Corriere InOltre 2008
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Corriere InOltre 2008
“ …è una memoria di scarso valore quella che lavora solo per il passato.” (Da: Alice nel Paese delle Meraviglie) DIPARTIMENTO DELLE ISTITUZIONI DIVISIONE DELLA GIUSTIZIA DIPARTIMENTO DELL'EDUCAZIONE, DELLA CULTURA E DELLO SPORT DIVISIONE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE Scuola In-oltre Contributo di Giorgio Battaglioni, direttore della Divisione della Giustizia e coordinatore del Dipartimento delle istituzioni e di Paolo Colombo, direttore della Divisione della formazione professionale Bellinzona - Breganzona, 12 giugno 2009 La formazione come elemento a sostegno dell’integrazione. La Legge federale sulla formazione professionale del 13 dicembre 2002 mira a promuovere e sviluppare un sistema di formazione professionale che consenta all’individuo uno sviluppo personale e professionale e l’integrazione nella società, in particolare nel mondo del lavoro, rendendolo capace e disposto ad essere professionalmente flessibile e a mantenersi nel mondo del lavoro. Il Codice penale svizzero (CPS) – in sintonia con le Raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa - precisa come al detenuto idoneo debba per quanto possibile essere data la possibilità di acquisire una formazione e un perfezionamento corrispondenti alle sue capacità. Le attività di “Scuola In-oltre” che si svolgono al penitenziario cantonale sono frutto di un’intensa ed efficace collaborazione fra il Dipartimento delle istituzioni e il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport - in particolare con la Scuola professionale artigianale e industriale di Locarno - e rispondono all’esigenza di offrire al detenuto opportunità di acquisire competenze e conoscenze utili per un suo reinserimento nella società in un’ottica di prevenzione della recidiva. La formazione come dovere verso la società civile. Così come indicato all’art. 75, cpv. 1 del CPS la pena deve attivare un processo di cambiamento del condannato perché si inserisca nella società civile rispettandone le leggi e le norme e non commetta più reati. Ne discende che il compito delle autorità di esecuzione della pena consiste principalmente nel promuovere con tutti i mezzi a sua disposizione questo processo di cambiamento e di promozione dell'inserimento sociale. Il carcere non può dunque essere una "fabbrica di disoccupati o di assistiti". In questo senso, sappiamo che una bassa o mancata formazione professionale, sono fattori di fragilizzazione e quindi di rischio sia nei confronti degli aiuti sociali (assistenza) che della giustizia penale. È infatti risaputo che, oltre alle famiglie monoparentali e la fascia 56-65 anni, sono esposti alla dipendenza dagli aiuti sociali in particolare i lavoratori senza qualifiche, seppur occupati al 100%, ma in attività di manovalanza, e i giovani nella fascia di età fino ai 25 anni. Tra i condannati nelle strutture carcerarie queste sono le categorie di persone maggiormente presenti. Recenti indagini sull'evoluzione della recidiva, i cui dati non permettono peraltro una relazione diretta con il livello di formazione, ci dà tuttavia un'indicazione sui reati nella misura in cui riscontriamo un tasso di recidiva più importante nel campo dei furti. È in questo ambito infatti che troviamo persone emarginate, con cicli di formazione o mai iniziati o mai portati a termine che "sbarcano il lunario" vivendo di espedienti. Altre categorie a rischio sono i giovani e gli autori di reati gravi. Per l'autorità di esecuzione il dovere di protezione della società civile è quindi quello di restituire delle persone che abbiano realizzato e concluso un processo di integrazione. Il Giudice dell’applicazione della pena decide la liberazione condizionale unicamente in presenza di una prognosi positiva che significa presentare delle soluzioni effettive e verificate per l'alloggio, il lavoro, le relazioni familiari e sociali, dimostrando la propria capacità di autonomia economica. Bisogna che ognuno abbia fatto il proprio dovere, a cominciare evidentemente dal condannato che deve dimostrare di aver compiuto ogni sforzo per realizzare il proprio cambiamento, così come dall'istituzione carceraria perché questo cambiamento lo renda possibile. “Scuola In-oltre” rappresenta dunque un interessante e soprattutto concreto sostegno al detenuto, così come alla società civile, costruito su competenze, esperienze e sensibilità sviluppate dai vari attori – docenti, maestri di tirocinio, funzionari e autorità – destinato a far scuola anche fuori dal nostro Cantone. Giorgio Battaglioni, direttore della Divisione della giustizia, coordinatore del Dipartimento delle istituzioni Paolo Colombo, direttore della Divisione della formazione professionale Formare dei carcerati? Ma a cosa serve? Nei discorsi “da bar” che a volte sento a proposito del carcere, vengono pronunciate, in tono più o meno scherzoso, anche frasi del genere “Ah, ma perché li mandate anche a scuola? Ma a cosa serve?” All’inizio di settembre del 2008 ho assistito ad una delle prime lezioni dell’anno scolastico, col docente di arti visive Malù Cortesi. Sin dalla prima ora ho avuto la conferma che quei discorsi sono fuori luogo. Ho sempre pensato che la formazione scolastica fosse un pilastro della società civile, ma lavorando all’interno di un carcere ho potuto rendermi ancora più conto – semmai ce ne fosse bisogno - dell’utilità intrinseca della brillante iniziativa lanciata qualche anno fa: impiantare una vera e propria scuola all’interno del penitenziario. La formazione serve al detenuto, e non solo perché gli permette di acquisire qualche nozione, di sviluppare dei ragionamenti e di (ri)esercitare le proprie competenze relazionali. Gli serve anche perché gli dà una struttura giornaliera da rispettare, degli strumenti per sperare di reintegrarsi un giorno in quella società dalla quale è parzialmente escluso per scontare la sua pena. Ma gli dà pure un luogo dove depositare per un momento le proprie preoccupazioni e guardare oltre, per forse scoprire che si può scegliere di non commettere reati. Nel contempo la scuola però serve anche alla struttura carceraria stessa, la quale, approfittandone in termini forse un po’ utilitaristici, si ritrova con un’offerta ampliata di possibilità occupazionali date al detenuto e con un clima generale più sereno e aperto grazie alla scuola, con tanto di guadagnato anche per la sicurezza, nonostante la parola “aperto” possa far pensare il contrario. Sono convinto che tenendo sempre presente anche questo aspetto, ovvieremo alle difficoltà di ordine logistico che la presenza e il funzionamento di una vera e propria scuola causano all’interno di una struttura chiusa, nella quale vigono delle limitazioni atte a garantire la necessaria sicurezza. Ci si potrebbe però chiedere se ha un senso formare anche dei detenuti stranieri che dovranno lasciare la Svizzera al termine della loro pena, e non verranno sicuramente reintegrati nella realtà locale. Al di là delle opinioni personali che ognuno può avere in proposito, e che, nel mio caso, mi portano a rispondere “sì” a questa domanda perché penso che acquisire delle competenze sia sempre opportuno, indipendentemente da dove queste competenze possono poi essere “spese”, credo che la risposta debba comunque essere positiva. Infatti, in modo molto pragmatico, vale la pena riempire il bagaglio personale di qualcuno che deve far ritorno nel suo paese, con qualcosa che forse lo indurrà a rimanere lì a condurre la propria vita. La scuola In-Oltre esiste grazie al grande contributo della Divisione della formazione professionale del DECS, in particolare della scuola SPAI di Locarno. Va detto che il Ticino è all’avanguardia in questo rispetto ad altri cantoni, nei quali la formazione dei detenuti non gode del supporto degli specialisti della scuola pubblica, che ci garantiscono un alto livello. Non posso quindi che ringraziare le istituzioni per questo supporto. Ma la scuola In-Oltre esiste soprattutto grazie all’impegno costante di tutte le persone che si mettono a disposizione con un entusiasmo davvero coinvolgente. Mi preme perciò infine invitare i detenuti a trarre tutto ciò che possono dalla scuola In-Oltre, perché esiste per loro. Fabrizio Comandini, direttore delle Strutture carcerarie Giugno 2009 La scuola In-Oltre cresce 19 settembre 2005. Una data che scorderò difficilmente, poiché rappresenta la pietra angolare per la costruzione di In-Oltre. Seduti attorno ad un tavolo, in compagnia di Mauro Belotti e Maurizio Albisetti, gettammo le basi del progetto che, un anno dopo, prese avvio alla Farera; una scuola, destinata ai minorenni in detenzione preventiva. A tre anni di distanza, il 1. settembre 2009, avrà inizio un nuovo anno di quel sogno diventato realtà, grazie al lavoro congiunto di tante persone che hanno profondamente creduto, nella possibilità di offrire – tramite la scuola – momenti di crescita, riflessione, apprendimento e pure svago, a persone che conoscono l'amara esperienza del carcere. Con i minorenni ho potuto toccare con mano la «fatica di crescere», di molti ragazzi che vivono situazioni personali – familiari, relazionali – già pesantemente condizionanti nelle scelte quotidiane di studio, apprendistato e vita in società. Giovani che faticano a riconoscere i limiti, le regole da rispettare, l'importanza di una formazione adeguata. Alcuni di loro vivono un rapporto di amore/odio verso la scuola; portarli a considerare l'eventualità di riprendere quei legami, interrotti per loro volontà o dalle istituzioni, non è sempre impresa facile. Quel che stupisce è comunque il piacere di stare con gli altri, non fosse magari che per evitare di trascorrere l'intera giornata in cella. La varietà di culture, provenienza e le belle storie individuali costituiscono una ricchezza ed un patrimonio che – se sapientemente miscelate – portano a risultati sorprendenti, nelle conoscenze di ciascuno. I ragazzini rom che abbiamo ospitato alla Farera, oltre ad un sorprendente bagaglio di esperienze di vita, mi stupiscono e mi emozionano sempre per la carica di simpatia che sprigionano. La loro voglia di vivere, pur in condizioni disagiate, fa a pugni – a volte – con l'attitudine rassegnata ed annoiata dei giovani nostri che, pur beneficiando di condizioni di base migliori, optano per una vita ai margini; in questo caso, le ricadute stanno spesso a dimostrare una scarsa progettualità che – per cause non tutte da addebitare a loro – arrischia di marcare indelebilmente la loro esistenza. Danilo Catti, con la delicatezza che gli è riconosciuta, ha tracciato – nel suo documentario per la trasmissione «Storie» – vite di ragazzi che, seppur rinchiusi ed autori di reati anche molto gravi, identificano nei valori tradizionali (famiglia, amici, lavoro, scuola…) il loro desiderio e la speranza di andare «oltre». La mia esperienza con gli adulti, che scontano pene talvolta molto lunghe, mi ha aperto gli occhi su un'umanità che conoscevo attraverso qualche lettura o per sentito dire. L'emozione che ho vissuto durante numerosi momenti in classe con loro rimarranno