Il Blog di Francesca

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I Racconti
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di Francesca di Croce
D
"Fase di lavorazione dello sgabello Affi di Internoitaliano, designer Giulio Iacchetti".
a bambina ero convinta che nel nome e
cognome di ognuno fosse racchiuso il destino delle persone. In particolare avevo
la convinzione che le persone famose avessero
nomi che suonavano bene e quindi mi dicevo:
“con quel nome non poteva che diventare famoso”
(ignoravo allora il concetto di nome d'arte!). Allo
stesso tempo trovavo che l'unione del mio nome
e cognome stonasse alquanto. Mi ricordo, durante
una cena in famiglia di parecchi anni fa, di aver
dichiarato apertamente che con il nome che il destino (o meglio i miei genitori) mi aveva dato non
sarei mai potuta diventare famosa. All'epoca (avrò
avuto 6 o 7 anni) non avevo ancora idea di cosa
tà strutturali dell'oggetto, acquisendo anche uno spirito critico
che permetterà loro di valutare in maniera più consapevole gli
arredi presenti sul mercato. Se oggi questo concetto in qualche
modo ci appartiene, perché siamo spinti verso un generale ritorno al concetto del “saper fare” alimentato dalla situazione di
crisi generale, all'epoca (negli anni '70) il concetto del design
era legato a doppio nodo con l'industria, che allora stava vivendo un periodo piuttosto florido. Al punto che i colleghi designer
di Enzo Mari lo accusarono quasi di fascismo, sostenendo che
il ruolo del designer è quello di lavorare per creare oggetti e far
star comoda la gente mentre lui, con l'autoprogettazione, obbligava la gente a lavorare. Il concetto di spingere le persone a
“lavorare” proponendo progetti da rifare e all'occorrenza modificare in base ai propri gusti, esigenze e capacità, imparando a
capire come funziona la sua costruzione, è sorprendentemente
lo stesso alla base anche di questa rivista e quindi in parte anche della mia rubrica. Non l'ho mai dichiarato espressamente,
ma la selezione dei progetti che faccio è in primo luogo spinta
dalla volontà di sottoporvi idee che possiate prendere come
spunto. Mi piacerebbe che, come intendeva Mari, le mie (seppur modeste) proposte non fossero copiate pedissequamente;
vorrei che le prendeste invece come spunto per modificarle e
farle vostre, migliorando così anche la vostra capacità critica e
(perché no?) anche la progettazione.
Il tema di questo articolo prosegue la serie dedicata ai materiali,
cominciata con il multistrato e seguita dall'osb. Questa volta ho
deciso di approcciare un altro materiale, anzi “il materiale” per
eccellenza: il legno massello. Conoscete, perché già ampiamente dichiarata in altri articoli, la mia profonda passione per il
massello. Non vi nego la difficoltà di decidere come affrontare
questo tema. Si tratta di un argomento talmente vasto che non
può essere esaurito in un unico articolo. Altro problema è stato
stabilire su quale base catalogare le varie sezioni: se a partire
dalle diverse essenze o dai sistemi costruttivi.
