volinf2015_3_settembre

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Settembre 2015
Anno 10
Numero 3
Poste Italiane S.p.a. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 conv. in L27/02/2004 n° 46 art. 1 comma 2, CNS Bolzano. Trimestrale. Autorizzazione 17AP del 30.11.2006
VOLinforma: proprietario ed editore “Associazione Volontarius” Bolzano - Registro stampa tribunale Bolzano 20/2005 del 23/11/2005
Dir. Responsabile Franco Grigoletto - Redazione c/o “Associazione Volontarius” via G. Di Vittorio 33 - Bolzano - Tel 0471 402338 Fax 0471 404921
web www.volontarius.it - email [email protected] - c.c.p. 12109393 - Stampato in proprio
CHIEDIMI PERCHÉ HO FREDDO
Chiedimi se la strada è una scelta
di Roberto Defant
È il titolo di un progetto. È il titolo di un convegno. Volontarius,
come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale contro la
povertà, il 10 ottobre chiamerà la cittadinanza ad una raccolta
di coperte, piumini e sacchi a pelo per le persone senza dimora
che durante l’inverno dormiranno all’aperto. Una cittadinanza che si attiva rappresenta sempre una
bella notizia, ma non ci basta. Vogliamo vivere una società che, prima di attivarsi, sia consapevole
del perché farlo; che si muova non secondo criteri di superiorità o bontà, ma secondo un senso del
Giusto che non dipende da nessuna soggettività: riconosciuto oggettivamente.
Il progetto comprende il coinvolgimento di cinque scuole superiori della provincia.
Studenti ed insegnanti entreranno “in casa” delle persone
senza dimora. Scopriranno la
realtà che vive chi per anni,
o da poco tempo, non ha
più riferimenti. Chi sei? Cosa
provi? Perché sei in strada?
Cosa vedi intorno a te? Sono
le risposte che daranno alcune persone senza dimora
che incontreranno gli studenti, sono gli argomenti che
accompagneranno i ragazzi in
una relazione che via via si
costruirà con chi è solitamente invisibile. Invisibile perché
si nasconde – perché non
si dimostra più attraverso i
segnali consueti di quello che
era il barbone di un tempo –
perché non vogliamo vederlo,
per paura o fastidio. Vivranno
insieme la piazza, la colazione
del mattino e l’incontro con
chi porterà le coperte; lavoreranno fianco a fianco, si guarderanno e continueranno a
parlarsi. E quegli studenti troveranno la risposta alla considerazione che, per motivi
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diversi, molti di loro fanno:
“Cosa posso fare io, sono troppo giovane”.
Al convegno del 2 dicembre
ci saranno gli esperti che si
confronteranno sulle tematiche della povertà; ci saranno i
politici che proveranno a dare
una lettura istituzionale del
fenomeno. Ma soprattutto ci
saranno gli studenti, i nuovi
relatori, che porteranno l’innovazione, abbandonando
la logica del fenomeno per
presentare la condizione. Non
parleranno di casi, racconteranno le persone: se stessi,
nel vissuto del progetto e
coloro con cui si sono messi
in relazione. Ma ancora non
ci basta: prenderà la parola
anche un signore di 60 anni,
che per più di 15 ha vissuto
la strada, attualmente ospite
di una struttura di accoglienza. Nessuno sceglie la strada. Non esiste la romantica
scelta filosofica della libertà.
Esiste un momento, nella vita
di molte persone, che presenta un dolore, una sofferenza
così grande da non riuscire
ad attraversarla. Non si resiste.
È troppo. Tutto finisce in un
attimo; si è in strada senza più
nemmeno la capacità di raccontare, a se stessi e men che meno
agli altri, il grado di tanta disperazione. Si perdono i riferimenti,
si perdono gli sguardi. C’è solo il
buio di una vita parallela riempita di alcool, violenza, solitudine.
CHIEDIMI SE LA STRADA È UNA SCELTA
Dentro i saperi e le pratiche del lavoro di strada
Le persone senza dimora dichiarano, nella maggior parte dei casi, di aver scelto la strada liberamente, una sorta di alternativa alla vita che
presentava un conto troppo salato. Vogliamo
fermarci e capire; proprio in questa dichiarazione riusciamo a leggere la contraddizione che la
sottende? Quali sono poi le esperienze di strada
che queste persone sono chiamate a vivere. E
quali sono le comprensioni e le reazioni di chi
le incontra?
Un
convegno; certo ma
lo abbiamo
pensato non
come il solito convegno.
Formalmente
lo può sembrare:
una
locandina d’invito,
microfoni
da un lato e
posti a sedere dall’altro,
un programma ricco di
interventi e
un finale stracolmo di ringraziamenti.
Nella sostanza però c’è molto più. Innanzitutto “Chiedimi se
la strada è una scelta” è un percorso, che coinvolgerà da settembre a dicembre di quest’anno
cinque classi delle scuole superiori della provincia di Bolzano. Gli studenti s’interrogheranno sui
temi della povertà estrema, grazie all’incontro
diretto con giovani operatori di strada e volontari (che da tempo dedicano il proprio impegno
all’assistenza delle persone di strada) e grazie
all’incontro diretto con le persone senza dimora, che in aula racconteranno il loro vissuto,
caratterizzato da cadute e rialzate, dal desiderio
di lasciarsi andare e dalla speranza in un futuro
migliore. Il filo conduttore sarà la RELAZIONE,
intesa come spazio non fisico su cui ricostruire il
senso di appartenenza ad un’umanità ferita, ma
pur sempre stupenda, che ci chiede di ripartire
proprio dalla relazione con chi ci è prossimo per
ritrovare quella spinta e quel coraggio in più per
camminare insieme verso la giustizia, nella certezza che “Nessuno è mai troppo piccolo per
fare cose grandi.” La relazione diventa così una
sorta di unità di misura che ci permette di materializzare un pensiero, quello che l’Associazione
Volontarius chiama il suo pensiero forte e conseguentemente di misurarlo : OGNI PERSONA È
IMPORTANTE; quanto peso ha questo nella mia
vita? Gli studenti inoltre scenderanno in piazza Mazzini il 10 ottobre 2015, affiancati dagli
operatori di strada del progetto Oltre La Strada
all’interno dell’iniziativa “Chiedimi perché ho
freddo”, per raccogliere coperte per chi dorme
sulla strada, ma in fondo per gridare alla città
di abbattere i muri dell’indifferenza, per risvegliare lo sguardo di chi non vuol guardare e non
riconosce più il volto di un uomo nelle centinaia
di persone che anche in provincia di Bolzano
non hanno un posto dove andare a dormire.
