volinf2015_3_settembre
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Settembre 2015 Anno 10 Numero 3 Poste Italiane S.p.a. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 conv. in L27/02/2004 n° 46 art. 1 comma 2, CNS Bolzano. Trimestrale. Autorizzazione 17AP del 30.11.2006 VOLinforma: proprietario ed editore “Associazione Volontarius” Bolzano - Registro stampa tribunale Bolzano 20/2005 del 23/11/2005 Dir. Responsabile Franco Grigoletto - Redazione c/o “Associazione Volontarius” via G. Di Vittorio 33 - Bolzano - Tel 0471 402338 Fax 0471 404921 web www.volontarius.it - email [email protected] - c.c.p. 12109393 - Stampato in proprio CHIEDIMI PERCHÉ HO FREDDO Chiedimi se la strada è una scelta di Roberto Defant È il titolo di un progetto. È il titolo di un convegno. Volontarius, come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale contro la povertà, il 10 ottobre chiamerà la cittadinanza ad una raccolta di coperte, piumini e sacchi a pelo per le persone senza dimora che durante l’inverno dormiranno all’aperto. Una cittadinanza che si attiva rappresenta sempre una bella notizia, ma non ci basta. Vogliamo vivere una società che, prima di attivarsi, sia consapevole del perché farlo; che si muova non secondo criteri di superiorità o bontà, ma secondo un senso del Giusto che non dipende da nessuna soggettività: riconosciuto oggettivamente. Il progetto comprende il coinvolgimento di cinque scuole superiori della provincia. Studenti ed insegnanti entreranno “in casa” delle persone senza dimora. Scopriranno la realtà che vive chi per anni, o da poco tempo, non ha più riferimenti. Chi sei? Cosa provi? Perché sei in strada? Cosa vedi intorno a te? Sono le risposte che daranno alcune persone senza dimora che incontreranno gli studenti, sono gli argomenti che accompagneranno i ragazzi in una relazione che via via si costruirà con chi è solitamente invisibile. Invisibile perché si nasconde – perché non si dimostra più attraverso i segnali consueti di quello che era il barbone di un tempo – perché non vogliamo vederlo, per paura o fastidio. Vivranno insieme la piazza, la colazione del mattino e l’incontro con chi porterà le coperte; lavoreranno fianco a fianco, si guarderanno e continueranno a parlarsi. E quegli studenti troveranno la risposta alla considerazione che, per motivi 2 diversi, molti di loro fanno: “Cosa posso fare io, sono troppo giovane”. Al convegno del 2 dicembre ci saranno gli esperti che si confronteranno sulle tematiche della povertà; ci saranno i politici che proveranno a dare una lettura istituzionale del fenomeno. Ma soprattutto ci saranno gli studenti, i nuovi relatori, che porteranno l’innovazione, abbandonando la logica del fenomeno per presentare la condizione. Non parleranno di casi, racconteranno le persone: se stessi, nel vissuto del progetto e coloro con cui si sono messi in relazione. Ma ancora non ci basta: prenderà la parola anche un signore di 60 anni, che per più di 15 ha vissuto la strada, attualmente ospite di una struttura di accoglienza. Nessuno sceglie la strada. Non esiste la romantica scelta filosofica della libertà. Esiste un momento, nella vita di molte persone, che presenta un dolore, una sofferenza così grande da non riuscire ad attraversarla. Non si resiste. È troppo. Tutto finisce in un attimo; si è in strada senza più nemmeno la capacità di raccontare, a se stessi e men che meno agli altri, il grado di tanta disperazione. Si perdono i riferimenti, si perdono gli sguardi. C’è solo il buio di una vita parallela riempita di alcool, violenza, solitudine. CHIEDIMI SE LA STRADA È UNA SCELTA Dentro i saperi e le pratiche del lavoro di strada Le persone senza dimora dichiarano, nella maggior parte dei casi, di aver scelto la strada liberamente, una sorta di alternativa alla vita che presentava un conto troppo salato. Vogliamo fermarci e capire; proprio in questa dichiarazione riusciamo a leggere la contraddizione che la sottende? Quali sono poi le esperienze di strada che queste persone sono chiamate a vivere. E quali sono le comprensioni e le reazioni di chi le incontra? Un convegno; certo ma lo abbiamo pensato non come il solito convegno. Formalmente lo può sembrare: una locandina d’invito, microfoni da un lato e posti a sedere dall’altro, un programma ricco di interventi e un finale stracolmo di ringraziamenti. Nella sostanza però c’è molto più. Innanzitutto “Chiedimi se la strada è una scelta” è un percorso, che coinvolgerà da settembre a dicembre di quest’anno cinque classi delle scuole superiori della provincia di Bolzano. Gli studenti s’interrogheranno sui temi della povertà estrema, grazie all’incontro diretto con giovani operatori di strada e volontari (che da tempo dedicano il proprio impegno all’assistenza delle persone di strada) e grazie all’incontro diretto con le persone senza dimora, che in aula racconteranno il loro vissuto, caratterizzato da cadute e rialzate, dal desiderio di lasciarsi andare e dalla speranza in un futuro migliore. Il filo conduttore sarà la RELAZIONE, intesa come spazio non fisico su cui ricostruire il senso di appartenenza ad un’umanità ferita, ma pur sempre stupenda, che ci chiede di ripartire proprio dalla relazione con chi ci è prossimo per ritrovare quella spinta e quel coraggio in più per camminare insieme verso la giustizia, nella certezza che “Nessuno è mai troppo piccolo per fare cose grandi.” La relazione diventa così una sorta di unità di misura che ci permette di materializzare un pensiero, quello che l’Associazione Volontarius chiama il suo pensiero forte e conseguentemente di misurarlo : OGNI PERSONA È IMPORTANTE; quanto peso ha questo nella mia vita? Gli studenti inoltre scenderanno in piazza Mazzini il 10 ottobre 2015, affiancati dagli operatori di strada del progetto Oltre La Strada all’interno dell’iniziativa “Chiedimi perché ho freddo”, per