Report integrale sulle interviste a 250 donne
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Report integrale sulle interviste a 250 donne
Babygirls - boomers e tecnologie dell’informazione Come le donne vivono le tecnologie informatiche A cura di Rita Bencivenga 2 Provincia di Genova Il progetto CIAO!Women (225348-CP-1-2005-IT-GRUNDTVIG-G1) ha ricevuto il supporto finanziario dalla Commissione delle Comunità Europee: Direzione Generale dell'Istruzione e della cultura - Programma Socrates Azione Grundtvig 1. La presente pubblicazione rispecchia solamente il punto di vista dei Partners e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi utilizzo delle informazioni ivi contenute. Nota: il contenuto di questo documento può essere riprodotto liberamente, citando la fonte. Riferimento da citare: Tratto da: “Babygirls-boomers e tecnologie dell’informazione. Come le donne vivono le tecnologie informatiche “ A cura di Rita Bencivenga. Progetto CIAO!Women, cofinanziato dal Programma Socrates dell’Unione Europea, Azione Grundtvig 1. Pubblicazione della Provincia di Genova, 2007. Edizione Fuori Commercio. Questo documento e gli altri prodotti del progetto CIAO!Women possono essere liberamente e gratuitamente scaricati dal sito web: www.ciaowomen.org Il logo di CIAO!Women è stato realizzato da Gabriella Ventaglio. 3 Direzione e coordinamento dei gruppi di ricerca Studio Guglielma. Ricerca e creazione sociale Direzione e coordinamento: Università di Verona, Antonia De Vita Ricerca e coordinamento: Lara Corradi Coordinamento generale della ricerca e dei gruppi di lavoro: Rita Bencivenga 4 Il team di intervistatrici Sei intervistatrici hanno intervistato 253 donne di età compresa fra i 35 e i 55 anni. Senza il loro prezioso lavoro il report non esisterebbe. Ecco i loro nomi: Ivita Dambeniece, Riga, Lettonia [email protected] Marinela Festas, Èvora, Portogallo [email protected] Vicência Maio, Èvora, Portogallo [email protected] Birgitte Nielsen, Aabenraa, Danimarca [email protected] Lia Orzati, Genova, Italia [email protected] Virjinia Petkova-Tasheva, Sofia, Bulgaria [email protected] 5 6 Origine del progetto: comunicare online Rita Bencivenga Il progetto Ciao!Women ha avuto origine da un Partenariato di Apprendimento1 intitolato CIAO! - Communication via It for Adults Online.2 Due incontri, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, hanno portato all’ideazione del progetto CIAO! Il primo incontro nell’Ottobre del 2000 con Derrick De Kerckhove3 che, durante una conferenza, ha suggerito al sindaco di Rimini di installare alcuni schermi giganti nelle strade della città, di collegarli con analoghi schermi in altre città del mondo, e di tenerli accesi 24 ore al giorno, anche per mesi, per far sì che posti lontani potessero vivere uno accanto all’altro e le persone potessero vedersi e interagire. 1 Un Partenariato d’apprendimento Grundtvig prevede attività di cooperazione tra organizzazioni impegnate nel campo dell’educazione degli adulti. 2 Il Partenariato ha avuto una durata di tre anni, dal 2001 al 2004, ed è stato cofinanziato dal Programma Socrates, azione Gruntvig 2 (Partenariati di apprendimento). 3 “La pelle della cultura” di Derrick De Kerckhove. Convegno “La bussola di Sindbad” Geografie umane del dialogo: onorare la saggezza, arricchirsi con le diversità. XXVI edizione delle Giornate Internazionali di studio Centro ricerche Pio Manzù - Rimini 28-30 ottobre 2000 www.piomanzu.com 7 Il secondo, nel Novembre 2000 ad Amsterdam, ci ha fatto conoscere gli esperimenti di Sugata Mitra4, che in India ha posizionato, senza preavviso, alcuni chioschi multimediali collegati a Internet in zone poverissime, popolate da bambini e adolescenti che non sanno né leggere né scrivere, e ha dimostrato, videoregistrando quanto succedeva nei primi giorni che, senza che ci fosse nessuna interferenza da parte di “esperti” e senza alcun percorso di apprendimento formale o non formale, i bambini scoprivano rapidamente come navigare in Internet e memorizzavano percorsi di navigazione utili a ritornare sui siti preferiti anche a prescindere dal testo scritto. Alcuni mesi dopo, nel gennaio 2001, si è svolto a Manchester, UK un incontro organizzato dalla locale agenzia Socrates, cui hanno partecipato enti e organizzazioni interessati a presentare progetti nell’ambito dell’Azione Grundtvig 2, Partenariati di apprendimento. Un gruppo di partecipanti inizialmente composto da cinque Partner5 ha trovato interessante l’idea di tentare di far comunicare persone che 4 “India, the Internet, and Non-Invasive Education” di Sugata Mitra. Convegno “Doors 6: Lightness” RAI Convention Centre, Amsterdam, 11 – 13 Novembre 2000. www.doorsofperception.com. Nel 2006, Mitra ha pubblicato il seguente Research Report (disponibile in Internet alla pagina http://mitpress.mit.edu/journals/pdf/ITID0204_pp041-060.pdf ) DANGWAL, JHA, A Model of How Children Acquire Computing Skills from Hole-in-the-Wall Computers in Public Places. © 2006 The Massachusetts Institute of Technology Information Technologies and International Development. Volume 2, Number 4, Summer 2005, 41–60 5 Il primo anno il Partenariato era composto da: Associazione Alfabeti, Genova, Italia; Ridge Danyers College, Hibbert Lane, Marple, Stockport, United Kingdom; Action for Blind People, Carlisle, United 8 abitano in Paesi diversi, che non si conoscono, che non hanno necessariamente un interesse verso l’uso di tecnologie per comunicare o una anche minima conoscenza diretta di Internet e delle possibilità che offre. Incoraggiare l’educazione lungo l’arco della vita attraverso le nuove tecnologie: è un tema attuale, di cui si sente parlare e si legge quotidianamente. L’offerta formativa è vastissima, le possibilità sembrano moltissime ma, a ben guardare, cosa sappiamo delle persone adulte che, senza una conoscenza dell’uso del computer o di Internet, dovranno o vorranno, per motivi lavorativi o legati ad interessi personali, arrivare prima o poi ad usare degli strumenti tecnologici per comunicare? Chi si iscrive ai corsi di alfabetizzazione informatica o di riqualificazione professionale ha già compiuto una parte di percorso: sa (o pensa di sapere) cosa affronterà, ha idea degli usi che potrà fare di ciò che apprenderà. A noi invece interessava raggiungere coloro che non hanno dimestichezza con l’uso di tecnologie, con un’attenzione particolare alle donne, per poter scoprire che idea si sono fatti della possibilità, ad Kingdom; Ikaalinen Adult Education Institute, Ikaalinen, Finland; Teachers Resource Center, Aarhus, Denmark. Il secondo e terzo anno il Partenariato era composto da: Associazione Alfabeti, Genova, Italia; Ridge Danyers College, Hibbert Lane, Marple, Stockport, United Kingdom; Teachers Resource Center, Aabenraa, Denmark; Znanie Association, Sofia, Bulgaria, Future Capital Foundation, Riga, Latvia. 9 esempio, di comunicare via Internet, scoprire i loro timori, dubbi, aspettative non importa se realistici o no. Per poter parlare con queste persone, difficilmente identificabili, abbiamo deciso di portare delle postazioni multimediali in posti frequentati dai cittadini per le finalità più diverse (acquisti, svago, spesa quotidiana) e di collegare online i Paesi che partecipavano al progetto, in modo da dare alle persone l’opportunità di interagire, di scambiare due chiacchiere sul tempo o sugli acquisti fatti, in tutta libertà. Abbiamo deciso di privilegiare piccoli negozi, supermercati, bar, centri ricreativi ecc., lasciando la scelta ai Partner del progetto ma concentrandoci in ogni caso su posti di solito frequentati con regolarità per ragioni legate alle attività della vita quotidiana. Unico vincolo posto è stato quello che le sedi prescelte fossero accessibili a persone disabili. L’idea iniziale era quella di lasciare le persone libere di interagire e di chiedere loro in un secondo momento di rispondere ad alcune domande volte ad esplorare la loro percezione dell’uso di tecnologie. Pensavamo che l’analisi delle interviste, unita all’osservazione di quanto sarebbe successo durante i collegamenti, ci avrebbe permesso di ottenere dati utili a identificare con quale terminologia, secondo quali modalità, con quali scopi prioritari offrire dei corsi sulle tecnologie e il loro uso. 10 La ricerca dei locali in cui installare le postazioni ha portato a identificare a Genova, Italia, un negozio che vende articoli per la casa e la cucina, le cui proprietarie si sono interessate al progetto e l’hanno visto anche come veicolo pubblicitario per il loro negozio, offrendo quindi la massima disponibilità (tramite segnalazione dell’evento sul sito web del negozio, invio all’indirizzario dei clienti di una lettera che descriveva l’iniziativa, contatti con i giornali ecc.). In Finlandia, l’associazione Partner del progetto situata in una cittadina abbastanza piccola aveva nel frattempo identificato come punto di riferimento il supermercato locale. In base agli orari e ai giorni di apertura dei due negozi e al fuso orario diverso (un’ora in più in Finlandia rispetto all’Italia) si è deciso un collegamento di sei ore al giorno, dalle ore 10.00 alle 16.00. Ai fini della buona riuscita dei lavori abbiamo valutato importante che fosse presente qualcuno per facilitare l’interazione fra le persone, in grado di tradurre dall’italiano in inglese e viceversa, ma anche dal finlandese all’italiano e viceversa, per coloro che non parlano inglese. Grazie ad un contatto con il consolato Finlandese a Genova, avviato per pubblicizzare il progetto e segnalarlo a persone Finlandesi residenti a Genova, è stato possibile trovare una studentessa finlandese, in Italia per motivi di studio e lavoro, che si è prestata ad aiutare l’interazione fra i clienti dei due negozi. Nei due mesi precedenti il collegamento abbiamo scambiato (via Internet) foto dei rispettivi negozi che sono state usate per creare dei 11 tabelloni che aiutassero a illustrare il progetto durante i giorni dell’incontro online. Inoltre, tramite posta normale, sono stati scambiati depliant e brochure turistici (Genova e la Liguria da un lato, Ikaalinen e la Finlandia dall’altro) che sono stati anch’essi messi a disposizione nei negozi. Le prove tecniche sono durate circa tre ore, per il collegamento si è deciso di utilizzare Messenger di Hotmail, aprendo due indirizzi email per i rispettivi negozi e utilizzandoli per il collegamento. Nel frattempo sono state preparate le domande per le interviste, che sarebbero state registrate: ci interessava infatti essere certi delle parole utilizzate dalle persone in quanto avrebbero costituito un elemento importante per l’organizzazione dei corsi sulle Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione (TIC), permettendo di tenere presente la terminologia familiare a chi non ha conoscenza nell’uso dei computer o di Internet. La tipologia dei due negozi ha fatto sì che la maggior parte delle persone intervistate fossero donne e le interazioni sono state numerose, anche se, in entrambi i Paesi, è stato necessario stimolare le persone, in quanto spontaneamente erano restie a chiedere informazioni o ad avvicinarsi ai computer. Per quanto riguarda le interviste, invece, abbiamo riscontrato la massima disponibilità. 12 Una seconda settimana di collegamento si è svolta qualche mese dopo, fra Genova e un piccolo supermercato in Danimarca che si trova a Lindeballe, un piccolo centro ad un’ora di macchina da Aarhus.. Il negozio serve una comunità di circa cento famiglie, sparse nella campagna circostante. La direttrice del negozio ha creato in un locale adiacente al supermercato un punto di ristoro dove i clienti possono sedersi a chiacchierare e a bere qualcosa in occasione delle visite al negozio. Il locale è attrezzato con due postazioni Internet che i clienti possono utilizzare gratuitamente. Dal momento che l’afflusso al negozio danese era ovviamente molto minore rispetto al supermercato finlandese, abbiamo deciso di effettuare questa volta un collegamento di durata più breve (due ore al giorno) ma focalizzato a delle attività di scambio informazioni. Naturalmente, vista la tipologia di negozi e la clientela di entrambi, la scelta è caduta sullo scambio di ricette e informazioni sulle rispettive cucine locali. A seguito di difficoltà con il collegamento video, durante la seconda settimana abbiamo attivato solo i contatti via testo, cosa che ha sorprendentemente avuto una ricaduta positiva, in quanto le persone si sono sentite molto più libere di interagire e molto meno bloccate dalle difficoltà legate all’uso della lingua inglese. Grazie alla collaborazione con i partner danesi, che avevano una persona presente al negozio ed un’altra negli uffici dell’Istituto e alla sollecita preoccupazione del coordinatore inglese del progetto, che si 13 collegava quotidianamente per avere informazioni, si sono creati momenti di scambio molto divertenti per tutti. Le persone chiacchieravano fra loro nei due negozi, le ricette venivano inviate sotto forma di files via Messenger, con le webcam scattavamo fotografie dei clienti che interagivano e inviavamo le loro foto durante la conversazione, in modo che le persone vedessero con chi stavano parlando, contemporaneamente il partner Danese, in ufficio, aggiornava in tempo reale le pagine del sito web, inserendo le ricette, le foto, le schermate con le conversazioni. Il coordinatore inglese, che si collegava dal suo ufficio tutti i giorni per avere informazioni sui problemi tecnici, ha deciso che, dal momento che era in corso uno scambio di ricette, tanto valeva metterle a disposizione anche dei colleghi, così le stampava e appendeva nella bacheca dell’Istituto... Quando un ingrediente era poco noto, facevamo una ricerca in Internet per trovare delle foto e inviarle, quanto il nome di un attrezzo di cucina era intraducibile scattavamo una foto e la mandavamo in rete. Alla fine della settimana, avevamo raccolto altre interviste, cucinato piatti nuovi, visto le foto delle persone con cui avevamo chiacchierato, promesso chiarimenti e altre ricette per le settimane successive. 14 Le interviste che hanno portato al progetto CIAO!Women Abbiamo deciso di porre poche domande e di lasciare parlare liberamente le persone, registrando quando dicevano e trascrivendolo fedelmente. Ci interessava la terminologia usata da chi non ha confidenza con il web e volevamo che le persone fossero libere di esprimere liberamente aspettative, dubbi, preoccupazioni. Domande 1) Usa Internet? Se NO: 1b) Cosa pensa si possa fare con Internet? 2b) Che cosa le interesserebbe fare con Internet? 3b) (In base a ciò che sa) c’e’ qualcosa che teme, che la lascia perplesso/a o non le piace o trova poco interessante? 4b) Intravede delle difficoltà, se incominciasse ad utilizzare Internet? Quali? Se SI: 1a) Per cosa lo trova utile e/o interessante? 2a) C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in Internet? 3a) Ha incontrato delle difficoltà iniziali nell’utilizzo di Internet? 15 4a) C’è qualcosa che le piacerebbe fare con Internet e che ancora non fa - perché non è capace o non sa se sia possibile? Con alcune persone, al termine dell’intervista, è stato possibile avviare una conversazione a proposito delle possibilità offerte da Internet, mostrare loro alcuni siti legati a temi che trovavano interessanti (in genere musei, siti di cucina e di viaggio). Durante le due settimane sono state raccolte 51 interviste: Donne Uomini Totali 39 12 Età 26/85 28/66 Usano Internet 26 10 36 2 15 Non usano Internet 13 51 Analisi delle interviste di CIAO! 6 In totale, quindi, cinquantuno interviste: 15 persone (di cui 13 donne) hanno dichiarato di non saper usare Internet e 36 (10 uomini e 26 donne) di saperlo usare anche se quasi tutte le donne chiariscono che sono agli inizi o lo usano poco. 6 Chi fosse interessato a leggere i report integrali del progetto CIAO! Li potrà scaricare dai link presenti sulla home page del sito www.studiotaf.it 16 Il fatto di avere molte interviste realizzate con donne è stato positivo, ai fini di quanto ci interessava indagare. É noto come in generale le donne che usano Internet siano in numero inferiore agli uomini e come, di conseguenza, molti siti e molti servizi prevedano un target in prevalenza maschile. Chi non usa internet Donne Le 13 donne che dichiarano di non usare Internet segnalano, fra ciò che pensano si possa fare con Internet, le cose più svariate, esprimendo spesso l’idea di utilità del mezzo e l’enorme vastità di argomenti e servizi disponibili. Quanto indicato nella prima risposta viene in genere rispecchiato nella seconda, in cui viene chiesto di specificare cosa interesserebbe loro in modo particolare: fra i temi indicati, arte, medicina e salute, medicina olistica, ricerca di informazioni, gestioni di conti correnti bancari online, “conoscere parti del mondo lontane, parlare con persone che vivono in maniera diversa dalla mia”, “prima di tutto chattare con i miei parenti che sono lontani, all’estero”. Poi “andare sui giornali del mio paese”, “prendere le informazioni che mi interessano”, informazioni sui viaggi. Una sola intervistata esprime un parere negativo, “ritengo di avere già abbastanza cose che mi creano problemi, non mi sembra il caso di aggiungerne un’altra” ma la 17 persona segnala nelle altre risposte di non essere un’amante della tecnologia, ma piuttosto una “fautrice della manualità” e segnala che comunque non pensa che incontrerebbe difficoltà nell’apprendere l’uso di Internet e delle tecnologie collegate. Tra i timori e le perplessità vengono segnalate la solitudine, legata anche al telelavoro visto come mancanza di contatti con i colleghi, o, al contrario, “Che invada la famiglia e tolga tempo da dedicare alla famiglia”, anche se altre voci, forse più realisticamente, indicano come pericoloso l’uso eccessivo, non l’uso in sé. I temi della privacy vengono affrontati: “non mi preoccupa che sappiano che sto visitando quel particolare sito” o, al contrario, “Ho paura per la privacy, ho proprio l’ossessione di essere controllata” oppure “Invade troppo la vita privata: c’è troppa conoscenza di tutto e di tutti, uno si sente osservato”. Una sola intervistata esprime dubbi circa l’uso della carta di credito, due preoccupazioni per i rischi che possono correre i bambini e una esprime perplessità in merito ai siti pornografici. In merito alle difficoltà che si potrebbero incontrare nell’apprendere l’uso di Internet, cinque donne citano difficoltà nei confronti degli aspetti tecnici oppure cognitivi, alcune parlano di pigrizia, più che di difficoltà oggettive, sei hanno idee positive a riguardo. Una sola donna cita difficoltà nella matematica e nel calcolo, cosa che pensa potrebbe ostacolarla. 18 Uomini I due uomini che dichiarano di non saper usare Internet fanno riferimento entrambi all’interesse che potrebbe rivestire per il loro lavoro e uno cita la possibilità di chattare. Non segnalano timori o preoccupazioni ed entrambi hanno aspettative positive riguardo ad apprendere l’uso. Chi usa Internet Donne Ventisei donne dichiarano di saper usare Internet, ma la maggioranza specifica di avere competenze limitate. La prima domanda era “Per cosa lo trova utile e/o interessante?” Una risposta riassume le altre: “Tutto: documentarsi, leggere, informarsi, lavorare, comunicare, capire, qualsiasi cosa…” In effetti, a fronte di dichiarazioni iniziali di una scarsa competenza, la gamma di attività che viene indicata è molto ampia, con punte su argomenti quali l’arte, i viaggi, o, naturalmente, l’uso per motivi di lavoro. La seconda domanda (C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in Internet?) era, come le altre, volutamente generica e in nessun modo sono stati dati suggerimenti alle persone o è stata attirata la loro attenzione su temi specifici. “Lo uso solo per lavoro, perché non ho tempo, cerco di andarci il meno possibile. Non mi interessa 19 assolutamente stare dietro al computer, non sono una che si perde a navigare, cerco quello che mi serve e basta” oppure “Internet non mi piace e non lo uso per scelta: lo trovo freddo, non dà nessun tipo di rapporto umano, trovo che non sia comunicativo. La comunicazione via e-mail è fredda, essenziale, non è più lo scritto”, sono due esempi di commenti negativi, ma costituiscono la netta minoranza. Per il resto, solo una intervistata cita problemi legati alla privacy (essere “visti” quando si entra nei siti), due segnalano timori legati a problemi tecnici, cinque affrontano il tema pedofilia/pornografia, e tre parlano esplicitamente di fastidio nei confronti di immagini di donne nude o quasi che si incontrano un po’ in tutti i siti. Due donne segnalano il fastidio di trovarsi in siti che cambiano spesso immagine, o in cui si ha la sensazione di essere mandati da un link all’altro, con finestre che si aprono automaticamente. La terza domanda era relativa alle difficoltà iniziali incontrate nell’uso di Internet. 13 intervistate hanno segnalato di non aver avuto o di aver avuto pochi problemi e di non avere quasi incontrato difficoltà. Ovviamente andrebbe approfondito con queste persone il tipo di uso che fanno in modo da comprendere meglio se si tratta di un’effettiva facilità oppure di un uso limitato delle possibilità offerte da Internet. Poche donne citano programmi o aspetti specifici, la maggior parte fa riferimenti ai sistemi di posta elettronica e ai motori di ricerca. Le difficoltà nelle ricerche, in particolare nell’utilizzo dei motori di ricerca, sono quelle più segnalate. 20 Esempio “Un po’ sì: mi ha creato difficoltà il fatto che venga dato questo spettro amplissimo di possibilità, per cui uno deve ridurre, e poi ridurre ancora. Se fosse possibile avere due o tre coordinate più specifiche immediatamente e non dover fare sette o otto passaggi per arrivare proprio a quello che si cerca. Se fossero un po’ più semplici nella selezione sarebbe molto meglio, perché si perde molto tempo.“ Paradossalmente, donne che hanno dichiarato di essere agli inizi e di avere poca competenza, danno poi descrizioni abbastanza complesse delle difficoltà che incontrano nel fare ricerche. Alcune affermazioni meriterebbero un approfondimento perché potrebbero essere utili nel diffondere una comunicazione più realistica in merito a Internet “mi spaventa tutto ciò che è tecnologico, anche se mi rendo conto che è estremamente utile. Io sono più creativa che tecnologica, quindi preferisco non sviluppare troppo [questo aspetto]”. La quarta domanda “C’è qualcosa che le piacerebbe fare con Internet e che ancora non fa - perché non è capace o non sa se sia possibile?” avrebbe potuto dare spazio a proposte creative, a idee magari originali. Due intervistate citano l’interesse a imparare a realizzare un sito, un’altra cita il software Acrobat Reader, le altre segnalano di non avere interessi particolari, anche se molte pensano che ciò sia dovuto a una scarsa conoscenza del mezzo. 21 Uomini Alla prima domanda (Lei usa Internet?) le risposte sono in genere più concise rispetto a quelle date dalle intervistate. Fra gli usi citati, prevalgono l’uso di posta elettronica e i file musicali, oltre naturalmente all’uso prettamente lavorativo. Alla seconda (C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in Internet?) un solo intervistato cita i siti pornografici, due le difficoltà d’uso dei motori di ricerca, una sola persona fa una critica a un certo tipo di utilizzo “Non mi piace la gente che finalizza il tempo libero all’uso di Internet o del computer in generale”. Un aspetto che differenzia notevolmente le risposte maschili da quelle femminili è il fatto che gli uomini citano, usando una terminologia corretta, problemi più tecnici “cookies”, “spamming”, “trading online”, “firme elettroniche standard”, “firewall”. Va ricordato il fatto che molte donne intervistate dichiaravano di essere agli inizi nell’uso di Internet, quindi certamente sono meno a conoscenza di aspetti più sofisticati, certamente, però, quando gli stessi problemi vengono citati, la terminologia per descriverli è diversa. Solo una persona cita difficoltà nell’apprendimento dell’uso di Internet, in risposta alla terza domanda. La quarta domanda, ricordiamo, era “C’è qualcosa che le piacerebbe fare con Internet e che ancora non fa perché non è capace o non sa se sia possibile?” A questa domanda la maggior parte degli intervistati ha collegato la risposta ad un uso lavorativo, creare siti per presentare la 22 propria attività, risparmiare viaggi di lavoro, lavorare da casa. In genere si avverte una generale fiducia circa il fatto che, anche se non si conosce qualcosa, nel momento in cui si dovesse decidere di apprenderlo, non ci sarebbero problemi. Conclusioni Nel condurre le interviste volevamo evitare di creare delle gabbie che costringessero le persone a dare risposte limitate. Non sapevamo quali nostri eventuali preconcetti avrebbero potuto filtrare nelle domande. Il numero ridotto di interviste non ha offerto grandi possibilità di analisi, ma ci ha offerto alcuni spunti di riflessione. - Innanzitutto sarebbe importante condurre delle ricerche approfondite, con strumenti e risorse adeguati, al fine di indagare sulla percezione che hanno di Internet gli adulti che non hanno particolari conoscenze nel settore. Una certa uniformità nelle risposte, specie da parte di chi non conosce Internet, ci ha fatto desiderare di poter analizzare più in dettaglio certe affermazioni, mutuate apparentemente da informazioni che circolano sui mass-media, inevitabilmente generiche e confuse, sia in senso positivo che in senso negativo. L’impatto che i mass-media possono avere nel promuovere un uso realistico e consapevole di Internet è notevole. Sarebbe auspicabile arrivare a definire delle “buone prassi” sensibili ai discorsi di genere. - La sensazione generale che affiora nella lettura delle interviste è quella di un approccio positivo, di grande interesse e disponibilità nei 23 confronti di Internet. Anche la sensazione di facilità nell’uso sembra essere diffusa: ma potremmo chiederci se si tratta di una facilità reale legata a una effettiva usabilità o non, piuttosto, ad un uso generico, che, vista l’abbondanza dell’offerta, “si accontenta” rinunciando ad affrontare alcune difficoltà che si incontrano in un uso più approfondito o specifico. All’inizio del nostro percorso ci eravamo domandati: nell’ottica di elaborare proposte formative, siamo certi di conoscere le esigenze e gli interessi di adulti ancora lontani dal mondo di Internet? Siamo certi che useremo una terminologia, che ci focalizzeremo su modalità organizzative o di contenuto comprensibili, interessanti, in grado di “agganciare” i futuri corsisti? Dopo aver analizzato le interviste (nel corso del secondo anno del Partenariato CIAO!), abbiamo ritenuto opportuno proseguire sulla nostra strada continuando a parlare con le persone e chiedendo loro di raccontarci le loro sensazioni, paure, timori. Nuovamente, il materiale raccolto ci ha offerto lo spunto per riflessioni interessanti, ed ha arricchito le nostre attività professionali e il nostro rapporto personale con il computer. Gli spunti e le idee raccolti nel corso dei tre anni di lavoro ci hanno stimolato ad ipotizzare un progetto di più ampio respiro, che abbiamo deciso di intitolare CIAO!Women, in quanto rivolto interamente alla percezione che le donne hanno delle tecnologie informatiche. 24 Donne e tecnologie Rita Bencivenga Il progetto CIAO! WOMEN è volto ad indagare i bisogni educativi specifici di donne adulte in relazione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). É necessario ideare approcci innovativi capaci di rispondere al bisogno crescente di facilitare l’accesso di donne che lavorano o che sono fuori dal mercato del lavoro (per scelta personale o per motivi familiari) a percorsi educativi: • tagliati su misura dei loro desideri specifici; • rispondano ai loro bisogni; • non necessariamente siano mirati ad un uso lavorativo. D’altra parte, la rivoluzione informatica non può mantenere o peggiorare le disuguaglianze di genere, nè le disuguaglianze esistenti possono permanere alla base di presunte abilità differenti di donne e uomini nei confronti della tecnologia. Considerazioni generali Le numerose ricerche sulla relazione fra donne e tecnologie condotte nell’ultima decade in numerosi paesi europei ed extraeuropei hanno 25 dimostrato il bisogno di smantellare lo stereotipo infondato di una distanza fra le donne e la tecnologia. Però se consultiamo, per fare solo un esempio, il Glossary Of Adult Learning In Europe, a cura dell’European Association for the Education of Adults (EAEA), e dell’UNESCO Institute for Education (UIE), Hamburg, 1999, con il supporto della Commissione Europea, Programma Socrates Programme, troviamo che esso non contiene termini come "gender", "donne", "discriminazione di genere". Sfortunatamente la nostra esperienza ci dice come ciò non sia dovuto al fatto che non vi sono aspetti specifici da considerare in relazione al tema donne e apprendimento, ma alla mancanza di consapevolezza di queste specificità, mancanza che spesso si traduce in conseguenze negative per le donne. Non prendere in considerazione un problema non significa che tale problema non esista. Inoltre concetti come “computer indossabili”, “artefatti nella cocostruzione di identità”, “penetrazione della tecnologia informatica negli oggetti della vita quotidiana”, “identità multiple e differenziate”, ecc. sono tutti temi di attualità per i cosiddetti “esperti”, ma sono ancora lontani dai classici schemi educativi per adulti, donne in particolare. Infine, mentre poche applicazioni tecnologiche sono disegnate tenendo conto di specificità di genere, le TIC possono indirettamente 26 avere effetti profondi sui ruoli di genere, l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne. Tenendo presente tutto ciò, ci siamo poste le seguenti domande: • nella realizzazione di percorsi formativi, siano essi formali o no formali, per un target femminile, siamo in grado di capire i bisogni e gli interessi di chi è ancora lontano dal mondo della tecnologia informatica? • Sappiamo usare una terminologia che abbia un senso alle orecchie dei destinatari? • Corriamo il rischio di presentare i corsi e le attività formative in modi che siano appropriati solo per coloro che hanno confidenza con il mondo dell’informatica ma escludono coloro che non hanno questa familiarità e che non hanno neanche quelle conoscenze generiche comuni a tutti coloro che sono nati in un’epoca in cui i computer erano già parte della quotidianità? o E, soprattutto, c’è il rischio che gli stereotipi sulle relazione fra donne e tecnologie possano influenzare coloro che programmano attività educative? Abbiamo pertanto ritenuto importante fare ricerche più approfondite, usando strumenti appropriati, per investigare come donne adulte che non abbiamo conoscenze specifiche del “mondo delle TIC” lo percepiscono. Volevamo raggiungere che non hanno competenze specifiche per comprendere la loro idea delle TIC e poter di 27 conseguenza parlare un linguaggio che fosse in grado di stimolare il loro interesse. Non crediamo che il tipico corso di alfabetizzazione informatica sia in grado di suscitare questo interesse, m crediamo che sia possible basare i percorsi formativi su metodi e contenuti che promuovano una transizione dall’alfabetizzazione informatica alla comprensione di ciò che i computer e il loro uso rappresenteeranno nella vita di tutti i giorni nel giro di poco tempo. Una porta di accesso a questa soluzione ci sembra essere il fatto che è stato dimostrato come la computerfobia di molte donne fosse inizialmente legata alla mancanza di prodotti (hardware o software) che potessero interessare le donne in modo particolare. Cherry Turkle, docente di sociologia al MIT a Boston nel suol libro “La vita sullo schermo: Identità nell’era di Internet” è stata fra le prime a descrivere come le donne hanno iniziato ad avvicinarsi alle TIC quando hanno smesso di vedere il computer come uno stumento di programmazione e hanno iniziato a vederlo come un sistema capace di facilitare la comunicazione. Scopi del progetto CIAO!Women si inserisce in un percorso suggerito dal successo di pratiche sviluppate da donne nel settore dell’educazione degli adulti e sull’attivazione di processi di empowerment. 