sharif, il
quale ha spiegato che il governo ha
approvato le linee espresse dal Fata,
comitato di riforma delle zone tribali amministrate federalmente.
Nel frattempo, due persone sono
state uccise in un raid effettuato da
un drone sulle zone tribali del
nord-ovest del Pakistan. I due sono
stati colpiti mentre viaggiavano in
sella a una moto nella zona di Kurram e si è trattato del primo raid di
un sospetto drone statunitense dall’insediamento a gennaio di Donald
Trump alla Casa Bianca.
Forze di sicurezza controllano le aree tribali pakistane (Ap)
Per facilitare un incontro con il generale Haftar
Il segretario alla giustizia nella bufera
Al Sarraj
guarda al Cremlino
Trump
sostiene Sessions
MOSCA, 3. La Russia potrebbe
svolgere un ruolo positivo nella risoluzione del conflitto in corso in
Libia. È l’auspicio espresso dal designato premier libico, Fayez Al
Sarraj, in visita ufficiale ieri e oggi
a Mosca. Nel corso di una conferenza stampa, rilanciata dall’agenzia di stampa Interfax, Al Sarraj ha
poi detto che la Libia è interessata
a rafforzare la collaborazione con
la Russia in tutti i campi, compreso
quello militare e della sicurezza.
Il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, dal canto suo, ha affermato che Mosca ritiene importante che si creino le condizioni tali
che siano i libici stessi a risolvere la
crisi in corso nel paese.
Durante la sua visita a Mosca,
Akl Sarraj ha incontrato diversi
esponenti del governo russo, ma
non il presidente Putin, come ha
spiegato il portavoce del Cremlino
Dmitri Peskov. «La Russia vorrebbe che la Libia tornasse a essere un
vero e proprio stato dopo l’interferenza straniera barbara nei suoi affari interni», ha aggiunto Peskov.
La scorsa settimana Al Sarraj ha
invitato Mosca a svolgere un ruolo
maggiore nel porre fine alla situazione di stallo che si registra in Libia, anche facilitando l’incontro tra
lui e il generale Khalifa Haftar,
esponente del parlamento di Tobruk, sostenuto dalla Russia.
E, intanto, la tensione creata a
Tripoli da milizie avversarie che si
fronteggiano ha spinto il segretario
generale della Lega araba, Ahmed
Aboul-Gheit, ha dirsi «estremamente preoccupato» per quella che
ha definito «un’escalation pericolosa». Già ieri sera l’inviato speciale
dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, con un tweet si era detto
«preoccupato per le notizie di nuovi concentramenti di forze a Tripoli» e si era appellato alla «calma e
all’attuazione di un cessate il fuoco» che era stato raggiunto la settimana scorsa dopo scontri che avevano causato una decina di morti.
Forze leali al premier Al Sarraj
hanno lanciato «un’allerta sicurezza
di quattro giorni nella capitale».
nel 2012, approfittando del vuoto di
potere. Una coalizione a guida francese è intervenuta militarmente nel
2013 ma, benché abbia ottenuto alcune vittorie, non ha eliminato il problema e gli attacchi degli islamisti sono continuati verso sud.
Nel frattempo il generale belga
Jean-Paul Deconinck è stato nominato a capo dei caschi blu nel Mali, ha
annunciato una fonte delle Nazioni
Unite. Il generale rimpiazza il suo
omologo danese Michael Lollesgaard
al comando della missione dell’O nu
nel Mali (Minusma). Forte di 13.000
uomini, la forza delle Nazioni Unite,
che è stata ripetutamente attaccata
nel nord del paese dai miliziani fondamentalisti legati ad Al Qaeda, è la
missione di mantenimento della pace
dell’Onu che ha pagato il maggior
prezzo in vite umane (dopo la Somalia 1993-1995) con già oltre un centinaio di caschi blu uccisi.
WASHINGTON, 3. «Una totale caccia
alle streghe»: così il presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump,
ha definito al senato, durante le audizioni per la conferma della nomina, le accuse al segretario alla giustizia, Jeff Sessions, di aver nascosto i suoi incontri con l’ambasciatore russo. «Sessions è un uomo onesto. Non ha fatto nulla di sbagliato.
Merkel ne ha parlato col presidente egiziano Al Sisi
Piano Marshall per l’Africa
TUNISI, 3. Gettare le basi di un
Piano Marshall per l’Africa per arginare e gestire al meglio gli arrivi
dei migranti in Europa: con questo obiettivo il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, ha fatto tappa ieri
al Cairo e oggi è giunta a Tunisi.
Merkel, accompagnata da una
delegazione di alto livello comprendente il ministro della coope-
razione economica e dello sviluppo e alcuni capi d’impresa, incontra il presidente della Repubblica
tunisina, Béji Caïd Essebsi, e il
premier Youssef Chahed. Nel primo pomeriggio il cancelliere tedesco pronuncerà un discorso davanti ai deputati del parlamento del
Bardo riuniti in sessione plenaria e
a conclusione presiederà il forum
Tre gruppi jihadisti
si alleano nel Mali
BAMAKO, 3. Tre fazioni di fondamentalisti del Mali si sono fusi e hanno
dichiarato fedeltà al gruppo terroristico Al Qaeda. Lo ha reso noto il
Site, gruppo di intelligence statunitense per il monitoraggio dei siti
jihadisti.
In un video messo in rete ieri, riferisce il Site, i leader di Ansar Dine,
di Al Mourabitoun e di Al Qaeda nel
Maghreb islamico hanno dichiarato
ufficialmente la loro fusione in un
nuovo gruppo denominato Jamàat
nusrat al islam wal muslimeen che
tradotto significa “supporto all’islam
e ai musulmani”. A capo della nuova
entità vi è il fondamentalista Iyad Ag
Ghaly, ex leader di Ansar Dine e originario della regione di Kidal.
Nel video Ag Ghaly afferma che le
tre fazioni si sono ispirate all’unificazione dei diversi gruppi in Siria. I
fondamentalisti legati ad Al Qaeda
hanno conquistato il nord del Mali
Le sette aree interessate, che contano circa otto milioni di abitanti,
saranno accorpate alla provincia vicina di Khyber Pakhtunkhwa entro
cinque anni, ma le riforme principali, come l’abolizione delle punizioni
collettive e il passaggio sotto la giurisdizione dei tribunali di diritto comune saranno realizzate già nei
prossimi mesi.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente egiziano Al Sisi (Ansa)
economico tuniso-tedesco organizzato dall’Utica (la confindustria
tunisina). Tra i temi in agenda, oltre alla cooperazione in materia di
controllo dei flussi migratori, la
crisi libica, il terrorismo, la cooperazione economica e il sostegno
agli investimenti per il rilancio
dell’economia tunisina.
L’Egitto del presidente Abdel
Fattah Al Sisi, assieme a Tunisi, è
stato individuato da Angela Merkel come un potenziale candidato
con cui impostare un accordo sui
migranti simile — anche se non
uguale — a quello raggiunto con la
Turchia per tamponare la falla attraverso cui centinaia di migliaia
di profughi cercano di raggiungere
l’Europa puntando sull’ormai peraltro chiusa rotta balcanica.
«Abbiamo qui un compito comune: migliorare il destino dei
profughi», ha detto ieri il cancelliere tedesco in una conferenza
stampa congiunta con Al Sisi al
termine di un colloquio. Merkel si
è riferita al sostegno tedesco sia al
miglioramento delle condizioni di
vita dei cinque milioni di migranti
bloccati in Egitto, tra cui 500.000
siriani, sia al lavoro delle organizzazioni internazionali.
«Ci sono grandi sfide» e «noi
parliamo di aiuti tangibili», ha
detto Angela Merkel senza fornire
cifre e confermando quindi che la
sua missione è più di sondaggio
che non mirata a stringere accordi
precisi. Circa la Libia, con cui
l’Egitto condivide un lungo confine, il cancelliere tedesco ha detto
che Berlino e l’Ue si impegneranno più intensamente per trovare
una soluzione politica alla crisi
che da sei anni spacca il paese.
Merkel ha inoltre sottolineato la
comunanza con il Cairo in fatto di
lotta al terrorismo e ha rilanciato
la cooperazione economica.
Avrebbe potuto rispondere in modo più accurato ma è chiaramente
non intenzionale» ha dichiarato
Trump in una nota accusando i democratici, che ne avevano chiesto le
dimissioni, di «esagerare».
Sessions è stato accusato sulla
base delle rivelazioni del «Wall
Street Journal» di aver mentito al
senato durante il giuramento per la
conferma della sua nomina riguardo incontri avuti con l'ambasciatore
russo a Washington. Secondo il
«Wall Street Journal», Sessions
parlò con l’ambasciatore russo, Serghiei Kisliak, per un paio di volte
nel 2016, quando era anche consigliere di politica estera della campagna di Trump. «Ho incontrato
l’ambasciatore. Abbiamo parlato di
Ucraina, terrorismo, ma non ricordo di aver avuto con lui colloqui di
carattere specificamente politico. Fu
l’ambasciatore a chiedermi di incontrarlo, a settembre» ha detto ieri
Sessions. Il segretario ha quindi
ammesso di aver sbagliato: «Avrei
dovuto dirlo in senato» aggiungendo poi di ritenere comunque «corrette e oneste» le risposte rese
all’epoca in aula.
Questa mattina, inoltre, sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, il quale ha parlato senza mezzi termini di «caccia alle streghe».
Nuovo
ministro degli esteri
brasiliano
BRASILIA, 3. Il senatore Aloysio
Nunes è stato indicato ieri dal presidente brasiliano, Michel Temer,
come nuovo ministro degli esteri, in
sostituzione del dimissionario José
Serra. La nomina, informa la stampa del paese sudamericano, dovrebbe essere ufficializzata nelle prossime ore, dopo un incontro tra
Temer e lo stesso Nunes al palazzo
presidenziale di Planalto. Nunes, 71
anni, attuale capogruppo del governo al senato, è stato ministro della
giustizia nell’esecutivo di Fernando
Henrique Cardoso. Serra, 74 anni,
si è dimesso la settimana scorsa per
motivi di salute. In una lettera inviata al presidente Temer, ha spiegato «di non essere più in grado di
mantenere il ritmo di viaggi internazionali».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 4 marzo 2017
La rivincita del libro di carta
Regalo con dedica
di GABRIELE NICOLÒ
i sta consumando la rivincita del libro di
carta che, in questi anni, era stato dato per
morto. A seppellirlo, e senza nemmeno i
dovuti onori, sarebbe stato — avevano previsto in tanti — l’e-book, ovvero il libro che si
può leggere con appositi supporti digitali. Ma gli ultimi dati riguardanti l’editoria mondiale mostrano che
è in atto un’inversione di tendenza. In Gran Bretagna
le vendite del libro tradizionale sono cresciute del 2,6
per cento, negli Stati Uniti del tre per cento, in Russia addirittura dell’otto per cento. Stessa tendenza anche in Italia: nel 2016, informa l’Associazione italiana
editori (Aie), a dispetto di previsioni indicanti un tracollo, si è registrato un incremento dell’1,6 per cento.
Forse è prematuro sottoscrivere senza riserve quanto
dichiara ora la maggioranza degli intellettuali britannici, book is back. Tuttavia i segnali, in tal senso, sono
chiari e lo scenario dell’editoria sembra di conseguenza orientato a riacquisire, seppure molto gradualmente, i classici tratti di una volta.