nel mio cuore, per sempre. Se penso all'aspetto meramente scolastico, le ore trascorse a cercare di trasmettere i rudimenti della lingua – ripagato da un desiderio di apprendere mirabile, orecchie e occhi attenti alle parole dei conferenzieri che si sono succeduti in classe, partecipazione all'ascolto dei brani tratti dal «Fondo del sacco» di Plinio Martini – costituiscono fonte inesauribile di entusiasmo per me. Dal profilo strettamente personale, infine, quest'anno – vissuto con la lenta ed inesorabile fine di mio papà, accostata alle precarie condizioni di salute di mia mamma – mi hanno regalato una vicinanza affettiva che, all'esterno, raramente ho provato. Credo che tutto ciò contribuisca a fare crescere in me il desiderio di migliorare sempre di più la nostra In-Oltre; con la certezza che questo intento è ampiamente condiviso, da coloro che contribuiscono assieme a questo splendido viaggio. Mo. Mauro Broggini, promotore scuola In-Oltre Riflessioni … L’esperienza di formazione presso gli adulti è al secondo anno. Abbiamo avviato quest’anno quattro apprendistati frequentati da sei detenuti (cuoco, falegname, legatore e operatore post-press) che proseguiranno nei prossimi anni. Nel complesso le proposte di In-oltre si contraddistinguono per la loro eterogeneità: corsi di Cultura generale seguiti durante tutto l’arco dell’anno scolastico, conferenze di mezza giornata condotte da esperti, l’approfondimento di alcuni temi d’interesse presentati in tre Moduli di formazione. L’adesione e la relativa partecipazione alle proposte è libera. Il risultato è che circa la metà delle persone presenti alla Stampa vi hanno partecipato. Per vedere cosa si è mosso quest’anno, leggerete le proposte presentate all’interno del nostro Corriere. L’obiettivo primo è di dar posto alla voce della ragione, della Cultura, creare così un dialogo tra persone all’interno della classe, che sanno mettersi in relazione, giocando sulla sensibilità personale, sulle conoscenze individuali, sulla possibilità anche di porsi delle domande che non sempre hanno una risposta, lasciando al tempo il compito di vedere meglio ... di maturare. In questo percorso la chiusura non è più tale, nasce una comunicazione, un dialogo con degli interessi condivisi, che non sono solo la mera ricerca di una libertà fisica, ma prima ancora di quella mentale. Chi visita il nostro Carcere avverte subito quanto l’ambiente sia regolato da una disciplina con un’impronta di radice monastica e il linguaggio lo conferma: ci sono le ore di passeggio nel cortile interno, il pasto è consumato individualmente in una cella chiusa … dove la riflessione (hora) e (et) il lavoro (labora) regolano la vita giornaliera dell’ospite. Questa realtà lascia il tempo per pensare, a volte più di quanto hanno le persone in libertà. Le nostre proposte poggiano su questa struttura che ha nella storia, le nostre radici culturali. La novità è comunque grande: in contrapposizione alla chiusura dal mondo reale, in poche parole alla clausura, la Scuola propone delle situazioni di dialogo, delle proposte che possono essere di stimolo sia per un arricchimento nella cultura generale personale, affrontando temi d’attualità, sia di ricerca di un progetto personale in una formazione professionale. Alle nostre lezioni partecipano persone di cultura ed età molto differenti, si respira un ambiente di reciproco rispetto e generalmente la motivazione a seguire i corsi è grande, condizione non così ovvia per chi sta soffrendo la lontananza dai propri cari, dal proprio paese d’origine. Per alcuni di loro questa è la prima occasione di seguire una formazione, oppure incontrare dal vivo personaggi di rilievo del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo, che con umiltà comunicano senza imbarazzo, facendoli sentire meno lontani dal mondo reale. Il carcere nasconde da un lato la tristezza di una condizione, dall’altro dà la possibilità di riflettere e rifarsi un nuovo progetto di vita, che poggia sulla base di una maggior consapevolezza dei propri limiti, come delle proprie virtù che non vanno dimenticate, anche se nel passato qualche ombra c’è stata. Mo. Candolfi Michel, Coordinatore In-oltre Scuola In-Oltre: dall’esperimento alla stabilizzazione Giungiamo ormai alla chiusura del secondo anno della Scuola In-Oltre. Come capita per tutti i nuovi progetti, abbiamo dovuto cambiare il carburante al motore che traina e sostiene le molte attività della scuola in carcere. Dall’energia prodotta dall’entusiasmo, quella che non conosce fatica e ostacoli, siamo passati all’energia della “ragione”, quella che trae stimolo dalle valutazioni e dai bilanci e che fa i conti con i dubbi, le critiche oltre che con i successi e le certezze. Certo il saldo lo conosceremo, in tutta la sua portata, nel pieno dell’estate quando, riposte le penne, il caldo invaderà le aule chiuse; per il momento corriamo e prepariamo attestati e diplomi, libretti e note. Servirà? Sarà servito? Cosa meglio, cosa di più o di meno? Certo, conoscere l’italiano, l’inglese e la matematica, avere un mestiere, padroneggiare l’informatica e sapere come avviare un’impresa sono i passi fondamentali da compiere per chi deve cercare spazio nel mondo del lavoro, partecipare al benessere sociale oltre che costruire la propria autonomia e quella della propria famiglia. Ma non solo questo è, o può essere, la scuola in carcere. Come vivere gli uni accanto agli altri, cittadini di un mondo reso stretto dalla mobilità che non conosce confini e dalla comunicazione esasperata della connessione totale, senza interpellarci sul senso del limite tra permesso e proibito, sul rapporto tra diritto e dovere e sul perché delle norme? Come immaginare che, non si sa bene per qual magia, il semplice vivere per mesi o anni nel luogo dove la società civile confina la “mostruosità dell’Uomo”, possa “rendere migliori”? “Perché non vendere droga a chi la chiede, se questo salva mio padre dalla morte o mio figlio dalla leucemia? Perché non rubare in una società dove tutti rubano? Perché rispettare la vita altrui in un mondo che uccide, tortura, strazia, aggredisce, denigra e insulta?”. Come tenere le regole della convivenza dentro un fazzoletto di pochi metri quadrati, stretti gomito a gomito con il mondo intero dalle Americhe ai Paesi dell’Est, dall’Africa alla Scandinavia, quando xenofobismo e conflitti razziali la fan da padroni nel Globo? Perché assumere il principio di responsabilità quando ormai lo Stato si sostituisce a noi, ci controlla, ci protegge da ogni rischio, ci detta regole e comportamenti fin nello spazio più intimo e privato e ormai lo chiamiamo a gran voce per rispondere di ogni atto individuale fino all’omicidio e all’assassinio? Queste le domande e le sfide che accompagnano il quotidiano di chi in carcere ci vive e ci lavora. Queste inevitabilmente diventano le risposte che dobbiamo cercare se veramente vogliamo restituire i cittadini che tutti si aspettano. Quelli che, passati dal carcere, hanno veramente imparato a stare nel mondo del rispetto delle leggi, delle persone e della responsabilità. Così la lezione di lingua e matematica, cercare il mestiere, come il computer e l’accesso alla rete diventano momenti di confronto, di domande sulla vita, l’etica e la morale. Le risposte, o almeno alcune, le hanno tratteggiate gli incontri di filosofia, e di civica, le conferenze e la pratica dello sport, così come le immagini di un mondo lontano per alcuni, conosciuto per altri. Scoprire cosa ci sia dietro i media o i grandi cantieri o le preoccupazioni dell’approvigionamento energetico, che cosa ci dice o sa dire l’arte, o come ognuno di noi possa esprimere gioia, dolore e perché no, delusione e rabbia non solo col gesto o con la parola, ma anche con la matita e il colore diventano pietre sulle quali appoggiare e rinfrancare il passo verso un obiettivo: la vita fuori dalle mura, magari scoprendo possibilità insperate. Così abbiamo affrontato e condotto questo secondo anno: stabilizzando quanto ci è parso dare i risultati migliori e cercando di dare risposte credibili per un progetto che deve tendere al cambiamento di chi lo incontra. Le valutazioni, quelle di lungo percorso giungeranno solo fra qualche anno, per il momento i piccoli successi di chi costruisce un proprio progetto da realizzare in libertà qui o in una patria lontana, di chi finalmente capisce l’importanza delle trasformazioni tra litri e chilogrammi, o prende una buona nota sul libretto, o chi ancora ci indirizza una richiesta scritta senza inciampare nell’ortografia, ci fanno tirare bilanci positivi, senza dimenticare il dubbio e la critica, motori ormai della scuola In-Oltre. Luisella DeMartini-Foglia, Capo dell’Ufficio di Patronato La mia vita col fischietto Cominciai ad arbitrare nel 1989 dopo aver giocato a pallone per diversi anni. Giocare mi è sempre piaciuto ma soprattutto poter stare con gli amici e condividere momenti belli insieme. Lo sport mi ha sempre aiutato a confrontarmi con me stesso e con altre persone e mi ha dato la possibilità di conoscere nuova gente. Dopo alcuni anni che giocavo al pallone mi resi subito conto che la mia carriera di giocatore non avrebbe avuto un grande futuro. È importante sapersi conoscere e capire come esprimere le proprie maggiori potenzialità. Io capii subito che ero un discreto giocatore ma non sempre la palla andava dove io volevo. Calciavo a destra e andava a sinistra! E così, un po’ per gioco e un po’ per ridere, ho attaccato al chiodo le scarpe da giocatore e ho iniziato una nuova sfida che comunque mi avrebbe dato la possibilità di rimanere nel mondo del calcio. Un amico mi chiese di provarci e io lo ascoltai e cominciai questa nuova avventura alla quale oggi sono veramente molto legato. Sin dai primi fischi mi resi subito conto che faceva per me. Mi divertivo. Mi piaceva prendere decisioni. Mi soddisfava far rispettare le regole in campo. In fondo l’arbitro è proprio colui che dovrebbe e ripeto dovrebbe, perché oggi è diventato molto difficile, far rispettare la disciplina in campo e permettere ai giocatori di confrontarsi con il massimo rispetto. Ma ritorniamo al debutto. Dopo poche partite arbitrate, ebbi uno spiacevole episodio. Fui insultato pesantemente da uno spettatore padre di un figlio che giocava in quella partita di juniores. E sì, dico bene, di juniores. Grazie a Dio dimenticai immediatamente e decisi di continuare la mia carriera. Oggi purtroppo, il calcio e lo sport in generale, in alcune circostanze si devono confrontare con questo male comune che è la maleducazione. È proprio per questo che quando arbitro cerco sempre di far rispettare le regole per far sì che ci sia il rispetto del proprio compagno e del proprio avversario. Se vogliamo che il calcio e lo sport ritornino ad essere un momento per poter socializzare e di divertimento bisogna assolutamente far sì che ci sia un rispetto assoluto dei valori umani. Rispetto per sé stessi e rispetto verso il nostro prossimo. In poco tempo arrivai ad arbitrare partite sempre più importanti. Il mio operato in campo veniva accettato. In fondo sono i giocatori, accettando le decisioni, che mi