Laboratorio interdisciplinare: scrittura e arte

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Laboratorio interdisciplinare: scrittura e arte
LABORATORIO DI SCRITTURA – CREAZIONI ARTISTICHE
Classe II E
docenti Antonella Barbaro e Manuela Menon
Nel corso dell'anno, nell'ambito della programmazione di Italiano, è stato dato ampio
spazio alla scrittura, secondo varie tipologie testuali. I ragazzi hanno scritto i loro testi
sia a casa sia a scuola in alcune ore specificamente dedicate. Insieme ai compagni di II A
gli alunni hanno anche vissuto l'esperienza di lavorare con una scrittrice, Federica
Sgaggio, che li ha sollecitati a scrivere su qualsiasi argomento ed indirizzati, soprattutto
nelle scelte linguistiche e sintattiche.
Nel realizzare questa piccola raccolta abbiamo deciso di inserire nei testi alcuni esempi
di applicazione di prospettiva centrale realizzati durante le lezioni di Arte e Immagine
Risultano particolarmente significative le interpretazioni delle scrivanie, luogo deputato
a scrivere.
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ACCOLTO DAGLI ALIENI
Stavo camminando su un sentiero scosceso di un monte; era mattina, all'incirca le 8 e 30.
C'era molta nebbia, mi sentivo molto stanco; d'altro canto era abbastanza normale dato
che avevo trascorso la notte intera a cercare il mio amico Luca.
Più in là, almeno dieci metri, intravvidi un fascio di luce bianca che per un istante mi
illuminò gli occhi. Subito dopo scomparve. Pensavo fosse qualche altro escursionista
avventuroso che si era portato una torcia, ma la luce aveva un che di strano.
Circa dieci minuti dopo, il mio GPS incominciò a dare i numeri, indicando sempre strade
diverse. Decisi di non dargli bada e mi limitai a tirare diritto.
Poco dopo, rividi il fascio di luce e stavolta avanzava sempre più velocemente proprio
nella mia direzione, finché...Non mi investì. Esatto, quello non era un fascio di luce, bensì
un lampione!
Impiegai penso quasi dieci minuti per tentare di capire cosa ci facesse in montagna un
lampione e con questo quesito irrisolto proseguii il mio cammino. Dopo neanche un minuto,
ne trovai un altro e un altro ancora, insomma sembrava essere non una montagna ma una
vera e propria città!
“Una città” pensai; e come ci era finita una città su una montagna, su un sentiero così
tortuoso che solo a vederlo faceva venire i crampi?
Ad un certo punto, qualcosa mi colpì con una forza tale che svenni.
Mi
risvegliai in una casa. Accanto a me si trovava un essere strano, grigio, ma con abiti
umani. Sì, vestiti umani, anche se degli anni settanta, sempre umani erano!
Quell'essere parlò “Ehi... Stai bene?”
Io risposi “Abbastanza bene, ma dove mi trovo? Mi avete riportato in città? Cosa è
successo?”
L'essere disse “Cosa?! Non accetteremmo mai di tornare nel mondo di sotto, siete troppo
rozzi per la nostra mente raffinata! Comunque, sei stato investito da un camion della
spazzatura, e sei stato fortunato perché andava ad una velocità moderata!”
Inizialmente pensai di essere mezzo rimbambito per colpa del colpo subito, ma appena
l'essere proseguì dicendo “Benvenuto a Goosville!” capii che era tutto vero. O meglio lo
capii appena uscii: mi trovavo ancora sulla stessa montagna con l'unica differenza che la
nebbia si era diradata e in cielo splendeva un sole potentissimo, tanto potente che per un
po' ebbi la vista offuscata. Poi mi accorsi di una enorme quantità di gente.
Tutti mi stavano fissando con aria incredula “Guardate, eccolo!” Fu allora che capii tutto:
quella era una città di alieni!
