Michel Foucault. Genealogie del presente
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Michel Foucault. Genealogie del presente
ESPLORAZIONI Foucault def.indd 1 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 2 06/02/15 17:36 AA.VV. Michel Foucault Genealogie del presente a cura di Paolo B. Vernaglione Intervista a Michel Foucault di Michael Bess Intervista a Daniel Defert di Daniele Lorenzini e Orazio Irrera Laura Cremonesi Daniele Lorenzini Orazio Irrera Martina Tazzioli Paolo B. Vernaglione Foucault def.indd 3 06/02/15 17:36 © 2015 La Talpa – manifestolibri srl Via della Torricella 46 – Castel San Pietro Romano (RM) ISBN 978-88-7285-782-3 www.manifestolibri.it [email protected] Foucault def.indd 4 06/02/15 17:36 Indice Introduzione 7 PRIMA PARTE Cura di sè e askesis nell’ultimo Foucault: sulle possibilità di un’etica attuale Laura Cremonesi 23 Etica e politica di noi stessi. Riflessioni su un uso possibile dell’ultimo Foucault Daniele Lorenzini 41 Michel Foucault e la critica dell’ideologia nei Corsi al Collège de France Orazio Irrera 55 Interruzioni di confine e soggettivazioni agiuridiche. Michel Foucault negli spazi del presente Martina Tazzioli 87 La natura umana come dispositivo. Foucault e l’epoca moderna Paolo B. Vernaglione 115 SECONDA PARTE Il potere, i valori morali e l’intellettuale. Un’intervista con Michel Foucault Michael Bess 147 Volontà di verità e pratica militante in Michel Foucault. Intervista a Daniel Defert Orazio Irrera e Daniele Lorenzini 159 Foucault def.indd 5 06/02/15 17:36 NOTA EDITORIALE L’intervista di Michael Bess, al tempo dottorando al Dipartimento di Storia della University of California, Berkeley, a Michel Foucault fu rilasciata il 3 novembre 1980. Foucault si trovava a Berkeley perchè, qualche giorno prima (il 20 e il 21 ottobre), aveva pronunciato le “Howison Lectures”; un paio di settimane più tardi (il 17 e 24 novembre), pronunciò due conferenze molto simili anche al Dartmouth College. Di queste conferenze è ora disponibile la traduzione italiana: M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica del sè. Due conferenze al Dartmouth College, a cura di mf / materiali foucaultiani, Cronopio, Napoli 2012. L’intervista è stata condotta originariamente in francese e pubblicata, in lingua inglese, su «History of the Present», n. 4 (1988), pp. 1-2, 11-13. Alcuni estratti erano già apparsi in un articolo scritto da Bess e pubblicato il 10 novembre 1980 sul «Daily Californian», il giornale degli studenti di Berkeley. La versione originale, in francese, è stata recentemente pubblicata in M. Foucault, L’origine de l’hermèneutique de soi. Confèrences prononcèes à Dartmouth College, 1980, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2013, pp. 143-155. L’intervista a Daniel Defert, sociologo, presidente dell’associazione AIDES, compagno di Foucault e curatore dei Dits et ecrits e dei Corsi al Collège de France è stata realizzata il 9 novembre 2011 da Orazio Irrera e Daniele Lorenzini. RINGRAZIAMENTI Ringrazio la redazione della rivista “Materiali Foucaultiani” per la pubblicazione dell’intervista a Foucault di Michael Bess e dell’intervista a Daniel Defert di Daniele Lorenzini e Orazio Irrera, oltre ad aver animato il seminario da cui questo libro ha preso vita. P.B.V. Foucault def.indd 6 06/02/15 17:36 INTRODUZIONE Paolo B. Vernaglione L’occasione di questa pubblicazione è stato il trentennale della scomparsa di Michel Foucault. Nel 2014 in tutto il mondo convegni e libri hanno reso testimonianza dell’opera di chi, a ragione, può essere considerato tra i grandi maestri del pensiero. Ma l’occasione non ha fatto e non può fare di Foucault un “classico” della filosofia, o dell’epistemologia; tantomeno la sua vasta produzione può essere ascritta all’area accademica – benchè ormai università e centri di formazione, luoghi di produzione e condivisione del sapere e grandi editori abbiano fatto dell’autore dei Corsi al College de France un “classico” di successo. Segno della proliferazione di eventi intorno e su Foucault è la ormai sterminata bibliografia, in cui ogni questione dell’ “attualità” è interpretata alla luce del pensiero dell’autore di Nascita della clinica e dei corsi sulla biopolitica e la governamentalità. Dalla congerie di studi, incontri e pubblicazioni, si è distinta la meritoria pubblicazione in Francia lo scorso anno del corso del 1973 La societè punitive, che, prima ancora di indicare la possibile relazione con le cose del presente, segna la distanza di idee e metodo da generiche e in molti casi fuorvianti attualizzazioni. La figura di Foucault infatti, come accade a quei filosofi che da una posizione decentrata riscrivono categorie e forme del sapere, vive in questi anni una paradossale restituzione che somiglia alla vendetta postuma di un pensiero del fuori e di una cultura della marginalità: essere indagato a partire dalle scansioni temporali che storici e 7 Foucault def.indd 7 06/02/15 17:36 filosofi della politica hanno assegnato ai grandi eventi e ai passaggi d’epoca, dall’antichità, all’epoca classica, alla modernità. Con Foucault infatti la pratica della storia ha aperto il pensiero, infrangendo le barriere disciplinari e gli specialismi, per catturare un’ontologia del presente di cui oggi si tenta una sbrigativa valorizzazione. Del resto il paradosso di un archeologo non può che essere di questa portata e assumere questa immediatezza, laddove un sapere non si dà tutto intero, incorniciato nelle categorie che lo designano, ma si offre nelle discontinuità di un’emergenza sintomatica. D’altra parte produrre discorso nell’orizzonte di una critica radicale del sapere, dei rapporti di potere e delle forme di soggettivazione comporta comunque la forte reazione della stessa modernità che è stata criticata e messa in scacco con gli strumenti concettuali che le appartengono. Da questa particolare postura, assunta nell’elaborazione di un metodo genealogico, a partire dagli scorsi anni Sessanta, si stacca la problematizzazione dello strutturalismo e della fenomenologia, e deriva quello sguardo trasversale sul sapere e la storia che ha molto in comune con il gesto sovversivo di Nietzsche nei confronti della metafisica. L’”uso” che è stato e continuerà ad essere fatto del pensiero di Foucualt costituisce, non solo per questi motivi, il lascito più importante e produttivo per le generazioni a venire. Infatti movimenti di contestazione, comunità gay, teorici politici radicali, nonchè quei rari filosofi che assumono l’archeologia dei saperi e del linguaggio come orizzonte complessivo di ricerca, e la genealogia come metodo analitico, hanno continuato l’opera foucauldiana, rendendo esplicito l’intreccio inestricabile di pensiero e prassi e sgombrando in via definitiva il campo sia dall’ideologia dell’intellettuale come figura separata dalla società, ideologia resistente fino a Sartre, sia dall’idea che 8 Foucault def.indd 8 06/02/15 17:36 la militanza politica escluda la riflessione e sia l’orizzonte esclusivo dei conflitti agìti. D’altra parte la ricerca e il dibattito intorno alla follia, all’organizzazione discorsiva dei saperi, ai dispositivi disciplinari e alle forme di soggettivazione, vive nella contraddizione che si è aperta tra ricezione del pensiero di Foucault e rilettura più o meno filologica della sua opera. Ricerca e confronto che hanno impegnato almeno tre generazioni di studiosi, militanti e ricercatori, prima di acquisire il rango di tematiche del presente, con l’inevitabile genericità che comporta l’adattamento di questioni inscritte nella carne viva di esistenze compromesse, ad un’attualità che le respinge. Così, mentre negli anni Sessanta dello scorso ‘900, il metodo inaugurato da Le parole e le cose e L’Archeologia del sapere si scontrava con la tradizione storicista e lo strutturalismo, risultando di difficile penetrazione anzitutto in Francia, negli anni Settanta la stagione dei conflitti operai e studenteschi produceva un controeffetto sul lavoro che Foucault sviluppava sulle istituzioni disciplinari e la microfisica del potere, annodando riflessione e pratica politica, teoria e analisi delle contraddizioni del capitalismo nel confronto con il pensiero di Marx, letto a sua volta per la prima volta fuori e contro i “marxismi”. Laddove poi la modernità assumeva l’abito e il ritmo della “modernizzazione”, negli anni Ottanta, la grande riflessione di Foucault sulle pratiche di soggettivazione, la parresia, la cura di sè e il governo dei viventi, rendevano esplicito il rapporto essenziale tra l’ “inattualità” del metodo archivistico e la registrazione del presente, dotando il pensiero di un formidabile strumento di penetrazione di una realtà considerata debole perchè postideologica. Ciò che è successo dopo, con la pubblicazione progressiva dei Corsi, dell’impressionante mole dei Dits et Ecrits e con la 9 Foucault def.indd 9 06/02/15 17:36 progressiva pubblicazione delle conferenze e degli interventi degli anni Ottanta, di cui abbiamo anche parziale testimonianaza on line con le registrazioni audio e video, ha contribuito in larga misura a rendere popolare l’ascolto di Foucault, aprendo quel piano concettuale e tematico che va sotto il nome di “biopolitica”. Rimane questo dunque a tutt’oggi il luogo più discusso e rielaborato del suo pensiero. Sommersi dalla sterminata produzione di tematiche foucauldiane, nell’acquisizione in molti casi poco rispettosa della lettera del testo, sentiamo l’esigenza di ricollocare le parole di Foucault sul piano in cui sono state prodotte, evitando sia le premure di una risoluzione immediatamente pratica del suo lavoro, sia la riduzione istituzionale che un’acribìa filologica malriposta esercita sul suo pensiero. Vale in tal caso la rivendicazione di radicalità del metodo genealogico, soprattutto riguardo all’analisi delle forme di potere e delle pratiche di soggettivazione, per sottrarre il pensiero di Foucault alle infìde supposizioni sulle simpatie per il neoliberismo che egli avrebbe indirettamente affermato nell’indagine sulla governamentalità. E vale, nell’altro caso, la sottrazione del concetto di biopolitica all’uso generico che se ne è fatto per nominare il dominio integrale sulla vita, a prescindere dai differenti regimi di verità che il paradigma comporta. Dislocare il pensiero e l’opera di Foucault nel campo di tensione circoscritto dai due limiti appena accennati non significa peraltro evitare il confronto con le interpretazioni che di essi si sono finora succedute; anzi, a partire dall’acquis dell’interrogazione sulla sovranità, sulla soggettività e sulla ricostruzione delle forme che il sapere ha assunto nella modernità occidentale, questo bisogno di ricollocazione esige una rielaborazione della molteplicità 10 Foucault def.indd 10 06/02/15 17:36 tematica dell’opera foucaldiana. E comporta genealogicamente un compito per le attuali generazioni, compito che ha a che fare con la promessa che l’opera di Foucault reca, di essere opera dell’avvenire, di dissolvere cioè i confini temporali che la fanno appartenere al XX secolo. Qui, in questa piega della prassi teorica e del fare critico, ove la vita diviene forma e la volontà di sapere esperienza vissuta riconosciamo l’eccezionalità, l’unicità ma anche il rigore che comporta il “dire il vero” sulla cultura, sui modi di soggettivazione e sulle modalità dell’esser governati. È quanto ci consente in scarsa misura il presente che, per contrasto, affida le proprie chances di innovazione all’annuncio omologante di un regime di valutazione, all’obbligo di essere imprenditori di sè stessi e alla promessa di benessere insita nella verità dei mercati, di cui già da tempo abbiamo sotto gli occhi gli effetti catastrofici. Solo che, a differenza dei nostalgici della regolazione delle istanze di redistribuzione, invece di strapparci i capelli e ordinare il nuovo con la vecchia propoganda del “fare”, ridiamo con Nietzsche e con Foucault tentando una gaia scienza che porti a compimento la crisi che attraversiamo. Perchè sappiamo che con essa viene scritto un episodio rilevante della fine dell’Uomo. Questa consapevolezza e questo stato d’animo di riflessiva eccitazione hanno dato luogo all’iniziativa di questo testo: tre giornate di studio al Dipartimento di Filosofia della “Sapienza”, Università di Roma, animate dalla redazione della rivista “Materiali Foucaultiani”. È grazie a loro infatti che il testo si è arricchito di un’intervista a Foucault di Michael Bess, di cui rileviamo la pregnanza rispetto alle argomentazioni dei diversi saggi, e di una conversazione che Daniele Lorenzini e Orazio Irrera hanno avuto con Daniel Defert, che contribuisce a farci scoprire quanto sia estesa l’area di interesse della 11 Foucault def.indd 11 06/02/15 17:36 ricerca foucaultiana: dall’archeologia delle formazioni discorsive, che segnano il passaggio dall’epoca classica alla modernità, ai dispositivi disciplinari e alle vicende degli uomini infami; dalle pratiche di resistenza alla genealogia delle forme di governo dei viventi; dalle grandi trasformazioni nella scrittura e del concetto di autore alla fenomenologia dell’arte; dalla funzione della filosofia in rapporto a sè stessa, alla sua storia e alla storia delle scienze umane, ai rapporti tra storia e genealogia. L’orizzonte della ricerca foucaultiana, la cui condizione d’esistenza è data dalle relazioni segrete e persistenti tra l’insieme delle conoscenze acquisite e il fondo di “non sapere” in cui vive la superfice invisibile delle positività e delle opere, risulta disponibile quanto più ci si libera delle forme della rappresentazione del discorso, delle strutture d’identificazione con una cultura, un profilo critico, una biografia. La difficoltà nel risalire il multiforme pensiero di Foucault, che apre contraddizioni invece di proporre schemi sistematici, consiste infatti nel processo a cui si è chiamati per liberarsi dall’individuale volontà di sapere, per accedere a quella soglia di dispersione in cui le cose, non solo le parole, ci chiamano ad una sperimentazione, un uso non sistematico, un esercizio continuo di ridefizione e riarticolazione; e in quest’impresa misuriamo il limite a cui possiamo condurre pratiche di desoggettivazione. Infatti nel leggere il pensiero di Foucault che è alla base del metodo genealogico, troviamo lo squilibrio permanente tra la volontà di sapere (in cui possono o meno articolarsi delle controcondotte) e l’esteriorità dei suoi oggetti, laddove il trascendentale si realizza e si dissolve. Ove questo si forma nel pensiero implicito di un soggetto della conoscenza (come di una sovranità politica e di una verità che coincide con l’umanesimo) e si disintegra nell’illusione dell’imputazione, quando scopriamo che l’e12 Foucault def.indd 12 06/02/15 17:36 spressione si produce nel luogo vuoto dell’attività, dell’opera, della produzione. Non si tratta dunque di cambiare punto di vista, rimanendo all’interno delle coordinate in cui il linguaggio è esprimibile, la parola comuncabile e il discorso accettato. Si tratta di rilanciare la forma anonima del pensiero, di interpretare la permanenza inaccettabile di Nietzsche come ciò che eccede una volta per tutte la storia della filosofia, che fa esplodere la contraddizione che già Marx aveva indicato tra il pensiero e la prassi; di accendere la miccia nel luogo dell’”io” per far esplodere il soggetto di ogni legge. Questo movimento, che scarta un’interpretazione dell’opera foucauldiana pronta a cogliere i nessi diretti con la realtà del capitalismo, per percorrere il perimetro delle implicazioni della forma neoliberale nelle formazioni discorsive, nei rapporti di potere e nei modi di veridizione in cui è implicata la soggettività, cerca di restituire un Foucault non schiacciato sulle necessità del presente, della sua contestazione e dell’ambito in cui può prodursi la critica della quotidianità. Vogliamo così marcare la distanza dell’archeologia dalla teoria critica, non per contrapporvela ma per distinguere la prima, che occupa l’analisi della generalità delle stratificazioni discorsive e dei rapporti di produzione e riproduzione dell’umano, dalla seconda, che ne è parte, e che, in quanto tale, rileva l’economia politica e i rapporti di produzione nella parzialità di una sineddoche. La teoria critica costituisce per Foucault l’oggetto di analisi di cui è necessario anzitutto fare la genealogia, cioè considerare a quali condizioni e in quale costellazione storica essa si produce, quale regime della critica mette in campo e quali sono i suoi limiti. Questo confronto si evince per esempio nelle argomentazioni esposte al convegno su Marx, Nietzsche e 13 Foucault def.indd 13 06/02/15 17:36 Freud del 1964, nelle considerazioni sulla scuola di Francorforte nel corso Nascita della biopolitica, e nel confronto con Althusser, nell’esposizione critica degli “apparati ideologici di Stato” come qui rileva Orazio Irrera. In questi episodi Foucault chiarisce come, nel regime dell’interpretazione in cui Marx ha indagato il capitale, la totalizzazione del concetto di Stato che Adorno e Horkheimer hanno elaborato, non permette quell’analitica del potere capitalistico in cui il rapporto di sfruttamento si realizza effettivamente. D’altra parte, nella dirompente lettura di Marx fatta da Althusser, che provvedeva a relativizzare e a rendere, almeno fino ad un certo punto inoperosi i “marxismi”, la centralità dell’ideologia nell’analisi dei processi di accumulazione riduce all’unica componente del dominio l’insieme dei rapporti di produzione. Laddove invece si tratta di riorientare la lettura del Capitale, Foucault intravede nel secondo libro, dedicato alla circolazione, un nuovo punto di attacco, utile, a partire dagli scorsi anni Settanta, a indagare la nuova forma del valore di scambio assunta dal capitalismo industriale. Quanto questa pista di lavoro, corroborata dalla rilettura dei “Grundrisse”, sia oggi praticabile per leggere gli effetti catastrofici del “post-fordismo”, è nell’evidenza del regime linguistico dell’economia finanziaria, nei modi che la distinguono dalla sua fase moderna. Non si tratta tuttavia di opporre un capitalismo fondato su una base materiale di produzione di ricchezza ad un altro che mette al centro i processi di finanziarizzazione; bensì di rileggere Marx (hegelianamente, ma non dialetticamente?) non “come sostanza ma come soggetto”; cioè, una volta dissolte le nebbie del riformismo economicista e dei marxismi, di interpretarne l’opera come scardinamento dell’ideologia lavorista e come scoperta delle possibili e mutevoli forme di soggettivazione che la classe “prole14 Foucault def.indd 14 06/02/15 17:36 taria” può assumere nelle varie epoche storiche. In questo senso la genealogia del liberalismo consente un’apertura di campo all’insieme di motivazioni teoriche, storiche e di sapere di cui sono intrisi i rapporti di produzione, senza che essi siano intesi come base strutturale del mondo della vita. Ed è proprio l’intreccio di biopolitica e liberalismo, rilevato nel corso Sicurezza, Territorio e popolazione e che ritorna nelle lezioni “americane”di Foucault degli anni Ottanta, alla luce di un’analitica della soggettività, che notiamo il lascito più produttivo e più ricco per tentare un’ontologia del presente. È quanto evidenzia Martina Tazzioli, che considera in particolare il concetto di “interruzione” come sintomo ed evento di quelle forme di soggettivazione, antiistituzionali, marginali e della mobilità globale, ieri delimitate dai confini dello stato-nazione e su cui si esercitano istituzioni disciplinari (il manicomio, la prigione, la scuola, la clinica), e oggi estese oltre i confini nazionali e divenute soggetto di “politica mondiale” per dirla con Benjamin; cioè soggettivazioni che sono indicatori storici di una prassi di disidentificazione, di rotture e sovversioni, rivolte e insurrezioni che disegnano un orizzonte affatto diverso rispetto a quello delle moderne rivoluzioni. In questo passaggio, puntualmente registrato da Foucault ne La societè punitive, sono in gioco il diritto e i rapporti tra diritto e non diritto, in cui scopriamo il vuoto della sovranità sia come realtà che come concetto della filosofia politica, laddove lo Stato non totalizza più le funzioni del potere, ma delocalizza il monopolio della violenza in rapporti di forza in cui si organizza e si disorganizza continuamente il governo dei viventi. Se dunque la genealogia delle discontinuità storiche e delle rotture epistemologiche ci presenta un panorama dei rapporti sociali assai distante da quello proposto dalla sociologia e dalla teoria 15 Foucault def.indd 15 06/02/15 17:36 politica “mainstream”, – ciò che troviamo al fondo delle lacerazioni e delle aberrazioni di cui è fatta la modernità, non è solo il frutto maledetto della produttività e dell’azione di apparati di cattura che operano la continua imposizione di modelli sociali su una popolazione soggetta; ma una forza “passiva” di soggettivazione che accompagna, insidia e limita il potere sovrano. Tuttavia, a differenza del kathècon, evocato da Carl Schmitt quale forza storica (il cristianesimo, ma anche le masse, il popolo, la classe in una teoria politica sovranista) che contiene una potere per definizione in stato d’eccezione, per Foucault interruzioni, discontinuità e rotture sono da attribuire a quel divenire soggetto in cui si intrecciano permanenza e variazione, volontà di sapere e disidentificazione, costituzione individuale e transindividuale, che ripartiscono raggruppamenti collettivi e forze di costrizione, forme di resistenza e pratiche di omologazione, regimi discorsivi e forme di organizzazione. Come infatti ricorda qui Daniele Lorenzini essere soggetti, nel pensiero di Foucault non significa essere assegnati una volta per tutte alla subordinazione, nè d’altra parte significa rivendicare l’identità individuale in cui le etiche normative riconoscono un’intenzionalità responsabile; bensì costituire, nell’instabile libertà di relazioni molteplici, piani di individuazione in cui la scelta della soggezione varia in base alla capacità di resistenza di volta in volta disponibile. Essere soggetti significa essere legati in un certo modo alla verità, accettare un certo limite all’essere governati, aderire ad un certo modo di essere pensati, in cui la prassi realizza una volontà che non è possesso dell’individuo singolo. È quanto Foucault richiama nella grande narrazione dell’etica precristiana, sia in relazione alle “tecnologie del sè” che ai successivi mutamenti della pratica parresiastica, nella confessione e nella direzione 16 Foucault def.indd 16 06/02/15 17:36 spirituale. Come scrive Laura Cremonesi, il cambiamento delle forme di veridizione in relazione all’affermarsi del concetto moderno di “coscienza”, determina uno spostamento sostanziale dell’etica, dal luogo proprio che aveva per gli stoici e i cinici, come esercizio “spirituale” di “rafforzamento del sè”, in ordine ad una askesis mondana, al piano della prestazione metafisica, da cui deriveranno il “cogito”, la tradizione del soggetto come individuo e l’espressione della morale come campo effetto di interiorizzazione di valori. Ciò che dunque va recuperato, a fronte della genealogia della morale, è la nozione di etica come “politica di sè stessi” e tèkne tou biou, in cui il fondo preindividuale in cui si generano i processi di individuazione, realizza il soggetto come variazione singolare, fascio di forze contingenti, esteriorità, di cui la profondità “interiore” è effetto illusorio. Il passaggio alla modernità, che ha datto luogo all’umano come “allotropo empirico-trascendentale”, autore della rappresentazione di sè e del mondo, laddove egli si dissolve nell’emergenza della linguisticità, deve dunque essere rubricata come epoca del soggetto; ma altrettanto fortemente dev’esserne dichiarata la dissoluzione in ciò che eccede, non da oggi, l’individuale. In questa disposizione del pensiero constatiamo la distanza dalla cosiddetta attualità del presente, laddove la soggettività pronuncia sè stessa nell’unica forma dell’individuale a cui è spinta da forze che si dichiarano impersonali tanto quanto private. Un presente attuale che non cessa di vivere su stesso, senza storia, ma superstizioso e incolto, nella misura in cui le tecnologie potrebbero liberarlo dal mito dell’appartenenza e dell’identità, e per quanto le relazioni affettive potrebbero liberarlo dal lavoro per donare alle specie che verranno l’habitat dell’animale. In questa soglia in cui poter narrare l’oltre-umano, 17 Foucault def.indd 17 06/02/15 17:36 purtroppo ancora quasi indicibile, rileggiamo il pensiero di Foucault nell’articolazione progressiva delle tematizzazioni in cui la finitudine è illuminata dal rovescio dell’identificazione: Sade, Mallarmè, Kafka, Joyce, Bataille, Pound, Roussell, Borges, Blanchot, nel pensiero del fuori svanisce ogni comunità e, ancora con Nietzsche, si annuncia una filosofia del comune come pensiero dell’avvenire. Le implicazioni di questa pratica del pensiero si estendono al di qua e al di là dell’asserzione della fine della storia, quando l’uomo viene superato nel Ritorno, come Kojève aveva con lucidità ipotizzato. Al di qua, perchè l’animale, la fine del lavoro, l’arte e il gioco, trovano conferma nell’evoluzione; al di là, perchè la figura del divenire è l’animale, che determina la soggettività non più nella separazione di ragione e sensibilità, intelletto e passioni, bensì in un’estetica dell’esistenza in cui la non azione è ludica, il rovescio dell’opera è arte, e l’umano trova soluzione: cioè in cui consiste l’apertura alla molteplicità di genere che constatiamo nel divenire donna, trans, altro... Realizzare un’estetica dell’esistenza per Foucault significa infatti adottare la pratica zen dell’esercizio, per cogliere il tutto di una forma di vita nel distacco che è appartenenza profonda al mondo, infinitezza manifesta collocata nella finitudine. Il gesto dell’artista, come quello del filosofo, del genealogista, dell’archeologo del sapere, si realizzano nell’unicità di tratto di una postura che sfonda le continuità spazio-temporali e si sottrae alla dialettica lacerante di immanenza e trascendenza. È la postura delle arti marziali, è il tiro con l’arco, è il gesto decisivo che annulla freccia e bersaglio, compiuto nell’immediatezza in cui la realtà offre per un istante l’occasione di libertà, l’interruzione dell’obbligo, la fuoriuscita dalla norma, l’accesso all’infinito, la coincidenza di vita e forma. In questo senso è da cogliere la differenza su cui Fou18 Foucault def.indd 18 06/02/15 17:36 cault insiste, specie negli ultimi interventi, tra processi di liberazione e spazi di libertà, ove la persistenza di ciò che si conquista, si occupa, si mantiene, è più importante della via seguita per realizzarla. Perchè all’imprevedibilità di una controcondotta deve essere inerente l’esecuzione continua di una pratica, in modo che lo spazio aperto dal gesto dell’artista, del poeta, del recluso, dell’infame o del rivoltoso non si chiudano a tempo debito, cioè in un tempo del debito, della responsabilità, del lavoro e della subordinazione. In questa dinamica bisogna accettare il rischio di divenire altro: il pericolo della scrittura, del fuorilegge, del nomade, del trans, del fuori tempo di coloro che, dicendo il vero, mettono a rischio la vita. Che rischiano contro il presente, “contro il giorno”, come nelle imprese di scrittura di Thomas Pinchon; o nelle apoteosi del disagio di David Foster Wallace; o nella contagiosa analitica dell’anomalo nei film di Steven Soderberg; o nella recente serie tv Breaking Bad. In questo pericolo consiste l’essere inattuale. Il presente indica nel creativo, nel tecnico, nel formatore di anime (terapeuta, docente o consulente) i profili dell’ortopedia del desiderio, laddove Foucault ha indicato nel piacere e nella genealogia del suo uso le possibilità di liberazione, cioè anzitutto di autonomia nei luoghi del controllo quotidiano. Ma in questa differenza di profili non bisogna notare la distanza tra il presente e l’ “epoca di Foucault”, per assolutizzarla, se, come ha ricordato Giorgio Agamben, nell’inattuale consiste il contemporaneo, cioè lo scarto tra ciò che accade e un altro tempo in cui vive il presente. In questa accezione è implicito un giudizio sul tempo attuale, ed è operante una presa di distanza dai dispositivi dell’attualità (comunicativi, informativi, direttivi). È lo spazio di una controcondotta, nella presenza, nell’unico tempo di una vita, di temporalità non umane. 