Report integrale sulle interviste a 250 donne

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Report integrale sulle interviste a 250 donne
Babygirls - boomers e tecnologie
dell’informazione
Come le donne vivono le tecnologie informatiche
A cura di Rita Bencivenga
2
Provincia di Genova
Il progetto CIAO!Women (225348-CP-1-2005-IT-GRUNDTVIG-G1) ha ricevuto
il supporto finanziario dalla Commissione delle Comunità Europee:
Direzione Generale dell'Istruzione e della cultura - Programma Socrates Azione Grundtvig 1.
La presente pubblicazione rispecchia solamente il punto di vista dei
Partners e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per
qualsiasi utilizzo delle informazioni ivi contenute.
Nota: il contenuto di questo documento può essere riprodotto liberamente,
citando la fonte. Riferimento da citare: Tratto da: “Babygirls-boomers e
tecnologie dell’informazione. Come le donne vivono le tecnologie
informatiche “ A cura di Rita Bencivenga. Progetto CIAO!Women,
cofinanziato dal Programma Socrates dell’Unione Europea, Azione
Grundtvig 1. Pubblicazione della Provincia di Genova, 2007. Edizione
Fuori Commercio.
Questo documento e gli altri prodotti del progetto CIAO!Women possono
essere liberamente e gratuitamente scaricati dal sito web:
www.ciaowomen.org
Il logo di CIAO!Women è stato realizzato da Gabriella Ventaglio.
3
Direzione e coordinamento dei gruppi di ricerca
Studio Guglielma. Ricerca e creazione sociale
Direzione e coordinamento:
Università di Verona, Antonia De Vita
Ricerca e coordinamento:
Lara Corradi
Coordinamento generale della ricerca e dei gruppi di lavoro: Rita
Bencivenga
4
Il team di intervistatrici
Sei intervistatrici hanno intervistato 253 donne di età compresa fra i
35 e i 55 anni.
Senza il loro prezioso lavoro il report non esisterebbe.
Ecco i loro nomi:
Ivita Dambeniece, Riga, Lettonia
[email protected]
Marinela Festas, Èvora, Portogallo
[email protected]
Vicência Maio, Èvora, Portogallo
[email protected]
Birgitte Nielsen, Aabenraa, Danimarca
[email protected]
Lia Orzati, Genova, Italia
[email protected]
Virjinia Petkova-Tasheva, Sofia, Bulgaria
[email protected]
5
6
Origine del progetto: comunicare online
Rita Bencivenga
Il progetto Ciao!Women ha avuto origine da un Partenariato di
Apprendimento1 intitolato CIAO! - Communication via It for Adults
Online.2
Due incontri, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, hanno portato
all’ideazione del progetto CIAO!
Il primo incontro nell’Ottobre del 2000 con Derrick De Kerckhove3
che, durante una conferenza, ha suggerito al sindaco di Rimini di
installare alcuni schermi giganti nelle strade della città, di collegarli
con analoghi schermi in altre città del mondo, e di tenerli accesi 24 ore
al giorno, anche per mesi, per far sì che posti lontani potessero vivere
uno accanto all’altro e le persone potessero vedersi e interagire.
1
Un Partenariato d’apprendimento Grundtvig prevede attività di cooperazione tra organizzazioni
impegnate nel campo dell’educazione degli adulti.
2
Il Partenariato ha avuto una durata di tre anni, dal 2001 al 2004, ed è stato cofinanziato dal Programma
Socrates, azione Gruntvig 2 (Partenariati di apprendimento).
3
“La pelle della cultura” di Derrick De Kerckhove. Convegno “La bussola di Sindbad” Geografie umane
del dialogo: onorare la saggezza, arricchirsi con le diversità. XXVI edizione delle Giornate Internazionali
di studio Centro ricerche Pio Manzù - Rimini 28-30 ottobre 2000 www.piomanzu.com
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Il secondo, nel Novembre 2000 ad Amsterdam, ci ha fatto conoscere
gli esperimenti di Sugata Mitra4, che in India ha posizionato, senza
preavviso, alcuni chioschi multimediali collegati a Internet in zone
poverissime, popolate da bambini e adolescenti che non sanno né
leggere né scrivere, e ha dimostrato, videoregistrando quanto
succedeva nei primi giorni che, senza che ci fosse nessuna
interferenza da parte di “esperti” e senza alcun percorso di
apprendimento formale o non formale, i bambini scoprivano
rapidamente come navigare in Internet e memorizzavano percorsi di
navigazione utili a ritornare sui siti preferiti anche a prescindere dal
testo scritto.
Alcuni mesi dopo, nel gennaio 2001, si è svolto a Manchester, UK un
incontro organizzato dalla locale agenzia Socrates, cui hanno
partecipato enti e organizzazioni interessati a presentare progetti
nell’ambito dell’Azione Grundtvig 2, Partenariati di apprendimento.
Un gruppo di partecipanti inizialmente composto da cinque Partner5
ha trovato interessante l’idea di tentare di far comunicare persone che
4 “India, the Internet, and Non-Invasive Education” di Sugata Mitra. Convegno “Doors 6: Lightness” RAI
Convention Centre, Amsterdam, 11 – 13 Novembre 2000. www.doorsofperception.com. Nel 2006, Mitra
ha
pubblicato
il
seguente
Research
Report
(disponibile
in
Internet
alla
pagina
http://mitpress.mit.edu/journals/pdf/ITID0204_pp041-060.pdf ) DANGWAL, JHA, A Model of How
Children Acquire Computing Skills from Hole-in-the-Wall Computers in Public Places. © 2006 The
Massachusetts Institute of Technology Information Technologies and International Development. Volume
2, Number 4, Summer 2005, 41–60
5 Il primo anno il Partenariato era composto da: Associazione Alfabeti, Genova, Italia; Ridge Danyers
College, Hibbert Lane, Marple, Stockport, United Kingdom; Action for Blind People, Carlisle, United
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abitano in Paesi diversi, che non si conoscono, che non hanno
necessariamente un interesse verso l’uso di tecnologie per comunicare
o una anche minima conoscenza diretta di Internet e delle possibilità
che offre.
Incoraggiare l’educazione lungo l’arco della vita attraverso le nuove
tecnologie: è un tema attuale, di cui si sente parlare e si legge
quotidianamente. L’offerta formativa è vastissima, le possibilità
sembrano moltissime ma, a ben guardare, cosa sappiamo delle persone
adulte che, senza una conoscenza dell’uso del computer o di Internet,
dovranno o vorranno, per motivi lavorativi o legati ad interessi
personali, arrivare prima o poi ad usare degli strumenti tecnologici per
comunicare?
Chi si iscrive ai corsi di alfabetizzazione informatica o di
riqualificazione professionale ha già compiuto una parte di percorso:
sa (o pensa di sapere) cosa affronterà, ha idea degli usi che potrà fare
di ciò che apprenderà.
A noi invece interessava raggiungere coloro che non hanno
dimestichezza con l’uso di tecnologie, con un’attenzione particolare
alle donne, per poter scoprire che idea si sono fatti della possibilità, ad
Kingdom; Ikaalinen Adult Education Institute, Ikaalinen, Finland; Teachers Resource Center, Aarhus,
Denmark. Il secondo e terzo anno il Partenariato era composto da: Associazione Alfabeti, Genova, Italia;
Ridge Danyers College, Hibbert Lane, Marple, Stockport, United Kingdom; Teachers Resource Center,
Aabenraa, Denmark; Znanie Association, Sofia, Bulgaria, Future Capital Foundation, Riga, Latvia.
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esempio, di comunicare via Internet, scoprire i loro timori, dubbi,
aspettative non importa se realistici o no.
Per poter parlare con queste persone, difficilmente identificabili,
abbiamo deciso di portare delle postazioni multimediali in posti
frequentati dai cittadini per le finalità più diverse (acquisti, svago,
spesa quotidiana) e di collegare online i Paesi che partecipavano al
progetto, in modo da dare alle persone l’opportunità di interagire, di
scambiare due chiacchiere sul tempo o sugli acquisti fatti, in tutta
libertà.
Abbiamo deciso di privilegiare piccoli negozi, supermercati, bar,
centri ricreativi ecc., lasciando la scelta ai Partner del progetto ma
concentrandoci in ogni caso su posti di solito frequentati con
regolarità per ragioni legate alle attività della vita quotidiana.
Unico vincolo posto è stato quello che le sedi prescelte fossero
accessibili a persone disabili.
L’idea iniziale era quella di lasciare le persone libere di interagire e di
chiedere loro in un secondo momento di rispondere ad alcune
domande volte ad esplorare la loro percezione dell’uso di tecnologie.
Pensavamo che l’analisi delle interviste, unita all’osservazione di
quanto sarebbe successo durante i collegamenti, ci avrebbe permesso
di ottenere dati utili a identificare con quale terminologia, secondo
quali modalità, con quali scopi prioritari offrire dei corsi sulle
tecnologie e il loro uso.
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La ricerca dei locali in cui installare le postazioni ha portato a
identificare a Genova, Italia, un negozio che vende articoli per la casa
e la cucina, le cui proprietarie si sono interessate al progetto e l’hanno
visto anche come veicolo pubblicitario per il loro negozio, offrendo
quindi la massima disponibilità (tramite segnalazione dell’evento sul
sito web del negozio, invio all’indirizzario dei clienti di una lettera che
descriveva l’iniziativa, contatti con i giornali ecc.). In Finlandia,
l’associazione Partner del progetto situata in una cittadina abbastanza
piccola aveva nel frattempo identificato come punto di riferimento il
supermercato locale. In base agli orari e ai giorni di apertura dei due
negozi e al fuso orario diverso (un’ora in più in Finlandia rispetto
all’Italia) si è deciso un collegamento di sei ore al giorno, dalle ore
10.00 alle 16.00.
Ai fini della buona riuscita dei lavori abbiamo valutato importante che
fosse presente qualcuno per facilitare l’interazione fra le persone, in
grado di tradurre dall’italiano in inglese e viceversa, ma anche dal
finlandese all’italiano e viceversa, per coloro che non parlano inglese.
Grazie ad un contatto con il consolato Finlandese a Genova, avviato
per pubblicizzare il progetto e segnalarlo a persone Finlandesi
residenti a Genova, è stato possibile trovare una studentessa
finlandese, in Italia per motivi di studio e lavoro, che si è prestata ad
aiutare l’interazione fra i clienti dei due negozi.
Nei due mesi precedenti il collegamento abbiamo scambiato (via
Internet) foto dei rispettivi negozi che sono state usate per creare dei
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tabelloni che aiutassero a illustrare il progetto durante i giorni
dell’incontro online. Inoltre, tramite posta normale, sono stati
scambiati depliant e brochure turistici (Genova e la Liguria da un lato,
Ikaalinen e la Finlandia dall’altro) che sono stati anch’essi messi a
disposizione nei negozi.
Le prove tecniche sono durate circa tre ore, per il collegamento si è
deciso di utilizzare Messenger di Hotmail, aprendo due indirizzi email per i rispettivi negozi e utilizzandoli per il collegamento.
Nel frattempo sono state preparate le domande per le interviste, che
sarebbero state registrate: ci interessava infatti essere certi delle parole
utilizzate dalle persone in quanto avrebbero costituito un elemento
importante per l’organizzazione dei corsi sulle Tecnologie per
l’Informazione e la Comunicazione (TIC), permettendo di tenere
presente la terminologia familiare a chi non ha conoscenza nell’uso
dei computer o di Internet.
La tipologia dei due negozi ha fatto sì che la maggior parte delle
persone intervistate fossero donne e le interazioni sono state
numerose, anche se, in entrambi i Paesi, è stato necessario stimolare le
persone, in quanto spontaneamente erano restie a chiedere
informazioni o ad avvicinarsi ai computer.
Per quanto riguarda le interviste, invece, abbiamo riscontrato la
massima disponibilità.
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Una seconda settimana di collegamento si è svolta qualche mese dopo,
fra Genova e un piccolo supermercato in Danimarca che si trova a
Lindeballe, un piccolo centro ad un’ora di macchina da Aarhus..
Il negozio serve una comunità di circa cento famiglie, sparse nella
campagna circostante. La direttrice del negozio ha creato in un locale
adiacente al supermercato un punto di ristoro dove i clienti possono
sedersi a chiacchierare e a bere qualcosa in occasione delle visite al
negozio. Il locale è attrezzato con due postazioni Internet che i clienti
possono utilizzare gratuitamente.
Dal momento che l’afflusso al negozio danese era ovviamente molto
minore rispetto al supermercato finlandese, abbiamo deciso di
effettuare questa volta un collegamento di durata più breve (due ore al
giorno) ma focalizzato a delle attività di scambio informazioni.
Naturalmente, vista la tipologia di negozi e la clientela di entrambi, la
scelta è caduta sullo scambio di ricette e informazioni sulle rispettive
cucine locali.
A seguito di difficoltà con il collegamento video, durante la seconda
settimana abbiamo attivato solo i contatti via testo, cosa che ha
sorprendentemente avuto una ricaduta positiva, in quanto le persone si
sono sentite molto più libere di interagire e molto meno bloccate dalle
difficoltà legate all’uso della lingua inglese.
Grazie alla collaborazione con i partner danesi, che avevano una
persona presente al negozio ed un’altra negli uffici dell’Istituto e alla
sollecita preoccupazione del coordinatore inglese del progetto, che si
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collegava quotidianamente per avere informazioni, si sono creati
momenti di scambio molto divertenti per tutti. Le persone
chiacchieravano fra loro nei due negozi, le ricette venivano inviate
sotto forma di files via Messenger, con le webcam scattavamo
fotografie dei clienti che interagivano e inviavamo le loro foto durante
la conversazione, in modo che le persone vedessero con chi stavano
parlando, contemporaneamente il partner Danese, in ufficio,
aggiornava in tempo reale le pagine del sito web, inserendo le ricette,
le foto, le schermate con le conversazioni.
Il coordinatore inglese, che si collegava dal suo ufficio tutti i giorni
per avere informazioni sui problemi tecnici, ha deciso che, dal
momento che era in corso uno scambio di ricette, tanto valeva metterle
a disposizione anche dei colleghi, così le stampava e appendeva nella
bacheca dell’Istituto...
Quando un ingrediente era poco noto, facevamo una ricerca in Internet
per trovare delle foto e inviarle, quanto il nome di un attrezzo di
cucina era intraducibile scattavamo una foto e la mandavamo in rete.
Alla fine della settimana, avevamo raccolto altre interviste, cucinato
piatti nuovi, visto le foto delle persone con cui avevamo chiacchierato,
promesso chiarimenti e altre ricette per le settimane successive.
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Le interviste che hanno portato al progetto CIAO!Women
Abbiamo deciso di porre poche domande e di lasciare parlare
liberamente le persone, registrando quando dicevano e trascrivendolo
fedelmente.
Ci interessava la terminologia usata da chi non ha confidenza con il
web e volevamo che le persone fossero libere di esprimere
liberamente aspettative, dubbi, preoccupazioni.
Domande
1) Usa Internet?
Se NO:
1b) Cosa pensa si possa fare con Internet?
2b) Che cosa le interesserebbe fare con Internet?
3b) (In base a ciò che sa) c’e’ qualcosa che teme, che la lascia
perplesso/a o non le piace o trova poco interessante?
4b) Intravede delle difficoltà, se incominciasse ad utilizzare Internet?
Quali?
Se SI:
1a) Per cosa lo trova utile e/o interessante?
2a) C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in Internet?
3a) Ha incontrato delle difficoltà iniziali nell’utilizzo di Internet?
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4a) C’è qualcosa che le piacerebbe fare con Internet e che ancora non
fa - perché non è capace o non sa se sia possibile?
Con alcune persone, al termine dell’intervista, è stato possibile avviare
una conversazione a proposito delle possibilità offerte da Internet,
mostrare loro alcuni siti legati a temi che trovavano interessanti (in
genere musei, siti di cucina e di viaggio). Durante le due settimane
sono state raccolte 51 interviste:
Donne Uomini Totali
39
12
Età
26/85
28/66
Usano Internet
26
10
36
2
15
Non usano Internet 13
51
Analisi delle interviste di CIAO! 6
In totale, quindi, cinquantuno interviste: 15 persone (di cui 13 donne)
hanno dichiarato di non saper usare Internet e 36 (10 uomini e 26
donne) di saperlo usare anche se quasi tutte le donne chiariscono che
sono agli inizi o lo usano poco.
6
Chi fosse interessato a leggere i report integrali del progetto CIAO! Li potrà scaricare dai link presenti
sulla home page del sito www.studiotaf.it
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Il fatto di avere molte interviste realizzate con donne è stato positivo,
ai fini di quanto ci interessava indagare. É noto come in generale le
donne che usano Internet siano in numero inferiore agli uomini e
come, di conseguenza, molti siti e molti servizi prevedano un target in
prevalenza maschile.
Chi non usa internet
Donne
Le 13 donne che dichiarano di non usare Internet segnalano, fra ciò
che pensano si possa fare con Internet, le cose più svariate,
esprimendo spesso l’idea di utilità del mezzo e l’enorme vastità di
argomenti e servizi disponibili. Quanto indicato nella prima risposta
viene in genere rispecchiato nella seconda, in cui viene chiesto di
specificare cosa interesserebbe loro in modo particolare: fra i temi
indicati, arte, medicina e salute, medicina olistica, ricerca di
informazioni, gestioni di conti correnti bancari online, “conoscere
parti del mondo lontane, parlare con persone che vivono in maniera
diversa dalla mia”, “prima di tutto chattare con i miei parenti che sono
lontani, all’estero”.
Poi “andare sui giornali del mio paese”, “prendere le informazioni che
mi interessano”, informazioni sui viaggi. Una sola intervistata esprime
un parere negativo, “ritengo di avere già abbastanza cose che mi
creano problemi, non mi sembra il caso di aggiungerne un’altra” ma la
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persona segnala nelle altre risposte di non essere un’amante della
tecnologia, ma piuttosto una “fautrice della manualità” e segnala che
comunque non pensa che incontrerebbe difficoltà nell’apprendere
l’uso di Internet e delle tecnologie collegate.
Tra i timori e le perplessità vengono segnalate la solitudine, legata
anche al telelavoro visto come mancanza di contatti con i colleghi, o,
al contrario, “Che invada la famiglia e tolga tempo da dedicare alla
famiglia”, anche se altre voci, forse più realisticamente, indicano
come pericoloso l’uso eccessivo, non l’uso in sé. I temi della privacy
vengono affrontati: “non mi preoccupa che sappiano che sto visitando
quel particolare sito” o, al contrario, “Ho paura per la privacy, ho
proprio l’ossessione di essere controllata” oppure “Invade troppo la
vita privata: c’è troppa conoscenza di tutto e di tutti, uno si sente
osservato”. Una sola intervistata esprime dubbi circa l’uso della carta
di credito, due preoccupazioni per i rischi che possono correre i
bambini e una esprime perplessità in merito ai siti pornografici. In
merito alle difficoltà che si potrebbero incontrare nell’apprendere
l’uso di Internet, cinque donne citano difficoltà nei confronti degli
aspetti tecnici oppure cognitivi, alcune parlano di pigrizia, più che di
difficoltà oggettive, sei hanno idee positive a riguardo.
Una sola donna cita difficoltà nella matematica e nel calcolo, cosa che
pensa potrebbe ostacolarla.
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Uomini
I due uomini che dichiarano di non saper usare Internet fanno
riferimento entrambi all’interesse che potrebbe rivestire per il loro
lavoro e uno cita la possibilità di chattare.
Non segnalano timori o preoccupazioni ed entrambi hanno aspettative
positive riguardo ad apprendere l’uso.
Chi usa Internet
Donne
Ventisei donne dichiarano di saper usare Internet, ma la maggioranza
specifica di avere competenze limitate.
La prima domanda era “Per cosa lo trova utile e/o interessante?” Una
risposta riassume le altre: “Tutto: documentarsi, leggere, informarsi,
lavorare, comunicare, capire, qualsiasi cosa…” In effetti, a fronte di
dichiarazioni iniziali di una scarsa competenza, la gamma di attività
che viene indicata è molto ampia, con punte su argomenti quali l’arte,
i viaggi, o, naturalmente, l’uso per motivi di lavoro. La seconda
domanda (C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in
Internet?) era, come le altre, volutamente generica e in nessun modo
sono stati dati suggerimenti alle persone o è stata attirata la loro
attenzione su temi specifici. “Lo uso solo per lavoro, perché non ho
tempo, cerco di andarci il meno possibile. Non mi interessa
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assolutamente stare dietro al computer, non sono una che si perde a
navigare, cerco quello che mi serve e basta” oppure “Internet non mi
piace e non lo uso per scelta: lo trovo freddo, non dà nessun tipo di
rapporto umano, trovo che non sia comunicativo. La comunicazione
via e-mail è fredda, essenziale, non è più lo scritto”, sono due esempi
di commenti negativi, ma costituiscono la netta minoranza.
Per il resto, solo una intervistata cita problemi legati alla privacy
(essere “visti” quando si entra nei siti), due segnalano timori legati a
problemi tecnici, cinque affrontano il tema pedofilia/pornografia, e tre
parlano esplicitamente di fastidio nei confronti di immagini di donne
nude o quasi che si incontrano un po’ in tutti i siti.
Due donne segnalano il fastidio di trovarsi in siti che cambiano spesso
immagine, o in cui si ha la sensazione di essere mandati da un link
all’altro, con finestre che si aprono automaticamente.
La terza domanda era relativa alle difficoltà iniziali incontrate nell’uso
di Internet. 13 intervistate hanno segnalato di non aver avuto o di aver
avuto pochi problemi e di non avere quasi incontrato difficoltà.
Ovviamente andrebbe approfondito con queste persone il tipo di uso
che fanno in modo da comprendere meglio se si tratta di un’effettiva
facilità oppure di un uso limitato delle possibilità offerte da Internet.
Poche donne citano programmi o aspetti specifici, la maggior parte fa
riferimenti ai sistemi di posta elettronica e ai motori di ricerca.
Le difficoltà nelle ricerche, in particolare nell’utilizzo dei motori di
ricerca, sono quelle più segnalate.
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Esempio “Un po’ sì: mi ha creato difficoltà il fatto che venga dato
questo spettro amplissimo di possibilità, per cui uno deve ridurre, e
poi ridurre ancora. Se fosse possibile avere due o tre coordinate più
specifiche immediatamente e non dover fare sette o otto passaggi per
arrivare proprio a quello che si cerca. Se fossero un po’ più semplici
nella selezione sarebbe molto meglio, perché si perde molto tempo.“
Paradossalmente, donne che hanno dichiarato di essere agli inizi e di
avere poca competenza, danno poi descrizioni abbastanza complesse
delle difficoltà che incontrano nel fare ricerche.
Alcune affermazioni meriterebbero un approfondimento perché
potrebbero essere utili nel diffondere una comunicazione più realistica
in merito a Internet “mi spaventa tutto ciò che è tecnologico, anche se
mi rendo conto che è estremamente utile. Io sono più creativa che
tecnologica, quindi preferisco non sviluppare troppo [questo aspetto]”.
La quarta domanda “C’è qualcosa che le piacerebbe fare con Internet e
che ancora non fa - perché non è capace o non sa se sia possibile?”
avrebbe potuto dare spazio a proposte creative, a idee magari originali.
Due intervistate citano l’interesse a imparare a realizzare un sito,
un’altra cita il software Acrobat Reader, le altre segnalano di non
avere interessi particolari, anche se molte pensano che ciò sia dovuto a
una scarsa conoscenza del mezzo.
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Uomini
Alla prima domanda (Lei usa Internet?) le risposte sono in genere più
concise rispetto a quelle date dalle intervistate. Fra gli usi citati,
prevalgono l’uso di posta elettronica e i file musicali, oltre
naturalmente all’uso prettamente lavorativo.
Alla seconda (C’è qualcosa che non le piace o che non le interessa in
Internet?) un solo intervistato cita i siti pornografici, due le difficoltà
d’uso dei motori di ricerca, una sola persona fa una critica a un certo
tipo di utilizzo “Non mi piace la gente che finalizza il tempo libero
all’uso di Internet o del computer in generale”.
Un aspetto che differenzia notevolmente le risposte maschili da quelle
femminili è il fatto che gli uomini citano, usando una terminologia
corretta, problemi più tecnici “cookies”, “spamming”, “trading
online”, “firme elettroniche standard”, “firewall”. Va ricordato il fatto
che molte donne intervistate dichiaravano di essere agli inizi nell’uso
di Internet, quindi certamente sono meno a conoscenza di aspetti più
sofisticati, certamente, però, quando gli stessi problemi vengono citati,
la terminologia per descriverli è diversa.
Solo una persona cita difficoltà nell’apprendimento dell’uso di
Internet, in risposta alla terza domanda.
La quarta domanda, ricordiamo, era “C’è qualcosa che le piacerebbe
fare con Internet e che ancora non fa perché non è capace o non sa se
sia possibile?” A questa domanda la maggior parte degli intervistati ha
collegato la risposta ad un uso lavorativo, creare siti per presentare la
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propria attività, risparmiare viaggi di lavoro, lavorare da casa. In
genere si avverte una generale fiducia circa il fatto che, anche se non
si conosce qualcosa, nel momento in cui si dovesse decidere di
apprenderlo, non ci sarebbero problemi.
Conclusioni
Nel condurre le interviste volevamo evitare di creare delle gabbie che
costringessero le persone a dare risposte limitate. Non sapevamo quali
nostri eventuali preconcetti avrebbero potuto filtrare nelle domande.
Il numero ridotto di interviste non ha offerto grandi possibilità di
analisi, ma ci ha offerto alcuni spunti di riflessione.
-
Innanzitutto
sarebbe
importante
condurre
delle
ricerche
approfondite, con strumenti e risorse adeguati, al fine di indagare sulla
percezione che hanno di Internet gli adulti che non hanno particolari
conoscenze nel settore. Una certa uniformità nelle risposte, specie da
parte di chi non conosce Internet, ci ha fatto desiderare di poter
analizzare più in dettaglio certe affermazioni, mutuate apparentemente
da informazioni che circolano sui mass-media, inevitabilmente
generiche e confuse, sia in senso positivo che in senso negativo.
L’impatto che i mass-media possono avere nel promuovere un uso
realistico e consapevole di Internet è notevole. Sarebbe auspicabile
arrivare a definire delle “buone prassi” sensibili ai discorsi di genere.
- La sensazione generale che affiora nella lettura delle interviste è
quella di un approccio positivo, di grande interesse e disponibilità nei
23
confronti di Internet. Anche la sensazione di facilità nell’uso sembra
essere diffusa: ma potremmo chiederci se si tratta di una facilità reale
legata a una effettiva usabilità o non, piuttosto, ad un uso generico,
che, vista l’abbondanza dell’offerta, “si accontenta” rinunciando ad
affrontare alcune difficoltà che si incontrano in un uso più
approfondito o specifico.
All’inizio del nostro percorso ci eravamo domandati: nell’ottica di
elaborare proposte formative, siamo certi di conoscere le esigenze e
gli interessi di adulti ancora lontani dal mondo di Internet?
Siamo certi che useremo una terminologia, che ci focalizzeremo su
modalità organizzative o di contenuto comprensibili, interessanti, in
grado di “agganciare” i futuri corsisti?
Dopo aver analizzato le interviste (nel corso del secondo anno del
Partenariato CIAO!), abbiamo ritenuto opportuno proseguire sulla
nostra strada continuando a parlare con le persone e chiedendo loro di
raccontarci le loro sensazioni, paure, timori. Nuovamente, il materiale
raccolto ci ha offerto lo spunto per riflessioni interessanti, ed ha
arricchito le nostre attività professionali e il nostro rapporto personale
con il computer.
Gli spunti e le idee raccolti nel corso dei tre anni di lavoro ci hanno
stimolato ad ipotizzare un progetto di più ampio respiro, che abbiamo
deciso di intitolare CIAO!Women, in quanto rivolto interamente alla
percezione che le donne hanno delle tecnologie informatiche.
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Donne e tecnologie
Rita Bencivenga
Il progetto CIAO! WOMEN è volto ad indagare i bisogni educativi
specifici di donne adulte in relazione alle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione (TIC).
É necessario ideare approcci innovativi capaci di rispondere al
bisogno crescente di facilitare l’accesso di donne che lavorano o che
sono fuori dal mercato del lavoro (per scelta personale o per motivi
familiari) a percorsi educativi:
•
tagliati su misura dei loro desideri specifici;
•
rispondano ai loro bisogni;
•
non necessariamente siano mirati ad un uso lavorativo.
D’altra parte, la rivoluzione informatica non può mantenere o
peggiorare le disuguaglianze di genere, nè le disuguaglianze esistenti
possono permanere alla base di presunte abilità differenti di donne e
uomini nei confronti della tecnologia.
Considerazioni generali
Le numerose ricerche sulla relazione fra donne e tecnologie condotte
nell’ultima decade in numerosi paesi europei ed extraeuropei hanno
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dimostrato il bisogno di smantellare lo stereotipo infondato di una
distanza fra le donne e la tecnologia.
Però se consultiamo, per fare solo un esempio, il Glossary Of Adult
Learning In Europe, a cura dell’European Association for the
Education of Adults (EAEA), e dell’UNESCO Institute for Education
(UIE), Hamburg, 1999, con il supporto della Commissione Europea,
Programma Socrates Programme, troviamo che esso non contiene
termini come "gender", "donne", "discriminazione di genere".
Sfortunatamente la nostra esperienza ci dice come ciò non sia dovuto
al fatto che non vi sono aspetti specifici da considerare in relazione al
tema donne e apprendimento, ma alla mancanza di consapevolezza di
queste specificità, mancanza che spesso si traduce in conseguenze
negative per le donne.
Non prendere in considerazione un problema non significa che tale
problema non esista.
Inoltre concetti come “computer indossabili”, “artefatti nella cocostruzione di identità”, “penetrazione della tecnologia informatica
negli oggetti della vita quotidiana”, “identità multiple e differenziate”,
ecc. sono tutti temi di attualità per i cosiddetti “esperti”, ma sono
ancora lontani dai classici schemi educativi per adulti, donne in
particolare.
Infine, mentre poche applicazioni tecnologiche sono disegnate
tenendo conto di specificità di genere, le TIC possono indirettamente
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avere effetti profondi sui ruoli di genere, l’uguaglianza di genere e
l’empowerment delle donne.
Tenendo presente tutto ciò, ci siamo poste le seguenti domande:
•
nella realizzazione di percorsi formativi, siano essi
formali o no formali, per un target femminile, siamo in
grado di capire i bisogni e gli interessi di chi è ancora
lontano dal mondo della tecnologia informatica?
•
Sappiamo usare una terminologia che abbia un senso
alle orecchie dei destinatari?
•
Corriamo il rischio di presentare i corsi e le attività
formative in modi che siano appropriati solo per coloro
che hanno confidenza con il mondo dell’informatica ma
escludono coloro che non hanno questa familiarità e che
non hanno neanche quelle conoscenze generiche comuni a
tutti coloro che sono nati in un’epoca in cui i computer
erano già parte della quotidianità?
o E, soprattutto, c’è il rischio che gli stereotipi sulle
relazione fra donne e tecnologie possano influenzare
coloro che programmano attività educative?
Abbiamo pertanto ritenuto importante fare ricerche più approfondite,
usando strumenti appropriati, per investigare come donne adulte che
non abbiamo conoscenze specifiche del “mondo delle TIC” lo
percepiscono. Volevamo raggiungere che non hanno competenze
specifiche per comprendere la loro idea delle TIC e poter di
27
conseguenza parlare un linguaggio che fosse in grado di stimolare il
loro interesse. Non crediamo che il tipico corso di alfabetizzazione
informatica sia in grado di suscitare questo interesse, m crediamo che
sia possible basare i percorsi formativi su metodi e contenuti che
promuovano una transizione dall’alfabetizzazione informatica alla
comprensione di ciò che i computer e il loro uso rappresenteeranno
nella vita di tutti i giorni nel giro di poco tempo.