Combattiamo la povertà, NESSUNO SENZA
CASA! Saranno sempre loro, gli studenti e le
persone senza dimora, i relatori del convegno serale, nella convinzione che proprio chi
è meno ascoltato spesso ha le cose più importanti da dire. Durante l’evoluzione dell’intero
progetto, nelle aule scolastiche, in piazza, nei
laboratori saremo seguiti da esperti che, attraverso il linguaggio video e del teatro, strumenti
attraverso i quali intendiamo testimoniare ed
elaborare il percorso di Volontarius e di tutte le
persone coinvolte, presenteranno un reportage
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video emozionale di circa 8 minuti, coordinato dalla cooperativa sociale pianoB e la realizzazione di
un percorso teatrale didattico, con spettacolo finale Teatro Forum, attraverso la tecnica del teatro
dell’Oppresso, condotto dal Gruppo AltoFragile teatro.
Mercoledì 2 dicembre 2015 – Teatro di Gries
dalle 15 per operatori e tecnici; dalle 18:30 per la cittadinanza
LA STRAGE DELLA SOLIDARIETÀ
Persone in fuga: solidarietà o giustizia?
I numeri che stanno dietro il movimento delle masse sono indicativi e impressionanti: secondo
l’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, sono stati 188mila i migranti salvati lungo
la rotta tra la Libia e le coste italiane, ma presto si supererà quota 200mila. Dall’inizio dell’anno sono
oltre 3200 i migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.
“E’ inaccettabile che nel ventunesimo secolo persone in fuga da conflitti, persecuzioni, miseria e
degrado del suolo debbano sopportare esperienze terribili nei loro Paesi d’origine e poi morire alle
porte dell’Europa”, ha affermato il Direttore Generale dell’Oim, William Lacy Swing.
È giunto il momento di chiedersi se possiamo ancora discutere rispetto ai temi della solidarietà, per
altro ancora lontani dall’essere concretizzati, o se dobbiamo superare questo concetto per affrontare direttamente quello del Giusto. Certo che per affermare che la solidarietà è superata ci vuole
coraggio; non è nemmeno realizzata! È vero, ma
come spesso accade, i tempi anticipano predizioni che gli uomini faticano a riconoscere. La
solidarietà così come è praticata e, più spesso,
predicata, presuppone una condizione di forza
e superiorità. Chi è ricco, forte e sicuro tende
allo sfortunato di turno il proprio superfluo,
quello che c’è in più e non serve. È la favola del
ricco – bello – biondo occhi azzurri – soprattutto
buono, che concede...ma spesso e volentieri per
tacitare una coscienza o rispondere al proprio
ego. Atteggiamento che poteva andare bene
fino a quando ancora esisteva la supremazia del
sistema occidentale, notoriamente basato sullo
sfruttamento coloniale ed economico dell’altra
parte di mondo; il tutto con la doverosa e succube accettazione di quei popoli.
La notizia è che il mondo sta cambiando: lo
sfruttamento coloniale esiste ed è ancora forte,
ma i popoli cominciano a non essere più succubi, non muoiono più in silenzio. Non hanno
grandi mezzi per compiere le rivoluzioni, ma si
muovono. Hanno visto e capito. L’Europa, il resto
del mondo, possono rappresentare l’occasione
per qualche cosa di nuovo, di diverso. E vengono a prendersela.
Siamo chiamati a capire, saper leggere i tempi
che mutano, costruire una nuova società.
La solidarietà non basta più! Cosa significa operare nel senso del Giusto?
Ogni persona non ha diritto ad
UN posto nel mondo
deve trovare IL suo posto
in ogni parte di mondo si trovi
È una grande sfida dalla quale dipenderà il
futuro di ognuno di noi, indipendentemente da
dove si è nati e da dove ci si trova. Solo con una
consapevolezza rispetto alla globalità delle condizioni di vita e sviluppo, ma forse basterebbe
anche solo per la vita, si potranno poi affrontare
le problematiche di ogni singolo Paese ed aiutarne i cittadini a costruire una società giusta,
degna, libera ed indipendente.
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SE IO NON CONOSCO
B
R
NON POSSO SAPERE E HO PAURA E
Mi chiamo Astrid e ho 32 anni, 2 figli e abito a Vipiteno. Qui al N
Brennero sono arrivata tramite mia cugina che è già volontaria.
N
Ho iniziato subito, senza pensarci due volte, per i profughi, il
E
volontariato, l’esperienza.
R
Cos’è il volontariato per te?
Aiutare e basta, il contatto con la gente. Sono arrivata al Brennero O
tre quattro mesi fa, ho cominciato sistemando i vestiti. Qui vivo
esperienze belle, tante situazioni critiche specialmente quando
hanno chiuso le frontiere, ma alla fin fine solo cose positive.
In tre mesi un’esperienza particolarmente bella e una brutta?
Belle tante, quando una famiglia si è riunita. Si erano persi durante il viaggio e si sono ritrovati qua. Brutta, ci sono tante situazioni
che ti fanno pensare, per esempio quando vedo i bambini che arrivano e penso ai miei figli. Sono tante
cose che non sono belle da vedere, però poi ti fai coraggio e sorridi a tutti.
Ci sono momenti in cui provi rabbia?
No, rabbia no. Quando guardo questi giovani, questi bambini, provo qualcosa che si può chiamare
anche rabbia, penso all’ignoranza delle persone.
Reazioni della cittadinanza?
Tante cose positive però anche alcune situazioni no comment. Io penso che tanta gente non sappia
cosa succede di fuori e quando esce in giardino quindi ha paura. Arrivano in migliaia e se io non conosco non posso sapere e ho paura. Sono tante le domande, ma se ci s’informa la paura va via e permette
di creare relazioni. Quante cose possiamo imparare.
Abbiamo un magazzino pieno di vestiti.
Sì, io ho lavorato anche in due-tre negozi, e qui ho trovato davvero tanta roba. Tutta portata da gente
del posto. Quindi ci può essere la paura della presenza di persone diverse nella città, ma quegli stessi
cittadini spesso danno. C’è tanta solidarietà: un gruppo di giovani di Vipiteno ha organizzato una colletta alimentare davanti ai supermercati.
Perché questa contraddizione?
La paura.
