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Raccolta di giurisprudenza tratta dalla
BANCA DATI NORMATIVA
E GIURISPRUDENZIALE
PER IL MONDO DELLA SCUOLA
http://for.indire.it/dirigenti
Febbraio 2009
CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI - SENT.19/03/2008 N. 1214
Valutazioni ed esami (dello studente) - procedimento e sanzioni
disciplinari- uso del telefono cellulare - Nota MPI 801/2007
E’ illegittima l’esclusione dalla prova dell’esame di stato di uno
studente, in relazione alla prescrizione posta dalla nota del Ministero
della Pubblica Istruzione n. 801/Dip. del 29/05/2007 secondo la quale
“è assolutamente vietato, nei giorni delle prove scritte, portare a
scuola telefoni cellulari di qualsiasi tipo ... e che nei confronti di coloro
che saranno sorpresi ad utilizzarli è prevista, secondo le norme vigenti
in materia di pubblici esami, l’esclusione dalla prova”, allorché non
risulti l’effettivo utilizzo del telefono cellulare per contatto esterno.
Solo l’effettivo utilizzo del telefono viola il divieto in questione, che è
teso a garantire l’autonoma e personale elaborazione degli scritti da
parte dei candidati.
(Nel caso di specie, erano stati acquisiti in giudizio i tabulati del
gestore di telefonia mobile, in base ai quali era stato escluso che nel
corso della prova di esame il cellulare detenuto dal candidato fosse
stato utilizzato per contatto esterno. Il principio affermato consente di
escludere il rilievo ai fini della validità della prova della mera
detenzione del telefono da parte degli studenti. Da ciò non deriva però
che per giustificare l’esclusione dall’esame la Commissione debba
acquisire i tabulati telefonici, essendo sufficiente che si sia in presenza
di elementi fattuali precisi e concordanti- elementi di cui dare
puntualmente conto nel verbale- circa l’effettivo utilizzo del telefono
da parte del candidato).
(L.P.)
FATTO E DIRITTO
1) Il collegio ravvisa che sussistono i presupposti per la decisione della causa
in forma semplificata. Sul punto, ai sensi dell’art. 21, comma nono, della
legge n. 1034/1971, come introdotto dall’art. 3 della legge n. 205/200, sono
state sentite le parti presenti in giudizio.
2) L’appello è fondato.
2.1) Per ciò che interessa la presente controversia la circolare del Ministero
della Pubblica Istruzione n. 801/Dip. del 28.05.2007 - recante disposizioni
sugli adempimenti ed operazioni per lo svolgimento degli esami di stato a
conclusione dei corsi di istruzione secondaria superiore – stabilisce che “è
assolutamente vietato, nei giorni delle prove scritte, portare a scuola telefoni
cellulari di qualsiasi tipo ... e che nei confronti di coloro che saranno sorpresi
ad utilizzarli è prevista, secondo le norme vigenti in materia di pubblici esami,
l’esclusione dalla prova”.
La predetta disposizione, una volta posto il generale divieto di introduzione e
di detenzione nel corso delle prove scritte delle predette apparecchiature di
telefonia mobile, sanziona con la grave misura espulsiva “coloro che saranno
-1-
sorpresi ad utilizzarli”. Come correttamente posto in rilievo dall’istante difesa
l’illecito disciplinare - che viene a costituire indice sintomatico della non
riconducibilità della prova scritta all’originale elaborazione dell’allievo - si
concretizza nell’utilizzo del sistema di telecomunicazione per il contatto con
soggetti estranei all’ambito in cui si svolgono le prove di esame.
Tale conclusione è del resto avvalorata dal contesto normativo che regola lo
svolgimento delle prove idoneative e concorsuali, teso a garantire l’autonoma
e personale elaborazione degli scritti da parte dei candidati, cui del resto fa
richiamo la stessa direttiva ministeriale.
L’art. 5, comma primo, del d.P.R. n. 696/1957 vieta, tra l’altro, ai candidati
“di mettersi in relazione con altri, salvo che con gli incaricati della vigilanza e
con i membri della commissione esaminatrice”. Analogo precetto è ribadito
all’art. 13, comma primo, del d.P.R. n. 487/1994.
In entrambi le su richiamate previsioni ciò che inficia l’idoneità dell’elaborato
ad esprimere il livello di preparazione del candidato è il contatto con soggetti
esterni all’ambito in cui si svolge l’esame e che, ove sia riscontrato,
determina l’effetto invalidante della prova.
Nel caso di specie l’istruttoria svolta in primo grado tramite acquisizione dei
tabulati del gestore di telefonia mobile ha escluso che nel corso della prova di
esame il cellulare detenuto dall’odierna appellante sia stato utilizzato per
contatto esterno così che, per quanto in precedenza esposto, non
sussistevano gli estremi dell’illecito cui la direttiva ministeriale collega la
misura espulsiva dalla sessione di esame.
L’appello va, quindi, accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va
accolto il ricorso di primo grado e, per l’effetto, vanno annullati gli atti con
esso impugnati.
Le spese del giudizio possono essere compensate fra le parti per entrambi i
gradi di giudizio sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in
epigrafe e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo
grado e, per l’effetto, annulla gli atti con esso impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI nella Camera di Consiglio dell’11 gennaio 2008
Depositata in segreteria il 19/03/2008.
-2-
CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI - SENT. 29/02/2008 N. 769
Studenti - procedimento e sanzioni disciplinari - sospensione con obbligo
di frequenza - fatto turbativo del regolare andamento della scuola
Non costituisce turbamento del regolare andamento della scuola il
comportamento dello studente che, pur se gli era stato vietato
verbalmente dal Preside di prendere parte alla partita conclusiva di un
torneo calcistico, vi abbia partecipato per un breve periodo su
autorizzazione del docente allenatore della squadra.
(La sentenza viene segnalata perché, pur in applicazione delle norme
disciplinari contenute nel R.D. n. 635/1925, abrogato dal D.P.R. n.
249/1998, afferma principi che mantengono validità nel vigente contesto
normativo. Il principio affermato, infatti, costituisce applicazione del
principio di proporzionalità tra fatto commesso e sanzione irrogata. La
sentenza conferma TAR Puglia, sentenza n. 2054/2007)
(L.P.)
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso proposto al TAR per la Puglia, sede di Bari (n. 2620 del 1996)
lo studente L.P., in persona del legale rappresentante esercente la potestà
genitoriale sig.ra R.M., impugnava il provvedimento disciplinare in data
13.6.1996, con il quale il Preside del Liceo Scientifico (omissis) aveva sospeso
con l'obbligo di frequenza per un periodo di giorni tre lo studente predetto
iscritto presso l'istituto medesimo istituto.
A sostegno del gravame il ricorrente deduceva i seguenti motivi:
- incompetenza ex art. 22 r.d. 4.5.1925 n. 653 perché la sospensione dalle
lezioni con l'obbligo di frequenza (provvedimento più grave dalla semplice
sospensione dalle lezioni) non rientrava tra le ipotesi di provvedimenti
disciplinari di competenza del Capo di Istituto indicate nella lettera c) del
precedente art. 19;
- violazione art. 20 r.d. n. 653/1925, in quanto la sospensione irrogata al
ricorrente era motivata dal fatto che il giovane era sceso in campo per
pochi minuti durante una partita di calcio contravvenendo alla volontà del
Preside, non costituendo ciò un "fatto turbativo del regolare andamento
della scuola";
- eccesso di potere, avendo il Preside fatto di un episodio di esuberanza
giovanile un caso personale decidendo di infliggere al giovane una
punizione non prevista da alcuna normativa.
Nel giudizio si costituiva l'intimata Amministrazione scolastica, che chiedeva il
rigetto dell'avverso gravame.
2. Con la sentenza in epigrafe specificata, l'adito TAR riteneva fondato, in
relazione ai primi due motivi (dichiarando assorbito il terzo) il proposto
-3-
gravame, accogliendolo e, per l'effetto, annullava l'impugnata sanzione
disciplinare e condannava l'Istituto scolastico resistente a rifondere al
ricorrente spese ed onorari di giudizio, liquidati in complessivi euro
millecinquecento (1500,00).
3. Avverso tale sentenza, ritenuta errata, è stato interposto l'odierno appello,
da parte delle Amministrazioni istanti, le quali rilevano, in sintesi, che
desterebbe "perplessità quanto affermato in sentenza e cioè che la sanzione
della sospensione con obbligo di frequenza sarebbe più grave rispetto alla
sanzione senza obbligo di frequenza" e che sarebbe comunque erronea la
statuizione di condanna alla spese.
Ricostituitosi il contraddittorio nell'attuale fase giudiziale, il sig. L.P. ha
replicato ai rilievi ex adverso svolti, con un'articolata memoria, concludendo
per la reiezione sia dell'istanza cautelare sia, nel merito, dell'appello, in
quanto ritenuto inammissibile e infondato.
4. Alla camera di consiglio del 15 gennaio 2008, la causa viene assunta dal
Collegio in decisione ai fini di una pronuncia abbreviata nel merito, in
presenza dei presupposti previsti dall'art. 26 della L. 6.12.1971, nel testo
sostituito dall'art. 9 della L. 21.7.2000, n. 205, attesa la manifesta
inammissibilità e infondatezza del proposto gravame in appello.
5. Risulta fondata infatti l'eccezione, sollevata dalla parte appellata, di
inammissibilità del ricorso in trattazione per carenza di interesse e comunque
eccezione di giudicato della sentenza impugnata, essendo stata contestata di
tale sentenza unicamente la statuizione di accoglimento del primo motivo del
ricorso originario e non essendo stata impugnata quella relativa
all'accoglimento del secondo motivo (autonomo), ormai passata in giudicato.
Ritiene, invero, il Collegio che l'insussistenza, statuita nella specie dal TAR,
dei fatti turbativi del regolare andamento dalla scuola, in accoglimento del
secondo motivo di ricorso originario, non risulta in effetti - secondo quanto
eccepito dalla parte appellata - contestata specificamente nel ricorso
all'esame e che tale statuizione è ormai passata in giudicato e, come tale
idonea, da sola, a sostenere la legittimità della gravata pronuncia con il
conseguente annullamento della sanzione disciplinata sopra menzionata.
Di tale censura accolta dai primi giudici deve ribadirsi peraltro, nella presente
sede, la fondatezza.
Premesso che le punizioni di cui alla lettera c) e d) dell'art. 19 R.D. 4.5.1925
(sospensione delle lezioni "per un periodo non inferiore a cinque giorni" e
"fino a quindici giorni") concernono fatti che, come precisato nel successivo
art. 20, "turbino il regolare andamento della scuola" - deve ritenersi, infatti,
che nel caso in esame tali elementi non sussistano.
E ciò in quanto essi si riferiscono in concreto, come rilevato nella sentenza
impugnata, ad un particolare comportamento tenuto dallo studente P. in sede
di un'attività extrascolastica (partita conclusiva di un torneo calcistico tra le
varie scuole locali, nei cui minuti finali aveva partecipato su autorizzazione
della docente responsabile della propria squadra, pur se, precedentemente,
gli era stato vietato (oralmente) dal Preside di prendere parte alla partita
stessa per non essersi comportato correttamente nei confronti dell'insegnante
-4-
di educazione fisica); comportamento questo che chiaramente non può
rientrare, come osservato correttamente dai primi giudici, tra quei "fatti
turbativi del regolare andamento della scuola" posti alla base dei contestati
provvedimenti del Preside, né, nella mancata ottemperanza all'ordine orale da
lui impartito di non giocare, dovendo considerarsi essenziale la circostanza
che la partecipazione nei soli minuti finali della gara in questione era
avvenuta da parte dello studente menzionato su apposita disposizione del
docente-accompagnatore della squadra.
6. L'appello va quindi respinto in quanto inammissibile e infondato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come da
dispositivo.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe specificato, lo respinge e, per
l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna le Amministrazioni appellanti al pagamento delle spese ed onorari di
giudizio che vengono liquidati in complessivi euro tremila (3000,00) in favore
del signor L.P..
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2008, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio.
Depositata in segreteria il 29 febbraio 2008.
-5-
TAR LAZIO - SEZ. III QUATER - SENT.27/02/2008 N. 3664
Studenti - procedimento e sanzioni disciplinari - sanzione disciplinare indicazione della durata - necessità
A prescindere dalle ragioni che hanno giustificato l’adozione di una sanzione
disciplinare nei confronti di un alunno e dalla natura "simbolica" della
sanzione stessa, è illegittima la sanzione che non indichi la durata della
stessa. Il termine di efficacia costituisce requisito essenziale a tutti i
provvedimenti di durata, la cui mancata pre-fissazione vizia formalmente e
sostanzialmente il provvedimento.
