Ae thnic - Uniontrade

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Ae thnic - Uniontrade
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FR NG
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PA T
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33 T
A
e thnic
Il periodico italiano del cibo etnico
NUMERO
06
NEGOZIO
YUZU
È UN AGRUME
ORIENTALE USATO
IN CUCINA. MA
ANCHE CONTRO
L’INFLUENZA
O PER
RILASSARSI
NUOVI ARRIVI
UNA VETRINA
DA SCOPRIRE
TOFU, MISO, NOODLES.
ECCO LE NOVITà
paesi
SPECIALITà
DAI CONTINENTI
GOBO, SOIA PERUVIANA,
LATTE EVAPORATO
E ALTRI PRODOTTI
NEGOZIO
PICCOLA
GRANDE GDO
LA CATENA GB RAMONDA
HA INTRODOTTO
L’ETNICO SUGLI SCAFFALI
RICETTE
DALL’ITALIA
E DAL MONDO
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb Milano
I CONSIGLI DE I TRE
CEDRI DI PIACENZA
E DELLO CHEF ALEX
LIBANO
la via
dei sapori
Incastrata tra israele, siria e mar mediterraneo,
la piccola repubblica mediorientale offre
una grande e sorprendente varietà
di piatti e tradizioni gastronomiche
RISTORANTE shiki
a milano si incontrano oriente e occidente
01
eAthnic
SOMMARIO
COVER STORY
COVER
STORY
Tutti gli aromi del Libano
04-11
04-08
La posizione strategica di un Paese, crocevia di tre culture,
rende unici i sapori della sua cucina
Paesi
Paesi
Asia
12-17
12-13
Gobo, alle radici del Giappone
Africa
14-15
Sudamerica
16-17
Latte evaporato, nutriente e senza zuccheri
Soia, gastronomia da esportazione
19
AZIENDA
AZIENDA
Brevi
19
Inka Cola, Singha Beer
NEGOZIO
NEGOZIO
Yuzu
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LA TUA COPIA DI EATHNIC
04
16
20-24
20-21
L’agrume giapponese dai mille usi
L’etnico nella Gdo
22
Il punto vendita
24
In Veneto ci sono i supermercati Gb Ramonda
Roma, Selli International Food Store
RISTORANTE
RISTORANTE
La cucina fusion a Milano
eathnic gratis a casa
26-30
26-27
30
Da Shiki Oriente e Occidente nello stesso piatto
Intervista a Matias Perdomo
Lo chef sudamericano che ha rivoluzionato
l’osteria milanese Al Pont de Ferr
28-29
La vetrina dei prodotti
L’importanza del coltello
29
30
ricette
ricette
Consigli dai protagonisti
31
Saper tagliare bene in cucina è arte di pochi
Lo chef Alex e Suzy Kmeid
NEWS
NEWS
Tendenze, salute e fiere
31
32
Eathnic - Il periodico italiano del cibo etnico
Numero 6 2013
pubblicazione semestrale - registrazione presso il Tribunale
di Milano n° 248 del 08/06/2012
Direttore Responsabile Luca Villani
Editore e redazione The Van Group - via Cucchiari 20
20155 Milano
Proprietario Uniontrade Srl - Via E. Mattei 1
20068 Peschiera Borromeo - Milano
Progetto, impaginazione ed editing
The Van Group - www.thevan.it - [email protected]
Stampa ERA Comunicazione Srl - Castelseprio (Va)
eAthnic
EDITORIALE
Continua
02
01
03
04
il giro
del mondo
D
English text on page 33
all’India al Libano il passo è breve.
Il giro del mondo di Eathnic vira verso
ovest per fermarsi in un Paese noto ai più
per la sua tormentata storia recente fatta
di guerre e distruzioni. Ma forse in pochi
sanno che in questo lembo di terra che si
affaccia sul Mediterraneo e che ha subito
negli anni l’influenza di culture ricche
e varie come quella africana, mediorientale e dell’Europa
meridionale prospera una ricca tradizione gastronomica che
riprende nelle sue sfaccettature caratteri e sapori di quelle
vicine. Non a caso quella libanese viene definita la “perla”
della cucina araba e il suo ruolo tocca aspetti importanti
anche della vita sociale. Suzy Kmeid vive da 18 anni in Italia e
dal 2008 a Piacenza gestisce un ristorante che serve specialità
libanesi. Ed è proprio lei a sottolineare come l’ospitalità, nel
suo Paese, si traduca condividendo con amici e conoscenti un
posto a tavola.
Non solo Libano in questo numero di Eathnic. Si va anche
in Sudamerica per scoprire come un prodotto tipico del
mercato orientale quale è la soia abbia preso piede anche in
Perù da quasi due secoli. Fa parte delle curiosità di una delle
cucine più raffinate, ma anche più particolari nel mondo,
“contaminata” da una miriade di culture gastronomiche
diversissime tra loro. Fra queste c’è anche quella cantonese
dopo che nel 1850 in Perù arrivarono migliaia cinesi in
cerca di lavoro. Nacque così la cucina chifa, un mix di sapori
sudamericani e di ingredienti orientali, come l’olio di soia.
Tra i prodotti in rilievo c’è anche lo yuzu, l’agrume tuttofare
che ha la forma di un mandarino, il colore di un limone e un
sapore simile a quello del pompelmo.
Poi, come sempre, non manca un viaggio tra i ristoranti più
in voga. Obiettivo puntato sulla cucina fusion dello Shiki
di Milano. Sempre nel capoluogo lombardo c’è Al Pont de
Ferr dove è primo chef Matias Perdomo. Sudamericano,
giramondo, il rivoluzionario della cucina...
02
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08
APPENA ARRIVATI
01. Unicurd tofu fresco Yaku alla giapponese, 50 confezioni (blu) da 300 grammi, provenienza Singapore 02. Unicurd tofu
fresco pressato, 46 confezioni (verde) da 300 grammi, provenienza Singapore 03. Tofu fresco Silken morbido, 50 confezioni (rossa)
da 300 grammi, provenienza Singapore 04. Pasta di shiro miso (bianco) a base di soia e di dashi miso (al pesce), 4/8 confezioni
da 300 grammi, provenienza Giappone 05. Bottigliette da 200 ml, dalla tipica forma affusolata di ramune, bevanda gassata
proveniente dal Giappone acquistabile in cinque gusti diversi: fragola, melone, classico (lime), ananas e mirtillo 06. Kiku masamune
sake nella varietà Junmai, prodotto attraverso la fermentazione del riso e senza aggiunta di alcol, in bottigliette da mezzo litro
(confezioni da 12), provenienza Giappone 07. Unicurd tofu fresco (morbido), in tubetto da 250 grammi, provenienza Giappone
08. Noodles Maggi 2 minute in 50 confezioni da 62,5 grammi in quattro gusti diversi: pollo, masala (spezie indiane),
curry e pomodoro
03
COVERSTORY Libano
English text on page 34
Ma i cedri sono due
Il simbolo del Libano è, in tutto il mondo,
il suo cedro (Cedrus libani). Un nome
però ambiguo: in italiano la parola “cedro”
indica infatti sia questa imponente conifera
stilizzata persino al centro della bandiera
del Paese mediorientale, sia il giallo agrume
(Citrus medica), anch’esso tipico di queste
parti. L’agrume però non ha nulla a che
vedere con la conifera, che non produce veri
e propri frutti. Di forma ovoidale,
il Citrus medica è giallo come un limone
ma ha una buccia molto più spessa
e butterata ed è molto apprezzato
nella cucina libanese, anche per le benefiche
proprietà. Ricco di potassio e vitamina C,
vanta infatti un’azione dissetante
e depurativa mentre il suo succo aiuta
a eliminare gas e fermentazioni
alla base di gonfiori addominali.
04
eAthnic
aromatiche
ispirazioni
Un Paese a cavallo tra Nord Africa, Medio
Oriente ed Europa latina. Crocevia di sapori,
questo piccolo angolo di Mediterraneo
custodisce tradizioni ricche di gusto.
E profumi di una storia millenaria
05
COVERSTORY LIBANO
eAthnic
I pilastri della cucina libanese
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Il ristorante I TRE CEDRI
Mangiare sano
e con gusto
DAL 2004 TASTE OF
HOME PORTA IN GIRO
PER IL MONDO I SAPORI
ETNICI. PROTAGONISTA
LOGISTICO È PERÒ
NESTRADE CHE SI OCCUPA
DI IMPORT ED EXPORT
N
ei locali di via Molineria Sant’Andrea, nel pieno
centro storico di Piacenza, il ristorante I tre
cedri offre ai visitatori un ambiente accogliente
e riservato, aperto su un antico porticato e su un cortile
interno. Dal 2008 questo bel locale gestito da Suzy Kmeid
presenta il meglio della cucina libanese per cene, pranzi di
lavoro e da asporto. La prima regola dei piatti mediorientali
è l’utilizzo di ingredienti semplici, naturali, con un buon
contenuto di fibre, vitamine e proteine: regola rispettata
anche qui, dove si gustano piatti buoni ma anche sani
affiancati da vini di grande pregio. A I tre cedri, infatti,
ha ampio spazio la selezione delle migliori etichette
locali, vanto di questa terra: bianchi, rossi e rosati tipici
della zona della valle della Beqa dove vigneti a oltre 1200
metri di altitudine regalano vini squisiti premiati in ambito
internazionale. Durante le serate di venerdì e sabato, I
tre cedri offre inoltre uno spettacolo di danza del ventre
mentre, durante il giorno, corsi di danza e di lingua araba.
Tahina
Bulgur
Prezzemolo
Labneh
Ceci
Pasta prodotta
con semi di
sesamo bianco,
con il suo tipico
aroma simile
a quello di noci
e arachidi ma con
un’intensa nota
tostata, è la base
di molte ricette
e soprattutto
dei meza, gli
antipasti libanesi.
Praticamente
immancabile
nelle cucine
di tutto il Paese.
Base di mille
ricette come
il tabbuleh, è una
preparazione di
chicchi frumento
integrale cotti
al vapore
e fatti seccare,
poi macinati
e ridotti in piccoli
pezzetti. È molto
diffuso in tutto
il Medio Oriente.
È impiegato anche
per impastare
il kebbeh,
le tipiche polpette
di agnello.
È fondamentale
in molti meza e
in particolare nel
tabbuleh. Insieme
all’olio d’oliva,
al pomodoro
e alla cipolla
freschi e alle
spezie costituisce
la base di molti
condimenti
a crudo e uno
degli ingredienti
capaci di rendere
la cucina libanese
piacevolmente
aromatica.
Crema di
formaggio ricca
e densa,
costituisce uno
dei prodotti
caseari più noti
e diffusi in
Libano. Simile
allo yogurt, viene
generalmente
condito con
olio d’oliva.
Solitamente
modellato
in piccole palline,
si accompagna
a insalate
con cetrioli.
Legume
diffusissimo
anche nell’Europa
mediterranea,
è presente
in molte salse
a base di tahina
come l’hummus.
Talvolta i ceci
sono impiegati
anche nella
preparazione
di frittelle,
come le
celeberrime
falafel.
English text on page 33
I
l modo migliore per conoscere la cultura libanese? Osservare
come a Beirut, a Tripoli o a Byblos uomini e donne, giovani
e anziani, si comportano a tavola. In altre parole è il ruolo
che il cibo svolge nella convivialità e nella vita quotidiana a
raccontare i rapporti tra le persone e le generazioni. Dalla
culla alla tomba, ogni tappa dell’esistenza è accompagnata da
un piatto e ogni festività o evento è celebrato con un pasto.
Ma non solo. Suzy Kmeid, libanese di Tanbourit (non lontano
da Sidone) residente in Italia da 18 anni (a Piacenza dal 2008
gestisce il ristorante I tre cedri), racconta a Eathnic che l’ospitalità è quanto più contraddistingue la cultura culinaria del
suo Paese: «Non si lascia la casa di un amico che ci ha ospitati
senza aver mangiato qualcosa», spiega.
s
Per incominciare
Quella libanese è spesso definita la “perla” della cucina araba.
Non è un caso. Affacciato sul Mediterraneo, questo piccolo
grande Paese (la sua superficie supera di poco quella della
A TAVOLA col sorriso
Suzy Kmeid gestisce dal 2008 il ristorante piacentino
I Tre Cedri, che propone la più tradizionale cucina libanese.
Nella foto in alto il luminoso porticato che ospita la sala
per cene e pranzi di lavoro dove gustare le specialità.
06
07
eAthnic
COVERSTORY LIBANO
La storia
Due secoli
tormentati
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I
English text on page 35
Un’amicizia
(commerciale)
che dura da decenni
L᾿
Piatti aromatici
Le salsine assaporate con il pane e senza posate non sono l’unico
punto in comune con le altre cucine mediorientali, come quella
israeliana, ma anche con quella turca e greca. Anche qui ogni pasto
prosegue infatti con una selezione di insalate i cui ingredienti
base sono, proprio come negli altri Paesi del bacino orientale
del Mediterraneo, legumi, verdure (spesso grigliate, come nelle
nostre regioni del Sud) e odori: coriandolo, cumino, curcuma,
pimento e il “nostro” prezzemolo. L’aromaticità contraddistingue
quindi i sapori libanesi. Lo si capisce dal profumo di un altro
piatto tipico: il tabbuleh, cous cous di grano con cipolla, menta,
prezzemolo, pomodoro, spezie, lime e olio d’oliva.
interscambio commerciale tra Italia e Libano è
ammontato nel 2011 (ultimi dati disponibili presso
l’Ambasciata italiana a Beirut) a 1,9 miliardi di
dollari Usa, di cui 1,87 di export italiano. I dati mostrano
quindi una netta superiorità in volumi delle transazioni
verso il Paese mediorientale rispetto a quelle verso l’Italia.