19 Foucault def.indd 19 06/02/15 17:36 Dunque non si tratta nè di abdicare al presente vivendo “come se” esso non trascorresse, come se non sia già da sempre passato; nè di memorizzare un passato in cui si rimuove la storia singolare – ma di vivere nella naturale contemporaneità del ritorno. È in questo senso che cogliamo una possibilità di libertà, cioè di trasformazione. Nell’essere inattuali scorgiamo movimenti di sottrazione, pratiche di “antiproduzione”, soglie di anonimato; laddove scegliamo lo sguardo dell’esteriorità, inaugurato da Foucault ne L’archeologia del sapere. Viviamo dunque di rotture, non di “progetti di vita”; di discontinuità non di un’esistenza svolta su un unico piano d’azione. Abbiamo relazioni e siamo affetti da una storia che opera salti e interruzioni, non progresso; vogliamo essere autori privi di identità, soggetti senza “io”, ed essere pensati in un logos che eccede il discorso. Perchè, in quanto moderni, siamo partecipi di un presente in cui “già da sempre” e “proprio ora” diveniamo ciò che siamo. Gennaio 2015 Foucault def.indd 20 06/02/15 17:36 PRIMA Foucault def.indd 21 PARTE 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 22 06/02/15 17:36 C URA DI SÈ E ASKESIS NELL ’ ULTIMO FOUCAULT: SULLE POSSIBILITÀ DI UN ’ ETICA ATTUALE Laura Cremonesi Il presente lavoro si propone di discutere alcuni punti dell’interpretazione foucaultiana della cura di sè antica, sviluppata dal filosofo francese in particolar modo nei primi anni Ottanta, per porli a confronto con quella che Foucault stesso aveva definito, pochi anni prima, come l’“ermeneutica del soggetto” cristiana. Lo scopo è quello di mettere in luce le possibilità di riattualizzare alcuni elementi della cura di sè antica e di verificare quanto Foucault stesso avesse scorto in essa alcuni punti dotati di un certo interesse per la definizione del compito attuale del pensiero filosofico e critico. L’ipotesi è che il mondo antico non svolga, all’interno dell’“ontologia storica di noi stessi”, solo il ruolo di punto di partenza per una genealogia della soggettività occidentale, ma che, grazie al concetto di askesis, tratto da Foucault dal lavoro di Pierre Hadot, esso possa offrire degli strumenti per porre in atto delle pratiche di resistenza nei confronti delle attuali modalità di soggettivazione e dei loro effetti assoggettanti. Ne L’ermeneutica del soggetto,1 Foucault offre una definizione molto chiara di ciò che, a suo avviso, nell’antichità greca e romana, può essere definito come epimeleia heautou, come cura di sè [souci de soi]. Il termine può essere infatti riferito sia a un ambito specifico di pratiche, sia ad un atteggiamento «verso di sè, verso gli altri, verso il mondo», 2 strettamente correlato alla messa in opera di queste pratiche. La composizione di questo 23 Foucault def.indd 23 06/02/15 17:36 ambito di pratiche è nota: si tratta di tutti quei consigli e di tutti quegli esercizi veri e propri di cui è possibile trovare tracce e testimonianze nei testi medici, filosofici e morali, destinati a far operare una conversione verso una vita filosofica. Nel loro insieme, esse compongono una askesis, un esercizio permanente per raggiungere e mantenere l’atteggiamento e la prospettiva consoni alla vita filosofica. Secondo la lettura di Foucault, il pensiero antico (in particolar modo lo stoicismo e l’epicureismo) sarebbe giunto ad affermare la necessità di questa askesis a partire dalla constatazione di una costitutiva fragilità3 dell’uomo che, per sua originaria condizione, vivrebbe in uno stato naturale di vulnerabilità nei confronti degli eventi e delle rappresentazioni esterne. In questo stato di apertura all’esterno, l’uomo si troverebbe in balia di ogni genere di passioni, desideri e timori, che gli impedirebbero un libero esercizio del suo volere. La cura di sè si configura quindi come un percorso di uscita da questo stato, reso possibile dalla pratica quotidiana di esercizi volti a un riorientamento della volontà, che perviene gradualmente a fissarsi su un nuovo obiettivo: la fortificazione del sè e la padronanza nei confronti degli eventi esteriori. La cura di sè antica si delinea quindi sullo sfondo di queste immagini centrate sulla fragilità, sulla dispersione, sulla metafora della nave in balia delle onde, e sulla necessità della fortificazione, della concentrazione su di sè, dell’approdo al porto sicuro. La cura di sè porta quindi ad assumere la relazione di sè a sè come obiettivo primario verso cui polarizzare il volere. Appare quindi più chiaramente la ragione per cui la cura di sè non consiste solo in una serie di esercizi, ma anche in un atteggiamento: essa richiede infatti anche la disponibilità a modificare se stessi, a ricreare e a rielaborare la propria relazione a sè, agli altri e al mondo. È quindi possibile 24 Foucault def.indd 24 06/02/15 17:36 definire la cura di sè come la costruzione di uno specifico rapporto del soggetto a se stesso, che avviene grazie a una volontà e ad un atteggiamento preliminari di modificare il proprio modo di essere, e ad una serie di esercizi e pratiche, suggeriti e diffusi dal pensiero filosofico, medico e morale. Lo scopo della cura di sè è dunque quello di conferire una forma al modo di essere del soggetto. Da questo punto di vista, essa è una determinata tecnologia del sè, che si è sviluppata in un arco cronologico molto preciso, le cui soglie sono situate da Foucault tra la Grecia classica ed i primi secoli della nostra era. Come è noto, questa interpretazione di Foucault è fortemente debitrice ai lavori di Pierre Hadot che, alla fine degli anni Settanta, ha per primo messo in luce l’esistenza di queste pratiche, grazie al concetto di “esercizi spirituali”.4 Il punto di partenza di Pierre Hadot è costituito da una preoccupazione di natura storica e filologica: la sua esigenza è quella di giungere a una maggior comprensione dei testi filosofici antichi, che riesca a rendere pienamente conto della loro natura. Molti testi infatti, se letti come esposizioni sistematiche di dottrine, ci appaiono come incoerenti, contraddittori, o mal strutturati. I testi filosofici antichi richiedono quindi una diversa lettura, che tenga conto del ruolo e della funzione che essi effettivamente possedevano nel mondo antico e nel contesto in cui sono emersi. Hadot ipotizza quindi che essi non costituissero dei trattati filosofici, ma che fossero invece testimoni di un modo specifico di intendere la filosofia, come una pratica per apprendere a percorre un determinato itinerario di vita e di pensiero, come un esercizio per modificare il proprio modo di essere, la propria visione del mondo ed il modo di condurre la propria vita. Per questo, secondo Hadot, nella sua vocazione originaria, la filosofia non mirava in modo primario alla 25 Foucault def.indd 25 06/02/15 17:36 costruzione di sistemi, ma era innanzitutto un modo di vita, un esercizio di modificazione di se stessi. I testi filosofici sono dunque frammenti e testimonianze degli “esercizi spirituali”, e a questa loro natura è dovuta quelli che, al nostro sguardo anacronistico, che cerca in essi un’esposizione sistematica di dottrine filosofiche, appaiono come incoerenze strutturali e contraddittorietà. Foucault accoglie quindi il lavoro di Hadot e la sua sorprendente capacità di farci leggere altrimenti i testi antichi, per ritrovare nel mondo antico tracce di un’askesis modificatrice del sè. Nel leggerle, però, come “tecnologie del sè”, Foucault assegna a queste pratiche un ruolo diverso da quello attribuito loro da Hadot. Per quest’ultimo, infatti, gli esercizi spirituali hanno lo scopo primario di far raggiungere un livello più autentico e universale del sè, che per gli Stoici, ad esempio, è costituito dalla ragione universale. In gioco, vi è innanzitutto un innalzamento del sè, che tenta di superare la propria quotidianità per far assumere, in rari momenti, al proprio sguardo una prospettiva cosmica. Più che una creazione di sè, Hadot pensa a uno sforzo di superamento della «parzialità dell’io individuale e passionale» verso «l’universalità dell’io razionale».5 Questa lettura appare però chiaramente incompatibile con la prospettiva foucaultiana, per cui un lavoro sul sè volto al raggiungimento di una maggiore autenticità non è praticabile, come Foucault stesso sottolinea in maniera estremamente efficace, in riferimento a Sartre, dove ricerca dell’autenticità e lavoro di creazione si trovano in evidente contrapposizione: Nelle sue analisi di Baudelaire, di Flaubert, ecc., è interessante osservare come Sartre riconduca il lavoro di creazione a una certa relazione che l’autore ha con se stesso e che può avere 26 Foucault def.indd 26 06/02/15 17:36 la forma dell’autenticità o dell’inautenticità. Io vorrei sostenere esattamente il contrario: piuttosto che attribuire l’attività creatrice al genere di relazione che un individuo ha con se stesso, dovremmo ricondurre a un’attività creatrice il genere di relazione che ha con se stesso.6 Se Foucault riconosce quindi, sulla scia di Hadot, alle pratiche della cura di sè una capacità di agire sul modo di essere del sè, quest’azione si configurerà come una creazione di una forma inedita, come un vero e proprio lavoro di soggettivazione. Proprio per indicare chiaramente il loro campo di azione – la forma del rapporto del sè con il sè – Foucault si riferisce a queste pratiche non come a “esercizi spirituali”, ma come a “tecniche di sè”. Le implicazioni storiche e filosofiche di questa visione sono evidenti. Foucault dà infatti luogo qui a una vera e propria genealogia del soggetto moderno, cioè ad una ricerca storica sulle tecniche di costituzione della soggettività. In questo modo, egli sembra dare una concretezza storica alle sue teorie sulla natura del soggetto, cui aveva sempre negato consistenza essenziale o trascendentale, leggendolo come una funzione ogni volta diversamente assegnata dalle diverse configurazioni epistemiche, come un effetto di figure storiche di potere e di sapere. La sua analisi della cura di sè è quindi parte di una storia effettiva dei modi di costituzione della soggettività e dei suoi rapporti con le relazioni di potere e di sapere, in cui la soggettività è chiaramente letta come una forma, un rapporto di sè a sè, sempre modificato dalle circostanze storiche. Se la soggettività non consiste che in un rapporto storicamente dato, qual è, secondo Foucault, la forma che essa assume nell’antichità e quali rapporti intrattiene con la verità e con le relazioni di potere? La risposta a questa domanda può essere di qualche utilità per capire se questa 27 Foucault def.indd 27 06/02/15 17:36 configurazione, storicamente determinata, può essere di qualche interesse per noi, oggi. Uno degli aspetti che maggiormente differenziano la soggettività antica dalle successive forme di soggettivazione è infatti dato, per Foucault, dal modo in cui essa entra in relazione con la verità – più esattamente, con le verità che, nel mondo antico, erano ritenute pertinenti per il lavoro di soggettivazione. L’ermeneutica del soggetto si apre proprio con alcune considerazioni, rapide e dense, sulle differenze tra antichità e modernità – una modernità qui inaugurata da Cartesio – a proposito del modo di pensare le condizioni di «accesso al vero» da parte del soggetto.7 Al mondo antico apparterrebbe un modo di concettualizzare questo legame che può essere definito come «spiritualità», per cui è necessario «che il soggetto si modifichi, si trasformi, cambi posizione, divenga in una certa misura altro da sè, per avere diritto di accedere alla verità. La verità è concessa al soggetto solo alla condizione che venga messo in gioco l’essere stesso del soggetto, poichè, come egli è, non è capace di verità».8 Il pensiero antico postula quindi un’incapacità del soggetto in quanto tale di accedere al vero, senza una previa modificazione di sè, che può essere realizzata grazie a delle pratiche di sè. Nella loro opera di soggettivazione, le tecniche della cura di sè coinvolgono quindi direttamente la questione della verità: è grazie ad esse che il soggetto può accedere al vero e legarsi ad esso. Le immagini impiegate dal pensiero antico per descrivere il rapporto tra soggettività e verità appartengono quindi all’ambito della cura di sè, marcato dai temi della fragilità e della fortificazione. La cura di sè – in particolare quella stoica – è infatti imperniata su tutto un lessico che rinvia all’idea di costruire il sè come una “cittadella” fortificata9, inaccessibile agli eventi esterni ed alle passioni 28 Foucault def.indd 28 06/02/15 17:36 che questi possono suscitare, in cui gli individui possono trovare una serenità inalterabile, perchè dipendente solo dal loro volere. La verità è quindi pensata come parte di questa “fortificazione”, come un’«equipaggiamento (paraskeue)»10 che permette di mantenere la padronanza di sè in ogni circostanza. Questo equipaggiamento consiste in un insieme di conoscenze filosofiche, condensate in alcune formule semplici, che avrebbero aiutato gli individui a costituire e a mantenere la relazione a se stessi caratterizzata dall’indipendenza. Nel caso dello stoicismo, ad esempio, l’intero sistema filosofico – logica, fisica ed etica – si sarebbe condensato nel principio secondo cui occorre saper distinguer tra quel che dipende dalla volontà e dalla libertà dell’uomo e quello che invece ne è indipendente, per dare valore solo al primo ambito, quello dell’azione morale. Gli esercizi della cura di sè, per Foucault, sono dunque volti ad un assimilazione di questo principio, in modo da poterlo applicare a tutte le circostanze dell’esistenza. Il principio va dunque meditato, messo alla prova con esercizi in cui si immaginano le situazioni più difficili, e la sua assimilazione va verificata grazie all’esame di coscienza. Questa askesis va però distinta dalle operazioni di un semplice apprendimento: essa mira infatti a quella che Foucault definisce come un’“assimilazione”. Essa non consisterebbe infatti in una memorizzazione dei princìpi filosofici di base, che permetterebbe di richiamarli alla memoria nelle circostanze che più mettono alla prova la padronanza di sè, ma opererebbe infatti sui logoi filosofici nella loro esistenza materiale, effettivamente enunciati, ascoltati e letti, per farli divenire una parte integrante del soggetto. La memoria può svolgere un ruolo preliminare, ma lo 29 Foucault def.indd 29 06/02/15 17:36 scopo dell’askesis è quello di realizzare una coincidenza tra i logoi ed il soggetto etico: In realtà, è necessario che ciascuno abbia tale dotazione [di discorsi] a portata di mano, l’abbia sottomano, non proprio nella forma di una memoria destinata a celebrare, a far risuonare di nuovo la sentenza […]. Sostenere che è necessario averla sottomano, significa che occorre che sia penetrata, in un certo senso, fin dentro i muscoli. Occorre averne un possesso tale, da poterla riattualizzare immediatamente, e senza indugi, in modo automatico. […] E proprio affinchè possa venire ad integrarsi all’individuo e governare il suo agire, arrivando così a far parte, in un certo senso, dei suoi muscoli e dei suoi nervi, sarà prima necessario, a titolo di preparazione nell’askesis, fare tutti gli esercizi di rammemorazione attraverso i quali verranno effettivamente rammentate le sentenze e le proposizioni, verranno riattualizzati i logoi. […] Ma allorchè l’evento si verificherà, è necessario che, in quel momento, a esser diventato il soggetto stesso dell’azione sia il logos, e che il soggetto dell’azione sia diventato a sua volta logos, in modo da far sì che, senza neppur dover di nuovo far riecheggiare la frase, e senza neppure doverla pronunciare, agisca come deve agire.11 Grazie agli esercizi della cura di sè, i logoi divengono delle vere e proprie matrici d’azione e regolano in modo diretto la condotta dell’individuo, come «i suoi muscoli e i suoi nervi» regolano il suo movimento. Essi strutturano quindi la relazione del soggetto a se stesso, creandola e mantenendola sul modello della fortificazione, dell’indipendenza, e al tempo stesso regolano in modo automatico il modo di agire del soggetto. La verità con cui opera la cura di sè consiste dunque in logoi, intesi 30 Foucault def.indd 30 06/02/15 17:36 nella loro materialità e impiegati in funzione etopoietica: essi sono «delle frasi, degli elementi di discorso, dotati di razionalità, di una razionalità che dice il vero e, insieme, prescrive quello che si deve fare».12 Se i logoi pervengono effettivamente a regolare il modo di condursi dell’individuo che stia mettendo in opera il lavoro della cura di sè, la sua condotta apparirà dunque come il luogo in cui sarà possibile percepire l’azione di questi princìpi: il modo di vivere, il bios, diverrà dunque lo spazio di visibilità dei logoi e varrà a dimostrare l’esistenza di un efficace lavoro di assimilazione del vero. La cura di sè deve dunque essere intesa come una modalità storica di una particolare tecnologia di sè, che implica uno specifico rapporto tra soggettività e verità. Per Foucault, questa modalità di soggettivazione si modifica nei primi secoli dopo Cristo, quando si realizzerà una nuova configurazione di rapporti tra soggetto, verità e relazioni di potere. Per comprendere in che modo l’askesis antica può ancora oggi svolgere un qualche ruolo attuale, può essere utile soffermarsi brevemente su questa frattura storica messa in luce da Foucault. Nell’ambito della ricerca foucaultiana, l’analisi delle forme di soggettivazione cristiana precede cronologicamente lo studio del mondo antico, situandosi in particolar modo tra il 1978 ed il 1981. In quegli anni, Foucault si dedica infatti a una storia dettagliata della confessione nel cristianesimo primitivo, che le recenti pubblicazioni dei Corsi al Collège de France e di altri cicli di lezioni di quegli anni hanno ora reso pienamente disponibile.13 Anche il filo conduttore dell’analisi foucaultiana del cristianesimo è costituito dalla questione delle tecniche di sè. L’ipotesi di Foucault, ancora una volta fortemente debitrice al lavoro di Pierre Hadot, 14 è quella secondo cui 31 Foucault def.indd 31 06/02/15 17:36 certe pratiche appartenenti alla cura di sè siano traslate all’interno del mondo cristiano, inserendosi però in un quadro profondamente mutato di rapporti tra soggettività, verità e relazioni di potere; ad esse, se ne sarebbero poi aggiunte altre specificamente cristiane, che avrebbero contribuito a creare quella che Foucault definisce come un’“ermeneutica del soggetto”. L’ermeneutica cristiana si differenzia quindi dalla cura di sè antica in primo luogo per il fatto di richiedere – e di produrre – delle relazioni e degli effetti di potere profondamente diversi da quelli correlati alla cura di sè. Se è infatti vero che, secondo Foucault, la cura di sè non può realizzarsi se non all’interno di un rapporto di direzione di coscienza, occorre considerare che la relazione di potere messa in opera dalla direzione antica non è particolarmente stringente. Si tratta infatti di una direzione provvisoria, finalizzata primariamente al conseguimento dell’autonomia da parte del diretto e destinata a indebolirsi, se non a cessare del tutto, nel momento in cui la costruzione del rapporto a sè è sufficientemente progredita, quando cioè il diretto inizia a conquistare una certa padronanza di sè. L’autonomia del soggetto è dunque un punto centrale della cura di sè antica: la costruzione del rapporto a sè si fa, dopo un primo momento di direzione, in modo autonomo, solo in riferimento ad una tradizione filosofica. Secondo Foucault, questo aspetto si modifica profondamente nel mondo cristiano. Seguendo infatti alcune analisi di Peter Brown, 15 egli individua un cambiamento importante intorno al V secolo, quando si assiste alla nascita delle prime comunità cenobitiche, che mettono fine alle esperienze di ascetismo individuale. In queste comunità si sarebbe sperimentato un modo di vita, di cui abbiamo testimonianza ad esempio nell’opera di Cassiano, la cui importanza appare a Foucault capitale per quanto riguarda 32 Foucault def.indd 32 06/02/15 17:36 le modificazioni delle tecniche di sè. La vita monastica è infatti dominata da una direzione intensificata al punto di divenire fine a se stessa e da condurre il diretto verso uno stato di obbedienza permanente. Direzione ed obbedienza cessano di essere mezzi per condurre all’autonomia, per divenire esse stesse tecniche di soggettivazione, che danno però luogo ad una soggettivazione che Foucault descrive come completamente assoggettata, e in cui la volontà svolge un ruolo talmente ridotto da produrre una forma di relazione a sè che è stata giustamente definita come una «soggettivazione per distruzione».16 In correlazione con questa forma di direzione, emerge una nuova relazione tra soggetto e verità, in cui la verità pertinente su cui operare non è più costituita da princìpi filosofici da assimilare, ma è – accanto a quella della fede – la verità interiore degli individui. La direzione cristiana si situa infatti in un rapporto di stretta circolarità con la pratica della confessione dei peccati, al tempo stesso effetto e condizione dell’obbedienza esaustiva richiesta dalla confessione. Con il cristianesimo delle comunità monastiche, negli individui inizia dunque a scavarsi uno spazio interiore, abitato da forze oscure, che richiede un’ermeneutica continua del sè, esperienza inedita e profondamente differente rispetto alla cura di sè antica. È quindi evidente come la frattura che divide le due esperienze, quella antica e quella cristiana sia per Foucault fortemente marcata. Il mondo antico aveva creato una figura caratterizzata dalla ricerca dell’autonomia del soggetto, capace di costruire la propria relazione a sè grazie a una libera scelta di dare una certa forma al proprio modo di vivere, e dove la conoscenza del sè e la ricerca di movimenti involontari o nascosti all’interno del sè non era in gioco. Il cristianesimo sostituisce a questa esperienza una nuova figura, in cui l’ermeneutica del sè svolge un ruolo 33 Foucault def.indd 33 06/02/15 17:36 fondamentale nell’assicurare una costituzione assoggettata del sè. Se mondo antico e primo cristianesimo costituiscono, agli occhi di Foucault, due esperienze profondamente diverse e separate da una netta frattura, è nota invece la continuità che egli istituisce tra l’ermeneutica del sè e la nostra modernità. Come appare chiaramente, ad esempio, in Sicurezza, territorio, popolazione, la configurazione che emerge all’interno delle comunità cenobitiche è per Foucault in evidente rapporto genealogico con la nostra esperienza attuale. È in essa, infatti, che viene sperimentata per la prima volta la confessione, tecnica dalla storia lunga e complessa, ma che rappresenta ancora oggi un elemento centrale del dispositivo di sessualità e delle pratiche mediche, psichiatriche e giudiziarie. Se quindi la continuità tra cristianesimo e modernità appare ben evidente in tutta l’analisi foucaultiana, è lecito chiedersi quale ruolo può svolgere, oggi, quell’esperienza antica centrata intorno a un’askesis, a una creazione attenta e faticosa di sè, così importante per la formazione della soggettività antica. Lo studio foucaultiano del mondo antico ha indubbiamente una funzione genealogica e critica: esso tenta di disegnare, con la maggior attenzione possibile, la soglia che separa la cura di sè e l’ermeneutica, con l’effetto di mostrare la storicità e la contingenza di queste esperienze, e quindi anche della nostra attuale relazione a noi stessi. Si tratta quindi di capitolo importante di quell’«ontologia storica» che, per Foucault, rappresenta il compito principale del suo lavoro storico e filosofico, e che è volta a mettere in luce la “fragilità” del nostro essere, le sue possibilità di essere altrimenti, di disfarsi e di ricrearsi con un altro aspetto. La genealogia della soggettività appartiene quindi a quell’insieme di ricerche, 34 Foucault def.indd 34 06/02/15 17:36 di atteggiamenti e di sguardi che Foucault definisce come «critica»17, insieme che possiede una lunga tradizione – filosofica e non – in cui Foucault stesso afferma di volersi situare. Ma non è solo in quanto oggetto di un lavoro genealogico, in quanto primo capitolo di un’«ontologia storica di noi stessi» che il mondo antico possiede rilievo per un’impresa critica. Per molti aspetti, l’esperienza antica sembra essere per Foucault qualcosa di più di una semplice immagine di quel che non siamo più, di una semplice figura storica che precede il nostro essere attuale, e che non più quindi esserci di alcuna utilità, se non dal punto di vista genealogico-critico. In altri termini, il mondo antico può essere, per noi, oggi, un serbatoio di tecniche, pratiche, prospettive ed esercizi, da mettere in gioco contro contro il nostro «noi» odierno? È possibile una riattualizzazione, una rielaborazione – indubbiamente delicata e complessa – di alcuni elementi della cura di sè? Questa possibile riattualizzazione potrebbe seguire due linee differenti. La prima riguarderebbe l’ambito stesso delle tecniche di sè. Per Foucault, infatti, l’esperienza antica costituisce senza dubbio un contesto privilegiato per notare l’esistenza delle tecniche di sè e per analizzarle. Come aveva già notato Hadot, nella pratica e nel pensiero antichi gli esercizi di sè possedevano un ruolo estremamente rilevante, tale da arrivare a caratterizzare l’intero ambito della filosofia come modo di vivere e come pratica di sè. Le pratiche antiche, però, costituiscono un fenomeno di particolare interesse soprattutto perchè si sviluppano come pratiche autonome, inserite in un rapporto di potere limitato, e perchè sono capaci di dare luogo a un’etica non normativa, basata su un’autonoma creazione di sè da parte del soggetto, e da cui è assente ogni traccia di conoscenza 35 Foucault def.indd 35 06/02/15 17:36 di sè, di ermeneutica e di confessione. È però difficile credere che Foucault potesse essere interessato alla forma specifica della relazione a sè realizzata dall’epimeleia heautou – una relazione a sè centrata sulla fortificazione del sè, sul timore degli eventi, sull’idea di un sè fragile, naturalmente aperto alle passioni e alle rappresentazioni esterne, da rinforzare e costruire come una cittadella fortificata. Allo stesso modo, difficilmente avrebbe ritenuto utile per l’oggi la modalità di legame tra verità e soggettività realizzata dalla cura di sè, e in particolar modo da quella di matrice stoica ed epicurea – il caso del cinismo meriterebbe infatti delle considerazioni di diversa natura18. È quindi su un’altra linea di sviluppo che si pone la possibile riattualizzazione della cura di sè: è l’idea stessa della creazione autonoma della relazione a sè che, per Foucault, è possibile in qualche modo recuperare e rielaborare. L’idea che sia possibile dare luogo a una modificazione della relazione a se stessi, attraverso pratiche ed esercizi realizzabili in modo autonomo, può infatti costituire un’interessante pratica di resistenza, nei confronti degli effetti di potere assoggettanti, che mirano, cioè, a dare una forma “assoggettata” alla relazione a sè. La dimensione delle tecniche di sè – quale è apparsa in modo chiaro a Foucault nel suo studio del mondo antico – può quindi in effetti offrire degli strumenti per tentare di elaborare una risposta agli effetti di soggettivazione degli attuali dispositivi di potere e verità, grazie alla loro capacità di assumere la forma della relazione a sè come ambito aperto ad un lavoro di rielaborazione e di creazione autonoma. Riattualizzare la cura di sè non significa, quindi, oggi, riproporre un modello appartenuto al nostro passato, ma considerare la realtà delle tecniche di sè, che nel mondo 36 Foucault def.indd 36 06/02/15 17:36 antico appaiono in un contesto fortemente caratterizzato dall’autonomia, come ambito per una possibile desoggettivazione e ri-soggettivazione, intese come resistenza agli effetti assoggettanti delle attuali forme di potere. Note M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), a cura di D. Defert, F. Ewald F. Gros e M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2003 (d’ora in avanti HS). 2 HS, pp. 12-13; cfr. anche, ivi, pp. 75-76. 3 In Seneca, ad esempio, questa fragilità è espressa dal concetto di stultitia, inteso come stato in cui ognuno si trova, ma da cui è possibile uscire. Secondo Foucault, per lo stoicismo «la stultitia rappresenta un tipo di volontà limitata, frammentaria e mutevole. Quel che invece caratterizza la condizione opposta alla stultitia è il fatto di volere liberamente, di volere assolutamente, di volere sempre». HS, p. 116. 4 P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, a cura di A.I. Davidson, Einaudi, Torino 2005. Della centralità della riflessione di Pierre Hadot per l’interpretazione foucaultiana dell antichità si è occupato in modo approfondito Arnold I. Davidson, in numerosi saggi dedicati ai due autori. Tra i suoi lavori più recenti su questo tema si segnalano: Foucault, le perfectionnisme et la tradition des exercices spirituels in S. Laugier (a cura di), La voix et la vertu. Variètès du perfectionnisme moral, Presses Universitaires de France, Paris 2010 e Imparare a leggere, imparare a vivere, in A.I. Davidson, F. Worms (a cura di), Pierre Hadot, l’insegnamento degli antichi, l’insegnamento dei moderni, ETS, Pisa 2012, pp. 13-17. Si veda inoltre P. Hadot, La filosofia come 1 37 Foucault def.indd 37 06/02/15 17:36 modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, Einaudi, Torino 2008, in particolare le pp. 163-193. 