Una porta di accesso a questa soluzione ci sembra essere il fatto che è
stato dimostrato come la computerfobia di molte donne fosse
inizialmente legata alla mancanza di prodotti (hardware o software)
che potessero interessare le donne in modo particolare. Cherry Turkle,
docente di sociologia al MIT a Boston nel suol libro “La vita sullo
schermo: Identità nell’era di Internet” è stata fra le prime a descrivere
come le donne hanno iniziato ad avvicinarsi alle TIC quando hanno
smesso di vedere il computer come uno stumento di programmazione
e hanno iniziato a vederlo come un sistema capace di facilitare la
comunicazione.
Scopi del progetto
CIAO!Women si inserisce in un percorso suggerito dal successo di
pratiche sviluppate da donne nel settore dell’educazione degli adulti e
sull’attivazione di processi di empowerment.
28
Un salto di qualità è necessario al fine di ottenere la qualità e le
opportunità idonee a donne adulte per diminuire il gender digital
divide.
Il progetto ha tre scopi principali:
1) Sviluppare dei percorsi che facilitino la creazione di corsi che
tengano conto di un’ottica di genere,
2) Contribuire a cambiare l’immagine delle donne adulte in
relazione alle TIC agli occhi dei media, aiutandoli a superare
un punto di vista obsoleto che, a giudicare dale interviste
realizzate nel partenariato di apprendimento CIAO! (vedi
capitolo precedente) non corrisponde alla realtà;
3) introdurre un approccio più avanzato alla formazione
permanente nel campo delle tecnologie che faccia fare un salto
di qualità rispetto ai corsi tradizionali ormai obsolete.
Nei capitoli che seguono viene descritto il percorso di ricerca ed i suoi
risultati: abbiamo identificato otto punti chiave da tenere presenti nella
rflessione sui futuri percorsi formativi.
29
La mia ferramenta: le donne e i loro rapporti con
le tecnologie informatiche
Lara Corradi, Antonia De Vita
Unione Europea e riflessione femminile: un rapporto difficile.
L’Unione Europea ha ribadito più volte la necessità e
l’opportunità di affrontare il tema delle pari opportunità e,
aggiungiamo noi, della differenza di genere. Basta far riferimento al
protocollo di Maastricht per vedere con quale enfasi la questione
venga posta: infatti, da un lato si continuano a sostenere, anche
attraverso azioni innovative rispetto al passato, le azioni positive e le
misure di promozione della presenza femminile nell’istruzione e nel
mercato del lavoro; dall’altro, si incentiva l’assunzione dell’approccio
di mainstreaming in tutte le politiche attraverso l’integrazione
sistematica della prospettiva di genere in ciascun asse d’intervento del
Quadro Comunitario di Sostegno e dei singoli Programmi Operativi.
Ma
cosa
significa,
in
pratica,
tenere
conto
delle
raccomandazioni dell’UE in relazione alle tematiche di genere e alla
promozione
delle
Pari
Opportunità?
Quali
criteri
seguire
nell’organizzare attività di progettazione, ricerca, valutazione, nello
stilare questionari e nel realizzare analisi di bisogni per valorizzare gli
aspetti legati al genere? Come conciliare le esigenze e le peculiarità di
30
tutti, donne e uomini, nelle varie attività che fanno parte di progetti di
ricerca nel vasto campo della formazione e dell’educazione adulta?
Al fine di farsi carico di questi quesiti e nel tentativo di
individuare un percorso in grado di tenere aperta la questione senza
schiacciarla in soluzioni veloci e semplicistiche che risulterebbero
necessariamente riduttive e inefficaci, riteniamo sia importante trovare
il modo di incrociare il sapere guadagnato dalla riflessione delle donne
in questi ultimi due secoli in termini di uso del linguaggio, pratiche, e
modelli di educazione adulta e di formazione, e le direttive europee
sopra citate. Tale incontro appare nella sua assoluta necessità e
importanza soprattutto se si pensa ai cambiamenti che l’ingresso
massiccio delle donne ha comportato nel mondo del lavoro, dove si
parla di femminilizzazione del lavoro e dove la forte presenza di
imprese sociali, soprattutto a governo femminile, ha aperto nuovi
scenari di cui non è più possibile non tenere conto.
Il taglio epistemologico con cui abbiamo affrontato questo
progetto ha posto dunque al centro, come base e punto di partenza, la
categoria della differenza sessuale come paradigma non neutro nella
creazione del pensiero, del discorso, dell’agire in educazione e nella
formazione. Il pensiero della differenza sessuale ha mostrato in
termini di riflessione teorica e di ripensamento di azioni e proposte la
necessità di non neutralizzare la differenza femminile e maschile in un
orizzonte emancipazionista, di parità tra uomini e donne che identifica
31
e schiaccia la libera espressione della differenza sessuale sulla
discriminazione tra uomini e donne e sulla rivendicazione dei diritti.
Indagando i meccanismi apparentemente neutri che stanno alla
base dei dispositivi discorsivi della pedagogia e delle pratiche
educative, riteniamo sia possibile far dialogare e interagire tra loro due
mondi che altrimenti seguirebbero binari paralleli che difficilmente si
incontrano. Ci interessa far dialogare i linguaggi e le pratiche politiche
e sociali elaborate dalle donne negli ultimi trent’anni con i linguaggi e
le pratiche istituzionali legati all’UE che hanno fortemente orientato e
influenzato le politiche dirette alle donne. Ci auguriamo così di poter
ottenere il risultato per noi forse più significativo: riuscire ad
incrociare e far dialogare tra loro le buone prassi individuate da
entrambi questi importantissimi attori sociali, per rendere più efficaci
gli interventi futuri, relativamente alla ricerca, alla progettazione, alla
formazione e all’educazione con e per donne con effetti positivi validi
per orientare la formazione rivolta a donne e a uomini.
La riflessione femminile tra Pari Opportunità e femminismo della
differenza
32
Il femminismo7 vede la sua prima vera formulazione con la
pubblicazione nel 1792 a Londra del libro Vindication of Right of
Woman, scritto da Mary Wollstonecraft. Bisogna far riferimento al
quadro culturale e teorico illuminista per comprendere il contesto
entro cui questo testo nasce; infatti, l’autrice colloca le istanze di
liberazione, parità sociale e politica delle donne nel più generale
contesto del programma illuminista dei Diritti dell’Uomo. Scriveva la
Wollstonecraft: “è ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere
delle donne – è ora di restituir loro la loro dignità perduta – e di far sì
che esse, come parte della specie umana, operino, riformando se
stesse, per riformare il mondo”8. Da questa citazione appare evidente
che ciò che viene rivendicato dalla Wollstonecraft è la possibilità per
le donne di avere un ruolo attivo nel cambiamento della loro esistenza,
un ruolo centrale nel migliorare una condizione socioculturale in cui
non solo le donne non godevano di pari diritti e dignità rispetto agli
uomini, ma erano anche, in nome della loro “naturale” inferiorità,
escluse completamente dalla dimensione pubblica del sapere e del
7 L’uso del termine femminismo in questo contesto e con questa accezione va contestualizzato. Questo
termine compare per la prima volta solo nel 1895 e quindi parlarne per un testo di fine Settecento risulta
anacronistico. Tuttavia questa scelta si giustifica volendo riunire in un unico termine fasi storiche
differenti, così come posizioni differenti e molteplici che negli ultimi decenni del Novecento sono
risultate spesso in conflitto. L’impiego del termine indica dunque quel movimento di pensiero che si è
sviluppato a partire da questo testo, facendosi carico della differenza sessuale come categoria ontologica
dell’essere umano, ma che si è poi declinato in maniera differente a seconda dei Paesi e delle condizioni
storico-culturali in cui si è sviluppato.
8 Mary Wollstonecraft, I diritti delle donne, Penguin, London 1992, p. 133.
33
potere che veniva invece riservata agli uomini, e relegate senza alcuna
possibilità di scelta nella dimensione privata della cura e degli affetti,
in cui la loro educazione e intelligenza non aveva alcun peso e quindi
veniva trascurata. Partendo dalla semplice constatazione che
“appartenere al sesso femminile, nascer donne piuttosto che uomini,
significa trovarsi al mondo in una posizione di inferiorità, oppressione
e svantaggio”9, la Wollstonecraft rivolge una critica molto dura e
profonda alla vis,ione patriarcale della società a lei contemporanea,
rea di giustificare e perpetrare una costruzione socioculturale che si
basava e aveva il suo fondamento nella superiorità maschile e nella
conseguente inferiorità femminile. In altre parole, ciò che l’autrice
londinese criticava era la visione sessista del mondo, secondo cui “la
differenza sessuale funziona come principio di discriminazione fra un
sesso dominante e un sesso dominato”10, secondo cui il fatto stesso
che il genere umano sia fatto di uomini e di donne giustifica di per sè
il ruolo di dominio del sesso maschile a scapito di quello femminile,
ritenuto inferiore e debole.
Tuttavia, sarebbe un errore ritenere che il sessismo criticato
dalla Wollstonecraft alla fine del Settecento fosse una caratteristica
storica esclusiva di quel periodo: infatti, come sostenuto da molte
femministe contemporanee, “esso ha la stessa estensione della
9
Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teorico, in F. Restaino, A. Cavarero, le
filosofie femministe, Paravia, Torino 1999, p. 111.
10
Adriana Cavarero, idem, p. 113.
34
tradizione occidentale e tende a coincidervi. Anzi, è addirittura uno
dei fondamenti di questa tradizione: nel senso che, sin dalla sua
origine greca, la supremazia dell’uomo sulla donna viene praticata e
teorizzata come un principio naturale e, pertanto, giusto”11. Per tale
motivo, la critica femminista e femminile all’ordine patriarcale e
sessista nel corso degli ultimi due secoli continua e affronta di volta in
volta ambiti diversi: si va dalla pedagogia alla filosofia, dalla
psicologia al diritto, etc. Ciò nonostante, “l’uomo è, per la maggior
parte dei filosofi, il termine di confronto, il metro di misura, il criterio
di identità dell’essere umano, mentre la donna è caratterizzata
solamente in negativo, come ciò che si discosta da questo ideale”12.
Il movimento femminista degli inizi, ha dovuto concentrare le
sue forze nella lotta per il miglioramento delle condizioni di schiavitù
in cui molte donne di quei periodi storici erano costrette a vivere; ciò
“ha ‘costretto’ gran parte del femminismo ‘storico’ fra Ottocento e
Novecento, il quale ha trovato espressione esplicita soprattutto nella
lunga fase delle lotte per il suffragio femminile, a collocarsi entro la
‘gabbia’ moderna della battaglia per l’uguaglianza dei diritti, a partire
dal diritto di voto: tale femminismo si è proposto di far leva sui
principi egualitari di matrice illuminista tipici delle democrazie
moderne e di rivendicare il voto sulla base dell’uguaglianza delle
11
Adriana Cavarero, idem, p. 113.
12 Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 35.
35
donne con gli uomini”13. Un’uguaglianza ipotetica e velleitaria che,
sebbene avesse avuto una sua importanza e un suo valore nel preciso
momento storico in cui era stata formulata e avesse portato a
innegabili e importanti cambiamenti nell’esistenza di molte donne tra
Ottocento e Novecento, con la Prima e soprattutto la Seconda Guerra
Mondiale risulta agli occhi di molte riduttiva, non significativa, e
comunque non sufficiente.
Uguaglianza o differenza?
È per prima Virginia Woolf a mettere in parola e a parlare
esplicitamente non più della necessità di riconoscere l’uguaglianza
delle donne rispetto agli uomini, ma di riconoscere che esiste una
differenza
femminile
che
è
semplicemente
diversa,
non
necessariamente inferiore: “forse non si tratta né di un pensiero né di
un emozione, ma di qualcosa di più profondo, di più fondamentale. Di
una differenza, forse. E diversi lo siamo, come hanno dimostrato i
fatti, per sesso ed educazione. È da quella differenza, ancora una
volta, che può venirvi l’aiuto, se aiutarvi possiamo, per difendere la
libertà, per prevenire la guerra”14. Una differenza dalla quale ripartire
per trovare un nuovo modo di stare al mondo, un modo che non si
fondi più sulla sopraffazione di un sesso sull’altro, ma che sia capace
13 Wanda Tommasi, idem, p. 15.
14
Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1984, p. 141.
36
di farsi guidare dal difficile equilibrio tra queste due differenti
espressioni dell’umanità: differenza femminile e differenza maschile.
Simone De Beauvoir, un’altra esponente molto significativa
del primo femminismo, sviluppa la sua riflessione collocandosi sul
versante del femminismo paritario in quanto sostiene che non esiste
una differenza femminile da valorizzare, ma l’essere donna non è altro
che una costruzione socioculturale che in quanto tale va modificata:
“donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico,
economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la
femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare
quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo
donna”15. È una costruzione che è estremamente difficile da
modificare perché le donne stesse sono complici di questa visione che
le pone in una posizione secondaria, inferiore: “quando l’uomo
considera la donna come l’Altro, trova dunque in lei una complicità
profonda. Così la donna non rivendica se stessa in quanto soggetto
perché non ne ha i mezzi concreti, perché esperimenta il necessario
legame con l’uomo senza porne la reciprocità, e perché spesso si
compiace nella parte dell’Altro”16.
Parliamo di femminismo della differenza riferendoci in
particolare a quell’esperienza, soprattutto italiana, francese, spagnola e
sudamericana, che in polemica con il più classico femminismo
15
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, vol. II, p. 15.
16
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, vol. I, p. 20.
37
paritario di tradizione nordeuropea e americana, non legge la
differenza femminile esclusivamente come discriminazione sessuale,
come un difetto da colmare, ma come una potenzialità, come una
diversità costitutiva che proprio nel suo essere diversa/differente
costituisce una risorsa possibile.
Il paradigma della differenza sessuale deve la sua origine ad un
gruppo di psicanaliste che, criticando l’impianto psicoanalitico
tradizionale, in particolare quello freudiano, constatarono che nel
corpus della tradizione vi era un vuoto, un vuoto di elaborazione e
rappresentazione del significato profondo dell’essere donna. A partire
da questa iniziale constatazione, questo gruppo di donne si spinse oltre
nella riflessione arrivando alla conclusione – che poi costituirà anche
il punto di partenza per gran parte della riflessione femminile
successiva – che fosse necessario individuare un nuovo ordine
simbolico di matrice femminile. Tali idee si diffusero in gran parte
dell’Europa e Sud America, e iniziarono a circolare amplificate e
modificate: “negli anni settanta, comunque, il paradigma della
differenza sessuale viene messo a punto in Francia, da Politique et
Psychanalyse, in Italia da alcune femministe raccolte intorno a Carla
Lonzi e al gruppo di ‘Rivolta femminile’: in seguito, l’eredità di tali
gruppi è stata raccolta, in Francia, da Luce Irigaray, Julia Kristeva e
Helene Cixous, e, in Italia, da Lia Cigarini e dalla Libreria delle donne
di Milano e da Luisa Muraro e dalla comunità filosofica femminile
38
‘Diotima’. Il pensiero della differenza femminile ha inoltre avuto
risonanza in Germania, in Spagna e in America latina”17.
Il pensiero della differenza sessuale: l’esperienza italiana
Il femminismo della differenza parte dalla presa d’atto
dell’innegabile differenza tra uomini e donne: differenza che è
analizzata e affrontata nella sua interezza, non essendo possibile per
queste pensatrici ridurla né a semplice dato biologico e tanto meno a
semplice costruzione sociale come il pensiero del ‘gender’ tende a
fare18. A partire da questa differenza iniziale e costitutiva, il
femminismo della differenza si interroga sulla possibilità che questa
caratteristica ontologica possa costituire una potenzialità per entrambi
i sessi che costituiscono il genere umano, donne e uomini. È una
differenza, un essere diverse quella di cui si parla nel femminismo
della differenza, che pone le donne fuori/a lato di quella competizione
per omologarsi al modello maschile e primeggiare, per dimostrare di
17
Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 27.
18
Inoltre, ritengo sia importante non considerare la differenza femminile solo come un dato
biologico, ma nemmeno semplicemente una costruzione sociale: “può essere utile la distinzione
fra condizione e differenza femminile: intendo come condizione femminile la storicità della
posizione della donna entro una determinata società […], mentre affermo, con il concetto di
differenza femminile, il senso libero della differenza sessuale. È chiaro che, nel vissuto
esistenziale di ogni donna di ogni epoca, condizione e differenza femminile vanno insieme e che
l’una non si dà senza l’altra”, Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova
2001, p. 19.
39
non essere mancanti, inferiori, ma solamente diverse dal sesso
maschile a cui non ritengono più necessario uniformarsi – cosa che
invece è molto presente nella riflessione emancipazionista. A creare
resistenza rispetto alla possibile accettazione di questa nozione di
differenza intesa come arricchente, contribuisce il fatto che in
Occidente il concetto di differenza è sempre letto nell’ottica
dell’identità, quindi come una mancanza rispetto ad un modello dato:
“Manca, nella modernità, un concetto libero di differenza, tale che
essa non scada subito in essere da meno; manca l’idea di disparità
arricchente, di differenza che, evitando la simmetria mimetica che ben
presto si tramuta in competizione, sia fonte di arricchimento per
entrambi gli elementi in relazione; manca perfino, nella nostra cultura
occidentale, la parola per disegnare una disparità non inferiorizzante, e
questa assenza è sintomatica di un vuoto di pensiero”19.
Il femminismo della differenza critica e si contrappone all’idea
delle Pari Opportunità proprio in virtù della sua critica al concetto di
uguaglianza: così come non esistono due soggetti completamente
uguali e con le medesime opportunità, non esiste una differenza
femminile da superare, da oltrepassare. Emblematico in quanto è
portatore di una falsa idea di uguaglianza, risulta quindi il modello
sociale americano: “il sistema americano si fonda sulla metafora di un
rapporto idealizzato tra fratelli potenzialmente uguali, nel quale
19
Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 15.
40
l’affetto si mescola con la competizione. In realtà è raro che due
fratelli siano davvero uguali, e le sorelle ancor meno”20.
Dunque, la critica al femminismo paritario da parte del
femminismo della differenza è dovuta al fatto che mentre il primo
interpreta e vive la differenza femminile esclusivamente “come
un’inferiorità da cui le donne dovrebbero emanciparsi”21, nel
secondo, usando le parole di Luisa Muraro, una delle rappresentanti
italiane più significative di questo movimento, “la differenza dei sessi
differisce da ogni altra differenza storica o antropologica perché non
passa fra due entità rappresentabili come tali, ma marca di sé l’essere
umano senza farne due esseri, e rendendolo, a rigore, un essere
incoerente, non rappresentabile. Quanto a umanità, una donna e un
uomo sono fra loro identici e differenti, al tempo stesso”22.
Dalla differenza di genere a pratiche formative e di ricerca in una
prospettiva non neutra
La femminilizzazione del mondo del lavoro è un concetto
molto diffuso nella letteratura specifica e non solo, che riporta ad un
fenomeno molto massiccio e di lunga durata, come appunto l’ingresso
20
Mary Caterine Bateson, Comporre una vita, Feltrinelli, Milano 1992, p. 22.
21
Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, p. 15.
22
Luisa Muraro, Oltre L’uguaglianza in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori Editori, 1995, p.
106.
41
delle donne nel mercato lavorativo. La portata di tale fenomeno è tale
che da più parti, non solo quindi dal mondo femminista
tradizionalmente inteso, ci si è interrogati sui cambiamenti in termini
di impegno, prospettive, paure, desideri, resistenze e ambizioni che
questo ingresso massiccio ha comportato sia nel mercato del lavoro,
ma anche nella sfera tradizionalmente indicata come privata, cioè nel
mondo della cura e nei rapporti familiari.
Lo sforzo di questi anni di molte studiose, scienziate e istituti
di ricerca e formazione è stato quello di individuare pratiche e
metodologie formative e di ricerca che non presupponessero di essere
neutre23, che non intendessero negare la differenza che è data dal
nascere uomini o donne, ma che proprio a partire da questa differenza
non meramente biologica, riuscissero a dar conto di diversi modi di
esprimersi, di studiare, di lavorare, di approcciarsi al mondo
tecnologico. Il risultato di tale impegno è stata l’individuazione di
alcune pratiche e metodologie che non solo non neutralizzano i saperi,
ma che sono capaci di restituire in una dimensione complessa e
articolata uno sguardo non neutro sul mondo.
Alcune delle metodologie utilizzate dalle scienze sociali sono
state individuate come particolarmente idonee, altre sono state
inventate ad hoc per soddisfare le esigenze di ricerca e formazione che
23
Luce Irigaray, Parlare non è mai neutro, 1991.
42
facevano riferimento alle pratiche adottate all’interno di quel
movimento portato avanti dalle donne a partire dagli anni ‘6024.
Tra questa, per il tipo di indagine che abbiamo condotto,
abbiamo individuato nell’intervista narrativa25 la metodologia più
idonea ad indagare a livello profondo il tipo di rapporto che,
consciamente o inconsciamente, le donne adulte instaurano nel corso
della loro vita con le tecnologie informatiche, in particolare con
l’utilizzo del computer e dei sistemi di comunicazione informatica
come internet e la posta elettronica. La più idonea per raccontare
storie di donne26; essa infatti ci è parsa una delle poche metodologie
in grado di rispettare quei parametri di ricerca e formazione che la
riflessione femminile ha individuato: la centralità dei soggetti e della
pratica del partire da sé27; l’attenzione all’uso di un linguaggio
24
25
26
27
AA. VV., Donne in formazione. Proposte metodologiche e piste di lavoro (1999), pp. 13-17.
Atkinson, L’intervista narrativa
Heilbrun, Scrivere la vita di una donna;
“la pratica del partire da sé […] consiste nel trovare le parole per dire il reale e per portarlo alla sua
verità […] è indubbio che la pratica del partire da sé risulta più consueta alle donne che agli uomini.
Sembra che le donne la sentano in continuità con altri aspetti della loro esperienza […] La pratica del
partire da sé crea uno squilibrio simbolico. Introduce qualche cosa di completamente originale rispetto a
questa continuità. Il fatto è che ritorna ai vissuti, ma fa questo per avere una via di orientamento nel
mondo, rifiutando il sapere costituito”, Chiara Zamboni, Prefazione in Diotima, La sapienza di partire da
sé, 1996, pp. 1-3.
43
“sessuato”; l’importanza della narrazione28 e delle pratiche
biografiche e autobiografiche.29
Infatti, fondamentale è riuscire a far parlare sé stessi e la
propria singolarità, dar voce alle proprie esperienze, capitalizzare un
bagaglio di conoscenze che molto spesso viene sottovalutato,
mettendo in parole e facendo i conti con le proprie paure e aspettative,
desideri e bisogni. In questa cornice, una particolare attenzione va data
al linguaggio dal momento che “il linguaggio, in quanto sistema che
riflette la realtà sociale, ma al tempo stesso la crea e la produce,
diviene il luogo in cui la soggettività si costruisce e prende forma, dal
momento che il soggetto si può esprimere solo entro il linguaggio e il
linguaggio non può costituirsi senza un soggetto che lo fa esistere”30.
Creare le condizioni perché si possa utilizzare un linguaggio sessuato
significa restituire ai soggetti – sia femminili che maschili – uno
sguardo sulla realtà più complesso e complessivo, che non nega o
ritiene irrilevante l’esperienza e il sapere che deriva dall’essere uomini
o donne. Significa in altre parole creare le condizioni affinché ogni
individuo, uomo o donna non importa, possa trovare nel linguaggio
28
Arendt su esposizione dei soggetti che parlano in Vita Activa e/o Cavarero, tu che mi guardi, tu che mi
racconti. Filosofia della narrazione.
29
Duccio Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé 1996, e Ferrrarotti, Storia e storie di
vita
30
Patrizia Violi (1986), L’infinito singolare. Considerazioni sulla differenza sessuale nel linguaggio,
Essedue edizioni, p. 10.
44
uno strumento efficace ed utile per descrivere la propria esperienza,
per dar conto di sé agli altri e alle altre.
Il bisogno di raccontarsi
Fin dall’antichità, il bisogno di raccontare se stessi, di
consegnare la propria esistenza alla memoria altrui ha trovato svariate
forme di espressione, tra cui i miti e le leggende sono forse i
rappresentanti più conosciuti e diffusi. Questo bisogno nell’antichità
aveva un carattere più mitologico e nel medioevo assunse un carattere
religioso -si pensi alle Confessioni di Sant’Agostino- ma è l’avvento
della soggettività moderna e contemporanea a dare ai soggetti, ai
singoli individui e alla loro storia quell’importanza che noi tutti oggi
riconosciamo loro. È un processo storico molto lungo e complesso che
arriva ad individuare nella singolarità, nella particolare storia di ogni
individuo un tema centrale su cui soffermarsi per analizzare, capire,
formare e tramandare: “è la società mercantile e borghese, che
indebolisce gli ordini sociali tradizionali, che fa appello alle forme
individuali, che laicizza la visione-del-mondo, a rendere il soggetto
sempre più autonomo e, per questa autonomia, sempre più forte.
Quindi ne legittima e ne potenzia l’espressione e il riconoscimento,
anche narcisistico, anche compiaciuto”31.
31
F. Cambi, L’autobiografia come metodo formativo, Editore Laterza 2002, p. 5.
45
Diventa fondamentale la narrazione come forma espressiva di
sé per tutti, uomini e donne, come momento essenziale alla propria
formazione: “le scritture dell’io sono strutturalmente problematiche,
ma proprio per questo costituiscono un percorso formativo, in quanto
doppiano l’esperienza, la rivivono, le danno un nuovo statuto, una
nuova forma”32.
Le forme biografiche e autobiografiche sono da sempre un
genere preferito dalle donne; c’è in esse una differenza femminile che
si esprime e che è strettamente connessa alle possibilità che questa
modalità – di scrittura apre alla soggettività e alla sua libera
espressione. L’autobiografia, come pure altre pratiche connesse
all’espressione del sé, sono state tradizionalmente associate alle donne
e solo più recentemente largamente impiegate in campo pedagogico e
formativo. E’ dunque particolarmente significativo considerare
l’importanza delle pratiche autobiografiche e delle metodologie ad
esse connesse per indagare quali relazioni intercorrono tra le donne e
l’impiego del computer.
32
Idem, p. 18.
46
L’intervista narrativa
Lara Corradi
Alcune questioni metodologiche
Come anticipato nel capitolo precedente, tra le diverse
metodologie per le ricerche e le indagini qualitative, abbiamo
individuato nel metodo autobiografico lo strumento migliore al fine di
condurre la nostra ricerca. Essa è risultata la metodologia più
pertinente per indagare in profondità i vissuti, i sentimenti e i rapporti
che le donne adulte vivono, percepiscono e adottano nei confronti
delle tecnologie, oltre o nonostante gli stereotipi che in particolare su
questo tema noi tutti, uomini e donne, abbiamo ereditato. Andare oltre
gli stereotipi è un passaggio fondamentale per riuscire a superare la
retorica contrassegnata da una scarsa autostima che “talvolta” si
incontra nel fare formazione con donne L’intervista narrativa offre
l’occasione di raccogliere delle storie (di vita o di particolari
esperienze) e di indagare ogni questione, ogni affermazione da più
punti di vista; spesso ha il potere di far prendere coscienza chi è
intervistato/a di aspetti di sé e del proprio percorso di cui fino a quel
momento non era pienamente consapevole: “alle storie viene
riconosciuto un elevato valore in quanto materiale di intervento:
ovvero come strumento per ‘far accadere delle cose’ nei contesti di
47
vita a di lavoro”33. Per questo spesso le interviste narrative vengono
considerate momenti formativi sui generis: “l’autobiografia è – nel
mondo contemporaneo – sempre più un processo di formazione, anzi
quel processo basico di formazione a cui ogni soggetto è chiamato, è
costitutivamente – nella sua debolezza – vocato”34.
Concentrandoci sull’intervista narrativa, abbiamo previsto fin
dalla fase progettuale di formare i diversi partner, che, come vedremo
meglio nei prossimi capitoli, abbiamo scelto soprattutto in base al
ruolo specifico nel campo dell’educazione adulta senza richiedere una
competenza specifica rispetto a questa metodologia, attraverso dei
laboratori di formazione-autoformazione che hanno costituito il primo
momento di lavoro comune. Per evitare poi che le donne intervistate si
sentissero giudicate prima ancora che ascoltate, abbiamo scelto,
quando possibile, di impiegare intervistatrici donne secondo le
indicazioni che derivano dalla tecnica del peer to peer, quindi tra pari,
forti anche dell’efficacia della pratica dell’autocoscienza femminile.
Della pratica dell’autocoscienza possiamo sottolineare che essa
costituì “il punto di partenza di una politica autonoma che ha
consentito alle donne, forse per la prima volta nella storia occidentale
33
Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2002.
34
F. Cambi, Prefazione a L’autobiografia come metodo formativo, Editore Laterza 2002.
48
documentata, di tendere alla libertà indipendentemente dalla ricerca
maschile di libertà”35.
Possiamo definire intervista narrativa un colloquio finalizzato
alla raccolta di storie, in cui il ricercatore o la ricercatrice ha il ruolo di
intervistatore/trice, e il soggetto il ruolo di intervistato/a. Già in questa
iniziale definizione si aprono alcune questioni che riguardano il
perché riteniamo importante raccogliere storie, il tipo di storie da
raccogliere e la veridicità delle storie raccolte, ovvero se possiamo
essere certe che quelle raccolte sono storie vere.
Riteniamo
sia
importante
raccogliere
racconti,
storie,
narrazioni perché le storie, i racconti, le narrazioni hanno il
grandissimo potere di generare conoscenza, di produrre sapere. In che
senso? Quando un essere umano racconta, è costretto a fare i conti non
solo con l’ascoltatore o l’ascoltatrice senza il quale il suo racconto non
verrebbe ascoltato e sarebbe quindi inutile, ma anche con la realtà
stessa che deve raccontare perché, non potendo raccontare tutto, deve
decidere cosa raccontare e come, con quale ordine e secondo quale
logica, e cosa invece omettere e perché. Le storie intervengono quindi
nel rapporto che ogni individuo ha con la realtà, cioè gli consentono di
conoscersi e a sua volta di farsi conoscere.
Una seconda questione concerne invece il tipo di storie da
raccogliere. La letteratura specialistica individua tre principali tipi di
35
Luisa Muraro, Oltre L’uguaglianza in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori Editori, 1995, pp.
107-108.
49
materiale di ricerca: la story, la life story e la history36. La history è la
cronaca, il racconto in terza persona in cui si vuole dar conto in
maniera “oggettiva” del materiale raccolto, in cui il ricercatore o la
ricercatrice utilizza parole proprie per raccontare l’esperienza
dell’intervistato. Per la nostra indagine, è la tipologia meno
interessante
perché
sposta
l’attenzione
dal
punto
di
vista
dell’osservatore, tende a togliergli il ruolo di esperto, a collocarlo
lontano dall’esperienza personale che invece ci interessa raccogliere.
È uno dei modi in cui la restituzione di story e life story può essere
presentata. Story e life story invece raccolgono e riportano la
narrazione in prima persona in cui il singolo individuo racconta la
propria esperienza o su un determinato argomento o questione, in
questo caso si tratta della story, o durante la sua intera vita, ed in
questo caso stiamo raccogliendo la life story.
Per la nostra ricerca è interessante la story, ovvero appunto il
racconto in prima persona in cui l’intervistata ci racconta la sua
esperienza in rapporto all’argomento da noi precedentemente
proposto, ovvero al rapporto che esiste tra donne adulte e tecnologia
informatica in termini di utilizzo, apprendimento, etc.
Terza questione: quelle che stiamo raccogliendo, sono storie
vere?