Una posizione che il nostro Paese ha progressivamente
migliorato, arrivando oggi a ricoprire la seconda posizione
dopo gli Stati Uniti tra le economie mondiali da cui il
Libano importa prodotti. Anche alimentari: nel 2011
le aziende italiane hanno infatti venduto a quelle
libanesi cibi preparati e bevande per 50 milioni (2,7%
dell’export italiano verso il Libano). Le esportazioni dal
Libano verso l’Italia, invece, non sono consistenti (1%
nel 2010), anche se in questo caso il cibo riveste un
ruolo di discreta importanza. Del resto il 5% circa delle
esportazioni del Paese dei cedri verso il resto del mondo
ha riguardato, sempre nel 2010, prodotti agroalimentari
e cibi confezionati. Che i rapporti commerciali tra i
due Paesi siano solidi da tempo si desume anche dal
sito infomercatiesteri.it del Ministero degli affari
esteri italiano dedicato agli imprenditori del Bel Paese
intenzionati a investire oltre confine: «L’Italia gode in
Libano di un’ottima reputazione. Il mercato locale non
è certo rilevante per volume, ma dispone di un elevato
grado di apertura a scambi e triangolazioni varie», si legge.
Una cucina in gran parte vegetariana
«I piatti forti in Libano variano molto da famiglia a famiglia e
da regione a regione», precisa Suzy. Che propone ai suoi ospiti
ricette fedeli alla tradizione, non curante (e lo dice con una
certa ironia) di chi si dice timoroso di imbattersi in pietanze
troppo saporite: «La cucina libanese contiene aglio e cipolla.
Preparati alla nostra maniera, però, i piatti non sono mai forti e indigesti. Così spesso i clienti nemmeno si accorgono di
averne mangiato».
Anche le pietanze più sostanziose sono infatti sempre delicate, anche perché spesso vegetariane. «È sulle verdure che la nostra
tavola dà il meglio di sé con qualcosa come un centinaio di
s
nostra Basilicata) condivide con le altre cucine mediorientali
sapori unici e profumi, a cui però affianca ricette decisamente
originali, forti anche delle influenze europee e di quella francese
prima di tutto, retaggio dell’ormai dissolto Mandato che Parigi
vantava sul Libano fino all’indipendenza dichiarata nel 1943.
Che il pasto qui sia un rito lo si capisce però anche da come
è composto. «Ogni pranzo o cena è diverso in base alla bravura
e alla creatività del padrone di casa, ma il suo inizio è sempre lo
stesso: i meza, ovvero una serie di antipasti che sono un vero e
proprio must», aggiunge Suzy. Piccole pietanze, quasi assaggi.
Una sorta di degustazione, quindi. Innanzitutto ci sono le “quattro sorelle”, quattro creme che da sole sono il simbolo di questa
terra. Due sono a base di polpa di sesamo, la celebre tahina, e
sono arricchite rispettivamente con un passato di melanzane
(baba ghannouj) e con uno di ceci (hummus). Le altre due, i cui
sapori si bilanciano perfettamente con le prime, sono invece
una crema di formaggio profumata alla menta (labneh) e un
puré di fave (foul). «Tipicamente si mangiano aiutandosi con
pezzi di pane, il tradizionale khubz arabi, servendosi tutti dallo
stesso piatto di portata», spiega Suzy. La condivisione è la cifra
della cucina libanese. Il Libano ha infatti ereditato dall’antica
cultura fenicia l’abilità nel commercio e nelle relazioni: non
è un caso che il pasto rappresenti il più importante momento
di incontro e di socialità, tanto da durare nei giorni di festa
anche diverse ore.
08
IMPORT ED EXPORT
l Libano ha avuto una storia molto tormentata, dilaniata da lotte interne e dalle
guerre con Israele, cruente e sanguinose. Già nel 1860 fu necessario l’intervento
francese per placare l’animosità tra maroniti e drusi, due confessioni religiose in
lotta. La prima costituzione arrivò nel 1920, in seguito alla Prima guerra mondiale e
alla caduta dell’Impero ottomano: in quegli anni il Libano si chiamava Stato del grande
Libano ed era un territorio sotto mandato francese, mentre nel 1925 assunse il nome
di Repubblica libanese. Nel 1943, al termine della Seconda guerra mondiale, il Libano
ottenne l’indipendenza, anche se l’ultimo soldato francese lasciò i confini solo nel 1946.
Alla fine del 1947 anche il Libano disse di no alla risoluzione 181 dell’Onu che divideva il
territorio della Palestina in uno Stato ebraico (Israele) e uno arabo e, nell’accesa questione
mediorientale, il Libano si schierò sempre con i Paesi arabi: migliaia di profughi palestinesi
si sono rifugiati così all’interno dei suoi confini creando una serie interminabile di tensioni.
Nel 1975 scoppiò la guerra civile e nel 1982 il Libano fu invaso da Israele: solo l’intervento
delle forze internazionali evitò il prolungarsi del conflitto, risparmiando ulteriori distruzioni
e spargimenti di sangue. La seconda offensiva di Israele contro il Libano ebbe inizio nel
luglio del 2006 in risposta al rapimento di due soldati israeliani operato dalle milizie di
Hezbollah, il partito di orientamento sciita che può contare anche su un’ala militare. Fu
un attacco durissimo che non risparmiò nemmeno la popolazione civile: alcuni quartieri
della capitale Beirut furono rasi al suolo, con 130mila edifici colpiti. Il conflitto durò poco
più di un mese prima del “cessate il fuoco” e della creazione di una zona cuscinetto libera
da forza armate a cavallo tra i due Paesi.
09
eAthnic
COVERSTORY LIBANO
CHIUDERE DOLCEMENTE
Un tipico pasto libanese non può concludersi senza
il dolce. Che siano biscottini al pistacchio o torte a base
di pasta sfoglia, il comune denominatore della cucina locale
è l’alto contenuto calorico degli ingredienti base – spezie
o frutta secca – che risentono dell’influenza mediorientale.
il vino
English text on page 35
Nettare
mediterraneo
C
piatti vegetariani», spiega. Cucina influenzata dalla tradizione
araba, quella libanese tra le carni predilige quella di agnello.
Poco consumata è invece quella di maiale, non per ragioni religiose (oggi la maggioranza della popolazione è cristiana) ma
perché il clima caldo rende difficile l’allevamento dell’animale.
Ovviamente le influenze internazionali incominciano a farsi
sentire anche da queste parti: «Nelle grandi città abbondano i
ristoranti di ogni parte del mondo e nelle dispense delle case
libanesi non mancano ormai prodotti pronti e industriali»,
aggiunge Suzy.
n
Per finire
A dispetto del caldo, il pasto libanese è spesso accompagnato da
alcolici e superalcolici. Celebre è l’arak, un distillato d’uva a cui
sono aggiunti semi di anice analogamente all’ouzo greco, servito
diluito e con ghiaccio. E poi il vino, un vanto di questa terra:
la valle della Beqaāè da sempre la principale regione vinicola
del Paese, grazie a un clima favorevole e un terreno argilloso e
calcareo. Bottiglie celebri come quelle di Château Musar (un
rosso ottenuto da uve Cinsault, Cabernet e Carignan) hanno
reso famoso il vino libanese in tutto il mondo.
Infine i dolci. Il fine pasto libanese si discosta in parte dalla
tradizione araba: «I nostri dolci sono veramente dolci», scherza
Suzy. In altre parole, quelle libanesi sono preparazioni ricche
di burro e zucchero, a base di pasta sfoglia o pasta fillo molto
sottile. L’influenza mediorientale ritorna invece negli ingredienti, come la frutta secca, le spezie, l’acqua di rosa e lo zucchero
sciroppato. «Se i piatti sono sani e in un certo senso dietetici, i
dolci sono al contrario estremamente calorici», aggiunge Suzy.
Infine, una raccomandazione. Un’antica regola suggerisce
di servire sempre il doppio del cibo che ci si aspetta gli ospiti
possano consumare. Quindi, se vi capitasse di essere invitati
in una casa di Beirut ricordate di accettare tutto quello che vi
viene offerto: un rifiuto sarebbe una grave offesa nei confronti
del padrone di casa.
ucina saporita, cedri e… vino. Il Libano è anche
una delle capitali mondiali della viticoltura. Il
cuore di questa produzione batte nella valle della
Beqa, fertile vallata che si estende tra Libano e Siria (che
a oggi costituisce il 40% della terra arabile dell’intero
Paese), a circa 30 chilometri a est di Beirut. Delimitata
dalle montagne del Monte Libano e dai monti dell’Anti
Libano a est, la vallata ospita alcuni tra i più celebri
vitigni del mondo. Qui vinificano, secondo metodi di
produzione ormai avanzati, vini di particolare pregio.
Le migliori produzioni sono invecchiate: alcune
etichette possono essere conservate in cantina anche
fino a sette anni. Un nome su tutti è il rosso Château
Musar, le cui bottiglie possono invecchiare anche per
più di trent’anni. Ottimi anche i novelli di Kefraya. Con
circa sette milioni di bottiglie prodotte all’anno, il vino
libanese sta ormai conquistando sempre più spazio nel
mercato mondiale. Marks & Spencer, la nota catena
britannica di centri commerciali, ha deciso ad esempio di
proporlo sui suoi esclusivi scaffali accanto alla tabbuleh e
allo hummus, mentre sono sempre di più i tour operator
europei che hanno già inserito il Libano tra le destinazioni
dei loro itinerari enologici ed enogastronomici.
10
11
PAESI
eAthnic
ASIA
GOBO
UNA STORIA
GIAPPONESE
È la radice principale della bardana, una pianta che cresce con
qualsiasi condizione atmosferica. si coltiva da migliaia di anni
ed è molto utilizzata nella cucina TRADIZIONALE nipponica
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I
l nome è decisamente curioso, ma il gobo altro non è che
la radice della bardana, una pianta che, botanicamente,
appartiene alla famiglia delle Asteracee. È molto resistente
a tutte le temperature, alte e basse, e si dice abbia avuto
origine nel gelo della Siberia. Ma è in Giappone che si coltiva
da millenni: le radici vengono solitamente sradicate in autunno
e lasciate essiccare durante l’inverno, sono sottili e possono anche misurare tre metri, hanno consistenza piuttosto compatta
e sono di colore scuro, ma con una polpa bianca. Il gobo è ricco
di potassio, vitamina C e vitamina E, di pirossidina (vitamina
B6) e di sali minerali.
Può essere utilizzato come erba medicale – depura l’organismo
e cura le malattie della pelle – ma in Giappone è particolarmente
apprezzato come verdura in alcune ricette della cucina locale.
È uno degli ingredienti di molte zuppe, ma il piatto giapponese
a base di gobo più famoso e gustoso è sicuramente il kinpira
gobo: si tratta di un’insalata da servire fredda composta oltre
che dalla radice, da carote precedentemente stufati con salsa
di soia e mirin (una sorta di sakè dolce) e, una volta in tavola,
leggermente aromatizzata con polvere di spezie oppure di sedano
bianco. È un’insalata croccante e profumata che nei ristoranti o
nei bar viene servita in piccole ciotole come stuzzichino insieme
alla birra o all’aperitivo ed è un piatto tipico della tradizione
di Capodanno.
Il gobo può essere equiparato alla scorzonera, pianta coltivata
in Europa e appartenente alla stessa famiglia delle Asteracee:
in Italia è reperibile soprattutto al nord e in passato, specie durante guerre o carestie, questa radice veniva tostata e macinata
per essere usata come caffè, mentre le foglie venivano fumate
al posto del tabacco. In Francia la preparano come l’asparago,
in altri Paesi sostituisce la patata ed è utilizzata per cucinare
zuppe, torte e cotolette.
n
12
NOODLES FORTUNATI
Sono i classici noodles
prodotti con le
migliori farine e
commercializzati
dalla cinese Lucky
Boat, uno dei marchi
più apprezzati e
utilizzati dai migliori
chef di ristoranti e
take away, soprattutto
del Regno Unito. I
noodles di Lucky Boat
possono essere cucinati
con diverse tecniche e
accompagnati da tutte
le salse, assorbono
molto bene i sapori e
mantengono la loro forma
e consistenza durante
l’intero periodo di cottura.
Qui sono proposti nel
formato medio e sottile.
BONTà IN SCATOLA
Sardine in salsa di pomodoro
e la versione un po’ più
saporita con l’aggiunta di
peperoncino. Già dal lontano
1945 nei negozi di alimentari
delle Filippine si potevano
acquistare le confezioni
della Ligo, l’azienda
diventata leader
nel settore del pesce
in scatola nel suo Paese
e poi in tutto il mondo
grazie agli elevati
standard qualitativi
dei suoi prodotti.
A metà degli anni ‘80
ha allargato il suo
business con la carne
in scatola.
In commercio per
la Ligo anche frutta
sciroppata e snack.
SCELTI PER VOI
SOIA E PESCE BONITO
LE SALSE PIù GUSTOSE
Stimolare il sapore del gobo, magari immerso in
salsine saporite, per apprezzarne ancora di più le sue
qualità. Obaneya propone una doppia soluzione dal
Giappone in buste da 180 grammi; la prima è il gobo
in salsa di bonito, un pesce molto simile al tonno e
diffuso nei mari caldi temperati; la seconda proposta
è decisamente più classica ma non per questo meno
gustosa e invitante. Si può assaporare il gobo imbevuto
nella salsa di soia, il condimento tipico e più utilizzato
che caratterizza molti piatti della cucina orientale.
Dal 1985 selezioniamo e importiamo prodotti
alimentari etnici da tutto il mondo.
Siamo leader nella distribuzione all’ingrosso
di cibo etnico per la ristorazione, negozi e Gdo.
Con la nostra esperienza siamo il partner ideale per
chi vuole affrontare un mercato in continua crescita.
VIA ENRICO MATTEI, 1 - 20068 - PESCHIERA BORROMEO (MI) - TEL: 0226922898 - WWW.UNIONTRADE.IT
13
PAESI
eAthnic
AFRICA
LATTE EVAPORATO
CONDENSATO
SENZA ZUCCHERI
Grazie agli elevati principi nutritivi, è molto utilizzato dai
musulmani per nutrirsi DURANTE IL Ramadan. Mentre nel continente
nero SI dissetaNO unendolo alla GuiNness, alle spezie e al cacao
English text on page 35
I
l latte evaporato è, semplicemente, il latte condensato ma
senza l’aggiunta finale di zuccheri. Il ciclo di preparazione è
lo stesso, ma con un’unica differenza: il latte evaporato prima
viene omogeneizzato (procedimento che, in pratica, frantuma
i grassi per favorirne la digeribilità), poi lo si fa evaporare riscaldandolo a una temperatura moderata per evitare la caramellizzazione
degli zuccheri, infine sterilizzato. Attraverso questo processo si ha
una parziale sottrazione di acqua (fino al 60%), a cui consegue una
riduzione del volume iniziale con aumento della conservabilità e
di una certa praticità d’uso.