(L.P.)
FATTO E DIRITTO
Con ricorso notificato il 29 marzo 2006 e depositato il 28 aprile successivo
(omissis), nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul figlio minore
(omissis), ha impugnato il provvedimento del dirigente scolastico dell’Istituto
Comprensoriale Statale (omissis) con il quale il figlio è stato sospeso dalle
lezioni, con obbligo di frequenza, senza apposizione di termine finale alla durata
del provvedimento stesso. Censura quindi detto atto in primo luogo sotto tale
profilo, per eccesso di potere e per violazione dei principi desumibili
dall’ordinamento di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 e per
mancata indicazione dei termini e dell’Autorità per l’impugnazione
Costituitasi l’Amministrazione ha rilevato trattarsi di provvedimento di natura
“simbolica” dovuto ai ripetuti comportamenti scorretti dell’alunno.
Con ordinanza collegiale del 14 giugno 2006 n. 3407 è stata accolta l’istanza
cautelare, per il vizio costituito dalla mancata apposizione del termine.
Con memoria il ricorrente ha ribadito tesi e difese.
Tanto premesso il Collegio ritiene di confermare quanto già anticipato in
sospensiva, ritenendo che, a prescindere dalle ragioni che hanno giustificato
l’adozione del provvedimento, questo appare viziato formalmente e
sostanzialmente per la mancanza di un requisito essenziale a tutti i
provvedimenti di durata, costituito appunto dal termine di efficacia dello stesso.
Considerata la complessiva fattispecie, sussistono tuttavia giusti motivi per
compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sez.III quater, accoglie il
ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla l’atto impugnato; spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione
terza quater - nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008.
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TAR PUGLIA - BARI SEZ. MISTA - SENT. 20/09/2007 N. 2227
Valutazioni ed esami (degli studenti) - procedimento e sanzioni disciplinari
- atto e documento amministrativo - organi collegiali - giudizio di accesso
alla classe superiore - motivazione
Le disposizioni di cui al DPR 24 giugno 1998 n. 249, che riguardano in
generale gli indirizzi per l'organizzazione scolastica nei rapporti con gli
studenti, non incidono in sé sulla legittimità degli atti di valutazione degli
apprendimenti degli alunni.
In base all'articolo 193, primo comma, del decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297 (Testo unico sull'istruzione) "La promozione è conferita agli
alunni che abbiano ottenuto voto non inferiore ai sei decimi in ciascuna
disciplina o in ciascun gruppo di discipline": ne consegue che
deliberazione di non ammissione alla classe superiore non sia un evento
straordinario per il quale sia necessario apprestare un eccezionale sforzo
motivazionale, sicché le ragioni della non ammissione possono
normalmente desumersi dai verbali del consiglio di classe, integrati dalla
documentazione ufficiale (registri e pagelle) da cui risulta l'intero
svolgersi dell'anno scolastico, nonché i profitti e la condotta degli allievi.
Non esiste regola che
nell'attribuzione dei voti.
imponga
di
arrotondamenti
per
eccesso
I colloqui quadrimestrali e l'ora settimanale che ciascun docente riserva
agli incontri con i genitori costituiscono strumento per consentire a questi
la necessaria informazione ed il conseguente coinvolgimento dei genitori
nel percorso educativo e per seguire l'andamento scolastico dei figli.
(Nello stesso senso anche TAR Puglia, sent. 20/09/2007 n. 2222)
(L.P.)
FATTO E DIRITTO
Per quanto riguarda specificamente le censure dedotte, occorre osservare
quanto segue.
Le invocate norme, di cui al DPR 24 giugno 1998 n. 249, riguardando in
generale gli indirizzi per l'organizzazione scolastica nei rapporti con gli studenti,
non incidono in sé sulla legittimità degli atti.
In ogni caso, dalla documentazione versata dall'Amministrazione scolastica
risultano sia gli interventi di recupero, organizzati nel corso dell'anno (di cui il
discente ha solo parzialmente voluto usufruire), sia i contatti scuola-famiglia,
finalizzati all'informazione e al coinvolgimento dei genitori nel difficile percorso
educativo.
-7-
In ogni caso, regolarmente sono tenuti in ogni scuola gli usuali colloqui
quadrimestrali con le famiglie; deve poi presumersi che i vari insegnanti
riservino un'ora settimanale ai colloqui con i genitori.
Di conseguenza, attraverso questi ordinari strumenti di colloquio che la scuola
mette a disposizione dei genitori, questi ultimi avrebbero potuto comunque
seguire l'andamento scolastico del secondo quadrimestre del figlio, attività alla
quale gli stessi avrebbero potuto prestare particolare attenzione, visto che dalla
pagella del primo quadrimestre, sicuramente conosciuta dagli interessati,
risultavano già votazioni non soddisfacenti.
Per inquadrare la vicenda, occorre ricordare innanzi tutto che, invero, in base
all'articolo 193, primo comma, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297
(Testo Unico), tuttora, "La promozione è conferita agli alunni che abbiano
ottenuto voto non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina o in ciascun
gruppo di discipline"; di conseguenza, deve ritenersi la deliberazione di non
ammissione alla classe superiore un evento non straordinario per il quale non
sia in definitiva necessario apprestare un eccezionale sforzo motivazionale,
sicché le ragioni della non ammissione possono normalmente desumersi dai
verbali del consiglio di classe, integrati dalla documentazione ufficiale (registri e
pagelle) da cui risulta l'intero svolgersi dell'anno scolastico, nonché i profitti e la
condotta degli allievi.
Viene poi denunciata la violazione, da parte del consiglio di classe, dei criteri di
valutazione dallo stesso organo fissati, invocando quel criterio (verbale 7 della
seduta del 13 giugno 2007), secondo il quale si riteneva "un'insufficienza non
grave, e che comunque non determina una carenza nella preparazione
complessiva, quella definita dal voto quattro".
Tale indicazione ovviamente (al contrario di quanto sembra sostenuto in
ricorso) deve riferirsi ad un'unica insufficienza non grave, sicché l'argomento
attoreo appare già di per sé inconsistente.
Occorre a tal punto riportare, nella parte che rilevano, le votazioni assegnate
nello scrutinio finale: italiano 5, latino 4, inglese 3, storia 5, matematica 5,
disegno 5; conseguentemente la sola piena sufficienza è stata riportata in
educazione fisica.
In ogni caso, se già il solo tre in inglese avrebbe giustificato la ripetizione della
classe, ove ritenuta ostativa al corso di studi (come si ricava dal verbale del
collegio docenti del 18 ottobre 2006), anche se si volessero accogliere, per
assurdo, le contestazioni sulla qualificazione del voto di latino avanzate dai
ricorrenti, rimarrebbe il fatto che lo studente farebbe registrare ben sei
insufficienze.
Tale situazione impedisce (per ragioni giuridiche, discendenti dalla precisa
indicazione del collegio dei docenti, il quale ha posto come il limite invalicabile
di quattro debiti formativi, ma prima ancora per ragioni logiche) l'attribuzione di
ben sei debiti formativi.
A fronte di questo quadro non possono assumere una particolare valenza le
lagnanze secondo le quali i voti sarebbero stati arrotondati per difetto
(circostanza fortemente contestata dalla scuola), sia perché non esiste regola
che imponga di arrotondamenti per eccesso, sia per la situazione complessiva
-8-
del profitto; né possono incidere i (in realtà assai modesti) miglioramenti in
latino e matematica, nell'arco del secondo trimestre, segnalati dai genitori,
visto che comunque essi non hanno comportato il conseguimento della
sufficienza.
Circa il 2 in italiano, registrato il 24 maggio 2007, è stato chiarito al Dirigente
scolastico e dall'insegnante interessata che trattasi di errore materiale, nel
senso di errata inserzione del voto nella casella del giorno; dall'ammissione
dell'errore e dalla relativa spiegazione discende la non rilevanza dell'esito della
querela di falso presentata dai ricorrenti dinanzi al Giudice ordinario.
Inoltre, visto che la docente ha qualche giorno dopo consentito di recuperare la
notazione di "impreparazione" e il discente ha appunto ottenuto 6, il denunciato
2 non ha assunto il ruolo decisivo nella valutazione che i genitori gli
attribuiscono.
Infatti la complessiva votazione 5 è stata dedotta in ogni caso dalle seguenti
incontestate risultanze: prove scritte: 4+, 5 (la terza prova non è stata
sostenuta per assenza); prove orali: 6½, 6, 4, 6½ e 5, ovvero da una media di
voti che non raggiunge la sufficienza per il 4 assegnato allo scritto e il 6
complessivo all'orale.
Quanto premesso, riguardo al profitto dello studente, consente di escludere che
la sanzione disciplinare inflitta nel primo quadrimestre abbia svolto un ruolo
autonomo e particolare sul giudizio di non ammissione alla classe superiore.
In conclusione, il ricorso è da rigettare.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le
spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione mista di Bari,
respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Bari, 12 settembre 2007.
-9-
TAR CALABRIA - CATANZARO SEZ. II - SENT. 09/11/2007 N. 1936
Studenti - procedimento e sanzioni disciplinari - valutazioni ed esami (degli
studenti) - occupazione studentesca
E’ rilevante come illecito disciplinare quale violazione dei doveri dello studente
di cui all’art. 3, commi 2 e 5, del D.P.R. n. 249 del 1998 (“2. Gli studenti sono
tenuti ad avere nei confronti del capo d’istituto, dei docenti, del personale tutto
della scuola e dei loro compagni lo stesso rispetto, anche formale, che chiedono
per se stessi”…. 5. Gli studenti sono tenuti ad utilizzare correttamente le
strutture, i macchinari e i sussidi didattici e a comportarsi nella vita scolastica
in modo da non arrecare danni al patrimonio della scuola”) l’occupazione
dell’edificio scolastico da parte degli studenti che abbia impedito lo svolgimento
delle lezioni durante tutto il periodo della protesta, non consentendo ai docenti
ed
agli
studenti
dissenzienti
di
poter
proseguire
rispettivamente
nell’insegnamento e nell’apprendimento delle materie scolastiche.
Il voto di condotta non può assumere una valenza sanzionatoria atipica, poiché
esso deve essere rapportato alla valutazione complessiva dell’alunno anche
all’esito dell’eventuale attribuzione di illeciti disciplinari.
(Ha affermato la sentenza impugnata che “Il voto di condotta, essendo diretto
ad esprimere la valutazione complessiva dell’alunno non solo sotto l’aspetto
della regolarità e/o della diligenza nel seguire le lezioni, ma soprattutto sotto il
profilo della maturazione della personalità con riferimento al comportamento in
generale nei confronti della comunità scolastica ed al rispetto delle regole del
buon vivere civile, se assume connotazione negativa…deve necessariamente
trovare riscontro nella previa contestazione degli addebiti, effettuata con le
forme del procedimento disciplinare regolato (per la scuola secondaria) dall’art.
4 del D.P.R. n. 249/1998)…. Il voto negativo in condotta non può costituire
esso stesso una sanzione, ma deve presentarsi come la risultante di precedenti
misure sanzionatorie, comminate nel rispetto delle garanzie offerte dal
procedimento disciplinare”)
(L.P.)
RITENUTO IN FATTO
I ricorrenti sono genitori di alcuni alunni minorenni dell’Istituto di Istruzione
Superiore Statale di XX, iscritti ai licei classico e scientifico, i quali, nel periodo
compreso tra il 12 ed il 22 dicembre 2005, partecipavano all’occupazione
studentesca dei rispettivi edifici scolastici al fine di protestare per le condizioni
strutturali in cui questi ultimi versavano e per reclamare l’interessamento della
competente Provincia di Vibo Valentia.
Tale occupazione impediva lo svolgimento delle lezioni, che restavano sospese
durante tutto il citato periodo.
Riferiscono i ricorrenti che gli studenti dei licei si erano uniti nella protesta “per
ottenere servizi minimi essenziali, quali il riscaldamento dei locali, la
- 10 -
.
sistemazione degli infissi esterni, l’intonacatura e la tinteggiatura delle pareti
delle classi, la bonifica dei servizi igienici”.
Durante i giorni della protesta veniva fatto circolare tra gli studenti un foglio
bianco, nel quale venivano raccolte le firme dei partecipanti all’occupazione.