Ovvero,
la persona
che stiamo
intervistando ci
sta
effettivamente raccontando ciò che pensa? In effetti, il rischio che
36
Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2002.
50
qualcuno menta intenzionalmente c’è sempre, e può capitare anche
quando gli si chiede di compilare un questionario. Su questo punto le
ricercatrici non hanno alcun potere di intervento, potere di intervento
che invece possiedono sul fronte delle motivazioni. Infatti, diversi
sono i motivi per cui qualcuno decide di mentire: perché non gli
interessa partecipare, perché non ha voglia di farlo, perché non ha
voglia di esporsi su determinati argomenti che magari costituiscono
proprio il nostro oggetto d’indagine. Ritengo che le ricercatrici
abbiano un forte potere di intervento per suscitare motivazione: esse
infatti svolgono un ruolo centrale nello spiegare e nel definire il
cosiddetto “contratto iniziale”, ovvero nel presentare il lavoro e i suoi
obiettivi, nel presentare le regole del lavoro e nel verificare l’interesse
e la disponibilità effettiva, reale e concreta dei diversi soggetti
contattati nel dedicare tempo e attenzione alle interviste, quindi alla
nostra ricerca. Infine, ci si può chiedere se nel racconto il soggetto
distorce inconsapevolmente la realtà, ovvero se il suo racconto
corrisponde alla realtà. In verità, come molti studi anche recenti
dimostrano, il problema dei fatti che esistono in sé e per sé,
indipendenti dal soggetto che li raccoglie è insostenibile. Non esiste
una realtà se non nel momento in cui una persona la osserva e la
racconta, e nel momento in cui lo fa, per quanto cerchi di mantenersi il
più oggettivo e imparziale possibile, imprimerà all’osservazione e al
racconto il suo personale sguardo e punto di vista. Sguardo e punto di
51
vista che variano a seconda di molteplici fattori quali l’età, il sesso, la
provenienza, la formazione, etc.
In altre parole, in questa fase della ricerca sociale ci troviamo
in presenza del principio di indeterminazione di Heisenberg, il fisico
tedesco che nel 1932 ricevette il nobel per la sua formulazione.
Secondo
questo
principio,
è
impossibile
conoscere
contemporaneamente la posizione e l’energia di un elettrone perché,
per conoscere la prima, dobbiamo intercettarlo, per conoscere la
seconda, dobbiamo bombardarlo con un fascio di luce. In entrambi i
casi, abbiamo modificato in funzione della nostra ricerca le condizioni
iniziali del nostro oggetto di ricerca, l’elettrone appunto. Lo stesso
possiamo dire per tutte le ricerche che vengono condotte in ambito
sociale. Nel momento in cui ci avviciniamo ad un oggetto di ricerca
anche solo per osservarlo, ne modifichiamo le condizioni di partenza.
È inevitabile. La cosa importante è che siamo consapevoli di noi, del
nostro ruolo, della modificazione che il nostro sguardo implica, e che
cerchiamo il più possibile di limitare i cambiamenti che la nostra
presenza comporta. Altra cosa fondamentale è collocarsi, perché il
collocarsi, l’esplicitare la nostra storia, i nostri presupposti e le nostre
finalità, permette a noi di capire meglio da dove stiamo osservando,
cosa e perché, e soprattutto consente a chi è intervistato e a chi leggerà
il nostro lavoro di capire ciò che sta capitando, e di comprendere il
quadro teorico entro cui si colloca la ricerca.
52
L’intervista narrativa e la sua realizzazione
Si definisce intervista narrativa quell’intervista aperta durante
la quale al soggetto intervistato viene chiesto di raccontare in prima
persona il suo vissuto o la sua esperienza attorno ad un determinato
tema.
La prima caratteristica di queste interviste è costituita dal ruolo
attivo del ricercatore o della ricercatrice: infatti, il ricercatore o la
ricercatrice ha il compito di facilitare, senza modificare, il contenuto
del racconto che sta ascoltando. Facilitare significa aiutare, favorire il
racconto e lo si può fare in diversi modi: annuendo, sorridendo,
facendo delle domande per ottenere chiarimenti. Atkinson37 parla
addirittura di un atteggiamento empatico che si dovrebbe tenere nei
confronti di chi si sta esponendo nel racconto. Se l’empatia rimane un
atteggiamento estremo lasciato alle caratteristiche personali del
singolo intervistatore, rimane comunque vero che chi è intervistato
deve sentire che l’intervistatore si interessa veramente a lui e alla sua
storia, perché “se l’intervistato ‘sentirà’ che si prova interesse per lui e
che gli si presta attenzione perché le cose ha da dire sono veramente
importanti, si sentirà rinforzato e rassicurato”38 e l’intervista procederà
molto più fluidamente. Ciò che dobbiamo aver sempre presente è che
stiamo chiedendo ad un essere umano di esporre il suo punto di vista,
37
R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002.
38
Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, Carocci, Roma 1993, p. 25.
53
e quindi di esporsi apertamente a noi che probabilmente siamo per lui
o lei dei perfetti sconosciuti. E questo non per tutti è semplice.
Inoltre, l’intervistato o l’intervistata non possono sapere se
quanto ci hanno raccontato è sufficiente o se abbiamo bisogno di
ulteriori specifiche o chiarimenti. Siamo noi in quanto intervistatrici
che abbiamo il ruolo di regia, che abbiamo la visione d’insieme e che
quindi dobbiamo orientarli, anche con brevi e semplici accenni.
Anche se vi si avvicina molto, non si deve credere che
l’intervista narrativa sia una conversazione: infatti, si differenzia da
questa per il ruolo centrale che l’intervistato/a ha rispetto
all’intervistatore/trice, che deve essenzialmente limitarsi ad ascoltare e
registrare ciò che gli vien detto. Ascoltare attentamente è molto
difficile: la prima cosa da fare è non giudicare perché il giudiziopregiudizio può influire sia positivamente che negativamente
sull’andamento dell’intervista, può portarci anche involontariamente a
leggere una affermazione in una maniera equivoca che avvalora
quanto già ipotizzavamo prima di metterci in ascolto: “quando
giudichiamo noi interpretiamo l’operato, il detto o il vissuto dell’altra
persona secondo il nostro particolarissimo punto di vista, che nasce
dalla nostra esperienza, dalla nostra vita, dalla nostra storia, che
possono al massimo essere simili, ma mai identiche, a quelle dell’altra
persona”39.
39
Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 22.
54
Da questo si capisce che ogni intervista narrativa, essendo
appunto una narrazione, è diversa dall’altra come diversi sono i
soggetti che andremo incontrando. Dobbiamo avere ben in mente cosa
vogliamo sapere, ma non possiamo prevedere troppo nel dettaglio
quando e come riceveremo l’informazione che ci aspettiamo.
A chiusura dell’intervista, una cosa fondamentale è ricordarsi
di ringraziare chi ci ha concesso l’intervista: di ringraziare per il
tempo che ci ha dedicato, e per avere messo a disposizione la sua
esperienza per altri. E’ importante fargli/le capire che ciò che è stato
offerto viene considerato e valorizzato alla maniera di un dono.
Fasi dell’intervista narrativa
L’intervista narrativa è strutturata in diverse fasi: 1) la
pianificazione o pre-intervista; 2) la realizzazione; 3) l’interpretazione
o post-intervista.
La pianificazione
Pianificare un’intervista significa preparare nei minimi dettagli
l’intervista. Di solito, la prima cosa da fare è stabilire il canovaccio
base su cui strutturare l’intervista. Bisogna cioè stabilire in anticipo
quali informazioni inerenti il nostro oggetto di ricerca dobbiamo
assolutamente conoscere al termine del nostro colloquio, ricordandoci
sempre che non dovremo mai porre le domande in sequenza –non
55
stiamo somministrando un questionario o un intervista strutturata-, ma
lasciare il più possibile spazio all’intervistata e al suo racconto.
Per
seconda
cosa,
bisogna
decidere
chiaramente
chi
intervistare, ovvero bisogna decidere chi, in relazione al tema della
ricerca, potrebbe secondo noi fornirci indicazioni utili. Una volta
individuate le persone, bisogna verificare che le ipotesi che abbiamo
fatto siano corrette, ovvero che le persone in questione possano
effettivamente rispondere alle nostre aspettative. Oltre a ciò, si deve
verificare la loro disponibilità effettiva: in genere, un’intervista
narrativa ha una durata media di un’ora e mezza, bisogna quindi
capire se la persona in questione può effettivamente dedicarci questo
tempo nel periodo che abbiamo a disposizione per realizzare la
ricerca. Un’altra cosa essenziale da fare è presentare chiaramente sia
gli scopi della nostra ricerca, che lo scopo dell’intervista. Bisogna
quindi spiegare con precisione qual è il nostro oggetto d’indagine, e
cosa ci si aspetta invece dall’intervista. Infatti, mentre il primo è più
generale, il secondo è più specifico e attiene l’esperienza del singolo.
Nel nostro caso l’oggetto della ricerca è capire che tipo di rapporto le
donne adulte assumono nei confronti delle TIC, lo scopo delle singole
interviste è farsi raccontare brevi esperienze durante le quali queste
donne hanno sperimentato questo rapporto. Se non siamo state
abbastanza chiare nel definirli, può verificarsi quello che Cortese40 ha
40 Prefazione di Claudio G. Cortese in Atkinson, L’intervista narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano
2002, p. XXXI-XXXII.
56
chiamato la “sindrome del buon samaritano”, ovvero la tendenza
dell’interlocutore/trice a rispondere in prima persona ai quesiti della
ricerca, anziché offrire semplicemente i dati di esperienza che spetterà
poi a noi ricercatrici analizzare ed interpretare.
Tutte queste operazioni rientrano in quello che prima abbiamo
chiamato il “contratto iniziale”. Ma la fase di preparazione va un po’
oltre la definizione di questo contratto. Infatti, un altro aspetto
importante è l’individuazione del luogo in cui realizzare l’intervista,
del setting. Sarebbe opportuno coinvolgere l’intervistato/a in questa
scelta, in modo da individuare insieme un luogo sufficientemente
silenzioso e confortevole in cui possa sentirsi a suo agio. Potrebbe
essere l’ufficio se lavora da solo/a, o la propria abitazione. È in ogni
caso consigliabile evitare luoghi affollati o in cui sia facile essere
interrotti e quindi perdere la concentrazione.
Inoltre, le ricercatrici devono munirsi di un registratore con cui
memorizzare i racconti, ovviamente dopo avere chiesto e ottenuto
dalle intervistate il permesso per effettuare la registrazione. Di
fondamentale importanza, pena il non instaurarsi di quel rapporto di
fiducia tra chi intervista e chi è intervistato, chiedere subito il
permesso di registrare l’intervista, spiegando che è anonima e che
l’utilizzo delle registrazioni è puramente interno, è cioè finalizzato a
ripercorrere i passaggi che possono essere risultati poco chiari o che
possono essere sfuggiti durante la prima fase di ascolto. Infine, le
ricercatrici dovranno sempre assicurarsi di avere con loro delle pile di
57
ricambio e delle cassette aggiuntive, in modo che se per un qualsiasi
motivo una cassetta non fosse sufficiente o le pile finissero, potranno
averne di scorta. Se utilizzano registratori digitali devono fare
attenzione alla memoria interna: infatti, in quelli di prima generazione
che venivano venduti in Italia, lo spazio di registrazione non sempre
era sufficientemente ampio, ed era comunque necessario poter
accedere ad un computer per scaricare il file contenente la
registrazione prima di effettuarne un’altra.
La realizzazione
Come sarà ormai chiaro, l’intervista narrativa è un processo
collaborativo che coinvolge sia intervistatore/trice che intervistato/a. È
bene ricordarsi di lasciare il maggior spazio possibile all’intervistata,
ponendo il minor numero di domande possibili.
Inizialmente, sarà necessario stimolare l’intervistato/a: con
quali domande? Da evitare quelle domande che implicano una risposta
semplicemente affermativa o negativa perché si rischia di finire in un
vicolo cieco. Migliori sono le domande aperte che suscitano risposte
più ampie. Alcuni semplici consigli pratici41: 1) non fare mai più di
una domanda per volta perché si rischia di confondere l’intervistato
che deve scegliere a quale domanda dare priorità; 2) porre domande
brevi perché “nelle domande troppo lunghe l’intervistato si perde”42;
41 Cfr. Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, pp. 92-94.
42 Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 93.
58
3) porre domande il più possibile neutre, cioè non connotate né
positivamente né negativamente, perché altrimenti il rischio è che chi
risponde senta nella connotazione anche un giudizio di valore su di sé.
Di fondamentale importanza sarà individuare lo “stimolo
iniziale”43 cioè quella domanda che, con il minimo di parole e
informazioni utilizzate per formulare la richiesta, implica risposte
molto ampie (chiedere una presentazione personale o il racconto di un
fatto specifico); oppure degli incipit molto specifici che entrano molto
nel dettaglio del tema dell’indagine lasciando molto spazio
all’intervistato/a (farsi raccontare una specifica esperienza o
descrivere una situazione particolare).
Può capitare che durante lo svolgimento dell’intervista la
persona intervistata si interrompa, non proceda facilmente. Occorre
allora rincalzarla con consegne informative e/o valutative44; le prime
sono domande che esplicitano la necessità di una ulteriore spiegazione
(non ho ben capito, in che senso, come), le seconde invece rilanciano
delle specificazioni (perché, a che scopo, come mai)45.
43 Giovanna Granturco, L’intervista qualitativa. Dal discorso al testo scritto, Edizioni A. Guerini e
Associati SpA, 2004, p. 92.
44 Bichi, 2002, p.114.
45 Giovanna Granturco, L’intervista qualitativa. Dal discorso al testo scritto, Edizioni A. Guerini e
Associati SpA, 2004, pp. 93-94.
59
L’interpretazione
La fase dell’interpretazione a sua volta si divide in due
momenti differenti: la trascrizione e l’interpretazione vera e propria.
La trascrizione deve seguire delle regole base molto semplici:
la chiarezza, la completezza e la concisione46. Ovviamente, per
passare dalla registrazione di un’intervista narrativa a una narrazione
fluente sarà necessario intervenire, ma è bene farlo il meno possibile.
L’intervento di editing deve attenere il significato, per questo bisogna:
•
aggiungere parole o frasi che risultano mancanti
per la comprensione. In questo caso le parole aggiunte vanno
messe tra parentesi quadre;
•
dare importanza a silenzi o pause se si sono
verificati, specificandone il senso;
•
se necessario, specificare il gesto o il suono
significativo (come risate o sospiri) che hanno accompagnato
una determinata frase;
•
cancellare parole o frasi estranee (false partenze,
esitazioni, frasi retoriche…);
•
eliminare
e/o
correggere
incongruenze
grammaticali.
46
Cfr. Atkinson, L’intervista narrativa, pp. 83-88.
60
Alla fine della trascrizione è bene riascoltare la registrazione
per essere certe di aver riportato correttamente, quindi senza
fraintendimenti, il significato originario.
L’interpretazione vera e propria è forse la fase più delicata
dell’intervista narrativa perché chiede alla ricercatrice di mettere in
campo la sua soggettività per comprendere e restituire il racconto
ricevuto e analizzato.
Per prima cosa, bisogna avere bene in mente che “l’obiettivo,
nell’interpretazione del racconto autobiografico, è esplorare i dati
contenuti in esso”47, sapendo che “noi non esprimiamo dei giudizi, ma
facciamo delle connessioni”48. Quindi, la nostra deve essere prima di
tutto un’analisi conoscitiva, bisogna arrivare a conoscere molto bene il
materiale da trattare, maneggiandolo con estrema familiarità. Inoltre,
si deve sempre ricordare che non stiamo verificando se quanto detto è
giusto o sbagliato, ma stiamo cercando di comprendere le parole
raccolte, collocandole in un quadro di riferimento più ampio che tenga
conto della provenienza di ogni soggetto, del suo sesso, del suo
bagaglio culturale, sociale e valoriale.
Diverse sono le metodologie con cui analizzare e affrontare
un’intervista narrativa - possono essere quantitative, qualitative o
comparative -, ma tutte devono sempre essere utilizzate come
domande iniziali, come ipotesi di lavoro da verificare e/o modificare
47
R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 102.
48
R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 107.
61
in itinere, mai come certezze iniziali da confermare con le interviste
narrative49.
Una delle forme più appropriate per dar conto della propria
analisi delle interviste narrative è il commentario, cioè un’appendice
al racconto delle esperienze che a partire dalla ricostruzione del
background iniziale, possa aiutare il lettore a rapportarsi rispetto
quanto leggerà nell’intervista. Un’altra funzione importante del
commentario è quella di mettere in luce i punti chiave, evidenziando i
nodi tematici più significativi, aiutando così il lettore a muoversi nel
racconto secondo un quadro d’insieme che potrebbe non essere
immediatamente percepibile da un osservatore esterno. Inoltre, il
commentario fornirà indicazioni e prospettive che, seppur non già
evidenti nel racconto, potrebbero però enfatizzarne o illuminarne le
tematiche e le questioni più rilevanti e significative.
Infine, il commentario è lo spazio per il ricercatore per
commentare, per analizzare il racconto secondo un’ottica e un punto
di
vista
che
non
necessariamente
coincidono
con
quelle
dell’intervistato: “come fa il commentatore televisivo, il commentario
al racconto autobiografico può fornirne una preziosa prospettiva
oggettiva su ciò che sta accadendo nel racconto, o sulle modalità con
cui il racconto viene espresso”50.
49
Cfr. Silvia Kanizsa, Che ne pensi?, 1993, Carocci editore, p. 104-105.
50
R. Atkinson, L’intervista narrativa, 2002, p. 110.
62
La ricerca e i suoi risultati
Antonia De Vita e Lara Corradi
Sono state realizzate circa 50 interviste in ogni Paese partner
del progetto51, per un totale di 253 interviste.
In Lettonia, tra le 50 donne intervistate 24 vivono in area
urbana e 26 in area rurale.
Una di esse ha un basso livello di istruzione (6 anni), 17 livello
medio (7-12 anni) e 23 alto (più di 12 anni).
4 sono disoccupate (tutte donne con disabilità); 42 sono
occupate, 4 fanno un lavoro indipendente.
Sono state contattate grazie alla collaborazione con istituzioni
locali e tramite contatti informali.
In Italia sono state realizzate 53 interviste narrative. Tra le
intervistate, 22 hanno un’età compresa fra 35 e 40 anni, 20 fra 41 e 50
e 11 sopra i 50. 30 hanno un livello di istruzione medio/basso (8
anni), 21 medio/alto (8+5 anni) e 2 alto (8 + 5 + 4/5/6 anni).
51
I dati sulle donne con disabilità e l’analisi dettagliata delle loro interviste sono riportati nel capitolo a
cura di Piera Nobili.
63
28 sono disoccupate e 25 occupate: lavorano come segretarie,
cameriere, operatrici di call center. Molte donne aiutano i mariti nel
loro lavoro.
Le intervistate sono state scelte attingendo dalle liste delle
iscritte ai Centri per L’impiego della Provincia di Genova,
avvalendosi della collaborazione degli Sportelli Informalavoro che
sono dislocati su tutto il territorio provinciale, tramite canali informali
(conoscenti) o tramite associazioni che si occupano di persone
diversamente abili.
In Portogallo, tra le 50 intervistate c’erano 3 donne con
disabilità. 11 delle donne intervistate vivono in aree rurali e 39 in area
urbana.
Sono state contattate grazie alla collaborazione con enti
regionali o tramite contatti informali.
24 hanno un basso livello di istruzione (fino a 6 anni), 24
livello medio (7-12 anni) e 24 un livello alto (più di 12 anni).
7 sono disoccupate, 38 lavorano nel settore terziario
(lavorando nell’istruzione formale e non formale), 1 nel settore
secondario, 2 sono casalinghe e 2 pensionate.
In Danimarca, le 50 persone intervistate comprendono un
gruppo dai 35-55 anni. Ci sono rappresentanti di tanti tipi di
professioni, sia lavoratori autonomi, che dipendenti; statali e privati.
64
Ci sono persone senza istruzione, con medie e lunghe istruzioni, e
persone fuori dal mercato del lavoro, qui compreso anche disabili. Le
persone abitano sia in città che in campagna.
In Bulgaria delle 50 donne intervistate, 4 sono donne con
disabilità. In generale le donne sono state individuate in aree urbane e
rurali, e hanno un livello educativo basso, medio o alto.
Realizzate tutte le interviste narrative, le ricercatrici dei vari
paesi hanno proceduto ad una prima fase di interpretazione: cioè, dopo
avere sbobinato tutte le interviste quasi integralmente, le hanno
riascoltate per verificare di aver compreso e riportato correttamente
quanto detto dalle intervistate e di non aver tralasciato niente di
significativo. Quindi hanno operato piccoli interventi di editing per
rendere più leggibile il testo; infine hanno suddiviso il materiale
lavorato secondo sei grandi nuclei tematici precedentemente
individuati, con una duplice funzione: mentre in fase di realizzazione
delle interviste narrative questi gruppi tematici sono state le linee
guida con cui orientare la conversazione, in questa fase di
interpretazione hanno invece permesso di destrutturare le singole
narrazioni per arrivare ed una compartizione più efficace da cui far
emergere similitudini e differenze tra i racconti, e quindi tra i vissuti,
delle molte donne intervistate nei diversi Paesi coinvolti nel progetto.
65
Nel primo gruppo tematico le ricercatrici hanno riportato dei
commenti generali sulle modalità di reclutamento del target da
intervistare, sulle maggiori difficoltà incontrate, alcune osservazioni e
riflessioni generali, etc.
Nel secondo gruppo tematico hanno invece riportato le
caratteristiche anagrafiche delle intervistate, come il livello di
istruzione, l’età, l’area di provenienza e la condizione lavorativa.
Nel terzo gruppo tematico hanno raggruppato tutte le
affermazioni che avevano a che fare con l’uso del computer e della
rete.
Nel quarto quelle che riguardavano l’apprendimento all’uso di
computer e rete.
Nel
quinto
quelle
relazionate
ai
sentimenti
di
interesse/disinteresse o piacere/dispiacere legate all’uso di queste
tecnologie.
Infine, nel sesto gruppo tematico le ricercatrici hanno
raggruppato tutte le affermazioni che descrivono il rapporto delle
persone più vicine alle intervistate nell’uso delle tecnologie,
soffermandosi in particolare sui sentimenti che in loro suscitava
questo differente approccio nell’uso delle TIC.
L’equipe di ricerca di Studio Guglielma è intervenuta su
questo materiale semilavorato, analizzandolo e sistematizzandolo. È
così arrivata ad ottenere il quadro completo e dettagliato derivato dai
racconti delle esperienze delle singole donne adulte in rapporto all’uso
66
o all’immaginario delle TIC. Sono dunque emerse numerose
similitudini tra le affermazioni delle donne pure nei diversi paesi, ma
anche notevoli differenze.
67
Gli otto nuclei tematici
Non senza una necessità
Per quasi tutte le donne intervistate, il primo approccio all’impiego
delle tecnologie, in particolar modo all’uso del computer, appare
strettamente e primariamente connesso alla dimensione di necessità,
all’esistenza di una qualche forma di bisogno che ritengono possibile
soddisfare ricorrendo all’impiego di questi strumenti52. Lo sforzo
richiesto per apprendere nuove conoscenze, è controbilanciato dai
benefici ottenibili grazie a queste nuove conoscenze.
Ho iniziato per necessità (come si dice: l’occasione fa l’uomo ladro),
dovevo mettercela tutta per andare avanti53.
In ufficio (…) uso il computer tutto il giorno perché ne ho bisogno54.
52
Le diverse citazioni che d’ora in poi riporteremo, sono mutuate indifferentemente dai report nazionali
realizzati nelle diverse Nazioni coinvolte. Durante la fase di realizzazione, anche in considerazione del
fatto che la lingua in cui venivano realizzate le singole interviste era differente per ogni nazione –ognuna
le realizzava nella sua lingua madre e poi arrivavano a chi le interpretava già tradotte in italiano- , le
interviste sono state classificate dalle ricercatrici secondo un duplice criterio: 1) renderle riconoscibili in
quanto appartenenti ad un singolo Paese; 2) ricondurre le parole di ciascuna ad un nome e una singola
donna.
Quindi, il numero progressivo che numera ciascuna intervista permette di associare le parole di ciascuna
alla persona in carne ed ossa, le lettere finali di ricondurle alle diverse nazioni in cui sono state realizzate.
Nel caso di donne con disabilità alla lettera che indica il Paese segue la lettera che indica il tipo di
disabilità.
53
Intervista 11 P
54
Intervista 1 P.
68
Per contro, quando questa necessità, questo bisogno non viene
avvertito, l’approccio all’uso delle TIC non avviene, o se avviene,
rimane un tentativo sterile che viene subito abbandonato. E lo sforzo e
l’impegno richiesti per imparare ad utilizzare le TIC appaiono come
un inutile dispendio di tempo ed energie, inutile perché non poterà
nessuna ricaduta concreta nelle loro esistenze.
Forse potrei imparare di più, ma non mi interessa. Non riesco ad
immaginare a che mi potrebbe servire55.
Solo se dovessi usarlo per lavoro mi ci metto, ci picchio tanto finché non
ci riesco, ma così onestamente…Non ho questo grosso stimolo56.
Oggi se ne avessi bisogno mi interesserei ma siccome non ne ho… Nel
lavoro non mi serve57.
Nonostante non tutte le intervistate utilizzino regolarmente computer e
rete, tutte ne parlano come di mezzi utili e importanti, come strumenti
imprescindibili nelle vite di ogni essere umano, strumenti che
permettono di stare al passo con i tempi. Paradossalmente, pare che ai
loro occhi tutte queste affermazioni risultino vere solo se riferite ad
55
Intervista 14 DK
56
Intervista 4 IT.
57
Intervista 27 P
69
altre persone, non a loro stesse. Le intervistate infatti paiono convinte
di queste affermazioni solo se pensano a chi, più giovane e impegnato
in attività diverse dalle loro, saprebbe come adoperare questo nuovo
bagaglio di conoscenze e abilità. Se pensano invece al loro caso
personale, questo mondo continua ad apparire ai loro occhi
inutilizzabile e quindi inutile.
Per la verità non mi piace e non mi dispiace, perché non c’è stato nulla
che mi abbia fatto entusiasmare con il computer, perché non ho mai lavorato con
la macchina. È utile perché l’evoluzione è necessaria, ma non per me, dal punto
di vista personale, proprio no58.
In primis è la necessità lavorativa ad essere il motore più forte, il
motivo e la causa per cui molte donne adulte, ma non solo, entrano in
contatto e familiarizzano con questo mondo. La necessità di avere un
lavoro e di sapersi muovere in questo ambiente da un lato giustifica e
dall’altro muove la necessità di saper utilizzare computer e rete.
Ho ricominciato a lavorare e ho sentito il bisogno di avere e saper usare il
computer59.
Ho iniziato ad usare il computer nel 2000 in relazione con un nuovo
60.
lavoro
58
Intervista 25 P.
59
Intervista 26 P.
60
Intervista 2 DK.
70
Ho cominciato ad usarlo per motivi lavorativi, ci avevano fatto fare dei
corsi61.
Il computer è soprattutto ‘strumento’, qualcosa che nei nuovi sistemi
organizzativi è ineludibile e in quanto tale utile, funzionale, facilitante,
necessario. Quasi mai scatta una vera e propria passione, che anzi pare
essere esclusa da questo rapporto che le intervistate hanno istituito con
i loro ‘mezzi di lavoro’.
Penso che già il computer non è un lusso, ma una necessità – non solo a
casa, ma anche al lavoro62.
Rende il lavoro più facile63.
Il computer agevola il lavoro, mi ha aiutato tantissimo64.
Non ho computer al lavoro, però ce l’hanno i miei colleghi. Se avessi un
computer, il mio lavoro sarebbe stato tanto più facile e senza sbagli65.
Non posso dire che mi interessa, però è diventato necessario, un mezzo66.
61
Intervista 22 IT
62
Intervista 27 B.
63
Intervista 6 P.
64
Intervista 14 P.
65
Intervista 19 B.
66
Intervista 11 DK.
71
Solo in seconda battuta l’accesso al computer e alle nuove tecnologie
informatiche risulta totalmente positivo, capace di suscitare interesse
verso lo strumento in sé e verso le potenzialità che esso offre (È
diventato parte della vita quotidiana. Non lo avrei mai pensato
all’inizio. Oggi non potrei vivere senza67), raramente diventando
oggetto di gioco e di passione, rimanendo sempre uno ‘strumento utile
e funzionale’.
Io non ho mai usato Internet per passare il tempo. Il mio lavoro mi è
sufficiente, e io non lavoro con un computer a casa, dunque qui cerco di usarlo
professionale, al massimo. Non l’ho mai usato per passare il tempo68.
Utilizzo internet principalmente per le necessità di lavoro. […] Riempio
meglio il tempo libero lavorando nel giardino69.
Per la verità i computer non mi entusiasmano, solo quando ne ho bisogno,
quando è necessario,se no solo per curiosità non ci vado. Se lo devo fare lo
faccio, non ho nessun problema e mi piace usarlo. Non ho paura di metterci le
mani. Se ho bisogno lo uso, anche se non so, vado per tentativi, ma solo se ho
bisogno70.
67
Intervista 20 DK.
68
Intervista 4 B.
69
Intervista 29 L.
70
Intervista 40 P.
72
Ma esistono anche altre forme di necessità legate per lo più alla sfera
dei bisogni personali: per esempio, nelle interviste raccolte in
Portogallo, un ruolo decisivo per un primo approccio e utilizzo ‘di
massa’ al computer è legato alla patente di guida. Infatti, in Portogallo
per superare l’esame e ottenere la licenza di guida è obbligatorio
conoscere e utilizzare gli appositi supporti informatici.
Non uso il computer. L’unico contatto è avvenuto alla Scuola Guida,
quando stavo facendo la patente71.
Emblematico è anche il caso di una donna portoghese che ha
dichiarato di aver utilizzato il computer, in particolare alcuni giochi,
per rilassarsi e distrarsi soprattutto in momenti delicati della sua vita.
In particolare, ci ha spiegato che, avendo il vizio del fumo ed avendo
vissuto un momento molto difficile della sua esistenza, era spinta a
fumare di più. Ebbene, è ricorsa ai giochi sul computer per ridurre il
numero di sigarette e riuscire a perdere questo vizio, perché quando
giocava non sentiva il bisogno di fumare. In questo caso, dunque,
l’uso del computer è stato per questa donna un modo per allontanarsi
dalle difficoltà, per trovare un momento tutto per sé in cui potersi
concedere il lusso di non essere sommersa dai problemi della sua vita
quotidiana. E infatti, superato il momento difficile, l’uso del computer
e dei giochi si è notevolmente ridotto.
71
Intervista 18 P.
73
Ho smesso di fumare da poco e mi rifugiavo nel computer, a giocare.
Adesso non lo uso molto [piccola pausa] anche perché adesso il problema del
fumo è quasi risolto e anche la vita a casa è un po’ più stabile [piccola pausa] e
allora non l’ho usato così tanto, non ho neanche molto tempo72.
Inoltre, nello spingere parecchie donne adulte all’utilizzo delle TIC al
di là della necessità lavorativa, un ruolo centrale è costituito dai figli e
dalle figlie.
O perché da adulti scelgono o sono costretto a vivere lontani da casa,
spesso all’estero, e quindi le madri sentono il bisogno di trovare mezzi
efficaci che permettano di comunicare con loro. In questi casi, internet
e la posta elettronica appaino ai loro occhi come il mezzo più
semplice, veloce ed economico per farlo.
Quello che mi piace di computer e di internet è la comunicazione. La
necessità per la comunicazione. Il figlio andrà a lavorare fra poco all’estero,
probabilmente dovrò pensare al collegamento Internet a casa73.