Come accade per il latte condensato – ma anche per quello in
polvere – il latte evaporato è molto utilizzato in quei Paesi in cui
c’è carenza di latte fresco, ad esempio a causa di guerre o catastrofi
naturali, come provvista d’emergenza e già nel 1880 viaggiava in
lungo e in largo per il continente africano negli zaini dei minatori
che restavano lontani per settimane da casa. Si usa normalmente in
cucina per la produzione e la guarnizione di dolci (come i churros
nei paesi latini), per macchiare tè e caffè, per fare la panna e il
gelato e, allungato con acqua, per ottenere, appunto, latte liquido.
Rispetto al condensato, decisamente sciropposo, il latte evaporato
ha una consistenza più fluida.
Anche il latte condensato è molto utilizzato per fare dolci e,
grazie agli elevati principi nutritivi, è uno degli alimenti più consumati dai fedeli musulmani dopo il tramonto durante il periodo
di digiuno del Ramadan.
In Irlanda e in Giamaica, ma anche in alcuni paesi africani come
Nigeria, Ghana e Camerun, c’è chi ama dissetarsi con il Guinness
punch, un cocktail di birra Guinness stout, spezie e latte condensato con l’aggiunta di polvere di cacao che serve a contrastare il
gusto un po’ amaro tipico della birra. In India, infine, c’è il kulfi,
il gelato locale privo di uova a base di latte condensato e panna.n
14
SCELTI PER VOI
UN SORSO D’IRLANDA
Nasce nel 1912 per essere
esportata in Belgio ed è destinata
al mercato africano. Si distingue
dalla Guinnes tradizionale per una
schiuma più scura, ha un gusto
meno amaro, ma un solido livello
alcolico di otto gradi. Mischiata
con il latte condensato compone
un cocktail bevuto in molte zone
dell’Africa.
GRADAZIONE ZERO
Bevanda analcolica al malto in
bottiglia da 33 cl, bevuta dai
nordafricani al posto della birra
proprio perché priva di alcol pur
mantenendo lo stesso gradevole
sapore del luppolo.
ROSSO FRANCESE
La Bonnet Rouge ha una
lunga tradizione nei Paesi
africani in cui si parla
la lingua francese, dove
il latte evaporato è utilizzato
in cucina, per macchiare tè
e caffè o allungarlo per farne
vero e proprio latte.
L’AFRICA AUTENTICA
Il saka-saka è un condimento
preparato con giovani foglie di
manioca tritate o polverizzate.
Lo chiamano così nel golfo
di Guinea e in Madagascar e,
come recita la confezione da
410 grammi, racchiude in sé i
veri sapori dell’Africa.
KIRIN ICHIBAN AD:185x120mm
VITAMINE E MINERALI.
E L’UNICEF LO RACCOMANDA
Il latte nelle sue tre declinazioni: evaporato,
condensato e in polvere. Lo propone, in lattine da
400 grammi, Peak, marchio conosciutissimo in Nigeria
(ha sede a Lagos) e raccomandato anche dall’Unicef:
tutti i suoi prodotti, infatti, contengono 28 vitamine
e minerali, incluse la B1, B12 e lo iodio. In Paesi in
cui non tutte le famiglie possiedono un frigorifero,
il latte condensato e i suoi simili sono la soluzione
perfetta per non rinunciare ai valori nutritivi del latte,
specie per i bambini. Se la confezione resta sigillata,
il prodotto può essere consumato anche dopo molto
tempo il suo acquisto. Molto comuni in Asia e in
Africa, queste varianti meno liquide del latte si stanno
diffondendo anche in più parti dell’Europa.
Solamente il puro mosto ottenuto
dal primo filtraggio dei migliori ingredienti
è utilizzato per produrre Kirin Ichiban.
Il metodo Ichiban Shibori assicura
che la nostra birra sia sempre fresca e pura
dalla prima all'ultima goccia.
Birra nella sua purezza
15
PAESI
eAthnic
SUDAMERICA
SOIA
dalla cina
alle ande
La gastronomia peruviana è nota per le influenze di altre culture.
Ad esempio quella cANTONESE, che ha portato oltre l’oceano
ingredienti e sapori che hanno dato vita alla cucina chifa
English text on page 36
L
a cucina peruviana è sempre una nuova scoperta: l’autorevole settimanale britannico The Economist l’ha eletta tra
le dodici più raffinate al mondo. Ma la sua peculiarità è
un’altra: è conosciuta e apprezzata per la sua complessità,
contaminata da stili e influenze provenienti da culture gastronomiche diversissime tra loro come quella pre-colombiana, spagnola,
africana, italiana, giapponese e, soprattutto, cantonese.
A partire dal 1850, infatti, sono arrivati in Perù, per sostituirsi
agli schiavi neri che si stavano affrancando, numerosi immigrati
cinesi. Una volta sbarcati, firmavano lunghi contratti con gli imprenditori locali per essere sottomessi al loro servizio. Chi riusciva
a svincolarsi da queste condizioni di semi-schiavitù fuggiva verso
le grandi città e apriva piccoli ristoranti chiamati chifas (nome che
si dice derivi dal termine Mandarino chi fan, ovvero “mangiare”):
non a caso, quindi, la cucina nata dall’incontro tra la tradizione
cinese con quella peruviana si chiama chifa.
Uno dei piatti che suggella alla perfezione questa unione tra Cina
e Perù è l’arroz chaufa (riso fritto, che non a caso nel Mandarino
attuale è chiamato chao fan) nelle sue numerose varianti al pollo,
vitello, maiale o pesce, rigorosamente annaffiato, una volta ben
cotto, con salsa di soia, un ingrediente di origine cinese presente
in numerosi piatti della cucina chifa. Ad esempio il pollo a la brasa,
il pollo arrosto marinato con l’aggiunta di un cucchiaio di salsa.
Ma il piatto tradizionale della capitale e diffuso in tutto il Perù
è il lomo saltado, cucinato per la prima volta, un centinaio di anni
fa, proprio in una delle locande aperte dagli immigrati di origine
cantonese: viene preparato con cubi di filetto marinato in salsa di
soia e pepe, con aromi del pisco (un distillato del mosto di vino
simile al brandy) e cipolle croccanti, pomodorini e scalogno. È un
piatto che in Perù piace ai ricchi e ai poveri e lo si può trovare nei
locali più importanti di Lima così come sulle tavole delle abitazioni
della gente comune. n
16
PER ADDOLCIRE LA VITA
La panela si ottiene dall’evaporazione del succo della
canna da zucchero da cui si ricava una melassa viscosa
versata in piccoli stampi e poi lasciata essicare.
è un alimento tipico dei paesi dell’America latina,
il maggior produttore mondiale è la Colombia
da cui proviene la panela Gourmet Latino. Si utilizza
come dolcificante, ma anche come cibo.
ORIGINI ARABE
è il grano spezzato
e tostato, ricco di fibre,
vitamine e sali minerali.
In Brasile lo hanno
introdotto gli immigrati
arabi alla fine dell’XIX
secolo e viene utilizzato per
la preparazione di insalate
di verdure come il tabule,
di torte e nel quibe, un
preparato di burgul
(grano duro) e carne.
UN CONTORNO DI SPESSORE
La farofa è un contorno salato
tipico della cucina brasiliana
composto da farina manioca
o di mais poi arricchibile
con altri ingredienti (uovo,
cipolla, banana). In Brasile è
una pietanza molto comune,
viene servita assieme a piatti
di carne o pesce e consumata
soprattutto dai lavoratori e dagli
strati umili della popolazione
vista la sua economicità.
SCELTI PER VOI
UN condimento sconfinato
Quando si parla di salsa di soia la mente va subito a
Cina o Giappone dove nasce e, tuttora, si utilizza per
condire ogni piatto. Kikko Siyau, invece,
è un prodotto peruviano nulla ha da
invidiare alle salse di soia orientali
ed è ben inserito nella ricchissima
tradizione culinaria del paese andino.
Un cucchiaio di salsa di soia, ad
esempio, è tra gli ingredienti principali
del secondo piatto più famoso del
Perù, il lomo saltado, non a caso anche
la portata più rappresentativa della
cucina chifa. La salsa di soia è utilizzata
per condire il ceviche, ricetta tipica a
base di pesce. Nel riso fritto, che si
consuma nella parte settentrionale
del Paese, non può mai mancare
il suo inconfondibile gusto,
mentre la soia, in alcuni ristoranti
peruviani, talvolta è utilizzata al
posto della carne per il ripieno
dei peperoni.
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Come nasce Nori
17
AZIENDA
18
eAthnic
BREVI
Inka cola
singha Beer
Il Perù in bottiglia
Una bionda sportiva
Dal 1970 è la bebida del Perù, la
bibita del Perù per eccellenza. È la
Inca kola, ha un colore giallo simile
a quello della cedrata, è gassata e
ha un gusto molto dolce. In Perù è
popolarissima: è leader nel mercato
delle bevande analcoliche con una
quota di oltre il 30%, dieci punti in
più della Coca Cola. Piace ai ricchi
e ai poveri e, inoltre, detiene un
record molto curioso, quello dei
diversi formati di bottiglie in vendita: secondo una recente stima
esistono sul mercato latino
sette tipologie di bottiglie in
vetro, dodici in plastica, due
di lattine e tre per i distributori automatici.
In Italia la Inca Kola
non è in commercio e
infatti da noi si trova la Inka Cola (in
pratica sono state
invertite la “c” e la
“k”), del tutto simile alla bevanda che
spopola in Perù e in
molte zone del Sudamerica, anche se non
appartiene allo stesso
produttore: la si può
trovare nelle pratiche
bottigliette da mezzo litro e in quella da
un litro e mezzo. La
maggioranza dei ristoranti che servono
piatti di cucina chifa
(una sorta di mix tra
la cucina peruviana e
quella orientale) l’ha
adottata da qualche
anno come bevanda analcolica; i peruviani la preferiscono a temperatura ambiente
piuttosto che fredda.
È la birra del leone la più diffusa in
Thailandia. La Singha Beer, infatti, è
amata sia dagli abitanti del posto
sia dai turisti, che la sorseggiano
per trarre sollievo dal caldo umido di Bangkok e dintorni. È una
lager con il 6% di alcool e un gusto leggero e gradevole, ideale per
dissetarsi al bar per un aperitivo o
in discoteca e anche molto gradita
durante i pasti.
Nata nel 1933 (quest’anno
quindi festeggia il suo ottantesimo compleanno), è una
delle birre più conosciute in
tutto il mondo grazie anche
alle partnership pubblicitarie che la legano ai brand
sportivi più prestigiosi. In
Inghilterra è sponsor ufficiale delle due squadre di
calcio più vincenti degli
ultimi anni nel massimo
campionato, la Premier
League: a gennaio è stato prolungato fino al
2016 il contratto con il
Manchester United e ad
aprile si è replicato con il
Chelsea fino al 2017. Tra
l’altro, entrambe le formazioni saranno ospiti a
Bangkok rispettivamente sabato 13 e domenica
17 luglio per due match
contro una selezione di
stelle locali al Rajamangala
National Stadium e in palio ci sarà proprio la Singha
80th Anniversary Cup. L’azienda thailandese, inoltre, è
anche team partner della scuderia campione del mondo
di Formula Uno, la Red Bull.
Una curiosità finale, Singha non produce solo birra,
ma anche acqua naturale e gassata oltre a una bevanda al
the verde, Moshi green tea, in quattro varianti: original,
lemon, melon e fruit.
19
NEGOZIO
eAthnic
YUZU
L’agrume
tuttofare
01
01. Bottiglia da mezzo litro di
Yorozuya, il liquore allo yuzu
al 9% di alcol, ottimo come
digestivo da gustare freddo dopo
i pasti oppure per aromatizzare
i dolci e le macedonie di frutta
fresca 02. Lo Yuzusco è la
variante giapponese del tabasco,
aromatizzata allo yuzu con
l’aggiunta di peperoncino, può
insaporire verdure e panini
03. Bottiglia da mezzo litro di
succo puro di yuzu al 100%
04. Condimento allo yuzu e
al peperoncino verde in un
vasetto da 80 grammi 05. Sale
aromatizzato allo yuzu, in
bustina da 100 grammi, dal gusto
fresco e fruttato 06. Bustina
di yuzu essicato e ridotto a
pezzettini, il condimento ideale
per aromatizzare zuppe o piatti
di carne e pesce 07. Yuzu e
peperoncino verde in polvere
08. Condimento allo yuzu in
polvere 09. Salsina allo yuzu della
Miko Brand 10. Salsa Ponzu allo
yuzu per condire il carpaccio di
carne o pesce (sashimi), marca
Yamasa, in bottiglia da un litro
03
02
In cucina può essere utilizzato per insaporire il pesce, come
ingrediente di gustose salsine oppure per dare un tocco
di originalità ai dolci. Ma c’è anche chi ne respira le essenze
English text on page 36
H
a la forma di un mandarino, il colore di un
limone – ma si spazia dal giallo al verde a
seconda del grado di maturazione – e note
aromatiche simili a quelle del pompelmo.
Ma su una tavola non lo si potrà mai vedere a spicchi perché in cucina lo yuzu si utilizza in (tanti)
altri modi. Le sue origini risalgono al terzo
secolo a.C. in Tibet e solo in seguito sarà
introdotto anche in Corea e soprattutto
in Giappone, dove oggi cresce su piccoli
alberi spinosi – che hanno lo stesso nome
del frutto – sull’isola di Shikoku, nell’Oceano Pacifico settentrionale. Solo in
questa ristretta zona si producono circa
10mila tonnellate di yuzu l’anno, ovvero
la metà della produzione totale presente
sul mercato giapponese.
La caratteristica principale della pianta è la
resistenza al freddo (cresce anche fino a -10 °C) e
ai forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte che, però,
esaltano il sapore del frutto. La pianta dello yuzu, conosciuta con
il nome di Citrus junos, ha anche funzione ornamentale: colora e
abbellisce i giardini e alcune varietà sono coltivate esclusivamente
solo per i fiori che producono.
