Numero I - Diwali Rivista Contaminata

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Numero I - Diwali Rivista Contaminata
NUMERO 1 Aprile 2013
Frammenti e
Figure della
Contemporaneità
IL VOLTO
Sommario
www.rivistadiwali.it
Contatti:
facebook.it/diwalirivistacontaminata
[email protected]
Direttore Editoriale : Maria Carla Trapani
Direttore Responsabile: Flavio Scaloni
Redazione: Pietro Bomba, Alessandra Carnovale, Laura Di
Marco, Valerio Francola, Fabiana Frascà, Giulio Gonella,
Letizia Leone, Silvia Lombardo
Ufficio Stampa: Federica Venni
Technical Consulting: Pierluigi Stifanelli
Diwali - Rivista Contaminata
Trimestrale di Arte - Poesia - Letteratura
2
L’Editorial
3
InSistenze
4
La contemporaneità iconica
di Yan Pei-Ming
5
La faccia come provocazione
Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan 9
L’uomo neo-romantico
di Elizabeth Peyton
13
Incarnare la maschera:
sul volto l’alterità
16
InVerso
20
Annalisa Miceli
21
Andrea Borrelli
22
Pietro Pisano
24
Ladimorascarlatta
26
Adriana Gloria Marigo
28
Valeriano Forte
29
Michelina Linsalata
30
Eleonora Pozzuoli
32
Vincenzo Signoretta
34
Celeste Vaglio
35
InStante
36
Barbara Ghidini
37
Francesca Di Vaio
38
Pietro Bomba
40
Fausto Favetta
42
Andrès Leon Baldelli
44
Gloria Gabrielli
46
Leopoldo A. García Castellanos
48
InMobile
50
Il libro delle facce
51
InChina
55
L’Editorial
Che porta su idiosincrasie, geneticità. Di epoche,
i residui, e le emozioni. E maschera.
Che svela, sfonda, ricopre. Anime corpi? In ogni
caso, in frammenti la personalità.
Oppure, volto persona, volto che impersona.
Teatro che espone intime tragedie, nascoste
dietro gli occhi, e la fronte. Le bocche chiuse
ti possono proteggere. La ferinica memoria
disumanizza e spalanca su bocche urlanti:
scompone.
Volti viso volti come scheggia, voltati
rivoltati rivolti sul passato, distesi sul
futuro. Trucchi, che mimano il sapore,
perduto, della maschera.
Che siano allora anche figure, che hanno
smesso di essere sotto agli occhi di guarda
– ah, i volti ora si defilano, e riappaiono
nel doppio dell’interpretazione, dello specchio,
dello sguardo dell’altro.
Osserva dunque il volto. Le direzioni impazzite si
accavallano.
Un ovale, il sopracciglio
e il suo arco. Il guizzo di
un sorriso, o un piede.
E il collo, che sorregge
miracolosamente
e
senza sforzo la testa?
E non si sfugge al
tutto. Anche se osservi
il singolo dettaglio, il
volto torna a galla nella
totalità della significanza
estrema, seppur del
particolare irripetibile.
L’impensato nel volto
di un altro, balena.
Mille gli occhi, mille le
fronti, a non ripetersi se
non nel pensiero, non
mille le bocche quindi,
ma masticano ironiche
la disputa scolastica.
E i vertici frantumano la direzione in mille, ora
sì, e ancora mille.
E lo specchio? E il sempre nudo, il sempre esposto
e tutti i sempre che ci danno un volto?
L’importante è ricambiare lo sguardo.
La maschera è infine nient’altro che il volto
consapevole di sé, un artificio che mostra il
suo farsi-ad-arte, un uomo e suo altro che
assumono la finitezza della loro relazione e
leggeri entrano in scena.
Accettiamo il teatro e esibiamo le
quinte!
Che la costruzione dell’abito sia già la
nostra arte e la sua comprensione!
E ora. In maschera, danziamo. Ovunque,
abbia luogo, una rappresentazione.
Diwali - Rivista Contaminata
3
Volto come.
Volto come maschera. Volto e maschera. Volto
come ritratto. Volto come moderna icona e
raffigurazione della contemporaneità. Volto
come trasformazione e documentazione del
tempo che passa. Volto come materiale grezzo
da lavorare e su cui imprimere il proprio
progetto artistico.
Volto come il percorso artistico e filosofico che
si snoda davanti al lettore in questo numero
della rivista Diwali.
Dalla dialettica reciproca di volto e maschera
e l’alterità di Eva Matilde Brentano, alla
New York anni ‘90 con l’arte neo-romantica
del ritratto di Elizabeth Peyton, con i suoi
tratti di individualità e universalità dei
soggetti raccontata da Geremia Doria, alla
raffigurazione iconica della contemporaneità
attraverso la pittura materica e dalle pennellate
vigorose dell’artista sino-francese Yan Pei
Ming descritta da Valerio Francola fino agli
opposti modi di incarnare e utilizzare a fini
artistici la propria faccia in Opalka e Orlan nel
saggio breve di Letizia Leone: documentazione
quotidiana degli impercettibili mutamenti
arrecati dal tempo nel primo e manipolazione
chirurgica e progettazione del proprio viso per
farlo aderire ad un progetto artistico per la
seconda, il volto ci si rivela nella sua natura
di strumento fecondo di molteplici ispirazioni
e interpretazioni culturali.
Alessandra Carnovale
InSistenze
La contemporaneità iconica
di Yan Pei-Ming
di Valerio Francola
La giovinezza di Yan Pei-Ming ha avuto luogo
durante il difficile clima della rivoluzione culturale
cinese, successivamente accompagnato da un
periodo di apertura e di riforme civili e politiche.
Nel 1981 si trasferisce a Digione, in Francia, dove
ha costruito la sua carriera artistica nel corso dei
due decenni successivi. La sua biografia è segnata
quindi da cambiamenti radicali e drastici che
pochi possono immaginare. Naturalmente non
era il solo a passare attraverso questa esperienza
complessa, ma indubbiamente Ming ha saputo
distinguersi su tutta una generazione che ha vissuto
e, soprattutto è sopravvissuta, ai drammatici
cambiamenti geopolitici globali del post Guerra
Fredda. Una generazione che ha contribuito in
modo significativo alla ridefinizione del processo
di globalizzazione.
Oggi Ming può essere considerato uno dei più
grandi artisti dell’Occidente, con quotazioni delle
sue opere che ormai raggiungono milioni di dollari
grazie anche alla collaborazione con gallerie private
di valore internazionale e alla partecipazione a
due Biennali di Venezia. Una carriera in continua
ascesa che ha convinto il direttore della GAMeC
(Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) di
Bergamo, Giacinto Di Pietrantonio, a dedicare
all’artista cinese una prima “personale” in un
museo italiano nel 2008. Venti opere esposte in un
itinerario creato d’intesa tra il curatore (Giacinto
di Pietrantonio) e l’artista stesso che si articola
in quattro sezioni che ruotano intorno al tema
dell’autoritratto. È proprio l’autoritratto il campo
pittorico in cui Yan Pei-Ming mostra i maggiori
spunti di riflessione, grazie alla sua visione della
contemporaneità ripercorsa attraverso le icone
di oggi, dal Papa a Bruce Lee, da Mao a Buddha,
il tutto utilizzando indifferentemente tecniche
molto diverse, dall’acquerello cinese alla pittura
a olio europea. La sua pittura infatti, materica
e realizzata con pennellate violente, è un ponte
tra Oriente, terra di origine, e Occidente, terra di
appartenenza culturale. Una lotta sia fisica che
spirituale è sempre al centro delle sue attività
creative, i suoi dipinti sono il risultato di azioni
intense, dinamiche in forte contrasto con le
strutture “congelate” di colori e forme. Sono
rappresentazioni in agitazione costante, con
pennellate lunghe e veloci che conquistano il
terreno in movimento, spesso sviluppandosi su
dimensioni molto grandi. Tuttavia le sue opere non
sono affatto riducibili a semplice “espressionismo”
stravagante: la sua pittura può essere definita
molto “economica” e minimalista, spesso in bianco
e nero, a volte rosso e bianco, gli unici colori con cui
costruisce la sua realtà pittorica, con cui esprime
e descrive la navigazione tra la sua memoria e le
sue preoccupazioni “umanistiche”. Le grandi tele
a olio con cui Pei-Ming si è distinto sulla scena
internazionale, sono realizzate con una tecnica
propria della tradizione occidentale che l’artista
dipinge unicamente nel suo studio a Digione. Al
contrario gli acquarelli, creati soltanto durante i
suoi soggiorni a Shangai, rimandano alla tradizione
pittorica orientale. Una distinzione che non ha
InSistenze
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La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming
mai come obiettivo quello di identificare un luogo
geografico di appartenenza ben preciso ma diviene
sinonimo di atemporalità e non luogo: Est e Ovest
uniti in una mescolanza di stili, elementi, soggetti.