Tanto per dire qualcosa dissi la prima frase che mi passò per la mente: “Da quanto siete
qua, sopra di noi? Chi siete?” Tutti in coro risposero: “Noi siamo alieni, proveniamo da un
pianeta lontanissimo di nome Planuto. Siamo fuggiti dal nostro pianeta perché era
scoppiata una tempesta solare causata da nemici barbari provenienti da Unar. Abbiamo
trovato rifugio su questa montagna dove abbiamo costruito questa città oltre duecento
anni fa”.
“WOW!” esclamai “Da duecento anni c'è una città su questa montagna e nessuno se n'è
mai accorto?”
Ad un certo punto intervenne un uomo con uno strano abbigliamento e rivolgendosi agli
alieni disse: “Questo ragazzo ed io dobbiamo trovare un modo per tornare a casa”. Aveva
un cappello da cowboy, un paio di pantaloni da montagna e delle scarpe da ginnastica;
sopra una maglietta dei Beatles indossava una felpa sportiva. Lo riconobbi subito: era
Luca! Ed esclamai: “Cosa ci fai qui?” Lui rispose che mi stava cercando e avendo sentito
parlare di un ragazzo investito da un camion aveva pensato a me.
Allora intervenne un alieno. “Abbiamo un teletrasportatore, ma non funziona molto bene,
ci vorranno almeno due giorni per rimetterlo a posto; nel frattempo vi invitiamo visitare
la città. Vi abbiamo anche assegnato per la vostra permanenza una stanza, la n. 14720 …
Non vi preoccupate, è qua vicino: avanti duecento metri, la terza a sinistra.”.
Ci incamminammo per una strada scoscesa fino al numero stabilito, il 14720. “Ci siamo,
finalmente!”
Entrammo, la stanza era bellissima :televisore 47 pollici schermo piatto, divani in pelle
rossa, cucina super accessoriata, posate e piatti in argento, bicchieri di cristallo, sedie in
vimini. E il grande tavolo rotondo in vetro era imbandito con pietanze di ogni tipo. “E'
stupenda” dissi “Sono molto ospitali questi alieni, hanno molto buon gusto … fatta
eccezione per il loro abbigliamento”. Anche Luca era d'accordo con me.
Dato che era quasi notte, andammo a dormire.
La mattina del giorno seguente decidemmo di aiutare gli alieni nella riparazione del
teletrasportatore e accelerare in questo modo i tempi del nostro rientro a casa.
Entrammo in un grande edificio, che stilisticamente assomigliava ai nostri cantieri, ma le
impalcature erano di trenta centimetri di acciaio inossidabile.
“Si vede proprio che non vedete l'ora di tornare a casa, a voi spetterà il compito di
fabbricare il materiale necessario per la costruzione assieme a Carl. Carl! Vieni un po'
qui!”. All'improvviso comparve un'altro alieno, con la faccia deturpata da una probabile
esplosione! “Prego, seguitemi” disse e noi ci limitammo a seguirlo in silenzio.
“Allora” iniziò a spiegare “per lavorare in questo dipartimento saranno necessari impegno,
disciplina e forza. Spero che abbiate questi requisiti”.
Mentre camminavamo, una porta scorrevole si aprì: “Ecco la vostra postazione; tu” disse
indicando Luca “ti occuperai dell'assemblaggio e tu” rivolgendosi a me “della costruzione
dei pezzi di montaggio. Al lavoro, se va bene, finiremo questo pomeriggio”.
Se
nza indugiare, subito dopo aver ricevuto i nostri compiti e le istruzioni, ci mettemmo al
lavoro. Finimmo a tarda sera, eravamo sfiniti, entrambi non sentivamo più le mani per lo
sforzo, ma almeno avevamo anticipato i tempi di un giorno.
Decidemmo di fermarci un po' per salutare la popolazione, dato che ora tutti ci
conoscevano e stimavano: eravamo i primi umani arrivati in quella città e i primi ad essere
sopravvissuti ad una giornata di lavoro. Ma soprattutto capimmo che anche loro
avrebbero potuto utilizzare il teletrasportatore per tentare di tornare sul loro pianeta
Planuto.Io e Luca ci risvegliammo sul sentiero, sdraiati per terra, salutammo la città
invisibile ai nostri occhi e ritornammo a casa. Ma era un sogno o era successo veramente?