28 Un salto di qualità è necessario al fine di ottenere la qualità e le opportunità idonee a donne adulte per diminuire il gender digital divide. Il progetto ha tre scopi principali: 1) Sviluppare dei percorsi che facilitino la creazione di corsi che tengano conto di un’ottica di genere, 2) Contribuire a cambiare l’immagine delle donne adulte in relazione alle TIC agli occhi dei media, aiutandoli a superare un punto di vista obsoleto che, a giudicare dale interviste realizzate nel partenariato di apprendimento CIAO! (vedi capitolo precedente) non corrisponde alla realtà; 3) introdurre un approccio più avanzato alla formazione permanente nel campo delle tecnologie che faccia fare un salto di qualità rispetto ai corsi tradizionali ormai obsolete. Nei capitoli che seguono viene descritto il percorso di ricerca ed i suoi risultati: abbiamo identificato otto punti chiave da tenere presenti nella rflessione sui futuri percorsi formativi. 29 La mia ferramenta: le donne e i loro rapporti con le tecnologie informatiche Lara Corradi, Antonia De Vita Unione Europea e riflessione femminile: un rapporto difficile. L’Unione Europea ha ribadito più volte la necessità e l’opportunità di affrontare il tema delle pari opportunità e, aggiungiamo noi, della differenza di genere. Basta far riferimento al protocollo di Maastricht per vedere con quale enfasi la questione venga posta: infatti, da un lato si continuano a sostenere, anche attraverso azioni innovative rispetto al passato, le azioni positive e le misure di promozione della presenza femminile nell’istruzione e nel mercato del lavoro; dall’altro, si incentiva l’assunzione dell’approccio di mainstreaming in tutte le politiche attraverso l’integrazione sistematica della prospettiva di genere in ciascun asse d’intervento del Quadro Comunitario di Sostegno e dei singoli Programmi Operativi. Ma cosa significa, in pratica, tenere conto delle raccomandazioni dell’UE in relazione alle tematiche di genere e alla promozione delle Pari Opportunità? Quali criteri seguire nell’organizzare attività di progettazione, ricerca, valutazione, nello stilare questionari e nel realizzare analisi di bisogni per valorizzare gli aspetti legati al genere? Come conciliare le esigenze e le peculiarità di 30 tutti, donne e uomini, nelle varie attività che fanno parte di progetti di ricerca nel vasto campo della formazione e dell’educazione adulta? Al fine di farsi carico di questi quesiti e nel tentativo di individuare un percorso in grado di tenere aperta la questione senza schiacciarla in soluzioni veloci e semplicistiche che risulterebbero necessariamente riduttive e inefficaci, riteniamo sia importante trovare il modo di incrociare il sapere guadagnato dalla riflessione delle donne in questi ultimi due secoli in termini di uso del linguaggio, pratiche, e modelli di educazione adulta e di formazione, e le direttive europee sopra citate. Tale incontro appare nella sua assoluta necessità e importanza soprattutto se si pensa ai cambiamenti che l’ingresso massiccio delle donne ha comportato nel mondo del lavoro, dove si parla di femminilizzazione del lavoro e dove la forte presenza di imprese sociali, soprattutto a governo femminile, ha aperto nuovi scenari di cui non è più possibile non tenere conto. Il taglio epistemologico con cui abbiamo affrontato questo progetto ha posto dunque al centro, come base e punto di partenza, la categoria della differenza sessuale come paradigma non neutro nella creazione del pensiero, del discorso, dell’agire in educazione e nella formazione. Il pensiero della differenza sessuale ha mostrato in termini di riflessione teorica e di ripensamento di azioni e proposte la necessità di non neutralizzare la differenza femminile e maschile in un orizzonte emancipazionista, di parità tra uomini e donne che identifica 31 e schiaccia la libera espressione della differenza sessuale sulla discriminazione tra uomini e donne e sulla rivendicazione dei diritti. Indagando i meccanismi apparentemente neutri che stanno alla base dei dispositivi discorsivi della pedagogia e delle pratiche educative, riteniamo sia possibile far dialogare e interagire tra loro due mondi che altrimenti seguirebbero binari paralleli che difficilmente si incontrano. Ci interessa far dialogare i linguaggi e le pratiche politiche e sociali elaborate dalle donne negli ultimi trent’anni con i linguaggi e le pratiche istituzionali legati all’UE che hanno fortemente orientato e influenzato le politiche dirette alle donne. Ci auguriamo così di poter ottenere il risultato per noi forse più significativo: riuscire ad incrociare e far dialogare tra loro le buone prassi individuate da entrambi questi importantissimi attori sociali, per rendere più efficaci gli interventi futuri, relativamente alla ricerca, alla progettazione, alla formazione e all’educazione con e per donne con effetti positivi validi per orientare la formazione rivolta a donne e a uomini. La riflessione femminile tra Pari Opportunità e femminismo della differenza 32 Il femminismo7 vede la sua prima vera formulazione con la pubblicazione nel 1792 a Londra del libro Vindication of Right of Woman, scritto da Mary Wollstonecraft. Bisogna far riferimento al quadro culturale e teorico illuminista per comprendere il contesto entro cui questo testo nasce; infatti, l’autrice colloca le istanze di liberazione, parità sociale e politica delle donne nel più generale contesto del programma illuminista dei Diritti dell’Uomo. Scriveva la Wollstonecraft: “è ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne – è ora di restituir loro la loro dignità perduta – e di far sì che esse, come parte della specie umana, operino, riformando se stesse, per riformare il mondo”8. Da questa citazione appare evidente che ciò che viene rivendicato dalla Wollstonecraft è la possibilità per le donne di avere un ruolo attivo nel cambiamento della loro esistenza, un ruolo centrale nel migliorare una condizione socioculturale in cui non solo le donne non godevano di pari diritti e dignità rispetto agli uomini, ma erano anche, in nome della loro “naturale” inferiorità, escluse completamente dalla dimensione pubblica del sapere e del 7 L’uso del termine femminismo in questo contesto e con questa accezione va contestualizzato. Questo termine compare per la prima volta solo nel 1895 e quindi parlarne per un testo di fine Settecento risulta anacronistico. Tuttavia questa scelta si giustifica volendo riunire in un unico termine fasi storiche differenti, così come posizioni differenti e molteplici che negli ultimi decenni del Novecento sono risultate spesso in conflitto. L’impiego del termine indica dunque quel movimento di pensiero che si è sviluppato a partire da questo testo, facendosi carico della differenza sessuale come categoria ontologica dell’essere umano, ma che si è poi declinato in maniera differente a seconda dei Paesi e delle condizioni storico-culturali in cui si è sviluppato. 8 Mary Wollstonecraft, I diritti delle donne, Penguin, London 1992, p. 133. 33 potere che veniva invece riservata agli uomini, e relegate senza alcuna possibilità di scelta nella dimensione privata della cura e degli affetti, in cui la loro educazione e intelligenza non aveva alcun peso e quindi veniva trascurata. Partendo dalla semplice constatazione che “appartenere al sesso femminile, nascer donne piuttosto che uomini, significa trovarsi al mondo in una posizione di inferiorità, oppressione e svantaggio”9, la Wollstonecraft rivolge una critica molto dura e profonda alla vis,ione patriarcale della società a lei contemporanea, rea di giustificare e perpetrare una costruzione socioculturale che si basava e aveva il suo fondamento nella superiorità maschile e nella conseguente inferiorità femminile. In altre parole, ciò che l’autrice londinese criticava era la visione sessista del mondo, secondo cui “la differenza sessuale funziona come principio di discriminazione fra un sesso dominante e un sesso dominato”10, secondo cui il fatto stesso che il genere umano sia fatto di uomini e di donne giustifica di per sè il ruolo di dominio del sesso maschile a scapito di quello femminile, ritenuto inferiore e debole. Tuttavia, sarebbe un errore ritenere che il sessismo criticato dalla Wollstonecraft alla fine del Settecento fosse una caratteristica storica esclusiva di quel periodo: infatti, come sostenuto da molte femministe contemporanee, “esso ha la stessa estensione della 9 Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teorico, in F. Restaino, A. Cavarero, le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999, p. 111. 10 Adriana Cavarero, idem, p. 113. 34 tradizione occidentale e tende a coincidervi. Anzi, è addirittura uno dei fondamenti di questa tradizione: nel senso che, sin dalla sua origine greca, la supremazia dell’uomo sulla donna viene praticata e teorizzata come un principio naturale e, pertanto, giusto”11. Per tale motivo, la critica femminista e femminile all’ordine patriarcale e sessista nel corso degli ultimi due secoli continua e affronta di volta in volta ambiti diversi: si va dalla pedagogia alla filosofia, dalla psicologia al diritto, etc. Ciò nonostante, “l’uomo è, per la maggior parte dei filosofi, il termine di confronto, il metro di misura, il criterio di identità dell’essere umano, mentre la donna è caratterizzata solamente in negativo, come ciò che si discosta da questo ideale”12. Il movimento femminista degli inizi, ha dovuto concentrare le sue forze nella lotta per il miglioramento delle condizioni di schiavitù in cui molte donne di quei periodi storici erano costrette a vivere; ciò “ha ‘costretto’ gran parte del femminismo ‘storico’ fra Ottocento e Novecento, il quale ha trovato espressione esplicita soprattutto nella lunga fase delle lotte per il suffragio femminile, a collocarsi entro la ‘gabbia’ moderna della battaglia per l’uguaglianza dei diritti, a partire dal diritto di voto: tale femminismo si è proposto di far leva sui principi egualitari di matrice illuminista tipici delle democrazie moderne e di rivendicare il voto sulla base dell’uguaglianza delle 11 Adriana Cavarero, idem, p. 113. 12 Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 35. 35 donne con gli uomini”13. Un’uguaglianza ipotetica e velleitaria che, sebbene avesse avuto una sua importanza e un suo valore nel preciso momento storico in cui era stata formulata e avesse portato a innegabili e importanti cambiamenti nell’esistenza di molte donne tra Ottocento e Novecento, con la Prima e soprattutto la Seconda Guerra Mondiale risulta agli occhi di molte riduttiva, non significativa, e comunque non sufficiente. Uguaglianza o differenza? È per prima Virginia Woolf a mettere in parola e a parlare esplicitamente non più della necessità di riconoscere l’uguaglianza delle donne rispetto agli uomini, ma di riconoscere che esiste una differenza femminile che è semplicemente diversa, non necessariamente inferiore: “forse non si tratta né di un pensiero né di un emozione, ma di qualcosa di più profondo, di più fondamentale. Di una differenza, forse. E diversi lo siamo, come hanno dimostrato i fatti, per sesso ed educazione. È da quella differenza, ancora una volta, che può venirvi l’aiuto, se aiutarvi possiamo, per difendere la libertà, per prevenire la guerra”14. Una differenza dalla quale ripartire per trovare un nuovo modo di stare al mondo, un modo che non si fondi più sulla sopraffazione di un sesso sull’altro, ma che sia capace 13 Wanda Tommasi, idem, p. 15. 14 Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1984, p. 141. 36 di farsi guidare dal difficile equilibrio tra queste due differenti espressioni dell’umanità: differenza femminile e differenza maschile. Simone De Beauvoir, un’altra esponente molto significativa del primo femminismo, sviluppa la sua riflessione collocandosi sul versante del femminismo paritario in quanto sostiene che non esiste una differenza femminile da valorizzare, ma l’essere donna non è altro che una costruzione socioculturale che in quanto tale va modificata: “donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”15. È una costruzione che è estremamente difficile da modificare perché le donne stesse sono complici di questa visione che le pone in una posizione secondaria, inferiore: “quando l’uomo considera la donna come l’Altro, trova dunque in lei una complicità profonda. Così la donna non rivendica se stessa in quanto soggetto perché non ne ha i mezzi concreti, perché esperimenta il necessario legame con l’uomo senza porne la reciprocità, e perché spesso si compiace nella parte dell’Altro”16. Parliamo di femminismo della differenza riferendoci in particolare a quell’esperienza, soprattutto italiana, francese, spagnola e sudamericana, che in polemica con il più classico femminismo 15 Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, vol. II, p. 15. 16 Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, vol. I, p. 20. 37 paritario di tradizione nordeuropea e americana, non legge la differenza femminile esclusivamente come discriminazione sessuale, come un difetto da colmare, ma come una potenzialità, come una diversità costitutiva che proprio nel suo essere diversa/differente costituisce una risorsa possibile. Il paradigma della differenza sessuale deve la sua origine ad un gruppo di psicanaliste che, criticando l’impianto psicoanalitico tradizionale, in particolare quello freudiano, constatarono che nel corpus della tradizione vi era un vuoto, un vuoto di elaborazione e rappresentazione del significato profondo dell’essere donna. A partire da questa iniziale constatazione, questo gruppo di donne si spinse oltre nella riflessione arrivando alla conclusione – che poi costituirà anche il punto di partenza per gran parte della riflessione femminile successiva – che fosse necessario individuare un nuovo ordine simbolico di matrice femminile. Tali idee si diffusero in gran parte dell’Europa e Sud America, e iniziarono a circolare amplificate e modificate: “negli anni settanta, comunque, il paradigma della differenza sessuale viene messo a punto in Francia, da Politique et Psychanalyse, in Italia da alcune femministe raccolte intorno a Carla Lonzi e al gruppo di ‘Rivolta femminile’: in seguito, l’eredità di tali gruppi è stata raccolta, in Francia, da Luce Irigaray, Julia Kristeva e Helene Cixous, e, in Italia, da Lia Cigarini e dalla Libreria delle donne di Milano e da Luisa Muraro e dalla comunità filosofica femminile 38 ‘Diotima’. Il pensiero della differenza femminile ha inoltre avuto risonanza in Germania, in Spagna e in America latina”17. Il pensiero della differenza sessuale: l’esperienza italiana Il femminismo della differenza parte dalla presa d’atto dell’innegabile differenza tra uomini e donne: differenza che è analizzata e affrontata nella sua interezza, non essendo possibile per queste pensatrici ridurla né a semplice dato biologico e tanto meno a semplice costruzione sociale come il pensiero del ‘gender’ tende a fare18. A partire da questa differenza iniziale e costitutiva, il femminismo della differenza si interroga sulla possibilità che questa caratteristica ontologica possa costituire una potenzialità per entrambi i sessi che costituiscono il genere umano, donne e uomini. È una differenza, un essere diverse quella di cui si parla nel femminismo della differenza, che pone le donne fuori/a lato di quella competizione per omologarsi al modello maschile e primeggiare, per dimostrare di 17 Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 27. 18 Inoltre, ritengo sia importante non considerare la differenza femminile solo come un dato biologico, ma nemmeno semplicemente una costruzione sociale: “può essere utile la distinzione fra condizione e differenza femminile: intendo come condizione femminile la storicità della posizione della donna entro una determinata società […], mentre affermo, con il concetto di differenza femminile, il senso libero della differenza sessuale. È chiaro che, nel vissuto esistenziale di ogni donna di ogni epoca, condizione e differenza femminile vanno insieme e che l’una non si dà senza l’altra”, Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 19. 39 non essere mancanti, inferiori, ma solamente diverse dal sesso maschile a cui non ritengono più necessario uniformarsi – cosa che invece è molto presente nella riflessione emancipazionista. A creare resistenza rispetto alla possibile accettazione di questa nozione di differenza intesa come arricchente, contribuisce il fatto che in Occidente il concetto di differenza è sempre letto nell’ottica dell’identità, quindi come una mancanza rispetto ad un modello dato: “Manca, nella modernità, un concetto libero di differenza, tale che essa non scada subito in essere da meno; manca l’idea di disparità arricchente, di differenza che, evitando la simmetria mimetica che ben presto si tramuta in competizione, sia fonte di arricchimento per entrambi gli elementi in relazione; manca perfino, nella nostra cultura occidentale, la parola per disegnare una disparità non inferiorizzante, e questa assenza è sintomatica di un vuoto di pensiero”19. Il femminismo della differenza critica e si contrappone all’idea delle Pari Opportunità proprio in virtù della sua critica al concetto di uguaglianza: così come non esistono due soggetti completamente uguali e con le medesime opportunità, non esiste una differenza femminile da superare, da oltrepassare. Emblematico in quanto è portatore di una falsa idea di uguaglianza, risulta quindi il modello sociale americano: “il sistema americano si fonda sulla metafora di un rapporto idealizzato tra fratelli potenzialmente uguali, nel quale 19 Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 15. 40 l’affetto si mescola con la competizione. In realtà è raro che due fratelli siano davvero uguali, e le sorelle ancor meno”20. Dunque, la critica al femminismo paritario da parte del femminismo della differenza è dovuta al fatto che mentre il primo interpreta e vive la differenza femminile esclusivamente “come un’inferiorità da cui le donne dovrebbero emanciparsi”21, nel secondo, usando le parole di Luisa Muraro, una delle rappresentanti italiane più significative di questo movimento, “la differenza dei sessi differisce da ogni altra differenza storica o antropologica perché non passa fra due entità rappresentabili come tali, ma marca di sé l’essere umano senza farne due esseri, e rendendolo, a rigore, un essere incoerente, non rappresentabile. Quanto a umanità, una donna e un uomo sono fra loro identici e differenti, al tempo stesso”22. Dalla differenza di genere a pratiche formative e di ricerca in una prospettiva non neutra La femminilizzazione del mondo del lavoro è un concetto molto diffuso nella letteratura specifica e non solo, che riporta ad un fenomeno molto massiccio e di lunga durata, come appunto l’ingresso 20 Mary Caterine Bateson, Comporre una vita, Feltrinelli, Milano 1992, p. 22. 21 Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 15. 22 Luisa Muraro, Oltre L’uguaglianza in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori Editori, 1995, p. 106. 41 delle donne nel mercato lavorativo. La portata di tale fenomeno è tale che da più parti, non solo quindi dal mondo femminista tradizionalmente inteso, ci si è interrogati sui cambiamenti in termini di impegno, prospettive, paure, desideri, resistenze e ambizioni che questo ingresso massiccio ha comportato sia nel mercato del lavoro, ma anche nella sfera tradizionalmente indicata come privata, cioè nel mondo della cura e nei rapporti familiari. Lo sforzo di questi anni di molte studiose, scienziate e istituti di ricerca e formazione è stato quello di individuare pratiche e metodologie formative e di ricerca che non presupponessero di essere neutre23, che non intendessero negare la differenza che è data dal nascere uomini o donne, ma che proprio a partire da questa differenza non meramente biologica, riuscissero a dar conto di diversi modi di esprimersi, di studiare, di lavorare, di approcciarsi al mondo tecnologico. Il risultato di tale impegno è stata l’individuazione di alcune pratiche e metodologie che non solo non neutralizzano i saperi, ma che sono capaci di restituire in una dimensione complessa e articolata uno sguardo non neutro sul mondo. Alcune delle metodologie utilizzate dalle scienze sociali sono state individuate come particolarmente idonee, altre sono state inventate ad hoc per soddisfare le esigenze di ricerca e formazione che 23 Luce Irigaray, Parlare non è mai neutro, 1991. 42 facevano riferimento alle pratiche adottate all’interno di quel movimento portato avanti dalle donne a partire dagli anni ‘6024. Tra questa, per il tipo di indagine che abbiamo condotto, abbiamo individuato nell’intervista narrativa25 la metodologia più idonea ad indagare a livello profondo il tipo di rapporto che, consciamente o inconsciamente, le donne adulte instaurano nel corso della loro vita con le tecnologie informatiche, in particolare con l’utilizzo del computer e dei sistemi di comunicazione informatica come internet e la posta elettronica. La più idonea per raccontare storie di donne26; essa infatti ci è parsa una delle poche metodologie in grado di rispettare quei parametri di ricerca e formazione che la riflessione femminile ha individuato: la centralità dei soggetti e della pratica del partire da sé27; l’attenzione all’uso di un linguaggio 24 25 26 27 AA. VV., Donne in formazione. Proposte metodologiche e piste di lavoro (1999), pp. 13-17. Atkinson, L’intervista narrativa Heilbrun, Scrivere la vita di una donna; “la pratica del partire da sé […] consiste nel trovare le parole per dire il reale e per portarlo alla sua verità […] è indubbio che la pratica del partire da sé risulta più consueta alle donne che agli uomini. Sembra che le donne la sentano in continuità con altri aspetti della loro esperienza […] La pratica del partire da sé crea uno squilibrio simbolico. Introduce qualche cosa di completamente originale rispetto a questa continuità. Il fatto è che ritorna ai vissuti, ma fa questo per avere una via di orientamento nel mondo, rifiutando il sapere costituito”, Chiara Zamboni, Prefazione in Diotima, La sapienza di partire da sé, 1996, pp. 1-3. 43 “sessuato”; l’importanza della narrazione28 e delle pratiche biografiche e autobiografiche.29 Infatti, fondamentale è riuscire a far parlare sé stessi e la propria singolarità, dar voce alle proprie esperienze, capitalizzare un bagaglio di conoscenze che molto spesso viene sottovalutato, mettendo in parole e facendo i conti con le proprie paure e aspettative, desideri e bisogni. In questa cornice, una particolare attenzione va data al linguaggio dal momento che “il linguaggio, in quanto sistema che riflette la realtà sociale, ma al tempo stesso la crea e la produce, diviene il luogo in cui la soggettività si costruisce e prende forma, dal momento che il soggetto si può esprimere solo entro il linguaggio e il linguaggio non può costituirsi senza un soggetto che lo fa esistere”30. Creare le condizioni perché si possa utilizzare un linguaggio sessuato significa restituire ai soggetti – sia femminili che maschili – uno sguardo sulla realtà più complesso e complessivo, che non nega o ritiene irrilevante l’esperienza e il sapere che deriva dall’essere uomini o donne. Significa in altre parole creare le condizioni affinché ogni individuo, uomo o donna non importa, possa trovare nel linguaggio 28 Arendt su esposizione dei soggetti che parlano in Vita Activa e/o Cavarero, tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione. 29 Duccio Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé 1996, e Ferrrarotti, Storia e storie di vita 30 Patrizia Violi (1986), L’infinito singolare. Considerazioni sulla differenza sessuale nel linguaggio, Essedue edizioni, p. 10. 44 uno strumento efficace ed utile per descrivere la propria esperienza, per dar conto di sé agli altri e alle altre. Il bisogno di raccontarsi Fin dall’antichità, il bisogno di raccontare se stessi, di consegnare la propria esistenza alla memoria altrui ha trovato svariate forme di espressione, tra cui i miti e le leggende sono forse i rappresentanti più conosciuti e diffusi. Questo bisogno nell’antichità aveva un carattere più mitologico e nel medioevo assunse un carattere religioso -si pensi alle Confessioni di Sant’Agostino- ma è l’avvento della soggettività moderna e contemporanea a dare ai soggetti, ai singoli individui e alla loro storia quell’importanza che noi tutti oggi riconosciamo loro. È un processo storico molto lungo e complesso che arriva ad individuare nella singolarità, nella particolare storia di ogni individuo un tema centrale su cui soffermarsi per analizzare, capire, formare e tramandare: “è la società mercantile e borghese, che indebolisce gli ordini sociali tradizionali, che fa appello alle forme individuali, che laicizza la visione-del-mondo, a rendere il soggetto sempre più autonomo e, per questa autonomia, sempre più forte. Quindi ne legittima e ne potenzia l’espressione e il riconoscimento, anche narcisistico, anche compiaciuto”31. 31 F. Cambi, L’autobiografia come metodo formativo, Editore Laterza 2002, p. 5. 45 Diventa fondamentale la narrazione come forma espressiva di sé per tutti, uomini e donne, come momento essenziale alla propria formazione: “le scritture dell’io sono strutturalmente problematiche, ma proprio per questo costituiscono un percorso formativo, in quanto doppiano l’esperienza, la rivivono, le danno un nuovo statuto, una nuova forma”32. Le forme biografiche e autobiografiche sono da sempre un genere preferito dalle donne; c’è in esse una differenza femminile che si esprime e che è strettamente connessa alle possibilità che questa modalità – di scrittura apre alla soggettività e alla sua libera espressione. L’autobiografia, come pure altre pratiche connesse all’espressione del sé, sono state tradizionalmente associate alle donne e solo più recentemente largamente impiegate in campo pedagogico e formativo. E’ dunque particolarmente significativo considerare l’importanza delle pratiche autobiografiche e delle metodologie ad esse connesse per indagare quali relazioni intercorrono tra le donne e l’impiego del computer. 32 Idem, p. 18. 46 L’intervista narrativa Lara Corradi Alcune questioni metodologiche Come anticipato nel capitolo precedente, tra le diverse metodologie per le ricerche e le indagini qualitative, abbiamo individuato nel metodo autobiografico lo strumento migliore al fine di condurre la nostra ricerca. Essa è risultata la metodologia più pertinente per indagare in profondità i vissuti, i sentimenti e i rapporti che le donne adulte vivono, percepiscono e adottano nei confronti delle tecnologie, oltre o nonostante gli stereotipi che in particolare su questo tema noi tutti, uomini e donne, abbiamo ereditato. Andare oltre gli stereotipi è un passaggio fondamentale per riuscire a superare la retorica contrassegnata da una scarsa autostima che “talvolta” si incontra nel fare formazione con donne L’intervista narrativa offre l’occasione di raccogliere delle storie (di vita o di particolari esperienze) e di indagare ogni questione, ogni affermazione da più punti di vista; spesso ha il potere di far prendere coscienza chi è intervistato/a di aspetti di sé e del proprio percorso di cui fino a quel momento non era pienamente consapevole: “alle storie viene riconosciuto un elevato valore in quanto materiale di intervento: ovvero come strumento per ‘far accadere delle cose’ nei contesti di 47 vita a di lavoro”33. Per questo spesso le interviste narrative vengono considerate momenti formativi sui generis: “l’autobiografia è – nel mondo contemporaneo – sempre più un processo di formazione, anzi quel processo basico di formazione a cui ogni soggetto è chiamato, è costitutivamente – nella sua debolezza – vocato”34. Concentrandoci sull’intervista narrativa, abbiamo previsto fin dalla fase progettuale di formare i diversi partner, che, come vedremo meglio nei prossimi capitoli, abbiamo scelto soprattutto in base al ruolo specifico nel campo dell’educazione adulta senza richiedere una competenza specifica rispetto a questa metodologia, attraverso dei laboratori di formazione-autoformazione che hanno costituito il primo momento di lavoro comune. Per evitare poi che le donne intervistate si sentissero giudicate prima ancora che ascoltate, abbiamo scelto, quando possibile, di impiegare intervistatrici donne secondo le indicazioni che derivano dalla tecnica del peer to peer, quindi tra pari, forti anche dell’efficacia della pratica dell’autocoscienza femminile. Della pratica dell’autocoscienza possiamo sottolineare che essa costituì “il punto di partenza di una politica autonoma che ha consentito alle donne, forse per la prima volta nella storia occidentale 33 Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002. 34 F. Cambi, Prefazione a L’autobiografia come metodo formativo, Editore Laterza 2002. 48 documentata, di tendere alla libertà indipendentemente dalla ricerca maschile di libertà”35. Possiamo definire intervista narrativa un colloquio finalizzato alla raccolta di storie, in cui il ricercatore o la ricercatrice ha il ruolo di intervistatore/trice, e il soggetto il ruolo di intervistato/a. Già in questa iniziale definizione si aprono alcune questioni che riguardano il perché riteniamo importante raccogliere storie, il tipo di storie da raccogliere e la veridicità delle storie raccolte, ovvero se possiamo essere certe che quelle raccolte sono storie vere. Riteniamo sia importante raccogliere racconti, storie, narrazioni perché le storie, i racconti, le narrazioni hanno il grandissimo potere di generare conoscenza, di produrre sapere. In che senso? Quando un essere umano racconta, è costretto a fare i conti non solo con l’ascoltatore o l’ascoltatrice senza il quale il suo racconto non verrebbe ascoltato e sarebbe quindi inutile, ma anche con la realtà stessa che deve raccontare perché, non potendo raccontare tutto, deve decidere cosa raccontare e come, con quale ordine e secondo quale logica, e cosa invece omettere e perché. Le storie intervengono quindi nel rapporto che ogni individuo ha con la realtà, cioè gli consentono di conoscersi e a sua volta di farsi conoscere. Una seconda questione concerne invece il tipo di storie da raccogliere. La letteratura specialistica individua tre principali tipi di 35 Luisa Muraro, Oltre L’uguaglianza in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori Editori, 1995, pp. 107-108. 