S
A rifocalizzare l’attenzione su un tema così coinvolgente è l’inserto “Economia” del «Corriere della Sera» di lunedì 27 che, con gli articoli di Raffaella Polato e Maria Teresa Cometto, subito sottolinea che, nonostante il mercato del libro sia in ripresa, ciò non significa che gli editori si siano lasciati definitivamente
alle spalle una crisi che ha falcidiato fatturati e utili.
Ma in questo scenario fluido, sempre foriero di sorprese, spicca un dato che fa notizia: adesso negli Stati
Uniti l’e-book costa più della carta e mentre le vendite dei libri tradizionali, come detto, sono cresciute del
tre per cento, quelle degli e-book sono diminuite del
sedici. Insomma sembra essere tornato prepotente il
gusto di sfogliare le pagine e avere così un contatto
fisico con l’opera: e se il prezzo è più conveniente,
tanto meglio. Tra i numerosi esempi a conferma di
questo fatto, l’inserto cita il nuovo giallo di John Grisham, L’informatore, che sul sito statunitense di Amazon costa 14,47 dollari con la copertina rigida, ovvero
52 centesimi in meno della versione per il Kindle
(l’apparecchio per la lettura digitale). Inoltre si evidenzia che anche molte edizioni tascabili costano meno di quelle digitali: Il rifugio di William Young in
paperback viene 8.81 dollari, su Kindle 9.99.
Anche «L’Espresso» del 26 febbraio, in un articolo
di Raffaele Simone, indaga le dinamiche legate alla
«ripresa della domanda di questa nobile merce», ovvero il libro di carta. Il linguista è cauto nel dare per
scontato un ritorno, per quanto graduale, alla tradizione, tanto che parla di «timidi conati che non alterano il trend», costituito appunto dall’avanzata del libro online. Ma è innegabile, evidenzia Raffaele Simone, che quelle doti che hanno sempre rappresentato i
talenti distintivi del libro di carta, ovvero la socievolezza e l’affettività (essi si possono prestare e si possono regalare ponendovi una dedica), «per il momento
non appartengono all’e-book».
Ma già due anni fa «The New York Times» aveva
intuito che nel mercato editoriale qualcosa stava cambiando e che il libro tradizionale, “bruciato” sulla pira
innalzata dall’e-book, stava cominciando a risorgere
dalle ceneri. Nell’articolo di Alexandra Alter intitolato «The Plot Twist: e-book sales slip, and print is far
from dead», si sottolineava che l’«ondata migratoria»
verso i supporti digitali di lettura stava invertendo la
rotta, per ritornare al punto di partenza, ovvero al libro di carta. E questo perché? Tra le risposte s’impone, sottolinea il quotidiano newyorkese, quella dettata
dalla consapevolezza riguardo alla fragilità che insidia
il mondo digitale, dove problemi tecnici di varia natura rischiano, con sempre maggiore frequenza, di
frantumare l’illusione di una memoria archivistica indistruttibile. Il materiale cartaceo, se preservato con le
dovute cure, può, nella peggiore delle ipotesi, ingiallire, e per quanto segnato dalle rughe del tempo, sarà
sempre leggibile: e così esso può assurgere, incontrastato, a memoria permanente di un patrimonio culturale di inestimabile valore. Insomma il riscatto del libro tradizionale trova nella carta — che simboleggia,
sul piano sentimentale, l’amore per la tradizione e,
sul piano pragmatico, rappresenta un baluardo contro
le ingiurie del tempo e le insidie della tecnologia —
un formidabile alleato. Molto indicativo, a tale proposito, è il boom di vendite del settimanale britannico «The New European», fondato l’8 luglio 2016 come risposta al referendum sulla Brexit del 24 giugno,
così da porsi come un riferimento per coloro che, in
Gran Bretagna, «ancora credono nell’Europa». Si
tratta di un’iniziativa editoriale che, in controtendenza, punta solo sul materiale cartaceo: la prima edizione ha venduto più di quarantamila copie. C’è chi
pensava che tale clamoroso dato fosse dovuto principalmente all’effetto novità. A smentire questa tesi sono state le tirature fatte registrare dalle successive edizioni, vicine alla soglia delle cinquantamila copie.
Estinzione biologica e comportamenti umani
Un tesoro da salvare
iodiversità, una parola
spesso citata, ripetuta
come slogan, usata come bandiera, ma non
sempre adeguatamente
capita, si legge nella relazione finale del convegno «Estinzione
biologica. Come salvare l’ambiente
naturale da cui dipendiamo», organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali dal 27 febbraio al 1° marzo.
Spesso sfugge il nesso tra questa parola, “biodiversità”, e la nostra vita quotidiana, e il suo legame inscindibile con quello che
mangiamo e che beviamo, o con le
medicine che usiamo per curarci.
E il fatto tanto semplice quanto rimosso, che dipendiamo dall’ambiente in cui siamo. Migliaia di
specie di piante vengono coltivate
per fornire cibo, ma di queste solo
103 costituiscono circa il novanta
B
per cento delle derrate alimentari
mondiali.
Secondo recenti stime conosciamo in modo documentato e dettagliato solo un quinto delle specie
di piante esistenti, e molte di queste rischiano di estinguersi entro la
fine del ventunesimo secolo, prima
ancora di essere censite e studiate.
Lo stesso pericolo incombe su
migliaia di microorganismi che
non vediamo a occhio nudo ma
sono preziosi — o potrebbero, in
futuro, diventarlo — in campo medico, alimentare, industriale.
I risultati del simposio che si è
svolto nella Casina Pio IV in Vaticano sono stati presentati alla Sala
stampa della Santa Sede giovedì
scorso. Alla conferenza, introdotta
dal direttore della Sala stampa,
Greg Burke e dal vescovo Marcelo
Sánchez Sorondo, cancelliere della
Pontificia Accademia delle Scienze
e della Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali, sono intervenuti
Werner Arber, premio Nobel per
la Medicina e presidente della
Pontificia Accademia delle Scienze, e due studiosi della stessa Accademia: Peter Hamilton Raven,
biologo del Missouri Botanical
Garden, e Partha Sarathi Dasgupta, economista dell’università di
Cambridge.
«Dal momento che l’estinzione
è permanente» ha spiegato Raven,
questa rappresenta anche una minaccia «più pericolosa dei cambiamenti climatici». Alterare il ciclo
dell’acqua, fonte di vita, significa
anche alterare la biodiversità, ha
sottolineato Sánchez Sorondo, introducendo gli interventi dei relatori. Il passaggio alle energie pulite è una delle soluzioni auspicate
dagli accademici, insieme a nuove
tecniche di agricoltura e a nuove
configurazioni delle città che seguono modelli di gestione intelli-
gente delle risorse; è stato citato
l’esempio virtuoso delle smart city
sorte in Brasile e in Arizona, più
piccole e meglio integrate con
l’ambiente circostante. Ma non solo le nuove realtà, «ci sono vecchie città — ha detto il presule —
come New Orleans che stanno
mettendo in atto grandi cambiamenti».
Prioritaria resta sempre la lotta
alla povertà, diretta o indiretta,
causa di ogni grave minaccia
all’ambiente, dato che le comunità
più povere si trovano costrette talvolta a vendere intere foreste a
prezzi ridicoli per sopravvivere.
Strada maestra a uno sviluppo bilanciato e sostenibile dei popoli è
favorire l’esistenza della famiglia
in senso cristiano; i problemi non
nascono tanto — come molti affermano — dalla grande quantità della popolazione, quanto dalle attività umane che vengono intraprese, pianificate e realizzate. In gio-
Prioritaria resta sempre
la lotta alla povertà
diretta o indiretta
Causa di ogni grave minaccia all’ambiente
co c’è sempre la libertà del singolo; e moltissimo dipende, si legge
nel documento redatto dagli
esperti che hanno partecipato al
convegno, «dall’adozione di principi di giustizia sociale e sostenibilità». (silvia guidi)
Dalla metropoli alla cattedrale
Come in un flashback
di GIANFRANCO RAVASI
a trama si apre con un atto
capitale della cattolicità e
della stessa storia mondiale,
il Conclave del 2013 che ci
vide accanto, nella mirabile
cornice della Cappella Sistina, per
l’elezione di Papa Francesco, sotto lo
sguardo non solo dell’umanità intera
ma soprattutto di quel Cristo michelangiolesco che incombeva su di noi
elettori quando deponevamo le nostre
schede sull’altare posto sotto il «Giudizio universale». Il cardinale traccia
in modo limpido la spiritualità e la
personalità del predecessore Benedetto
XVI, che era stato in visita come pellegrino all’interno della basilica della Sagrada Familia e che aveva «aperto un
nuovo modo di porre fine all’esercizio
del ministero del Papa». Ma la sua
analisi vuole dipingere soprattutto un
L
Conversazioni
Pubblichiamo parte della prefazione del
prefetto del Pontificio consiglio della cultura
a Un cardinale si confessa (Città del Vaticano,
Libreria editrice vaticana, 2017, pagine 244,
euro 15), che raccoglie le conversazioni tra il
cardinale Martínez Sistach e il giornalista
Jordi Piquer Quintina.
ritratto suggestivo del successore, e del
suo magistero.
La “confessione” del cardinale, perciò, si svolge quasi come in un flashback ricco di scene intense e vivaci e,
quindi, si muove dal suo attuale presente, quello di un “pensionato attivo”
che si impegna ancora su alcuni nodi
tematici attorno ai quali si era svolta la
sua precedente missione pastorale.
Uno di questi nuclei fondamentali è
costituito dalla realtà della metropoli,
divenuta ai nostri giorni la meta di addensamento della popolazione di intere nazioni (questo accade già ora per
oltre la metà degli abitanti del nostro
pianeta, collocati in centri urbani spesso imponenti). «I credenti devono
guardare la città con uno sguardo contemplativo, uno sguardo di fede in
questa presenza di Dio», senza per
questo ignorare che nelle grandi città
operano oltre agli angeli anche i demoni. Questi ultimi sono più visibili
nella loro opera (disintegrazione del
tessuto sociale, violenza urbana, cultura della paura, speculazione e corruzione, consumismo e caduta dei valori
etici comuni). Ma non si deve dimenticare che questo “segno dei tempi” è
popolato anche di straordinarie occasioni “angeliche” di fede, di carità, di
annuncio cristiano. Non per nulla nel
2012 Barcellona fu una delle dodici
grandi città europee scelte per la “Missione Metropoli”. Entra, così, in scena
un altro soggetto caro al cardinale fin
dagli esordi dei suoi studi teologici, la
presenza viva e operosa del laicato nella Chiesa: il suo testo più noto al riguardo, riedito più volte, Le associazioni di fedeli, centra proprio questo tema,
che verrà spesso ripreso in molti altri
scritti, anche di natura giuridica, tenendo conto delle competenze accademiche del cardinale. Il principio è netto: per i laici è necessario «passare dalla collaborazione alla corresponsabilità», anche perché in una società secolarizzata la loro è una voce efficace.