raccogliere coperte per chi dorme sulla strada, ma in fondo per gridare alla città di abbattere i muri dell’indifferenza, per risvegliare lo sguardo di chi non vuol guardare e non riconosce più il volto di un uomo nelle centinaia di persone che anche in provincia di Bolzano non hanno un posto dove andare a dormire. Combattiamo la povertà, NESSUNO SENZA CASA! Saranno sempre loro, gli studenti e le persone senza dimora, i relatori del convegno serale, nella convinzione che proprio chi è meno ascoltato spesso ha le cose più importanti da dire. Durante l’evoluzione dell’intero progetto, nelle aule scolastiche, in piazza, nei laboratori saremo seguiti da esperti che, attraverso il linguaggio video e del teatro, strumenti attraverso i quali intendiamo testimoniare ed elaborare il percorso di Volontarius e di tutte le persone coinvolte, presenteranno un reportage 3 video emozionale di circa 8 minuti, coordinato dalla cooperativa sociale pianoB e la realizzazione di un percorso teatrale didattico, con spettacolo finale Teatro Forum, attraverso la tecnica del teatro dell’Oppresso, condotto dal Gruppo AltoFragile teatro. Mercoledì 2 dicembre 2015 – Teatro di Gries dalle 15 per operatori e tecnici; dalle 18:30 per la cittadinanza LA STRAGE DELLA SOLIDARIETÀ Persone in fuga: solidarietà o giustizia? I numeri che stanno dietro il movimento delle masse sono indicativi e impressionanti: secondo l’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, sono stati 188mila i migranti salvati lungo la rotta tra la Libia e le coste italiane, ma presto si supererà quota 200mila. Dall’inizio dell’anno sono oltre 3200 i migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. “E’ inaccettabile che nel ventunesimo secolo persone in fuga da conflitti, persecuzioni, miseria e degrado del suolo debbano sopportare esperienze terribili nei loro Paesi d’origine e poi morire alle porte dell’Europa”, ha affermato il Direttore Generale dell’Oim, William Lacy Swing. È giunto il momento di chiedersi se possiamo ancora discutere rispetto ai temi della solidarietà, per altro ancora lontani dall’essere concretizzati, o se dobbiamo superare questo concetto per affrontare direttamente quello del Giusto. Certo che per affermare che la solidarietà è superata ci vuole coraggio; non è nemmeno realizzata! È vero, ma come spesso accade, i tempi anticipano predizioni che gli uomini faticano a riconoscere. La solidarietà così come è praticata e, più spesso, predicata, presuppone una condizione di forza e superiorità. Chi è ricco, forte e sicuro tende allo sfortunato di turno il proprio superfluo, quello che c’è in più e non serve. È la favola del ricco – bello – biondo occhi azzurri – soprattutto buono, che concede...ma spesso e volentieri per tacitare una coscienza o rispondere al proprio ego. Atteggiamento che poteva andare bene fino a quando ancora esisteva la supremazia del sistema occidentale, notoriamente basato sullo sfruttamento coloniale ed economico dell’altra parte di mondo; il tutto con la doverosa e succube accettazione di quei popoli. La notizia è che il mondo sta cambiando: lo sfruttamento coloniale esiste ed è ancora forte, ma i popoli cominciano a non essere più succubi, non muoiono più in silenzio. Non hanno grandi mezzi per compiere le rivoluzioni, ma si muovono. Hanno visto e capito. L’Europa, il resto del mondo, possono rappresentare l’occasione per qualche cosa di nuovo, di diverso. E vengono a prendersela. Siamo chiamati a capire, saper leggere i tempi che mutano, costruire una nuova società. La solidarietà non basta più! Cosa significa operare nel senso del Giusto? Ogni persona non ha diritto ad UN posto nel mondo deve trovare IL suo posto in ogni parte di mondo si trovi È una grande sfida dalla quale dipenderà il futuro di ognuno di noi, indipendentemente da dove si è nati e da dove ci si trova. Solo con una consapevolezza rispetto alla globalità delle condizioni di vita e sviluppo, ma forse basterebbe anche solo per la vita, si potranno poi affrontare le problematiche di ogni singolo Paese ed aiutarne i cittadini a costruire una società giusta, degna, libera ed indipendente. 4 5 SE IO NON CONOSCO B R NON POSSO SAPERE E HO PAURA E Mi chiamo Astrid e ho 32 anni, 2 figli e abito a Vipiteno. Qui al N Brennero sono arrivata tramite mia cugina che è già volontaria. N Ho iniziato subito, senza pensarci due volte, per i profughi, il E volontariato, l’esperienza. R Cos’è il volontariato per te? Aiutare e basta, il contatto con la gente. Sono arrivata al Brennero O tre quattro mesi fa, ho cominciato sistemando i vestiti. Qui vivo esperienze belle, tante situazioni critiche specialmente quando hanno chiuso le frontiere, ma alla fin fine solo cose positive. In tre mesi un’esperienza particolarmente bella e una brutta? Belle tante, quando una famiglia si è riunita. Si erano persi durante il viaggio e si sono ritrovati qua. Brutta, ci sono tante situazioni che ti fanno pensare, per esempio quando vedo i bambini che arrivano e penso ai miei figli. Sono tante cose che non sono belle da vedere, però poi ti fai coraggio e sorridi a tutti. Ci sono momenti in cui provi rabbia? No, rabbia no. Quando guardo questi giovani, questi bambini, provo qualcosa che si può chiamare anche rabbia, penso all’ignoranza delle persone. Reazioni della cittadinanza? Tante cose positive però anche alcune situazioni no comment. Io penso che tanta gente non sappia cosa succede di fuori e quando esce in giardino quindi ha paura. Arrivano in migliaia e se io non conosco non posso sapere e ho paura. Sono tante le domande, ma se ci s’informa la paura va via e permette di creare relazioni. Quante cose possiamo imparare. Abbiamo un magazzino pieno di vestiti. Sì, io ho lavorato anche in due-tre negozi, e qui ho trovato davvero tanta roba. Tutta portata da gente del posto. Quindi ci può essere la paura della presenza di persone diverse nella città, ma quegli stessi cittadini spesso danno. C’è tanta solidarietà: un gruppo di giovani di Vipiteno ha organizzato una colletta alimentare davanti ai supermercati. Perché questa contraddizione? La paura. Cosa possiamo imparare e migliorare invece noi di Volontarius? Invitare gente, magari fare un’attività con i cittadini che abbiano la possibilità di vedere cosa succede. Anche i giornali evidenziano cose negative e quindi la popolazione dice “visto, quello che ho pensato è giusto, la mia paura è fondata”. La gente ha paura, non conosce. Un pensiero, una richiesta per chi ci legge? Prima di criticare, guarda la situazione. Non commentare subito, vieni a vedere. 