Scoperto anche dai grandi chef
Il suo ambiente naturale, però, resta la cucina. Se ne può ricavare
infatti un succo aromatico molto delicato oppure è possibile utilizzare direttamente la buccia per insaporire le pietanze più diverse,
dalla verdura ai piatti di pesce come sushi, insalate di gamberi o
capesante. Nella cucina giapponese è usato per dare un tocco in
più alle salse, come la ponzu utilizzata come condimento per il
sashimi, i cui ingredienti sono il mirin (un sakè dolce), l’aceto di
20
riso, fiocchi di katsuobushi (tonno secco
affumicato) e alga kombu con l’aggiunta finale del succo di yuzu.È frequente
anche l’uso per la preparazione di dolci, torte e gelatine, mentre in Corea ci
fanno una marmellata. La diffusione
dello yuzu, ormai, ha varcato i confini del
Giappone: il suo gusto aspro ma fruttato
è apprezzato in tutto il mondo e anche i
grandi chef lo custodiscono gelosamente nelle
loro dispense. Ad esempio il pasticciere più famoso
di Francia, Pierre Hermé, lo utilizza per arricchire
il sapore delle sue specialità, a partire dai macarons,
i deliziosi pasticcini colorati che fanno bella mostra
nella sua “boutique” parigina in Rue Bonaparte. Inoltre
lo yuzu dà profumo al tè, è un originale ingrediente
dei cocktail più esclusivi e, addirittura, in Olanda e in
Finlandia aromatizza alcune birre artigianali.
04
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10
A mollo tra gli yuzu
Si intuisce quindi che è un agrume dalle mille risorse, da cui si
estrae anche l’olio essenziale utilizzato per realizzare prodotti per la
pulizia del corpo, creme per la pelle, profumi e candele per la casa.
In Giappone è utililizzato anche per piacevoli bagni caldi la
sera del solstizio d’inverno: la scorza dei frutti immersi nell’acqua
bollente rilascia essenze profumate che hanno effetti rilassanti.
Inoltre lo yuzu è un agrume che ha un contenuto di vitamina C
doppio di quello delle arance: farsi una spremuta, però, è un’impresa alquanto complicata visto che il frutto contiene poco succo e
grossi semi. Lo yuzu ha comunque buone qualità medicamentose,
è ricco di antiossidanti ed è un ottimo rimedio contro raffreddori,
influenze e per la guarigione della pelle screpolata. Insomma, è un
agrume universale.
n
21
NEGOZIO
eAthnic
L’intervista
Veneto
super... etnico
Anche i punti vendita della grande distribuzione targati
GB Ramonda aprono ai prodotti di tutto il mondo. ai clienti
la novità è piaciuta e nei piani c’è un ampliamento dell’offerta
English text on page 37
P
er soddisfare la voglia di cibo etnico
non sempre è indispensabile rivolgersi a negozi specializzati. Ormai,
infatti, anche le piccole catene della grande distribuzione hanno diversificato la
propria offerta proponendo sugli scaffali un
buona varietà di questi prodotti. D’altronde,
gli immigrati non vogliono perdere i sapori
tipici della loro tradizione e sempre di più
anche i nostri connazionali che tornano da
un viaggio hanno voglia di riassaporare i
cibi gustati dall’altra parte del mondo, come
sostiene anche Francesca Baggio, amministratore delegato di GB Ramonda, piccola
catena di supermercati del vicentino.
Chi acquista i prodotti etnici?
«Tutti acquistano, anche i miei figli: a loro
piace provare nuovi prodotti e degustare
sapori diversi dal solito».
praticamente dall’inizio. Inizialmente per
assecondare le richieste provenienti da parte dei nostri clienti, che dopo un viaggio
ci chiedevano di introdurre i prodotti degustati all’estero per cucinarli agli amici,
ma anche per proporre qualcosa di diverso
rispetto ai soliti prodotti. Ovviamente, poi,
una parte della nostra clientela è straniera e ci chiedeva prodotti tipici delle loro
terre. Negli ultimi tempi abbiamo deciso
di aumentare la nostra offerta etnica e i
clienti, sia italiani sia stranieri, sono molto
contenti di questa scelta».
Quando è nata la vostra azienda e come si
è sviluppata nel tempo?
«L’azienda è nata nel giugno del 1971 ad
Alte di Montecchio Maggiore da un piccolo
negozio di alimentari di 50 metri quadri e si
è poi allargata nel 1985 con l’acquisto di un
supermercato di 400 metri quadri a Brendola.
Nel corso degli anni si sono aggiunti altri
punti vendita: ad Alte Ceccato, Trissino, Indicativamente, quanti sono i prodotti
Sovizzo e Rosà. L’ultimo è stato aperto nel alimentari etnici proposti nei vostri punti
2006 in città, a Vicenza».
vendita? E quali sono i più riforniti?
«Abbiamo circa 250 referenze assortite,
Quando avete iniziato a proporre prodotti dall’antipasto fino ai dolci. I supermercati più
etnici e per quale motivo? E come sono stati completi sono quelli di Alte Ceccato e Trisaccolti dai vostri clienti?
sino, ma è nei nostri programmi completare
«Li proponiamo nei nostri punti vendita l’assortimento anche nelle altre strutture».
22
Quanto e come è cambiata l’offerta di cibo
etnico nel corso degli ultimi anni?
«Negli ultimi anni è cambiato il modo di cucinare, grazie anche ai programmi televisivi
come La prova del cuoco o Masterchef, in
cui i cuochi propongono continue novità per
stuzzicare la curiosità e il palato del pubblico.
Il cliente non perde tempo, si riversa da noi e
ci chiede tutti gli ingredienti per preparare le
ricette. Riscontriamo comunque una nuova
sensibilità nella sperimentazione di piatti
diversi da quelli della nostra tradizione».
A suo avviso, i supermercati sono diventati
(o potranno diventare in futuro) una valida
alternativa alle botteghe etniche per gli stranieri alla ricerca di prodotti della loro terra?
«Ritengo che i supermercati al momento
non possano sostituirsi al negozio etnico; la
profondità merceologica e la specializzazione di quest’ultimi difficilmente potrà essere
raggiunta dai classici supermercati. Piuttosto,
credo invece che possano fungere più da promotori per queste nuove tipologie di prodotti
alimentari e fare in modo che le persone si
avvicinino di più alle culture e alle tradizioni
culinarie di Paesi lontani».
n
23
NEGOZIO
PUNTo VENDITA
eAthnic
English text on page 37
Selli International Food Store
Dove si trova l’introvabile
È il negozio di Roma in cui i desideri “esotici” possono essere
esauditi. Anche i più singolari. Da Selli International Food Store,
infatti, si trovano generi alimentari, spezie, cereali e legumi provenienti da ogni parte del mondo, stipati fin quasi al soffitto nei
capientissimi scaffali che i fratelli Bianca Maria e Mimmo Selli (nella
foto) ogni giorno con pazienza certosina riempiono per soddisfare
le richieste dei loro clienti del quartiere Esquilino. Precisamente il
negozio è in via dello Statuto, a due passi dalla multietnica Piazza
Vittorio dove, agli inizi degli anni ‘60, da un banco del mercato
all’aperto gestito da mamma Annunziata e papà Angelo, è nata
l’idea di quello che oggi è un autentico punto di riferimento nella
capitale per gli amanti del cibo etnico.
Signor Selli, quando siete passati dal mercato al negozio?
«Abbiamo aperto qui nel 1994, ma per trovare le origini del negozio è necessario andare indietro fino agli anni ‘60, quando i miei
genitori “facevano il mercato” nella vicina piazza. Sul finire degli
anni ’70 arrivarono a Roma i primi migranti dalle Filippine e dal
Marocco, che scelsero le bancarelle di piazza Vittorio per rifornirsi, forse perché ricordavano i bazar all’aperto delle loro terre
d’origine. Si sa, la domanda
genera l’offerta e così i miei
genitori decisero di puntare
sui prodotti etnici, specie
le spezie».
Una posizione strategica,
la vostra. A quali Paesi appartengono i vostri clienti?
«Va detto che negli anni la clientela è cambiata notevolmente.
Inizialmente frequentavano il negozio i tanti indiani del Punjab
che lavoravano qui intorno. Ora questi si sono spostati al nord e
hanno lasciato il posto a colombiani, brasiliani, peruviani e anche
mediorientali, che rappresentano una bella fetta della nostra clientela. Ma, in genere, passano da noi avventori di tutte le nazionalità
visto che a Roma ci sono le sedi di tutti i consolati che occupano
numerosi lavoratori del proprio Paese».
Quanti addetti impiegate?
«Siamo io e mia sorella Bianca Maria più due dipendenti, uno
indiano e uno proveniente dallo Sri Lanka. Siamo qui da 19 anni
e, nonostante la crisi che sta colpendo le piccole attività, le cose
vanno molto bene…».
… forse perché “Da Selli si trova l’introvabile”, come scrivono
i vostri clienti nelle recensioni su internet. Un bell’attestato di
stima per un negozio etnico. Come fate a essere così riforniti?
«La concorrenza è agguerrita e i nostri sforzi sono concentrati
nella direzione di distinguerci grazie all’offerta di una più ampia
varietà di merce a prezzi convenienti. L’impegno mio e dello staff
è costante e quotidiano nella ricerca dei migliori prodotti, anche
di quelli più particolari».
Visto che siamo in tema, qual è la cosa più “introvabile” che si
può trovare da Selli?
«Per le nostre spezie viene gente da fuori Roma: mi vengono
in mente ad esempio l’aneto e la trigonella. Abbiamo anche dei
prodotti indiani di cosmetica praticamente irreperibili altrove:
alcune ragazze italiane, che adesso sono nostre clienti, li facevano
arrivare da Londra ordinandoli online; ora li acquistano sotto casa
risparmiando parecchi soldi».
Asia protagonista
Anche il personale di Selli International Food Store è multietnico:
oltre ai titolari Mimmo e Bianca Maria Selli, lavorano in negozio
un dipendente indiano e uno dello Sri Lanka.
24
Gli italiani, appunto, frequentano il vostro negozio? E cosa
apprezzano di più?
«Certo, sono anche loro nostri clienti. La cucina giapponese è
quella che ora va più di moda ed è molto apprezzato dai romani
n
l’angolo dedicato al biologico».
25
eAthnic
RISTORANTE Shiki
L’importanza di chiamarsi
Fusion
Alex, chef del locale milanese
di via Solferino, racconta la sua
cucina fra tradizione e innovazione,
oriente e occidente. e un nuovo
sorprendente menù tutto da scoprire
English text on page 38
V
Una proposta
vincente
La cucina di Alex (nella foto)
è innovativa, veloce,
ma allo stesso tempo gustosa
e raffinata. Che ai milanesi
piace. Chi andrà da Shiki
sul menù non troverà
la classica lista dei primi
e dei secondi, ma tanti
piattini in cui gli ingredienti
tipicamente orientali
si fondono coi più classici
sapori mediterranei.
Dai pomodori fino
alla mozzarella di bufala.
26
ia Solferino 35, praticamente
di fronte alla sede del Corriere
della Sera. Una zona di Milano
sempre viva, di giorno e di notte.
Qui si trova lo Shiki, che da quest’anno ha
una nuova gestione e propone una cucina
rinnovata: non più giapponese tout-court,
ma una cucina fusion, dove gli ingredienti
e i sapori tipici della tradizione orientale si
incontrano e si mischiano con quelli mediterranei, in un ambiente piacevole e raffinato, con musica in diffusione e comodi
divani su cui sedere per gustare in maniera
ancora più rilassata pranzo, aperitivo, cena
o il brunch domenicale.
Il punto forte sono le tante piccole portate: ce ne sono 45, tutte rigorosamente
fusion (lo è persino il tiramisù: due strati
di panna e crema, biscottino imbevuto di
caffè e semi di sesamo al posto delle scaglie
di cioccolato) che compongono un menù
vario, colorato e sempre diverso, composto
personalmente dallo chef Alex che gestisce locale e cucina. Autodidatta, cresciuto
in una famiglia di cuochi e ristoratori sulle
rive del lago Maggiore, Alex ama inventare
e sperimentare. Non solo in cucina, ma an-
che nella scelta dei vini: da provare, secondo
lui, un profumatissimo rosé della Provenza
che ben si abbina ai suoi piatti.
Il nome del locale, Shiki, è accompagnato
dalle parole “easy food”. Perché?
«Perché da Shiki cuciniamo solamente ricette veloci e semplici. La nostra filosofia
non prevede il concetto di antipasto, primo e secondo. Si tratta quindi di un menù
easy: moderno, al passo con i tempi, veloce
e gustoso. Si possono assaggiare uno o due
piattini e poi andare via, oppure fermarsi
per gustarne sette o otto…».
Una scelta abbastanza particolare: da dove
arriva l’idea?
«Arriva da molto vicino. Da me. Mi spiego meglio: quando esco a cena, mi piace
assaggiare praticamente tutto. Un po’ perché sono goloso, un po’ a scopo didattico. E
così ho modellato la mia cucina».
E i clienti che cosa ne pensano?
«La formula piace. Non a tutti ovviamente,
perché non mancano i tradizionalisti che
vogliono sempre il loro piatto classico. Ma
è una questione di abitudine: ritengo che
la gente vada educata a mangiare in maniera diversa. Così è successo anche per i
“vecchi” clienti dello Shiki, che all’inizio
hanno fatto un po’ di fatica ad adeguarsi
a un cambiamento così radicale; c’è chi ce
l’ha fatta e chi no. Ma abbiamo avuto anche
tanti nuovi clienti».
Lo Shiki propone una cucina fusion: perché?
«Ho iniziato la mia carriera con la cucina
italiana di pesce; con il tempo, però, mi
sono aperto ai nuovi sapori provenienti dal
mondo. Mi piace associarli, mischiarli: da
qui, quindi, è nata la passione per il fusion.
Ho provato a mettere assieme il cappero
con lo zenzero, oppure il basilico con le
alghe per capire se l’abbinamento sperimentato potesse piacere. Alcune cose non
funzionavano, ma tante altre sì».
Quali sono i pilastri della tua cucina?