L’uso dell’acquerello ad esempio rappresenta per
l’artista un momento importante: si tratta infatti
della tecnica che utilizza per rappresentare la
fase iniziale della vita (i bambini), ma anche e
soprattutto teschi e autoritratti di “morte”. Vita e
morte intrecciate in cui l’autoritratto diventa un
simbolo, la messa in scena della morte o meglio
del suicidio, quindi la fine programmata, lascia
intendere che l’artista è in grado di decidere su
tutto e non solo sulle sue opere ma, forse proprio
attraverso di esse, sulla vita e sulla morte. Come
accennato in precedenza questo percorso avviene
attraverso l’uso di icone celebri e figure storiche che
hanno esercitato influenze profonde su di lui e sui
suoi contemporanei e che si trovano regolarmente
rappresentati nei suoi dipinti. Non sono solo le
immagini che hanno segnato la sua memoria
degli spazi pubblici dominati dalla propaganda
del maoismo e da altre ideologie, ma sono anche
elementi chiave che costituiscono la sua memoria
intima e personale e la sua ricca immaginazione.
Solitamente il ritratto è la trasposizione su tela di
un uomo in un momento preciso, invece, Ming
riesce a dipingere un uomo senza fargli un ritratto,
sfruttando la sua icona pop per creare qualcosa
di “larger-than-life” (più grande della vita), una
immagine comunicativa che vale ovunque nel
mondo e in ogni tempo. L’artista cinese riesce a
riflettere, infatti, sulla mortalità nel mondo delle
icone: Mao sembra non essere mai stato così vivo,
così intenso. Se da lontano la tela ci ispira una certa
sacralità, ci parla di un mito, da vicino, al contrario,
ci sembra di poter toccare qualcosa di così lontano
da noi, di avere con lui un’intima confidenza,
creando un mix di sacralità e confidenza proprio
delle icone pop. Ming reinterpreta un’icona,
un’immagine che tutti noi abbiamo fissa in mente
sviluppando un’operazione come quella che,
anche inconsciamente, facciamo tutti noi ogni
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InSistenze
La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming
giorno: una ricerca di mediazione tra la libertà
di immaginazione e le strutture psicologiche e le
immagini che ci vengono imposte da TV, pubblicità,
cinema. Ed è chiaro che, reinterpretandole, dà una
nuova urgenza ad immagini ormai stereotipate: ci
mette dentro, con la violenza della sua pennellata,
la lotta, la provocazione, l’azione, la coscienza.
I ritratti di Ming sono lontani da qualsiasi tipo
di celebrazione o culto di quelle personalità, al
contrario, essi sono provocatori, critici, e anche
sovversivi. I personaggi sono sempre presentati
in una sorta di ambiente incerto con i titoli che
spesso pongono problematiche morali, come ad
esempio, in riferimento a suo padre, “l’uomo
più rispettoso”, “l’uomo più odioso”, ecc. Inoltre,
sono spesso immagini definite “politicamente
scorrette”: nel 1990, ha prodotto grandi serie di
ritratti di persone ai margini della società, come
detenuti, prostitute, e bambini senza casa, dipinti
in modo particolarmente celebrativo. Una scelta
artistica molto discussa in Francia, dove qualche
anno fa, si sono svolti una serie di dibattiti pubblici
sull’opportunità morale di rappresentare i ritratti
di alcuni criminali e politici, in occasione della
presentazione dei dipinti di Yan Pei-Ming nella
mostra La Force de l’art, un evento organizzato dal
governo. Indubbiamente l’atto più provocatorio
e spettacolare dell’artista cinese è il suo recente
progetto Les Funérailles de Mona Lisa esposto
al Louvre nel 2009. Nella sala a destra dietro la
Monna Lisa, esempio straordinario di pittura
iconica e simbolo indiscusso del museo più
visitato al mondo, Ming ha installato una serie
di tele di grandi dimensioni che rappresentano
repliche della Monna Lisa al centro e ritratti del
padre Ming e dell’artista stesso in uno stato di
morte. La pittura intensa, inquietante e misteriosa
provoca un’esperienza assolutamente sublime
per il pubblico, che rimane impressionato e
anche scioccato dalla visione di queste tele dopo
aver apprezzare l’originale Mona Lisa. Duplice la
possibile interpretazione: è l’artista che cerca di
elevarsi al rango dei più grandi della storia? O
è semplicemente un suggerimento di sepoltura
definitiva dell’ideale di bellezza stessa?
L’ideale di bellezza per Ming è profondamente
legato alla questione del destino dell’umanità:
“il come” rappresentiamo le immagini può
profondamente influenzare il modo in cui
percepiamo e comprendiamo la vita e la morte,
la realtà e il dramma, la gioia e il dolore. Nel
corso degli ultimi anni, ha infatti esteso la sua
ricerca e la sua sperimentazione artistica in una
nuova direzione che lo coinvolge e lo impegna
direttamente nei confronti dei conflitti sociali
mondiali e le loro conseguenze. Intorno a questa
riflessione nascono ritratti di bambini del terzo
mondo dove si percepiscono drammaticamente
gli effetti della guerra, la fame, la povertà, e altre
tragiche situazioni: un esempio tra tutti è il suo
lavoro Sudanese Child (2006) proveniente dalla
Collezione Deutsche Bank, dove i bambini sono
mostrati fianco a fianco con quelli dei segretari
generali delle Nazioni Unite, così come i soldati
coinvolti nella guerra in Iraq.
Di fronte alla crisi attuale e al cambiamento
politico, Ming ha messo a punto nel maggio/giugno
del 2009 un progetto ideato per la sua mostra al
San Francisco Art Institute: figure eroiche come
Barack Obama e soldati americani sono allineati
fianco a fianco con le banconote in dollari USA e
l’immagine di Bernard Madoff, ormai diventato il
simbolo di questa crisi economica, dei mali della
finanza, degli eccessi e delle speculazioni. Yan
Pei-Ming ci fa capire, insomma, che noi siamo
un prodotto culturale che affonda le sue radici
nei secoli passati, ma che oggi ciascuno di noi,
uomini della società delle immagini, non è che
la somma dei suoi miti, svuotato di una propria
qualsiasi interiorità.
Il lavoro artistico Ming, pur affidandosi
principalmente alla pittura, non esclude
assolutamente
la
continua
ricerca
di
sperimentazione e cambiamento. Nel corso degli
ultimi anni, ha sperimentato nuove strategie per
integrare nello spazio pubblico le sue creazioni in
InSistenze
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La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming
studio: un continuo avventurarsi oltre lo spazio
del museo tradizionale, invadendo spazi pubblici
utilizzando forme espressive diverse dalla tela
tradizionale, bandiere, poster, e così via, al fine di
mobilitare l’opinione pubblica e la consapevolezza
sociale. Questa provocazione non solo cerca di
sovvertire la consuetudine della rappresentazione
artistica tradizionale, ancora più importante, sfida
il senso comune dei valori del linguaggio diffuso e
delle strutture socio-psicologiche, il rapporto tra
la libertà di immaginazione, di rappresentazione, e
le convenzioni sociali che sono sistematicamente
conservatrici. L’opera di Ming, oltre a essere
politicamente coinvolgente, può essere considerata
uno specchio drammaticamente preciso dei grandi
stravolgimenti economici e sociali in atto nella
nostra vita contemporanea. [VF]*
*[Valerio Francola è uno storico dell’arte romano formatosi all’Università ‘La Sapienza’ specializzandosi negli studi dell’arte
contemporanea. Collabora con diverse riviste come critico ed opinionista e negli ultimi anni ha avuto modo di approfondire il complesso
tema dei beni culturali nell’ambito del lavoro di ricerca portato avanti dalla Fondazione Astrid e culminato con la sua collaborazione
alla recente pubblicazione I beni culturali tra tutela mercato e territorio, a cura di Luigi Covatta, edita da Passigli Editore.]
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InSistenze
La faccia come provocazione
Dal ritratto alla carne:
Opalka e Orlan
di Letizia Leone
“Onora la faccia del vecchio” recita il Levitico.