avrei fatto da grande ma avevo già la certezza che la notorietà
non sarebbe stata nel mio futuro. Crescendo, devo ammetterlo, non ho cambiato completamente idea. Quando andavo al
liceo, dove ero tutt'altro che popolare e nessuno (ad eccezione
dei miei compagni di classe) si ricordava il mio nome, avevo
la sensazione che tutte le ragazze più gettonate della scuola
avessero dei nomi stupendi e che questo contribuisse nell'idea
generale a fare di loro i personaggi sopra la media, quasi mitologici. Ero convinta che la bellezza nel nome, aggiunta a quella estetica, le avrebbe portate necessariamente a fare grandi
cose. Questa convinzione di un tempo è stata smentita dalla
storia ed è oramai quasi del tutto svanita. Credo ancora, che il
nome sia un aspetto fondamentale della vita di ognuno e che in
qualche modo possa influenzare la considerazione che gli altri
hanno di noi. Mi chiedo se i compagni di scuola di gente come
Bruno Munari, Achille Castiglioni o Enzo Mari abbiano fatto le
mie stesse considerazioni sull'importanza del nome e se abbiano riconosciuto in queste persone dai nomi così comuni delle persone che potessero dare un contributo così importante
al design italiano. A proposito di Enzo Mari, recentemente mi
è ripassato sotto gli occhi un suo libro che si chiama “Autoprogettazione?”, una riedizione del 2002 del precedente libro
“Proposta per un'autoprogettazione” datato 1974. Per spiegarvi
l'idea alla base del concetto di autoprogettazione voglio usare
le parole del designer, prese da un'intervista che ho trovato su
youtube: “Se uno prova a costruire da sé un oggetto sicuramente impara qualcosa”. Il designer è partito dalla progettazione di una ventina di mobili realizzabili con semplici assi di
legno grezzo inchiodato. Come egli stesso dichiara non si tratta
di mobili ma di suggerimenti: nel realizzare questi pezzi, la cui
semplicità costruttiva richiede capacità tecniche da carpentiere
(ovvero saper piantare un chiodo) più che da falegname, le persone hanno la possibilità di ripetere il progetto e nel farlo possono apportare modifiche e varianti e comprendere le necessi42
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Sedia 1, della serie di mobili “autoprogettati” di
Enzo Mari, prodotta da Artek
La rilettura del libro di Enzo Mari e soprattutto l'immagine della Sedia 1 “autoprogettata” che oggi è prodotta da Artek, mi ha portato alla decisione finale: ho deciso di
parlare del massello a partire dalle diverse tipologie di mobili realizzati con questo
magnifico materiale. Sono stata tentata di affrontare il tema della sedia, ma come già
scritto, si tratta di un arredo molto complesso che mal si sposa con l'idea di fornire
una carrellata di progetti da copiare e reinterpretare. Per questo motivo ho spostato
l'obiettivo su un'altra seduta, sicuramente più semplice, ovvero lo sgabello o, più precisamente, lo sgabello basso. La miriade di progetti presenti in commercio e in rete
mi costringe ad individuare, come di consueto, diverse categorie.
Il momento più basso della progettazione dello sgabello in massello é il tronco di
legno tagliato: mi ricordo di averne già parlato nel primissimo articolo di questa rubrica, in cui vi esortavo a confrontarvi con questo materiale così ricco in maniera non
povera, pregandovi di non fermarvi al solo ceppo di legno tagliato e pretendere di
chiamarlo sgabello.
Proprio per spronarvi ad andare oltre il misero ceppo vi propongo la prima categoria,
ovvero sgabelli lavorati dal pieno, ricavati dal taglio e sagomatura di un grande pezzo
di massello. In questa categoria rientrano quegli sgabelli che richiedono una lavorazione maggiore rispetto al ceppo e una selezione attenta del materiale: in questo tipo
di progetti, infatti, la bellezza del legno rimane il punto focale. Se vi piace lavorare con
grandi pezzi di legno vi propongo un classico del 1996, lo sgabello BACKENZAHN™
di Philipp Mainzer, prodotto da e15: composto da quattro elementi a base quadrata
che rastremano verso il pavimento. Il sedile non è piatto ma sagomato in modo da
creare una concavità che rende comoda la seduta.
Idea meno brillante ma forma divertente alla base dello sgabello Klotz Pfeife di Vitamin design: anche se la sagoma data alla seduta non ha nessuna funzione precisa
(e voi sapete quanta importanza io dia al rapporto tra forma e funzione) va reso atto
che contribuisce ad alleggerire il profilo dello sgabello ed a renderlo in qualche modo
moderno.
Sgabello BACKENZAHN™ di Philipp Mainzer, realizzato a partire da quattro grandi ciocchi di
legno opportunamente tagliati ed assemblati.