Matteo R.
DESCRIVI UN PERSONAGGIO DI TUA INVENZIONE, CHE POTREBBE ESSERE IL
PROTAGONISTA DI UN TUO RACCONTO.
Il mio personaggio si chiama Alex. Ha 15 anni e vive in Algaesia, una terra lontana e
sperduta. Abita a Carvahall, vicino a una catena montuosa chiamata Grande Dorsale. Alex
vive con suo padre Rothgard e suo fratello Murthag in una fattoria ai piedi delle
montagne. Ha capelli castani, occhi azzurro chiaro con delle sfumature bluastre. Ha il
viso regolare, un naso piccolino e dal mento spunta un po' di barba castana. Ha una
carnagione scura perché lavora nei campi sotto il sole cocente dell'Algaesia. Nonostante
il carattere mansueto, ama la caccia ed è molto abile nel tiro con l'arco. Si veste sempre
con dei pantaloni corti, una maglietta e degli scarponcini. Un giorno la sua vita cambiò.
Quando era ad una battuta di caccia, trovò un uovo, un uovo blu. Quando tornò a casa,
mise l'uovo ai piedi del suo letto. Nel bel mezzo della notte sentì dei rumori, si alzò dal
letto, e vide che l'uovo si era schiuso. Guardò attentamente la creatura, era un drago.
Matteo V.
UN DELITTO QUASI PERFETTO
“Allora, signor Kennedy... È sicuro di voler partecipare alle indagini? Insomma, non è il
solito gatto scomparso di Mrs. Pinky, o l'orologio d'ottone smarrito di tutti i giorni! È un
caso complicato!” borbottò il signor Oliver.
Oliver era il commissario di polizia del distretto di Somewhere, Ohio; era un uomo
grasso, sui sessanta, con i ispidi capelli grigi e folte basette, dal carattere rude. Aveva
un'aria inquietante e ogni volta che ero davanti a lui venivo colto da un'ansia persistente,
che passava solo dopo quattro o cinque tazze di caffè. In ogni caso non si stava
rivolgendo a me, ma al mio “superiore”, il signor Nicholas Kennedy, esperto di casi
irrisolti. Accompagnavo spesso il signor Kennedy nelle sue ricerche e lo conoscevo molto
bene quindi avevo previsto la sua risposta :”Ne sono più che sicuro, Oliver, io e il mio
fidato assistente Roger saremo onorati di aiutarla ancora una volta a risolvere un caso
difficile.”
il signor Kennedy aveva parlato con enfasi e con il medesimo entusiasmo che conservava
sin dalle sue prime inchieste.
A quel punto Oliver ci diede l'indirizzo di un'anziana e ricca signora che alla morte del
marito aveva ereditato una vera fortuna: si era rivolta alla polizia per denunciare un
tentativo di avvelenamento nei suoi confronti il cui colpevole, sospettava, fosse il suo
stesso medico nonché fidanzato di una delle due figliastre.
Kennedy cominciò le indagini con qualche interrogatorio ai sospettati, le figlie e il
dottore. Le ragazze gli sembravano innocenti e troppo affezionate alla matrigna per
poterla uccidere e il medico aveva una scusa per ogni cosa, e anche volendo, non lo si
poteva incastrare. La matrigna e il dottore controllarono gli avanzi dei pasti consumati
ma non c'erano tracce di veleno.
Kennedy a questo punto non diede più niente per scontato e sospettò di tutti. Chiunque si
fosse trovato in quella casa quel giorno avrebbe potuto uccidere la donna.
Ispezionò tutte le camere della villa, per ultima quella della matrigna, mentre lui
controllava il guardaroba io osservai il contenuto dei cassetti del comodino. Scoprii una
scatoletta interessante, aveva l'aria di una medicina ma osservandola meglio notai sul
retro un simbolo con un teschio, chiamai subito Kennedy.
Non c'erano dubbi: la matrigna si avvelenava per far ricadere la colpa sulle figlie, così in
caso di arresto non avrebbero usufrito del suo patrimonio.
Qualche giorno dopo la ricca signora morì; il mistero si faceva ancora più intrigante.