«Come condimento base utilizziamo una
emulsione di soia e olio extravergine: è gustosa, delicata e abbassa le calorie. Poi olive,
basilico e, con l’estate, i pomodori per quanto riguarda la parte mediterranea, mentre
non può mancare la salsa di soia per quella
orientale. E poi tanti altri ingredienti che
si scopriranno di volta in volta».
Da cosa deve essere attratto il cliente che
vuole mangiare allo Shiki?
«Dagli abbinamenti curiosi e interessanti
che propone il menù. Milano ormai è una
città multietnica, abitata da gente aperta
alle novità, gente che viaggia molto e, una
volta rientrata alla base, vuole risentire certi
sapori anche sotto casa. È una formula interessante ed economica: ogni piatto costa
7,50 euro».
Qual è il più richiesto?
«Sicuramente il TTA, ovvero la Tartare di
Tonno Alex. Una mia specialità che propongo da tanto tempo, composta da una base di
riso basmati caldo con una purea di avocado
e tonno».
E quello che meglio rappresenta il tuo ristorante?
«I roll, che sono l’elemento di continuità
con quello che era lo Shiki fino a qualche
mese fa».
n
27
RISTORANTE Intervista a Matias Perdomo
Un “rivoluzionario”
eAthnic
LA VETRINA DEI PRODOTTI
01
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AI fornelli
Al Pont de Ferr, noto ristorante milanese
sulle rive del Naviglio Grande, c’è uno chef
sudamericano che ama inventare e stupire
04
English text on page 38
è
nato in Argentina, ha vissuto in
Brasile e sostiene che la sua vera
patria è l’Uruguay. Matias Perdomo, chef del ristorante milanese Al
Pont de Ferr, rappresenta simbolicamente
tutto il Sudamerica, una terra che ha dato i
natali a grandi rivoluzionari. E a suo modo
lo è anche lui, visto che ha impiegato solo
un mese a rivoluzionare, è proprio il caso
di dirlo, la cucina di uno storico locale della
Milano dei Navigli. Sei anni fa, infatti, prima che diventasse primo chef, nell’osteria
tutt’oggi gestita da Maida Mercuri si potevano gustare principalmente piatti tradizionali di ottima qualità della cucina italiana.
06
Ora invece il menù è più vario e colorato e
la qualità è rimasta ottima, come dimostra
la Stella Michelin guadagnata nel 2012. La
regia sudamericana si vede, quindi. E si sente.
Matias, che cos’hai messo di tuo in un locale
milanese quale è Al Pont de Ferr?
«Inizialmente mi ero promesso di cambiare
le cose poco per volta. Ma non è stato così:
la mia cucina è diversa, è più moderna; la
svolta è stata quindi repentina e la gente
inizialmente non ha reagito positivamente.
Ma abbiamo tenuto duro, avevo carta bianca
e adesso la nostra proposta è di successo».
Quali sono state le prime novità inserite in
un menù tradizionale?
«La cipolla innanzitutto. Poi lo zucchero soffiato, che ho imparato a preparare da solo
ispirandomi a una ricetta dei fratelli Roca,
che hanno un famoso ristorante a Girona, in
Catalogna, dove in seguito ho fatto un stage.
Inoltre sono stato il primo a portare in Italia
la pluma di maiale iberico, un taglio partico-
lare del suino (parte anteriore del lombo, vicino al collo, ndr) che si chiama così proprio
perché la forma assomiglia a una piuma. Ora
è un classico del nostro ristorante».
Sostieni che le tue creazioni hanno anche
un aspetto ludico: in che senso?
«La cucina è un riflesso dello stato d’animo.
È una filosofia di vita: io vivo la mia allegramente, non sono uno che si piange addosso.
Di conseguenza mi comporto così anche in
cucina, dove mi diverto e voglio divertire i
clienti».
Estetica e gusto in che percentuali devono
stare in un piatto?
«Il gusto viene prima di tutto. Se il piatto è
bello e colorato ma il sapore è cattivo, non
va bene. L’estetica entra in gioco quando il
piatto ha raggiunto il massimo livello di sapore e, a quel punto, ci si può concentrare su
come presentarlo al meglio».
BELLI E SQUISITI
Nella foto a sinistra la cipolla rossa di Tropea
fatta di zucchero soffiato, a fianco la pluma
di maiale iberico. Sopra Matias Perdomo.
28
05
Quanto apprezzi la cucina etnica?
«Io sono aperto a tutto, nella vita come a tavola. Lo dice la mia storia: provengo da una
cultura multietnica e, di conseguenza, la mia
cucina è senza frontiere. Non credo nel chilometro zero, lo si faceva cento anni fa. Non
chiudo a quello che arriva dall’altra parte del
mondo, purché sia di ottima qualità».
In Uruguay hai avuto esperienze in radio e
in tv: che cosa ricordi?
«Avevo 20 anni, la gente mi riconosceva per
strada, ma la cosa non mi piaceva. Stavo perdendo la mia dimensione, non volevo essere
un personaggio ed ero giovane con tanto
ancora da imparare. È stata una delle molle
per lasciare il mio Paese e venire qui. Mi ero
creato un contorno che non era autentico,
non era ciò che volevo. Io volevo fare il cuoco, cucinare, plasmare un’idea…».
n
07
01. Pasta surgelata
per cucinare gli involtini
primavera; nella busta
da 550 g potrete trovare
40 sfoglie quadrate da
215 mm 02. Maionese
giapponese per insalata
al gusto di sesamo,
leggermente dolce, ideale
anche per sashimi e pesce
crudo in generale,
in bottiglietta da 250 ml
03. Maionese giapponese
per insalata al gusto
di cipolla, in bottiglietta
da 250 ml 04. è la classica
maionese giapponese,
diversa da quella italiana.
Il gusto è più intenso,
è prodotta con olio
di semi di colza e viene
utilizzata per condire
le insalate, per le tartare
e i rotolini di sushi;
la Kikkoman la propone
in tubetti da 500 ml
05. Salsa al wasabi ideale
per guarnire il sushi,
in bottigliette da 570 g
06. Salsa ai fiori di ciliegio
07. Salsa allo yuzu
Il cuoco globetrotter
N
asce 33 anni fa in Argentina a Buenos Aires. Ma è uruguaiano della
capitale Montevideo dove però ci arriva all’età di sei anni. Matias
Perdomo, il primo chef dell’osteria (lo specifica anche il sito ufficiale)
milanese Al pont de ferr – segnalata con una stella Michelin nella guida
2012 – è un vero “giramondo”.
Oltre ad Argentina e Uruguay vive anche in Brasile, Danimarca e all’età
di 21 anni, nel 2001, si trasferisce in Italia dove lavora tuttora nello storico
locale sul Naviglio Grande; da sei anni è la star della cucina che “sconvolgerà” introducendo nuovi piatti e nuovi sapori. Comincia da giovane con
un corso privato, già a 14 anni mira a diventare lo chef del primo hotel
a 5 stelle di Montevideo. A venti nel suo Paese gestisce tre ristoranti di
cucina italiana e partecipa a trasmissioni televisive e radiofoniche che
lo rendono famoso. Poi il richiamo del nostro Paese, l’ulteriore crescita
professionale presso l’osteria Al Ponte fino a diventare uno degli chef
più creativi sulla piazza.
29
RISTORANTE Coltelli giapponesi
CUCINA
RICETTE
gli StRUMENTI
QUELLI PIù COMUNI SONO CINQUE: IL SANTOKU, ADATTO
AL TAGLIO DELLA CARNE, IL NAKIRI E L’USUBA PER I VEGETALI,
IL DEBA (IL PIù resistente) E LO YANAGIBA PER il SUSHI
N
on c’è cucina giapponese di
qualità senza coltelli di qualità. Strumenti di altissima precisione, sono i veri alleati per la
riuscita di ogni ricetta. «Un piatto rovinato
da un taglio sbagliato può persino cambiare
gusto», precisa Yuki Konsho, consulente di
Uniontrade. «Tagliare il pesce, in particolare, è molto difficile: richiede
coltelli professionali e una
maestria che si acquisisce
negli anni. In Giappone
si dice che per diventare
cuoco ne occorrono dieci»,
aggiunge.
Caratteristica della maggior parte dei coltelli è la
lama su un solo lato: l’altro
infatti è in genere piatto.
Fanno eccezione le lame angolate, per la preparazione
dei vegetali il cui taglio avviene esercitando una pres-
LA MATERIA PRIMA
è fondamentale che la qualità
dell’acciaio sia elevata affinché
la precisione del taglio sia
la migliore possibile. Ma non
solo. Trattamento termico,
geometria della lama, geometria
e costruzione del manico sono
elementi determinanti
per le prestazioni del coltello.
30
eAthnic
Asparagus Shiki roll
DEL MESTIERE
English text on page 39
English text on page 39
sione. Le lame più
usate sono cinque: il
Santoku (“tre meriti”,
in italiano), universale
e adatto al taglio di tutti
gli ingredienti e in particolare della carne. Il Nakiri e l’Usuba sono invece
destinati alla
lavorazione dei
vegetali, ma solo
il primo è affilato
da entrambi i lati.
Il Deba è invece un
coltello pesante, affilato da un solo lato, utilizzato
per tagliare anche ossa e lische
ma anche per sfilettare pesci di
piccole dimensioni. Infine lo
Yanagiba, il coltello tradizionale per sushi e sashimi. Grazie a
una lama lunga e stretta è adatto a eseguire tagli sottilissimi,
lunghi ed estesi.
Il materiale con cui sono
fatte le lame è l’acciaio, che assicura tagli perfetti nel tempo.
Tuttavia la durevolezza dipende anche dalla manutenzione:
«In Giappone i cuochi usano
due o tre diversi tipi di affilatori per ogni coltello», precisa
Yuki. Realizzati in pietre locali
a base di silice e argilla, sono
trattati con acqua o olio poco
prima dell’affilatura. n
di Alex
Ingredienti per 4 persone
130 gr di riso per sushi condito
con aceto e zucchero
4 fogli di alga nori
10 asparagi verdi
1/2 avocado
200 gr di orata
1 mazzo di basilico
20 olive taggiasche
30 gr di pinoli
salsa teriaki, olio extravergine
e salsa di soia q.b.
Preparazione
Pulire l’orata ricavando dai filetti delle fettine sottili.
Per la crema di basilico: frullare le foglie di basilico con un goccio di olio extra vergine
e i pinoli e un pizzico di sale. Per il pesto di olive: frullare le olive. Tagliare gli asparagi
in fettine sottilissime e farli sbolletntare 5 min in acqua bollente leggermente salata.
Su una stuoietta in bambù ricoperta di cellopan poggiare l’alga nori. Adagiare sopra
l’alga una quantità di riso sufficiente a ricoprirne la superficie. Adagiare delle fettine
di avocado tagliate sottili e gli asparagi in modo che le punte non sporgano dall’alga
e, aiutandosi con la stuoia in bambù, arrotolare il maki. Tagliare fette sottili l’orata
e adagiarla sulla parte superiore del maki facendole aderire e premere ancora con la
stuoia per compattare il tutto. Dividere il roll così ottenuto in otto parti e su ogni
rotolino adagiare una goccia di crema di basilico, e una goccia di pesto di olive. Condire
il tutto con un’emulsione di salsa di soia e olio extra vergine. Servire accompagnato
dalla salsa teriaki.
Hummus
di Suzy Kmeid
Ingredienti per 4 persone
300 gr di ceci secchi
2 spicchi d’aglio
succo di 2 limoni
olio extravergine d’oliva q.b.
sale q.b.
2 cucchiai di tapina
cumino q.b.
2 cucchiai d’acqua calda
Per guarnire
peperoncino rosso in polvere q.b.
prezzemolo tritato q.b.
Preparazione
Mettere in ammollo i ceci per 24 ore, scolarli e sciacquarli bene. Metterli a cuocere in
una pentola a pressione con abbondante acqua per 20 minuti o in pentola normale per
due ore, o finché non diventeranno teneri. Scolarli. In una padella antiaderente versare
tre cucchiai di olio, due spicchi d’aglio e le spezie in polvere. Far tostare il tutto per un
paio di minuti a fuoco medio. Aggiungere i ceci scolati e lasciare insaporire per altri 2
o 3 minuti. Nel frattempo spremere i limone. Trasferire i ceci in un mixer, aggiungete
la tahina e il succo di limone, frullare fino a ottenere una crema omogenea e liscia.
Aggiungete a filo dell’olio extravergine o dell’acqua calda a seconda della consistenza
desiderata amalgamando il tutto con un cucchiaio. Servite in una ciotolina dopo averne
cosparso la superficie con del prezzemolo tritato o del peperoncino.
31
eAthnic
NEWS
English text on page 40
TENDENZE
I gusti cambiano: ora piace una cucina più “decisa”
Salute
L’etnico cede il passo al global, evoluzione del fusion. In altre parole ai cittadini del
mondo del secondo decennio del 2000 piacciono sempre più i piatti ibridi, frutto di
contaminazione. A patto che i sapori siano forti e soprattutto nuovi. Lo dice l’Institute of food technology di Chicago, società scientifica non profit che riunisce 18mila
membri in più di 100 Paesi. Una ricerca che l’ente ha appena pubblicato illustra infatti
i nuovi trend in tema di alimentazione. Primo dato: la cucina che piace oggi è fatta di
sapori accesi, da quelli piccanti all’affumicato, dal salato al marinato senza dimenticare
il gusto per l’amaro. Secondo l’Ift la scelta di cibi che rientrano in queste categorie è
quasi raddoppiata negli ultimi tre anni. Dato interessante riguarda poi l’hobby della
cucina: nel corso di questo 2013 sette persone su dieci hanno cucinato a casa più di
quanto hanno fatto l’anno prima. La sempre maggiore disponibilità di ingredienti
originali, spesso etnici, in questo ha giocato un ruolo decisivo.
Sushi e salsa di soia
per combattere i tumori
32
FIERE
L’etnico va in mostra in Italia e nel mondo
Locale e globale. Le dinamiche del mondo globalizzato si rispecchiano tutte
nell’etnico e in alcuni eventi che in questi
mesi lo vedono protagonista. Lo scorso
marzo presso lo Spazio Carroponte di
Sesto San Giovanni (Milano) si è tenuto
il primo festival delle cucine del mondo.