5 Ivi, p. 92. 6 M. Foucault, Sulla genealogia dell’etica. Compendio di un work in progress, in H.L. Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Analisi della verità e storia del presente, La casa Usher, Firenze 2010, p. 310. 7 Cfr. HS, pp. 16-21. Lezione del 6 gennaio. 8 HS, p. 17. 9 Cfr. HS, p. 75 e p. 287. Su questo tema, si veda ad esempio P. Hadot, La cittadella interiore. Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio, Vita e Pensiero, Milano 1996. 10 Cfr. HS, pp. 282-290. 11 Ivi, pp. 288-289. 12 Ivi, pp. 285-286. 13 Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), a cura di M. Bertani e P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2007; Sull’origine dell’ermeneutica del sè. Due conferenze al Dartmouth College, a cura di “mf/materiali foucaultiani”, Cronopio, Napoli 2012; Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio (1981), a cura di V. Zini, Einaudi, Torino 2013; Del governo dei viventi. Corso al Collège de France (1979-1980), a cura di D. Borca e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 2014. Sull’interpretazione foucaultiana del cristianesimo si veda in particolar modo Ph. Chevallier, Michel Foucault et le christianisme, ENS Èditions, Lyon 2011. 14 Cfr. ad esempio P. Hadot, Esercizi spirituali antichi e “filosofia” cristiana, in Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., pp. 69-86. 15 P. Brown, Genesi della tarda antichità, Einaudi, Torino 1983. 16 Cfr. B. Karsenti, La politica del “fuori”. una lettura dei Corsi di Foucault al Collège de France (1977-1979), in S. Chignola (a cura di), Governare la vita. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de France (1977-1979), Ombre Corte, Verona, p. 87. 17 Cfr. M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo? in Archivio III, 38 Foucault def.indd 38 06/02/15 17:36 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 217-232. 18 Per i contributi più recenti sulla lettura foucaultiana del cinismo si veda, ad esempio: F. Gros, Foucault e la verità cinica, in «Iride», XXV, n. 66, maggio-agosto 2012, pp. 289-298; J. Revel, Vita altra, attitudine critica, sperimentazione, in «Iride», XXV, n. 66, maggio-agosto 2012, pp. 317-327; M.O. Goulet-Cazè, Michel Foucault et sa vision du cynisme dans le Courage de la vèritè, in D. Lorenzini, A. Revel e A. Sforzini (a cura di), Michel Foucault: èthique et vèritè (1980-1984), Vrin, Paris 2013, pp. 105-124; J. Revel, Passeggiate, excursus e regimi di storicità, in S. Chignola e P. Cesaroni (a cura di), La forza del vero. Un seminario sui Corsi du Michel Foucault al Collège de France (1981-1984), Ombre Corte, Verona 2013. Si veda infine anche il mio testo: Askêsis, êthos, parrêsia: pour une gènèalogie de l’attitude critique, in Michel Foucault: èthique et vèritè (1980-1984), cit., pp. 127-138. 39 Foucault def.indd 39 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 40 06/02/15 17:36 RIFLESSIONI ETICA E POLITICA DI NOI STESSI . SU UN USO POSSIBILE DELL ’ ULTIMO FOUCAULT Daniele Lorenzini In questo articolo vorrei presentare alcune riflessioni intorno a un problema che considero fondamentale sollevare nel quadro attuale non solo della filosofia, ma della società contemporanea, e che le analisi dell’ultimo Foucault possono aiutarci a ripensare e a formulare in modo innovativo. Il problema è classico, o in ogni caso ha radici molto antiche. Che rapporto possiamo, o dovremmo, istituire tra etica e politica? È bene precisare immediatamente che non intendo affrontare tale questione dal punto di vista del governante: che tipo di qualità morali deve possedere un individuo per essere legittimato a governare, e perchè la sua azione di governo sia “buona” o “giusta”? Questa domanda, infatti, ha ormai da diversi secoli perso di senso, o in ogni caso le risposte possibili a questa domanda sono ormai prive di interesse filosofico. Ciò non significa, tuttavia, che il problema stesso del rapporto tra etica e politica sia privo di senso o di interesse: da questo punto di vista, al contrario, la tradizione dominante della moderna filosofia occidentale che ha tentato di istituire una separazione netta tra il campo della politica e quello dell’etica, o tra il dominio del pubblico e quello del privato, dovrebbe a mio avviso essere messa in discussione e, infine, rifiutata. Per farlo, e per capire come impostare in modo filosoficamente interessante la questione del rapporto tra etica e politica, mi servirò di alcuni strumenti foucaultiani, sostenendo innanzitutto che una delle “eredità” più importanti che l’o41 Foucault def.indd 41 06/02/15 17:36 pera di Foucault ci consegna è la possibilità di ridefinire radicalmente ciò che occorre intendere per “politica” e ciò che occorre intendere per “etica” e, di conseguenza, cosa significa fare filosofia politica o filosofia morale. Ridefinire la politica, ridefinire l’etica Primo punto, prima ridefinizione: cosa dobbiamo intendere per “politica”? Nei suoi studi degli anni Settanta sul potere disciplinare e sul bio-potere, Foucault mette radicalmente in discussione l’impostazione stessa della filosofia politica tradizionale, ripensando il potere come un campo o un reticolo di rapporti di forza, e la resistenza come ciò che gli è correlativo, il suo necessario vis-à-vis, in una perpetua dinamica di rilancio, contestazione, rafforzamento. Così facendo, Foucault denuncia sia il mito di un potere unico con la “P” maiuscola, proprietà di un individuo o di un gruppo di individui, e la cui funzione sarebbe solo repressiva; sia l’idea della resistenza nella forma della rivoluzione, il sogno di un luogo unico del “Gran Rifiuto”.1 Ogni relazione tra due o più individui può e dovrebbe essere concepita come un rapporto di potere, e dunque come il luogo di uno scontro possibile tra tecniche di dominio e pratiche di libertà; in questo senso, il campo, o l’oggetto, della filosofia politica si allarga considerevolmente: “politico” – in questo nuovo senso del termine – non è solo il rapporto tra i cittadini e il loro governo, ma anche il rapporto tra il medico e il paziente, tra lo psicanalista e il folle, tra l’insegnante e l’allievo, tra i genitori e i figli, tra due amanti. In tutti questi rapporti è in gioco, in modo esplicito o implicito, una certa dinamica di forze, un tentativo di agire reciprocamente l’uno sulla condotta dell’altro, e la possibilità di resistere a tale tentativo, di rovesciare la relazione, in un equilibrio costantemente, perpetuamente, 42 Foucault def.indd 42 06/02/15 17:36 essenzialmente «versatile». 2 Foucault estende dunque il campo della “politica” ad ogni relazione interpersonale: la politica, in questo senso, è coessenziale alla dimensione più ordinaria e quotidiana della nostra vita. Quando, nel 1978, Foucault elabora i concetti di “governo” e di “governamentalità”, 3 non fa altro in realtà che proseguire su questa stessa strada, precisando tuttavia – all’inizio in modo ancora confuso, ma via via sempre più consapevolmente – che “politico” non è solo ogni rapporto tra due o più individui; “politico” è anche il rapporto dell’individuo con sè stesso, il rapporto di sè con sè. Una prima elaborazione di questa idea si trova in Sicurezza, territorio, popolazione, dove la nozione di “condotta”, con il suo intrinseco carattere polisemantico (condurre qualcuno, lasciarsi condurre, condursi in maniera relativamente autonoma),4 apre a Foucault precisamente la possibilità di individuare il punto di snodo, il fulcro essenziale di questa nuova concezione della politica. Qual è l’obiettivo delle strategie governamentali? Condurre la condotta degli individui, ovvero strutturare in questo o quel modo il rapporto che l’individuo ha con se stesso. Una delle grandi intuizioni di Foucault – ma, naturalmente, non è il solo ad averla esplorata – è che il potere più efficace non sia quello che “domina” in modo dispotico, che reprime, che utilizza la forza bruta per ottenere i propri scopi. Un potere di questo tipo è senz’altro spaventoso, orribile, ma si rivela in fondo anche estremamente fragile, giacchè fonda la propria capacità di condurre la condotta degli individui su mezzi di coercizione esterni, estrinseci rispetto al modo in cui gli individui stessi aspirano a condursi. Un potere di questo tipo, dunque, susciterà necessariamente delle reazioni, delle rivolte, delle resistenze, e non appena abbasserà la guardia rischierà di essere rovesciato. La maniera più efficace di esercitare un potere con43 Foucault def.indd 43 06/02/15 17:36 siste invece nel fare in modo che siano gli individui stessi a volersi condurre in questo o quel modo; consiste cioè nel tentativo di strutturare la volontà degli individui e il loro rapporto con se stessi in modo tale che essi accettino e anzi desiderino essere condotti in questo o quel modo. È il principio basilare del potere pastorale che Foucault analizza in Sicurezza, territorio, popolazione, e che prende nuovamente in considerazione (pur se in una prospettiva diversa) nel corso al Collège de France del 1980, Du gouvernement des vivants, nel quale, parlando della direzione cristiana di coscienza, Foucault corregge in un punto, specifico ed estremamente significativo, le tesi sostenute nel 1978, e mostra chiaramente la centralità strategica della volontà individuale. Nel 1978, il rapporto tra il direttore di coscienza e il monaco era presentato, da Foucault, come un rapporto di obbedienza assoluta alla volontà dell’altro, un’obbedienza che richiedeva, da parte del diretto, la soppressione, l’elisione, della propria volontà.5 Una soggezione, una sottomissione pura e semplice, insomma. Nel 1980, al contrario, Foucault spiega – più coerentemente – che, nel rapporto di direzione, il diretto non deve rinunciare alla propria volontà, non deve sopprimerla o annullarla: la sua volontà resta intatta e completa. Egli, tuttavia, deve indirizzare perpetuamente e integralmente la propria volontà sulla volontà del direttore di coscienza, e quindi volere tutto ciò che vuole il proprio direttore. Voler non avere una volontà propria: volere non volere – ma volerlo. 6 In questa sottile differenza di formulazioni risiede tutta la differenza tra la pura soggezione o la semplice sottomissione, e ciò che merita di essere chiamato, in senso stretto, “assoggettamento”. L’assoggettamento è un processo che, allo stesso tempo, soggioga l’individuo e lo costituisce in quanto soggetto soggiogato – o meglio, soggetto assoggettato. È questo 44 Foucault def.indd 44 06/02/15 17:36 lo scopo principale del potere pastorale, e più in generale di tutti i poteri governamentali, che non si accontentano di obbligare gli individui a condursi in un certo modo, ma tentano di strutturare la loro soggettività (cioè il loro rapporto di sè con sè) in modo che essi vogliano condursi come le istanze governamentali suggeriscono loro. Tuttavia, fedele alla concezione della resistenza che aveva elaborato intorno alla metà degli anni settanta, e in particolare nel primo volume della Storia della sessualità, La volontà di sapere, sin dal 1978 Foucault precisa che il governo non si riduce a questo: gli individui hanno anche – o perlomeno, hanno il più delle volte – la possibilità di governarsi e di condursi in maniera relativamente autonoma, cioè di stabilire per se stessi regole e princìpi di comportamento che collidono con il modo in cui le istanze governamentali cercano di condurli. Così, accanto alla soggezione/sottomissione pura e semplice e all’assoggettamento, Foucault apre il vasto campo di ricerche archeologico-genealogiche sulla “soggettivazione”, che informeranno la maggior parte dei suoi lavori degli anni ottanta. Una simile operazione si accompagna al secondo punto che ho evocato, ovvero la ridefinizione dell’etica. Come noto, Foucault propone di ripensare l’etica come il rapporto di sè con sè – in maniera dunque relativamente autonoma e separata dalla morale intesa come codice di comportamento. L’etica ha a che fare, nella prospettiva foucaultiana, non tanto con leggi morali e regole di comportamento, o meglio, ha a che fare anche con ciò, ma solo nella misura in cui l’individuo utilizza tali leggi e regole per strutturare un rapporto definito con se stesso, ovvero per costituirsi come un soggetto morale. 7 In altri termini, l’etica ha a che fare con quelle che Foucault, a partire dall’autunno del 1980, chiama le “tecniche di sè”: accanto alla tecniche di produzione, alle tecniche di significazione 45 Foucault def.indd 45 06/02/15 17:36 e alle tecniche di dominio (o di potere), spiega Foucault nelle conferenze pronunciate a Berkeley e al Dartmouth College, e pubblicate in italiano con il titolo Sull’origine dell’ermeneutica del sè, in tutte le società sono anche presenti tecniche «che permettono agli individui di effettuare, con i propri mezzi [o con l’aiuto degli altri], un certo numero di operazioni sui propri corpi, sulle proprie anime, sui propri pensieri, sulla propria condotta; e questo in modo da trasformare se stessi, modificare se stessi, e raggiungere un certo stato di perfezione, di felicità, di purezza, di potere soprannaturale e così via».8 Si tratta, appunto, delle “tecniche di sè” – tecniche che, dunque, come le tecniche di potere, mirano a strutturare il rapporto di sè con sè degli individui, ma che, a differenza delle tecniche di potere (che agiscono assoggettando), innescano invece un processo di soggettivazione.9 Ridefinizione della politica, ridefinizione dell’etica. Queste due operazioni teoriche sono compiute da Foucault pressochè contemporaneamente, o in ogni caso vi è tra loro un legame strettissimo, essenziale. Perciò il “ritorno agli Antichi” di Foucault e il suo interesse per l’etica del sè non vanno interpretati alla luce di un presunto individualismo, narcisismo o dandismo, nè come una sostanziale retraite dall’impegno politico: essi non costituiscono un tentativo di smarcarsi o di prendere le distanze dalle proprie analisi degli anni settanta sul potere e sulla governamentalità, quanto al contrario un modo di prolungarle. In altri termini, le analisi dell’ultimo Foucault hanno una portata prettamente politica che occorre sempre tenere a mente: se Foucault si interessa all’etica, cioè alle forme di soggettivazione, al modo in cui gli individui hanno strutturato e possono strutturare il proprio rapporto con se stessi attraverso una serie di esercizi o di tecniche, è perchè questo rapporto – il rapporto di sè con sè – costituisce una 46 Foucault def.indd 46 06/02/15 17:36 posta in gioco politica di fondamentale importanza. Non a caso, in Sull’origine dell’ermeneutica del sè, Foucault propone una definizione di “governo” leggermente diversa, e più esplicita di quelle fornite tra il 1978 e il 1979: il governo è «il punto di contatto tra [il modo in cui] gli individui sono […] guidati dagli altri e il modo in cui […] conducono se stessi». Governare, dunque, non significa «forzare le persone a fare ciò che vuole chi governa», ma si tratta al contrario di un «equilibrio versatile, fatto di complementarità e conflitti», tra tecniche di potere e tecniche di sè,10 cioè tra processi di assoggettamento e processi di soggettivazione. Quest’ultima formulazione rende forse più chiaro in che senso la relazione di sè con sè, la costituzione della soggettività, si configuri in Foucault come un luogo decisivo di confronto (e di scontro) tra le tecnologie governamentali di potere e le pratiche di resistenza o di libertà che la forgiano e rimodellano continuamente. Perciò le analisi “etiche” dell’ultimo Foucault, che indagano il punto di contatto e di articolazione tra il governo di sè e il governo degli altri, possiedono in realtà una portata squisitamente politica; perciò esse sono in grado di fornirci strumenti essenziali per formulare in modo innovativo il problema del rapporto tra etica e politica – così ridefinite. In questo senso, vorrei ora mostrare perchè l’idea di un’“etica del sè” e quella di una “politica di noi stessi” giungano ad intersecarsi, in un contesto nel quale l’analisi delle diverse forme antiche di soggettivazione è da considerarsi come una riflessione engagèe sulle pratiche di resistenza che è possibile opporre ai meccanismi del potere governamentale. Etica del sè e politica di noi stessi In Sull’origine dell’ermeneutica del sè, Foucault inscrive la propria riflessione all’interno di un progetto che mira 47 Foucault def.indd 47 06/02/15 17:36 a ricostruire la genealogia del soggetto (occidentale) moderno; e in una ricerca che metta in luce le tecniche e le pratiche che «costituiscono la concezione occidentale del soggetto», egli scorge «la possibilità reale di costruire una storia di ciò che abbiamo fatto e, al tempo stesso, una diagnosi di ciò che siamo». Una simile analisi teorica è dotata, ai suoi occhi, di un’esplicita «dimensione politica»: ricollegandosi a quanto aveva già affermato, due anni prima, in Qu’est-ce que la critique?, Foucault sostiene infatti di voler praticare una «filosofia critica» che però, a differenza della critica kantiana, non cerca di determinare le condizioni e i limiti della nostra possibile conoscenza dell’oggetto, ma che al contrario – sulla scorta dell’articolo di Kant sull’Illuminismo – ha come obiettivo quello di mettere in luce «le condizioni e le indefinite possibilità per trasformare il soggetto, per trasformare noi stessi».11 Lo scopo che Foucault attribuisce esplicitamente alle proprie analisi degli anni Ottanta (ma lo stesso si potrebbe dire per i suoi lavori degli anni Settanta) è quello di spingerci a domandarci cosa siamo disposti ad accettare nel nostro mondo, nella nostra situazione, in noi stessi, e cosa invece vogliamo rifiutare, cambiare, trasformare. È questa domanda a definire il contenuto di ciò che Foucault, nel 1980 a Berkeley e al Dartmouth College, chiama «politica di noi stessi».12 Espressione apparentemente curiosa, spiazzante, che tuttavia diviene intelligibile sulla base delle premesse poste in precedenza: “noi stessi”, il nostro rapporto con noi stessi, costituisce secondo Foucault un vero e proprio campo di battaglia, e una posta in gioco politica. Così, lo studio delle tecniche di sè (combinato con quello delle tecniche di potere) si rivela cruciale, poichè permette di mostrare che «il sè non è nient’altro che il correlato storico [delle tecnologie] che abbiamo costruito nella nostra storia»13 – tecnologie, beninteso, di assoggetta48 Foucault def.indd 48 06/02/15 17:36 mento così come di soggettivazione. Stando alle analisi di Foucault, infatti, non esiste un “soggetto” o un “sè” originario, naturale, necessario, dato, che si tratterebbe allora di scoprire e portare alla luce, al fine di rinunciarvi (come vorrebbe il cristianesimo) o di identificarci ad esso senza residui (come vorrebbero le recenti etiche dell’autenticità). Il soggetto, il sè, è storico e contingente, è il frutto di una costruzione che, in quanto tale, Foucault ci invita a mettere in discussione: se il sè non è un dato necessario, chiediamoci se siamo disposti ad accettare il sè che ci è proposto dalle diverse tecnologie governamentali nelle quali la nostra vita è presa, un sè che tali tecnologie costruiscono precisamente al fine di condurre gli individui in questo o quel modo, cioè di assoggettarli. Chiedersi se siamo disposti ad accettare il sè che ci è proposto significa dunque, allo stesso tempo, chiedersi se siamo disposti ad accettare di essere governati o condotti in questo modo, da queste persone, in nome di questi princìpi, in vista di tali obiettivi e attraverso tali procedimenti. 14 Tale interrogazione fonda, per Foucault, la pratica della critica, e della resistenza, che, in un certo senso, comincia sempre con un rifiuto, con un “no”, con un “non posso accettarlo”, “non voglio più”, “non così, non in questo modo, non da queste persone, ecc.”. Ma la pratica della resistenza non si ferma qui, non si ferma allo stadio negativo del rifiuto, per quanto esso sia fondamentale. Le “contro-condotte” al potere pastorale che Foucault studia nel 1978, in Sicurezza, territorio, popolazione,15 non sono semplici reazioni di rifiuto alla governamentalità messa in atto dal pastorato cattolico: sono anche forme alternative di condotta, rappresentano condotte altre – “vite altre”, come avrebbe forse detto Foucault qualche anno più tardi.16 È per questo che la “politica di noi stessi” implica anche, contemporaneamente, un’“e49 Foucault def.indd 49 06/02/15 17:36 tica del sè”, ovvero il tentativo di cambiare, trasformare, trasfigurare il nostro rapporto con noi stessi, il nostro sè, al fine di inventare nuove relazioni con gli altri e nuovi modi di vita, e di sfuggire – almeno parzialmente, o momentaneamente – alla presa dei meccanismi governamentali. Da questo punto di vista, l’analisi foucaultiana di una serie di tecniche di sè e di esercizi ascetici che si trovano formulati nei testi filosofici antichi, pur non volendo suggerire alcuna anacronistica ri-attualizzazione del passato, va senza dubbio interpretata, da un lato, come un tentativo di mostrare che la relazione di sè con sè ha assunto forme molto diverse da quelle attuali e, dall’altro, come un “supporto” per l’immaginazione etica, un “puntello” per il lavoro – creativo – che siamo chiamati a compiere su noi stessi nel caso decidessimo di dire “no”, di resistere. Di conseguenza, lo studio dell’Antichità greco-romana è strategicamente fondamentale, dal punto di vista etico e politico, per noi, oggi. Foucault spiega il perchè in modo molto chiaro ed efficace nel corso di una discussione svoltasi al Dipartimento di Storia dell’Università di California, Berkeley, nell’aprile del 1983. In tale circostanza, Foucault sostiene che, nelle nostre società occidentali moderne, l’etica sia sempre stata legata a tre cose, a tre istanze: la religione, le leggi (l’organizzazione giuridica) e la scienza (la medicina, la psicologia, la sociologia, la psicanalisi, ecc.). Tuttavia, questi tre grandi riferimenti della nostra etica alla religione, alla legge e alla scienza sono ormai vuoti, inefficaci, hanno perduto la loro ragione di essere; e così ci troviamo di fronte alla necessità di avere un’etica – perchè abbiamo bisogno di un’etica! – ma non sappiamo più a chi rivolgerci. Se guardiamo al nostro passato, al mondo greco-romano, però, ecco che troviamo l’esempio di una società nella quale un’etica, e un’etica molto importante e sviluppata, è esistita 50 Foucault def.indd 50 06/02/15 17:36 senza bisogno di quei riferimenti – religione, legge, scienza. Il problema non è ritornare all’etica antica, ovviamente, ma studiare, conoscere tale etica può consentirci di renderci conto che «è possibile fare una ricerca in etica, è possibile costruire una nuova etica, è possibile far posto a ciò che chiamerei l’immaginazione etica, senza fare riferimento nè alla religione, nè alla legge, nè alla scienza».17 Se, come Foucault afferma ne L’ermeneutica del soggetto, la costruzione di un’etica del sè è «un compito urgente, fondamentale, politicamente indispensabile, se è vero che, dopotutto, non esiste un altro punto, originario e finale, di resistenza al potere politico, che non stia nel rapporto di sè con sè»,18 tale compito non si limita dunque nè al semplice rifiuto di un determinato sè che ci viene imposto, nè consiste in una anacronistica riutilizzazione di tecniche e strumenti etici peculiari a una società e a una cultura che non sono più le nostre. Tale compito è un compito prettamente sperimentale che, come afferma Foucault nel suo articolo del 1984 su Kant e l’Aufklärung, dopo aver colto, «nella contingenza che ci ha fatto essere quello che siamo, la possibilità di non essere più, di non fare o di non pensare più quello che siamo, facciamo o pensiamo», mira a concretizzare una simile possibilità, mettendoci alla prova della realtà e dell’attualità «per afferrare i punti in cui il cambiamento è possibile e auspicabile e, al tempo stesso, per determinare la forma precisa da dare a questo cambiamento». Si tratta, conclude Foucault, di «un lavoro di noi stessi su noi stessi in quanto esseri liberi»19 – ed è forse questa la formulazione più pregnante di ciò che dovremmo intendere per “etica del sè” e per “politica di noi stessi”. La trasfigurazione cinica della politica In conclusione, vorrei cercare di mostrare come, in particolare grazie all’analisi del cinismo antico proposta nel 51 Foucault def.indd 51 06/02/15 17:36 suo ultimo corso al Collège de France, Il coraggio della verità, Foucault giunga a concepire il rapporto tra etica e politica nella forma di un’implicazione reciproca, nella quale la dimensione etica acquisisce in se stessa una portata politica, configurandosi come il luogo privilegiato di una trasfigurazione della nostra idea di ciò che è “politico” e di ciò che non lo è. Mi sembra infatti che, tra il 1983 e il 1984, Foucault proponga una ridefinizione della politica analoga a quella che aveva già avanzato negli anni Settanta, ma questa volta passando per l’etica, utilizzando cioè il campo dell’etica del sè come un vero e proprio laboratorio di sperimentazione politica. Ne Il coraggio della verità, Foucault individua come punto di passaggio, come “ponte” tra la parrhesia socratica e la parrhesia cinica, il dialogo platonico Lachete, nel quale l’oggetto della cura di sè, la sostanza etica (ciò di cui dobbiamo occuparci), non è più l’anima (come nel caso dell’Alcibiade), ma la vita, il bios, la maniera che abbiamo di condurre la nostra esistenza quotidiana. 20 La parrhesia assume così un senso diverso e specifico: Socrate è considerato un parresiaste non tanto perchè è in grado di “vedere” la verità eterna delle Idee e di dirla, di strutturare il proprio discorso sulla base di tale verità, ma perchè esibisce, mostra, mette sotto gli occhi di tutti un’armonia perfetta – una “sinfonia” – stabilita tra le proprie parole e le proprie azioni, tra il proprio logos e il proprio bios. In questo caso, quindi, per Socrate, «la traiettoria va dall’armonia tra vita e discorso alla pratica di un discorso vero, di un discorso libero, di un discorso franco»21: la parrhesia si articola in modo essenziale sullo stile di vita. Tuttavia, la parrhesia socratica rimane pur sempre una parrhesia discorsiva, nella quale il logos riveste un ruolo di fondamentale importanza e il bios, la maniera di vivere, non è che il basanos, la pietra di paragone capace di autentificare il discorso, e non il 52 Foucault def.indd 52 06/02/15 17:36 vero e proprio luogo di emergenza della verità. Solo con il cinismo, secondo Foucault, questo passaggio dal logos al bios si realizza compiutamente: la parrhesia cinica, infatti, abbandona quasi del tutto il campo verbale, e diventa essa stessa modo di vita – dal dir-vero si passa al vivere-vero. Il cinismo non si accontenta […] di abbinare o di far corrispondere, in un’armonia o in un’omofonia, un certo tipo di discorso e una vita conforme ai princìpi enunciati nel discorso. Il cinismo associa il modo di vita e la verità in una forma molto più serrata, molto più precisa. Fa della forma dell’esistenza una condizione essenziale del dire-il-vero. Fa della forma dell’esistenza la pratica di riduzione che lascerà spazio al dire-il-vero. Infine, fa della forma dell’esistenza un modo di rendere visibile, nei gesti, nel corpo, nella maniera di vestirsi, nella maniera di comportarsi e di vivere, la verità stessa. Insomma, il cinismo fa della vita, dell’esistenza, del bios, ciò che potremmo chiamare un’aleturgia, una manifestazione della verità.22 È grazie a una simile ridefinizione della parrhesia nel cinismo che Foucault mette radicalmente in questione le frontiere classiche, la tradizionale separazione tra etica e politica. Divenendo co-essenziale alla vita del filosofo cinico, la parrhesia si trasforma nella sua caratteristica primaria: la vita del cinico non è messa alla prova dalla verità, ma è essa stessa che mette alla prova la verità della vita degli altri, grazie alla propria alterità fondamentale. La parrhesia cinica è una parrhesia che si incarna nel comportamento, nei gesti, nel corpo, e che – al limite – non ha più bisogno di essere espressa attraverso il discorso. Ed è una parrhesia essenzialmente critica, che manifesta una verità intesa non come accordo o come tranquilla composizione di posizioni differenti, quanto al contrario come una rottura, uno scandalo, una lotta. La vita del cinico, luogo di emergenza 53 Foucault def.indd 53 06/02/15 17:36 per eccellenza della sua parrhesia, per essere “vera” deve al contempo essere una vita radicalmente e paradossalmente altra – altra rispetto alla vita dei più, ma altra anche rispetto alla maniera di vivere degli altri filosofi, che affermano nel proprio logos una serie di verità che non sono però in grado di mettere in pratica, che non riescono (e che non sono nemmeno disposti) ad incarnare. Nella sua analisi del cinismo antico, insomma, Foucault ci mostra che, al di fuori dell’elemento del logos, facendosi vita, prendendo letteralmente corpo, la verità è un evento scandaloso. Perciò la vita del filosofo cinico, il rapporto (etico) che egli instaura con sè stesso, la forma concreta che assume la sua soggettività, devono essere considerati come il vettore di una critica prettamente politica: il bios cinico mira essenzialmente all’«aggressione esplicita, volontaria e costante che si rivolge all’umanità in generale, […] con la prospettiva o l’obiettivo di cambiarla: cambiarla nel suo atteggiamento morale (nel suo ethos), ma cambiarla, al tempo stesso e perciò stesso, nelle sue abitudini, nelle sue convenzioni, nei suoi modi di vivere».23 Il cuore dello studio foucaultiano del cinismo antico è costituito, quindi, dall’analisi degli effetti socio-politici di una parrhesia che si fa vita, esistenza. Foucault mostra così in che modo il filosofo cinico faccia della costruzione etica della propria vita, del proprio rapporto di sè con sè, una posta in gioco che è direttamente ed esplicitamente politica, e che assume la forma di una contestazione e di una resistenza iperbolica a tutte le convezioni, abitudini e “verità” comunemente accettate. Insomma, inserendo senza resti e senza “zone d’ombra” la propria vita nello spazio pubblico, mettendola sotto gli occhi di tutti, il cinico la utilizza come una vera e propria arma politica, come lo strumento essenziale del proprio tentativo di trasformare, di trasfigurare, l’idea stessa di ciò che è “politico”. Infat- Foucault def.indd 54 06/02/15 17:36 ti, il cinico “politicizza” luoghi e spazi inediti, tradizionalmente non deputati alla politica in senso stretto: non sono “politici” soltanto l’Assemblea o i tribunali, ma anche la strada, la piazza, il mercato, lo spettacolo teatrale, e così via. Analogamente, egli “politicizza” gesti inediti: non si fa politica solo prendendo la parola all’Assemblea o votando, poichè tutto nella nostra vita quotidiana può assumere un valore politico, ogni piccolo gesto, ogni comportamento, ogni decisione, ogni opinione ricevuta, ogni abitudine. 