hanno fatto diventare un buon arbitro. Io potrei tranquillamente dire di essere bravo, ma se poi su dieci volte che fischio, nove volte vengo fischiato io, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Penso che in ogni cosa che facciamo, ciò che non dobbiamo permetterci di perdere mai è l’umiltà. Anche quando si arriva ad alti livelli, sia nello sport come nella vita lavorativa, bisogna sempre rimanere con i piedi ben franchi al suolo perché un giorno tutto quello che abbiamo costruito potrebbe finire e ciò che rimarrebbe rischierebbe di essere ben poco. Il primo dicembre del 1996 feci il mio debutto in serie A. Lo ricordo come se fosse ieri. Arrivai a San Gallo il giorno precedente la gara e andammo a fare un sopralluogo allo stadio. In campo c’erano 30 cm di neve e pensai immediatamente che il mio debutto sarebbe stato rimandato. Il custode mi disse di stare tranquillo e di dormire bene perché il giorno seguente la partita si sarebbe giocata. Mi chiesi se mi stesse prendendo in giro. Lui mi rispose: Vedrà. La partita la giocammo. Spalarono semplicemente le aree di rigore, tracciarono le linee di rosso e spianarono la neve nel resto del campo. Fu un debutto del tutto anomalo ma sinceramente andò proprio bene. Questo è il bello dello sport: ricordi indimenticabili, esperienze di vita, e confronto con situazioni a volte molto particolari. Cominciai ad arbitrare con regolarità in serie A. Subito mi accorsi che molto era cambiato. L’importanza delle lingue, la pressione, la televisione, i giornalisti, l’ispettore che giudicava la mia prestazione. Tanti fattori con i quali non ero ancora abituato a convivere. Capii subito che era il mio momento e che avrei dovuto impegnami se volevo raggiungere alti livelli. Non fu facile ma superai questa pressione iniziale alternando momenti belli ad altri dove la poca esperienza mi fece sbagliare e capire che mi dovevo rimboccare le maniche, rialzarmi e continuare la strada percorsa fino al quel momento. Purtroppo quando sbagliamo siamo quasi sempre abbandonati a noi stessi e da soli dobbiamo avere la forza e la personalità di capire come riprenderci e dimenticare immediatamente i momenti brutti. Per me tutto questo è stato possibile grazie alla fede. Quando mi viene chiesto quale è stato il momento più brutto della mia carriera e vi assicuro che ne ho avuti, non so mai cosa rispondere. Ricordo solo i momenti belli. Gli altri li dimentico velocemente. Se così non fosse rischierei di non essere pronto per il mio prossimo impegno. Nel 1999 diventai arbitro Internazionale. Altro grande riconoscimento che coronava anni di sacrifici. Mi accorsi subito che le cose stavano cambiando. Il confronto con il calcio internazionale significava comprendere le differenti mentalità di gioco, l’approccio tattico e il modo di interpretare una partita. L’inglese diventò la lingua ufficiale nei corsi e nelle mie partite fatte all’estero. La comunicazione è una parte importante per un buon approccio alla partita. Ho sempre cercato di avere un buon rapporto con i giocatori e soprattutto restare sempre alla loro medesima altezza. Mai troppo autoritario, sdrammatizzare le situazioni difficili e saper anche ammettere i propri errori. In questo modo si instaura un ottimo rapporto e diventa molto più facile prendere le decisioni e si decide. Un arbitro che non decide e che manca di coraggio non riuscirebbe mai ad arrivare ad arbitrare ad alti livelli. In pochi anni entrai nell’élite degli arbitri europei. Partite affascinanti, stadi con 60’000-70'000 persone, nuove nazioni visitate, culture differenti, incredibile numero di persone conosciute e un bagaglio d’esperienza che per tutta la vita serberò dentro di me. Nel 2006 fui scelto quale uno dei nove arbitri europei per partecipare alla più grande competizione che esiste a livello sportivo. Un Mondiale di calcio. Per un arbitro, come per un giocatore, è la soddisfazione maggiore che possa raggiungere. Quando lo racconto faccio ancora fatica a far capire alla gente le emozioni che ho provato. Anche coloro che normalmente non seguono questo sport durante un mondiale diventano appassionati di questo incredibile evento. Ebbi l’onore di arbitrare tre partite. Spagna-Ucraina, Inghilterra-Svezia e un ottavo di finale fra il Messico e l’Argentina, vinto da quest’ultima in un appassionante incontro deciso nei tempi supplementari con uno dei goal più belli visti al mondiale. Vi sembrerà strano ma una delle cose più belle che ricordo di questo mondiale fu proprio vedere famiglie intere andare allo stadio e tutti insieme prima e dopo l’incontro divertirsi e far si che lo sport potesse essere un incredibile momento per socializzare. Cercai di sfruttare ogni minuto di questa spettacolare competizione anche se non nascondo di aver sentito molta pressione nel dirigere le mie partite. Durante il mondiale pregai molto. Misi tutto nelle mani del Signore e gli chiesi di proteggermi e di guidarmi in ogni cosa. Oggi giorno in una partita di calcio a questi livelli, la posta in palio è altissima. Un mio errore può comportare l’eliminazione di una squadra da una competizione. È proprio per questo, conoscendo i miei limiti umani che mi affido a Dio. Sono pienamente convinto che senza la fede non avrei mai potuto ottenere queste grandi soddisfazioni. Ricordo un episodio molto particolare. Nella mia prima partita arbitrata, al momento del sorteggio, con la moneta in mano, chiesi ai due capitani Shevcenko e Casillas di scegliere una delle due facce. La lanciai, e per la prima volta nella mia carriera anziché andare da una parte o dall’altra, si impiantò al suolo in modo perpendicolare. Vi confido che fu un episodio con il quale potemmo sorridere e scaricare la molta tensione che traspirava dai nostri volti. Quando arbitro cerco sempre di divertirmi, ed è proprio questo il messaggio che cerco di trasmettere ai giocatori e al pubblico che assiste all’incontro. Nel maggio del 2007 arbitrai la Finale di coppa Uefa fra l’Españiol e il Sevilla davanti a 70’000 mila spettatori. Un derby tutto spagnolo che vide il Sevilla vincitore ai calci di rigore. Ho sempre vissuto i miei traguardi con il massimo equilibrio gioendo in modo contenuto per i successi, ma mai abbattendomi per le sconfitte. Programmo ogni cosa, ma vivo alla giornata e non fisso molti traguardi. Vivo serenamente e cerco di trarre il massimo da ogni cosa e ringrazio Dio per quanto ottenuto fino ad ora. L’ora di visiva Entrare al carcere come docente ad insegnare visiva è per me sempre un piacere perché so che all’interno mi stanno ad aspettare degli «studenti» (meglio che corsisti) con una motivazione, un’impegno e una voglia di apprendere, di imparare, di lavorare… che non sempre trovo nelle scuole in cui insegno. Per un docente lavorare con degli studenti con queste premesse e impegno, non può essere che piacevole e il più delle volte, mi dimentico di essere rinchiuso in un carcere. L’ora di visiva, oltre che momento per disegnare o dipingere, è diventata un momento di incontro e di scambio di idee e di pareri. L’aspetto positivo della mia materia è quello di poter lavorare e nello stesso tempo discutere, ridere, scherzare, «divertirsi» oppure sfogarsi. Le continue discussioni sulla politica, sul carcere, sulla musica, sullo sport, la televisione, il cinema… sino a terminare in cose magari più futili hanno rinforzato sempre più la conoscenza reciproca, permettendo di istaurare rapporti importanti di amicizia che superano l’ora di visiva. Queste «discussioni» hanno aperto su altre realtà, altre maniere di pensare, permettendo di confrontarsi, di mettersi in gioco, come pure di prendersi in giro, tra persone completamente lontane di origine (etnica), credo politico o religioso. Il programma di educazione visiva di quest’anno si è sviluppato su diversi temi, anche perché gli obbiettivi fissati spaziavano dalle prime basi di teoria del colore a quelle di copia dal vero, passando anche dalle nozioni di teoria della forma, senza dimenticare il disegno libero e creativo. Devo dire che l’impegno e la partecipazione da parte degli allievi è stato più che proficuo, che hanno cercato di sfruttare appieno dalle lezioni a loro disposizione. Seguire un programma nella mia materia in carcere non è per niente facile per diversi motivi. Tre ore la settimana sono poche per potersi esercitare ed avere un minimo di continuità. La mancanza di spazio nelle celle non stimola il lavoro e la continuità, ma malgrado questi problemi alcuni studenti riescono comunque ad organizzarsi. I risultati e i progressi ottenuti li definirei più che positivi. Difficile dare un valore, un giudizio per tutti uguale senza tener conto della loro formazione «artistica di base» in quanto questa è differente l’una dall’altro. Abbiamo chi ha avuto una minima formazione scolastica, chi l’ha perfezionata come hobby pitturando o disegnando qua e là nel tempo chi non ha mai avuto alcuna formazione o addirittura mai disegnato. Quello che li accomuna e che li motiva è la voglia di provare, di mettersi in gioco, di osare, di sperimentare, di imparare, di riuscire… L’ora di visiva nel carcere permette di evadere con la mente e di essere «liberi»…, di fare, di creare, di pensare, di scaricare le tensioni accumulate durante la settimana e sopratutto di non essere giudicati. Intenso e variegato il programma di quest’anno dove abbiamo affrontato diversi temi: 1 Teoria del colore: colori principali, colori secondari, colore come forma, bianco e nero. 2 Teoria della forma: lavorato con un tema, esempio, l’acqua sotto le sue moltplici forme. 3 Copia dal vero: primi approcci, primi schizzi. 