Esiste in due versioni: in rovere europeo e in
noce
Klotz Pfeife di Vitamin design: un
esempio di sgabello ricavato dal
pieno a cui il designer ha provato
a dare una forma particolare senza
associarla ad una funzione precisa
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Per esperienza personale, soprattutto in
base a quanto visto nelle varie fiere di design che ho visitato, posso assicurarvi che
i progetti che implicano grandi quantità di
legno, anche se non necessariamente ricavato da un unico pezzo di massello, richiamano sempre l'attenzione della gente.
Susciterebbe sicuramente molta curiosità lo
sgabello Alfiere di Giorgio Bonaguro: il designer con base a Milano prende spunto dai
pezzi degli scacchi per questa linea di sgabelli in cedro realizzati da Icons.
Sgabello Alfiere di Giorngio Bonaguro: fa parte della serie di sgabelli ispirata ai pezzi degli
scacchi. Prodotto da Icons in legno di cedro
Di solito, quando si hanno poche idee sulla forma da dare ad un mobile si tende a
copiare quella di oggetti provenienti da altri
ambiti. Generalmente non ne viene mai fuori nulla di interessante. In questo caso, invece, il designer è stato fortunato: lo sgabello
Alfiere ha una geometria ben definita e non
casuale (due tronchi di cono uniti nella base
maggiore) che lo rende semplice ma accattivante, mentre il taglio diagonale, tipico del
pezzo degli scacchi, diventa in maniera del
tutto fortuita un vano porta riviste, risultando
decisamente più interessante della Regina
e del Pedone.
Nell'accezione classica di sgabello, ovvero una seduta sorretta da “n” zampe, rientrano un'infinità di progetti. Ho deciso quindi di individuare delle variabili nelle quali fare
rientrare le altre categorie.
Una delle variabili fondamentali per la progettazione di uno sgabello è rappresentata
dalla sezione della gamba. Le due opzioni più semplici e immediate sono la sezione
circolare e quella quadrata (o rettangolare). Le gambe a sezione circolare oggi sono
molto utilizzate, sia perché richiamano l'ormai stracopiato design scandinavo, sia perché spesso aiutano a dare un aspetto moderno e divertente allo sgabello.
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Kloezze è un sistema modulare di mobili costituiti
da ciocchi di legno tagliati in sezione parallelipeda.
La struttura con 6 elementi costituisce lo sgabello
basso della serie, realizzato unendo legni di specie
diverse, rispettivamente pino, rovere e ciliegio. Fate
Attenzione a contare i pezzi: dall'unione di nove
moduli, tenuti insieme da fasce di gomma colorate,
viene fuori un tavolino
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La sezione quadrata, invece, si porta dietro alcune difficoltà compositive. Immagino che la costruzione più semplice da
fare con questo tipo di gamba sia molto
simile allo sgabello dell'Ikea che mio padre tiene in bagno: quattro zampe dritte
a sezione quadrata e un piano altrettanto
quadrato come sedile. Prendo spunto da
questo tipo di sgabello per capire quale
sia il modo migliore di affrontare la sezione quadrata.
Per evitare di fare qualcosa di banale e
dall'aspetto pesante bisogna valutare
bene alcuni elementi fondamentali: innanzitutto la dimensione della sezione,
che va calibrata in base alle esigenze
strutturali ma anche ridotta il più possibile, per evitare di appesantire visivamente
lo sgabello. Altra questione importante
è l'inclinazione delle gambe: una composizione in cui le gambe (soprattutto
se sono quattro) vengano lasciate dritte
e parallele al suolo risulterà sempre più
statica e pesante alla vista rispetto ad
una che privilegi le gambe inclinate. Ed
infine, se la gamba è quadrata non è detto che debba esserlo anche il sedile.
