CAPITOLO 11 TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A

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CAPITOLO 11 TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01
CAP. 11 – TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO
CAPITOLO
11
11 TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE
PLASTICA A CALDO
Sinossi
11.1 Generalità
L
e tecnologie di deformazione plastica a caldo (cioè
condotte al di sopra della temperatura di ricristallizzazione) trovano utilizzo nelle costruzioni
aerospaziali nella loro accezione di tecnologie sia
primarie (dal materiale grezzo al semilavorato), che
secondarie (dal semilavorato al componente finito). Le
strutture metalliche convenzionali a semiguscio sono
infatti costituite da pannelli (rivestimenti, centine,
ordinate) sottili e da elementi longitudinali (correnti,
longheroni) esili. I primi sono realizzati con tecnologie
di stampaggio a partire da lamiere sottili, a loro volta
ottenute per laminazione a caldo. I secondi possono
essere ricavati per piegatura da lamiere o direttamente
per trafilatura o estrusione a caldo di billette. Anche i
rivetti e ribattini per le giunzioni sono ottenuti a partire
da filo per chioderia estruso a caldo e trafilato. Inoltre
le costruzioni aerospaziali moderne comprendono
anche parti strutturali (ordinate e centine di forza,
longheroni, strutture delle superfici mobili e delle
centine motore) ricavate per lavorazione alla macchina
utensile a partire da sbozzati ottenuti per forgiatura a
stampo aperto. Infine componenti primari quali gambe
carrello, attacchi di forza e parti dei propulsori
vengono prodotti, con modesto sovrametallo,
direttamente per forgiatura in stampo chiuso. Tutti
questi processi verranno trattati in dettaglio nel
presente capitolo.
L
e tecnologie di deformazione plastica sono quei
processi tecnologici nei quali la variazione di forma
del pezzo o del semilavorato è accompagnata dalla
rimozione di un volume trascurabile di materiale ed è
viceversa dovuta alla capacità del materiale stesso di
deformarsi permanentemente al di sopra dello sforzo di
snervamento, grazie alla propria duttilità (elasto-plasticità
tipica dei metalli). I processi di deformazione plastica
possono essere divisi in categorie sulla base di numerosi
criteri:
• in dipendenza della forma del pezzo da lavorare:
○ formatura di pezzi massicci (con alto rapporto
volume/superficie): il materiale di partenza è
sotto forma di semilavorati; il procedimento
induce rilevanti variazioni della forma e delle
sezioni; gli effetti del ritorno elastico sono
trascurabili;
○ formatura delle lamiere (aventi basso rapporto
volume/superficie): il materiale di partenza è
costituito da lamiere piane sottili; il processo
induce forti variazioni di forma e piccole
variazioni di spessore, ma con rilevanti effetti
dovuti al ritorno elastico;
Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza
autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.
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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01
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• in dipendenza dell’effetto prodotto da
deformazione e da temperatura sulle proprietà
meccaniche:
K = coefficiente di resistenza (175-1200 MPa)
ε = deformazione
n = esponente di incrudimento (0,20-0,40)
○ lavorazioni ad alta temperatura (hot
working): avendo definito Tf la temperatura
di incipiente fusione, il processo avviene,
senza rilevanti effetti di incrudimento e di
recupero dinamico nel campo di
temperature 0,7 < Tf < 0,8;
○ lavorazioni a media temperatura (warm
working): il processo avviene nel campo di
temperature 0,3 < Tf < 0,5 con possibili
effetti di incrudimento e precipitazione;
○ lavorazioni a bassa temperatura (cold
working): il processo avviene a temperature
Tf < 0,3 con rilevanti effetti d’incrudimento.
Questo è il criterio assunto nel seguito, adottando però
una divisione più netta tra lavorazioni a caldo (0,5 < Tf
< 0,8) e lavorazioni a freddo (0,5 < Tf < Tamb);
• in dipendenza della modalità di deformazione:
Figura 11.1 - Tecnologie (primarie e secondarie) di
formatura dei pezzi massicci. (a) Laminazione (b)
Forgiatura in stampo aperto (c) Estrusione (d) Trafilatura.
○ a velocità uniforme (trafilatura);
○ intermittente (forgiatura);
○ ibrida (estrusione);
• in dipendenza del sistema di sforzi imposti al
pezzo:
○ compressione
○ trazione
○ trazione e compressione
○ flessione
○ torsione
○ taglio.
In sintesi, in questo capitolo, verranno trattate le
tecnologie (primarie e secondarie) di formatura di
pezzi massicci a temperatura superiore alla
ricristallizzazione (0,5 < Tf < 0,8), ovvero:
laminazione, estrusione, trafilatura, forgiatura in
stampo aperto e forgiatura in stampo chiuso (Figura
11.1), mentre nel capitolo seguente verranno trattate le
tecnologie di formatura delle lamiere a temperatura
inferiore alla ricristallizzazione.
Figura 11.2 - Esempio di curva sforzo deformazione per un
metallo.
Man mano che il metallo si deforma in campo plastico, la
sua resistenza aumenta a causa dell’incrudimento, perciò,
per continuare la deformazione, lo sforzo deve essere
parimenti aumentato; il valore istantaneo di tale sforzo
(flow stress) vale:
Per essere convenientemente formato plasticamente, il
metallo deve possedere basso sforzo di snervamento e
grande duttilità: in questo caso è quindi preminente la
parte plastica della curva sforzo deformazione riportata
in Figura 11.2, la cui parte lineare, se riportata in scala
logaritmica (Figura 11.3), può esprimere la curva di
flusso come:
σ = Kε
σ f = Kε n
In talune tecnologie, come la forgiatura, la massima forza
necessaria può essere calcolata a partire da questo valore
istantaneo; in altri processi, come l’estrusione, è
preferibile usare un valore medio del flow stress, che si
calcola integrando la curva di flusso da deformazione
nulla a deformazione massima:
n
dove:
σ = sforzo
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n
σ f ( med ) = Kε (max)
/ (1 + n )
meccaniche grazie alla distorsione dei grani;
risparmio energetico, in quanto non sono necessari
forni di riscaldo. Per contro, esse richiedono
maggiori forze di formatura; presentano
pericoli di abrasioni e rotture superficiali; possono
garantire ridotti valori di deformazione, a meno di
effettuare trattamenti termici preventivi di ricottura
e successivi di distensione;
Queste proprietà dipendono dalla temperatura, dalla
velocità di deformazione e dal grado di lubrificazione:
dipendenza dalla temperatura: sia K che n si riducono
ad alta temperatura e consentono di ottenere elevate
deformazioni applicando forze relativamente basse.
Questo è il motivo per cui, in genere, i pezzi massicci
vengono lavorati a caldo (forgiatura) mentre le lamiere
sottili sono lavorate a freddo (stampaggio).
• isothermal working: alcuni metalli come gli acciai
alto-legati, le leghe di titanio e le leghe di nickelcobalto offrono apprezzabili prestazioni ad elevata
temperatura, ma presentano per contro difficoltà
alla lavorazione con tecnologie di tipo hot working:
il contatto con lo stampo riduce infatti la
temperatura locale del materiale e ne aumenta la
resistenza, con la nascita di sforzi residui e
possibili rotture superficiali. Per ovviare a questo
problema, gli stampi vengono pre-riscaldati alla
stessa temperatura di lavoro del metallo; non vi
sono gradienti di temperatura, raffreddamenti
locali, sforzi residui e rotture; per contro, il
degrado degli stampi è accelerato e la loro vita
abbreviata;
dipendenza dalla velocità di deformazione: in teoria,
durante una lavorazione a caldo, un metallo dovrebbe
fluire a sforzo costante una volta raggiunto tale livello di
sforzo. In pratica non è così, a causa della sensibilità alla
velocità di deformazione (strain rate) dε/dt, che è una
grandezza locale, dipendente dalla geometria del pezzo,
non necessariamente coincidente con la velocità di
processo; nel caso della forgiatura essa può superare i
1000 s-1. Come mostrato nel diagramma logaritmico di
Figura 11.4, la resistenza aumenta all’aumentare della
velocità di deformazione secondo la relazione:
Figura 11.3 - Curva di flusso. Parte lineare, in scala
logaritmica, della curva sforzo deformazione per un
metallo.
Di seguito i vantaggi e gli svantaggi delle tre classi di
lavorazione indicate sopra:
• hot working: K è molto basso, n è praticamente
nullo; si possono ottenere deformazioni molto
grandi; sono richieste forze e potenze ridotte;
non avvengono rotture né incrudimenti; la
struttura che ne consegue è isotropa in quanto si
ha ricristallizzazione e non distorsione dei
grani. Per contro le lavorazioni a caldo
comportano minor accuratezza dimensionale,
scarsa finitura e possibile ossidazione
superficiale, necessità di energia termica e
minor vita operativa degli stampi;
σ f = C (dε / dt )m
dove:
C = costante di resistenza, diversa da K;
m = esponente della sensibilità alla dε/dt
C è calcolato a dε/dt = 1.0; m è la pendenza della retta.
All’aumentare della temperatura, C diminuisce ed m
aumenta. L’effetto combinato della temperatura e della
velocità di deformazione è mostrato in Figura 11.5. A
temperatura ambiente, l’effetto di dε/dt è trascurabile;
mentre all’aumentare della temperatura (specie per le
normali temperature di hot working) esso diventa assai
rilevante.
• warm working: essendo condotte a temperature
intermedie, rappresentano un compromesso ed
offrono diversi vantaggi: minori forze e potenze
richieste, possibilità di realizzare forme
moderatamente intricate, possibilità di evitare i
trattamenti termici preventivi di ricottura e
successivi di distensione;
L’espressione completa del flow stress è:
σ f = Aε n (dε / dt )m
• cold working: rispetto alle lavorazioni a caldo,
esse
garantiscono
miglior
accuratezza
dimensionale, finitura superficiale e più strette
tolleranze; miglioramento della resistenza e
della
durezza
grazie
all’incrudimento;
possibilità di direzionare le caratteristiche
dove A combina l’effetto di K e di C, mentre A, n, m sono
funzione della temperatura. In generale, l’effetto di dε/dt
può essere ragionevolmente trascurato nei casi di
cold/warm working e di hot working a bassa velocità di
processo;
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dipendenza dal grado di lubrificazione: durante i
processi di deformazione plastica, l’attrito nasce a
causa dello stretto contatto materiale/stampo e delle
grandi forze che ivi vengono scambiate. L’attrito è un
fenomeno indesiderato perché:
Se il coefficiente d’attrito aumenta sino a superare una
data soglia, si verifica il cosiddetto incollaggio, nel quale
le due superfici non scorrono più l’una sull’altra, bensì
aderiscono e lo sforzo d’attrito alla superficie diventa
maggiore dello sforzo di taglio del materiale. Onde evitare
questa disastrosa evenienza, si provvede ad una
lubrificazione, che riduce le forze richieste, migliora la
finitura della superficie e rimuove parte del calore. I
lubrificanti, scelti in funzione del tipo di lavorazione,
temperatura di lavoro, natura dei materiali, tossicità,
infiammabilità e costo, possono consistere in olii minerali,
emulsioni acquose, grafite e vetro fuso (questi ultimi due
nei casi di hot working).
• il flusso di metallo è ritardato Æsforzi residui e
difetti;
• le forze e le potenze in gioco devono essere
aumentate;
• gli stampi si usurano Æ aumento dei costi e
ridotta accuratezza dimensionale dei pezzi.
Figura 11.4 - Effetto della velocità di deformazione sul
valore della resistenza (Flow stress).
Al contrario di quanto accade negli usuali problemi di
contatto delle costruzioni meccaniche (basse pressioni
e temperature, abbondante lubrificazione), l’attrito
durante i processi di formatura (alte pressioni e
temperature, con deformazione plastica del materiale)
comporta elevati coefficienti, anche in presenza di
lubrificazione (cfr. Tabella 11.1).
Figura 11.5 - Effetto della velocità di deformazione,
parametrizzato in funzione della temperatura, sul valore
della resistenza (Flow stress).
Tabella 11.1 - Coefficienti di attrito per un processo di deformazione plastica classificato in funzione della temperatura Tm.