4 Disegni liberi. Malù Cortesi Conferenze Tuareg, gli uomini blu del deserto fra mito e realtà A scuola per imparare… La redazione di questo particolare giornale di informazione "Scuola In-Oltre" mi ha pregato di riassumere un intervento fatto lo scorso autunno sul tema della mia passione per l'Africa che un po' pomposamente cade sotto il titolo "conferenze". In quel pomeriggio il mio dire fu molto meno importante di ciò che ho potuto sentire dai presenti, alcuni di provenienza africana. Il loro grido di rabbia non fu tanto legato alla loro attuale privazione di libertà, quanto alle condizioni di vita che a monte, nel loro paese d'origine, li ha portati a trovare altre vie d'uscita da una difficile quotidianità. Ho imparato durante questo pomeriggio piu' di quanto speravo di poter inculcare nella mente dei presenti. Lo spunto di riflessione l'ho avuto io. L'invito a riassumere questa mia breve apparizione alla scuola interna al carcere mi coglie proprio in Africa. Sto scrivendo questo testo dal Niger, dove da due mesi svolgo una missione umanitaria per un'associazione che si occupa di scolarizzazione per l'infanzia bisognosa in quattro scuole, due nella città di Niamey e due al sud del Niger. Sarebbe troppo facile disquisire sulle differenze abissali tra le strutture scolastiche del Niger e della Svizzera. Altrettanto faziosa sarebbe la facile elencazione della svogliatezza che accomuna troppo spesso i nostri allievi, che pure evolvono in un ambiente strutturalmente perfetto, e l'attenzione di chi, in una classe dalle fragili pareti di paglia che concedono poca protezione ai violenti raggi del sole ed al vento di sabbia, presta una religiosa attenzione a quanto impartito dai loro docenti. E' talvolta molto più utile, per imparare, confrontarsi con le carenze che non con l'abbondanza… Pietro Marci Disoccupazione Diritto all'indennità di disoccupazione Presupposti Ha diritto alle indennità di disoccupazione l'Assicurato che, nei 2 anni precedenti l'iscrizione al collocamento: • ha svolto per almeno 12 mesi un’occupazione soggetta a contribuzione (attività dipendente); • ha avuto una formazione scolastica per più di 12 mesi e almeno 10 anni di domicilio in Svizzera; • ha avuto un periodo d’inabilità al lavoro per più di 12 mesi, a condizione che durante questo periodo sia stato domiciliato in Svizzera; • ha soggiornato in un istituto svizzero per l'esecuzione delle pene d'arresto per più di 12 mesi. Altre circostanze che possono determinare il diritto alle indennità di disoccupazione, ad esempio: • separazione, divorzio, invalidità o morte del coniuge o soppressione di una rendita di invalidità • soggiorno all'estero (in uno stato non membro della Comunità europea per gli svizzeri o gli stranieri in possesso del permesso di domicilio se hanno svolto un'attività dipendente). Quali sono i diritti e i doveri del disoccupato? In futuro: un’interessante scelta professionale, perché no! Come posso essere aiutato grazie alle misure della LADI? Occorre rilevare che le persone che maturano un diritto conformemente ad un’esenzione (coloro che entrano in disoccupazione in seguito a formazione scolastica, malattia, infortunio, separazione, soggiorno all’estero, ecc.) possono beneficiare unicamente di 260 indennità giornaliere (entro il termine quadro di riscossione). Termine quadro per la riscossione della prestazione Decorre dal primo giorno nel quale l’assicurato/a ha adempiuto i presupposti per il diritto all’indennità di disoccupazione e ha una durata di 2 anni. In questo lasso di tempo la persona assicurata beneficia delle prestazioni assicurative. Gli assicurati che maturano il diritto alle indennità di disoccupazione in seguito ad attività lavorativa possono beneficiare di 400 indennità giornaliere (5 giorni per settimana), di 520 indennità giornaliere se hanno almeno 55 anni di età e 640 indennità giornaliere se il diritto viene fatto valere entro i 4 anni prima del pensionamento. LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ E INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE L’1.1.2007 è entrata in vigore la revisione del Codice penale svizzero (CP, RS 311.0). L’elemento fondamentale di tale revisione è costituito dalla sostanziale rinuncia alla pena detentiva di breve durata inferiore a sei mesi. Le pene detentive di breve durata vengono sostituite da una pena pecuniaria e dal lavoro di pubblica utilità (LPU). Sei mesi di detenzione corrispondono a 180 aliquote giornaliere di pena pecuniaria. 1. Disposizioni generali Con il consenso della persona condannata, il giudice, invece di infliggere una pena pecuniaria fino a 180 aliquote giornaliere, può ordinare un lavoro di pubblica utilità di 720 ore al massimo. Invece di una multa, inoltre, può essere ordinato un lavoro di pubblica utilità fino a 360 ore. Quattro ore di lavoro di pubblica utilità corrispondono a un’aliquota giornaliera di pena pecuniaria o a un giorno di pena detentiva. Il lavoro di pubblica utilità deve essere prestato gratuitamente a favore di istituzioni sociali, opere di interesse pubblico o persone bisognose. Il lavoro di pubblica utilità deve essere prestato entro un termine di due anni al massimo. Le persone che hanno un impiego devono prestare il lavoro di pubblica utilità al di fuori dell’orario di lavoro normale, vale a dire durante il tempo libero (alla sera, nel corso del fine settimana, durante le vacanze, ecc.). L’esecuzione della pena spetta ai Cantoni. 2. Lavoro di pubblica utilità in caso di disoccupazione • Una persona assicurata che deve prestare un lavoro di pubblica utilità è, in linea di massima, idonea al collocamento. • Siccome il lavoro di pubblica utilità rappresenta un’attività gratuita che la persona condannata deve svolgere durante il tempo libero, occorre che la persona disoccupata che ha deciso di scegliere questo tipo di esecuzione della pena eserciti tale attività al di fuori delle ore durante le quali deve essere disponibile sul mercato del lavoro. • Se la persona assicurata presta un lavoro di pubblica utilità durante il tempo di lavoro normale, la perdita di lavoro computabile deve essere ridotta in proporzione al lavoro di pubblica utilità svolto. • La persona assicurata può prestare un lavoro di pubblica utilità nel corso dei giorni esenti dall’obbligo di controllo. Silvano Beretta, Paolo Cattaneo Chiacchierata con il Prof. Dr. Arturo Romer sul tema Una lezione E indimenticabile nergia: quale futuro? Consumi energetici odierni e futuri a livello mondiale. L’effetto serra e il cambiamento climatico. Le nuove energie rinnovabili. Società da 1 tonnellata di CO 2 pro capite all’anno! Le varie tecnologie di produzione di elettricità? Non capita a tutti di aver a che fare con il carcere, senza aver commesso alcun reato. interessato trovarti perL’amico discutere temi d’attualità legati all’energia? Mi Sei è capitato il 23 aaprile 2009. rotariano Mauro Broggini mi ha invitato a teSe sì, eccoti l’occasione per partecipare ad un’interessante Conferenza nere una conferenza ad un gruppo di detenuti presso il penitenziario La Stampa. È che si terrà nell’aula di Cultura generale (sezione G) il giorno: difficile immaginare il carcere guardandolo dalla televisione. Carcere significa limi23 aprile 2009, dalle ore 14.15 alle 16.00 tazione totale diGiovedì libertà, ma non deve significare isolamento totale dal mondo. Ecco il motivo per cui Prof. ho accettato la sfida. Ho insegnato a tutti i livelli scolastici, dalla scuola Dr. A. Romer: ricercatore e professore universitario elementare fino all’Università. In Svizzera, in molti paesi europei e in parecchi paesi dell’Africa. Ma mai in un carcere. La conferenza del 23 aprile è stata per me un’esperienza unica, profonda e intensa. Non dimenticherò mai più questa forte emozione. Entrando nell’aula tutti i detenuti sono venuti a salutarmi con una stretta di mano. Si salutavano anche cordialmente tra di loro, come ci si saluta tra amici. Prima di iniziare la mia conferenza sul tema “Energia e Ambiente” ho sondato l’interesse e le richieste di informazione di ogni singolo partecipante. Con grande soddisfazione ho subito constatato un vivo, autentico e qualificato interesse. Capivo sin dall’inizio che la mia lezione avrebbe arricchito questi essere umani bisognosi di contatto umano. E con questa premessa ho iniziato la mia lezione di cui desidero dare qui di seguito un riassunto: In campo energetico regna in generale una preoccupante confusione e un grande disorientamento. Sull’informazione oggettiva prevale la disinformazione. Le ideologie e la demagogia diffondono paure e ansie. Manca totalmente la formazione di base, ad ogni livello, dall’asilo fino all’università. Si confonde tutto: la radioattività naturale con quella artificiale, l’energia primaria con quella finale, il calore con l’elettricità, il reattore nucleare con la bomba nucleare, l’unità “potenza” con l’unità “energia”, l’idrogeno con l’acqua, il collettore termico solare con il pannello fotovoltaico, ecc. Occorre un’autentica cultura energetica. Molte persone si pongono delle domande sulla “Società a 2000 watt”, detta anche “Società a 2 [kW]”. Il concetto non è effettivamente né semplice, né banale. Con le righe seguenti intendo offrire un contributo per una migliore comprensione del concetto citato. Lo faccio in modo elementare e didattico. Innanzitutto si deve distinguere tra unità di potenza (espressa in watt, simbolo [W]) e unità di energia (espressa in joule, simbolo [J]). L’energia risulta dal prodotto “potenza x tempo”, ossia “watt x secondi”. Ecco la legge esatta: 1 [J] = 1 [W] x 1 [s]. Aggiungiamo che anche l’unità [kWh] è un’unità di energia e vale 1 [kWh] = 1000 [W] x 1[h] = = 1000 [W] x 3600 [s] = = 3'600'000 [J] = 3.6 [MJ]. A questo punto dobbiamo rigorosamente distinguere tra energia primaria (carbone nella miniera, petrolio greggio, gas naturale nel giacimento, acqua contenuta nel bacino ad accumulazione, massa legnosa di un bosco, uranio nella miniera, luce solare, ecc.) ed energia finale (elettricità, benzina, diesel, legna da ardere, calore dalla caldaia, gas naturale trasportato attraverso il gasdotto, ecc.). Le energie finali derivano da uno o più processi di trasformazione delle energie primarie. Per esempio possiamo trasformare un bosco (energia primaria) in elettricità (energia finale). La trasformazione delle energie primarie comporta inevitabilmente notevoli perdite, da un lato per le leggi fisiche, e dall’altro per motivi di inefficienza e di spreco. Nel concetto di “Società a 2000 watt” la potenza in [W] si riferisce all’energia primaria e non all’energia finale come p. es. l’elettricità. Se un abitante del pianeta dispone di 2000 watt, ossia di 2 [kW], allora egli consuma all’anno la seguente quantità E di energia primaria: E = 2000 [W] x 1 [a] = 2 [kW] x 8760 [h] = 17'520 [kWh]. Tale quantità di energia corrisponde a 1502 [kg] di petrolio, oppure a 2153 [kg] di carbone, oppure a 4171 [kg] di legna secca, oppure a 0.000762 [kg] di uranio-235. Si tratta comunque sempre di energia primaria! In Svizzera avevamo nel 2005 una “Società a 4800 watt”, negli USA una “Società a 10'475 watt”, nel Bangladesh una “Società a 226 watt”. Il concetto di “Società a 2000 watt” è stato coniato per la prima volta dal Politecnico federale di Zurigo una decina di anni or sono. Nel frattempo lo stesso Politecnico ha cambiato rotta: la nuova strategia non ha più quale obiettivo prioritario una “Società a 2000 watt”, bensì una “Società a 1 tonnellata di CO2”. Ciò significa che entro l’anno 2100, ogni abitante del pianeta dovrebbe emettere al massimo 1 tonnellata di CO2 all’anno. La priorità è data quindi alla drastica riduzione del gas serra CO2 e degli altri gas serra (CH4, CFC, N2O, O3, SF6 , ecc.) e non all’eccessiva riduzione del consumo di energia. La motivazione: ridurre troppo il consumo energetico pro capite può implicare un regresso sensibile. Tale strategia è senza dubbio molto sensata, ma richiede pure enormi sforzi e sacrifici a livello sociale, tecnico-ambientale ed economico-finanziario: aumento dell’efficienza energetica, maggiori rendimenti, maggiore quota di elettricità, cattura e sequestrazione del CO2 , incentivazione delle nuove energie rinnovabili, mantenimento e rafforzamento dell’opzione nucleare. Il cambiamento climatico non è più un’ipotetica minaccia lontana nel tempo, bensì un fenomeno pericoloso già in atto in modo sensibile e tangibile (vedi p. es. il ritiro dei ghiacciai e delle calotte polari). Nel 2005 l’umanità intera era in media una “Società a 2363 watt” e una “Società a 4,22 tonnellate di CO2”. Il pianeta conta oggi 6,8 miliardi di abitanti (dati marzo 2009). Nessuno sa dire con esattezza quali saranno i rispettivi valori nell’anno 2100: 4000 watt? 1 tonnellata di CO2 ? 