24 Così, facendosi vita, la parrhesia cinica “politicizza” lo spazio sociale nel suo complesso e, attraverso la “pubblicità” radicale che la caratterizza, mostra chiaramente in che senso l’etica stessa possa assumere un valore politico, o meglio come possa essere considerata un’espressione direttamente politica. 25 Inscrivendo senza residui il proprio lavoro etico di sè su sè all’interno della vita sociale della città, nella forma di uno scandalo perpetuo, il filosofo cinico incarna quindi alla perfezione, mette in pratica in ogni gesto e modo di fare, quell’atteggiamento critico, quell’ethos filosofico che consiste, secondo Foucault, nell’individuare e nel mostrare «la parte di ciò che è singolare, contingente e dovuto a costrizioni arbitrarie in quello che ci è dato come universale, necessario e obbligato» 26. Etica e politica di noi stessi, dunque, dove il “noi stessi” non deve essere considerato il segno di una chiusura solipsistica nello spazio individuale o “privato”, ma al contrario il cardine, il fulcro, il vettore essenziale di una trasfigurazione dell’etica e della politica, trasfigurazione che assume la forma della “politicizzazione” possibile, e senza dubbio necessaria, di ogni aspetto della nostra esistenza sociale. 55 Foucault def.indd 55 06/02/15 17:36 Note Cfr. M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1 (1976), Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 81-86. 2 M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica del sè. Due conferenze al Dartmouth College (1980), a cura di mf / materiali foucaultiani, Napoli, Cronopio, 2012, p. 40. 3 Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), a cura di M. Senellart, Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 88 ss. 4 Cfr. ivi, p. 143. 5 Cfr. ivi, pp. 135-136. 6 Cfr. M. Foucault, Du gouvernement des vivants. Cours au Collège de France. 1979-1980, a cura di M. Senellart, Paris, EHESS-Gallimard-Seuil, 2012, pp. 225-227. 7 Cfr. M. Foucault, L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2 (1984), Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 31-32. 8 M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica del sè, cit., p. 39. 9 È bene precisare che il modo in cui utilizzo i termini “assoggettamento” e “soggettivazione” non si trova, o almeno non con questa chiarezza, in Foucault, il quale anzi usa questi due concetti in maniera piuttosto fluida e, talvolta, entrambi per indicare l’azione delle tecniche di potere (cfr. per esempio M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 141). La distinzione netta che propongo di istituire tra assoggettamento e soggettivazione, legando il primo termine alle tecniche di potere e il secondo alle tecniche di sè, è dunque una precisa scelta filosofica, che compio seguendo il suggerimento di Arnold I. Davidson (cfr. A.I. Davidson, Dall’assoggettamento alla soggettivazione: Michel Foucault e la storia della sessualità, in «aut aut», n. 331, 2006, pp. 3-10). 1 56 Foucault def.indd 56 06/02/15 17:36 M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica del sè, cit., p. 40. Ivi, pp. 37-38. 12 Ivi, p. 92. 13 Ibidem. 14 Cfr. M. Foucault, Illuminismo e critica (1978), a cura di P. Napoli, Roma, Donzelli, 1997, p. 37. 15 Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., pp. 151 ss. Sulla nozione di “contro-condotta”, si veda A.I. Davidson, In Praise of Counter-Conduct, in «History of the Human Sciences», vol. 24, n. 4, 2011, pp. 25-41. 16 Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sè e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), a cura di F. Gros, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 274. 17 M. Foucault, Dèbat au Dèpartement d’Histoire de l’Universitè de Californie à Berkeley (1983), in Qu’est-ce que la critique ? suivi de La culture de soi, a cura di A.I. Davidson, H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Paris, Vrin, 2014 (in corso di pubblicazione). 18 M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), a cura di F. Gros, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 222. 19 M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo? (1984), in Archivio Foucault 3. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 228-229. 20 Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 145 ss. 21 Ivi, p. 149. 22 Ivi, pp. 169-170. 23 Ivi, p. 268. 24 «[N]iente è politico, tutto è politicizzabile, tutto può diventare politico»; manoscritto del corso al Collège de France del 1978, citato da Michel Senellart nella sua Nota del curatore, in M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 291. 25 Per uno sviluppo più ampio di questo tema, mi sia permesso rimandare a D. Lorenzini, Èthique et politique de nous-mêmes : à partir de Michel Foucault et Stanley Cavell, in D. Lorenzini, A. 10 11 57 Foucault def.indd 57 06/02/15 17:36 Revel e A. Sforzini (a cura di), Michel Foucault : èthique et vèritè (1980-1984), Paris, Vrin, 2013, pp. 239-254. 26 M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo?, cit., p. 228. 58 Foucault def.indd 58 06/02/15 17:36 MICHEL FOUCAULT E LA CRITICA DELL ’IDEOLOGIA NEI C ORSI AL C OLLÈGE DE F RANCE Orazio Irrera Nella lezione del 30 gennaio del suo Corso del 1980 al Collège de France Del governo dei viventi, Foucault ribadisce il suo rifiuto di analizzare «il pensiero, il comportamento e il sapere degli uomini» nei termini di un’analisi ideologica, aggiungendo che, praticamente ogni anno, durante ogni suo corso, egli è ritornato su questa esigenza di smarcarsi da una prospettiva segnata dall’ideologia, operando ogni volta un piccolo spostamento per conferire così alla sua critica nuove forme di intelligibilità. 1 Questa mobilità, così caratteristica del modo di condurre il proprio lavoro teorico, non deve tuttavia farci perdere di vista il fatto che se Foucault, nell’arco di circa un decennio, si è così insistentemente soffermato sulla critica dell’ideologia, è perchè, presumibilmente, tale nozione rappresenta per lui – seppur negativamente – un nodo teorico e metodologico di grande rilevanza. Infatti attraverso tutta questa serie di considerazioni critiche sulla reale capacità esplicativa della nozione di ideologia, risulta possibile far apparire, quasi in filigrana al suo insegnamento, un percorso teorico che lo attraversa sotterraneamente dalla fine dall’inizio degli anni ’70 fino ai primi anni degli anni ’80. Si tratta di un percorso la cui ricostruzione può mostrarci in che modo gli spostamenti concettuali che Foucault compie a proposito della critica dell’ideologia possano essere messi in relazione alle poste in gioco epistemologiche ed etico-politiche che 59 Foucault def.indd 59 06/02/15 17:36 man mano appaiono nel suo mobile itinerario di ricerca e di insegnamento al Collège de France. Nel presente contributo cercheremo di raggruppare questo insieme di critiche in quattro grandi tipologie. Nel primo l’accento sarà posto sulla critica dell’opposizione scienza/ideologia che prende le mosse da una problematizzazione interna alla storia delle scienze e al progetto foucaultiano di un’archeologia del sapere che non potrà essere compiutamente analizzata, ma fornirà lo sfondo per comprendere come questo tipo di critica dello schema binario scienza/ideologia verrà riproposta all’interno di un quadro tematico segnato dall’inizio degli anni ’70 da preoccupazioni genealogiche. Nel secondo gruppo si prenderà in esame il dialogo sotterraneo con le tesi di Althusser sugli apparati ideologici di Stato che viene criticato alla luce delle ricerche foucaultiane sull’emergere della società punitiva e lo strutturarsi di un potere psichiatrico. La terza tipologia di critiche raggrupperà i Corsi della seconda metà degli anni ’70 in cui l’ideologia come rappresentazione della realtà data dal posizionamento di classe è opposta alla produzione di un sapere che risulta co-implicato genealogicamente in un contesto fatto di lotte e di esigenze governamentali. Infine, la quarta tipologia si occuperà di sottolineare come un’analisi in termini ideologici possa essere criticata e sostituita da un’altra questione, ovvero in che modo del governo degli uomini si interseca con le modalità di manifestazione della verità nella forma della soggettività. 1. La critica dello schema scienza/ideologia tra archeologia e genealogia Prima di inoltrarci in questa analisi bisogna tuttavia innanzitutto soffermarsi una precisazione preliminare: le occorrenze della nozione di ideologia negli scritti di Fou60 Foucault def.indd 60 06/02/15 17:36 cault mostrano come si abbia a che fare con un concetto “scivoloso” nella misura in cui esso non è solo oggetto di tematizzazione e di critica. Infatti, soprattutto in occasione di interviste o di seminari, il riferimento all’ideologia appare in forme e modalità non problematizzate. Accade così che Foucault per esporre le proprie posizioni faccia riferimento a un significato corrente del termine che si riveli di immediata comprensione per un certo tipo di interlocutore o un certo tipo di pubblico.2 Se questo uso ordinario del termine ideologia non rientra nella nostra ricostruzione, nondimeno esso non costituisce neppure l’unica limitazione di campo a cui è sottomessa la presente analisi. Infatti, non potendo per evidenti ragioni di spazio condurre una trattazione esaustiva della questione dell’ideologia nell’intera opera di Foucault, la decisione di soffermarsi suoi Corsi al Collège de France implica di tralasciare, da una parte, un esame sistematico degli interventi, degli scritti d’occasione e delle interviste contenuti principalmente nei Dits et ècrits. D’altra parte, questa scelta impone anche di mettere da parte una fase comunque molto importante per l’elaborazione critica di questo concetto che è comunque presente in alcuni rilevanti passaggi dei suoi libri degli anni ’60 come Le parole e le cose e L’archeologia del sapere, ma che richiederebbe un lavoro specifico che in questa sede non è possibile svolgere.3 L’angolo di attacco alla questione dell’ideologia è costituito dalla questione della storia delle scienze, e la sua critica presuppone come sfondo, da un lato, la tradizione della cosiddetta epistemologia storica francese4 (soprattutto in relazione a Bachelard e Canguilhem5) e, dall’altro, le elaborazioni del rapporto scienza/ideologia sviluppate all’interno di un quadro di analisi marxista da Althusser.6 La scelta di limitarsi ai Corsi ha però il merito di soffermarsi su materiali ancora poco analizzati rispetto ai libri 61 Foucault def.indd 61 06/02/15 17:36 degli anni ’60 e restituisce senza dubbio un respiro più ampio alla problematizzazione complessiva che Foucault ha fornito della nozione di ideologia. In ogni caso, pur mettendo da parte la dimensione archeologica entro cui l’ideologia viene messa in questione dalle opere degli anni ’60, il riferimento ad Althusser resta nondimeno centrale anche per comprendere come Foucault continui a elaborare tutta una molteplicità di prospettive critiche su questo concetto all’interno delle sue lezioni al Collège de France. Non sembra infatti casuale che l’unico riferimento bibliografico puntuale presente nell’introduzione de L’archeologia del sapere, quando Foucault passa in rassegna i vari fenomeni di rottura epistemologica prodottisi recentemente in un gran numero di discipline (storia, filosofie, scienze), sia proprio Per Marx di Althusser, menzionando il «lavoro di trasformazione teorica quando esso “fonda una scienza staccandola dall’ideologia del suo passato e rivelando questo passato come ideologico”.».7 La trasformazione teorica che per Althusser la scienza assicura producendo delle conoscenze vere non agisce solo retrospettivamente, verso il passato, configurando le teorie che precedono l’affermarsi di una scienza come la propria «preistoria», ma opera anche nel presente, trasformando «in “conoscenze” (verità scientifiche) il prodotto ideologico delle pratiche “empiriche” (l’attività concreta degli uomini) esistenti».8 La scienza diventa quindi la condizione di possibilità di accesso alla conoscenza intesa come verità scientifica, configurando uno schema binario in cui da una parte sta la scienza/conoscenza/verità e, dall’altra, l’ideologia/errore/illusione. Questo schema binario “scienza vs ideologia” non costituisce soltanto il punto di partenza della critica foucaultiana dell’ideologia all’interno del progetto archeologico degli anni ’60. A partire dall’inizio degli anni ’70 e, più in particolare, dal primo 62 Foucault def.indd 62 06/02/15 17:36 Corso tenuto da Foucault al Collège de France, pubblicato col titolo di Lezioni sulla volontà di sapere, tale schema viene messo in discussione anche secondo una prospettiva genealogica.9 Nell’interpretazione della filosofia di Nietzsche che Foucault fornisce in questo corso viene infatti proposto un rovesciamento polemico, dagli esiti all’apparenza paradossali, di questo schema binario. Attraverso una rivisitazione in chiave anti-heideggeriana dei rapporti tra sapere, verità e conoscenza, Foucault colloca Nietzsche non già al culmine della tradizione filosofica occidentale secondo un asse che congiungeva idealmente Aristotele, Cartesio e Kant (come aveva fatto Heidegger), ma su una linea di sviluppo alternativa in cui Nietzsche giungerebbe invece a mostrare la disimplicazione fondamentale tra verità e conoscenza,10 sottolineando come, dietro questo legame che appariva inscindibile, operi invece il desiderio, l’istinto e la violenza. In questo senso, la verità cui giunge la conoscenza si mostra paradossalmente come il suo contrario, come menzogna. Pertanto, questa conoscenza non è più legata alla verità ma a un anonimo voler conoscere tramato di violenza. Questa disimplicazione di conoscenza e verità pone così la questione del rapporto tra la verità e la volontà. In effetti, seguendo Heidegger, Foucault ricorda che nella tradizione filosofica occidentale, la volontà non può che consistere nel lasciar valere la verità. In altri termini, perchè ci sia conoscenza la volontà deve annullarsi, fargli posto, non predeterminando in quanto volontà nessun oggetto di conoscenza. La verità risulta quindi libera rispetto alla volontà non ricevendo da essa alcuna determinazione, così come, specularmente, anche la volontà deve essere libera per poter far posto alla verità e deve pertanto rinunciare al desiderio che le è implicito 11: la libertà sarebbe 63 Foucault def.indd 63 06/02/15 17:36 così al cuore della verità (sarebbe l’essere della verità 12) e costituirebbe al tempo stesso il dovere della volontà. Secondo Foucault per Nietzsche questo rapporto tra volontà e verità potrebbe invece articolarsi solo all’insegna della costrizione e della dominazione, così al posto della libertà si troverebbe piuttosto la violenza. La critica nietzschiana renderebbe allora impossibile «tutta un’“ideologia” del sapere come effetto della libertà e ricompensa della virtù» 13. Il rapporto tra volontà e verità garantito dalla libertà dovrebbe al contrario essere considerato come il regno della menzogna, dell’illusione, dell’ideologia, in quanto l’effettiva l’articolazione della volontà e della verità è data dalla violenza. Attraverso questa interpretazione di Nietzsche, Foucault cerca pertanto di rovesciare le coppie verità/errore, verità/illusione e verità/menzogna, in modo che la verità che si vuole come il prodotto, il fine e il compito “naturale” della conoscenza, si rivela invece il suo contrario, ovvero l’ideologia. Inoltre, questo vuol dire che non solamente la conoscenza non è ritenuta capace di liberare la verità dall’errore, dall’illusione, ma che la sua co-implicazione con la volontà, fa sì che la produzione di verità che essa rende possibile, in realtà, si avvolga sempre di più nell’errore, nell’illusione, nell’ideologia. 2. La critica degli apparati ideologici di Stato Nei successivi Corsi al Collège de France nella prima metà degli anni ’70 , il dialogo con Althusser continua a restare sotteso alla problematizzazione della nozione di ideologia. Tuttavia, tale dialogo non si svolge più all’insegna della critica allo schema binario verità/ideologia, ma a partire da una concezione del potere che fa ricorso all’ideologia all’interno di una prospettiva basata sulla centralità dello Stato e dei suoi apparati, e in cui, peraltro, è possibile 64 Foucault def.indd 64 06/02/15 17:36 riconoscere alcune importanti argomentazioni del celebre e influente saggio di Althusser pubblicato nel 1970 col titolo di Ideologia ed apparati ideologici di Stato14. In questo contesto ritroviamo la critica della nozione di ideologia il 28 marzo 1973, nell’ultima lezione del Corso su La sociètè punitive15. In questa sede Foucault, si interroga su come l’istituzione della prigione e con essa la pratica della reclusione come forma prevalente di punizione si siano entrambe affermate all’inizio del XIX secolo. Non potendo dedurle nè dalle teorie penali formulate nel secolo precedente, nè da una sociologia storica della delinquenza (dal momento che i crimini con l’istituzione della prigione non diminuiscono, anzi si innalza semmai il tasso di recidività), Foucault si chiede in quale sistema di potere possa funzionare la prigione. Per rispondere a tale questione “per esclusione”, vengono scartati ben quattro schemi teorici per pensare il potere nella misura in cui essi si rivelano inadeguati per spiegare la diffusione dell’istituzione carceraria. È proprio in ognuno di questi schemi che si può ritrovare una critica a quella linea di continuità sviluppatasi nella tradizione marxista che va da Lenin all’Althusser di Ideologia ed apparati ideologici di Stato. In effetti, il primo di questi schemi da rigettare è quello «teorico dell’appropriazione del potere», per cui il potere – inteso come qualcosa che si possiede e che può esser “preso” – sarebbe da pensarsi o come appannaggio di una classe (la borghesia) o come l’esito di un contratto sociale. Per Foucault questo schema è da rigettare in quanto il potere non è localizzabile in un punto ma è invece diffuso in tutta la superficie del campo sociale, passa attraverso delle reti e si esercita su (e da) tutta una molteplicità di punti. È per tale ragione che esso non può essere preso o posseduto. Nel secondo schema preso in esame l’obiettivo polemico costituito dalle 65 Foucault def.indd 65 06/02/15 17:36 analisi althusseriane comincia a farsi sempre più evidente16, dal momento che il potere sarebbe concepito come essenzialmente localizzato nello Stato e nei suoi apparati. Rispetto a questa prospettiva Foucault ricorda come lo Stato è tutt’al più una forma concentrata, o una struttura d’appoggio per il potere, ma che non esaurisce di certo il campo entro cui questo viene concretamente a esercitarsi. Il terzo schema a essere analizzato è quello della subordinazione, secondo cui il potere sarebbe subordinato a «una certa maniera di mantenere o di riprodurre un modo di produzione».17 Ma anche in questo caso, secondo Foucault, l’esercizio effettivo del potere va molto più in là di questa semplice funzione: «Il potere non può dunque più essere compreso soltanto come ciò che garantisce un modo di produzione, come ciò che permette di costituire un modo di produzione. Il potere in pratica è uno degli elementi costitutivi del modo di produzione e funziona al cuore di quest’ultimo».18 Nel quarto schema, troviamo finalmente lo schema dell’ideologia per cui o il potere funzionerebbe in modo manifesto senza essere accompagnato da alcun discorso nella sua forma violenta e repressiva, oppure si eserciterebbe in maniera discorsiva, nascondendosi e, attraverso lo stesso gesto, facendosi accettare tramite la produzione di un’ideologia.19 A questo schema Foucault oppone il fatto che ovunque il potere si eserciti esso non produce un’ideologia che lo dissimulerebbe, quanto piuttosto un sapere che con il potere intrattiene dei rapporti positivi e complessi che permettono al potere di intensificare la sua forza strategica e la sua pervasività mediante un aumento della sua razionalità calcolatrice.20 Foucault si mantiene nel solco di questo tipo di critica dell’ideologia, nella cui filigrana si intravedono le pagine di Ideologia ed apparati ideologici di Stato di Althusser, an66 Foucault def.indd 66 06/02/15 17:36 che nell’autunno dello stesso anno, durante la lezione del 7 novembre che inaugura il suo Corso successivo al Collège de France su Il potere psichiatrico. Quello che cambia è il quadro tematico, che è stavolta costituito dalla pratica manicomiale e il potere psichiatrico. Anche se il termine “ideologia” non è esplicitamente menzionato, Foucault si sofferma sul rifiuto di impiegare tre nozioni, quella di violenza, quella di istituzione e quella di famiglia intesa tuttavia come apparato ideologico, nella misura in cui egli afferma che sarebbe «falso sostenere, come spesso invece accade, che la pratica manicomiale e il potere psichiatrico altro non facciano se non riprodurre la famiglia nell’interesse, o in forza della richiesta, di un determinato controllo pubblico, organizzato da un apparato di Stato. Non è l’apparato statale a poter servire da fondamento, nè la famiglia a poter fungere da modello». In questa sede Foucault ribadisce che la nozione di apparato di Stato è eccessivamente ampia ed astratta per designare «questi poteri immediati, minuscoli, capillari, che si esercitano sul corpo, sul comportamento, sui gesti, sul tempo degli individui. L’apparato di Stato non può rendere conto di questa microfisica del potere». Per tale ragione al posto della violenza Foucault propone di sostituire una microfisica del potere, al posto dell’istituzione le tattiche messe in opera dalle forze che si affrontano, e al posto della famiglia o dell’apparato statale ci sono invece le strategie dei rapporti di potere e gli scontri all’interno della pratica psichiatrica.21 In questo senso è da leggere anche un breve richiamo presente nel manoscritto relativo alla lezione del 21 novembre 1973, in cui Foucault sostiene che il potere disciplinare che agisce alla stregua di un «contatto sinaptico corpi-potere», lasciando da parte «il problema dello Stato, degli apparati di Stato, e [facendo] a meno della nozione psicosociologica di autorità»22, in cui è ravvisabile un riferimento a una matrice 67 Foucault def.indd 67 06/02/15 17:36 freudo-lacaniana alla base della celebre concezione althusseriana dell’ideologia come “interpellazione” che trasforma l’individuo in soggetto.23 3. L’ideologia come rappresentazione falsata e il sapere/potere Nei Corsi della seconda metà degli anni ’70, Foucault sembra considerare la nozione di ideologia non più in riferimento agli apparati ideologici di Stato di Althusser, bensì in un senso più neutro e meno caratterizzato, come visione del mondo, come rappresentazione o come idea più o meno falsata e menzognera, prodotta da una posizione di classe all’interno di un contesto dinamico segnato genealogicamente dal conflitto e dalle sue esigenze di tattica e di strategia. Si tratta di una concezione dell’ideologia che, in ultima analisi, Foucault critica opponendola al sapere (e alla sua coimplicazione col potere). A partire da questa prospettiva leggermente diversa, ritroviamo la critica dell’ideologia nel Corso “Bisogna difendere la società”, durante la lezione del 14 gennaio 1976. In questo frangente, Foucault si pone il problema di approntare una griglia per l’analisi del potere che eviti “la trappola” della teoria giuridico-politica della sovranità al fine di far apparire, nel cuore della problematizzazione genealogica del diritto, non già la sovranità, ma una particolare modalità di dominazione e di assoggettamento, ovvero il potere disciplinare. Ma una tale griglia analitica richiede un certo numero di precauzioni, Foucault ne elenca cinque, di cui l’ultima si riferisce ancora una volta alla questione dell’ideologia. Più in particolare, Foucault si chiede se «i grandi macchinari del potere siano stati accompagnati da produzioni ideologiche». Ovviamente anche in questo caso la risposta è negativa: «non credo che quel che si forma alla base, nel 68 Foucault def.indd 68 06/02/15 17:36 punto terminale dei reticoli di potere, siano delle ideologie […] Sono degli strumenti effettivi di formazione e di accumulazione del sapere, sono dei metodi di osservazione, delle tecniche di registrazione, delle procedure di indagine e di ricerca, degli apparati di verifica. Tutto questo vuol dire che il potere, quando si esercita nei suoi meccanismi sottili, non può farlo senza formare, organizzare e mettere in circolazione un sapere o piuttosto degli apparati di sapere che non sono semplici accompagnamenti o edifici ideologici».24 Durante lo stesso Corso, all’inizio della lezione del 3 marzo del 1976, Foucault ricorda invece come l’emergere del discorso storico-politico proprio della reazione nobiliare contro la monarchie a ridosso della Rivoluzione «non deve essere considerato come l’ideologia o il prodotto ideologico della nobiltà e della sua posizione di classe. Difatti, non si tratta qui tanto di ideologia, ma di qualcos’altro […] la tattica discorsiva, un dispositivo di sapere e di potere che, proprio in quanto tattica, può risultare trasferibile e quindi diventa la legge di formazione di un sapere, e nello stesso tempo, la forma comune alla battaglia politica».25 Pertanto anzichè di ideologia per Foucault si tratterebbe semmai di una generalizzazione tattica del sapere storico, del discorso sulla storia. Infine, nell’ultima celebre lezione, quella del 17 marzo 1976 in cui Foucault affronta la questione del razzismo di Stato, viene sostenuto che la specificità di questa forma di razzismo non è legata nè alla mentalità, nè all’ideologia, nè alle menzogne del potere, bensì a una specifica tecnologia di potere che è la biopolitica che si interseca con la disciplina all’interno delle società di normalizzazione.26 Queste analisi incentrate sulla biopolitica sono, del resto, ulteriormente sviluppate anche nel Corso successivo, Sicurezza, territorio, popolazione, il cui tema generale è la 69 Foucault def.indd 69 06/02/15 17:36 storia della governamentalità, della razionalità e delle tecnologie di governo. Più in particolare, l’esigenza di smarcarsi da un’analisi in termini di ideologia appare quando viene trattata l’apparizione dei dispositivi di sicurezza nella seconda metà del XVIII secolo. Così, alla fine della lezione del 18 gennaio 1978 Foucault si interroga sullo statuto che assume la libertà sia in quanto elemento fondamentale delle politiche liberali, sia come condizione storica di possibilità della diffusione dei dispositivi di sicurezza. In questo contesto viene rilevato come non si abbia più a che fare con una disciplina che deve correggere una presunta natura malvagia dell’uomo, rendendo quest’ultimo conforme a un modello prestabilito, che infine lo limiterebbe nell’esercizio della propria libertà. Quello che invece viene messo al centro è l’idea che da un punto di vista governamentale liberale risulterebbe troppo costoso costringere tutta una serie di fenomeni d’insieme, siano essi naturali o sociali, all’interno di un modello rigidamente disciplinare. Pertanto è meglio che tali fenomeni siano lasciati liberi di operare al fine di consentire un dispiegamento più ottimale delle forze economiche del mercato. Per questa concezione della governamentalità è quindi preferibile far giocare ciascuna forza o ciascun fenomeno uno contro l’altro senza porsi l’obiettivo primario di modellare ognuno di essi. La metafora del dar libero corso a delle forze che agiscono come quelle della fisica si traduce, ad esempio sul piano sociale, in una libertà di circolazione (degli uomini, della forza-lavoro, delle merci, ecc.) che deve essere esente da regolazioni se non quando essa dà luogo a qualcosa che è ritenuto negativo, sbagliato, poichè supera certi valori statistici che giocano il ruolo di norma: è qui che entrano in gioco i dispositivi di sicurezza. Nelle politiche liberali tutto questo processo si accompagna a una rivendicazione generale della libertà con tutta una retorica i cui effetti 70 Foucault def.indd 70 06/02/15 17:36 sono ancora oggi chiaramente percepibili. Rispetto a questa invocazione di libertà Foucault si chiede se non sia il caso di considerare quest’ultima alla stregua di un’ideologia, visto che il governo liberale degli uomini sarebbe «incapace di operare senza trovare nella libertà di ognuno il proprio sostegno».27 Ma proprio in virtù di queste analisi sul funzionamento delle tecnologie di potere del liberalismo e sulla loro economia interna fatta di pratiche che Foucault dirà «consumatrici di libertà», si torna a ribadire: «Non si tratta essenzialmente di un’ideologia in senso proprio; direi che si potrebbe leggere in primo luogo come una tecnologia di potere».28 In altri termini, al massimo, si può parlare di ideologia della libertà solo nella misura in cui essa risulta correlata a delle tecnologie di governo e alle sue modalità di funzionamento. Proseguendo l’esame del liberalismo anche nel corso dell’anno successivo, Nascita della biopolitica, nella lezione del 17 gennaio 1979, Foucault propone di studiare il mercato come un regime di veridizione. Quest’ultimo, viene rilevato, «non coincide con una certa legge della verità, [ma] con l’insieme delle regole che consentono, a proposito di un discorso dato, di stabilire quali sono gli enunciati che potranno esservi caratterizzati come veri o falsi». 