Ma per attuare questa prospettiva di
fondo bisogna rivedere certe dinamiche cristallizzate per cui — usando
l’immagine della “piramide rovesciata”
di Papa Francesco — si deve riconoscere che «il sacerdozio ministeriale è al
servizio del sacerdozio comune di tutti
i battezzati». In questo contesto ecclesiale un ampio spazio è riservato alla
famiglia. Ricordo gli interventi appassionati del cardinale Martínez Sistach
agli ultimi due sinodi ai quali abbiamo
insieme partecipato.
Le pagine che in questo volume
vengono dedicate al tema in tutte le
sue complesse articolazioni — comprese quelle giuridico-canoniche — e l’attenzione riservata a un documento importante come l’esortazione Amoris laetitia possono costituire una preziosa testimonianza sia dell’esperienza sinodale, sia dell’impegno pastorale dell’arcivescovo di Barcellona in questo ambito. Non si dimentichi, infatti, che nella
sua ampia bibliografia si incontra un
titolo emblematico: Requisitos para que
el matrimonio sea una “íntima” comunidad de vida y amor (2008). Da questo
nucleo germinale della società il discorso s’allarga spontaneamente a un
orizzonte più vasto, quello dell’intera
comunità civile. Calorosa è la sua professione di amore per la città di Barcellona «“cap i casal” di Catalunya, la
capitale politica, culturale, religiosa ed
economica del Principato». Egli, orgoglioso della «Medaglia d’Oro della
Generalitat de Catalunya» di cui è stato insignito, affronta con discrezione
anche la dialettica politica molto accesa che pervade la società catalana riguardo al tema della nazionalità, consapevole però sempre della distinzione
evangelica tra fede e politica. Il dibattito aperto è evidentemente complesso
perché «la questione di fondo è se si
accetta o meno che la Catalunya sia
una nazione, dato che una nazione, alla luce della dottrina sociale della
Chiesa, ha dei diritti e dei doveri che
deve poter esercitare». Certo è che, al
di là dei termini specifici politici della
questione, dai quali l’arcivescovo si
astiene, «c’è il desiderio di assicurare
che siano rispettati in modo efficace la
propria lingua, la cultura, l’istruzione e
il benessere sociale». Il progetto generale che anima la mente dell’arcivescovo è comunque quello, più culturale e
pastorale, di «una Catalunya dove si
rispettano le differenti opzioni religiose e che, senza pregiudizi ideologici, si
riconosca il bene che offrono le religioni alla realizzazione delle persone e
del bene comune, rispettando pienamente il diritto civile e la libertà reli-
Particolare della facciata della Sagrada Familia
(Barcellona)
giosa». Si entra, così, nel tema più generale della secolarità, una qualità che
ha la sua matrice nel cristianesimo
stesso con la celebre affermazione di
Gesù riguardo al duplice rispetto per
Dio e per Cesare (Matteo 22,15-22). La
storia nazionale, con l’esperienza del
franchismo e la successiva secolarizzazione (ben diversa dalla “secolarità” legittima perché esclude dimensioni religiose al vivere sociale), ha reso la Spagna «un paese di contrasti drammatici», come ha affermato Benedetto XVI
nell’intervista a Peter Seewald. Proprio
per questo è indispensabile ribadire
che “laicità” non è uguale a “laicismo”,
come appunto la “secolarità” non lo è
rispetto al “secolarismo”. L’aconfessionalità dello Stato non esclude, perciò,
la presenza della Chiesa e delle religioni nella società con un proprio contributo allo sviluppo civile in un dialogo
fecondo interculturale.
Il simbolo di questo intreccio armonico tra comunità civica e religiosa è
per Barcellona la Sagrada Familia, il
“gran tempio” non solo della Catalunya ma cattedrale dell’intera Europa,
monumento ideale della nuova evangelizzazione e dell’incontro tra fede e
cultura, come recita appunto il titolo
di un saggio del cardinale pubblicato
nel 2012 (La Sagrada Familia, un dialogo tra fede e cultura). Era, per altro,
questo il progetto ideale del suo grande artefice, Antonio Gaudí che aveva
voluto comporre in armonia le tre vie
della Rivelazione divina: il «Libro della Natura», il «Libro della Sacra Scrittura» e il «Libro della Liturgia». La
visita a questo straordinario monumento, simile a una creatura vivente ancora
in crescita, è per tutti emozionante e lo
è stata anche per me durante una memorabile conclusione del Cortile dei
Gentili con un imponente concerto vocale in cui quattro cori distribuiti nei
punti cardinali della basilica si accordavano in un unico inno di fede e di
bellezza. Giustamente Sistach dichiara
che «la Sagrada Familia è per molti
dei suoi visitatori non credenti un autentico “cortile dei Gentili” per il dialogo tra la fede e la cultura, tra la credenza e la non credenza».
Da questo spazio simbolico, che è
contemporaneamente sacrale, civile e
artistico, deve procedere la Chiesa nella sua uscita missionaria, un altro soggetto tematico che appassiona l’arcivescovo.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 marzo 2017
pagina 5
Villa Torlonia
(Roma)
Fra coscienza individuale e relazione con il maestro spirituale
D ifficile
equilibrio
Un romanzo di Massimiliano Boni
D imenticare
la Shoah
di ANNA FOA
n
romanzo,
un’opera di fantasia che ha dietro
di sé le storie di
sei milioni di ebrei
morti nella Shoah. Così l’autore,
Massimiliano Boni, consigliere
alla Corte Costituzionale, definisce il suo libro (Il museo delle penultime cose, Roma, 66thand2nd,
2017, pagine 373, euro 18), il terzo romanzo da lui scritto. Un libro il cui vero protagonista è il
museo della Shoah di Villa Torlonia, un museo, come sappiamo, non ancora nato, con alle
spalle una storia travagliata, destinato a occupare la villa che fu
la residenza di Mussolini. Nel
romanzo, che si svolge in un futuro non lontano, nel 2030, il
museo è ormai una realtà, ha
passato un periodo di grande
successo, con tanti visitatori, ma
è ormai in crisi. Crisi finanziaria
ma anche crisi di interesse che
lo svuota di visitatori. È diretto
da un non ebreo, coadiuvato da
un giovane studioso ebreo romano, Pacifico Lattes. Pacifico si
occupa di Shoah, ma ha paura
della Shoah.
Non ha mai visitato Auschwitz, in compenso ha letto
tutto quello che si poteva trovare di memorialistica, ha ascoltato e visto i video dei viaggi della
memoria, vive immerso nella
storia di novant’anni prima.
Non lo interessa però tanto il
destino successivo alla deportazione, il campo di concentramento e di sterminio, ma vuole
invece restituire vita ai deportati, agli ebrei romani di cui soprattutto si occupa, coglierli prima che siano inghiottiti nel buco nero della Shoah. Per studiarli, si ferma davanti ai portoni delle loro case, vorrebbe avvertirli, far tornare indietro la loro storia. Il direttore, Mario, si è
invece molto occupato dei so-
U
pravvissuti, li ha conosciuti, frequentati, intervistati, ha curato
le edizioni dei loro scritti e diari. Il suo progetto è quello di
sostituire la memoria alla testimonianza diretta, a far sì che ci
possa essere sempre qualcuno a
raccontare. Infatti il problema è
che non ci sono più sopravvissuti. Anche il clima politico del
paese è torbido. È andato al potere un nuovo partito, la cui sigla ricorda quella del Pnf, il
Piano nazionale della felicità.
Non ci sono violenze aperte o
leggi liberticide, ma sempre più
spesso viene limitata la libertà
di opposizione. Una forma di
fascismo morbido, populista,
che si accompagna a una crescita dell’antisemitismo neofascista.
La crisi del museo è così crisi
della memoria, ma anche crisi
generale di una società ormai
molto lontana dai valori del
mondo uscito dalla guerra e dalla Shoah.
Ed ecco che Pacifico e Mario
sono raggiunti, attraverso un sacerdote che opera in una casa di
riposo alla periferia di Roma, da
una notizia che ha per loro
dell’incredibile: esisterebbe un
ultimo sopravvissuto, un uomo
di novantotto anni di nome Attilio, ricoverato nell’ospizio.
Questi ha sempre taciuto sulla
sua storia, ma ora afferma di essere stato ad Auschwitz, di essere ebreo, e chiede per sé un funerale secondo il rito ebraico.
Parlargli non è facile, Mario non
ci riesce perché il vecchio non
vuole parlare con un non ebreo,
ci riesce Pacifico ma ne esce con
dubbi enormi: il nome dell’uomo non risulta in nessuna lista
di deportati, l’uomo stesso parla
con difficoltà e non fa i nomi
che consentirebbero a Pacifico
di indagare sulla sua storia. È
un ebreo o non lo è? È davvero
stato ad Auschwitz o ha messo
insieme frammenti di conoscen-
ze comuni per attribuirsi questa
storia?
Pacifico indaga, scava nelle
storie dei deportati, sempre più
tormentato, mentre intorno il
mondo
sembra
precipitare
nell’oscurità: la memoria si è
persa quasi del tutto, le violenze
fasciste finiscono per colpire
sanguinosamente gli stessi dirigenti del museo, Pacifico precipita in una sorta di depressione
e di incapacità di reagire. Ad
aiutarlo sono i figli bambini, la
moglie forte e coraggiosa, e anche il fatto di essere riuscito, nonostante le sue esitazioni, a decifrare la storia complicata di
Attilio, l’ultimo sopravvissuto.
Il vero protagonista
è il museo di Villa Torlonia
dedicato allo sterminio degli ebrei
Non è ancora nato
ma ha già alle spalle
una storia travagliata
Forse il mondo intorno a lui
riuscirà a cambiare strada. Già il
Presidente del paese, l’inventore
del Piano della felicità, è
costretto dagli scandali a dare le
dimissioni. Il museo riprende a
vivere e a trasmettere la memoria.
Una piccola storia, quella di
Attilio, ha rimesso in moto il ricordo, gli ha ridato il valore morale che aveva perduto nel logorarsi del tempo e del mondo intorno. Non sappiamo se basterà
per tutti e non solo per il museo
e per i suoi difensori della memoria. Il romanzo si chiude con
parole di speranza non prive,
però, di una certa cautela: l’angelo della morte è stato sconfitto. Ma solo per il momento.
Se la filosofia aiuta a comprendere il cinema
Con la pubblicazione di L’immaginetempo (Torino, Einaudi, 2017, pagine
343, euro 28) si completa la riedizione
delle riflessioni sul cinema del filosofo
Gilles Deleuze, iniziata lo scorso anno
con l’uscita del primo volume intitolato L’immagine-movimento. Divenuta un
classico degli studi sulla settima arte,
a più di trent’anni dalla sua comparsa
l’opera di Deleuze è considerata una
rielaborazione del pensiero sul cinema, di cui ridefinisce l’essenza stessa.
Se fulcro del primo volume è l’unitarietà del cinema classico, con una
classificazione delle immagini prodotte che subordina il tempo al movimento, nel secondo tale prospettiva
viene rovesciata. Le situazioni non si
articolano più in azione e reazione,
ma divengono pure situazioni ottiche
e sonore. Quanto alla teoria, questa
per Deleuze non si fonda sul cinema
bensì sui concetti da questo suscitati.