Sgabello Woody, con gambe a sezione
quadrata che si incastrano nel sedile
sagomato, disegnato da Lievore Altherr
Molina per Andreu World
Un esempio che racchiude questi tre
aspetti è lo sgabello Faber dell'azienda
Loher: la base è composta da tre gambe,
ognuna delle quali è ricavata dall'unione
di due elementi (collegati da un terzo
elemento orizzontale nascosto sotto il
sedile) con inclinazione, differente che
si congiungono verso il pavimento. La
composizione della base, seppur dinamica, è geometrica e rigorosa e contrapposta alla forma morbida del sedile circolare. Ha sicuramente una costruzione
più semplice ma tutt'altro che statica lo
sgabello Dolly di Lievore Altherr Molina:
fa parte di una linea di sedute costruite
in massello di faggio (con sedile in multistrato) che viene messo a contrasto con
la laccatura in colori vivaci.
Sgabello JL1 della collezione Faber prodotto da Loher: esempio di sgabello con gambe a sezione quadrata
Sgabello Dolly di Lievore Altherr Molina, prodotto da THELERMONT HUPTON: sgabello dalle forme semplici e
dall'altrettanto semplice costruzione, viene caratterizzato con la laccatura parziale a contrasto con la parte
in frassino lasciata al naturale. Lunghezza 48 cm, altezza 48 cm, larghezza 44 cm.
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Sgabello a dondolo Monarchy di Objecten,
disegnato da Yiannis Ghikas. Realizzato in
legno di rovere
Per gli sgabelli con gambe a sezione circolare il rischio maggiore è quello di realizzare
un oggetto banale. Esistono una miriade di
sgabelli molto simili in giro che sono composti da una base tripode con gambe inclinate
e il sedile circolare. Per questo motivo ho
selezionato per voi dei progetti che si distinguessero, almeno in un dettaglio, da quel
tipo di composizione.
Nello sgabello Lechuck di Miniform, per
esempio, a distinguersi è il sedile, ergonomico e sagomato in una forma che ricorda il
sellino delle biciclette.
Lo sgabello Lechuck di Miniform, progettato dal designer Giorgio Biscaro ha tre
gambe inclinate a sezione circolare che si assottigliano a affusolano verso il basso,
unite ad un sedile ergonomico che ricalca le forme del sellino della bicicletta. Realizzato in faggio naturale a contrasto con le gambe laccate in vari colori
Anche nello sgabello Aro', di Oscar Diaz, il
sedile è il punto cardine del progetto: il designer scompone il classico sedile circolare
in due cerchi concentrici che non si toccano
fra loro, ma vengono uniti alla struttura dalle
gambe sottostanti.
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Non nutrivo molte speranze di trovare esempi di sgabelli ad
incastro in massello. Visto che negli articoli dedicati ai pannelli,
multistrato e osb, vi avevo mostrato questo tipo di costruzione
ho voluto tentare la sorte: sono così riuscita a scovare lo sgabello in rovere Carej di Domus Arte e il Folding Stool di Jack
Smith. Il primo, inizialmente, mi aveva fatto sorgere il dubbio
che i pezzi fossero incollati.
Sgabello Aro' di Oscar Diaz: il sedile è composto
da due cerchi concentrici sostenuti e mantenuti separati ma complanari dalla struttura delle
gambe
Sgabello Carej di Domus Arte, design di Enrico
Bedin. Esempio di sgabello ad incastro costruito in massello con legno di rovere. Dimensioni
ø40xh46 cm
Mi ha smentito la scheda prodotto, in cui viene specificato (cito
testualmente) che “solo la perfezione dell’incastro tiene salda
la struttura”.
Il secondo progetto ,Folding Stool di jack Smith, ha una connotazione in più: così come dichiarato nel nome, è uno sgabello
pieghevole composto da 4 elementi, 3 zampe e la seduta, tutti
incernierati tra loro. Quando è chiuso occupa poco spazio e
può essere risposto con facilità. All'occorrenza, basta far ruotare tutti i pezzi in accordo con le cerniere, unendo così le gambe
e incastrandole nel sedile con una leggera pressione. Sebbene
abbiano gambe di forme e dimensioni diverse, entrambi gli sgabelli propongono lo stesso tipo di incastro, in cui i tre elementi di
testa delle gambe si uniscono a formare una specie di Y.