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dove:
11.2 Laminazione
vo e vf = velocità di entrata e di uscita
L
a laminazione è una tecnologia primaria, che può
essere condotta a caldo (hot rolling) o a freddo
(cold rolling) e trasforma il metallo dalla forma
originaria di lingotti in lamiere sottili (flat rolling) per
ulteriori lavorazioni di stampaggio oppure dalla forma
originaria di billette in elementi allungati di sezione
costante (shape rolling) per successive lavorazioni di
forgiatura od alla macchina utensile. La laminazione è
la lavorazione più comune per i metalli: circa il 90% di
tutto l’acciaio e la lega di alluminio utilizzati nelle
costruzioni subisce questo tipo di lavorazione. In
particolare, le strutture aerospaziali convenzionali,
assimilabili a gusci o semi-gusci, sono costituite da
elementi sottili (pannelli) ed esili (correnti), tutti
realizzati a partire da semi-lavorati rispettivamente
ottenuti per flat rolling e shape rolling. Nel caso di flat
rolling, lo spessore del metallo è ridotto plasticamente
dalle forze di compressione esercitate da coppie di rulli
contro-rotanti entro cui il metallo è forzato ad entrare
(Figura 11.6), i quali contemporaneamente
comprimono e “tirano” il materiale. La riduzione di
spessore d vale:
I rulli di raggio R sono in contatto con il materiale lungo
un arco definito dall’angolo θ; la loro velocità di rotazione
produce la velocità periferica al contatto v, la quale è:
v o < v < vf
Poiché il materiale fluisce con continuità, vi è una
variazione graduale di velocità, ma esiste un punto in
corrispondenza del quale la velocità del materiale coincide
con la velocità periferica dei rulli, chiamato punto di non
scorrimento o punto neutro. In qualsiasi altro punto vi è
scorrimento tra materiale e rulli, il cui valore viene
misurato dal parametro s, calcolato come:
s = (vf – vr)/vr
avendo posto vr la velocità dei rulli. La deformazione
effettiva subita dal materiale dipende dagli spessori
iniziale e finale:
ε = ln(to/tf)
tale deformazione effettiva consente di calcolare il flow
stress medio σf med come:
σ fmed = Kε n / (1 + n )
d = to – tf
dove:
dove to e tf sono gli spessori iniziale e finale; sovente
essa è semplicemente espressa come percentuale dello
spessore iniziale:
K = coefficiente di resistenza (175-1200 MPa)
n = esponente di incrudimento (0,20-0,40)
Tale sforzo medio è utilizzato per stimare la forza e la
potenza necessarie alla laminazione.
r = d/to
A causa del coefficiente d’attrito tra materiale e rulli e
della forza di compressione esercitata tra di essi, durante
la laminazione si generano due forze d’attrito: dall’entrata
al punto neutro in una direzione, dal punto neutro
all’uscita nell’altra direzione. Tali forze hanno valore
diverso: quella che agisce dalla parte dell’entrata è
maggiore di quella che agisce dalla parte dell’uscita,
sicché la forza totale tira il materiale attraverso i rulli: se
così non fosse, la laminazione non sarebbe possibile.
Fissato un certo coefficiente d’attrito μ, esiste un valore
limite della riduzione di spessore, dato da:
Figura 11.6 - Esempio di laminazione tipo flat rolling.
Nella figura si riportano tutti i parametri utilizzati per
la teoria della laminazione.
In un treno di laminazione, costituito da numerose
coppie di rulli contro-rotanti, la riduzione è data dalla
somma delle singole riduzioni divisa per lo spessore
iniziale. In generale, oltre alla riduzione di spessore, la
laminazione piana induce un aumento di larghezza del
materiale, tanto maggiore quanto minore è il rapporto
iniziale larghezza/spessore e ridotto l’attrito. La massa
del materiale viene conservata, cosicché:
d = μ 2R
essendo R il raggio dei rulli. Se l’attrito fosse nullo, la
riduzione sarebbe nulla e l’operazione impossibile. Il
coefficiente d’attrito dipende dalla lubrificazione, tipo di
materiale e temperatura di lavoro (valori tipici sono
μ = 0,1 cold rolling, 0,2 warm rolling, 0,4 hot rolling, fino
al verificarsi dell’incollaggio Æ fenomeno per il quale,
oltre μ = 0,7, il materiale aderisce alla superficie dei rulli
ed il materiale più interno deve deformarsi enormemente a
taglio per passare attraverso il meato fra i rulli. Per un
dato coefficiente d’attrito, sufficiente a consentire
l’operazione, la forza di laminazione F è calcolabile
integrando la pressione di laminazione p lungo la zona di
contatto:
towoLo = tfwfLf
dove:
wo e wf = larghezze iniziale e finale
Lo e Lf = lunghezze iniziale e finale
anche la portata del materiale è conservata, cosicché:
towovo = tfwfvf
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• riduzione dell’attrito;
F = w∫0L pdL
• riduzione del diametro dei rulli per ridurre l’area di
contatto;
Poiché il valore della pressione varia in maniera
significativa prima e dopo il punto neutro, ove
presenta una discontinuità con valore massimo (cfr.
Figura 11.7), tale integrazione comporta due termini
separati.
• riduzione del valore d per ciascuna passata;
• aumento della temperatura di laminazione;
• applicazione di una trazione al materiale.
Il momento torcente T necessario può essere stimato
ipotizzando che la forza di laminazione F agisca nella
sezione media della zona di contatto, con un braccio pari
ad un mezzo della lunghezza di contatto L:
T = 0,5FL
La potenza P necessaria per muovere ciascun rullo è data
dal prodotto del momento torcente T per la velocità
angolare 2πn, con n velocità di rotazione del rullo. Quindi,
sostituendo l’espressione del momento torcente e
raddoppiando il valore poiché la laminazione richiede una
coppia di rulli, risulta:
P = 2πnFL
Nella pratica, le prime passate di laminazione vengono
effettuate a caldo, per avere alti valori di riduzione d,
assenza di sforzi residui e proprietà isotrope. Le ultime
passate vengono effettuate invece a freddo, per evitare la
formazione di ossidi superficiali, garantire tolleranze
strette e migliorare le prestazioni meccaniche.
Con riferimento alla Figura 11.8 (a),(b) i passi principali
del processo di laminazione sono:
• il lingotto appena solidificato viene mantenuto in
forno per molte ore in modo da garantire
l’uniforme distribuzione di temperatura (circa
1200°C per gli acciai, 450 °C per le leghe
d’alluminio); questo procedimento raffina il grano
e conferisce l’opportuna duttilità;
Figura 11.7 - Diagramma dell’andamento della
pressione di contatto, tra rulli e lamiera, lungo la
direzione di laminazione.
• il lingotto è trasferito al treno di laminazione, dove
viene trasformato, tramite un processo a caldo, in
una delle forme intermedie:
Tale valore massimo aumenta all’aumentare
dell’attrito; se l’attrito diminuisce, il punto neutro si
allontana dal punto di ingresso per garantire una forza
risultante che “tiri” il materiale verso l’uscita. Con
valori di attrito troppo bassi si avrebbe slittamento
piuttosto che passaggio attraverso i rulli. Tenendo
conto che:
σ fmed L =
- blumo (150x150mm) Æ profili per forgiatura
- billetta (40x40mm) Æ barre per macchina utensile
- piastra (250x40mm) Æ lamiere da stampaggio
• le
forme
intermedie
sono
preparate
superficialmente
tramite
processi
chimici
(decapaggio) o meccanici (sabbiatura) per
eliminare le imperfezioni e gli ossidi;
L
∫0 pdL
risulta, in via approssimata e trascurando l’attrito:
• vengono effettuate le passate finali a freddo
(temperatura ambiente); nel caso della lega
d’alluminio, per aumentare la produttività,
vengono laminate assieme due lamiere, aventi una
faccia lucida (contatto lamiera/rullo) ed una faccia
opaca (contatto lamiera/lamiera);
F = σ fmed wL
dove la lunghezza L della zona di contatto vale:
[(
L = R t0 − t f
)]1 / 2
A causa della forza F i rulli si deflettono ed i loro
supporti si deformano, aumentando il valore del meato
di passaggio del materiale rispetto al valore teorico;
per evitare ciò si mettono in atto degli accorgimenti:
• per eliminare imperfezioni superficiali locali
(bande di Lueder) viene effettuata un’ultima
passata con leggera riduzione (0,5-1,5%);
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• per eliminare i difetti di planarità, le lamiere
vengono infine fatte passare attraverso il treno
dei cosiddetti rulli di livellamento.
giorni/settimana senza interruzioni durante l’anno).
Possono essere prodotti manufatti piani di larghezza fino a
5m (anche se le larghezze standard sono di 0,66-1,5m) e
spessori fino a 0,0025mm con velocità fino a 25m/s e
anche più.
Facendo riferimento alla Figura 11.9, l’architettura
dell’impianto può consistere in semplici coppie di rulli (2high) di diametro 0,6-1,4m dotati eventualmente di
rotazione reversibile per consentire riduzioni multiple.
Configurazioni alternative sono costituite dalla 3-high,
che consente riduzioni multiple a patto di movimentare
dall’alto al basso e viceversa il materiale. Come si è visto,
la riduzione del diametro dei rulli consente di ottenere
maggiori riduzioni di spessore per ogni passata, come
pure minori forze e potenze necessarie.
(a)
Figura 11.9 - Diverse architetture di impianti di
laminazione. (a) a singola coppia di rulli (2 – high) (b) a tre
rulli con sistema di movimentazione dall’alto verso il basso e
viceversa (3 – high) (c) e (d) laminazione con rulli conduttori
(diametro maggiore) e condotti (diametro minore) (4 – high,
cluster) (e) laminatoio di tipo tandem.
Rulli di piccolo diametro possono però deflettersi
eccessivamente, producendo laminati di spessore
variabile. Si adottano allora le configurazioni 4-high
oppure a cluster, dove i rulli condotti di piccolo spessore
vengono supportati da rulli conduttori più rigidi in quanto
di maggior diametro. Per aumentare il rateo produttivo, si
adotta in genere la configurazione in tandem, che usa
numerose coppie di rulli (fino a 10), ciascuna delle quali
induce una riduzione di spessore. I requisiti principali dei
rulli sono rigidezza, resistenza e resistenza all’usura; essi
sono in genere realizzati in ghisa fusa o acciaio forgiato
eventualmente rivestiti in carburo di tungsteno per i rulli
di minor diametro nell’architetture cluster. I rulli adatti
alla laminazione a freddo non lo sono per la laminazione a
caldo, in quanto potrebbero andare incontro a criccature a
causa dello shock termico. La laminazione a caldo degli
acciai normalmente non fa uso di lubrificazione (solo in
alcuni casi vien utilizzata la grafite), mentre le leghe di
alluminio vengono lubrificate con olii, emulsioni acquose
o acidi grassi. La laminazione a freddo viene lubrificata
pure con olii minerali a bassa viscosità o emulsioni,
paraffine, acidi grassi.
(b)
Figura 11.8 – (a) Configurazione per un laminatoio di
tipo inverso; (b) Struttura per un laminatoio di tipo
tandem.
La struttura generale di un impianto per la laminazione
(treno di laminazione o laminatoio) è la medesima per
processi a caldo o a freddo. Esistono però differenze
per quanto riguarda materiali dei rulli, parametri di
processo, modalità di lubrificazione e raffreddamento.
Un laminatoio è un impianto imponente, che richiede
grandi investimenti, necessita di elevata automazione e
richiede un utilizzo in continua (3 turni/giorno per 7
I processi di laminazione possono dar luogo a difetti tipici,
che possono affliggere sia la geometria del manufatto che
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tipo superficiale (ossidazione, abrasioni, cricche, crateri)
oppure coinvolgere tutto lo spessore del manufatto (cfr.
Figura 11.11) quali: l’ondulazione dei bordi (dovuta al
fatto che i bordi, più sottili a causa della flessione dei rulli,
si allungano maggiormente e si instabilizzano); le cricche
centrali o perimetrali (dovute ad insufficiente duttilità del
materiale alla temperatura di laminazione); l’alligatoring
(come è pittorescamente definito dalla letteratura
anglosassone, dovuto a difetti nella billetta o deformazioni
disuniformi durante la laminazione).
la struttura del materiale. Per esempio, a causa della
deflessione elastica dei rulli (Figura 11.10), la lamiera
tende ad essere più spessa al centro che ai bordi. Per
ovviare a tale problema, si usa conformare i rulli a
botte, conferendo loro un cosiddetto camber. In genere
il massimo incremento di diametro nella sezione
centrale non supera gli 0,25mm.