10 miliardi di abitanti? Essenziale è il contenimento di tutti questi valori. Ma questo non può essere l’unico obiettivo per l’anno 2100. Più importante è a mio parere un nuovo modello di vita, basato su una scala di valori universalmente riconosciuti, accettati, rispettati e vissuti da tutti i popoli. Valori come dialogo, rispetto, solidarietà, tolleranza, libertà, pace, dignità umana, giustizia, onestà, verità, responsabilità, equità, sostenibilità. Un sogno? Ho parlato per circa un’ora. L’attenzione è stata massima. Al termine della mia conferenza tutti mi hanno letteralmente bombardato di domande, domande intelligenti e pertinenti. Prima di partire li ho salutati uno per uno. Con il mio sguardo intendevo dire a ciascuno: ”Coraggio, prendi la tua vita in mano. Ce la farai.” Tornando a casa mi è dispiaciuto di non avere vissuto molto tempo prima una simile esperienza umana e sociale. Si provano forti emozioni a contatto con persone che stanno lottando contro la solitudine, l’emarginazione, la depressione, i rimorsi. Persone che lottano per recuperare la dignità umana, la fiducia, la solidarietà e la libertà. Persone che si affidano con impegno e serietà al lavoro (molti fanno un apprendistato) e allo studio (alcuni conseguono una laurea) per ritornare con speranza e con carte vincenti nella società civile al termine della pena. A mio parere ogni persona libera dovrebbe visitare almeno una volta nella vita un carcere, ciò riguarda particolarmente i giovani. Solo dall’interno del carcere si riesce ad apprezzare in pienezza quel valore fondamentale che si chiama “libertà”. Arturo Romer La televisione ieri, oggi e domani A volte è così difficile alzare gli occhi e guardare un po’ più in là del naso… alzare lo sguardo e vedere davvero quello che ci sta attorno, qualunque cosa sia. Guardare e incontrare. Cercare di capire. Ascoltare, farsi delle idee, cambiare quelle vecchie. Lasciarsi attraversare dalle emozioni, nostre e degli altri… Difficile. Rischioso. Eppure così vitale e importante. Così bello, forte. Modificare, allargare il proprio orizzonte. Ecco. Credo che quel pomeriggio in carcere, a parlare (di televisione? sì, anche di televisione, ma non solo di televisione) è stato un momento così, per me. Un momento inaspettato, coinvolgente e intelligente, dove mi è stato chiesto e ho dovuto chiedermi, che senso ha il mio lavoro. O, meglio, che senso do io al mio lavoro, e a quello dei miei colleghi. A chi mi rivolgo quando parlo, o scrivo, o penso a come comporre un programma. Chi mi ascolta, e perché mi ascolta. Cosa si aspetta. Cosa significa per me “informazione”. Come funziona la grande macchina informativa - di cui la televisione è solo uno dei pezzi – che tanto influisce sulla vita di tutti. Tutte cose che sì, ogni tanto mi chiedo. Ma è diverso quando le domande arrivano da una parte del pubblico che ti sta guardando negli occhi e misura quanto lontano, appunto, arriva il tuo sguardo. Noi - noi che lavoriamo dentro una televisione - parliamo tutto il giorno di “pubblico”. “Pubblico” è il nostro interlocutore e il nostro datore di lavoro. Viviamo pensando al “pubblico”. E ci pensiamo così tanto in tutti i modi, che alla fine lo facciamo diventare una massa informe e anonima. Dimentichiamo che è fatto di “persone”. Di persone come noi, con una vita, una storia, amori e dolori, problemi, idee… opinioni, desideri, bisogni. Persone che vivono realtà diverse, in mondi diversi, tutti importanti, tutti degni di attenzione e rispetto. Persone che credono o no a quello che diciamo, che si confrontano, che formano opinioni. Sì: un pomeriggio in carcere per me ha voluto dire incontrare persone attente e profonde, che non danno nulla per scontato, che si chiedono e chiedono. Che mi hanno chiesto – sia pure in modo indiretto, con discrezione, con rispetto, in punta di piedi, quasi senza volerlo – maggiore serietà e onestà nel lavoro che faccio, e che facciamo. Maggiore attenzione alle realtà diverse che stanno poco più in là del mio (del nostro) naso. È stato un momento così, dove ci si è francamente e serenamente guardati in faccia. Un incontro di quelli che lasciano il segno. La televisione non cambierà certo per questo. Io, forse, spero, un po’ sì. Aldina Crespi Moduli ABC in economia domestica Perché è importante tenere pulito un ambiente? ABC- in economia domestica Il corso proposto all’interno della struttura carceraria trattava tematiche inerenti alla cura della casa, ossia: Alimentazione-Cura della biancheria-Conservazione del valore. Tematiche non facili da trasmettere in quanto il tempo a disposizione era molto limitato (solamente tre incontri) e la logistica, malgrado la buona volontà, non sempre permetteva di mettere in pratica o di procedere nel modo più logico e armonioso con quanto proponevo. Ciò malgrado le lezioni sono state arricchite dalla partecipazione attiva degli allievi, i quali mi hanno fatto conoscere/esplorare la realtà all’interno di un ambiente così delicato dove gli equilibri giocano un ruolo essenziale. Particolarmente dinamico il terzo incontro dove tutti assieme abbiamo preparato e condiviso il pranzo. Tamara Cadra Quali sono le precauzioni nel lavaggio della biancheria? Sei interessato a trovarti per discutere su temi legati alla cura della casa? Se sì, eccoti l’occasione per partecipare ad un modulo di formazione, che si terrà il giovedì pomeriggio: 30 aprile, 7 e 28 maggio 2009 Creo un’Azienda Creo un’Azienda Come costruire un piano contabile. Chi è il tuo cliente? Il marketing: quali strategie di mercato è possibile attuare? Soldi, soldi,….. rischi e benefici di una corretta gestione. Passo dopo passo come posso creare la mia Azienda. Sei interessato a conoscere gli strumenti per iniziare un’attività auto imprenditoriale? Se sì, eccoti l’occasione per partecipare ad un interessante Modulo di formazione, che si terrà nei seguenti giorni: Il primo impatto non è dei più felici: rumori metallici di chiavi che girano e poi rigirano serrature; grossi cancelli che si aprono e poi si richiudono immediatamente dietro di te; occhi elettronici che ti spiano, che sanno in quali giorni della settimana sarai presente, a che ora arrivi, a che ora parti e cosa porti nella tua cartella; corridoi lunghi e spogli dove senti unicamente il rimbombo dei tuoi passi; pareti e pavimenti dai colori freddi; inferriate e filo spinato ovunque. Ma dove sono finito? Cosa ho fatto di male per essere qui, in questo luogo, a dare dei corsi? Ma chi me lo ha fatto fare di dire sì alla proposta di dare delle lezioni ai detenuti? Ma soprattutto: cosa mi aspetterà? Chi sono questi carcerati? Perché si sono iscritti al mio corso? Cosa vogliono? Come mi accoglieranno? Quanti dubbi ti assalgono! E questo malgrado il fatto di avere dietro di te un’esperienza ancor più che ventennale con tanti pubblici differenti tra loro: dagli apprendisti agli adulti, dalla formazione empirica ai corsi di preparazione alla maestria. Sei solo, in quell’aula angusta con vista sulla corte interna, con le sbarre alle finestre. L’unico legame, l’unica fonte di “sicurezza” è un telefono diretto con gli agenti di custodia. Ma quando finalmente vedi questi corsisti, quando pian piano cominci a conoscerli, a stare con loro, tutti questi dubbi, queste perplessità, spariscono. Ti accorgi che in queste persone c’è tanta umanità, tanta voglia di fare, di imparare. Le lezioni volano, non fai tempo ad iniziare che hai già finito! I cancelli, i controlli, non ti pesano più. Diventano una routine. E la pausa? Un incaricato prepara il caffé per tutti. Ti invitano a prenderlo con loro. Ma vi ricordate quella canzone di De André che faceva” Ah che buono caffé come in carcere lo sanno far …..”. Fulvio Bottinelli 30 aprile; 7, 14, 21, 20, 28 maggio; 3 e 4 giugno 2009 Introduzione alla storia della filosofia Che cos’è la Filosofia? Perché è importante capire il pensiero? Cos’è la libertà? Quale eredità culturale ci hanno lasciato i principali pensatori e quali sono le nuove tendenze? Sei interessato a trovarti per discutere su temi legati al pensiero? Se sì, eccoti l’occasione per partecipare ad un modulo di formazione, che si terrà il mercoledì pomeriggio: 28 gennaio, 11 febbraio, 4, 18 marzo, 1° e 22 aprile 2009. Introduzione alla storia della filosofia Si è subito capito che la classe era predisposta per lezioni di filosofia, poiché i corsisti si sono posti domande intelligenti e la prima è stata: “Ma come posso fare filosofia io? Non servono studi approfonditi? Università? Sono abbastanza intelligente?”. interrogativi leciti e soprattutto appropriati. Sì. Perché il filosofo è un insaziabile indagatore, colui che non si accontenta di ciò che sente per radio, vede in TV, ma decide di condividere con altri i propri dubbi e pensieri… e per questo non serve una carriera scolastica pluridecennale, ma voglia di sapere, voglia di conoscere. Si è capito presto che andare fino in fondo alle questioni significava ricercare la verità. Da una panoramica legata alla Storia della Grecia con un organismo politico unitario si discute di Platone e Aristotele. La caverna che imprigiona gli uomini non è di sasso, ma è costituita da catene di abitudini, false luci, paura di faticare. Chi segue il bisogno naturale di conoscenza esce dalla caverna e alla luce del sole distingue ciò che è vero da ciò che non lo è. Paradossalmente, all’interno dell’aula ci siamo sentiti come questi cavernicoli che, grazie alle discussioni insieme attorno a temi di amore, ricerca, libertà e giustizia, ci siamo liberati della vita di tutti i giorni, costretta da una società dai ritmi vorticosi, e per alcune ore abbiamo passeggiato “all’aperto”, alla luce del sole, alla ricerca di una risposta soddisfacente. Intuire che la verità spesso è dolorosa e che la giustizia non è sempre sinonimo di equità è una scoperta impegnativa, ma saperlo, almeno una volta, aiuta a capire più adeguatamente la società di cui si fa parte, a accettarla o a avere finalmente voglia di cambiarla, in meglio. L’arte della retorica accompagna verso lo scottante tema del libero arbitrio: esisterà? Forse una libertà assoluta è troppo grande per un singolo uomo, ma è indispensabile che le diverse società ne riconoscano il valore e non privino i cittadini di questo diritto senza una reale motivazione. Ovviamente i corsisti sapevano portare contributi pertinenti, completi, appassionati. Il bisogno di conoscere la verità è un obiettivo esistenziale a cui si è mirato: ora centrare il bersaglio è possibile. Marlyse Tomasetti Scuola In-oltre: dalle novità alle conferme Dopo un primo anno di progetto In-oltre contraddistinto da sperimentazione ed entusiasmo per la novità, ci lasciamo alle spalle un secondo anno caratterizzato da importanti conferme. La prima è la constatazione del serio impegno dimostrato in generale dagli allievi-detenuti che seguono i corsi e gli apprendistati. Impegno che ha rappresentato una piacevole sorpresa, non tanto perché si dubitasse dell’adesione di singoli detenuti alla proposta formativa, ma perché l’introduzione