49 materiale di ricerca: la story, la life story e la history36. La history è la cronaca, il racconto in terza persona in cui si vuole dar conto in maniera “oggettiva” del materiale raccolto, in cui il ricercatore o la ricercatrice utilizza parole proprie per raccontare l’esperienza dell’intervistato. Per la nostra indagine, è la tipologia meno interessante perché sposta l’attenzione dal punto di vista dell’osservatore, tende a togliergli il ruolo di esperto, a collocarlo lontano dall’esperienza personale che invece ci interessa raccogliere. È uno dei modi in cui la restituzione di story e life story può essere presentata. Story e life story invece raccolgono e riportano la narrazione in prima persona in cui il singolo individuo racconta la propria esperienza o su un determinato argomento o questione, in questo caso si tratta della story, o durante la sua intera vita, ed in questo caso stiamo raccogliendo la life story. Per la nostra ricerca è interessante la story, ovvero appunto il racconto in prima persona in cui l’intervistata ci racconta la sua esperienza in rapporto all’argomento da noi precedentemente proposto, ovvero al rapporto che esiste tra donne adulte e tecnologia informatica in termini di utilizzo, apprendimento, etc. Terza questione: quelle che stiamo raccogliendo, sono storie vere? Ovvero, la persona che stiamo intervistando ci sta effettivamente raccontando ciò che pensa? In effetti, il rischio che 36 Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002. 50 qualcuno menta intenzionalmente c’è sempre, e può capitare anche quando gli si chiede di compilare un questionario. Su questo punto le ricercatrici non hanno alcun potere di intervento, potere di intervento che invece possiedono sul fronte delle motivazioni. Infatti, diversi sono i motivi per cui qualcuno decide di mentire: perché non gli interessa partecipare, perché non ha voglia di farlo, perché non ha voglia di esporsi su determinati argomenti che magari costituiscono proprio il nostro oggetto d’indagine. Ritengo che le ricercatrici abbiano un forte potere di intervento per suscitare motivazione: esse infatti svolgono un ruolo centrale nello spiegare e nel definire il cosiddetto “contratto iniziale”, ovvero nel presentare il lavoro e i suoi obiettivi, nel presentare le regole del lavoro e nel verificare l’interesse e la disponibilità effettiva, reale e concreta dei diversi soggetti contattati nel dedicare tempo e attenzione alle interviste, quindi alla nostra ricerca. Infine, ci si può chiedere se nel racconto il soggetto distorce inconsapevolmente la realtà, ovvero se il suo racconto corrisponde alla realtà. In verità, come molti studi anche recenti dimostrano, il problema dei fatti che esistono in sé e per sé, indipendenti dal soggetto che li raccoglie è insostenibile. Non esiste una realtà se non nel momento in cui una persona la osserva e la racconta, e nel momento in cui lo fa, per quanto cerchi di mantenersi il più oggettivo e imparziale possibile, imprimerà all’osservazione e al racconto il suo personale sguardo e punto di vista. Sguardo e punto di 51 vista che variano a seconda di molteplici fattori quali l’età, il sesso, la provenienza, la formazione, etc. In altre parole, in questa fase della ricerca sociale ci troviamo in presenza del principio di indeterminazione di Heisenberg, il fisico tedesco che nel 1932 ricevette il nobel per la sua formulazione. Secondo questo principio, è impossibile conoscere contemporaneamente la posizione e l’energia di un elettrone perché, per conoscere la prima, dobbiamo intercettarlo, per conoscere la seconda, dobbiamo bombardarlo con un fascio di luce. In entrambi i casi, abbiamo modificato in funzione della nostra ricerca le condizioni iniziali del nostro oggetto di ricerca, l’elettrone appunto. Lo stesso possiamo dire per tutte le ricerche che vengono condotte in ambito sociale. Nel momento in cui ci avviciniamo ad un oggetto di ricerca anche solo per osservarlo, ne modifichiamo le condizioni di partenza. È inevitabile. La cosa importante è che siamo consapevoli di noi, del nostro ruolo, della modificazione che il nostro sguardo implica, e che cerchiamo il più possibile di limitare i cambiamenti che la nostra presenza comporta. Altra cosa fondamentale è collocarsi, perché il collocarsi, l’esplicitare la nostra storia, i nostri presupposti e le nostre finalità, permette a noi di capire meglio da dove stiamo osservando, cosa e perché, e soprattutto consente a chi è intervistato e a chi leggerà il nostro lavoro di capire ciò che sta capitando, e di comprendere il quadro teorico entro cui si colloca la ricerca. 52 L’intervista narrativa e la sua realizzazione Si definisce intervista narrativa quell’intervista aperta durante la quale al soggetto intervistato viene chiesto di raccontare in prima persona il suo vissuto o la sua esperienza attorno ad un determinato tema. La prima caratteristica di queste interviste è costituita dal ruolo attivo del ricercatore o della ricercatrice: infatti, il ricercatore o la ricercatrice ha il compito di facilitare, senza modificare, il contenuto del racconto che sta ascoltando. Facilitare significa aiutare, favorire il racconto e lo si può fare in diversi modi: annuendo, sorridendo, facendo delle domande per ottenere chiarimenti. Atkinson37 parla addirittura di un atteggiamento empatico che si dovrebbe tenere nei confronti di chi si sta esponendo nel racconto. Se l’empatia rimane un atteggiamento estremo lasciato alle caratteristiche personali del singolo intervistatore, rimane comunque vero che chi è intervistato deve sentire che l’intervistatore si interessa veramente a lui e alla sua storia, perché “se l’intervistato ‘sentirà’ che si prova interesse per lui e che gli si presta attenzione perché le cose ha da dire sono veramente importanti, si sentirà rinforzato e rassicurato”38 e l’intervista procederà molto più fluidamente. Ciò che dobbiamo aver sempre presente è che stiamo chiedendo ad un essere umano di esporre il suo punto di vista, 37 R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002. 38 Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, Carocci, Roma 1993, p. 25. 53 e quindi di esporsi apertamente a noi che probabilmente siamo per lui o lei dei perfetti sconosciuti. E questo non per tutti è semplice. Inoltre, l’intervistato o l’intervistata non possono sapere se quanto ci hanno raccontato è sufficiente o se abbiamo bisogno di ulteriori specifiche o chiarimenti. Siamo noi in quanto intervistatrici che abbiamo il ruolo di regia, che abbiamo la visione d’insieme e che quindi dobbiamo orientarli, anche con brevi e semplici accenni. Anche se vi si avvicina molto, non si deve credere che l’intervista narrativa sia una conversazione: infatti, si differenzia da questa per il ruolo centrale che l’intervistato/a ha rispetto all’intervistatore/trice, che deve essenzialmente limitarsi ad ascoltare e registrare ciò che gli vien detto. Ascoltare attentamente è molto difficile: la prima cosa da fare è non giudicare perché il giudiziopregiudizio può influire sia positivamente che negativamente sull’andamento dell’intervista, può portarci anche involontariamente a leggere una affermazione in una maniera equivoca che avvalora quanto già ipotizzavamo prima di metterci in ascolto: “quando giudichiamo noi interpretiamo l’operato, il detto o il vissuto dell’altra persona secondo il nostro particolarissimo punto di vista, che nasce dalla nostra esperienza, dalla nostra vita, dalla nostra storia, che possono al massimo essere simili, ma mai identiche, a quelle dell’altra persona”39. 39 Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 22. 54 Da questo si capisce che ogni intervista narrativa, essendo appunto una narrazione, è diversa dall’altra come diversi sono i soggetti che andremo incontrando. Dobbiamo avere ben in mente cosa vogliamo sapere, ma non possiamo prevedere troppo nel dettaglio quando e come riceveremo l’informazione che ci aspettiamo. A chiusura dell’intervista, una cosa fondamentale è ricordarsi di ringraziare chi ci ha concesso l’intervista: di ringraziare per il tempo che ci ha dedicato, e per avere messo a disposizione la sua esperienza per altri. E’ importante fargli/le capire che ciò che è stato offerto viene considerato e valorizzato alla maniera di un dono. Fasi dell’intervista narrativa L’intervista narrativa è strutturata in diverse fasi: 1) la pianificazione o pre-intervista; 2) la realizzazione; 3) l’interpretazione o post-intervista. La pianificazione Pianificare un’intervista significa preparare nei minimi dettagli l’intervista. Di solito, la prima cosa da fare è stabilire il canovaccio base su cui strutturare l’intervista. Bisogna cioè stabilire in anticipo quali informazioni inerenti il nostro oggetto di ricerca dobbiamo assolutamente conoscere al termine del nostro colloquio, ricordandoci sempre che non dovremo mai porre le domande in sequenza –non 55 stiamo somministrando un questionario o un intervista strutturata-, ma lasciare il più possibile spazio all’intervistata e al suo racconto. Per seconda cosa, bisogna decidere chiaramente chi intervistare, ovvero bisogna decidere chi, in relazione al tema della ricerca, potrebbe secondo noi fornirci indicazioni utili. Una volta individuate le persone, bisogna verificare che le ipotesi che abbiamo fatto siano corrette, ovvero che le persone in questione possano effettivamente rispondere alle nostre aspettative. Oltre a ciò, si deve verificare la loro disponibilità effettiva: in genere, un’intervista narrativa ha una durata media di un’ora e mezza, bisogna quindi capire se la persona in questione può effettivamente dedicarci questo tempo nel periodo che abbiamo a disposizione per realizzare la ricerca. Un’altra cosa essenziale da fare è presentare chiaramente sia gli scopi della nostra ricerca, che lo scopo dell’intervista. Bisogna quindi spiegare con precisione qual è il nostro oggetto d’indagine, e cosa ci si aspetta invece dall’intervista. Infatti, mentre il primo è più generale, il secondo è più specifico e attiene l’esperienza del singolo. Nel nostro caso l’oggetto della ricerca è capire che tipo di rapporto le donne adulte assumono nei confronti delle TIC, lo scopo delle singole interviste è farsi raccontare brevi esperienze durante le quali queste donne hanno sperimentato questo rapporto. Se non siamo state abbastanza chiare nel definirli, può verificarsi quello che Cortese40 ha 40 Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, p. XXXI-XXXII. 56 chiamato la “sindrome del buon samaritano”, ovvero la tendenza dell’interlocutore/trice a rispondere in prima persona ai quesiti della ricerca, anziché offrire semplicemente i dati di esperienza che spetterà poi a noi ricercatrici analizzare ed interpretare. Tutte queste operazioni rientrano in quello che prima abbiamo chiamato il “contratto iniziale”. Ma la fase di preparazione va un po’ oltre la definizione di questo contratto. Infatti, un altro aspetto importante è l’individuazione del luogo in cui realizzare l’intervista, del setting. Sarebbe opportuno coinvolgere l’intervistato/a in questa scelta, in modo da individuare insieme un luogo sufficientemente silenzioso e confortevole in cui possa sentirsi a suo agio. Potrebbe essere l’ufficio se lavora da solo/a, o la propria abitazione. È in ogni caso consigliabile evitare luoghi affollati o in cui sia facile essere interrotti e quindi perdere la concentrazione. Inoltre, le ricercatrici devono munirsi di un registratore con cui memorizzare i racconti, ovviamente dopo avere chiesto e ottenuto dalle intervistate il permesso per effettuare la registrazione. Di fondamentale importanza, pena il non instaurarsi di quel rapporto di fiducia tra chi intervista e chi è intervistato, chiedere subito il permesso di registrare l’intervista, spiegando che è anonima e che l’utilizzo delle registrazioni è puramente interno, è cioè finalizzato a ripercorrere i passaggi che possono essere risultati poco chiari o che possono essere sfuggiti durante la prima fase di ascolto. Infine, le ricercatrici dovranno sempre assicurarsi di avere con loro delle pile di 57 ricambio e delle cassette aggiuntive, in modo che se per un qualsiasi motivo una cassetta non fosse sufficiente o le pile finissero, potranno averne di scorta. Se utilizzano registratori digitali devono fare attenzione alla memoria interna: infatti, in quelli di prima generazione che venivano venduti in Italia, lo spazio di registrazione non sempre era sufficientemente ampio, ed era comunque necessario poter accedere ad un computer per scaricare il file contenente la registrazione prima di effettuarne un’altra. La realizzazione Come sarà ormai chiaro, l’intervista narrativa è un processo collaborativo che coinvolge sia intervistatore/trice che intervistato/a. È bene ricordarsi di lasciare il maggior spazio possibile all’intervistata, ponendo il minor numero di domande possibili. Inizialmente, sarà necessario stimolare l’intervistato/a: con quali domande? Da evitare quelle domande che implicano una risposta semplicemente affermativa o negativa perché si rischia di finire in un vicolo cieco. Migliori sono le domande aperte che suscitano risposte più ampie. Alcuni semplici consigli pratici41: 1) non fare mai più di una domanda per volta perché si rischia di confondere l’intervistato che deve scegliere a quale domanda dare priorità; 2) porre domande brevi perché “nelle domande troppo lunghe l’intervistato si perde”42; 41 Cfr. Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, pp. 92-94. 42 Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 93. 58 3) porre domande il più possibile neutre, cioè non connotate né positivamente né negativamente, perché altrimenti il rischio è che chi risponde senta nella connotazione anche un giudizio di valore su di sé. Di fondamentale importanza sarà individuare lo “stimolo iniziale”43 cioè quella domanda che, con il minimo di parole e informazioni utilizzate per formulare la richiesta, implica risposte molto ampie (chiedere una presentazione personale o il racconto di un fatto specifico); oppure degli incipit molto specifici che entrano molto nel dettaglio del tema dell’indagine lasciando molto spazio all’intervistato/a (farsi raccontare una specifica esperienza o descrivere una situazione particolare). Può capitare che durante lo svolgimento dell’intervista la persona intervistata si interrompa, non proceda facilmente. Occorre allora rincalzarla con consegne informative e/o valutative44; le prime sono domande che esplicitano la necessità di una ulteriore spiegazione (non ho ben capito, in che senso, come), le seconde invece rilanciano delle specificazioni (perché, a che scopo, come mai)45. 43 Giovanna Granturco, L’intervista qualitativa. Dal discorso al testo scritto, Edizioni A. Guerini e Associati SpA, 2004, p. 92. 44 Bichi, 2002, p.114. 45 Giovanna Granturco, L’intervista qualitativa. Dal discorso al testo scritto, Edizioni A. Guerini e Associati SpA, 2004, pp. 93-94. 59 L’interpretazione La fase dell’interpretazione a sua volta si divide in due momenti differenti: la trascrizione e l’interpretazione vera e propria. La trascrizione deve seguire delle regole base molto semplici: la chiarezza, la completezza e la concisione46. Ovviamente, per passare dalla registrazione di un’intervista narrativa a una narrazione fluente sarà necessario intervenire, ma è bene farlo il meno possibile. L’intervento di editing deve attenere il significato, per questo bisogna: • aggiungere parole o frasi che risultano mancanti per la comprensione. In questo caso le parole aggiunte vanno messe tra parentesi quadre; • dare importanza a silenzi o pause se si sono verificati, specificandone il senso; • se necessario, specificare il gesto o il suono significativo (come risate o sospiri) che hanno accompagnato una determinata frase; • cancellare parole o frasi estranee (false partenze, esitazioni, frasi retoriche…); • eliminare e/o correggere incongruenze grammaticali. 46 Cfr. Atkinson, L’intervista narrativa, pp. 83-88. 60 Alla fine della trascrizione è bene riascoltare la registrazione per essere certe di aver riportato correttamente, quindi senza fraintendimenti, il significato originario. L’interpretazione vera e propria è forse la fase più delicata dell’intervista narrativa perché chiede alla ricercatrice di mettere in campo la sua soggettività per comprendere e restituire il racconto ricevuto e analizzato. Per prima cosa, bisogna avere bene in mente che “l’obiettivo, nell’interpretazione del racconto autobiografico, è esplorare i dati contenuti in esso”47, sapendo che “noi non esprimiamo dei giudizi, ma facciamo delle connessioni”48. Quindi, la nostra deve essere prima di tutto un’analisi conoscitiva, bisogna arrivare a conoscere molto bene il materiale da trattare, maneggiandolo con estrema familiarità. Inoltre, si deve sempre ricordare che non stiamo verificando se quanto detto è giusto o sbagliato, ma stiamo cercando di comprendere le parole raccolte, collocandole in un quadro di riferimento più ampio che tenga conto della provenienza di ogni soggetto, del suo sesso, del suo bagaglio culturale, sociale e valoriale. Diverse sono le metodologie con cui analizzare e affrontare un’intervista narrativa - possono essere quantitative, qualitative o comparative -, ma tutte devono sempre essere utilizzate come domande iniziali, come ipotesi di lavoro da verificare e/o modificare 47 R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 102. 48 R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 107. 61 in itinere, mai come certezze iniziali da confermare con le interviste narrative49. Una delle forme più appropriate per dar conto della propria analisi delle interviste narrative è il commentario, cioè un’appendice al racconto delle esperienze che a partire dalla ricostruzione del background iniziale, possa aiutare il lettore a rapportarsi rispetto quanto leggerà nell’intervista. Un’altra funzione importante del commentario è quella di mettere in luce i punti chiave, evidenziando i nodi tematici più significativi, aiutando così il lettore a muoversi nel racconto secondo un quadro d’insieme che potrebbe non essere immediatamente percepibile da un osservatore esterno. Inoltre, il commentario fornirà indicazioni e prospettive che, seppur non già evidenti nel racconto, potrebbero però enfatizzarne o illuminarne le tematiche e le questioni più rilevanti e significative. Infine, il commentario è lo spazio per il ricercatore per commentare, per analizzare il racconto secondo un’ottica e un punto di vista che non necessariamente coincidono con quelle dell’intervistato: “come fa il commentatore televisivo, il commentario al racconto autobiografico può fornirne una preziosa prospettiva oggettiva su ciò che sta accadendo nel racconto, o sulle modalità con cui il racconto viene espresso”50. 49 Cfr. Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 104-105. 50 R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 110. 62 La ricerca e i suoi risultati Antonia De Vita e Lara Corradi Sono state realizzate circa 50 interviste in ogni Paese partner del progetto51, per un totale di 253 interviste. In Lettonia, tra le 50 donne intervistate 24 vivono in area urbana e 26 in area rurale. Una di esse ha un basso livello di istruzione (6 anni), 17 livello medio (7-12 anni) e 23 alto (più di 12 anni). 4 sono disoccupate (tutte donne con disabilità); 42 sono occupate, 4 fanno un lavoro indipendente. Sono state contattate grazie alla collaborazione con istituzioni locali e tramite contatti informali. In Italia sono state realizzate 53 interviste narrative. Tra le intervistate, 22 hanno un’età compresa fra 35 e 40 anni, 20 fra 41 e 50 e 11 sopra i 50. 30 hanno un livello di istruzione medio/basso (8 anni), 21 medio/alto (8+5 anni) e 2 alto (8 + 5 + 4/5/6 anni). 51 I dati sulle donne con disabilità e l’analisi dettagliata delle loro interviste sono riportati nel capitolo a cura di Piera Nobili. 63 28 sono disoccupate e 25 occupate: lavorano come segretarie, cameriere, operatrici di call center. Molte donne aiutano i mariti nel loro lavoro. Le intervistate sono state scelte attingendo dalle liste delle iscritte ai Centri per L’impiego della Provincia di Genova, avvalendosi della collaborazione degli Sportelli Informalavoro che sono dislocati su tutto il territorio provinciale, tramite canali informali (conoscenti) o tramite associazioni che si occupano di persone diversamente abili. In Portogallo, tra le 50 intervistate c’erano 3 donne con disabilità. 11 delle donne intervistate vivono in aree rurali e 39 in area urbana. Sono state contattate grazie alla collaborazione con enti regionali o tramite contatti informali. 24 hanno un basso livello di istruzione (fino a 6 anni), 24 livello medio (7-12 anni) e 24 un livello alto (più di 12 anni). 7 sono disoccupate, 38 lavorano nel settore terziario (lavorando nell’istruzione formale e non formale), 1 nel settore secondario, 2 sono casalinghe e 2 pensionate. In Danimarca, le 50 persone intervistate comprendono un gruppo dai 35-55 anni. Ci sono rappresentanti di tanti tipi di professioni, sia lavoratori autonomi, che dipendenti; statali e privati. 64 Ci sono persone senza istruzione, con medie e lunghe istruzioni, e persone fuori dal mercato del lavoro, qui compreso anche disabili. Le persone abitano sia in città che in campagna. In Bulgaria delle 50 donne intervistate, 4 sono donne con disabilità. In generale le donne sono state individuate in aree urbane e rurali, e hanno un livello educativo basso, medio o alto. Realizzate tutte le interviste narrative, le ricercatrici dei vari paesi hanno proceduto ad una prima fase di interpretazione: cioè, dopo avere sbobinato tutte le interviste quasi integralmente, le hanno riascoltate per verificare di aver compreso e riportato correttamente quanto detto dalle intervistate e di non aver tralasciato niente di significativo. Quindi hanno operato piccoli interventi di editing per rendere più leggibile il testo; infine hanno suddiviso il materiale lavorato secondo sei grandi nuclei tematici precedentemente individuati, con una duplice funzione: mentre in fase di realizzazione delle interviste narrative questi gruppi tematici sono state le linee guida con cui orientare la conversazione, in questa fase di interpretazione hanno invece permesso di destrutturare le singole narrazioni per arrivare ed una compartizione più efficace da cui far emergere similitudini e differenze tra i racconti, e quindi tra i vissuti, delle molte donne intervistate nei diversi Paesi coinvolti nel progetto. 65 Nel primo gruppo tematico le ricercatrici hanno riportato dei commenti generali sulle modalità di reclutamento del target da intervistare, sulle maggiori difficoltà incontrate, alcune osservazioni e riflessioni generali, etc. Nel secondo gruppo tematico hanno invece riportato le caratteristiche anagrafiche delle intervistate, come il livello di istruzione, l’età, l’area di provenienza e la condizione lavorativa. Nel terzo gruppo tematico hanno raggruppato tutte le affermazioni che avevano a che fare con l’uso del computer e della rete. Nel quarto quelle che riguardavano l’apprendimento all’uso di computer e rete. Nel quinto quelle relazionate ai sentimenti di interesse/disinteresse o piacere/dispiacere legate all’uso di queste tecnologie. Infine, nel sesto gruppo tematico le ricercatrici hanno raggruppato tutte le affermazioni che descrivono il rapporto delle persone più vicine alle intervistate nell’uso delle tecnologie, soffermandosi in particolare sui sentimenti che in loro suscitava questo differente approccio nell’uso delle TIC. L’equipe di ricerca di Studio Guglielma è intervenuta su questo materiale semilavorato, analizzandolo e sistematizzandolo. È così arrivata ad ottenere il quadro completo e dettagliato derivato dai racconti delle esperienze delle singole donne adulte in rapporto all’uso 66 o all’immaginario delle TIC. Sono dunque emerse numerose similitudini tra le affermazioni delle donne pure nei diversi paesi, ma anche notevoli differenze. 67 Gli otto nuclei tematici Non senza una necessità Per quasi tutte le donne intervistate, il primo approccio all’impiego delle tecnologie, in particolar modo all’uso del computer, appare strettamente e primariamente connesso alla dimensione di necessità, all’esistenza di una qualche forma di bisogno che ritengono possibile soddisfare ricorrendo all’impiego di questi strumenti52. Lo sforzo richiesto per apprendere nuove conoscenze, è controbilanciato dai benefici ottenibili grazie a queste nuove conoscenze. Ho iniziato per necessità (come si dice: l’occasione fa l’uomo ladro), dovevo mettercela tutta per andare avanti53. In ufficio (…) uso il computer tutto il giorno perché ne ho bisogno54. 52 Le diverse citazioni che d’ora in poi riporteremo, sono mutuate indifferentemente dai report nazionali realizzati nelle diverse Nazioni coinvolte. Durante la fase di realizzazione, anche in considerazione del fatto che la lingua in cui venivano realizzate le singole interviste era differente per ogni nazione –ognuna le realizzava nella sua lingua madre e poi arrivavano a chi le interpretava già tradotte in italiano- , le interviste sono state classificate dalle ricercatrici secondo un duplice criterio: 1) renderle riconoscibili in quanto appartenenti ad un singolo Paese; 2) ricondurre le parole di ciascuna ad un nome e una singola donna. Quindi, il numero progressivo che numera ciascuna intervista permette di associare le parole di ciascuna alla persona in carne ed ossa, le lettere finali di ricondurle alle diverse nazioni in cui sono state realizzate. Nel caso di donne con disabilità alla lettera che indica il Paese segue la lettera che indica il tipo di disabilità. 53 Intervista 11 P 54 Intervista 1 P. 68 Per contro, quando questa necessità, questo bisogno non viene avvertito, l’approccio all’uso delle TIC non avviene, o se avviene, rimane un tentativo sterile che viene subito abbandonato. E lo sforzo e l’impegno richiesti per imparare ad utilizzare le TIC appaiono come un inutile dispendio di tempo ed energie, inutile perché non poterà nessuna ricaduta concreta nelle loro esistenze. Forse potrei imparare di più, ma non mi interessa. Non riesco ad immaginare a che mi potrebbe servire55. Solo se dovessi usarlo per lavoro mi ci metto, ci picchio tanto finché non ci riesco, ma così onestamente…Non ho questo grosso stimolo56. Oggi se ne avessi bisogno mi interesserei ma siccome non ne ho… Nel lavoro non mi serve57. Nonostante non tutte le intervistate utilizzino regolarmente computer e rete, tutte ne parlano come di mezzi utili e importanti, come strumenti imprescindibili nelle vite di ogni essere umano, strumenti che permettono di stare al passo con i tempi. Paradossalmente, pare che ai loro occhi tutte queste affermazioni risultino vere solo se riferite ad 55 Intervista 14 DK 56 Intervista 4 IT. 57 Intervista 27 P 69 altre persone, non a loro stesse. Le intervistate infatti paiono convinte di queste affermazioni solo se pensano a chi, più giovane e impegnato in attività diverse dalle loro, saprebbe come adoperare questo nuovo bagaglio di conoscenze e abilità. Se pensano invece al loro caso personale, questo mondo continua ad apparire ai loro occhi inutilizzabile e quindi inutile. Per la verità non mi piace e non mi dispiace, perché non c’è stato nulla che mi abbia fatto entusiasmare con il computer, perché non ho mai lavorato con la macchina. È utile perché l’evoluzione è necessaria, ma non per me, dal punto di vista personale, proprio no58. In primis è la necessità lavorativa ad essere il motore più forte, il motivo e la causa per cui molte donne adulte, ma non solo, entrano in contatto e familiarizzano con questo mondo. La necessità di avere un lavoro e di sapersi muovere in questo ambiente da un lato giustifica e dall’altro muove la necessità di saper utilizzare computer e rete. Ho ricominciato a lavorare e ho sentito il bisogno di avere e saper usare il computer59. Ho iniziato ad usare il computer nel 2000 in relazione con un nuovo 60. lavoro 58 Intervista 25 P. 59 Intervista 26 P. 60 Intervista 2 DK. 70 Ho cominciato ad usarlo per motivi lavorativi, ci avevano fatto fare dei corsi61. Il computer è soprattutto ‘strumento’, qualcosa che nei nuovi sistemi organizzativi è ineludibile e in quanto tale utile, funzionale, facilitante, necessario. Quasi mai scatta una vera e propria passione, che anzi pare essere esclusa da questo rapporto che le intervistate hanno istituito con i loro ‘mezzi di lavoro’. Penso che già il computer non è un lusso, ma una necessità – non solo a casa, ma anche al lavoro62. Rende il lavoro più facile63. Il computer agevola il lavoro, mi ha aiutato tantissimo64. Non ho computer al lavoro, però ce l’hanno i miei colleghi. Se avessi un computer, il mio lavoro sarebbe stato tanto più facile e senza sbagli65. Non posso dire che mi interessa, però è diventato necessario, un mezzo66. 61 Intervista 22 IT 62 Intervista 27 B. 63 Intervista 6 P. 64 Intervista 14 P. 65 Intervista 19 B. 66 Intervista 11 DK. 71 Solo in seconda battuta l’accesso al computer e alle nuove tecnologie informatiche risulta totalmente positivo, capace di suscitare interesse verso lo strumento in sé e verso le potenzialità che esso offre (È diventato parte della vita quotidiana. Non lo avrei mai pensato all’inizio. Oggi non potrei vivere senza67), raramente diventando oggetto di gioco e di passione, rimanendo sempre uno ‘strumento utile e funzionale’. Io non ho mai usato Internet per passare il tempo. Il mio lavoro mi è sufficiente, e io non lavoro con un computer a casa, dunque qui cerco di usarlo professionale, al massimo. Non l’ho mai usato per passare il tempo68. Utilizzo internet principalmente per le necessità di lavoro. […] Riempio meglio il tempo libero lavorando nel giardino69. Per la verità i computer non mi entusiasmano, solo quando ne ho bisogno, quando è necessario,se no solo per curiosità non ci vado. Se lo devo fare lo faccio, non ho nessun problema e mi piace usarlo. Non ho paura di metterci le mani. Se ho bisogno lo uso, anche se non so, vado per tentativi, ma solo se ho bisogno70. 67 Intervista 20 DK. 68 Intervista 4 B. 69 Intervista 29 L. 70 Intervista 40 P. 72 Ma esistono anche altre forme di necessità legate per lo più alla sfera dei bisogni personali: per esempio, nelle interviste raccolte in Portogallo, un ruolo decisivo per un primo approccio e utilizzo ‘di massa’ al computer è legato alla patente di guida. Infatti, in Portogallo per superare l’esame e ottenere la licenza di guida è obbligatorio conoscere e utilizzare gli appositi supporti informatici. Non uso il computer. L’unico contatto è avvenuto alla Scuola Guida, quando stavo facendo la patente71. Emblematico è anche il caso di una donna portoghese che ha dichiarato di aver utilizzato il computer, in particolare alcuni giochi, per rilassarsi e distrarsi soprattutto in momenti delicati della sua vita. In particolare, ci ha spiegato che, avendo il vizio del fumo ed avendo vissuto un momento molto difficile della sua esistenza, era spinta a fumare di più. Ebbene, è ricorsa ai giochi sul computer per ridurre il numero di sigarette e riuscire a perdere questo vizio, perché quando giocava non sentiva il bisogno di fumare. In questo caso, dunque, l’uso del computer è stato per questa donna un modo per allontanarsi dalle difficoltà, per trovare un momento tutto per sé in cui potersi concedere il lusso di non essere sommersa dai problemi della sua vita quotidiana. E infatti, superato il momento difficile, l’uso del computer e dei giochi si è notevolmente ridotto. 