Successivamente, il collegio dei docenti per l’indirizzo scientifico, riunitosi in
data 31 gennaio 2006 per esprimere alcune valutazioni in ordine al primo
quadrimestre, proponeva ai consigli di classe, su iniziativa del dirigente
scolastico, di assegnare il voto cinque in condotta a tutti i ragazzi firmatari per
l’occupazione.
Avviata la procedura di scrutinio del primo quadrimestre, i consigli di classe
della I A, della I B e della IV B del liceo scientifico, nonché il consiglio di classe
della II B del liceo classico, anche per assecondare le richieste di comprensione
provenienti da parte dei genitori degli occupanti, decidevano di attribuire, nelle
riunioni appositamente indette ad inizio febbraio 2006, il voto sei in condotta a
tutti i partecipanti all’occupazione, compresi gli alunni di cui è causa, ossia:
(omissis).
Tale giudizio, recepito nelle corrispondenti pagelle del primo quadrimestre,
viene contestato dai ricorrenti, nella qualità di titolari della potestà genitoriale
sugli studenti ora nominati, che impugnano non solo le pagelle ma anche i
prodromici verbali del collegio dei docenti e dei consigli di classe, meglio in
epigrafe individuati, nei quali è esternato l’iter valutativo compiuto
dall’amministrazione scolastica.
In dettaglio, i ricorrenti ritengono illegittimi i provvedimenti gravati per i
seguenti motivi, articolati in più censure:
1. violazione degli artt. 21 e 40 della Costituzione; violazione del principio di
ragionevolezza; eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto dei
presupposti;
2. violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, del D.P.R. n.
249/1998; violazione degli artt. 21 e 27, comma 2, della Costituzione;
3. violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 1, 2, 3, 4 ed 8 del D.P.R.
n. 249/1998; violazione del principio del contraddittorio; eccesso di potere
per sviamento; difetto assoluto di motivazione;
4. violazione dell’art. 2 del codice civile; eccesso di potere per difetto dei
presupposti;
5. violazione dell’art. 193 del D.Lgs. n. 297/1994; incompetenza;
6. eccesso di potere per sviamento; difetto dei presupposti; disparità di
trattamento.
Le amministrazioni intimate si sono costituite con unico controricorso della
difesa erariale, nel quale concludono per la reiezione del gravame.
Con ordinanza cautelare n. 429 dell’8 giugno 2006, questo giudicante
accoglieva l’istanza di sospensiva dei provvedimenti impugnati.
- 11 -
Successivamente, la difesa erariale depositava relazione amministrativa del
dirigente scolastico corredata da varia documentazione.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione all’udienza pubblica dell’8 giugno
2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il gravame in trattazione, i genitori degli alunni minorenni indicati in
epigrafe stigmatizzano l’attribuzione del voto di condotta relativo al primo
quadrimestre dell’anno, definitivamente determinato in “sei” dai competenti
organi collegiali dell’Istituto scolastico. Essi, avverso i provvedimenti in cui
sono stati formulati e recepiti i giudizi di condotta relativi ai propri figli
(verbali del collegio dei docenti, dei consigli di classe, pagelle), muovono
diverse censure volte, sostanzialmente, a porre in evidenza la violazione di
diritti costituzionalmente garantiti, la mancanza dei presupposti posti a base
della valutazione negativa della condotta, l’uso distorto del potere valutativo,
l’erronea inclusione dei propri figli tra i promotori o sobillatori
dell’occupazione studentesca, la violazione delle regole procedimentali
inerenti alla deliberazione dei voti di profitto e di condotta, nonché, infine, la
disparità di trattamento nei confronti di altri allievi partecipanti alla protesta.
2. Con i primi due motivi, i ricorrenti, deducendo violazione di legge ed
eccesso di potere, intendono denunciare la carenza del presupposto fondativo
del giudizio reso sulla condotta dei figli, ossia l’illiceità dell’occupazione degli
edifici scolastici.
Essi, in definitiva, appuntano le proprie critiche sulla seguente unica censura:
“gli organi della scuola (Dirigente scolastico e Consigli di classe) hanno
arbitrariamente sanzionato la regolare attività di protesta degli studenti, che
hanno manifestato in modo pacifico e democratico le loro opinioni e la loro
necessità di frequentare edifici scolastici sicuri e dotati dei servizi
indispensabili. Sono stati quindi violati i principi consacrati nell’art. 21 e
nell’art. 27, comma 2 della Costituzione, nonché l’art. 4, comma 4, del DPR n.
249/1998, per il quale “in nessun caso può essere sanzionata, né
direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni
correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità””.
In particolare, prospettano per un verso l’insussistenza, nel caso in esame,
della fattispecie di reato contemplata dall’art. 633 c.p., concernente
l’invasione di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, e per l’altro l’esercizio
di diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto alla libera manifestazione
del pensiero ed il diritto di sciopero, richiamando, a conforto, la citata
disposizione del D.P.R. n. 249 del 24 giugno 1998 (regolamento recante lo
statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria).
2.1 La tesi propugnata dai ricorrenti, anche se suggestiva e trovante appiglio
nella giurisprudenza pretoria più risalente nel tempo, in realtà non convince
e merita di essere disattesa.
Il Collegio non ignora il recente indirizzo della Corte di Cassazione, citato
nel corpo del gravame, secondo il quale non è applicabile l’art. 633 c.p. alle
occupazioni studentesche, poiché tale norma ha lo scopo di punire solo
- 12 -
l’arbitraria invasione di edifici pubblici da parte di soggetti estranei e non
qualsiasi occupazione perpetrata da terzi, laddove, tra l’altro, il concetto di
invasione andrebbe più propriamente ricondotto all’introduzione
dall’esterno con modalità violente. Infatti, ad avviso del supremo giudice, è
erronea la ricostruzione giurisprudenziale diretta a sostenere che l’iniziale
diritto degli studenti di accedere all’edificio scolastico (che esclude di per sé
l’arbitrarietà dell’azione) si tramuterebbe in condotta illecita quando questi
si rifiutino di ottemperare all’intimazione di sgombero del preside o
dell’autorità di polizia, perché, equiparando il concetto di “ingresso
arbitrario” con quello di “permanenza” non consentita, si pone in contrasto
con il principio di tassatività della norma penale e con il divieto di analogia
in malam partem; inoltre, difetterebbe comunque l’elemento dell’altruità
dell’edificio, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, come testualmente
è stato chiarito dallo stesso giudice di legittimità: “Se è, infatti, innegabile
che l’edificio, nella sua struttura muraria e nelle sue attrezzature,
appartiene allo Stato e, di conseguenza, non deve essere danneggiato, è
altrettanto vero che la Scuola – anche in forza del d.p.r. 31.5.1974 n. 416
– non costituisce una realtà <<estranea>> agli studenti, che
contribuiscono e concorrono alla sua formazione e al suo mantenimento:
nel senso, cioè, che gli studenti non sono dei semplici frequentatori, ma
soggetti attivi della comunità scolastica a mezzo di una partecipazione nella
gestione, che conferisce loro un ben più incisivo potere-dovere di
collaborazione, di protezione e di conservazione della stessa, nonché di
iniziativa per il miglioramento delle strutture e dei programmi
d’insegnamento; e non sembrando, invero, configurabile un loro limitato
diritto d’accesso all’edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista
l’attività didattica in senso stretto.” (i riferiti principi sono stati espressi in
Cass. Pen., Sez. II, 22 febbraio 2000 n. 1044).
Orbene, il Collegio, pur aderendo al più diffuso orientamento che non
richiede, per la configurabilità del reato de quo, che l’introduzione
nell’edificio pubblico debba avvenire necessariamente con modalità violente
(cfr. Cass. Pen., Sez. II, 27 novembre 2003 n. 49169; Tribunale di Trento,
16 febbraio 2006; Tribunale di Napoli, Sez. III, 14 novembre 2005), ritiene
di condividere l’indirizzo sopra esposto quando puntualizza che, nel caso
delle occupazioni studentesche, non è ravvisabile l’elemento
dell’arbitrarietà dell’invasione, atteso che agli alunni di una scuola pubblica
è riconosciuto dalla legge il diritto di accedere alla struttura di riferimento
anche indipendentemente dagli orari di lezione, essendo questi membri
attivi della comunità scolastica (purché, beninteso, tale diritto di accesso
venga esercitato nell’arco temporale in cui i servizi della scuola siano da
reputarsi a disposizione dei potenziali utenti).
2.2 Ciò chiarito, tuttavia il Collegio non può esimersi dall’osservare che
l’occupazione studentesca di un edificio scolastico, pur se finalizzata ad
esternare la legittima critica nei confronti delle autorità costituite e dei loro
provvedimenti, come nel caso di specie, può integrare gli estremi del
diverso reato di interruzione di pubblico servizio, previsto dall’art. 340 c.p.
La menzionata fattispecie si configura quando la condotta del soggetto
agente sia stata in grado non solo di cagionare l’interruzione del
funzionamento di un ufficio o di un servizio pubblico, ma anche di alterare
l’ordinato e regolare svolgimento di esso, seppur in maniera temporanea o
marginale (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 2 maggio 2005 n. 22422 e 21 ottobre
2003 n. 47299).
- 13 -
Ebbene, l’occupazione compiuta dagli studenti dei licei dell’Istituto
d’Istruzione Superiore di XX assume, per le modalità in cui si è svolta, tutti
i connotati dell’interruzione di pubblico servizio penalmente rilevante.
È pacifico, come già riferito in narrativa, che essa abbia impedito lo
svolgimento delle lezioni durante tutto il periodo della protesta, non
consentendo ai docenti e agli studenti dissenzienti di poter proseguire
rispettivamente nell’insegnamento e nell’apprendimento delle materie
scolastiche. Infatti, solo un’occupazione condotta con modalità non
invasive, tali da permettere l’effettuazione delle lezioni, avrebbe evitato
l’insorgenza dell’illiceità penale (cfr. Tribunale di Siena, 29 ottobre 2001).
Tale conclusione implica che l’occupazione in questione possa essere
riguardata, altresì, come violazione, rilevante in termini di illecito
amministrativo-disciplinare, dei doveri dello studente di cui all’art. 3,
commi 2 e 5, del D.P.R. n. 249/1998, e precisamente dei seguenti precetti:
“2. Gli studenti sono tenuti ad avere nei confronti del capo d’istituto, dei
docenti, del personale tutto della scuola e dei loro compagni lo stesso
rispetto, anche formale, che chiedono per se stessi. 5. Gli studenti sono
tenuti ad utilizzare correttamente le strutture, i macchinari e i sussidi
didattici e a comportarsi nella vita scolastica in modo da non arrecare danni
al patrimonio della scuola.” .
2.3 Né l’illiceità del comportamento degli studenti occupanti può essere
scriminata, ex art. 51 c.p., dall’esercizio dei diritti, costituzionalmente
garantiti, di libera manifestazione del proprio pensiero (rectius, di critica) e
di sciopero, come invocato dai ricorrenti.
Invero, a prescindere dalla dubbia riferibilità di quest’ultimo diritto a
categorie non legate dalla condivisione di interessi professionali, come le
collettività studentesche, si è fuori, nel caso di specie, dall’esercizio
legittimo dei diritti di critica e di sciopero, giacché la condotta posta in
essere dai soggetti protestatari si è concretizzata in un abuso degli stessi,
cioè nell’estrinsecazione di facoltà non consentite, lesive di altri interessi
costituzionalmente protetti, come il diritto allo studio degli studenti
dissenzienti ed il buon andamento degli uffici pubblici.
La giurisprudenza ha, difatti, condivisibilmente precisato che sia il diritto di
critica che quello di sciopero sono rispettivamente condizionati, ai fini
dell’efficacia scriminante, dall’osservanza dei criteri della “continenza” e
dei limiti “estrinseci”, entrambi individuati a protezione di altri beni di rango
costituzionale (cfr. per il diritto di critica, anche se con riferimento
all’attività giornalistica, Cass. Pen., Sez. V, 13 dicembre 2005 n. 208; Cass.
Pen., Sez. I, 10 giugno 2005 n. 23805; Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2004 n.
2247; cfr. per il diritto di sciopero, Tribunale di Verona, 8 novembre
1993).
Il rispetto di tali indicatori, si ribadisce, nella fattispecie non si è verificato
facendo assumere ad una legittima manifestazione di contestazione forme
vietate dall’ordinamento, lesive di altri interessi di rilevanza costituzionale.
