Biennio: compiti per le vacanze estive (Italiano)

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Biennio: compiti per le vacanze estive (Italiano)
1. Lettura dei seguenti romanzi:
-
Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani, Fabio Geda
-
Io non ho paura, Niccolò Ammaniti
2. Tema
Secondo te, è meglio vivere in una grande città o in un piccolo paese? Perché? Esponi le tue
argomentazioni in merito.
3. Leggi il seguente brano e rispondi alle domande.
PUBBLICAZIONE Novelle per un anno, 1922 LUOGO E TEMPO campagna siciliana, inizio
Novecento PERSONAGGI Cichè, la moglie, pastori, contadini
Il corvo di Mìzzaro di Luigi Pirandello (1867-1936)
IL TEMA DEL RACCONTO Un pastore, per divertirsi, lega una campanellina al collo di un
corvo. Sentendo il misterioso scampanellio, il bracciante Cichè si impensierisce, ma poi, quando
capisce che si tratta solo di un corvo, che per giunta gli ruba il pane della colazione, si
indispettisce e inizia una lotta senza tregua contro l’animale.
Pastori sfaccendati, arrampicandosi un giorno su per le balze di Mìzzaro, sorpresero nel nido un
grosso corvo, che se ne stava pacificamente a covar le uova. «O babbaccio1, e che fai? Ma guardate
un po’! Le uova cova! Servizio di tua moglie2, babbaccio!» Non è da credere che il corvo non
gridasse le sue ragioni: le gridò, ma da corvo; e naturalmente non fu inteso. Quei pastori si
spassarono a tormentarlo un’intera giornata; poi uno di loro se lo portò con sé al paese; ma il giorno
dopo, non sapendo che farsene, gli legò per ricordo una campanellina di bronzo al collo e lo rimise
in libertà: «Godi!» Che impressione facesse al corvo quel ciondolo sonoro, lo avrà saputo lui che se
lo portava al collo su per il cielo. A giudicare dalle ampie volate a cui s’abbandonava, pareva se ne
beasse, dimentico ormai del nido e della moglie. «Din dindin din dindin...» I contadini, che
attendevano3 curvi a lavorare la terra, udendo quello scampanellio, si rizzavano sulla vita;
guardavano di qua, di là, per i piani sterminati sotto la gran vampa del sole: «Dove suonano?» Non
spirava alito di vento; da qual mai chiesa lontana dunque poteva arrivar loro quello scampanio
festivo? Tutto potevano immaginarsi, tranne che un corvo sonasse così, per aria. «Spiriti!» pensò
Cichè, che lavorava solo solo in un podere a scavar conche4 attorno ad alcuni frutici5 di mandorlo
per riempirle di concime. E si fece il segno della croce. Perché ci credeva, lui, e come! agli Spiriti.
Perfino chiamare s’era sentito qualche sera, ritornando tardi dalla campagna, lungo lo stradone,
presso alle Fornaci6 spente, dove, a detta di tutti, ci stavano di casa. Chiamare? E come? Chiamare:
«Cichè! Cichè!» così. E i capelli gli s’erano rizzati sotto la berretta.
1. babbaccio: babbeo, sciocco. 2. servizio... moglie: lavoro per la femmina. 3. attendevano: si
dedicavano.
4. conche: fossati circolari per meglio raccogliere l’acqua. 5. frutici: alberi molto giovani. 6.
Fornaci: grandi forni dove si cuocevano i mattoni; un tempo erano presenti nelle vicinanze di quasi
tutti i paesi.