In sostanza sono proprio i concetti a
creare l’unicità della settima arte ed è
per questo che non bisogna chiedersi
“che cos’è il cinema” ma “che cos’è la
filosofia”. Domanda lecita per un sag-
gio che parte proprio dalla riflessione
filosofica per abbracciare estetica e
storia del cinema in un originale punto di vista. «Il cinema stesso — spiega
in proposito Deleuze — è una nuova
pratica delle immagini e dei segni, di
cui la filosofia deve fare la teoria in
quanto pratica concettuale». Una
nuova prospettiva, dunque, per rileggere le opere di Visconti, Fellini, Wells, Bresson Kubrick e di altri grandi
maestri, pensatori oltre che artisti.
di GIOVANNI CERRO
a direzione spirituale,
intesa come relazione
tra maestro e discepolo finalizzata al perseguimento della perfezione interiore, è comune a tradizioni culturali e religiose molto diverse, dal pitagorismo al
neoplatonismo, dal confucianesimo al buddhismo. Tuttavia, è
solo all’interno del cristianesimo
che storicamente si impone come strumento fondamentale sia
per l’indagine della coscienza
individuale sia per la costruzione di modelli comportamentali e
disciplinari, assumendo nel corso dei secoli caratteristiche specifiche. Il fenomeno si istituzionalizza tra basso medioevo e
prima età moderna, anche attraverso una diffusione trasversale
ai ceti sociali e l’estensione al
laicato, come mostra il recente
volume di Gabriella Zarri, Uomini e donne nella direzione spirituale (XIII-XVI secolo), edito dal
Centro italiano di studi sull’alto
medioevo di Spoleto (2016, pagine 296, euro 40). Nel libro sono raccolti saggi pubblicati tra il
1991 e il 2012, frutto di più di un
ventennio di ricerche dedicate
allo studio delle istituzioni ecclesiastiche e della vita religiosa.
Uno dei meriti di Zarri — protagonista della stagione di rinnovamento storiografico sul tema
della direzione spirituale in età
moderna — sta nel proporre un
affresco di lunga durata in chiave storico-critica, capace di rilevare come al centro della cura
animarum vi fosse un sistema di
relazioni non solo di tipo spirituale, ma anche umano e sociale. Due sono i fili conduttori
che attraversano il libro: da una
parte, l’intenzione di studiare la
direzione spirituale sia nei suoi
aspetti teorici, così come vengono presentati nei testi agiografici
e letterari, sia nella sua attuazione pratica, attraverso un’attenta
ricognizione di epistolari, scritture autobiografiche e agiografiche; dall’altra parte, la volontà
di porre a confronto la dimensione maschile e quella femminile nell’esercizio del consiglio e
della predicazione, mostrando
come non fossero infrequenti i
rovesciamenti di ruoli.
Nella ricostruzione che apre
la prima parte del volume, Zarri
rileva che le origini della pratica
della guida delle anime risalgono a quel rapporto di fiducia tra
padre spirituale e discepolo che
si sviluppa all’interno della tradizione monastica e che mira al
progresso spirituale e al discernimento dei pensieri. Rispetto al
mondo antico, dove pure esisteva un percorso di iniziazione alla vita filosofica, il modello monastico presenta almeno due elementi di novità: anzitutto, il
maestro deve avere una profonda conoscenza del discepolo, dei
suoi desideri, delle sue tentazioni, dei suoi dubbi; quindi, il discepolo deve dimostrarsi obbediente e umile, fino ad annullare
la propria volontà. Questa forma comunitaria di direzione, in
cui spetta all’abate il compito di
pastore delle anime, trova una
prima teorizzazione nelle Conferenze di Giovanni Cassiano ai
suoi monaci e resta sostanzialmente immutata fino al basso
medioevo. La direzione spirituale, tuttavia, non si esaurisce
nell’esempio monastico e nella
prassi del discernimento degli
spiriti. Zarri ne individua infatti
una modalità ulteriore nell’amicizia spirituale, in cui non esiste
una relazione di genere fissa del
tipo uomo/direttore e donna/diretta. Lo dimostra, ad esempio,
L
il caso della terziaria Angela da
Foligno, la più importante mistica italiana del Duecento, che diventa maestra del suo stesso
confessore e biografo. Il modello dell’amicizia spirituale acquisisce centralità parallelamente al
diffondersi di nuove forme di vita religiosa, che guardano con
favore sia alla confessione frequente sia alla presenza di una
guida che affianchi il credente
nel suo cammino di perfezionamento e di contemplazione. La
grande diffusione del misticismo
femminile, che aveva dato luogo
anche a casi di santità simulata,
indicazioni tridentine si riflettono puntualmente in alcune varianti apportate al testo. Significativa è anche l’esperienza di direzione spirituale rivolta ad alcuni membri dell’aristocrazia
bresciana da parte di suor Laura
Magnani, agostiniana vissuta nel
monastero di Santa Croce, la cui
fama di santità era legata
all’esercizio di doni carismatici
come la precognizione, la profezia e l’intercessione attraverso la
preghiera. Il terzo e ultimo
esempio riportato da Zarri è
quello della mistica Chiara Bugni, clarissa veneziana di nobile
Stampa del XIV secolo raffigurante Angela da Foligno
con gli strumenti della Passione di Gesù
rende però necessaria tra fine famiglia, costretta negli ultimi
Trecento e primo Quattrocento anni della sua vita alla carcerauna maggiore attenzione alle zione e al silenzio. I suoi sermoesperienze descritte da sedicenti ni alle consorelle sono contenuti
santi, profeti e visionari. I tratta- nel Libro della beata Chiara, sinti del cancelliere di Parigi Jean golare caso di scrittura comuniGerson rappresentano in questo taria a cui partecipano sia illusenso una pietra miliare: vi si stri teologi, come il francescano
sostiene che solo un sacerdote Francesco Zorzi, autore di una
esperto e dalla vita santa, e non prima e incompleta biografia
un semplice maestro privato, è della Bugni, sia monache colte,
in grado di discernere i veri do- accomunate dalla volontà di
ni dello spirito. Il ruolo del di- perpetuarne la memoria e prorettore spirituale, declinato tutto muoverne il culto dentro e fuori
al maschile, viene perciò parzial- il monastero.
mente a sovrapporsi a quello di
In conclusione, Zarri dimostra
confessori e inquisitori.
che la lunga durata del concetto
La seconda parte del libro è di direzione spirituale non imdedicata all’indagine di tre figu- plica affatto l’accettazione della
re carismatiche di madri spirituali vissute
tra fine Quattrocento
Il libro vuole
e primo Cinquecento.
La prima ad essere
da una parte studiare
presentata è Camilla
la direzione spirituale
Battista da Varano, figlia di Giulio Cesare,
nei suoi aspetti teorici e pratici
che dopo aver preso i
Dall’altra vuole porre a
voti tra le clarisse osservanti divenne abbaconfronto la dimensione maschile
dessa del monastero di
e quella femminile
Santa Maria Nuova di
Camerino. Nelle sue
nell’esercizio del consiglio
Istruzioni al discepolo,
e della predicazione
un trattato epistolare
di inizio Cinquecento,
suor Camilla si rivolge
al proprio padre spirituale, sua «atemporalità», ma al conunendo consigli sulla condotta a trario richiede un’indagine stotestimonianze autobiografiche e riografica attenta, capace di teprecisando che l’autorità per ner conto dei cambiamenti relaesercitare questo magistero le tivi alle concezioni della religioproviene direttamente da Dio. sità, della spiritualità e della
In questo senso, è di grande inpratica sacramentale. Solo così
teresse l’appendice al saggio, in
cui Zarri mette a confronto alcu- si può accedere alla comprensioni brani tratti da tre diverse re- ne di un fenomeno complesso,
dazioni delle Istruzioni, una di che si definisce nel difficile equiepoca cinquecentesca e due sei- librio tra libertà e dottrina, cocentesche, mostrando come i scienza individuale e relazione
mutamenti culturali in atto e le con l’altro.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
LAHORE, 3. Raccolta di fondi per
le vedove, aiuti ai poveri, visita ai
malati e ai disabili: sono alcune
delle iniziative promosse dalla
Chiesa cattolica in Pakistan per la
quaresima di quest’anno. Il periodo di digiuno e penitenza in preparazione alla Pasqua cade in un
momento di estrema difficoltà e
tensione, con il paese dilaniato da
attentati terroristici a luoghi pubblici e di culto.
Nei giorni scorsi, l’esercito pachistano ha lanciato un’operazione su scala nazionale contro il
terrorismo e per garantire sicurezza nei luoghi di culto. Nonostante i pericoli, i cattolici non cesseranno la loro opera di sostegno
alle fasce più povere della popolazione e a coloro che sono in
difficoltà. I cattolici sono una
delle minoranze più colpite dal
fondamentalismo islamico del
paese. La legge sulla blasfemia,
così come le “hudood laws” (norme che regolano la vita civile
ispirandosi ai principi islamici),
rendono difficile la vita delle minoranze. Su quasi centocinquanta
milioni di abitanti, i cattolici sono 1,2 milioni: di questi, inoltre,
l’85 per cento vive appena al di
sopra della soglia di povertà.
«Abbiamo raccolto fondi per
aiutare più di settanta vedove e i
loro figli. La quaresima — ha dichiarato ad AsiaNews monsignor
Samson Shukardin, vescovo di
Hyderabad in Pakistan (nella
provincia del Sindh) — ci dà l’opportunità di portare avanti campagne per mostrare il volto misericordioso di Cristo in questo nostro difficile Paese». Di qui, l’invito del vescovo ai fedeli: «Chiedo ai cristiani di tutto il Pakistan
di digiunare e pregare per la pace
nel venerdì prima della domenica
sabato 4 marzo 2017
L’invito dell’arcivescovo di Varsavia
Serve
più accoglienza
Quaresima in Pakistan
Il senso del sacrificio
delle Palme». Alla cattedrale del
Sacro Cuore dell’arcidiocesi di
Lahore è stato deciso di organizzare un viaggio in pullman per
fare visita ai disabili mentali e fisici. Si tratta di un pellegrinaggio
spirituale, che si svolge tutti gli
anni, durante il quale i fedeli pachistani fanno anche opere concrete, passando una giornata con
i meno fortunati. L’emittente televisiva cattolica del paese, «Catholic Tv Pakistan», sta mandando
in onda in questi giorni programmi incentrati sulla quaresima, sulla penitenza e sul suo significato.
Queste iniziative — ha spiegato
il direttore dell’emittente Jasber
Ashiq — sono anche ispirate
dall’esistenza di un generale pre-
giudizio diffuso fra i musulmani,
sulla pratica del digiuno fra i cristiani. E anche fra gli stessi fedeli
si fa molta confusione sul motivo
dei quaranta giorni di digiuno:
«E al riguardo — ha spiegato
Ashiq — non sanno cosa rispondere alle domande che spesso gli
vengono rivolte dai musulmani».