di una proposta formativa in qualche modo standardizzata, in un ambiente in cui età, origine, lingua, cultura, precedenti scolastici e biografia di vita sono altamente disomogenei, costituiva una sfida tutt’altro che scontata, soprattutto nel medio-lungo termine. Gli allievi hanno invece contribuito attivamente a regolare la proposta e a mantenerla viva nel tempo, seppur nelle diversità che ciascuno porta con sè. Trascorsi due anni l’adesione è sempre alta e le richieste di partecipazione ad un percorso formativo sono molte. Anche sul fronte dei docenti è stato confortante constatare come le numerose difficoltà derivanti dalle dinamiche insite nella realtà carcere non abbiano scalfito l’impegno profuso, la loro perseveranza ed il loro entusiasmo. Sempre disposti a conciliare i propri principi pedagogici con le regole, i limiti ed i meccanismi imposti dall’istituzione, i docenti hanno saputo coinvolgere i detenuti in un progetto che si è vieppiù radicato nella quotidianità del carcere. Devo poi riconoscere che, anche sul fronte della mia attività di operatore sociale, i benefici sono stati tangibili: se da un lato è naturalmente aumentato l’onere di lavoro per quanto attiene alla collaborazione con la scuola, dall’altro paiono diminuite le richieste di colloqui con i singoli detenuti, soprattutto per quanto attiene le persone che aderiscono ai corsi. Mi piace immaginare che, inserite in un progetto formativo, esse trovino con i docenti e durante lo studio quella possibilità di scambio e confronto che precedentemente vanno talvolta cercando con il personale ordinario del penitenziario, assistente sociale compreso. Nondimeno, quando si tratta di guardare al futuro con i detenuti, gli elementi della formazione diventano importanti mattoni sui quali costruire i rispettivi progetti di vita. Se apprendere significa conoscere ma anche modificarsi attraverso la conoscenza, l’augurio è naturalmente che i percorsi formativi intrapresi dalle persone detenute possano contribuire a realizzare quel cambiamento necessario a ritrovare sull’esterno una soddisfazione nel proprio progetto di vita e un nuovo equilibrio che sappia sanare quel patto sociale in qualche modo incrinatosi con la commissione del reato. …le mie riflessioni come Agente di custodia Nella mia breve esperienza quale agente di custodia presso il penitenziario cantonale La Stampa ho avuto l’opportunità di riflettere su diversi aspetti che una vita all’interno di un penitenziario riserva. In particolare: la mobilità, gli affetti, le abitudini e l’alimentazione hanno attirato la mia attenzione. Ma quello che mi ha spinto nella scelta di questo tema per il mio lavoro di diploma è l’elaborazione negli ultimi anni, da parte del Ticino, di concetti di formazione e perfezionamento durante l’esecuzione della pena. Più precisamente con il progetto Scuola In-Oltre, si è creata un’opportunità per coloro che si ritrovano a dover affrontare un periodo privativo di libertà a medio-lungo termine. In passato ci sono state diverse iniziative organizzate dal penitenziario La Stampa che hanno suscitato l’interesse di formatori e detenuti. L’obiettivo primario che oggi Scuola In-Oltre si pone, consiste nel colmare la differenza tra una formazione estemporanea e una formazione continua, completa e integrata al sistema formativo vigente sull’esterno. Come ogni progetto anche In-Oltre necessita di risorse: spazi, materiali, formatori e finanze. Si è cercato di conciliare le diverse necessità che un carcere come La Stampa può avere, con quelle di una vera e propria scuola. La riorganizzazione degli spazi ha creato il primo problema e si è dovuti ricorrere a risistemare luoghi poco usati e mal gestiti, creando aule quali possono essere quelle d’informatica, di disegno e l’aula apprendisti, ricavate da spazi come ex laboratori e locali in disuso. I programmi formativi sviluppati in questo progetto comprendono, da una parte il pacchetto di corsi Cultura generale (corsi di formazione nelle lingue italiano ed inglese, la matematica, l’informatica, l’educazione visiva, l’educazione fisica e una serie di moduli tematici), e dall’altro le formazioni professionali (apprendistati). L’approfondimento di questo argomento mi ha portato un arricchimento particolare. Come agente di custodia e come persona ho potuto approfondire degli aspetti che non risultano visibili durante le giornate lavorative. A mio avviso, esistono ancora dei punti migliorabili, mentre ce ne sono altri che verranno presi in considerazione in futuro. Se pur integrata nei migliori dei modi in un ambiente come un penitenziario, la scuola accusa problemi di struttura. Si è inoltre sempre alla ricerca di nuovi spazi da poter adibire ad aule per poter ampliare e aggiungere nuovi moduli e ulteriori apprendistati per facilitare l’integrazione e il reinserimento nella società delle persone detenute Siva Steiner, operatore sociale Christian Canuti, aspirante agente di custodia L’informatica all’interno del Penitenzario è presente da oltre 10 anni. La continua richiesta di formazione in questo ambito, in quanto strumento indispensabile per affrontare oggi la maggior parte del mondo del lavoro, necessita di continua attenzione da parte dei responsabili. Abbiamo incontrato per approfondire il discorso il signor Mauro Ortelli, docente di informatica. Quali sono i corsi offerti oggi ai detenuti? Offriamo una formazione di base sul sistema operativo XP e sul pacchetto Office. Tutte le formazioni sono concepite per poter affrontare in futuro gli esami ECDL che permetterebbe ai detenuti di ottenere una certificazione da utilizzare al termine della detenzione in qualsiasi stato europeo e parte dell’Africa.. Ultimamente stiamo implementando un corso per l’installazione e l’uso di sistemi operativi alternativi (Linux) e un corso per l’insegnamento del montaggio di un nuovo PC e le relative installazioni di programmi. Quali sono le novità previste? Su richiesta ed analisi dei bisogni di formazione, l’anno prossimo vorremmo aggiungere il corso per tecnico hardware (costruzione, modifica e riparazione di PC). Inoltre stiamo affrontando la certificazione ECDL che ci permetterà di organizzare delle sessioni d’esame all’interno del penitenziario. Entro l’inizio del nuovo anno potremmo probabilmente già cominciare a esaminare le persone interessate ed a consegnare le prime certificazioni. Di quali mezzi e strutture disponete per la formazione? Alla fine dell’anno scolastico 07/08 l’aula informatica risultava essere inadatta in quanto piccola e con poche postazioni di lavoro. Dall’inizio del 2009 abbiamo a disposizione una nuova aula concepita sia per la formazione informatica e dotata di sistemi multimediali che ci permettono un migliore utilizzo degli strumenti tecnici e informatici. Certo, i computer non sono nuovi. Abbiamo potuto approfittare di un piano di rinnovo, all’intrno dell’amministrazione cantonale, recuperando le macchine sostituite. L’investimento ci ha tuttavia permesso di ottenere uno standard adeguato per lo sviluppo dei singoli corsi e soprattutto per la certificazione ECDL. Nella nuova aula, che si trova al posto della biblioteca (ora spostata e rinnovata sopra la chiesa), abbiamo a disposizione 12 postazioni (in precedenza erano solo 8) informatiche nonché un piccolo spazio adibito a laboratorio per attività pratiche come il montaggio e lo smontaggio degli apparecchi. Come sono accolte dai detenuti le offerte di formazione? L’interesse per l’informatica è sempre stato molto alto e i detenuti hanno molta voglia di imparare e usare le nuove tecnologie. Questo ci permette di poter offrire un percorso formativo di informatica sia a persone completamente estranee alla materia, sia a persone con una formazione avanzata. La frequenza alle lezioni è molto costante e partecipativa ed è per noi una grande soddisfazione che ci stimola ad ampliare ulteriormente l’offerta in futuro. Tgu/mo Pensieri in “libertà” Alberto il corso di etto di fare d o n n a h i . Sapevo Quando m to motivato n ta ro e n o per impaitaliano, n ttarne di più ttato. fi ro p a vo che dove e l’ho acce ua italiana cuoco ma rare la ling ndistato di re p p a l’ re cora non Volevo fa o perché an n i d o tt e d mi hanno nnato. a risposta sono conda motivo dell ro ve il e h ensano che Penso c 54 anni e p o h e h c è inciare un negativa io per com h cc ve o p p sono tro to. a vita non apprendista parare nell im r e p e h c Io penso nor Mauro ci sia età. re e il sig lt -O In la o al punto di La scu o motivato n n a il h i m i di utilizzare Broggin a studiare, re a a u iv n it ti s n o ui, p voler co rò stare q v o d e h c tempo etenuti è ve mente. re per noi d lt p -O o In l’ à la d o é ci La scu ante, perch rt o o p tr s o im n te il ramen funzionare r fa e i rt d a p à it re enti portun più e mi fa s i d . ’ e o p rt a n p u o o n son cervell lla quale no e d tà e ci o s di una Luciana Mi sono chiesta, in questo periodo di “Riflessione”… come potesse essere gestito ciò che amo definire una sorta di “conflitto interiore”, vale a dire in che modo si possa essere felici e liberi anche in questa condizione. Innanzi tutto ho approntato un’analisi della mia coscienza e della coscienza in generale. Sono giunta alla determinazione che la coscienza è il baluardo della libertà, di fronte alle limitazioni dell’esistenza che vengono imposte dall’Autorità. Coscienza come norma suprema alla quale dobbiamo sempre tendere anche se in contrasto con l’Autorità. La coscienza deve mantenere sempre l’ultima parola! Esiste però una “falsa coscienza” che va per la maggiore ai nostri giorni. Faccio un esempio: le SS portarono a termine le loro atrocità con fanatica convinzione ed assoluta certezza di coscienza. Secondo questo concetto sarebbero giustificati e dovremmo cercarli… in paradiso!!! Secondo questa tesi si comportarono moralmente bene, dal momento che essi seguirono la loro coscienza per quanto deformata. Giungo al punto: questo potere “giustificativo” della coscienza non quadra. La mancanza di dubbi e scrupoli non giustificano affatto l’operato dell’uomo. Questo a mio avviso, il male del nostro presente. Il NON ascolto della nostra coscienza primordiale. Questo tema, certamente andrebbe discusso in modo più esaustivo, data la sua complessità. Questa è una semplice indicazione, una modesta traccia! È bene ricordare che: “La clemenza è della Giustizia il miglior ornamento” (Cicerone) Aziz Noi abbiamo fatto un po’ di compiti per circa un’ora con un mio amico e sono soddisfatto delle lezioni che abbi amo eseguito. Io mi trovo bene a fare i compiti ch e mi vengono assegnat i. Sono contento di quello che ho impa rato in due anni. Grazie alla scuola “In-Oltre”, al mae stro e a qualche amic o che mi aiuta un po’. Diana Da tre mesi sono rinchiusa alla “Farera”. Sono tre mesi senza la tua libertà, nonostante questo, il segreto è saperla trovare dentro noi, non al di fuori, tra queste quattro mura, ringhiere e regole a noi apparentemente ridicole e anche tante volte dure. Io in tutto questo ho scoperto la libertà che ognuno di noi può possedere e avere all’interno di sé stesso, nel profondo del nostro