Cosa possiamo imparare e migliorare invece noi di Volontarius?
Invitare gente, magari fare un’attività con i cittadini che abbiano la possibilità di vedere cosa succede.
Anche i giornali evidenziano cose negative e quindi la popolazione dice “visto, quello che ho pensato è
giusto, la mia paura è fondata”. La gente ha paura, non conosce.
Un pensiero, una richiesta per chi ci legge?
Prima di criticare, guarda la situazione. Non commentare subito, vieni a vedere.
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B
R LORO VIVONO
SONO GIÀ MORTI
E MA
FIRAS, referente del progetto di accoglienza al Brennero
N
N Io sono Fadel Firas, sono iracheno e ho lavorato già nella Casa di Solidarietà
a Bressanone, poi da lì sono arrivato al Brennero, anche perE dichéVolontarius
parlo 7 lingue e possono essere utili: inglese, palestinese, arabo, ecc.
R Mi piace aiutare la gente, anche perché quello che hanno vissuto loro l’ho
O vissuto anche io. Ho visto tutto, senza mangiare, senza letto… ho chiamato Volontarius e mi è stato mostrato come aiutare la gente per mangiare,
bere, vestire. Ho cominciato ed è andato bene. Adesso tantissime persone
arrivano, se io parlo con loro, si fidano di più. Spiego dove ci troviamo,
diamo da mangiare, chiediamo se vogliono fare una doccia.
Anche tu hai fatto il viaggio dall’Iraq?
Sì, dall’Iraq fino a Siria, Turchia, Grecia. Poi sono arrivato in Italia. Dalla Turchia alla Grecia con una piccola
barca, 24 persone. Tanti sono morti, quei morti di cui i
giornali non parlano perché sono pochi; eravamo tre
barche ma è arrivata solo la mia. Poi dalla Grecia all’Italia
sono arrivato in aereo. Sono andato in Olanda, Italia,
Finlandia, Italia. Sempre tornavo indietro.
Avendo vissuto questa storia, qual è lo spirito che
hai nell’incontro con queste persone?
Le persone cercano un posto migliore nel nord Europa.
Io all’inizio non volevo Italia, volevo Olanda perché
ho parenti là. Anche loro hanno parenti al nord, o
qualcuno che conoscono. Tu sai cosa vuol dire essere
stato male, aver avuto fame. Quando vedo persone in
queste condizioni accorro subito per aiutarli, perché
so cosa significa avere fame, freddo, essere stanchi. A
Roma avevo incontrato un uomo che mi aveva chiesto
come stavo. Io avevo detto di essere stanco, erano due
settimane che non mi facevo la doccia: allora mi ha portato da lui, mi ha cambiato vestiti, tutto. Ci sono ancora
persone che pensano agli altri, questo è bellissimo.
Quando parli con loro, cosa dicono?
Sono qua da ormai 7, 8 mesi. Io sento cosa vogliono
fare, dico dove siamo e li oriento un po’. Loro quando
arrivano sanno dove vogliono andare, non hanno altri
scopi, non vogliono fermarsi a nessun costo. Alcuni
non vogliono neanche mangiare, vogliono andare
avanti, hanno troppo stress nella testa. Poi ci parliamo,
ci conosciamo e capiscono chi siamo, che siamo lì per
aiutare.
L’Africa si sta svuotando. Cosa ne pensi del nuovo
mondo che si sta formando?
Io sono iracheno, di Mosul, una città non così grande,
però la gente che vive là è già morta. Non pensano che
loro vivono. C’è solo l’Isis là dentro, comanda l’Isis. Loro
vivono là ma sono già morti. Se arrivi qui, c’è la pace,
qualcuno ti ascolta, puoi scegliere quello che vuoi. Nel
mio paese, se io dico voglio questo e non quello, finisci
in carcere. Questa è la differenza. Ma siamo persone
anche là, però non c’è rispetto e muoiono ogni giorno
300, 400 persone.
La tua idea di questo nuovo mondo, di quello che
succede in Europa, invece, qual è? Ogni persona se
sta bene nella sua città, rimane dov’è. Quando la situazione nei paesi di origine migliorerà, queste persone
torneranno nei loro paesi. Quelli che scappano, non
quelli che cercano lavoro, quelli che scappano dalla
guerra, se ci sarà la possibilità, torneranno. Se posso tornare, io vado a vedere la mia famiglia, la mia mamma,
mio fratello. È importante che tutti scelgano la loro
vita, così mio figlio può scegliere la sua religione, saprà
che sua mamma è cristiana e suo padre musulmano.
L’importante è non fare male alla gente, non rubare,
non fare brutte cose. Siamo persone, dobbiamo avere
rispetto così come dobbiamo rispettare la legge.
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Christina Tinkhauser, direttrice dei servizi sociali della Comunità comprensoriale Wipptal.
SOLIDARIETÀ CONCRETA MA SILENZIOSA
Paura rispetto a quanto sta succedendo nel mondo
Qual è il tessuto su cui questa nuova realtà rappresentata dalle persone in fuga va ad innestarsi,
come si pone la comunità?
Wipptal è una zona di confine e questo è molto sentito dalla popolazione. Ancora di più da quando diverse importanti strutture di servizio alla cittadinanza stanno chiudendo. Questo crea ansia nella popolazione, la valle si sta impoverendo dal punto di vista economico, sociale e strutturale perché il flusso delle forze
professionali va verso altre zone.
Questo non fa bene alla comunità. È però una condizione
comune a tante zone di confine.
La nostra è stata per molti anni
una società contadina e solo da
relativamente poco è entrato il
turismo, l’edilizia e l’occupazione nell’impiego pubblico. Ciò ha
contribuito a far sì che il tessuto
sociale non sia tanto inclusivo.
Anche le valli laterali ed i paesi
che ne fanno parte vivono realtà
e sviluppi differenti, Brennero e
Fortezza hanno la più alta percentuale di abitanti non nati in valle,
che vengono da fuori.
La comunità di Brennero ha
accolto con timore la struttura?
Il sindaco è una persona molto
umana, accogliente; fa una
politica trasparente e ha saputo comunicare molto bene la
necessità di realizzare quello
che serviva, coniugando i bisogni della società con i bisogni
della popolazione.
I magazzini sono pieni, molte
persone hanno donato con
generosità.