71 Intervista 18 P. 73 Ho smesso di fumare da poco e mi rifugiavo nel computer, a giocare. Adesso non lo uso molto [piccola pausa] anche perché adesso il problema del fumo è quasi risolto e anche la vita a casa è un po’ più stabile [piccola pausa] e allora non l’ho usato così tanto, non ho neanche molto tempo72. Inoltre, nello spingere parecchie donne adulte all’utilizzo delle TIC al di là della necessità lavorativa, un ruolo centrale è costituito dai figli e dalle figlie. O perché da adulti scelgono o sono costretto a vivere lontani da casa, spesso all’estero, e quindi le madri sentono il bisogno di trovare mezzi efficaci che permettano di comunicare con loro. In questi casi, internet e la posta elettronica appaino ai loro occhi come il mezzo più semplice, veloce ed economico per farlo. Quello che mi piace di computer e di internet è la comunicazione. La necessità per la comunicazione. Il figlio andrà a lavorare fra poco all’estero, probabilmente dovrò pensare al collegamento Internet a casa73. Oppure perché i figli fin da piccoli ne hanno bisogno per la loro formazione che ormai non è più pensabile slegata dalle TIC, verso cui dimostrano una facilità e una velocità di apprendimento sconosciuta alle generazioni precedenti. 72 Intervista 10 P. 73 Intervista 12 L. 74 Credo di non averne bisogno, i miei figli sì loro ne hanno bisogno, imparano molte cose e più facilmente, non c’è dubbio che imparano più facilmente74. Io in pratica non lo uso, per i ragazzi, credo sia uno strumento di lavoro, ma per me, francamente, non è così necessario [sorriso] Non è uno strumento di cui abbia bisogno ogni giorno75. In questo caso, i genitori si sentono in dovere di mettere i figli nelle condizioni di appropriarsi di questo mondo e delle possibilità che offre. E così facendo può capitare che loro stessi vi si avvicinino. Quando mio figlio ha compiuto dieci anni cominciò ad andare in un vicino club di computer ed io come genitore dovevo portarlo, prenderlo e tenerlo d’occhio. Allora vidi che i computer sono attuali e interessanti. Cioè mi è sembrato molto interessante come materia e mezzo di comunicazione76. Inoltre, quando i figli sono ancora piccoli, i genitori rivestono un ruolo centrale come supervisori. Infatti, come vedremo meglio più avanti, in parecchie delle interviste realizzate le donne menzionano i pericoli di un uso non controllato delle TIC da parte dei bambini, ancora ignari del mondo e quindi indifesi, rispetto alla reale possibilità di venire 74 Intervista 32 P. 75 Intervista 40 P. 76 Intervista 24 B. 75 risucchiati dal mondo virtuale o, peggio, dalle diverse reti di pedofili che esistono nella rete. Le mie figlie cominciavano ad usare il computer sempre di più a scuola, ed è importante interessarsi di quello che fanno. Anche per essere al corrente di quello che può succedere quando navigano in rete. Sono molto più brave di me, ma è importante che io conosca quel mondo, almeno un pochino77 Infine, capita anche che i figli e le figlie, non accettando che i loro genitori, soprattutto le madri, vivano in un mondo così antiquato da non prevedere le moderne tecnologie, li spingano e li aiutino ad avvicinarvisi. Sono loro i primi maestri, i compagni o le compagne di studio. Mi ripetono sempre che devo imparare di più – soprattutto i figli. Mio marito ha frequentato un corso più approfondito, e adesso sa più di me. Io sono la più ignorante della nostra famiglia, però loro m’aiutano tanto e se non c’erano loro non avrei mai cercato qualcosa78. Le interviste realizzate in Danimarca rappresentano molto spesso una eccentricità rispetto a quelle realizzate negli altri Paesi, probabilmente perché in questo Paese c’è una diffusione massiccia delle TIC a tutti i livelli, e perché questa diffusione, a differenza delle altre nazioni in 77 Intervista 15 DK: 78 Intervista 27 B. 76 cui abbiamo condotto la ricerca, affonda le sue radici nel tempo. E infatti, nelle interviste qui raccolte si registra che anche per le donne di età compresa tra i 45 e i 60 anni l’uso delle TIC è connesso alla scuola e agli studi intrapresi. In tutti gli altri Paesi, questa situazione riguarda le nuove generazioni, non la fascia di età più adulta: per i giovani, le TIC sono diventate materia di studio, attraverso di esse i loro percorsi formativi sono facilitati. Ma non è così per la generazione di cinquantenni, forse nemmeno per i quarantenni, come invece accade nei racconti delle donne danesi. Ho usato il computer da quando studiavo, saranno 10 anni che lo uso frequentemente. Internet lo uso da un paio di anni79. 79 Intervista 15 DK. 77 Un apprendimento sia teorico che pratico Essendo la necessità e in particolare, la necessità lavorativa, la via maestra dell’accesso al computer e alla rete, emerge che il rapporto con lo strumento diventa vivo e fruttuoso quando c’è l’occasione di utilizzarlo quotidianamente. Quindi, la dimensione dell’impiego pratico diventa centrale nel processo di apprendimento e di ‘conquista’ del mondo del sapere informatico. Se esiste una necessità si impara a farlo. Ho frequentato dei corsi per imparare i programmi che vengono usati al lavoro, ma è solo quando uno deve davvero usarli che si impara, altrimenti si perde tempo e basta80. [Pensierosa] In verità non si può imparare il computer, se nel quotidiano non c’e’ la pratica, non si può imparare se non si deve lavorare ogni giorno81. Le donne che accedono all’uso del computer e della rete attraverso un corso di alfabetizzazione trovano importante questo ingresso per ‘rompere il ghiaccio’ e avvicinarsi ad esso. Lo ritengono un canale importante per avere una conoscenza generale della tecnologia che altrimenti non potrebbero avere. Mentre prima del corso avevo paura: oddio, cosa ho fatto, non lo toccavo, oggi mi rendo conto che mi hanno insegnato, Antonio [il docente] mi ha insegnato…Se ti succede questo fai questo…82 80 Intervista 32 DK. 81 Intervista 7 L. 78 E vorrei fare dei corsi di formazione perché trovo che il computer è molto interessante e del resto è il futuro, perché oggi senza computer non si fa niente83. Ci sono tante cose che non so, non posso dire esattamente. Preferirei non impararle dai libri, ma dal corso. Perché ho letto tante cose nei libri, ma quando chiedo a qualcuno capisco meglio e più velocemente la materia. E poi è meglio vederlo nella pratica che nei libri 84. Ci andavo su internet prima del corso ma ero meno consapevole di quello che facevo. Il mio ragazzo mi diceva di fare così e così, e io lo facevo. Al corso mi hanno spiegato perché ci sono determinate cose, a cosa servono e quindi sai più come muoverti e eviti anche di andare in certi siti perché hai capito cosa significa quando vedi certe cose85. Nonostante il primo contatto con l’uso delle TIC sia per lo più veicolato da un proposta teorica legata a corsi di formazione, il salto di qualità nel rapporto tra donne e TIC avviene sempre ed esclusivamente grazie al loro impiego pratico inserito nella quotidianità di ognuna. 82 Intervista 31 IT. 83 Intervista 14 P. 84 Intervista 4 B. 85 Intervista 5 IT. 79 Ho cominciato sette anni fa, quando andavo ai corsi [a voce bassa] Avevo paura di premere un pulsante sbagliato. Lì ho imparato un minimo, ci vuole la pratica, se non si utilizza ogni giorno, i corsi non hanno senso86. Ci vuole molta pratica, se lo si usa ogni giorno si acquista sicurezza87. Ho tentato di andare a un corso, però questi corsi non hanno nessun senso secondo me. Perché lì ci sono venti persone ed un insegnante, che insegna la teoria che puoi trovare da solo nel manuale88. E adesso però ho dimenticato tutto perché non lo pratico89. Inoltre, da molti racconti emerge con chiarezza che per l’apprendimento all’uso e la maggiore familiarità con questo mondo è di fondamentale importanza, oltre l’aver seguito dei corsi che prevedevano l’intreccio di teoria e pratica, affidarsi all’autoapprendimento, cioè al non avere paura di procedere per tentativi ed errori e di continuare a sperimentare. Facevo 45 Km per andare nella città del distretto per apprendere […] E’ stato per una settimana, ogni giorno […], non ho imparato bene nulla, poi attraverso l’auto-apprendimento ho acquisito le abilità necessarie90. 86 Intervista 14 L. 87 Intervista 9 P. 88 Intervista 18 B. 89 Intervista 29 B. 90 Intervista 28 L. 80 Con il tempo ho imparato che non è sbagliato fare tentativi, anzi si impara proprio così91. Era tanto difficile per me. Si rovinava. Il computer non si rovinava, ma io sbagliavo il programma e i comandi. Alla fine ero stufa di questa situazione e ho deciso di istruirmi da sola. Ho comprato un libro di Word 5.0 – l’ho studiato da un libro che era scritto benissimo. Ho fatto fronte alla situazione, molto facilmente. Naturalmente occorreva tanto tempo – per leggere e sperimentare. Però alla fine ho imparato e adesso posso dire che ho una base solida per lavorare al computer92. All’inizio avevo paura di rompere qualcosa, ma dopo che ho capito che non si può rompere niente, ho imparato di più. Ora provo da sola prima di chiedere aiuto93. C’è poi una notevole differenza nei racconti di chi ora ha una certa familiarità con le TIC rispetto a chi, dopo un primo incontro, ha abbandonato o perso di vista questo mondo. Tale differenza si nota soprattutto nella descrizione del primo approccio al mondo informatico: infatti, quando le donne più esperte raccontano dei loro primi contatti, spesso avvenuti in periodi abbastanza lontani dal tempo delle interviste, pur dichiarando di aver provato in quei momenti sentimenti di timore e di paura per la nuova avventura intrapresa – 91 Intervista 43 P. 92 Intervista 11 B. 93 Intervista 9 DK. 81 cosa che le donne che hanno abbandonato l’uso delle TIC difficilmente ammettono-, non si spiegano da dove arrivassero quei sentimenti, che ora appaiono loro come immotivati e incomprensibili. All’inizio avevo paura, è curioso avevo paura di fare una cosa sbagliata e di non saper tornare indietro, è ovvio che si ha paura quando si comincia94. Pensavo che fosse difficile. Non avrei mai immaginato di riuscire a usare il computer e alla fine ci si riesce. Certo, non con la facilità dei giovani, per noi è molto più difficile, perché non so l’inglese e questa è stata la difficoltà maggiore. Credevo che se sbagliavo, tutto scompariva. Era un dramma! Quando scrivevo un testo e arrivavo alla fine e facevo un errore credevo di perdere tutto, prima di tranquillizzarmi… Mi ero messa in testa che se si faceva un errore quello si rovinava facilmente, visto che è una macchina95. Certamente, per ogni nuova cosa c’è una certa paura, di rovinare o sbagliare, ma…adesso capisco che non si può rovinare irreversibilmente niente. Attualmente non sono convinta, ma se qualcosa non riesce, provo più volte finché riesce. (si tratta di auto-apprendimento)96. Inoltre, con l’aumentare della familiarità con le TIC, cambia molto anche l’approccio alla possibilità di seguire dei corsi di formazione: mentre agli inizi dei percorsi di apprendimento nell’uso delle TIC i corsi apparivano alla maggior parte come la via privilegiata per 94 Intervista 4 P. 95 Intervista 21 P. 96 Intervista 3 L. 82 appropriarsi di questo nuovo mondo, come ciò che le legittimava e contemporaneamente le tutelava rispetto alle possibilità di errori e danni, nel procedere della propria formazione, quando la capacità di utilizzo è già buona, la maggior parte dei corsi di informatica appaiono inutili, troppo poco specifici e comunque sempre troppo sovraffollati. In verità vorrei frequentare un corso sia di Word che di altri programmi. So che con i programmi si possono fare tante cose, ma non so come farle, a volte mi irrita. È difficile trovare corsi, ne ho provato uno, pagato di tasca mia, ma non era molto buono. Eravamo in troppi, perciò c’era sempre da aspettare per avere aiuto97. 97 Intervista 18 DK. 83 Verso una diversa economia di tempo e di vita Il computer e la rete vengono vissuti come strumenti capaci di velocizzare la ricerca di informazioni e di semplificare e rendere più agevoli alcune operazioni che altrimenti richiederebbero numerosi spostamenti e quindi un impiego più massiccio del tempo. Certo Internet è una cosa magnifica – semplicemente così tanta informazione, risparmio di tempo per andare in biblioteche ed altri luoghi. Semplicemente tu hai l’informazione davanti a te – basta che tu sappia dove cercarla98. Del computer mi piace che c’è la velocità, economia del tempo, non bisogna spendere il tempo per andare in città. Sì, un’informazione celere! 99 Particolarmente significativo in tal senso è l’impiego della posta elettronica e la possibilità di corrispondere con persone care e lontane. Utilizzo Internet praticamente ogni giorno perché a casa c’è il collegamento. È il modo più economico di comunicare con gli amici100. C’è della gente che non riesce a capirlo ma su Messenger, quando si parla, si può vedere come è l’altra persona, cosa sente, si riesce a trasmettere 98 Intervista 17 B. 99 Intervista 3 L. 100 Intervista 2 L. 84 tutto. Se io lo racconto a qualcun altro … alle mie amiche, non l’ho raccontato a molti, mi dicono: “ma è complicato, com’è possibile!”101 La dimensione di economicità del tempo e di semplificazione e velocizzazione di alcuni aspetti pratici è rilevante, senza tuttavia diventare quasi mai un impiego sostitutivo nel tempo libero o extra lavorativo. Non ho tempo. Nel poco tempo libero che ho faccio altre cose, mi piacciono molto i lavori manuali, l’uncinetto e così via. Non mi ha mai interessato, mia cugina mi dice che dobbiamo parlare su Internet, al computer, costa meno, ci possiamo anche vedere. Ho già parlato una volta. Lavoro con telai, non ne ho bisogno102. Sono io che uso il computer di più. Non scarico musica e filmati, ma so che altri lo fanno, non mi interessa. Siamo persone che preferiscono stare all’aperto, perciò se non c’è un motivo ben preciso non lo usiamo103. Rispetto alla dimensione del tempo, il lato negativo rilevato è la cronica mancanza di tempo che molte donne segnalano: tutte riconoscono che una volta che vi si ha familiarità, il computer e la rete agevolano il lavoro e molte attività umane, ma per arrivare a questa familiarità con gli strumenti occorre tempo. Occorre tempo per 101 Intervista 6 P. 102 Intervista 12 P. 103 Intervista 12 DK. 85 imparare e per fare pratica. Tempo che molte di loro dichiarano di non avere, immerse come sono negli impegni lavorativi e familiari. Quello negativo: [sospiro] il tempo per imparare, e poi ci vogliono i mezzi per avere il proprio computer104. È il futuro, perciò prima o poi tocca anche a me impararlo. Bisogna seguire lo sviluppo, ma ci vuole tempo105. Mi piace il computer, mi dispiace aver poco tempo libero, potrei usarlo di più nella vita di ogni giorno se avessi tempo, usarlo in altro modo, ma sia in ufficio sia a casa non c’è tempo106. Sono curiosa, ma a casa il tempo è scarso. Tre uomini a casa. Lavoro tutto il giorno e esco di qui stanca. Stare in aula, in cucina ogni giorno con 6 o 7 ragazzi stanca e poi ci sono cose da fare a casa e la sera è per riposare, o anche per fare dei lavori che mi porto dietro, sommari, valutazioni, cose del genere e il tempo è scarso107. Non navigo mai, mi sembra un perdita di tempo, non trovo mai quello che cerco, e se ho un problema non c’è mai nessuno che ha tempo per aiutarmi in quel momento108. 104 Intervista 6 L. 105 Intervista 30 DK. 106 Intervista 3 P. 107 Intervista 22 P. 108 Intervista 35 DK. 86 Anche in questo caso, le interviste realizzate in Danimarca contengono una specificità unica: per le donne danesi, il computer e la rete sono proprio il mezzo che consente loro di conciliare vita e lavoro, famiglia e carriera. In nessuna delle altre interviste, sebbene realizzate in Paesi con cultura e storia molto diversi, emerge questa immagine delle TIC come possibilità di conciliare la propria vita personale con quella lavorativa, senza che né l’una né l’altra ne risultino penalizzate. È necessario, al lavoro è un obbligo. A casa è un aiuto perchè si possono fare le cose più veloci, con una vita quotidiana dove le cose vanno sempre più veloci, c’è bisogno del computer come attrezzo. Aiuta a accelerare le cose, a volte può sembrare negativo, ma ormai ci siamo abituati109. Il computer è importante e facilita lo studio. Senza il computer non era possibile stare dietro sia alla famiglia che ai bambini, sia al lavoro che agli studi110. Alcune delle mie colleghe lavorano parte del tempo da casa. L’uso del posto di lavoro a casa non é solo positivo, uno può sentirsi forzato di lavorare anche quando in realtà è libero, in quel modo diminuisce il tempo libero. Però ti da anche più flessibilità, ma uno deve essere capace di maneggiarlo bene. Può essere attraente di scegliere il lavoro da casa, quando nascono i bambini, ma non é sempre detto che sia la soluzione migliore111. 109 Intervista 16 DK. 110 Intervista 6 DK. 111 Intervista 3 DK. 87 Mediazioni viventi Oltre ad un accesso formale al computer e alla rete, attraverso un corso di alfabetizzazione, l’uso delle tecnologie è facilitato da alcune mediazioni viventi che il più delle volte sono costituite da figlie, colleghe e amiche che aiutano e facilitano l’apprendimento. I figli maschi risultano meno disponibili a impiegare tempo e pazienza in questa attività di insegnamento e i mariti o i compagni sono decisamente poco disponibili a mettere in comune questa dimensione con le mogli o le compagne. Contesa di potere uomo/donna sull’uso della tecnica? I bambini mi fanno sedere davanti al computer e mi spiegano. Li guardo: loro sono sveltissimi con il computer [mentre spiega guarda il computer sullo scrittoio e alza preoccupata le spalle]. I bambini hanno voglia di aiutarmi. Non hanno mai scherzato con me. Anzi, se voglio che loro mi spieghino lo fanno senza problemi112. All’inizio pensavo che il computer era inutile ed un motivo di irritazione. Ma quando i bambini e mio marito hanno iniziato ad usarlo spesso, ho cambiato idea113. I miei figli mi hanno aiutato a cominciare le varie cose, ma sempre in relazione con le mie necessità114. 112 Intervista 25 B. 113 Intervista 7 DK. 88 Forte è poi la collaborazione tra colleghi della stessa generazione, con cui volentieri si mettono in comune le informazioni e si cercano di risolvere i problemi. È un rapporto che si concentra sulla necessità di trovare soluzioni semplici ai problemi che quotidianamente si incontrano sui luoghi di lavoro. All’inizio il mio direttore era una donna e poi un uomo che mi hanno insegnato con gran pazienza115. La base delle nozioni di computer le ho imparato dei miei colleghi116. Mi ha insegnato la mia ex collega117. Quando non sappiamo qualcosa chiediamo aiuto l’una all’altra. Quando non so qualcosa, lo dico subito. Ma alla fine ci riesco sempre, e se non ce la faccio da sola, c’è la collega accanto118. Fra colleghe collaboravamo. E c’era sempre chi ne sapeva di più e cosi facevamo tutto119. 114 Intervista 21 DK. 115 Intervista 2 B. 116 Intervista 4 B. 117 Intervista 19 L. 118 Intervista 2 P. 119 Intervista 6 P. 89 C’è anche chi, forse per mantenere vivo questo legame iniziale con le persone che l’hanno iniziata all’uso delle TIC, non si rende mai completamente autonoma. O forse, semplicemente, è una questione di pigrizia e queste donne preferiscono lasciar fare a chi è più esperto e ci mette più passione di quanto potrebbero mettercene loro che, sebbene padrone dello strumento, vi rimangono comunque sostanzialmente indifferenti. Trovo la musica che voglio masterizzare e poi chiamo mio marito che fa il resto. Non ho la pazienza di stare ad ascoltarlo, per me deve essere spiegato in un modo semplice, altrimenti non capisco. Mio marito è invece molto più tecnico, ed è abituato a parlare con altri del mondo dei programmatori. Se chiedo qualcosa, ricevo una spiegazione che dura 10 minuti, e alla fine ho dimenticato che cosa ho chiesto. Perciò non ho più voglia di chiedere120. Loro sono più che capaci di fare le foto che servono, perciò lascio fare a loro, sono anche più bravi. Se io devo mettere delle cose sul computer, metto molto più tempo di loro, loro lo fanno in un attimo121. Inoltre, anche il desiderio di comunicare con persone amate ma distanti può diventare una buona mediazione con questo mondo che attraverso questa nuova prospettiva appare come una potenzialità e una risorsa. 120 Intervista 7 DK. 121 Intervista 35 DK. 90 Il computer è il mio collegamento con amici, vicini e parenti che non sono da me nel momento. Con il suo aiuto posso mandare un messaggio, posso parlare con qualsiasi posto del mondo, posso scrivere una lettera, auguri per una festa, posso scrivere qualche documento ecc.122 Preferisco mandare una mail che mandare un sms, scrivere una lettera o al limite telefonare. È molto più pratico con la posta elettronica. È una cosa meravigliosa! A volte non è facile parlare in altri modi … aiuta le persone a mantenersi unite. La posta elettronica è più facile. Anche quando siamo tristi (o allegre!), per esprimere un sentimento qualsiasi, a volte abbiamo voglia di mandare un messaggio a qualcuno, l’ora non importa123. Lo uso per comunicare con la mia famiglia (che vive lontano) scambiamo mail, è molto più facile124. Il Computer e la rete a volte diventano anche il pretesto per continuare ad essere in relazione coi figli e le figlie, coi mariti e/o i compagni. Grazie a mia figlia ogni giorno imparo nuove e nuove cose. Posso sempre chiamarla e chiederle. Lei m’aiuta tanto. Anche se non sa qualche cosa al momento per telefono, poi mi scrive una lettera con tutte le istruzioni e la manda per e-mail125. 122 Intervista 42 B. 123 Intervista 7 P. 124 Intervista 17 P. 125 Intervista 37 B. 91 I miei figli hanno già conoscenza di computer e anche loro mi hanno aiutato. Il loro rapporto è un po’ ironico [ride e alza le spalle come per dire che “questa è una cosa normale”]. Ma mi hanno aiutato e rispettano le mie prove per imparare il computer. Almeno abbiamo un altro tema di cui parlare: è abbastanza interessante della nostra contemporaneità126. Magari le donne si avvicinano al computer per riuscire a stare un po’ più insieme alla persona con cui stanno insieme che alla sera si dedica completamente… almeno da quello che sento in giro127. Capita spessissimo che le donne intervistate abbiano iniziato per i figli e le figlie. Per la prima volta ho avuto il piacere non solo di avere conoscenze, ma anche di fare alcune cose più interessanti per me, grazie alla mia figlia piccola, che aveva un gran desiderio di averlo e glielo abbiamo comprato. E mentre lei si occupava professionalmente, perché ha già imparato la materia, avevo l’occasione di impararlo anch’io. Era molto interessante, perché io come tutti ho cominciato con piccoli giochi128. Abbiamo comprato il computer al figlio che andava ai corsi, e doveva fare pratica […] Ho imparato di più assieme al figlio, ma non vuole continuare ad insegnarmi, perchè gli è più facile fare da solo, non insegnarlo a me. Mi dice di frequentare il corso, probabilmente lo farò129. 126 Intervista 4 B. 127 Intervista 10 I. 128 Intervista 32 B. 129 Intervista 3 L. 92 Il mio primo incontro con il computer è stato a casa mia, quando lo abbiamo comprato ai nostri figli130. Grazie alla presenza costante ed amorevole di figli e figlie molte intervistate sentono di poter andare avanti nell’apprendimento ed essere tutelate dalla possibilità di commettere errori irreparabili. Non c’è la sensazione di paura che potrò rovinare qualcosa, perchè lo faccio con l’aiuto della figlia minore131. Nelle interviste effettuate in Bulgaria, una cosa che colpisce per differenza rispetto a quelle realizzate negli altri Paesi, è che le persone più giovani tendono a prendere in giro e a scherzare anche piuttosto pesantemente con le persone più vecchie che non possiedono, o che hanno poche, conoscenze informatiche. Per esempio i bambini mi hanno aperto una e – mail, e attaccano: ‘ma come mai hai dimenticato la tua password!’ Non mi aiutano, solo dicono: ‘Fai da sola!’ e ridono. La stessa cosa con il cellulare – te lo danno e ti dicono: ‘Hai un libretto leggi – tutto è descritto lì dentro!’ In altre parole io mi sono istruita da sola, nessuno mi ha aiutato, solo hanno scherzato con me. Però con i colleghi è un’altra cosa132. 130 Intervista 17 B. 131 Intervista 3 L. 132 Intervista 7 B. 93 Mio figlio però scherza sempre: ‘mamma, è facilissimo – perché fai cosi?!’ O se deve mostrarmi e insegnarmi a qualcosa, mio figlio non può! Lo fa in modo che io non capisca nulla. [fa dei movimenti sulla tastiera come se suonasse il piano], ‘ecco guarda’. Però io non capisco nulla. E lui dà i comandi da solo e non spiega nulla133. Ho due figlie già grandi che sono molto brave con la tecnica e non scherzano con la mia ignoranza in quel campo – piuttosto mi aiutano tanto134. 133 Intervista 5 B. 134 Intervista 9 B. 94 La tecnologia: pericoli e fantasmi. Un immaginario sfavorevole avvolge e coinvolge le tecnologie. Un immaginario che si sostanzia di vissuti che vanno dalla resistenza rispetto ad un qualcosa che si avverte come estremamente potente e totalizzante, alla percezione di una qualche forma di pericolo per la propria salute e/o sicurezza. Paura delle tecnica alle volte, in altri casi un rapporto di inimicizia che significa mancanza di sintonia con lo strumento, altre percezione di un pericolo verso il vasto mondo aperto dalla rete. Riesco a vedere che ci sono tante possibilità, ma non ho avuto né tempo né voglia di impararle ancora, forse sbaglio, perché sicuramente sarà il futuro. Ho sentito dire che possono succedere tante cose, per esempio che quelli che fanno acquisti on-line vengono fregati135. Il computer ha molte cose belle, ma ha anche cose cattive, che non servono a nulla136. Sono dell’idea che non tutto è così sicuro […] Secondo me il computer andrebbe usato solo con determinate cose, non per tutto137. 135 Intervista 22 DK. 136 Intervista 8 P. 137 Intervista 8 I. 95 In questa prospettiva, anche la dimensione del tempo acquista un peso diverso: tutto appare troppo accelerato, veloce, in continua evoluzione. Non sono più previsti pause e tempi di riflessione, tutto deve capitare subito. I tempi di lavoro paiono disumanizzati e disumanizzanti, pare non esserci più spazio per i tempi a misura di essere umano, fatti quindi anche di pause e tempi morti, e questo a lungo andare rischia di privarci di una parte importante della nostra vita. Però c’è tanta gente che ci esce fuori di testa, nel senso che la nuova malattia di questi anni: siamo tutti esauriti perché, comunque, il fatto che sia tutto molto veloce, ti devi adeguare alla velocità138. A volte ho la sensazione che il computer e internet ti rubano il tempo, per esempio ci vuole tempo per rispondere a tutti quell’e-mail che ricevi. Tutti pretendono una riposta veloce, il tempo si è accelerato, anche al lavoro, non esistono più periodi di tranquillità, quando hai controllato la posta la mattina, non esiste più di aspettare il giorno dopo prima di rispondere. É un po’ stressante che è tutto così concentrato ed intenso. Ti stanca, prima c’erano dei momenti tranquilli, ora va tutto veloce. Il computer crea delle prospettive di risposte veloci, tutto deve sempre andare più veloce, non puoi mai fermarti, nemmeno un attimo139. 138 Intervista 5 I. 139 Intervista 22 DK. 96 L’utilizzo del computer dovrebbe servire e serve a sveltire il lavoro, ma io vedo che la maggior parte delle persone lavora un sacco di ore. Anzi, il computer uno magari ce l’ha anche in casa o ha il portatile e continua a lavorare anche a casa140. Anche rispetto ai pericoli e ai fantasmi legati all’uso delle TIC, un ruolo determinante è svolto dai bambini: è soprattutto nei loro confronti che gli adulti avvertono tutta una serie di pericoli, alcuni dei quali sono reali, molti altri appartengono all’immaginario. Tra questi pericoli, vi è la possibilità per bambini e bambine di incorrere nella pedofilia, di essere attratti verso un mondo da cui loro stessi non sono in grado di difendersi autonomamente, e i genitori non possono quasi nulla dal momento che questi contatti si insinuano in una maniera che è difficile da individuare, nei giochi o nei siti dedicati ai più piccoli. Anche qui però vi è una differenza tra le madri che hanno familiarità con questo mondo e quelle che non ce l’hanno: le prime, essendo consapevoli del pericolo costituito da internet ma essendo altrettanto convinte dell’importanza di poterli utilizzare, ci raccontano di tutta una serie di meccanismi messi in atto per proteggere i loro figli e le loro figlie. Si va da particolari filtri, ad orari limitati in cui avere accesso alla rete, alla supervisione continua durante la navigazione, etc. 140 Intervista 11 I. 97 Spesso si sente dire che sono successe delle cose brutte ai bambini, quando usano le chat. A casa nostra abbiamo delle regole per le bambine: abbiamo stabilito quali siti possono guardare e che possono giocare al computer un’ora al giorno, quando hanno completato i loro compiti per la scuola, ma non giocano spesso. Internet lo possono usare in relazione con i loro compiti, per la scuola. Finora non ho mai scoperto che hanno visitato siti che per loro sono stati proibiti. Ascoltano la radio on-line, ma non comprano musica141. Ho molta paura dei siti di pedofili; per questo motivo ho scelto di mettere dei filtri sul nostro computer personale. A volte ho anche paura degli hacker, specialmente ora che abbiamo l’ADSL, ma abbiamo dei programmi anti-virus, e bisogna imparare a vivere con il rischio. A casa abbiamo stabilito delle regole: ovviamente i figli possono usare il computer per i loro compiti, in più il minore può giocare a Runscape ed usare la chat, ma devono rispettare degli orari, altrimenti sono capaci di stare li tutto il giorno142. Tuttavia penso che i bambini si appassionano al computer. Ecco perché noi abbiamo orari – una mezz’ora di gioco, perché ho amiche i cui figli giocano fino a mezzanotte o l’una di notte. Ma penso anche che fa male agli occhi. Non so ma questo è la mia opinione. Mio piccolo figlio ha dei problemi con gli occhi – qualche allergia – e quando guarda a lungo lo schermo i suoi occhi diventano rossi. C’è anche un altro problema: i bambini non sono molto ubbidienti e se giocano a qualche gioco o fanno un’altra cosa al computer non sentono nulla143. 