29 Intendere il mercato come un regime di veridizione significa inserirlo a sua volta in una genealogia di regimi veridizionali in cui si intrecciano verità e diritto e in cui appare storicamente un diritto alla verità che autorizza a «enunciare quel che può essere vero o falso». Questa impresa genealogica viene distinta dall’ideologia, e dall’opposizione verità/ideologia, in quanto è «una storia della verità che non va intesa, ovviamente, come ricostruzione della genesi del vero attraverso la serie degli errori eliminati o rettificati, nè come analisi della costituzione di un certo numero di 71 Foucault def.indd 71 06/02/15 17:36 razionalità storicamente successive, il cui ordine e la cui coerenza sarebbero assicurate dalla rettifica o dall’eliminazione delle ideologie», quindi nessuna «storia dell’errore, o la storia delle ideologie».30 Foucault si propone quindi di fare a meno di quella «critica della razionalità europea», ripresa dal romanticismo fino alla Scuola di Francoforte, che denuncerebbe quel che di oppressivo si troverebbe sotto il dominio della ragione, mettendo a nudo la presunzione di potere implicita in ogni verità riconosciuta. La prospettiva di Foucault, al contrario, intende dare a questa genealogia della verità una «portata politica», e «consiste, invece, nel determinare a quali condizioni e con quali effetti si esercita una veridizione, vale a dire, ancora una volta, un tipo di formulazione che dipende da determinate regole di verificazione e falsificazione».31 Dunque in questo passaggio la critica dell’ideologia è ripresa all’interno del rifiuto delle opposizioni tra verità e ideologia, verità ed errore, verità ed illusione che si erano già incontrate nei Corsi precedenti, ma in riferimento a un quadro problematico diverso, ovvero l’emergere della razionalità governamentale del liberalismo. 4. L’ideologia e la manifestazione della verità nella forma della soggettività Nel Corso del 1980, Del governo dei viventi, il rifiuto di un’analisi in termini di ideologia è articolato a partire da un nuovo angolo di attacco, centrato sui rapporti tra verità e soggettività. Si tratta qui di un passaggio fondamentale per comprendere l’orizzonte tematico in cui il cosiddetto “ultimo Foucault” affronta la questione della verità durante gli anni ’80. Innanzitutto bisogna premettere che in questo Corso, con uno scarto che è tipico della sua maniera 72 Foucault def.indd 72 06/02/15 17:36 di procedere nelle sue ricerche, Foucault sostiene che per studiare come il potere si esercita (all’interno del regime di verità del cristianesimo) bisogna prendere in considerazione anche il modo in cui la verità si produce e si manifesta. Più esattamente risulta fondamentale che questa verità sia studiata per come si manifesta, dice Foucault, «nella forma della soggettività» – in cui cioè la soggettività figura come l’operatore, spettatore (o testimone) e l’oggetto di questa manifestazione,32 mostrando così come il modo in cui la verità si manifesta nella forma della soggettività – che Foucault chiama “aleturgia” – produce degli effetti che vanno ben al di là della semplice conoscenza, essendo dell’ordine della salvezza o, secondo un lessico concettuale più secolarizzato, della liberazione. Per tale ragione Foucault si chiede come si possano studiare le configurazioni storiche che nella nostra civiltà occidentale hanno assunto i rapporti tra il governo degli uomini, la manifestazione della verità nella forma della soggettività e la questione della salvezza.33 Questi rapporti tra governo, verità, soggettività e salvezza, ricorda Foucault, sono stati già indagati attraverso la nozione di ideologia, nel senso che il governo degli uomini sarebbe possibile attraverso ciò che essi manifestano senza alcuna costrizione nella forma immaginaria della salvezza, ovvero proprio nella misura in cui ritengono verità quello che sarebbe soltanto opera della loro immaginazione e pertanto vi si sottomettono spontaneamente, rendendosi così governabili in virtù di questa stessa sottomissione alla verità.34 Ma questo modo di mettere le cose appare insufficiente agli occhi di Foucault viste le discrepanze registrate da numerose ricerche storiche sui rapporti tra rivoluzione e religione. Inoltre, questo modo di vedere le cose, inscrive tale analisi in termini di ideologia entro una questione più ampia e generale che Foucault chiama “filosofico-politica”, ovvero: 73 Foucault def.indd 73 06/02/15 17:36 Quando il soggetto si sottomette volontariamente al legame con la verità, in un rapporto di conoscenza, quando cioè pretende, dopo essersi dato i fondamenti, gli strumenti, le giustificazioni, di fare un discorso di verità – a partire da qui, che cosa può dire a proposito, a favore o contro il potere che lo assoggetta senza che lui lo voglia? In altre parole, il legame volontario con la verità che cosa può dire sul legame involontario che ci fa aderire e ci piega al potere?.35 Insoddisfatto dai termini in cui è posta tale questione Foucault cerca quindi di capovolgerla: non si tratta di partire dalla garanzia di un diritto all’accesso alla verità, nè di presupporre prima di ogni altra cosa la sussistenza di un legame volontario e contrattuale con la verità, bensì di chiedersi innanzitutto: che cosa ha da dire la messa in questione sistematica, volontaria, teorica e pratica del potere riguardo al soggetto di conoscenza e al legame con la verità con cui egli si trova involontariamente annodato? Non si tratta più di dirsi: essendo dato il legame che mi lega volontariamente alla verità, che cosa posso dire del potere? Ma: essendo dati la mia volontà, decisione e sforzo di sciogliere il legame che mi lega al potere, che ne è allora del soggetto di conoscenza e della verità? Non è la critica delle rappresentazioni in termini di verità o di errore, in termini di verità o di falsità, in termini di ideologia o di scienza, di razionalità o di irrazionalità, che deve servire da indicatore per definire la legittimità del potere o per denunciare la sua illegittimità. È il movimento per liberarsi dal potere che deve fare da rivelatore delle trasformazioni del soggetto e del rapporto che questi mantiene con la verità.36 Si tratta di un passaggio molto rilevante che meriterebbe di certo delle analisi più approfondite che non possiamo 74 Foucault def.indd 74 06/02/15 17:36 tuttavia svolgere in questa sede. Quello che ci limitiamo a notare è che qui la soggettività viene messa in relazione a un atteggiamento critico che individua, nello stesso processo di assoggettamento a una verità, uno spazio di un intervento di sè su sè, una possibilità di trasformazione della soggettività attraverso questa soggettività stessa. Si tratta insomma di quel che, del resto, sarà al centro delle preoccupazioni etico-politiche delle ultime ricerche di Foucault. Da questa nuova prospettiva, a un’analisi in termini di ideologia, Foucault oppone lo studio dei regimi di trasformazione del rapporto che la soggettività intrattiene con la verità, e che è operato dalla stessa soggettività. La possibilità di questo governo di sè non è tuttavia ancorata a una dimensione solitaria della soggettività, ma ha luogo sempre in relazione a un universo sociale di riferimento in cui prendono senso tutti gli sforzi di elaborazione del sè. Dopo il passaggio appena riportato, Foucault adduce degli esempi per mostrare come un’analisi ideologica parte sempre da qualcosa che si dà come già costituito, originario, quasi naturale, ovvero che si dà come un universale (la follia, l’uomo), per poi domandarsi «a quali motivazioni e a quali condizioni obbedisce il sistema di rappresentazione che ha condotto a una pratica», come ad esempio quella della reclusione da Foucault ampiamente investigata37. Al contrario, un’analisi centrata sulla convinzione che il potere non sia necessario – una prospettiva che Foucault chiama «anarcheologia» – parte dalle pratiche e dal sapere messi storicamente in atto dal governo degli uomini e le considera nella loro contingenza e nella loro costitutiva fragilità, al di là di ogni universale che si potrebbe ideologicamente supporre alla base. Si tratta quindi di comprendere l’intelligibilità di questo potere a partire da ciò che a questo potere sfugge, da quel che Foucault chiama i suoi «punti di non-accettazione», per reperire infine delle 75 Foucault def.indd 75 06/02/15 17:36 tecnologie di potere piuttosto che un programma ideale e ideologico di riforma38. Al di là di questi esempi, l’attenzione alla trasformazione del rapporto con la verità che una soggettività può divenire in grado di produrre su stessa attraverso se stessa, costituisce il nuovo asse lungo il quale si assesta questa nuova formulazione della critica dell’ideologia anche nel Corso dell’anno successivo, intitolato non casualmente Subjectivitè et vèritè.39 Qui l’interesse di Foucault verso una storia della soggettività occidentale si sofferma su quello che viene considerato un punto di svolta decisivo. Si tratta dell’epoca dello stoicismo romano, quando si verifica una diffusione della pratiche matrimoniali e una fissazione di norme giuridiche molto rigorose relative alla vita di coppia (le spose acquisivano dei nuovi diritti e l’adulterio veniva pesantemente condannato). In questo quando Foucault si interroga su quale rapporto sussista tra i discorsi filosofici che prescrivevano l’osservanza di un determinato codice di comportamento se la realtà delle pratiche matrimoniali a cui queste prescrizioni si riferivano avevano già effettivamente luogo nella società. In altri termini, questo discorso prescrittivo non era forse «di troppo»?40 Alla luce di questa coincidenza tra prescrizione ed effettivo andamento della realtà, in che cosa consisterebbe il supplemento che il discorso apporta al reale attraverso il puro fatto della sua enunciazione? Nella lezione del 18 marzo 1981 Foucault passa in rassegna tre modalità di concepire questo rapporto tra i discorsi e le pratiche reali: «il raddoppiamento della rappresentazione», «la denegazione ideologica» e infine «la razionalizzazione universalizzante». Secondo la modalità della denegazione ideologica, il discorso filosofico sul matrimonio costituisce «l’elemento attraverso cui il reale non viene detto», 41 e la sua natura prescrittiva serve solo 76 Foucault def.indd 76 06/02/15 17:36 da giustificazione ideologica che occulta, che impedisce di cogliere, che «schiva», una realtà materiale sottostante. Quest’ultima sarebbe infine costituita dalla scomparsa delle strutture economico-politiche della polis e delle sue istituzioni familiari, per cui la perdita di potere e la mancanza di sicurezza che ne derivavano in seguito all’affermazione dell’Impero, avevano fatto sì che la vita coniugale si fosse costituita come l’unico rifugio possibile. Questa processo subirebbe nel discorso filosofico uno «spostamento verso l’idealità»,42 trasformando una pratica reale già esistente e causata da altri processi in un obbligo morale da prescrivere. Nondimeno, Foucault giunge a respingere questa prospettiva perchè in fondo il reale che verrebbe occultato, taciuto, dal discorso non è il reale di cui il discorso filosofico intende effettivamente parlare, ma «la causa che l’analisi ideologica attribuisce, retrospettivamente e ipoteticamente al reale». In questo senso, si presuppone che «sotto una forma capovolta, l’idea che l’esistenza di un discorso è sempre funzione del rapporto del discorso alla verità […], in rapporto a quel che sarebbe l’essenza, la funzione, la natura in qualche maniera originaria, autentica, del discorso fedele al suo essere, che è il discorso che dice il vero».43 Al posto di questo rinvio ideologico a una dimensione della realtà altra rispetto al discorso (per spiegarne a sua volta il rapporto che esso intrattiene con la realtà) Foucault mantiene che «il reale non contiene in esso stesso la ragione d’essere del discorso»,44 ovvero il fatto che tale realtà non ha per forza bisogno di un gioco di veridizione che si articoli con essa, che la determini secondo il gioco del vero e del falso. La verità si afferma come un evento, non sopraggiunge necessariamente per giustificare l’adeguamento di un discorso vero alla realtà. Da questo punto di vista la verità è sempre oggetto di ciò che Foucault chiama «una sorpresa epistemica».45 Per intraprendere quella che usan77 Foucault def.indd 77 06/02/15 17:36 do, un’altra espressione di Foucault, egli chiama «una storia politica della verità», ci si deve chiedere non se questo gioco di veridizione, questo discorso vero sia adeguato al, e necessitato dal, reale, bensì «quali effetti di obbligo, di costrizione, di incitazione, di limitazione sono stati suscitati dalla connessione di pratiche determinate con un gioco vero/falso, un regime di veridizione anch’esso specifico»? Bisogna infine chiedersi «a quali obblighi si trova legato il soggetto di questa pratica dal momento che la separazione (partage) del vero e del falso vi svolge un ruolo? A quale obbligo vero/falso si trova legato il soggetto di un discorso vero dal momento che si tratta di una pratica definita?».46 In un quadro più ampio, relativo alle lezioni finali di questo Corso, le tre modalità di concepire il rapporto tra discorsi e pratiche (di cui fa parte la «denegazione ideologica») sono opposte da Foucault al particolare statuto pratico-discorsivo che storicamente avevano assunto in epoca imperiale i cosiddetti aphrodisia rispetto alla condotta matrimoniale e sessuale. Ovvero si tratta delle technai peri ton bion, delle arti di vivere, ovvero quelle “tecniche” che prendono ad oggetto la vita, l’esistenza. 47 Tali tecniche sono pensate da Foucault come procedure regolate e riflesse volte a operare su un oggetto determinato un certo numero di trasformazioni in funzione di alcuni fini da raggiungere. Nella fattispecie esse si esercitano sul bios, ovvero sulla vita in quanto soggettività, esistenza irriducibile tanto alle proprie determinazioni biologiche, quanto a un qualsivoglia statuto sociale, a una professione o a un mestiere. Rispetto a una prospettiva ideologica e al modo di porre la questione “filosofico-politica” che abbiamo visto nel Corso del 1980, la prospettiva del modello antico di soggettivazione è invece animato da una ricerca continua e indefinita che mira alla padronanza di sè nelle mutevoli circostanze dell’esistenza individuale e collettiva. 78 Foucault def.indd 78 06/02/15 17:36 Di conseguenza, la sfera delle attività sessuali, nell’Antichità greco-romana, è inserita da Foucault in un campo di problematizzazione più ampio, nel quale la padronanza e il governo di sè diventano condizione impre-scindibile per l’esercizio del potere sugli altri, acquisendo dunque un valore politico.48 D’altronde, prendendo le mosse da queste analisi è possibile leggere in filigrana anche uno spostamento relativo alla nozione stessa di verità e ai suoi rapporti con la soggettività rispetto a quello che era implicito in un’analisi in termini ideologici. La verità legata alle tecniche di sè antiche non era infatti definita nè da una corrispondenza con la realtà, nè da qualcosa che si troverebbe nelle profondità della coscienza, in un’interiorità psicologica da decifrare incessantemente. La verità in questione riguardava piuttosto la forza e la radicalità grazie alle quali certi discorsi danno forma all’esistenza particolare di ciascuno.49 Il bios greco si presentava così come la superficie su cui la verità si manifesta (ed è chiamata a manifestarsi) secondo un rapporto tutto da costruire ed inventare, ma che costituiva nondimeno la cifra essenziale della stilizzazione etica e politica dell’esistenza nell’Antichità greco-romana che costituirà l’oggetto di analisi privilegiato negli ultimi tre Corsi di Foucault al Collège de France, in cui tuttavia la nozione ideologia non verrà più menzionata. 79 Foucault def.indd 79 06/02/15 17:36 Note M. Foucault, Du gouvernement des vivants. Cours au Collè-ge de France. 1979-1980, a cura di M. Senellart, EHESS-Gallimard-Seuil, Paris 2012, pp. 74-75; trad. it. Del governo dei viventi. Corso al Collège de France (1979-1980), a cura di D. Borca e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 2014, p. 83-84. 2 Cfr. solo a titolo di esempi: M. Foucault, «Le grand enfermement» (1972) in Dits et ècrits, Gallimard, Paris (1994), 2001, vol. I, pp. 1164-1174 (p. 1171); trad. it. «Il grande internamento», in M. Foucault, La società disciplinare, a cura di S. Vaccaro, Mimesis, Milano 2010, pp. 27-38 (p. 34); Id. «Sur la justice populaire. Dèbat avec les maos» (1972), in Dits et ècrits, op. cit., vol. I, pp. 1208-1237 (p. 1226 et passim) ; trad. it., «Sulla giustizia popolare. Dibattito con i maoisti» in M. Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, a cura di A. Fontana & P. Pasquino, pp. 71-106 (p. 93 et passim); Id. «Le jeu de Michel Foucault» (1977), in Dits et ècrits, op. cit., vol. I, pp. 298-329 (p. 324); trad. it., «Il gioco di Michel Foucault», in M. Foucault, Follia e psichiatria. Detti e scritti (1957-1984), a cura di D. Borca e V. Zini, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006; Id. The Subject and the Power, in H. Dreyfus & P. Rabinow, Michel Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, University of Chicago Press, Chicago 1982, ora in M. Foucault, Dits et ècrits, op. cit., vol. II, pp. 1041-1062 (p. 1046); trad. it. Il soggetto e il potere, in H. Dreyfus & P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, a cura di D. Benati, M. Bertani, I. Levrini, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p. 240. 3 Cfr. M. Foucault, Les mots et les choses. Une archèologie des sciences humaines, Gallimard, Paris 1966; trad. it. a cura di E. Panaitescu, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1967, p. 391 ; Id. L’archèologie du savoir, Gallimard, Paris 1969, p. 12 e pp. 240-243; trad. it. di G. Bo1 80 Foucault def.indd 80 06/02/15 17:36 gliolo, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1980, p. 8 e pp. 240-243. 4 Cfr. D. Lecourt, Pour une critique de l’èpistèmologie: Bachelard, Canguilhem, Foucault, Maspero, Paris 1974; J.-F. Braunstein, «Bachelard, Canguilhem, Foucault. Le “style français” en èpistèmologie», in P. Wagner (a cura di), Les philosophes et la science, Gallimard, Paris 2002, pp. 920-963; P. Cassous-Noguès & P. Gillot (a cura di), Le concept, le sujet, la science. Cavaillès, Canguilhem, Foucault, Vrin, Paris 2009; L. Paltrinieri, L’expèrience du concept. Michel Foucault entre èpistèmologie et histoire, Publications de la Sorbonne, Paris 2012. Per una panoramica generale sull’epistemologia storica francese si consultino i vari articoli che compongono il numero della rivista Discipline Filosofiche (2006/2) a cura di A. Cavazzini & A. Gualandi dedicato a «L’epistemologia storica e il trascendentale storico». 5 A questo riguardo si consideri anche la ripresa che Georges Canguilhem fece del concetto di ideologia, coniando il termine “ideologia scientifica”. Cfr. G. Canguilhem, «Qu’est-ce qu’une idèologie scientifique?» (1970) in Idèologie et rationalitè dans l’histoire des sciences de la vie, (1977), Vrin 2009, pp. 39-55; P. Macherey, «Canguilhem et le concept d’idèologie scientifique», Groupe d’ètude La philosophie au sens large (14/05/2008), consultabile online (http://stl.recherche.univ-lille3.fr/seminaires/ philosophie/macherey/macherey20072008/macherey14052008. html). 6 Cfr. L. Althusser, «Sur la dialectique matèrialiste» , in Pour Marx (1965), La Dècouverte , Paris 1996, pp. 161-205. 7 M. Foucault, L’archèologie du savoir, op. cit., p. 12 (trad. it., p. 8). 8 L. Althusser, Pour Marx, op. cit., p. 168 (trad. it., p. 146). 9 M. Foucault, Leçons sur la volontè de savoir. Cours au Collège de France. 1970-1971, a cura di D. Defert, Seuil/Gallimard, Paris 2011. In questo volume facciamo riferimento soprattutto alla «Leçon sur Nietzsche», tenuta alla McGill University di Mon- 81 Foucault def.indd 81 06/02/15 17:36 trèal nell’aprile del 1971. Vista la difficile ricostruzione del Corso del 1970-71, di cui non esistono registrazioni, ma solo manoscritti talvolta schematici e lacunosi, nella ricostruzione che dà D. Defert si suppone che il materiale di questa lezione sia stato utilizzato anche per il Corso al Collège de France. 10 Ibidem, pp. 206-207 e p. 213. Su tale questione si vedano anche le celebri conferenze pronunciate a Rio de Janeiro nel maggio del 1973: M. Foucault, «La vèritè et les formes juridiques», in Dits et ècrits, op. cit., vol. I, pp. 1406-1514 (in part. pp. 1420-21); trad. it. «La verità e le forme giuridiche», in Archivio Foucault 2. Poteri, saperi, strategie, a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 83-165. 11 Cfr. M. Foucault, Leçons sur la volontè de savoir, op. cit, p. 206. Foucault sostiene che si dovrebbe inoltre presupporre che vi sia una soggetto puro, libero da ogni determinazione che sia pronto ad accogliere, senza deformarla, la presenza dell’oggetto – sarebbe questa la forma dell’attenzione, che ritroviamo da Platone a Cartesio come evidenza. Analogamente, nello sviluppo che lega entrambi apparirebbe pure, sotto la forma della saggezza, l’esigenza pedagogica legata alla limitazione della volontà per far posto alla verità. 12 Ivi. Questa libertà articolerebbe così volontà e verità: 1) nell’hòmoiosis tò theò in Platone; 2) nel carattere intellegibile di Kant; 3) nell’apertura dell’Essere in Heidegger (L’Essenza della verità). 13 Ibidem, p. 207. 14 L. Althusser, «Idèologie et appareils idèologiques d’Ètat» (1970), in Positions, Èd. Sociales, Paris 1976, pp. 67-125; trad. it., «Ideologie e apparati ideologici di Stato», in Critica marxista, settembre-ottobre 1970, pp. 23-65. 15 M. Foucault, La sociètè punitive. Cours au Collège de France. 1972-1973, a cura di B.E. Harcourt, Seuil/Gallimard, Paris 2013, pp. 231-237. 16 Cfr. B. E. Harcourt, «Situation du cours», in M. Foucault, La 82 Foucault def.indd 82 06/02/15 17:36 sociètè punitive, op. cit., pp. 281-282 e pp. 300-302. 17 M. Foucault, La sociètè punitive, op. cit., p. 234. 18 Ivi. Su questo punto cfr. anche P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx, Ombre Corte, Verona 2013. 19 Cfr. M. Foucault, La sociètè punitive, op. cit., pp. 236-237. 20 Rispetto a questo corso tralasciamo la discussione sull’apparizione del criminale in quanto nemico della società, che appare nei celebri articoli che il giovane Marx pubblica nel 1842 sulla Gazzetta renana sulla legge relativa al furto di legna nella Slesia e per cui questa legge sarebbe un prodotto «dell’ideologia giuridica borghese», in quanto vedremo come questo aspetto fa riferimento a una concezione di ideologa più simile a una “visione del mondo”, che Foucault criticherà più ampiamente nei suoi Corsi successivi. Su questo punto si veda la nota 5 a p. 76 di La sociètè punitive a opera di Bernard Harcourt, così come la correlazione dell’«effetto teorico-politico» di cui parla Foucault con le analisi di Althusser di questi stessi scritti del giovane Marx svolte in termini di «lotta ideologico-politica», correlazione che Harcourt ricostruisce nella «Situation du cours», (pp. 296-298). 21 M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique. Cours au Collège de France. 1973-1974, a cura di J. Lagrange, Seuil/Gallimard, Paris 2003, pp. 17-18; trad. it. Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), a cura di M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2004, p. 28. 22 Ibidem, p. 42 (trad. it. p. 48). 23 Cfr. L. Althusser, «Idèologie et appareils idèologiques d’Ètat», op. cit., p. 110 et sgg. (trad. it., p. 54 et sgg.). In questo senso, negli stessi anni, Foucault fa riferimento anche al super-io freudiano. Cfr. M. Foucault, «Asiles. Sexualitè. Prisons» (1975), in Dits et ècrits, op. cit., vol. I, pp. 1639-1650 (in part. p. 1640) ; trad. it. «Asili. Sessualità. Prigioni», in Archivio Foucault 2, op. cit., pp. 174-186 (p. 175). 24 M. Foucault, «Il faut dèfendre la sociètè». Cours au Collège de France. 1976, a cura di M. Bertani & A. Fontana, Paris, Seuil/ 83 Foucault def.indd 83 06/02/15 17:36 Gallimard, 1997, p. 30 ; trad. it., “Bisogna difendere la società”, a cura di M. Bertani & A. Fontana, Feltrinelli, Milano 1998, p. 36. 25 Ibidem, p. 169 (trad. it. p. 164). 26 Ibidem, p. 230 (trad. it. p. 223). 27 M. Foucault, Sècuritè, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, a cura di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004, pp. 49-50; trad. it., Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), a cura di P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2005, p. 48. 28 Ivi. 29 M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, a cura di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004, p. 37; trad. it., La nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), a cura di M. Bertani & V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005, p. 42. 30 Ibidem, p. 37 (trad. it. p. 43). 31 Ivi. Foucault fa quindi l’esempio della follia: «guardate come è oppressiva la psichiatria, dato che è falsa; e neppure nel dire, con una formulazione più sofisticata; guardate com’è oppressiva dato che è vera. Si tratterebbe, piuttosto, di riconoscere che il problema e rendere visibili le condizioni che si sono dovute osservare per poter tenere sulla follia – ma sarebbe lo stesso per la delinquenza, per il sesso ecc. – dei discorsi la cui eventuale verità o 32 M. Foucault, Du gouvernement des vivants, op. cit., p. 79 (trad. it. p. 89). 33 Cfr. Ibidem, pp. 73-74 (trad. it. p. 83). 34 Cfr. Ibidem, p. 74 (trad. it. p. 83). 35 Ibidem, p. 75 (trad. it. p. 84). 36 Ibidem, pp. 75-76(trad. it. pp. 85). 37 Cfr. Ibidem, p. 78 (trad. it. p. 87). 38 Cfr. Ivi 39 Cfr. M. Foucault, Subjectivitè et vèritè. Cours au Collège de France. 1980-1981, a cura di F. Gros, EHESS/Seuil/Gallimard, 84 Foucault def.indd 84 06/02/15 17:36 Paris 2014. 40 Su questo punto cfr. anche F. Gros, «Soggetto morale e sè etico in Foucault», in Foucault e la genealogia del dir-vero, a cura di L. Cremonesi, O. Irrera, D. Lorenzini, M. Tazzioli, Napoli, Cronopio 2014, pp. 17-31. 41 M. Foucault, Subjectivitè et vèritè, op. cit., p. 242 42 Ibidem, p. 243. 43 Ibidem, p. 244. 44 Ibidem, p. 237. 45 Ibidem, p. 238. 46 Ibidem, p. 239. 47 Cfr. Ibidem, p. 253. 48 Cfr. Ibidem, pp. 280-293. 49 Su questo punto cfr. L. Cremonesi, A. I. Davidson, O. Irrera, D. Lorenzini, M. Tazzioli «Da dove viene il sè? La forza del dir-vero e l’origine dell’ermeneutica del sè», in aut aut, n. 362, aprile-giugno 2014, pp. 116-133; O. Irrera, «La verità come forza. Dir-vero, potere e soggettività nell’ultimo Foucault», in Foucault e la genealogia del dir-vero, op. cit., pp. 33-57. 