Nel sud del paese, l’arcidiocesi
di Karachi ha organizzato un
programma di approfondimento
dal titolo: «Aprite le porte del
vostro cuore» che si terrà per tutto il mese di marzo, due volte a
settimana, presso il centro per la
catechesi dell’arcidiocesi. Padre
Mario Rodrigues, rettore della
cattedrale di St. Patrick, ha spiegato che «i parrocchiani hanno
raccolto ogni domenica generi
alimentari, che verranno suddivisi
in duecentocinquanta cesti e distribuiti ai poveri della città. Stiamo tentando — ha aggiunto il rettore — di coinvolgere persone di
tutte le età in questo periodo
quaresimale. Gli studenti del catechismo della domenica e i
gruppi parrocchiali visiteranno gli
anziani e le persone con disabilità. Il prossimo fine settimana abbiamo invitato nella cattedrale
trecentocinquanta coppie per approfondire il tema della quaresima. Infine, i bambini delle scuole
sono invitati a condividere il periodo di preparazione alla Pasqua
e porteranno la croce nelle stazioni della via crucis».
VARSAVIA, 3. L’arcivescovo di Varsavia, il cardinale Kazimierz Nycz, ha
lanciato un appello affinché la Polonia accolga alcune centinaia di rifugiati siriani che hanno bisogno di
cure mediche urgenti. In una lettera
pastorale diffusa alla stampa nella
giornata di mercoledì delle ceneri e
che sarà letta in tutte le parrocchie
della diocesi domenica prossima, il
porporato ha sottolineato quanto
sia importante l’accoglienza per
ogni fedele cristiano: «Ne va
dell’immagine della Polonia e della
Chiesa in Polonia», ha dichiarato
l’arcivescovo di Varsavia, che ha auspicato un’apertura all’accoglienza
anche da parte delle autorità.
Al momento nel paese si registra
un forte dibattito fra chi si schiera
per aiuti da inviare esclusivamente
in Siria e quanti ritengono invece
sia necessario rispondere alle urgenti necessità di chi fugge dalla guerrra, prestando accoglienza e sostegno. Secondo il cardinale Nycz, il
progetto chiamato “Famiglia a famiglia” che prevede l’assistenza tra
famiglie polacche e siriane funziona
discretamente già da qualche tempo. «Ci auguriamo che il prossimo
passo sarà un programma di aiuti
attraverso i corridoi umanitari.
Consisterà nell’accogliere in Polonia poche centinaia di rifugiati che
Ecumenismo in Nuova Zelanda
Il patriarca di Antiochia dei Siri sulla persecuzione dei cristiani
Verso
una visione comune
Affinché torni la speranza
«Verso una visione comune» è stato
il tema dell’annuale scuola di ecumenismo che si è tenuta nei giorni
scorsi a Christchurch, in Nuova Zelanda. L’idea di organizzare una
scuola
di
ecumenismo
nasce
dall’impegno per la promozione del
dialogo da parte della Chiesa metodista della Nuova Zelanda che, nel
2002, ha voluto rendere chiaro
quanto prioritario consideri questo
impegno con la pubblicazione di
un documento, To be methodist is to
be ecumenical, che rappresenta tuttora un punto di riferimento per il
movimento ecumenico in Nuova
Zelanda.
Quest’anno l’istituto è stato sostenuto anche dal National Dialogue on Christian Unity, che, nato
ufficialmente il 25 febbraio 2016, è
formato dalla Chiesa metodista,
dalla Chiesa anglicana e dalla Chiesa cattolica, con la presenza, in
qualità di osservatori, della Chiesa
presbiteriana e dell’Esercito della
salvezza della Nuova Zelanda. Con
la creazione di questo organismo —
che riprende l’eredità del Consiglio
delle Chiese cristiane in Nuova Zelanda — si è voluto dare un segno
della grande importanza di rafforzare i legami tra cristiani, come ha
detto l’arcivescovo anglicano di Aotearoa, Nuova Zelanda e Polinesia,
Philip Richardson, eletto presidente
del National Dialogue on Christian
Unity, proprio per rendere più efficace la missione della Chiesa una.
A Christchurch, nei giorni delle
lezioni tenutesi nella scuola di ecumenismo, scanditi dalla preghiera e
dalla lettura della Parola di Dio, ci
si è confrontati sul fondamento biblico dell’unità della Chiesa e come
esso costituisca la fonte principale
per la teologia ecumenica. È stata
poi affrontata la situazione del dialogo ecumenico, con grande attenzione ai temi che sono al centro
della riflessione e della testimonianza dei cristiani nell’area dell’O ceano pacifico, come l’appello per un
maggiore impegno nella salvaguardia del creato, con la denuncia dei
cambiamenti climatici in atto e con
l’indicazione di proposte forti in
grado di modificare realmente la situazione. Un altro argomento affrontato è stato il rapporto con le
comunità cristiane maori, con le
quali si è sottolineata la necessità di
proseguire un cammino di riconciliazione in grado di favorire una
maggiore comunione.
Sono state prese in esame anche
le vicende storiche del dialogo ecumenico, soprattutto quelle relative
alla stagione che si è aperta con la
recezione del concilio Vaticano II e
che vive un tempo nuovo con il
pontificato di Papa Francesco, così
come i più recenti documenti ecumenici bilaterali e il lavoro della
Commissione fede e costituzione
del Consiglio ecumenico delle
Chiese. Sono stati giorni utili per
conoscere qual è lo stato del
dialogo ecumenico, dopo tanti passi
condivisi e con delle questioni
ancora aperte, e per riaffermare la
scelta irreversibile dei cristiani di
trovare sempre nuove forme per
annunciare insieme Cristo al mondo. (riccardo burigana)
BEIRUT, 3. «Tutta la popolazione
della nostra diocesi è stata cacciata
ed è la più perseguitata dai miliziani
dello Stato islamico: di 12.000 famiglie più della metà sono in Kurdistan come profughi, altre 5000 famiglie hanno ripiegato in Libano. Qui
abbiamo anche 1300 famiglie siriane,
altrettante in Giordania e circa 700
famiglie in Turchia. Un po’ più della
metà della comunità siro-cattolica si
trova nel Kurdistan iracheno».
Appello
del patriarcato
caldeo
per Ninive
BAGHDAD, 3. Un appello a sostenere anche finanziariamente la ricostruzione dei villaggi della Piana di Ninive, dove abitavano i
cristiani fuggiti davanti all’avanzata del cosiddetto stato islamico,
è stato rivolto dal patriarcato di
Babilonia dei Caldei alle proprie
diocesi e alle comunità caldee
sparse nel mondo, formate da
emigranti che hanno lasciato
l’Iraq. Il patriarcato e alcune singole diocesi hanno già messo a
disposizione quasi 500 milioni di
dinari iracheni — pari a più di
380.000 euro — per accelerare il
ripristino di abitazioni e chiese
danneggiate o distrutte durante
gli anni di occupazione jihadista,
e così consentire il rientro degli
sfollati che desiderano tornare alle proprie case.
Nell’appello, il patriarcato chiede a tutte le comunità caldee di
continuare a sostenere con generosità i programmi di ricostruzione. E, come riferito dall’agenzia
Fides, si dichiara anche favorevole al coinvolgimento di osservatori internazionali incaricati di monitorare eventuali violazioni e
conflitti da parte delle forze impegnate nella guerra contro lo
stato islamico e prevenire eventuali scontri tra governo centrale
e governo autonomo del Kurdistan iracheno nella direzione dei
territori liberati.
È una “fotografia” dai toni forti
quella che il patriarca di Antiochia
dei Siri, Ignace Youssif III Younan,
scatta sulle condizioni in cui versa la
propria comunità dopo anni di sofferenze e persecuzioni. E tutto questo nonostante alcuni importanti
centri iracheni siano stati recentemente liberati. «Ovunque ho trovato
non solo la devastazione che ci
aspettavamo ma i segni dell’odio religioso: prima di andarsene hanno
bruciato la metà delle case e delle
chiese», racconta il patriarca in una
intervista rilasciata a Terrasanta.net,
il sito in rete della custodia francescana.
Parole in cui si coglie l’immensa
amarezza per quello che viene definito un «genocidio» e cioè il tentativo di sradicare il popolo cristiano
dalla propria terra. «Il martirio — ricorda — è sempre esistito e ha fecondato la Chiesa, certo. Ma oggi c’è
una differenza fondamentale rispetto
al passato: oggi non sono a rischio
solo gli individui, oggi l’intera nostra minoranza siro-cattolica rischia
di scomparire per sempre dalla faccia della terra o sopravvivere perdendo la sua identità culturale, ecclesiale e linguistica». Per il patriarca
«quello che è avvenuto in questi sei
anni ci ha devastato il cuore: dopo
infiniti appelli inascoltati, non c’è
più molto altro da dire: questi anni
sono stati una tragedia senza fine».
Nella sola notte fra il 6 e il 7 agosto
2014, circa 140.000 cristiani sono stati sradicati dalla Piana di Ninive, in
Iraq. E ancora oggi, afferma, «non
sappiamo quando sarà possibile per
le varie comunità cristiane tornare in
sicurezza nelle loro case. Più di tutto, non sappiamo come convincere
la nostra gioventù a farsi coraggio,
tornare nelle loro terre e vivere la
speranza cristiana».
In sostanza, sottolinea ancora, «in
gioco c’è la nostra stessa sopravvivenza nelle nostre terre e anche come comunità siro-cattolica, una comunità antichissima che ancora oggi
usa come lingua liturgica l’aramaico,
la lingua di Gesù. La gente non vede la possibilità di tornare: se emigreranno in Australia o raggiungeranno le famiglie che già sono in
Canada o negli Stati Uniti il Medio
oriente resterà privo di una componente fondamentale della sua storia,
della sua identità, questi paesi saranno deprivati di comunità che sole
possono garantire pluralismo e rispetto delle differenze».
hanno urgente bisogno di cure mediche e di assistenza necessaria per
sopravvivere. Questo programma —
ha sottolineato il cardinale Nycz —
interpella anche le istituzioni pubbliche. La Caritas Polonia e le diocesi sono pronte, ma la cosa più
importante è il coinvolgimento delle comunità locali».
«Credo che un simile appello —
ha risposto il ministro della Famiglia e del lavoro, Elzbieta Rafalska,
intervistata da una radio privata —
possa essere accolto dal governo,
ma se si parla di soluzioni concrete,
bisogna sapere a chi è dedicato e
quale deve essere l’ampiezza dell’assistenza».
Regalo da bimbi
cambogiani
a rifugiati siriani
PHNOM PENH, 3. Per aiutare i
loro coetanei in Siria, segnati
dalla guerra e dalla miseria, un
gruppo di bambini e ragazzi
cambogiani della parrocchia di
Kdol Leu hanno rinunciato al
pranzo per due settimane e hanno inviato il denaro così risparmiato ai bambini in Siria. La cifra non è grande in termini assoluti, ma ha naturalmente un
grande significato. I bimbi hanno rinunciato a quella che nelle
scuole occidentali sarebbe definita come “merendina” ma che in
Cambogia è di fatto l’unico pasto diurno. Una merenda costa
500-1000 riel (circa 10-20 centesimi di euro) e può consistere in
riso condito con carne di maiale,
oppure in alcuni alimenti preconfezionati. «L’impegno — ha
spiegato ad AsiaNews il parroco,
padre Luca Bolelli — era, oltre
che a rinunciare alla merenda, a
pregare per i bambini siriani».
I piccoli che hanno partecipato a questo sacrificio in
preparazione alla quaresima hanno fra gli 11 e i 13 anni. Tutti
partecipano al catechismo settimanale, alcuni per prepararsi alla
prima comunione, altri per il
battesimo.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 marzo 2017
pagina 7
José Gabriel Brochero
Il parroco gaucho
di JORGE MILIA
Venerdì 14 ottobre era una giornata dal tempo incerto a Roma.