6 B R LORO VIVONO SONO GIÀ MORTI E MA FIRAS, referente del progetto di accoglienza al Brennero N N Io sono Fadel Firas, sono iracheno e ho lavorato già nella Casa di Solidarietà a Bressanone, poi da lì sono arrivato al Brennero, anche perE dichéVolontarius parlo 7 lingue e possono essere utili: inglese, palestinese, arabo, ecc. R Mi piace aiutare la gente, anche perché quello che hanno vissuto loro l’ho O vissuto anche io. Ho visto tutto, senza mangiare, senza letto… ho chiamato Volontarius e mi è stato mostrato come aiutare la gente per mangiare, bere, vestire. Ho cominciato ed è andato bene. Adesso tantissime persone arrivano, se io parlo con loro, si fidano di più. Spiego dove ci troviamo, diamo da mangiare, chiediamo se vogliono fare una doccia. Anche tu hai fatto il viaggio dall’Iraq? Sì, dall’Iraq fino a Siria, Turchia, Grecia. Poi sono arrivato in Italia. Dalla Turchia alla Grecia con una piccola barca, 24 persone. Tanti sono morti, quei morti di cui i giornali non parlano perché sono pochi; eravamo tre barche ma è arrivata solo la mia. Poi dalla Grecia all’Italia sono arrivato in aereo. Sono andato in Olanda, Italia, Finlandia, Italia. Sempre tornavo indietro. Avendo vissuto questa storia, qual è lo spirito che hai nell’incontro con queste persone? Le persone cercano un posto migliore nel nord Europa. Io all’inizio non volevo Italia, volevo Olanda perché ho parenti là. Anche loro hanno parenti al nord, o qualcuno che conoscono. Tu sai cosa vuol dire essere stato male, aver avuto fame. Quando vedo persone in queste condizioni accorro subito per aiutarli, perché so cosa significa avere fame, freddo, essere stanchi. A Roma avevo incontrato un uomo che mi aveva chiesto come stavo. Io avevo detto di essere stanco, erano due settimane che non mi facevo la doccia: allora mi ha portato da lui, mi ha cambiato vestiti, tutto. Ci sono ancora persone che pensano agli altri, questo è bellissimo. Quando parli con loro, cosa dicono? Sono qua da ormai 7, 8 mesi. Io sento cosa vogliono fare, dico dove siamo e li oriento un po’. Loro quando arrivano sanno dove vogliono andare, non hanno altri scopi, non vogliono fermarsi a nessun costo. Alcuni non vogliono neanche mangiare, vogliono andare avanti, hanno troppo stress nella testa. Poi ci parliamo, ci conosciamo e capiscono chi siamo, che siamo lì per aiutare. L’Africa si sta svuotando. Cosa ne pensi del nuovo mondo che si sta formando? Io sono iracheno, di Mosul, una città non così grande, però la gente che vive là è già morta. Non pensano che loro vivono. C’è solo l’Isis là dentro, comanda l’Isis. Loro vivono là ma sono già morti. Se arrivi qui, c’è la pace, qualcuno ti ascolta, puoi scegliere quello che vuoi. Nel mio paese, se io dico voglio questo e non quello, finisci in carcere. Questa è la differenza. Ma siamo persone anche là, però non c’è rispetto e muoiono ogni giorno 300, 400 persone. La tua idea di questo nuovo mondo, di quello che succede in Europa, invece, qual è? Ogni persona se sta bene nella sua città, rimane dov’è. Quando la situazione nei paesi di origine migliorerà, queste persone torneranno nei loro paesi. Quelli che scappano, non quelli che cercano lavoro, quelli che scappano dalla guerra, se ci sarà la possibilità, torneranno. Se posso tornare, io vado a vedere la mia famiglia, la mia mamma, mio fratello. È importante che tutti scelgano la loro vita, così mio figlio può scegliere la sua religione, saprà che sua mamma è cristiana e suo padre musulmano. L’importante è non fare male alla gente, non rubare, non fare brutte cose. Siamo persone, dobbiamo avere rispetto così come dobbiamo rispettare la legge. 7 Christina Tinkhauser, direttrice dei servizi sociali della Comunità comprensoriale Wipptal. SOLIDARIETÀ CONCRETA MA SILENZIOSA Paura rispetto a quanto sta succedendo nel mondo Qual è il tessuto su cui questa nuova realtà rappresentata dalle persone in fuga va ad innestarsi, come si pone la comunità? Wipptal è una zona di confine e questo è molto sentito dalla popolazione. Ancora di più da quando diverse importanti strutture di servizio alla cittadinanza stanno chiudendo. Questo crea ansia nella popolazione, la valle si sta impoverendo dal punto di vista economico, sociale e strutturale perché il flusso delle forze professionali va verso altre zone. Questo non fa bene alla comunità. È però una condizione comune a tante zone di confine. La nostra è stata per molti anni una società contadina e solo da relativamente poco è entrato il turismo, l’edilizia e l’occupazione nell’impiego pubblico. Ciò ha contribuito a far sì che il tessuto sociale non sia tanto inclusivo. Anche le valli laterali ed i paesi che ne fanno parte vivono realtà e sviluppi differenti, Brennero e Fortezza hanno la più alta percentuale di abitanti non nati in valle, che vengono da fuori. La comunità di Brennero ha accolto con timore la struttura? Il sindaco è una persona molto umana, accogliente; fa una politica trasparente e ha saputo comunicare molto bene la necessità di realizzare quello che serviva, coniugando i bisogni della società con i bisogni della popolazione. I magazzini sono pieni, molte persone hanno donato con generosità. C’è