Rulli di questo tipo risolvono il problema, ma per un
solo valore di carico e di larghezza del manufatto: una
soluzione generale consiste invece nell’applicare un
momento flettente ai supporti dei rulli in modo da
compensare quello indotto dalla laminazione. A causa
del calore dissipato durante la deformazione plastica, i
rulli tendono ad assumere naturalmente una forma a
botte: di conseguenza il camber totale può essere
controllato variando in modo opportuno la
distribuzione del raffreddamento. Inoltre, la forza di
laminazione tende ad appiattire localmente i rulli, con
conseguente aumento dell’area di contatto e della forza
stessa: il processo è quindi divergente e viene limitato
usando materiali rigidi, resistenti e duri.
Figura 11.11 - Difetti di un pezzo ottenuto per laminazione
che coinvolgono tutto lo spessore del manufatto. (a)
ondulazione dei bordi (b) cricche centrali (c) cricche
perimetrali (d) alligatoring.
I difetti di bordo vengono eliminati tramite operazioni di
contornatura; quelli centrali portano invece allo scarto del
manufatto. Altre criticità del processo risiedono nella
nascita di sforzi residui, specie nella laminazione a freddo:
rulli di piccolo diametro e limitate riduzioni di spessore
inducono uno stato di sforzo compressivo sulla superficie
e tensile nel cuore; questa situazione migliora il
comportamento a fatica. Rulli di grande diametro e forti
riduzioni di spessore portano ad uno stato di sforzo
opposto: di trazione sulla superficie e di compressione al
cuore. Le tolleranze sullo spessore variano da 0,1 a
0,35mm per il cold rolling, maggiori per l’hot rolling; le
tolleranze di planarità restano entro -/+15mm/m per il cold
rolling, -/+55mm/m per l’hot rolling. La finitura
superficiale del cold rolling è tanto buona da non
richiedere operazioni di finitura, mentre l’hot rolling
conferisce rugosità paragonabili a quelle della colata in
sabbia.
Figura 11.10 - Esempi di difetti tipici per i processi di
laminazione e relative contromisure da adottare. (a)
Laminato con spessore non costante realizzato con rulli
cilindrici (b) Laminato a spessore costante ottenuto con
rulli a botte.
La laminazione di lamiere con alto rapporto larghezza/
spessore non modifica significativamente la larghezza;
la larghezza aumenta invece in modo considerevole
(spreading) all’aumentare di tale rapporto (riduzione
del vincolo laterale); esso aumenta altresì al crescere
dell’attrito ed al diminuire del rapporto tra il diametro
dei rulli e lo spessore della lamiera (aumento del
vincolo longitudinale al passaggio nel meato tra i
rulli).
Oltre alla laminazione piana (flat rolling) esistono diverso
altri processi consimili (shape rolling) i quali, grazie
all’uso di rulli opportunamente sagomati sono in grado di
produrre forme svariate. In questi casi la sezione del
materiale viene ridotta in maniera non uniforme: possono
così nascere sforzi residui, cricche, distorsioni e tolleranze
non sufficientemente accurate. La messa a punto di un
processo di shape rolling comporta la progettazione di una
serie di coppie di rulli in grado di modificare
progressivamente la forma del manufatto inducendo
campi di deformazioni e sforzi il più possibile uniformi
Lo spreading viene prevenuto utilizzando rulli
verticali a contatto con i bordi della lamiera.
I difetti che influiscono sulle prestazioni meccaniche e
sulle caratteristiche tecnologiche possono essere di
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CAP. 11 – TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO
(Figura 11.12): è un procedimento particolarmente
critico, che richiede grande esperienza.
diametro viene deformato in uno di piccolo
spessore e grande diametro (Figura 11.14).
Figura 11.13 - Laminazione di tipo shape rolling: rullatura
di filettature.
Figura 11.12 - Esempi di processi di laminazione di tipo
shape rolling.
Le principali tecnologie di shape rolling sono:
• rullatura di filettature: per motivi di resistenza
a fatica, in campo aerospaziale sono vietati i
componenti la cui filettatura sia ottenuta per
tornitura: la filettatura deve essere ottenuta per
rullatura a freddo (Figura 11.13): il materiale è
preventivamente trattato termicamente in modo
da massimizzare la duttilità e bonificato in un
secondo tempo.
○ I vantaggi di una filettatura rullata rispetto
ad una convenzionale tornita sono:
○ deformazione/orientazione dei grani anziché
loro interruzione;
○ incremento delle caratteristiche meccaniche
grazie all’incrudimento;
○ creazione di uno stato di sforzo superficiale
di compressione Æ benefico per la fatica;
Figura 11.14 - Laminazione di tipo shape rolling: rullatura
di anelli.
○ ottima finitura superficiale;
○ assenza di sfrido.
Essendo compresso, il materiale si allunga e, a parità di
volume, riduce lo spessore ed aumenta il diametro. Il
processo è condotto a caldo per grandi anelli, a freddo per
anelli piccoli. La sezione può non essere rettangolare, il
grano è orientato e incrudito nella direzione ottimale, gli
sfridi sono minimi Æ processo ideale per produrre
componenti anulari di macchine rotative (turbine e
compressori), skirts ed inter-stages di motori per missili,
gabbie di cuscinetti volventi;
• rullatura di ingranaggi: è un procedimento
simile alla rullatura delle filettature e può essere
eseguito a partire da semilavorati cilindrici
oppure pre-sagomati alla macchina utensile. Si
possono ricavare sia ingranaggi esterni che
esterni, sia a denti diretti che elicoidali. Per
garantire assenza di difetti superficiali ed
accuratezza dimensionale devono essere
utilizzati
attrezzi
in
acciaio
duro
opportunamente lubrificati;
• formatura di tubi: si tratta di un processo a caldo
per la produzione di tubi spessi senza saldatura che
va sotto il nome di processo Mannesmann. Esso si
basa sul principio che quando un solido cilindrico è
compresso radialmente, nella zona centrale si
• rullatura di anelli: si tratta di un processo nel
quale un anello di grande spessore e piccolo
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sviluppano sforzi di trazione così elevati da
creare una cavità(*). L’impianto (cfr. Figura
11.15) è costituito da due rulli contro-rotanti
con asse lievemente (6°) sghembo rispetto
all’asse della billetta. Essi applicano una
sollecitazione radiale e, nel contempo, grazie
alla componente longitudinale della rotazione,
“tirano” la billetta, costringendola a passare
attraverso la luce lasciata libera.
11.3 Estrusione
L
’estrusione è un processo di compressione nel quale il
metallo da lavorare è premuto e costretto a passare
attraverso una trafila sagomata, in maniera da produrre
una forma di sezione desiderata. Esso presenta numerosi
vantaggi: specie nell’estrusione a caldo, si possono
ottenere profili di forma svariata, anche se a sezione
costante; la struttura microcristallina può venir migliorata
per incrudimento, specie nei processi a freddo; si possono
ottenere tolleranze strette; gli sfridi di lavorazione sono
limitati. Nelle costruzioni aerospaziali, l’estrusione viene
adottata per produrre i componenti esili a sezione costante
ed asse rettilineo 1 , come longheroni, correnti ed
irrigidimenti in genere. Sono stati realizzati anche profili
aerodinamici per superfici mobili e, in qualche caso,
anche profili alari veri e propri (aliante Caproni Calif).
Il processo di estrusione può venir classificato secondo
diversi criteri:
- in base al verso:
estrusione diretta (Figura 11.17 a) – la billetta metallica è
contenuta nella camera cilindrica ed è forzata a passare
attraverso una trafila sagomata da un tampone pressatore;
materiale e tampone si muovono nello stesso verso; alla
fine del processo rimane un residuo di materiale che non
può essere estruso e viene scartato.
Figura 11.15 - Laminazione di tipo shape rolling:
formatura di tubi o processo Mannesmann.
Possono essere ottenute forme cave (eventualmente a celle
multiple) utilizzando un mandrino (Figura 11.17 b), in
questo caso la billetta deve venir preventivamente forata.
(*)
Un mandrino, libero o flottante, espande la cavità e
ne garantisce l’uniformità di diametro. Stante le forti
deformazioni messe in gioco, il materiale deve essere
in uno stato di massima duttilità e privo di difetti. Il
diametro e lo spessore dei tubi possono infine essere
variati tramite tecniche tube rolling (Figura 11.16)
con/senza mandrino.
Il problema del processo consiste nell’attrito tra superficie
interna della camera e billetta, che accresce la forza
necessaria per l’estrusione e, nel caso di processo a caldo,
tende ad inglobare nel manufatto lo strato esterno di
ossido.
Il tubo e il mandrino si muovono di moto alterno,
mentre i rulli di forma opportuna ruotano in continua.
estrusione inversa (Figura 11.18 (a)) – in questo caso la
trafila è montata sul tampone pressatore; quando questo
penetra nella billetta, il materiale viene estruso in verso
opposto.
Poiché la billetta non si muove rispetto alla camera, non si
genera attrito e la forza necessaria all’estrusione è minore.
I problemi consistono nella scarsa rigidezza del tampone
tubolare e nella difficoltà di supportare il profilo estruso.
Anche questo processo può produrre profili cavi (Figura
11.18 (b)), anche se di lunghezza limitata.
Esistono anche altre tecnologie di estrusione, come
l’estrusione idrostatica, ove la billetta ha diametro più
piccolo della camera, che viene riempita da un fluido e
pressurizzata per mezzo di un pistone (vengono così
annullati i problemi d’attrito billetta/camera), oppure
l’estrusione laterale, ove l’apertura della trafila è ricavata
sulla superficie esterna della camera e non ad una sua
Figura 11.16 - Tube rolling. Tecniche per variare il
diametro/spessore con/senza mandrino a seguito di una
operazione di formatura di tubi.
1
Se necessario, queste limitazioni possono venir superate per mezzo di
lavorazioni successive. La sezione può essere variata lungo l’apertura
tramite fresatura chimica, mentre l’asse può essere curvato tramite
lavorazioni plastiche a freddo
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estremità, o infine la co-estrusione, quando 2 billette
coassiali (i materiali devono possedere duttilità
comparabili) vengono estruse contemporaneamente
per dar luogo ad un rivestimento (cladding).
semilavorati di partenza possono essere: diametro 40mm,
lunghezza 2m, peso 45 kg.
(a)
Figura 11.18 - (a) Estrusione di tipo inverso.
(b) Estrusione di tipo inverso per la produzione di profilati
a sezione cava.
(b)
Si possono ottenere buone finiture superficiali, strette
tolleranze dimensionali, elevate prestazioni meccaniche
grazie all’incrudimento; il rateo produttivo (che può
raggiungere i 2000 pezzi/ora) e la convenienza economica
sono competitivi rispetto alle altre tecnologie. Inoltre la
billetta non deve essere pre-riscaldata e non avviene
formazione di ossidi.
Figura 11.17 – (a) Estrusione di tipo diretta.
(b) a) estrusione di tipo diretta caratterizzata dalla
presenza di un mandrino. b) e c) tipologie di sezioni
ottenibili.
- in base alla temperatura:
estrusione a caldo – con questa tecnica vengono
trattati alluminio, magnesio e acciai legati. Il metallo
viene preventivamente riscaldato sopra la temperatura
di ri-cristallizzazione (Tabella 11.2), cosicché la
duttilità viene aumentata, possono essere ottenute
forme più complesse, la forza richiesta è minore e la
velocità di processo maggiore.
Tabella 11.2 - Temperature di ricristallizzazione per
l’estrusione a caldo in funzione del materiale da lavorare.