Ne deriva, come corollario, che quanto accaduto non può essere nemmeno
inquadrato nell’ambito della “libera espressione di opinioni correttamente
- 14 -
manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”, non sanzionabile a termini
dell’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 249/1998.
2.4 In definitiva, non può assolutamente condividersi l’assunto attoreo che
sarebbe stata colpita “la regolare attività di protesta degli studenti” e che,
quindi, il giudizio dell’amministrazione scolastica sarebbe stato formulato
sulla base del falso presupposto dell’illiceità del comportamento degli alunni
occupanti.
3. Esaurito lo scrutinio dei primi due motivi di gravame, il Collegio passa al
vaglio del terzo, con il quale i ricorrenti denunciano innanzitutto, oltre alla
violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998, l’eccesso di
potere per sviamento e la violazione del principio del contraddittorio.
In dettaglio, lamentano che il voto di condotta sarebbe stato utilizzato “al fine
di reprimere/sanzionare una condotta specifica degli alunni ritenuta contraria
alle leggi, parificando, così, il complesso giudizio di condotta ad un’anomala
sanzione disciplinare non contemplata da nessuna norma legislativa e
regolamentare”, tra l’altro irrogata senza la previa instaurazione del
contraddittorio, che avrebbe permesso agli alunni coinvolti ed ai rispettivi
genitori di esplicitare le proprie ragioni.
A tali censure si accompagna, per affinità di profilo argomentativo, quella
contenuta nel sesto motivo di gravame, con la quale si evidenzia che “gli
organi collegiali hanno immotivatamente utilizzato il giudizio di condotta al
fine di sanzionare una singola azione degli studenti e non certo per valutare il
loro comportamento generale ed il loro livello di maturazione sociale”.
3.1 Le riferite doglianze, tutte dirette a stigmatizzare il non corretto esercizio
del potere valutativo degli organi scolastici, sono fondate e meritano
accoglimento.
Il Collegio osserva, in primis, che la rilevanza di atto contrario
all’ordinamento dell’episodio “occupazione” avrebbe meritato, per una sua
più consona ponderazione, la sede disciplinare, al fine di evitare, da un
lato, che il giudizio sul comportamento degli allievi fosse fondato su
addebiti non formalmente contestati e, dall’altro, che la valutazione della
condotta, effettuata in occasione degli scrutini quadrimestrali, si
trasformasse in un’impropria sanzione disciplinare, irrogata senza il rispetto
delle garanzie che la legge appresta in favore degli incolpati.
Tale notazione ha come corollario che il voto di condotta, essendo diretto
ad esprimere la valutazione complessiva dell’alunno non solo sotto l’aspetto
della regolarità e/o della diligenza nel seguire le lezioni, ma soprattutto
sotto il profilo della maturazione della personalità con riferimento al
comportamento in generale nei confronti della comunità scolastica ed al
rispetto delle regole del buon vivere civile (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. I, 25
luglio 1991 n. 475), se assume connotazione negativa, come nel caso di
specie, deve necessariamente trovare riscontro nella previa contestazione
degli addebiti, effettuata con le forme del procedimento disciplinare
regolato (per la scuola secondaria) dall’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998.
Ragionare in maniera diversa significherebbe attribuire al voto in condotta
un’inammissibile valenza sanzionatoria (atipica), mentre, più
correttamente, deve ritenersi che in esso vada riportata la valutazione del
- 15 -
comportamento dell’alunno all’esito dell’eventuale attribuzione di illeciti
disciplinari.
In altri termini, il voto negativo in condotta non può costituire esso stesso
una sanzione, ma deve presentarsi come la risultante di precedenti misure
sanzionatorie, comminate nel rispetto delle garanzie offerte dal
procedimento disciplinare; ciò al duplice fine di rendere trasparente e
verificabile il giudizio sulla condotta dell’allievo e di consentire a
quest’ultimo, oltre alla facoltà di opporre controdeduzioni, la possibilità di
correggere il proprio operato nel corso dell’anno scolastico.
Inoltre, dato per inconcesso che il voto in condotta possa di per sé
atteggiarsi a misura di carattere disciplinare (postulato che richiederebbe
l’inammissibile trasformazione dell’attività di giudizio in attività
sanzionatoria), si rileva che non è stata nemmeno rispettata, da parte degli
organi collegiali, la garanzia del contraddittorio contemplata dall’art. 4,
comma 3, del D.P.R. n. 249/1998, atteso che non risulta che gli alunni
interessati siano mai stati convocati per esporre le proprie ragioni.
Infine, come già accennato in sede cautelare, emerge che i voti di condotta
in questione sono stati indebitamente determinati con riferimento al solo
episodio collettivo dell’occupazione, e non con riguardo alla valutazione del
complessivo comportamento tenuto dai singoli studenti nel corso del
quadrimestre, che avrebbe dovuto, invece, differenziare le posizioni di ogni
partecipante alla protesta; è, infatti, illegittimo il voto di condotta attribuito
non in base al comportamento complessivamente osservato dallo studente
durante l’anno scolastico, ma in virtù del contegno tenuto in una specifica
circostanza, anche se riprovevole (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, 26 marzo
1987 n. 93).
3.2 E’ conclamato, pertanto, come l’amministrazione scolastica sia incorsa,
nell’assegnazione dei voti di condotta in questa sede contestati,
nell’eccesso di potere per sviamento dalla funzione tipica e nella violazione
dell’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998.
4. In conclusione, i provvedimenti impugnati sono illegittimi e devono essere
annullati per le ragioni quivi evidenziate.
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto nei termini di cui sopra,
mentre devono ritenersi assorbiti i motivi e le censure non esaminati.
4.1 Attesa la particolare natura degli interessi coinvolti, sussistono giusti
motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e degli
onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro –
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 485/2006 meglio
in epigrafe indicato, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto
annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
- 16 -
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nelle Camere di Consiglio dell’8 giugno e del 9
novembre 2007.
- 17 -
TAR PUGLIA - BARI SEZ. I - SENT. 30/08/2007 N. 2054
Studenti - procedimento e sanzioni disciplinari - sospensione con obbligo di
frequenza - fatto turbativo del regolare andamento della scuola
La "sospensione con obbligo di frequenza" (consistente nell’imporre
all’alunno sospeso ad essere presente a scuola senza poter assistere alle
lezioni) è un inusuale provvedimento disciplinare diverso e più grave dalla
semplice sospensione (poiché l’alunno viene esposto alla particolare
"curiosità" dei suoi compagni di classe).
Non costituisce turbamento del regolare andamento della scuola il
comportamento dello studente che, pur se gli era stato vietato
verbalmente dal Preside di prendere parte alla partita conclusiva di un
torneo calcistico, vi abbia partecipato per un breve periodo su
autorizzazione del docente allenatore della squadra.
(La sentenza viene segnalata perché, pur in applicazione delle norme
disciplinari contenute nel R.D. n. 635/1925, abrogato dal D.P.R. n.
249/1998, afferma principi che mantengono validità nel vigente contesto
normativo.
In base al primo principio, si afferma la diversità giuridica tra
"sospensione" intesa come allontanamento dalla comunità scolastica e
"sospensione con obbligo di frequenza", spesso utilizzato nella pratica
scolastica come sanzione disciplinare: poiché solo la prima è prevista e
disciplinata dal DPR n. 249/1998, il ricorso alla seconda risulterà legittimo
solo se la scuola l’avrà previamente inclusa fra le sanzioni irrogabili nel
proprio regolamento di istituto, in base all’art. 4, comma 1, del predetto
DPR.
Il secondo principio affermato costituisce applicazione del principio di
proporzionalità tra fatto commesso e sanzione irrogata. La sentenza è stata
confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 769/2008)
(L.P.)
FATTO
Con atto notificato il 24 settembre 1996 e ritualmente depositato, l’alunno P.L.,
in persona del legale rappresentante esercente la potestà genitoriale sig.ra
R.M., rappresentato e difeso dall’avv. Sante Nardelli, ha impugnato il
provvedimento disciplinare in epigrafe meglio indicato. Ha premesso di
frequentare la classe II A del Liceo Scientifico (omissis), di essere nel contempo
allievo regionale della squadra di calcio del (omissis) e di far parte della squadra
di calcio rappresentativa della scuola che partecipava, si era nel maggio 1996,
ad un torneo tra squadre di istituti scolastici del Comune di (omissis).
Orbene, continua, al tempo veniva informato dalla prof.ssa C. di educazione
fisica del rinvio della finale del torneo calcistico cui la squadra del Liceo
Scientifico era pervenuta ad un giorno (il sabato) in cui non avrebbe potuto
- 18 -
prendervi parte causa propria indisponibilità. Di qui il grande rammarico dello
studente, che tanti sacrifici faceva per l’attività sportiva, espresso con la foga
tipica di un ragazzo di quindici anni. Interveniva il Preside, informato
dell’accaduto, ed il giovane ("aggredito a parole" dal Preside) si allontanava per
non subire ulteriori umiliazioni verbali alla presenza dei compagni di scuola.
Successivamente il P.L. si recava in Presidenza per chiedere scusa al Preside ed
alla stessa Prof.ssa C.; in detta occasione il Preside si mostrava ostile al dialogo
ed anzi decideva che il giovane non avrebbe comunque giocato la finale del
torneo, spostata questa al mercoledì e non più al sabato.
Il giorno della finale il ragazzo era comunque in panchina, su disposizione della
prof.ssa P., responsabile della formazione e verso la fine della partita, invocato
dai propri compagni di squadra, entrava in campo comunque autorizzato dal
responsabile tecnico della formazione. Il Preside, informato del fatto, da un lato
sanzionava la prof.ssa P. con l’avvertimento scritto in data 8.6.1996 e dall’altro
convocava per il giorno 11 giugno successivo un Consiglio straordinario
integrato dalla partecipazione di alunni e genitori. In detta occasione, dopo aver
mosso pesanti accuse alla prof.ssa R.M., madre dell’alunno nonché docente di
lettere nello stesso istituto scolastico (accusata di irregolarità burocratiche e di
aver rinviato un compito per favorire il figlio assente), annunciava la
sospensione di tre giorni con l’obbligo della frequenza dell’alunno P.L., motivata
dal fatto che il ragazzo fosse sceso in campo durante la finale di calcio, contro
la volontà del Capo di Istituto.
Il giorno successivo, 12 giugno, comunicava al Consiglio di Classe il
provvedimento disciplinare che avrebbe inflitto al ragazzo e che iniziava a
partire dal 13 giugno 1996. Richieste della madre dell’alunno intese alla revoca
del provvedimento in questione, avevano riscontri negativi (vedi nota del
Preside n. 34 Ris. del 24 giugno 1996).
Di qui il ricorso in cui si deducono tre motivi di gravame:
1) Incompetenza ex art. 22 r.d. 4.5.1925 n. 653 perché la sospensione dalle
lezioni con l’obbligo di frequenza (provvedimento più grave dalla semplice
sospensione dalle lezioni) non rientra tra le ipotesi di provvedimenti
disciplinari di competenza del Capo di Istituto che sono indicati nella lettera c)
del precedente art. 19.
2) Violazione art. 20 r.d. n. 653/1925. La sospensione irrogata al P.L. è
motivata dal fatto che il giovane è sceso in campo per pochi minuti durante
una partita di calcio contravvenendo alla volontà del Preside. Non pare che
detta circostanza sostanzi un "fatto turbativo del regolare andamento della
scuola".
3) Eccesso di potere. Il Preside ha fatto di un episodio di esuberanza giovanile
un caso personale decidendo di infliggere al giovane una punizione non
prevista da alcuna normativa.
Con atto depositato il 5 ott. 2006 si è costituito in giudizio, in rappresentanza e
difesa del sig. P.L., nel frattempo divenuto maggiorenne, altro difensore in
sostituzione del rinunciatario avv. Sante Nardelli e cioè l’avv. Gianfranco
Esposito che ha ribadito le censure già espresse nell’atto introduttivo,
sottolineando la permanenza dell’interesse quanto meno morale del suo
assistito alla decisione del ricorso, evidenziando soprattutto che il suo
- 19 -
patrocinato ebbe a subire dall’episodio che si è descritto (sanzione disciplinare a
seguito di una vera e propria "piccineria") una serie di turbative emotive che
ebbero notevolmente ad incidere sulla sua persona e sulla stessa carriera
scolastica; invero il profitto scolastico ebbe repentinamente ad abbassarsi e lo
studente fu costretto a cambiare scuola ed indirizzo di studi.