una solidarietà concreta ma silenziosa che si confronta con una paura rispetto a quanto sta 8 zione anche dei nostri collaboratori, dobbiamo parlare moltissimo con tutti. Anche i collaboratori sono portatori di cultura sociale e comunicare tantissimo all’interno degli uffici è fondamentale. Dentro il nostro servizio dobbiamo realizzare una cultura sociale aperta, flessibile, di solidarietà, di rispetto e diritto; poi, grande attenzione alla popolazione perché ognuno ha diritto a crescere con i propri tempi, anche dentro le novità che il mondo e la società comporta. a rinunciare alle comode abitudini ed ai nostri stili di vita; non sarà facile. Dal mio punto di vista, per un futuro degno di essere vissuto, soprattutto per noi stessi che lo viviamo, questa è l’unica via per creare una società inclusiva, dove tutti gli abitanti troveranno vera accoglienza. Qual è la sua visione rispetto alla struttura? Finora il nostro compito è stato quello che le persone vengano assistite durante la giornata, ed è quello che abbiamo fatto. Siamo chiamati a vivere questa realtà per come si sviluppa. Penso che tutti possiamo progredire; sono personalmente grata a questa esperienza, mi ha fatto crescere, ci sono dentro e vedo che, come me, anche la comunità sta facendo i suoi passi. Bisogna lasciarsi provocare per crescere e gli stimoli sono importantissimi. succedendo nel mondo. Anche a me spaventano queste situazioni così come mi spaventa l’incremento del traffico, l’inquinamento e così via; sono situazioni e realtà però che vanno vissute. Più c’è ansia più si esprime un’avversione e, sembra paradossale, ma più si sviluppa una solidarietà. È necessario esprimere a voce alta l’ansia perché dobbiamo vedere che il mondo cambia e renderci conto che c’è bisogno anche delle nostre forze, del nostro impegno e c’è anche bisogno della solidarietà. Questa è una provocazione forte, un invito pressante ad ognuno di noi. La prospettiva di un dirigente pubblico deve essere quella di amministrare questa situazione dei profughi oppure è anche importante capire, ed aiutare le comunità a capire, che il mondo sta cambiando? Tutte e due le cose. Secondo me noi che lavoriamo per le comunità, siamo esposti pubblicamente, abbiamo una funzione di leadership, dobbiamo essere un modello, incoraggiare e stare attenti a tutte quelle persone che vivono qui. Dobbiamo trovare un equilibrio. Lavoriamo in un ambito prepolitico, siamo mediatori e facilitatori fra la popolazione ed i politici. Dobbiamo trasmettere informazioni e favorire la forma- Quale pensiero vuole lasciare ai lettori? È necessario sapere, essere informati. Bisogna essere consapevoli che questo movimento, dal sud al nord del mondo, non è momentaneo, sarà un fenomeno a lungo termine perché riguarda le masse. Per una parte è frutto delle politiche occidentali e questo ci rende responsabili. Ognuno di noi ha una responsabilità ed il nostro stile di vita ne è la prova. Come cittadina devo scegliere come comportarmi ora e sono chiamata a confrontarmi, con tutta la mia comunità, per gestire il cambiamento. Penso che la politica ha avuto abbastanza tempo per capire tutto questo e che non si possa reagire solo in modo conservativo. La realtà ci chiede di agire in modo molto più attivo. La politica deve gestire i cambiamenti avendoli riconosciuti chiaramente, accettando che il mondo sta cambiando. Dico alle persone che vengono da altri Paesi “Benvenuti” e lo dico nella consapevolezza che hanno tutto il diritto di esserci. Spero che possano ritrovare, nella loro Patria ed in un futuro non molto lontano, la possibilità di vivere liberamente.Abbiamo la possibilità e la responsabilità di iniziare insieme un cambiamento profondo della società. Dobbiamo imparare anche 9 CENTRO DI ACCOGLIENZA “EX CASA DEL LAVORATORE” Merano accogliente Centro di accoglienza “ex Casa del lavoratore”. La nuova struttura dove è alloggiato il gruppo di richiedenti protezione internazionale a Merano. Ma sarebbe più giusto dire dove sono accolti. Sì perché la cittadinanza meranese ha, fin da subito, dimostrato una bella apertura rispetto a questa novità; la prima reazione alla notizia dell’arrivo dei profughi ha spinto molte persone a presentarsi in struttura ed offrire il loro contributo. Chi s’impegna nei corsi di lingua, italiano e tedesco, chi si offre per animare ed organizzare laboratori di falegnameria, chi invita gli ospiti ad una partita di calcio, idea che diventa poi sistematica con alle- namenti settimanali, tornei con squadre miste, un gran bel gruppo anche di 80 persone tra ospiti e calciatori meranesi, chi s’impegna nella realizzazione dell’orto. E poi la festa di Emergency. L’invito a prendervi parte, ma anche a collaborare alla realizzazione. Una bella squadra di ospiti, una decina, che si mettono a disposizione e tre che si offrono per il servizio in cucina. Grazie Merano, grazie per l’esempio di accoglienza, d’incontro con le persone, di cultura. Costruire un modello nuovo di società, imperativo per il tempo che stiamo vivendo, ci pare meno complesso, oggi, grazie anche alla vostra presenza. Anne, una bella ragazza, referente, per scelta di vita, del Centro di accoglienza per richiedenti protezione internazionale “ex Casa del lavoratore” a Merano. CREA UN NUOVO MODO DI VIVERE INSIEME IN CUI OGNUNO PORTA UN PEZZETTINO Chi è Anne? Bene, uno comincia sempre con io ho studiato… così è difficile! Io comincerei quando, a 16 anni, ho fatto la prima esperienza col mondo della migrazione. Ha rappresentato la mia prima formazione, forse non dal punto di vista professionale, ma da sempre era il mio tema nel cuore. Ho fatto un’esperienza assieme ad un gruppo di giovani a Lecce; a dirlo quasi mi vergogno ma sono entrata in questi brutti CPP e ho fatto assistenza ai bambini. Questo è l’inizio di tutto quanto. La mia è stata una scelta perché ero interessata a questa tematica. Non saprei da dove è nato questo interesse, forse delle immagini Mi ricordo che la guerra in Jugoslavia mi ha commosso molto e da lì sono arrivati dei profughi a Vipiteno, io vivevo a Bressanone. 