141 Intervista 15 DK. 142 Intervista 16 DK. 143 Intervista 17 B. 98 Voglio controllare mio figlio su che siti va. Non sono lì presente, ma visto che la cucina è sotto [lo studio] sento quando entra e ad un certo punto faccio finta di niente e vado su di sopra. Però ci va raramente, quindi sono tranquilla144. Per contro, le madri che non hanno familiarità con computer e rete, parlano di questi pericoli, di cui hanno sentito parlare attraverso i media, con toni catastrofici, privi di una presa sul reale. E di conseguenza, non sono nemmeno in grado di pensare o proporre strumenti e situazioni che proteggano i loro figli e le loro figlie. Forse, questo diverso modo di regolamentare l’accesso a computer e rete è un motivo per cui le madri hanno un atteggiamento molto differente per quanto riguarda il pericolo di isolamento di chi utilizza troppo internet e il computer rispetto al mondo reale. Per prima cosa è interessante notare che quasi esclusivamente le madri che non hanno familiarità con le TIC avvertono questo pericolo come incombente, come qualcosa che, proprio perchè non controllabile, è dietro l’angolo. L’altra cosa altrettanto interessante da rilevare è che nei racconti di queste donne, sono sempre i giovani a perdersi nel mondo di internet, a perdere i contatti con la vita reale perché immersi in un mondo fantastico. Sono i giovani che rinunciano ai contatti personali con gli altri coetanei, nel senso che non hanno più il piacere di uscire di casa, di fare delle passeggiate e incontrare gli amici in carne e ossa, di praticare sport e di leggere libri. 144 Intervista 35 I. 99 I giovani stanno troppo tempo davanti al computer, e col tempo diventano malati e chi sa che cosa, non escono mai fuori e non usano più il loro corpo. Mi fa paura quando non riesco a comunicare con i miei figli, a volte sembra di parlare con una porta, quando sono davanti al computer. Mi sembra che il computer abbia preso il potere, e vale per tante persone specialmente i giovani145. La tecnologia […] a volte però mette dei paletti. Delle volte piuttosto che andare a fare una passeggiata dove c’è un po’ di gente… Molti non lo fanno più! Una persona timida è difficile che la schiodi dal computer per andare in mezzo ad altra gente: il rischio è questo!146 Il bene è l’economia del tempo, il male…Beh! se qualcuno s’abitua, può essere la dipendenza [risata] Questo non mi minaccia. Penso che la gente della mia età non sia a rischio di dipendenza, principalmente capita agli adolescenti147. Internet è più dannoso che utile. Lo vedo dalle persone che mi stanno vicino: il figlioccio gioca nel sito internazionale senza mangiare, senza bere, è pallido e gioca, è computer-dipendente. È molto male, è patologico148. Ritengo che moltissimi bambini si ammalino della dipendenza dal computer, perchè la maggior parte gioca con i giochi, che sviluppano l’intelletto, ma sono abbastanza aggressivi, un’altra parte siede nel sito draugi.lv (un sito lettone) l’intera giornata149. 145 Intervista 7 DK. 146 Intervista 18 I. 147 Intervista 4 L. 148 Intervista 18 L. 149 Intervista 3 L. 100 Forte è anche la percezione di un pericolo per la propria salute: si va dall’arrossamento degli occhi, al mal di testa, all’incapacità di agire e pensare con la propria testa. Qualche tempo fa ero andata ai corsi. [guarda nel vuoto] Forse è una barriera psicologica, un respingimento, non riesco a capirlo. Dopo essere tornata dai corsi avevo sempre mal di occhi e di testa. [pensierosa] Forse sono io stessa a pormi così. [rigida] Ho deciso che questo per me è nocivo e ho smesso tutto [riferito ai corsi]. Non so da dove mi viene questa paura150. É vero che fa risparmiare molto tempo e soldi. Tempo fa però al mio lavoro hanno tolto l’elettricità: a quel tempo noi abbiamo dovuto fare un gran accertamento di contabilità. E devo dire che era molto difficile. È venuto il programmista e ha aggiornato il programma […] Prima di cominciare a lavorare al computer queste cose le sapevo benissimo. E adesso all’improvviso quando l’elettricità è mancata, avendo una scadenza per finire il lavoro, e non funzionava neanche la calcolatrice – anch’essa funziona con l’elettricità... Era tanto difficile per me. Quindi il computer ha molti aspetti positivi, ma una persona può dimenticare come si calcola a mano e tante altre cose151. D’altra parte però io non trovo il computer come una cosa utile perché fa male alla salute – irradia. Il problema non è solo la radiazione, ma le luci e le vibrazioni dello schermo che sono quelle che fanno male agli occhi. Secondo me però il computer fa male a tutto il corpo umano. Si tratta anche di movimento 150 Intervista 49 L. 151 Intervista 12 B. 101 cioè la gente non fa tanti moto quando sta al computer. Secondo me d’ora in poi si vedranno i danni del computer. E penso anche che questo fatto è ancora un segreto. Quindi penso che come il computer è utile così è anche dannoso specialmente per la salute152. Non sono abituata a lavorare a lungo al computer, si rompono i capillari degli occhi153. Infine, in qualche intervista le interlocutrici hanno segnalato i danni che le irradiazioni del monitor possono provocare per la salute di chi sta seduto davanti allo schermo del computer per tanto tempo. Chiaro che si danneggia la salute, dipendenza totale, non io, ma i miei alunni, gli adolescenti sono molto dipendenti. Si danneggia il sistema endocrino a causa del computer, perchè la tiroide sta proprio contro il monitor del computer, e viene attraversata perchè la sedia per computer ha un piede metallico che conduce le radiazioni154. Un pericolo che è viene avvertito un po’ ovunque è legato al fatto che i computer sono visti come i responsabili della perdita e del venire meno di molti posti di lavoro. 152 Intervista 16 B. 153 Intervista 17 L. 154 Intervista 19 L. 102 In certi campi il computer è fondamentale però ha levato anche tanto 155 lavoro . Ho paura che col tempo ci saranno più disoccupati, perché il computer prende sempre più potere156. I computer non mi piacciono. Non lo trovo divertente, né interessante, né ora né prima. L’idea che mi è rimasta da allora è che arrivava un “mostriciattolo” a sostituire la manodopera. Mi è rimasta questa idea ed è difficile mandarla via. Ciò non vuol dire che non lo usi157. So che è utile per le aziende, è molto utile che tutto sia informatizzato, rende più facile conservare documenti, cercare le cose, ma per la gente è sgradevole, perché molti perdono il lavoro a causa dei computer. Le imprese vengono informatizzate, ma si perdono posti di lavoro158. 155 Intervista 1 I. 156 Intervista 7 DK. 157 Intervista 15 P. 158 Intervista 47 P. 103 Un diffuso senso di inadeguatezza Crediamo sia connesso all’immaginario negativo un diffuso senso di inadeguatezza che si rileva dalle interviste. Inadeguatezza a cosa? Verso cosa? Paura di rompere, di sbagliare, e inadeguatezza verso uno strumento che non si conosce ed è tuttavia ritenuto fondamentale nella società attuale. Le nuove tecnologie sono molto importanti, perché oggi è così e uno sente che rimane indietro, è triste159. All’inizio era tutto diverso, si viveva benissimo senza computer, senza informatica, ma oggi no. Non c’è impresa, servizio che non sia informatizzato. E chi non sa l’informatica, per trovare lavoro, per esempio, non trova niente160. E oggi non c’è niente che non si faccia con il computer, oggi chi non ne capisce di computer, non sa niente, è proprio vero. Mi dispiace non saperne di più, ma è anche la pigrizia, credo [breve pausa] Non è proprio pigrizia, è rimandare a quando avrò tempo161. 159 Intervista 38 P. 160 Intervista 46 P. 161 Intervista 42 P. 104 Il vissuto di inadeguatezza è strettamente connesso più che alle competenze reali e all’impiego pratico che delle tecnologie si fa, a quelli che potremmo chiamare ‘i fantasmi della tecnica’. Io assolutamente non sono una specialista di computer, nonostante sia davanti al computer quasi tutto il giorno162. Infatti, questa paura inspiegabile ha un peso fortissimo nella prima fase di apprendimento, ma va scemando con l’uso quotidiano e un maggiore apprendimento. Prima avevo paura di andare per tentativi. Avevo paura di rovinare qualcosa. [Adesso] mi sento sicura e ho anche aiutato le colleghe che hanno difficoltà, a volte passo per gli altri uffici e mi chiamano per aiutarle ed io cerco di risolvere il problema163. Forse non ho formazione per certe cose, ma mio marito mi dice che non ce n’è bisogno, mi dice che basta solo cominciare a usarlo164. Riteniamo che questa paura sia connessa alla differenza femminile nel senso che nel caso dei primi approcci fatti da uomini della stessa generazione, questi sentimenti sono totalmente assenti. E infatti nei racconti sia fatti da uomini che da donne, gli uomini da subito 162 Intervista 34 B. 163 Intervista 5 P. 164 Intervista 44 P. 105 sperimentano in completa autonomia, si lanciano in questa nuova avventura senza timori. Mio marito, che non ha fatto nessun corso, va dappertutto e con mia figlia è la stessa cosa, credo che il problema sia cominciare a usarlo e imparare senza paura165. Lui [il compagno] prende e va, ma sa già come muoversi. [ride]166 La paura di tentare, di procedere attraverso tentativi ed errori, di mettersi alla prova praticamente senza nessun appoggio teorico pare appartenere quasi esclusivamente alla generazione delle donne adulte, che infatti riconoscono a figli e figlie, mariti, compagni, colleghe, sorelle… un coraggio e una spregiudicatezza che non appartiene loro, almeno in prima battuta. Inoltre, questo tipo di paura pare quasi totalmente sconosciuta, oltre che agli uomini, alle nuove generazioni di uomini e donne. Mia sorella non ha niente a che vedere con me perché lavora in un ufficio e senza aver fatto corsi. Tutto quel che sa è per tentativi, anche quando c’è un problema che nessuno risolve lei lo risolve, me ne sono accorta. Fa molti tentativi, io non sono così, non ho questa intraprendenza167. 165 Intervista 44 P. 166 Intervista 5 IT 167 Intervista 41 P. 106 Quando scrivo o faccio un lavoro ho sempre mia figlia accanto, lei ne capisce di computer, non ha fatto corsi, ma sa cosa fare168. Inoltre, c’è una inadeguatezza percepita che riteniamo legata allo stereotipo, smentito dalla realtà quotidiana, che vede le donne e le tecnologie come mondi separati. Infatti, alla domanda iniziale se sanno usare il computer, moltissime donne negano, dicono di utilizzarlo ma senza competenze specifiche. Cosa che è contraddetta poi dalla descrizione delle funzioni che utilizzano e delle attività che riescono ad utilizzare. Personalmente non credo di essere diventata più brava ad usare il computer, però ammetto che non posso distruggere niente, e perciò ho più coraggio a sperimentare169. Magari è l’età, l’età c’entra e anche il tempo e la disponibilità. Perchè credo che l’informatica sia proprio così e se noi non la usiamo, non ci lavoriamo, non impariamo niente. Mi ritengo in pratica un’analfabeta, perché lavoro soltanto con programmi specifici, so solo quello che ho imparato con quei programmi170. Il computer lo uso da quando è uscito [sul mercato], perché nell’azienda dove lavoravo lo hanno messo subito. Cioè, un minimo lo so fare: è chiaro che 168 Intervista 14 P. 169 Intervista 1 DK. 170 Intervista 46 P. 107 non sono un prodigio del computer, perché non ho la velocità non utilizzandolo spesso171. 171 Intervista 2 L. 108 Resistenza alla tecnica Rispetto all’immaginario positivo che circonda le tecnologie informatiche, che le vede come il nuovo, insostituibile mezzo di comunicazione e lavoro, nelle interviste registriamo una sorta di resistenza passiva, il desiderio molto forte di non uniformarsi a questo immaginario, di non rinunciare a quegli aspetti della propria esistenza - come i contatti umani e la passione per i libri stampati – che in questa nuova grande narrazione non trovano una collocazione. Per me come storica in Internet c’è un intero pianeta d’informazione. L’Internet come mezzo di comunicazione non l’uso e non l’userò perchè per me è importante vedere la persona direttamente172. Anche se so che è il mezzo di comunicazione più importante, che la gente risolve tutto con il computer, tutta la comunicazione e i documenti, nonostante tutto me ne sento lontana. E in qualche modo, allo stesso tempo vedo che è uno strumento avanzato, e mi fa paura e quando penso al computer e a macchine simili è un’evoluzione molto grande, ma è anche un danno per la nostra vita sociale173. 172 Intervista 40 L. 173 Intervista 25 P. 109 Va benissimo anche la posta elettronica per scambiare foto. Anche se la lettera è una cosa diversa. Una lettera è sempre una lettera, fa sempre piacere: è una cosa che scrivi personalmente. È un’altra cosa174! Non uso la Chat e non navigo senza avere un motivo specifico, so che tanti lo fanno, ma non mi interessa175. Io non uso un computer e sono felice di dirlo, perché non sono dipendente da nessuna tecnica. Io sono decisamente per il loro utilizzo. Noi pensiamo di comprare presto un computer per nostri figli perché facciano il loro lavoro. Nonostante non mi serva un computer176. Penso di conoscere quasi tutte le cose che si possono fare con il computer e internet. So che si possono scaricare libri (e-books), ma non lo faccio, ma mi piace leggere in quel modo177. Molto spesso, questa forma di resistenza non è pienamente consapevole, e si traduce più con una serie di atteggiamenti poco accoglienti che come una vera e propria critica rispetto a questo immaginario. 174 Intervista 3 I. 175 Intervista 11 DK. 176 Intervista 13 B. 177 Intervista 31 DK. 110 Forse mi piacerebbe e mi potrei interessare ma no, non ho molta pratica. Se davvero mi piacesse molto, forse avrei già imparato, il computer a casa c’è sempre stato178. La tecnologia per me è il massimo! Mi dispiace che non mi attiri, non mi stimoli, c’è qualcosa in me che non mi spinge ad andare avanti. Il computer mi fa pensare al lavoro179. A casa non l’avrò mai, mi basta la TV e il video. Non vorrei a casa un semiuomo. [ride]180 Qui non ho tempo, e a casa succede lo stesso, perché quando c’è mia figlia, che lo usa, io non ho mai tempo, a volte penso che mi piacerebbe usarlo, ma ho sempre un sacco di cose da fare, rinvio sempre e non ho mai provato, ma sono curiosa, perché mi piacerebbe sapere, e mi piace usare tutto quello che ho a casa e mi piace saperlo usare, mi piace lavorare con tutte le macchine, sino ad ora non è capitato, ma verrà la volta buona perché credo sia importante, usarlo e saperlo usare181. Non provo nessuna avversione per le nuove tecnologie. Non mi sono interessata di più forse perché non è ancora arrivato il momento di farlo182. 178 Intervista 27 P. 179 Intervista 11 P. 180 Intervista 19 L. 181 Intervista 42 P. 182 Intervista 8 P. 111 Mi piacerebbe imparare, ma come? Non faccio niente per imparare, bisognerebbe che qualcuno mi stimolasse e dovrei comprare un computer e allora nascerebbe il piacere del computer183. C’è nella intervistate la sensazione che, abbandonandosi completamente in questo nuovo mondo e nell’immaginario connesso – che pure avvertono come affascinante ed utile – saranno poi costrette a rinunciare ad aspetti della loro vita privata che ritengono fondamentali e a cui non sono disposte in alcun modo a fare a meno. Non provo alcuna curiosità di saperlo usare! [risata] Non ne ho mai avuto voglia. C’è gente che se la sente, io no. Se si trattasse di un’altra cosa credo che mi piacerebbe imparare, ma questo no! Toccare tanti pulsanti. È come con i cellulari, ho il cellulare, ricevo e faccio telefonate, ma messaggi … . Il tempo che mi fa perdere. Magari avessi tempo per altre cose. So che certe cose sono molto più facili con il computer e su Internet184. Internet è una cosa grande però ha anche le sue cose negative. Da una parte ci dà tanta informazione. Ma dall’altra ti fa sentire stupido. Perché? Perché ognuno può mettere una informazione, ma nessuno è responsabile per la sua verità. In questo modo si può mettere qualsiasi informazione che non è vera. Così la gente che vuole imparare può imparare una cosa che è falsa185. 183 Intervista 25 P. 184 Intervista 12 P. 185 Intervista 9 B. 112 Il computer è diventato l’unico attrezzo che è possibile usare, perciò non è più solo un attrezzo, ma un obbligo per lavorare, ha aumentato il suo potere. A volte mi sembra di perdere un po’ della mia creatività, perchè penso solo alle possibilità del computer186. Ho paura della freddezza, sono tutti oggetti che ci fanno diventare degli automi, delle macchine. Ad esempio, tu mi parlavi di internet. Se tu mi dovessi dire che noi facciamo tutto tramite Internet: acquistiamo frutta, verdura, pane… No, no, non mi va bene. Io piuttosto faccio 10 km ma preferisco andare in fondo a via Sestri perché so che lì vendono le puntarelle o la pasta che viene da Napoli, e la mia vita è arricchita dalla soddisfazione di cucinare cose nuove, di parlare con chi ti vende il prodotto e ti dice che è originale, perché altrimenti tu vai al supermercato che tutto è uguale, ti viene una tristezza dentro che è da piangere187! Riesco ad accenderlo, a fare dei lavori ma non provo quell’entusiasmo che hanno certe persone, e la smania di Internet. Se devo andarci e navigare, ci vado, ma se non ce n’è bisogno non ho quella curiosità. Lo confesso non ho un grande interesse, proprio no188. 186 Intervista 31 DK. 187 Intervista 8 I. 188 Intervista 18 P. 113 L’inglese: una difficoltà oltre la difficoltà Per le donne intervistate, una difficoltà che si aggiunge alle altre nella possibilità di apprendimento e utilizzo di computer e rete è costituita dall’impiego nelle TIC della lingua inglese come lingua universale. Infatti, in molte ci hanno segnalato che, dal momento che loro non padroneggiano questa lingua ritenuta irrilevante o poco importante ai tempi della loro formazione, questo ha costituito per loro un ulteriore ostacolo di non poca entità. Ciò è vero in dimensione maggiore per i computer di prima generazione che adottavano l’inglese come lingua ufficiale. All’inizio, per me, è stato molto difficile, era una scatola che mi stava davanti ed emetteva messaggi [pausa] che non capivo [pausa] ma poi ho cominciato a capire il computer. È stato difficile, era tutto in inglese, non c’era niente in portoghese [pausa] ma ho imparato a conoscerlo189! Per noi è molto più difficile, perché non so l’inglese e questa è stata la difficoltà maggiore190. Ma rimane vero anche oggi per quei Paesi, come Bulgaria e Lettonia, in cui la lingua madre prevede l’impiego di caratteri alfabetici differenti da quelli impiegati dall’inglese. 189 Intervista 3 P. 190 Intervista 21 P. 114 Anche l’inglese è molto importante. Perché senza questo inglese è impossibile sedere davanti al computer. E veramente si deve prima imparare l’inglese, e poi mettersi al computer, o almeno tutte le due cose insieme. Altrimenti non va191. Certamente c’è una barriera di lingua perchè se non posso fare qualcosa, il computer getta un testo in inglese, ma non ho le cognizioni così buone per capire, ma non ho anche nessuna necessità di scrivere192. Il computer, credo che se sapessi l’inglese, riuscirei a usarlo, quello chiede tutto e non è così difficile, credo di no193. Loro [i computer] mi parlano in inglese ed io non so l’inglese194. Il mio grande problema è che tutto quello che è scritto al computer è in inglese ed io parlo tedesco, quindi è tanto difficile per me195. Il mio grande problema finora è la lingua. Se voglio lavorare al computer e a tutti i suoi comandi, dovrei sapere la lingua inglese196. 191 Intervista 18 B. 192 Intervista 2 L. 193 Intervista 24 P. 194 Intervista 13 P. 195 Intervista 1 B. 196 Intervista 32 B. 115 Commenti e considerazioni finali: gli otto nuclei tematici Alla luce del lavoro di ricerca sulle storie di vita e della conseguente analisi comparativa, possiamo affermare che le narrazioni, e quindi le esperienze, raccolte nei diversi Paesi coinvolti nel progetto, pur nella loro estrema differenza e complessità, sono accomunate per il fatto di attraversare, chi più chi meno, otto grandi gruppi di questioni che possiamo così riassumere: 1) Per il nostro target, l’uso di computer e rete sono vincolati all’esistenza di una qualche forma di necessità, di un qualche tipo di bisogno che si ritiene soddisfabile grazie all’impiego di queste nuove tecnologie. Nonostante esistano e siano menzionate diverse tipologie di necessità, tutte legate alla sfera dei bisogni personali, in assoluto è la necessità legata al mondo del lavoro il motore e la causa prima che spinge al primo approccio verso le TIC: quasi tutte le donne intervistate hanno iniziato o perché computer e rete facilitano il lavoro che svolgono, o perché sul luogo di lavoro è diventato obbligatorio saper utilizzare certi strumenti e programmi, o infine, perché cercavano di reinserirsi nel mercato lavorativo in cui l’impiego di queste tecnologie risulta imprescindibile. 2) Il tipo di approccio all’uso delle TIC da parte delle donne adulte intervistate rende indispensabile l’incrocio di teoria e pratica; infatti, se nel momento iniziale molte di loro si sentono legittimate e protette nel delicato processo di apprendimento dal fatto di poter seguire dei corsi specifici, il salto di qualità avviene sempre e 116 soltanto quando c’è la possibilità/necessità di utilizzare i nuovi strumenti e le nuove conoscenze quotidianamente. 3) Agli occhi di parecchie delle intervistate, le TIC appaiono come mezzi efficaci per ottenere le informazioni cercate e per rendere più agevoli e veloci alcune operazioni, come la prenotazione di viaggi e di spettacoli, oppure le operazioni bancarie e fiscali. Tutto ciò produce un notevole risparmio di tempo, risparmio che non si traduce quasi mai in un re-impiego del proprio tempo nell’utilizzo delle TIC per interessi personali, ma piuttosto nella possibilità di avere più tempo libero da dedicare alle proprie passioni. Rispetto al risparmio di tempo, una segnalazione che arriva da più parti è che questo è possibile solo quando si ha una certa familiarità con l’uso di computer e rete, mentre quando si è ancora inesperte è indispensabile avere molto tempo a disposizione per imparare e fare pratica. E questa esigenza di tempo pare costituire la causa di numerosi abbandoni, soprattutto da parte di donne che, oltre a lavorare e occuparsi della famiglia, non riescono a ritagliarsi uno spazio apposito per dedicarsi all’acquisizione di nuove conoscenze e saperi. 4) Spessissimo l’accesso alle TIC è veicolato da mediazioni viventi, cioè da un familiare, soprattutto dalle figlie femmine, ma anche da mariti, amici e colleghi, che aiutano e facilitano il processo di apprendimento. Queste figure rivestono un ruolo importante sia come compagne e compagni di studi, ma anche come maestri e maestre amorevoli e accoglienti, sempre disposti ad aiutare e a fornire spiegazioni. Inoltre, quando le donne adulte vedono 117 in computer e rete degli strumenti utili per dialogare e mantenersi in contatto con le persone lontane velocemente e a costi ridotti, la concreta possibilità di comunicare costituisce anch’essa una buona mediazione per avvicinarle al mondo informatico. 5) C’è e permane un immaginario negativo che circonda il mondo delle TIC, rispetto al quale nelle nostre interviste abbiamo registrato via via o la percezione di un pericolo per la propria salute o per la propria sicurezza, oppure una sorta di resistenza rispetto a strumenti che si avvertono come totali e totalizzanti, oppure ancora un rapporto di inimicizia che si traduce con una non familiarità nei confronti degli strumenti. Rispetto ai pericoli connessi alla possibilità di utilizzare computer e rete, un peso molto forte è costituito dalla possibilità, soprattutto per i più giovani, di incappare nelle numerose reti di pedofili, o comunque di entrare a contatto con persone poco affidabili, oppure nel rischio di perdersi in un mondo virtuale senza più contatti con la realtà. Oltre a ciò, computer e rete in molti casi sono ritenuti responsabili della perdita di numerosi posti di lavoro. 6) Nelle parole delle donne intervistate, molto spesso abbiamo avvertito un diffuso senso di inadeguatezza, almeno nella prima fase di apprendimento all’uso. Un senso di inadeguatezza che va scemando con l’aumentare delle capacità delle intervistate di utilizzare gli strumenti informatici, ma che in alcuni casi pare persistere nonostante il rapporto con le TIC sia un buon rapporto che si gioca nella quotidianità. È come se rimanesse sullo sfondo e 118 continuasse ad avere un peso l’immaginario negativo che vuole le donne e le tecnologie come mondi incomunicabili. 7) Oltre al diffuso senso di inadeguatezza, nelle interviste abbiamo avuto modo di leggere una sorta di resistenza passiva, più o meno conscia, che parecchie donne intervistate sembrano mettere in atto nei confronti delle TIC. Resistenza rispetto a cosa? Rispetto ad un mondo in cui alcuni degli aspetti della propria vita, come il piacere di uscire di casa e di incontrare gli amici o di leggere un libro stampato, paiono non trovare più spazio. È come se molte donne avessero paura che aderire a questo mondo e allo stile di vita che questa adesione comporta, le costringesse a fare e meno di qualcosa a cui non sono disposte a rinunciare. Raramente questa resistenza è una resistenza consapevole che si traduce in una vera critica rispetto a questo mondo. Molto più spesso è una resistenza passiva che si traduce in atteggiamenti poco accoglienti o scostanti rispetto alle possibilità offerte da computer e rete. 8) Infine, soprattutto per le donne più avanti negli anni, il problema dell’impiego di una lingua straniera nei comandi e nell’uso delle TIC di prima generazione ha costituito e continua a costituire un ostacolo che si aggiunge agli altri. Un ostacolo il cui impatto emotivo continua a rimanere molto forte, e che continua a persistere nonostante nei computer di ultima generazione questo impiego massiccio della lingua inglese sia quasi scomparso. 119 Da ultimo, un discorso a parte meritano forse le interviste realizzate in Danimarca. Infatti, questo è un paese che sotto questo aspetto appare totalmente differente rispetto agli altri: le TIC sono molto diffuse, vengono utilizzate a qualsiasi livello e, quasi, da chiunque e questo impiego massiccio pare essere un patrimonio comune della cultura danese ormai da diverso tempo. Questo probabilmente fa sì che anche l’immaginario sia assolutamente positivo, senza che vi sia tuttavia una eccessiva esaltazione delle TIC. È un immaginario che si sostanzia di vissuti concreti, in cui anche gli aspetti negativi, come la continua accelerazione delle nostre vite connessa all’utilizzo di questi strumenti o il pericolo di perdersi nel mondo virtuale, trovano una loro collocazione. Le donne danesi sono le uniche che parlano di computer e rete non solo come di strumenti utili per il proprio lavoro, ma anche e soprattutto come dispositivi che consentono loro di conciliare vita privata e lavoro, studio e impegni familiari. 120 Analisi delle interviste italiane Lia Orzati Nell’ambito del progetto Ciao!Women la Provincia di Genova, oltre ad avere il ruolo di capofila, ha partecipato attivamente alla fase di ricerca con la realizzazione di 53 interviste a donne tra i 35 ed i 55 anni in merito al loro rapporto con il computer e la tecnologia e l’analisi di alcune riviste volta a far emergere se, e in che modo, i mass-media descrivono il rapporto donne-tecnologia. Le interviste sono state realizzate tra Gennaio e Maggio 2006, mentre il lavoro sulle interviste tra Luglio e Novembre 2006. Le interviste La scelta del campione di donne da intervistare è stata uno dei momenti più complessi. Ricordiamo che, trattandosi di una ricerca di carattere qualitativo o non standard il criterio seguito non è stato quello della rappresentatività in senso stretto quanto piuttosto l’individuazione di donne, di età compresa tra i 35 ed i 55 anni, che avessero voglia di parlare di loro stesse e raccontare il loro approccio con il personal computer. Laddove possibile sono state privilegiate le intervistate aventi il titolo di studio più basso, così come sono state escluse le esperte nell’uso del computer. 121 Data la difficoltà nell’individuare in maniera oggettiva le conoscenze informatiche delle potenziali intervistate si è pensato di attingere dalla banca dati delle persone che si sono iscritte ai corsi di informatica di base promossi dalla Provincia di Genova. La Provincia di Genova da 3 anni propone attività formative nell’ambito informatico di vario livello di difficoltà, tra queste vi sono anche i cosiddetti Corsi Nic –nuclei informatici concettuali- il cui programma didattico prevede l’insegnamento degli elementi di informatica di base. Fin dall’inizio i corsi hanno avuto un’ utenza prevalentemente femminile tra i 35-55 anni. Si è quindi pensato di contattare alcune di queste corsiste, scegliendole anche sulla base dello “stato” del corso, ovvero sono state intervistate sia donne che avevano terminato l’attività corsuale sia donne che stavano ancora frequentando i corsi o che si erano appena iscritte perché sapevano usare poco il computer e volevano acquisire maggiore confidenza con lo strumento. Per avere una maggiore rappresentatività del territorio provinciale, sono stati coinvolti anche gli Sportelli territoriali Informalavoro presso i Comuni di: Busalla, Campomorone, Sant’Olcese, Rapallo, Santa Margherita Ligure, Sestri Levante che hanno segnalato donne residenti entro i rispettivi Comuni di ubicazione. Riguardo alle donne con disabilità, gli incontri sono stati resi possibili grazie all’aiuto di associazioni presenti sul territorio e, data la difficoltà nel trovare donne disposte ad accettare l’intervista, in alcuni 122 casi si è derogato dal requisito dell’età e sono state intervistate anche 2 donne con meno di 35 anni. Riassumendo le intervistate sono state così reclutate: • 21 tramite le liste delle persone che hanno frequentato, stanno frequentando, sono iscritte a corsi di informatica di base promossi dalla Provincia di Genova. • 21 grazie alla rete degli Sportelli Informalavoro dislocati sul territorio provinciale;. • 6 (donne con disabilità) tramite associazioni; • 5 mediante vie informali/amicali; Età: • 22 fino a 40 anni; • 20 tra i 41 e i 50 anni; • 11 over 50. Titolo di studio: • 30 in possesso di licenza media (7 di queste hanno seguito anche dei corsi di qualifica professionale, es. sarta, segretaria, operatrice schede perforate); • 21 hanno il diploma di maturità; • 2 laureate. 