Kennedy sapeva per certo che la scatola di veleno era stata messa nel cassetto per
incastrare la matrigna, quindi a maneggiarla non era stata lei ma il suo assassino: le
impronte dell'omicida avrebbero portato Kennedy e me alla soluzione dell'enigma.
Io organizzai una cerimonia per commemorare la defunta matrigna, in realtà era solo una
scusa per scovare l'assassino: Kennedy avrebbe analizzato le impronte sui bicchieri e le
avrebbe confrontate con quelle della scatola di veleno.
Finita la cena, Kennedy si mise subito al lavoro e analizzò le impronte tutta la notte.
La mattina seguente si presentò nel soggiorno molto presto e aspettò che tutti fossero
riuniti di fronte a lui :”Cari signori, dovrò salutarvi, infatti come avrete intuito ho
scoperto la causa della morte della signora. Voglio premettere che la morte non è stata
accidentale... in questa stanza c'è un assassino.” Dalle bocche di tutti uscì un “Oh” di
stupore. “indagando avevo scoperto del veleno nella stanza della signora e così avevo
pensato che si stesse avvelenando per far ricadere colpa sulle figlie che, in caso di un
loro arresto, non avrebbero ereditato niente. Però quando la signora è morta ho capito
che mi sbagliavo. Analizzai le impronte sulla scatola e le comparai con quelle che avete
lasciato tutti sui bicchieri ieri sera.”
Notai che il dottore era molto nervoso e sembrava non vedesse l'ora di andarsene, stava
ribollendo di rabbia.
Kennedy continuò creando molta suspense :”Le impronte coincidevano perfettamente con
le sue, dottore. Ma prego, continui lei...” il dottore si rassegnò e cominciò a raccontare
:”Lo ammetto, ho ucciso io la signora: come sapete sono fidanzato con sua figlia ma sono
innamorato di un'altra donna. La signora ne era a conoscenza e minacciava di rivelare
tutto a sua figlia. Io non volevo che accadesse e per questo le ho fatto credere di aver
interrotto la relazione poiché sapevo che sarei stato citato nel testamento qualora avessi
sposato sua figlia.
Speravo di sposarmi con la figlia prima della morte di sua madre, così al momento del suo
decesso avrei ereditato parte del suo patrimonio e sarei potuto scappare con la mia
amata.”
A quel punto il dottore venne arrestato e portato in prigione in attesa del processo.
Emma
Una pagina di diario “Vita da vampiro”
26 gennaio 2012, Sabato 6:30,
camera mia
GIORNATA DA INCUBO
Caro Diario,
Non sai che giornata orrenda ho passato ieri! Erano le cinque di mattina quando mi sono
svegliata con un mal di testa vampiresco allucinante, probabilmente causato dalla tripla
porzione di sangue che avevo ingerito la sera prima. Mi sono alzata dal letto e,
ciondolando, sono andata verso il bagno, per sciacquarmi la faccia. Riflettendomi nel mio
specchio-vedi-vampiro, ho notato che ero più pallida del solito e che intorno agli occhi
avevo due occhiaie spaventose. Allora sono andata in cucina e ho chiesto un consiglio alla
mamma che, premurosa, mi ha riempito di cipria, facendomi però somigliare alla prozia
Geltrude, oltre a farmi scatenare una tremenda allergia! Rassicurandomi che ero in
condizioni di andare a scuola, mi ha accompagnata. Non sai che imbarazzo ho provato
vedendo che tutti ridevano di me e del mio naso rosso che continuava a crescere per
colpa della cipria. Ho deciso così di nascondermi la faccia con una sciarpa di lana.