Forse, a prima vista, potrebbe sembrare sviante
avviare queste considerazioni sul genere
artistico del Ritratto (e della sua evoluzione nella
contemporaneità) con una citazione di carattere
etico come quella del Levitico. Perchè quando si
parla di ritrattistica si pensa sempre al dibattito
teorico, ancora aperto, sui modi della
rappresentazione, in bilico tra realismo
ed astrazione, dato che la percezione
di un volto coinvolge elementi che
superano l’apparenza e la fisicità e
implica la rivelazione di emozioni
o sentimenti in tracce minime quali
espressioni inpercettibili,
sguardi,
accennate mobilità muscolari, oppure
e soprattutto, la mappa di segni del
tempo, questo “grande scultore” della
faccia.
Inoltre bisogna ricordare che se i
grandi ritrattisti non poterono eludere
le esigenze della ricca committenza
nelle richieste di somiglianza, ad un
certo punto, si diffuse un certo modo
di idealizzare, tanto che Leonardo da
Vinci nel suo “Trattato sulla Pittura”
arrivò a definire “più tristo componitore
d’istorie che nessun altro pittore” colui
che ritraeva in modo del tutto naturalistico,
sacrificando “l’universale pel particolare”.
E già Platone aveva considerato le arti figurative
più limitate rispetto alle altre “arti liberali” nel
rivelare quelle Idee profonde che plasmano la
materia, proprio perchè troppo legate alla fisicità.
Finchè Isabella D’Este in una lettera di
InSistenze
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La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan
La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan
ringraziamento indirizzata al pittore Francesco
Francia nel 1511 consacra la pratica di
“imbellettare”: “havendovi vui cum l’arte vostra
facta assai più bella che non mi ha fatto natura”.
Come non rintracciare in questa dama
cinquecentesca un’antesignana del modellamento
facciale e dell’ “artefatto” contemporanei? Non
solo, venticinque anni dopo Tiziano ritrae la D’Este
ultrasessantenne con le fattezze di una ventenne e
sembra già di essere in una recente fenomenologia
della cosmesi e della mistificazione della vecchiaia.
Una immagine “Arcidishonestamente imbelletata”
inveiì con foga allora l’Aretino.
Una falsificazione ante litteram che ci riporta
alle ragioni più attuali di James Hillman contro
le modificazioni della chirurgia estetica su una
faccia che invecchia, perchè “la faccia del vecchio
è un bene per il gruppo” e perchè sulla faccia è
plasmato il mio carattere dato che sono io che
la “faccio” con quello che ho costruito, inseguito,
creduto tutta la vita.
Annullare la faccia del vecchio con la chirurgia è
“un crimine contro l’umanità”, significa privare
una società di valori fondanti, sincerità e pietas
per esempio, un togliere valore etico alla vecchiaia
(il cui fine è quello “di svelare il nostro carattere”),
per sostituirlo con un mito idiota di giovinezza
Questa la premessa necessaria per inquadrare il
lavoro decennale, o per meglio dire l’opera unica
che si sviluppa in decenni di attività, di un artista
come Roman Opalka che ha lavorato sul tempo
con il tempo stesso, fino a renderne l’ astrattezza
come un materiale solido che agisce sulla tela.
Una strategia artistica che prevede oltre ai numeri,
ai colori, e alla voce l’utilizzo del proprio volto
per catturare il tempo: ogni giorno dal 1972.
Operazione matematica: dipingere ogni giorno su
una tela di 196 x 135 un numero in serie progressiva
iniziando dall’uno verso l’infinito.. Quasi una
pratica mistica la cui meta è irraggiungibile e lo
scacco già implicito in partenza.
Eppure precisione maniacale e serietà assoluta
nel portare avanti il lavoro: stessa ora, stessa
millimetrica posizione e posa, stessa camicia,
stessa espressione.
Con studiata disciplina ogni quadro della serie
numerale viene accompagnato da un ritratto
fotografico a fine lavoro, tutte le sere, nell’
“imperiosa necessità di non perdere nulla per
carpire il tempo”.
Nel guardare le foto in modo distanziato nella loro
sequenza cronologica, l’effetto è impressionante.
Quanti anni occorrono per studiare le incisioni del
tempo (categoria invisibile) su una faccia? Dettagli
infinitesimali che si accumulano in migliaia
di istanti quotidiani. Dettagli impietosamente
documentati, grazie al lavoro affascinante e
cerebrale di Opalka.
E soprattutto esemplarità del Work in progress
quale processo artistico.
Al fondo nero iniziale delle tele viene aggiunto
ogni giorno un centesimo di colore bianco in modo
che pian, piano, con il trascorrere del tempo le
tele vadano sbiadendo insieme all’immagine di
accompgnamento del suo ritratto fotografico che
documenta il logoramento dell’invecchiamento.
Opalka stesso è consapevole dell’eccezionalità di
testimoniare e catturare l’ istante: “Tremando per
la tensione davanti alla follia di una simile impresa,
immergevo il pennello in un vasetto e, sollevando
leggermente il braccio, lasciavo il primo segno, 1,
in alto a sinistra, all’estremità della tela, perchè
non rimanesse nessuno spazio fuori dall’unica
struttura logica che mi ero dato.”
Urgenza di specchiare la metamorfosi biologica
in atto. Il cambiamento.
Ma nell’arte contemporanea la ritrattistica va
oltre e diventa organica, suoi strumenti la carne,
il sangue, la sofferenza.
Un esempio: Orlan e la sua faccia post-umana e
mutante.
L’artista francese fa del proprio corpo un “teatro
operatorio” e documenta gli interventi chirurgici
svoltesi in anestesia locale e tutti finalizzati alla
realizzazione di un progetto artistico.
L’impianto di protesi di zigomo per ricreare la
InSistenze
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La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan
fronte della Gioconda di Leonardo, creandosi
così due corna, è solo uno degli innumerevoli
esempi del suo “manifesto carnale”.
Per Orlan la finalità dell’arte non è quella di
decorare i nostri appartamenti ma quella di
superare ogni volta i limiti, non solo tabù ma ciò
che è codificato nelle convenzioni, in una rilettura
estrema del messaggio di Artaud.
Ibridazione,
metamorfosi
identitaria,
manipolazione organica, deliberata progettazione
del viso perchè per Orlan “ la personalità è connessa
in particolar modo al viso, e l’aspetto del volto
viene manipolato per trasmettere informazioni
sulla persona.”
È già abbastanza per iniziare a riflettere...
*[Letizia Leone ha pubblicato i seguenti libri: Pochi centimetri di luce (2000); L’ora minerale (2003), (seconda edizione 2004); Carte
sanitarie (2008); La disgrazia elementare (2011).
Numerose le antologie e i premi letterari: “Serenissima”, (a c. di Silvio Ramat) Università Ca’ Foscari, Venezia, 1995; Antologia “Grande
Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia”, UTET, Torino, 1995; Geografie Poetiche, ac. di W. Mauro, Giulio Perrone Editore,
Roma, 2005; Sorridimi Ancora, (dodici storie di femminlità violate) pref. di Lidia Ravera, Giulio Perrone Editore, Roma, 2007. Da
quest’ultima raccolta è stato messo in scena “Le Invisibili” (regia Emanuela Giordano) Teatro Valle, Roma, 2009. Letizia Leone è stata
segnalata al Premio Internazionale Eugenio Montale nel 1997. Nel 1998 è stata premiata al premio del Grande Dizionario della Lingua
Italiana Salvatore Battaglia, UTET, To; e Premio Nuove Scrittrici, edizioni Tracce, Pescara (1998 e 2002). E’ stata premiata e segnalata
in altri premi letterari, ultimo dei quali “I miosotìs” edizioni d’if, Napoli, segnalazione 2009 e 2010. Menzione d’onore per la Poesia
inedita- Premio Lorenzo Montano 2011- Edizioni Anterem- Verona. Tiene un “Liceo di poesia” presso l’editore Giulio Perrone.]
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InSistenze
L’uomo neo-romantico di
Elizabeth Peyton
di Geremia Doria
Guardare ed essere guardati.
Fotografia/Specchio/Immagine/Ritratto
Elizabeth Peyton dipinge tra Londra e New York,
si afferma a metà degli anni 90. Le sue opere sono
esposte nelle gallerie più prestigiose del mondo,
quotate centinaia di migliaia di dollari.