123 Condizione occupazionale: • 28 disoccupate; • 25 occupate prevalentemente come segretarie o in lavori part time scarsamente qualificati (operatrici call center, colf, pulizie, riordino magazzini e/o archivi, aiuto nell’attività commerciale del marito). Difficoltà riscontrate - il rapporto con il computer non è un argomento capace di creare un forte coivolgimento emotivo. A parte alcune donne particolarmente entusiate, che avevano già avuto modo di confrontarsi con queste tematiche o comunque di avviare una riflessione in merito al loro rapporto con la tecnologia, le altre, seppur informate circa le finalità della ricerca e il tema dell’intervista (nel contatto iniziale), sembravano un po’ sorprese che un argomento del genere potesse avere rilevanza ai fini di un’indagine; - far scavare le intervistate nel loro passato. Molte hanno rimosso alcune fasi del loro apprendimento del computer e anche alla domanda: “Quando eravate bambine/adolescenti, cosa vi dava l’idea del progresso tecnologico?” Le risposte sono state inizialmente elusive (quando ero piccola io queste cose non esistevano, il mondo era tutto diverso…). In molti 124 casi hanno provato a ripercorrere il loro passato ma per alcune non è stato possibile, perché davanti a reazioni del tipo: “non mi ricordo assolutamente”, ho ritenuto opportuno cercare di non insitere troppo per non creare disagio nell’intervistata. Principali osservazioni - il computer viene percepito da tutte come uno strumento utile, indispensabile, addirittura un “consulente”. Anche chi non è capace ad utilizzarlo è consapevole che il pc sta diventando uno strumento di inclusione sociale, per cui conoscerlo è quasi come saper leggere e scrivere. Anche chi non vorrebbe “convertirsi” alla tecnologia si sente quasi trascinata da quest’onda che sta modificando tutti i consumi (es. un’intervistata faceva l’esempio del televisore al plasma, secondo lei pian piano saremo tutti costretti a comprarlo perché i vecchi modelli di Tv spariranno); - il computer è indispensabile per poter lavorare, non saperlo utilizzare significa rimanere fuori dal mercato del lavoro. A questo proposito molte intervistate si avvicinano ai corsi anche su consiglio degli orientatori dei Centri per l’Impiego; 125 - c’è un forte bisogno di imparare il computer in maniera sistematica, quanto meno le nozioni di base, altrimenti la sensazioni è quella di brancolare nel buio (es. “io e mio marito ci aiutiamo ma siamo due ciechi”). Una volta appresi i rudimenti ci si sente più sicure e allora si provano anche funzioni nuove, ma questo perché non si vede più il computer come un’incognita; - le donne che hanno figli piccoli –elementari e medie inferiori- si sentono stimolate ad apprendere il computer per poter aiutare i loro figli nello svolgimento dei compiti. La scuola infatti sta cambiando: le ricerche ora non si fanno più in biblioteca ma su Internet; - il computer non deve rendere “schiave”. Va usato quando “occorre” –lavoro, ricerche mirate in Internet – o anche nel tempo libero ma con moderazione e comunque non è sotitutivo di altre esperienze o di contatti umani diretti; - il cellulare nell’immaginario è lo strumento tecnologico per eccellenza che in breve tempo è riuscito a cambiare, almeno questa è la percezione, la vita delle persone. E’ un mezzo di contatto/comunicazione immediata facile da usare, percepito forse come più “caldo” rispetto alla posta 126 elettronica perché consente di sentire la voce del proprio interlocutore. Anche le intervistate può riluttanti nei confronti del computer possiedono e utilizzano il cellulare. Per molte donne il momento della presa di coscienza della “velocità del progresso” è l’avvento del cellulare che in breve tempo ha fatto irruzione nelle vite di tutti, donne e uomini, giovani e anziani; - vi è poi una forte attrazione per la tecnologia a forte impatto sociale, ovvero quella che riguarda la medicina, l’ambiente e una maggiore autonomia e capacità di gestione della propria vita nel caso di donne disabili. Dalle interviste a dalla rilettura delle stesse emergono alcune differenze tra le donne tra i 35 ed i 40 anni e quelle dai 41 in sù. Le under 40 hanno un approccio più entusiastico verso la tecnologia e quando usano il computer cercano di sfruttarne appieno anche le sue potenzialità comunicative (Internet e posta elettronica), mentre per le over 40 tale aspetto passa in secondo piano a meno che non sia fortemente finalizzato (es. la catechista che “scarica” il materiale didattico da Internet, l’esponente del gruppo religioso che organizza manifestazioni). Per le over 40 il computer è ancora molto legato alle funzioni tradizionali di scrittura, contabilità, calcolo. Queste 127 caratteristiche si vanno sempre più acuendo al crescere dell’età. Avvicinandosi ai 55 anni la percezione è che il computer possa rappresentare addirittura una perdita di tempo per il disbrigo di commissioni burocratiche. L’esempio riportato da molte intervistate è l’esperienza diretta presso sportelli bancari e postali in cui, in caso di malfunzionamento del computer non si possono effettuare i pagamenti. In questo caso non vengono assolutamente colte le opportunità offerte dalla tecnologia per poter effettuare le medesime operazioni stando comodamente sedute a casa, ma solo gli aspetti potenzialmente negativi. Un altro timore delle intervistate più adulte è che il progresso tecnologico contribuisca ad alimentare la disoccupazione. Preoccupazione che deriva anche dal proprio status occupazionale, infatti molte delle donne intervistate hanno un basso titolo di studio e nella loro vita hanno svolto lavori manuali o ricoperto mansioni che hanno subito significative trasformazioni. Un esempio è quello dell’evoluzione delle competenze della segretaria, a cui oggi si richiede una buona conoscenza del pacchetto Office e dell’inglese, requisiti molto diversi rispetto a chi svolgeva la medesima professione 20-30 anni fa. Per queste intervistate il computer è un intruso: la vita in tutti i suoi aspetti quotidiani più banali (pagare le bollette, guardare gli orari del cinema…) è come se seguisse una trama fatta di piccole abitudini e monotonie, “già impostata”, secondo le parole di un’intervistata, per 128 cui è difficile pensare di inserire il computer all’interno della propria vita perchè sconvolgerebbe troppo le abitudini consolidate; Le più giovani usano molto la posta elettronica, scrivono ad amici, sono abbonate a newsletter. Al crescere dell’età la posta elettronica si usa poco o niente perché le amiche spesso non utilizzano il computer. Anche il rapporto con il proprio compagno viene percepito come paritario anche se lui sa già usare il computer. Spesso si apprende insieme o comunque c’è uno scambio di informazioni, una volta imparati i rudimenti informatici sono anche più disposte a sperimentare, mentre al crescere dell’età aumentano gli stereotipi per cui gli uomini sarebbero naturalmente portati per tutto quello che è meccanica/tecnologia. Inoltre le intervistate over 40 si sentono sempre combattute tra cura della famiglia e tempo da dedicare a se stesse. Il tempo da dedicare al computer e all’apprendimento dello stesso deve consentire di conciliare i propri compiti domestici e di cura familiare. Una componente molto importante per le intervistate più giovani è il ricordo della loro adolescenza, quando il computer non era ancora diventato alla pari di un elettrodomestico per costi e diffusione su larga scala ma in alcune case cominciavano ad entrare il Commodore 64 ed i primi giochi elettronici. Per le più “anziane” invece, i primi oggetti tecnologici di cui hanno memoria sono gli elettrodomestici che hanno alleviato i lavori domestici -lavatrice, l’aspirapolvere…-. E’ 129 rimasto invece impresso in maniera trasversale l’avvento della televisione a colori. Le intervistate che hanno una disabilità si differenziano dalle altre principalmente per l’impatto corporeo che c’è tra loro e il computer. Nel caso delle donne con paralisi cerebrale l’utilizzo del computer permette di riappropriarsi in parte di una capacità creativa che il corpo non consentirebbe dati i fortissimi problemi motori. Creatività che si paga a caro prezzo perché comunque il computer richiede un enorme sforzo fisico nel riuscire a coordinare i propri movimenti per poter utilizzare la tastiera. Le donne non vedenti invece hanno centrato la riflessione sul costo degli ausilii per loro indispensabili per usare il computer e sul problema dell’accessibilità ai siti Internet. Tutte comunque vedono nel progresso tecnologico un modo per poter riuscire ad uscire dai loro handicap, cercando di condurre una vita il più possibile normale. L’intervistata con tetraplegia si soffermava su quelli che sono semplici gesti come accendere la luce, chiudere le porte; per le persone che hanno una ridotta capacità motoria poter disporre di telecomandi o di controlli tramite computer per effettuare queste operazioni rende la vita più autonoma. 130 Gli otto nuclei tematici Dall’analisi delle interviste emergono degli argomenti comuni, che abbiamo raggruppato in 8 nuclei tematici: 1.necessità (specialmente in ambito lavorativo) 2.approccio: teoria/pratica 3.economia del tempo: velocizzare e semplificare 4.mediatori (specialmente figlie e amiche) 5.paura della tecnologia/resistenza alla tecnologia 6.inadeguatezza 7.immagine negativa contro uso positivo 8.problemi relativi all’uso della lingua inglese nei programmi, internet… 1. Necessità (specialmente in ambito lavorativo) L’uso del computer viene percepito dalle intervistate come requisito fondamentale per poter trovare lavoro (5I, 35 anni, licenza media: “Allora, io ho fatto questo corso di computer perché, diciamo che la mia trafila lavorativa è stata così: ho cercato per un po’ nelle imprese grafiche per vedere se riuscivo ad inserirmi ma non c’era nessuna possibilità. Poi, per stare lì a fare niente ho iniziato questo lavoro come baby-sitter, per occuparmi un po’ le giornate e fare qualche soldo. Ho fatto il lavoro di baby-sitter per 15 anni, fino all’anno 131 scorso. Solo che questo lavoro di baby-sitter, tutto in nero, per cui non ho niente di dichiarato, non ci sono documentazioni.. E così mi è un po’ passata l’età per poter essere assunta, sono arrivata ad aver 34 anni che ero ancora lì e…Poi, esci, vedi un po’ come funziona il mondo, vedi che comunque sia è tutto molto veloce, tutto molto informatizzato. Va tutto molto velocemente, con dei ritmi…Non più come quando ero bambina io. E’ tutto molto veloce, ti devi adeguare ai tempi. Un minimo di manualità con il computer devi averla.”) Il mio target di intervistate comprendeva molte donne tra i 40/50 desiderose di rientrare in un mercato del lavoro che avevano conosciuto solo per pochi anni, appena terminati gli studi. Le competenze acquisite sul lavoro e a scuola (l’uso della macchina da scrivere, la stenografia…) sono ormai diventate obsolete, anche perché, nel corso di questi 10-12 anni dedicati alla cura familiare/domestica il computer ha fatto irruzione ovunque: uffici, negozi, supermercati, per cui l’impressione è che, comunque, al giorno d’oggi, anche per i lavori scarsamente qualificati il computer sia indispensabile. (21I, 55 anni, licenza media, operatrice call centers: “Secondo me anche se gli anni passano bisogna essere sempre in grado di caversela…Perché secondo me, se dovessi trovare un lavoro tu devi essere in grado, perché anche nei lavori cosìdetti manuali, commessa, magazzino, ormai tutti devono sapere usare il computer. Quindi questo desiderio di essere preparata comunque ad affrontare eventualmente il mondo del lavoro, anche se può essere una cosa assurda alla mia età mi ha spinta ad iscrivermi al corso.” 31I, 52 anni, 132 licenza media, disoccupata: “Ho deciso di fare il corso perché se non usi il computer difficilmente trovi lavoro. E’ anche vero che io adesso non sto cercando lavoro, però nella vita…Penso che presto dovrò cercare qualcosa, non aspetto di aver bisogno per fare il corso, lo faccio prima. E’ chiaro che non andrò mai a lavorare in banca, però se vai nel bar dove devi digitare qualcosa [pensa ai bar dove si prendono le ordinazioni via computer] almeno sai come si accende!”). Nell’utilizzo del computer fondamentale è lo “status lavorativo” delle intervistate: le occupate utilizzano prevalentemente sw dedicati – pacchetti di gestione della contabilità, piattaforme on line per accedere a banche dati…- e comunque programmi come Excel che consentono di effettuare calcoli, mentre chi è disoccupata fruisce maggiormente dei programmi di scrittura come Word. Questo a voler confermare l’uso finalizzato che le intervistate fanno del computer, imparando solo i programmi che “servono” per svolgere la propria attività, mentre manca la voglia di conoscere sw nuovi a meno che non ci sia uno stimolo che è quasi esclusivamente da imputarsi a motivi lavorativi. L’unica eccezione è dovuta all’enorme diffusione delle macchine fotografiche digitali che spinge le intervistate ad apprendere qualche operazione di visualizzazione, memorizzazione delle foto. (2I, 53 anni, licenza media: “Qua [riferito al luogo dove lavora come portinaia] non lo uso praticamente niente. Io provengo da una ditta, dove ho lavorato 11 anni, dove avevamo i nostri programmi, perché c’è anche questo da dire, che ogni ditta ha i suoi programmi prestabiliti. Su quei tipi di programmi ci so lavorare.” 7I, 39 anni, 133 diploma, segretaria: “Adesso invece sul lavoro, in segreteria…Molto word per le lettere, excel che uso più che altro per le tabelle, non so, le auto a che numero di matricola del dipendente sono associate, più che altro per fare degli schemi. Questo per quanto riguarda la segreteria mentre per la gestione del magazzino, usiamo il programma che si chiama SAP che è vastissimo, ma io ho solo l’abilitazione per usare certe utenze e non tutto, ed è una contabilità di magazzino: entrate e uscite di merci, spostamenti tra i vari magazzini. Mi piace. [le faccio notare che SAP viene considerato un programma complesso]“Io ne uso comunque una parte, quella per la gestione del materiale.” 6I, 40 anni, licenza media, disoccupata: “Word è forse quello che mi piace di più perché si crea, anche con Paint…Perché puoi creare, scrivere le ricette fare il disegnino, la cornicetta. Ad esempio io in casa mi sono fatta il database della rubrica, mi sono ricopiata dal cellulare tutti i miei numeri di telefono, ed è bello anche quello perché poi lo colori, lo personalizzi.” 19I, 35 anni, diplomata, disoccupata: “La mia ultima esperienza è stata in una ditta di spedizioni, nel settore del commercio import-export. Usavo la posta elettronica, Internet, principalmente Excel. Adesso sto facendo un corso di contabilità della Provincia, ed è un programma di paghe e contributi. Mi trovo bene perché come metodo è equivalente ad altri programmi. L’anno scorso avevo usato un programma di contabilità Onda Esatto e rispetto a quello questo mi sembra abbastanza semplice.” 4I, 43 anni, licenza media, aiuta il marito in negozio: “Al corso mi sono piaciuti i programmi di testo, immagini. Un po’ di meno i fogli di calcolo.” 5I, 35 anni, licenza 134 media, disoccupata: “Mi sono messa anche a copiare ricette però se non è una cosa che devi arrivare a un fine, cioè, se devi fare un lavoro, devi fare le tue cose, altrimenti fai le tue prove e poi, sì, dici lo ho fatto ma…” 17I, 35 anni, diploma, disoccupata: “La contabilità, i calcoli mi piacciono un po’ meno, se si tratta di farli per lavoro li faccio, ma se si tratta di hobby, di passione…Mi piace la fotografia, altre cose, però se si tratta di lavoro mi faccio piacere anche la contabilità.) Internet esercita una notevole attrattiva sulle Intervistate dai 35 ai 40 anni (5I, 35 anni, licenza media, disoccupata: “Una cosa che mi piace fare è che mi piace tutt’ora è cercare informazioni su Internet, perché cioè, è una porta aperta che non si chiude: da lì vai. E quello mi piace moltissimo. E’ un’enciclopedia. Io la vedo come un’anciclopedia e forse anche meglio di un’enciclopedia e poi c’è proprio la stessa enciclopedia! Quella medica, quella classica, la Treccani, i dizionari, e cioè… E’ di più di quello che può darti un libro. Anche se a me avere un bel libro mi piace sempre. L’odore della carta, sfogliare le pagine. Secondo me è una cosa diversa. Però se tu ti vuoi togliere una curiosità.E poi da lì vedi anche altre cose, magari cerchi una cosa, poi ti distrai e ne vedi altre. Cioè è un po’ come se fosse una piccola testa: è infinito.” 16I, 35 anni, diploma, disoccupata“Adesso sono intrallazzata [si dice intrallazzo quando una persona ha un rapporto sentimentale con un’altra senza però dei vincoli formali –es. fidanzamento-] su E-Bay, con le aste on-line, perché devo acquistare 2 telefonini e lì si compra meglio…Me l’ha consigliato il mio fidanzato 135 perché lui ha degli intrallazzi per comprare le forcelle della moto in aAmerica con E-Bay…Io ho già venduto dei mobili antichi di mia nonna.”), mentre con il crescere dell’età si viene ad attenuare questo gusto della scoperta e riacquista notevole importanza l’aspetto utilitaristico, ovvero “cerco” in rete quello che mi serve. (20I, 55 anni, diplomata, disoccupata “Io faccio catechismo ai bambini in parrocchia, a volte scarico il materiale dall’ufficio catechistico…Mi trovo con materiale di varie catechiste dal mondo, materiale che è interessante.” 31I, 52 anni, licenza media, disoccupata: “Su Internet non ci vado molto. Ogni tanto vado a cercarmi delle ricette, qualche cosa sui gatti, sugli animali. La posta elettronica, a me non dispiacerebbe, è che non ho nessuno con cui scrivere! Tutto sommato penso che sia una cosa positiva, preferisco telefonare, preferisco sentirti però il saluto oppure la foto fa piacere.”) Per le intervistate il computer non riesce a diventare una “passione” ma rimane sempre un oggetto intelligente, un “consulente” per citare una delle donne ascoltate. La paura infatti è sempre quella di essere fagocitate dall’oggetto e dal suo mondo, perdendo i la dimensione dei rapporti interpersonali. (6I, 40 anni, licenza media, disoccupata: “Non sono una malata. Non sto ore davanti al computer, però mi piace: è una bella cosa.” 7I, 39 anni, diplomata, segretaria: “Io mi spavento di queste cose che alienano, anche la televisione, magari all’inizio mi rilassa ma poi mi rendo conto che non riesco a staccarmi.” 11I, licenza media, disoccupata: “Passione non ne ho: assolutamente! Non fa parte sicuramente del mio essere, del mio io. Io sono una persona che ama 136 la natura, amo gli animali, lo vedo come un oggetto freddo, anche se in effetti forse non lo è…Se andiamo ad analizzare forse non lo è perché mette in contatto le persone e quindi non dovrebbe esserlo.”) 2. Approccio: teoria/pratica Per imparare l’uso del computer le intervistate scelgono di avvalersi di corsi spesso finanziati dalla Provincia. Difficile dire se le intervistate sarebbero disposte a pagare un corso di tasca propria o se rinuncerebbero ad usare il computer. Solitamente le disoccupate percepiscono una carenza riguardo alle loro conoscenze informatiche e durante i colloqui con gli orientatori dei CPI viene loro caldamente consigliata l’iscrizione ai corsi, tanto che, come loro stesse affermano, percepivano già prima questa “lacuna”, ma il colloquio con l’operatore del CPI è stato determinante. Alcune intervistate dopo il primo livello –informatica di base- decidono di proseguire con un percorso integrativo per la preparazione agli esami per l’ecdl –patente europea del computer-, tuttavia, se il corso dà maggiore sicurezza, senza esercizio e pratica quotidiana è facile ripiombare in una sorta di analfabetismo informatico di ritorno. (4I, 43 anni, licenza media, aiuta il marito in negozio: “L’impatto è stato buono perché c’erano delle persone che come me erano digiune. E’ stato divertente anche, interessante. E’ che bisogna usarlo giornalmente, cioè non è che io 137 non sia proprio in grado di usare Office, probabilmente è che sono io che sono un po’ tarda! Ho i miei limiti.” 3I, 44 anni, qualifica segretaria, disoccupata: “A me interessava il lato pratico della cosa [del corso]. Certe cose è meglio che ci sia qualcuno che te le spieghi, nel senso, quando c’è un problema come devo risolverlo? Poche cose sono importanti, però se qualcuno te le spiega le sai. Perché con un manualetto che ti compri ci metti un anno. Io ci ho provato con i manualetti ma non c’è paragone!”) I corsi di informatica della Provincia di Genova sono frequentati quasi esclusivamente da donne, molto interessante a questo riguardo l’affermazione dell’intervistata 3I: “Al corso eravamo tutte donne, il corso è l’alternativa pratica per le donne in questo momento, è l’unico futuro che una donna in questo momento può avere.” Dove l’espressione “unica alternativa per una donna” sembra far riferimento alla scomparsa di alcune professioni –con la fine dell’industria intesa in senso tradizionale viene meno la figura dell’operaia generica- e all’abbandono da parte delle italiane di altre –colf, badante…-, in un momento storico in cui è richiesta una sempre maggior specializzazione, chi esce dal mercato del lavoro ha notevoli difficoltà a rientrarvi. La scelta di seguire un corso è dettata anche dalla necessità di capire meglio la logica che sottende i comandi del computer, necessità che spesso i familiari non riescono a soddisfare, con spiegazioni frettolose e mnemoniche del tipo: “schiaccia questo e questo….” (23I, 53 anni, diploma, operatrice call center: “Mio marito l’ha sempre usato ma per 138 quello che era il suo lavoro, carico, scarico, [riferito al magazzino], penna ottica. Non era certo quello che mi serviva per capire come si usa un computer. Anche lì, siamo sempre al solito discorso dei due tastini che devi schiacciare per fare una cosa, ma quello non è saper usare il computer, quello è semplicemente saper quei pochi tasti in un programma che devi utilizzare per fare quello specifico lavoro, ma se io voglio fare un’altra cosa vorrei sapere come impostare le varie risorse del computer per quello che IO devo fare.”) Seguire il corso inoltre significa anche dedicare il proprio tempo ad un’attività senza farsi distrarre dalle incombenze domestiche quotidiane (39I, 47 anni, licenza media, disoccupata: “Mio figlio ha provato a spiegarmi come andare in Internet ma in 5 minuti non fai, perché poi dovevo scendere in cucina, girare il sugo e quindi è per quello che ho accettato di fare il corso: stai lì delle ore, pensi solo a quello…..“Una volta ho provato a rifare a casa le cose del corso, ci ho provato ma non sempre ho tempo, perché al mattino sono lì, poi ho da fare i lavori in casa, poi il piccolo fa delle attività sportive, nuoto, va in palestra e quindi devo organizzarmi al massimo per riuscire.”) Un problema riscontrato da più di una donna è quello di seguire le lezioni ma, una volta a casa non riuscire ad utilizzare il computer autonomamente a causa della mancanza di tempo, in questo modo le nozioni apprese vengono facilmente dimenticate (25I, 44 anni, licenza media, lavora non in regola in una pasticceria: “Mi piace usare il computer perché tante cose le scopri usandolo, anche se leggi poi ci arrivi maneggiandolo. Poi purtroppo dopo aver fatto quel corso ho 139 avuto altri problemi di lavoro, di casa e lo ho lasciato, non è che dal 2002 sono andata avanti con il computer. Adesso però ricominciando di nuovo ho visto che quel po’ di prima e questo di adesso più avanti vado più le cose mi servono.” 26I, 42anni, diploma, disoccupata: “Il nic lo ho finito a dicembre di 2 anni fa. Secondo me il nic punta troppo sui vari programmi come l’uso di Word e spiega poco l’uso del computer, perchè poi le lacune più grosse erano quelle. Cioè, adesso fare una cartella è una scemata, però all’inizio…Magari sai scrivere lettere su Word, ma se devi recuperare una cosa nel computer non hai ben chiaro il percorso e io vedo che questa mia amica è rimasta a livello di quando ha finito il corso, io poi sono testarda e mi ci sono messa e, impara una cosa oggi e una cosa domani, ce lo ho fatta. Secondo me dovrebbe essere dedicato un po’ più tempo all’uso del computer in generale e poi i programmi” 10I, 43 anni, diploma, impiegata: “I corsi li farei ma poi, se tu non operi su quello specifico programma, perdi anche quello che hai imparato.”) 3. Economia del tempo: velocizzare e semplificare Riguardo alla velocità e all’economia in merito alla gestione del tempo sembra esserci una contrapposizione tra intervistate. Chi sta cominciando ad impare ad usare il computer prova diffidenza nei confronti dello strumento che viene percepito come un oggetto “fragile” che si spacca o va in tilt paralizzando interi uffici pubblici. Questa visione è particolarmente diffusa tra le disoccupate che non sembrano rendersi conto quanto 140 sarebbe complesso gestire informazioni/documenti senza supporti informatici. (47I, 44 anni, licenza media, deve iniziare a lavorare come segretaria: “Ho sbagliato a nascere negli anni 60 dovevo nascere negli anni ’30. Del progresso non mi piace niente. Poi tutti questi computer, anche negli uffici, che secondo me ci si mette di più, anche quando vai in posta a pagare una bolletta, si bloccano i computer e stai delle mezz’ore!!”) Le intervistate che hanno maggiore confidenza con il computer sembrano invece gradire l’aspetto della velocità nella comunicazione e nel poter realizzare tabulati di calcolo, documenti, ordinati e precisi perché le correzioni non lasciano più segni (38I: “Mi ricordo prima, anche con la macchina elettrica, era un problema, tra i correttori e tutte queste cose che ci volevano), come avveniva quando si usava la macchina da scrivere. Tuttavia, anche tra coloro che apprezzano la velocità funzionale del computer, temono che il gran correre ed affannarsi tipico della nostra era porti ad una perdita dei contatti sociali –la passeggiata, l’uscita con gli amici- (7I, 39 anni, diplomata, segretaria: “Della tecnologia mi piace la velocità, in genere mi piace la tecnologia. Non mi piace l’aspetto…Forse ho paura possa essere superficiale [le chiedo il perché e lei fa una lunga pausa]. Che sia troppo comoda, allora che si usi poco il cervello. Ad esempio la tecnologia è in tutto, aiuta ad essere più veloci, io faccio anche l’esempio di casa, la lavatrice, il microonde, io sono pigra e mi piace da morire ma forse toglie un po’ il senso di fare le cose come si faceva un tempo. La nonna che faceva le torte, quella che faceva i ravioli, un momento di aggregazione…La domenica, per dire. Mi piacerebbe 141 avere il tempo per badare alle cose semplici. Siamo tutti molto veloci e perdiamo un po’ di comunicazione: magari di parlare ti scrivo una mail. Io vedo che in ufficio sto tutto il giorno senza sapere se il collega di fianco c’è: mi sembra un assurdo. E’ comodo scrivere ai colleghi di Milano senza lettere e buste, però il rischio è perdere un po’ di comunicazione.[le chiedo se vuole aggiugere qualcosa] [ride] E’ che la domenica bisognerebbe avere voglia di fare i ravioli! Io sono pigra e quindi favorevolissima alla tecnologia.” 36I, 40 anni, licenza media, impiegata: “Ogni tanto mando un saluto ad una ex collega di lavoro, magari le mando qualche fumetto, qualche disegnino. Più che altro mando le e-mail per lavoro, perché vogliono le e-mail, non ti danno nemmeno un telefono e io: ma non ce l’ha un telefono che preferisco? E poi quando c’è qualche iniziativa mandiamo il programma degli eventi via e-mail…..Mi spaventa il fatto che, anche se il mio collega dice di no, ti può lasciare in panne. Ti faccio un esempio: io programmo l’accensione dei caloriferi con il computer e se non dovesse funzionare, ho una conferenza di 120 persone e le devo lasciare al freddo: cosa faccio? E’ questo che mi spaventa! 3I, 44anni, qualifica segretaria, disoccupata: “Il fatto di accedere ad Internet a me personalmente ha cambiato la vita. Non ho bisogno di diventare matta con le pagine gialle che sono solo di Genova. Ad esempio mio marito delle volte mi dice: devo andare a Imperia [il marito si sposta molto per lavoro] e io cerco l’albergo, guardo la mappa.”) 142 4. Mediatori (specialmente figlie e amiche) Nel corso delle interviste mi sono resa conto come i figli possano essere fonte di stimolo per molte donne per l’avvicinamento all’uso del computer. Alcune intervistate infatti hanno detto esplicitamente di aver comprato il computer pensando al futuro dei propri figli e di come la curiosità nei riguardi di questo strumento sia stata stimolata da essi. Questo che potrebbe essere un aspetto positivo purtroppo viene controbilanciato dal fatto che le intervistate si sentono in dovere di saper utilizzare il computer o quantomeno “capirci un po’ di più” per poter aiutare i figli stessi nello svolgimento di compiti/ricerche scolastiche (37I, 36 anni, licenza media, disoccupata: “Adesso voglio aiutare mia figlia quando ha delle difficoltà e in più arrivare ad un certo livello per me stessa, per sentirmi ancora giovane che lo sono, per crescere con il mondo, con la vita…“Se sei una mamma chioccia vuoi tenere il passo con i tuoi figli per poterli aiutare. Se mia figlia sa anche io devo sapere per poterla aiutare se si trova in difficoltà come si fa con gli studi a scuola”) Il computer infatti viene acquistato perché ormai le ricerche non si fanno più in biblioteca ma con l’ausilio di Internet, per cui il computer sembra diventare un’attrezzatura scolastica quasi al pari di penne e righelli (33I, 42 anni, qualifica segretaria, riordina scaffali in un supermercato: “In casa abbiamo il computer da 6/7 anni. L’abbiamo comprato per i figli, per il grande, che già adesso a scuola cominciano 143 a dirti che devi fare le ricerche con il computer, sei fuori se non hai il computer, perché altrimenti per fare le ricerche devi andare in biblioteca, quindi sei quasi obbligato a comprarlo.”) Per le donne over 40 i mariti non sembrano essere degli insegnanti ideali in quanto hanno poca pazienza e spesso diventano verbalmente aggressivi (35I, 43 anni, diploma, disoccupata: [le chiedo come si è trovata con il mouse] “I primi tempi mio marito mi diceva: vuoi che ti faccia un bersaglio? Adesso no…Sono una tipa a cui piace molto stimolare la mente [ride], anche se mio marito dice che non uso mai la logica e che io e la logica siamo su due piani diversi. Io sono molto fantasiosa, molto creativa, sono molto impegnata nel sociale. Non sono molto portata per le cose…[tecnologiche come il computer]” 42I, 52anni, licenza media, disoccupata: “Mio marito non ha molta pazienza per spiegarmi, si arrabbia. Io poi mi arrabbio di più e creare discussioni per delle sciocchezze mi sembra inutile.”) I figli dai racconti sembrano più pazienti rispetto ai mariti, anche se è con le figlie che c’è una sorta di apprendimento contemporaneo, ovvero si passa assieme del tempo accanto al computer (34I, 41anni, licenza media, cassiera: “Ho imparato grazie a mia figlia che faceva piccole ricerche alla scuola elementare e poi andando alle medie le ricerche si facevano sempre più difficili. Abbiamo cominciato a comprare l’enciclopedia da scartabellare nei dischetti, abbiamo preso il collegamento a Internet e di conseguenza lei naviga e io anche. Lavoro anche su Internet, invio candidature [domande di lavoro], quindi direi che è molto comodo”), mentre i figli maschi, che dai 144 racconti appaiono forse più esperti, sono più frettolosi nelle spiegazioni. Credo però che questo sia dovuto ad un gap generazionale, ovvero una diversità anche di linguaggio tale per cui i figli si stupiscono che la madre non “riesca a capire” quello che per loro è ormai diventato routine (25I, 44anni, licenza media, lavora “in nero” in pasticceria: “A casa c’è il computer di mio figlio. Adesso gliene ho preso uno un po’ più decente perché fino ad adesso ne avevamo uno che era più rotto che aggiustato. Poi lui ci mette le mani, con la cosa che studia informatica, lui con quelle manine si mette lì [mima i gesti del figlio e ride]. Ha poca pazienza. Io quando gli chiedo qualcosa lui ha poca pazienza, gli dico: mi spieghi? E lui: ma mamma te lo ho detto! I figli con noi pazienza non ne hanno [ride]! Delle volte gli chiedo e lui ti din ti din con quelle mani e io: ma Fabio! Fai un pochino più piano! Velocissimo, anche nello scrivere!” 