Verso la terza ora hanno iniziato a scoppiarmi le tempie e così ho chiesto all'insegnante
di poter andare in bagno. Facevo molta fatica a reggermi in piedi e, se non mi fossi
aggrappata al rubinetto, sarei caduta a terra. Ad un tratto è apparsa la nonna Gina che
ha iniziato a urlarmi contro e in un attimo hanno iniziato a piovere funghi dal soffitto. La
piccola stanza ha cominciato a girare vorticosamente, tutto è diventato nero e sono
caduta a terra, svenuta. Quando mi sono svegliata mi sono trovata grondante di sudore
nel mio letto, con a fianco la mamma. Le ho chiesto dov'era finita la nonna e lei mi ha
guardato con aria interrogativa. Mi ha spiegato che, non vedendomi tornare, la
professoressa era venuta a cercarmi e che, trovandomi svenuta in bagno, aveva avvisato i
miei genitori facendomi portare a casa. La nonna e i funghi erano state solo allucinazioni.
Adesso devo riposare, come ha prescritto il dottore, e anche se la febbre è calata,
settantatré gradi, ho ancora un po' di mal di testa. Ti scriverò presto.
P.S: non ti spaventare, settantatré gradi corrisponde ai trentotto gradi mortali.
Valentina
Diario a quattro zampe
22
Dicembre
16:34
Miao nuovo Diario,
Io sono Lilù. Ti ho trovato mentre girovagavo dietro casa e ho pensato di tenerti con me.
Ho fatto male? Credo che occuperò molto del mio tempo “dolce-far-niente” a scrivere, o
meglio a zampettare, su queste belle pagine ancora vuote. Non so, però, da dove
cominciare... Io sono una gatta, Lilù, e abito insieme alla mia padroncina Valentina.
Purtroppo lei è sempre impegnata, tra la scuola e il resto, e io devo rimanere da sola la
maggior parte del giorno. Ma non mi annoio! Non sai quanti topi e lucertole catturano... la
mia attenzione! Gnam! Ora devo andare, sta arrivando la mia padroncina da scuola...
Probabilmente mi riempirà di crocchette!
Lilù
Che cosa strana!
23 Dicembre 15:40
Miao Diario,
Non sai che cosa è successo oggi! Ero a gironzolare per i campi, quando un'enorme
cavalletta, sopravvissuta al freddo, mi è saltata davanti agli occhi. Non ho resistito, l'ho
afferrata e, fiera di me stessa, l'ho portata dalla mia “amica bipede”. Quando mi ha
aperto la porta, ho visto uno spettacolo terrificante: luci abbaglianti e strani nastri con
striscioline metalliche che si muovevano ad ogni minimo spiffero d'aria. Erano sparse
dappertutto. Sulle finestre erano attaccati uomini ciccioni con la barba e dei mostri con
una testa enorme e tonda vestita da un cappello strano, che impugnavano una scopa. Al
centro del salotto c'era un abete enorme, ricoperto da altri nastri e da palle di ogni
dimensione che illuminavano, con una luce macabra, la stanza. La cosa più spaventosa è
che in un angolo c'erano una trentina di piccoli uomini e alcune mini-pecore, con le loro
rispettive case, che mi fissavano, minacciandomi. Il mio istinto felino mi condusse a
proteggere la mia famiglia da quella terribile invasione, così mi lanciai su quello strano
esercito, schiacciandoli. Li morsi uno a uno. Rimasero solo i generali di quella spedizione:
un padre dall'aria minacciosa, una donna col velo e un bambino che stavano nel loro
quartier generale, molto simile ad una capanna. Non ebbi pietà e mi acciambellai,
schiacciandoli. Mi sentivo soddisfatta, ma i miei coinquilini non la pensavano come me. Mi
guardavano con lo stesso disprezzo che rivolgevo all'esercito nemico. Corsi allora in
camera di Valentina, sotto il letto, da dove adesso ti sto raccontando. Mi stanno cercando
e credo che tra poco dovrò scendere e lasciarmi sgridare. Ma non capisco perché sono
tanto arrabbiati, dopotutto l'ho fatto per proteggerli.
Lilù
Vittoria!
7 Gennaio
13.15
Miao Caro Diario,
Mi dispiace per non averti scritto ultimamente, ma sono stata impegnata. Ieri sono
andata, o meglio mi hanno obbligato ad andare, nel posto dove mi strappano il pelo, mi
spezzano le armi di difesa (le unghie), mi sottopongono a secchiate di acqua calda e mi
neutralizzano l'alito felino, chiamato comunemente dagli umani Toelettatura. Penso che
sia stata la punizione per aver salvato loro la vita. Ma mi merito davvero una tale tortura?