Ora quello scampanellio lo aveva udito prima da lontano, poi da vicino, poi da lontano ancora; e
tutt’intorno non c’era anima viva: campagna, alberi e piante, che non parlavano e non sentivano, e
che con la loro impassibilità gli avevano accresciuto lo sgomento. Poi, andato per la colazione, che
la mattina s’era portata da casa, mezza pagnotta e una cipolla dentro al tascapane7 lasciato insieme
con la giacca un buon tratto più là appeso a un ramo d’olivo, sissignori, la cipolla sì, dentro al
tascapane, ma la mezza pagnotta non ce l’aveva più trovata. E in pochi giorni, tre volte, così. Non
ne disse niente a nessuno, perché sapeva che quando gli Spiriti prendono a bersagliare uno, guai a
lamentarsene: ti ripigliano a comodo e te ne fanno di peggio. «Non mi sento bene», rispondeva
Cichè, la sera ritornando dal lavoro, alla moglie che gli domandava perché aveva quell’aria da
intronato. «Mangi però!» gli faceva osservare, poco dopo, la moglie, vedendogli ingollare due o tre
scodelle di minestra, una dopo l’altra. «Mangio, già» masticava Cichè, digiuno dalla mattina e con
la rabbia di non potersi confidare. Finché per le campagne non si sparse la notizia di quel corvo
ladro che andava sonando la campanella per il cielo. Cichè ebbe il torto di non saperne ridere come
tutti gli altri contadini, che se n’erano messi in apprensione. «Prometto e giuro», disse, «che gliela
farò pagare!» E che fece? Si portò nel tascapane, insieme con la mezza pagnotta e la cipolla, quattro
fave8 secche e quattro gugliate di spago9. Appena arrivato al podere, tolse all’asino la bardella10 e
lo avviò alla costa11 a mangiare le stoppie12 rimaste. Col suo asino Cichè parlava, come
sogliono13 i contadini; e l’asino, rizzando ora questa ora quell’orecchia, di tanto in tanto sbruffava,
come per rispondergli in qualche modo. «Va’, Ciccio, va’», gli disse, quel giorno, Cichè. «E sta’ a
vedere, ché ci divertiremo!» Forò le fave; le legò alle quattro gugliate di spago attaccate alla
bardella, e le dispose sul tascapane per terra. Poi s’allontanò per mettersi a zappare. Passò un’ora;
ne passarono due. Di tratto in tratto Cichè interrompeva il lavoro, credendo sempre di udire il suono
della campanella per aria; ritto sulla vita, tendeva l’orecchio. Niente. E si rimetteva a zappare. Si
fece l’ora della colazione. Perplesso, se andare per il pane o attendere ancora un po’, Cichè alla fine
si mosse; ma poi, vedendo così ben disposta l’insidia14
7. tascapane: borsa in tessuto, portata a tracolla, usata per tenerci il pranzo al sacco. 8. fave: legumi
che si mangiano sia crudi che cotti o fatti seccare. 9. quattro gugliate di spago: una quantità di corda
sottile (spago) corrispondente a quattro volte la lunghezza che si infila nell’ago per cucire. 10.
bardella: sella in legno usata per cavalcare l’animale o per legare i bagagli da trasportare.
11. costa: campo in pendio. 12. stoppie: i residui delle piante di grano rimasti sul campo dopo la
mietitura. 13. sogliono: sono soliti fare. 14. l’insidia: la trappola, preparata per il corvo.
sul tascapane, non volle guastarla: in quella, intese chiaramente un tintinnio lontano; levò il capo:
«Eccolo!» E, cheto15 e chinato, col cuore in gola, lasciò il posto e si nascose lontano. Il corvo però,
come se godesse del suono della sua campanella, s’aggirava in alto, in alto, e non calava16. «Forse
mi vede», pensò Cichè; e si alzò per nascondersi più lontano. Ma il corvo seguitò a volare in alto,
senza dar segno di voler calare. Cichè aveva fame; ma pur non voleva dargliela vinta. Si rimise a
zappare. Aspetta, aspetta; il corvo, sempre lassù, come se glielo facesse apposta. Affamato, col pane
lì a due passi, signori miei, senza poterlo toccare! Si rodeva dentro, Cichè, ma resisteva, stizzito,
ostinato. «Calerai! calerai! Devi aver fame anche tu!» Il corvo, intanto, dal cielo, col suono della
campanella, pareva gli rispondesse, dispettoso: «Né tu né io! Né tu né io!» Passò così la giornata.
Cichè, esasperato, si sfogò con l’asino, rimettendogli la bardella, da cui pendevano, come un
festello17 di nuovo genere, le quattro fave. E, strada facendo, morsi da arrabbiato a quel pane,
ch’era stato per tutto il giorno il suo supplizio. A ogni boccone, una mala parola all’indirizzo del
corvo – boja, ladro, traditore – perché non s’era lasciato prendere da lui. Ma il giorno dopo, gli
venne bene. Preparata l’insidia delle fave con la stessa cura, s’era messo da poco al lavoro, allorché
intese uno scampanellio scomposto lì presso e un gracchiar disperato, tra un furioso sbattito d’ali.
Accorse. Il corvo era lì, tenuto per lo spago che gli usciva dal becco e lo strozzava. «Ah, ci sei
caduto?» gli gridò, afferrandolo per le alacce. «Buona, la fava? Ora a me, brutta bestiaccia!
Sentirai». Tagliò lo spago; e, tanto per cominciare, assestò al corvo due pugni in testa. «Questo per
la paura, e questo per i digiuni!» L’asino che se ne stava poco discosto a strappare le stoppie dalla
costa, sentendo gracchiare il corvo, aveva preso intanto la fuga, spaventato. Cichè lo arrestò con la
voce; poi da lontano gli mostrò la bestiaccia nera: «Eccolo qua, Ciccio! Lo abbiamo! lo abbiamo!»