Come ultima categoria vi propongo un paio di esempi di sgabelli che prevedono l'uso di legni diversi. Nella produzione su
vasta scala è molto comune l'utilizzo del massello al naturale
(spesso specie chiare) abbinato con laccature coprenti di vari
colori. Per questo motivo, quando si lavora con tecniche e produzioni artigianali, la selezione del legno aiuta a valorizzare il
prodotto, distinguendolo dagli altri esempi presenti sul mercato.
Nel progetto di Affi, sgabello realizzato a mano da Internoitaliano, il designer Giulio Iacchetti lavora sul contrasto di due
legni dalle tonalità molto diverse: il noce e il faggio. La struttura
della base, realizzata con il legno più chiaro, è costituita da
due elementi a forma di H che si incrociano e sovrappongono
fra loro per poi incastrarsi nei quattro punti cardinali del sedile
circolare in noce.
Foldin Stool di Jack Smith: sgabello pieghevole ad incastro
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Questo gioco di sovrapposizione delle gambe è visibile anche dall'alto grazie alla grande asola centrale del sedile che nasce per
facilitare lo spostamento di questa seduta
dalle dimensioni contenute: H 42 cm / Diam,
32 cm / Diam, 32 cm. La sagoma esterna
delle gambe è più squadrata in accordo con
quella del sedile in cui si va ad incastrare, mentre quella interna viene addolcita e
smussata con delle forme arrotondate che
conferiscono fluidità al gioco di sovrapposizione.
Sgabello Affi di Internoitaliano. Le gambe, realizzate in faggio, si incrociano e sovrappongono
fra loro per poi incastrarsi nel sedile in noce.
Designer Giulio Iacchetti
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Il progetto Hockerbank di Johanna Dehio
usa legni a contrasto ma in maniera decisamente differente. Il suo progetto incarna il
problema comune a tutti i designer, ovvero
la difficoltà di progettare uno sgabello originale che si distingua dalla miriade di esempi già presenti in giro. Credo che Johanna,
messa di fronte a questo ostacolo abbia deciso, piuttosto che ricercare l'unicità o la novità della forma, di concentrarsi sulla funzione. Lo sgabello di per sé è molto semplice, e
sembra una rivisitazione (come ce ne sono
tante in giro) del ben più famoso sgabello 60
di Alvar Aalto.
Sgabello 60 di Alvar Aalto, in legno curvato. Prodotto da Artek
Il sedile tondo è sorretto da tre gambe inclinate che sporgono rispetto ad esso, ricavate dal taglio sagomato del massello. Questa
sporgenza non è casuale, ma è dovuta al
fatto che gli sgabelli possono essere trasformati in panche semplicemente appoggiando su di essi delle tavole opportunamente
svuotate con fori circolari (con lo stesso
diametro del sedile). I fori accolgono i sedili
e le gambe sporgenti sorreggono la struttura. Sarei molto curiosa di sedermi sulla
panca per valutarne la stabilità. Se volete
copiare l'idea vi consiglio di tener conto di
due cose: prima di iniziare la costruzione
pensate bene se avete in casa uno spazio
dove riporre le tavole forate quando non vi
servono; inoltre vi invito a seguire l'esempio
della giovane designer di selezionare legni
diversi per i due elementi, lo sgabello e la
tavola, e di lavorare con delicate e tenui cromie a contrasto che conferiscono estrema
eleganza all'oggetto.
Hockerbank di Johanna Dehio, sgabelli che
all'occorrenza si trasformano in panche
Spero che il breve excursus della mia rubrica tra le idee di Enzo Mari vi abbia invogliato a sfogliare il suo “Autoprogettazione?”
(edito da Corraini). Così potrete farvi una
vostra idea sulla questione e sicuramente
troverete molti altri spunti interessanti.
Sgabellatevi!
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