10 Per cui l’avvicinarsi a queste persone non è una scelta dovuta al bisogno di lavorare, o ideologica, ma di vita. Sì, avevo un lavoro ed ero pure ben pagata, poi però mi sono licenziata e il giorno dopo ero qua. Cercavo da tanto, ho lavorato un anno in una struttura in Germania, dove l’accoglienza è un po’ diversa, e da lì ho sempre fatto volontariato. Cosa significa lavorare e credere davvero in quello che si fa? Per me è fantastico, gli ultimi anni ho lavorato per avere soldi, quando poi sono stata assunta per questo progetto ho realizzato un sogno. Tutti mi dicevano “Anne, questo è il tuo posto”. Più o meno sapevo a cosa andavo incontro, ma ogni volta ci sono cose nuove. Come vivi il tuo impegno e le relazioni con gli ospiti della struttura? Il mio tempo libero si è ridotto tantissimo, lavoro anche a casa, è difficile tornare a casa e dire “adesso basta”, chiudo la parte di lavoro. Il lavoro ti insegue ed è difficile dire stop, uno deve imparare anche a farlo. Cosa vuol dire vivere il tuo lavoro, come fai tu? Mi piace stare con le persone, però anche fuori, per esempio alla festa di Emergency, alla quale siamo stati invitati, ero con amici e il mio ragazzo. Lì sono stata anche con gli ospiti, ma non mi sentivo obbligata di farlo. L’ospite che è in questa struttura non è il lavoro, è una persona che fa parte del mio ambiente di lavoro. Tu hai aperto un centro, perché al di là dell’organizzazione generale, qui sei rimasta tu. Cos’è successo? È stata una bella sfida, perché abbiamo dovuto creare tutto da zero: turni, distribuzioni, corsi. Non era sicuramente facile. Adesso è più di un mese che siamo qui. Dal punto di vista organizzativo siamo a buon punto, anche in equipe. Abbiamo fatto delle regole dopo il ramadan abbiamo cominciato a spiegarle per bene. Anche spiegare la raccolta differenziata ci è costato tanto. Adesso funziona ed anche dal punto di vista delle relazioni siamo contenti. Personalmente ho un buon rapporto con tutti: possiamo parlarci per qualsiasi cosa. Si tratta di insegnare il modo di vivere da noi o si tratta di capire come vivere insieme in maniera nuova. Insegnare come si vive da noi sicuramente no. Anzi è proprio sbagliato. Anche noi operatori siamo di diversi Paesi, per cui non esiste la cosa uguale per tutti. Secondo me questo crea un nuovo modo di vivere insieme in cui ognuno porta un pezzettino. Qual è la difficoltà più grossa e la migliore soddisfazione che hai trovato? La soddisfazione più grossa è vederli fuori dalla struttura. Per esempio ieri, tutti contenti a questa festa, in mezzo alla gente, che cominciano ad avere delle conoscenze e amicizie a Merano. La più difficile era la parte organizzativa, all’inizio, quindi avviare la struttura. Mi è costato tanto anche se ci sono ancora tante cose da fare. Mi racconti com’è la giornata tipo dei nostri ospiti? Per loro comincia verso le 7 e le 8, quando ci siamo noi operatori. Dopo colazione inizia un corso di lingua tedesca e inglese. Per i corsi hanno fatto un test e sono divisi in gruppi di 10 circa. Ci sono nove insegnanti che vengono tutti i giorni e questa è la cosa principale. Poi pranzo e di nuovo corsi di lingua. La sera invece vanno a giocare a calcio con i volontari. Quindi la sera è più movimentata. La città ha risposto molto bene, a partire dalle esternazioni del sindaco. Ma anche i cittadini si sono mobilitati Fin dai primi giorni è venuta gente a guardare e conoscere, o anche solo per salutare. Altri si sono messi invece a fare qualcosa. Alcuni hanno portato vestiti, altri si sono resi disponibili per l’insegnamento, altri per laboratori e tempo libero. Poi questa festa di Emergency, qualche ospite ha aiutato nell’allestimento, altri in cucina; oggi uno fa una performance sul palco. Poi c’è anche il progetto dei mobili, questo momento settimanale in cui i ragazzi fanno dei mobili con pallet di recupero, veri e propri mobili che poi useremo nelle stanze. 11 Perché questa risposta della cittadinanza? Io sono da poco meranese, vivo qua da un anno. Credo si possa parlare di una città aperta. La gente ti parla, ti guarda. Che cosa possiamo fare come Volontarius per migliorare ancora? L’obiettivo per i ragazzi è avere i documenti e poter vivere. Noi possiamo aiutarli ad organizzarsi per trovare la loro strada. MENSCHENFEINDE NEMICO DEGLI UOMINI le facciamo miste a seconda delle magliette. La bella cosa è che dopo due tre settimane sono iniziati diversi progetti simili. Mi ha chiamato un amico di Naturno chiedendomi il contatto della Volontarius. Hanno invitato le squadre ad un torneo ed i ragazzi hanno anche vinto un trofeo; un bel successo insomma. THOMAS, giovane calciatore meranese, coordina un gruppo di amici nel progetto sportivo rivolto agli ospiti della casa. In cosa consiste il progetto? E’ un progetto che non so neanche com’è venuto fuori, ci siamo chiesti cosa potrebbe essere utile per i ragazzi, perché capiamo che è importante avere delle attività. Abbiamo fatto esperienze con i profughi nel 2011 e con qualche ragazzo del Ghana siamo anche diventati amici. Da anni ci lavoriamo, poi è venuta l’idea di giocare a calcio. Sappiamo che spesso si annoiano, non sanno cosa fare; oltre ai corsi di lingua poi, il resto è difficile. Giochiamo a calcio, siamo nella società Maia Alta, ho parlato col presidente e gli ho chiesto quando è libero il campo che è subito dopo il binario. Gli ho chiesto se fosse un problema per la società e lui mi ha detto che si poteva fare. Sono tanti i nostri ospiti che partecipano? Quaranta, abbiamo fatto due campi e abbiamo giocato 9 contro 9, riesci a mettere 35 giocatori in una volta sul campo. Vedi sorrisi, si