Ah caro diario... Non ci possiamo far niente. Ora che mi viene in mente, ho una bellissima
notizia: le armate nemiche si sono finalmente ritirate. Saranno state sicuramente
spaventate dalla mia dentatura assassina, che adesso profuma di lavanda. Domani andrò
con Furina al laghetto dei pesci vicino ai campi. Spero solo di non incontrare anche Sissi,
quella sbruffona! Ahhh, mi fa proprio arrabbiare quella iena! Pensa di essere una
“principessina-so-tutto-io”! Per ora è tutto.
Lilù
Valentina
Racconto un episodio significativo capitatomi di recente.
Er
a sabato mattina, un giorno rilassante. Il giorno dopo, alle due sarebbe iniziata un
importante gara di ginnastica ritmica, a Cerro. Ero parecchio tranquilla fino ad allora, non
mi stavo affatto preoccupando. Alla sera sono venuti degli amici dei miei genitori, la
serata, però, non è stata una delle migliori, perché eravamo tutti un po’ stanchi. La
mattina seguente mi sono svegliata verso le nove e mezza, la preoccupazione per la gara
si stava facendo sentire. Mangiai due fette energetiche con marmellata all’albicocca, mi
preparai, con l’aiuto di mia mamma e via, partimmo verso Cerro. Appena arrivata ero
davvero ansiosa ed agitata per la gara, dovevo dare il meglio, perché significava molto per
me, inoltre sapevo di essere preparata. Per fortuna c’erano le mie compagne che ridevano
e scherzavano insieme a me, durante gli allenamenti e, così, mi distoglievo da ogni
preoccupazione, più o meno. La gara iniziò. Dovevamo esibirci in tre esercizi: corpo libero,
fune e palla, quest’ultima era il mio forte, e sapevo di poter arrivare, almeno in questo
attrezzo, sul podio. Eseguii gli esercizi abbastanza bene, avevo fatto dei piccoli errori,
ma mi sentivo pronta per affrontare la classifica.
La classifica mi sorprese, non era affatto andata come mi aspettavo; mi sforzai di
sorridere sempre, in modo che non si vedesse la grande delusione e lo sconforto che
avevo dentro. Non si può descrivere esattamente cosa provavo, però sapevo di essere
triste e abbattuta e, soprattutto parecchio delusa; non riuscivo a crederci; questo
doveva essere un evento importante, e quindi memorabile, ma era soltanto un evento
significativo in senso piuttosto negativo. Tornata a casa piansi molto, ma capii che dovevo
imparare ad accettare le cose, solo così, in realtà potevo diventare, forse un giorno, una
brava “atleta”. Perché la bravura non è data solo dalle qualità fisiche, ma anche dalla
capacità di reagire alle sconfitte, e, quindi riprovarci!
Marzia
Uno sguardo al mio futuro
1/3/2013
ore: 22.30
Caro diario,
oggi io e le mie amiche siamo andate al cinema e ci siamo divertite molto. Chi l’avrebbe
detto che alle medie avrei trovato delle amiche così divertenti!
Quando frequentavo le elementari non pensavo che la amiche delle medie sarebbero
state simpatiche come quelle che già avevo ma mi sono davvero sbagliata.
A volte mi chiedo come sarà la mia vita alle superiori. Sarebbe davvero bello dare uno
sguardo al mio futuro! Ora ti devo salutare perché sono stanca e mi si chiudono le
palpebre.
All’improvviso il letto scompare sotto di me, inizio a girare in un vortice e cado in mezzo a
una strada.
Davanti a me c’è una scuola color rosa antico un po’ rovinata, da cui stanno uscendo dei
ragazzi. Mi allontano dall’uscita per evitare di essere travolta dalla folla. Ora gli scolari
sono usciti e solo un gruppetto di ragazzi è rimasto davanti al cancello a chiacchierare.