Per evitare il raffreddamento della billetta si riscalda la
camera (estrusione isoterma) e si lubrifica con vetro
fuso (che funge anche da barriera termica); per evitare
che gli ossidi superficiali entrino in trafila, al tampone
è applicato un anello di diametro leggermente inferiore
alla billetta, in modo da lasciare nella camera un sottile
mantello di materiale, per lo più costituito da ossido;
A causa degli sforzi che si generano durante il processo, le
due parti che costituiscono l’attrezzatura (il punzone e la
trafila, mostrati in Figura 11.19) devono possedere
durezze molto elevate, rispettivamente di 60-65 HRC e
58-62 HRC.
estrusione a freddo – con questa tecnica vengono
trattate le leghe di alluminio, magnesio, rame, zinco,
stagno e gli acciai dolci. Le dimensioni limite dei
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Inoltre è richiesta tenacità e resistenza all’usura, che
viene migliorata dalla lubrificazione con fosfati, cere o
saponi;
εe = ln re = ln (Ao/Af)
se σf(med) è il flow stress medio durante l’estrusione, la
pressione esercitata dal tampone pressatore sulla billetta
vale, nel caso di estrusione indiretta:
p = σf(med) lnre
In realtà, specie nel caso di estrusione diretta, l’attrito è
presente, tra materiale e trafila e tra billetta e camera di
estrusione. Per questo motivo, la pressione calcolata in
questo modo è sottostimata, come pure le deformazioni
che ne conseguono. Vengono allora adottate relazioni
semi-empiriche per calcolare la deformazione di
estrusione εe, come quella proposta da Johnson:
εe = a + b lnre
Figura 11.19 - Elementi per l’operazione di estrusione a
freddo. Punzone e trafila.
dove a e b sono costanti semi-empiriche che dipendono
dall’angolo della trafila e che tendono ad aumentare
all’aumentare dell’angolo. Tipicamente a varia da 0,7 a
0,9, mentre b varia da 1,2 a 1,5. Come alternativa,
nell’estrusione diretta, viene isolata la forza d’attrito tra
billetta e camera, cui deve essere imputato l’aumento della
forza necessaria rispetto all’estrusione indiretta:
- in base alla modalità di processo:
estrusione continua – se il volume della billetta è
elevato e il profilo estruso è molto esile, il processo si
può considerare in continua, poiché vengono prodotti
profili molto lunghi in un’unica soluzione. Tali profili
devono comunque essere successivamente tagliati in
spezzoni più corti per permetterne la movimentazione;
p f πD02 / 4 = πp c πD0 l
estrusione discreta – si ha quando in un singolo ciclo
produttivo viene estrusa una singola parte (tipicamente
di grande sezione e lunghezza limitata), oppure nel
caso di estrusione per impatto, trattata più avanti.
dove:
Do = diametro della billetta
l = lunghezza della billetta
pf = pressione aggiuntiva per vincere l’attrito
Per calcolare la forza necessaria all’estrusione, si
assuma che sia la billetta sia il profilo estruso siano
circolari (Figura 11.20).
pc = pressione scambiata tra billetta e camera
μ = coefficiente d’attrito tra billetta e camera
nel caso peggiore si verifica il fenomeno di incollaggio tra
billetta e parete della camera, per cui lo sforzo d’attrito è
uguale allo sforzo di snervamento a taglio τs:
p f πD02 / 4 = τ s πD0 l
assumendo che:
τs = σf(med) /2
si ottiene:
pf = σf(med) (2l/D0)
e quindi, per l’estrusione diretta:
p = σf(med)[ln Ao/Af + (2l/D0)]
Il termine 2l/D0 rappresenta la pressione aggiuntiva
dovuta al fenomeno di attrito. Poiché l rappresenta la
lunghezza residua della billetta durante il processo, tale
termine va riducendosi, come indicato dai diagrammi di
Figura 11.21.
Figura 11.20 – Grandezze utilizzate per la definizione
della forza necessaria per una operazione di estrusione
Il rapporto di riduzione, che in questo caso si chiama
rapporto di estrusione re, vale
I valori indicati di pressione possono essere ridotti
adottando un’efficace lubrificazione.
re = Ao/Af
dove:
La forza necessaria all’estrusione è:
Ao = area della sezione della billetta
F = pA0
Af = area della sezione dell’estruso
La potenza necessaria è:
trascurando l’attrito, si può calcolare la deformazione
effettiva:
P = Fv
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dove v è la velocità di estrusione.
Figura 11.21 - Diagramma della pressione, per
l’operazione di estrusione inversa/diretta, esercitata dal
tampone sul materiale da estrudere in funzione della
lunghezza residua della billetta l.
(a)
Nella pratica i rapporti di estrusione possono variare
da 10 a 100, ma possono arrivare sino a 400 per i
profili più semplici; in ogni caso non devono essere
inferiori a 4, onde consentire una reale
plasticizzazione. Per le sezioni tubolari, lo spessore di
parete minimo è di 1mm per le leghe d’alluminio,
3mm per gli acciai legati, 5mm per gli acciai
inossidabili. Per motivi di praticità si estrudono
spezzoni non più lunghi di 7,5m, eccezionalmente sino
a 30m. Le dimensioni trasversali vengono in genere
identificate dal minimo cerchio circoscrivibile alla
sezione: per l’alluminio esso può arrivare sino a 1m,
per gli acciai a 0,15m. Le velocità di estrusione
possono arrivare sino a 0,5m/sec per gli acciai, titanio
e superleghe; valori più bassi sono adottati per le leghe
di alluminio, magnesio e rame.
(b)
Figura 11.22 – (a) Parti fondamentali della trafila: semiangolo e forma dell’apertura della trafila. (b) Curva ad U
per un processo di estrusione. La stessa evince l’effetto del
semi-angolo della trafila nei confronti della forza/lavoro di
estrusione.
La Figura 11.23 (b) mostra due tipiche sezioni di trafila
rispettivamente per le leghe d’alluminio e per gli acciai.
Nel processo di estrusione rivestono un’importanza
basilare il semi-angolo della trafila e la forma della sua
apertura (Figura 11.22 (a)).
Forme complesse dell’apertura della trafila comportano
pressioni e forze di estrusioni maggiori rispetto a quelle
calcolate in precedenza sulla base di una sezione circolare.
Per tener conto di questo aspetto si utilizza il fattore di
forma, definito come il rapporto tra la pressione
necessaria ad estrudere una forma qualsivoglia e quella
necessaria ad estrudere una sezione circolare di uguale
area. Il fattore di forma Ke viene espresso semiempiricamente come:
Angoli piccoli comportano un esteso contatto tra
trafila e materiale, elevate forze d’attrito e maggiori
forze necessarie. D’altra parte, angoli grandi
provocano turbolenza nel materiale e, ugualmente,
aumento della forza necessaria. Ne segue una curva ad
U, mostrata in Figura 11.22 (b), con un valore ottimo
dell’angolo, che dipende dal tipo di materiale, dalla
temperatura della billetta e dalla modalità di
lubrificazione.
Ke = 0,98 + 0,02(Ce/Cc)2,25
dove :
Se il semi-angolo è retto (square die, Figura 11.23 (a))
si vengono a costituire delle zone morte, dove il
metallo è stazionario; le zone morte a loro volta creano
un angolo di trafila naturale.
Ce = perimetro della sez. reale
Cc = perimetro della sez. circ. di area uguale
Tale relazione perde di valore per rapporti (Ce/Cc) > 6.
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resistenza all’usura e capacità
indeformati a forti sollecitazioni.
I profili cavi in parete sottile sono caratterizzati da
fattori di forma elevati e sono più difficili da estrudere.
di
resistere
Nell’estrusione a caldo degli acciai, degli acciai
inossidabili e delle leghe di titanio, la lubrificazione
avviene per mezzo di vetro fuso (processo Sèjournet); per
i metalli che tendono all’incollaggio, la billetta viene
preventivamente rivestita con uno strato sottile di metallo
morbido (rame o acciaio dolce) che funge da interfaccia a
basso attrito e nel contempo protegge la billetta da
contaminazioni esterne e da ossidazioni.
Le presse per estrusione possono essere verticali o
orizzontali (soluzione più comune perché consente di
utilizzare billette più lunghe) con forza massima sino a
120MN. L’attuazione è per lo più idraulica (estrusione
diretta in continua) oppure meccanica (estrusione
discreta); tale soluzione è più spesso adottata nelle presse
verticali (estrusione per impatto).
(a)
Oltre alle classiche tecniche di estrusione diretta ed
indiretta, altre due metodologie (già citate) meritano di
essere illustrate in dettaglio:
• estrusione per impatto: spesso essa viene
annoverata tra le tecniche di estrusione indiretta. Il
punzone scende rapidamente e colpisce una
pastiglia del materiale da estrudere, contenuta nello
stampo (Figura 11.24).
(b)
Figura 11.23 – (a) Fasi successive del processo di
estrusione caratterizzato da una trafila con il semiangolo retto. (a) fase iniziale (b)fFormazione di zone
morte (c) angolo di trafila naturale dipendente dalle
zone morte. (b) Tipiche sezioni di trafila. (a) leghe di
alluminio (b) acciai.
Tenendo conto della pressione aggiuntiva dovuta alla
maggior complicazione della sezione rispetto a quella
circolare, le espressioni della pressione divengono:
estrusione indiretta:
Figura 11.24 - Diversi esempi di estrusione per impatto.
p = Keσf(med) ln (Ao/Af)
Il volume rimane costante, cosicché lo spessore
dell’estruso tubolare dipende dallo spazio (clearance)
tra punzone e stampo. Il processo può produrre
manufatti tubolari in parete sottile di altezza ridotta,
con diametro massimo di 150mm e rapporto tra
spessore e diametro 0,005 ad un rateo che può superare
i 7000 pezzi/ora
estrusione diretta:
p = Keσf(med)[ln Ao/Af + (2l/Do)]
I materiali usati per le trafile sono:
• estrusione a caldo: acciai legati per utensili,
(eventualmente ceramizzati con zirconia per
aumentare la resistenza all’usura) in virtù
dell’elevata durezza e resistenza all’usura ad
alta temperatura, nonché alta conducibilità
termica;
• estrusione idrostatica: uno dei principali problemi
dell’estrusione
diretta
risiede
nell’attrito
all’interfaccia tra billetta e camera. Esso viene
risolto dalla tecnica di estrusione idrostatica
(Figura 11.25), ove la billetta nella camera è
• estrusione a freddo: carburi, acciai da utensili,
acciai cementati, grazie alla loro elevata
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CAP. 11 – TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO
circondata da un fluido incomprimibile (olii
vegetali) che viene pressurizzato fino a 1400
MPa dal movimento del pistone. In tal modo
l’attrito tra billetta e camera viene annullato e la
forza necessaria ridotta.
flusso del materiale ed asportando lo strato esterno
di ossidi;
• cricche superficiali (Figura 11.26 (c)): se la
temperatura, l’attrito o la velocità di estrusione
sono troppo elevate, specie per le leghe di
alluminio, magnesio e zinco, si possono generare
cricche intergranulari superficiali. Il problema
viene eliminato riducendo la temperatura e/o la
velocità di estrusione. Il medesimo tipo di difetto si
può verificare anche a causa della formazione e
rilascio periodico di zone di incollaggio tra billetta
e camera.
A patto di utilizzare fluidi opportuni (cere,
polimeri, vetro fuso), il processo può venir
applicato anche ad alta temperatura. Inoltre la
pressione idrostatica aumenta la duttilità del
materiale e consente di estrudere anche materiali
troppo fragili per le tecniche convenzionali; nel
caso in cui il metallo sia già sufficientemente
duttile, possono essere ottenuti rapporti di
riduzione più elevati. Uno dei problemi
dell’estrusione idrostatica risiede nella necessità di
preparare preventivamente la billetta, che deve
essere rastremata ad una estremità per garantire la
tenuta del fluido idraulico ed impedirne la
fuoriuscita attraverso l’apertura della trafila.
Figura 11.26 - Difetti associati ai pezzi prodotti con la
tecnica dell’estrusione. (a) cavità interne (b) piping (c)
cricche superficiali.
11.4 Trafilatura
L
a trafilatura è l’operazione che consiste nel ridurre la
sezione di una barra o di un filo tirati attraverso la
luce di una trafila, come mostrato in Figura 11.27.
Figura 11.25 - Tecnica di estrusione idrostatica.
In dipendenza delle condizioni del materiale e dei
parametri di processo, le parti prodotte per
estrusione possono presentare diversi tipi di difetti,
tali da inficiarne le prestazioni e ridurne il livello
qualitativo:
• cavità interne (Figura 11.26 (a)): la zona
centrale della parte estrusa può essere affetta
dalla presenza di cavità dovute allo stato di
sforzo di trazione idrostatica che si viene a
creare nella zona di deformazione entro la
trafila. La probabilità di questo tipo di difetto
aumenta all’aumentare dell’angolo della trafila
e all’aumentare della presenza di difetti e
diminuisce all’aumentare del rapporto di
estrusione e dell’attrito;
Figura 11.27 - Operazione di trafilatura.
Il principio generale del processo è simile a quello
dell’estrusione; la differenza consiste nel fatto che
nell’estrusione il materiale è spinto attraverso la trafila;
nella trafilatura il materiale è tirato. Lo stato di sforzo è
principalmente di trazione, ma anche di compressione
allorché il materiale viene spremuto fuori dalla trafila. Il
principio generale si applica sia alle barre di maggior
diametro, ed allora il processo (con una sola passata 2 ) è di
tipo discontinuo, oppure ai fili di diametro fino a 0,03mm
e lunghezza di migliaia di metri, (con passate multiple,
variabili da 4 a 12), ed allora il processo è continuo Æ
• piping (Figura 11.26 (b)): si tratta di un difetto
tipico dell’estrusione diretta e consiste nella
formazione di una cavità centrale a forma di
coda di pesce all’estremità della billetta, dovuta
all’inglobamento di impurità e di ossidi; tale
cavità può occupare fino ad un terzo della
billetta, che deve essere eliminato come scarto.