danno tutti da fare e si divertono, come fosse una partita di serie A. I ragazzi che partecipano sono tantissimi, poi gente è venuta a vedere le partite. Le squadre 12 Tra di voi, al di là di aderire al progetto, c’è anche un confronto sulla presenza nuova di queste persone? Sì se ne parla ma non è una discussione, come si sente nei media, di società. E’ più concreta, su cosa possiamo fare, come portare avanti il progetto. Da dove vieni, cosa fai, si qualche volta si chiede, ma non è il tema fondamentale. Nei confronti della parte di società che invece è contraria? Ci sono, sicuramente, però; ho studiato scienze politiche e ho avuto sempre la sensazione che Merano è diversa dal resto dell’Alto Adige. Con tutta la storia, le religioni che ci sono, gli ebrei, la chiesa ortodossa, è sempre stata un po’ più internazionale. Anche dopo le elezioni, abbiamo il primo sindaco verde a Merano e per me è sempre stata una realtà diversa. Possiamo dire che è un po’ più aperta. Il centro culturale che si trova in città, il Club Est-Ovest, ha quasi 2000 soci e fa un ampio programma culturale: musica, danza, politica, teatro; anche lì, tutto quello che è dentro questo tema è di grande interesse e da parte della cittadinanza meranese c’è voglia di fare. Personalmente cosa diresti a quelle persone che commentano le ultime notizie con idee come “bene diamo da mangiare agli squali”? Per uno come me, sempre interessato ai temi dell’immigrazione, è quasi insopportabile, mi fa venire il mal di stomaco, mi fa impazzire. Importante è far vedere che c’è un altro mondo, ma non penso che sia una buona idea ascoltare sempre queste parole. In tedesco c’è questa parola: Menschenfeinde - nemico degli uomini. Se sei nemico degli uomini non hai capito niente di questo mondo. Dovremmo aprire tutti i confini e far entrare la gente in modo dignitoso. E’ difficile da spiegare ma l’Europa deve cambiare molto su questo tema. Tanto lavoro anche nella società per far capire a questa gente che non vuole le persone, cosa stiamo vivendo. Bisogna spiegare nelle scuole, nelle famiglie che il mondo è cambiato e cambierà ancora moltissimo. Non è un’opzione chiudere i confini e dire: facciamoci i fatti nostri. Dobbiamo mettere giù i nostri Ansprüche, le nostre aspettative e riconoscere che il mondo è grande, stiamoci perché non possiamo andare avanti come siamo andati sinora. Perché secondo te queste iniziative non arrivano mai ad avere un’eco importante, mentre per le proteste di quattro cinque persone i media si muovono subito? Il mio professore di politica internazionale di Innsbruck ci ha detto una frase che mi è rimasta: Bad news are good news. Per un giornalista è più importante mostrare una notizia negativa che una positiva. Non solo sul tema della migrazione, ma su tutti i temi. Poi su internet non si stanno moderando dei commenti fuorilegge, questo è già un grande errore. Il giornalismo, si dice, è la quarta forza in uno Stato: se non fanno un grande lavoro fanno grandi casini. PIANO PIANO, DOPO TUTTO A POSTO Mi chiamo Bubacar e vengo dal Senegal, ho 32 anni. Sto studiando italiano e tedesco ma parlo poco. Sono scappato perché a Kasamas, il mio villaggio, c’è la guerra. Nella mia famiglia mio zio è stato ucciso dai guerriglieri. Sono andato in Mali, Burkina Faso, Niger, Libia, a Tripoli e poi Italia. In Libia ti prendono e via, qui almeno nessuno ti spara. Sono venuto con la nave, il viaggio è durato tre giorni, giovedì venerdì e poi sabato 18 gennaio Italia. Sulla nave eravamo 400-450 persone, avevamo da mangiare e un po’ d’acqua. Poi sono arrivato a Bolzano e sono stato per 6 mesi al Gorio; ora sono a Merano da due mesi. Sono arrivato a Merano martedì 29 giugno. Bolzano bello, Merano bello e più calmo. Bello perché persone che lavorano qui sono brave. Ho stanza, bagno, tutto quanto. Piano piano, dopo tutto a posto. Le persone fuori in città sono brave. A Merano ti salutano tutti, a Bolzano non sempre. Tante persone non only the same, persone hanno un’educazione differente. Io solo aspetto piano piano tutti i documenti, non so chi può aiutare a lavorare, piano piano, italiano e finito. Io faccio tutto: io pulisco, faccio tutto quanto quello che mi chiedono. Il mio lavoro in Senegal non è possibile, perché ho lavorato in contabilità, ma qui non posso: cerco per pulire, aiutare, tutto. Io ho studiato un poco in Senegal: francese e inglese e lavoravo in un ufficio di foto, di un grande fotografo di Burkina Faso. In Senegal ci sono tante strutture. Mi piaceva, ma io ho paura di tornare. Qui in Italia non so, non ci penso adesso. Piano piano… Non è facile, ma poco poco… Tout à petit va et Inschallah. 13 SERVIZIO VOLONTARIO ESTIVO PER GIOVANI La Provincia Autonoma di Bolzano offre agli studenti la possibilità di maturare prime esperienze nei vari ambiti del sociale. Tanja è una ragazza che anche questa estate, per il secondo anno consecutivo, sceglie Volontarius per un’esperienza forte di confronto e condivisione. to a non dare niente per sconta- sono diventati persone con una to, si guardano i propri problemi faccia. scolastici e in confronto con i Allora anche quest’anno hai loro diventano molto piccoli. Le voluto tornare... mie compagne mi hanno chiesto Volevo andare dai MiSNA ma tanto e volevano sapere. sono ancora minorenne e allora Hai raccontato tutto libera- sono tornata al Gorio. Volevo mente? riprendere le lezioni ma non c’è No, non ho raccontato i nomi e l’insegnante con cui ero affiananche le storie più private, ho cata e non è stato possibile; pecraccontato più di me. cato. Le domande più frequenti L’esperienza e stata diversa Tanja delle compagne? umanamente dall’anno scorso? L’anno scorso ho fatto questa Come era uscire da una scuola Sì perché molte cose le sapevo esperienza con i profughi ospi- per sole ragazze ed entrare qui già e con gli accompagnamenti ti del Gorio per sei