Far da mangiare, questo il nome dell’evento, dall’8 al 10 marzo ha presentato
laboratori sensoriali, stand e mercatini,
degustazioni, mostre, brunch, cene tematiche e ricette dal mondo. Un’iniziativa a favore dell’integrazione tra locale e
internazionale. Ma non c’è solo questo:
l’etnico ormai merita infatti anche fiere
globali: a fine giugno nel New Jersey
(Usa) si tiene infatti International Food
Expo, esposizione mondiale in cui i cibi
del mondo mostrano le loro enormi potenzialità di mercato.
«La linea di demarcazione tra cibo occidentale ed etnico si sta assottigliando»,
ha spiegato alla stampa Bharat Joshi, che
coordina l’organizzazione dell’esposizione statunitense.
Tra i Paesi protagonisti, quest’anno, ci
sono Cina, Giappone, Corea, Filippine,
Singapore, Thailandia, Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan e India ma anche numerosi Paesi africani e latinoamericani.
NUMERO
Editorial
The around-the-world
trip continues
PAGE 02
t’s a hop from India to Lebanon. In its trip around the
world Eathnic heads west to
step in a country best known
for its recent tormented story
of war and destruction. But
perhaps few know that in this
stretch of land that looks out
over the Mediterranean and
that over the years has undergone the influence of rich and
varied cultures such as African,
Middle Eastern and Southern
European ones, there is also a
rich gastronomic culture that
incorporates the characteristics
and tastes of nearby lands. It’s no
accident that Lebanese cuisine
is defined the “pearl” of Arab
cuisine and its role touches on
important aspects of social life.
Suzy Kmeid has lived for 18
years in Italy and since 2008 has
managed a Piacenza restaurant
that serves Lebanese specialties. And it is she who stresses
that hospitality, in her country,
is translated into sharing a place
at the table with acquaintances
and friends.
There’s not only Lebanon in
this issue of Eathnic. We also
travel to South America to discover how a
typical product of the Asian
market like soy also took hold in
Peru some two centuries ago. It
is one of the curiosities of one
of the most refined, but also one
of the most particular cuisines
I
ENGLISH
06
in the world, “contaminated”
by a myriad of gastronomic
cultures that are extremely different from each other. Among
these is also Cantonese after
thousands of Chinese arrived in
Peru in search of work in 1850.
In this way was born chifa cuisine, a mix of South American
tastes and Asian ingredients, like
soy oil. Among other key products there is also yuzu, the allpurpose citrus fruit that has the
shape of a tangerine, the colour
of a lemon and a taste similar to
grapefruit.
Then, as always, we take a trip
among the trendiest restaurants.
Our focus turns to the fusion
cuisine of Shiki in Milan. Also
in the Lombard capital there’s
Al Pont de Ferr where the lead
chef is Matias Perdomo. South
American, globe trotter, the
n
kitchen revolutionary...
Lebanon
Aromatic inspirations
PAGE 04
he best way to learn about
Lebanese culture? Observing how in Beirut, Tripoli or Byblos men and women, the young
and the old, behave at the table.
In other words, it’s the role that
food plays in conviviality and
daily life that recounts the relationship between people and
generations. From the cradle to
the grave, each step of existence is accompanied by a dish
and every holiday or event is
celebrated with a meal. But not
only.
T
Suzy Kmeid, a Lebanese of
Tanbourit but a resident of
Italy for the last 18 years (since
2008 she has managed the I tre
cedri (Three cedars) restaurant
in Piacenza), tells Eathnic how
fundamental hospitality is for
understanding the culinary culture of her country: «You don’t
leave the home of a friend who
has hosted you without eating
something», she explains.
To begin
Lebanese cooking is often described as the “pearl” of Arab
cuisine. It’s no accident. Overlooking the Mediterranean, this
great small country (its surface
area is only slightly bigger than
that of Italy’s Basilicata region)
shares with other Middle Eastern cuisines unique tastes and
aromas, with which it also combines decidedly original dishes,
with a strong European and in
particular French influence, a
legacy of the mandate that Paris exercised over Lebanon until
its independence was declared
in 1943.
That the meal here is a rite
can also be understood from
how it is composed: «Every
lunch or dinner differs depending on the skill and creativity of
the host, but it always begins
in the same way: with meza, or
rather with a series of appetizers
that are a real must», adds Susy.
Tiny dishes, almost samples. A
sort of tasting. To begin with
there are the “four sisters”, four
creams that alone are the symbol
of this land. Two have a sesame
pulp base, the famous tahina,
and are respectively seasoned
with an eggplant (baba ghanoug)
and chickpea (hummus) paste.
The other two, whose tastes
perfectly complement those of
the first two, are instead a mint
yogurt sauce and a fava bean
purée (fava). «Normally you eat
by helping yourself with pieces
of bread, the traditional khubz
arabi, everyone helping themselves from the same dish»,
explains Susy. Sharing is the
key to Lebanese cuisine. Indeed
Lebanon inherited capabilities in
trade and relations from the ancient Phoenician culture. It’s no
chance that the meal represents
the most important moment of
meeting and social life, so much
so that it can last for several
hours on holidays.
Aromatic dishes
Seasoned sauces with bread
and without silverware aren’t
the only point in common with
other Middle Eastern cuisines,
like that of Israel, but also that
of Turkey and Greece. Here too
each meal continues with a selection of salads whose key ingredients are, just like in other
countries in the eastern basin
of the Mediterranean, legumes,
vegetables (often grilled, just
like in Italy’s southern regions)
and spices: coriander, cumin,
turmeric, allspice and “our”
parsley. Thus aromas characterize Lebanese tastes. You can
also understand this from
s
I nutrizionisti aprono all’etnico. Nelle
tabelle alimentari e nelle linee guida dell’Airc, l’associazione italiana di
ricerca sul cancro fondata dall’oncologo Umberto Veronesi, accanto
alle sempre premiate pietanze della
cucina mediterranea entrano infatti
piatti cinesi, giapponesi, africani e
indiani. Oggi, ad esempio, una delle
regole consigliate dall’Airc è quella
di ridurre il sale, magari compensando con le spezie care alla cucina del
Maghreb o del Medio Oriente. La
lotta al tumore passa infatti anche
dai cibi esotici. Ad esempio il pesce
alla giapponese, crudo e marinato
in salsa di soia, oppure gli spaghetti
di riso e le carni speziate e piccanti
che vengono dall’India sono molto
apprezzati dagli studiosi dell’Airc.
Stesso discorso per un altro ingrediente noto per i suoi effetti benefici: la curcuma. Spezia simile allo
zafferano, è ricca di curcumina utile
a combattere le malattie legate all’invecchiamento del cervello. «Nell’isola
di Okinawa, dove viene consumata
quotidianamente – spiega Veronesi
– c’è una presenza di ultracentenari
che supera del 10% quella di altri
paesi del mondo».
A
e thnic
33
eAthnic
ENGLISH TEXT
the aroma of another typical
dish: tabbuleh, cous cous grain
with onion, mint, parsley, tomato, spices, lime and olive oil.
A largely vegetarian cuisine
«The specialties in Lebanon
vary greatly from family to
family and from region to region», notes Susy. Who offers
her guests recipes faithful to
tradition, unconcerned by
those who say they are afraid
of excessively seasoned dishes:
«Lebanese cuisine contains
garlic and onion. Prepared in
our way, however, dishes are
never overwhelming and indigestible. So often our clients
don’t even realise they’ve eaten
these things».
Indeed, even the more
substantial dishes are always
delicate, also because they are
often vegetarian. «It’s with
vegetables that our cuisine
offers the best of itself with
hundred-odd vegetarian dishes», she explains. Influenced
by the Arab tradition, when
it comes to meat Lebanese
cuisine favours lamb. Instead
pork is consumed little, not
for religious reasons (today
the majority of the population is Christian) but because
its hot climate makes raising
animals difficult. Obviously
the international influence is
also making itself felt around
these parts: «In the big cities
restaurants from every part of
the world abound and by now
in the cupboards of Lebanese
homes both industrial and
ready-to-eat products are available», adds Susy.
34
PAGE 04
But there are two cedars
he symbol of Lebanon,
throughout the world is
its cedar (Cedrus libani). A
name, however, that is ambiguous: indeed in Italian the word
“cedro” refers to both the imposing stylized conifer found
even at the centre of the flag
of this Middle Eastern country
and also to the yellow citrus
T
fruit (Citrus medica), also typical of these parts. The citrus
fruit, however, has nothing
to do with the conifer, which
doesn’t produce real fruits.
Oval shaped, Citrus medica is
yellow like a lemon but with a
much thicker and pockmarked
rind and it is highly prized in
Lebanese cuisine, also for its
beneficial properties. Rich in
potassium and vitamin C, it is
refreshing and purifying while
its juice helps eliminate gas
and fermentation that causes
abdominal bloating. n
cuisine pleasingly aromatic.
Labneh
Rich and dense cheese cream,
it represents one of the most
well-known and widespread
dairy products in Lebanon.
Similar to yogurt, it is generally seasoned with olive oil.
Usually shaped into little balls,
it accompanies salads with cucumber.
Chickpeas
A legume that is also widespread in Mediterranean Europe, it is present in many
sauces based on tahina like
PAGE 07
hummus. Sometimes chickpeas
The pilasters
are also used in the preparation
of Lebanese cuisine
of fritters, like the famous
Tahina
A paste produced with white falafel. n
sesame seeds, with its typical
aroma similar to that of wal- PAGE 08
nuts and peanuts but with History
an intense toasted taste is at Two tormented centuries
the base of many recipes and
ebanon has had an extreespecially of the meza, the
mely tormented history,
Lebanese appetizers. Found torn by internal strife and fepractically in the entire coun- rocious and bloody wars with
try’s cuisine.
Israel. Already in 1860 French
intervention was necessary to
Bulgur
pacify animosity between the
At the base of thousands of Maronites and Druze, two rerecipes tabbuleh, it’s a prepa- ligious groups in conflict. The
ration of whole wheat grains first constitution came in 1920,
that are steamed and dried, following World War I and the
then ground into small pieces. fall of the Ottoman Empire. In
It’s quite common throughout those years Lebanon was called
the Middle East. It is also used the State of Greater Lebanon
to coat kebbeh, the typical and was under French control,
lamb meatballs.
while in 1925 it took on the
name of Lebanese Republic. LeParsley
banon obtained independence
An apparently European ingre- in 1943, even though the last
dient, it’s fundamental in many French soldier left the country
meza and in particular in tab- only in 1946. At the end of 1947
buleh. Together with olive oil, Lebanon also said “no” to U.N.
tomato and fresh onions and resolution 181, which divided
spices they represent the base the Palestinian territory into a
ingredients of many raw con- Jewish state (Israel) and an Arab
diments and one of the ingre- one and, in the burning Middle
dients able to make Lebanese Eastern issue has always taken
L
the side of Arab countries: for
this reason thousands of Palestinian refugees found refuge
within its borders, creating an
endless series of tensions. In
1975 civil war broke out and in
1982 Lebanon was invaded by
Israel: only the intervention of
international troops avoided a
prolonged conflict, preventing
further destruction and blood.
Israel’s second offensive against
Lebanon began in July 2006 in
response to the kidnapping of
two Israeli soldiers on the part
of militia from the Hezbollah,
the Shiite Muslim party that
that can also count on a military wing. It was a fierce attack
that didn’t even spare the civil
population: certain parts of the
capital Beirut were razed to the
ground, with 130,000 buildings
hit. The conflict lasted a little
more than a month before the
“cease fire” and the creation of
a buffer zone between the two
countries free of armed forces. n
PAGE 09
A (commercial) friendship
that has lasted for decades
rade between Italy and
Lebanon amounted in
2011 (the last year for which
data is available at the Italian
embassy in Beirut) to 1.9 billion
U.S. dollars, of which 1.87 billion from Italian exports. The
figures show a clear superiority
in volumes of exports towards
this Middle East country compared to those towards Italy.
A position that our country
has progressively built on,
today ranking second after
the United States among the
global economies from which
Lebanon imports products. Including food products: indeed,
in 2011 Italian companies sold
Lebanese ones 50 million dollars (2.7% of Italian exports
T
to Lebanon) in prepared food
and beverage products. Lebanese exports to Italy, instead,
are marginal (1% in 2010), even
though in this case food also
plays a not insignificant role.
Moreover, about 5% of the
products exported from the
land of cedars to the rest of
the world involved, once again
in 2010, food products. That
the trade relations between
Italy and Lebanon are solid
can also be surmised from the
infomercatiesteri.it site of the
Italian foreign affairs ministry,
dedicated to entrepreneurs
from Italy who plan to invest
abroad: «Italy enjoys a great
relationship in Lebanon. The
local market certainly isn’t important for volume, but it enjoys a high degree of opening
to trade and triangular trade»,
it says. n
PAGE 11
Mediterranean nectar
lavourful cuisine, cedars
and … wine. Lebanon is
also one of the global capitals of viticulture. The heart
of this production beats in
the Bekaa Valley, a fertile valley that stretches from Libya
to Syria (which today makes
up 40% of the arable land in
the entire country) to roughly
30 kilometres east of Beirut.
Bordered by the mountains
of Mount Lebanon and the
Anti-Lebanon Mountains to
the east, the valley is home to
some of the most famous vineyards in the world. Here they
make high quality wines with
the most advanced production
methods. The best production
is aged: some labels can be
stored in the wine cellar up to
seven years. Among the best
of them all is Château Musar,
whose bottles can age even for
F
more than thirty years.
The nouveau-style wines of
Kefraya are also superb. With
about seven million bottles
produced each year, Lebanese
wine is gaining an increasing amount of space on the
global market. Marks & Spencer, the famous British department store chain, decided
for example to offer it on its
exclusive shelves alongside
tabbuleh and hummus, while
there an increasing number of
European tour operators who
have already inserted Lebanon
among destinations for wine
n
and gastronomic tours. Gobo
A Japanese story
PAGE 12
he name is decidedly curious, but gobo is nothing
other than the root of the
bardana, a plant that botanically speaking, belongs to the
Asteracee family. It withstands
all temperatures, high and low,
and it’s said its origins are in
the Siberian cold. But it’s in
Japan, where it has been cultivated for thousands of years,
that the roots are usually dug
up in autumn and left to dry
during the winter. The roots
are thin and can be as long as
three metres, they are rather
compact and dark coloured
but with a white pulp. Gobo
is rich in potassium, vitamin C
and vitamin E, of pyridoxine
(vitamin B6) and mineral salts.