Il problema viene eliminato controllando il
2
Per passata p si intende la differenza fra il diametro originale D0 ed il
diametro finale Df del materiale p = D0-Df
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snervamento σs. Tenendo conto che σf(med)= σs, essendo n
nullo, risulta:
trafilatura continua. Nella trafilatura, la variazione
delle dimensioni del materiale è espressa per mezzo
della riduzione percentuale r della sezione:
σt = σf(med) ln(Ao/Af)= σs ln(Ao/Af)= σs ln[1/(1-r)]= σs
r = (Ao – Af)/Ao
da cui:
dove:
ln(Ao/Af)= ln[1/(1-r)]=1
Ao = area della sezione originale
e quindi:
Af = area della sezione finale
Assumendo assenza
lubrificazione,
di
attrito
grazie
1/(1-r)= (Ao/Af)=e=2,7183 (base log. neperiano)
alla
perciò la massima possibile riduzione vale:
rmax = (e –1)/e = 0,632
è possibile calcolare la forza necessaria alla trafilatura
a partire dall’espressione della deformazione effettiva:
Tale valore rappresenta la massima possibile riduzione
teorica in un’unica passata, in quanto trascura gli effetti
dell’attrito (che ridurrebbe il valore) e l’incrudimento (che
lo aumenterebbe, poiché renderebbe il materiale più
resistente). In pratica, la riduzione per passata è molto
inferiore al limite teorico: 0,50 per passate singole e 0,30
per passate multiple rappresentano i reali valori limite
tecnologici.
ε = ln(Ao/Af)= ln[1/(1-r)]
da cui lo sforzo effettivo:
σ = σf(med)ε = σf(med)ln(Ao/Af)
essendo σf(med)ε il flow stress medio precedentemente
calcolato. È però possibile tener conto sia dell’attrito
che dell’effetto esercitato dall’angolo di conicità della
trafila tramite un’espressione semi-empirica del tipo:
σt = σf(med) [1 +(μ/tgα)]
Molto spesso la trafilatura è effettuata come cold working
per produrre a) barre di piccolo diametro Æ rivetti e
ribattini, b) fili Æ trefoli per cavi di comando. Possono
essere trafilate anche sezioni solide non circolari, nonché
tubi (per trasmissione comandi), a partire da semilavorati
prodotti per estrusione Æ miglioramento delle
caratteristiche meccaniche, della finitura superficiale e
riduzione dei difetti. La velocità di trafilatura dipende
dalla natura del materiale e dalla riduzione di sezione, ma
può variare da 1 a 2,5 ms-1 per barre di grande diametro
sino a 50 ms-1 per fili molto sottili, tenendo però conto che
elevate velocità di trafilatura producono elevate
temperature e riduzione della qualità. L’incrudimento
dovuto a forti riduzioni di sezione può rendere necessari
trattamenti termici intermedi di ricottura. Prima di
effettuare la trafilatura vera e propria, devono essere
portate a termine tre operazioni preliminari:
ln(Ao/Af)
dove:
σt = sforzo reale di trafilatura
μ = coefficiente d’attrito trafila/materiale
α = semi-angolo trafila
= coefficiente di disomogeneità delle deform.
per una sezione
Da misure sperimentali, il valore di
circolare, vale:
= 0,88 + 0,12(D/lc)
dove:
D = diametro medio durante la trafilatura
lc = lunghezza di contatto materiale/trafila
• trattamento termico di ricottura: serve ad
aumentare la duttilità del materiale e rendere
possibile la deformazione senza rottura;
calcolati come:
D = (Do – Df)/2
lc = (Do – Df)/2sinα
• pulitura chimica e pallinatura: vengono rimossi i
contaminanti superficiali per evitare di danneggiare
la trafila;
Infine, la forza totale di trafilatura Ft è espressa come:
σt = Af σf(med) [1 +(μ/tgα)]
ln(Ao/Af)
• appuntitura: viene ridotta (per tornitura o rullatura)
l’estremità della barra per rendere facile
l’inserimento nella trafila.
Da questa espressione risulta chiaro che, al crescere
del rapporto di riduzione della sezione, cresce lo
sforzo di trafilatura: per valori sufficientemente elevati
della riduzione, tale sforzo supera lo sforzo di
snervamento del materiale. Se ciò accadesse, il filo
semplicemente si allungherebbe, senza che nuovo
materiale sia realmente spremuto attraverso la trafila.
Affinché lo sforzo di trafilatura sia minore dello sforzo
di snervamento del materiale, la riduzione di sezione
non può quindi superare un determinato valore.
Assumendo assenza di attrito e materiale perfettamente
plastico (n = 0), il massimo valore possibile dello
sforzo di trafilatura σt è uguale allo sforzo di
Gli impianti per la trafilatura sono diversi a seconda che
debbano produrre barre o fili. Nel caso di barre, il
funzionamento è discontinuo e l’impianto è costituito da
una struttura che supporta l’attuatore idraulico che
imprime la trazione, il carrello che afferra le barre e la
trafila (Figura 11.28).
Spesso tali impianti operano su più barre
contemporaneamente, possono trafilare barre di diametro
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sino a 20mm e lunghezza sino a 30m, applicano forze
sino a 1,3MN a velocità di 6-60m/min.
Per aumentare la resistenza all’usura, le trafile in acciaio
sono cromate, quelle in carburi sono ricoperte con nitruro
di titanio. I mandrini per la trafilatura di tubi sono in
acciaio temprato superficialmente oppure anch’essi in
carburi. Per trafilare fili di diametro 1,5mm – 2μm si
usano trafile in diamante sintetico monocristallino o
sinterizzato. La trafilatura a caldo richiede invece trafile in
acciaio da colata, in virtù della loro elevata resistenza
all’usura ad elevata temperatura.
Nel caso di fili, gli impianti di trafilatura (Figura
11.29) sono costituiti da trafile multiple, intervallate
da tamburi azionati da motori elettrici che forniscono
la forza di trazione necessaria ed avvolgono il filo,
accumulandolo in attesa dell’operazione successiva. Si
tratta di un processo in continua, talvolta interrotto da
trattamenti termici di ricottura.
Figura 11.30 - Caratteristiche tipiche di una trafila (si
vedano le zone indicate dalle parentesi graffe).
Figura 11.28 - Esempio di impianto di trafilatura per
l’ottenimento di barre.
I processi di trafilatura dipendono grandemente dalla
modalità di lubrificazione, la quale prolunga la vita delle
trafile, riduce la forza e la temperatura e migliora la
qualità superficiale. Nel caso della trafilatura di tubi la
lubrificazione è estremamente critica a causa della
difficoltà di mantenere un film di adeguato spessore
all’interfaccia materiale/mandrino. In dipendenza della
modalità di lubrificazione si può avere:
• trafilatura a umido: sia il materiale che la trafila
sono completamente immersi nel lubrificante,
costituito da olii minerali o da emulsioni acquose
con additivi clorinati;
Figura 11.29 - Esempio di impianto di trafilatura per la
produzione di fili
• trafilatura a secco: solo la superficie della barra da
trafilare è lubrificata, in conseguenza del passaggio
attraverso una camera contenente sapone, posta a
monte della trafila;
Le caratteristiche tipiche delle trafile sono mostrate in
Figura 11.30. Si distinguono 4 zone particolari:
• la bocca d’entrata a forma di campana, che non
entra in contatto con il materiale e garantisce
l’apporto del lubrificante;
• rivestimento: la barra o il filo da trafilare sono
ricoperti da uno strato di metallo morbido (rame o
stagno depositati chimicamente), che fungono da
lubrificante solido;
• la zona d’approccio, nella quale il materiale
viene effettivamente trafilato; ha forma conica
con semi-angolo variabile da 6° a 20° in
dipendenza del tipo di materiale;
• vibrazione ultrasonora: sia la trafila che
mandrino sono messi in vibrazione; ciò riduce
forze, migliora la qualità superficiale, aumenta
vita della trafila e consente maggiori riduzioni
sezione per passata.
• la sezione minima di pressione, che determina il
diametro finale del manufatto;
• la regione di uscita, di forma conica con un
semiangolo di 30°.
il
le
la
di
La trafilatura può essere utilizzata anche per ridurre il
diametro o lo spessore di parete di tubi senza saldatura
prodotti con altri processi (per esempio estrusione). A
seconda delle scelte tecnologiche relative al mandrino,
possono essere adottate diverse metodologie:
A seconda della complessità del profilo che si vuole
trafilare, la trafila può essere costituita da un pezzo
singolo oppure da diversi segmenti tenuti assieme da
un anello. Le trafile in genere sono costruite con acciai
da utensile o con carburi.
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I principali difetti che può presentare un manufatto
trafilato sono:
• cricche nella parte centrale;
• rigature longitudinali sulla superficie;
• piegature e torsioni longitudinali;
• sforzi residui; nel caso di leggere riduzioni di
sezione, si creano sforzi di trazione al cuore e di
compressione sulla superficie Æ migliorata
resistenza a fatica; nel caso di riduzioni di sezione
più marcate, si generano sforzi di compressione al
cuore e di trazione in superficie Æ possibilità di
stress-corrosion.
(a)
11.5 Forgiatura: aspetti generali
I
n dipendenza del fatto che durante il processo
tecnologico il materiale sia o meno confinato tridimensionalmente, si suole trattare separatamente la
forgiatura in stampo aperto e la forgiatura in stampo
chiuso; alcuni aspetti sono però comuni:
forgiabilità – la forgiabilità è definita come la capacità di
un materiale di subire deformazioni senza criccarsi.
Esistono numerosi test per valutare la forgiabilità, anche
se nessuno è universalmente accettato: uno di questi
consiste nel comprimere assialmente un cilindro rilevando
l’insorgere di cricche sulla superficie esterna a botte al
crescere della deformazione (upsetting test); esso può
essere effettuato a varie temperature e ratei di
deformazione. Un altro test consiste nel torcere un
provino circolare attorno al suo asse (hot-twist test),
legando la forgiabilità al valore dell’angolo di torsione che
può raggiungere prima di cedere, anche in questo caso a
diversi livelli di temperatura. La Tabella 11.3 elenca
diversi metalli in ordine decrescente di forgiabilità.
(b)
Tale classifica si basa su considerazioni di duttilità,
resistenza e qualità del forgiato e deve essere considerata
solo come orientativa. A causa della differente duttilità a
differenti temperature, le leghe bi-fasiche (come il titanio)
sono più difficili da forgiare di quelle mono-fasiche. La
stessa tabella riporta anche le temperature di forgiatura
(hot working): si noti che alte temperature non significano
necessariamente maggior difficoltà di forgiatura del
materiale. Per i processi warm-working le temperature
variano da 200-300 °C per le leghe d’alluminio a 350-750
°C per gli acciai.
(c)
Figura 11.31 – (a) Trafilatura senza mandrino. (b)
Trafilatura con mandrino fisso. (c) Trafilatura con
mandrino flottante.
• trafilatura senza mandrino (Figura 11.31 (a)):
che non garantisce però il controllo
morfologico della superficie interna del tubo;
• trafilatura con mandrino fisso (Figura
11.31 (b)): la lunghezza del supporto limita
necessariamente la lunghezza del tubo che può
essere prodotto;
attrito - nei processi di forgiatura, come in tutti i processi
di lavorazione dei metalli caratterizzati da un movimento
relativo tra stampo e metallo, l’attrito costituisce un
fenomeno di fondamentale importanza, in quanto:
• trafilatura con mandrino flottante (Figura
11.31 (c)): grazie alla propria forma, il
mandrino trova una posizione stabile in
corrispondenza della zona d’approccio della
trafila.
• aumenta la forza necessaria;
• peggiora la finitura superficiale del manufatto;
• provoca usura degli stampi.
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Sebbene il contatto avvenga solo in corrispondenza
delle asperità delle superfici, come area A viene
assunta l’area totale di contatto, mentre il coefficiente
di attrito coulombiano μ viene usualmente assunto
costante per un dato materiale, stampo e tipo di
lubrificante.
forgiatura consiste nella lubrificazione.
generalmente classificata come:
Essa
è
• idrodinamica: il meato lubrificante è mantenuto dal
rapido moto relativo tra stampo e materiale;
• con lubrificanti consumabili: gli acidi grassi
formano film di saponi metallici solidi, che
vengono via vai consumati;
Tabella 11.3 - Intervallo approssimativo delle
temperature per l’operazione di forgiatura a caldo.