I soggetti sono uomini, tra i 20 e i 30 anni, efebici,
androgini, angelici, eterei. Il loro carisma sembra
mettersi a fuoco rimanendo sbiadito. Sono
terribilmente magnetici. Sono belli e dannati. Sono
sexy nel loro look metropolitano. Sono solidi e
fluidi.
Diventano icone. Diventano perchè ancora non
sono. Sono testimoni di se stessi nel percorso
della propria affermazione come musicisti, attori,
artisti.
Kurt Cobain. Sid Vicious. Richard Ashcroft. Pete
Doherty. Liam Gallagher. Prince.
Siamo nel post Warhol.
Warhol
ha
democratizzato
il
ritratto
contemporaneo, ha sovvertito le gerarchie culturali
dell’America del dopoguerra. Al contempo crea e
disfa il personaggio, lo tipizza per poi riprodurlo
in serie.
Warhol usa il soggetto. Il soggetto ultimo è
Warhol.
POP
Elizabeth Peyton rappresenta persone cui è
InSistenze
13
L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton
sentimentalmente ed emotivamente vicina. Non
c’è distanza dal personaggio famoso, così come
non ce n’è dal vicino di casa, l’amico, il boyfriend.
Peyton cerca nel soggetto una qualità superiore
da astrarre in un ideale.
Fa dell’uomo oggetto di amore.
Ne emerge un ritratto delicato, pervaso di grazia,
attraversato dal sentimento.
Intimità.
Malinconia.
Ricerca.
I dipinti rimandano alla miniatura rinascimentale,
all’espressionismo astratto, al romanticismo
preraffaellita. Gli uomini sono neo-romantici.
Romance.
Peyton usa un tratto breve, deciso, carico,
descrittivo, efficace. Ogni tratto è mosso da
un’intensità emozionale che trasfigura la natura
finita del soggetto.
Il modello ha un’espressione tangibile ma idee
inafferrabili.
E’ il potere espressivo della pittrice, affidato al
colore.
Rosso.
Verde.
Blu.
Luce.
Il colore eleva l’uomo: lo rende icona. Assistiamo
all’evoluzione del personaggio.
E’ l’uomo che sa guardare e guardarsi. Cercarsi.
Oggettivarsi. Coltivarsi.
Walt Whitman ha insegnato la sua lezione.
Osservare l’essere umano che diventa Uomo,
nella crociata contemporanea per l’individualità.
E come in un film di François Truffaut vediamo
l’uomo nella sua intimità ma ne percepiamo
l’afflato universale.
Sguardo. [GD]*
*[Geremia Doria nasce a Trieste nel settembre di 40 anni fa.
Interior designer di professione, si interessa di antiquariato e collezionismo d’arte. Frequenta con regolarità gallerie e case d’asta e
negli anni acquisisce e affina le proprie competenze nell’arte contemporanea, con una forte predilezione per gli autori figurativi. Scrive
note critiche e monografie per diverse riviste di settore. Vive con uno Scottish terrier e non è presente in nessun social network.]
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InSistenze
L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton
Incarnare la maschera: sul
volto l’alterità
di Eva Matilde Brentano
L’interrogazione nasce sin dal nome, che porta
l’ambiguità come fardello etimologico: i greci
dicevano pròsopon, pròs-ôpon, per indicare tanto
la maschera quanto il volto.
Viso dunque, maschera, o ancora e più
genericamente e semplicemente “ciò che sta
dinnanzi agli occhi”.
Problematizzazione iniziale, eziologica persino.
Se, sin dalla sua emergenza al significato, il volto
è luogo di attraversamento, luogo di un dire che
ha sempre un sopravanzo di senso.
Maschera e/o volto.
Maschera che non dissimula, bensì sostituisce
il volto che ricopre. Volto che ha la facoltà
dissimulare, cosa che la maschera non consente.
«La maschera è l’uomo senza la garanzia del
volto»1.
E ci imbattiamo in un possibile rovesciamento
di senso, se abbiamo sempre pensato alla
maschera come qualcosa che permette, appunto,
il mascheramento delle emozioni.
Ma lo scambio tra la maschera e il volto è
continuo, vede coinvolti entrambi i termini della
comunicazione, fino a sfiorare la possibilità estrema
di una coincidenza, o persino di una sostituzione.
Maschera che tanto si innesta sul volto da divenire
il vero volto, in quanto rivelazione incapace di
simulazione, rivelazione strutturalmente foriera
1 L. M. Lombardi Satriani, D. Scafoglio, Pulcinella. Il mito e la storia, Milano,
Leonardo, 1990, p. 322.
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di manifestazione.
Ma, come dicevamo, nella terminologia greca la
parola pròsopon significa viso e anche maschera.
Non esiste differenziazione linguistica che lasci
lo spazio per adombrare anche solo un’idea di
dissimulazione.
E la maschera, dunque, non dissimula, ma va a
sostituire il viso che ricopre, diventa altro attraverso
lo sguardo dell’altro, così come il viso manifesta
la propria individualità venendo riconosciuto e
riconoscendosi negli occhi e nella faccia dell’altro
che guarda.
Viso e maschera si inverano in questa relazione
reciproca, che si gioca nella continuità dialettica
tra alterità e identità, nel darsi della quale lo
spazio dell’ambiguus è sempre e comunque sotto
gli occhi di chi guarda, come sotto gli occhi di chi
viene guardato.
La maschera greca ci dà la possibilità di
pensare ad una alterità che si annida nell’uomo
costitutivamente, e lo fa senza delega alcuna
all’allusività. La maschera è il volto dell’uomo,
che via via indossandone incarna l’altro2.
E potremmo connotare tutto questo come un
esercizio alla convivenza con l’altro e con l’altrove,
che va perduto nel momento in cui le distanze tra
la maschera e il volto si accrescono e si sciolgono
i legami reciproci esistenti tra questi due termini.
Tematica problematica e problematizzante
quella dell’incarnare la maschera, laddove
2 cfr. sull’argomento B. Callieri, L. Faranda, Medusa allo specchio. Maschere fra
antropologia e psicopatologia, Roma, Edizioni Universitarie Romane, 2001, p. 66 e
sgg.
InSistenze
Incarnare la maschera: sul volto l’alterità
Incarnare la maschera: sul volto l’alterità
Incarnare la maschera: sul volto l’alterità
quest’ultima palesa la possibilità di essere gettati
nei luoghi dell’alterità. Un’alterità da vivere
sperimentandone i confini, che potrebbero
persino condurre in luoghi lontani dall’umano
e sconfinanti nei mondi del divino, del daimon
che possiede l’uomo mostrandogli come la sua
ambizione possa essere il trascendimento della
sua stessa condizione, umana per l’appunto.
Ma la maschera diviene anche un modo di dare
forma a questo altro e a questo altrove, assume
la speranza di una parlabilità, di una assunzione
nelle singole vite e di una accettazione di una
condizione di ineliminabile ambiguità.
maschera appunto.
«Tutto ciò che è profondo ama la maschera…Ogni
spirito profondo ha bisogno di una maschera; e,
più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce
continuamente una maschera. Talvolta la follia
stessa è la maschera per un sapere infelice troppo
certo»3. [EMB]*
3 F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, Milano, Adelphi, 1977.
La maschera che diviene volto.
Prolungamento del volto.
Possibilizzazione a che ciò che ci travalica come
singoli volti possa albergare in questa terra nullius
che consente il contatto con un sapere che resti
pur sempre riconoscibile, per il tramite della
*[Eva Matilde Brentano, napoletana di nascita, siciliana d’adozione.
Sin da piccola mostra una insolita curiosità verso le calligrafie altrui, che la porteranno in età adulta a diventare grafologa di professione.
Ha due grandi inesauribili passioni, il giardinaggio e la scrittura.
Dorme con due pietre accanto al letto, una proveniente dal Vesuvio l’altra dall’Etna.]
InSistenze
19
Questa sorta di laboratorio espressivo nasce,
di volta in volta, dalla contingenza di una
sollecitazione che riguarda il nostro vissuto.
Ne esce fuori un dialogo a distanza fra voci
“contaminate” da esperienze plurime e diverse
per questa esplorazione del “volto” liquido del
contemporaneo.
Zigmut Bauman ha coniato con successo la
difinizione di “vita liquida” per catturare
la fisionomia dei tempi in cui viviamo dove
velocità del cambiamento, consumismo
teconolgico, mescolamento e fusione di culture
e civiltà diverse, ci mostrano il volto di una
realtà mutante e sfuggente.
