Immagini di un papa nuovo

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Immagini di un papa nuovo
Immagini di un papa nuovo
Francesco dei poveri e della misericordia
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
U
n papa che rinuncia
e un altro che viene
preso dall’America
Latina, eventi capaci di tramortire un
vaticanista come si deve, figurati uno
residuale come me che aveva vissuto
gli ultimi otto anni augurando lunga
vita a papa Benedetto per non doversi
fare un altro Conclave. Uno tsunami
stordente, articoli e interviste alla rinfusa e schede per «Porta a porta» a
non finire. Ma Francesco, Francesco,
Francesco: da quando è arrivato lui
quelle fatiche non le ricordo più.
Ho sempre perso le scommesse sui
conclavi, e anche stavolta: puntavo sull’America Latina ma non su Bergoglio. Per fortuna non ho fatto nomi
nel fondo che Ferruccio De Bortoli
mi ha chiesto di scrivere per il Corriere della sera il giorno dell’extra omnes
(12.3.2013).
GeorGium marium
e la FuoriusCita dall’europa
Così argomentavo verso l’America Latina, con la sicurezza che ti viene quando scrivi un fondo: «La crisi
della Chiesa in Europa può spingere
il Conclave a portare il papato fuori
dal vecchio continente: sarebbe una
scelta epocale paragonabile a quel-
la che il secondo Conclave del 1978
compì con l’uscita dall’Italia e l’elezione di un cardinale polacco (…).
Un balzo verso le Americhe costituirebbe un passaggio quasi indolore
a una nuova costellazione, stante la
continuità culturale tra il vecchio e il
nuovo mondo. Più arduo è immaginare l’elezione di un papa africano o
asiatico. Ma già la scelta di un latinoamericano – ipotesi oggi matura, che
fu saggiata e poi scartata dal Conclave del 2005 – starebbe a indicare
anche un passaggio dal Nord al Sud
del mondo, di straordinario interesse
in una fase storica che vede un rimescolamento planetario delle culture e
delle economie».
Quando il card. Jean-Louis Tauran ha annunciato che avevamo il
papa «Georgium Marium», De Bortoli mi ha chiamato per dirmi che
toccava a me interpretare l’elezione,
perché «hanno fatto proprio come dicevi tu». Ho ripreso per il fondo del
14 marzo – che è stato intitolato «Il
gesuita con il saio» – il paragone con
il Conclave del 1978. Allora avevamo
avuto l’uscita dall’Italia in un momento nel quale era in questione l’assetto dell’Europa nella fase finale del
confronto Est-Ovest, oggi abbiamo
l’uscita dall’Europa essendo in questione l’assetto del mondo: «Questa
uscita è di buon segno, perché a nessuno sfugge che le Chiese del vecchio
continente hanno ormai troppa storia
per poter guardare con occhi sgombri
alla sfida dei tempi nuovi che viene
dai poveri del pianeta. Proveranno
forse a guardarla ora con gli occhi di
papa Francesco» (Corriere della sera,
14.3.2013).
Papa Francesco infatti ha subito
parlato dei poveri, raccontando il 15
marzo ai giornalisti le parole che il
card. Hummes – «un grande amico»
– ebbe a dirgli nella Sistina, al momento dell’applauso al 77° voto, abbracciandolo e baciandolo: «Non di-
menticarti dei poveri». C’è dunque il
segno di una coralità latinoamericana
in questa elezione, a partire dall’applauso al momento del quorum. «Il
suo nome è cominciato ad apparire
fin dalle Congregazioni generali, soprattutto fra alcuni cardinali latinoamericani», dirà il 21 marzo al Tg2 il
card. Raymundo Damasceno Assis,
presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile.
Una coralità che viene dalla comunità cattolica continentale più numerosa del pianeta, che ha trovato
nella «scelta preferenziale per i poveri» la propria identità già a Medellín
(1969), identità che il papa nuovo ha
espresso con le parole più semplici in
quello stesso saluto a noi giornalisti:
«Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri» (cf. Regno-doc.
7,2013,196).
pronto da veCChio
a osare il papato
Non avevo pensato a Bergoglio
stavolta perché molto – e invano –
l’avevo pensato alla vigilia del Conclave del 2005 e ne ero restato deluso.
Allora egli risultò il più votato dopo
Ratzinger sia al primo sia all’ultimo
degli scrutini. Ricostruzioni attendibili segnalano che arrivò ad avere 40
voti che forse non sarebbero bastati
per portarlo all’elezione, ma che potevano impedire l’elezione del papa
teologo. Si dice ancora che nella pausa del pranzo Bergoglio scongiurasse i
suoi sostenitori di concorrere a eleggere Ratzinger, cosa che avvenne. Otto
anni dopo è l’eletto di allora a rinunciare, e tocca al proto-rinunciatario
prendere il suo posto: una vicenda
che suona come una parabola e che di
sicuro tiene in sé molti significati.
Come hanno fatto i cardinali a
portare all’accettazione del papato a
76 anni chi non lo volle quando ne
aveva 68? Sappiamo ora che in una
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Come romano di adozione
sento due volte la novità
Ma che vescovo di Roma sarà questo Francesco che sembra papa da
sempre, essendo arrivato lì con l’immagine del pauroso che non è? L’aver
tolto il rosso della mozzetta e delle
scarpe dà rilievo al bianco della veste.
Sarà quel bianco a raccordarlo visivamente, più di ogni altro elemento, ai
predecessori. Ma sarà anche un bianco disadorno, a indicare che il raccordo è mantenuto per quanto riguarda
la sostanza della missione papale ma
non per i suoi aspetti accessori.