Accenna anche la parte a tutto un contenzioso e in via giurisdizionale ed in via
amministrativa che ha poi visto contrapposta la madre dello studente docente
di lettere nello stesso Istituto ed il Preside che le imputava una serie di
inadempienze burocratiche, il che portava a non escludere che l’episodio che
aveva interessato l’alunno fosse riflesso di dissapori tra la docente e il capo
d’istituto.
In giudizio si è costituita con mero atto di stile, in rappresentanza e difesa
dell’intimato Ministero della Pubblica Istruzione, l’Avvocatura distrettuale dello
Stato di Bari che ha chiesto genericamente il rigetto dell’avverso gravame.
Alla pubblica udienza del 23 maggio 2007, la causa, sentiti i presenti difensori,
è passata in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, ed in rito, il ricorso all’esame, con cui si impugna un
provvedimento disciplinare di sospensione con obbligo di frequenza per giorni
tre dell’alunno P.L., risalente all’anno scolastico 1995/96, è allo stato ancora
procedibile siccome sorretto da un interesse morale come ben illustrato da
parte ricorrente nell’atto di prosecuzione e costituzione di nuovo difensore
depositato il 5 ott. 2006 oltre che nella memoria conclusionale del 30 aprile
2007. La presenza dell’interesse morale in capo alla parte istante, e per
giurisprudenza assolutamente consolidata del Giudice amministrativo (ex
multis CdS 4206/01; CdS 7104/2004), ben sorregge la procedibilità del giudizio
dovendosi, tra l’altro, escludere che una declaratoria di sopravvenuto difetto di
interesse si sostituisca all’obbligo di pronunciarsi sulla domanda.
Nel merito il ricorso è fondato.
Le punizioni disciplinari degli alunni - giusto capo III del r.d. 4.5.1925 n. 653,
abrogato dall’art. 6 dPR 24 giugno 1998 n. 249 e quindi vigente all’epoca degli
accadimenti ora all’esame (giugno 1996) - vengono elencate nel relativo art. 19
alle lettere dalla a) alla i) e secondo la loro gravità crescente, a partire dalla
ammonizione privata o in classe sino al provvedimento espulsivo da tutti gli
istituti "del Regno" secondo la terminologia dell’epoca.
In particolare la lettera c) prevede la sospensione dalle lezioni per un periodo
non superiore a cinque giorni e la successiva lettera d) quella fino a quindici
giorni; esse punizioni - giusto secondo comma successivo art. 20 - vengono
inflitte "per fatti che turbino il regolare andamento della scuola" e con la
precisazione che la competenza è in capo al Preside per la prima delle indicate
sospensioni ed in capo al Consiglio di Classe per l’altra (cfr. a riguardo quanto
riportato nell’art. 22 del richiamato testo legislativo).
Nella specie la punizione che ha riguardato l’odierno ricorrente, al tempo alunno
del liceo scientifico (omissis), è stata quella - inflittagli dal Preside - della
- 20 -
sospensione per tre giorni con obbligo di frequenza, che a ben vedere non trova
corrispondenza tra quelle elencate nell’art. 19 di cui si è detto. Questa
disposizione, invero, prevede alla lettera c) la "sospensione dalle lezioni per un
periodo non superiore ai cinque giorni" e non già la sospensione con obbligo di
frequenza. Orbene, detto "inusuale" provvedimento disciplinare, che anche da
un punto di vista logico appare essere più grave dalla semplice sospensione (si
costringe l’alunno sospeso ad essere presente nella scuola, a frequentare cioè,
senza poter assistere alle lezioni, esponendolo alla particolare "curiosità" dei
suoi compagni di classe), non rientra - come giustamente dedotto nel primo
motivo di gravame - nella competenza del Capo di Istituto, al quale spetta, in
base al combinato disposto dell’art. 19 e 20 del r.d. citato, l’adozione di un
provvedimento disciplinare comunque diverso da quello adottato. A tutto
concedere la sanzione in concreto erogata potrebbe rientrare nel novero delle
"altre punizioni" che il secondo comma dell’art. 22 demanda alla competenza
del Collegio dei professori su proposta del Preside o del Consiglio di classe.
Nella specie la punizione disciplinare è stata assunta dal Preside che l’ha,
quindi, partecipata al Consiglio di Classe.
Risulta fondato anche il secondo motivo di gravame.
Si è anticipato che la punizione di cui alla lettera c) oltre che quella di cui alla
lettera d) dell’art. 19 r.d. del 1925 vengono a riguardare fatti che turbino il
regolare andamento della scuola. Nel caso che ne occupa si è trattato della
partecipazione dello studente quindicenne, che nel contempo era una promessa
calcistica tant’è che giocava nelle formazioni giovanili della città capoluogo di
Regione, alla partita finale del torneo calcistico tra le varie scuole della città di
(omissis). L’ingresso in campo del giovane talento, magari sollecitato dai
compagni, avveniva nei minuti finali della partita e comunque su autorizzazione
della prof.ssa P. che si interessava della squadra di calcio. È pur vero che in
precedenza, come riferito nella narrativa in fatto, il Preside era intervenuto e
pesantemente nei confronti del ragazzo - proibendogli di giocare la finale ed
estromettendolo dalla rosa della squadra - reo di incontinenze giovanili nei
confronti di altra docente cioè la professoressa di educazione fisica C. (il
ragazzo aveva sbraitato quando aveva saputo della data della finale del torneo
di calcio rinviata ad un giorno di sua indisponibilità di presenza in campo), ma il
tutto - come pur detto dalle docenti interessate - si traduceva in "piccinerie" di
un adolescente, ansioso di alzare al cielo la coppa della vittoria, come visto fare
in tante scene televisive.
Quello che rileva dal punto di vista strettamente giuridico, e senza in questa
sede voler addentrarsi in distinzioni sempre opinabili tra concetti di autorità ed
autoritarismo, è che la manifestazione sportiva organizzata in (omissis) non
aveva carattere di ufficialità, nel senso che non era stata approvata dagli organi
scolastici; ciò viene espressamente eccepito negli scritti difensivi di parte
ricorrente e non riceve smentita dalla pur costituita Avvocatura distrettuale
dello Stato. Essa manifestazione sportiva vedeva l’impegno di personale
docente e non, che di buona volontà si era misurato con tale esperienza (il
torneo denominato (omissis)).
A fronte di ciò risulta estremamente difficile voler vedere nell’entrata in campo
di un quindicenne nei minuti finali di una partita di calcio "fatti turbativi del
regolare andamento della scuola" come invece motivato dal Preside nella nota
del 24 giugno 1996 diretta alla madre dell’alunno e come rappresentato nella
convocazione straordinaria del Consiglio di classe tenutosi il 12 giugno 1996. Né
- 21 -
essa turbativa può cogliersi nel non aver ottemperato all’ordine del Preside di
non giocare, ordine impartitogli oralmente in occasione delle intemperanze
verbali avute con la prof.ssa C. il giorno del preannunciato spostamento della
data della finale (prof.ssa C. che per suo conto si era adoperata per "chiudere"
la vicenda rapportabile solo ad esuberanza giovanile, occasionata
dall’eccitazione sportiva); propendono infatti ed in senso negativo a ravvisarvi
turbamento del regolare andamento della scuola vuoi la carenza di ufficialità
della partecipazione della squadra della scuola vuoi la circostanza che, a ben
vedere, l’entrata in campo dell’alunno era avvenuta su disposizione del
dirigente-accompagnatore della squadra che sedeva in panchina.
Le considerazioni dianzi esposte portano, assorbito il terzo motivo di gravame,
a ravvisare la fondatezza del gravame, con conseguente annullamento della
sanzione disciplinare impugnata.
Spese come da dispositivo e secondo la regola della soccombenza.
PQM
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sezione I, accoglie il
ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla l’impugnata punizione disciplinare.
Condanna il liceo scientifico (omissis), in persona del suo Capo d’Istituto, a
rifondere al ricorrente spese ed onorari di giudizio che si liquidano in
complessivi € 1.500.00 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del 23 maggio 2007
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 30 agosto 2007
- 22 -
TAR PUGLIA - LECCE SEZ. II - SENT. 31/07/2007 N. 3039
Studenti - procedimento e sanzioni disciplinari
Il D.P.R. n. 249/1998 (Statuto delle studentesse e degli studenti) fa
obbligo alle istituzioni scolastiche di adottare il regolamento di disciplina
degli studenti, al quale è affidato il compito di individuare a) la tipologia e
la descrizione dei comportamenti che possono dare luogo all’applicazione di
sanzioni disciplinari a carico degli studenti delle scuole secondarie
superiori; b) la tipologia delle sanzioni disciplinari; c) gli organi scolastici
competenti ad irrogare tali sanzioni e il relativo procedimento.
In mancanza di tale regolamento, stante l’intervenuta abrogazione (ad
opera dell’art. 6 del DPR n. 249/1998) sia del titolo I, capo III, del R.D. n.
653/1925 , sia, con effetto dal 1° settembre 2000, dell’art. 328 del T.U. n.
297/1994 (ad opera dell’art. 17 del DPR 8.3.1999, n. 275), trova
applicazione solo l'art. 4 del citato DPR n. 249/1998, il quale prescrive
espressamente che “La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno
può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima
invitato ad esporre le proprie ragioni…”.
(Nel caso di specie il TAR ha ritenuto illegittima e quindi ha annullato la
sanzione della sospensione dalle lezioni con obbligo di frequenza di un
alunno, essendo risultato che questo non era stato sentito personalmente e
che gli addebiti non erano stati portati preventivamente a sua conoscenza).
(L.P.)
FATTO E DIRITTO
Il sig. D., studente del II liceo classico presso il Liceo XX, impugna il
provvedimento con cui il Consiglio di Classe gli ha inflitto la sospensione dalle
lezioni per giorni 10, con obbligo di frequenza (per il periodo 8-18 maggio
2007), essendo stato lo stesso coinvolto in un violento diverbio con un altro
studente in occasione dell’assemblea d’istituto del 3 maggio 2007 (dell’evento
ha dato notizia anche la stampa locale, visto che uno dei soggetti coinvolti è
stato ricoverato in ospedale per essere sottoposto ad un intervento chirurgico).
Con il presente ricorso (ed i successivi motivi aggiunti, proposti dopo che il
ricorrente ha avuto accesso agli atti del procedimento disciplinare), il sig. D.
sostiene che:
- l’Amministrazione Scolastica, e per essa il Consiglio di Classe della II C del
Liceo XX ha assunto il provvedimento impugnato senza aver accertato l’esatto
svolgimento dei fatti, e ciò in quanto l’assemblea d’istituto si è svolta in un
edificio scolastico diverso da quello in cui ha sede il liceo classico (anche se
facente parte della medesima istituzione), ed in assenza di professori della II
C e dello stesso Dirigente Scolastico (il quale era peraltro assente da XX per
servizio);
- 23 -
- in particolare, non si è tenuto conto di alcune testimonianze di studenti
presenti al momento in cui si è acceso lo scontro fisico fra il ricorrente e un
altro studente (testimonianze raccolte per iscritto dallo stesso sig. D. e
trasmesse al Consiglio di Classe unitamente ad una lettera di scuse,
pervenuta in data 7.5.2007), dalle quali emergerebbe che la responsabilità
dell’accaduto non è da ascrivere all’odierno ricorrente. In tal senso, è stato
leso anche il diritto di difesa in sede procedimentale, riconosciuto a livello
generale dalla L. n. 241/1990 e nello specifico settore dal DPR n. 249/1998;
- pertanto, l’atto impugnato è anche carente dal punto di vista motivazionale (il
che risulta ancora più evidente dalla lettura del verbale del Consiglio di
Classe, impugnato con i motivi aggiunti);
- il provvedimento impugnato è stato adottato da organo incompetente, in
quanto, trattandosi di evento accaduto al di fuori dell’ambito d’istituto, esso
avrebbe dovuto essere adottato semmai dal Collegio dei Docenti e non dal
Consiglio di Classe;
- il verbale del Consiglio di Classe del 7.5.2007 è inesistente per assenza della
sottoscrizione del Presidente (id est, del Dirigente Scolastico che lo aveva
presieduto), mentre il verbale del 28.5.2007 è inesistente/nullo in quanto si
tratta di atto non previsto dalla legge (con tale verbale, sottoscritto peraltro
dal solo Dirigente Scolastico, si era inteso “approvare” il precedente verbale
del 7.5.2007);
Per il caso di accoglimento della domanda impugnatoria, il ricorrente formula
anche domanda risarcitoria, chiedendo la condanna dell’Amministrazione
intimata al risarcimento dei danni (patrimoniali e non) sofferti a causa del
clamore suscitato dalla vicenda, che ha determinato nel ricorrente uno stato di
malessere che gli ha impedito di portare a termine l’anno scolastico.
A seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale con l’ordinanza n. 614/2007, il
Liceo resistente ha depositato solo copia del Regolamento sul funzionamento
dell’Istituto, facente parte integrante del P.O.F., per la qual cosa il ricorrente ha
ulteriormente argomentato (anche senza proporre formalmente ulteriori motivi
aggiunti) circa l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione.
Ciò premesso, il Tribunale ritiene che il ricorso meriti accoglimento solo per
quanto concerne la domanda impugnatoria, mentre va rigettata la domanda
risarcitoria.
Preliminarmente, in punto di rito, va osservato che il ricorso introduttivo e i
motivi aggiunti sono stati notificati presso il domicilio reale dell’Istituto
scolastico che ha irrogato la sanzione disciplinare per cui è causa e non già
presso la competente Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Peraltro, essendosi l’Avvocatura costituita anche per conto del Dirigente
Scolastico del Liceo XX (mentre l’Ufficio Scolastico Regionale e l’Ufficio
Scolastico Provinciale di Taranto, ai quali pure il ricorso è stato notificato presso
il domicilio reale, non sono parti necessarie del giudizio, non avendo concorso in
alcun modo all’adozione degli atti impugnati ed essendo stati evocati in giudizio
al solo dichiarato scopo di sollecitare l’adozione di provvedimenti sanzionatori
nei confronti del Dirigente Scolastico prof. B., in relazione agli eventi da cui è
scaturito il presente giudizio), trova applicazione il principio di diritto affermato
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dalla Corte Costituzionale nella risalente decisione 8 luglio 1967, n. 97, con cui
la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 11, comma 3, del
R.D. n. 1611/1933, nella parte in cui, disponendo che “Le notificazioni di cui ai
comma precedenti [ossia, quelle dirette alle amministrazioni statali che si
avvalgono del patrocinio ex lege dell’Avvocatura erariale], devono essere fatte
presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi
anche d'ufficio”, non fa salvi gli effetti sananti dell’avvenuta costituzione in
giudizio, per il tramite della stessa Avvocatura Distrettuale,
dell’Amministrazione intimata, e ciò in applicazione del principio generale di cui
all’art. 156 c.p.c.
Pertanto, il vizio della notifica del ricorso è stato sanato dall’avvenuta
costituzione in giudizio dell’Istituto scolastico che ha irrogato al ricorrente la
sanzione disciplinare oggetto di gravame.
Nel merito, come detto, l’azione impugnatoria va accolta, in quanto il
procedimento disciplinare a carico del sig. D. si è svolto in difformità di quanto
stabilito dall’art. 4 del DPR n. 249/1998.
Tale conclusione discende dal fatto che, nel dare riscontro all’istruttoria disposta
dal TAR, il dirigente scolastico del liceo XX ha reso noto che l’istituto intimato
non ha adottato un regolamento di disciplina degli studenti, il quale, stante
l’intervenuta abrogazione sia del titolo I, capo III, del R.D. n. 653/1925 (ad
opera dell’art. 6 del DPR n. 249/1998), sia, con effetto dal 1° settembre 2000,
dell’art. 328 del T.U. n. 297/1994 (ad opera dell’art. 17 del DPR 8.3.1999, n.
275), avrebbe dovuto stabilire:
- la tipologia e la descrizione dei comportamenti che possono dare luogo
all’applicazione di sanzioni disciplinari a carico degli studenti delle scuole
secondarie superiori;
- la tipologia delle sanzioni disciplinari;
- gli organi scolastici competenti ad irrogare tali sanzioni e il relativo
procedimento.
Pertanto, in mancanza di tale regolamento, trova applicazione lo stesso art. 4
del citato DPR n. 249/1998, il quale prescrive espressamente che “La
responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a
sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie
ragioni…”.
Nel caso di specie, risulta per tabulas che il sig. D. non è stato sentito
personalmente dal Consiglio di Classe, il che è tanto più rilevante se si pensa
che nessuno dei professori componenti il Consiglio (e tantomeno il Dirigente
Scolastico) erano presenti agli accadimenti di cui si è detto in precedenza, per
cui al ricorrente doveva essere data la possibilità di confutare il resoconto dei
fatti che i citati membri del Consiglio di Classe hanno appreso solo de relato.
Né a tale scopo può supplire la memoria che il sig. D. ha fatto pervenire alla scuola
lo stesso giorno 7 maggio 2007, sia perché il citato art. 4 presuppone che
l’interessato sia messo a conoscenza preventivamente degli addebiti, in modo da
poter “rispondere a tono” alle accuse, mentre nella specie il sig. D. ha allegato solo
alcuni elementi a propria discolpa, senza conoscere gli addebiti. Inoltre, il Consiglio
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di Classe non ha valutato la memoria o, se lo ha fatto, non ne ha dato conto in
maniera perspicua negli atti impugnati, il che impedisce di poter ricostruire l’iter
argomentativo che ha portato alla scelta di sanzionare solo il ricorrente e non
anche l’altro studente coinvolto nella rissa.
Pertanto, i provvedimenti impugnati vanno annullati.
L’azione risarcitoria non merita invece accoglimento, in quanto:
- innanzitutto, la sospensione è stata comminata con “obbligo di frequenza”, per
cui lo studente non è stato privato della possibilità di frequentare le lezioni e
non è stato escluso dalla comunità scolastica;
- non risultano provate le affermazioni circa una sorta di “linciaggio morale” a cui
il sig. D. sarebbe stato sottoposto nei giorni seguenti l’adozione degli atti
impugnati da parte di tutto il personale del liceo (perfino dai collaboratori
scolastici, quasi si trattasse di un Franti di deamicisiana memoria);
- né risulta provato che gli organi di stampa siano stati informati dell’accaduto da
parte di rappresentanti della scuola. In effetti, non si può dubitare del fatto che
le testate giornalistiche locali (le quali peraltro non hanno pubblicato per esteso
il nome del ricorrente nei resoconti giornalistici depositati in atti) siano venute a
conoscenza aliunde di un evento che, nella sua oggettività, è comunque grave e
che ha visto uno studente di circa 18 anni (il sig. S.) ricoverato in ospedale in
conseguenza di una rissa verificatasi a scuola (e fra l’altro, anche dalle
testimonianze allegate alla memoria inviata dal ricorrente alla scuola il
7.5.2007, risulta comunque che il sig. D. ha preso parte ad uno scontro fisico
con un altro studente nei locali scolastici, il che, a prescindere dalle colpe
individuali, è un fatto molto increscioso e preoccupante): in un tempo in cui si
parla frequentemente di “bullismo”, non è strano che i giornali locali abbiano
dedicato ampio spazio alla notizia, la quale, si ribadisce, non risulta essere stata
propalata da soggetti in servizio presso la scuola frequentata dal sig. D.;
- pertanto, non risulta provato il nesso di causalità fra il provvedimento di
sospensione e le ricadute sulla salute del ricorrente che emergono dai certificati
medici allegati al ricorso.
Pertanto, la domanda risarcitoria per equivalente va rigettata.
In conclusione, il ricorso va in parte accolto e in parte respinto.
In ragione della complessità delle questioni trattate, va disposta la
compensazione delle spese di giudizio.
Sentiti i difensori delle parti costituite in ordine alla possibilità di definire nel
merito il presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli
artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Seconda Sezione di Lecce
– accoglie la domanda impugnatoria e respinge la domanda risarcitoria.
- 26 -
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 26 luglio 2007.
Pubblicata il 31 luglio 2007
- 27 -
TAR PUGLIA - BARI SEZ. I - SENT. 15/09/2004 N. 4172
Studenti – procedimento e sanzioni disciplinari
L’applicazione della sanzione disciplinare non è condizionata dalla
c.d. pregiudiziale penale, e cioè dall’accertamento del reato da parte
dell’Autorità giudiziaria. Poiché l’azione penale e quella disciplinare
perseguono finalità differenti ed autonome, è l’organo disciplinare
che deve verificare, nell’ambito delle sue competenze e per le finalità
sue proprie, se i fatti verificatesi possano integrare gli estremi del
reato.
Sul giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta
influisce anche lo scandalo che questa abbia provocato nella
comunità locale e la recidiva dell’alunno.
Ai fini dell’applicazione della sanzione dell’allontamento dalla scuola
per un periodo superiore a 15 è irrilevante la dedotta insussistenza
di una situazione di pericolo (stante nel caso l’avvenuto sequestro
della droga da parte dei Carabinieri), poiché l’art. 4 comma 9, del
D.P.R. n. 249/1998 contempla due ipotesi alternative tra loro ( “o” ):
l’esistenza di una situazione di situazione di pericolo rispetto alla
commissione del reato. Comunque la droga è di per sé un grave
pericolo quando viene reperita in ambiente scolastico anche per
l’effetto dell’insorgere di effetto emulativo tra i compagni di istituto.
La sanzione dell’allontanamento dalla scuola per un periodo
superiore a 15 gg. è una sanzione pur prevista dall’ordinamento
(art. 4 comma 9 DPR 24 giugno 1998 n. 249) che non contraddice il
principio secondo il quale la scuola deve essere vicina agli studenti
più manchevoli, allorché, ricorrendo la gravità del caso,
l’allontanamento rimanga l’estremo rimedio atto a far comprendere il
disvalore delle azioni commesse
.
(Fattispecie nella quale due studenti in attesa della partenza per il
programmato viaggio di istruzione ad Atene, erano trovati in
possesso di quantità di hascish sufficiente per confezionare da 40 a
60 dosi di “fumo”)
FATTO
Con atto (n. 1930/04) notificato il 7 e 9 agosto 2004 e depositato il successivo
10 Agosto, i ricorrenti -nella spiegata loro qualità di genitori esercenti la potestà
sul minore M. F., studente della IV A del liceo scientifico statale XXX di YYYhanno impugnato i provvedimenti in epigrafe che avevano fatto seguito
all’accadimento avvenuto il 3 giugno 2004 alle ore 16 circa che aveva visto
l’intervento dei Carabinieri; i militari dell’Arma avevano avvicinato e perquisito
due studenti (F. M. della 4A e D.M. della 4D) che, insieme ad altri e relativi
- 28 -
docenti accompagnatori erano in attesa della partenza per il programmato
viaggio di istruzione ad Atene, trovando essi due studenti, da tempo seguiti, in
possesso di quantità di hascish sufficiente per confezionare da 40 a 60 dosi di
“fumo”.
Hanno dedotto:
1) Violazione di legge (art. 4 dPR 24 giugno 1998 n. 249) per la insussistenza
allo stato attuale di un reato che giustifichi l’allontanamento dello studente
dalla comunità scolastica, nonchè per la mancata corrispondenza tra la durata
dell’allontanamento e la gravità del reato oltrecchè per il mancato permanere
di situazione di pericolo alcuna. Si rappresenta dai ricorrenti che manca
l’avvenuto accertamento della commissione di un reato e stupisce che la
istituzione scolastica, anticipando la stessa magistratura, abbia espresso un
verdetto di colpevolezza; si aggiunge che non ravvisa alcun pericolo stante
l’avvenuto sequestro della sostanza incriminata e si continua che l’unico
pericolo, in realtà mai occorso, sarebbe stato per il solo M. e giammai per i
suoi compagni o docenti accompagnatori, siccome non v’era alcuna
intenzione dello studente di cedere ad altri la sostanza incriminata;
2) Violazione art. 1 dPR n. 249/1998 per quanto concerne la realizzazione del
diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità dello studente ed il recupero
della sua situazione di svantaggio, atteso che l’allontanamento
dell’interessato dalla scuola per due mesi e mezzo costituisce gravissimo
ostacolo alla realizzazione del suo diritto allo studio;
3) Violazione art. 2 dPR n. 249/98 per quanto concerne la realizzazione del
diritto ad una formazione culturale e professionale qualificata ed alla
continuità scolastica.
4) Violazione art. 2 dPR n. 249/98 per quanto concerne la promozione della
solidarietà tra i componenti della comunità scolastica. La scuola deve
manifestare la sua vicinanza morale nei confronti dei suoi componenti, specie
se allievi, qualora questi siano in momenti di difficoltà. Invece, nella specie,
allontanando l’allievo, si dimostra un atteggiamento di assoluta chiusura.