Questo gruppetto è formato da tre ragazzi e quattro femmine una delle quali si chiama
Francesca perché ho sentito le sue amiche chiamarla così. È piacevole vederli
chiacchierare perché è evidente che stanno bene in compagnia e scherzano senza
esagerare. Io mi avvicino per chiedere dove mi trovo ma loro non mi notano e continuano a
chiacchierare come se non ci fossi. Dopo qualche minuto si salutano e Francesca si
avvicina a un taxi mentre gli altri si aviano verso la fermata dell’autobus.
Co
sì, piuttosto che rimanere da sola in quel luogo sconosciuto, salgo sul taxi con Francesca.
Per tutto il tragitto sia Francesca che l’autista mi ignorano. Io invece osservo la ragazza
che ha un aspetto esile, è di media statura con capelli lisci e occhi castani, bocca sottile,
mani piccole, occhi leggermente a mandorla contornati da un po’ di matita. Insomma mi
somiglia molto! Ad un certo punto il taxi si ferma e Francesca scende, io la seguo e mi
ritrovo davanti a casa mia. Sempre più sorpresa, percorro il vialetto di casa insieme a
Francesca poi la ragazza prende la chiavi, apre la porta ed entriamo. Appena arrivate ci
raggiunge Elena, mia sorella, con aspetto da diciottenne e saluta Francesca chiamandola
sorellina. Io, a quel punto, sono sempre più sconvolta e piena di domande: Perché questa
ragazza va a casa mia e ha le chiavi? Perché mia sorella sembra una diciottenne e dice
sorellina a una sconosciuta? La spiegazione è una sola: sono nel mio futuro. All’improvviso
sento il suono di una sveglia, mi ritrovo ansimante nel letto e mi rendo conto che si è
trattato di un sogno. Faccio un sospiro di sollievo e frastornata vado a fare colazione.
Francesca
Il mio sport preferito: il basket
All'età di sette anni inizia per me un nuovo sport: il basket, insieme a Matteo Vason.
In realtà fu proprio lui ad avere l'idea, con un altro nostro amico Simone, di provare
questo sport.
Mi è piaciuto da subito giocare a basket, cercare di fare canestro era una grande
impresa a quell'età.
Il nostro primo allenatore fu Giacomo, un ragazzo che pure lui giocava nella squadra del
Valpolicella, ovviamente molto più grande di noi!
All'inizio della seduta di allenamento, l'allenatore ci lasciava sempre del tempo per
scaldarci e tirare il pallone nel canestro. Così io e i miei amici già nominati, ci inventammo
un gioco, una specie di sfida: nel minor numero di giornate di allenamento dovevamo
riuscire ad arrivare a mille canestri. La sfida continuò fino al secondo anno, quando tutti
e tre eravamo arrivati alla nostra “meta”.
Successivamente cambiammo modo di allenarci, cercando di fare canestro senza nessun
obiettivo, liberamente.
Al terzo anno cambiammo allenatore, venne Martina che più avanti non si rivelò una brava
insegnante. In quell'anno anche per i ragazzi nati nell'anno 1999 c'era un nuovo
allenatore, Marco. Proprio lui mi chiese di andare con loro e io accettai subito. Anche a
Matteo aveva chiesto la stessa cosa ma lui non accettò. Allora io intrapresi la mia
“carriera” con i ragazzi più grandi. L' allenatore però non mi piaceva perché gridava ad
ogni errore che si faceva come se si fosse ucciso qualcuno. Non è che Martina fosse
migliore...
Comunque il quarto anno tornai con i miei amici e con Martina come allenatrice.
Il quinto anno arrivò ad allenarci Antonio che io ora reputò un bravissimo allenatore.
Stupidamente all'inizio pensai fosse come Marco e per questo lasciai il basket per il
calcio. Errore tremendo. Io non sono assolutamente portato per il calcio e così buttai via
un anno di basket molto importante: quell'anno è una specie di gradino, “ sei salito di
livello”, non so come dire.
Però da quest'anno ho ricominciato a giocare a basket e adesso sono anche uno dei più
bravi. Sono riuscito con grande impegno e qualche allenamento in più durante la settimana
a perfezionarmi nel gioco.
Samuele
…continua