C’è una solidarietà concreta ma
silenziosa che si confronta con
una paura rispetto a quanto sta
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zione anche dei nostri collaboratori, dobbiamo parlare moltissimo con tutti. Anche i collaboratori sono
portatori di cultura sociale e comunicare tantissimo
all’interno degli uffici è fondamentale. Dentro il
nostro servizio dobbiamo realizzare una cultura
sociale aperta, flessibile, di solidarietà, di rispetto e
diritto; poi, grande attenzione alla popolazione perché ognuno ha diritto a crescere con i propri tempi,
anche dentro le novità che il mondo e la società
comporta.
a rinunciare alle comode abitudini ed ai nostri stili
di vita; non sarà facile. Dal mio punto di vista, per un
futuro degno di essere vissuto, soprattutto per noi
stessi che lo viviamo, questa è l’unica via per creare
una società inclusiva, dove tutti gli abitanti troveranno vera accoglienza.
Qual è la sua visione rispetto alla struttura?
Finora il nostro compito è stato quello che le persone vengano assistite durante la giornata, ed è
quello che abbiamo fatto. Siamo chiamati a vivere
questa realtà per come si sviluppa. Penso che tutti
possiamo progredire; sono personalmente grata
a questa esperienza, mi ha fatto crescere, ci sono
dentro e vedo che, come me, anche la comunità sta
facendo i suoi passi. Bisogna lasciarsi provocare per
crescere e gli stimoli sono importantissimi.
succedendo nel mondo. Anche
a me spaventano queste situazioni così come mi spaventa l’incremento del traffico, l’inquinamento e così via; sono situazioni
e realtà però che vanno vissute. Più c’è ansia più si esprime
un’avversione e, sembra paradossale, ma più si sviluppa una
solidarietà. È necessario esprimere a voce alta l’ansia perché
dobbiamo vedere che il mondo
cambia e renderci conto che
c’è bisogno anche delle nostre
forze, del nostro impegno e
c’è anche bisogno della solidarietà. Questa è una provocazione forte, un invito pressante ad
ognuno di noi.
La prospettiva di un dirigente
pubblico deve essere quella
di amministrare questa situazione dei profughi oppure è
anche importante capire, ed
aiutare le comunità a capire,
che il mondo sta cambiando?
Tutte e due le cose. Secondo
me noi che lavoriamo per le
comunità, siamo esposti pubblicamente, abbiamo una funzione di leadership, dobbiamo
essere un modello, incoraggiare e stare attenti a tutte quelle persone che vivono qui.
Dobbiamo trovare un equilibrio.
Lavoriamo in un ambito prepolitico, siamo mediatori e facilitatori fra la popolazione ed i
politici. Dobbiamo trasmettere
informazioni e favorire la forma-
Quale pensiero vuole lasciare ai lettori?
È necessario sapere, essere informati. Bisogna essere consapevoli che questo movimento, dal sud al
nord del mondo, non è momentaneo, sarà un fenomeno a lungo termine perché riguarda le masse.
Per una parte è frutto delle politiche occidentali e
questo ci rende responsabili. Ognuno di noi ha una
responsabilità ed il nostro stile di vita ne è la prova.
Come cittadina devo scegliere come comportarmi
ora e sono chiamata a confrontarmi, con tutta la
mia comunità, per gestire il cambiamento. Penso
che la politica ha avuto abbastanza tempo per
capire tutto questo e che non si possa reagire solo
in modo conservativo. La realtà ci chiede di agire
in modo molto più attivo. La politica deve gestire
i cambiamenti avendoli riconosciuti chiaramente,
accettando che il mondo sta cambiando. Dico alle
persone che vengono da altri Paesi “Benvenuti” e lo
dico nella consapevolezza che hanno tutto il diritto
di esserci. Spero che possano ritrovare, nella loro
Patria ed in un futuro non molto lontano, la possibilità di vivere liberamente.Abbiamo la possibilità e la
responsabilità di iniziare insieme un cambiamento
profondo della società. Dobbiamo imparare anche
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CENTRO DI ACCOGLIENZA
“EX CASA DEL LAVORATORE”
Merano accogliente
Centro di accoglienza “ex Casa del lavoratore”.
La nuova struttura dove è alloggiato il gruppo di
richiedenti protezione internazionale a Merano.
Ma sarebbe più giusto dire dove sono accolti. Sì
perché la cittadinanza meranese ha, fin da subito,
dimostrato una bella apertura rispetto a questa
novità; la prima reazione alla notizia dell’arrivo dei
profughi ha spinto molte persone a presentarsi
in struttura ed offrire il loro contributo. Chi s’impegna nei corsi di lingua, italiano e tedesco, chi
si offre per animare ed organizzare laboratori di
falegnameria, chi invita gli ospiti ad una partita di
calcio, idea che diventa poi sistematica con alle-
namenti settimanali, tornei con squadre miste,
un gran bel gruppo anche di 80 persone tra ospiti
e calciatori meranesi, chi s’impegna nella realizzazione dell’orto. E poi la festa di Emergency.
L’invito a prendervi parte, ma anche a collaborare
alla realizzazione. Una bella squadra di ospiti, una
decina, che si mettono a disposizione e tre che si
offrono per il servizio in cucina. Grazie Merano,
grazie per l’esempio di accoglienza, d’incontro
con le persone, di cultura. Costruire un modello
nuovo di società, imperativo per il tempo che
stiamo vivendo, ci pare meno complesso, oggi,
grazie anche alla vostra presenza.
Anne, una bella ragazza, referente, per scelta di vita, del Centro di accoglienza
per richiedenti protezione internazionale “ex Casa del lavoratore” a Merano.
CREA UN NUOVO MODO
DI VIVERE INSIEME IN CUI OGNUNO
PORTA UN PEZZETTINO
Chi è Anne?
Bene, uno comincia sempre
con io ho studiato… così è difficile! Io comincerei quando, a
16 anni, ho fatto la prima esperienza col mondo della migrazione. Ha rappresentato la mia
prima formazione, forse non
dal punto di vista professionale,
ma da sempre era il mio tema
nel cuore. Ho fatto un’esperienza assieme ad un gruppo di
giovani a Lecce; a dirlo quasi mi
vergogno ma sono entrata in questi brutti CPP e
ho fatto assistenza ai bambini. Questo è l’inizio
di tutto quanto. La mia è stata una scelta perché
ero interessata a questa tematica. Non saprei da
dove è nato questo interesse, forse delle immagini Mi ricordo che la guerra in Jugoslavia mi ha
commosso molto e da lì sono arrivati dei profughi
a Vipiteno, io vivevo a Bressanone.