5) Violazione art. 4 dPR n. 249/98 per quanto concerne la mancata finalità
educativa dell’adottato provvedimento disciplinare. Il provvedimento
disciplinare adottato manca del tutto della benché minima finalità educativa
in quanto mira ad una improbabile riabilitazione per il tramite dell’odioso
isolamento dell’allievo da docenti e dai compagni.
6) Violazione art. 4 DPR n. 249/98 per quanto concerne la mancata
corrispondenza tra sanzione comminata e situazione personale dello
studente, studente che nei precedenti anni aveva conseguito eccellenti
votazioni e si era profondamente impegnato nelle attività scolastiche extra
curriculari.
7) Violazione di legge (art. 328 d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297) a riguardo della
presunta irricevibilità del ricorso proposto innanzi al Centro Servizi
Amministrativi della Provincia di Bari, nonché eccesso di potere. Si deduce dai
ricorrenti che erroneamente il dirigente del CSA ritiene che l’impugnativa
avverso l’atto sanzionatorio dell’allontanamento dalla comunità scolastica
doveva essere rivolta non già all’Organo di garanzia bensì direttamente al
- 29 -
CSA, con richiamo al 4^ comma art. 328 del d.lgs. n. 297 del 16.4.1997
(rectius 1994). Detta disposizione, infatti, è stata abrogata dall’art. 17 del
dPR 8 marzo 1999 n. 275, e comunque in calce al provvedimento
sanzionatorio era espressamente previsto la possibilità di poter ricorrere
all’Organo di garanzia interno della scuola.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione scolastica che, puntualmente contro
deducendo e depositando documentazizone, ha concluso per il rigetto
dell’avverso gravame.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Quanto al 1° motivo ed in riferimento al dedotto profilo di insussistenza allo
stato di avvenuto accertamento della commissione di reato da parte
dell’autorità giudiziaria (talchè parrebbe che l’istituzione scolastica si sia
sostituita al competente magistrato) osserva il Collegio che la disposizione
dell’art. 4 comma 9 dPR 24 giugno 1998 n. 249 -regolamento recante lo statuto
delle studentesse e degli studenti nella scuola secondaria- così testualmente
dispone: “L’allontanamento dello studente dalla comunità scolastica può essere
disposto anche quando siano stati commessi reati o vi sia pericolo per la
incolumità delle persone. In tal caso la durata dell’allontanamento è
commisurata alla gravità del reato ovvero al permanere della situazione di
pericolo. Si applica per quanto possibile il disposto del comma 8”.
Dalla lettura della trascritta disposizione non pare al Collegio che sia necessaria
per l’applicazione della stessa la pregiudiziale penale, e cioè l’accertamento del
reato da parte dell’Autorità giudiziaria. E’ l’organo disciplinare che deve
verificare, nell’ambito delle sue competenze e per le finalità sue proprie, se i
fatti verificatesi possano integrare gli estremi del reato. Come giustamente
osservato dalla difesa erariale, il processo penale ed il procedimento disciplinare
riguardante gli studenti di scuole statali muovono su binari paralleli che
perseguono scopi diversi: il processo penale mira infatti ad accertare la
colpevolezza dell’imputato nel mentre l’azione disciplinare ha la finalità di
sanzionare comportamenti in violazione dei doveri degli studenti come indicati
nell’art. 3 citato dPR n. 249/1998.
Tra l’altro a seguire la tesi della pregiudiziale penale, la disposizione di cui al
trascritto comma 9 sarebbe destinata a rimanere solo sulla carta,
considerandosi i tempi necessari per aversi la definizione del giudicato, non
compatibili col periodo dell’anno scolastico (9 mesi).
Perché l’organo di disciplina possa iniziare il procedimento per la sanzione
dell’allontanamento dell’allievo per un periodo superiore a 15 gg., pare quindi al
Collegio che lo stesso possa prescindere dall’esame se –ed in altra sede- vi sia
stata applicazione delle norme di diritto processuale penale, risultando
sufficiente ai fini dell’azione disciplinare che sia avvenuto un fatto previsto dalla
legge come reato. Nella specie dall’istruttoria effettuata nonché
dall’accertamento reso dall’Arma, detto presupposto risultava sussistente atteso
che, e riepilogando :
1) in data 3 giugno 2004, mentre studenti ed accompagnatori erano impegnati
- 30 -
nella sistemazione dei bagagli sul pullman per il viaggio di istruzione in Grecia,
il M. ed il D. si sono allontanati dal gruppo ed all’angolo della strada il D. ha
passato al M. un pacchettino;
2) gli stessi, perquisiti dai Carabinieri che li seguivano da tempo, sono stati
trovati in possesso il D. di 23 grammi di hascich nel proprio bagaglio ed il M. di
6,8 grammi addosso, quantità sufficienti a confezionare da 40 a 60 dosi di
“fumo”;
3) all’Organo di disciplina avevano dichiarato l’uno che avrebbe consumato la
sostanza con i compagni di viaggio e l’altro ha ammesso che la stava portando
in viaggio così come altri amici;
4) i due sebbene di classi differenti avrebbero occupato la stessa cabina della
nave.
Quanto poi al profilo, pure dedotto, di non corrispondenza della durata
dell’allontanamento con la gravità del reato, a sua confutazione basti osservare
che, oltre allo “scandalo” che l’accadimento ha destato nella comunità locale e
l’immagine negativa che ne ha avuto l’Istituto scolastico XXX alcuni genitori
sono intenzionati a ritirare i loro figli da detta scuola per iscriverli in altri
istituti), nel caso il possesso della droga fosse passato inosservato dalla
partenza dall’Italia e scoperto dalla autorità della Grecia si sarebbe incorsi nella
ipotesi di spaccio internazionale di droga, con ripercussioni non solo sui due
allievi ma sulla l’intera comunità scolastica in viaggio, ivi compresi i docenti
accompagnatori. Va pure detto, e sempre in tema di proporzionalità, che il M.
non si presentava con buoni precedenti atteso che nel corso dell’anno scolastico
era già stato allontanato da scuola per due giorni ed aveva avuto sette in
condotta per altre mancanze disciplinari.
Circa poi la rappresentata carenza di una situazione di pericolo stante
l’avvenuto sequestro della droga da parte dei Carabinieri, va invece osservato
che la situazione di pericolo viene considerata dalla disposizione di cui al più
volte citato comma 9 in alternativa ( “o” ) alla commissione del reato e che
comunque la droga è di per sé un grave pericolo quando viene reperita in
ambiente scolastico anche per l’effetto dell’insorgere di effetto emulativo tra i
compagni di istituto. Il sorvolare sull’accadimento (e il M.in sede di audizione
dinanzi all’Organo di disciplina aveva ammesso che anche altri compagni erano
in possesso di droga e di “essere stato sfortunato di essere stato preso solo lui
con il D. perché se i carabinieri avessero indagato di più avrebbero scoperto
anche altri”) ben potrebbe determinare nella locale comunità scolastica il
convincimento che l’assunzione di droga (magari in modeste quantità, “tiro” alla
sigaretta preconfezionata con hascih) sia fatto del tutto trascurabile, nel mentre
è evidente interesse educativo della scuola, oltre che delle famiglie,
stigmatizzare e da subito detti comportamenti “adolescenziali”, stante il rischio
dell’assuefazione e che quindi dalle droghe leggere si passi a quelle pesanti.
Sugli altri motivi di ricorso che possono trattarsi congiuntamente, giova
sottolineare che al pregiudizio subito dal M. per l’allontanamento da scuola si
contrappone il diritto degli altri allievi di non essere rimessi subito in contatto
con chi aveva ammesso di consumare ed in ambiente scolastico sostanze
stupefacenti ed, a ben vedere, anche lo stesso interesse di esso allievo che in
assenza di alcuna conseguenza negativa (atta a farlo concretamente riflettere)
ben potrebbe essere indotto a ripetere il suo comportamento deviante.
Se è pur vero, poi, che la scuola deve essere vicina agli studenti più
manchevoli, è altrettanto vero che in casi gravi (e questo lo è) l’allontanamento
- 31 -
rimane l’estremo rimedio atto a far comprendere il disvalore delle azioni
commesse. Comunque, e rientrando nel campo più propriamente giuridico,
l’allontanamento per un periodo superiore a 15 gg. è una sanzione pur prevista
dall’ordinamento, ed a seguire la tesi dei ricorrenti non sarebbe mai applicabile,
il che all’evidenza non può essere.
Sulla finalità educativa della sanzione irrogata, contestata dalla parte, si è già
detto.
Infine, sulla mancata corrispondenza tra sanzione comminata e situazione
personale dell’allievo, non pare che i due mesi e mezzo di allontanamento di per
sé comportino conseguenze irrecuperabili per l’accesso e superamento
dell’esame di maturità, anche e perchè –proprio a dire di parte ricorrentel’allievo ha un ottimo curriculum di merito scolastico e quindi il recupero, stante
le sue capacità personali, è ben possibile. Trattasi comunque di periodo
temporale che rientra nella discrezionalità (anche tecnica) dell’Organo di
disciplina (e nella specie erano stati proposti ben 6 mesi di allontanamento), e
quindi la particolare censura presenta pure profili di inammissibilità.
Rimane da esaminare il settimo ed ultimo motivo rivolto avverso il
provvedimento del dirigente coordinatore del Centro Servizi Amministrativi (già
Provveditorato agli Studi) della Provincia di Bari del 29.7.04 che ha dichiarato
irricevibile il ricorso prodotto dai genitori avverso la decisione dell’Organo di
Garanzia di rigetto del ricorso proposto avverso la sanzione disciplinare.
Si afferma dal C.S.A. nella persona del suo Dirigente coordinatore che avverso
la sanzione dell’allontanamento disposta dal Preside, sentito il Organo di
Disciplina, con provvedimento del 18 giugno 2004, gli interessati avrebbero
dovuto adire direttamente esso CSA e non già l’Organo di garanzia interno della
scuola, il tutto in base alle disposizioni di cui all’art. 328, comma 4^, del d.lgs.
n. 297/94 che appunto prevede la competenza del Provveditore agli studi.
Si deduce ora dagli interessati essere errata essa decisione in rito atteso che il
richiamato comma 4° art. 328 non è più vigente.
A riguardo ritiene di osservare il Collegio che la espressa censura non ha
valenza nell’economia del presente giudizio. Sottolineato che la sanzione
irrogata dal Preside e confermata dall’Organo di Garanzia interno è stata
riscontrata legittima in questa sede giurisdizionale come da narrativa che
precede, se è vero che il comma 4 dell’art. 328 del d.lgs. 16.4.1994
(approvazione del t.u. delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, relative
alle scuole di ogni ordine e grado) è stato abrogato in uno con i commi 2, 3, 5,
e 6 dall’art. 17 dPR 8 marzo 1999 n. 275 (regolamento recante norme in
materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21 della L. n.
59/1997) e quindi la decisione (in rito) del dirigente dell’amministrazione
scolastica periferica è errata nella sua motivazione, va comunque attentamente
considerata la particolare disciplina dettata dall’art. 5 del dPR n. 249/98
(regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola
secondaria).
Esso articolo, che si interessa precipuamente delle impugnazioni avverso le
sanzioni disciplinari, dopo aver previsto nel 1^ comma ricorso avverso la
sanzione dell’allontanamento per periodo non superiore a 15 giorni e da
esperirsi secondo le disposizioni di cui all’art. 328 commi 2 e 4 d.lgs. 297/94
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(norma che, come detto, è stata poi abrogata), al 2^ comma prevede avverso
sanzioni disciplinari diverse da quella di cui al 1^ comma (e quindi
allontanamento per periodo superiore a 15 gg., che è il caso all’esame) ricorso
all’organo di garanzia interno della scuola. Non è previsto avverso la decisione
dell’organo di garanzia ulteriore ricorso sempre in via amministrativa al
Provveditorato (ora C.S.A.). L’amministrazione scolastica periferica viene
richiamata giusto 4^ comma art. 5 in commento per decidere in via definitiva
sui reclami proposti dagli studenti della scuola secondaria superiore a da
chiunque vi abbia interesse contro le violazioni del presente regolamento anche
contenute nei regolamenti degli istituti.