39I, 47 anni, licenza media, disoccupata: “Su Internet sono andata da casa con mio figlio grande per la banca che…Abbiamo provato, mi ha fatto vedere. Magari ci riuscirei anche sola, sono andata un paio di volte con lui.”) 5. Paura della tecnologia/resistenza alla tecnologia Il timore che alcune intervistate provano nei confronti del progresso tecnologico è da imputarsi alla paura del nuovo inteso come ciò che sconvolge le nostre abitudini, la nostra routine. Delle volte è come se le intervistate percepissero i computer come delle entità autonome e non degli strumenti al servizio di chi li usa (13I, 54 anni, licenza media, riordina archivi: “Gli svantaggi della tecnologia sono che, 145 come dire, ti addormentano un po’ il cervello…Ad esempio in casa. A me piace molto cucinare ma non uso niente di elettrico, faccio tutto a mano. Io amo le cose semplici, mi piace impiegare il mio tempo nelle cose. Non mi piace la fretta, perché se io voglio cucinare un risotto mi piace metterci il tempo necessario, poi mi piace essere brava con le mani e usare il cervello. E come quando disegno, guardo e faccio. Mi piace andare a fondo, scarnificare il tutto e dire: adesso questa cosa è mia. Anche il computer non mi piace per parlare ad una persona [riferito alla posta elettronica]. Mi piacerebbe usare il computer però per quello che intendo io: essere padrona delle cose”) Anche in questo caso emerge un forte gap generazionale tra le più giovani che hanno un approccio mentale più aperto alle novità (16I, 35 anni, diploma, disoccupata: “La tecnologia è una cosa meravigliosa usata bene, con fini di bene, con senso, usata a scopo umanitario…Il progresso tecnologico è bello ma deve essere usato bene”) e le più mature che diffidano delle nuove opportunità create dall’informatica – es. effettuare operazioni bancarie, pagamenti on line- (8I, 49anni, qualifica da sarta, disoccupata: “Cosa mi spaventa…Sono dell’idea che non è tutto così sicuro, per esempio ti consigliano di fare delle operazioni in banca ma io sono dell’idea che se da qualche parte c’è qualche geniaccio che sa come entrare viene a sapere tutto di casa tua e c’è anche il rischio che possano portarti via dei soldi…Come può succedere con i Bancomat. Secondo me il computer andrebbe usato solo con determinate cose, non per tutto” 10I, 43 anni, diploma, impiegata: “Io nei confronti della tecnologia ho sempre avuto un po’ 146 di paura, e quindi una posizione un po’ rigida di diffidenza, ma questo io lo vedevo anche nei colleghi della vecchia guardia, quelli che quando io sono entrata erano prossimi alla pensione…Io mi ricordo che dicevo: ma perché non continuiamo ad usare carta e penna che andiamo benissimo?” 21I, 55anni, licenza media, operatrice call center: “Il progresso mi ha deluso. Lo associo al fatto che hanno voluto cambiare il mondo e lo hanno rovinato. Tutto il progresso, tutte queste cose in più hanno rovinato l’ambiente, l’inquinamento, il clima. In fondo per il clima la causa è l’aria condizionata. In questo momento non vedo nulla di positivo, non ci sono più i valori, ma forse la tecnologia su questo punto non incide più di tanto.”[comincia a fare un discorso sulla mancanza di valori che secondo lei è causata dall’indipendenza economica che hanno entrambi i coniugi e che disgrega la famiglia]) 6. Inadeguatezza Il senso di inadeguatezza riguardo all’uso degli strumenti informatici caratterizza soprattutto le donne più avanti197 con gli anni che si sentono un po’ escluse da un mondo che secondo loro sta cambiando troppo velocemente rispetto ad una giovinezza ritenuta più statica (21 I, 55anni, licenza media, operatrice call center[le chiedo qual è stato per lei l’oggetto che le ha dato l’idea del progresso quando era ragazza] Erano altro tempi, non ce ne erano pensieri di progresso, 197 sebbene più avanti siano riportate le parole di una 35 enne in “controtendenza” rispetto alle coetanee intervistate 147 avveniva tutto abbastanza lento…30I, 52anni, licenza media, disoccupata: “So che si può fare tutto lì sopra e mi dispiace non sapere fare niente. Non che mi interessi di andare a chattare, non so nemmeno come si fa, non lo so proprio. Visto che c’ero ho detto proviamo, tanto se va avanti in questo modo bisogna imparare, adeguarsi. So che so più si va avanti e più sarò costretta. E’ come il videoregistratore: adesso ci sono i dvd. Si è obbligati a questo punto qua. E’ un’imposizione. L’altra volta parlavo con la figlia che mi diceva: ma non si può, ormai va tutto avanti, tra un po’ ci saranno anche tutti i televisori al plasma. Sì, però io avrei preferito che uno che vuole fa e uno che non vuole resta allo stesso modo, invece no, sei obbligata” 17I, 35 anni, diploma, disoccupata: [le chiedo se dico computer cosa le viene subito in mente] “Mi viene un colpo! E’ talmente vasta la cosa che dico non riuscirei mai a stare…E’ in continua evoluzione…Io sono proprio agli inizi…Quando anche lei parlava delle donne tra i 35 e i 55 anni io penso che siamo anche un po’ svantaggiate rispetto a chi nasce adesso…Poi anche con l’età ci si adagia un po’, non è facile come per uno più giovane”…“Io penso che andando avanti con l’età ci sono nuovi problemi e quindi c’è meno spazio mentale per le nuove nozioni, per poterle memorizzare e coltivare. Un ragazzino ha più spazio per immagazzinare queste nuove informazioni. Ce ne sono così tante, in tutto ci sono mille tipi di telefoni, compagnie, contratti…anche uno che vuole collegarsi ad Internet, ci sono milioni di contratti. Io ero già stata negli Stati Uniti anni fa, ’96, ’97, ’98, qui stava iniziando invece là era proprio…Ora 148 qua adesso è come là…E quindi il computer io lo vedo un po’ così, uno che è giovane vabbè, però un adulto ha anche altre cose, non è predisposto mentalmente, quindi va un po’ più adagio.”). Spesso il senso di inadeguatezza nasce dal confronto con gli altri: i figli, il marito, i conoscenti che lo usano. Nelle donne più giovani molte volte il confronto serve come stimolo e non sono rari i casi di donne che imparano ad usare il computer assieme al compagno o ai figli, mentre spostandosi verso i 55 anni non sono poche le interviste che raccontano di vere e proprie strigliate da parte dei mariti per errori commesi utilizzando il computer (42I, 52anni, licenza media, disoccupata: “Mia figlia delle volte mi dice: vieni che ti insegno! Ma io di star lì…Soprattutto è il tempo. Non ho mai avuto…Non è che il computer mi prenda, non ho mai voluto imparare però per necessità anche nel negozio l’avrei fatto…Però faceva tutto lui [marito] e quindi io mi defilavo un po’. Avevo paura di combinare qualche disastro, perché come si sbaglia…Io avevo paura di cancellare, di combinare qualche disastro, poi sui libri sono cose importanti, se si sbaglia si fa un macello e quindi io mi defilavo. Quando non capivo e non sapevo come andare avanti mi fermavo”15I, 45, qualifica segretaria, disoccupata: “Mi piacerebbe saper fare di più, infatti vorrei anche informarmi per dei corsi. Io poi come carattere sono una persona prudente e mi poi mi è difficile dire: Ah! Ho combinato questo!” 8I, 49anni, qualifica sarta, disoccupata: “Avevo paura di combinare qualche pasticcio: “ecco guarda cosa hai combinato!” [parla di quando ha provato ad usarlo] che poi non me lo diceva nessuno questo, però il 149 senso di colpa…E’ una responsabilità, non è come usare una cosa tua.” 39I, 47 anni, licenza media, disoccupata: “Panico! Una volta è successo [si è piantato il computer] quando Edoardo era a scuola e lo ho chiamato nell’ora di pausa. Ero andata al computer per vedere se riuscivo, un po’ di curiosità ce la ho sempre avuta, avevo acceso…Forse l’avevo appena acceso…Lui aveva messo qualche protezione, forse la parola d’ordine e dicevo: si spegnerà? Provavo a spegnere e non funzionava più niente, poi lo ho chiamato e lui: Ma’, stai tranquilla! Fai così, così, così” 4I, 43anni, licenza media, aiuta il marito in negozio: “Sul computer del negozio, dato che io faccio gli ordini, e faccio solo quello, quando ho tentato di fare dell’altro ho cancellato una parte di listino. Irrimediabilmente perduto [risata imbarazzata]. Si è arrabbiato [il marito]. Mi ha chiesto: come hai fatto? E io ho detto: non lo so. Mi sono sentita malissimo, malissimo perché mi è anche dispiaciuto molto. Ho anche il timore di mettere le mani sul suo computer perché chiaramente ci sono miliardi di cose sue. Anche perché chi come me è così imbranato non sa nemmeno come fa a combinare certe cose. In negozio oltre a quei 10 comandi che ho imparato a usare oltre quello non faccio granchè.”) 7. Immagine negativa contro uso positivo L’immagine negativa che alcune donne hanno del computer spesso è viziata dal pregiudizio, ed infatti le intervistate che hanno vinto l’iniziale reticenza hanno cambiato idea anche se il rapporto non si è 150 tramutato in “amore” ma in una sorta di “collaborazione” necessaria (32I, 38anni, diplomata, da poco disoccupata: “All’inizio il computer sembrava un nemico, così distante, anche perchè io avevo fatto il liceo linguistico, letteratura, quindi il mondo tecnologico lì per lì era stato difficile da affrontare, i comandi erano quelli, da imparare. Con il lavoro poi ho superato, perchè poi applicandosi per ore ci ho preso la mano.” 39I, 47anni, licenza media, disoccupata: “Quando lo uso mi sento un po’ strana, perché non immaginavo…Mi fa sentire un po’ più importante. Mi dà soddisfazione e infatti ho detto a mio marito che quando ho imparato insegno anche a lui.”41I, 39anni, licenza media, colf: “Mi è piaciuto usare il computer, è stata proprio un’emozione! Saper usare il computer come tutti gli altri che stanno così [mima il gesto delle persone che sono intente sulla tastiera del computer], allora anche io posso farlo! Non è mai tardi per imparare!” 16I, 35 anni, diploma, disoccupata: “L’insegnante al corso diceva che facevo un corso parallelo, perché viaggiavo davanti… Non stavo ad aspettare, se avevo già fatto [finito le esercitazioni in classe] andavo avanti! Io ero sempre a chiedere, a fare, a dire! Tanti avevano bisogno di essere imboccati e io invece andavo per i fatti miei, poi magari ogni tanto facevo qualche casino!...Io sono abituata al fai da me, sono come San Tommaso, ci devo dar di naso per capire le cose. Me le dicono ma le devo anche provare, tastare…Io prendo di là e di qua, sì che il mio fidanzato…Però lui della parte teorica non sa niente e a me serviva anche quella per poi avere una sostanza. Da una parte quindi mi prendo la parte pratica perché ho imparato molto di più dal mio 151 fidanzato a fare queste cose: è lui che insegna a scaricare i film. Lui non mi dice il nome dell’aggeggino, questo lo ho imparato a scuola giustamente, lui è più per le cose concrete.”) 8. Problemi relativi all’uso della lingua inglese nei programmi, internet… Il computer sicuramente è portatore di un nuovo linguaggio; termini nuovi magari in inglese che diventano di uso quotidiano e venendo addirittura italianizzati –si pensi al termine link e al più italiano “linkare”, ovvero andare su un link-. Per le intervistate intorno ai 50 anni a volte questo linguaggio viene percepito come una sorta di barriera che le esclude. La sensazione è così forte che alcune hanno accennato che per sapere usare il computer è necessario conoscere l’inglese, cosa non vera, perché se si escludono i siti stranieri ormai tutti i sw ad ampia divulgazione sono in italiano. (31I, 52anni, licenza media, disoccupata: “Ho avuto grosse difficoltà nel post nic, perché tutti questi tipi di termini in inglese mi hanno creato un po’ di confusione, mi sono resa conto che proprio non riesco a memorizzarli e a capirli. Sono andata in palla! Proprio il buio assoluto. A questo punto dovrei fare gli esami ma non so se…Ho 3 anni di tempo ma io adesso non me la sento. Che poi bene o male smanettare sul computer lo so fare, su Internet ci so andare, il giochino lo so fare. Ho provato a fare delle schede ma su 30 domande ne faccio giuste .” 44I, 49anni, 152 licenza media, disoccupata: “Io ho sempre pensato, magari un domani mi prendo un computerino, che poi non è così difficile, basta che tu scriva www e vedi la tua pagina, non so, se tu vuoi andare su siti di cosmesi basta fare www.cosmesi...No? Penso sia così, no?”) Conclusioni Quanto emerso dalle interviste sembra confermare le contraddizioni ancora presenti nella società italiana per quanto riguarda l’evoluzione del ruolo della donna. Da un lato le donne non si sentono più legate esclusivamente all’accudimento familiare, ed infatti cercano una gratificazione anche al di fuori delle mura domestiche, dall’altro la ricerca dell’autoaffermazione è sempre subordinata a quelle che ancora vengono ritenute, nell’immaginario delle stesse intervistate, le principali incombenze di una donna, ovvero la cura della famiglia. Il rapporto che le donne hanno con il computer si nutre di queste contraddizioni. Il computer viene percepito come lo strumento dell’emancipazione in quanto strettamente collegato al lavoro. Tutte sono concordi nel dire che se non si è capaci ad usare il computer è impossibile trovare un’occupazione, tuttavia le paure diffuse sono quelle di dedicare troppo tempo allo strumento a discapito della famiglia e di non essere all’altezza. La tecnologia, soprattutto per le over 45 viene infatti vista come campo prevalentemente maschile in 153 cui entrare in punta di piedi. Tale supposta naturale dimestichezza maschile nell’uso del computer non sembra tuttavia essere suffragata da alcun elemento concreto: gli uomini sembrano, agli occhi delle donne, più bravi solo perché osano di più, perché osano “smanettare” con programmi e circuiti anche se magari lo fanno senza criterio e combinano dei disastri. Elemento positivo invece è il rapporto con i figli e con le figlie in particolare. I ragazzini e le ragazzine infatti si avvicinano al computer fin dalle scuole elementari e le mamme hanno piacere a seguire le attività dei loro figli e quindi ad apprendere i rudimenti dell’informatica. Il timore però è che ancora una volta le donne si defilino e imparino ad usare il computer solo per aiutare i figli a svolgere i compiti e non per loro stesse, sentendosi ancora una volta primariamente mogli e mamme. 154 Donne con disabilità e TIC Piera Nobili Accessibilità ed inclusione Prima di affrontare l’argomento della ricerca che ci vede coinvolti per una sua parte, ci pare necessario descrivere chi siamo, i presupposti culturali da cui partiamo, le finalità della nostra presenza in seno a “Ciao!Women”. Chi siamo Poche righe per descrivere chi siamo: l’associazione C.E.R.P.A. Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità)198 si è costituita quattordici anni fa quando il concetto di accessibilità coincideva, o quasi, con quello delle barriere architettoniche. Innegabile che negli anni tale concetto si sia trasformato ampliandosi ed evolvendosi verso il concetto di inclusione, pur non rinunciando alla propria originaria radice che sottolinea l’importanza di una concreta raggiungibilità e facilità nel “fare” per tutti. La nostra attenzione, quindi, è rivolta primariamente all’ambiente e alla relazione che ogni individuo instaura con l’ambiente stesso. Intendiamo per ambiente quell’insieme inscindibile composto dallo 198 Per maggiori informazioni: www.cerpa.org 155 spazio (che discrimina), dal tempo (delle azioni e degli eventi che si dispiegano nello spazio), dagli oggetti (arredi e attrezzature presenti nello spazio), dalle relazioni (con gli oggetti e con gli altri che nello spazio si esprimono). I presupposti culturali Circuita fra gli addetti ai lavori (alle volte pensato, ma non detto o al più detto, ma non scritto), che il massimo paradigma della marginalità e discriminazione nella società occidentale è rappresentato dalla donna, non bianca, mussulmana, disoccupata e disabile, se poi è anziana o bambina abbiamo raggiunto il top. Paradigma inelegante e poco accademico, ma che ci aiuta, dopo un primo moto di piětas, a riflettere, perché riassume in un unico soggetto che possiamo pensare ed immaginare, alcuni fra i più significativi motivi di discriminazione: sessuale, razziale, religiosa, sociale, di salute, generazionale; perché fa comprendere la disparità esistente fra i diversi individui della società in termini di opportunità alla vita indipendente e alla conquista di autonomia, di riconoscimento di sé in quanto soggetto di diritti e soggetto politico. Questo per dire che una donna con disabilità sconta le ricadute almeno di una doppia differenza culturalmente e politicamente non accolta nella società: da un lato quella di genere, già descritta dalle altre ricercatrici per cui su questa non ci soffermeremo, dall’altro quella definita dallo stato di salute, generalmente declinata con la qualità del bisogno e il grado di dipendenza dagli altri, assegnando al termine 156 dipendenza un disvalore. Disvalore che in parte possiede quando questa si manifesta là dove l’indipendenza non è resa possibile per cause non riconducibili alla volontà individuale, o quando lo stesso individuo non trova in sé motivi per tendere all’autonomia. Nella nostra cultura quando pensiamo ad un individuo che vive appieno la propria autonomia lo immaginiamo portatore consapevole di diritti e di doveri, cioè capace di assunzione di responsabilità sia nei propri confronti che nei confronti altrui, indipendente economicamente, ossia in grado di avere un reddito (in genere raggiunto tramite il lavoro), in grado di progettare la propria vita e di entrare in relazione con altri partecipando alla costruzione della società. Con tale accezione intendiamo l’essere autonomo come un essere libero, che trova in sé le ragioni delle proprie azioni senza l’apporto di fattori esterni, in sostanza pensiamo ad un individuo capace e in grado di autodeterminarsi in relazione alle sue necessità, abitudini e desideri. Spesso come sinonimo di autonomia viene usato il termine indipendente, a significare che il soggetto indipendente è colui che non dipende dall’aiuto, dall’assistenza e dalla relazione con alcuno, quasi a dire che la libertà di cui gode grazie alla sua autonomia possa renderlo avulso dal contesto in cui vive trasformandolo in una monade. A ben vedere in realtà mai è stato così e meno ancora lo è oggi. Se pensiamo per un attimo alla nostra soggettiva storia di vita ci renderemo conto che l’autonomia di cui godiamo ci è stata insegnata 157 nei diversi e significativi luoghi della nostra vita relazionale, ossia di dipendenza: la famiglia, il gioco, la scuola, il lavoro, le amicizie ecc.. Quindi, ogni individuo impara ad essere autonomo grazie all’insegnamento di altri, insegnamento maggiormente necessario là dove l’affidarsi ad altri sembra essere la strada più semplice per il raggiungimento della soddisfazione di bisogni e desideri, ad esempio, quando ci sentiamo menomati, per qualsiasi motivo, allo svolgimento di una funzione che dovrebbe appartenerci. Tale concetto di dipendenza, anzi di interdipendenza, si trova anche nell’approccio culturale definito dall’I.C.F., la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con questo nuovo strumento non propone più una classificazione della disabilità come accadeva con l’ICIDH199 del 1980, quanto una descrizione della disabilità intesa come aspetti negativi derivanti dall’interazione tra un individuo (con una data condizione di salute) e i fattori contestuali di quello stesso individuo (fattori ambientali e personali). L’innovazione di questa diversa lettura del corpo e della salute degli individui, risiede proprio nell’approccio integrato nel quale, per la prima volta, si tiene conto dei fattori ambientali classificandoli in maniera sistematica. 199 L’ICIDH (Classificazione delle Menomazioni, Disablità ed Handicap), è uno strumento di analisi e studio statico di cui, nel 1980, si dotò l’OMS. Fu, per allora, una rivoluzionaria revisione dei termini menomazione, disabilità ed handicap, con la quale veniva sottolineato come le norme sociali e l’ambiente costruito sono determinanti nel favorire o meno la disabilità. 158 Infatti, la nuova classificazione prende in considerazione gli aspetti contestuali della persona, e permette la correlazione fra stato di salute e ambiente giungendo alla definizione di disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Questa stessa definizione ci fa comprendere che è stato superato il vecchio concetto che sosteneva che dove finiva la salute iniziava la disabilità, inserendo di fatto la persona con disabilità all’interno di un gruppo separato dal resto della società. Questo passaggio culturale è stato possibile grazie: • alla consapevolezza che qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità, • al riconoscimento delle differenze e alla loro valorizzazione, • alla comprensione della nostra individuale multi- dimensionalità, • al ritorno a concepire il corpo come intero e non come insieme di organi, • alla elaborazione di riflessioni che ci hanno indicato quanto sia inscindibile la relazione che instauriamo con l’ambiente così come più sopra definito. L’autonomia, quindi, è resa possibile se gli attori della relazione, il soggetto e l’ambiente, si incontrano riconoscendosi reciprocamente e se fra loro interagiscono con soddisfazione in modo inter-dipendente. 159 Finalità Stante quanto fin qui scritto, la nostra partecipazione alla presente ricerca trova motivazione e finalità nella volontà di comprendere, tramite l’analisi delle narrazioni, la qualità del contesto ambientale, da un lato, e quale ruolo le donne intervistate hanno avuto nella costruzione della propria autonomia, dall’altro. Nel primo caso l’attenzione è stata posta sull’accessibilità delle attrezzature impiegate e della rete, sul contesto sociale in cui si è sviluppato l’approccio alle TIC (Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione), sulla rete di relazioni personali che le hanno sostenute o non sostenute per raggiungere tale fine. Questo per comprendere il rapporto di inter-dipendenza esistente fra soggetto e ambiente. Nel secondo caso è il soggetto intervistato al centro delle riflessioni: quali le motivazioni a sostegno, come leggono la loro relazione con le TIC, che rapporto esiste fra impiego delle tecnologie e il loro vissuto di donne con disabilità, quale cambiamento, sempre che ci sia stato, le TIC hanno apportato nella loro esistenza. Premessa Difficile ricavare considerazioni che abbiano carattere di validità generale dal campione di donne con disabilità intervistate, dato il loro ridotto numero: complessivamente venticinque, suddivise fra le cinque nazioni partecipanti alla ricerca che, peraltro, presentano differenze nello sviluppo e diffusione delle tecnologie informatiche. Inoltre, il 160 campione è composto da donne con disabilità diversificate alcune delle quali acquisite in età adulta, ossia durante la vita cosiddetta “normale” (definendo con ciò un confine, un prima e un dopo), altre presenti da sempre. Ciò nonostante, dai racconti raccolti, è comunque possibile ricavare alcune invarianti da tenere in considerazione, che delineano un quadro di riferimento interessante, il quale può costituire il presupposto da cui partire per eventuali futuri sviluppi della ricerca rivolta primariamente alle donne con disabilità. Si riportano di seguito alcuni dati anagrafici generali, quali orientamento alla lettura dei successivi commenti. OCCUPATE NAZIONE DISOCCUPATE OCCUPATE PENSIONE PRESSO ANTICIPATA ASSOCIAZIONI PER MOTIVI O CENTRI PER DI SALUTE STUDENTESSE TOTALE INTERVISTE PERSONE CON DISABILITA' BULGARIA 2 1 DANIMARCA 2 2 2 ITALIA 2 2 1 LETTONIA 3 2 5 1 1 1 3 5 5 5 PORTOGALLO sommano 9 NON VEDENTE IPO VEDENTE 1 6 1 BULGARIA DANIMARCA ITALIA 2 3 1 4 1 1 1 LETTONIA PORTOGALLO 25 TOTALI 6 2 161 7 3 PARALISI SPASTICA 1 1 2 4 1 PARALISI CEREBRALE EMIPLEGIA PARAPLEGIA 1 1 1 1 1 2 1 3 FOCOMELIA PALMARE 1 1 PERDITA DI MEMORIA 1 1 TETRAPLEGIA 1 1 1 DIABETE 1 2 ARTRITE REUMATOIDE 2 Ad un’attenta lettura dei racconti si riconosce che il rapporto con le TIC è molto simile a quello delle altre donne intervistate, con alcune differenze significative dovute e motivate dalla relazione con la disabilità e il vissuto che questa ha originato. Saranno soprattutto queste differenze ad essere evidenziate e commentate, mentre non si riporteranno le considerazioni condivise con le altre interviste se non in alcuni casi, per rafforzarle. Gli otto nuclei tematici Necessitá L’apprendimento delle tecnologie, in particolar modo del computer ma non solo, appare strettamente e primariamente connesso alla dimensione di necessità. Da un lato la necessità di trovare o gestire un lavoro, tenendo presente che solo 10 donne su 25 lavorano; di queste, cinque lavorano presso 162 associazioni o centri per persone con disabilità. Dalle loro interviste non emerge se tale attività sia o meno retribuita in quanto solo una dichiara di svolgerlo in forma volontaria, due non dichiarano nulla a tal riguardo e le ultime due potremmo presupporre, ma non ne abbiamo la certezza, che siano retribuite svolgendo attività di centralinista. Avere attenzione a quest’aspetto, dal nostro punto di vista, ci pare importante per comprendere il reale significato di necessità da attribuire all’attività dichiarata come lavorativa: sostentamento economico che si associa ad un “obbligo” di conoscenza delle tecnologie, o interesse personale che sostiene una decisione “indipendente” all’uso delle tecnologie? Domanda alla quale è difficile dare una risposta certa, in quanto le interviste non si soffermano su questo particolare. Possiamo, tutto al più, presumere, vista l’enfasi usata nella narrazione, che tale attività lavorativa presenta un duplice aspetto, quello di sentirsi occupate, da un lato, quello di poter lavorare per acquisire un ambiente più accessibile per sé e per i propri simili, dall’altro. Altra considerazione da tenere presente è che alcune donne con disabilità acquisita in età adulta confermano, con il loro racconto, che il motivo e l’ambiente di apprendimento iniziale è stato quello lavorativo, ma al contempo sottolineano che il rapporto con le tecnologie si è fatto più intenso dopo il trauma o la malattia. 46L - un anno fa avevo un piano, che bisogna imparare a scrivere, non guardando la tastiera e cominciare a lavorare con Internet…….capisco che possono servire a trovare qualche lavoretto 163 47LQ- Attraverso quelle nozioni del computer ho avuto il mio lavoro, chissà se altrimenti io handicappata sarei stata accettata [lavora presso un’associazione per persone con disabilità]. 50L - 8 anni fa lo facevo per amplificare le possibilità di lavoro. Adesso per avere più i cambiamenti nella vita, per la comunicazione, l’informazione. Così posso essere più fra la gente, comunicare con altri. … 46DKC - Ho iniziato ad usarlo al lavoro nel 1991-92, era un obbligo per svolgere il mio lavoro. [in pensione anticipata per motivi di salute] 47DKB - Ho avuto un computer dal 1987 come mezzo per il lavoro. Privatamente dal 1997 … dopo di che non potevo stare senza il computer. [lavora come assistente sociale] 47I – L’infarinatura ce l’avevo già perché avevo lavorato dieci anni per una ditta. [disoccupata] 48IQ – Avevo cominciato a scuola perché studiavo ragioneria e quindi il computer era considerato un mezzo essenziale per il lavoro d’ufficio. [lavoratrice dipendente] 51IB – Il motivo per cui ho imparato ad usare il computer è stato per lavoro 50PC – Ho cominciato a usarlo quando sono entrata nella associazione, …, per venire a lavorare nella associazione. Dall’altro la necessità di non sentirsi sole (occupazione del tempo), di avere l’occasione di sentirsi in contatto con il mondo (figli/e e amici/che lontani/e, informazione, ricerche, fare nuove conoscenze ecc.), utili per se stesse (autonomia/indipendenza) e per gli altri (familiari, colleghe/i, persone con disabilità), di coltivare propri interessi altrimenti difficilmente raggiungibili. 164 Queste appaiono come le motivazioni più forti all’impiego non solo del computer ma anche del cellulare, del telecomando e degli automatismi domestici in generale. 47LQ - Essendo handicappata ho una comunicazione limitata, spesso vedendomi in carrozzina per disabili, rifiutano di comunicare, ma quando comunico indirettamente, mi piace e vedo che vengo considerata che valgo. 45DKC – Ora ho più contatti di prima [del computer] e ho possibilità di fare cose che prima non erano possibili senza computer. 46DKC - Il computer aiuta a risolvere una serie di problemi della vita quotidiana, che altrimenti risultavano più complicati. 47I – Avere il computer a casa mi ha fatto sentire un po’ più attiva, … 48IQ – … è uscito il cellulare e potevi essere reperibile: quella per me è stata una rivoluzione! … si sarebbe potuto comunicare in qualsiasi momento. 50IC – [la disabilità le rende difficile anche la comunicazione orale]. Della tecnologia mi piace molto il telefonino per i messaggi [la madre mi spiega che manda molti messaggi agli amici] e anche il lettore cd per ascoltare la musica. Quando ero più piccola mi colpiva molto la televisione, il telecomando. [la madre sottolinea come l’auricolare, il telecomando, per sua figlia siano delle grandi invenzioni a livello di miglioramento della qualità della vita, in quanto consentono alla figlia di avere una certa autonomia. …. La madre mi dice come il computer sia fondamentale. Sua figlia si esprime sul computer…]. 51IB - … per la bambina per aiutarla un domani a fare i compiti, perché, non potendo leggere con lei i libri, il mio sarà un aiuto diverso. 52IB – Ho avuto una motivazione forte. ... ho cominciato ad usarlo a 19 anni con l’università ed è stata una bella possibilità quella di scannerizzare i libri, metterli su computer e avere la conversione in braille. E’ stata una cosa eccezionale invece di distribuire libri a destra e a manca per farseli registrare. Quindi il computer è diventato il mezzo di studio con cui leggo e scrivo. 165 47BC - Posso avere dei contatti con gran parte dei miei ex colleghi, per esempio, e anche di aiutarli con qualche cosa del lavoro. Poi abbiamo lanciato Internet e mi sono collegata con altra gente che è simile a me, cioè nella stessa situazione. Adesso facciamo spesso una comunicazione tra di noi. Ho cominciato a sentirmi diversa, più utile in qualche modo. 50ВQ - Adesso lavoro su una iniziativa generosa – “Accessibilità equivalente”, il cui scopo è di dare la possibilità alla gente con disabilità di lavorare completamente con computer. 48PQ: Per parlare con altre persone [su Internet] e per me è stato molto importante:-). Quando ho cominciato a usare il computer e soprattutto Internet la mia vita è migliorata. 49PQ - [se la sua vita è cambiata …] Sì, abbastanza e in meglio. Non ci si sente tanto soli e io trascorro la giornata da sola: mia figlia lavora (adesso è in vacanza) e anche mio marito ... e il computer mi fa compagnia. A conferma di quanto queste motivazioni siano significative per la maggioranza delle intervistate, da loro emerge un rapporto non solo positivo con il computer, ma anche pregnante rispetto alla qualità della loro vita. A questo proposito sono interessanti i nomignoli dati al computer in particolar modo dalle donne bulgare. Al contrario, le donne danesi hanno un approccio con le tecnologie apparentemente più pragmatico: utilizzano termini lessicali del gergo computeristico più appropriati, manifestano minori entusiasmi e maggiore consapevolezza delle potenzialità del computer e della rete. È un mezzo con cui sembra sia stato costruito un rapporto d’uso tale da renderlo “familiare” come potrebbe essere il telefono. 