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Per cui l’avvicinarsi a queste persone non è una scelta
dovuta al bisogno di lavorare, o ideologica, ma di vita.
Sì, avevo un lavoro ed ero pure
ben pagata, poi però mi sono
licenziata e il giorno dopo ero
qua. Cercavo da tanto, ho lavorato un anno in una struttura in
Germania, dove l’accoglienza è
un po’ diversa, e da lì ho sempre fatto volontariato.
Cosa significa lavorare e credere davvero in
quello che si fa?
Per me è fantastico, gli ultimi anni ho lavorato
per avere soldi, quando poi sono stata assunta
per questo progetto ho realizzato un sogno. Tutti
mi dicevano “Anne, questo è il tuo posto”. Più o
meno sapevo a cosa andavo incontro, ma ogni
volta ci sono cose nuove.
Come vivi il tuo impegno e le relazioni con gli
ospiti della struttura?
Il mio tempo libero si è ridotto tantissimo, lavoro
anche a casa, è difficile tornare a casa e dire “adesso basta”, chiudo la parte di lavoro. Il lavoro ti
insegue ed è difficile dire stop, uno deve imparare
anche a farlo.
Cosa vuol dire vivere il tuo lavoro, come fai tu?
Mi piace stare con le persone, però anche fuori,
per esempio alla festa di Emergency, alla quale
siamo stati invitati, ero con amici e il mio ragazzo. Lì sono stata anche con gli ospiti, ma non mi
sentivo obbligata di farlo. L’ospite che è in questa
struttura non è il lavoro, è una persona che fa
parte del mio ambiente di lavoro.
Tu hai aperto un centro, perché al di là dell’organizzazione generale, qui sei rimasta tu.
Cos’è successo?
È stata una bella sfida, perché abbiamo dovuto
creare tutto da zero: turni, distribuzioni, corsi. Non
era sicuramente facile. Adesso è più di un mese
che siamo qui. Dal punto di vista organizzativo
siamo a buon punto, anche in equipe. Abbiamo
fatto delle regole dopo il ramadan abbiamo
cominciato a spiegarle per bene. Anche spiegare
la raccolta differenziata ci è costato tanto. Adesso
funziona ed anche dal punto di vista delle relazioni siamo contenti. Personalmente ho un buon rapporto con tutti: possiamo parlarci per qualsiasi cosa.
Si tratta di insegnare il modo di vivere da noi
o si tratta di capire come vivere insieme in
maniera nuova.
Insegnare come si vive da noi sicuramente no.
Anzi è proprio sbagliato. Anche noi operatori
siamo di diversi Paesi, per cui non esiste la cosa
uguale per tutti. Secondo me questo crea un
nuovo modo di vivere insieme in cui ognuno
porta un pezzettino.
Qual è la difficoltà più grossa e la migliore
soddisfazione che hai trovato?
La soddisfazione più grossa è vederli fuori dalla
struttura. Per esempio ieri, tutti contenti a questa
festa, in mezzo alla gente, che cominciano ad
avere delle conoscenze e amicizie a Merano. La
più difficile era la parte organizzativa, all’inizio,
quindi avviare la struttura. Mi è costato tanto
anche se ci sono ancora tante cose da fare.
Mi racconti com’è la giornata tipo dei nostri ospiti?
Per loro comincia verso le 7 e le 8, quando ci
siamo noi operatori. Dopo colazione inizia un
corso di lingua tedesca e inglese. Per i corsi hanno
fatto un test e sono divisi in gruppi di 10 circa. Ci
sono nove insegnanti che vengono tutti i giorni e
questa è la cosa principale. Poi pranzo e di nuovo
corsi di lingua. La sera invece vanno a giocare a
calcio con i volontari. Quindi la sera è più movimentata.
La città ha risposto molto bene, a partire dalle
esternazioni del sindaco. Ma anche i cittadini
si sono mobilitati
Fin dai primi giorni è venuta gente a guardare
e conoscere, o anche solo per salutare. Altri si
sono messi invece a fare qualcosa. Alcuni hanno
portato vestiti, altri si sono resi disponibili per l’insegnamento, altri per laboratori e tempo libero.
Poi questa festa di Emergency, qualche ospite
ha aiutato nell’allestimento, altri in cucina; oggi
uno fa una performance sul palco. Poi c’è anche
il progetto dei mobili, questo momento settimanale in cui i ragazzi fanno dei mobili con pallet di
recupero, veri e propri mobili che poi useremo
nelle stanze.
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Perché questa risposta della cittadinanza?
Io sono da poco meranese, vivo qua da un anno. Credo si possa parlare di una città aperta. La gente ti
parla, ti guarda.
Che cosa possiamo fare come Volontarius per migliorare ancora?
L’obiettivo per i ragazzi è avere i documenti e poter vivere. Noi possiamo aiutarli ad organizzarsi per
trovare la loro strada.
MENSCHENFEINDE
NEMICO DEGLI UOMINI
le facciamo miste a seconda delle magliette. La
bella cosa è che dopo due tre settimane sono
iniziati diversi progetti simili. Mi ha chiamato un
amico di Naturno chiedendomi il contatto della
Volontarius. Hanno invitato le squadre ad un torneo ed i ragazzi hanno anche vinto un trofeo; un
bel successo insomma.
THOMAS, giovane calciatore meranese, coordina
un gruppo di amici nel progetto sportivo rivolto
agli ospiti della casa.
In cosa consiste il progetto?
E’ un progetto che non so neanche com’è venuto
fuori, ci siamo chiesti cosa potrebbe essere utile
per i ragazzi, perché capiamo che è importante
avere delle attività. Abbiamo fatto esperienze
con i profughi nel 2011 e con qualche ragazzo
del Ghana siamo anche diventati amici. Da anni ci
lavoriamo, poi è venuta l’idea di giocare a calcio.
Sappiamo che spesso si annoiano, non sanno
cosa fare; oltre ai corsi di lingua poi, il resto è difficile. Giochiamo a calcio, siamo nella società Maia
Alta, ho parlato col presidente e gli ho chiesto
quando è libero il campo che è subito dopo il
binario. Gli ho chiesto se fosse un problema per la
società e lui mi ha detto che si poteva fare.
Sono tanti i nostri ospiti che partecipano?