It can be used as a medical herb
– it cleanses the organism and
treats skin diseases – but in
Japan it is especially appreciated as a vegetable in some
local recipes.
It’s an ingredient in many
soups, but the most famous
and tasty Japanese gobo dish
is certainly kinpira gobo: it’s a
T
salad to serve cold composed
of gobo and carrots that have
previously been stewed with
soy sauce and mirin (a sort of
sweet sakè) and, once on the
table, lightly with spice power
or celery. It’s a crisp and fragrant salad which in restaurants or in bars is served in little
bowls as an appetizer together
with beer or an aperitif and is a
typical New Year’s dish.
Gobo is the equivalent of
scorzonera, or black salsify, a
plant cultivated in Europe and
belonging to the same Asteracee family: in Italy it can be
found especially in the north
and in the past, often during
wars or famines, this root was
toasted or ground to be used
like coffee, while its leaves
were smoked instead of tobacco. In France it is prepared like
asparagus, in other countries
it substitutes potatoes and is
used to cook soups, pies and
cutlets. n
Evaporated milk
Condensed, but without sugar
PAGE 14
vaporated milk is, simply, condensed milk, but
without the sugar added.
The preparation is the same,
but with a single difference:
evaporated milk is first homogenized in a process that
in practice breaks apart the
fat to ease its digestion), then
it is evaporated by heating it
to a moderate temperature
to avoid the caramelisation
of sugars, and then sterilized.
Through this process, there is
a partial removal of water (up
to 60%) from which results a
reduction in the initial volume
with an increase in shelf life
and a certain ease of use.
As is the case for condensed
milk – but also for powdered
E
s
To finish
Despite the heat, Lebanese
meals are often accompanied
by alcoholic drinks and spirits.
A famous one is arak, a grape
distillate to which aniseed is
added, similar to Greek ouzo,
served diluted and with ice.
And then wine, the pride of
this land: the Bekaa Valley has
always been the main wine region of the country, thanks to
a favourable climate and a clay
and limestone terrain.
Famous bottles like Château
Musar (a red wine obtained
from Cinsault, Cabernet and
Carignan grapes) have made
a name for Lebanese wine
throughout the world.
Lastly the desserts. The end
of the Lebanese meal deviates
from the Arab tradition: «Our
sweets are truly sweet», jokes
Susy. In other words, Lebanese
desserts are rich in butter and
sugar, with a base of puff pastry or very thin phyllo dough.
The Middle East influence
instead can be in the ingredients, like dried fruit, spices,
rose water and sugar syrup. «If
main dishes are healthy and in
a certain sense dietary, sweets
on the other hand are fattening», adds Susy.
Finally, a suggestion. An old
rule suggests you should serve
double the food you expect
your guest can eat. So if you
happen to be invited to eat in
Beirut, remember to accept
everything that is offered you:
a refusal would be a serious offence to the host. n
ENGLISH
35
eAthnic
ENGLISH TEXT
milk – evaporated milk is used
frequently in those countries
in which there’s a shortage of
fresh milk, for example as a
result of wars or natural disasters, as an emergency food and
already in 1880, it was widely
found in the backpacks of miners on the African continent
who found themselves far
away from home for weeks. It
is normally used in cooking to
make or to garnish sweets (like
churros in Latin countries),
to add to tea and coffee, to
make cream and ice cream, and
mixed with water to obtain a
liquid milk. Compared to condensed milk, which is decidedly
syrupy, evaporated milk has a
more fluid consistency.
Condensed milk is also used
a lot to make desserts and
thanks to its excellent nutritive
properties, is one of the most
consumed foods by Muslims
after sunset during the Ramadan fasting period. In Ireland
and Jamaica, but also in some
African countries like Nigeria,
Ghana and Cameroon, people
like to quench their thirst with
Guinness punch, a cocktail of
Guinness beer, spices and condensed milk with the addition
of cocoa that is used to contrast the slightly bitter taste of
the beer. In India, lastly, there’s
kulfi, the local ice cream without eggs with a base of condensed milk and cream. n
P
36
onions, cherry tomatoes and
shallots. It’s a dish that in Peru
is enjoyed both by the rich
and the poor and that can be
found in the most important
restaurants of Lima or on the
tables of the houses of common people. n
Yuzu
The handy citrus fruit
PAGE 20
t has the shape of a tangerine, the colour of a lemon
– but it ranges from yellow to
green depending on its stage
of ripeness – and smells similar
to grapefruit. But on the table
you’ll never see it cut in slices
because in the kitchen yuzu is
used in (many) other ways. Its
origins date back to the third
century B.C. in Tibet and only
afterwards was it introduced
in Korea and especially in Japan, where today it grows on
little thorny trees – that have
the same name as the fruit –
on the island of Shikoku, in the
northern Pacific Ocean. In this
limited area alone some 10,000
tonnes of yuzu are produced
each year, or half the total
production of the Japanese
market. The main characteristic of the plant is its resistance to cold (it even grows
in temperatures as low as -10
°C) and to major variations in
temperature between day and
night that, however, bring out
the taste of the fruit. The yuzu
plant, known by the name of
Citrus junos, also has an ornamental function: it brightens
up and decorates gardens and
some varieties are cultivated
solely for the flowers they
produce.
I
deed, you can extract a very
delicate juice out of it or it’s
possibly to directly use the
rind to season a wide variety of
dishes, from vegetables to seafood dishes like sushi, shrimp
salads or scallops. In Japanese
cuisines it is used to give a special touch to sauces, such as in
ponzu used as a condiment
for sashimi, whose ingredients
are mirin (a sweet sake), rich
vinegar, flakes of katsuobushi
(dried smoked salmon) and alga
kombu with the final addition
of yuzu juice.
It’s frequently also used in
the preparation of desserts,
cakes and gelatins, while in
Korea they make a jam out of
it. By now yuzu has spread out
across the borders of Japan; its
bitter but fruity taste is appreciated throughout the world
and even great chiefs jealously guard it in their cupboards.
For example, the most famous
pastry maker in France, Pierre
Hermé, used it to enrich the
taste of his specialities, starting
with macaroons, the delicious
coloured cookies that make
such a pretty sight in his Paris
“boutique” in Rue Bonaparte.
In addition, yuzu spices up tea,
is an original ingredient in the
most exclusive cocktails and,
even, in the Netherlands and
Finland flavours some craft
beers.
Awash in yuzu
As you already will have understood, it’s a citrus fruit of a
thousand resources, from yuzu
are extracted the essential oils
used to make cleaning products for the body, skin creams,
perfumes and candles for the
house. In Japan it is also used
Also discovered by great chefs for pleasing warm baths the
Its natural environment, how- evening of the winter solstice:
ever, remains the kitchen. In- the peel of the fruit immersed
in boiling water lets off perfumed essences that have a relaxing effect. In addition yuzu
is a citrus fruit that has double
the vitamin C contents of an
orange: making fresh-squeezed
juice, however, can be quite
complicated seeing that the
fruit contains little juice and
large seeds. Yuzu, however,
has good medicinal qualities,
it’s rich in anti-oxidants and is
a great remedy for colds, flus
and for healing chapped skin.
In short, it is a universal citrus
n
fruit. Store - The interview
A super ethnic...
Veneto region
PAGE 22
o satisfy the desire for
ethnic food, it’s not always necessary to go to a specialized store. Indeed, by now
even the small chains of largerscale retailers have diversified
their offering, making available a good variety of these
products. On the other hand,
immigrants don’t want to do
without these typical tastes of
their tradition and an increasing number of Italians who return from a trip want to savour
the foods enjoyed on the other
side of the world, as Francesca
Baggio, the chief executive of
GB Ramonda, a small chain of
supermarkets in the Vicenza
area explains.
T
When was your company born
and how did it develop over
time?
«The company was born in
June 1971 in Alte di Montecchio Maggiore from a small
50 square-metre food store
and then was enlarged in 1985
with the acquisition of a 400
square-metre supermarket in
Brendola. In recent years other
stores have been added: in Alte
Ceccato, Trissino, Sovizzo and
Rosà. The last one was opened
in 2006 in the city, in Vicenza».
When do you start to offer
ethnic products and for what
reason? And were they well
received by your clients?
«We’ve made them available
in our stores almost from the
beginning. At first to satisfy requests from a portion of our
clients, who after a trip were
asking us to introduce the
products they tasted abroad
so they could cook them for
their friends, but also to offer
something differ than the usual products. Obviously, then, a
part of our clients are foreigners and they were asking us
for products typical of their
countries. Recently we have
decided to increase our ethnic
offering and our clients, both
Italians and foreigners, are very
happy about this decision».
Roughly how many ethnic
food products are offered in
your stores? And which stores
are the best stocked?
«We have an assortment of
about 250 products to choose
from, covering appetizers to
desserts. The best stocked
stores are those in Alte Ceccato and Trissini, but we also
plan to complete the product
assortment in other structures».
«In the last few years the way
of cooking has changed, thanks
also to television programmes
like La prova del cuoco (the
cook’s test) or Masterchef, in
which chefs are always proposing something new to whet the
curiosity and the palate of the
public. The client doesn’t lose
any time; she comes to us and
asks for all the ingredients to
prepare the recipes. We see,
however, a new desire to experiment with dishes that are
not part of our tradition». n
Selli International Food Store
Where to find what’s
impossible to find
PAGE 24
t’s the Rome store in which
“exotic” desires can be satisfied. Even the most particular
ones. Indeed, at Selli International Food Store you can find
food products, spices, cereals
and legumes from every part
of the world, crammed almost
to the ceiling on the spacious
shelves that the siblings Bianca
Maria and Mimmo Selli each
day patiently fill to satisfy
the requests of their clients in
the Esquilino neighbourhood.
Precisely the store in via dello
Statuto, two steps away from
the multi-ethnic Piazza Vittorio where, at the beginning of
the ‘60s, from a stand in the
open market run by mamma
Annunziata and papa Angelo,
the concept was born which
today has become a reference
point in the capital for ethnic
food lovers.
I
Who are the biggest purchasers of ethnic products?
«Everyone buys, even my children: they like to try new prod- Mr. Selli, when did the transiucts and taste flavours differ- tion from market to store take
place?
ent from the usual ones».
«We opened here in 1994, but
How much and how has the of- the origins of the store actually
fering of ethnic food changed go back to the ‘60s when my
parents “did the market” in the
in recent years?
nearby square. At the end of
the ‘70s the first immigrants arrived from the Philippines and
Morocco, who chose the market stands in piazza Vittorio
to shop, perhaps because they
were reminded of the open-air
markets in their homeland. As
is known, demand generates
supply and my parents decided
to focus on ethnic products,
especially spices».
Yours is a strategic position.
From what countries do your
clients come?
«I must say that over the years
our clientele has changed a
lot. Initially we had a lot of
Indians from the Punjab who
worked in this area. Now
they have moved north and
been replaced by Colombians,
Brazilians, Peruvians and also
people from the Middle East,
who represent a good share
of our clients. But, in general,
people from all nationalities
come here seeing that in Rome
there are all the consulates that
employ numerous people from
these countries».
How many employees do you
have?
«There’s myself and my sister
Bianca Maria plus two employees, one Indian and one from
Sri Lanka and, despite the crisis
that has hit small businesses,
things are going very well…».
…maybe because “at Selli’s you
find what’s impossible to find”,
as your clients write on reviews
on internet. Nice praise for an
ethnic store. How do you manage to be so “stocked”?
«Competition is keen and our
efforts are concentrated on
distinguishing ourselves thanks
to an offering of a wider variety of goods at affordable
s
Soy
From China to the Andes
PAGE 16
eruvian cuisine is always
a new discovery: the authoritative British weekly The
Economist elected it among
the twelve most refined in
the world. But its peculiarity
is another: it’s known and appreciated for its complexity,
contaminated by styles and
influences from extremely
different culinary cultures
like pre-Columbian, Spanish,
African, Italian, Japanese and,
especially, Cantonese.
Indeed, beginning in 1850,
numerous Chinese immigrants
came to Peru to take the place
of black slaves that were being freed. Once they landed,
they signed long contracts
to serve local entrepreneurs.
Those who succeeded in escaping from these conditions
of semi-slavery fled towards
the big cities and opened little restaurants called chifas (a
name that is said to come from
the Mandarin chi fan, or “to
eat”): not by chance, then, the
cuisine born form the meeting
of the Chinese tradition with
the Peruvian one is called chifa.
One of the dishes that perfectly represents this union between China and Peru is arroz
chaufa (fried rice, which not by
chance in modern Mandarin is
called chao fan) in its numerous versions in chicken, veal,
pork or fish, rigorously marinated once it is well cooked,
with soy sauce, an ingredient
of Chinese origin present in
many dishes of chifa cuisine
For example, pollo a la brasa,
roasted marinated chicken
with the addition of a spoonful of sauce.
But the traditional dish of
the capital that has spread
throughout Peru is lomo saltado, prepared for the first
time about a hundred years
ago in one of these restaurants opened by immigrants
of Cantonese origin: it is prepared with tenderloin cubes
marinated in soy sauce and
pepper, with the aroma of
pisco (a wine must distillate
similar to brandy) with crisp
ENGLISH
37
eAthnic
ENGLISH TEXT
prices. My commitment and
that of my staff in the research
of products is constant and
daily, even for the most particular items».
While we’re on the subject,
what is the thing that is “impossible to find” that you can
find at Selli?
«People come from outside of
Rome for our spices: for example, dill and fenugreek come
to mind. We also have some
cosmetics from India that are
practically impossible to find
elsewhere: some young Italian
women, who are now are clients, had them shipped in from
London, ordering them on-line;
now they purchase them in the
neighbourhood, saving lots of
money».
Italians, in fact, do shop in your
store? And what do they most
value?
«Certainly, they are also our
clients. Japanese cuisine is that
which is most in demand at the
moment and the corner dedicated to organic foods is much
appreciated by Romans». n
V
38
about it?