Lo legò per i piedi, lo appese all’albero e tornò al lavoro. Zappando, si mise a pensare alla rivincita
che doveva prendersi. Gli avrebbe spuntate le ali, perché non potesse più volare; poi lo avrebbe dato
in mano ai figliuoli e agli altri ragazzi del vicinato, perché ne facessero scempio. E tra sé rideva.
Venuta la sera, aggiustò la bardella sul dorso dell’asino; tolse il corvo e lo appese per i piedi al
posolino della groppiera18, cavalcò e via. La campanella, legata al collo del corvo, si mise allora a
tintinnare. L’asino drizzò le orecchie e s’impuntò.
15. cheto: lento e silenzioso. 16. calava: scendeva.
17. festello: ornamento. 18. posolino della groppiera: striscia di cuoio che partendo dalla sella passa
sotto la coda dell’animale.
«Arrì!» gli gridò Cichè, dando uno strattone alla cavezza19. E l’asino riprese ad andare, non ben
persuaso però di quel suono insolito che accompagnava il suo lento zoccolare sulla polvere dello
stradone. Cichè, andando, pensava che da quel giorno per le campagne nessuno più avrebbe udito
scampanellare in cielo il corvo di Mìzzaro. Lo aveva lì, e non dava più segno di vita, ora, la mala
bestia. «Che fai?» gli domandò, voltandosi e dandogli in testa con la cavezza. «Ti sei
addormentato?» Il corvo, alla botta: «Cràh!» Di botto, a quella vociaccia inaspettata, l’asino si
fermò, il collo ritto, le orecchie tese. Cichè scoppiò in una risata. «Arrì, Ciccio! Che ti spaventi?» E
picchiò con la corda l’asino sulle orecchie. Poco dopo, di nuovo, ripeté al corvo la domanda: «Ti sei
addormentato?» E un’altra botta, più forte. Più forte, allora, il corvo: «Cràh!» Ma, questa volta,
l’asino spiccò un salto da montone e prese la fuga. Invano Cichè, con tutta la forza delle braccia e
delle gambe, cercò di trattenerlo. Il corvo, sbattuto in quella corsa furiosa, si diede a gracchiare per
disperato; ma più gracchiava e più correva l’asino spaventato. «Cràh! Cràh! Cràh!» Cichè urlava a
sua volta, tirava, tirava la cavezza; ma ormai le due bestie parevano impazzite dal terrore che
s’incutevano a vicenda, l’una berciando20 e l’altra fuggendo. Sonò per un tratto nella notte la furia
di quella corsa disperata; poi s’intese un gran tonfo, e più nulla. Il giorno dopo, Cichè fu trovato in
fondo a un burrone, sfracellato, sotto l’asino anch’esso sfracellato: un carnaio che fumava sotto il
sole tra un nugolo di mosche. Il corvo di Mìzzaro, nero nell’azzurro della bella mattinata, sonava di
nuovo pei cieli la sua campanella, libero e beato. L. Pirandello, Novelle per un anno
19. cavezza: corda usata per legare la testa dell’asino. 20. Berciando: gridando in modo sguaiato.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello, nacque nel 1867 presso Girgenti (oggi Agrigento) in Sicilia, in una famiglia di
agiate condizioni economiche. Terminati gli studi liceali, frequentò l’università a Palermo, Roma e
infine a Bonn, dove si laureò in Lettere con una tesi sul dialetto di Girgenti. Iniziò quindi a
collaborare con diverse riviste, si sposò e si trasferì con la famiglia a Roma, per insegnare
Letteratura italiana al Magistero. Nel 1904 il fallimento economico del padre e il peggioramento
della malattia mentale della moglie, che degenerò fino alla pazzia, segnarono profondamente la
sensibilità dello scrittore e fecero maturare in lui una concezione molto amara della vita, che si
riflette nelle opere in cui nevrosi e pazzia sono motivi ricorrenti. Costretto a intensificare la sua
produzione letteraria per motivi economici, cominciò a pubblicare alcune novelle e, nel 1910, iniziò
la sua attività per il teatro. Gli anni successivi furono molto fecondi per la sua produzione narrativa
e teatrale, dandogli notorietà e riconoscimenti ufficiali: nel 1929 fu insignito del titolo di
Accademico d’Italia e nel 1934 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura. Morì a Roma nel 1936.