85 Foucault def.indd 85 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 86 06/02/15 17:36 INTERRUZIONI DI CONFINE MICHEL FOUCAULT E SOGGETTIVAZIONI AGIURIDICHE . NEGLI SPAZI DEL PRESENTE Martina Tazzioli In Theatrum Philosophicum, prefazione scritta nel 1970 al libro di Gilles Deleuze, Differenza e Ripetizione, Foucault si interroga su come possa costruirsi un pensiero acategoriale, che non riduca il gioco delle differenze al medesimo. “La differenza”, infatti, glossa Foucault, “la si analizza solitamente come differenza di qualcosa o in qualcosa”, finendo in tal modo per “assegnarle un luogo, delimitarla, e dunque dominarla” (Foucault, 1970: 955). E in effetti il percorso filosofico di Foucault è dominato dal tentativo di pensare, ma soprattutto reperire, le differenze (sempre al plurale) non come uno scarto, una mancanza o un evento che si produce rispetto all’unicità della narrazione storica ma, al contrario, come momenti costitutivi di quell’unità di esperienze e tecnologie discorsive e non discorsive di potere che compongono a posteriori una trama storica coerente e continua. La differenza, dunque, come principio di funzionamento e di intelligiblità non solo delle trasformazioni ma del procedere storico stesso. Da questo punto di vista la categoria di ‘interruzionÈ permette in parte di dislocare il problema, e di porre l’enjeu della differenza dissovendo fino in fondo l’immagine-ombra della continuità storica e situarla invece attorno al funzionamento del potere: l’interruzione ci rimanda immediatamente a un corto-circuito, all’immagine di un arresto/sospensione o di un eccesso rispetto ai meccanismi di cattura e di controllo. 87 Foucault def.indd 87 06/02/15 17:36 Ora, nonostante Foucault ricorra piú volte al termine ‘interruzione’, soprattutto per specificare la sua accezione di evento, è altrettanto importante sottolineare che non si tratta certamente di una nozione esplicitamente e accuratamente messa al lavoro da Foucault. Anche se restringiamo il campo alla sola filosofia politica, sono infatti altri i filosofi le cui analisi immediatamente associamo a questa categorie, tra cui Jacques Rancière e Judith Butler.1 E infatti sarà proprio nel confronto con questi due autori che qui cercherò di far dialogare alcuni dei testi focaultiani. Tuttavia, l’interruzione, in realtà assunta qui piú come movimento (di inceppamento, di dislocazione) rispetto ai meccanismi di potere che non come categoria analitica, può funzionare come ‘valore operativo per rileggere l’elaborazione foucaultiana sulla duplicità costitutiva del divenire soggetto (processi di assoggettamento e processi di soggettivazione) e la politicità degli spazi, ovvero la produzione di spazi politici. Detto altrimenti, se ‘interruzione’ non è la parola tramite cui Foucault descrive la produzione di spazi e soggetti, ciò non toglie che essa – presa nella complessità del suo campo semantico e nella molteplicità dei suoi significati teorico-politici – possa essere mobilitata e fatta giocare per rintracciare la specificità movimenti di scomposizione e produzione di soggettività che emergono da determinate configurazioni di poteri e resistenze. Per questo, l’interruzione qui non sarà per lo piú riferita all’analisi e all’uso della storia effettuato da Foucault, e brevemente sopra citato, bensì alle differenti forme di produzione di soggettività, esplicitamente trattate da Foucault, e alle immagini di spazi politici che implicitamente sostengono l’analisi foucaultiana. In piú, bisogna aggiungere, la peculiarità di rileggere alcune scene di poteri-resistenze raccontate da Foucault ricorrendo all’interruzione, sta soprattutto nella duplici88 Foucault def.indd 88 06/02/15 17:36 tà della qualificazione che segue: ‘di confine’. L’espressione ‘interruzioni di confinÈ segnala infatti la direzione e lo spazio dell’insistere del movimento dell’interruzione. I confini come meccanismi che in quanto tali funzionano attraverso interruzioni (producendo interruzioni e differenziazioni nello spazio); ma i confini e gli spazi di confinamento vengono a loro volta interrotti, sospesi, fatti girare a vuoto o aggirati da corpi, condotte e movimenti. Tuttavia, la puntualità dell’interruzione (rintracciata anche in molte descrizioni di Foucault sulle condotte resistenti) epistemologico-discorsiva o dei meccanismi di cattura non si risolve, nel lavoro di Foucault, in insorgenze momentanee o nella temporalità dell’evento. Al contrario, è a partire da alcuni movimenti di interruzione che si aprono eventualmente nuovi spazi di soggettivazione: la rottura di un meccanismo di potere trasforma lo spazio interno e ne ridefinisce i confini mettendo dunque in atto forme relazionali (“nouvelles relationalitès”, Foucault, 1982) prima non previste nè possibili all’interno di quel regime di verità. E l’interruzione puntuale può a sua volta demoltiplicarsi, disseminarsi in altri spazi o divenire immediatamente una resistenza o una disidentificazione collettiva. In fondo, l’interruzione come momento evenemenziale viene comunque declinata da Foucault in termini di “un rapporto di forza che si inventa, un potere confiscato”; e dunque “l’emergenza”, afferma Foucault, “designa sempre un luogo di affrontamento” (Foucault, 1978). Condotte di non verità Nei Corsi al Collège de France della prima metà degli anni Settanta, e in particolare ne Il potere psichiatrico ci troviamo di fronte a un potere che procede per interruzioni, ridefinendo e traducendo comportamenti eccedenti 89 Foucault def.indd 89 06/02/15 17:36 rispetto ai disciplinamenti che li hanno prodotti. Un’interruzione che avviene attraverso la produzione di nuovi profili governabili o ingovernabili. Il confine, si potrebbe dire, in questo caso insegue i soggetti. Epingler, brancher, sono i verbi utilizzati che ricorrono nei Corsi ne Il potere psichiatrico e Gli anormali per definire il tipo di “presa” sui corpi e sulle condotte. È in effetti in termini di presa, mi sembra, che si caratterizza il funzionamento del potere descritto in questi due Corsi e anche, aggiungo, nel Corso del 1973, La sociètè punitive. La presa organizzata da questo potere consiste nella ridefinizione del campo di condotte normali/anormali, illegalismi tollerabili/non tollerabili che squalificano o ricodificano determinati comportamenti e movimenti, trasformandoli in altre condotte e identità. Ma sono precisamente i contro-effetti, o meglio gli effetti eccedenti di queste condotte che producono nuove interruzioni di confine, epistemologiche e nosologiche prima di tutto, e dunque immediatamente di governo e disciplina delle condotte. Di fatti, come Foucault sottolinea nella Lezione del 12 dicembre 1973, le categorie nosologiche non vengono usate in psichiatria «in qualità di strumento di classificazione riferita alla curabilità delle persone”, non sono legate a nessuna prescrizione terapeutica bensì servono “unicamente a definire la possibile utilizzazione degli individui» (Foucault, 2013, p.123). I posseduti e le isteriche, di cui Foucault parla rispettivamente ne Gli anormali e ne Il potere psichiatrico mettono in scena precisamente il “limite e il punto di inversione” piú visibili, come li definisce Foucault, di quel regime di sapere/potere di cui sono al contempo l’oggetto privilegiato di intervento e il punto ultimo, il confine che sfugge a un partage definito. Da un lato, la moltiplicazione di sintomi delle isteriche di fronte a un potere psichiatrico ridefinito attorno al problema della simulazione; e dall’al90 Foucault def.indd 90 06/02/15 17:36 tro il corpo convulsivo dei posseduti con l’emergenza della sessualità come campo delle anormalità, fanno sì che le tecniche di disciplinamento si trovino a dover “contre-carrer” i loro stessi contro-effetti: si tratta di «possedere la direzione della carne senza che il corpo obietti questa direzione, questo fenomeno di resistenza, di contro-potere» (Foucault, 1999, p. 203) e facendo apparire «al di sotto del corpo neurologico in apparenza catturato [...] un nuovo corpo, il corpo sessuale» (Foucault, 2004: 280). Un potere, dunque, che opera essenzialmente producendo e introducendo divisioni, frammentando e poi ricomponendo entro un determinato regime di saperi-poteri che rende quelle condotte oggetto di sapere e dunque di possibile presa: «ci si è messi a domandare alla psichiatria di fornire [...] un discriminante psichiatrico-politico tra gli individui, tra i gruppi» (Foucault, 1999, 141). Ma tra i due esempi riportati qualcosa accade nel mezzo, tra i due Corsi, che ridefinisce in parte anche il significato dell’interruzione di confine: l’ingresso del governo come razionalità e tecnologia di potere che costituisce «l’altro lato delle strutture giuridiche e politiche della rappresentazione ed è condizione del loro fuzionamento e della loro efficacia» (Foucault, 1999: 49). Nel Corso del 1973-1974, nonostante con il tema della direzione e con la definizione del potere psichiatrico come “agente normalizzatore” Foucault introduca il problema del disciplinamento delle condotte, questo non si trova esplicitamente inscritto nella cornice del governo. In altre parole, è solo nelle Lezioni dell’anno successivo che la psichiatria viene definita come “scienza e tecnologia degli anormali” e che la norma diventa il principio regolativo e di distribuzione delle condotte indocili. Le tecniche di normalizzazione non funzionano qui semplicemente ripartendo e distribuendo corpi; piuttosto, esse definiscono l’emergenza di 91 Foucault def.indd 91 06/02/15 17:36 un soggetto che non è quello di diritto (il soggetto legalmente responsabile) ma che ha nella figura dell’individuo pericoloso la sua figura soggettiva attorno a cui si struttura il campo delle altre anormalità psicologiche e delle irregolarità di condotta. Per questo, l’interruzione di confine si trova ora a fare i conti con quella partizione tra normale e anormale che non può essere aggirata semplicemente spostandosi su uno dei due poli – ovvero, mettendo in atto una condotta ‘anormale’. Infatti, Foucault sottolinea come la produzione di anormalità sia in realtà frutto della medicalizzazione, e dunque della patologizzazione, delle condotte. Non solo, dalla prospettiva di una tecnologia di potere positiva, come quella descritta da Foucault ne Gli anormali, le condotte ‘anormali’ sono lungi dal disturbare il disciplinamento di corpi e movimenti, o dal restare fuori dalla presa del potere: al contrario, esse fanno del tutto parte di un meccanismo di potere teso a capitalizzare e lavorare sulla distribuzione differenziale delle condotte e delle anormalità. Non piú, peraltro, l’anormalità della monomania, del crimine senza giustificazione, ma la “malattia del disordine”, tale per cui «l’incontro tra crimine e follia non sarà piú per la psichiatria un caso limite ma il caso regolare» (Foucault, 1999, p. 151). L’interruzione dunque, potrà prodursi rispetto al concatenamento di categorie che definiscono un campo di normalizzazione, in cui il continuum di (possibili) anormalità prevale sull’opposizione binaria normale/anormale. In questo senso, di fronte all’ordinarietà e alla continuità del lavoro della norma, il problema diventa precisamente quale disordine non patologico (o patologizzabile), e dunque non immediatamente riconducibile all’interno della produzione e del governo di anormalità, può attivarsi. L’interruzione di confine, in fondo, viene a coincidere con la non-decidibilità (e non intelligibilità) di alcune condotte e 92 Foucault def.indd 92 06/02/15 17:36 movimenti: per eccedenza rispetto al campo di anormalità previsto – come nel caso dei posseduti o del fenomeno della stregoneria riportati da Foucault – oppure quando si introduce uno scarto tra le due funzioni della norma, ovvero la norma come regola di condotta e la norma come regolarità funzionale. In altre parole, quando la regolarità/irregolarità funzionale non ha piú una corrispondenza effettiva con comportamenti e condotte che agiscono negli spazi infraliminari della regolarità della norma: come Foucault indica ne La sociètè punitive, le forme di mobilità non autorizzate riescono a mettere sotto scacco i meccanismi disciplinari e produttivi fino a che non si riproduce una cattura all’interno dei confini del tutto mobili della categoria di “individuo pericoloso” (Foucault, 2013). Cosa di preciso riesce (in parte) a sfuggire al couplage del discorso medico e di quello giuridico e a rimandarne la cattura? Da un lato, in tutti e tre i Corsi qui citati – La societe punitive, Il potere psichiatrico, Gli anormali – sono i contro-effetti e le eccedenze stesse che quel potere produce, ovvero gli illegalismi che rinforza disciplinandone altri, che portano il potere a dover come rincorrere, e produrre continuamente nuove interruzioni – «quando si cerca di dominare uno di questi illegalismi si è portati a rafforzare l’altro; di fatti, tutti i controlli attraverso cui si tenta di sorvegliare le popolazioni, di frenare la depredazione, producono un’accelerazione del processo di mobilità» (Foucault, 2013, p. 195). Dall’altro, è la dimensione collettiva di molte di queste irregolarità di condotta che Foucault rinviene come una costante e che affiora, attraverso una sorta di imitazione contagiosa oltre l’iniziale tete-à-tete tra gli apparati di disciplinamento e i singoli corpi, le singole condotte – la lotta delle isteriche, le forme collettive di rifiuto del lavoro, la stregoneria. La ricodificazione di tali condotte come fenomeno patologico o opposizione alla verità medico-giuridica del potere 93 Foucault def.indd 93 06/02/15 17:36 disciplinare viene così evitata in favore di una lettura che politicizza comportamenti e forme di mobilità, presentandole all’interno di un affrontement, di una battaglia, in cui corpi, tecniche di disciplinamento, saperi di normalizzazione e soggettività devono costantemente riposizionarsi e trovare nuove interruzioni per sottrarsi alla presa del potere o ridefinire le strategie di cattura. In tal modo, proprio in quei Corsi dove alcune analisi critiche individuano una concezione speculare di poteri e resistenze, in realtà Foucault ci spinge a una costante dislocazione dello sguardo e della prospettiva di analisi sulle e delle relazioni di potere: infatti, pur sottolineando l’essere necessariamente prodotti dal potere di soggetti e condotte – produzione sempre tuttavia da assumere nella duplice accezione di produzione di soggetti/soggetti produttivi – le pratiche di rifiuto e le condotte indisciplinate sono certamente resistenze a determinati meccanismi di presa sulle vite ma al contempo, interrompendo tali meccanismi, mettono in atto comportamenti, individuali e collettivi, che costringono il potere a ridefinire nuovi principi e tecniche di esclusione, partage, disciplinamento. Interruzioni-resistenze dunque, da inseguire attentamente negli effettivi spazi che creano e nelle forme di desoggettivazione collettiva e di risoggettivazione che agiscono, di fronte a cui il potere non può che rincorrere tracciando nuovi confini. Pratiche di libertà, insieme e oltre che resistenze: l’analisi di Foucault permette precisamente questo spostamento, questa inversione dello sguardo – condotte e movimenti che constringono il potere a una costante ricomposizione, e a trovare nuove interruzioni – che in realtà non sono mai effettuate una volta per tutte, ma al contrario riproposte a piú riprese nei tre Corsi; proprio a sottolineare lo spazio di affrontement in cui si dispiegano, e a indicarci che quelle pratiche di libertà devono costan94 Foucault def.indd 94 06/02/15 17:36 temente rinnovarsi di fronte a meccanismi di cattura che le rincorrono tracciando nuovi partage epistemologici, medici e giuridici. Tuttavia, come sopra accennato, ne Il potere psichiatrico dove la nozione di governo non ha ancora fatto il suo ingresso, questo affrontement tra le interruzioni dei soggetti psichiatrizzati e quelle prodotte dal sapere psichiatrico si dispiega come confronto binario tra quello che Foucault definisce il surplus del potere del medico e il surplus del potere del paziente. Innanzitutto merita sottolineare che la produzione di anormalità è qui ancora descritta attraverso meccanismi di esclusione. O meglio, i meccanismi disciplinari vengono presentati alla luce di un potere che integra, sfrutta, organizza e trae profitto dalla produzione di anormalità, ma al tempo stesso in quanto meccanismi normalizzatori «producono necessariamente, i loro confini e attraverso l’esclusione, anormalità e illegalità residuali» (Foucault, 2004, p. 110). In questo contesto, il lavoro della norma consiste essenzialmente nel fissare e fare aderire la “funzione-soggetto” esattamente alla sua singolarità somatica: «il potere disciplinare è individualizzante perchè modula la funzione-soggetto alla singolarità somatica” e “stabilisce la norma come principio di ripartizione» (Foucault, 2004, p. 64). L’interruzione si produce e viene contesa al livello del principio di realtà verso cui il medico direziona il gioco di verità: al fine che la realtà abbia una presa totale sul paziente, il medico lo costringe in un ordine di linguaggio che tuttavia non è il linguaggio come portatore di verità ma il linguaggio nel suo uso imperativo. La psichiatria sposta la questione della verità dal partage tra vero e falso all’esercizio di un supplemento di potere sulla realtà, necessario a trasformare l’errore del delirio in principio di realtà effettivo a cui il malato deve aderire – «la verità biografica su cui lo si interroga [...] non è la verità 95 Foucault def.indd 95 06/02/15 17:36 che egli potrebbe raccontare su di sè, non è quella della sua esperienza vissuta, bensì quella che gli viene imposta sotto una forma canonica [...] è tutto questo corpus dell’identità che il malato dovrà alla fine ammettere» (Foucault, 2004, p. 154). La verità, in questo caso, consiste dunque nell’appropriarsi del potere di definire quella “realtà amministrativa e medica” a cui si chiede al folle di aderire, destituendolo la follia dell’autorità di parlare in proprio nome. L’interruzione del supplemento di realtà esercitato nello spazio dell’asilo non può dunque prodursi al livello del linguaggio o del discorso, dal momento che “il delirio delle nominazioni” viene facilmente ricodificato e disciplinato dal sapere medico-giuridico. In effetti, sembra precisamente nello scarto tra produzione categoriale e regime del discorso da un lato e spazio dell’affrontement tra condotte indocili e potere disciplinare dall’altro che si aprono i margini per la presa del potere e per la sua inversione, per le interruzioni di confine. È su questo scarto che insiste Foucault sottolineando come «la pratica psichiatrica non abbia mai messo in opera il sapere o il quasi-sapere che si stava accumulando» (il discorso nosologico e quello anatomo-patologico) imponendosi essa stessa come detentrice dei criteri di verità e dunque delle capacità di presa sulla follia. È piuttosto il folle a porre come ineludibile il problema della verità alla psichiatria. 2 Che tipo di verità? Non certo quella delle ‘vere’ categorie nosologiche, nè la verità della follia in quanto tale ma quel gioco stesso di verità e menzogna che coincide con una manifestazione dei sintomi che di per sè sfugge all’imposizione del “potere di realtà” del sapere/potere psichiatrico (Foucault, 2004). Infatti è attraverso la categorizzazione di anormalità e tramite la ridefinzione del campo discorsivo sulla follia che il potere psichiatrico ricodifica e neutralizza lotte come la “grande insurrezione simulatrice”. Le lotte 96 Foucault def.indd 96 06/02/15 17:36 anti-psichiatriche ma non solo: si potrebbe dire che tutte le condotte eccedenti raccontate da Foucault nei tre Corsi sfuggono (parzialmente) alla presa del potere costringendo questo a reinventarsi precisamente corto-circuitando l’ordine del discorso e mettendo in atto comportamenti e movimenti discordanti rispetto a ogni partizione nosologica. Soggettivazione agiuridiche Il governo come tecnologia di potere, abbiamo detto, emerge nella riflessione di Foucault nel Corso Gli anormali, dunque ben prima di Sicurezza, territorio, popolazione. E tuttavia il Corso del 1978-1979 segnala un tournant importante nella produzione foucaultiana: il governo diventa la matrice attraverso cui vengono ripensate le relazioni di potere, l’oggetto popolazione fa il suo ingresso come correlato delle tecnologie di governo, e l’analisi sul potere viene ridefinita a partire dall’asse governo di sè-governo degli altri. Ma soffermarci sugli slittamenti prodotti dal campo semantico del governo ci porterebbe qui fuori strada; mentre ciò che ci interessa per proseguire lungo il filo conduttore delle interruzioni di confine è il definitivo superamento di ogni binarismo (tra inclusione/esclusione, tra verità/non verità) e la riformulazione dell’affrontement tra meccanismi di cattura e saperi normalizzatori da un lato, e condotte e corpi dall’altro alla luce di ciò che Foucault definisce un “regime di verità”. La battaglia dei corpi indocili e le “contro-manovre” dei soggetti psichiatrizzati fanno posto a resistenze di condotta, o meglio contro-condotte, che non agiscono in opposizione al “dettar legge alla follia” da parte del sapere/potere medico, o fronteggiandolo a colpi di (non)verità – la ‘verità’ dei sintomi delle isteriche o dei posseduti, che eccedono il quadro diagnostico previsto – o, infine, facendo leva sui contro-effetti di quelle stesse 97 Foucault def.indd 97 06/02/15 17:36 tecnologie di potere rendendo (temporaneamente) impossibile la loro decifrazione entro il campo delle anormalità. Piuttosto, le insurrezioni di condotta descritte da Foucault si giocano del tutto all’interno di un regime di veridizione che viene da loro piegato e reinvestito, dopo averlo (e per il fatto di averlo) assunto fino in fondo, secondo un’economia differente di (auto) conduzione. Si potrebbe dire che di fatto non vi è propriamente interruzione di confine ma, eventualmente, si tratta di pratiche ed “elementi di confine”, per il fatto «che sono stati costantemente riutilizzati, re-impiantati e portati in una o in un’altra direzione [...] nella misura in cui cadono all’interno, in modo marginale, dell’orizzonte del cristianesimo» (Foucault, 2005). Ma l’aspetto su cui vorrei a questo punto spostare l’attenzione riguarda la dimensione non-giuridica delle condotte, o meglio sul loro eccedere e debordare rispetto al piano della legge e del diritto (Davidson, 2011). L’insistenza sulla “specificità non-autonoma”3 delle rivolte di condotta – in quanto rivolte contro le pratiche di direzione – ci riconduce all’apparire di forme di soggettività non riconducibili al modello del soggetto di diritto, di cui Foucault già ci aveva parlato ne Gli anormali e ne Il potere psichiatrico. Senza voler equiparare le forme di soggettività descritte nei Corsi sopra citati con quelle che emergono con l’introduzione alla fine degli anni Settanta dell’asse governo di sè-governo degli altri, tuttavia la dimensione marcatamente agiuridica dei duplici processi di soggettivazione/assoggettamento può essere individuata come elemento costante all’interno dell’opera di Foucault e, aggiungo, del modo di pensare e leggere le interruzioni di confine. È proprio a partire da questo aspetto che un confronto con i lavori Judith Butler e di Jacques Rancière rispetto al momento dell’interruzione acquista una particolare rilevanza teorico-politica. 98 Foucault def.indd 98 06/02/15 17:36 Per cominciare e, in un certo senso, attualizzare le riflessioni foucaultiane sulle pratiche di soggettivazione e di resistenza, si possono prendere in esame le analisi degli anni Ottanta di Foucault, realizzate per lo piú nelle interviste, relative ai movimenti gay e femministi. Infatti, in quel contesto la dimensione agiuridica delle resistenze che si oppongono a un determinato regime di governo sulle vite si coniuga in maniera molto visibile con la messa in atto e l’invenzione di pratiche di esistenza immediatamente collettive e che non sono del tutto e subito patologizzabili o catturabili entro il continuum delle anormalità. Interruzioni di confine, dunque, che nel sottrarsi e sganciarsi rispetto a determinati meccanismi di soggettivazione e identificazione (desoggetivazione), sono al tempo stesso produttrici e moltiplicatrici di altri spazi di soggettivazione. Non solo, in questi scritti si ritrovano indicazioni importanti rispetto al modo in cui le categorie – con cui veniamo detti dal potere –possono essere (strategicamente) interrotte. In un’intervista del 1982, per individuare i modi in cui i partages categoriali vengono aggirati e rigiocati dai soggetti, Foucault ci invita infatti a dislocare lo sguardo dalle categorie stesse e dalle rivendicazioni di diritti ai modi di vita che sono nati da alcuni movimenti gay e femministi. Senza sottovalutare l’uso strategico del diritto – e anzi proponendo l’idea di un “diritto relazionale” da costruire oltre i confini del giuridico – Foucault sottolinea che gli spazi che si aprono per pratiche di libertà rispetto all’assegnazione di identità da parte del potere devono far leva sull’impossibilità di stabilizzarsi all’interno di una posizione soggettiva fissa, qualunque essa sia: si tratta infatti di far giocare le molteplici identificazioni e categorie tramite cui contemporaneamente siamo detti e governati dai discorsi di verità (Foucault, 1982). «Non ci si può mai stabilizzare in una posizione [...] bisogna definire secondo i momenti l’uso che se ne fa», 99 Foucault def.indd 99 06/02/15 17:36 ricorda Foucault, segnando in tal modo una distanza abbastanza marcata rispetto a quelle analisi teoriche che fanno del posizionamento del soggetto il punto di appoggio fondamentale per pratiche di agency. L’assunzione (strategica) di categorie non può che restare ambivalente, ragion per cui quanto provare a distaccarsene – con movimenti collettivi di disidentificazione - o invece a rigiocarle creando nuove “sottoculture” non identitarie (Foucault, 1982) non potrà che essere il frutto di una diagnostica del presente che parte dalle “pieghe” del potere specifiche in cui ci troviamo presi.4 In questo senso, correggendo in parte quanto affermato sopra sulla difficoltà a reperire l’interruzione di confine nel momento in cui il paradigma diventa quello di governo, con Foucault possiamo dire che l’interruzione non si produce tanto al livello del contenuto – di una categoria o di un regime discorsivo – quanto rispetto al regime di verità che regge insieme differenti affermazioni: l’interruzione di confine sarà dunque in questo caso anche sempre una ridefinizione e un’interruzione dei confini di quel regime piú che della singola attribuzione identitaria o principio normativo. Ci cominciamo dunque ad avvicinare al del tema della trasformazione e di come produrla che è al centro dei due scritti di Foucault sull’Aufklarung, ma prima di quello segnalano un punto importante rispetto alla relazione tra soggetto, norma e legge. Ovvero, le interruzioni del regime di verità e dunque di presa sulle condotte non possono che avvenire se la dimensione giuridica viene spodestata, affiancata e soprattutto ecceduta da pratiche di resistenza e forme di vita che non interrompono quel concatenamento del potere indirizzandosi a esso, rivendicando diritti; piuttosto, anche nel loro eventuale rivendicare e chiedere ciò che si produce – gli spazi che si aprono dall’interruzione – sono modalità differenti di costituirsi come soggetti rispet100 Foucault def.indd 100 06/02/15 17:36 to al modo con cui le categorie del potere solitamente operano, stabilendo per l’appunto ciò che Foucault definisce il prezzo da pagare per divenir soggetto (Foucault, 1997). Le interruzioni (di confine) praticate dai movimenti gay e femministi ripresi da Foucault aprono a modalità di soggettivazione che non emergono da una failure della norma nel suo processo di reiterazione, come invece emerge nelle analisi di Butler sulla possibilità di sovversione delle norme per la loro costitutiva fallibilità. Nè sono movimenti che rispondono in maniera isomorfa alla categoria che definisce i confini dell’identità omosessuale o della sessualità femminile: al contrario, questi movimenti hanno messo in gioco una forza centrifuga rispetto alla sessualità, rifiutando di ridurre l’esistenza omosessuale o le rivendicazioni femministe «a una pratica sessuale o a un’altra, ma rivendicavano la possibilità di rapporti interindividuali, sociali, di forme di esistenza e di scelte di vita che debordavano nettamente la sessualità» (Foucault, 1977). La sessualità, da principio di verità in cui vengono confinate e codificate le pratiche di esistenza femministe e omosessuali diventa una “base tattica” per andare «ben piú lontano (di quella), domandare molto di piú ed esplodere a un livello piú generale» (Foucault, 1977). Foucault non parte mai dall’esistenza della norma, non la pone come principio ontogenetico ma, come sopra ricordato, come principio di regolazione e di partage. Al contrario, si potrebbe dire che il sapere/potere di disciplinamento sui corpi è, in ottica foucaultiana, sempre costretto a