cuore. Tre mesi, cosa sono in confronto ad una vita intera? Anche se il tuo destino è inesorabilmente in mano al futuro e a Dio Nostro Signore. Qui ho imparato che ogni giorno della tua vita è sacro, importante, unico e raro. Anche il singolo minuto è prezioso, il condividere le proprie esperienze di vita, che siano gioia, allegria, nostalgia e che un sorriso a noi dato con il cuore è mille volte meglio di tante e inutili, a volte, parole… Alain Acqua, aria, forme di vita intimamente collegate, abbiamo plasmato la terra a nostra immagine e abbiamo spezzato questi legami. Ci resta poco tempo per cambiare. Io so che un singolo uomo non potrebbe compiere questo compito. Ma è troppo tardi per essere pessimisti. Luiz re quando si nuota “A volte è come nel ma si perde di coragin acque agitate, se ci gio, si va sotto.” ami famigliari, soDove sono saltati i leg o, magari assistito ciali, e dove un individu , è sempre più solo da un welfare perfetto vita, alla competidi fronte ai flutti della mento della fazione sociale allo sfalda ciale che non ha miglia in un ambito so perché costruito quei rapporti d’affetto più freddi, presu criteri più formali, i giovani che subimendo moltissimo su richiesta dalla scono una maggior ia da prestazione, società, subiscono l’ans sentirsi adeguati, vivono la pena di non sconfitta viene visdove la difficoltà della generale. suta come fallimento di fronte il paramo Insomma ci trovia e “non ama veradosso di una società ch n cessa di lanciare mente i giovani; che no di inadeguatezza”. segnali di insicurezza, possibile non può L’unica prevenzione glioramento della che consistere in un mi iglia, delle relarete sociale, della fam scuola. zioni di amicizia, della i che possono riett gg Sì, sono questi i so ciale calda e solicostruire quella rete so ggere i giovani, dale, in grado di prote a nuotare soli. altrimenti condannati Juan Se qualcuno vole sse definire sem plicemente la parola scuola, è un post o dove si va a imparare , ma credo che pe r me è stato un po’ di tu tto, ha significato lo spazio nel quale ho potuto sentire un po’ di libertà, un po’ di fraternità, un po ’ di motivazione, sentire un po’ di amicizia , il potere esprimerm i, il potere im pa rare l’italiano, alla fin e questa scuola ha significato tutto pe r me in questo an no. Per questo voglio rin graziare tutti quei maestri che tentano di farmi sentire un po’ fuori di qua e an che mi fanno mig liorare ogni giorno con m e stesso. Grazie al maest ro di italiano ch e veramente mi ha spin to a partecipare a ogni conferenza, che mi ha ascoltato e an che mi ha fatto pass are quattro ore come si passa in un altr o posto. Se si pu ò dire così… Per tutto questo , grazie alla scuo la, non vedo l’ora di com inciare di nuovo. Interculturalità SIERRA LEONE Mi ricordo dei ribelli che prendevano i bambini per farli diventare dei soldati. Erano drogati e allenati all’uso delle armi. Mi ricordo anche delle palme che davano un olio di palma buonissimo. Mi ricordo anche come si faceva a filtrare il frutto per ottenere un olio rosso. Lamarana GIAMAICA La Giamaica è un’isola circondata dal mare, nei Caraibi. La Giamaica vive economicamente del turismo perché è una bellissima isola. La Giamaica è un paese tropicale. Errol KOSOVO GUINEA Il Kosovo è diventato uno Stato indipendente il 17.02.2008. L’indipendenza ci ha dato la libertà. Arsin In Guinea ci sono tante tribù, per esempio i Foula, i Mandingo, i Soussou, i Kissi, … Ci sono due religioni principali: l’Islam (90%) e i Cristiani (10%). Io sono Foula e sono Musulmano. Le nostre attività sono il commercio, l’agricoltura e curare gli animali domestici, cioè facciamo anche un po’ d’allevamento. Badra e Mohamed ALGERIA GUINEA La Guinea fu una colonia dei francesi. Il paese divenne indipendente il 2 ottobre 1958. Il primo presidente fu Sekon Toure, era un dittatore. Uccise più di centomila persone e ci furono due milioni di profughi. Fu presidente fino al 4 aprile 1984. Fino ad allora non ci sono stati tanti cambiamenti! La Guinea è ancora uno stato tra i più poveri dell’Africa dell’ovest. Badra e Mohamed ALGERIA In tutti i paesi c’è un mercato. Il mercato è un luogo dove si ritrova tutta la gente per conversare, acquistare e vendere della merce. Adnan L’Algeria è un bel paese. La gran parte del territorio è desertico. Le forme e i colori sono straordinari. Adnan Inglese A message from Mark Honestly, my new found friends, I have to admit that I had some reservations, doubts, and yes, even fears before starting out on my new teaching adventure here at the Stampa prison. The fear, doubt, and reservations quickly disappeared after my first few lessons when I saw the willingness, openness and desire, not only to learn English, but to try either something new or to improve on something that you had already learned. Thank you for letting me into your lives and allowing me to be one of you. Have a relaxing summer and see you in September. Your friend, Mark Fillmore I am from Albania and this is my second year of English. I speak better this year than last year. My hobbies are football and basketball. In my free-time I work-out with weights. Finally, after a long time, I'm going home to Albania in August. I can't wait to see my family and friends. I hope I can find a job where I can use my English. Have a great life! Edmond I believe life has no border. The only border that may exist is in the mind of someone that believes so...That is why I was happy to find out that there is a school in this jail and there are interesting people to show another side of life without liberty.....I believe it was a good choice to start studying English because it will open different opportunities in life. I was also surprised by the level of my classmates and the dedication of my teacher. Thanks to these things, my time has passed very quickly and I will definitely continue with this class. Juan It's me again, Lorenz. I came back to learn more English for my second year. I love learning English. I speak better this year than last year. My Italian is better than my English because I can speak Italian everyday. I speak English only on Friday with Mark. I am also doing art and informatics. My favorite subject is art because it has been my passion since I was a young boy. When I am not in school I work as a painter. See you next year. Lorenz You and Your Dreams My name is Carlitos and I'm from Medellin, Colombia....and I'm very proud of it. Ok, now, I like to work-out a lot because I feel free when I do it! I am also very friendly and I like to defeat obstacles that life throws at you. I know some day I will leave this place and I will remember this experience and the people that are helping me go through...friends, teachers, guards, etc...See you all later. Juan Ecco la canzone di Johnny Cash "Folsom Prison Blues" I hear the train a comin' It's rolling round the bend And I ain't seen the sunshine since I don't know when I'm stuck in Folsom prison, and time keeps draggin' on But that train keeps a rollin' on down to San Antone.... When I was just a baby my mama told me son, Always be a good boy, don't ever play with guns. But I shot a man in Reno just to watch him die When I hear that whistle blowing, I hang my head a cry.... I bet there's rich folks eating in a fancy dining car They're probably drinkin' coffee and smoking big cigars. Well I know I had it coming, I know I can't be free But those people keep a movin' And that's what tortures me.... Well if they freed me from this prison, If that railroad train was mine I bet I'd move it on a little farther down the line Far from Folsom prison, that's where I want to stay And I'd let that lonesome whistle blow my blues away..... INSERIRSI NEL FUTURO CON NUOVE PROSPETTIVE APPRENDISTA CUOCO IL DOCENTE Un’esperienza di vita Chi dice che la vita sia noiosa si sbaglia, almeno la mia posso dire che é alquanto movimentata. Questa esperienza come docente e come insegnante di cucina al penitenziario è da aggiungere a quelle senza dubbio positive, non solo per l’aspetto lavorativo, ma meglio ancora sotto quello umano. I ragazzi sono solo due; un italiano e un romeno, due vite diverse con evidenti esperienze diverse. Non sono molte le ore che ci troviamo; abbiamo iniziato con le conoscenze aziendali e il calcolo professionale, per poi passare alle derrate alimentari. Qui spesso si è navigato da un paese all’altro, alla scoperta di come in Sicilia viene preparato un olio d’oliva extra vergine, come si prepara i fagioli, o una grigliata mista: specialità romena. Le evidenti differenze di cultura e di lingua hanno agevolato degli allievi, ma il vissuto e le loro esperienze vanno ad arricchire il mio personale bagaglio. Il primo momento di tensione si è creato con la prima famosa verifica; le parole tecniche e l’impostazione non hanno agevolato di sicuro il lavoro; ma poi, con il passare del tempo, sono divenute un’abitudine. Il grande classico Tiramisù alle fragole Per 4 persone Preparazione 35 min., in refrigerazione 6 ore, una pirofila da 20 per 30 cm In una bacinella sbattere i gialli d’uovo con lo zucchero fino ad ottenere una mousse chiara. Aggiungere il mascarpone e i bianchi d’uovo montati a neve. In una bacinella tagliate 300 g di fragole a pezzetti, mescolare con lo zucchero e lo zucchero vanigliato, aggiungere il liquore e ridurre in purea. Il resto delle fragole tagliate a pezzetti e incorporateli nella stessa purea. Crema al mascarpone : 2 50 g 250 g 2 Preparazione : gialli d’uovo di zucchero di mascarpone bianchi d’uova montati a neve Disporre la metà dei biscotti ( ev. bagnati in precedenza ) nella pirofila, aggiungere un po’ della purea e poi ricoprire con della crema di mascarpone. Procedere di medesimo con il resto degli ingredienti. Coprire e refrigerare. Prima di servire spolverare di cacao e decorare con le fragole tagliate a metà. Purea di fragole : 500g 30 g 15 g 1 cl di fragole; lavate e pulite di zucchero di zucchero vanigliato di kirsch o di grappa ev. del succo di metà limone 100 g di biscotti savoiardi ( se si desidera macerati nel caffè e latte ) Consigli : 30 g di polvere di cacao qualche fragole per decorazione Si possono rimpiazzare le fragole per esempio con delle albicocche fresche in precedenza cotte nello sciroppo, oppure con altri frutti di bosco ( lamponi, mirtilli..) Alcuni angoli della cucina Il dialogo per me è stato molto semplice, anche perché mi è stato agevolato dalla semplicità e dal carattere dei due ragazzi, spero solo che in futuro possano avere successo per quello in cui credono. L.B. APPRENDISTA TECNOLOGO DI STAMPA IL CAPO ARTE... ....E IL DOCENTE Mi è stato chiesto di formare degli apprendisti, e la passione che nutro per la mia professione e la mia preparazione professionale, mi hanno spronato con entusiasmo. Quello che più importa è il fatto di non essere quì solo per aiutare a far passare il tempo a delle persone rinchiuse loro malgrado, ma aiutarle a rientrare con delle nuove prospettive nel mondo del lavoro che li aspetta, a volte con sospetto, al momento della loro uscita. In passato ho avuto diverse occasioni come maePrestampa stro di