La sua produzione, oltre alle raccolte di poesie e saggi, comprende romanzi, tra cui Il fu Mattia
Pascal, Uno, nessuno e centomila, commedie e drammi per il teatro, tra cui Così è (se vi pare), Sei
personaggi in cerca d’autore ed Enrico IV. Le Novelle per un anno, scritte in vari tempi nel corso
della vita dell’autore, furono pubblicate per la prima volta nel 1922 e successivamente tra il 1932 e
il 1935, in 15 volumi di 15 novelle ciascuno. L’autore ha usato uno stile semplice e una lingua
colloquiale, vicina a quella parlata, per rappresentare in modo più autentico la realtà degli uomini e
delle cose, osservata con grande attenzione per i particolari e la psicologia dei personaggi. Alcune
novelle hanno fornito a Pirandello lo spunto per romanzi e opere teatrali.
SCHEDA DI ANALISI Il corvo di Mìzzaro
LA STORIA E I PERSONAGGI Il protagonista Cichè potrebbe essere considerato l’immagine
simbolica dei contadini meridionali, vittime della povertà e dell’ignoranza, tra l’Ottocento e l’inizio
del Novecento. Ma Pirandello assume un altro punto di vista: i pastori e gli altri contadini
sdrammatizzano le proprie paure. Cichè, invece, ha «il torto di non saperne ridere», è assillato dalla
presenza degli spiriti, non sa vivere serenamente come gli altri contadini, lavora isolato, non parla
con le persone ma con gli animali, si esaspera per situazioni ridicole, sfogandosi ingenuamente con
l’asino e poi con il corvo. Simbolo delle persone cupe che si prendono troppo sul serio, che non
hanno il senso dell’umorismo, che non sanno vedere il lato comico delle cose. Pirandello sembra
dire che il riso è liberatorio ed è uno straordinario rimedio alla tetraggine che minaccia la serenità
dell’uomo.
L’ambiente La vicenda è ambientata nel microcosmo sociale e naturale della campagna siciliana,
simile a quello di altre novelle di Pirandello. Cichè vive nella solitudine dei «piani sterminati sotto
la gran vampa del sole», dove «non spirava alito di vento», dove «non c’era anima viva: campagna,
alberi e piante, che non parlavano e non sentivano, e che con la loro impassibilità gli avevano
accresciuto lo sgomento». Per Cichè la natura è un luogo di lavoro, di fatica che non lo gratifica;
facile quindi capire perché parli più con il suo asino che con i suoi simili, perché creda agli spiriti,
perché gli sembri di sentirsi chiamare «Cichè! Cichè!», quando la sera torna da solo lungo lo
stradone, e lo scampanellio di un corvo possa diventare per lui un’ossessione.
IL DISCORSO NARRATIVO L’umorismo A proposito di questa novella pirandelliana, il critico
letterario Giuseppe Morpurgo così scrive: «Chi ha vinto tra l’uomo e il corvo? Il corvo. L’uomo
non esiste più; è ridotto a un mucchio di carne sconciata e purulenta e frammista a quella del
somaro; il corvo è su nel cielo, libero, e la sua campanella non suona a morto ma a festa. Osserva il
potente contrasto delle due immagini, l’una macabra, l’altra lieta, con cui si chiude il racconto. Nel
contrasto è il sapore umoristico della vicenda». In effetti il contrasto dà origine a uno spunto comico
che suscita un riso di superiorità. Ma la comicità si stempera e si trasforma in umorismo per il senso
di pietà che il lettore prova per il povero contadino: la sua smania di vendetta nei confronti del
corvo, sproporzionata all’“affronto” che ha ricevuto, assume connotati patetici per il dramma verso
cui lo trascina l’asino imbizzarrito.
Domande
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Con chi Cichè si confida e parla familiarmente?
In che modo il compagno “gli risponde”?
Dove è ambientata la novella?
In che modo l’ambiente influenza la vita di Cichè?
Perché il corvo porta al collo una campanella?
Qual è la prima impressione che il suono della campanella provoca nei contadini che lo
sentono?
7. A che cosa, invece, Cichè attribuisce il suono?
8. Che cosa manca dal tascapane di Cichè?
9. Perché Cichè non ne parla con la moglie?
10. In che modo Cichè scopre dell’esistenza del corvo? Come reagisce?
11. Che trappola prepara Cichè per catturare il corvo?
12. Con chi si sfoga Cichè per la mancata cattura?
13. Quale trattamento Cichè riserva al corvo dopo averlo catturato e perché?
14. Quale rivincita medita di prendersi Cichè?
15. Dove viene legato il corvo durante il ritorno a casa e con quali conseguenze?
16. Come reagisce Cichè all’agitazione dell’asino?
17. Quale conseguenza produce l’imbizzarrirsi dell’asino?
18. Che tipo di rapporto tra gli uomini e gli animali emerge dal testo? Considera il
comportamento di Cichè, ma anche quello dei pastori e quello che Cichè si aspetta dai
ragazzi. Pensi che comportamenti di questo genere siano ancora diffusi?