reinventare una norma, a ridefinirne gli spazi di “presa” e i margini del proprio fuori. Piú che partire dunque dall’orizzonte delle norme e individuare le strategie per una loro sovversione, la norma è il meccanismo di cattura e partage di fronte a comportamenti e pratiche (di mobilità) che rispondono all’intollerabilità di un potere – non il potere sovrano o il potere delle 101 Foucault def.indd 101 06/02/15 17:36 categorie di inscrivere identità nei corpi, ma il potere del tutto tangibile della presa governamentale sulle vite. Se la norma è principio di regolazione disciplinare e funzionale, la sua correlazione con la legge non è prioritaria: al contrario, come Foucault sottolinea in L’estensione sociale della norma, i meccanismi di normalizzazione operano un incessante raddoppiamento (doubling) delle soggettività producendo nuove categorie giuridiche o condotte medicalizzate (Foucault, 1976). Del resto, il “lavoro della norma nell’anomia” e la produzione di un continuum di anormalità fa sì che in Foucault le condotte patologiche o anormali non siano il “fuori”, un margine di esclusione necessario, rispetto a cui il soggetto-cittadino si costituisce e diventa possibile. L’interruzione – anzi, la sovversione della norma – per Butler mira invece a mettere in discussione “il fuori costitutivo del dominio del soggetto”: «la matrice esclusiva attraverso cui i soggetti sono costituiti richiede la produzione simultanea di essere abietti.» (Butler, 1993, p. 3). È da questi due sguardi differenti sulla norma che si delineano anche due prospettive etico-politiche in parte divergenti: per Butler, così come per Rancière, la contestazione e sovversione delle norme si collega immediatamente a un movimento di risignificazione delle stesse, alla ridefinizione dei confini che producono “soggetti senza parte” o “vite che non contano”. Ad esempio, la messa in questione dellla fissità della legge che divide i sessi secondo una matrice eterosessuale, si produrrà «dalle regioni esterne di quei confini [... e costituirà il ritorno perturbatore dell’escluso dall’interno della logica della simbolica eterosessuale» (Butler, 1993, p. 12). Movimento di risignificazione ed ampliamento della norma che postula di fatto uno spazio unico di affrontement che è anche al contempo uno spazio di interlocuzione (space of address) verso cui i soggetti si indirizzano forzandone i confini di ciò che resta “non-con102 Foucault def.indd 102 06/02/15 17:36 tato”. La lettura fatta da Foucault dei movimenti gay e femministi, come esercizio della libertà a partire dalla forma attuale del reale che ci costituisce come soggetti nella duplice accezione del termine, è tesa piuttosto a reperire quella discrasia che in quei casi si verifica tra tecniche di potere e produzione dei soggettività: una sfasatura che si apre e si attualizza nell’apertura di spazi di soggettivazione discordanti rispetto all’ordine della rappresentazione. Provando a individuarne i tratti caratteristici, possiamo dire che Foucault ci parla di pratiche di interruzione del regime di verità effettuando un triplo spostamento rispetto alle teorie della democrazia radicale così come a quelle del performativo: a) soggetto: pratiche di assoggettamento/soggettivazione che fanno emergere un soggetto che non è quello di diritto, nel senso che la rivendicazione di diritti gioca eventualmente un ruolo tattico; b) norma e rappresentazione: distaccando la norma dalla legge, le pratiche di interruzione su cui Foucault indirizza lo sguardo non mirano a ridefinire i confini di esclusione e inclusione ma a mettere in atto pratiche di esistenza collettiva non (immediatamente) traducibili nell’ordine della norma o nel continuum di anormalità; in questo senso gli affrontements di condotta operano un dislocamento rispetto al duplice ordine di rappresentanza/rappresentazione c) discorso: un elemento comune delle lotte di condotta descritte da Foucault, dai primi anni Settanta agli anni Ottanta, è costituito dall’insufficienza del discorso e del linguaggio affinchè un’interruzione di confine non immediamente ricatturabile si produca (Revel, 1997). Se a livello discorsivo l’interruzione non può prodursi che tramite un linguaggio della trasgressione o del fuori – e d’altro canto la produzione di categorie presto recupera le ‘anomalie discorsive’ – sul piano delle forme di esistenza e dei movimenti di condotta vi è maggior possibilità, sembra suggerire Foucault, di sfug103 Foucault def.indd 103 06/02/15 17:36 gire alla cattura delle catene significanti (Lazzarato, 2013). Soggetti che, precisamente giocando su continui movimenti di identificazione e disidentificazione – e sulla molteplicità di modi in cui siamo detti dal potere – mettono in atto pratiche di esistenza non catturabili, non traducibili in profili individuali nè in popolazioni governabili o categorie collettive. Pratiche che, di fronte alla “presa” delle categorie di condotta (giuridiche, mediche, identitarie), agiscono legami e relazioni trasversali che interrompono quell’articolazione di omnes et singulatim cha caratterizza il governo delle condotte moderno. Soggettivazioni agiuridiche e condotte che si sottraggono alla loro giuridicizzazione: le pratiche di esistenza e le rivolte di condotta di cui Foucault ci parla non rispondono alle categorie che le interpellano come soggetti (omossessuali, donne, folli, isteriche) rivendicando un ‘luogo proprio’ nello spazio del politico, ma al contrario continuamente interrompendo il regime di verità e le altre determinazioni a cui quelle categorie-confine si collegano. Spazi politici L’interruzione di confine, come anticipato all’inizio, è uno tra i movimenti attraverso cui vengono agite pratiche di libertà e di resistenza che aprono a forme di soggettivazione; ma, contemporanemante, è anche movimento di costituzione e ridefinizione di spazi politici. In fondo, in Foucault (come del resto in autori come Butler e Rancière) questi due movimenti non possono essere disgiunti e anzi devono essere letti nel loro reciproco costituirsi. Riflessione, tuttavia, quella sugli spazi politici, che in Foucault non è mai esplicitamente formulata o che comunque emerge come per rifrazione rispetto alle analisi sui meccanismi di disciplinamento e governo delle condotte. Questa del re104 Foucault def.indd 104 06/02/15 17:36 sto la mossa di Foucault: il politico, come presunto spazio puro e sfera di agency a se stante, viene definitivamente frammentato, contaminato e attraversato da relazioni di potere e meccanismi di soggettivazione/assoggettamento che lo spodestano dalla sua ‘zona propria’. Piuttosto, le interruzioni di condotta che Foucault racconta sono in qualche modo produttrici di spazi nella misura in cui introducendo una differenza nel presente – ovvero rifiutando un certo potere intollerabile – rendono possibili altre forme e modi di agencement soggettivo, politico e sociale. Non è difficile a questo punto spingerci oltre Foucault stesso e, lavorando negli spazi del presente, vedere come la stessa presunta opposizione binaria tra movimenti costituenti e destituenti in quest’ottica si trova radicalmente reinscritta in uno spazio di interruzioni costituenti.5 La temporalità dell’interruzione non si risolve nel momento puntuale in cui questa si produce, e dunque in cui l’evento come rottura e non come semplice contigenza ha luogo. Cosa si apre e cosa può costruirsi a partire da quell’interruzione dei confini, non necessariamente (almeno in ottica foucaultiana) come movimento costituente ma nei termini di spazi di soggettivazione e movimento non corrispondenti a quelli della ‘mappa’ e dei suoi confini o della scena del politico? La scena6 e lo spazio del politico e l’emergere in quello spazio di soggetti politici: è attorno alla produzione e al rinnovamento di questi due luoghi che si articolano le riflessioni di Jacque Rancière e di Judith Butler intorno al tema della soggettivazione e a quello dell’interruzione politica – come movimento che interrompe la partizione tra vite che contano e che non contano, o tra i cittadini e i senza parte. Non solo, è attraverso una serie di “messe in scena” 7 che i senza parte sono raccontati nel loro irrompere (per l’appunto sulla scena), riconfigurando i confini esclusivi dello spazio politico. In 105 Foucault def.indd 105 06/02/15 17:36 Foucault, come emerge chiaramente nella sua critica alla democrazia come ‘forma’ del politico (Foucault, 2008), lo spazio dell’azione non è mai già dato, ma sia esso stesso da “reinventare nei suoi luoghi e forme della partecipazione”, come evidenziato da Rancière (Rancière, 1998). Nè, tanto meno, l’obiettivo in Foucault è di rinvigorire lo ‘scandalo della democrazia’, come «potere proprio a coloro che non hanno piú titolo per governare che non per esser governati» (Rancière, 2005, p. 54). Infatti, nella prospettiva foucaultiana, e differentemente da Rancière, non è l’uguaglianza tra gli individui il presupposto ineludibile dei rapporti di potere e di dominazione, ma al contrario, è l’insieme stesso dei rapporti di forza, necessariamente ineguali e dettati da squilibri tuttavia continuamente trasformabili. «Al limite, i rapporti di potere sono la lotta di classe; ossai, l’insieme di rapporti fortemente diseguali ma ugualmente mutevoli» (Foucault, 1977). L’enjeu delle interruzioni di confine a cui Foucault guarda non sembra essere quello dell’emergenza di un soggetto politico, proponendo invece una politicizzazione delle forme di resistenza, e dei comportamenti di mobilità in quanto tali (Foucault, 2013). L’eterogeneità delle interruzioni prodotte dai confini (meccanismi di disciplinamento e di cattura) e delle interruzioni dei confini (le rivolte di condotta) che Foucault ben mette in evidenza, rende di fatto impossibile figurarsi la costitutuzione di un soggetto politico emergente – come figura paradigmatica di soggettività politica – espressione delle differenti soggettività. Le interruzioni di confine agite su una temporalità differente da quella dell’evento, e analizzate nella sfasatura che producono –tra ‘presa’ del potere e soggettivazioni – e negli spazi che aprono, contribuiscono proprio a questa messa in movimento dello spazio politico e della produzione di soggetti che Foucault non cessa di effettuare. Non stupi106 Foucault def.indd 106 06/02/15 17:36 sce, dunque, la critica alla democrazia che percorre tutto il Corso del 1983, Il governo di sè e degli altri in nome di una differenza da produrre rispetto allo spazio (politico) dato e, simultaneamente, rispetto alle forme di soggettivazione politica che questo permette: «in un’epoca come la nostra in cui si ama porre il problema della democrazia in termini di distribuzione di potere, di autonomia di ciascuno nell’esercizio del potere, in termini di trasparenza e opacità, di rapporto tra società civile e stato, credo sia buono ricordarsi di questa vecchia questione [...] della cesura necessaria e indispensabile e fragile che il discorso di verità non può non introdursi in una democrazia; una democrazia che al tempo stesso rende possibile questo discorso vero e lo minaccia senza interruzione» (Foucault, 2008, p. 168). Questa resistenza di fronte all’egemonia della ‘legge della democrazia’ e ai tentativi per attualizzarla e radicalizzarla, è indubbiamente l’attitudine fondamentale da tenere oggi presente nel guardare ad esperimenti insurrezionali e costituenti ‘oltre la scena’. (Si pensi ad esempio al modo in cui le rivoluzioni arabe sono state immediatamente dette, dalla sponda nord, come sollevazioni per la democrazia e in direzione di una transizione democatica ancora da compiere). Non a caso, nelle avvincenti pagine del reportage dall’Iran per Il Corriere della Sera, Foucault riesce a sottrarre la sollevazione iraniana alla rivoluzione e, aggiungo, alla democrazia come ‘domatori’ della storia – «organizzando la nostra percezione del tempo e [...] avendo acclimatato il sollevamento all’interno di una storia razionale», conferendogli legittimità e «facendo il partage tra le sue buone e cattive forme, ha definito la legge del suo sviluppo» (Foucault, 1979). L’interrogazione che Foucault solleva a proposito della rivoluzione riprendola da Horkheimer – “è veramente desiderabile questa rivoluzione?” – potreb107 Foucault def.indd 107 06/02/15 17:36 be forse oggi essere riproposta rispetto alla democrazia: «è davvero la democrazia oggi l’unico modello in base a cui pensare e praticare interruzioni di confine negli spazi politici?».8 Tuttavia, vorrei concludere soffermandomi proprio su ciò che Foucault sembra suggerire in opposizione alla forma della democrazia e alla sua desiderabilità mai messa in discussione. Il tema, se volete, è anche questa volta quello di un’interruzione intesa come “distinzione etica”: il problema della parrhesia è in fondo, ci dice Foucault, «il problema della differenza indispensabile [...] introdotta attraverso l’esercizio del discorso vero nella struttura della democrazia» (Foucault, 2008, p. 167). Una differenza e un’interruzione qualificate in senso etico, nei termini di una capacità di dire il vero che si contraddistingue dalla possibilità a tutti concessa di prender parola. Ma in un momento in cui il potere opera per frammentazione, restringendo la scelta rispetto a dove stare e dove muoversi da un lato, e precarizzando le esistenze dividendo dall’altro – ovvero senza che si dia una condizione comune dei governati su cui costruire un’unità – l’interruzione da produrre deve davvero essere dell’ordine della distinzione? In che modo agire un’interruzione che apra spazi di soggettivazione senza dividere e che non tracci nuovi confini di soggettività ‘esclusive’? Per questo lo “sforzo” che Foucault ci chiede di compiere rispetto agli spazi politici del presente per introdurre una differenza, per poter “essere diversamente da ciò che siamo”, non può che essere pensato come una serie di movimenti e di processi di interruzioni collettive fin dall’inizio. O meglio, dove il termine ‘collettivo’ non sta a indicare un entità di appartenza fissata in anticipo – ad esempio quella nazionale – o un ‘noi’ comunitario; al contrario, esso designa l’effetto di pratiche di trasformazione nel loro farsi, nel loro prodursi. Una trasformazione – questo in 108 Foucault def.indd 108 06/02/15 17:36 fondo l’enjeu politico dell’ultimo Foucault: come produrre la trasformazione e la differenza ? – in cui “l’esercizio della libertà” nel suo gioco difficile “con la verità del reale” non può andar disgiunto dalla costituzione di un ‘noi’ rispetto a cui interrogare il nostro presente e, insieme, la relazione con questo ‘noi’ a cui ci sentiamo di appartenere. Un ‘noi’ che Foucault negli scritti sull’Aufklarung sembra volutamente lasciare indefinito nei suoi confini e nelle sue determinazioni proprio perchè emergente da “un lavoro fatto ai limiti di noi stessi” e sempre in rapporto a un presente condiviso. Aufklarung – uscita dallo stato di minorità – e rivoluzione – come virtualità permamente e garanzia collettiva di non-oblio – vanno insieme, sembra dirci Foucault, l’uno non può compiersi senza l’altro (Foucault, 2008). E la rivoluzione, per quanto nello scritto di Kant commentato da Foucault sia lo spettacolo vissuto dagli spettatori dell’evento rivoluzionario, come ‘virtualità permamente’ da riattivare nella storia (del presente) non può che presupporre la partecipazione a un progetto di trasformazione di uno spazio comune: «un movimento verso una situazione in cui gli uomini saranno in grado di darsi la costituzione politica che vogliono» (Foucault 2008, p. 18). In fondo, la scomparsa in Foucault del termine resistenza dopo il 1978 non deve trarre in inganno: lo spostamento sul momento della trasformazione, come attitudine e compito, porta in primo piano, soprattutto nei testi sull’Aufklarung, la volontà di s’engager nella produzione di un’interruzione, una differenza, rispetto a ciò che noi siamo e rispetto al presente in cui ci troviamo. In tal modo, l’instaurazione di una differenza possibile passa sempre per una lotta, e non può essere che l’esito di molteplici soggettività in gioco in questo processo di trasformazione – il presente, in quanto spazio e realtà condivisi, non può per definizione essere trasfigurato, rivoluzionato o interrotto nei regimi di verità 109 Foucault def.indd 109 06/02/15 17:36 che lo definiscono se non insieme ad altri e altre. Interrompere al centro o interrompere i margini? La friabilità di quel presente che dovrebbe essere materia dell’ontologia storica di noi stessi (Foucault, 1984), e la costante reinvenzione di un ‘nous’ costantemente trasformato dai movimenti di resistenza e dalle pratiche di esistenza, si trasforma nell’interrogativo sui luoghi dell’interruzione. (dove, a che prezzo e in quale direzione produrre le interruzioni di confine?). Richiamando la suggestione di Rancière sui processi di soggettivazione come «azione nell’intervallo o nella falla tra due identità di cui non possiamo assumerne alcuna» (Rancière, 1998) e provando a metterla in movimento negli spazi del presente, si possono rintracciare quei momenti e quegli spazi in cui i confini di una norma o di una categoria diventano mobili, indefiniti e del tutto instabili. Categorie e norme che entrano in ‘crisi’ nella loro capacità di dividere e avere presa sui soggetti; o categorie e norme la cui mobilità o zona di indistinzione funziona proprio per ‘flessibilizzare’ la capacità di ‘cattura’ di quelle soggettività. In ogni caso, è in questa sfasatura, tra i confini della norma/categoria e lo spazio effettivo della sua ‘presa’, che un margine si apre. La categoria di ‘migrantÈ è sicuramente oggi una delle piú indistinte ed eclettiche nel suo uso, nella sua definibilità. Chi è migrante oggi in Europa e tra gli europei? Quali tipi di mobilità forzata, tra loro molto differenti, si producono e quanto poco lo status giuridico di (ir)regolarità ci dice sulla condizione migrante? La presenza di molte e molti migranti in lotte socialmente trasversali e in cui l’enjeu prescinde dal proprio essere migranti – le lotte per l’abitare o per la conquista di spazi urbani – e, viceversa, le pratiche di mobilità di non-migranti per prendersi il diritto a stare o spostarsi dove si vuole, fanno in parte esplodere il partage migrante/non migrante. Talvolta assunto strategicamente, 110 Foucault def.indd 110 06/02/15 17:36 per sottolineare processi di ‘migrantizzazione’, talvolta diluito in movimenti che lo trascendono, quel principio di partizione sempre piú globale può in parte staccarsi dalla sua funzione discriminante e essere rigiocato in spazi di soggettivazione e disidentificazione. Note Centrale ovviamente anche nella produzione di Alain Badiou, ma trattandosi in quel caso di una prospettiva radicalmente differente da quella di Foucault nel modo di pensare l’evento mi concentro invece qui su quelle a lui piú affini. 2 “La simulazione è stata la modalità insidiosa per mezzo della quale i folli hanno posto di forza la questione della verità a un potere psichiatrico che voleva imporre loro nient’altro che la verità” (Foucault, 2004, p. 134). 3 Come Foucault sottolinea in Sicurezza, territorio, popolazione, le rivolte di condotta sono specifiche rispetto ad altre pratiche di resistenza (ad esempio contro il potere economico o contro la disuguaglianza tra classi) in quanto forme di rifiuto contro un certo modo di essere governati; e tuttavia sono sempre articolate e connesse ad altre lotte. 4 ‘Tra l’affermazione “sono omosessuale” e il rifiuto di dirlo vi è tutta una dialettica molto ambigua: è un’affermazione necessaria perchè è l’affermazione di un diritto, ma è al tempo stesso la gabbia, la piega’ (Foucault, 1982, p. 113). 5 Su questo si veda anche M. Lazzarato (2013) Il governo dell’uomo indebitato, DeriveApprodi, Roma. 6 “Des lors que le lien avec la nature est tranchè […] il existe 1 111 Foucault def.indd 111 06/02/15 17:36 un sphère publique qui est une sphère de rencontre et de conflit entre les deux logiques opposès de la police et de la politique […] Elargir la sphère publique veut dire lutter contre la rèpartition du public e du privè (Rancière, 2005, p. 57). Il politico è la scena in cui la verifica dell’uguaglianza prende la forma del trattamento di un torto. 7 “La dualita’ dell’uomo e del cittadino ha potuto servire alla costruzione di soggetti politici mettendo in scena e in causa la doppia logica della dominazione […] l’azione poltiica scompagina la distrubuzione dei termini e delle posizioni, giocando l’uomo contro il cittadino e il cittadino contro l’uomo” (Ranciere, 2005, p. 67). 8 Su questo si veda anche A. Badiou, S. Zizek, La filosofia al presente, Il Melangolo, Genova, 2012. Bibliografia A.Badiou, S. Zizek (2012) La filosofia al presente, Il Melangolo, Genova. J. Butler (1993) Bodies That Matter: On the Discursive Limits of “Sex”, Routledge, Abingdon/Oxon. A. Davidson (2011) ‘In praise of counter-conducts’, in History of the Human Sciences, 24(4), pp. 25-41. M. Foucault (1970) ‘Theatrum Philosophicum’, in Dits et Ecrits (2001), Gallimard, Paris. M. Foucault (1977) ‘Entretien inèdit entre Michel Foucault et quatre militants de la LCR’, in Questionmarx, http:// 112 Foucault def.indd 112 06/02/15 17:36 questionmarx.typepad.fr/files/entretien-avec-michel-foucault-1.pdf M. Foucault (1979) ‘Inutil de se soulever?’, in Dits et Ecrits (2001), Gallimard, Paris. M. Foucault (1982) ‘Entrietien avec Michel Foucault’, in Dits et Ecrits (2001), Gallimard, Paris. M. Foucault (1984) ‘What is Enlightenment?’ in Dits et Ecrits (2001), Gallimard, Paris. M. Foucault (2004) Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France, 1973-1974, Feltrinelli, Milano. M. Foucault (2005) Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France, 1977-1978, Feltrinelli, Milano. M. Foucault (2008) Le gouvernement de soi et des autres. Course au Collège de France, 1982-1983, Gallimard, Paris. M. Foucault (2013) La Sociètè Punitive. Course au Collège de France, 1972-1973, Gallimard, Paris. M. Lazzarato (2013) Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, Roma. J. Rancière (1998) Aux bords du politique, Gallimard. Paris. J. Rancière (2005) La haine de la dèmocratie, LaFabrique, Paris. J. Revel (1997) ‘Il limite di un pensiero del limite. Necessità di una concettualizzazione della differenza’, in Aperture, 2, pp. 3644. 113 Foucault def.indd 113 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 114 06/02/15 17:36 LA NATURA UMANA COME DISPOSITIVO . FOUCAULT E L ’ EPOCA MODERNA Paolo B. Vernaglione Almeno all’inizio, una rappresentazione è indispensabile. Perchè ha a che fare con il tempo della modernità, o con una scansione convenzionale dell’epoca moderna di cui si registra la continuità. Si tratta dell’articolazione complessiva di un tema di quest’epoca, nel luogo e nel concetto che forse più di ogni altro la definisce: la natura umana. Ove l’accento batte sull’aggettivo, non per indicare la rilevanza dell’essere umano in quella che è stata chiamata “post-modernità”; piuttosto per la presunta necessità dell’umano nella fine, annunciata a partire dagli inizi, in occidente, dell’umanesimo, cioè di quella cultura che ha prodotto sfruttamento, devastazione, morte, quanto più viene rilanciata come valore. Ciò che dunque anzitutto il concetto di natura umana denuncia, nella mobilitazione che di esso oggi si esercita, è il disfacimento, di cui non ci si può che rallegrare: infatti la morte dell’uomo, che per Nietzsche avviene all’acme della modernità industriale, si realizza nel divenire molteplice dei tempi e delle facoltà umane, in cui si delinea la curva del tramonto. Se questo termine interminabile del tempo attuale corrisponde alla durata terrena che incrocia il regno messianico nella sua direzione contraria, come voleva Walter Benjamin; oppure se rappresenta l’attimo in cui l’eterno ritorno si manifesta in una pienezza inaccessibile, non pos115 Foucault def.indd 115 06/02/15 17:36 siamo dirlo, nè negarlo, ancora oggi, a più di un secolo dal pensiero di Nietzsche. Ciò che è noto da tempo invece è che i “valori umani” non bastano a nascondere, all’interno del senso di quel concetto, il divenire animale dell’umano, cioè il divenire della sua “natura”. In questo processo ha luogo la rappresentazione di una continuità, che, come tutte le rappresentazioni, contiene una metafora, che ha di mira la modernità stessa, nell’esprimere un pensiero, il pensiero di un soggetto: il pensiero e il soggetto Michel Foucault. L’epoca moderna, che ha pensato e ha prodotto la fine dell’umano come natura, come contenuto particolare di un valore, di un essenza, di uno strato nascosto alla ragione e di un’opposizione a merci e animali non umani, scandisce nell’opera di Michel Foucault tre tempi, che Gilles Deleuze ha evidenziato nel corso a lui dedicato: il tempo dei saperi, quello dei poteri e infine quello della soggettività1. A partire dall’enunciazione dei tre dispositivi in cui riconosciamo la modernità, la crisi della “natura umana”, dell’essere naturale dell’umano e del concetto che fino a poco tempo fa continuava a tenere in pugno l’essenziale della metafisica, appaiono e si realizzano nella scienza, nelle forme della sovranità statale e nell’identità del soggetto singolare. Ma allora la modernità, come scandita ne Le parole e le 2 cose , dalla fine del XVIII secolo, secondo questa metafora sarebbe scolpita in un’epoca dei saperi, una dei poteri e un’ultima epoca del soggetto – piuttosto che nella molteplicità di rapporti variabili tra i tre insiemi? Non diremmo. Eppure colpisce la coincidenza cronologica tra gli orizzonti successivi studiati da Foucault e l’evoluzione del concetto di natura umana. Le fasi di questa evoluzione sembrano consegnarci una certa produzione di sapere (filosofico, tecnico, scientifico, antropologico, all’incirca a partire dal 116 Foucault def.indd 116 06/02/15 17:36 secondo dopoguerra); le progressive disfunzioni delle società di welfare; e infine l’attenzione a tratti ossessiva alla soggettività, nella caduta irreversibile delle istanze di cambiamento affidate ad un soggetto collettivo. Al loro posto registriamo la negazione dell’identità individuale, la produttività del transgenere che disdice la centralità del soggetto, e indaghiamo l’essere flessibile in cui si trovano connesse la forma di individuazione propria del neoliberalismo e le forme di aderenza al tramonto dell’umano. Ma questo quadro delle continuità cronologiche e la meccanica sovrapprosizione ad esso dell’opera di Foucault, si rivela esercizio arbitrario oltre che convenzionale, nella ricostruzione di un presente destianto a non passare. Bisogna invece chiedersi, esercitando la critica di sè stessi e di un pensiero che non è mai personale, cosa rimane del concetto di natura umana; cosa cioè è possibile al pensiero, una volta demoliti lo spazio concettuale delle continuità storiche, quello della figura retorica che sintetizza la gerarchica presenza dell’umano nel mondo (di cui Gunther Anders a suo tempo ha tracciato il profilo) e quello dell’identificazione di un pensiero e un’opera con l’evento, cui hanno dato fondo la fenomenologia di Husserl, il genio di Bataille 3 e l’esperienza integrale di Blanchot. Una volta dissolta la totalità cui si riferiva, il pensiero rimane settoriale, non nel senso di un contenuto specifico che traccia i propri limiti nello specialismo di una cultura – confini che nel secolo appena trascorso è stato il linguaggio a stabilire; piuttosto nel senso di una riflessione su quei saperi in cui la natura umana è tematizzata: l’antropologia e le biotecniche; la psicoanalisi e la filosofia del linguaggio; un’analitica della soggettività e una terapeutica da cui possiamo ricavare un’ontologia del presente. 