• per alta pressione: i lubrificanti sono costituiti da
paraffine clorinate (50%) resistenti a pressioni
estremamente elevate;
• con film solidi: dotati di resistenza a taglio
inferiore a quella del metallo da lavorare; sono
costituiti da rame, piombo, grafite, disolfuro di
molibdeno (MoS2).
I lubrificanti a loro volta di distinguono tra:
• lubrificanti liquidi:
○ olii vegetali o minerali
○ olii con acidi grassi (per alte pressioni)
○ emulsioni acquose di olii con fasi solide
• lubrificanti solidi:
Quando lo sforzo tangenziale all’interfaccia eguaglia il
flow stress a taglio del materiale, avviene il fenomeno
dell’incollaggio, non vi è più moto relativo tra stampo
e metallo: quest’ultimo non scorre più sulla superficie
dello stampo, ma si deforma in prossimità della
superficie stessa 3 . Lo sforzo tangenziale all’interfaccia
non può quindi superare il flow stress a taglio del
materiale ed il coefficiente d’attrito μMAX assume il suo
valore massimo di 0,577 o 0,500 a seconda che si
adotti, rispettivamente, il criterio di snervamento di
Von Mises o del massimo sforzo di taglio. Dal punto
di vista fenomenologico, il meccanismo dell’attrito
dipende da:
○ fasi solide in solventi volatili
○ polimeri
○ cere
Le funzioni della lubrificazione sono:
• ridurre l’attrito e l’usura dello stampo;
• impedire l’asportazione del metallo da parte dello
stampo;
• garantire l’isolamento termico tra stampo e
materiale e raffreddare quest’ultimo;
• controllare la finitura superficiale del manufatto.
• interazione meccanica delle asperità;
Nel far questo, il lubrificante deve, nel contempo:
• rigatura del materiale più cedevole
• sopportare le condizioni di processo (temperatura e
pressione);
• saldatura a pressione, successivo incrudimento
e rottura delle asperità.
• non
deteriorarsi
l’immagazzinamento;
Generalmente si assume che μ mantenga un valore
costante durante il processo. Tale valore dipende però
dalla temperatura. Di seguito alcuni valori tipici:
durante
l’uso
e
• essere facile da applicare e rimuovere, senza
lasciare residui;
• cold working: μ = 0,1
• essere sicuro e non tossico:
• warm working: μ = 0,2
• hot working: μ = 0,4
magli - sia la forgiatura in stampo aperto, che la forgiatura
in stampo chiuso possono venir effettuate con presse (ove
la forza viene applicata progressivamente nel tempo) o
con magli (ove la forza è applicata istantaneamente).
Spesso si preferiscono questi ultimi, in considerazione del
fatto che di solito si lavorano materiali al di sopra della
temperatura di ri-cristallizzazione, a partire da semilavorati massicci, con l’obiettivo di imprimere forti
deformazioni, senza avere particolari problemi di
lubrificazione – un accorgimento irrinunciabile per
limitare le conseguenze dell’attrito durante la
3
In realtà, prove sperimentali hanno dimostrato che, in un processo
di cogging, μ può variare da 0 al centro del cilindro fino a 0,5 alla
periferia.
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macchine producono forgiati near-net-shape di
buona accuratezza dimensionale e finitura
superficiale, anche di materiali difficilmente
forgiabili.
incrudimento dinamico. Per questo motivo, qui di
seguito vengono descritte le principali architetture dei
magli, lasciando la descrizione delle presse idrauliche
al capitolo relativo alle tecnologie di deformazione
plastica a freddo. I magli sono macchinari che
derivano la loro energia dall’energia potenziale della
massa battente, che è convertita in energia cinetica e
poi in energia di deformazione plastica del materiale
da lavorare: perciò essi operano ad energia limitata. A
differenza delle presse idrauliche, essi operano ad alta
velocità ed i conseguenti ridotti tempi di formatura
minimizzano il raffreddamento del materiale. Tale
basso rateo di raffreddamento consente di realizzare
forme complesse ed intricate. In ogni caso, è
necessario effettuare una serie di impatti ripetuti per
completare la forgiatura del pezzo. Sono disponibili
diversi tipi di maglio: essi costituiscono comunque i
macchinari più versatili ed economici per questo tipo
di operazione. La scelta del macchinario dipende da:
forza necessaria, dimensioni, forma e complessità del
pezzo; resistenza del materiale e sua sensibilità al rateo
di deformazione; rateo produttivo, manodopera
necessaria, livello di rumore e costo. In generale il
maglio è preferito per la forgiatura di acciai, leghe di
titanio, di rame e metalli refrattari, mentre le presse
sono adatte alla forgiatura delle leghe di alluminio,
magnesio, berillio, bronzo e ottone. Non di rado,
vengono utilizzate in serie prima un maglio e poi una
pressa idraulica o meccanica. Di seguito sono illustrati
i più comuni tipi di maglio:
stampi - la maggior parte delle operazioni di forgiatura
viene effettuata ad elevata temperatura, per questo, i
requisiti generali dei materiali per stampi sono:
• resistenza e tenacità ad elevata temperatura;
• induribilità superficiale;
• resistenza agli shock meccanici e termici;
• resistenza all’usura.
Inoltre la scelta dei materiali dipende anche da:
• dimensioni e forma del forgiato;
• temperatura di processo;
• la numerosità della serie;
• il costo.
Tutto ciò considerato, i più comuni materiali per stampi
sono gli acciai al cromo, nickel, molibdeno e vanadio, la
ghisa e le leghe non ferrose. Essi possono essere prodotti
per fusione o, più comunemente, per forgiatura e
successiva lavorazione alla macchina utensile. Poiché i
materiali per stampi sono resistenti e duri
superficialmente, spesso è conveniente lavorarli con
tecniche sottrattive non convenzionali, come l’elettroerosione a tuffo o la fresatura chimica/elettrochimica.
• board drop hammer (Figura 11.32): la massa
battente è sollevata per mezzo di una o più
tavole, che passano attraverso due rulli a
frizione e poi viene rilasciata meccanicamente;
peso della massa battente 50-5000 kg
• air-lift gravity drop hammer: la massa battente
è sollevata tramite attuatori ad aria compressa o
vapore e lasciata cadere per gravità; peso della
massa 250-5000 kg; energia 350-7.250 kgm;
• power drop hammer (Figura 11.33 (a)): la forza
della massa battente è incrementata da attuatori
ad aria o vapore in pressione a 620-860 kPa;
peso della massa 250-17.500 kg; energia 103059.000 kgm;
• counterblow
hammer:
possono
essere
orizzontali o verticali (cfr. Figura 11.33 (b)); la
forza di forgiatura è dovuta al movimento di
due attuatori a vapore a moto contrapposto; le
vibrazioni sono limitate (in quanto è eliminata
l’incudine); le energie possono arrivare sino a
125.000kgm (verticali), 10.000 (orizzontali);
• high energy-rate forging (HERF) machines:
sono magli di tipo counterblow, con attuatori ad
idrogeno e sistemi a rilascio rapido; la velocità
della massa può raggiungere i 20 ms-1 (rispetto
ai 2,5-8,5 ms-1 dei magli convenzionali); queste
Figura 11.32 - Maglio di tipo: board drop hammer.
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(convessi) o stampi femmina (concavi) oppure a seconda
della dimensione: stampi piccoli con superfici di 103-104
mm2, stampi grandi con superfici > 106mm2. Durante
l’esercizio, gli stampi possono andare incontro a rotture
per una o più delle seguenti cause:
• errori di progetto: gli stampi devono essere
correttamente dimensionati, evitando brusche
variazioni di sezione, raccordi e spigoli vivi;
• materiale difettoso;
• errori nel trattamento termico e/o nelle lavorazioni
di finitura superficiale: i materiali per stampi sono
duri e resistenti, ma spesso sono sensibili agli
impatti e all’azione chimica di taluni lubrificanti;
• sovra-riscaldamento o shock termici: per evitare
riscaldamenti repentini, di solito gli stampi sono
pre-riscaldati a 1500-2500 °C;
• eccessiva usura: oltre che al cedimento dello
stampo, essa può indurre errori dimensionali nei
manufatti. Gli stampi usurati possono comunque
essere riparati per saldatura o laser-deposition di
metalli. Talvolta si realizzano stampi componibili,
aventi inserti sostituibili in corrispondenza delle
regioni soggette a maggior usura;
• sovra-sollecitazione: può essere dovuta ad errore di
allineamento oppure alla mancata rimozione del
pezzo prima di procedere alla forgiatura
successiva;
(a)
• errori nell’uso o nella movimentazione.
Infine una curiosità: non è raro il caso di stampi posti a
riposo sul pavimento o sugli scaffali che si disintegrano
istantaneamente esplodendo a causa degli sforzi residui e
proiettando all’intorno schegge ad alta velocità: per questo
motivo essi devono sempre essere protetti da schermi
opportunamente progettati e realizzati.
difetti – oltre alle cricche superficiali dovute alla scarsa
forgiabilità (vedi sopra), possono nascere altri difetti
durante il riempimento dello stampo da parte del
materiale. Se la quantità di materiale è insufficiente a
riempire lo stampo (Figura 11.34 (a)), le anime sottili
possono instabilizzarsi e sviluppare sovrapposizioni: lo
spessore delle anime dovrebbe essere aumentato. Al
contrario, se la quantità di materiale è eccessiva e lo
spessore delle anime sovradimensionato, il materiale in
esubero tende a rifluire verso le nervature, creando delle
cricche (Figura 11.34 (b)). Questi tipi di difetti sono
influenzati dalla presenza di angoli e raccordi. Altri tipi di
difetti interni possono svilupparsi a causa di:
(b)
Figura 11.33 – (a) Maglio di tipo: power drop hammer
(b) Maglio di tipo: counterblow hammer.
Essi subiscono poi trattamenti termici superficiali per
aumentare la durezza ed infine vengono rettificati e/o
lucidati con metodi meccanici, elettrici o chimici per
migliorare l’accuratezza dimensionale e minimizzare
la rugosità, avendo cura di evitare distorsioni e nascita
di stati di sforzo residui. In conseguenza di tale
processo produttivo, un set di stampi per produzione in
grande serie può arrivare a costare 1,5-2,0 MEuro. Gli
stampi possono essere classificati in stampi maschio
• disuniforme deformazione del materiale;
• gradienti di temperatura nel materiale;
• difetti microstrutturali dovute a cambi di fase.
Una situazione che non costituisce di per sé un difetto, ma
che può innescare un danneggiamento in servizio si
verifica quando le linee di flusso del materiale, e quindi
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l’orientazione dei grani, raggiunge la superficie esterna
perpendicolarmente (Figura 11.35).
riferimento non è stata trovata.); il costo unitario va
quindi riducendosi all’aumentare della numerosità della
serie, e tende asintoticamente al costo del solo materiale +
manodopera.
Evidentemente l’incidenza del costo del materiale
dipende dal suo costo intrinseco e dalla massa del
forgiato. L’incidenza del costo del materiale sul costo
totale aumenta perciò all’aumentare delle sue dimensioni
in quanto, al tempo stesso:
• il costo relativo per gli impianti non aumenta;
• il costo della manodopera aumenta di poco;
il costo degli stampi aumenta in funzione della superficie
(m2) del getto, mentre il costo del materiale aumenta con il
suo volume (m3).
Nei processi di forgiatura il costo della manodopera è
generalmente basso, grazie all’adozione delle tecniche
CAD/CAM per la progettazione degli stampi e della
automazione/controllo durante le fasi produttive. La
billetta viene posizionata nello stampo ed il forgiato viene
rimosso dallo stampo per mezzo di manipolatori e robot.
Anche i processi di lubrificazione e di finitura sono
automatizzati: l’evoluzione tende inoltre verso processi
near-net-shape per ridurre le fasi produttive, aumentare il
rateo e diminuire il costo. A quest’ultimo proposito, in
Figura 11.37 sono confrontati i costi unitari di un
componente significativo prodotto con le tecnica di
forgiatura e con i vari processi di colata: ne risulta che, in
conseguenza degli elevati costi per gli stampi, la
forgiatura è competitiva solo per serie produttive molto
numerose (decine di migliaia di esemplari).