Oppure perché i figli fin da piccoli ne hanno bisogno per la loro
formazione che ormai non è più pensabile slegata dalle TIC, verso cui
dimostrano una facilità e una velocità di apprendimento sconosciuta
alle generazioni precedenti.
72
Intervista 10 P.
73
Intervista 12 L.
74
Credo di non averne bisogno, i miei figli sì loro ne hanno bisogno,
imparano molte cose e più facilmente, non c’è dubbio che imparano più
facilmente74.
Io in pratica non lo uso, per i ragazzi, credo sia uno strumento di lavoro,
ma per me, francamente, non è così necessario [sorriso] Non è uno strumento di
cui abbia bisogno ogni giorno75.
In questo caso, i genitori si sentono in dovere di mettere i figli nelle
condizioni di appropriarsi di questo mondo e delle possibilità che
offre. E così facendo può capitare che loro stessi vi si avvicinino.
Quando mio figlio ha compiuto dieci anni cominciò ad andare in un
vicino club di computer ed io come genitore dovevo portarlo, prenderlo e tenerlo
d’occhio. Allora vidi che i computer sono attuali e interessanti. Cioè mi è
sembrato molto interessante come materia e mezzo di comunicazione76.
Inoltre, quando i figli sono ancora piccoli, i genitori rivestono un ruolo
centrale come supervisori. Infatti, come vedremo meglio più avanti, in
parecchie delle interviste realizzate le donne menzionano i pericoli di
un uso non controllato delle TIC da parte dei bambini, ancora ignari
del mondo e quindi indifesi, rispetto alla reale possibilità di venire
74
Intervista 32 P.
75
Intervista 40 P.
76
Intervista 24 B.
75
risucchiati dal mondo virtuale o, peggio, dalle diverse reti di pedofili
che esistono nella rete.
Le mie figlie cominciavano ad usare il computer sempre di più a scuola,
ed è importante interessarsi di quello che fanno. Anche per essere al corrente di
quello che può succedere quando navigano in rete. Sono molto più brave di me,
ma è importante che io conosca quel mondo, almeno un pochino77
Infine, capita anche che i figli e le figlie, non accettando che i loro
genitori, soprattutto le madri, vivano in un mondo così antiquato da
non prevedere le moderne tecnologie, li spingano e li aiutino ad
avvicinarvisi. Sono loro i primi maestri, i compagni o le compagne di
studio.
Mi ripetono sempre che devo imparare di più – soprattutto i figli. Mio
marito ha frequentato un corso più approfondito, e adesso sa più di me. Io sono
la più ignorante della nostra famiglia, però loro m’aiutano tanto e se non c’erano
loro non avrei mai cercato qualcosa78.
Le interviste realizzate in Danimarca rappresentano molto spesso una
eccentricità rispetto a quelle realizzate negli altri Paesi, probabilmente
perché in questo Paese c’è una diffusione massiccia delle TIC a tutti i
livelli, e perché questa diffusione, a differenza delle altre nazioni in
77
Intervista 15 DK:
78
Intervista 27 B.
76
cui abbiamo condotto la ricerca, affonda le sue radici nel tempo. E
infatti, nelle interviste qui raccolte si registra che anche per le donne
di età compresa tra i 45 e i 60 anni l’uso delle TIC è connesso alla
scuola e agli studi intrapresi. In tutti gli altri Paesi, questa situazione
riguarda le nuove generazioni, non la fascia di età più adulta: per i
giovani, le TIC sono diventate materia di studio, attraverso di esse i
loro percorsi formativi sono facilitati. Ma non è così per la
generazione di cinquantenni, forse nemmeno per i quarantenni, come
invece accade nei racconti delle donne danesi.
Ho usato il computer da quando studiavo, saranno 10 anni che lo uso
frequentemente. Internet lo uso da un paio di anni79.
79
Intervista 15 DK.
77
Un apprendimento sia teorico che pratico
Essendo la necessità e in particolare, la necessità lavorativa, la via
maestra dell’accesso al computer e alla rete, emerge che il rapporto
con lo strumento diventa vivo e fruttuoso quando c’è l’occasione di
utilizzarlo quotidianamente. Quindi, la dimensione dell’impiego
pratico diventa centrale nel processo di apprendimento e di
‘conquista’ del mondo del sapere informatico.
Se esiste una necessità si impara a farlo. Ho frequentato dei corsi per
imparare i programmi che vengono usati al lavoro, ma è solo quando uno deve
davvero usarli che si impara, altrimenti si perde tempo e basta80.
[Pensierosa] In verità non si può imparare il computer, se nel quotidiano
non c’e’ la pratica, non si può imparare se non si deve lavorare ogni giorno81.
Le donne che accedono all’uso del computer e della rete attraverso un
corso di alfabetizzazione trovano importante questo ingresso per
‘rompere il ghiaccio’ e avvicinarsi ad esso. Lo ritengono un canale
importante per avere una conoscenza generale della tecnologia che
altrimenti non potrebbero avere.
Mentre prima del corso avevo paura: oddio, cosa ho fatto, non lo toccavo,
oggi mi rendo conto che mi hanno insegnato, Antonio [il docente] mi ha
insegnato…Se ti succede questo fai questo…82
80
Intervista 32 DK.
81
Intervista 7 L.
78
E vorrei fare dei corsi di formazione perché trovo che il computer è molto
interessante e del resto è il futuro, perché oggi senza computer non si fa niente83.
Ci sono tante cose che non so, non posso dire esattamente. Preferirei non
impararle dai libri, ma dal corso. Perché ho letto tante cose nei libri, ma quando
chiedo a qualcuno capisco meglio e più velocemente la materia. E poi è meglio
vederlo nella pratica che nei libri 84.
Ci andavo su internet prima del corso ma ero meno consapevole di quello
che facevo. Il mio ragazzo mi diceva di fare così e così, e io lo facevo. Al corso
mi hanno spiegato perché ci sono determinate cose, a cosa servono e quindi sai
più come muoverti e eviti anche di andare in certi siti perché hai capito cosa
significa quando vedi certe cose85.
Nonostante il primo contatto con l’uso delle TIC sia per lo più
veicolato da un proposta teorica legata a corsi di formazione, il salto
di qualità nel rapporto tra donne e TIC avviene sempre ed
esclusivamente grazie al loro impiego pratico inserito nella
quotidianità di ognuna.
82 Intervista 31 IT.
83 Intervista 14 P.
84 Intervista 4 B.
85 Intervista 5 IT.
79
Ho cominciato sette anni fa, quando andavo ai corsi [a voce bassa] Avevo
paura di premere un pulsante sbagliato. Lì ho imparato un minimo, ci vuole la
pratica, se non si utilizza ogni giorno, i corsi non hanno senso86.
Ci vuole molta pratica, se lo si usa ogni giorno si acquista sicurezza87.
Ho tentato di andare a un corso, però questi corsi non hanno nessun senso
secondo me. Perché lì ci sono venti persone ed un insegnante, che insegna la
teoria che puoi trovare da solo nel manuale88.
E adesso però ho dimenticato tutto perché non lo pratico89.
Inoltre,
da
molti
racconti
emerge
con
chiarezza
che
per
l’apprendimento all’uso e la maggiore familiarità con questo mondo è
di fondamentale importanza, oltre l’aver seguito dei corsi che
prevedevano l’intreccio di teoria e pratica, affidarsi all’autoapprendimento, cioè al non avere paura di procedere per tentativi ed
errori e di continuare a sperimentare.
Facevo 45 Km per andare nella città del distretto per apprendere […] E’
stato per una settimana, ogni giorno […], non ho imparato bene nulla, poi
attraverso l’auto-apprendimento ho acquisito le abilità necessarie90.
86 Intervista 14 L.
87 Intervista 9 P.
88 Intervista 18 B.
89 Intervista 29 B.
90
Intervista 28 L.
80
Con il tempo ho imparato che non è sbagliato fare tentativi, anzi si impara
proprio così91.
Era tanto difficile per me. Si rovinava. Il computer non si rovinava, ma io
sbagliavo il programma e i comandi. Alla fine ero stufa di questa situazione e ho
deciso di istruirmi da sola. Ho comprato un libro di Word 5.0 – l’ho studiato da
un libro che era scritto benissimo. Ho fatto fronte alla situazione, molto
facilmente. Naturalmente occorreva tanto tempo – per leggere e sperimentare.
Però alla fine ho imparato e adesso posso dire che ho una base solida per
lavorare al computer92.
All’inizio avevo paura di rompere qualcosa, ma dopo che ho capito che
non si può rompere niente, ho imparato di più. Ora provo da sola prima di
chiedere aiuto93.
C’è poi una notevole differenza nei racconti di chi ora ha una certa
familiarità con le TIC rispetto a chi, dopo un primo incontro, ha
abbandonato o perso di vista questo mondo. Tale differenza si nota
soprattutto nella descrizione del primo approccio al mondo
informatico: infatti, quando le donne più esperte raccontano dei loro
primi contatti, spesso avvenuti in periodi abbastanza lontani dal tempo
delle interviste, pur dichiarando di aver provato in quei momenti
sentimenti di timore e di paura per la nuova avventura intrapresa –
91
Intervista 43 P.
92 Intervista 11 B.
93 Intervista 9 DK.
81
cosa che le donne che hanno abbandonato l’uso delle TIC
difficilmente ammettono-, non si spiegano da dove arrivassero quei
sentimenti, che ora appaiono loro come immotivati e incomprensibili.
All’inizio avevo paura, è curioso avevo paura di fare una cosa sbagliata e
di non saper tornare indietro, è ovvio che si ha paura quando si comincia94.
Pensavo che fosse difficile. Non avrei mai immaginato di riuscire a usare
il computer e alla fine ci si riesce. Certo, non con la facilità dei giovani, per noi è
molto più difficile, perché non so l’inglese e questa è stata la difficoltà maggiore.
Credevo che se sbagliavo, tutto scompariva. Era un dramma! Quando scrivevo
un testo e arrivavo alla fine e facevo un errore credevo di perdere tutto, prima di
tranquillizzarmi… Mi ero messa in testa che se si faceva un errore quello si
rovinava facilmente, visto che è una macchina95.
Certamente, per ogni nuova cosa c’è una certa paura, di rovinare o
sbagliare, ma…adesso capisco che non si può rovinare irreversibilmente niente.
Attualmente non sono convinta, ma se qualcosa non riesce, provo più volte
finché riesce. (si tratta di auto-apprendimento)96.
Inoltre, con l’aumentare della familiarità con le TIC, cambia molto
anche l’approccio alla possibilità di seguire dei corsi di formazione:
mentre agli inizi dei percorsi di apprendimento nell’uso delle TIC i
corsi apparivano alla maggior parte come la via privilegiata per
94 Intervista 4 P.
95 Intervista 21 P.
96 Intervista 3 L.
82
appropriarsi di questo nuovo mondo, come ciò che le legittimava e
contemporaneamente le tutelava rispetto alle possibilità di errori e
danni, nel procedere della propria formazione, quando la capacità di
utilizzo è già buona, la maggior parte dei corsi di informatica
appaiono inutili, troppo poco specifici e comunque sempre troppo
sovraffollati.
In verità vorrei frequentare un corso sia di Word che di altri programmi.
So che con i programmi si possono fare tante cose, ma non so come farle, a volte
mi irrita. È difficile trovare corsi, ne ho provato uno, pagato di tasca mia, ma non
era molto buono. Eravamo in troppi, perciò c’era sempre da aspettare per avere
aiuto97.
97
Intervista 18 DK.
83
Verso una diversa economia di tempo e di vita
Il computer e la rete vengono vissuti come strumenti capaci di
velocizzare la ricerca di informazioni e di semplificare e rendere più
agevoli alcune operazioni che altrimenti richiederebbero numerosi
spostamenti e quindi un impiego più massiccio del tempo.
Certo Internet è una cosa magnifica – semplicemente così tanta
informazione, risparmio di tempo per andare in biblioteche ed altri luoghi.
Semplicemente tu hai l’informazione davanti a te – basta che tu sappia dove
cercarla98.
Del computer mi piace che c’è la velocità, economia del tempo, non
bisogna spendere il tempo per andare in città. Sì, un’informazione celere! 99
Particolarmente significativo in tal senso è l’impiego della posta
elettronica e la possibilità di corrispondere con persone care e lontane.
Utilizzo Internet praticamente ogni giorno perché a casa c’è il
collegamento. È il modo più economico di comunicare con gli amici100.
C’è della gente che non riesce a capirlo ma su Messenger, quando si
parla, si può vedere come è l’altra persona, cosa sente, si riesce a trasmettere
98
Intervista 17 B.
99
Intervista 3 L.
100
Intervista 2 L.
84
tutto. Se io lo racconto a qualcun altro … alle mie amiche, non l’ho raccontato a
molti, mi dicono: “ma è complicato, com’è possibile!”101
La dimensione di economicità del tempo e di semplificazione e
velocizzazione di alcuni aspetti pratici è rilevante, senza tuttavia
diventare quasi mai un impiego sostitutivo nel tempo libero o extra
lavorativo.
Non ho tempo. Nel poco tempo libero che ho faccio altre cose, mi
piacciono molto i lavori manuali, l’uncinetto e così via. Non mi ha mai
interessato, mia cugina mi dice che dobbiamo parlare su Internet, al computer,
costa meno, ci possiamo anche vedere. Ho già parlato una volta. Lavoro con
telai, non ne ho bisogno102.
Sono io che uso il computer di più. Non scarico musica e filmati, ma so
che altri lo fanno, non mi interessa. Siamo persone che preferiscono stare
all’aperto, perciò se non c’è un motivo ben preciso non lo usiamo103.
Rispetto alla dimensione del tempo, il lato negativo rilevato è la
cronica mancanza di tempo che molte donne segnalano: tutte
riconoscono che una volta che vi si ha familiarità, il computer e la rete
agevolano il lavoro e molte attività umane, ma per arrivare a questa
familiarità con gli strumenti occorre tempo. Occorre tempo per
101
Intervista 6 P.
102
Intervista 12 P.
103
Intervista 12 DK.
85
imparare e per fare pratica. Tempo che molte di loro dichiarano di non
avere, immerse come sono negli impegni lavorativi e familiari.
Quello negativo: [sospiro] il tempo per imparare, e poi ci vogliono i
mezzi per avere il proprio computer104.
È il futuro, perciò prima o poi tocca anche a me impararlo. Bisogna
seguire lo sviluppo, ma ci vuole tempo105.
Mi piace il computer, mi dispiace aver poco tempo libero, potrei usarlo di
più nella vita di ogni giorno se avessi tempo, usarlo in altro modo, ma sia in
ufficio sia a casa non c’è tempo106.
Sono curiosa, ma a casa il tempo è scarso. Tre uomini a casa. Lavoro tutto
il giorno e esco di qui stanca. Stare in aula, in cucina ogni giorno con 6 o 7
ragazzi stanca e poi ci sono cose da fare a casa e la sera è per riposare, o anche
per fare dei lavori che mi porto dietro, sommari, valutazioni, cose del genere e il
tempo è scarso107.
Non navigo mai, mi sembra un perdita di tempo, non trovo mai quello che
cerco, e se ho un problema non c’è mai nessuno che ha tempo per aiutarmi in
quel momento108.
104
Intervista 6 L.
105
Intervista 30 DK.
106
Intervista 3 P.
107
Intervista 22 P.
108
Intervista 35 DK.
86
Anche in questo caso, le interviste realizzate in Danimarca
contengono una specificità unica: per le donne danesi, il computer e la
rete sono proprio il mezzo che consente loro di conciliare vita e
lavoro, famiglia e carriera. In nessuna delle altre interviste, sebbene
realizzate in Paesi con cultura e storia molto diversi, emerge questa
immagine delle TIC come possibilità di conciliare la propria vita
personale con quella lavorativa, senza che né l’una né l’altra ne
risultino penalizzate.
È necessario, al lavoro è un obbligo. A casa è un aiuto perchè si possono
fare le cose più veloci, con una vita quotidiana dove le cose vanno sempre più
veloci, c’è bisogno del computer come attrezzo. Aiuta a accelerare le cose, a
volte può sembrare negativo, ma ormai ci siamo abituati109.
Il computer è importante e facilita lo studio. Senza il computer non era
possibile stare dietro sia alla famiglia che ai bambini, sia al lavoro che agli
studi110.
Alcune delle mie colleghe lavorano parte del tempo da casa. L’uso del
posto di lavoro a casa non é solo positivo, uno può sentirsi forzato di lavorare
anche quando in realtà è libero, in quel modo diminuisce il tempo libero. Però ti
da anche più flessibilità, ma uno deve essere capace di maneggiarlo bene. Può
essere attraente di scegliere il lavoro da casa, quando nascono i bambini, ma non
é sempre detto che sia la soluzione migliore111.
109
Intervista 16 DK.
110
Intervista 6 DK.
111
Intervista 3 DK.
87
Mediazioni viventi
Oltre ad un accesso formale al computer e alla rete, attraverso un
corso di alfabetizzazione, l’uso delle tecnologie è facilitato da alcune
mediazioni viventi che il più delle volte sono costituite da figlie,
colleghe e amiche che aiutano e facilitano l’apprendimento. I figli
maschi risultano meno disponibili a impiegare tempo e pazienza in
questa attività di insegnamento e i mariti o i compagni sono
decisamente poco disponibili a mettere in comune questa dimensione
con le mogli o le compagne. Contesa di potere uomo/donna sull’uso
della tecnica?
I bambini mi fanno sedere davanti al computer e mi spiegano. Li guardo:
loro sono sveltissimi con il computer [mentre spiega guarda il computer sullo
scrittoio e alza preoccupata le spalle]. I bambini hanno voglia di aiutarmi. Non
hanno mai scherzato con me. Anzi, se voglio che loro mi spieghino lo fanno
senza problemi112.
All’inizio pensavo che il computer era inutile ed un motivo di irritazione.
Ma quando i bambini e mio marito hanno iniziato ad usarlo spesso, ho cambiato
idea113.
I miei figli mi hanno aiutato a cominciare le varie cose, ma sempre in
relazione con le mie necessità114.
112
Intervista 25 B.
113
Intervista 7 DK.
88
Forte è poi la collaborazione tra colleghi della stessa generazione, con
cui volentieri si mettono in comune le informazioni e si cercano di
risolvere i problemi. È un rapporto che si concentra sulla necessità di
trovare soluzioni semplici ai problemi che quotidianamente si
incontrano sui luoghi di lavoro.
All’inizio il mio direttore era una donna e poi un uomo che mi hanno
insegnato con gran pazienza115.
La base delle nozioni di computer le ho imparato dei miei colleghi116.
Mi ha insegnato la mia ex collega117.
Quando non sappiamo qualcosa chiediamo aiuto l’una all’altra. Quando
non so qualcosa, lo dico subito. Ma alla fine ci riesco sempre, e se non ce la
faccio da sola, c’è la collega accanto118.
Fra colleghe collaboravamo. E c’era sempre chi ne sapeva di più e cosi
facevamo tutto119.
114
Intervista 21 DK.
115
Intervista 2 B.
116
Intervista 4 B.
117
Intervista 19 L.
118
Intervista 2 P.
119
Intervista 6 P.
89
C’è anche chi, forse per mantenere vivo questo legame iniziale con le
persone che l’hanno iniziata all’uso delle TIC, non si rende mai
completamente autonoma. O forse, semplicemente, è una questione di
pigrizia e queste donne preferiscono lasciar fare a chi è più esperto e
ci mette più passione di quanto potrebbero mettercene loro che,
sebbene
padrone
dello
strumento,
vi
rimangono
comunque
sostanzialmente indifferenti.
Trovo la musica che voglio masterizzare e poi chiamo mio marito che fa
il resto. Non ho la pazienza di stare ad ascoltarlo, per me deve essere spiegato in
un modo semplice, altrimenti non capisco. Mio marito è invece molto più
tecnico, ed è abituato a parlare con altri del mondo dei programmatori. Se chiedo
qualcosa, ricevo una spiegazione che dura 10 minuti, e alla fine ho dimenticato
che cosa ho chiesto. Perciò non ho più voglia di chiedere120.
Loro sono più che capaci di fare le foto che servono, perciò lascio fare a
loro, sono anche più bravi. Se io devo mettere delle cose sul computer, metto
molto più tempo di loro, loro lo fanno in un attimo121.
Inoltre, anche il desiderio di comunicare con persone amate ma
distanti può diventare una buona mediazione con questo mondo che
attraverso questa nuova prospettiva appare come una potenzialità e
una risorsa.
120
Intervista 7 DK.
121 Intervista 35 DK.
90
Il computer è il mio collegamento con amici, vicini e parenti che non
sono da me nel momento. Con il suo aiuto posso mandare un messaggio, posso
parlare con qualsiasi posto del mondo, posso scrivere una lettera, auguri per una
festa, posso scrivere qualche documento ecc.122
Preferisco mandare una mail che mandare un sms, scrivere una lettera o al
limite telefonare. È molto più pratico con la posta elettronica. È una cosa
meravigliosa! A volte non è facile parlare in altri modi … aiuta le persone a
mantenersi unite. La posta elettronica è più facile. Anche quando siamo tristi (o
allegre!), per esprimere un sentimento qualsiasi, a volte abbiamo voglia di
mandare un messaggio a qualcuno, l’ora non importa123.
Lo uso per comunicare con la mia famiglia (che vive lontano) scambiamo
mail, è molto più facile124.
Il Computer e la rete a volte diventano anche il pretesto per continuare
ad essere in relazione coi figli e le figlie, coi mariti e/o i compagni.
Grazie a mia figlia ogni giorno imparo nuove e nuove cose. Posso sempre
chiamarla e chiederle. Lei m’aiuta tanto. Anche se non sa qualche cosa al
momento per telefono, poi mi scrive una lettera con tutte le istruzioni e la manda
per e-mail125.
122 Intervista 42 B.
123 Intervista 7 P.
124 Intervista 17 P.
125 Intervista 37 B.
91
I miei figli hanno già conoscenza di computer e anche loro mi hanno
aiutato. Il loro rapporto è un po’ ironico [ride e alza le spalle come per dire che
“questa è una cosa normale”]. Ma mi hanno aiutato e rispettano le mie prove per
imparare il computer. Almeno abbiamo un altro tema di cui parlare: è abbastanza
interessante della nostra contemporaneità126.
Magari le donne si avvicinano al computer per riuscire a stare un po’ più
insieme alla persona con cui stanno insieme che alla sera si dedica
completamente… almeno da quello che sento in giro127.
Capita spessissimo che le donne intervistate abbiano iniziato per i figli
e le figlie.
Per la prima volta ho avuto il piacere non solo di avere conoscenze, ma
anche di fare alcune cose più interessanti per me, grazie alla mia figlia piccola,
che aveva un gran desiderio di averlo e glielo abbiamo comprato. E mentre lei si
occupava professionalmente, perché ha già imparato la materia, avevo
l’occasione di impararlo anch’io. Era molto interessante, perché io come tutti ho
cominciato con piccoli giochi128.
Abbiamo comprato il computer al figlio che andava ai corsi, e doveva fare
pratica […] Ho imparato di più assieme al figlio, ma non vuole continuare ad
insegnarmi, perchè gli è più facile fare da solo, non insegnarlo a me. Mi dice di
frequentare il corso, probabilmente lo farò129.
126 Intervista 4 B.
127
Intervista 10 I.
128
Intervista 32 B.
129
Intervista 3 L.
92
Il mio primo incontro con il computer è stato a casa mia, quando lo
abbiamo comprato ai nostri figli130.
Grazie alla presenza costante ed amorevole di figli e figlie molte
intervistate sentono di poter andare avanti nell’apprendimento ed
essere tutelate dalla possibilità di commettere errori irreparabili.
Non c’è la sensazione di paura che potrò rovinare qualcosa, perchè lo
faccio con l’aiuto della figlia minore131.
Nelle interviste effettuate in Bulgaria, una cosa che colpisce per
differenza rispetto a quelle realizzate negli altri Paesi, è che le persone
più giovani tendono a prendere in giro e a scherzare anche piuttosto
pesantemente con le persone più vecchie che non possiedono, o che
hanno poche, conoscenze informatiche.
Per esempio i bambini mi hanno aperto una e – mail, e attaccano: ‘ma
come mai hai dimenticato la tua password!’ Non mi aiutano, solo dicono: ‘Fai da
sola!’ e ridono. La stessa cosa con il cellulare – te lo danno e ti dicono: ‘Hai un
libretto leggi – tutto è descritto lì dentro!’ In altre parole io mi sono istruita da
sola, nessuno mi ha aiutato, solo hanno scherzato con me. Però con i colleghi è
un’altra cosa132.
130
Intervista 17 B.
131
Intervista 3 L.
132
Intervista 7 B.
93
Mio figlio però scherza sempre: ‘mamma, è facilissimo – perché fai
cosi?!’ O se deve mostrarmi e insegnarmi a qualcosa, mio figlio non può! Lo fa
in modo che io non capisca nulla. [fa dei movimenti sulla tastiera come se
suonasse il piano], ‘ecco guarda’. Però io non capisco nulla. E lui dà i comandi
da solo e non spiega nulla133.
Ho due figlie già grandi che sono molto brave con la tecnica e non
scherzano con la mia ignoranza in quel campo – piuttosto mi aiutano tanto134.
133
Intervista 5 B.
134
Intervista 9 B.
94
La tecnologia: pericoli e fantasmi.
Un immaginario sfavorevole avvolge e coinvolge le tecnologie. Un
immaginario che si sostanzia di vissuti che vanno dalla resistenza
rispetto ad un qualcosa che si avverte come estremamente potente e
totalizzante, alla percezione di una qualche forma di pericolo per la
propria salute e/o sicurezza. Paura delle tecnica alle volte, in altri casi
un rapporto di inimicizia che significa mancanza di sintonia con lo
strumento, altre percezione di un pericolo verso il vasto mondo aperto
dalla rete.
Riesco a vedere che ci sono tante possibilità, ma non ho avuto né tempo
né voglia di impararle ancora, forse sbaglio, perché sicuramente sarà il futuro.
Ho sentito dire che possono succedere tante cose, per esempio che quelli che
fanno acquisti on-line vengono fregati135.
Il computer ha molte cose belle, ma ha anche cose cattive, che non
servono a nulla136.
Sono dell’idea che non tutto è così sicuro […] Secondo me il computer
andrebbe usato solo con determinate cose, non per tutto137.
135
Intervista 22 DK.
136
Intervista 8 P.
137
Intervista 8 I.
95
In questa prospettiva, anche la dimensione del tempo acquista un peso
diverso: tutto appare troppo accelerato, veloce, in continua
evoluzione. Non sono più previsti pause e tempi di riflessione, tutto
deve capitare subito. I tempi di lavoro paiono disumanizzati e
disumanizzanti, pare non esserci più spazio per i tempi a misura di
essere umano, fatti quindi anche di pause e tempi morti, e questo a
lungo andare rischia di privarci di una parte importante della nostra
vita.
Però c’è tanta gente che ci esce fuori di testa, nel senso che la nuova
malattia di questi anni: siamo tutti esauriti perché, comunque, il fatto che sia
tutto molto veloce, ti devi adeguare alla velocità138.
A volte ho la sensazione che il computer e internet ti rubano il tempo, per
esempio ci vuole tempo per rispondere a tutti quell’e-mail che ricevi. Tutti
pretendono una riposta veloce, il tempo si è accelerato, anche al lavoro, non
esistono più periodi di tranquillità, quando hai controllato la posta la mattina,
non esiste più di aspettare il giorno dopo prima di rispondere. É un po’ stressante
che è tutto così concentrato ed intenso. Ti stanca, prima c’erano dei momenti
tranquilli, ora va tutto veloce. Il computer crea delle prospettive di risposte
veloci, tutto deve sempre andare più veloce, non puoi mai fermarti, nemmeno un
attimo139.
138
Intervista 5 I.
139
Intervista 22 DK.
96
L’utilizzo del computer dovrebbe servire e serve a sveltire il lavoro, ma io
vedo che la maggior parte delle persone lavora un sacco di ore. Anzi, il computer
uno magari ce l’ha anche in casa o ha il portatile e continua a lavorare anche a
casa140.
Anche rispetto ai pericoli e ai fantasmi legati all’uso delle TIC, un
ruolo determinante è svolto dai bambini: è soprattutto nei loro
confronti che gli adulti avvertono tutta una serie di pericoli, alcuni dei
quali sono reali, molti altri appartengono all’immaginario. Tra questi
pericoli, vi è la possibilità per bambini e bambine di incorrere nella
pedofilia, di essere attratti verso un mondo da cui loro stessi non sono
in grado di difendersi autonomamente, e i genitori non possono quasi
nulla dal momento che questi contatti si insinuano in una maniera che
è difficile da individuare, nei giochi o nei siti dedicati ai più piccoli.
Anche qui però vi è una differenza tra le madri che hanno familiarità
con questo mondo e quelle che non ce l’hanno: le prime, essendo
consapevoli del pericolo costituito da internet ma essendo altrettanto
convinte dell’importanza di poterli utilizzare, ci raccontano di tutta
una serie di meccanismi messi in atto per proteggere i loro figli e le
loro figlie. Si va da particolari filtri, ad orari limitati in cui avere
accesso alla rete, alla supervisione continua durante la navigazione,
etc.
140
Intervista 11 I.
97
Spesso si sente dire che sono successe delle cose brutte ai bambini,
quando usano le chat. A casa nostra abbiamo delle regole per le bambine:
abbiamo stabilito quali siti possono guardare e che possono giocare al computer
un’ora al giorno, quando hanno completato i loro compiti per la scuola, ma non
giocano spesso. Internet lo possono usare in relazione con i loro compiti, per la
scuola. Finora non ho mai scoperto che hanno visitato siti che per loro sono stati
proibiti. Ascoltano la radio on-line, ma non comprano musica141.
Ho molta paura dei siti di pedofili; per questo motivo ho scelto di mettere
dei filtri sul nostro computer personale. A volte ho anche paura degli hacker,
specialmente ora che abbiamo l’ADSL, ma abbiamo dei programmi anti-virus, e
bisogna imparare a vivere con il rischio. A casa abbiamo stabilito delle regole:
ovviamente i figli possono usare il computer per i loro compiti, in più il minore
può giocare a Runscape ed usare la chat, ma devono rispettare degli orari,
altrimenti sono capaci di stare li tutto il giorno142.
Tuttavia penso che i bambini si appassionano al computer. Ecco perché noi
abbiamo orari – una mezz’ora di gioco, perché ho amiche i cui figli giocano
fino a mezzanotte o l’una di notte. Ma penso anche che fa male agli occhi.
Non so ma questo è la mia opinione. Mio piccolo figlio ha dei problemi con
gli occhi – qualche allergia – e quando guarda a lungo lo schermo i suoi
occhi diventano rossi. C’è anche un altro problema: i bambini non sono
molto ubbidienti e se giocano a qualche gioco o fanno un’altra cosa al
computer non sentono nulla143.
141
Intervista 15 DK.
142
Intervista 16 DK.
143
Intervista 17 B.
98
Voglio controllare mio figlio su che siti va. Non sono lì presente, ma visto
che la cucina è sotto [lo studio] sento quando entra e ad un certo punto faccio
finta di niente e vado su di sopra. Però ci va raramente, quindi sono tranquilla144.
Per contro, le madri che non hanno familiarità con computer e rete,
parlano di questi pericoli, di cui hanno sentito parlare attraverso i
media, con toni catastrofici, privi di una presa sul reale. E di
conseguenza, non sono nemmeno in grado di pensare o proporre
strumenti e situazioni che proteggano i loro figli e le loro figlie.
Forse, questo diverso modo di regolamentare l’accesso a computer e
rete è un motivo per cui le madri hanno un atteggiamento molto
differente per quanto riguarda il pericolo di isolamento di chi utilizza
troppo internet e il computer rispetto al mondo reale. Per prima cosa è
interessante notare che quasi esclusivamente le madri che non hanno
familiarità con le TIC avvertono questo pericolo come incombente,
come qualcosa che, proprio perchè non controllabile, è dietro l’angolo.