settimane. e come fare con loro che hanno è stato più interessante. Questi Potevo aiutare Renata, l’inse- religioni diverse e modi di pen- ragazzi mi hanno insegnato gnante e mi è piaciuto moltis- sare diversi; non era difficile per molto. simo; martedì e giovedì erano i niente ma solo bello. Cosa racconterai quest’ anno miei giorni preferiti, insegnare a Poi ci siamo incontrati in classe, alle compagne? loro era meraviglioso. Mi spiace con Volontarius per un progetto Racconterò del rapporto con gli tanto non averlo potuto rifare a scuola. ospiti e dirò che c’è sempre più anche quest’anno per l’assenza Dopo l’incontro, che confron- differenza tra quello che racconta di Renata, volevo proprio fare to avete avuto tra di voi? la tv e quello che raccontano loro. questo. Abbiamo parlato molto tra di Come facciamo a far capire Che esperienza è stata? noi; mettendoci nei loro panni che la paura ci tiene lontani e Era tutto nuovo, soprattutto non ce l’avremmo mai fatta. La poi che il mondo è cambiato? il lavoro d’ ufficio; era la prima nostalgia di casa e della famiglia I pregiudizi sono la cosa più volta che lavoravo ed ho impa- e poi ci siamo sorprese del loro grave, ascoltando solo la radio o rato molto. Ma dare i pasti e fare italiano. Non siamo riuscite a fare la tv ti fai un’idea ma non conolezione era la cosa più bella pro- domande, sono rimaste lì e vor- sci le persone. Vai in stazione o prio per il contatto con gli ospiti. remmo incontrarli di nuovo per vieni al Gorio e vivi con loro. A Cosa hai scoperto? approfondire. scuola è molto importante parlaChe sono tante persone, ognu- C’è stata una considerazione o re e fare i progetti come quando na con la sua storia e che sanno commento particolare tra di voi? sei venuto tu; gli studenti ascolsorridere nonostante la loro Quello che ci hai detto della tano i genitori ma non si fanno situazione. I momenti dei rac- Persona, che ognuno è importan- un’idea propria. Le mie compaconti poi erano i più particolari. te, tante ragazze non l’avevano gne mi hanno raccontato che Cosa ti portavi a casa la sera? mai sentito ed ha toccato molto. a casa hanno parlato molto e si È come essere in un altro Hai notato qualcosa di diverso sono confrontate con i genitori. mondo. In bus senti le conver- nei vostri rapporti dopo? Questo è molto importante. sazioni della gente e ti viene Si certamente, abbiamo cambia- Ultimo pensiero per chi legge. quasi da ridere per la differenza to il modo di relazionarci tra di Dire ciao ai pregiudizi ed al dei problemi. noi in classe. Poi, conoscendo la mondo che abbiamo conosciuPoi hai affrontato l’anno sco- storia di profughi, quello che si to, tutti sono importanti e non lastico, ti sentivi diversa? sente in tv ha preso un volto e siamo meglio degli altri, ognuno Credo proprio di sì. Ho impara- non ci sono più solo numeri, ma ha la sua storia. 14 Gruppo Scout della provincia di Vicenza LA REALTÀ È RIUSCITA A SUPERARE LE NOSTRE ASPETTATIVE. Siamo cambiati Siamo tornati a casa e ci siamo accorti che questa non è più stabile e sicura come un tempo: per un po’ il sogno migratorio delle persone che abbiamo incontrato è diventato anche il nostro, la loro preoccupazione la nostra, la loro stanchezza è risuonata dentro di noi tanto quanto la loro incredibile tenacia. Siamo tornati e ci siamo accorti che quest’esperienza ha smosso dentro di noi qualcosa d’importante, anche se forse ancora adesso è difficile da spiegare. Una cosa però è chiara: abbiamo la necessaria convinzione che siamo chiamati a partecipare, pur nel nostro piccolo, al cambiamento epocale che sta interessando, oltre che il nostro Paese, l’umanità. Noi, gruppo scout della provincia di Vicenza, dal 2 al 7 Agosto abbiamo deciso di affiancare operatori e volontari nell’accoglienza dei profughi di passaggio nelle stazioni di Bolzano e Brennero, oltre che di quelli che, nell’attesa di vedere accettata la loro richiesta d’asilo, si trovano nelle case di accoglienza di Bolzano e Merano. Dai treni della stazione sono scese e continuano a scendere centinaia di persone, alcune con un solo sacchetto di plastica in mano, altre, più fortunate con qualche valigia; stremate dal lungo viaggio, pronte a chiedere informazioni su cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Le prime volte al binario anche per noi non sono state facili: non sapevamo come interagire con loro, come farci capire, come comportarci. Pian piano abbiamo iniziato a comprendere che le cose davvero utili erano poche: informa- zioni chiare, sorrisi sinceri, qualcosa da mangiare e qualche vestito pulito. Quello che siamo stati in grado di offrire era molto poco, quasi un nulla, ma quel poco sembrava abbastanza per rassicurare, tranquillizzare, far riprendere la forza e riaccendere la speranza per continuare il viaggio. I volti spaventati che scendevano dal treno si distendevano pian piano e con il tempo si trasformavano in un sorriso stanco ma contagioso. Gesti per noi semplici, scontati, quasi banali sono stati capaci di risollevare gli animi di quei viaggiatori smarriti che spesso, la sera, parlando tra noi, ci ritrovavamo a ricordare e a sperare che il loro viaggio fosse andato per il meglio, che i ragazzi come noi, gli uomini, le madri, i bambini, le famiglie viste durante il giorno avessero trovato un rifugio dignitoso in qualche posto. Nelle case di accoglienza, invece, abbiamo riordinato magazzini, tagliato siepi, sistemato vestiti, servito cibo e altre piccole cose. Sì, possiamo dire d’aver faticato, ma senza l’aiuto dei richiedenti asilo il nostro lavoro sarebbe stato di gran lunga molto più faticoso, più noioso e meno appagante. Tra un compito e l’altro abbiamo avuto modo di parlare con persone di culture diverse, fermarci ad ascoltare le loro storie ed i loro sogni e raccontare i nostri. Abbiamo avuto modo di scoprire e farci scoprire, di osservare e