Dunque
è
interessante
leggere
le
“interpretazioni” poetiche di questi autori che
si misurano con una parola densa e memoriale
come quella della poesia per fissare in testi “non
deteriorabili” non solo la vita, ma la vitalità
della parola.
Letizia Leone
InVerso
Annalisa Miceli
L’autrice propone un testo alla ricerca. Alla ricerca di un volto, il suo, che sfugge alla domanda cogente
dell’identità. L’uomo moderno, di fronte alla sfida dello specchio, troverà se stesso?
Doppio
Rimango sola.
Guardo,
ma non vedo figure.
Affogo
nella saturazione di oggi
incontro
in uno specchio il mio volto
appaio,
ma l’essenza è celata.
M’inoltro
nello spazio di un quadro in cornice
confronto
la forma di un vetro scarlatto
col capriccio pacato
d’ignota fanciulla.
Nebulosa
espande nell’aria un profilo.
In prospettiva
una voce riflessa mi chiama:
travestita di eco,
l’altra io sono.
Cristallo,
brama in vetrina geloso.
*[Annalisa Miceli è nata a Salerno nel luglio 1972. Scrive poesie da quando era adolescente. Parla fluentemente inglese e francese.
Ha pubblicato nel 2002 il primo libro di poesie “Azzurro mare”, stampato privatamente. Nel 2005 è stata coautrice del saggio “Donne
sorde: nove storie di emarginazione e di riscatto” editore Cantagalli, Siena e, sempre nello stesso anno, coautrice dell’antologia poetica
“Samotraki”, editore Ripostes, Salerno. Nel 2011 è autrice del libro di poesie “Lampi di seta”, editore Occhi di Argo, Agropoli, Salerno.
Premiata in diversi concorsi poetici, attualmente scrive articoli culturali per la rivista “Il segnalibro” di Occhi di Argo.]
InVerso
21
Andrea Borrelli
Gioca con il foglio bianco Andrea Borrelli, la percezione dello spazio come una tela vergine. In linea
con la sperimentazione modernista dei calligrammi di Guillaume Apollinaire e le provocazioni ludiche
di Tristan Tzara, il volto si delinea tra le righe.
H&C
Ho
l'
per
poi
non
deciso
di
Dovunque
chiunque
per
Ancora
tra
e
la
vede
crescere
lasciata
ho
ho
ce
dovuto
facevo
la
allo
che
non
lasciare
deciso
pensato
e
che
tagliar
tenermi
con
mi
tutti
volevo
di
i
il
hanno
rischio
detto
era
lo
ho
un'
altra
un’
gente
solo
assai
tutta
la
Estraneoalmondo
che ha il suo sistema
negli occhi del ricordo
solo lo spiacevole
di una marcata colpa
ombra di Salvezza.
22
la
qualche
Guardandomi
ho
deciso
ma
qualcosa
così
ho
Alla
ho
alla
quello
farmi
InVerso
barba
lunga
tempo
tagliarla
proprio.
specchio
tutto
ancora
baffi.
Charlot
anche
Hitler
spesso.
andavo
incontravo
stesso
pensato
immagine
diversa
quanta
seconda.
Andrea Borrelli
*[Andrea Borrelli nasce in un piccolo paesino della Puglia al centro della Pianura del Tavoliere. Affascinato dal mondo della poesia fin
da bambino si decide a pubblicare i propri scritti solo una volta superata la soglia dei trentanni. Dopo una lunga permanenza romana
dedicata agli studi all’Università La Sapienza, nel 2009 rientra in terra natìa dove tuttora vive. E scrive.]
InVerso
23
Pietro Pisano
In questi testi di Pietro Pisano esplode una tensione estrema di resistenza dell’io alle sollecitazioni di
dissoluzione e dematerializzazione dell’identità. L’ assalto di protesi non umane, artificiali e virtuali
in un infospazio dilagante, impone un confronto e un ripensamento.
Premesa necessaria per seguire “l’uomo inesistente” nel “paesaggio intorpidito” di questi versi.
Il nuovo risveglio in una realtà di ibridazioni e contaminazioni e il “Turn on”, l’accensione, il clic di
un tasto che avvia un processo con il minimo dispendio di energie.
Un rosicchiamento invisibile della propria faccia interiore, “la sua forma assegnata al mondo”, è il
rischio o l’obolo da pagare al nuovo, a quest’ ultima e nostra estrema “Svolta del respiro”, direbbe
Celan.
Da Turn on
I
Ed era un uomo inesistente
quando la luce viaggiava
nelle stanze del mattino
e poteva sentire
come un paesaggio intorpidito
lo spigolo appuntito dei secondi
sulle guance che non aveva,
le labbra contratte
in una smorfia di disgusto,
sull’intero volto che solo
per metà ricordava
e domandava ai rumori della strada
in quale posto si trovasse,
dove cercare la sua forma assegnata
nel mondo. Ma non c’era
che un pallido fantasma
dietro l’impulso di muoversi
e capire,
solo passanti
24
che poteva vedere
trapassare
la trasparenza dei suoi nervi
e poi lo scisma,
la città costruita per metà occhi,
metà orecchie, da un lato
frusciavano i passi, dall’altro le forme
di quegli ospiti
che muovevano in silenzio
fino a quando il rumore e l’immagine
si riunirono nel legno del teatro
e la pelle del ricordo
iniziò a ticchettare
ma da quel momento era già qualcuno
cui hanno sostituito il volto
con la parvenza di un volto qualunque,
si trovava senza saperlo
nel corpo di un altro.
InVerso
Pietro Pisano
Da Turn off
II
Se sente un rumore in cui esiste a tratti
è l’autostrada delle menti
che percorre i chilometri
della sua possibilità. Questa
bocca che ripete il protocollo
della disattenzione
non attende lampo o grido,
vicinanza o vendetta
ma lampione e semaforo,
buongiorno, buonasera: così rispondere
è stabilire il luogo abitabile
mentre parlano i vestiti
come demoni. Questa pagina
conquistata nei dettagli
e nelle veglie sgangherate
è il testimone muto
di quell’accendersi nonostante.
II
Disinnesca il respiro del congegno
impazzito del giorno
quando ti dicono
è tardi, la tua ombra si stacca
per balzare alle tue spalle
e divorarti, un pezzo
di realtà dopo l’altro
avevi già perso ieri
la misura del volto
alla cornice dello specchio.
*[Pietro Pisano è nato ad Ascoli Piceno nel 1979. Si è laureato in lettere moderne nell’anno 2011/2012 con una tesi su Rilke. Collabora
con la webzine Oubliette magazine. Si è classificato finalista in diversi concorsi letterari e alcune sue poesie sono presenti nelle seguenti
antologie: Navigando nelle Parole Vol. 27 ( edizioni Il Filo); Florilegio - Concorso di Poesia OcchiettiNeri 2009 - III^ Edizione (Cosenza,
Maggio 2009); Habere artem vol. 13 (Aletti Editore), dicembre 2010; In questo margine di valigie estranee (Perrone Editore), 2011;
Fragmenta - II volume, Edizioni Smasher 2012. E’ vincitore del Premio Laurentum per la Poesia 2012, XXVI edizione, sezione social
network.]
InVerso
25
Ladimorascarlatta
Il volto si fa triplice, nel figlio, nella madre e infine nella propria identità, che tuttavia a sua volta si
sdoppia allo specchio, come scomposta dal peso dei baci e delle rughe attraversate.
Trilogia che biforca e solletica il marmo. Dove scuote la dea, la poesia de Ladimorascarlatta.
Il volto del figlio
Il volto della madre
Baci di vetro
Intorno agli occhi
Scappiamo via
da questo gioco feroce
siamo rimasti soli
io e te
a tratteggiare
senza alcuno congegno
i nostri volti incredibili
Non comprendesti il rifiuto
del viso duro
dell’indifferenza
lo sguardo bianco e gelido
di ghiaccio
l’ ipocrisia
della sceneggiatura
fuggiamo dal bisogno
dai perimetri noti
con ciglia piene di notte
che si aprono su iridi d’altri mondi
cantavi
melodie partenopee
con voce forte e chiara
e mai dicesti
privi di senso
la velocità orbitale dei nostri corpi
spargerà fragranze sconosciute
sul talamo
le bambole spagnole
sull’anima
il broncio da bambina
ci scambieremo baci di vetro
fragili e delicati
su bocche
rimaste immobili
26
non esci, non ritorni,
non rimani,
non ti portano indietro
le tue rughe
intorno agli occhi
la mia malinconia
InVerso
Ladimorascarlatta
Il mio volto
Allo specchio
Mi osservo
mi analizzo
e mi conforto
mi vaglio mi verifico
mi dolgo
vorrei che la mia faccia
fosse bella
con guance tonde lisce
e imbarazzate
occhi cigliati e labbra da bambina
denti di perla
e fronte sbarazzina
il naso, devo dire,
non è male
ho sopracciglia, poi,
che s’alzan lievi
sotto la chioma rossa
dei pensieri
come gabbiani
stanchi e forestieri
pronti a partire
e mai più tornare
la voce è forte, anzi, dominante
e obbliga all’ascolto col suo dire
affabula confabula parlotta
cerca la chiosa
cerca la cadenza
trova paletti muri spranghe sbarre
morde consuma logora e traspira
sputa l’eterno
sputa la fatica
ondeggia sul dirupo
scorre la vita
scorre la vita
linea sul mio palmo
tela di ragno sotto gli occhi fieri
scivola via
si slaccia e si scompone
scuote la dea
nascosta dentro al marmo.