Orbene, ricostruito il sistema e sottolineata anche la differenza concettuale tra
espressione “ricorso” e quella di “reclamo” nell’ambito dell’attività giustiziale
della p.a. risultando la seconda priva della significatività giuridico
procedimentale propria del ricorso, pare al Collegio che allo stato attuale della
normativa dettata in tema di disciplina degli studenti, avverso la sanzione
disciplinare di cui si è discusso non sia previsto un ricorso al ex Provveditore –
ora dirigente coordinatare del C.S.A.- ma solo quello all’apposito organo di
garanzia interno della istituzione scolastica interessata. Tale conclusione oltre
che nella interpretazione letterale del più volte citato art. 5 dPR 249, trova pure
riscontro vuoi nel ormai vigente regime di autonomia delle singole istituzioni
scolastiche vuoi nella considerazione che il dirigente del C.S.A. non è compreso
nell’organizzazione gerarchica cui si appartiene l’ex Preside, ora dirigente
scolastico.
In conclusione il ricorso rivolto al CSA andava pur sempre deciso in rito con una
declaratoria non già di irricevibilità ma più propriamente di inammissibilità
siccome non prevista -giusto vigente art. 5 dPR 249/98, di valenza poziore
rispetto a diversa formulazione resa nel regolamento di istituto- avverso la
decisione dell’Organo di Garanzia l’esperibilità di ulteriore ricorso in via
amministrativa. Quello che ne deriva è che l’interessato che ha esperito e con
esito negativo ricorso dinanzi all’Organo di Garanzia non può ora lamentarsi
della mancata decisione nel merito del successivo ricorso al CSA, siccome esso
CSA “non competente” nei sensi sopra indicati.
Il ricorso giurisdizionale in epigrafe va quindi respinto; spese del presente
giudizio come da dispositivo e secondo la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. I,
respinge il ricorso in epigrafe.
Spese ed onorari del presente giudizio si liquidano in complessivi euro 1.500,00
(millecinquecento/00) a carico dei ricorrenti, a ciò condannandoli, ed a favore
del Liceo Scientifico Statale XXX di YYY.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
- 33 -
CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI - SENT. 18/10/2002 N. 6794
Studenti – procedimento e sanzioni disciplinari
E’ illegittima l’applicazione di una sanzione disciplinare ad un alunno ove
l’istruttoria non abbia chiarito la dinamica dei fatti ed il ruolo assunto dai
protagonisti.
L’applicazione delle punizioni disciplinari ex art. 19 del R.D. 4 maggio 1925 è
correlata alla “gravità della mancanza”, il che comporta l’obbligo per
l’Amministrazione di tenere conto che deve sempre sussistere una proporzione
tra il fatto contestato ed accertato e la misura della sanzione disciplinare
inflitta.
(Fattispecie precedente al D.P.R 24 giugno 1998 n. 249, ma applicativa di
principi generali confermati dallo stesso D.P.R.)
FATTO
Con ricorso notificato il 23 luglio 1997, il Ministero della Pubblica Istruzione e
l’Istituto Tecnico Commerciale Statale XXX di Reggio Calabria hanno proposto
appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della
Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 287 del 26 maggio 1987.
L’Avvocatura generale dello Stato ha esposto quanto segue.
I signori A. F. e G. M. L. impugnavano il provvedimento del 25 ottobre 1996 con
cui la Giunta esecutiva del summenzionato Istituto scolastico aveva inflitto al
figlio S. la sanzione disciplinare della sospensione fino al termine delle lezioni di
cui alla lettera f) dell’art. 19 del R.D. 4 maggio 1925, n. 653, conseguente al
comportamento disciplinarmente rilevante assunto dallo studente durante la
lezione di ragioneria del giorno 11 ottobre 1996, tenuta dal prof. G..
Il T.A.R., pur riconoscendo che il procedimento istruttorio era stato
correttamente svolto, rilevava, tuttavia, che lo stesso non aveva condotto a
risultanze univoche circa la ricorrenza e la consistenza, nella fattispecie, degli
elementi costitutivi dell’illecito disciplinare, sicché illegittimamente era stata
applicata la sanzione disciplinare in questione.
Ciò posto, la difesa dell’Amministrazione ha osservato che, pur nelle inevitabili
discrepanze tra le testimonianze dei numerosi testimoni ascoltati e nelle
prevedibili incertezze ricollegabili anche ai particolari rapporti esistenti tra i
testimoni ed il loro compagno di classe, l’istruttoria così svolta aveva in ogni
caso portato alla luce un comportamento rilevante da un punto di vista
disciplinare, in relazione a circostanze di fatto sufficientemente provate, e che la
fattispecie era stata correttamente configurata, allorché si era ravvisato nel
comportamento violento tenuto dal Favale nei confronti del prof. Guarna un
oltraggio al Corpo insegnante.
Sempre secondo la difesa dell’Amministrazione, la decisione del T.A.R. è
illogicamente motivata laddove ha ritenuto la sanzione inflitta sproporzionata ed
iniqua.
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Resistono al ricorso gli appellati.
All’udienza del 18 ottobre 2002, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Forma oggetto del ricorso in appello la sentenza n. 287 del 18 ottobre
2002 con cui il Tribunale Amministrativo regionale per la Calabria, Sezione
staccata di Reggio Calabria, in accoglimento del ricorso proposto da A. F. e G.
M. L., ha annullato il provvedimento del 25 ottobre 1996 con cui la Giunta
Esecutiva dell’Istituto Tecnico Commerciale Statale XXX, ha inflitto al figlio S.
la sanzione disciplinare della sospensione sino al termine delle lezioni.
2. L’appello è infondato.
Il giudice di primo grado ha rilevato che, pur essendo la sanzione irrogata
nella fattispecie, in virtù della riconosciuta applicabilità delle circostanze
attenuanti, quella di grado inferiore rispetto alle sanzioni disciplinari previste
dall’art. 19 del R.D. n. 653 del 4 maggio 1925 per i casi di offesa alla
disciplina, al decoro ed alla morale della scuola, non potesse procedersi
all’applicazione di una sanzione di tal fatta, comunque pregiudizievole per il
suo destinatario, in mancanza di elementi certi di colpevolezza che non
potevano darsi per provati nella fattispecie in esame, in quanto la non
univocità delle versioni offerte dalle parti circa lo svolgimento dei fatti non
solo non consentiva di ricostruire la dinamica degli avvenimenti, ma non
permetteva di ritagliare al loro interni i ruoli e le responsabilità riconducibili ai
suoi protagonisti.
L’Avvocatura generale dello Stato contesta le conclusioni cui è pervenuto il
T.A.R., rilevando che l’istruttoria, pur con le inevitabili incertezze in alcuni
particolari, aveva, tuttavia, permesso di accertare in modo sufficientemente
preciso alcune circostanze determinanti ai fini della ricostruzione della
vicenda, e cioè:
a) che l’alunno F. era stato ripetutamente richiamato dal prof. G., in quanto,
mentre, questi tentava di spiegare, il F. disturbava ripetutamente la lezione;
b) che, pur richiamato, l’alunno aveva continuato imperterrito nel suo
comportamento;
c) che lo stesso si rifiutava di obbedire;
d) che, preso per un braccio dal docente per essere portato fuori dell’aula,
dapprima faceva resistenza e, infine, reagiva in modo violento;
d) che l’atteggiamento di disturbo proseguiva ancora in una fase successiva,
nella quale lo studente finiva coll’aggredire il professore.
Ad avviso della difesa dell’Amministrazione, dubbi sull’esatto svolgimento dei
fatti sembrano concernere più che altro tale fase finale in relazione alla quale,
tuttavia, era emerso che il F. aveva risposto oltraggiosamente al professore
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.
fino ad esasperarlo ed, infine, ingaggiando un’autentica colluttazione con il
docente stesso.
Tale assunto non può essere condiviso.
Dall’istruttoria espletata dal Consiglio di classe (cfr. verbali del 18 ottobre e
22 ottobre 1996 e le dichiarazioni rese dagli interessati) non è dato
comprendere, con riferimento alla prima fase dell’episodio, se l’alunno avesse
opposto una resistenza passiva o attiva (se cioè si fosse limitato ad
allontanare dalla sua persona il braccio con cui il docente gli aveva imposto di
uscire dall’aula, ovvero avesse contestualmente assunto l’iniziativa di passare
a vie di fatto; analogamente, non è chiaro, con riferimento alla seconda fase,
chi dei due (se il docente o l’alunno) avesse assunto l’iniziativa di riprendere
la colluttazione.
Esistendo contrastanti versioni su tali circostanze di fatto e in carenza di
ulteriori approfondimenti istruttori che avrebbero potuto chiarire l’esatta
dinamica dei fatti e il ruolo assunto dai protagonisti, la decisione del giudice
di prime cure di annullare la sanzione disciplinare impugnata non è suscettiva
di essere inficiata dalle censure dedotte dall’Amministrazione appellante.
Né può la difesa dell’Amministrazione rimproverare al primo giudice di avere
trascurato, “al di là dell’esatta ricostruzione dei comportamenti del docente e
dell’alunno, l’esistenza di fatti sanzionabili disciplinarmente”, giacchè
l’applicazione delle punizioni disciplinari ex art. 19 del R.D. 4 maggio 1925 è
correlata alla “gravità della mancanza”, il che comporta l’obbligo per
l’Amministrazione di tenere conto che deve sempre sussistere una
proporzione tra il fatto contestato ed accertato e la misura della sanzione
disciplinare inflitta (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 30 maggio 1996, n. 695 e
3 febbraio 1998, n. 166).
3. In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere
respinto.
Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti anche le spese di questo
grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in
appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2002 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI
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TAR EMILIA-ROMAGNA - SEZ. II - SENT. 15/11/2001 N. 305/02
Studenti – procedimento e sanzioni disciplinari
Ove non sia contestata la materialità dei fatti imputati all’allievo, non
sussiste interesse a dedurre la violazione del diritto al contraddittorio
procedimentale.
L’eventuale mancanza di custodia dei locali eventualmente imputabile ad
altri (cortile della scuola) non fa venir meno il rilievo disciplinare della
condotta dell’alunno.
La circostanza che la condotta sia stata posta in essere da più persone e
che solo l’identità di alcuni sia stata scoperta non rende illegiittima
l’azione disciplinare esercitata nei soli confronti di questi ultimi.
(Fattispecie in tema di ingresso dell’alunno nel cortile della scuola in
orario notturno)
FATTO E DIRITTO
La parte ricorrente impugna, chiedendone l’annullamento, l’atto meglio indicato
dianzi e presenta censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto
diversi aspetti, mentre l’Amministrazione scolastica controdeduce anche nel
merito del ricorso medesimo, chiedendone il rigetto.
Il Collegio ritiene di prescindere dall’esame delle eccezioni di irricevibilità ed
inammissibilità del ricorso presentate dall’amministrazione resistente, perché
reputa che il ricorso medesimo sia infondato nel merito: l’addebito disciplinare
contestato (“l’alunno si comportava in modo gravemente imprudente,
penetrando nel cortile della scuola in ore notturne”) non è contestato in ricorso
nella sua materialità e – per le sue connotazioni di tempo e di luogo – integra
una mancanza dell’allievo medesimo ai propri doveri scolastici; l’eventuale
responsabilità di altri per l’asserita, mancata custodia adeguata dell’accesso al
cortile della scuola non fa evidentemente venir meno la responsabilità
disciplinare dell’allievo; l’adozione del provvedimento disciplinare solo nei
confronti di alcuni tra i numerosi allievi che avrebbero posto in essere il
comportamento collettivo sopraindicato, appare giustificato dalla circostanza
che solo essi sono stati successivamente individuati (v. allegato n. 5 alla
costituzione in giudizio dell’amministrazione scolastica); infine, - in
considerazione della incontestata materialità del comportamento sanzionato –
alcun interesse sostanziale ha parte ricorrente a far valere in giudizio l’asserita
mancanza di contraddittorio prima dell’adozione del provvedimento disciplinare
poiché quest’ultimo poggia su di un giudizio di imprudenza grave rispetto al
quale qualsiasi osservazione dell’allievo sarebbe stata priva di alcuna utilitàSpese ed onorari di giudizio seguono, come di norma, l’esito processuale e sono
liquidate come in dispositivo
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.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – Bologna, Sezione
Seconda:
a) respinge il ricorso;
b) condanna la parte ricorrente al pagamento di spese ed onorari di giudizio a
favore dell’amministrazione resistente, che liquida in lire un milione
complessivamente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che
provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio del 15/11/2001
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