L’altra cosa altrettanto interessante da rilevare è che nei racconti di
queste donne, sono sempre i giovani a perdersi nel mondo di internet,
a perdere i contatti con la vita reale perché immersi in un mondo
fantastico. Sono i giovani che rinunciano ai contatti personali con gli
altri coetanei, nel senso che non hanno più il piacere di uscire di casa,
di fare delle passeggiate e incontrare gli amici in carne e ossa, di
praticare sport e di leggere libri.
144
Intervista 35 I.
99
I giovani stanno troppo tempo davanti al computer, e col tempo diventano
malati e chi sa che cosa, non escono mai fuori e non usano più il loro corpo. Mi
fa paura quando non riesco a comunicare con i miei figli, a volte sembra di
parlare con una porta, quando sono davanti al computer. Mi sembra che il
computer abbia preso il potere, e vale per tante persone specialmente i giovani145.
La tecnologia […] a volte però mette dei paletti. Delle volte piuttosto che
andare a fare una passeggiata dove c’è un po’ di gente… Molti non lo fanno più!
Una persona timida è difficile che la schiodi dal computer per andare in mezzo
ad altra gente: il rischio è questo!146
Il bene è l’economia del tempo, il male…Beh! se qualcuno s’abitua, può
essere la dipendenza [risata] Questo non mi minaccia. Penso che la gente della
mia età non sia a rischio di dipendenza, principalmente capita agli adolescenti147.
Internet è più dannoso che utile. Lo vedo dalle persone che mi stanno
vicino: il figlioccio gioca nel sito internazionale senza mangiare, senza bere, è
pallido e gioca, è computer-dipendente. È molto male, è patologico148.
Ritengo che moltissimi bambini si ammalino della dipendenza dal
computer, perchè la maggior parte gioca con i giochi, che sviluppano
l’intelletto, ma sono abbastanza aggressivi, un’altra parte siede nel sito
draugi.lv (un sito lettone) l’intera giornata149.
145
Intervista 7 DK.
146
Intervista 18 I.
147
Intervista 4 L.
148
Intervista 18 L.
149
Intervista 3 L.
100
Forte è anche la percezione di un pericolo per la propria salute: si va
dall’arrossamento degli occhi, al mal di testa, all’incapacità di agire e
pensare con la propria testa.
Qualche tempo fa ero andata ai corsi. [guarda nel vuoto] Forse è una
barriera psicologica, un respingimento, non riesco a capirlo. Dopo essere tornata
dai corsi avevo sempre mal di occhi e di testa. [pensierosa] Forse sono io stessa a
pormi così. [rigida] Ho deciso che questo per me è nocivo e ho smesso tutto
[riferito ai corsi]. Non so da dove mi viene questa paura150.
É vero che fa risparmiare molto tempo e soldi. Tempo fa però al mio
lavoro hanno tolto l’elettricità: a quel tempo noi abbiamo dovuto fare un gran
accertamento di contabilità. E devo dire che era molto difficile. È venuto il
programmista e ha aggiornato il programma […] Prima di cominciare a lavorare
al computer queste cose le sapevo benissimo. E adesso all’improvviso quando
l’elettricità è mancata, avendo una scadenza per finire il lavoro, e non funzionava
neanche la calcolatrice – anch’essa funziona con l’elettricità... Era tanto difficile
per me. Quindi il computer ha molti aspetti positivi, ma una persona può
dimenticare come si calcola a mano e tante altre cose151.
D’altra parte però io non trovo il computer come una cosa utile perché fa
male alla salute – irradia. Il problema non è solo la radiazione, ma le luci e le
vibrazioni dello schermo che sono quelle che fanno male agli occhi. Secondo me
però il computer fa male a tutto il corpo umano. Si tratta anche di movimento
150
Intervista 49 L.
151
Intervista 12 B.
101
cioè la gente non fa tanti moto quando sta al computer. Secondo me d’ora in poi
si vedranno i danni del computer. E penso anche che questo fatto è ancora un
segreto. Quindi penso che come il computer è utile così è anche dannoso
specialmente per la salute152.
Non sono abituata a lavorare a lungo al computer, si rompono i capillari
degli occhi153.
Infine, in qualche intervista le interlocutrici hanno segnalato i danni
che le irradiazioni del monitor possono provocare per la salute di chi
sta seduto davanti allo schermo del computer per tanto tempo.
Chiaro che si danneggia la salute, dipendenza totale, non io, ma i miei
alunni, gli adolescenti sono molto dipendenti. Si danneggia il sistema endocrino
a causa del computer, perchè la tiroide sta proprio contro il monitor del
computer, e viene attraversata perchè la sedia per computer ha un piede metallico
che conduce le radiazioni154.
Un pericolo che è viene avvertito un po’ ovunque è legato al fatto che
i computer sono visti come i responsabili della perdita e del venire
meno di molti posti di lavoro.
152
Intervista 16 B.
153
Intervista 17 L.
154
Intervista 19 L.
102
In certi campi il computer è fondamentale però ha levato anche tanto
155
lavoro .
Ho paura che col tempo ci saranno più disoccupati, perché il computer
prende sempre più potere156.
I computer non mi piacciono. Non lo trovo divertente, né interessante, né
ora né prima. L’idea che mi è rimasta da allora è che arrivava un “mostriciattolo”
a sostituire la manodopera. Mi è rimasta questa idea ed è difficile mandarla via.
Ciò non vuol dire che non lo usi157.
So che è utile per le aziende, è molto utile che tutto sia informatizzato,
rende più facile conservare documenti, cercare le cose, ma per la gente è
sgradevole, perché molti perdono il lavoro a causa dei computer. Le imprese
vengono informatizzate, ma si perdono posti di lavoro158.
155
Intervista 1 I.
156
Intervista 7 DK.
157
Intervista 15 P.
158
Intervista 47 P.
103
Un diffuso senso di inadeguatezza
Crediamo sia connesso all’immaginario negativo un diffuso senso di
inadeguatezza che si rileva dalle interviste. Inadeguatezza a cosa?
Verso cosa? Paura di rompere, di sbagliare, e inadeguatezza verso uno
strumento che non si conosce ed è tuttavia ritenuto fondamentale nella
società attuale.
Le nuove tecnologie sono molto importanti, perché oggi è così e uno
sente che rimane indietro, è triste159.
All’inizio era tutto diverso, si viveva benissimo senza computer, senza
informatica, ma oggi no. Non c’è impresa, servizio che non sia informatizzato. E
chi non sa l’informatica, per trovare lavoro, per esempio, non trova niente160.
E oggi non c’è niente che non si faccia con il computer, oggi chi non ne
capisce di computer, non sa niente, è proprio vero. Mi dispiace non saperne di
più, ma è anche la pigrizia, credo [breve pausa] Non è proprio pigrizia, è
rimandare a quando avrò tempo161.
159
Intervista 38 P.
160
Intervista 46 P.
161
Intervista 42 P.
104
Il vissuto di inadeguatezza è strettamente connesso più che alle
competenze reali e all’impiego pratico che delle tecnologie si fa, a
quelli che potremmo chiamare ‘i fantasmi della tecnica’.
Io assolutamente non sono una specialista di computer, nonostante sia
davanti al computer quasi tutto il giorno162.
Infatti, questa paura inspiegabile ha un peso fortissimo nella prima
fase di apprendimento, ma va scemando con l’uso quotidiano e un
maggiore apprendimento.
Prima avevo paura di andare per tentativi. Avevo paura di rovinare
qualcosa. [Adesso] mi sento sicura e ho anche aiutato le colleghe che hanno
difficoltà, a volte passo per gli altri uffici e mi chiamano per aiutarle ed io cerco
di risolvere il problema163.
Forse non ho formazione per certe cose, ma mio marito mi dice che non
ce n’è bisogno, mi dice che basta solo cominciare a usarlo164.
Riteniamo che questa paura sia connessa alla differenza femminile nel
senso che nel caso dei primi approcci fatti da uomini della stessa
generazione, questi sentimenti sono totalmente assenti. E infatti nei
racconti sia fatti da uomini che da donne, gli uomini da subito
162
Intervista 34 B.
163
Intervista 5 P.
164
Intervista 44 P.
105
sperimentano in completa autonomia, si lanciano in questa nuova
avventura senza timori.
Mio marito, che non ha fatto nessun corso, va dappertutto e con mia figlia
è la stessa cosa, credo che il problema sia cominciare a usarlo e imparare senza
paura165.
Lui [il compagno] prende e va, ma sa già come muoversi. [ride]166
La paura di tentare, di procedere attraverso tentativi ed errori, di
mettersi alla prova praticamente senza nessun appoggio teorico pare
appartenere quasi esclusivamente alla generazione delle donne adulte,
che infatti riconoscono a figli e figlie, mariti, compagni, colleghe,
sorelle… un coraggio e una spregiudicatezza che non appartiene loro,
almeno in prima battuta. Inoltre, questo tipo di paura pare quasi
totalmente sconosciuta, oltre che agli uomini, alle nuove generazioni
di uomini e donne.
Mia sorella non ha niente a che vedere con me perché lavora in un ufficio
e senza aver fatto corsi. Tutto quel che sa è per tentativi, anche quando c’è un
problema che nessuno risolve lei lo risolve, me ne sono accorta. Fa molti
tentativi, io non sono così, non ho questa intraprendenza167.
165
Intervista 44 P.
166
Intervista 5 IT
167
Intervista 41 P.
106
Quando scrivo o faccio un lavoro ho sempre mia figlia accanto, lei ne
capisce di computer, non ha fatto corsi, ma sa cosa fare168.
Inoltre, c’è una inadeguatezza percepita che riteniamo legata allo
stereotipo, smentito dalla realtà quotidiana, che vede le donne e le
tecnologie come mondi separati. Infatti, alla domanda iniziale se
sanno usare il computer, moltissime donne negano, dicono di
utilizzarlo ma senza competenze specifiche. Cosa che è contraddetta
poi dalla descrizione delle funzioni che utilizzano e delle attività che
riescono ad utilizzare.
Personalmente non credo di essere diventata più brava ad usare il
computer, però ammetto che non posso distruggere niente, e perciò ho più
coraggio a sperimentare169.
Magari è l’età, l’età c’entra e anche il tempo e la disponibilità. Perchè
credo che l’informatica sia proprio così e se noi non la usiamo, non ci lavoriamo,
non impariamo niente. Mi ritengo in pratica un’analfabeta, perché lavoro
soltanto con programmi specifici, so solo quello che ho imparato con quei
programmi170.
Il computer lo uso da quando è uscito [sul mercato], perché nell’azienda
dove lavoravo lo hanno messo subito. Cioè, un minimo lo so fare: è chiaro che
168
Intervista 14 P.
169
Intervista 1 DK.
170
Intervista 46 P.
107
non sono un prodigio del computer, perché non ho la velocità non utilizzandolo
spesso171.
171
Intervista 2 L.
108
Resistenza alla tecnica
Rispetto all’immaginario positivo che circonda le tecnologie
informatiche, che le vede come il nuovo, insostituibile mezzo di
comunicazione e lavoro, nelle interviste registriamo una sorta di
resistenza passiva, il desiderio molto forte di non uniformarsi a questo
immaginario, di non rinunciare a quegli aspetti della propria esistenza
- come i contatti umani e la passione per i libri stampati – che in
questa nuova grande narrazione non trovano una collocazione.
Per me come storica in Internet c’è un intero pianeta d’informazione.
L’Internet come mezzo di comunicazione non l’uso e non l’userò perchè per me
è importante vedere la persona direttamente172.
Anche se so che è il mezzo di comunicazione più importante, che la gente
risolve tutto con il computer, tutta la comunicazione e i documenti, nonostante
tutto me ne sento lontana. E in qualche modo, allo stesso tempo vedo che è uno
strumento avanzato, e mi fa paura e quando penso al computer e a macchine
simili è un’evoluzione molto grande, ma è anche un danno per la nostra vita
sociale173.
172
Intervista 40 L.
173
Intervista 25 P.
109
Va benissimo anche la posta elettronica per scambiare foto. Anche se la
lettera è una cosa diversa. Una lettera è sempre una lettera, fa sempre piacere: è
una cosa che scrivi personalmente. È un’altra cosa174!
Non uso la Chat e non navigo senza avere un motivo specifico, so che
tanti lo fanno, ma non mi interessa175.
Io non uso un computer e sono felice di dirlo, perché non sono dipendente
da nessuna tecnica. Io sono decisamente per il loro utilizzo. Noi pensiamo di
comprare presto un computer per nostri figli perché facciano il loro lavoro.
Nonostante non mi serva un computer176.
Penso di conoscere quasi tutte le cose che si possono fare con il computer
e internet. So che si possono scaricare libri (e-books), ma non lo faccio, ma mi
piace leggere in quel modo177.
Molto spesso, questa forma di resistenza non è pienamente
consapevole, e si traduce più con una serie di atteggiamenti poco
accoglienti che come una vera e propria critica rispetto a questo
immaginario.
174
Intervista 3 I.
175
Intervista 11 DK.
176
Intervista 13 B.
177
Intervista 31 DK.
110
Forse mi piacerebbe e mi potrei interessare ma no, non ho molta pratica.
Se davvero mi piacesse molto, forse avrei già imparato, il computer a casa c’è
sempre stato178.
La tecnologia per me è il massimo! Mi dispiace che non mi attiri, non mi
stimoli, c’è qualcosa in me che non mi spinge ad andare avanti. Il computer mi fa
pensare al lavoro179.
A casa non l’avrò mai, mi basta la TV e il video. Non vorrei a casa un
semiuomo. [ride]180
Qui non ho tempo, e a casa succede lo stesso, perché quando c’è mia
figlia, che lo usa, io non ho mai tempo, a volte penso che mi piacerebbe usarlo,
ma ho sempre un sacco di cose da fare, rinvio sempre e non ho mai provato, ma
sono curiosa, perché mi piacerebbe sapere, e mi piace usare tutto quello che ho a
casa e mi piace saperlo usare, mi piace lavorare con tutte le macchine, sino ad
ora non è capitato, ma verrà la volta buona perché credo sia importante, usarlo e
saperlo usare181.
Non provo nessuna avversione per le nuove tecnologie. Non mi sono
interessata di più forse perché non è ancora arrivato il momento di farlo182.
178
Intervista 27 P.
179
Intervista 11 P.
180
Intervista 19 L.
181
Intervista 42 P.
182
Intervista 8 P.
111
Mi piacerebbe imparare, ma come? Non faccio niente per imparare,
bisognerebbe che qualcuno mi stimolasse e dovrei comprare un computer e
allora nascerebbe il piacere del computer183.
C’è
nella
intervistate
la
sensazione
che,
abbandonandosi
completamente in questo nuovo mondo e nell’immaginario connesso –
che pure avvertono come affascinante ed utile – saranno poi costrette
a rinunciare ad aspetti della loro vita privata che ritengono
fondamentali e a cui non sono disposte in alcun modo a fare a meno.
Non provo alcuna curiosità di saperlo usare! [risata] Non ne ho mai avuto
voglia. C’è gente che se la sente, io no. Se si trattasse di un’altra cosa credo che
mi piacerebbe imparare, ma questo no! Toccare tanti pulsanti. È come con i
cellulari, ho il cellulare, ricevo e faccio telefonate, ma messaggi … . Il tempo che
mi fa perdere. Magari avessi tempo per altre cose. So che certe cose sono molto
più facili con il computer e su Internet184.
Internet è una cosa grande però ha anche le sue cose negative. Da una
parte ci dà tanta informazione. Ma dall’altra ti fa sentire stupido. Perché? Perché
ognuno può mettere una informazione, ma nessuno è responsabile per la sua
verità. In questo modo si può mettere qualsiasi informazione che non è vera.
Così la gente che vuole imparare può imparare una cosa che è falsa185.
183
Intervista 25 P.
184
Intervista 12 P.
185
Intervista 9 B.
112
Il computer è diventato l’unico attrezzo che è possibile usare, perciò non è
più solo un attrezzo, ma un obbligo per lavorare, ha aumentato il suo potere. A
volte mi sembra di perdere un po’ della mia creatività, perchè penso solo alle
possibilità del computer186.
Ho paura della freddezza, sono tutti oggetti che ci fanno diventare degli
automi, delle macchine. Ad esempio, tu mi parlavi di internet. Se tu mi dovessi
dire che noi facciamo tutto tramite Internet: acquistiamo frutta, verdura, pane…
No, no, non mi va bene. Io piuttosto faccio 10 km ma preferisco andare in fondo
a via Sestri perché so che lì vendono le puntarelle o la pasta che viene da Napoli,
e la mia vita è arricchita dalla soddisfazione di cucinare cose nuove, di parlare
con chi ti vende il prodotto e ti dice che è originale, perché altrimenti tu vai al
supermercato che tutto è uguale, ti viene una tristezza dentro che è da
piangere187!
Riesco ad accenderlo, a fare dei lavori ma non provo quell’entusiasmo
che hanno certe persone, e la smania di Internet. Se devo andarci e navigare, ci
vado, ma se non ce n’è bisogno non ho quella curiosità. Lo confesso non ho un
grande interesse, proprio no188.
186
Intervista 31 DK.
187
Intervista 8 I.
188
Intervista 18 P.
113
L’inglese: una difficoltà oltre la difficoltà
Per le donne intervistate, una difficoltà che si aggiunge alle altre nella
possibilità di apprendimento e utilizzo di computer e rete è costituita
dall’impiego nelle TIC della lingua inglese come lingua universale.
Infatti, in molte ci hanno segnalato che, dal momento che loro non
padroneggiano questa lingua ritenuta irrilevante o poco importante ai
tempi della loro formazione, questo ha costituito per loro un ulteriore
ostacolo di non poca entità.
Ciò è vero in dimensione maggiore per i computer di prima
generazione che adottavano l’inglese come lingua ufficiale.
All’inizio, per me, è stato molto difficile, era una scatola che mi stava
davanti ed emetteva messaggi [pausa] che non capivo [pausa] ma poi ho
cominciato a capire il computer. È stato difficile, era tutto in inglese, non c’era
niente in portoghese [pausa] ma ho imparato a conoscerlo189!
Per noi è molto più difficile, perché non so l’inglese e questa è stata la
difficoltà maggiore190.
Ma rimane vero anche oggi per quei Paesi, come Bulgaria e Lettonia,
in cui la lingua madre prevede l’impiego di caratteri alfabetici
differenti da quelli impiegati dall’inglese.
189
Intervista 3 P.
190
Intervista 21 P.
114
Anche l’inglese è molto importante. Perché senza questo inglese è
impossibile sedere davanti al computer. E veramente si deve prima imparare
l’inglese, e poi mettersi al computer, o almeno tutte le due cose insieme.
Altrimenti non va191.
Certamente c’è una barriera di lingua perchè se non posso fare qualcosa,
il computer getta un testo in inglese, ma non ho le cognizioni così buone per
capire, ma non ho anche nessuna necessità di scrivere192.
Il computer, credo che se sapessi l’inglese, riuscirei a usarlo, quello
chiede tutto e non è così difficile, credo di no193.
Loro [i computer] mi parlano in inglese ed io non so l’inglese194.
Il mio grande problema è che tutto quello che è scritto al computer è in
inglese ed io parlo tedesco, quindi è tanto difficile per me195.
Il mio grande problema finora è la lingua. Se voglio lavorare al computer
e a tutti i suoi comandi, dovrei sapere la lingua inglese196.
191
Intervista 18 B.
192
Intervista 2 L.
193
Intervista 24 P.
194
Intervista 13 P.
195
Intervista 1 B.
196
Intervista 32 B.
115
Commenti e considerazioni finali: gli otto nuclei tematici
Alla luce del lavoro di ricerca sulle storie di vita e della
conseguente analisi comparativa, possiamo affermare che le
narrazioni, e quindi le esperienze, raccolte nei diversi Paesi coinvolti
nel progetto, pur nella loro estrema differenza e complessità, sono
accomunate per il fatto di attraversare, chi più chi meno, otto grandi
gruppi di questioni che possiamo così riassumere:
1)
Per il nostro target, l’uso di computer e rete sono
vincolati all’esistenza di una qualche forma di necessità, di un qualche
tipo di bisogno che si ritiene soddisfabile grazie all’impiego di queste
nuove tecnologie. Nonostante esistano e siano menzionate diverse
tipologie di necessità, tutte legate alla sfera dei bisogni personali, in
assoluto è la necessità legata al mondo del lavoro il motore e la causa
prima che spinge al primo approccio verso le TIC: quasi tutte le donne
intervistate hanno iniziato o perché computer e rete facilitano il lavoro
che svolgono, o perché sul luogo di lavoro è diventato obbligatorio
saper utilizzare certi strumenti e programmi, o infine, perché
cercavano di reinserirsi nel mercato lavorativo in cui l’impiego di
queste tecnologie risulta imprescindibile.
2)
Il tipo di approccio all’uso delle TIC da parte delle
donne adulte intervistate rende indispensabile l’incrocio di teoria e
pratica; infatti, se nel momento iniziale molte di loro si sentono
legittimate e protette nel delicato processo di apprendimento dal fatto
di poter seguire dei corsi specifici, il salto di qualità avviene sempre e
116
soltanto quando c’è la possibilità/necessità di utilizzare i nuovi
strumenti e le nuove conoscenze quotidianamente.
3)
Agli occhi di parecchie delle intervistate, le TIC
appaiono come mezzi efficaci per ottenere le informazioni cercate e
per rendere più agevoli e veloci alcune operazioni, come la
prenotazione di viaggi e di spettacoli, oppure le operazioni bancarie e
fiscali. Tutto ciò produce un notevole risparmio di tempo, risparmio
che non si traduce quasi mai in un re-impiego del proprio tempo
nell’utilizzo delle TIC per interessi personali, ma piuttosto nella
possibilità di avere più tempo libero da dedicare alle proprie passioni.
Rispetto al risparmio di tempo, una segnalazione che arriva da più
parti è che questo è possibile solo quando si ha una certa familiarità
con l’uso di computer e rete, mentre quando si è ancora inesperte è
indispensabile avere molto tempo a disposizione per imparare e fare
pratica. E questa esigenza di tempo pare costituire la causa di
numerosi abbandoni, soprattutto da parte di donne che, oltre a lavorare
e occuparsi della famiglia, non riescono a ritagliarsi uno spazio
apposito per dedicarsi all’acquisizione di nuove conoscenze e saperi.
4)
Spessissimo l’accesso alle TIC è veicolato da
mediazioni viventi, cioè da un familiare, soprattutto dalle figlie
femmine, ma anche da mariti, amici e colleghi, che aiutano e
facilitano il processo di apprendimento. Queste figure rivestono un
ruolo importante sia come compagne e compagni di studi, ma anche
come maestri e maestre amorevoli e accoglienti, sempre disposti ad
aiutare e a fornire spiegazioni. Inoltre, quando le donne adulte vedono
117
in computer e rete degli strumenti utili per dialogare e mantenersi in
contatto con le persone lontane velocemente e a costi ridotti, la
concreta possibilità di comunicare costituisce anch’essa una buona
mediazione per avvicinarle al mondo informatico.
5)
C’è e permane un immaginario negativo che
circonda il mondo delle TIC, rispetto al quale nelle nostre interviste
abbiamo registrato via via o la percezione di un pericolo per la propria
salute o per la propria sicurezza, oppure una sorta di resistenza rispetto
a strumenti che si avvertono come totali e totalizzanti, oppure ancora
un rapporto di inimicizia che si traduce con una non familiarità nei
confronti degli strumenti. Rispetto ai pericoli connessi alla possibilità
di utilizzare computer e rete, un peso molto forte è costituito dalla
possibilità, soprattutto per i più giovani, di incappare nelle numerose
reti di pedofili, o comunque di entrare a contatto con persone poco
affidabili, oppure nel rischio di perdersi in un mondo virtuale senza
più contatti con la realtà. Oltre a ciò, computer e rete in molti casi
sono ritenuti responsabili della perdita di numerosi posti di lavoro.
6)
Nelle parole delle donne intervistate, molto spesso
abbiamo avvertito un diffuso senso di inadeguatezza, almeno nella
prima fase di apprendimento all’uso. Un senso di inadeguatezza che
va scemando con l’aumentare delle capacità delle intervistate di
utilizzare gli strumenti informatici, ma che in alcuni casi pare
persistere nonostante il rapporto con le TIC sia un buon rapporto che
si gioca nella quotidianità. È come se rimanesse sullo sfondo e
118
continuasse ad avere un peso l’immaginario negativo che vuole le
donne e le tecnologie come mondi incomunicabili.
7)
Oltre al diffuso senso di inadeguatezza, nelle
interviste abbiamo avuto modo di leggere una sorta di resistenza
passiva, più o meno conscia, che parecchie donne intervistate
sembrano mettere in atto nei confronti delle TIC. Resistenza rispetto a
cosa? Rispetto ad un mondo in cui alcuni degli aspetti della propria
vita, come il piacere di uscire di casa e di incontrare gli amici o di
leggere un libro stampato, paiono non trovare più spazio. È come se
molte donne avessero paura che aderire a questo mondo e allo stile di
vita che questa adesione comporta, le costringesse a fare e meno di
qualcosa a cui non sono disposte a rinunciare. Raramente questa
resistenza è una resistenza consapevole che si traduce in una vera
critica rispetto a questo mondo. Molto più spesso è una resistenza
passiva che si traduce in atteggiamenti poco accoglienti o scostanti
rispetto alle possibilità offerte da computer e rete.
8)
Infine, soprattutto per le donne più avanti negli anni,
il problema dell’impiego di una lingua straniera nei comandi e
nell’uso delle TIC di prima generazione ha costituito e continua a
costituire un ostacolo che si aggiunge agli altri. Un ostacolo il cui
impatto emotivo continua a rimanere molto forte, e che continua a
persistere nonostante nei computer di ultima generazione questo
impiego massiccio della lingua inglese sia quasi scomparso.
119
Da ultimo, un discorso a parte meritano forse le interviste
realizzate in Danimarca. Infatti, questo è un paese che sotto questo
aspetto appare totalmente differente rispetto agli altri: le TIC sono
molto diffuse, vengono utilizzate a qualsiasi livello e, quasi, da
chiunque e questo impiego massiccio pare essere un patrimonio
comune della cultura danese ormai da diverso tempo. Questo
probabilmente fa sì che anche l’immaginario sia assolutamente
positivo, senza che vi sia tuttavia una eccessiva esaltazione delle TIC.
È un immaginario che si sostanzia di vissuti concreti, in cui anche gli
aspetti negativi, come la continua accelerazione delle nostre vite
connessa all’utilizzo di questi strumenti o il pericolo di perdersi nel
mondo virtuale, trovano una loro collocazione.
Le donne danesi sono le uniche che parlano di computer e rete
non solo come di strumenti utili per il proprio lavoro, ma anche e
soprattutto come dispositivi che consentono loro di conciliare vita
privata e lavoro, studio e impegni familiari.
120
Analisi delle interviste italiane
Lia Orzati
Nell’ambito del progetto Ciao!Women la Provincia di Genova, oltre
ad avere il ruolo di capofila, ha partecipato attivamente alla fase di
ricerca con la realizzazione di 53 interviste a donne tra i 35 ed i 55
anni in merito al loro rapporto con il computer e la tecnologia e
l’analisi di alcune riviste volta a far emergere se, e in che modo, i
mass-media descrivono il rapporto donne-tecnologia.
Le interviste sono state realizzate tra Gennaio e Maggio 2006, mentre
il lavoro sulle interviste tra Luglio e Novembre 2006.
Le interviste
La scelta del campione di donne da intervistare è stata uno dei
momenti più complessi. Ricordiamo che, trattandosi di una ricerca di
carattere qualitativo o non standard il criterio seguito non è stato
quello della rappresentatività in senso stretto quanto piuttosto
l’individuazione di donne, di età compresa tra i 35 ed i 55 anni, che
avessero voglia di parlare di loro stesse e raccontare il loro approccio
con il personal computer.
Laddove possibile sono state privilegiate le intervistate aventi il titolo
di studio più basso, così come sono state escluse le esperte nell’uso
del computer.
121
Data la difficoltà nell’individuare in maniera oggettiva le conoscenze
informatiche delle potenziali intervistate si è pensato di attingere dalla
banca dati delle persone che si sono iscritte ai corsi di informatica di
base promossi dalla Provincia di Genova.
La Provincia di Genova da 3 anni propone attività formative
nell’ambito informatico di vario livello di difficoltà, tra queste vi sono
anche i cosiddetti Corsi Nic –nuclei informatici concettuali- il cui
programma didattico prevede l’insegnamento degli elementi di
informatica di base. Fin dall’inizio i corsi hanno avuto un’ utenza
prevalentemente femminile tra i 35-55 anni. Si è quindi pensato di
contattare alcune di queste corsiste, scegliendole anche sulla base
dello “stato” del corso, ovvero sono state intervistate sia donne che
avevano terminato l’attività corsuale sia donne che stavano ancora
frequentando i corsi o che si erano appena iscritte perché sapevano
usare poco il computer e volevano acquisire maggiore confidenza con
lo strumento.
Per avere una maggiore rappresentatività del territorio provinciale,
sono stati coinvolti anche gli Sportelli territoriali Informalavoro presso
i Comuni di: Busalla, Campomorone, Sant’Olcese, Rapallo, Santa
Margherita Ligure, Sestri Levante che hanno segnalato donne
residenti entro i rispettivi Comuni di ubicazione.
Riguardo alle donne con disabilità, gli incontri sono stati resi possibili
grazie all’aiuto di associazioni presenti sul territorio e, data la
difficoltà nel trovare donne disposte ad accettare l’intervista, in alcuni
122
casi si è derogato dal requisito dell’età e sono state intervistate anche 2
donne con meno di 35 anni.
Riassumendo le intervistate sono state così reclutate:
•
21 tramite le liste delle persone che hanno frequentato, stanno
frequentando, sono iscritte a corsi di informatica di base
promossi dalla Provincia di Genova.
•
21 grazie alla rete degli Sportelli Informalavoro dislocati sul
territorio provinciale;.
•
6 (donne con disabilità) tramite associazioni;
•
5 mediante vie informali/amicali;
Età:
•
22 fino a 40 anni;
•
20 tra i 41 e i 50 anni;
•
11 over 50.
Titolo di studio:
•
30 in possesso di licenza media (7 di queste hanno seguito
anche dei corsi di qualifica professionale, es. sarta, segretaria,
operatrice schede perforate);
•
21 hanno il diploma di maturità;
•
2 laureate.
123
Condizione occupazionale:
•
28 disoccupate;
•
25 occupate prevalentemente come segretarie o in lavori part
time scarsamente qualificati (operatrici call center, colf,
pulizie, riordino magazzini e/o archivi, aiuto nell’attività
commerciale del marito).
Difficoltà riscontrate
-
il rapporto con il computer non è un argomento capace di
creare un forte coivolgimento emotivo. A parte alcune donne
particolarmente entusiate, che avevano già avuto modo di
confrontarsi con queste tematiche o comunque di avviare una
riflessione in merito al loro rapporto con la tecnologia, le altre,
seppur informate circa le finalità della ricerca e il tema
dell’intervista (nel contatto iniziale), sembravano un po’
sorprese che un argomento del genere potesse avere rilevanza
ai fini di un’indagine;
-
far scavare le intervistate nel loro passato. Molte hanno
rimosso alcune fasi del loro apprendimento del computer e
anche alla domanda: “Quando eravate bambine/adolescenti,
cosa vi dava l’idea del progresso tecnologico?” Le risposte
sono state inizialmente elusive (quando ero piccola io queste
cose non esistevano, il mondo era tutto diverso…). In molti
124
casi hanno provato a ripercorrere il loro passato ma per alcune
non è stato possibile, perché davanti a reazioni del tipo: “non
mi ricordo assolutamente”, ho ritenuto opportuno cercare di
non insitere troppo per non creare disagio nell’intervistata.