*[Ladimorascarlatta nasce, come scrittrice, nel 2004, anno in cui pubblica il suo primo libro, Sulle palme delle mie mani poesie ed altro,
per l’editore Bonanno. Alla raccolta di poesie segue nel 2006, Il fruscio della penna, opera autobiografica. Nel 2009 pubblica Ritorno a
Waki, fiaba galattica destinata ai lettori più piccini. A distanza di due anni pubblica Come larva del bombice del gelso, una raccolta di
poesie dallo stile più maturo, che include tutte le poesie premiate nei vari concorsi, oltre a composizioni in endecasillabi, filastrocche,
haiku e timidi esperimenti di tmesi.]
InVerso
27
Adriana Gloria Marigo
Occhi, luogo privilegiato attraverso il quale s’affaccia lo scambio con l’Altro.
Occhi, spazio dell’ambiguità di una relazione in cui lo sguardo non è mai il dato scontato della
relazione.
Ma il volto approda alla terra, e passando dall’occhio, forse, tenta la via della ricomposizione.
3-4 Gennaio 2011
Nel sottobosco dei tuoi occhi
s’adagiarono ombre vaghe
inclusioni di tempesta
l’astuzia della volpe
sulle rovine un fumo acre
a ottundere il sole d’inverno.
spore d’amore giacquero
in calma di vento sul fondale
di menzogna del tuo volto.
Fuggii alle radici
fin dentro la terra
a ricompormi di linfe
Non seppi dirti novella
neppure accennare a un’aria di
adagio o l’ovvia domanda,
sillabare echi sul tuo sguardo franto.
trapassata io a stalattite.
Nei tuoi occhi vidi nascondigli
mute di cani a insidiare
*[Adriana Gloria Marigo è nata e vive a Padova . Per lungo tempo è vissuta in Lombardia, compiendo studi umanistici e dedicandosi
all’insegnamento. Nel 1978 si trasferisce in Veneto e dal 2008 a Padova dove si occupa di eventi letterari – in particolare di poesia presentazione di autori e recensioni. Nel 2009 è uscita per LietoColle Editore la prima silloge Un biancore lontano.
Suoi testi e interventi sulla poesia compaiono in rete su diversi blog di settore, in antologie - Corale per opera prima (LietoColle, 2010),
La voce dei sogni (Onirica Edizioni, 2012), Sfrutta il segno (La Vita Felice, 2012), Poesie del Nuovo Millennio, Vol. IX (Aletti Editore,
2012) e nella rivista Orizzonti, (Aletti Editore, 2012).
Nel settembre 2012 è venuta in luce la seconda raccolta di versi L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice.
Ha partecipato nel giugno del 2012 alla quinta edizione del festival internazionale di Caorle “Flussidiversi. Poesia e poeti di Alpe Adria”,
che riunisce i poeti dell’area culturale mitteleuropea.]
28
InVerso
Valeriano Forte
Per il numero su ‘Il Volto’ Valeriano Forte torna a far visita a Diwali con due testi brevi che con poche
pennellate delineano efficacemente il profilo della sua Musa.
Minimalismo Somatico
Se al tuo viso mancassero occhi
troverei serrate porte su l’infinito
Se perdesse labbra
ben delineate carnose
cadrebbe il gusto della Primavera
Se scomparissero i tratti
lasciando solo i nei
saprei io riconoscere
gustare……………………
la mappa della tua essenza
Caratteri d’oriente
Mi sazierei d’instancabile gusto accarezzandoti
pelle d’ebano e capelli fitti intrisi di notte
Baciando tuoi occhi litchi nel caffè
*[Valeriano Forte è nato a Siena ma vive a Salerno. Ha alle spalle una formazione al conservatorio in pianoforte e in architettura. Dal
2004 al 2007 è tra i fondatori del collettivo artisti “Macunaìma”, diretto dall’artista brasiliano Marcos Pacoli. Dal 2011 cura per il Free
Press on-line “Kayenna.net” la rubrica poetica “la Biro Labirinto” raggiungendo in meno di un anno 50.000 lettori. È vice-presidente
dell’Associazione “Felix cultura onlus”, che promuove la piccola e media editoria campana. Pubblica nel 2012 con Aletti editore, per
la collana “Orizzonti”, nell’antologia poetica ”Poesie per ricordare vol.10”. Invitato dal grande poeta statunitense Jack Hirschman nel
2011, entra a far parte del (WPM) “World Poetry Movement”, per cercare con una cooperazione poetico - globale la promozione dei
valori di fratellanza e cooperazione tra popoli.]
InVerso
29
Michelina Linsalata
L’autrice accoglie l’invito di Diwali ad esprimersi attraverso le molteplici vie dell’arte e ad esplorare
ogni versante della propria ispirazione. I volti delle amiche, compagne di una vita, trovano qui una
forma verbale e pittorica.
Amiche
ho raccolto
le vostre essenze
lungo il mio cammino
perle rare
della mia galleria
siete le mie stelle
la mia luce profonda
molte sono lontane
ma nutrono ancora la mia anima
come l’odore fresco di pane
o di neve
mi rende felice
l’avervi incontrate.
*[Michelina Linsalata nasce in Basilicata e trascorre i primi 17 anni della sua vita in Germania. Completa gli studi superiori in Italia e si
laurea a Roma in germanstica con una tesi di laurea in traduzione dal titolo: “Marieluise Fleisser: dodici racconti 1923-1933” . Insegna
lingua e letteratura tedesca, traduce da e verso il tedesco e e da molti anni si dedica alla pittura, sua grande passione. Ha partecipato
nel 2009 alla mostra collettiva presso il “Mitreo” di Roma dal titolo “ComunicAzione: tra confine e unità”.]
30
InVerso
Michelina Linsalata
La galleria delle amiche: Karine
dimensioni: 24 X 30
olio e acrilico su tela
1998
Eleonora Pozzuoli
Non solo volto, non solo corpo. La poesia di Eleonora Pozzuoli è collage, campi semantici altri, accostati
alla corrosa routine della quotidianità.
Volto corpo e corpo volto.
Poesia è qui il luogo dell’inatteso.
Ante zigomi
Apro le ante zigomi
annodata di
dubbi.
Forse avrò sete, sonno o quella
solita malsana voglia di
una crèpe al sangue.
Apro questo armadio interrotto e
ci trovo
il tuo cuore in ricarica.
Me lo hai lasciato in prestito
quando febbraio
aveva deciso di diventare un
sogno misterioso.
Proteggo il tuo
sapore nel mio e
quel mobile diventa
finalmente il mio
volto.
32
InVerso
Eleonora Pozzuoli
Fredda
Fredda fretta di
amarti,
portarti via,
maledetta io
tra rovi.
Freddo accorato
appello,
asportarti il
cuore,
che la passione
mia sia
benedetta.
Ho cancellato
i bordi del
mio viso.
*[Eleonora Pozzuoli è una poetessa. Ama il vento,sua figlia Greta, il suo uomo, l’heavy metal e la danza orientale. In ordine fuso e
confuso. Scrive poesie solo quando ne sente il viscerale bisogno perchè, attraverso le parole, ritrova i suoi spazi e definisce i suoi
contorni. Ama cucinare per i suoi cari. Ama le peonie e le etimologie. I suoi riferimenti maggiori sono Frida Kahlo, Billie Holiday, gli
Iron Maiden, la poesia della Plath e di Montale.