professione, ma sempre con apprendisti in giovane età ed era tutto molto diverso; insegnando a persone adulte mi stupisco della loro voglia di apprendere, l’interesse per il nuovo lavoro e l’ attenzione dimostrata, e ciò é una motivazione importante per continuare su questa strada. Da parte mia, più passa il tempo più mi convinco che dalla “stamperia” potranno uscire dei professionisti seri, impegnati e capaci. Il lato oscuro di questa iniziativa si è presentato al momento in cui mi è stato riferito che avrei dovuto occuparmi anche dell’insegnamento della teoria, cosa che, sinceramente, non ho mai fatto. L’ultima volta che mi sono seduto ai banchi di scuola, a parte alcuni corsi di perfezionamento, ri- Stampa sale all’ anno( mitico)1968!. Anche in questo caso però, con un po’ di buona volontà e con l’aiuto importante e competente di un docente di conoscenze professionali della Scuola Arti e Mestieri di Bellinzona (sempre disponibile a rispondere alle mie richieste di aiuto), devo ammettere di riuscire a concludere in maniera soddisfacente il compito. Tutto questo è stato possibile grazie ancora all’impegno dell’apprendista, che non si astiene dallo studio dimostrando, nelle prove scritte e orali , di essersi concentrato sui quaderni. Stampa In conclusione mi sembra, questa della scuola professionale, un’iniziativa interessante sia per le istituzioni sia per i detenuti. Ci sarà ancora da lavorare, ad esempio cercando di proporzionare meglio i vari corsi di altre materie che tolgono molte ore alla preparazione pratica e, nelle altre professioni, aumentare le ore della scuola professionale. Detto questo non posso che augurare a questi apprendisti un futuro professionale migliorato da questo ampliamento. M.P. IL DOCENTE DI CULTURA GENERALE Forse ad inizio giugno è troppo presto per scrivere una riflessione che riesca a mettere a fuoco il più nitidamente possibile quale è stata l’esperienza di un anno scolastico come insegnante di “Cultura generale” alla scuola “In-Oltre”; dovrei pensarci come se fossi già tra un mese e in un paese straniero, quando e dove il ricordo risulta essere più sincero e lo sguardo meno confuso. So che penserò alla mia settimana lavorativa come tagliata in due dal mercoledì, giorno in cui il rituale de “La Stampa” si ripeteva e dove lentamente mi immergevo in un mondo diverso da tutti gli altri che frequento. Lentamente, attraverso piccoli aneddoti distribuiti lungo l’incontro settimanale, si è venuto formando un quadro, ancora sfumato, di qualcosa a me prima sconosciuto. La vita in carcere, racconti personali, desideri e preoccupazioni, silenzi e cambiamenti di umore, ti mettono in piedi su di un muretto oltre al quale il panorama ti interroga su diversi aspetti dell’essere umano. Questo è sicuramente la traccia più visibile che l’esperienza mi ha lasciato. Ma il mio lavoro è il docente, in questo caso docente di “cultura generale”, ma spesso il contesto prende il sopravvento nel ricordo rispetto alla materia insegnata. Anche l’insegnamento è fatto di momenti, molti fra questi fanno parte della “routine” e poi si dimenticano, altri invece sono quelli che si ricordano perché vale la pena di farlo (Fabio Pusterla, nella sua rubrica settimanale su “Azione” li ha definiti, con De Andrè, “gocce di splendore”). Tanti sono stati i temi trattati e le discussioni fatte in classe: la cronaca, gli spunti offerti dai testi (articoli di giornale e testi narrativi), sono stati il motore del nostro lavoro. La classe molto eterogenea per provenienza, età, esperienze di vita, ha permesso fitti scambi di opinioni spesso accesi, ma mai irrispettosi. Il variegato microcosmo ha risposto e proposto con interesse a differenti tematiche che trattavano di interreligiosità, di emancipazione, di politica, di arte e di tanto altro ancora. La lettura di alcuni passi importanti de “La divina commedia” ha permesso di interrogarsi sulla struttura dell’oltremondo dantesco e di percepire oltre al significato del testo la bellezza dei versi e della poesia. L’attenzione era palpabile in aula durante la lettura di alcune terzine, si tratta per me di una di quelle “gocce” di cui parlavo prima. A questo punto mi sembra inutile dire che dopo un anno di lavoro sono ancora più convinto dell’importanza pratica e ideale della scuola nel carcere. L.S. APPRENDISTA LEGATORE ... E IL DOCENTE PRODUZIONE E LAVORO: lavorazioni in conto terzi di assemblaggio, legatoria. Le persone inserite rientrano in gran parte nelle categorie previste, ma spesso i progetti di inserimento lavorativo coinvolgono cittadini in situazioni di disagio sociale che, pur non formalmente certificate, costituiscono uno svantaggio reale ed impediscono l’ingresso nel mercato del lavoro. IL CAPO ARTE... Con l’inizio dell’anno scolastico 2008/2009 la scuola “IN-OLTRE” ha potuto dotarsi di una nuova attività. Trattasi della formazione di apprendisti come legatore. Purtroppo con lo scorrere dei mesi ci si è accorti che in base all’”Ordinanza Federale” le due macchine di base, taglierina e piegatrice, non erano conformi all’istruzione. Di conseguenza, per ultimare la formazione quale legatore, l’ultimo anno deve svolgersi presso una tipografia-legatoria all’esterno del penitenziario. La scuola dà la possibilità a un detenuto con una lunga pena di potersi migliorare nella sua formazione e di imparare nuove professioni. Il mio nome è Michele, ho 25 anni e sono in carcere da 3 anni con una condanna di 8. Ho pensato che in questo momento che mi trovo in carcere sarebbe una buona opportunità cominciare i due anni di scuola (apprendistato cuoco). A dire la verità non è un’idea sbagliata, dovrebbero farlo più persone perché si possono imparare tante cose di cui prima non eri a conoscenza. Per esempio io mi sono impegnato a prendere il diploma che per me vuol dire tanto. Io ho pensato tante volte che questa idea della scuola non è stata sbagliata anzi è stata un’ottima idea. Vi faccio un esempio: pensiamo agli altri paesi europei dove un detenuto non ha queste opportunità di imparare qualcosa, invece qui sì. Io ho pensato che vale la pena di impegnarsi a guadagnare qualcosa in questo tempo perso dentro. Spero che riuscirò a finire la scuola e prendere il diploma, poi vorrei andare nel mio paese ed aprire un ristorante o una pizzeria. L’obiettivo di recuperare e reinserire persone svantaggiate in una situazione lavorativa di tipo carcerario rappresenta oggi una proposta di politica attiva del lavoro di grande interesse, sopra tutto perché è stato dimostrato di poter raggiungere risultati spesso insperati e, non infrequentemente, di consentire anche il reinserimento della persona svantaggiata nel normale circuito produttivo dopo un periodo di training lavorativo in carcere. Questa formula si fonda sull’idea che la persona svantaggiata, se opportunamente affiancata da lavoratori ordinari preparati a questo compito, possa essere avviata al lavoro e operare in situazione produttiva non simulata, bensì organizzata con criteri d’impresa. Il lavoro in carcere diviene così un momento importante di educazione, socializzazione e acquisizione di status e, nello stesso tempo, il luogo di apprendimento di abilità tecniche lavorative specifiche. Di recente è stato costituito un gruppo di lavoro “ progetto IN-OLTRE ” per favorire un maggiore raccordo tra le istituzione e il mondo del lavoro, sia nell’area degli inserimenti lavorativi. Nello stesso tempo è di fondamentale importanza una regia condivisa anche nei rapporti con gli interlocutori pubblici per predisporre metodologie, modalità e strumenti operativi e dare piena attuazione agli impegni formalmente assunti a sostegno dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate anche attraverso l’affidamento diretto di servizi. Resta prioritario in ogni caso l’avvio di relazioni significative con il mondo delle imprese, sia in termini di committenti, sia come partner di progetti imprenditoriali che possano facilitare l’accesso al lavoro ai carcerati. M.T. ALCUNE RIFLESSIONI... Quest’anno è il mio primo anno di apprendistato. È stata una grande opportunità per me; ho avuto l’occasione di imparare qualcosa che mi servirà molto nel futuro, dunque ho colto questa opportunità. Darci un’occasione per imparare qualcosa dentro una prigione è stata una grande idea che aiuta molto la comunità dei carcerati. Per me l’iniziativa di scuola InOltre, con l’aiuto del servizio sociale e il consenso del carcere di dare al detenuto la possibilità di frequentare dei corsi di vario tipo e di poter fare un apprendistato è una buona opportunità per imparare degli argomenti e un nuovo lavoro, soprattutto di ricevere un diploma che prima purtroppo pensavo di non avere bisogno, ma anche per fare buon uso del tempo di permanenza qui dentro. ...DEGLI APPRENDISTI Il mio nome non credo sia importante. Quello che posso dirvi, è che sono stato condannato a una pena di 12 anni qualche anno fa. Mi trovo alla Stampa da 39 mesi, e vista la possibilità datami dalle istituzioni, ho intrapreso il corso di Scuola In-Oltre, iscrivendomi al corso di apprendista cuoco. Non è facile far scorrere il tempo in prigione, anche se qua alla Stampa abbiamo un lavoro dove passiamo, bene o male, le nostre 6 ore in un laboratorio dello stabile. La convivenza tra noi detenuti non è facile, anche perché siamo di diverse culture e di diverse religioni, ma basta farsi i fatti propri per non avere problemi con il resto della popolazione carceraria. Nell’insieme di tutto devo dire però che i secondini che gli assistenti sociali, sono persone molto umane e qualcuno ha sempre un sorriso da regalarci, soprattutto le secondine che noi rispettiamo come fossero un membro della nostra famiglia. APPRENDISTA FALEGNAME Progetti... Apprendista al lavoro La falegnameria IL CAPO ARTE... ... E IL DOCENTE Ho iniziato nel mese di ottobre una nuova sfida come Capo arte con apprendisti. All’inizio non mi sentivo in grado di poter insegnare la professione, vuoi per il posto, vuoi per il pensiero di non riuscire nel mio compito. Insomma la sfida si presentava ardua. Poi con il passare delle settimane, i dubbi e le relative paure sono via via scomparse. Rimane il rammarico di poter dare solo una parte di insegnamento per la professione, anche perché le ore di scuola assorbono molto tempo al lavoro. Inoltre c’é il problema di non poter stare tutto il “tempo lavoro” con l’apprendista poiché ci sono altri operai da seguire nei dettagli di ogni lavoro, le offerte, i disegni in dettaglio dei lavori nuovi, ecc... A G8 In qualità di docente, formatore di apprendisti falegnami, mi è stata proposta una nuova esperienza professionale al penitenziario cantonale La Stampa, per quanto riguarda l’insegnamento delle Conoscenze professionali di un tirocinio biennale. Ai due apprendisti ho insegnato i primi passi verso un approccio alla professione, ma inizialmente hanno avuto qualche difficoltà. Con il passare delle settimane, grazie all’impegno e la buona volontà, sono riusciti ad apprendere. Complimento i fautori di questo progetto consigliando in un futuro di aumentare, nel limite del possibile, le ore di insegnamento teorico e pratico. G.C.