farci osservare, perché non esiste dialogo che sia in un’unica direzione. Ad oggi ci sentiamo di dire che la nostra esperienza a Bolzano non ci ha fatti sentire solamente soddisfatti, ma anche stravolti, emozionati e talvolta fin troppo coinvolti. Il caldo di quei giorni mischiato al portamento stanco dei migranti della stazione, la loro tacita speranza impigliata nella paura, ci hanno fatto vivere quei momenti con un’intensità che si conosceva solo da bambini, senza distrazioni, con un’attenzione focalizzata sulla ricerca di comunicazione soprattut- to non verbale. E’ questo, insieme ai racconti che abbiamo ascoltato, ai “grazie” che abbiamo ricevuto da volontari, profughi ed operatori, ai piccoli servizi che ci sono stati affidati, che ci ha aiutati a cambiare: pian piano, durante la settimana, abbiamo iniziato a sentire un calore diverso che correva veloce fino al cuore, delle emozioni che ci colpivano senza più lasciarci la possibilità di bloccarle. L’hic et nunc, il qui ed ora in cui siamo stati immersi ci ha fatto percepire la vera essenza di quel che sta accadendo. Assuefatti dai tanti (troppi) numeri di telegiornali, quotidiani, annunci grazie ad un’esperienza così intensa ci siamo, forse minimamente, resi conto del fatto che, dietro ai numeri, ai tassi d’immigrazione, alle statistiche, alle paure, ci sono persone. Con la disperazione che annegava i loro occhi profondi, la stanchezza che ovattava i loro sorrisi e la scabbia che imbiancava le loro mani; persone, con visi, storie, idee, progetti e sogni degni di essere ascoltati. Siamo partiti con una gran voglia di dare una mano e di curiosare un po’ più da vicino ciò che l’informazione di massa ci propone con una frequenza da brividi. E ancora, quasi come da bambini, la realtà è riuscita a superare le nostre aspettative. Siamo cambiati perché ora guardiamo il problema, se di problema davvero si tratta, con occhi completamente nuovi: leggendo un articolo di giornale ci si stringe lo stomaco, sentendoci vicini al dolore che ci è stato raccontato, che segna la pelle e gli sguardi delle persone che abbiamo incontrato. E quei treni, possibilità di trasporto per noi quotidiana, appaiono ora ai nostri occhi in modo diverso: vagoni di speranza per migliaia di persone che vogliono arrivare in Europa, dopo aver lasciato la loro terra, per trovare un po’ di pace e per poter ricominciare, finalmente, una nuova vita. 15 BRESCIA, LUCIA E... L’impegno della cittadinanza bolzanina, delle tante associazioni coordinate da Volontarius e l’attenzione che l’ente pubblico pone alle persone in transito, in fuga da pericoli e povertà, non passa inosservato. Abbiamo ricevuto, in questi ultimi mesi, moltissimi giornalisti che da tutta Europa volevano vedere e capire, ripartendo con immagini di ordine, di accoglienza ed avendo constatato come il pensiero forte Volontarius, “ogni persona è importarne ”, possa essere espressione di concretezza e realtà. Ma succede anche di più. Abbiamo ricevuto una offerta di aiuto da alcune ragazze che a Brescia hanno avuto una bellissima idea, si sono attivate e...: “Lanciata senza particolari aspettative, la raccolta di viveri e vestiario organizzata da L. e M., due ragazze bresciane, ha suscitato una grande ondata di solidarietà lungo tutta la provincia di Brescia. Molti giovani, fra i 15 e i 20 anni, si sono offerti volontari per aiutare nella raccolta e in tre giorni sono stati riempiti quattro furgoni grazie al contributo di più di 150 persone e di due aziende locali. Così, al posto della macchina con cui pensavano di salire a Bolzano, sabato 12 settembre una delegazione di 8 persone ha portato i quattro furgoni colmi di alimenti di primo consumo, vestiti e tanta gratitudine ed entusiasmo per essere riusciti a essere, nel piccolo, almeno un po’ utili. “ Il nostro grazie è davvero sentito e ci da forza e ancor più convinzione per proseguire nell’impegno di riconoscere la novità che questo momento storico ci presenta e offrire ad ogni persona, in qualsiasi luogo del mondo, la dignità di poter vivere dentro relazioni vere, attraverso le quali saper organizzare ogni gruppo sociale tenendo al centro del pensiero il ” valore di ogni singola persona ”. Assistenza umanitaria per profughi - Stazione di Bolzano A CHI SI RIVOLGE? Profughi in transito alla stazione di Bolzano PUNTI OPERATIVI: Stazione di Bolzano OBIETTIVI: Offrire un servizio umanitario di ristoro temporaneo , informazione ed orientamento. Il servizio è svolto con la stretta collaborazione degli enti River Equipe, Caritas, Croce Rossa Italiana, Rete dei diritti senza Voce, Fondazione Alexander Langer, Associazione San Vincenzo, AiBi e tanti privati cittadini che volontariamente ed in forma autonoma sostengono le attività del servizio per una presenza continua presso la stazione ferroviaria. SOSTIENI: Si ricercano urgentemente prodotti alimentari (tonno, merendine, succhi di frutta monodose, pane fresco, latte, frutta, pane da toast ), bicchieri e tovaglioli, medicinali (unicamente tachipirina, sciroppi tosse e cerotti ), coperte, assorbenti - salviette umidificate in confezioni piccole, mutande da uomo, mutande da donna. È possibile sostenere il progetto con donazioni inserendo nella causale “FS BZ”, maggiori dettagli sulle diverse modalità alla sezione ‘come aiutarci’ Si cercano inoltre volontari, per candidarsi vai al Form Volontariato e potrai inserire direttamente la tua disponibilità di servizio per l’iniziativa al LINK indicandone i Turni. CONTATTI: Tel. 0471/402338 (tasto 5) | E-mail: [email protected] | Referenti: Daniela De Blasio & Andrea Tremolada Hai del tempo da dedicare agli altri? Collaborano in stretta sinergia: Abbiamo bisogno di te! 0471 402338 – Tasto 4 www.volontarius.it [email protected] Ha collaborato a questo numero a titolo di volontariato: stampa e personalizza i tuoi prodotti | www.feshop.it 16