Ha pubblicato una silloge di poesie, ‘’Ovale’’, nell’antologia ‘’Ladri di emozioni’’ per la Bel Ami edizioni. Attualmente legge con cura
le poesie di Antonio Veneziani e quelle di Helle Busacca. Vive nel suo mondo.]
InVerso
33
Vincenzo Signoretta
Ordina, enumera e assegna ruoli, Vincenzo Signoretta.
Dalla memoria allo specchio ricomposto, istruisce all’Espressione.
Palesare l’anima è forse anche attraversare, poeticamente, gerarchie.
Memoria
E’ figura
agli occhi di chi guarda
al naso di chi respira
alle orecchie di chi sente
alla bocca di chi mangia
Quattro su cinque
son suoi sudditi
E solo uno è distaccato.
Per questo tutto è conosciuto.
Il Re dei quattro gli è pari, infine.
E’ studiata
agli occhi di chi osserva
al naso di chi odora
alle orecchie di chi ascolta
alla bocca di chi gusta
Solo in una cosa gli è
seppur di poco
secondo
Espressione si chiama
la sua arte unica
Frammenti di specchio
riuniti
che palesano l’anima.
*[Vincenzo Signoretta nasce a Messina nel 75. Da sempre appassionato per la Biologia, a cui si aggiunge la passione per Matematica e
Informatica in adolescenza. La poesia indirettamente è da sempre presente nella mia vita grazie a mia madre. Da quanto scrivo? Molto
poco. Solo 3 anni, e solo se penso che sia giunto il momento giusto per farlo..]
34
InVerso
Celeste Vaglio
L’autrice mescola parole e tratti geometrici in un’armonia che si fa semplice all’apparenza ma che deriva
da un’elaborazione concettuale e tecnica tutt’altro che immediata. Le lingue moderne si incontrano
con quelle del passato: è il volto della contemporaneità.
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Guardami negli occhi, io
*[Celeste Vaglio è laureata in Letteratura e Lingua. Studi italiani ed europei presso la Sapienza di Roma; curriculum in critica letteraria
con la tesi “Cento volte Manganelli” discussa con il Prof. Francesco Muzzioli.
Viva passione letteraria per i temi dell’avanguardia e della neo-avanguardia con particolare attenzione al Gruppo 63.
Amore per la scrittura come rappresentazione del possibile.
Attualmente impegnata nell’organizzazione di eventi culturali e la vendita di libri rari, scrittrice]
InVerso
35
Cosa spinge un fotografo a cercare?
Cosa spinge un uomo a fotografare un volto?
Cosa cerca?
Forse aspira a raccontare qualcosa di se stesso,
spera di trovarsi o forse fugge addirittura da
ciò in cui potrebbe riconoscersi.
Gioca come davanti ad uno specchio scrutando
i propri difetti per esaltarli in iperboli espressive
muscolo-facciali o per tentare di correggerli o
nasconderli al visibile o almeno alla propria
attenzione. Oppure cerca, come in uno specchio,
le capacità dei volti altrui di esprimere le sue
emozioni, quelle che allo specchio non sono mai
affiorate, pur ribollendo sotto un impassibile
coperchio di un volto capace “solo”, a questo
punto, di osservare.
Scava, fa il minatore di emozioni e sentimenti,
l’investigatore della psiche espressiva. Scava
talmente tanto da riuscire talvolta
ad annullare ogni sintomo di vitalità, come
potrebbe fare un chirurgo che, ritenendo
incurabile quel male, decida di recidere i centri
nervosi in un effetto anestetico definitivo.
È un piccolo dio onnipotente il fotografo, in
grado di dare la vita ad un immobile manichino
e di trasformare, invece, un uomo in una statua
di plastica, sempre bramando qualcosa che
non c’è.
Fa il regista delle proprie paure e dei turbamenti
altrui. Tanti piccoli film, immobili ma indomiti
e ribelli. Fermi e irrimediabilmente vivi.
Pietro Bomba
InStante
Barbara Ghidini
“Sogni o BiSogni” nascono come serie di racconti fotografici.
Nella prima serie intitolata “Sogni o BiSogni, Le Origini” il protagonista, nelle vesti di un pagliaccio,
si sveglia in una realtá/sogno e inizia la sua discesa verso la scoperta.
Da questo viaggio intimo nascono i racconti “Sogni o BiSogni I,II, III” che esplorano la tensione tra
esterno (spazi pubblici di Barcellona) ed interno (la mia casa) creando un gioco di parallelismi. I due
cammini operno assieme nei racconti, a volte si oppongono e a volte si uniscono. L’importante é que
ognuno possa percepire la relazione tra dentro e fuori, tra buio e luce nella vita in generale e possa
trovare un punto di uscita. Le luci naturali e artificiali sono elementi chiave di queste storie.
*[Barbara Ghidini è nata a Brescia nel 1978. Inizia a dedicarsi alla fotografia nel 1997 come autodidatta, frequenta corsi di tecniche di
stampa e sviluppo a colori e successivamente in bianco e nero.
Nel 2007, a Barcellona, frequenta un corso di fotomontaggio e poi di cianotipia ed entra in contatto con il suo maestro e futuro
collaboratore Francisco Gómez, importante artista plastico argentino.
Partecipa a mostre collettive e nel giugno 2009 presenta il suo primo lavoro intitolato “Sogni o BiSogni” e nel marzo 2011 presenta un
lavoro realizzato con le antiche tecniche di sviluppo intitolato “Mostri e Ballerine”.
Attualmente vive a Barcellona ed assieme al suo maestro e ad altri artisti ha creato un progetto collettivo, montando una camera oscura
all’interno del Taller Milans dove lavora, studia e investiga nel campo delle arti visuali.
Dal gennaio 2012 é impegnata nella divulgazione delle antiche tecniche di sviluppo attraverso corsi e progetti, www.laschicasdetalbot.
blogspot.com]
InStante
37
Francesca Di Vaio
Ho scelto delle foto che mi rappresentano, in tema con “il Volto - frammenti e figure della
contemporaneità”.
L’ultima foto è forse quella che mi rappresenta di più. Il limite che ognuno di noi ha, quella sottilissima
linea che ci divide dalla pazzia, in un bianco/nero che molto mi rispecchia.
La seconda, “Eurydice”, fa parte di un piccolo progetto dedicato alle Murder Ballads di Nick Cave.
Amo il mito delle Driadi, metà donne metà albero, ninfe delle querce.
Con questi occhiali invece, noi di Diwali vogliamo interrogarci su ciò che è il Volto quando il Volto
manca...
*[Francesca. 1990.
Toro ascendente Toro.
Da sempre affascinata da tutti i tipi di arte, ho cominciato a suonare il pianoforte a quattro anni.
Dopo aver ottenuto il Diploma in Teoria e Solfeggio al Conservatorio di Piacenza ho cominciato a suonare il basso elettrico.
Quando ero piccola, mio padre mi raccontava i suoi viaggi mostrandomi fotografie attraverso diapositive proiettate sul muro.
Nel 2009 mi iscrito all’Università Statale di milano, facoltà di Lettere Moderne; anno nel quale ho ottenuto la mia prima Reflex.
Non sono molto brava a parlare di me, perciò lascio che le mie foto parlino da sole.]
38
InStante
Francesca Di Vaio
Pietro Bomba
Questa serie si esaurisce con questi due esemplari,
anche se nella mia mente ho continuato ad
immaginare e a progettare verosimilmente di
realizzarne degli altri. Continua ad essere una
mia visione. Ciò che riesce a catturare la mia
soddisfazione è la “casualità controllata” del
risultato e l’unicità irripetibile delle imperfezioni.
Non parlo solo del soggetto, ma anche del mezzo e
del modo. Non a caso spesso mi affido a macchine
traballanti, otturatori incerti, obiettivi sporchi, a
pellicole scadute. Mi piacciono le cose vissute, gli
occhi che hanno visto tanto, i cuori che hanno
atteso per troppo tempo e mi piace pensare che
non lo abbiano fatto invano.
Ciò che guida filosoficamente la mia esistenza è
una perenne ricerca dell’”essenza” in ogni aspetto
della vita, nelle persone, nei sentimenti, negli
oggetti, nei luoghi, nelle idee.. e mi interessa
l’intreccio con l’assonante e opposta “assenza”.
Un intreccio multiplo e ridondante, un riverbero
di rimandi in cui l’assente risulta a volte più
presente del presente e il presente anela all’essenza
dell’assente. La verità è che sono un fotografo poco produttivo: fotografo con la mente e poi mi pento
del mio integralismo che considera l’immagine o la parola una inevitabile riduzione, in perdita, del
pensiero, per poi rendermi conto che proprio fotografie e parole stanno lì a ricordarmi ciò che il
pensiero ha mille e mille volte perduto in nuvole di fumo. La fotografia per me è memoria.