Principali osservazioni
-
il computer viene percepito da tutte come uno strumento
utile, indispensabile, addirittura un “consulente”. Anche
chi non è capace ad utilizzarlo è consapevole che il pc sta
diventando uno strumento di inclusione sociale, per cui
conoscerlo è quasi come saper leggere e scrivere. Anche
chi non vorrebbe “convertirsi” alla tecnologia si sente
quasi trascinata da quest’onda che sta modificando tutti i
consumi
(es.
un’intervistata
faceva
l’esempio
del
televisore al plasma, secondo lei pian piano saremo tutti
costretti a comprarlo perché i vecchi modelli di Tv
spariranno);
-
il computer è indispensabile per poter lavorare, non
saperlo utilizzare significa rimanere fuori dal mercato del
lavoro. A questo proposito molte intervistate si avvicinano
ai corsi anche su consiglio degli orientatori dei Centri per
l’Impiego;
125
-
c’è un forte bisogno di imparare il computer in maniera
sistematica, quanto meno le nozioni di base, altrimenti la
sensazioni è quella di brancolare nel buio (es. “io e mio
marito ci aiutiamo ma siamo due ciechi”). Una volta
appresi i rudimenti ci si sente più sicure e allora si provano
anche funzioni nuove, ma questo perché non si vede più il
computer come un’incognita;
-
le donne che hanno figli piccoli –elementari e medie
inferiori- si sentono stimolate ad apprendere il computer
per poter aiutare i loro figli nello svolgimento dei compiti.
La scuola infatti sta cambiando: le ricerche ora non si
fanno più in biblioteca ma su Internet;
-
il computer non deve rendere “schiave”. Va usato quando
“occorre” –lavoro, ricerche mirate in Internet – o anche
nel tempo libero ma con moderazione e comunque non è
sotitutivo di altre esperienze o di contatti umani diretti;
-
il cellulare nell’immaginario è lo strumento tecnologico
per eccellenza che in breve tempo è riuscito a cambiare,
almeno questa è la percezione, la vita delle persone. E’ un
mezzo
di contatto/comunicazione immediata facile da
usare, percepito forse come più “caldo” rispetto alla posta
126
elettronica perché consente di sentire la voce del proprio
interlocutore. Anche le intervistate può riluttanti nei
confronti del computer possiedono e utilizzano il cellulare.
Per molte donne il momento della presa di coscienza della
“velocità del progresso” è l’avvento del cellulare che in
breve tempo ha fatto irruzione nelle vite di tutti, donne e
uomini, giovani e anziani;
-
vi è poi una forte attrazione per la tecnologia a forte
impatto sociale, ovvero quella che riguarda la medicina,
l’ambiente e una maggiore autonomia e capacità di
gestione della propria vita nel caso di donne disabili.
Dalle interviste a dalla rilettura delle stesse emergono alcune
differenze tra le donne tra i 35 ed i 40 anni e quelle dai 41 in sù.
Le under 40 hanno un approccio più entusiastico verso la tecnologia e
quando usano il computer cercano di sfruttarne appieno anche le sue
potenzialità comunicative (Internet e posta elettronica), mentre per le
over 40 tale aspetto passa in secondo piano a meno che non sia
fortemente finalizzato (es. la catechista che “scarica” il materiale
didattico da Internet, l’esponente del gruppo religioso che organizza
manifestazioni). Per le over 40 il computer è ancora molto legato alle
funzioni tradizionali di scrittura, contabilità, calcolo. Queste
127
caratteristiche si vanno sempre più acuendo al crescere dell’età.
Avvicinandosi ai 55 anni la percezione è che il computer possa
rappresentare addirittura una perdita di tempo per il disbrigo di
commissioni burocratiche. L’esempio riportato da molte intervistate è
l’esperienza diretta presso sportelli bancari e postali in cui, in caso di
malfunzionamento del computer non si possono effettuare i
pagamenti. In questo caso non vengono assolutamente colte le
opportunità offerte dalla tecnologia per poter effettuare le medesime
operazioni stando comodamente sedute a casa, ma solo gli aspetti
potenzialmente negativi.
Un altro timore delle intervistate più adulte è che il progresso
tecnologico
contribuisca
ad
alimentare
la
disoccupazione.
Preoccupazione che deriva anche dal proprio status occupazionale,
infatti molte delle donne intervistate hanno un basso titolo di studio e
nella loro vita hanno svolto lavori manuali o ricoperto mansioni che
hanno subito significative trasformazioni. Un esempio è quello
dell’evoluzione delle competenze della segretaria, a cui oggi si
richiede una buona conoscenza del pacchetto Office e dell’inglese,
requisiti molto diversi rispetto a chi svolgeva la medesima professione
20-30 anni fa.
Per queste intervistate il computer è un intruso: la vita in tutti i suoi
aspetti quotidiani più banali (pagare le bollette, guardare gli orari del
cinema…) è come se seguisse una trama fatta di piccole abitudini e
monotonie, “già impostata”, secondo le parole di un’intervistata, per
128
cui è difficile pensare di inserire il computer all’interno della propria
vita perchè sconvolgerebbe troppo le abitudini consolidate;
Le più giovani usano molto la posta elettronica, scrivono ad amici,
sono abbonate a newsletter. Al crescere dell’età la posta elettronica si
usa poco o niente perché le amiche spesso non utilizzano il computer.
Anche il rapporto con il proprio compagno viene percepito come
paritario anche se lui sa già usare il computer. Spesso si apprende
insieme o comunque c’è uno scambio di informazioni, una volta
imparati i rudimenti informatici sono anche più disposte a
sperimentare, mentre al crescere dell’età aumentano gli stereotipi per
cui gli uomini sarebbero naturalmente portati per tutto quello che è
meccanica/tecnologia.
Inoltre le intervistate over 40 si sentono sempre combattute tra cura
della famiglia e tempo da dedicare a se stesse. Il tempo da dedicare al
computer e all’apprendimento dello stesso deve consentire di
conciliare i propri compiti domestici e di cura familiare.
Una componente molto importante per le intervistate più giovani è il
ricordo della loro adolescenza, quando il computer non era ancora
diventato alla pari di un elettrodomestico per costi e diffusione su
larga scala ma in alcune case cominciavano ad entrare il Commodore
64 ed i primi giochi elettronici. Per le più “anziane” invece, i primi
oggetti tecnologici di cui hanno memoria sono gli elettrodomestici che
hanno alleviato i lavori domestici -lavatrice, l’aspirapolvere…-. E’
129
rimasto invece impresso in maniera trasversale l’avvento della
televisione a colori.
Le intervistate che hanno una disabilità si differenziano dalle altre
principalmente per l’impatto corporeo che c’è tra loro e il computer.
Nel caso delle donne con paralisi cerebrale l’utilizzo del computer
permette di riappropriarsi in parte di una capacità creativa che il corpo
non consentirebbe dati i fortissimi problemi motori. Creatività che si
paga a caro prezzo perché comunque il computer richiede un enorme
sforzo fisico nel riuscire a coordinare i propri movimenti per poter
utilizzare la tastiera.
Le donne non vedenti invece hanno centrato la riflessione sul costo
degli ausilii per loro indispensabili per usare il computer e sul
problema dell’accessibilità ai siti Internet.
Tutte comunque vedono nel progresso tecnologico un modo per poter
riuscire ad uscire dai loro handicap, cercando di condurre una vita il
più possibile normale. L’intervistata con tetraplegia si soffermava su
quelli che sono semplici gesti come accendere la luce, chiudere le
porte; per le persone che hanno una ridotta capacità motoria poter
disporre di telecomandi o di controlli tramite computer per effettuare
queste operazioni rende la vita più autonoma.
130
Gli otto nuclei tematici
Dall’analisi delle interviste emergono degli argomenti comuni, che
abbiamo raggruppato in 8 nuclei tematici:
1.necessità (specialmente in ambito lavorativo)
2.approccio: teoria/pratica
3.economia del tempo: velocizzare e semplificare
4.mediatori (specialmente figlie e amiche)
5.paura della tecnologia/resistenza alla tecnologia
6.inadeguatezza
7.immagine negativa contro uso positivo
8.problemi relativi all’uso della lingua inglese nei programmi,
internet…
1. Necessità (specialmente in ambito lavorativo)
L’uso del computer viene percepito dalle intervistate come requisito
fondamentale per poter trovare lavoro (5I, 35 anni, licenza media:
“Allora, io ho fatto questo corso di computer perché, diciamo che la
mia trafila lavorativa è stata così: ho cercato per un po’ nelle imprese
grafiche per vedere se riuscivo ad inserirmi ma non c’era nessuna
possibilità. Poi, per stare lì a fare niente ho iniziato questo lavoro
come baby-sitter, per occuparmi un po’ le giornate e fare qualche
soldo. Ho fatto il lavoro di baby-sitter per 15 anni, fino all’anno
131
scorso. Solo che questo lavoro di baby-sitter, tutto in nero, per cui non
ho niente di dichiarato, non ci sono documentazioni.. E così mi è un
po’ passata l’età per poter essere assunta, sono arrivata ad aver 34 anni
che ero ancora lì e…Poi, esci, vedi un po’ come funziona il mondo,
vedi che comunque sia è tutto molto veloce, tutto molto
informatizzato. Va tutto molto velocemente, con dei ritmi…Non più
come quando ero bambina io. E’ tutto molto veloce, ti devi adeguare
ai tempi. Un minimo di manualità con il computer devi averla.”)
Il mio target di intervistate comprendeva molte donne tra i 40/50
desiderose di rientrare in un mercato del lavoro che avevano
conosciuto solo per pochi anni, appena terminati gli studi. Le
competenze acquisite sul lavoro e a scuola (l’uso della macchina da
scrivere, la stenografia…) sono ormai diventate obsolete, anche
perché, nel corso di questi 10-12 anni dedicati alla cura
familiare/domestica il computer ha fatto irruzione ovunque: uffici,
negozi, supermercati, per cui l’impressione è che, comunque, al
giorno d’oggi, anche per i lavori scarsamente qualificati il computer
sia indispensabile. (21I, 55 anni, licenza media, operatrice call centers:
“Secondo me anche se gli anni passano bisogna essere sempre in
grado di caversela…Perché secondo me, se dovessi trovare un lavoro
tu devi essere in grado, perché anche nei lavori cosìdetti manuali,
commessa, magazzino, ormai tutti devono sapere usare il computer.
Quindi questo desiderio di essere preparata comunque ad affrontare
eventualmente il mondo del lavoro, anche se può essere una cosa
assurda alla mia età mi ha spinta ad iscrivermi al corso.” 31I, 52 anni,
132
licenza media, disoccupata: “Ho deciso di fare il corso perché se non
usi il computer difficilmente trovi lavoro. E’ anche vero che io adesso
non sto cercando lavoro, però nella vita…Penso che presto dovrò
cercare qualcosa, non aspetto di aver bisogno per fare il corso, lo
faccio prima. E’ chiaro che non andrò mai a lavorare in banca, però se
vai nel bar dove devi digitare qualcosa [pensa ai bar dove si prendono
le ordinazioni via computer] almeno sai come si accende!”).
Nell’utilizzo del computer fondamentale è lo “status lavorativo” delle
intervistate: le occupate utilizzano prevalentemente sw dedicati –
pacchetti di gestione della contabilità, piattaforme on line per accedere
a banche dati…- e comunque programmi come Excel che consentono
di effettuare calcoli, mentre chi è disoccupata fruisce maggiormente
dei programmi di scrittura come Word. Questo a voler confermare
l’uso finalizzato che le intervistate fanno del computer, imparando
solo i programmi che “servono” per svolgere la propria attività,
mentre manca la voglia di conoscere sw nuovi a meno che non ci sia
uno stimolo che è quasi esclusivamente da imputarsi a motivi
lavorativi. L’unica eccezione è dovuta all’enorme diffusione delle
macchine fotografiche digitali che spinge le intervistate ad apprendere
qualche operazione di visualizzazione, memorizzazione delle foto. (2I,
53 anni, licenza media: “Qua [riferito al luogo dove lavora come
portinaia] non lo uso praticamente niente. Io provengo da una ditta,
dove ho lavorato 11 anni, dove avevamo i nostri programmi, perché
c’è anche questo da dire, che ogni ditta ha i suoi programmi
prestabiliti. Su quei tipi di programmi ci so lavorare.” 7I, 39 anni,
133
diploma, segretaria: “Adesso invece sul lavoro, in segreteria…Molto
word per le lettere, excel che uso più che altro per le tabelle, non so, le
auto a che numero di matricola del dipendente sono associate, più che
altro per fare degli schemi. Questo per quanto riguarda la segreteria
mentre per la gestione del magazzino, usiamo il programma che si
chiama SAP che è vastissimo, ma io ho solo l’abilitazione per usare
certe utenze e non tutto, ed è una contabilità di magazzino: entrate e
uscite di merci, spostamenti tra i vari magazzini. Mi piace. [le faccio
notare che SAP viene considerato un programma complesso]“Io ne
uso comunque una parte, quella per la gestione del materiale.” 6I, 40
anni, licenza media, disoccupata: “Word è forse quello che mi piace di
più perché si crea, anche con Paint…Perché puoi creare, scrivere le
ricette fare il disegnino, la cornicetta. Ad esempio io in casa mi sono
fatta il database della rubrica, mi sono ricopiata dal cellulare tutti i
miei numeri di telefono, ed è bello anche quello perché poi lo colori,
lo personalizzi.” 19I, 35 anni, diplomata, disoccupata: “La mia ultima
esperienza è stata in una ditta di spedizioni, nel settore del commercio
import-export. Usavo la posta elettronica, Internet, principalmente
Excel. Adesso sto facendo un corso di contabilità della Provincia, ed è
un programma di paghe e contributi. Mi trovo bene perché come
metodo è equivalente ad altri programmi. L’anno scorso avevo usato
un programma di contabilità Onda Esatto e rispetto a quello questo mi
sembra abbastanza semplice.” 4I, 43 anni, licenza media, aiuta il
marito in negozio: “Al corso mi sono piaciuti i programmi di testo,
immagini. Un po’ di meno i fogli di calcolo.” 5I, 35 anni, licenza
134
media, disoccupata: “Mi sono messa anche a copiare ricette però se
non è una cosa che devi arrivare a un fine, cioè, se devi fare un lavoro,
devi fare le tue cose, altrimenti fai le tue prove e poi, sì, dici lo ho
fatto ma…” 17I, 35 anni, diploma, disoccupata: “La contabilità, i
calcoli mi piacciono un po’ meno, se si tratta di farli per lavoro li
faccio, ma se si tratta di hobby, di passione…Mi piace la fotografia,
altre cose, però se si tratta di lavoro mi faccio piacere anche la
contabilità.)
Internet esercita una notevole attrattiva sulle Intervistate dai 35 ai 40
anni (5I, 35 anni, licenza media, disoccupata: “Una cosa che mi piace
fare è che mi piace tutt’ora è cercare informazioni su Internet, perché
cioè, è una porta aperta che non si chiude: da lì vai. E quello mi piace
moltissimo. E’ un’enciclopedia. Io la vedo come un’anciclopedia e
forse anche meglio di un’enciclopedia e poi c’è proprio la stessa
enciclopedia! Quella medica, quella classica, la Treccani, i dizionari, e
cioè… E’ di più di quello che può darti un libro. Anche se a me avere
un bel libro mi piace sempre. L’odore della carta, sfogliare le pagine.
Secondo me è una cosa diversa. Però se tu ti vuoi togliere una
curiosità.E poi da lì vedi anche altre cose, magari cerchi una cosa, poi
ti distrai e ne vedi altre. Cioè è un po’ come se fosse una piccola testa:
è infinito.” 16I, 35 anni, diploma, disoccupata“Adesso sono
intrallazzata [si dice intrallazzo quando una persona ha un rapporto
sentimentale con un’altra senza però dei vincoli formali –es.
fidanzamento-] su E-Bay, con le aste on-line, perché devo acquistare 2
telefonini e lì si compra meglio…Me l’ha consigliato il mio fidanzato
135
perché lui ha degli intrallazzi per comprare le forcelle della moto in
aAmerica con E-Bay…Io ho già venduto dei mobili antichi di mia
nonna.”), mentre con il crescere dell’età si viene ad attenuare questo
gusto della scoperta e riacquista notevole importanza l’aspetto
utilitaristico, ovvero “cerco” in rete quello che mi serve. (20I, 55 anni,
diplomata, disoccupata “Io faccio catechismo ai bambini in
parrocchia, a volte scarico il materiale dall’ufficio catechistico…Mi
trovo con materiale di varie catechiste dal mondo, materiale che è
interessante.” 31I, 52 anni, licenza media, disoccupata: “Su Internet
non ci vado molto. Ogni tanto vado a cercarmi delle ricette, qualche
cosa sui gatti, sugli animali. La posta elettronica, a me non
dispiacerebbe, è che non ho nessuno con cui scrivere! Tutto sommato
penso che sia una cosa positiva, preferisco telefonare, preferisco
sentirti però il saluto oppure la foto fa piacere.”)
Per le intervistate il computer non riesce a diventare una “passione”
ma rimane sempre un oggetto intelligente, un “consulente” per citare
una delle donne ascoltate. La paura infatti è sempre quella di essere
fagocitate dall’oggetto e dal suo mondo, perdendo i la dimensione dei
rapporti interpersonali. (6I, 40 anni, licenza media, disoccupata: “Non
sono una malata. Non sto ore davanti al computer, però mi piace: è
una bella cosa.” 7I, 39 anni, diplomata, segretaria: “Io mi spavento di
queste cose che alienano, anche la televisione, magari all’inizio mi
rilassa ma poi mi rendo conto che non riesco a staccarmi.” 11I, licenza
media, disoccupata: “Passione non ne ho: assolutamente! Non fa parte
sicuramente del mio essere, del mio io. Io sono una persona che ama
136
la natura, amo gli animali, lo vedo come un oggetto freddo, anche se
in effetti forse non lo è…Se andiamo ad analizzare forse non lo è
perché mette in contatto le persone e quindi non dovrebbe esserlo.”)
2. Approccio: teoria/pratica
Per imparare l’uso del computer le intervistate scelgono di avvalersi di
corsi spesso finanziati dalla Provincia. Difficile dire se le intervistate
sarebbero disposte a pagare un corso di tasca propria o se
rinuncerebbero ad usare il computer. Solitamente le disoccupate
percepiscono una carenza riguardo alle loro conoscenze informatiche
e durante i colloqui con gli orientatori dei CPI viene loro caldamente
consigliata l’iscrizione ai corsi, tanto che, come loro stesse affermano,
percepivano già prima questa “lacuna”, ma il colloquio con
l’operatore del CPI è stato determinante. Alcune intervistate dopo il
primo livello –informatica di base- decidono di proseguire con un
percorso integrativo per la preparazione agli esami per l’ecdl –patente
europea del computer-, tuttavia, se il corso dà maggiore sicurezza,
senza esercizio e pratica quotidiana è facile ripiombare in una sorta di
analfabetismo informatico di ritorno. (4I, 43 anni, licenza media, aiuta
il marito in negozio: “L’impatto è stato buono perché c’erano delle
persone che come me erano digiune. E’ stato divertente anche,
interessante. E’ che bisogna usarlo giornalmente, cioè non è che io
137
non sia proprio in grado di usare Office, probabilmente è che sono io
che sono un po’ tarda! Ho i miei limiti.” 3I, 44 anni, qualifica
segretaria, disoccupata: “A me interessava il lato pratico della cosa
[del corso]. Certe cose è meglio che ci sia qualcuno che te le spieghi,
nel senso, quando c’è un problema come devo risolverlo? Poche cose
sono importanti, però se qualcuno te le spiega le sai. Perché con un
manualetto che ti compri ci metti un anno. Io ci ho provato con i
manualetti ma non c’è paragone!”)
I corsi di informatica della Provincia di Genova sono frequentati quasi
esclusivamente da donne, molto interessante a questo riguardo
l’affermazione dell’intervistata 3I: “Al corso eravamo tutte donne, il
corso è l’alternativa pratica per le donne in questo momento, è l’unico
futuro che una donna in questo momento può avere.”
Dove
l’espressione “unica alternativa per una donna” sembra far riferimento
alla scomparsa di alcune professioni –con la fine dell’industria intesa
in senso tradizionale viene meno la figura dell’operaia generica- e
all’abbandono da parte delle italiane di altre –colf, badante…-, in un
momento
storico
in
cui
è
richiesta
una
sempre
maggior
specializzazione, chi esce dal mercato del lavoro ha notevoli difficoltà
a rientrarvi.
La scelta di seguire un corso è dettata anche dalla necessità di capire
meglio la logica che sottende i comandi del computer, necessità che
spesso i familiari non riescono a soddisfare, con spiegazioni frettolose
e mnemoniche del tipo: “schiaccia questo e questo….” (23I, 53 anni,
diploma, operatrice call center: “Mio marito l’ha sempre usato ma per
138
quello che era il suo lavoro, carico, scarico, [riferito al magazzino],
penna ottica. Non era certo quello che mi serviva per capire come si
usa un computer. Anche lì, siamo sempre al solito discorso dei due
tastini che devi schiacciare per fare una cosa, ma quello non è saper
usare il computer, quello è semplicemente saper quei pochi tasti in un
programma che devi utilizzare per fare quello specifico lavoro, ma se
io voglio fare un’altra cosa vorrei sapere come impostare le varie
risorse del computer per quello che IO devo fare.”)
Seguire il corso inoltre significa anche dedicare il proprio tempo ad
un’attività senza farsi distrarre dalle incombenze domestiche
quotidiane (39I, 47 anni, licenza media, disoccupata: “Mio figlio ha
provato a spiegarmi come andare in Internet ma in 5 minuti non fai,
perché poi dovevo scendere in cucina, girare il sugo e quindi è per
quello che ho accettato di fare il corso: stai lì delle ore, pensi solo a
quello…..“Una volta ho provato a rifare a casa le cose del corso, ci ho
provato ma non sempre ho tempo, perché al mattino sono lì, poi ho da
fare i lavori in casa, poi il piccolo fa delle attività sportive, nuoto, va
in palestra e quindi devo organizzarmi al massimo per riuscire.”)
Un problema riscontrato da più di una donna è quello di seguire le
lezioni ma, una volta a casa non riuscire ad utilizzare il computer
autonomamente a causa della mancanza di tempo, in questo modo le
nozioni apprese vengono facilmente dimenticate (25I, 44 anni, licenza
media, lavora non in regola in una pasticceria: “Mi piace usare il
computer perché tante cose le scopri usandolo, anche se leggi poi ci
arrivi maneggiandolo. Poi purtroppo dopo aver fatto quel corso ho
139
avuto altri problemi di lavoro, di casa e lo ho lasciato, non è che dal
2002 sono andata avanti con il computer. Adesso però ricominciando
di nuovo ho visto che quel po’ di prima e questo di adesso più avanti
vado più le cose mi servono.” 26I, 42anni, diploma, disoccupata: “Il
nic lo ho finito a dicembre di 2 anni fa. Secondo me il nic punta
troppo sui vari programmi come l’uso di Word e spiega poco l’uso del
computer, perchè poi le lacune più grosse erano quelle. Cioè, adesso
fare una cartella è una scemata, però all’inizio…Magari sai scrivere
lettere su Word, ma se devi recuperare una cosa nel computer non hai
ben chiaro il percorso e io vedo che questa mia amica è rimasta a
livello di quando ha finito il corso, io poi sono testarda e mi ci sono
messa e, impara una cosa oggi e una cosa domani, ce lo ho fatta.
Secondo me dovrebbe essere dedicato un po’ più tempo all’uso del
computer in generale e poi i programmi” 10I, 43 anni, diploma,
impiegata: “I corsi li farei ma poi, se tu non operi su quello specifico
programma, perdi anche quello che hai imparato.”)
3. Economia del tempo: velocizzare e semplificare
Riguardo alla velocità e all’economia in merito alla gestione del
tempo sembra esserci una contrapposizione tra intervistate. Chi sta
cominciando ad impare ad usare il computer prova diffidenza nei
confronti dello strumento che viene percepito come un oggetto
“fragile” che si spacca o va in tilt paralizzando interi uffici pubblici.
Questa visione è particolarmente diffusa tra le disoccupate che non
sembrano
rendersi
conto
quanto
140
sarebbe
complesso
gestire
informazioni/documenti senza supporti informatici. (47I, 44 anni,
licenza media, deve iniziare a lavorare come segretaria: “Ho sbagliato
a nascere negli anni 60 dovevo nascere negli anni ’30. Del progresso
non mi piace niente. Poi tutti questi computer, anche negli uffici, che
secondo me ci si mette di più, anche quando vai in posta a pagare una
bolletta, si bloccano i computer e stai delle mezz’ore!!”)
Le intervistate che hanno maggiore confidenza con il computer
sembrano invece gradire l’aspetto della velocità nella comunicazione e
nel poter realizzare tabulati di calcolo, documenti, ordinati e precisi
perché le correzioni non lasciano più segni (38I: “Mi ricordo prima,
anche con la macchina elettrica, era un problema, tra i correttori e tutte
queste cose che ci volevano), come avveniva quando si usava la
macchina da scrivere. Tuttavia, anche tra coloro che apprezzano la
velocità funzionale del computer, temono che il gran correre ed
affannarsi tipico della nostra era porti ad una perdita dei contatti
sociali –la passeggiata, l’uscita con gli amici- (7I, 39 anni, diplomata,
segretaria: “Della tecnologia mi piace la velocità, in genere mi piace la
tecnologia. Non mi piace l’aspetto…Forse ho paura possa essere
superficiale [le chiedo il perché e lei fa una lunga pausa]. Che sia
troppo comoda, allora che si usi poco il cervello. Ad esempio la
tecnologia è in tutto, aiuta ad essere più veloci, io faccio anche
l’esempio di casa, la lavatrice, il microonde, io sono pigra e mi piace
da morire ma forse toglie un po’ il senso di fare le cose come si faceva
un tempo. La nonna che faceva le torte, quella che faceva i ravioli, un
momento di aggregazione…La domenica, per dire. Mi piacerebbe
141
avere il tempo per badare alle cose semplici. Siamo tutti molto veloci
e perdiamo un po’ di comunicazione: magari di parlare ti scrivo una
mail. Io vedo che in ufficio sto tutto il giorno senza sapere se il
collega di fianco c’è: mi sembra un assurdo. E’ comodo scrivere ai
colleghi di Milano senza lettere e buste, però il rischio è perdere un
po’ di comunicazione.[le chiedo se vuole aggiugere qualcosa] [ride]
E’ che la domenica bisognerebbe avere voglia di fare i ravioli! Io sono
pigra e quindi favorevolissima alla tecnologia.” 36I, 40 anni, licenza
media, impiegata: “Ogni tanto mando un saluto ad una ex collega di
lavoro, magari le mando qualche fumetto, qualche disegnino. Più che
altro mando le e-mail per lavoro, perché vogliono le e-mail, non ti
danno nemmeno un telefono e io: ma non ce l’ha un telefono che
preferisco? E poi quando c’è qualche iniziativa mandiamo il
programma degli eventi via e-mail…..Mi spaventa il fatto che, anche
se il mio collega dice di no, ti può lasciare in panne. Ti faccio un
esempio: io programmo l’accensione dei caloriferi con il computer e
se non dovesse funzionare, ho una conferenza di 120 persone e le
devo lasciare al freddo: cosa faccio? E’ questo che mi spaventa! 3I,
44anni, qualifica segretaria, disoccupata: “Il fatto di accedere ad
Internet a me personalmente ha cambiato la vita. Non ho bisogno di
diventare matta con le pagine gialle che sono solo di Genova. Ad
esempio mio marito delle volte mi dice: devo andare a Imperia [il
marito si sposta molto per lavoro] e io cerco l’albergo, guardo la
mappa.”)
142
4. Mediatori (specialmente figlie e amiche)
Nel corso delle interviste mi sono resa conto come i figli possano
essere fonte di stimolo per molte donne per l’avvicinamento all’uso
del computer. Alcune intervistate infatti hanno detto esplicitamente di
aver comprato il computer pensando al futuro dei propri figli e di
come la curiosità nei riguardi di questo strumento sia stata stimolata
da essi. Questo che potrebbe essere un aspetto positivo purtroppo
viene controbilanciato dal fatto che le intervistate si sentono in dovere
di saper utilizzare il computer o quantomeno “capirci un po’ di più”
per poter aiutare i figli stessi nello svolgimento di compiti/ricerche
scolastiche (37I, 36 anni, licenza media, disoccupata: “Adesso voglio
aiutare mia figlia quando ha delle difficoltà e in più arrivare ad un
certo livello per me stessa, per sentirmi ancora giovane che lo sono,
per crescere con il mondo, con la vita…“Se sei una mamma chioccia
vuoi tenere il passo con i tuoi figli per poterli aiutare. Se mia figlia sa
anche io devo sapere per poterla aiutare se si trova in difficoltà come
si fa con gli studi a scuola”)
Il computer infatti viene acquistato perché ormai le ricerche non si
fanno più in biblioteca ma con l’ausilio di Internet, per cui il computer
sembra diventare un’attrezzatura scolastica quasi al pari di penne e
righelli (33I, 42 anni, qualifica segretaria, riordina scaffali in un
supermercato: “In casa abbiamo il computer da 6/7 anni. L’abbiamo
comprato per i figli, per il grande, che già adesso a scuola cominciano
143
a dirti che devi fare le ricerche con il computer, sei fuori se non hai il
computer, perché altrimenti per fare le ricerche devi andare in
biblioteca, quindi sei quasi obbligato a comprarlo.”)
Per le donne over 40 i mariti non sembrano essere degli insegnanti
ideali in quanto hanno poca pazienza e spesso diventano verbalmente
aggressivi (35I, 43 anni, diploma, disoccupata: [le chiedo come si è
trovata con il mouse] “I primi tempi mio marito mi diceva: vuoi che ti
faccia un bersaglio? Adesso no…Sono una tipa a cui piace molto
stimolare la mente [ride], anche se mio marito dice che non uso mai la
logica e che io e la logica siamo su due piani diversi. Io sono molto
fantasiosa, molto creativa, sono molto impegnata nel sociale. Non
sono molto portata per le cose…[tecnologiche come il computer]” 42I,
52anni, licenza media, disoccupata: “Mio marito non ha molta
pazienza per spiegarmi, si arrabbia. Io poi mi arrabbio di più e creare
discussioni per delle sciocchezze mi sembra inutile.”)
I figli dai racconti sembrano più pazienti rispetto ai mariti, anche se è
con le figlie che c’è una sorta di apprendimento contemporaneo,
ovvero si passa assieme del tempo accanto al computer (34I, 41anni,
licenza media, cassiera: “Ho imparato grazie a mia figlia che faceva
piccole ricerche alla scuola elementare e poi andando alle medie le
ricerche si facevano sempre più difficili. Abbiamo cominciato a
comprare l’enciclopedia da scartabellare nei dischetti, abbiamo preso
il collegamento a Internet e di conseguenza lei naviga e io anche.
Lavoro anche su Internet, invio candidature [domande di lavoro],
quindi direi che è molto comodo”), mentre i figli maschi, che dai
144
racconti appaiono forse più esperti, sono più frettolosi nelle
spiegazioni. Credo però che questo sia dovuto ad un gap
generazionale, ovvero una diversità anche di linguaggio tale per cui i
figli si stupiscono che la madre non “riesca a capire” quello che per
loro è ormai diventato routine (25I, 44anni, licenza media, lavora “in
nero” in pasticceria: “A casa c’è il computer di mio figlio. Adesso
gliene ho preso uno un po’ più decente perché fino ad adesso ne
avevamo uno che era più rotto che aggiustato. Poi lui ci mette le mani,
con la cosa che studia informatica, lui con quelle manine si mette lì
[mima i gesti del figlio e ride]. Ha poca pazienza. Io quando gli chiedo
qualcosa lui ha poca pazienza, gli dico: mi spieghi? E lui: ma mamma
te lo ho detto! I figli con noi pazienza non ne hanno [ride]! Delle volte
gli chiedo e lui ti din ti din con quelle mani e io: ma Fabio! Fai un
pochino più piano! Velocissimo, anche nello scrivere!” 39I, 47 anni,
licenza media, disoccupata: “Su Internet sono andata da casa con mio
figlio grande per la banca che…Abbiamo provato, mi ha fatto vedere.