Quaranta, abbiamo fatto due campi e abbiamo
giocato 9 contro 9, riesci a mettere 35 giocatori
in una volta sul campo. Vedi sorrisi, si danno tutti
da fare e si divertono, come fosse una partita di
serie A. I ragazzi che partecipano sono tantissimi,
poi gente è venuta a vedere le partite. Le squadre
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Tra di voi, al di là di aderire al progetto, c’è
anche un confronto sulla presenza nuova di
queste persone?
Sì se ne parla ma non è una discussione, come
si sente nei media, di società. E’ più concreta, su
cosa possiamo fare, come portare avanti il progetto. Da dove vieni, cosa fai, si qualche volta si
chiede, ma non è il tema fondamentale.
Nei confronti della parte di società che invece
è contraria?
Ci sono, sicuramente, però; ho studiato scienze
politiche e ho avuto sempre la sensazione che
Merano è diversa dal resto dell’Alto Adige. Con
tutta la storia, le religioni che ci sono, gli ebrei,
la chiesa ortodossa, è sempre stata un po’ più
internazionale. Anche dopo le elezioni, abbiamo
il primo sindaco verde a Merano e per me è sempre stata una realtà diversa. Possiamo dire che è
un po’ più aperta. Il centro culturale che si trova
in città, il Club Est-Ovest, ha quasi 2000 soci e fa
un ampio programma culturale: musica, danza,
politica, teatro; anche lì, tutto quello che è dentro
questo tema è di grande interesse e da parte della
cittadinanza meranese c’è voglia di fare.
Personalmente cosa diresti a quelle persone
che commentano le ultime notizie con idee
come “bene diamo da mangiare agli squali”?
Per uno come me, sempre interessato ai temi
dell’immigrazione, è quasi insopportabile, mi
fa venire il mal di stomaco, mi fa impazzire.
Importante è far vedere che c’è un altro mondo,
ma non penso che sia una buona idea ascoltare
sempre queste parole. In tedesco c’è questa parola: Menschenfeinde - nemico degli uomini. Se
sei nemico degli uomini non hai capito niente di
questo mondo. Dovremmo aprire tutti i confini e
far entrare la gente in modo dignitoso. E’ difficile
da spiegare ma l’Europa deve cambiare molto su
questo tema. Tanto lavoro anche nella società per
far capire a questa gente che non vuole le persone, cosa stiamo vivendo. Bisogna spiegare nelle
scuole, nelle famiglie che il mondo è cambiato e
cambierà ancora moltissimo. Non è un’opzione
chiudere i confini e dire: facciamoci i fatti nostri.
Dobbiamo mettere giù i nostri Ansprüche, le
nostre aspettative e riconoscere che il mondo è
grande, stiamoci perché non possiamo andare
avanti come siamo andati sinora.
Perché secondo te queste iniziative non arrivano mai ad avere un’eco importante, mentre
per le proteste di quattro cinque persone i
media si muovono subito?
Il mio professore di politica internazionale di
Innsbruck ci ha detto una frase che mi è rimasta:
Bad news are good news. Per un giornalista è più
importante mostrare una notizia negativa che
una positiva. Non solo sul tema della migrazione,
ma su tutti i temi. Poi su internet non si stanno
moderando dei commenti fuorilegge, questo è
già un grande errore. Il giornalismo, si dice, è la
quarta forza in uno Stato: se non fanno un grande
lavoro fanno grandi casini.
PIANO PIANO,
DOPO TUTTO A POSTO
Mi chiamo Bubacar e vengo dal Senegal, ho
32 anni. Sto studiando italiano e tedesco ma
parlo poco. Sono scappato perché a
Kasamas, il mio villaggio, c’è la
guerra. Nella mia famiglia mio
zio è stato ucciso dai guerriglieri. Sono andato in Mali,
Burkina Faso, Niger, Libia,
a Tripoli e poi Italia. In
Libia ti prendono e via, qui
almeno nessuno ti spara.
Sono venuto con la nave, il
viaggio è durato tre giorni,
giovedì venerdì e poi sabato
18 gennaio Italia. Sulla nave eravamo 400-450 persone, avevamo da
mangiare e un po’ d’acqua. Poi sono arrivato a
Bolzano e sono stato per 6 mesi al Gorio; ora sono
a Merano da due mesi. Sono arrivato a Merano
martedì 29 giugno. Bolzano bello, Merano bello
e più calmo. Bello perché persone che lavorano
qui sono brave. Ho stanza, bagno, tutto quanto.
Piano piano, dopo tutto a posto. Le persone fuori
in città sono brave. A Merano ti salutano tutti, a
Bolzano non sempre. Tante persone
non only the same, persone hanno
un’educazione differente. Io
solo aspetto piano piano tutti
i documenti, non so chi può
aiutare a lavorare, piano
piano, italiano e finito. Io
faccio tutto: io pulisco, faccio tutto quanto quello che
mi chiedono. Il mio lavoro in
Senegal non è possibile, perché ho lavorato in contabilità,
ma qui non posso: cerco per pulire,
aiutare, tutto. Io ho studiato un poco in
Senegal: francese e inglese e lavoravo in un ufficio
di foto, di un grande fotografo di Burkina Faso. In
Senegal ci sono tante strutture. Mi piaceva, ma
io ho paura di tornare. Qui in Italia non so, non
ci penso adesso. Piano piano… Non è facile, ma
poco poco… Tout à petit va et Inschallah.
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SERVIZIO VOLONTARIO ESTIVO
PER GIOVANI
La Provincia Autonoma di Bolzano offre agli studenti la possibilità di maturare prime esperienze nei
vari ambiti del sociale. Tanja è una ragazza che anche questa estate, per il secondo anno consecutivo,
sceglie Volontarius per un’esperienza forte di confronto e condivisione.
to a non dare niente per sconta- sono diventati persone con una
to, si guardano i propri problemi faccia.
scolastici e in confronto con i Allora anche quest’anno hai
loro diventano molto piccoli. Le voluto tornare...
mie compagne mi hanno chiesto Volevo andare dai MiSNA ma
tanto e volevano sapere.
sono ancora minorenne e allora
Hai raccontato tutto libera- sono tornata al Gorio. Volevo
mente?
riprendere le lezioni ma non c’è
No, non ho raccontato i nomi e l’insegnante con cui ero affiananche le storie più private, ho cata e non è stato possibile; pecraccontato più di me.
cato.
Le domande più frequenti L’esperienza e stata diversa
Tanja
delle compagne?
umanamente dall’anno scorso?