«They like the formula. Obviously not everything because
there are always traditionalists
who want their classic dish.
But it’s a question of habits:
I believe that people must be
educated to eat in a different
way. That’s what happened
with the “old” clients of Shiki, who in the beginning had
some difficulty adapting to
such a radical change; there
are those who did it and others who didn’t. But we also had
a lot of new clients».
Shiki offers fusion cuisine:
why?
«I began my career with Italian seafood cuisine; over time,
however, I opened up to new
tastes from around the world.
I like to associate them, to mix
them: so from this was born my
passion for fusion. I tried to put
together capers with ginger or
The name of the restaurant, basil with algae to understand
Shiki, is accompanied by the what could be created. Some
things didn’t work, but many
words “easy food”. Why?
«Because at Shiki we only pre- others did».
pare fast and simple recipes.
Our philosophy doesn’t in- What are the pilasters of your
clude the concept of appetizer, cooking?
first and second courses. So it’s «As a basic seasoning we use
an easy menu: modern, up with an emulsion of soy and exthe times, fast and tasty. You tra-virgin olive oil: it’s tasty,
can eat one or two dishes and delicate and brings down the
then leave, or rather stop to calories. Then olives, basil and,
with the summer, tomatoes as
taste seven or eight …».
far as the Mediterranean part
A rather particular choice: is concerned, while soy sauce
where did the idea come from? is essential for the Asian part.
«It’s comes from very close. And then many other ingrediFrom me. I’ll explain myself ents that are discovered each
better: when I go out to din- time».
ner, I like to taste practically
everything. A little bit because What must the client who
I like to eat, a little bit for edu- wants to eat at Shiki be atcational reasons. And so I mod- tracted by?
«From the curious and interelled my cuisine».
esting combinations the menu
And what do clients think proposes. By now Milan is a
multi-ethnic city, inhabited by
people who are open to the
new, people who travel a lot
and, once they’ve returned to
their base want to be able to
try certain tastes near their
home. It’s an interesting and
economic formula: each dish
costs 7.50 euros».
What’s the most requested?
«Certainly the TTA, or rather
tuna tartar Alex. One of my
specialties that I have offered
for a long time, composed of a
base of warm basmati rice with
a puree of avocado and tuna».
And what best represents your
restaurant?
«The rolls, which represent the
continuity with what Shiki was
until a few months ago». n
Restaurant - Interview
with Matias Perdomo
A “revolutionary”
in the kitchen
PAGE 28
e was born in Argentina,
lived in Brazil and maintains that his real homeland is
Uruguay. Matias Perdomo, chef
of the Milanese restaurant Al
Pont de Ferr, symbolically represents all of South America,
a land that was the birthplace
of many great revolutionaries.
And he is in his own way as
well, seeing that he took only
a month to revolutionise the
cuisine of a historic Milan restaurant located on the canals.
Indeed, six years ago, before he
became the lead chef, here in
the restaurant that is still managed by Maida Mercuri, you
could mainly eat traditional
Italian dishes of excellent quality. Today instead the menu
is more varied and colourful
and the quality has remained
excellent, as the Michelin star
H
earned in 2012 attests. The good. Aesthetics comes into
South American touch can be play when a dish has reached
the maximum level of taste
seen, therefore. And tasted.
and, at that point, you can
Matias, what part of yourself concentrate on how to best
have you put in the Milanese present it».
restaurant Al Pont de Ferr?
«Initially I had promised myself How much do you value ethnic
to change things a little bit at a cuisine?
time. But it didn’t end up like «I’m open to everything, in
that: my cooking is different, life as at the table. My hismore modern: the change was tory shows this; I come from a
therefore sudden and people multi-ethnic culture and, as a
didn’t react positively at first. result, my cooking is without
But we resisted, I was given borders. I don’t believe in only
carte blanche and now our of- local foods, this was the way
fering is a success».
things were done a hundred
years ago. I don’t close the door
What were the first new items to that which arrives from the
placed in a traditional menu? other part of the world, as long
«Above all, onion. Then blown is it is of excellent quality».
sugar which I learned to prepare on my own with inspira- In Uruguay you had experienction from a recipe from the es in radio and TV: what do you
Roca brothers, whom I met in remember of that?
a restaurant in Girona, in Cata- «I was 20 years old, people in
lonia, in which I also did an ap- the street recognized me, but
prenticeship. I was the first to I didn’t like this. I was losing
bring to Italy the Iberian pork my perspective, I didn’t want
pluma, a particular cut of pork to be a celebrity and I was
(the front part of the loin, near young with still a lot to learn.
the neck) that is called this It was one of the motivations
way because it’s shaped like a for leaving my country and
feather. Now it is a classic of coming here. I had created
an image that wasn’t authenour restaurant».
tic, it wasn’t what I wanted. I
You maintain that your crea- wanted to be a chef, to cook,
n
tions also have a playful aspect: to shape an idea …». in what sense?
«Cooking is a reflection of your PAGE 29
state of mind. It’s a philosophy The globetrotter chef
of life: I’m not one who feels He was born 33 years ago in
sorry for himself. As a result, I Argentina in Buenos Aires.
am also like that in the kitchen, But he’s Uruguayan from the
where I enjoy myself and want capital of Montevideo where
clients to enjoy themselves». he instead arrived at the age of
six. Matias Perdomo, the lead
Aesthetics and taste, in what chef of the Milanese osteria
percentage should you find (it’s also specified on the official web site) Al pont de ferr
them in a dish?
«Taste comes above all. If a – rewarded with a Michelin
dish is beautiful and colourful star in the 2012 guide – is a
but the taste is bad, that’s no “globetrotter”. In addition to
Argentina and Uruguay, he’s
also lived in Brazil, Denmark
and at the age of 21, in 2001,
he moved to Italy where he still
works in the historic restaurant
on the Naviglio Grande canal.
For six years he’s been the star
of the kitchen that he “upset”
by introducing new dishes and
tastes. He started out young
with a private class, already
at 14 he aimed at becoming
the lead chef at the first five
star hotels in Montevideo.
At twenty he managed three
restaurants and participated
in television and radio transmissions. Then the call of our
country, and further professional growth until becoming
one of the most creative chefs
n
on the market. Japanese knives
Instruments of the trade
PAGE 30
here’s no Japanese cooking without quality knives.
High-precision instruments,
they’re the real allies for every recipe. «A dish ruined by
a faulty cut can even change
taste», notes Uniontrade consultant Yuki Konsho. «Cutting
fish, in particular, is very difficult: it requires professional
knives and skill that is acquired
over the years. In Japan they say
it takes ten years to become a
chef », he adds.
A characteristic of most
knives is that there is a blade
only on one side; indeed, the
other is normally flat. An exception is angled knives, for
the preparation of vegetables a
cut is made by exercising pressure. There are five blades that
are used most: Santoku (“three
merits”, in Italian), universal and
suitable for cutting all ingredients and in particular meat.
Nakiri and Usuba are instead
T
used for cutting vegetables,
but only the first is sharpened
on both sides. Deba is instead
a heavy knife, sharpened only
on one side, used to cut fish
bones and other bones and also
to fillet small fish. Lastly, the
Yanagiba, the traditional knife
for sushi and sashimi. Thanks
to its long and narrow blade it
is suitable for making fine, long
and extended cuts.
The material of which
knives are made is steel, which
ensures perfect cuts over time.
However, durability also depends on maintenance: «In
Japan chefs use two or three
different types of sharpeners
for every knife», notes Yuki.
Made with local clay and silicabased stone, they are treated
with water or oil just before
sharpening. n
Recipes
PAGE 31
Asparagus Shiki roll
Ingredients for 4 people
130 g rice for sushi seasoned
with vinegar and sugar
4 leaves Nori algae
10 stalks of green asparagus
1/2 avocado
200 g bream
1 bunch of basil
20 Taggiasche olives
30 g pine nuts
teriyaki sauce, extra-virgin olive oil and soy sauce to taste
Preparation
Clean the bream, cutting the
filet into thin slices.
For the basil cream: blend
the basil leaves with a drop of
extra-virgin olive oil and pine
nuts with a pinch of salt.
For olive pesto: blend the
olives.
Cut the asparagus stalks
into thin slices and parboil
s
Restaurant - Shiki
The importance
of being fusion
PAGE 26
ia Solferino 35, practically
facing the headquarters of
the Corriere della Sera newspaper. An area of Milan that
is always alive, day and night.
Here you find Shiki, which
since this year has had a new
management and offers an updated menu: no longer simply
Japanese, but fusion cuisine,
where the ingredients and typical tastes of the Asian tradition
meet and mix with those of
the Mediterranean, in a pleasing and elegant environment,
with music in the background
and comfortable couches to sit
and enjoy lunch, happy hour,
dinner or Sunday brunch in an
even more relaxed manner. The
strong point are the many small
dishes: there are 45, all rigorously fusion (like tiramisu: two
layers of whipped cream and
cream, cookies soaked in coffee and sesame seeds instead
of chocolate) that make up a
menu that is varied, colourful
and never the same, composed
personally by the chef Alex
who manages the restaurant
and the kitchen. Self-taught,
raised in a family of cooks
and restaurant owners on the
shores of Lake Maggiore, Alex
likes to invent and experiment.
Not only in the kitchen, but
also in the choice of wines, to
try, according him, is a fragrant
rosé from Provence that goes
well with his dishes.
ENGLISH
39
eAthnic
ENGLISH TEXT
them for 5 minutes in lightly
salted boiling water.
Place the Nori algae on a
bamboo mat covered with cellophane. Cover the algae completely with rice. Place pieces
of thinly cut avocado and asparagus in a way that the tips
don’t protrude from the algae
and helping yourself with the
bamboo mat, roll up the maki.
Cut the bream into thin slices
and place them on top of the
maki, making them stick and
pressing down again with the
mat to compact everything.
Divide the rolls obtained
in eight parts and on each roll
place a drop of basil cream and
a drop of olive pesto.
Season everything with an
emulsion of soy sauce and
extra-virgin olive oil.
Serve accompanied with
n
teriyaki sauce. Hummus
by Suzy Kmeid
Ingredients for 4 people
300 gr dried chickpeas
2 cloves garlic
juice of 2 lemons
extra-virgin olive oil as needed
salt to taste
2 tablespoons tahini
cumin as needed
2 tablespoons of hot water
To garnish
red chili powder as needed
chopped parsley as needed
Preparation
Soak chickpeas for 24 hours,
drain and rinse well. Cook in
a pressure cooker with abundant water for 20 minutes or
in a normal pan for two hours,
or until they become tender.
Drain. In a non-stick pan pour
three tablespoons of olive oil,
two doves of garlic and the
powdered spices. Toast for a
few minutes at medium heat.
40
Add the drained chickpeas and
cook for another 2 or 3 minutes. In the meantime, squeeze
the lemon. Put the chickpeas in
a blender, add the tahini and
lemon juice, blend until you
obtain a homogeneous and
smooth cream. Add a bit of extra-virgin olive oil or hot water
to attain the desired consistency, mixing with a spoon. Serve
in a bowl after having covered
the surface with chopped parsley or chili powder. n
News
Health
Ethnic food beneficial
against tumours
PAGE 32
utritionists are opening
open to ethnic food. In
the food tables and guidelines
of Airc, the Italian cancer research association founded by
the oncologist Umberto Veronesi, alongside the always
prized dishes of Mediterranean cuisines can now be found
Chinese, Japanese, African and
Indian dishes. Today, for example, one of the rules suggested
by Airc is that of reducing salt,
perhaps by compensating it
with spices dear to the cuisine
of the Maghreb region or the
Middle East. Indeed, the fight
against tumours is fought also
with exotic foods. For example, Japanese-style fish, raw
and marinated in soy sauce,
rice noodles and spicy meats
from India are all much appreciated by Airc researchers.
The same is true for another
ingredient known for its beneficial properties: turmeric. A
spice similar to saffron, it is rich
in curcumin, which is useful in
fighting diseases tied to the
ageing of the brain. «On the
island of Okinawa, where it is
N
ENGLISH
consumed daily – explains Veronesi – there’s a presence of
centenarians that exceeds that
of other countries in the world
by 10%». n
Trends
Ethnic food pleases, as long
as flavours are “decisive”
PAGE 32
thnic gives way to global,
the evolution of fusion.
In other words, the world’s
citizens in the second decade
of the twenty-first century increasingly like hybrid dishes,
the fruit of contamination. As
long as the tastes are strong
and especially new. So says the
Institute of food technology
in Chicago, a non-profit scientific organization with 18,000
members in more than 100
countries. Indeed, research just
published by the organization
illustrates the new trends in
the food sector. The first data:
the cuisine that is favoured today is made of strong flavours,
from spicy to smoked, from
salty to marinated without
forgetting a taste for bitter.
According to the Ift, the choice
of foods in this category has almost doubled in the last three
years. Some other interesting
data involves the hobby of
cooking: during this first part
of 2013 seven out of ten people cooked at home more than
they did in the year earlier. The
increasing availability of original ingredients, often ethnic,
has placed a decisive role in
n
this trend. E
Trade fairs
Ethnic food on exhibit
PAGE 32
ocal and global. The dynamics of the globalized
world are mirrored in ethnic
food and in some events in
L
which it plays a protagonist
role. Last March at the Spazio
Carroponte in Sesto San Giovanni (Milan) held its first global food festival. Far da mangiare (Make something to eat),
this is the name of the event,
which from March 8 to 10 presented sensorial workshops,
stands and markets, tastings,
exhibits, brunches, theme dinners and recipes from around
the world. An initiative in favour of integration between
local and international. But
there’s not only that; by now
ethnic food also merits global
fairs: indeed, the International
Food Expo, a global exhibition
in which the world’s foods
demonstrate their enormous
market potential, will be held
at the end of June in New Jersey (USA). «The dividing line
between western and ethnic
food is blurring», Bharat Joshi,
who is coordinating the organisation of the exhibit, explained
to the press. Among countries
featuring this year are China,
Japan, Korea, the Philippines,
Singapore, Thailand, Sri Lanka,
Bangladesh, Pakistan and India
but also numerous African and
Latin American countries. n
Kikkoman
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Il buon cibo, ancora più buono.
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