Figura 11.34 - (a) Instabilizzazione delle anime a causa
della insufficiente quantità di materiale. (b) Formazione
di cricche a causa dell’esubero di materiale.
Perciò essa è raramente adottata nella produzione
aerospaziale, se non per produrre semilavorati da
sottoporre a ulteriore lavorazione alla macchina utensile.
Figura 11.35 - Esempio di pezzo ottenuto per forgiatura.
Si noti che l’orientazione dei grani e le linee di flusso
raggiungono perpendicolarmente la superficie esterna.
Le superfici di bordo grano così esposte direttamente
all’ambiente e possono essere attaccate chimicamente
Æ nascita di cricche.
Tutti questi difetti portano, in servizio, a problemi di:
• fatica
• corrosione
• usura
Figura 11.36 - Diagramma che mostra l’effetto del numero
dei pezzi nei confronti del costo unitario relativo.
aspetti economici – il costo di un forgiato dipende da
diversi fattori (.
L’incidenza del costo delle attrezzature e degli stampi
può, come già detto, essere rilevante. D’altra parte,
come per altre tecnologie, tali costi vengono distribuiti
su tutti gli esemplari prodotti (Errore. L'origine
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autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.
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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01
CAP. 11 – TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO
caratteristiche, grazie alla compattazione dei vuoti ed alla
orientazione dei grani. Alcune tipiche lavorazioni di
forgiatura in stampo aperto sono mostrate in Figura 11.38:
a) cogging – compressione tra stampi di dimensioni
minori rispetto al pezzo;
b) upsetting – compressione tra stampi piani;
c) heading – compressione e deformazione localizzata di
una sola estremità del pezzo (p.e. per formare la testa);
d) swaging – compressione tra stampi longitudinali e
semicircolari (p.e. per ridurre lo spessore di una barra);
e) fullering – compressione tra stampi convessi per
ridurre la sezione intermedia di una barra;
f) edging – compressione tra stampi concavi per
aumentare la sezione intermedia di una barra.
La Figura 11.39 mostra invece le cosiddette operazioni
ancillari (o ausiliarie) che possono venir effettuate a
completamento di una forgiatura in stampo aperto:
Figura 11.37 - Effetto del numero di pezzi da produrre,
parametrizzato in funzione della tecnica produttiva, nei
confronti del costo relativo di un elemento.
a) punching – perforazione per mezzo di attrezzi di forma
complementare;
11.6 Forgiatura in stampo aperto
b) piercing – indentazione per mezzo di attrezzi di forma
complementare;
P
er forgiatura in stampo aperto si intendono tutte le
operazioni di deformazione plastica dei metalli,
svolte a temperatura superiore alla ricristallizzazione
su semilavorati massicci (con basso rapporto tra
superficie e volume), nelle quali non esiste un vincolo
laterale a parte l’attrito e di conseguenza non viene
esercitato uno sconfinamento tridimensionale. La
forgiatura in stampo aperto (la quale ingegnerizza
l’operazione artigianale del fabbro che lavora con
incudine e martello) fa uso di impianti come il maglio
o la pressa (che verranno discussi) più avanti; gli
stampi sono piani o quasi-piani e la manipolazione del
pezzo viene fatta manualmente o tramite manipolatori
meccanici. Questo tipo di processo viene utilizzato
quando:
c) shearing – rescissione per mezzo di attrezzi sfalsati;
d) extrusion – estrusione di una protuberanza entro uno
stampo recante una cavità;
e) bending – piegatura tramite attrezzi di forma
complementare;
f) twisting - torsione di una barra piana.
Se la forgiatura in stampo aperto viene effettuata in
condizioni ideali, ovvero trascurando l’attrito tra il
materiale da lavorare e la superficie, allora si instaura una
deformazione omogenea e il flusso radiale del materiale è
uniforme lungo tutta l’altezza (Figura 11.40 (a)).
In queste condizioni ideali, la deformazione effettiva ε del
materiale durante in un istante qualsiasi vale:
• la forma da ottenere è molto semplice;
• la serie produttiva è minima e non giustifica il
costo degli stampi;
ε = ln(ho/h)
ove:
• costituisce un’operazione preliminare di preformatura preparatoria a successive operazioni
di forgiatura in stampo chiuso o di lavorazione
alla macchina utensile;
ho = altezza iniziale
h = altezza ad un istante generico
al termine del processo h = hf e la deformazione raggiunge
il suo massimo valore. La forza necessaria in ogni istante
per continuare la deformazione è pari al prodotto tra la
corrispondente area della sezione A ed il flow stress σf
corrispondente alla deformazione ε:
• il componente ha dimensioni troppo grandi per
essere forgiato in stampo chiuso;
• i tempi di consegna sono troppo ravvicinati e
non consentono la realizzazione degli stampi.
F = σfA
Talvolta la forgiatura in stampo aperto è conveniente
per produrre grandi componenti (come alberi di
trasmissione o alberi a gomito) che richiedono come
ulteriori operazioni solo lavorazioni/finiture localizzate
e trattamenti termici. Spesso, così facendo, non solo si
risparmiano costose lavorazioni alla macchina utensile,
ma si impartiscono al materiale migliori
Durante il processo, l’altezza va continuamente
diminuendo e l’area va aumentando, come pure il flow
stress σf a causa dell’incrudimento, ad eccezione del caso
in cui il materiale è perfettamente plastico. In tal caso,
l’esponente di incrudimento è nullo ed il flow stress σf è
uguale allo sforzo di snervamento σsn del materiale. La
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forza raggiunge il massimo valore al termine del
processo, quando sia l’area che lo sforzo sono
massimi.
Figura 11.39 - Operazioni ancillari (ausiliarie) a
completamento di una precedente operazione di forgiatura.
(a)
Figura 11.38 – Operazioni di forgiatura in stampo
aperto.
Nella realtà l’attrito si oppone al flusso del materiale in
corrispondenza delle superfici degli stampi: ciò
provoca la deformazione a botte mostrata in Figura
11.40(b).Essa è tanto più pronunciata tanto maggiore è
la differenza di temperatura tra il materiale e lo
stampo, in quanto vi è assorbimento di calore dello
stampo dal materiale, raffreddamento di quest’ultimo,
aumento della sua resistenza alla deformazione e del
coefficiente d’attrito4 . Il metallo fluisce meglio nella
parte centrale del pezzo (più calda) che alle estremità
(più fredde); tale effetto è tanto più rilevante tanto più
aumenta il rapporto tra diametro ed altezza del pezzo,
a causa del maggior trasferimento di calore.
(b)
Figura 11.40 – (a) Fasi successive nel processo di forgiatura
in stampo aperto in condizioni ideali: attrito nullo e
deformazione omogenea. (b) Fasi successive nel processo di
forgiatura in stampo aperto in condizioni reali: attrito non
nullo e con deformazione a botte.
A causa di tutti questi effetti, la reale forza F necessaria è
maggiore, in ragione di un fattore di forma Kf determinato
per via semi-empirica, e vale:
F = KfσfA
ove:
4
Per ovviare a questo inconveniente, e specie per materiali di
difficile forgiabilità, come le leghe di titanio e le superleghe, viene
adottata la tecnica della isothermal forging, nella quale gli stampi
sono mantenuti a temperatura prossima a quella del materiale, in
modo che questo non si raffreddi durante il processo; spesso si opera
in vuoto in modo da evitare ossidazioni superficiali-.
Kf = 1 + 0,4μD/h
avendo assunto:
μ = coefficiente d’attrito definito come μ = τ/p
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D = diametro del pezzo a contatto con la
superficie
calcolo della forza di forgiatura necessaria; in questa
fase si tiene conto di:
h = altezza del pezzo
• necessario strato di sovrametallo;
τ = sforzo tangenziale all’interfaccia
• angolo di spoglia per la sformatura;
p = pressione normale all’interfaccia.
• opportuni angoli di raccordo;
A causa della variazione del flow stress, dell’altezza,
dell’area e del coefficiente d’attrito, la forza varia a
sua volta durante in processo. La Figura 11.41 ne
riporta un tipico andamento per una operazione di
jogging.
• cavità per formare il testimone 5 ;
3) progettazione del semilavorato di partenza (billetta) e,
nel caso di forgiati particolarmente complessi, di
eventuali pre-forme intermedie;
4) preparazione della billetta o della pre-forma;
5) riscaldamento in forno della billetta o della pre-forma;
6) pre-riscaldamento e lubrificazione dello stampo;
7) forgiatura e finitura del forgiato,
8) pulitura chimica, eventuale lavorazione meccanica e
controllo dimensionale;
9) eventuale trattamento termico;
10) ispezione finale.
A questo fine possono essere adottate diverse strategie:
• metodi semi-empirici, che richiedono grande
esperienza nell’utilizzo e comportano grandi livelli
di approssimazione;
• metodi analitici (upper-bound method, slip-line
method), con limiti di impiego dovuti al grado di
complicazione della forma;
• metodi numerici (elementi finiti, differenze finite),
che presuppongono però la conoscenza delle leggi
costitutive del materiale.
Facendo riferimento al pezzo di forma assialsimmetrica
mostrato in Figura 11.43 , le fasi del processo e la relativa
curva carico-spostamento sono riportate in Figura 11.44:
Figura 11.41 - Diagramma tipico dell’andamento della
forza di forgiatura durante l’operazione di cogging
(forgiatura in stampo aperto).
1) upsetting, nella quale il materiale fluisce lateralmente
per formare la flangia e verso l’alto per formare il
rilievo centrale;
11.7 Forgiatura in stampo chiuso
L
a definizione forgiatura in stampo chiuso si
riferisce a tutte quelle operazioni di forgiatura che
comportano confinamento e controllo tridimensionale
del materiale, a differenza di quanto accade durante la
forgiatura in stampo aperto. Nelle costruzioni aerospaziali vengono prodotti con questa tecnica semilavorati o pezzi finiti quali: gambe degli organi di
atterraggio, ordinate di forza, longheroni (Figura
11.42 (a-c)).
2) filling, nella quale la cavità centrale è riempita del
tutto ed inizia a riempirsi il testimone;
3) forging, nella quale il processo è completato, la cavità
è riempita, i massimi valori di forza e di pressione
sono raggiunti.
Secondo la pratica progettuale il land (e quindi il
testimone) ha uno spessore pari a circa il 3% dello
spessore massimo del forgiato ed una lunghezza pari a 2-5
volte lo spessore. Il metallo che si solidifica all’interno del
land ed (eventualmente) entro il gutter è il cosiddetto
testimone (cfr. nota5).
Il processo di progettazione e di realizzazione di una
forgiatura in stampo chiuso passa attraverso le
seguenti fasi:
1) progettazione della parte, secondo criteri
puramente
funzionali,
senza
presupporre
necessariamente la produzione per forgiatura;
5
Il testimone è quella porzione di materiale in esubero che fuoriesce
dallo stampo e riempie (anche parzialmente) delle cavità all’uopo
progettate. La sua esistenza testimonia appunto l’avvenuto riempimento
dello stampo ed è conditio-sine-qua-non per poter considerare portato a
termine con successo un processo di forgiatura in stampo chiuso.
2) una volta presa la decisione di realizzare la parte
per forgiatura in stampo chiuso, progetto
tecnologico della parte e dello stampo, nonché
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(a)
Figura 11.43 - Esempio di elemento assialsimmetrico
ottenibile con la forgiatura in stampo chiuso.
E’ bene che il volume del testimone sia mantenuto al
minimo per due motivi:
• valori eccessivi provocano alti valori di
sollecitazione sullo stampo (cfr. Figura 11.45) e ne
riducono la vita;
• il materiale del testimone costruisce uno sfrido, e
quindi incide negativamente sul costo totale del
forgiato (per il 50% circa dovuto al materiale).
(b)
Figura 11.44 – (a), (b), (c) fasi del processo (d) curva di
carico-spostamento addotte al pezzo assialsimmetrico
mostrato nella figura 11.43.
Il rendimento del materiale in un processo di forgiatura in
stampo chiuso varia dal 50 al 70% rispetto al volume
originario del materiale, quindi un risparmio del 10%, che
comporta un risparmio in costo del 5% non è
disprezzabile: d’altra parte, gli stampi sono progettati e la
forma/volume della billetta sono scelti in modo da
minimizzare lo sfrido dovuto al testimone. Il grado di
riempimento della cavità prima che cominci a formarsi il
testimone costituisce un buon indicatore del livello di
(c)
Figura 11.42 – Elementi prodotti per applicazioni
aerospaziali. (a) Componenti di organi di atterraggio;
(b) ordinate di forza; (c) longheroni.