Dalla mattina presto un gruppo
di operai aveva cominciato ad
adornare la basilica di San Pietro
con i tipici arazzi che raffigurano
le persone che quel giorno sarebbero state canonizzate. Ne avevano già sistemati quattro quando
una pioggia improvvisa li interruppe. Ne mancava solo uno. Ma
poi la pioggia cessò, il sole tornò
a splendere e gli operai poterono
terminare il lavoro. Apparve così
l’immagine di José Gabriel Brochero, un prete argentino lontano
nello spazio, lontano nel tempo,
ma vicino al cuore della sua gente, alla quale offrì la sua fede, la
sua parola, la sua salute e il suo
esempio di vita.
Attirò la mia attenzione il fatto
che l’immagine includesse il suo
mezzo di trasporto, ossia una mula, che lo aiutò nei suoi continui
spostamenti per prendersi cura
degli abitanti delle colline. Non
fui l’unico a sorprendermi. Uno
spagnolo, nell’affollata piazza san
Pietro, disse meravigliato a un altro: «Guarda, sembra che ci sarà
un santo su un asino. O una mu-
la, non lo so. Papa Francesco è
fissato con l’umiltà. Prima i santi
montavano a cavallo, pensa a san
Giorgio, a san Giacomo».
Quell’osservazione mi fece sorridere e, a conferma che in quel
posto, anche se parli una lingua
diversa c’è sempre qualcuno che
capisce quello che dici, senza essere invitato a farlo, m’intromisi
nella conversazione dicendo: «Sicuramente per lei il “Capo” entrò
a Gerusalemme in sella a una
Harley Davidson…». L’uomo si
stupì della mia intromissione ma,
rendendosi conto di quello che
intendevo dire, accusò il colpo:
«Mamma mia, l’avevo dimenticato. Ha ragione lei, su un asino.
Questo prete deve aver preso
esempio da lui».
Scoppiammo a ridere tutti e
due, lui ripensando alla moto,
proprio perché la marca ha a che
vedere con il “Figlio di David”.
Ci salutammo e ognuno se ne andò per la sua strada. Io rimasi lì a
guardare l’immagine di quel parroco che, per la sua umiltà, non
avrei mai pensato che un giorno
sarebbe stata esposta a piazza
San Pietro.
José Gabriel Brochero, più noto come cura Brochero, fu un pa-
I presuli messicani chiedono
azioni concrete a sostegno dei migranti
CITTÀ DEL MESSICO, 3. Promuovere
azioni concrete a beneficio dei migranti. È quanto chiede la Chiesa in
Messico sempre più preoccupata per
le misure restrittive imposte dall’amministrazione americana.
«È il momento di impegnarsi per
assistere questi fratelli che sono tanto abbandonati e discriminati. Nelle
case dei migranti — ha dichiarato
durante una conferenza stampa dedicata all’emergenza migranti il segretario generale della Conferenza
episcopale messicana e vescovo ausiliare di Monterrey, monsignor Alfonso Gerardo Miranda Guardiola — i
volontari che offrono il loro servizio
sono insufficienti, dato che nei centri
di accoglienza possono arrivare da 15
fino a più di 300 persone al giorno
da accudire. La Chiesa vuole rivolgere un appello a tutta la comunità
cattolica: agli studenti, ai lavoratori
e agli imprenditori, perché promuovano azioni concrete. Non si può
restare a braccia conserte» di fronte
al muro che l’amministrazione statunitense ha annunciato di voler costruire.
«All’inizio di questa quaresima —
ha concluso il vescovo — mi permetto di fare eco al messaggio di Papa
Francesco, nel quale ci invita a comprendere e intensificare la vita dello
Spirito guardando all’altro come a
un dono. In questo momento della
nostra storia vogliamo mettere in
evidenza che siamo in un tempo
propizio per guardare al migrante
come a un dono di Dio».
store di anime, nato in Argentina,
che fece suo — molto tempo prima che lo dicesse Papa Francesco
— quell’«andare nelle periferie in
cerca del fratello che ha bisogno
di noi». Nella provincia argentina
di Córdoba, la cui capitale è una
delle più antiche del paese, ricca
di meriti intellettuali, scientifici e
religiosi, il semplice parroco decise di rinunciare alle comodità cittadine per portare l’aiuto della fede alla solitudine dei poveri abitanti delle colline, abbandonando
quindi una città in cui, fin dai
suoi albori coloniali, erano fioriti
templi e circoli intellettuali.
In una zona priva di cammini
agevoli, l’asino o la mula erano il
mezzo più idoneo per spostarsi
da un posto all’altro. Brochero
scelse una mula soprannominata
Malacara. Nulla riusciva a fermarlo, né le piogge estive che gonfiavano i ruscelli con il rischio di
pericolose alluvioni di acqua mista a pietre, né i freddi inverni
che ricoprivano i campi di gelo
traditore. Fedele alla missione che
si era dato, salì e discese molte
volte da quelle colline, portando
sempre con sé Cristo.
Si è parlato molto in questi
giorni della sua figura e delle sue
opere, come a ribadire quel che è
già
noto,
ma
l’importanza
dell’evento va al di là del suo carattere aneddotico. Ricordo qui le
parole che monsignor Cargniello,
arcivescovo di Salta, ha detto in
una riunione a Roma, dopo la canonizzazione di Brochero e prima
del ritorno a casa di tutti i vescovi argentini: «La canonizzazione
di Brochero è stato probabilmente
l’evento più importante per il cattolicesimo argentino. Un pastore
che vive per prendersi cura delle
sue pecore; che le assiste non solo
in campo spirituale; che le sostiene psicologicamente e le consiglia
nel loro operato quotidiano, sempre fedele al mandato divino con
cui inizia il suo cammino di santità e che viene, molto tempo dopo, canonizzato da un Papa, a
sua volta argentino».
Sono venuto a conoscenza della storia di Brochero — già allora
un po’ leggenda — più di cinquant’anni fa, da adolescente, durante le vacanze invernali, quando
le colline cordovesi si ricoprivano
di neve e noi, studenti dei gesuiti,
ci recavamo con il nostro collegio
della Inmaculata Concepción de
Santa Fe alla Pampa de Achala.
Un’area tra le colline dove Brochero aveva svolto la sua opera
pastorale.
Mi colpì il fatto che la gente
del posto parlasse di un tale cura
Brochero, di cui alcuni custodivano una foto che lo raffigurava
sulla sua mula, mentre altri raccontavano i suoi gesti di abnegazione e di sacrificio come se li
avessero vissuti. In una fattoria
isolata, dove viveva con la sua famiglia, un leonero — così vengono
chiamati sulle colline quelli che
cacciano i puma — mi raccontò
che quando spostava il suo gregge da un pascolo all’altro, si affidava sempre al parroco gaucho
perché proteggesse dal puma lui e
le sue pecore, che davano da vivere alla sua famiglia.
Mi sorprese allora l’attualità di
quelle storie, visto che padre Brochero era morto cinquant’anni
prima. Pochi di loro potevano
averlo conosciuto di persona, ma
nessuno parlava di lui al passato;
sembrava piuttosto che continuasse ad accompagnarli. Non so chi
né perché, ma qualcuno aveva
riunito e stampato diversi suoi
detti, che in molti ripetevano. Eccone uno: «La grazia di Dio è come una pioggia che bagna tutti».
Quando lo udii, rimasi molto colpito. Le parole trascendevano la
semplice frase, trasformandola in
orazione, in preghiera. Ma allora
non mi fu facile capire appieno
quell’adesione della gente, che a
volte mescola il sacro e il profano;
dopo tutto per loro io ero un
sempliciotto.
«Dio è come i pidocchi, è
ovunque, ma preferisce i poveri».
José Gabriel non esitò, e si dedicò completamente a loro, ai più
bisognosi, alle persone sole. Ma
andò oltre. La lebbra era allora la
stessa malattia biblica presente in
tutta la storia e i lebbrosi gli stessi esclusi. La carità poteva portare
ad avvicinarsi a loro, ma non a
toccarli. Lui invece scendeva dalla
sua mula, li salutava, li abbracciava, beveva il mate con loro e, se
necessario, curava le loro ferite,
cambiava le bende e dava medicine. La lebbra non gli perdonò di
averla trattata senza paura; con il
tempo conquistò il suo corpo e lo
distrusse. Ma non riuscì mai a
fiaccare il suo spirito; con le sue
parole confortava la gente o consigliava ai giovani preti che erano
giunti lì di farsi carico di quello
che considerava un campo di battaglia. Frasi come: «Ho già detto
al vescovo, e glielo ho ripetuto fino alla nausea, che lo accompagnerò fino alla morte come semplice soldato che desidera morire
nelle battaglie di Gesù Cristo», o
«Gesù invita, in modo molto soave, con parole dolcissime, a seguirlo e a mettersi sotto la sua
bandiera. Nella croce stanno la
nostra salvezza e la nostra vita, la
forza del cuore, la gioia dello spirito e la speranza del cielo», denotavano la sua concezione della
fede come milizia di Cristo.
La cecità fu parte del fardello
finale della sua malattia; lui l’accettò come un atto di servizio: «Il
Signore mi ha dato la salute, lui
me la toglie; benedetta sia la sua
santa volontà. Dobbiamo adeguarci sempre ai disegni di Dio».
Da tempo José Gabriel Brochero era considerato santo dalla sua
gente, da molto prima della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo. Forse ancor prima che
morisse. Molti ricorrevano a lui
nella preghiera, altri assicuravano
di essere stati benedetti da qualche sua grazia, al punto che la
gente del posto parlava addirittura di miracoli. Mi colpì la sua
storia, di cui a poco a poco venni
a conoscenza in quell’inverno sulle colline. Con il passare del tempo la commozione di un momento si trasforma in un aneddoto, la
realtà quasi in oblio. Trovarmi a
Roma mi confuse un po’ perché,
mentre guardavo l’arazzo con il
primo santo argentino, mi tornavano in mente tutti i detti del leonero, le storie degli abitanti delle
colline, le frasi che qualcuno aveva stampato.
Mi domandai con tono un po’
scherzoso: si potrà entrare in cielo
a dorso di mula? Pensai di porre
quella domanda a un amico che
lavorava lì, ma poi mi risposi da
solo: sì, a cavallo, a dorso di asino o di mula, persino in Vespa o
su una Harley Davidson, non ha
importanza, i cammini del Signore sono imperscrutabili; dipende
da quello che si sceglie, qualsiasi
mezzo va bene. Guardai nuovamente l’arazzo e mi sembrò che
sul volto di san José Gabriel ci
fosse un sorriso.
In Guatemala
per la dignità
di ogni essere umano
CITTÀ DEL GUATEMALA, 3. «Manteniamo il nostro impegno per la difesa della vita sin dal concepimento, come previsto dalla Costituzione della repubblica del Guatemala nell’articolo 3». È
quanto si legge nel comunicato della
Conferenza episcopale del Guatemala,
che condanna l’organizzazione olandese “Women on Waves” conosciuta per
la pratica di aborti gratuiti sulla sua nave. Il presidente Jimmy Morales ha risposto in prima persona all’appello dei
vescovi ordinando un’azione militare
che ha bloccato l’arrivo dell’imbarcazione al porto di San José.