L’anno scorso ho fatto questa Come era uscire da una scuola Sì perché molte cose le sapevo
esperienza con i profughi ospi- per sole ragazze ed entrare qui già e con gli accompagnamenti
ti del Gorio per sei settimane. e come fare con loro che hanno è stato più interessante. Questi
Potevo aiutare Renata, l’inse- religioni diverse e modi di pen- ragazzi mi hanno insegnato
gnante e mi è piaciuto moltis- sare diversi; non era difficile per molto.
simo; martedì e giovedì erano i niente ma solo bello.
Cosa racconterai quest’ anno
miei giorni preferiti, insegnare a Poi ci siamo incontrati in classe, alle compagne?
loro era meraviglioso. Mi spiace con Volontarius per un progetto Racconterò del rapporto con gli
tanto non averlo potuto rifare a scuola.
ospiti e dirò che c’è sempre più
anche quest’anno per l’assenza Dopo l’incontro, che confron- differenza tra quello che racconta
di Renata, volevo proprio fare to avete avuto tra di voi?
la tv e quello che raccontano loro.
questo.
Abbiamo parlato molto tra di Come facciamo a far capire
Che esperienza è stata?
noi; mettendoci nei loro panni che la paura ci tiene lontani e
Era tutto nuovo, soprattutto non ce l’avremmo mai fatta. La poi che il mondo è cambiato?
il lavoro d’ ufficio; era la prima nostalgia di casa e della famiglia I pregiudizi sono la cosa più
volta che lavoravo ed ho impa- e poi ci siamo sorprese del loro grave, ascoltando solo la radio o
rato molto. Ma dare i pasti e fare italiano. Non siamo riuscite a fare la tv ti fai un’idea ma non conolezione era la cosa più bella pro- domande, sono rimaste lì e vor- sci le persone. Vai in stazione o
prio per il contatto con gli ospiti. remmo incontrarli di nuovo per vieni al Gorio e vivi con loro. A
Cosa hai scoperto?
approfondire.
scuola è molto importante parlaChe sono tante persone, ognu- C’è stata una considerazione o re e fare i progetti come quando
na con la sua storia e che sanno commento particolare tra di voi? sei venuto tu; gli studenti ascolsorridere nonostante la loro Quello che ci hai detto della tano i genitori ma non si fanno
situazione. I momenti dei rac- Persona, che ognuno è importan- un’idea propria. Le mie compaconti poi erano i più particolari.
te, tante ragazze non l’avevano gne mi hanno raccontato che
Cosa ti portavi a casa la sera? mai sentito ed ha toccato molto.
a casa hanno parlato molto e si
È come essere in un altro Hai notato qualcosa di diverso sono confrontate con i genitori.
mondo. In bus senti le conver- nei vostri rapporti dopo?
Questo è molto importante.
sazioni della gente e ti viene Si certamente, abbiamo cambia- Ultimo pensiero per chi legge.
quasi da ridere per la differenza to il modo di relazionarci tra di Dire ciao ai pregiudizi ed al
dei problemi.
noi in classe. Poi, conoscendo la mondo che abbiamo conosciuPoi hai affrontato l’anno sco- storia di profughi, quello che si to, tutti sono importanti e non
lastico, ti sentivi diversa?
sente in tv ha preso un volto e siamo meglio degli altri, ognuno
Credo proprio di sì. Ho impara- non ci sono più solo numeri, ma ha la sua storia.
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Gruppo Scout della provincia di Vicenza
LA REALTÀ È RIUSCITA A SUPERARE
LE NOSTRE ASPETTATIVE. Siamo cambiati
Siamo tornati a casa e ci siamo
accorti che questa non è più stabile
e sicura come un tempo: per un po’
il sogno migratorio delle persone
che abbiamo incontrato è diventato anche il nostro, la loro preoccupazione la nostra, la loro stanchezza è risuonata dentro di noi tanto
quanto la loro incredibile tenacia.
Siamo tornati e ci siamo accorti
che quest’esperienza ha smosso
dentro di noi qualcosa d’importante, anche se forse ancora adesso
è difficile da spiegare. Una cosa
però è chiara: abbiamo la necessaria convinzione che siamo chiamati a partecipare, pur nel nostro
piccolo, al cambiamento epocale
che sta interessando, oltre che il
nostro Paese, l’umanità. Noi, gruppo scout della provincia di Vicenza,
dal 2 al 7 Agosto abbiamo deciso
di affiancare operatori e volontari nell’accoglienza dei profughi di
passaggio nelle stazioni di Bolzano
e Brennero, oltre che di quelli che,
nell’attesa di vedere accettata la
loro richiesta d’asilo, si trovano nelle
case di accoglienza di Bolzano e
Merano. Dai treni della stazione
sono scese e continuano a scendere centinaia di persone, alcune
con un solo sacchetto di plastica
in mano, altre, più fortunate con
qualche valigia; stremate dal lungo
viaggio, pronte a chiedere informazioni su cosa sarebbe accaduto di
lì a poco. Le prime volte al binario
anche per noi non sono state facili: non sapevamo come interagire
con loro, come farci capire, come
comportarci. Pian piano abbiamo
iniziato a comprendere che le cose
davvero utili erano poche: informa-
zioni chiare, sorrisi sinceri, qualcosa
da mangiare e qualche vestito pulito. Quello che siamo stati in grado
di offrire era molto poco, quasi un
nulla, ma quel poco sembrava abbastanza per rassicurare, tranquillizzare, far riprendere la forza e riaccendere la speranza per continuare il viaggio. I volti spaventati che scendevano dal treno si distendevano pian
piano e con il tempo si trasformavano in un sorriso stanco ma contagioso. Gesti per noi semplici, scontati,
quasi banali sono stati capaci di risollevare gli animi di quei viaggiatori
smarriti che spesso, la sera, parlando
tra noi, ci ritrovavamo a ricordare e
a sperare che il loro viaggio fosse
andato per il meglio, che i ragazzi come noi, gli uomini, le madri, i
bambini, le famiglie viste durante
il giorno avessero trovato un rifugio dignitoso in qualche posto. Nelle
case di accoglienza, invece, abbiamo
riordinato magazzini, tagliato siepi,
sistemato vestiti, servito cibo e altre
piccole cose. Sì, possiamo dire d’aver
faticato, ma senza l’aiuto dei richiedenti asilo il nostro lavoro sarebbe
stato di gran lunga molto più faticoso, più noioso e meno appagante. Tra un compito e l’altro abbiamo
avuto modo di parlare con persone