*[Pietro Bomba nasce a Roma e dal 2000 è docente di fotografia presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata..]
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InStante
Pietro Bomba
Fausto Favetta
Il ritratto è la forma espressiva che prediligo, in esso trovo il piacere della continua sfida alla
rappresentazione dell’umano. Non ricerco necessariamente la narrazione del soggetto ripreso, ma
trovo stimolante come le persone che fotografo (spesso modelli non professionisti) possano portare
contributo alla mia idea. C’è un magico punto d’incontro tra quello che ho in mente quando pianifico
un’immagine e la capacità di interpretazione di quell’idea da parte di un’altra persona. Ogni fotografia
è il risultato i una serie di intese e incontri col soggetto, dove la comunicazione verbale cede il primato
a quella mentale, empatica.
La postproduzione è una fase molto importante che curo personalmente e a volte quasi maniacalmente.
Pur avendo iniziato il mio percorso con la fotografia analogica, sono un pieno sostenitore della carica
innovativa portata dalla tecnologia digitale. Uso prevalentemente una 35mm digitale e quasi sempre
illuminazione flash. La mia ricerca è continua e la tecnica dietro ai miei scatti è di conseguenza molto
varia, si adatta in base alle situazioni e al risultato che cerco.
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InStante
Fausto Favetta
*[Fausto Favetta nasce nel 1980 a Roma, dove tuttora vive e lavora. Dagli studi universitari in Scienze della Comunicazione la paassione
per la fotografia si approfondisce e muove verso la professione dopo aver conseguito nel 2009 un master triennale presso l’Istituto
Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Si dedica prevalentemente a ritratto e still life e nel 2010 inizia a collaborare con
agenzie pubblicitarie lavorando per clienti come Hag, Linkem, Telecom, BNL, ecc... Dal 2012 collabora con l’agenzia Getty Images.]
InStante
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Andrès Leon Baldelli
È ispirato dai fotogiornalisti umanisti e affascinato dalla potenza grafica di punti, linee e superfici.
È spesso eclettico e frammentario, trova linfa principalmente in strada, nelle strade, dove le genti si
sfiorano, gli sguardi si incrociano, le contraddizioni si svelano e l’umano prende vita.
Andrès Leon Baldelli
*[Andrès Leon Baldelli dice di sé: il fascino, fin dai primi giorni,
per l’osservazione e la teoresi lo porta a Parigi dove è attualmente
studente di dottorato in meccanica teorica.
Osservazione, comprensione e trasformazione: sia per risolvere
gli integrali che con un occhio nel mirino.]
Gloria Gabrielli
Questi volti non hanno titolo. ‘Spero che le foto parlino da sole e non voglio distogliere l’attenzione
di chi le guarda. Lavoro ancora in pellicola e frequento poco il bianco/nero visto che amo la realtà e
i suoi colori.’
Gloria Gabrielli
*[Gloria Gabrielli si è formata all’Istituto Superiore di Fotografia e
Comunicazione Integrata di Roma. Terminati gli studi si è trasferita
per due anni oltre la Manica per assorbire il groove metropolitano
londinese. Attualmente frequenta un corso da tecnico di ripresa
audio-visiva. La sua grande passione è per l’alta montagna e si
sta spingendo sempre più verso la foto estrema del free climbing
e dell’alpinismo.]
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Leopoldo A. García Castellanos
Queste foto fanno parte del progetto ‘Nelle vie dello sviluppo’: si tratta di molteplici ritratti sovrapposti
di immigranti e indigeni convertiti alla cultura europea, nel tentativo di stimolare il riconoscimento
dell’altro nonostante le circostanze contingenti.
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InStante
Leopoldo A. García Castellanos
*[Leopoldo A. García Castellanos è un umanista messicano trasferitosi in Spagna, dove tuttora risiede e lavora presso l’Università di
Salamanca. Si occupa prevalentemente di estetica e semeiotica, con un un forte interesse per la retorica dell’immagine. Negli anni si è
confrontato anche con altre discipline, dalle scienze sociali alla psicologia, dalla letteratura alla cinematografia. E’ direttore artistico e
membro del comitato editoriale per diverse riviste, spagnole e non. Il suo lavoro lo ha portato a viaggiare attraverso più di 15 paesi e
oltre 200 città, occasioni che hanno arricchito il suo percorso fotografico, iniziato nel 1998. Ha all’attivo diverse mostre e pubblicazioni
uscite per il pubblico latino-americano e attualmente sta preparando il libro ‘Rapire l’Europa’.]
InStante
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Il volto, la faccia, la maschera. Il simulacro
attraverso il quale sfogliamo lo spazio, pensiero,
vita degli altri. E raccontiamo la nostra. Il
volto è l’ultima frontiera del contatto micromacro, dallo specchio al risveglio la mattina,
al social, contenitore di vite, di facce. Il libro
delle facce, Facebook, che diventa palinsesto
per la fruizione degli altri. Il gioco delle parti.
Il percorso video di Diwali di questo numero
gioca con i volti, e inizia affacciandosi alla
finestra e incontra il volto della città nella
città, scoperto nei suoi residui corrosi.
Silvia Lombardo
InMobile
Il libro delle facce
di Silvia Lombardo
Il volto della città che si fa liquido e scorre via attraverso i muri senza rispettare versi, direzioni,
la gerarchia di pavimenti, pareti e soffitti. E poi cola giù dai tubi e si libera di pezzi di muro. Il volto
della citta ci guarda. Non lo fermi e non si ferma, sembrano voler dire gli artisti: ogni foro è bocca,
ogni finestra occhio, ogni muro nasconde un’apertura che diviene orecchio, sguardo, uomo, donna e
mostro.
InMobile
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Il libro delle facce
Il volto documenta. La propria crescita, quella di un figlio. Attraverso il volto. O la propria non
crescita attraverso un’espressione che rimane immutabile, sempre identica a se stessa nel corso dei
mesi. Trovare un centro nella propria espressione, nell’assetto bocca-naso-occhi sempre uguale,
perfettamente in equilibrio col passare dei giorni come una certezza al di là dello specchio.
Solo alcuni esempi delle centinaia di video che affascinano milioni di utenti. Di volti che si incollano
allo schermo. Artisti a caso, fra milioni di utenti.
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InMobile
Il libro delle facce
Il volto è testimonianza. Lo si sceglie per raccontare un lungo viaggio, prima dei piedi che conducono,
delle gambe che sorregono, c’è il volto che assorbe quello che gli sta intorno, l’ambiente che cambia
e ti avvolge. E restituisce la scoperta e la fatica. E il cambiamento. Il viaggio di Christoph Rehage
attraverso la Cina e il suo volto.
InMobile
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Il libro delle facce
Il volto è un gioco. È di tutti e di nessuno. Il risultato unico di un numero infinito di combinazioni.
Estratto a caso dalla sorte. Di cui un computer presuntuoso veste i panni.
Il volto è un’istallazione. Un’opera d’arte tridimensionale, tangibile, interagibile, attraversabile che
porti in giro ogni giorno. Non resta che tentare, uscire in strada e offrirsi. Così, per divertirsi.
*[Silvia Lombardo è nata nel 1978 a Roma dove, dopo una breve pausa in una città mostruosamente più a misura d’uomo come Torino,
vive tutt’oggi in uno dei quartieri più popolosi e trafficati. Diplomatasi alla Scuola Holden in scrittura e storytelling, si è occupata di
cultura e spettacolo per varie agenzie giornalistiche, ha scritto e realizzato un film a costo zero sul precariato dal titolo “La ballata dei
precari” e pubblicato il saggio umoristico “La ballata dei precari – Guida di sopravvivenza per trentenni” (Miraggi Edizioni, 2011). Oggi
è una web editor e una documentarista in cerca di produzione.]
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InChina
di Mario Lucio Falcone
*[Mario Lucio “the Marius” Falcone nasce a Napoli ma cresce tra le migliaia di pagine dei fumetti che custodisce gelosamente e che
hanno dato una direzione alla sua voglia di disegnare, manifestatasi all’età di tre anni. Probabilmente vi ricorderete di lui per Violet
l’eroina anticamorrra, per la webstrip Advanced Nerds o per la fanzine telematica PippaMentis.]
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www.rivistadiwali.it