«Come Chiesa cattolica promuoviamo e difendiamo la dignità di ogni essere umano, ed è per questo — scrivono
i vescovi — che esortiamo la popolazione a mantenersi in allerta di fronte
all’azione di queste organizzazioni che
attentano al diritto fondamentale alla
vita umana».
L’aborto in Guatemala è previsto solo in caso di grave pericolo per la salute della madre.
Dedicata alle prossime elezioni la campagna quaresimale in Kenya
Allarme dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo
Esempi di integrità
L’urgenza del dialogo
NAIROBI, 3. Il 2017 è un anno
molto importante per il Kenya. Ad agosto si vota per le
elezioni presidenziali e legislative e la Conferenza episcopale
ha pensato di dedicare la campagna di Quaresima proprio a
questo appuntamento cruciale
per il futuro del Paese. Peaceful
and credible elections. Leaders of
integrity il tema scelto dalla
Commissione per la giustizia e
la pace che ha organizzato
l’iniziativa, lanciata nei giorni
scorsi nella capitale con due
processioni e una concelebrazione eucaristica presieduta
dal cardinale arcivescovo di
Nairobi, John Njue, assieme al
vescovo di Eldoret, Cornelius
Kipng’eno Arap Korir, presidente della commissione.
«Vogliamo andare alle urne
con la consapevolezza di
quanto sia importante eleggere
bravi leader, soprattutto perché stiamo sperimentando un
sistema decentrato di governo
e abbiamo ora la possibilità di
migliorarlo», spiega in un
messaggio monsignor Arap
Korir, il quale non nasconde
come la corruzione e l’appropriazione indebita di fondi
pubblici siano delle vere e proprie piaghe. «Dobbiamo essere
cittadini responsabili per votare dei leader di integrità. Per
raggiungere questo obiettivo,
dobbiamo essere guidati dagli
insegnamenti
sociali
della
Chiesa. Anche se quest’ultima
esorta a non adorare il denaro,
saranno molte le persone che
voteranno solo per interessi
economici. Dobbiamo esaminare con attenzione i programmi dei candidati e votare con
la nostra coscienza, non con il
nostro stomaco», afferma ancora il responsabile di Giustizia e Pace, citando l’Evangelii
gaudium (56) di Papa Francesco. Arap Korir invita inoltre i
cittadini a comportarsi in modo pacifico, prima, durante e
dopo le elezioni, evitando
qualsiasi forma di violenza.
Durante le cinque settimane
che precederanno la Pasqua, i
fedeli keniani saranno invitati
a riflettere su altrettanti temi
che interessano la vita del Paese. La prima settimana sarà
dedicata alla sicurezza, da
quella dei bambini non nati e
dell’infanzia a quella di tutti i
cittadini nei vari ambiti della
società. La seconda si concentrerà sui giovani, la terza sulla
cura e la protezione del creato,
mentre la quarta sarà dedicata
alle elezioni, in particolare
all’esigenza di un voto responsabile, trasparente e pacifico.
Infine, la quinta e ultima settimana di Quaresima sarà incentrata sulla piaga — ancora diffusa in Kenya — della negative
ethnicity, dove il pluralismo etnico, invece di essere fattore di
arricchimento per la società,
diventa motivo di divisione e
conflitti.
KINSHASA, 3. «L’impasse politica
è preoccupante e rischia di far
sprofondare il nostro paese in un
disordine incontrollabile». È l’allarme lanciato dai vescovi della
Repubblica Democratica del Congo che mettono in rilievo le drammatiche conseguenze della mancata formazione del governo di unità nazionale, previsto dagli accordi di San Silvestro, che dovrebbe
portare il paese alle elezioni. Una
impasse inattesa, in parte forse
dovuta alla scomparsa dell’oppositore storico del presidente Joseph
Kabila, Étienne Tshisekedi, morto
il 1° febbraio a Bruxelles. Fatto sta
che «le divergenze in seno alla
classe politica, e le tensioni nel
Paese, possono condurre la nazione all’implosione e al caos», avvertono i vescovi.
Ricapitolando le tappe della crisi, nata «dal blocco del processo
elettorale la cui regolarità e continuità sono state interrotte» — si
doveva infatti votare entro dicembre 2016 per eleggere un nuovo
capo dello Stato — i vescovi ricordano che era stato lo stesso presidente Kabila a sollecitare la loro
mediazione, che ha portato agli
accordi del 31 dicembre. Un ruolo
di mediazione che alcuni osservatori mettono in collegamento con
la serie di atti vandalici che ha
colpito nelle ultime settimane
chiese e istituti cattolici. Attentati
che, come è noto, sono stati recentemente condannati anche dalla
Missione delle Nazioni Unite per
la stabilizzazione nella Repubblica
Democratica del Congo. A ogni
modo, due sono i due nodi sui
quali sembra essersi arenato il dialogo: le modalità di designazione
del primo ministro e quelle di ripartizione dei diversi dicasteri tra
maggioranza e opposizione. Per
superare questi ostacoli, i vescovi
chiedono alle forze politiche «un
dialogo franco, basato sulla buona
fede e la fiducia reciproca» e ricordano che la Conferenza episcopale ha solo un ruolo di mediazione. In questo senso, sono inaccettabili «le minacce e le violenze ricorrenti, frutto di manipolazioni,
dirette contro la Chiesa cattolica
per ragioni inconfessate». Soprattutto, però, i presuli temono
«un’organizzazione per ritardare o
impedire la tenuta delle elezioni».
Non solo, «la moltiplicazione dei
focolai d’insicurezza e di violenza
che si generano sulla quasi totalità
del territorio nazionale e fanno
pensare a una balcanizzazione della Repubblica Democratica del
Congo». Di qui l’appello rivolto
dai vescovi alle parti politiche di
impegnarsi lealmente per applicare
l’accordo di San Silvestro e alla
popolazione di evitare di cadere
nella trappola dei discorsi incitanti
all’odio.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 4 marzo 2017
Il digiuno non è solo
privarsi del pane
È anche dividere il pane
con l’affamato
Messa a Santa Marta
Il vero digiuno
Ma come si fa a pagare una cena duecento euro e poi far finta di non vedere un
uomo affamato all’uscita dal ristorante? E
come si fa a parlare di digiuno e penitenza e poi non pagare i contributi alle collaboratrici domestiche o il giusto stipendio
ai propri dipendenti ricorrendo al salario
in nero? Proprio dal rischio di cadere nella tentazione di «prendere la tangente della vanità», del voler apparire buoni facendo «una bella offerta alla Chiesa» mentre
si «sfruttano» le persone, Papa Francesco
ha messo in guardia nella messa celebrata
Macha Chmakoff, «Gesù nel deserto»
venerdì mattina, 3 marzo, a Santa Marta.
Una riflessione sul significato del «vero
digiuno» scaturita dalla eloquente attualità delle parole del profeta Isaia: «Non è
piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo? Non consiste forse
nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel
vestire uno che vedi nudo senza trascurare
i tuoi parenti?».
«La parola del Signore — ha subito fatto presente Francesco — oggi parla del digiuno cioè della penitenza che noi siamo
invitati a fare in questo tempo di quaresima: la penitenza per avvicinarsi al Signore». Nel salmo 50, infatti, «abbiamo pregato: “Tu gradisci, Signore, il cuore penitente”». E «il cuore che si sente peccatore
e sa di essere peccatore, davanti a Dio si
presenta così e davanti agli altri lo stesso:
“Sono peccatore e per questo cerco di
umiliarmi”».
La prima lettura, ha spiegato il Papa facendo riferimento al passo tratto
dal profeta Isaia (58, 1-9), «è proprio
un dibattito fra Dio e quelli che si lamentano che Dio non ascolta le loro
preghiere, le loro penitenze, i loro digiuni». Il Signore dice: «Il vostro digiuno è un digiuno artificiale, non è
un digiuno di verità, è un digiuno
per compiere una formalità». Perché,
ha affermato Francesco, «loro digiunavano solo per ottemperare a certe
leggi». E nel passo di Isaia «si lamentano perché il loro digiuno non
era efficace» e domandano: «Perché
digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ma «ecco —
risponde il Signore — nel giorno del
vostro digiuno curate i vostri affari,
angariate tutti i vostri operai. Ecco,
voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui». Insomma,
«da una parte digiunate, fate penitenza, e dall’altra parte, fate ingiustizie».
In fin dei conti, ha spiegato il Pontefice, «questi credevano che digiunare
era un po’ truccarsi il cuore: “Io sono
giusto perché digiuno”». Ed «è la lamentela che fanno a Gesù questi discepoli di Giovanni — che erano buoni — e i farisei: “Sono giusto, mi trucco il cuore ma poi litigo, sfrutto la
gente”».
«Nel giorno del digiuno curate i
vostri affari»: questo «è il senso più incisivo», ha detto ancora il Papa, aggiungendo
che si tratta di «affari sporchi». Un modo
di fare che «Gesù sempre ha detto che è
ipocrisia». Così, ha proseguito, «abbiamo
sentito quando Gesù parla di questo, mercoledì scorso: “Quando digiunate non fate
i malinconici, la faccia triste, perché tutta
le gente veda che digiunate”». E «quando
preghi non farti vedere che stai pregando
(@Pontifex_it)
perché la gente dica: “ma che persona
buona, giusta”». Insomma, «quando fate
elemosina non fate suonare la tromba».
Sempre nel brano di Isaia, «il Signore
spiega a questa gente che si lamenta qual
era il vero digiuno: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare
ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in
casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno
che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Questo voglio io, questo è il digiuno che io voglio”».
L’altro, invece, «è il digiuno “ipocrita”
— è la parola che usa tanto Gesù — ed è
un digiuno per farsi vedere o per sentirsi
giusto, ma nel frattempo ho fatto ingiustizie, non sono giusto, sfrutto la gente».
Non vale dire: «Io sono generoso, farò
una bella offerta alla Chiesa». Piuttosto,
«dimmi: tu paghi il giusto alle tue collaboratrici domestiche? Ai tuoi dipendenti li
paghi in nero? O come vuole la legge perché possano dare da mangiare ai loro figli?».
«Mi viene in mente — ha confidato
Francesco — una storia che ho sentito raccontare da padre Arrupe», il religioso spagnolo che è stato preposito generale della
Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983:
«Quando lui era missionario in Giappone,
all’inizio, pieno di zelo apostolico, dopo
la bomba atomica, ha fatto un giro per alcuni Paesi del mondo per suscitare questo
zelo apostolico e chiedere preghiere per la
missione del Giappone e chiedere aiuto. E
faceva delle conferenze e spiegava. Era un
uomo di grande zelo apostolico e un uomo di preghiera, davvero». Padre Arrupe,
«parlando di questa ipocrisia, raccontò
che un giorno, dopo una conferenza, gli si
avvicina una persona molto importante di
quella società di quel Paese e gli dice:
“Ma sono rimasto commosso, padre, di
quello che lei ha detto. Io vorrei aiutarla,
pure. Venga da me, al mio ufficio, domani, perché io vorrei fare un’offerta, un aiuto. L’aspetto domani”». E così «il giorno
dopo» il gesuita «andò da lui»; ma
quell’uomo «lo aspettava con un fotografo
e con un giornalista. Era un affarista conosciuto e gli dice: “Padre, grazie tante”.