166 46L – E’ windows, la finestra sul mondo! 47LQ - Mi interessa molto, perché è una nuova vista sul mondo. 50L – Piace e interessa! Per me il computer è come un amico. 45DKC - …per me il computer e internet è una cosa positiva. 48IQ - … sono andata a lavorare e usandolo tutto il giorno mi usciva dagli occhi, non ne avevo voglia. Poi l’anno scorso ne ho preso uno ma è tutta un’altra cosa, perché con internet, con le e-mail è tutto un altro utilizzo! Adesso ti dà soddisfazione, … 50IC – Mi piace il computer, ce l’ho anche a casa … Pensando al computer la prima cosa che mi viene in mente è Internet. Mi piace tanto internet, navigare. 47BC – Il computer ha dato senso alla mia vita. Adesso non potrei immaginare cosa farei senza di esso. Lo chiamo “salvezza”. 48BB – Lo chiamo “orizzonte” e penso che non sia necessario spiegare perché lo chiamo così. 49BB – Sinceramente il computer ha dato senso alla mia vita … per questo motivo chiamiamo il computer “perspicacia”. 50BC – Il computer ha dato senso alla mia vita ed anche un hobby. Lo chiamo “salvatore”. 48PQ: Adoro il computer è molto interessante e non è mai tardi per imparare. Mi piace tantissimo!! ☺ Mi piacciono i computer e quando qualcosa ci piace vogliamo sempre di più. 49PQ – Mi piacciono le nuove tecnologie. Mi piacciono le due cose [comunicare e fare ricerche]: fare ricerche è ottimo. Il computer diventa un amico, a cui possiamo ricorrere, in tutti i sensi ed è necessario. Se uno ce l’ha, apre altri orizzonti. 167 Approccio: Teoria/Pratica L’approccio all’apprendimento delle tecnologie da parte di donne con disabilità è uguale a quello descritto dalle altre donne: stessa necessità di teoria, da un lato, e di pratica, dall’altro. La prima, tramite corsi di alfabetizzazione all’uso, aiuta a superare le paure iniziali, a categorizzare le funzioni, il funzionamento e l’uso del computer e di internet, a saper contestualizzare ciò che si sta facendo o si sta cercando; la seconda, tramite la conoscenza per esperienza, aiuta il processo di memorizzazione e, soprattutto, consente di acquisire sicurezza e confidenza con le tecnologie. L’aspetto che in parte modifica l’orizzonte all’interno del quale tutto ciò avviene è che per le donne con disabilità il luogo d’apprendimento non è solo quello scolastico o lavorativo, ma è anche, non per tutte ma per una buona parte di esse, quello dei centri o associazioni di riferimento. In genere sono stati proprio i corsi offerti dai suddetti centri o associazioni l’occasione e la spinta per avvicinarsi a queste tecnologie, ed una volta appreso l’uso e compreso le possibilità che il computer dà, queste donne, nella maggioranza dei casi, ha iniziato ad impiegarlo intensamente anche a casa e per scopi personali. 48LB – … ho appena cominciato a imparare il computer qui al centro. [centro per non vedenti] 50L – … ancora il mercoledì studio qui al centro [centro per disabili]. Qui al centro tutto è lento, senza agitazioni [ci insegnano] così poco a poco. 168 48IQ – La mia azienda periodicamente fa dei corsi quando si cambiano i programmi o le persone. Lì per lì i corsi sono tanto teorici … impari quando fai da sola. 49IC – Al centro diurno gli insegnati spiegavano bene però poi mi sono esercitata da sola, per conto mio. La maggior parte delle cose le ho imparate da sola. 50IC – Ho imparato facendo un corso alla Regione dopo le superiori. La prima cosa che ho pensato appena mi hanno messo davanti al computer è stata: come faccio? Ma il professore che avevamo è stato molto bravo e mi ha fatto amare il computer. 51IB – Inizialmente per imparare ad usare il computer mi sono rivolta all’Unione Italiana Ciechi, però ero scoraggiata [per come lo insegnavano non lo voleva più imparare] … Poi mi sono presa un computer usato e ho trovato un insegnate che non era specializzato per non vedenti, si è specializzato con me ed è stato splendido … ho trovato la persona che me lo ha fatto piacere il computer ... che mi ha reso autonoma con il computer … 52IB – Certo il corso è importante ma poi è importante metterci le mani da sola. 53IB – L’impressione che ho avuto a questi corsi è che c’è sempre poca pratica. 48PQ – … in una istituzione … ho fatto un corso di amministrazione ed abbiamo avuto un contatto con il computer … l’anno scorso ho fatto un corso di word e di excel. Per me è stato molto gratificante … e anche il gruppo con le colleghe è importante. Mi è piaciuto molto! Adesso sto facendo il corso di internet 49PQ – all’inizio pensavo che era molto complesso, che non ci sarei riuscita, ma poi … quando si acquisisce una certa pratica è più facile. 50PC – Ho fatto corsi di formazione durante due anni [presso un istituto per la formazione professionale] 169 Economia (Del Tempo): Velocizzare E Semplificare Vengono condivisi con le altre donne alcuni aspetti di semplificazione e velocizzazione di alcune attività pratiche, come la possibilità di parlare e corrispondere con familiari o amici lontani, o come utilizzare il sistema bancario, postale e dei servizi on-line. Meno evidente è invece l’aspetto collegato al risparmio di tempo, che non viene praticamente menzionato se non in forma negativa: il tempo da dedicargli è limitato o reso assente dalle altre mansioni o impegni quotidiani. Vengono, invece, individuati come vantaggi quelli di ordine economico (acquisti in rete, lettura delle informazioni tramite internet), o quelli collegati alla ricerca e gestione della medicina. Comunque, l’aspetto più significativo che si evidenzia è quello di vedere nel computer un facilitatore dell’autonomia, così come risulta da alcune citazioni di interviste riportate anche nei paragrafi precedenti. 50L - trovo l’informazione sui problemi della salute. In Internet c’è tantissima informazione, non posso abbonarmi a tutta la stampa, perciò così è a miglior mercato, molto. 47DKB – Se non avessi avuto un computer sarei completamente dipendente da un segretario per svolgere il mio lavoro. 47I – Io sono diabetica e per me il discorso tecnologia, ricerca è basilare. Poi è vero, il computer è collegato anche con tutti i macchinari medici. 48IQ – Il computer per chi è disabile io lo vedo come uno strumento molto bello, perché persone che non riescono più e fare tante cose riescono ad avere una vita quasi normale, perché con il computer si può controllare 170 l’accendimento e lo spegnimento delle luci, le persiane, l’apertura delle porte. Questa è una cosa bellissima, che la tecnologia dia la possibilità alle persone che non possono più svolgere le cose come prima di supplire le carenze fisiche rendendo la vita quasi normale. Mediazioni Viventi Come già si diceva nel paragrafo relativo all’apprendimento, anche per le donne con disabilità i corsi di alfabetizzazione sono stati importanti per l’approccio all’uso delle tecnologie. Ma ancor più che per le altre donne, in queste interviste, pare emergere quanto sia fondamentale la qualità relazionale con coloro che insegnano, siano essi formatori formali o informali: il diverso apprendimento sia per tempi che per modalità, richiede di personalizzare l’insegnamento. Colleghi e colleghe 48IQ – Mi hanno insegnato i colleghi. Sai magari è il posto di lavoro nuovo, il collega va via e allora ti insegna. 47I – … erano state le colleghe a insegnarmelo. Erano molto disponibili e poi lo usavano già da tanto 49BB – Mi hanno aiutata tanto gli altri colleghi … 50PQ – la mia collega Veronica mi ha aiutato molto con il computer. Se non fosse per lei, magari oggi, non saprei nemmeno la metà di quel che so. Amici e amiche 50IC – La prima volta in internet ero andata con un mio amico. 48BB – … una mia amica, Nevena che è non vedente come me, mi ha portato in una società che si chiama “Orizzonti”, …, offre vari servizi alla gente 171 con disabilità … prima di tutto non ero sola, mi sentivo come se fossi tra amici, e secondo c’era gente che mi insegnava a lavorare al computer. Familiari 47I – Con il mio computer mi azzardo [ad utilizzarlo senza troppi timori], anche perché c’è mio fratello che è un cervellone e mi viene ad aiutare. 49DKQ – Mio fratello mi aiuta con la banca on-line, ma sono quasi pronta ad usarla da sola 47BC – Un bel giorno mio marito è uscito ed è tornato con una scatola. Disse che mi aveva comprato un hobby, cioè un computer. All’inizio non potevo fare nulla. Lui però mi spiegava tutto di sera con grande pazienza in modo che non mi stancassi. 50BQ – Mia madre che spera che io recuperi ha cominciato a cercare occasioni per mio trattamento. Una delle prime possibilità era internet. 49PQ – … E con mia figlia e mio nipote. Ho imparato molto con lei che ci sa fare. … mio nipote lo usa per tutto. Quando ho dei problemi gli telefono. Da sole 47I – Internet, la posta … ho imparato da sola. 49BB – Al momento studio e lavoro sulle pagine web per gente che ha la stessa disabilità come la mia … e così sono venuta fino a questo punto, io da sola faccio delle pagine per non vedenti. 49PQ – Per internet invece ho imparato da sola, più tardi. Pericolo Della Tecnologia E Resistenza Alla Tecnologia/ Inadeguatezza Questi due paragrafi vengono raggruppati perché là dove si evidenziano delle resistenze o senso di inadeguatezza (poche 172 intervistate ne parlano o ne fanno cenno), tali concetti sono espressi con le stesse parole delle altre donne, confermando con ciò gli stessi schemi dell’immaginario sottesi. Infatti, si ripetono le paure di non farcela, di poterlo rompere, di combinare dei guai irreparabili, così come l’affermazione di non essere delle specialiste delle tecnologie, ma al contempo di padroneggiare bene e di usare molto sia il computer che la rete. Le stesse citazioni sotto riportate, avulse dal contesto complessivo dell’intervista, potrebbero far pensare al rifiuto della tecnologia, ad un suo non uso, ma ciò non è: solo due donne dell’intero campione ammettono di non usare il computer se non in occasioni particolari, e solo una dice di usarlo poco preferendo nel proprio tempo libero coltivare altri interessi. Il dato numerico così basso di disaffezione al computer rilevato nel presente campione, potrebbe essere motivato da quanto esposto ai paragrafi “Necessità” e “Economia”, dai quali si ricava che computer e rete hanno dato un senso alla vita di queste donne, facilitandone l’autonomia e conseguentemente l’autostima e il riconoscimento di sé. È solo un’ipotesi da verificare e valutare in futuro. 49LB - qualche tempo fa ero andata ai corsi …forse e’ una barriera psicologica, un respingimento, non riesco a capirlo ___Se mi terranno qui a lavorare, dovrò imparare. La sorte stessa mi avrà costretto. Sarà la direttrice del centro ad insegnarmi, allora probabilmente non lo eviterò. 173 50L – Poi c’è il trauma alla testa, la perdita della memoria, adesso ricomincio tutto di nuovo. L’insegnante già dice che devo praticare finché quelle cose andranno automaticamente [con scetticismo]. 47I – Io non ho la mentalità informatica: mi sento molto limitata … Poi sì, anche un po’ di paura di fare dei guai … 48IQ – Non è che la donna sia meno portata: lo utilizza in maniera diversa. Io lo vedo come uno strumento, non come una cosa di cui mi prendo del tempo, al contrario: io voglio andare al cinema e guardo sul computer cosa c’è in programmazione a Genova, gli orari, i film e basta, poi lo spengo. 49IC – La tecnologia mi affascina però ho un po’ paura, paura di non riuscire ad imparare ad usare le cose, di non essere capace … 49PQ – Ma, davvero, all’inizio avevo difficoltà, avevo paura di fare danni. Immaginario Negativo Opposto All’uso Positivo (Fantasmi) Anche in questo caso non esistono differenze sostanziali nella percezione di negatività della tecnologia fra le donne con disabilità e le altre donne intervistate: pericolo per la salute, per l’uso eccessivo da parte dei figli che può condurre a dipendenza ed isolamento dal resto del mondo inteso come reale, paura che questi nella navigazione incontrino siti violenti o diseducativi. Nella descrizione di questi “fantasmi” impiegano gli stessi concetti delle altre donne, con un'unica differenza, accentuano maggiormente il senso di responsabilità per la salute propria e dei propri cari. 49LB – Dopo essere tornata dai corsi avevo sempre mal di occhi e di testa. Non so da dove ho questa paura. Forse e’ legato alla vista ___ perché 174 quando così improvvisamente cominci a perdere la vista, cominci ad avere paura di tutto. Se senti alla radio che influenza la vista, e dà un irraggiamento che può sviluppare dei tumori … faccio una deduzione in particolare per i miei occhi malati. 50L – Solo che qualche tempo ho mal di testa, non potrei sedere al computer tutto il giorno. 48IQ – Con internet il computer è diventato una finestra sul mondo ma la stessa cosa può diventare anche negativa perché non esistono protezioni vere e proprie. 52IB – Ti si apre proprio un mondo, a volte anche troppo, perché poi il rischio è che è un mare dove bisogna un attimo selezionare, altrimenti diventa una sindrome. 53IB – Io meno cose robotizzate mi date in mano e più sono contenta, per questione di carattere … perché dico che il computer fermi le cose, perché ritengo che più una persona può farsi le cose da sola meglio è. La Barriera Della Lingua Inglese A differenza dell’altro campione di donne intervistate, nei racconti delle donne con disabilità non viene mai descritta una qualche difficoltà nei confronti della lingua (inglese), altri sono gli ostacoli riscontrati nell’impiego delle tecnologie. Alcune donne con disabilità riferiscono di utilizzare tecnologie non modificate, sopperendo con l’esperienza all’uso ciò che la tecnologia non consentirebbe di fare con facilità. Altre raccontano di usare degli ausili tecnologici (schermi speciali, tastiere modificate, mouse particolari, software specifici ecc.), e in alcuni casi anche una postazione ergonomicamente mirata alla propria postura. 175 Molte, comunque, lamentano le barriere create dai software, dai siti, dalle attrezzature e dai costi non accessibili. In modo particolare un’intervistata sottolinea la mancanza di attenzione, che denota disinteresse, alla conoscenza delle persone con disabilità da parte degli addetti ai lavori; questo stato di cose porta inevitabilmente a costruire tecnologie accessibili solo per alcuni. Questa realtà ha spinto alcune delle donne intervistate ad impegnarsi, tramite le associazioni o centri di appartenenza, al conseguimento dell’accessibilità sia dei computer che della rete per consentire a tutti di avere pari opportunità d’accesso e anche lavorative. 47DKB – Conosco persone che comprano on-line, ma per me non è possibile, perché devo conoscere bene i siti che uso a causa di quell’ingrandimento che ho bisogno. Dipende anche com’è costruito il sito, se è disponibile per me. 48DKB – Vorrei usare la banca on –line, ma il sito è strutturato in un modo che mi impedisce di navigare, in più viene cambiato spesso. 51IB – Internet … il problema è quando vai nei siti molto grafici … nei quali con il sintetizzatore è un problema digitare quello che ti serve … e quindi non riesci ad utilizzarli. Ecco a queste cose bisognerebbe porre rimedio, altrimenti non è più un utilizzo per tutti. 51IB - Telefoni, ora ci sono anche i messaggi vocali, però per essere completamente autonomo dovresti comprarti un cellulare apposta ma ha un costo che…Sei penalizzato perché lo paghi 500 euro invece che 100 [il paragone è per dire che un cellulare appositamente per non vedenti è molto caro]. La Asl200 il 200 Azienda Sanitaria Locale, Servizio pubblico italiano (N.d.A.) 176 computer te lo passa ma Jaws ha un costo…all’epoca 1500euro. La barra in braille 2500. Anche la stampante in braille è scandaloso costi così tanto … 52IB – Tutto quello che è supporto è ben accetto, è un po’ meno bello vedere i costi stratosferici. 48BB – Per noi è tanto difficile perché gli specialisti di software non pensano alla gente con disabilità quando fanno dei propri programmi … 50BQ – La gente che crea computer non s’interessa abbastanza della nostra opinione. Il risultato: questa tecnologia potrebbe essere molto utile, ma resta non proprio usata. Commenti e considerazioni finali Partendo dalle finalità che ci eravamo prefissi nell’indagare le narrazioni e i vissuti delle donne con disabilità nel rapporto con le TIC, si possono trarre alcuni commenti finali che chiamiamo invarianti, come si diceva nell’introduzione, dalle quali trarre motivo e spunto per un ulteriore avanzamento della ricerca, dove porre maggiore attenzione alle donne con disabilità. Tali invarianti vengono, perciò, proposte come considerazioni su cui riflettere e non come dati “obiettivi”, essendo numericamente limitato il campione di donne intervistate. Il contesto • Accessibilità delle attrezzature impiegate e della rete. Le attrezzature e le postazioni ergonomicamente personalizzate non sempre sono presenti, non sempre ne viene ravvisata la necessità, vuoi perché le condizioni di salute non lo richiedono, vuoi perché l’abilità 177 nell’uso del computer e della rete è tale da riuscire a sopperire alle mancanze di specifici ausili. Ciò nonostante, le intervistate non vedenti e ipovedenti lamentano l’inaccessibilità dei siti internet e di alcuni software, in quanto eccessivamente grafici, altre, soprattutto le italiane, lamentano l’eccessivo costo delle tecnologie per persone con disabilità rendendole così non accessibili, altre ancora lamentano la mancanza di attenzione nei confronti dei bisogni delle persone con disabilità da parte degli addetti ai lavori nel progetto delle postazioni. Possiamo, quindi, dire che per quanti progressi in tal senso siano stati fatti, ancora esiste una diffusa disattenzione al tema dell’accessibilità nei confronti delle TIC. • Contesto sociale in cui si è sviluppato l’approccio alle TIC. Il contesto di riferimento per l’apprendimento all’uso delle TIC è stato, come per le altre donne intervistate, quello della scuola (intendendo anche istituzioni ed enti formativi parascolastici) e quello del lavoro, quest’ultimo soprattutto per coloro che hanno acquisito una disabilità in età adulta. La differenza che sostanzia l’esperienza particolare di queste donne rispetto alle altre, è rappresentata dai centri ed associazioni per persone con disabilità che sono stati luoghi di riferimento e stimolo all’apprendimento delle TIC. Luoghi dove le donne non solo hanno trovato un supporto qualificato a prepararle all’uso, ma anche un aiuto al loro progetto di vita. • Rete di relazioni personali che le hanno sostenute. 178 La rete di relazioni che emerge dai racconti è piuttosto estesa: colleghi/e, amici/che, familiari, personale dei centri ed associazioni di riferimento, a seconda dei casi, tutti hanno concorso al sostegno all’apprendimento all’uso del computer e di internet. In alcune narrazioni emerge chiaramente una sentita e profonda gratitudine nei confronti degli “insegnanti” sia formali che informali, non solo perché le hanno aiutate a raggiungere lo scopo prefisso con buoni risultati, ma anche, e forse soprattutto, per l’impegno profuso nel comprendere le loro necessità e difficoltà, nel rispettare il tempo e il modo del loro personale apprendimento. Il soggetto • Motivazioni a sostegno dell’uso Per il campione di riferimento l’uso del computer e di internet trova la sua fondamentale motivazione nell’individuazione di una necessità, anche se, in rari casi, fanno riferimento all’impiego per gioco e per passatempo. Senz’altro l’attività lavorativa, o la sua prospettiva, è una motivazione importante a sostegno della necessità, ma ciò che emerge con maggior forza dalla lettura delle interviste è, invece, la necessità collegata al vincere la solitudine, al sentirsi ancora utili per sé e per gli altri, al sentirsi in contatto con il mondo, al coltivare i propri interessi. • Come leggono la loro relazione con le TIC Nel complessivo il campione ha espresso un rapporto positivo con le TIC, al punto di parlarne con entusiasmo. Individuano il computer e la 179 rete sempre come dei mezzi, degli strumenti, ma li caricano di significati tali, in relazione alle motivazioni sopra esposte, da farli diventare degli amici. • Rapporto fra l’impiego delle tecnologie e il vissuto. A parte le pochissime donne che resistono all’uso del computer, le altre nel raccontare del loro rapporto con le tecnologie, non solo le TIC, parlano apertamente di autonomia e di indipendenza raggiunte grazie al loro uso. Autonomia ed indipendenza per sé e nei confronti dell’ambiente di vita. • Cambiamento apportato dall’uso delle TIC. L’impiego delle tecnologie, come si diceva al punto precedente, ha consentito il raggiungimento di un’autonomia altrimenti dichiarata da alcune come non possibile. Questo, a ricaduta, ha aiutato a ricostruire autostima e dato senso al proprio sé, promuovendo una (alle volte nuova) progettazione dell’individuale percorso di vita: dal coltivare interessi personali al gestire l’attività lavorativa, dalle attività di cura per sé a quelle per gli altri, dal condividere con i propri simili gli stessi bisogni e desideri al divenire artefici del cambiamento dell’ambiente a favore degli altri. 180 In conclusione, risposte diverse ad un approccio diverso Rita Bencivenga Le domande poste in CIAO!Women nascono dal nostro interesse a far emergere gli stereotipi su donne e tecnologie e riflettere su chi li riproduce. In Italia le donne di età compresa fra i 35 e i 55 anni, in modo particolare coloro che hanno più di 45 anni, si sono sentite ripetere in mille modi che la tecnologia a loro non piace, non interessa, che preferiscono che ad occuparsi degli aspetti tecnologici siano altri, in primis i loro compagni o amici. Sono cresciute in anni in cui essere brave a scuola in matematica e fisica metteva a rischio di esclusione, in cui primeggiare nelle materie scientifiche rendeva meno interessanti agli occhi dei ragazzi. D’altra parte, sono anche la generazione che ha iniziato a scrivere usando pennino e inchiostro e che adesso usa il computer per lavoro e per svago. Queste donne hanno visto i primi fax, hanno usato i computer solo con la tastiera e senza mouse, loro che da piccole associavano alla tecnologia aerei, razzi, il primo uomo sulla luna, computer grandi come armadi e Spencer Tracy e Katherine Hepburn che litigavano201 su chi era più veloce, tra il cervello elettronico o 201 La segretaria quasi privata (The Desk Set). Un film di Walter Lang del 1957. 181 l’esperta operatrice del servizio informazioni, nell’elencare i nomi delle renne di Babbo Natale. Sono passate dai megafoni delle manifestazioni degli anni ’60 e ’70, dalle lavatrici e televisioni e radio ai primi computer e modem che usavano la linea telefonica, dalla paura per i reattori nucleari alle barre braille per non vedenti e poi i videoproiettori, i forni a microonde, i bancomat e le carte di credito, le smart card, i cercapersone e i cellulari, i lettori di compact disc e le webcam, Ivisit e Second Life… E in tutto questo percorso hanno continuato a leggere articoli di giornale in cui erano descritte sempre indietro rispetto a qualcuno: agli americani, ai russi, alle donne americane con le loro case tecnologiche, agli uomini che usano internet dieci ore al giorno, alle donne in carriera che senza tecnologia non saprebbero come organizzare baby sitter e cameriere, agli informatici della Silicon Valley e a quelli di Bangalore. Indagini e questionari le hanno sempre descritte in modi che rinforzavano immagini che venivano loro cucite (dipinte?) addosso e loro nel frattempo avevano troppo da fare per fermarsi e chiedersi se davvero si riconoscevano nella descrizione di se stesse che circolava in televisione, sui giornali, in Internet, negli occhi dei loro figli e dei loro colleghi smanettoni, e delle colleghe o amiche che avevano sposato la tecnologia e vivevano un amore più o meno ricambiato lasciandole sedute a far tappezzeria nel grande salone da ballo del progresso. 182 Con CIAO!Women abbiamo tentato di esplorare le immagini, le idee, le emozioni di donne come noi. Le tecnologie sono innovazioni scientifiche e tecniche, che hanno lo scopo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, ed è proprio in questo loro aspetto reale, concreto, quotidiano che ci piace pensarle. Abbiamo chiesto alle donne di raccontarci ricordi positivi e negativi, relativi alla loro infanzia o adolescenza, associati a una qualche tecnologia. Abbiamo chiesto alle donne di raccontarci come è mutata nel corso della loro vita l’idea che hanno delle tecnologia, in particolare dei computer e degli usi che se ne possono fare. Abbiamo chiesto se il loro modo di vivere è cambiato grazie alle tecnologie. Se il tempo, cioè l’organizzazione del quotidiano, lo spazio, cioè i luoghi dove si svolge la loro vita, gli incontri con altre persone, amiche e amici, conoscenti, colleghe e colleghi sono cambiati o potrebbero cambiare grazie alle tecnologie. E la percezione del proprio corpo e del corpo degli altri è cambiata in relazione all’uso delle tecnologie? Cosa le donne sentono estraneo e cosa sentono familiare quando leggono o ascoltano parlare di tecnologie? Cosa evoca in loro sensazioni positive e negative? Siamo partite dal presupposto che spesso l’immagine che i media e i ricercatori trasmettono quando parlano di donne e tecnologia è fuorviata da una lettura a priori, legata a un immaginario maschile che 183 identifica alcune caratteristiche dell’approccio femminile in modo aprioristicamente negativo. Nell’analisi di progetti in cui si parla di donne e tecnologie abbiamo incontrato molte affermazioni legate a questo immaginario. Ad esempio, in molti progetti che hanno condotto analisi simili alla nostra da punti di vista differenti le donne che partecipano ai corsi di alfabetizzazione all’uso del computer vengono descritte come “timorose, esitanti, hanno la necessità di seguire il manuale passo passo” e gli uomini ”coraggiosi, senza timore di rompere il computer, di fare danni”. Noi pensiamo che si potrebbero descrivere le stesse caratteristiche come: “le donne sono giustamente caute di fronte ad attrezzature che costano migliaia di euro e che, causa inesperienza, possono essere danneggiate abbastanza facilmente; inoltre si rendono presto conto del fatto che un apprendimento per prove ed errori porta via molto tempo, mentre un approccio almeno all’inizio sistematico garantisce una ottimizzazione dei tempi, quindi un apprendimento migliore sul medio e lungo periodo”. In fondo, l’approccio diverso che abbiamo applicato si può riassumere proprio in questo: darci la possibilità di raccontarci per come siamo, non in relazione a modelli precostituiti. Ed è proprio grazie a questo che possiamo far emergere un rapporto con le tecnologie per l’informazione e la comunicazione bello, positivo, soprattutto molto concreto, che le usa quando e se servono, che ne apprezza le possibilità innovative ma che può farne 184 tranquillamente a meno. Una visione non basata sull’ansia da prestazione, non ossessionata dallo sfoggio nell’uso competente, una modalità d’uso che lascia spazio a dubbi, perplessità, ascolto degli altri e richieste di sostegno quando se ne ha bisogno e magari anche quando non se ne ha “tecnicamente parlando” bisogno ma è comunque più piacevole socializzare l’uso del computer. È ora di cominciare a raccontare a noi stesse la nostra visione della tecnologia in modo diverso, per quello che sentiamo e viviamo e non per come pensiamo di doverci rappresentare. Le testimonianze raccolte potranno regalare questo ad altre donne: l’autorizzazione, che solo un rapporto fra pari può dare, a rileggere il proprio passato e il proprio presente in modo diverso, scorgendo nuovi e diversi significati in ciò che facciamo e in come siamo, liberi da strutture precostituite e da sguardi giudicanti, sempre e comunque. 185 186 Indice Origine del progetto: comunicare online .............................................. 7 Le interviste che hanno portato al progetto CIAO!Women............ 15 Donne e tecnologie ............................................................................. 25 Considerazioni generali .................................................................. 25 Scopi del progetto ........................................................................... 28 La mia ferramenta: le donne e i loro rapporti con le tecnologie informatiche........................................................................................ 30 Unione Europea e riflessione femminile: un rapporto difficile. ..... 30 La riflessione femminile tra Pari Opportunità e femminismo della differenza ........................................................................................ 32 Uguaglianza o differenza? .............................................................. 36 Il pensiero della differenza sessuale: l’esperienza italiana ............. 39 Dalla differenza di genere a pratiche formative e di ricerca in una prospettiva non neutra .................................................................... 41 Il bisogno di raccontarsi ................................................................. 45 L’intervista narrativa .......................................................................... 47 Alcune questioni metodologiche .................................................... 47 L’intervista narrativa e la sua realizzazione ................................... 53 Fasi dell’intervista narrativa ........................................................... 55 La ricerca e i suoi risultati .................................................................. 63 Gli otto nuclei tematici ................................................................... 68 Non senza una necessità ................................................................. 68 Un apprendimento sia teorico che pratico ...................................... 78 187 Verso una diversa economia di tempo e di vita.............................. 84 Mediazioni viventi .......................................................................... 88 La tecnologia: pericoli e fantasmi. ................................................. 95 Un diffuso senso di inadeguatezza ............................................... 104 Resistenza alla tecnica .................................................................. 109 L’inglese: una difficoltà oltre la difficoltà.................................... 114 Commenti e considerazioni finali: gli otto nuclei tematici........... 116 Analisi delle interviste italiane ......................................................... 121 Le interviste .................................................................................. 121 Gli otto nuclei tematici ................................................................. 131 Donne con disabilità e TIC ............................................................... 155 Accessibilità ed inclusione ........................................................... 155 Gli otto nuclei tematici ................................................................. 162 Commenti e considerazioni finali................................................. 177 In conclusione, risposte diverse ad un approccio diverso................. 181 188