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ottimizzazione della forma della billetta. Il coefficiente
di riempimento k è definito come:
E = S2V ε σf(med)
ove:
k = 100(Vm/Vs)
S2 = fattore di forma Æ energia (Tabella 11.4) Una fase
decisiva per la buona riuscita di un processo di forgiatura
in stampo chiuso risiede nel progetto dello stampo stesso.
A questo fine è necessario conoscere la resistenza e la
duttilità del materiale da forgiare, la sua sensibilità al rateo
di deformazione, alla temperatura ed all’attrito, nonché la
complessità della forma del pezzo da forgiare. Il materiale
fluisce nella direzione di minor resistenza, quindi prima di
tutto è di importanza fondamentale una pre-forma adatta a
riempire la cavità dello stampo.
ove:
Vm = volume del metallo nella cavità
Vs = volume della cavità
La Figura 11.45 mostra il legame tra il coefficiente di
riempimento ed il proporzionamento altezza/larghezza
ho/bo del forgiato, ottenuto sperimentalmente.
Poiché il volume del materiale è costante, anche il
volume del testimone costituisce un indice del
riempimento della cavità: tanto più piccolo, tanto
migliore il riempimento.
Tabella 11.4 - Fattori di forma S1 e S2 in funzione della
modalità di deformazione.
Una prima valutazione della massima forza F richiesta
per la forgiatura si può ottenere dalla seguente formula
semi-empirica:
F = S1σf(med)Ap
ove:
S1 = fattore di forma Æ forza (Tabella 11.4)
σf(med) = flow stress medio del materiale
Ap = area proiettata, incluso il testimone
Figura 11.45 - Diagramma sperimentale del coefficiente
di riempimento k rispetto al parametro di
proporzionamento altezza/larghezza (ho/bo) del forgiato.
Figura 11.46 - Disegno esemplificativo delle principali
caratteristiche di uno stampo.
Dato questo per scontato, le principali caratteristiche di
uno stampo sono (cfr. Figura 11.46):
Il flow stress medio viene calcolato a partire dalla
deformazione ε e dal rateo di deformazione dε/dt:
• linea di partizione: è l’intersezione tra la superficie
esterna del forgiato ed il piano che divide lo
stampo superiore dallo stampo inferiore.
Generalmente essa coincide con la sezione
massima del forgiato. Per forgiati di forma
complessa la linea di partizione si sviluppa su più
piani. La scelta della linea di partizione influisce
sull’orientazione dei grani, la formazione del
testimone e la forza massima richiesta;
ε = ln(hf/hi) = ln(V/Ap/hi)
dε/dt = v/h
ove:
V = volume del forgiato
hf = altezza finale del forgiato
hi = altezza iniziale del forgiato
v = velocità istantanea del processo
• angolo di spoglia: è l’entità dell’inclinazione delle
superfici teoricamente parallele alla direzione di
sformatura, necessaria per consentire l’estrazione
h = corrispondente altezza
L’energia totale necessaria E per la forgiatura vale:
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del pezzo dallo stampo. Esso vale circa 3° per
le leghe d’alluminio, 5°-7° per gli acciai ed è
pressoché nullo nel caso di forgiatura di
precisione. La contrazione al raffreddamento è
tenuta in conto da angoli di spoglia interni (7°10°) maggiori di quelli esterni (3°-5°);
questo fine sono necessari stampi più complessi, billette
controllate in forma, dimensione e posizionamento,
nonché pressioni di forgiatura più elevate dell’usuale;
forgiatura senza testimone (Figura 11.48) – è un processo
nel quale il volume della billetta di partenza è identico al
volume della cavità dello stampo, che è realmente chiusa,
priva delle cavità ausiliarie (lead, gutter) volte alla
formazione del testimone. La tecnologia si presta alla
forgiatura di forme relativamente semplici in lega di
alluminio/magnesio e richiede un accurato controllo del
volume della billetta: se insufficiente non vi sarà
riempimento completo, se esuberante provocherà sovra
pressioni nello stampo;
• anime e nervature: le anime sono le parti sottili
del forgiato, parallele alla linea di partizione; le
nervature sono irrigidimenti sottili a sviluppo
perpendicolare alla linea di partizione. Tanto
più anime e nervature sono sottili, tanto più
difficoltoso è il flusso del metallo;
• spigoli, angoli e raggi di raccordo: devono
assumere valori grandi per quanto possibile, in
quanto rendono difficile il flusso del metallo e
inducono concentrazioni di sforzo nello stampo,
problemi di usura e fatica;
forgiatura della testa (heading) (Figura 11.49) – è una
tecnologia attraverso la quale viene ricavata la testa di
rivetti, ribattini e viti a partire da una barra di sezione
circolare. Il processo è altamente automatizzabile e
caratterizzato da elevati ratei produttivi (migliaia di
pezzi/ora). Per evitare l’instabilizzarsi della barra
compressa assialmente, in genere non è consigliabile
forgiarne una lunghezza maggiore di tre volte il diametro,
a meno che il rapporto tra il diametro della testa che si
vuole ottenere (e quindi della cavità dello stampo) ed il
diametro della barra sia minore di 1,5
• testimone: la formazione del testimone è
responsabile dell’aumento di pressione
all’interno della cavità dello stampo, causata
dalla strizione in corrispondenza del land; lo
spessore e la lunghezza del land controllano il
valore della pressione; il gutter offre una via di
fuga per il materiale in esubero ed evita che la
pressione raggiunga valori troppo elevati;
• sovrametallo: è la quantità di materiale previsto
in esubero sulla superficie del forgiato, specie
in
corrispondenza
di
superfici
di
accoppiamento, flange e fori; esso viene
asportato con successive lavorazioni di
macchina, onde rispettare requisiti in termini di
tolleranza dimensionale e rugosità superficiale;
• contrazione termica: alla conclusione del
processo il materiale si raffredda e si contrae:
quindi lo stampo deve essere opportunamente
sovra-dimensionato per tener conto di questo
effetto, in misura dipendente dalla natura del
metallo che deve essere forgiato.
Figura 11.47 - Processo di forgiatura di precisione. (a) Pezzo
prodotto (b) pezzo finito.
11.8 Forgiatura: processi speciali
A
partire dai principi generali della forgiatura, sono
state sviluppate diverse tecniche specifiche,
ciascuna delle quali adatte a realizzare in maniera
ottimìzzata morfologie particolari:
forgiatura di precisione (Figura 11.47) – è un
processo adatto alla lavorazione degli acciai e delle
leghe di magnesio, alluminio e titanio, in grado di
produrre forgiati di ridotto spessore, forma complessa,
tolleranze strette, riduzione drastica del valore
dell’angolo di spoglia e dell’estensione del testimone
ed eliminazione quasi totale delle lavorazioni di
finitura Æ lavorazioni net-shape o near-net-shape. A
Figura 11.48 - Fasi successive della tecnica di forgiatura
senza testimone.
forgiatura radiale (Figura 11.50 a-c) – è un processo
utilizzato per ridurre il diametro di una barra a sezione
solida o tubolare, con o senza l’uso di un mandrino. Esso
viene altresì usato per rastremare l’estremità di barre o
tubi (p.e. le aste degli impianti di comando di tipo pushpull).
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Figura 11.49 - Forgiatura della testa. Tecnica per
l’ottenimento della testa di rivetti, ribattini e viti. (1)
Inserimento della barra, (2) Chiusura nel sistema di
afferraggio della barra, (3) e (4) Operazioni di
deformazione.
(a)
L’effetto viene ottenuto tramite il martellamento
alternato di utensili rotanti attorno al manufatto. La
forgiatura radiale è in grado di lavorare pezzi di
diametro 150-0,5mm con tolleranze di 0,5-0,05mm,
senza limitazione di lunghezza, ad un rateo elevato
(fino a 50 pezzi/ora). Quando gli utensili sono
stazionari ed il manufatto ruota, anziché di forgiatura
radiale, si parla di swaging. La rigatura interna delle
canne delle bocche da fuoco è ottenuta per swaging
tramite un mandrino dotato di rilievi elicoidali;
forgiatura orbitale (Figura 11.51) – è un processo di
forgiatura incrementale, ove uno stampo superiore di
forma tronco-conica, affetto da un moto di precessione
attorno al proprio asse, applica al materiale da lavorare
un’azione contemporanea di rullatura e compressione
(come il pestello in un mortaio). Grazie al moto dello
stampo, in ogni istante solo una piccola parte del
materiale è sollecitata: ne consegue una sostanziale
riduzione della forza totale necessaria. Con sole 20-30
rivoluzioni, vengono formati pezzi di semplice forma
discoidale, conica o tronco conica;
(b)
forgiatura rotazionale (Figura 11.52) – è un processo
in cui la sezione di una barra viene ridotta o deformata
tramite il passaggio attraverso una coppia di rulli con
rilievi opportunamente sagomati (roll-forming). I rulli
non ruotano in continua, ma solo per quanto necessario
a conferire la forma voluta. Talvolta viene considerata
una tecnologia primaria, ma spesso viene utilizzata per
produrre manufatti finiti, con caratteristiche migliorate
grazie all’orientazione dei grani. Nell’accezione dello
skew-rolling, il processo viene impiegato per produrre
le sfere dei cuscinetti, che vengono rettificate e
lucidate con successive operazione alla macchina
utensile;
(c)
Figura 11.50 – (a) Forgiatura radiale basata sul
martellamento alternato di utensili attorno al pezzo rotante;
(b) Operazione di swaging; (c) Operazione di swaging con la
presenza di un mandrino.
Il valore massimo pmax della pressione richiesta vale in
prima approssimazione
pmax = σsn[2t0/(31/2rc)]
ove :
σsn = sforzo di snervamento del materiale
t0 = spessore iniziale del tubo
idroformatura (Figura 11.53) – è un processo, che può
essere condotto a caldo o a freddo, in cui un tubo,
posto all’interno di uno stampo, viene gonfiato per
mezzo dell’azione di un fluido (olio idraulico) in
pressione sino ad assumere la forma desiderata, che
può essere anche relativamente complessa.
rc = minimo raggio di curvatura nello stampo
Il valore istantaneo t dello spessore durante il processo
viene stimato tramite l’espressione
t = t0 exp[-ln(d/d0) (σ + σθ)/(2 σθ – σ )]
ove:
d = diametro locale istantaneo
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d0 = diametro locale iniziale
σ = sforzo assiale
σθ = sforzo circonfenziale;
(a)
(b)
Figura 11.52 – (a) Forgiatura rotazionale con rulli rotanti
nel medesimo verso; (b) Forgiatura rotazionale con rulli
rotanti con verso opposto.
Figura 11.51 - Forgiatura radiale.
coniatura (Figura 11.54) – è il processo con il quale
vengono prodotte le monete metalliche e che, in
genere, viene adottato quando si vogliano ottenere, con
ridotto flusso di materiale, eccellente finitura
superficiale, precisione dimensionale ed accuratezza
dei dettagli. A questo scopo è necessario applicare
pressioni 5-6 volte maggiori dello sforzo di
snervamento del materiale, in assenza di
lubrificazione: in una cavità perfettamente chiusa, il
lubrificante incomprimibile
renderebbe
infatti
impossibile l’operazione. Processi consimili sono la
punzonatura (punching) e specialmente l’hubbing, con
cui vengono realizzati gli stampi per lo stampaggio ad
iniezione (injection moulding) delle materie plastiche;
Figura 11.53 - Idroformatura.
trimming (Figura 11.55) - non si tratta di un vero e
proprio processo di forgiatura, bensì dell’operazione
tramite la quale, per taglio, viene eliminato il
testimone lungo il perimetro del forgiato. E’ un
operazione che
viene effettuata a
caldo,
immediatamente dopo la formatura: solo in caso di
impossibilità viene effettuata a freddo con una
lavorazione alla macchina utensile.
Figura 11.54 - Coniatura. (1) Inserimento del materiale di partenza,
(2) Applicazione della forza tramite punzone (3) Estrazione del
pezzo finito.
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CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO
[9]
Mielnik, E.M.:
“Metalworking Science and Engineering”
McGraw-Hill, Inc., New York, Parigi, 1991.
[10] Motta, F.:
“Idroformatura di Tubi: Principi Tecnologici, Modellazione
Numerica e Correlazione Sperimentale”
Tesi di Laurea DIA – Politecnico di Milano, 2004.
Figura 11.55 - Trimming
Bibliografia
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini
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