L’indifferenza all’abbigliamento che
caratterizza papa Francesco appare
confermata dalla sua disinvoltura gestuale: dalla risata «tra amici» con cui
accompagna la conversazione, dagli
abbracci che dà e riceve, dal puntarsi
l’indice alla fronte, dall’alzare il pollice nel segno di OK come fanno i
ragazzi. Fino al divertimento con cui
si è messo al polso un braccialetto di
plastica gialla, dono di un cardinale
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africano, il giorno dopo l’elezione,
quando li ha ricevuti tutti nella Sala
clementina. Ma anche gesti più direttamente indicativi di un’idea di Chiesa: chiamare un prete al microfono
per presentarlo all’assemblea, fermarsi alla porta a salutare tutti, scendere
dalla campagnola in piazza San Pietro a parlare con persone che riconosce o per abbracciare un disabile, o
per firmare il gesso di una bambina
infortunata.
Come romano di adozione mi
sento provocato dal titolo di «vescovo di Roma», che è quello preferito
da papa Francesco. Nel saluto alla
folla dopo l’elezione ha usato sei volte questa espressione e mai la parola
«papa», neanche quando ha invitato
a pregare per Benedetto XVI, che ha
nominato come «vescovo emerito» di
Roma. Spavento di molti e mia festa
raccolta, fiduciosa nella crescita della
piantina ecclesiale ed ecumenica che
il nuovo papa sta mettendo a dimora.
Vescovo di Roma, Chiesa di Roma.
Chissà che questa Chiesa intesa come
comunità locale non torni finalmente
a camminare con le proprie gambe.
«E adesso incominciamo questo cammino: vescovo e popolo»: chissà che
non stia per finire la secolare separazione del «vescovo di Roma» dal suo
popolo, che non finì con il ritorno dei
papi da Avignone.
Sono poi un cultore
delle benedizioni silenziose
Ha chiesto al popolo di benedirlo:
«Prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica. Facciamo
in silenzio questa preghiera di voi su
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
Congregazione generale del pre-Conclave Bergoglio aveva detto parole
vive in vista della scelta di un papa
che «aiuti la Chiesa a uscire da se
stessa verso le periferie» non solo geografiche ma «esistenziali» dell’umanità, dove sono «tutte le miserie» (cf.
Regno-doc. 7,2013,194). Forse i cardinali da quelle parole hanno compreso che ora l’umile argentino si sentiva pronto a osare il papato, ed ecco
che accetta e si fa, da gesuita, francescano.
Ricordo un colloquio con il card.
Jorge Mejia, connazionale di Bergoglio che ora ha 90 anni e che ha avuto
un infarto proprio il giorno dell’elezione di papa Francesco; un colloquio
che avvenne alla viglia del Conclave
del 2005 e nel quale rispose così alla
mia domanda sul papabile Bergoglio:
«È un santo, sarebbe un bellissimo
papa, ma se vede che lo votano si
spaventa ed è capace di rifiutare l’elezione per umiltà». Questa idea della
sua riluttanza dev’essere circolata tra
i cardinali elettori anche in quest’ultimo Conclave, se Damasceno Assis,
nell’intervista che ho già citato, dice
che «alcuni pensavano che non avrebbe accettato».
di me». Una benedizione silenziosa ha
poi proposto, due giorni più tardi, agli
operatori dei media: «Dato che molti
di voi non appartengono alla Chiesa
cattolica, altri non sono credenti, imparto di cuore questa benedizione, in
silenzio, a ciascuno di voi, rispettando
la coscienza di ciascuno» (cf. Regnodoc. 7,2013,196). Io sono un cultore
delle benedizioni silenziose, vivendo
alla Repubblica e al Corriere della sera
per decenni e sempre benedicendo in
silenzio.
Poi il fuoco della misericordia. Domenica 17 marzo ha celebrato come
un parroco nella chiesa di Sant’Anna,
e c’era la lettura dell’adultera salvata
dalla lapidazione: «Per me è il messaggio più forte del Signore: la misericordia».
«Siamo fratelli», ha detto al papa
emerito il 23 marzo a Castel Gandolfo,
e si è inginocchiato con lui allo stesso
banco. È ormai chiaro che il nuovo
papa riesce ad avvicinarsi al vecchio
senza subirne alcun condizionamento. Il portavoce vaticano ha precisato
che la decisione sull’opportunità di
diffondere le immagini dell’incontro è
stata lasciata al papa emerito, contento il nuovo di ciò che avesse stabilito.
Possiamo dunque concludere che il
passaggio di testimone tra i due papi
– di cui non c’era esperienza – è avvenuto con l’esito più convincente.
Se la Chiesa pretende
di tenere Cristo dentro di sè
La lavanda dei piedi nel carcere
è stato un segno potente: «La Chiesa
autoreferenziale pretende di tenere
Cristo dentro di sé e non lo fa uscire»,
aveva detto nella Congregazione generale. Chi si è scandalizzato di quel
gesto rifletta su queste parole.
Mi auguro che papa Francesco riesca a restare al Santa Marta il più a
lungo possibile. Che non si lasci convincere a fare discorsi enciclopedici su
fatti che non conosce. A parlare lingue che non sa. A indossare vesti che
non dicono. Resti Francesco e Jorge
Mario. Che primavera inaspettata
quella che è iniziata il 13 marzo di
quest’anno.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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