di culture diverse, fermarci ad ascoltare le loro storie ed i loro sogni e
raccontare i nostri. Abbiamo avuto
modo di scoprire e farci scoprire, di
osservare e farci osservare, perché
non esiste dialogo che sia in un’unica direzione. Ad oggi ci sentiamo
di dire che la nostra esperienza a
Bolzano non ci ha fatti sentire solamente soddisfatti, ma anche stravolti, emozionati e talvolta fin troppo coinvolti. Il caldo di quei giorni
mischiato al portamento stanco dei
migranti della stazione, la loro tacita
speranza impigliata nella paura, ci
hanno fatto vivere quei momenti
con un’intensità che si conosceva
solo da bambini, senza distrazioni,
con un’attenzione focalizzata sulla
ricerca di comunicazione soprattut-
to non verbale. E’ questo, insieme
ai racconti che abbiamo ascoltato,
ai “grazie” che abbiamo ricevuto da
volontari, profughi ed operatori, ai
piccoli servizi che ci sono stati affidati, che ci ha aiutati a cambiare:
pian piano, durante la settimana,
abbiamo iniziato a sentire un calore
diverso che correva veloce fino al
cuore, delle emozioni che ci colpivano senza più lasciarci la possibilità di
bloccarle. L’hic et nunc, il qui ed ora
in cui siamo stati immersi ci ha fatto
percepire la vera essenza di quel
che sta accadendo. Assuefatti dai
tanti (troppi) numeri di telegiornali,
quotidiani, annunci grazie ad un’esperienza così intensa ci siamo, forse
minimamente, resi conto del fatto
che, dietro ai numeri, ai tassi d’immigrazione, alle statistiche, alle paure,
ci sono persone. Con la disperazione
che annegava i loro occhi profondi,
la stanchezza che ovattava i loro
sorrisi e la scabbia che imbiancava
le loro mani; persone, con visi, storie,
idee, progetti e sogni degni di essere ascoltati. Siamo partiti con una
gran voglia di dare una mano e di
curiosare un po’ più da vicino ciò
che l’informazione di massa ci propone con una frequenza da brividi.
E ancora, quasi come da bambini, la
realtà è riuscita a superare le nostre
aspettative.
Siamo cambiati perché ora guardiamo il problema, se di problema davvero si tratta, con occhi completamente nuovi: leggendo un articolo
di giornale ci si stringe lo stomaco,
sentendoci vicini al dolore che ci è
stato raccontato, che segna la pelle e
gli sguardi delle persone che abbiamo incontrato. E quei treni, possibilità di trasporto per noi quotidiana, appaiono ora ai nostri occhi in
modo diverso: vagoni di speranza
per migliaia di persone che vogliono
arrivare in Europa, dopo aver lasciato la loro terra, per trovare un po’ di
pace e per poter ricominciare, finalmente, una nuova vita.
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BRESCIA, LUCIA E...
L’impegno della cittadinanza bolzanina, delle tante associazioni coordinate da Volontarius e l’attenzione che
l’ente pubblico pone alle persone in transito, in fuga da pericoli e povertà, non passa inosservato. Abbiamo
ricevuto, in questi ultimi mesi, moltissimi giornalisti che da tutta Europa volevano vedere e capire, ripartendo
con immagini di ordine, di accoglienza ed avendo constatato come il pensiero forte Volontarius, “ogni persona
è importarne ”, possa essere espressione di concretezza e realtà. Ma succede anche di più. Abbiamo ricevuto
una offerta di aiuto da alcune ragazze che a Brescia hanno avuto una bellissima idea, si sono attivate e...:
“Lanciata senza particolari aspettative, la raccolta
di viveri e vestiario organizzata da L. e M., due
ragazze bresciane, ha suscitato una grande ondata di solidarietà lungo tutta la provincia di Brescia.
Molti giovani, fra i 15 e i 20 anni, si sono offerti
volontari per aiutare nella raccolta e in tre giorni
sono stati riempiti quattro furgoni grazie al contributo di più di 150 persone e di due aziende locali.
Così, al posto della macchina con cui pensavano
di salire a Bolzano, sabato 12 settembre una delegazione di 8 persone ha portato i quattro furgoni
colmi di alimenti di primo consumo, vestiti e tanta
gratitudine ed entusiasmo per essere riusciti a
essere, nel piccolo, almeno un po’ utili. “
Il nostro grazie è davvero sentito e ci da forza e ancor più convinzione per proseguire nell’impegno di riconoscere
la novità che questo momento storico ci presenta e offrire ad ogni persona, in qualsiasi luogo del mondo, la dignità di poter vivere dentro relazioni vere, attraverso le quali saper organizzare ogni gruppo sociale tenendo al centro
del pensiero il ” valore di ogni singola persona ”.
Assistenza umanitaria per profughi - Stazione di Bolzano
A CHI SI RIVOLGE?
Profughi in transito alla stazione di Bolzano
PUNTI OPERATIVI:
Stazione di Bolzano
OBIETTIVI:
Offrire un servizio umanitario di ristoro temporaneo , informazione ed orientamento. Il servizio
è svolto con la stretta collaborazione degli enti River Equipe, Caritas, Croce Rossa Italiana, Rete
dei diritti senza Voce, Fondazione Alexander Langer, Associazione San Vincenzo, AiBi e tanti privati cittadini che volontariamente ed in forma autonoma sostengono le attività del servizio per
una presenza continua presso la stazione ferroviaria.
SOSTIENI:
Si ricercano urgentemente prodotti alimentari (tonno, merendine, succhi di frutta monodose, pane fresco, latte, frutta, pane da toast ), bicchieri e tovaglioli, medicinali (unicamente tachipirina, sciroppi tosse e cerotti ), coperte, assorbenti - salviette umidificate in confezioni piccole,
mutande da uomo, mutande da donna. È possibile sostenere il progetto con donazioni inserendo nella causale “FS BZ”, maggiori dettagli sulle
diverse modalità alla sezione ‘come aiutarci’ Si cercano inoltre volontari, per candidarsi vai al Form Volontariato e potrai inserire direttamente la tua disponibilità di servizio per l’iniziativa
al LINK indicandone i Turni.
CONTATTI:
Tel. 0471/402338 (tasto 5) | E-mail: [email protected] | Referenti: Daniela De Blasio & Andrea Tremolada
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0471 402338 – Tasto 4
www.volontarius.it
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