Magari ci riuscirei anche sola, sono andata un paio di volte con lui.”)
5. Paura della tecnologia/resistenza alla tecnologia
Il timore che alcune intervistate provano nei confronti del progresso
tecnologico è da imputarsi alla paura del nuovo inteso come ciò che
sconvolge le nostre abitudini, la nostra routine. Delle volte è come se
le intervistate percepissero i computer come delle entità autonome e
non degli strumenti al servizio di chi li usa (13I, 54 anni, licenza
media, riordina archivi: “Gli svantaggi della tecnologia sono che,
145
come dire, ti addormentano un po’ il cervello…Ad esempio in casa. A
me piace molto cucinare ma non uso niente di elettrico, faccio tutto a
mano. Io amo le cose semplici, mi piace impiegare il mio tempo nelle
cose. Non mi piace la fretta, perché se io voglio cucinare un risotto mi
piace metterci il tempo necessario, poi mi piace essere brava con le
mani e usare il cervello. E come quando disegno, guardo e faccio. Mi
piace andare a fondo, scarnificare il tutto e dire: adesso questa cosa è
mia. Anche il computer non mi piace per parlare ad una persona
[riferito alla posta elettronica]. Mi piacerebbe usare il computer però
per quello che intendo io: essere padrona delle cose”)
Anche in questo caso emerge un forte gap generazionale tra le più
giovani che hanno un approccio mentale più aperto alle novità (16I, 35
anni, diploma, disoccupata: “La tecnologia è una cosa meravigliosa
usata bene, con fini di bene, con senso, usata a scopo umanitario…Il
progresso tecnologico è bello ma deve essere usato bene”) e le più
mature che diffidano delle nuove opportunità create dall’informatica –
es. effettuare operazioni bancarie, pagamenti on line- (8I, 49anni,
qualifica da sarta, disoccupata: “Cosa mi spaventa…Sono dell’idea
che non è tutto così sicuro, per esempio ti consigliano di fare delle
operazioni in banca ma io sono dell’idea che se da qualche parte c’è
qualche geniaccio che sa come entrare viene a sapere tutto di casa tua
e c’è anche il rischio che possano portarti via dei soldi…Come può
succedere con i Bancomat. Secondo me il computer andrebbe usato
solo con determinate cose, non per tutto” 10I, 43 anni, diploma,
impiegata: “Io nei confronti della tecnologia ho sempre avuto un po’
146
di paura, e quindi una posizione un po’ rigida di diffidenza, ma questo
io lo vedevo anche nei colleghi della vecchia guardia, quelli che
quando io sono entrata erano prossimi alla pensione…Io mi ricordo
che dicevo: ma perché non continuiamo ad usare carta e penna che
andiamo benissimo?” 21I, 55anni, licenza media, operatrice call
center: “Il progresso mi ha deluso. Lo associo al fatto che hanno
voluto cambiare il mondo e lo hanno rovinato. Tutto il progresso, tutte
queste cose in più hanno rovinato l’ambiente, l’inquinamento, il clima.
In fondo per il clima la causa è l’aria condizionata. In questo momento
non vedo nulla di positivo, non ci sono più i valori, ma forse la
tecnologia su questo punto non incide più di tanto.”[comincia a fare
un discorso sulla mancanza di valori che secondo lei è causata
dall’indipendenza economica che hanno entrambi i coniugi e che
disgrega la famiglia])
6. Inadeguatezza
Il senso di inadeguatezza riguardo all’uso degli strumenti informatici
caratterizza soprattutto le donne più avanti197 con gli anni che si
sentono un po’ escluse da un mondo che secondo loro sta cambiando
troppo velocemente rispetto ad una giovinezza ritenuta più statica (21
I, 55anni, licenza media, operatrice call center[le chiedo qual è stato
per lei l’oggetto che le ha dato l’idea del progresso quando era
ragazza] Erano altro tempi, non ce ne erano pensieri di progresso,
197
sebbene più avanti siano riportate le parole di una 35 enne in “controtendenza”
rispetto alle coetanee intervistate
147
avveniva tutto abbastanza lento…30I, 52anni, licenza media,
disoccupata: “So che si può fare tutto lì sopra e mi dispiace non sapere
fare niente. Non che mi interessi di andare a chattare, non so
nemmeno come si fa, non lo so proprio. Visto che c’ero ho detto
proviamo, tanto se va avanti in questo modo bisogna imparare,
adeguarsi. So che so più si va avanti e più sarò costretta. E’ come il
videoregistratore: adesso ci sono i dvd. Si è obbligati a questo punto
qua. E’ un’imposizione. L’altra volta parlavo con la figlia che mi
diceva: ma non si può, ormai va tutto avanti, tra un po’ ci saranno
anche tutti i televisori al plasma. Sì, però io avrei preferito che uno
che vuole fa e uno che non vuole resta allo stesso modo, invece no, sei
obbligata” 17I, 35 anni, diploma, disoccupata: [le chiedo se dico
computer cosa le viene subito in mente] “Mi viene un colpo! E’
talmente vasta la cosa che dico non riuscirei mai a stare…E’ in
continua evoluzione…Io sono proprio agli inizi…Quando anche lei
parlava delle donne tra i 35 e i 55 anni io penso che siamo anche un
po’ svantaggiate rispetto a chi nasce adesso…Poi anche con l’età ci si
adagia un po’, non è facile come per uno più giovane”…“Io penso che
andando avanti con l’età ci sono nuovi problemi e quindi c’è meno
spazio mentale per le nuove nozioni, per poterle memorizzare e
coltivare. Un ragazzino ha più spazio per immagazzinare queste nuove
informazioni. Ce ne sono così tante, in tutto ci sono mille tipi di
telefoni, compagnie, contratti…anche uno che vuole collegarsi ad
Internet, ci sono milioni di contratti. Io ero già stata negli Stati Uniti
anni fa, ’96, ’97, ’98, qui stava iniziando invece là era proprio…Ora
148
qua adesso è come là…E quindi il computer io lo vedo un po’ così,
uno che è giovane vabbè, però un adulto ha anche altre cose, non è
predisposto mentalmente, quindi va un po’ più adagio.”).
Spesso il senso di inadeguatezza nasce dal confronto con gli altri: i
figli, il marito, i conoscenti che lo usano. Nelle donne più giovani
molte volte il confronto serve come stimolo e non sono rari i casi di
donne che imparano ad usare il computer assieme al compagno o ai
figli, mentre spostandosi verso i 55 anni non sono poche le interviste
che raccontano di vere e proprie strigliate da parte dei mariti per errori
commesi utilizzando il computer (42I, 52anni, licenza media,
disoccupata: “Mia figlia delle volte mi dice: vieni che ti insegno! Ma
io di star lì…Soprattutto è il tempo. Non ho mai avuto…Non è che il
computer mi prenda, non ho mai voluto imparare però per necessità
anche nel negozio l’avrei fatto…Però faceva tutto lui [marito] e quindi
io mi defilavo un po’. Avevo paura di combinare qualche disastro,
perché come si sbaglia…Io avevo paura di cancellare, di combinare
qualche disastro, poi sui libri sono cose importanti, se si sbaglia si fa
un macello e quindi io mi defilavo. Quando non capivo e non sapevo
come andare avanti mi fermavo”15I, 45, qualifica segretaria,
disoccupata: “Mi piacerebbe saper fare di più, infatti vorrei anche
informarmi per dei corsi. Io poi come carattere sono una persona
prudente e mi poi mi è difficile dire: Ah! Ho combinato questo!” 8I,
49anni, qualifica sarta, disoccupata: “Avevo paura di combinare
qualche pasticcio: “ecco guarda cosa hai combinato!” [parla di quando
ha provato ad usarlo] che poi non me lo diceva nessuno questo, però il
149
senso di colpa…E’ una responsabilità, non è come usare una cosa
tua.” 39I, 47 anni, licenza media, disoccupata: “Panico! Una volta è
successo [si è piantato il computer] quando Edoardo era a scuola e lo
ho chiamato nell’ora di pausa. Ero andata al computer per vedere se
riuscivo, un po’ di curiosità ce la ho sempre avuta, avevo
acceso…Forse l’avevo appena acceso…Lui aveva messo qualche
protezione, forse la parola d’ordine e dicevo: si spegnerà? Provavo a
spegnere e non funzionava più niente, poi lo ho chiamato e lui: Ma’,
stai tranquilla! Fai così, così, così” 4I, 43anni, licenza media, aiuta il
marito in negozio: “Sul computer del negozio, dato che io faccio gli
ordini, e faccio solo quello, quando ho tentato di fare dell’altro ho
cancellato una parte di listino. Irrimediabilmente perduto [risata
imbarazzata]. Si è arrabbiato [il marito]. Mi ha chiesto: come hai
fatto? E io ho detto: non lo so. Mi sono sentita malissimo, malissimo
perché mi è anche dispiaciuto molto. Ho anche il timore di mettere le
mani sul suo computer perché chiaramente ci sono miliardi di cose
sue. Anche perché chi come me è così imbranato non sa nemmeno
come fa a combinare certe cose. In negozio oltre a quei 10 comandi
che ho imparato a usare oltre quello non faccio granchè.”)
7. Immagine negativa contro uso positivo
L’immagine negativa che alcune donne hanno del computer spesso è
viziata dal pregiudizio, ed infatti le intervistate che hanno vinto
l’iniziale reticenza hanno cambiato idea anche se il rapporto non si è
150
tramutato in “amore” ma in una sorta di “collaborazione” necessaria
(32I, 38anni, diplomata, da poco disoccupata: “All’inizio il computer
sembrava un nemico, così distante, anche perchè io avevo fatto il liceo
linguistico, letteratura, quindi il mondo tecnologico lì per lì era stato
difficile da affrontare, i comandi erano quelli, da imparare. Con il
lavoro poi ho superato, perchè poi applicandosi per ore ci ho preso la
mano.” 39I, 47anni, licenza media, disoccupata: “Quando lo uso mi
sento un po’ strana, perché non immaginavo…Mi fa sentire un po’ più
importante. Mi dà soddisfazione e infatti ho detto a mio marito che
quando ho imparato insegno anche a lui.”41I, 39anni, licenza media,
colf: “Mi è piaciuto usare il computer, è stata proprio un’emozione!
Saper usare il computer come tutti gli altri che stanno così [mima il
gesto delle persone che sono intente sulla tastiera del computer], allora
anche io posso farlo! Non è mai tardi per imparare!” 16I, 35 anni,
diploma, disoccupata: “L’insegnante al corso diceva che facevo un
corso parallelo, perché viaggiavo davanti… Non stavo ad aspettare, se
avevo già fatto [finito le esercitazioni in classe] andavo avanti! Io ero
sempre a chiedere, a fare, a dire! Tanti avevano bisogno di essere
imboccati e io invece andavo per i fatti miei, poi magari ogni tanto
facevo qualche casino!...Io sono abituata al fai da me, sono come San
Tommaso, ci devo dar di naso per capire le cose. Me le dicono ma le
devo anche provare, tastare…Io prendo di là e di qua, sì che il mio
fidanzato…Però lui della parte teorica non sa niente e a me serviva
anche quella per poi avere una sostanza. Da una parte quindi mi
prendo la parte pratica perché ho imparato molto di più dal mio
151
fidanzato a fare queste cose: è lui che insegna a scaricare i film. Lui
non mi dice il nome dell’aggeggino, questo lo ho imparato a scuola
giustamente, lui è più per le cose concrete.”)
8. Problemi relativi all’uso della lingua inglese nei programmi,
internet…
Il computer sicuramente è portatore di un nuovo linguaggio; termini
nuovi magari in inglese che diventano di uso quotidiano e venendo
addirittura italianizzati –si pensi al termine link e al più italiano
“linkare”, ovvero andare su un link-. Per le intervistate intorno ai 50
anni a volte questo linguaggio viene percepito come una sorta di
barriera che le esclude. La sensazione è così forte che alcune hanno
accennato che per sapere usare il computer è necessario conoscere
l’inglese, cosa non vera, perché se si escludono i siti stranieri ormai
tutti i sw ad ampia divulgazione sono in italiano. (31I, 52anni, licenza
media, disoccupata: “Ho avuto grosse difficoltà nel post nic, perché
tutti questi tipi di termini in inglese mi hanno creato un po’ di
confusione, mi sono resa conto che proprio non riesco a memorizzarli
e a capirli. Sono andata in palla! Proprio il buio assoluto. A questo
punto dovrei fare gli esami ma non so se…Ho 3 anni di tempo ma io
adesso non me la sento. Che poi bene o male smanettare sul computer
lo so fare, su Internet ci so andare, il giochino lo so fare. Ho provato a
fare delle schede ma su 30 domande ne faccio giuste .” 44I, 49anni,
152
licenza media, disoccupata: “Io ho sempre pensato, magari un domani
mi prendo un computerino, che poi non è così difficile, basta che tu
scriva www e vedi la tua pagina, non so, se tu vuoi andare su siti di
cosmesi basta fare www.cosmesi...No? Penso sia così, no?”)
Conclusioni
Quanto emerso dalle interviste sembra confermare le contraddizioni
ancora presenti nella società italiana per quanto riguarda l’evoluzione
del ruolo della donna.
Da un lato le donne non si sentono più legate esclusivamente
all’accudimento familiare, ed infatti cercano una gratificazione anche
al
di
fuori
delle
mura
domestiche,
dall’altro
la
ricerca
dell’autoaffermazione è sempre subordinata a quelle che ancora
vengono ritenute, nell’immaginario delle stesse intervistate, le
principali incombenze di una donna, ovvero la cura della famiglia.
Il rapporto che le donne hanno con il computer si nutre di queste
contraddizioni. Il computer viene percepito come lo strumento
dell’emancipazione in quanto strettamente collegato al lavoro. Tutte
sono concordi nel dire che se non si è capaci ad usare il computer è
impossibile trovare un’occupazione, tuttavia le paure diffuse sono
quelle di dedicare troppo tempo allo strumento a discapito della
famiglia e di non essere all’altezza. La tecnologia, soprattutto per le
over 45 viene infatti vista come campo prevalentemente maschile in
153
cui entrare in punta di piedi. Tale supposta naturale dimestichezza
maschile nell’uso del computer non sembra tuttavia essere suffragata
da alcun elemento concreto: gli uomini sembrano, agli occhi delle
donne, più bravi solo perché osano di più, perché osano “smanettare”
con programmi e circuiti anche se magari lo fanno senza criterio e
combinano dei disastri.
Elemento positivo invece è il rapporto con i figli e con le figlie in
particolare. I ragazzini e le ragazzine infatti si avvicinano al computer
fin dalle scuole elementari e le mamme hanno piacere a seguire le
attività dei loro figli e quindi ad apprendere i rudimenti
dell’informatica. Il timore però è che ancora una volta le donne si
defilino e imparino ad usare il computer solo per aiutare i figli a
svolgere i compiti e non per loro stesse, sentendosi ancora una volta
primariamente mogli e mamme.
154
Donne con disabilità e TIC
Piera Nobili
Accessibilità ed inclusione
Prima di affrontare l’argomento della ricerca che ci vede coinvolti per
una sua parte, ci pare necessario descrivere chi siamo, i presupposti
culturali da cui partiamo, le finalità della nostra presenza in seno a
“Ciao!Women”.
Chi siamo
Poche righe per descrivere chi siamo: l’associazione C.E.R.P.A. Italia
(Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità)198 si è
costituita quattordici anni fa quando il concetto di accessibilità
coincideva, o quasi, con quello delle barriere architettoniche.
Innegabile che negli anni tale concetto si sia trasformato ampliandosi
ed evolvendosi verso il concetto di inclusione, pur non rinunciando
alla propria originaria radice che sottolinea l’importanza di una
concreta raggiungibilità e facilità nel “fare” per tutti.
La nostra attenzione, quindi, è rivolta primariamente all’ambiente e
alla relazione che ogni individuo instaura con l’ambiente stesso.
Intendiamo per ambiente quell’insieme inscindibile composto dallo
198
Per maggiori informazioni: www.cerpa.org
155
spazio (che discrimina), dal tempo (delle azioni e degli eventi che si
dispiegano nello spazio), dagli oggetti (arredi e attrezzature presenti
nello spazio), dalle relazioni (con gli oggetti e con gli altri che nello
spazio si esprimono).
I presupposti culturali
Circuita fra gli addetti ai lavori (alle volte pensato, ma non detto o al
più detto, ma non scritto), che il massimo paradigma della marginalità
e discriminazione nella società occidentale è rappresentato dalla
donna, non bianca, mussulmana, disoccupata e disabile, se poi è
anziana o bambina abbiamo raggiunto il top.
Paradigma inelegante e poco accademico, ma che ci aiuta, dopo un
primo moto di piětas, a riflettere, perché riassume in un unico
soggetto che possiamo pensare ed immaginare, alcuni fra i più
significativi motivi di discriminazione: sessuale, razziale, religiosa,
sociale, di salute, generazionale; perché fa comprendere la disparità
esistente fra i diversi individui della società in termini di opportunità
alla vita indipendente e alla conquista di autonomia, di riconoscimento
di sé in quanto soggetto di diritti e soggetto politico.
Questo per dire che una donna con disabilità sconta le ricadute almeno
di una doppia differenza culturalmente e politicamente non accolta
nella società: da un lato quella di genere, già descritta dalle altre
ricercatrici per cui su questa non ci soffermeremo, dall’altro quella
definita dallo stato di salute, generalmente declinata con la qualità del
bisogno e il grado di dipendenza dagli altri, assegnando al termine
156
dipendenza un disvalore. Disvalore che in parte possiede quando
questa si manifesta là dove l’indipendenza non è resa possibile per
cause non riconducibili alla volontà individuale, o quando lo stesso
individuo non trova in sé motivi per tendere all’autonomia.
Nella nostra cultura quando pensiamo ad un individuo che vive
appieno la propria autonomia lo immaginiamo portatore consapevole
di diritti e di doveri, cioè capace di assunzione di responsabilità sia nei
propri
confronti
che
nei
confronti
altrui,
indipendente
economicamente, ossia in grado di avere un reddito (in genere
raggiunto tramite il lavoro), in grado di progettare la propria vita e di
entrare in relazione con altri partecipando alla costruzione della
società.
Con tale accezione intendiamo l’essere autonomo come un essere
libero, che trova in sé le ragioni delle proprie azioni senza l’apporto di
fattori esterni, in sostanza pensiamo ad un individuo capace e in grado
di autodeterminarsi in relazione alle sue necessità, abitudini e desideri.
Spesso come sinonimo di autonomia viene usato il termine
indipendente, a significare che il soggetto indipendente è colui che
non dipende dall’aiuto, dall’assistenza e dalla relazione con alcuno,
quasi a dire che la libertà di cui gode grazie alla sua autonomia possa
renderlo avulso dal contesto in cui vive trasformandolo in una
monade.
A ben vedere in realtà mai è stato così e meno ancora lo è oggi.
Se pensiamo per un attimo alla nostra soggettiva storia di vita ci
renderemo conto che l’autonomia di cui godiamo ci è stata insegnata
157
nei diversi e significativi luoghi della nostra vita relazionale, ossia di
dipendenza: la famiglia, il gioco, la scuola, il lavoro, le amicizie ecc..
Quindi,
ogni
individuo
impara
ad
essere
autonomo
grazie
all’insegnamento di altri, insegnamento maggiormente necessario là
dove l’affidarsi ad altri sembra essere la strada più semplice per il
raggiungimento della soddisfazione di bisogni e desideri, ad esempio,
quando ci sentiamo menomati, per qualsiasi motivo, allo svolgimento
di una funzione che dovrebbe appartenerci.
Tale concetto di dipendenza, anzi di interdipendenza, si trova anche
nell’approccio culturale definito dall’I.C.F., la Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con questo nuovo
strumento non propone più una classificazione della disabilità come
accadeva con l’ICIDH199 del 1980, quanto una descrizione della
disabilità intesa come aspetti negativi derivanti dall’interazione tra un
individuo (con una data condizione di salute) e i fattori contestuali di
quello stesso individuo (fattori ambientali e personali).
L’innovazione di questa diversa lettura del corpo e della salute degli
individui, risiede proprio nell’approccio integrato nel quale, per la
prima volta, si tiene conto dei fattori ambientali classificandoli in
maniera sistematica.
199
L’ICIDH (Classificazione delle Menomazioni, Disablità ed Handicap), è uno strumento di analisi e
studio statico di cui, nel 1980, si dotò l’OMS. Fu, per allora, una rivoluzionaria revisione dei termini
menomazione, disabilità ed handicap, con la quale veniva sottolineato come le norme sociali e l’ambiente
costruito sono determinanti nel favorire o meno la disabilità.
158
Infatti, la nuova classificazione prende in considerazione gli aspetti
contestuali della persona, e permette la correlazione fra stato di salute
e ambiente giungendo alla definizione di disabilità come una
condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Questa stessa definizione ci fa comprendere che è stato superato il
vecchio concetto che sosteneva che dove finiva la salute iniziava la
disabilità, inserendo di fatto la persona con disabilità all’interno di un
gruppo separato dal resto della società. Questo passaggio culturale è
stato possibile grazie:
•
alla consapevolezza che qualunque persona in qualunque
momento della vita può avere una condizione di salute che in
un ambiente sfavorevole diventa disabilità,
•
al riconoscimento delle differenze e alla loro valorizzazione,
•
alla
comprensione
della
nostra
individuale
multi-
dimensionalità,
•
al ritorno a concepire il corpo come intero e non come insieme
di organi,
•
alla elaborazione di riflessioni che ci hanno indicato quanto sia
inscindibile la relazione che instauriamo con l’ambiente così
come più sopra definito.
L’autonomia, quindi, è resa possibile se gli attori della relazione, il
soggetto e l’ambiente, si incontrano riconoscendosi reciprocamente e
se fra loro interagiscono con soddisfazione in modo inter-dipendente.
159
Finalità
Stante quanto fin qui scritto, la nostra partecipazione alla presente
ricerca trova motivazione e finalità nella volontà di comprendere,
tramite l’analisi delle narrazioni, la qualità del contesto ambientale, da
un lato, e quale ruolo le donne intervistate hanno avuto nella
costruzione della propria autonomia, dall’altro.
Nel primo caso l’attenzione è stata posta sull’accessibilità delle
attrezzature impiegate e della rete, sul contesto sociale in cui si è
sviluppato l’approccio alle TIC (Tecnologie per l’Informazione e la
Comunicazione), sulla rete di relazioni personali che le hanno
sostenute o non sostenute per raggiungere tale fine. Questo per
comprendere il rapporto di inter-dipendenza esistente fra soggetto e
ambiente.
Nel secondo caso è il soggetto intervistato al centro delle riflessioni:
quali le motivazioni a sostegno, come leggono la loro relazione con le
TIC, che rapporto esiste fra impiego delle tecnologie e il loro vissuto
di donne con disabilità, quale cambiamento, sempre che ci sia stato, le
TIC hanno apportato nella loro esistenza.
Premessa
Difficile ricavare considerazioni che abbiano carattere di validità
generale dal campione di donne con disabilità intervistate, dato il loro
ridotto numero: complessivamente venticinque, suddivise fra le cinque
nazioni partecipanti alla ricerca che, peraltro, presentano differenze
nello sviluppo e diffusione delle tecnologie informatiche. Inoltre, il
160
campione è composto da donne con disabilità diversificate alcune
delle quali acquisite in età adulta, ossia durante la vita cosiddetta
“normale” (definendo con ciò un confine, un prima e un dopo), altre
presenti da sempre.
Ciò nonostante, dai racconti raccolti, è comunque possibile ricavare
alcune invarianti da tenere in considerazione, che delineano un
quadro di riferimento interessante, il quale può costituire il
presupposto da cui partire per eventuali futuri sviluppi della ricerca
rivolta primariamente alle donne con disabilità.
Si riportano di seguito alcuni dati anagrafici generali, quali
orientamento alla lettura dei successivi commenti.
OCCUPATE
NAZIONE
DISOCCUPATE OCCUPATE
PENSIONE
PRESSO
ANTICIPATA
ASSOCIAZIONI
PER MOTIVI O CENTRI PER
DI SALUTE
STUDENTESSE
TOTALE
INTERVISTE
PERSONE CON
DISABILITA'
BULGARIA
2
1
DANIMARCA
2
2
2
ITALIA
2
2
1
LETTONIA
3
2
5
1
1
1
3
5
5
5
PORTOGALLO
sommano
9
NON VEDENTE
IPO VEDENTE
1
6
1
BULGARIA DANIMARCA
ITALIA
2
3
1
4
1
1
1
LETTONIA PORTOGALLO
25
TOTALI
6
2
161
7
3
PARALISI SPASTICA
1
1
2
4
1
PARALISI CEREBRALE
EMIPLEGIA
PARAPLEGIA
1
1
1
1
1
2
1
3
FOCOMELIA PALMARE
1
1
PERDITA DI MEMORIA
1
1
TETRAPLEGIA
1
1
1
DIABETE
1
2
ARTRITE REUMATOIDE
2
Ad un’attenta lettura dei racconti si riconosce che il rapporto con le
TIC è molto simile a quello delle altre donne intervistate, con alcune
differenze significative dovute e motivate dalla relazione con la
disabilità e il vissuto che questa ha originato. Saranno soprattutto
queste differenze ad essere evidenziate e commentate, mentre non si
riporteranno le considerazioni condivise con le altre interviste se non
in alcuni casi, per rafforzarle.
Gli otto nuclei tematici
Necessitá
L’apprendimento delle tecnologie, in particolar modo del computer
ma non solo, appare strettamente e primariamente connesso alla
dimensione di necessità.
Da un lato la necessità di trovare o gestire un lavoro, tenendo presente
che solo 10 donne su 25 lavorano; di queste, cinque lavorano presso
162
associazioni o centri per persone con disabilità. Dalle loro interviste
non emerge se tale attività sia o meno retribuita in quanto solo una
dichiara di svolgerlo in forma volontaria, due non dichiarano nulla a
tal riguardo e le ultime due potremmo presupporre, ma non ne
abbiamo la certezza, che siano retribuite svolgendo attività di
centralinista. Avere attenzione a quest’aspetto, dal nostro punto di
vista, ci pare importante per comprendere il reale significato di
necessità da attribuire all’attività dichiarata come lavorativa:
sostentamento economico che si associa ad un “obbligo” di
conoscenza delle tecnologie, o interesse personale che sostiene una
decisione “indipendente” all’uso delle tecnologie? Domanda alla
quale è difficile dare una risposta certa, in quanto le interviste non si
soffermano su questo particolare. Possiamo, tutto al più, presumere,
vista l’enfasi usata nella narrazione, che tale attività lavorativa
presenta un duplice aspetto, quello di sentirsi occupate, da un lato,
quello di poter lavorare per acquisire un ambiente più accessibile per
sé e per i propri simili, dall’altro.
Altra considerazione da tenere presente è che alcune donne con
disabilità acquisita in età adulta confermano, con il loro racconto, che
il motivo e l’ambiente di apprendimento iniziale è stato quello
lavorativo, ma al contempo sottolineano che il rapporto con le
tecnologie si è fatto più intenso dopo il trauma o la malattia.
46L - un anno fa avevo un piano, che bisogna imparare a scrivere, non
guardando la tastiera e cominciare a lavorare con Internet…….capisco che
possono servire a trovare qualche lavoretto
163
47LQ- Attraverso quelle nozioni del computer ho avuto il mio lavoro,
chissà se altrimenti io handicappata sarei stata accettata [lavora presso
un’associazione per persone con disabilità].
50L - 8 anni fa lo facevo per amplificare le possibilità di lavoro. Adesso
per avere più i cambiamenti nella vita, per la comunicazione, l’informazione.
Così posso essere più fra la gente, comunicare con altri. …
46DKC - Ho iniziato ad usarlo al lavoro nel 1991-92, era un obbligo per
svolgere il mio lavoro.
[in pensione anticipata per motivi di salute]
47DKB - Ho avuto un computer dal 1987 come mezzo per il lavoro.
Privatamente dal 1997 … dopo di che non potevo stare senza il computer.
[lavora come assistente sociale]
47I – L’infarinatura ce l’avevo già perché avevo lavorato dieci anni per
una ditta. [disoccupata]
48IQ – Avevo cominciato a scuola perché studiavo ragioneria e quindi il
computer era considerato un mezzo essenziale per il lavoro d’ufficio. [lavoratrice
dipendente]
51IB – Il motivo per cui ho imparato ad usare il computer è stato per
lavoro
50PC – Ho cominciato a usarlo quando sono entrata nella associazione,
…, per venire a lavorare nella associazione.
Dall’altro la necessità di non sentirsi sole (occupazione del tempo), di
avere l’occasione di sentirsi in contatto con il mondo (figli/e e
amici/che lontani/e, informazione, ricerche, fare nuove conoscenze
ecc.), utili per se stesse (autonomia/indipendenza) e per gli altri
(familiari, colleghe/i, persone con disabilità), di coltivare propri
interessi altrimenti difficilmente raggiungibili.
164
Queste appaiono come le motivazioni più forti all’impiego non solo
del computer ma anche del cellulare, del telecomando e degli
automatismi domestici in generale.
47LQ - Essendo handicappata ho una comunicazione limitata, spesso
vedendomi in carrozzina per disabili, rifiutano di comunicare, ma quando
comunico indirettamente, mi piace e vedo che vengo considerata che valgo.
45DKC – Ora ho più contatti di prima [del computer] e ho possibilità di
fare cose che prima non erano possibili senza computer.
46DKC - Il computer aiuta a risolvere una serie di problemi della vita
quotidiana, che altrimenti risultavano più complicati.
47I – Avere il computer a casa mi ha fatto sentire un po’ più attiva, …
48IQ – … è uscito il cellulare e potevi essere reperibile: quella per me è
stata una rivoluzione! … si sarebbe potuto comunicare in qualsiasi momento.
50IC – [la disabilità le rende difficile anche la comunicazione orale].
Della tecnologia mi piace molto il telefonino per i messaggi [la madre mi spiega
che manda molti messaggi agli amici] e anche il lettore cd per ascoltare la
musica. Quando ero più piccola mi colpiva molto la televisione, il telecomando.
[la madre sottolinea come l’auricolare, il telecomando, per sua figlia siano delle
grandi invenzioni a livello di miglioramento della qualità della vita, in quanto
consentono alla figlia di avere una certa autonomia. …. La madre mi dice come
il computer sia fondamentale. Sua figlia si esprime sul computer…].
51IB - … per la bambina per aiutarla un domani a fare i compiti, perché,
non potendo leggere con lei i libri, il mio sarà un aiuto diverso.
52IB – Ho avuto una motivazione forte. ... ho cominciato ad usarlo a 19
anni con l’università ed è stata una bella possibilità quella di scannerizzare i libri,
metterli su computer e avere la conversione in braille. E’ stata una cosa
eccezionale invece di distribuire libri a destra e a manca per farseli registrare.
Quindi il computer è diventato il mezzo di studio con cui leggo e scrivo.
165
47BC - Posso avere dei contatti con gran parte dei miei ex colleghi, per
esempio, e anche di aiutarli con qualche cosa del lavoro. Poi abbiamo lanciato
Internet e mi sono collegata con altra gente che è simile a me, cioè nella stessa
situazione. Adesso facciamo spesso una comunicazione tra di noi. Ho cominciato
a sentirmi diversa, più utile in qualche modo.