Ha fatto un piccolo discorso, ha aperto il
cassetto, ha preso una busta: “Questa è
l’offerta per il Giappone che io voglio dare. Grazie tante”. Hanno parlato un po’ e
se ne è andato. Ha fatto un’altra conferenza. Poi dà la busta al segretario che lo
aiutava e viene il segretario e gli dice:
“Ma, padre, questa busta chi gliel’ha data?” - “Quel signore per ringraziarmi” –
“Ma ci sono dieci dollari dentro!”».
«Questo — ha fatto notare il Papa — è
lo stesso che noi facciamo quando non paghiamo il giusto alla nostra gente». Così
«noi prendiamo dalle nostre penitenze,
dai nostri gesti di preghiera, di digiuno, di
elemosina, prendiamo una “tangente”: la
tangente della vanità, del farci vedere».
Ma «quella non è autenticità, è ipocrisia».
Dunque, ha insistito il Pontefice, «quando
Gesù dice: “quando pregate fatelo di nascosto, quando date l’elemosina non fate
suonare la tromba, quando digiunate non
fate i malinconici”, è lo stesso che se dicesse: “per favore, quando fate un’opera
buona non prendete la tangente di quest’opera buona, è soltanto per il Padre”».
Nel brano di Isaia, ha proseguito il
Papa, c’è una parola del Signore rivolta a
coloro «che fanno questo digiuno ipocrita», che «sembra detta per i nostri
giorni: “Non è piuttosto questo il digiuno
che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi
gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non
consiste forse nel dividere il pane con
l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri,
senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo
senza trascurare i tuoi parenti?”». Francesco ha suggerito di pensare «a queste parole: pensiamo al nostro cuore, come noi
digiuniamo, preghiamo, diamo elemosine». E «anche — ha concluso il Papa — ci
aiuterà pensare cosa sente un uomo dopo
una cena che ha pagato, non so, duecento
euro, torna a casa e vede uno affamato e
non lo guarda e continua a camminare. Ci
farà bene pensarci».
Calendario delle celebrazioni
presiedute dal Papa a marzo e ad aprile
Marzo
13 GIOVEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA
Basilica Vaticana, ore 9.30, Santa Messa
del Crisma
17 VENERDÌ
Basilica Vaticana, Liturgia penitenziale,
ore 17
25 SABATO
SOLENNITÀ DELL’ANNUNCIAZIONE
DEL SIGNORE
Visita pastorale a Milano
14 VENERDÌ SANTO
Basilica Vaticana, ore 17, Cappella Papale, Celebrazione della Passione del Signore
Colosseo, ore 21.15, Via Crucis
15 SABATO SANTO
Basilica Vaticana, ore 20.30, Cappella Papale, Veglia pasquale nella Notte Santa
Aprile
2 D OMENICA
V DI QUARESIMA
Visita pastorale a Carpi
9 D OMENICA DELLE PALME
PASSIONE DEL SIGNORE
E DELLA
Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Commemorazione dell’ingresso del
Signore a Gerusalemme e Santa Messa
16 D OMENICA DI PASQUA
Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa del giorno
Loggia centrale della Basilica Vaticana,
ore 12, Benedizione «Urbi et Orbi»
Città del Vaticano, 3 marzo 2017
Monsignor GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie
A Firenze il cardinale Parolin spiega come i preti devono annunciare il Vangelo
Paradossi della gioia
Un prete che testimonia «agli altri il Vangelo con il volto triste»? Una «contraddizione» per il cardinale Pietro Parolin, che
in un incontro nel seminario arcivescovile
di Firenze ha parlato della figura del sacerdote come custode di una gioia che non
può non annunciare con le parole e soprattutto con la vita. Anche nei momenti difficili, di scoraggiamento, quando si scontra
con dolori e tribolazioni personali e della
gente che a lui è affidata.
Nell’ambito degli incontri di spiritualità
promossi dall’ufficio catechistico diocesano,
il segretario di Stato è intervenuto il 2 marzo sul tema «La dolce e confortante gioia
di evangelizzare» alla luce dell’esortazione
apostolica Evangelii gaudium. Al centro della sua relazione, un’ampia e approfondita
analisi della spiritualità sacerdotale, condotta portando spesso l’esempio, caro ai fiorentini, del cardinale Elia Dalla Costa. L’incontro si è svolto alla presenza dell’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori.
Se il desiderio di felicità, ha detto il porporato, «pulsa nel cuore di ogni uomo» ma
si rivela spesso «come una delle più cocenti
frustrazioni» per l’uomo, cosa significa per
un prete e un vescovo la «gioia di evangelizzare»? Di fronte a questa domanda il
cardinale ha tracciato un vero e proprio
profilo del sacerdote, operando un continuo richiamo tra il messaggio evangelico e
il confronto, a volte anche duro, con la vita
di ogni giorno. Punto di partenza è stato
proprio il Vangelo che a più riprese, a partire dall’annuncio a Maria, si caratterizza
come l’annuncio «di una gioia debordante». Ha commentato il segretario di Stato:
«È del tutto inconcepibile un annuncio del
Vangelo privo della gioia: essa ne costituisce una dimensione intrinseca e necessaria.
È come se si parlasse del sole senza la luce». Annunciare il Vangelo, ha detto, porta
inevitabilmente con sé «una promessa di felicità».
Ma è una felicità che, paradossalmente,
deve saper fare i conti con il «fallimento».
E se lo stesso Gesù era consapevole che il
suo annuncio dovesse incontrare «ostacoli e
rifiuti», a maggior ragione questa realtà è
vissuta da ogni uomo e, in particolare, dal
sacerdote. Ecco allora, ha spiegato il segretario di Stato, che «quando si fatica e si patiscono delusioni e tribolazioni», le reazioni
«più spontanee sono la rabbia e lo scoraggiamento, e a lungo andare si è tentati di
rassegnarsi e di gettare la spugna».
Il prete, «immerso nella vita della gente», non può evitare la continua esposizione «alle gioie della vita e alle devastazioni
della tristezza». Addirittura, ha aggiunto il
porporato con un’efficace immagine, «la
prostrazione a terra durante il rito dell’ordinazione, mentre vengono invocati i santi in
paradiso, potrebbe essere interpretata come
un’iniziazione a tutte le prostrazioni dolorose che si incontreranno nel ministero, con
la sola differenza che, invece di sentire il
canto delle litanie, il presbitero dovrà spesso ascoltare e condividere i lamenti della
gente». E in quante situazioni, ha sottolineato il cardinale Parolin, i sacerdoti, pur
trovandosi in situazioni personali dolorose,
sono «capaci di offrire conforto a chi sta
male».
Questo perché essi sono custodi del «segreto della gioia»: cioè che «alla luce della
morte e risurrezione di Gesù, tutte le tristezze sono già state debellate». I preti, ha
spiegato, non sono «operatori sociali, né
psicoterapeuti», ma sono forti del Vangelo
Mona Elisa, «L’annuncio»
«che intercetta l’umano in tutte le sue sfumature e lo fa fiorire». Il presbitero è «custode della gioia», perché sa che «prima o
poi, nonostante tutto, “il deserto diventerà
un giardino”».
Nessun oscurantismo sui temi etici
Di fronte alle grandi questioni bioetiche
oggetto di dibattito in questi giorni, la
Chiesa, proprio perché fedele al Vangelo,
«se dice dei no è perché ha dei sì più
grandi». Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin a margine
dell’incontro di Firenze.
Pur mantenendo un «atteggiamento» di
ascolto e «di grande rispetto nei confronti
di tutti», il porporato ha spiegato che
«evidentemente non si possono condividere tutte le scelte». E questa — ha precisato
— «non è una risposta esclusivamente negativa, ma è per qualcosa di più, una pienezza maggiore di vita e di gioia». Perché
«la Chiesa ha il Vangelo da annunciare e
il Vangelo ha sempre buone notizie per
tutti».
Secondo il segretario di Stato «se non ci
fosse la voce della Chiesa, che magari è
scomoda, la società sarebbe molto impoverita» proprio sui «problemi estremamente
nuovi e complessi, di fronte a cui nemmeno la società mi pare così preparata: si interroga e dà risposte differenziate». Nessuna visione «oscurantista» dunque, ha affermato. Anzi, «anche noi siamo parte di
questa realtà, anche noi abbiamo le nostre
difficoltà, ma tutto lo sforzo che fa la
Chiesa va in questo senso: capire il mondo, interpretarlo e dare risposte». L’«atteggiamento di fondo», ha insistito il cardinale, deve essere segnato dalla «volontà
di capire e rispondere in modo evangelico,
che non vuol dire né chiudersi né accettare
del tutto». Del resto «la Chiesa ha una
sua proposta da fare di fronte ai nuovi
problemi del matrimonio, della vita, della
famiglia: lo dico perché lo vedo, c’è volontà che i sacerdoti siano preparati per dare
risposte adeguate».
Rispondendo alle domande dei giornalisti, il cardinale Parolin ha affermato che
non si può parlare di «solitudine del Pa-
pa», il quale — ha ricordato — «ha veramente la grande capacità di essere sereno».
Sul caso delle dimissioni di Marie Collins
dalla Pontificia commissione per la tutela
dei minori, il porporato ha detto che «ci
sono stati alcuni episodi che hanno portato la signora Collins a questo passo: per
quello che io conosco, lei li ha interpretati
così e ha sentito che l’unica maniera di
reagire, anche un po’ per scuotere l’albero,
era quella di dare le dimissioni».
Il cardinale Parolin ha assicurato di aver
«visto sempre un grande impegno del cardinale O’Malley e della commissione.
Stanno portando avanti un bel lavoro di
sensibilizzazione. Di per sé la commissione
non deve occuparsi degli abusi sessuali, è
la Congregazione per la dottrina della fede
che lo fa, ma deve preoccuparsi — ha concluso — di creare un ambiente che difenda
i bambini, li tuteli, e non permetta più casi
di questo tipo».
Il 2 aprile a Carpi e Mirandola
Francesco
nei luoghi del sisma
Sono Carpi e Mirandola le città emiliane che Papa Francesco visiterà il prossimo 2 aprile per testimoniare la propria
solidarietà alle popolazioni colpite dal
terremoto del 2012. Nella quinta domenica di quaresima, il Pontefice raggiungerà in elicottero dapprima Carpi, per
celebrare la messa in piazza Martiri. Al
termine benedirà le prime pietre della
chiesa nuova della parrocchia carpigiana di Sant’Agata, della casa di esercizi
spirituali di Sant’Antonio in Mercadello
a Novi di Modena e della cittadella della carità di Carpi. Dopo l’Angelus e il
pranzo nel seminario vescovile, incontrerà sacerdoti, seminaristi e religiosi
della diocesi guidata dal vescovo Francesco Cavina. Successivamente in automobile raggiungerà Mirandola, dove visiterà il duomo, ancora inagibile a causa
del sisma, per poi rivolgere nella piazza
antistante un discorso alle popolazioni
terremotate. Infine si trasferirà nella
parrocchia di San Giacomo Roncole per
un omaggio floreale al monumento delle vittime del sisma. Nel tardo pomeriggio il rientro in Vaticano.