50ВQ - Adesso lavoro su una iniziativa generosa – “Accessibilità
equivalente”, il cui scopo è di dare la possibilità alla gente con disabilità di
lavorare completamente con computer.
48PQ: Per parlare con altre persone [su Internet] e per me è stato molto
importante:-). Quando ho cominciato a usare il computer e soprattutto Internet la
mia vita è migliorata.
49PQ - [se la sua vita è cambiata …] Sì, abbastanza e in meglio. Non ci si
sente tanto soli e io trascorro la giornata da sola: mia figlia lavora (adesso è in
vacanza) e anche mio marito ... e il computer mi fa compagnia.
A conferma di quanto queste motivazioni siano significative per la
maggioranza delle intervistate, da loro emerge un rapporto non solo
positivo con il computer, ma anche pregnante rispetto alla qualità
della loro vita.
A questo proposito sono interessanti i nomignoli dati al computer in
particolar modo dalle donne bulgare.
Al contrario, le donne danesi hanno un approccio con le tecnologie
apparentemente più pragmatico: utilizzano termini lessicali del gergo
computeristico più appropriati, manifestano minori entusiasmi e
maggiore consapevolezza delle potenzialità del computer e della rete.
È un mezzo con cui sembra sia stato costruito un rapporto d’uso tale
da renderlo “familiare” come potrebbe essere il telefono.
166
46L – E’ windows, la finestra sul mondo!
47LQ - Mi interessa molto, perché è una nuova vista sul mondo.
50L – Piace e interessa! Per me il computer è come un amico.
45DKC - …per me il computer e internet è una cosa positiva.
48IQ - … sono andata a lavorare e usandolo tutto il giorno mi usciva
dagli occhi, non ne avevo voglia. Poi l’anno scorso ne ho preso uno ma è tutta
un’altra cosa, perché con internet, con le e-mail è tutto un altro utilizzo! Adesso
ti dà soddisfazione, …
50IC – Mi piace il computer, ce l’ho anche a casa … Pensando al
computer la prima cosa che mi viene in mente è Internet. Mi piace tanto internet,
navigare.
47BC – Il computer ha dato senso alla mia vita. Adesso non potrei
immaginare cosa farei senza di esso. Lo chiamo “salvezza”.
48BB – Lo chiamo “orizzonte” e penso che non sia necessario spiegare
perché lo chiamo così.
49BB – Sinceramente il computer ha dato senso alla mia vita … per
questo motivo chiamiamo il computer “perspicacia”.
50BC – Il computer ha dato senso alla mia vita ed anche un hobby. Lo
chiamo “salvatore”.
48PQ: Adoro il computer è molto interessante e non è mai tardi per
imparare. Mi piace tantissimo!! ☺ Mi piacciono i computer e quando qualcosa ci
piace vogliamo sempre di più.
49PQ – Mi piacciono le nuove tecnologie. Mi piacciono le due cose
[comunicare e fare ricerche]: fare ricerche è ottimo. Il computer diventa un
amico, a cui possiamo ricorrere, in tutti i sensi ed è necessario. Se uno ce l’ha,
apre altri orizzonti.
167
Approccio: Teoria/Pratica
L’approccio all’apprendimento delle tecnologie da parte di donne con
disabilità è uguale a quello descritto dalle altre donne: stessa necessità
di teoria, da un lato, e di pratica, dall’altro.
La prima, tramite corsi di alfabetizzazione all’uso, aiuta a superare le
paure iniziali, a categorizzare le funzioni, il funzionamento e l’uso del
computer e di internet, a saper contestualizzare ciò che si sta facendo
o si sta cercando; la seconda, tramite la conoscenza per esperienza,
aiuta il processo di memorizzazione e, soprattutto, consente di
acquisire sicurezza e confidenza con le tecnologie.
L’aspetto che in parte modifica l’orizzonte all’interno del quale tutto
ciò avviene è che per le donne con disabilità il luogo d’apprendimento
non è solo quello scolastico o lavorativo, ma è anche, non per tutte ma
per una buona parte di esse, quello dei centri o associazioni di
riferimento.
In genere sono stati proprio i corsi offerti dai suddetti centri o
associazioni l’occasione e la spinta per avvicinarsi a queste tecnologie,
ed una volta appreso l’uso e compreso le possibilità che il computer
dà, queste donne, nella maggioranza dei casi, ha iniziato ad impiegarlo
intensamente anche a casa e per scopi personali.
48LB – … ho appena cominciato a imparare il computer qui al centro.
[centro per non vedenti]
50L – … ancora il mercoledì studio qui al centro [centro per disabili].
Qui al centro tutto è lento, senza agitazioni [ci insegnano] così poco a poco.
168
48IQ – La mia azienda periodicamente fa dei corsi quando si cambiano i
programmi o le persone. Lì per lì i corsi sono tanto teorici … impari quando fai
da sola.
49IC – Al centro diurno gli insegnati spiegavano bene però poi mi sono
esercitata da sola, per conto mio. La maggior parte delle cose le ho imparate da
sola.
50IC – Ho imparato facendo un corso alla Regione dopo le superiori. La
prima cosa che ho pensato appena mi hanno messo davanti al computer è stata:
come faccio? Ma il professore che avevamo è stato molto bravo e mi ha fatto
amare il computer.
51IB – Inizialmente per imparare ad usare il computer mi sono rivolta
all’Unione Italiana Ciechi, però ero scoraggiata [per come lo insegnavano non lo
voleva più imparare] … Poi mi sono presa un computer usato e ho trovato un
insegnate che non era specializzato per non vedenti, si è specializzato con me ed
è stato splendido … ho trovato la persona che me lo ha fatto piacere il computer
... che mi ha reso autonoma con il computer …
52IB – Certo il corso è importante ma poi è importante metterci le mani
da sola.
53IB – L’impressione che ho avuto a questi corsi è che c’è sempre poca
pratica.
48PQ – … in una istituzione … ho fatto un corso di amministrazione ed
abbiamo avuto un contatto con il computer … l’anno scorso ho fatto un corso di
word e di excel. Per me è stato molto gratificante … e anche il gruppo con le
colleghe è importante. Mi è piaciuto molto! Adesso sto facendo il corso di
internet
49PQ – all’inizio pensavo che era molto complesso, che non ci sarei
riuscita, ma poi … quando si acquisisce una certa pratica è più facile.
50PC – Ho fatto corsi di formazione durante due anni [presso un istituto
per la formazione professionale]
169
Economia (Del Tempo): Velocizzare E Semplificare
Vengono condivisi con le altre donne alcuni aspetti di semplificazione
e velocizzazione di alcune attività pratiche, come la possibilità di
parlare e corrispondere con familiari o amici lontani, o come utilizzare
il sistema bancario, postale e dei servizi on-line. Meno evidente è
invece l’aspetto collegato al risparmio di tempo, che non viene
praticamente menzionato se non in forma negativa: il tempo da
dedicargli è limitato o reso assente dalle altre mansioni o impegni
quotidiani.
Vengono, invece, individuati come vantaggi quelli di ordine
economico (acquisti in rete, lettura delle informazioni tramite
internet), o quelli collegati alla ricerca e gestione della medicina.
Comunque, l’aspetto più significativo che si evidenzia è quello di
vedere nel computer un facilitatore dell’autonomia, così come risulta
da alcune citazioni di interviste riportate anche nei paragrafi
precedenti.
50L - trovo l’informazione sui problemi della salute. In Internet c’è
tantissima informazione, non posso abbonarmi a tutta la stampa, perciò così è a
miglior mercato, molto.
47DKB – Se non avessi avuto un computer sarei completamente
dipendente da un segretario per svolgere il mio lavoro.
47I – Io sono diabetica e per me il discorso tecnologia, ricerca è basilare.
Poi è vero, il computer è collegato anche con tutti i macchinari medici.
48IQ – Il computer per chi è disabile io lo vedo come uno strumento
molto bello, perché persone che non riescono più e fare tante cose riescono ad
avere una vita quasi normale, perché con il computer si può controllare
170
l’accendimento e lo spegnimento delle luci, le persiane, l’apertura delle porte.
Questa è una cosa bellissima, che la tecnologia dia la possibilità alle persone che
non possono più svolgere le cose come prima di supplire le carenze fisiche
rendendo la vita quasi normale.
Mediazioni Viventi
Come già si diceva nel paragrafo relativo all’apprendimento, anche
per le donne con disabilità i corsi di alfabetizzazione sono stati
importanti per l’approccio all’uso delle tecnologie. Ma ancor più che
per le altre donne, in queste interviste, pare emergere quanto sia
fondamentale la qualità relazionale con coloro che insegnano, siano
essi formatori formali o informali: il diverso apprendimento sia per
tempi che per modalità, richiede di personalizzare l’insegnamento.
Colleghi e colleghe
48IQ – Mi hanno insegnato i colleghi. Sai magari è il posto di lavoro
nuovo, il collega va via e allora ti insegna.
47I – … erano state le colleghe a insegnarmelo. Erano molto disponibili e
poi lo usavano già da tanto
49BB – Mi hanno aiutata tanto gli altri colleghi …
50PQ – la mia collega Veronica mi ha aiutato molto con il computer. Se
non fosse per lei, magari oggi, non saprei nemmeno la metà di quel che so.
Amici e amiche
50IC – La prima volta in internet ero andata con un mio amico.
48BB – … una mia amica, Nevena che è non vedente come me, mi ha
portato in una società che si chiama “Orizzonti”, …, offre vari servizi alla gente
171
con disabilità … prima di tutto non ero sola, mi sentivo come se fossi tra amici, e
secondo c’era gente che mi insegnava a lavorare al computer.
Familiari
47I – Con il mio computer mi azzardo [ad utilizzarlo senza troppi timori],
anche perché c’è mio fratello che è un cervellone e mi viene ad aiutare.
49DKQ – Mio fratello mi aiuta con la banca on-line, ma sono quasi
pronta ad usarla da sola
47BC – Un bel giorno mio marito è uscito ed è tornato con una scatola.
Disse che mi aveva comprato un hobby, cioè un computer. All’inizio non potevo
fare nulla. Lui però mi spiegava tutto di sera con grande pazienza in modo che
non mi stancassi.
50BQ – Mia madre che spera che io recuperi ha cominciato a cercare
occasioni per mio trattamento. Una delle prime possibilità era internet.
49PQ – … E con mia figlia e mio nipote. Ho imparato molto con lei che
ci sa fare. … mio nipote lo usa per tutto. Quando ho dei problemi gli telefono.
Da sole
47I – Internet, la posta … ho imparato da sola.
49BB – Al momento studio e lavoro sulle pagine web per gente che ha la
stessa disabilità come la mia … e così sono venuta fino a questo punto, io da sola
faccio delle pagine per non vedenti.
49PQ – Per internet invece ho imparato da sola, più tardi.
Pericolo
Della
Tecnologia
E
Resistenza
Alla
Tecnologia/
Inadeguatezza
Questi due paragrafi vengono raggruppati perché là dove si
evidenziano delle resistenze o senso di inadeguatezza (poche
172
intervistate ne parlano o ne fanno cenno), tali concetti sono espressi
con le stesse parole delle altre donne, confermando con ciò gli stessi
schemi dell’immaginario sottesi. Infatti, si ripetono le paure di non
farcela, di poterlo rompere, di combinare dei guai irreparabili, così
come l’affermazione di non essere delle specialiste delle tecnologie,
ma al contempo di padroneggiare bene e di usare molto sia il
computer che la rete.
Le stesse citazioni sotto riportate, avulse dal contesto complessivo
dell’intervista, potrebbero far pensare al rifiuto della tecnologia, ad un
suo non uso, ma ciò non è: solo due donne dell’intero campione
ammettono di non usare il computer se non in occasioni particolari, e
solo una dice di usarlo poco preferendo nel proprio tempo libero
coltivare altri interessi.
Il dato numerico così basso di disaffezione al computer rilevato nel
presente campione, potrebbe essere motivato da quanto esposto ai
paragrafi “Necessità” e “Economia”, dai quali si ricava che computer
e rete hanno dato un senso alla vita di queste donne, facilitandone
l’autonomia e conseguentemente l’autostima e il riconoscimento di sé.
È solo un’ipotesi da verificare e valutare in futuro.
49LB - qualche tempo fa ero andata ai corsi …forse e’ una barriera
psicologica, un respingimento, non riesco a capirlo ___Se mi terranno qui a
lavorare, dovrò imparare. La sorte stessa mi avrà costretto. Sarà la direttrice del
centro ad insegnarmi, allora probabilmente non lo eviterò.
173
50L – Poi c’è il trauma alla testa, la perdita della memoria, adesso
ricomincio tutto di nuovo. L’insegnante già dice che devo praticare finché quelle
cose andranno automaticamente [con scetticismo].
47I – Io non ho la mentalità informatica: mi sento molto limitata … Poi
sì, anche un po’ di paura di fare dei guai …
48IQ – Non è che la donna sia meno portata: lo utilizza in maniera
diversa. Io lo vedo come uno strumento, non come una cosa di cui mi prendo del
tempo, al contrario: io voglio andare al cinema e guardo sul computer cosa c’è in
programmazione a Genova, gli orari, i film e basta, poi lo spengo.
49IC – La tecnologia mi affascina però ho un po’ paura, paura di non
riuscire ad imparare ad usare le cose, di non essere capace …
49PQ – Ma, davvero, all’inizio avevo difficoltà, avevo paura di fare
danni.
Immaginario Negativo Opposto All’uso Positivo (Fantasmi)
Anche in questo caso non esistono differenze sostanziali nella
percezione di negatività della tecnologia fra le donne con disabilità e
le altre donne intervistate: pericolo per la salute, per l’uso eccessivo da
parte dei figli che può condurre a dipendenza ed isolamento dal resto
del mondo inteso come reale, paura che questi nella navigazione
incontrino siti violenti o diseducativi.
Nella descrizione di questi “fantasmi” impiegano gli stessi concetti
delle altre donne, con un'unica differenza, accentuano maggiormente il
senso di responsabilità per la salute propria e dei propri cari.
49LB – Dopo essere tornata dai corsi avevo sempre mal di occhi e di
testa. Non so da dove ho questa paura. Forse e’ legato alla vista ___ perché
174
quando così improvvisamente cominci a perdere la vista, cominci ad avere paura
di tutto. Se senti alla radio che influenza la vista, e dà un irraggiamento che può
sviluppare dei tumori … faccio una deduzione in particolare per i miei occhi
malati.
50L – Solo che qualche tempo ho mal di testa, non potrei sedere al
computer tutto il giorno.
48IQ – Con internet il computer è diventato una finestra sul mondo ma la
stessa cosa può diventare anche negativa perché non esistono protezioni vere e
proprie.
52IB – Ti si apre proprio un mondo, a volte anche troppo, perché poi il
rischio è che è un mare dove bisogna un attimo selezionare, altrimenti diventa
una sindrome.
53IB – Io meno cose robotizzate mi date in mano e più sono contenta, per
questione di carattere … perché dico che il computer fermi le cose, perché
ritengo che più una persona può farsi le cose da sola meglio è.
La Barriera Della Lingua Inglese
A differenza dell’altro campione di donne intervistate, nei racconti
delle donne con disabilità non viene mai descritta una qualche
difficoltà nei confronti della lingua (inglese), altri sono gli ostacoli
riscontrati nell’impiego delle tecnologie.
Alcune donne con disabilità riferiscono di utilizzare tecnologie non
modificate, sopperendo con l’esperienza all’uso ciò che la tecnologia
non consentirebbe di fare con facilità. Altre raccontano di usare degli
ausili tecnologici (schermi speciali, tastiere modificate, mouse
particolari, software specifici ecc.), e in alcuni casi anche una
postazione ergonomicamente mirata alla propria postura.
175
Molte, comunque, lamentano le barriere create dai software, dai siti,
dalle attrezzature e dai costi non accessibili.
In modo particolare un’intervistata sottolinea la mancanza di
attenzione, che denota disinteresse, alla conoscenza delle persone con
disabilità da parte degli addetti ai lavori; questo stato di cose porta
inevitabilmente a costruire tecnologie accessibili solo per alcuni.
Questa realtà ha spinto alcune delle donne intervistate ad impegnarsi,
tramite le associazioni o centri di appartenenza, al conseguimento
dell’accessibilità sia dei computer che della rete per consentire a tutti
di avere pari opportunità d’accesso e anche lavorative.
47DKB – Conosco persone che comprano on-line, ma per me non è
possibile, perché devo conoscere bene i siti che uso a causa di
quell’ingrandimento che ho bisogno. Dipende anche com’è costruito il sito, se è
disponibile per me.
48DKB – Vorrei usare la banca on –line, ma il sito è strutturato in un
modo che mi impedisce di navigare, in più viene cambiato spesso.
51IB – Internet … il problema è quando vai nei siti molto grafici … nei
quali con il sintetizzatore è un problema digitare quello che ti serve … e quindi
non riesci ad utilizzarli. Ecco a queste cose bisognerebbe porre rimedio,
altrimenti non è più un utilizzo per tutti.
51IB - Telefoni, ora ci sono anche i messaggi vocali, però per essere
completamente autonomo dovresti comprarti un cellulare apposta ma ha un costo
che…Sei penalizzato perché lo paghi 500 euro invece che 100 [il paragone è per
dire che un cellulare appositamente per non vedenti è molto caro]. La Asl200 il
200
Azienda Sanitaria Locale, Servizio pubblico italiano (N.d.A.)
176
computer te lo passa ma Jaws ha un costo…all’epoca 1500euro. La barra in
braille 2500. Anche la stampante in braille è scandaloso costi così tanto …
52IB – Tutto quello che è supporto è ben accetto, è un po’ meno bello
vedere i costi stratosferici.
48BB – Per noi è tanto difficile perché gli specialisti di software non
pensano alla gente con disabilità quando fanno dei propri programmi …
50BQ – La gente che crea computer non s’interessa abbastanza della
nostra opinione. Il risultato: questa tecnologia potrebbe essere molto utile, ma
resta non proprio usata.
Commenti e considerazioni finali
Partendo dalle finalità che ci eravamo prefissi nell’indagare le
narrazioni e i vissuti delle donne con disabilità nel rapporto con le
TIC, si possono trarre alcuni commenti finali che chiamiamo
invarianti, come si diceva nell’introduzione, dalle quali trarre motivo e
spunto per un ulteriore avanzamento della ricerca, dove porre
maggiore attenzione alle donne con disabilità.
Tali invarianti vengono, perciò, proposte come considerazioni su cui
riflettere e non come dati “obiettivi”, essendo numericamente limitato
il campione di donne intervistate.
Il contesto
•
Accessibilità delle attrezzature impiegate e della rete.
Le attrezzature e le postazioni ergonomicamente personalizzate non
sempre sono presenti, non sempre ne viene ravvisata la necessità, vuoi
perché le condizioni di salute non lo richiedono, vuoi perché l’abilità
177
nell’uso del computer e della rete è tale da riuscire a sopperire alle
mancanze di specifici ausili.
Ciò nonostante, le intervistate non vedenti e ipovedenti lamentano
l’inaccessibilità dei siti internet e di alcuni software, in quanto
eccessivamente grafici, altre, soprattutto le italiane, lamentano
l’eccessivo costo delle tecnologie per persone con disabilità
rendendole così non accessibili, altre ancora lamentano la mancanza di
attenzione nei confronti dei bisogni delle persone con disabilità da
parte degli addetti ai lavori nel progetto delle postazioni.
Possiamo, quindi, dire che per quanti progressi in tal senso siano stati
fatti, ancora esiste una diffusa disattenzione al tema dell’accessibilità
nei confronti delle TIC.
•
Contesto sociale in cui si è sviluppato l’approccio alle TIC.
Il contesto di riferimento per l’apprendimento all’uso delle TIC è
stato, come per le altre donne intervistate, quello della scuola
(intendendo anche istituzioni ed enti formativi parascolastici) e quello
del lavoro, quest’ultimo soprattutto per coloro che hanno acquisito una
disabilità in età adulta.
La differenza che sostanzia l’esperienza particolare di queste donne
rispetto alle altre, è rappresentata dai centri ed associazioni per
persone con disabilità che sono stati luoghi di riferimento e stimolo
all’apprendimento delle TIC. Luoghi dove le donne non solo hanno
trovato un supporto qualificato a prepararle all’uso, ma anche un aiuto
al loro progetto di vita.
•
Rete di relazioni personali che le hanno sostenute.
178
La rete di relazioni che emerge dai racconti è piuttosto estesa:
colleghi/e, amici/che, familiari, personale dei centri ed associazioni di
riferimento, a seconda dei casi, tutti hanno concorso al sostegno
all’apprendimento all’uso del computer e di internet.
In alcune narrazioni emerge chiaramente una sentita e profonda
gratitudine nei confronti degli “insegnanti” sia formali che informali,
non solo perché le hanno aiutate a raggiungere lo scopo prefisso con
buoni risultati, ma anche, e forse soprattutto, per l’impegno profuso
nel comprendere le loro necessità e difficoltà, nel rispettare il tempo e
il modo del loro personale apprendimento.
Il soggetto
•
Motivazioni a sostegno dell’uso
Per il campione di riferimento l’uso del computer e di internet trova la
sua fondamentale motivazione nell’individuazione di una necessità,
anche se, in rari casi, fanno riferimento all’impiego per gioco e per
passatempo.
Senz’altro l’attività lavorativa, o la sua prospettiva, è una motivazione
importante a sostegno della necessità, ma ciò che emerge con maggior
forza dalla lettura delle interviste è, invece, la necessità collegata al
vincere la solitudine, al sentirsi ancora utili per sé e per gli altri, al
sentirsi in contatto con il mondo, al coltivare i propri interessi.
•
Come leggono la loro relazione con le TIC
Nel complessivo il campione ha espresso un rapporto positivo con le
TIC, al punto di parlarne con entusiasmo. Individuano il computer e la
179
rete sempre come dei mezzi, degli strumenti, ma li caricano di
significati tali, in relazione alle motivazioni sopra esposte, da farli
diventare degli amici.
•
Rapporto fra l’impiego delle tecnologie e il vissuto.
A parte le pochissime donne che resistono all’uso del computer, le
altre nel raccontare del loro rapporto con le tecnologie, non solo le
TIC, parlano apertamente di autonomia e di indipendenza raggiunte
grazie al loro uso. Autonomia ed indipendenza per sé e nei confronti
dell’ambiente di vita.
•
Cambiamento apportato dall’uso delle TIC.
L’impiego delle tecnologie, come si diceva al punto precedente, ha
consentito il raggiungimento di un’autonomia altrimenti dichiarata da
alcune come non possibile. Questo, a ricaduta, ha aiutato a ricostruire
autostima e dato senso al proprio sé, promuovendo una (alle volte
nuova) progettazione dell’individuale percorso di vita: dal coltivare
interessi personali al gestire l’attività lavorativa, dalle attività di cura
per sé a quelle per gli altri, dal condividere con i propri simili gli stessi
bisogni e desideri al divenire artefici del cambiamento dell’ambiente a
favore degli altri.
180
In conclusione, risposte diverse ad un approccio
diverso
Rita Bencivenga
Le domande poste in CIAO!Women nascono dal nostro interesse a far
emergere gli stereotipi su donne e tecnologie e riflettere su chi li
riproduce.
In Italia le donne di età compresa fra i 35 e i 55 anni, in modo
particolare coloro che hanno più di 45 anni, si sono sentite ripetere in
mille modi che la tecnologia a loro non piace, non interessa, che
preferiscono che ad occuparsi degli aspetti tecnologici siano altri, in
primis i loro compagni o amici. Sono cresciute in anni in cui essere
brave a scuola in matematica e fisica metteva a rischio di esclusione,
in cui primeggiare nelle materie scientifiche rendeva meno interessanti
agli occhi dei ragazzi.
D’altra parte, sono anche la generazione che ha iniziato a scrivere
usando pennino e inchiostro e che adesso usa il computer per lavoro e
per svago. Queste donne hanno visto i primi fax, hanno usato i
computer solo con la tastiera e senza mouse, loro che da piccole
associavano alla tecnologia aerei, razzi, il primo uomo sulla luna,
computer grandi come armadi e Spencer Tracy e Katherine Hepburn
che litigavano201 su chi era più veloce, tra il cervello elettronico o
201
La segretaria quasi privata (The Desk Set). Un film di Walter Lang del 1957.
181
l’esperta operatrice del servizio informazioni, nell’elencare i nomi
delle renne di Babbo Natale.
Sono passate dai megafoni delle manifestazioni degli anni ’60 e ’70,
dalle lavatrici e televisioni e radio ai primi computer e modem che
usavano la linea telefonica, dalla paura per i reattori nucleari alle barre
braille per non vedenti e poi i videoproiettori, i forni a microonde, i
bancomat e le carte di credito, le smart card, i cercapersone e i
cellulari, i lettori di compact disc e le webcam, Ivisit e Second Life…
E in tutto questo percorso hanno continuato a leggere articoli di
giornale in cui erano descritte sempre indietro rispetto a qualcuno: agli
americani, ai russi, alle donne americane con le loro case
tecnologiche, agli uomini che usano internet dieci ore al giorno, alle
donne in carriera che senza tecnologia non saprebbero come
organizzare baby sitter e cameriere, agli informatici della Silicon
Valley e a quelli di Bangalore.
Indagini e questionari le hanno sempre descritte in modi che
rinforzavano immagini che venivano loro cucite (dipinte?) addosso e
loro nel frattempo avevano troppo da fare per fermarsi e chiedersi se
davvero si riconoscevano nella descrizione di se stesse che circolava
in televisione, sui giornali, in Internet, negli occhi dei loro figli e dei
loro colleghi smanettoni, e delle colleghe o amiche che avevano
sposato la tecnologia e vivevano un amore più o meno ricambiato
lasciandole sedute a far tappezzeria nel grande salone da ballo del
progresso.
182
Con CIAO!Women abbiamo tentato di esplorare le immagini, le idee,
le emozioni di donne come noi.
Le tecnologie sono innovazioni scientifiche e tecniche, che hanno lo
scopo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, ed è
proprio in questo loro aspetto reale, concreto, quotidiano che ci piace
pensarle.
Abbiamo chiesto alle donne di raccontarci ricordi positivi e negativi,
relativi alla loro infanzia o adolescenza, associati a una qualche
tecnologia.
Abbiamo chiesto alle donne di raccontarci come è mutata nel corso
della loro vita l’idea che hanno delle tecnologia, in particolare dei
computer e degli usi che se ne possono fare.
Abbiamo chiesto se il loro modo di vivere è cambiato grazie alle
tecnologie. Se il tempo, cioè l’organizzazione del quotidiano,
lo
spazio, cioè i luoghi dove si svolge la loro vita, gli incontri con altre
persone, amiche e amici, conoscenti, colleghe e colleghi sono cambiati
o potrebbero cambiare grazie alle tecnologie.
E la percezione del proprio corpo e del corpo degli altri è cambiata in
relazione all’uso delle tecnologie?
Cosa le donne sentono estraneo e cosa sentono familiare quando
leggono o ascoltano parlare di tecnologie? Cosa evoca in loro
sensazioni positive e negative?
Siamo partite dal presupposto che spesso l’immagine che i media e i
ricercatori trasmettono quando parlano di donne e tecnologia è
fuorviata da una lettura a priori, legata a un immaginario maschile che
183
identifica alcune caratteristiche dell’approccio femminile in modo
aprioristicamente negativo.
Nell’analisi di progetti in cui si parla di donne e tecnologie abbiamo
incontrato molte affermazioni legate a questo immaginario.
Ad esempio, in molti progetti che hanno condotto analisi simili alla
nostra da punti di vista differenti le donne che partecipano ai corsi di
alfabetizzazione all’uso del computer vengono descritte come
“timorose, esitanti, hanno la necessità di seguire il manuale passo
passo” e gli uomini ”coraggiosi, senza timore di rompere il computer,
di fare danni”.
Noi pensiamo che si potrebbero descrivere le stesse caratteristiche
come: “le donne sono giustamente caute di fronte ad attrezzature che
costano migliaia di euro e che, causa inesperienza, possono essere
danneggiate abbastanza facilmente; inoltre si rendono presto conto del
fatto che un apprendimento per prove ed errori porta via molto tempo,
mentre un approccio almeno all’inizio sistematico garantisce una
ottimizzazione dei tempi, quindi un apprendimento migliore sul medio
e lungo periodo”.
In fondo, l’approccio diverso che abbiamo applicato si può riassumere
proprio in questo: darci la possibilità di raccontarci per come siamo,
non in relazione a modelli precostituiti.
Ed è proprio grazie a questo che possiamo far emergere un rapporto
con le tecnologie per l’informazione e la comunicazione bello,
positivo, soprattutto molto concreto, che le usa quando e se servono,
che ne apprezza le possibilità innovative ma che può farne
184
tranquillamente a meno. Una visione non basata sull’ansia da
prestazione, non ossessionata dallo sfoggio nell’uso competente, una
modalità d’uso che lascia spazio a dubbi, perplessità, ascolto degli
altri e richieste di sostegno quando se ne ha bisogno e magari anche
quando non se ne ha “tecnicamente parlando” bisogno ma è comunque
più piacevole socializzare l’uso del computer.
È ora di cominciare a raccontare a noi stesse la nostra visione della
tecnologia in modo diverso, per quello che sentiamo e viviamo e non
per come pensiamo di doverci rappresentare.
Le testimonianze raccolte potranno regalare questo ad altre donne:
l’autorizzazione, che solo un rapporto fra pari può dare, a rileggere il
proprio passato e il proprio presente in modo diverso, scorgendo nuovi
e diversi significati in ciò che facciamo e in come siamo, liberi da
strutture precostituite e da sguardi giudicanti, sempre e comunque.
185
186
Indice
Origine del progetto: comunicare online .............................................. 7
Le interviste che hanno portato al progetto CIAO!Women............ 15
Donne e tecnologie ............................................................................. 25
Considerazioni generali .................................................................. 25
Scopi del progetto ........................................................................... 28
La mia ferramenta: le donne e i loro rapporti con le tecnologie
informatiche........................................................................................ 30
Unione Europea e riflessione femminile: un rapporto difficile. ..... 30
La riflessione femminile tra Pari Opportunità e femminismo della
differenza ........................................................................................ 32
Uguaglianza o differenza? .............................................................. 36
Il pensiero della differenza sessuale: l’esperienza italiana ............. 39
Dalla differenza di genere a pratiche formative e di ricerca in una
prospettiva non neutra .................................................................... 41
Il bisogno di raccontarsi ................................................................. 45
L’intervista narrativa .......................................................................... 47
Alcune questioni metodologiche .................................................... 47
L’intervista narrativa e la sua realizzazione ................................... 53
Fasi dell’intervista narrativa ........................................................... 55
La ricerca e i suoi risultati .................................................................. 63
Gli otto nuclei tematici ................................................................... 68
Non senza una necessità ................................................................. 68
Un apprendimento sia teorico che pratico ...................................... 78
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Verso una diversa economia di tempo e di vita.............................. 84
Mediazioni viventi .......................................................................... 88
La tecnologia: pericoli e fantasmi. ................................................. 95
Un diffuso senso di inadeguatezza ............................................... 104
Resistenza alla tecnica .................................................................. 109
L’inglese: una difficoltà oltre la difficoltà.................................... 114
Commenti e considerazioni finali: gli otto nuclei tematici........... 116
Analisi delle interviste italiane ......................................................... 121
Le interviste .................................................................................. 121
Gli otto nuclei tematici ................................................................. 131
Donne con disabilità e TIC ............................................................... 155
Accessibilità ed inclusione ........................................................... 155
Gli otto nuclei tematici ................................................................. 162
Commenti e considerazioni finali................................................. 177
In conclusione, risposte diverse ad un approccio diverso................. 181
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