117 Foucault def.indd 117 06/02/15 17:36 In quest’articolazione della modernità incontriamo un metodo, applicato da Foucault a quella che si può chiamare un’epistemologia della soggettività. Questo metodo, in cui si direziona l’archeologia del sapere, l’insieme dei rapporti tra enunciazione, visibilità delle cose e soggettivazione, diviene un dispositivo in rapporto a certe configurazioni di potere, ad un’ideologia dell’individuo come imprenditore di sè stesso e ad un regime di veridizione in cui l’essenza dell’umano troverebbe conferma in una innata e costitutiva “mancanza”.4 Gran parte delle critiche a Foucault, al modo della sua ricerca, risontanti come un basso continuo lungo la sua vita, consistono nell’accusa di aver dissolto nella variazione storica singolare, nella costellazione di enunciati che distinguono un’epoca, nell’insieme delle pratiche attraverso cui si afferma e circola una morale, l’invarianza di stato e di valore in cui consisterebbe la vita generica. Di aver agito una parzialità teorica, di aver distrutto il trascendentale come sostanza biologica, culturale e sociale, in una storicità senza fine, in cui l’uomo conquista una natura artificiale e articola il linguaggio come potenza contingente in un vissuto singolare. Ma l’insistere di Foucault sulle condizioni in cui l’invarianza si dissolve nelle variazioni storiche e di specie, chiama in causa l’orizzonte trascendentale in cui dovremmo riconoscere quelle permanenze che si chiamano Ragione, Politica, Morale, – avendo egli scritto in più occasioni quanto sia indispensabile ricavare le regolarità e le persistenze, i punti di emanazione e le condizionalità dei poteri, le inerenze concettuali e le modalità trascendentali dalle variazioni che le formazioni storiche portano ad emergenza. Come ha scritto Deleuze «se è vero che le condizioni non sono più generali o costanti del condizionato, Foucault è comunque interessato alle condizioni. È per questo che afferma: ricerca storica e non lavoro di storico. La sua non 118 Foucault def.indd 118 06/02/15 17:36 è una storia delle mentalità ma delle condizioni, in cui si manifesta tutto ciò che ha un’esistenza mentale, gli enunciati e i regimi di linguaggio»5 . Pensare dunque non è nè innato nè acquisito; è genetico, proviene da un “fuori” più lontano di qualsiasi mondo esterno e più prossimo a noi di una presunta interiorità. Dobbiamo allora rinunciare a quella rappresentazione facile, in cui l’ultima modernità coincide con la scansione temporale dell’opera foucaultiana, per testimoniare invece l’inattualità di Foucault, nel senso in cui per Nietzsche si qualifica un pensiero necessario. Ma questa rinuncia non è per noi dolorosa, come poteva esserlo ancora alla fine degli scorsi anni Sessanta, perchè il presente approfondisce la durata della morte dell’uomo – di cui non si cercherà più, finalmente, la traccia mnestica, il portato memoriale o la ragione storica, nascoste nella continuità dell’epoca moderna. La rinuncia all’umano procura ancora sofferenza per quel bagliore che nel tempo quotidiano riflette la figura di questa soglia della modernità: la forma assunta dal valore impresso su merci e dispositivi, su affetti e abilità in un simulacro di narrazione che esprime i saperi, i poteri di governo sulla vita e l’attività permanente del soggetto come la propria realtà funzionale, nascondendone l’esteriorità. Nello stacco del pensiero dalla base materiale di un sapere con cui dialogava in un ordine naturale, con e attraverso il linguaggio – ordine avvertito fino alla soglia umanistica della modernità – riconosciamo l’ a priori storico6, base di un ordine differente. Ordine dell’architettura, del sistema, dell’artificio della cultura. Nel luogo del linguaggio, la somiglianza, paradigma di quest’ordine, è sconvolta dalla codifica scientifica dei saperi. Mentre infatti al centro della rappresentazione si trovava, fino alla metà del XVI secolo la segnatura7, quale indice sensibile di ciò che in na119 Foucault def.indd 119 06/02/15 17:36 tura era invisibile in quanto essenziale, cioè la possibilità di infinite analogie, nel rovesciarsi del rapporto tra pensiero e linguaggio, laddove la linguisticità si impadronisce e manipola il pensiero nella storicità, assumendo del pensiero il comando, – in quel punto la modernità inizia a parlare, ad argomentare, a tematizzare e a giustificare le proprie conquiste. Agli inizi del XVII secolo «il pensiero cessa di muoversi nell’elemento della somiglianza. la similitudine non è più la forma del sapere, ma piuttosto l’occasione dell’errore, il pericolo cui ci si espone allorchè non si esamina il luogo mal rischiarato delle confusioni...»8. Così, «la ragione occidentale entra nell’età del giudizio» 9. È il “momento cartesiano” che segna lo spartiacque filosofico tra antico e moderno, ma ne riproduce la continuità nell’epoca classica, perchè «il compito fondamentale del discorso classico è di attribuire un nome alle cose, e in questo nome di nominarne l’essere (ontologia).».10 Il segno d’istituzione traccia la differenza tra uomo e animale, trasforma la fantasia in memoria volontaria, l’attenzione spontanea in riflessione, l’istinto in conoscenza razionale.11 La rottura con l’ordine e le classificazioni risale invece, alla fine del XVIII secolo, a quella piega del pensiero che mettte di fronte il razionalismo con la facoltà delle idee; ma anche in quel punto cruciale della modernità si avverte il passaggio più che la frattura tra oggettivazione del mondo e produzione di sapere da parte della coscienza. Gli è che ciò che fino a Kant viveva della spinta “in alto” dell’intelletto, nelle condizioni di possibilità dei concetti, e nell’isolamento delle idee fino al limite delle antinomie, ora, dal momento in cui un ordine linguistico si è impadronito del pensiero, sono le idee e i giudizi ad iscriversi nell’ordine della ragione, a storicizzarsi nella coscienza singola, a radicarsi come condizionati nell’esperienza. Il linguaggio infatti, esperito come texture del mon120 Foucault def.indd 120 06/02/15 17:36 do, continuità dei contesti, fondo vibrante del mondo, può questa trasformazione. L’astrazione non stacca più il pensiero dal linguaggio in una distanza assoluta, bensì, pronunciata dal linguaggio, comprende sè stessa come opera della coscienza singola, lavoro del concetto. E tuttavia gli esiti raggiunti da Hegel nel pensare lo Spirito, cioè il vero non come sostanza ma «...altrettanto decisamente come soggetto»12 erano presupposti da Kant, che nell’Antropologia Pragmatica pensa il Geist come principio vivificante « durch Ideen», per mezzo delle idee13. Possiamo riconoscere quanto sia degna di considerazione questa elaborazione del soggetto delle Idee nella materia dell’empirico, nella centralità che assume il Discorso agli inizi del XX secolo. È ad opera di un pensiero linguistico che, come ha scritto Agamben, esiste oggi un compito per la filosofia, a partire dal quale rovesciare la marginalità in cui è costretta: vedere ed esporre i limiti del linguaggio: «Un’antica tradizione di pensiero enuncia questa possibilità come una teoria delle idee...L’idea è interamente compresa nel gioco tra anonimia e omonimia del linguaggio...L’idea non è una parola e nemmeno visione di un oggetto fuori del linguaggio ma visione del linguaggio stesso.».14 Perchè il linguaggio in quanto mediazione immediata è archè anypothetos, principio non presupposto che è il compimento e il fine del logos.15 La visione del linguaggio è esperienza dei suoi limiti, della sua fine. Come Foucault rileva, questi limiti sono sia la lingua dei calcoli e dell’analisi combinatoria che la lingua di Sade, in cui si trova il mormorio priomordiale che attraversa il desiderio.16 Ciò perchè «Il linguaggio esiste in quanto al di sotto delle identità e delle differenze vi è il fondo delle continuità, delle somiglianze, delle ripetizioni, degli incroci naturali».17 Questo movimento di un pensiero possibile, la visione 121 Foucault def.indd 121 06/02/15 17:36 del linguaggio, e l’opera creata nel tramonto annunciato da Nietzsche e ribadito da Walter Benjamin,18 sono il programma in cui deve spegnersi l’Umanesimo che compie l’eterno ritorno della modernità, come testimonia l’archeologia delle scienze umane che Foucualt ha inaugurato. Da Le parole e le cose all’ “Introduzione” all’Antropologia di Kant, all’incontro televisivo nel 1971 ad Eindhoven tra Foucault e Noam Chomsky, la parabola del tramonto della natura umana è tracciata nel pensiero e ripetuta nella scrittura, per sancire nel successo, nella diffusione e nella critica delle scienze umane, il destino del sapere sull’uomo che è “invenzione recente”.19 La trasformazione radicale dell’epoca moderna è indicata da Foucault nel passaggio dalla storia naturale come storia della natura, all’antropologia come scienza dell’uomo. Per questo all’uomo sono preclusi i divenire possibili dell’umano (animale, particella, donna, invisibile, nella esemplare fenomenologia dell’alterità che sarà indicata da Deleuze e Guattari20), mentre nella trasformazione dell’episteme del mondo antico, connotata dalla conoscenza integrale della natura, si avverte la separazione della matematica e della logica dalle scienze naturali. Questa partizione attaraversa il campo del sapere assegnando all’empirico la possibilità delle differenze, ma richiudendolo al contempo nella necessità dell’induzione; e facendo del trascendentale la condizione di possibilità sia del soggetto che degli oggetti, di cui tuttavia non può operarsi la sintesi. In questo senso l’Antropologia Pragmatica è il tentativo dell’intelletto di ricostituire quella mathesis universalis che si era dispiegata da Cartesio a Leibniz, fino al limite del progetto razionalista. Laddove infatti era sancita l’impossibilità per il trascendentale di operare la sintesi dell’empirico in una filosofia critica, Kant assume la pragmatica come ricerca dell’intreccio di sintesi passive21 e sintesi oggettive; in que122 Foucault def.indd 122 06/02/15 17:36 sto senso l’Antropologia è il tessuto connettivo sia dell’opera precritica di Kant che delle Critiche, perchè nella domanda “ Che cos’è l’uomo?”, tesa fino al punto di rottura del nuovo campo di sapere che essa inaugura, è impresso il segno del movimento della ragione. Ma qui la ragione non è, come nell’impresa critica, la facoltà che produce i giudizi, una volta che l’intelletto ha operato la sintesi del molteplice; bensì, al di sotto di esso, è quel modo dello Spirito che anima con le idee le continuità di sensibile e intelligibile, natura e conoscenza, realtà e possibilità. Inteso diversamente che in Leibniz, per il quale « nella profondità dello spirito si integra una rete di relazioni logiche che in un certo senso costituisce l’inconscio razionale della coscienza»,22 lo spazio possibile di un’antropologia è delimitato da un lato dal trascorrere del sensibile nella facoltà che lo unifica; dall’altro dal regredire della ragione verso la sua origine organica. Ciò che allora si legge in controluce negli argomenti dell’incontro di Eindhoven, è l’effetto archeologico delle scienze nel passaggio dall’epoca classica alla modernità, effetto possibile perchè la sentenza nietzscheana della morte di Dio «è la morte dell’uomo»23. Nell’archeologia filosofica della natura umana scopriamo l’identità del concetto con ciò che è innato. Nella genealogia del soggetto moderno scopriamo «l’origine di uno spirito ripiegato nell’intimità di sè»24, di derivazione cristiana: “il filone agostiniano” che inaugura l’intera tradizione della coscienza e dell’interiorità, il primato dell’organico sull’inorganico e quello della res cogitans, come essenza esclusivamente umana, sulla corporeità animale. La prima questione, la natura come fonte di rappresentazione e come sede di ciò che è innato, è trattata da Foucault in Le parole e le cose, in cui è dispiegato uno spazio storico di coincidenza tra innato, invarianza e natura 123 Foucault def.indd 123 06/02/15 17:36 umana, quando, alla fine del XVIII secolo, si sviluppa un sapere sull’uomo che è l’effetto della separazione di parole e cose. Il dissolversi della rappresentazione classica segna la fine della storia naturale, che situava la minuziosa classificazione delle caratteristiche degli organismi sul fondo indistinto dell’organico e dell’inorganico; e lascia il posto alla biologia che, stralciando l’uomo dall’ordine della natura, sovrappone nel concetto di vita ciò che è organico con la permanenza di una forza oscura. La seconda questione, propriamente metafisica, consiste niente di meno che nella definizione di ciò che è Spirito: questo concetto in cui si coglie l’essenza della filosofia nella sua esistenza storica, assume nella classicità un significato diverso da quello teologico e dottrinario che aveva fino alla Riforma protestante. Un significato metafisico che deriva dalla rottura dell’identità con l’ idea di anima e dalla conseguente problematizzazione del concetto. Se infatti lo Spirito è, da Platone a Hegel a Bergson, quel sapere di cui l’anima individuale è partecipe in quanto sostanza non materiale che vivendo si oppone al corpo; se essa confligge con il corpo mentre lo dirige “come il nocchiere della nave”, l’anima non può che trovarsi nella profondità di una coscienza consapevole di sè. Per Cartesio è la mente come res cogitans che, avendo qualità “spirituali”, per natura è innata, inspiegabile, ma conosciuta quale prova dell’esistenza di Dio. Gli schemi della mente sono conosciuti come essenza differente dalla res extensa, allo stesso modo in cui il male è conosciuto come assenza di bene e Dio come negazione delle qualità imperfette. Ma c’è un’altra interpretazione dello Spirito che differisce da questa, pur correndo all’interno della tradizione metafisica e che Foucault rileva nel Geist dell’Antropologia Pragmatica. Il Geist è infatti principio vivificante di cui il Gemut, l’animo, è il movimento tramite le idee, «movi124 Foucault def.indd 124 06/02/15 17:36 mento che non pretende di essere conoscenza della Seele (anima)». 25 Quanto in Kant sia decisiva, nell’individuare la natura umana, la differenza tra Seele e Gemut e quale sostanziale spostamento questa differenza di senso produca nel modo di considerare il movimento dello Spirito, Foucault evidenzia osservando che in questa differenza si apre il campo antropologico. Nel momento in cui la tradizione metafisica procede all’identità della «rappresentazione semplice dell’io, priva di qualunque contenuto» con l’anima, ne esclude la particolarità, di cui invece rende conto il Gemut, che è “oggetto particolare” all’incrocio di psichico e fisico, delle sintesi passive e del “principio vivificatore”. D’altra parte, questo nuovo campo del sapere è segnato fin dall’inizio dalla quasi indistinzione di animo, “Io penso” e senso interno, che avvicinerebbe il Gemut come esperienza concretamente operante, e non come Spirito incarnato che muove l’anima, alla sfera di sapere della psicologia razionale.26 Tuttavia recuperando la nozione di animo di cui il Geist è principio, Kant assegna all’antropologia il luogo dell’ a priori storico. L’ a priori infatti nelle tre Critiche decide delle possibilità e dei limiti della conoscenza, che una psicologia empirica non può pensare; la funzione dell’ a priori nell’antropologia consiste allora nel dare forma e limite al trascendentale rispetto ai contenuti psicologici del senso interno. L’acquis dell’Antropologia rispetto alle Critiche consiste dunque nella nozione di animo che è spazio di costituzione dell’organico e che, precedendo l’operazione dello spirito nella corporeità, produce l’esperienza. Questo movimento delimita il sapere antropologico come campo della storicità, campo che origina dalla sensibilità, senza confondersi con l’oggetto di una psicologia razionale. L’antropologia proprio perchè pragmatica è quel sa125 Foucault def.indd 125 06/02/15 17:36 pere che si trova nella zona di indistinzione di ragione ed esperienza in cui è situato il Gemut. Esso è il “quasi trascendentale”, poichè «è e non è Geist».27 Il Gemut infatti è la misura del Geist. In questa interpretazione dell’animo non c’è più separazione di psiche e corpo, ma osservazione nell’organico di una tessitura della materia in cui si costituisce la dinamica del movimento, la forma della vita. Qui lo Spirito non è legge nè regola, e il Gemut non è l’essenza spirituale che dall’esterno del corpo ne regola il comportamento e l’apprendimento; ma non è neanche l’astrazione che prescrive all’organico i limiti di potenza nella passività della fisiologia. Esso è il principio immanente alla vita, in cui l’intelletto e le sintesi passive compiono il trascendentale Il sapere antropologico assume la forma liminare di una conoscenza di ciò che non si sa, con la finalità di giustificare il rapporto tra soggetto e oggetto senza ricorrere alla facoltà di rappresentazione. Nel Gemut il Geist, condizione del possibile infinito dell’idea, si tramuta in vita empirica, sciogliendola dal dato “per procedere oltre”. Un’antropologia è dunque possibile a condizione che il Geist sia compreso nel permanere di una libera autoproduzione. « È il Geist che apre al Gemut la libertà del possibile, lo strappa alle sue determinazioni e gli dona un avvenire che deve solo a sè stesso».28 Un’antropologia del Geist si configura dunque come possibile, e forse per Kant come unica scienza possibile dell’uomo, perchè è «alla radice della possibilità di sapere», – il Geist essendo «...questo ritrarsi, questa invisibile e “visibile riserva” nell’inaccessibile distanza a partire dalla quale il conoscere prende posto e positività. Il suo essere è di non essere presente, delineando, con ciò stesso, il luogo della verità».29 Lo Spirito si trova dunque al limite delle possibilità della natura umana che esso fonda, laddove iniziano a dissolversi le differenze categoriali, ma non empiriche, 126 Foucault def.indd 126 06/02/15 17:36 di Ragione e Sensibilità; laddove il pensiero è espressione dell’intelletto; e infine ove si perde l’ “illusione inevitabile” della rappresentazione semplice dell’ “io” come anima, e quella di un’identità interiore in cui rimane confinata la mondanità di Narciso. Al contrario «la tematica dell’Antropologia...fa sì che la ricerca nella dimensione del Gemut non apra solamente a una conoscenza interiore di sè, ma che essa, spontaneamente, ecceda sè stessa...in direzione di una conoscenza dell’umano nelle forme esteriori che lo manifestano».30 Il conflitto tra la tradizione metafisica dell’io, della coscienza e dell’innata autocostituzione del soggetto, e la prova di un’esteriorità eccedente la volontà individuale di sapere, si rinviene nel confronto tra Foucault e Chomsky ad Eindhoven. Laddove infatti per Chomsky siamo in presenza di «schemi altamente organizzati e molto restrittivi di cui (il bambino) dispone...che gli consente di padroneggiare conoscenze altamente organizzate...», 31 per Foucault questa considerazione della mente come una struttura chiusa in grado di implementarsi è effetto di un sapere, cioè di un modo di conoscere in cui l’astrazione diviene la procedura della ragione moderna. Per Chomsky questo sistema di conoscenze si chiama “linguaggio innato” o “conoscenze istintive”, e la natura umana consisterebbe in una conoscenza istintiva, segnata «da quell’insieme di schemi innati che ci dà la possibilità di ricavare una conoscenza complessa e intricata a partire da dati estremamente limitati ». 32 Per Foucault invece è da rilevare come «all’interno della storia della conoscenza il concetto di natura umana abbia svolto essenzialmente la funzione dell’indicatore epistemologico, per definire alcuni tipi di discorso in relazione o in contrapposizione alla teologia, alla biologia o alla storia» 33; così come il concetto di vita dagli inizi del XIX secolo segna la nascita della biologia senza esserne 127 Foucault def.indd 127 06/02/15 17:36 l’origine. Siamo di fronte alla variante moderna del problema mente-corpo, la cui indecidibilità rappresenta per Chomsky il limite della biologia. Limite che, a suo parere, potrebbe essere superato dall’elaborazione di una teoria matematica della mente, una “teoria astratta” 34 che abbia un riscontro empirico. Nella concreta esperienza infatti troviamo il nesso tra quel limitato numero di regole in cui per Chomsky si produce l’innata facoltà di linguaggio, e gli infiniti atti di parola.35 Quel nesso ha nome creatività, che è sia il luogo di intersezione di fisico e psichico, sia la linea di differenziazione, nell’organico, tra animale ed umano. La creatività è per Chomsky questione di differenza tra l’abilità linguistica (il saper parlare del bambino), che è innata, e la struttura del mondo fisico, che, non essendo interna alla mente,36 compare come mondo oggettivo nella distanza che essa assegna alla realtà esterna. Una mente individuale preesiste sia al soggetto che al mondo da essa mediato, mondo che diviene conoscenza acquisita. Da cui il progresso delle scienze, che anticipa e comprende rotture e regressioni, nella costituzione lineare della razionalità e della civiltà. In tal modo Chomsky reagisce alla linguistica strutturale e al comportamentismo, affermando l’immediatezza della mente innata, e tuttavia per far ciò deve ipotizzare un’oggettività che, a differenza della psicologia comportamentista, rimane inerte, a disposizione della creatività individuale. È quanto Foucault contesta: «Il punto sul quale non sono assolutamente d’accordo con Chomsky è quando colloca l’origine di queste regolarità...all’interno della mente o della natura umana.»,37 perchè ciò presuppone una corrispondenza, una quasi simmetria tra la realtà e la struttura della mente; che insomma la natura sia confezionata per la natura umana; che il mondo stia là per essere scoperto e che le scienze si formino nell’accumulo di sapere. 128 Foucault def.indd 128 06/02/15 17:36 La vicenda dello Spirito, nella modernità dopo Hegel, è la Storia universale che nella versione postkantiana è prodotta dall’ “animo” umano; mentre Kant non ha affatto determinato lo Spirito come l’assoluto che muove il mondo. In realtà il concetto di natura umana come invarianza nell’individuo singolo, autore di piccole e grandi scoperte, deriva dal trascinamento all’interno della mente dell’insieme di regole di costruzione degli enunciati che sono invece effetti di un’esteriorità collettiva in cui “già da sempre” e “proprio ora” sono situati soggetti e saperi. 38 La diatriba, scaturita dalle polemiche sull’evoluzionismo, che ha tenuto banco nella psicologia e nella sociobiologia nella prima metà dello scorso secolo, conosce qui gli effetti di un cambio di paradigma: il confronto con Chomsky lascia infatti traccia di quella rivoluzione del sapere che secondo Kuhn ha informato, intorno alla metà degli anni Sessanta, il metodo sperimentale.39 Nella successiva accelerazione delle scienze della mente, soprattutto per la spinta impressa dal cognitivismo alla definizione di strutture innate della psiche, la questione delle facoltà specifiche della specie umana ha portato ad elaborare la teoria del rapporto tra vincoli interni ed esterni.40 Il punto è che tali questioni rimangono ancora interne al campo antropologico. Il pensiero umanistico, ampliando i confini stenta ad accettare una spiegazione non filosofica dei processi cognitivi. Per questo devono essere esaminati in modalità archeologica, – se, con Foucault, – ciò che è spiegabile e conoscibile, almeno fino ad un certo punto, lo è «...al di fuori della mente umana, nelle forze sociali, nei rapporti di produzione, nello scontro di classe e così via».41 Dunque non si tratta di prendere posizione per l’innatismo della mente individuale o per il comportamentismo dei rapporti storici e sociali; bensì di considerare in quali modi e a quali condizioni la mente si serve di regole lingui129 Foucault def.indd 129 06/02/15 17:36 stiche e strutture conoscitive. Tanto è vero che Chomsky in accordo con Foucault asserisce che «ogni atto di creatività scientifica dipende da due fattori: uno è rappresentato da un certo insieme di strutture costitutive della mente umana; l’altro è formato da alcune condizioni sociali e intellettuali.»42 Si tratta infatti di considerare, come dimostra L’Archeologia del sapere, che in luogo di scienze preformate in cui la conoscenza è organizzata in strutture coerenti, formalizzate nell’accademia, abbiamo a che fare con piani di dispersione in cui l’èpisteme, cioè l’insieme delle conoscenze diffuse, di elmenti di sapere ed elementi di senso comune, nonchè di pratiche e di strumenti tecnici, si dislocano in forme di veridizione e tecniche di governo. Inoltre, per una improrogabile “spinta dal basso”, la storia non è mera successione di grandi eventi, al culmine di movimenti sotterranei e invisibili; bensì l’azione dirompente di temporalità molteplici, di forze divergenti, uomini infami, reclusi, rivoltosi, emarginati, di cui seguiamo i tentativi di liberazione e i conflitti con le forze di repressione. E i rapporti tra saperi e soggetti, tra formazioni discorsive e formazioni storiche, lungo la giuntura tra visibile e dicibile, al contrario di quanto supposto dal positivismo storicistico, non determinano un accumulo di esperienza; nè lo sviluppo infinito delle civiltà, bensì rotture e disfunzioni, movimenti retrogradi e devoluzioni, esodo e dismissione – laddove la forza di costrizione si esercita all’interno dei piani di libertà. Dunque, la rottura del paradigma scientifico della conoscenza possibile, ha dato luogo a quella sovversione più o meno silenziosa dei saperi e a quelle trasformazioni microfisiche dei poteri in cui si dissolve la rappresentazione della natura umana come esteriorità inaccessibile, creativa e produttiva. Con essa si dissolve l’opposizione precostituìta di innato e acquisito nell’urgenza del trascendentale. 130 Foucault def.indd 130 06/02/15 17:36 D’ora in avanti, e almeno fino alla soglia del nostro presente, la questione delle condizioni di possibilità del sapere e della scienza, della storia e del soggetto, della verità e del discorso, sono formulate sul piano dell’esperienza, in cui coesistono invarianza e variazione, unicità della differenza e singolarità della replica. E lo sono nella misura in cui riconosciamo la natura umana non come l’evento che identifica la specie per caratteri essenziali; bensì come quel dispositivo in cui sono dislocati contenuti di sapere, rapporti di potere e pratiche di soggettivazione, in cui si danno le condizioni di possibilità della verità e della storicità; condizioni che presiedono ai processi di valorizzazione. Ciò che allora emerge ad uno sguardo retrospettivo dall’incontro di Eindhoven, non è tanto il contrasto tra la determinazione empirica della natura umana e l’innato schematismo di una mente individuale che produce conoscenza a partire da un numero limitato di regole; ma, come si evince dalle risposte di Foucault, il confronto ha per tema la questione del trascendentale, delle condizioni di esistenza di caratteri e facoltà di specie come effetti dei rapporti tra ciò che è permanente nella biografia e ciò che la modifica nell’esperienza del soggetto; e, sul piano delle scienze, tra genetica e storia, produzione e riproduzione dell’organico, bios e zoè. La proposta “in negativo” di Foucault e quella “produttiva” e “generativa” di Chomsky non sono sullo stesso piano. Foucault, interrogandosi sulle condizioni di possibilità dell’innato che si manifesta nell’esperienza, si colloca lungo la giuntura nella quale divergono razionalismo ed empirismo; Chomsky invece, denunciando il comportamentismo, a favore di una «scienza dell’uomo, secondo le modalità utilizzate per qualsiasi altra scienza», attende all’eliminazione totale del «comportamentismo e dell’intera tradizione empirista che si trova alle sue spalle» 43, evi131 Foucault def.indd 131 06/02/15 17:36 tando però di interrogare i modi storici di costituzione di quel campo, aperto dalla biologia agli inizi del XIX secolo. Il piano su cui si colloca Foucault, al livello dell’archeologia della cultura, è asimmetrico rispetto a quello di Chomsky, interno alla storia del razionalismo, nella variante generativa che, nella lotta contro l’empirismo ha dimenticato gli a priori e con ciò la giustificazione di ciò che è innato.44 Nel considerare invece l’ a priori storico di una certa formazione discorsiva, di una costellazione di enunciati, di certe forme di veridizione, Foucault evidenzia, al di qua della definizione di una libertà e di una creatività attribuite ad una struttura innata o ad abitudine, come tali prese di posizione derivino dalla storia dei rispettivi conflitti che entrambe le teorie hanno sostenuto nelle diverse fasi della modernità. Foucault inoltre indica come il metodo archeologico porti ad emergenza, nell’orizzonte del trascendentale, una critica alla natura nel luogo della sua estinzione. È infatti la determinazione dell’ a priori storico che ci consente di disporci oltre il dualismo di innato e appreso, natura e cultura; e di intraprendere una critica della modernità: «credo che in una società come la nostra il vero compito politico sia quello di criticare il funzionamento di istituzioni apparentemente neutre e indipendenti; di criticarle e attaccarle in modo tale che l’evidenza politica che, in modo sotterraneo, in esse si esercita venga smascherata e si possa combatterle.».45 Un’archeologia delle scienze ci consente la genealogia del concetto di natura umana, in cui invariante e variazioni, permanenza e contingenza risultano effetti di una determinata formazione storica. Ed è quanto cogliamo dell’attuale costellazione neoliberale, studiata di recente da Pierre Dardot e Christian Laval nell’intreccio di razionalità e tecniche di governo in cui vivono soggetti e istitu132 Foucault def.indd 132 06/02/15 17:36 zioni.46 Infatti, a differenza che nel recente passato, oggi il piano nascosto della produzione di sapere e di ricchezza e della riproduzione dell’umano emergono in superfice e alimentano il regime di valorizzazione nella consistenza della variabilità, con la richiesta incessante di una generica flessibilità in cui l’essere “imprenditore di sè stesso” serve a sfruttare un “capitale umano” sempre disponibile. La critica come modo genealogico, oltre le condizioni e il condizionato, risale la soggettività nella produzione di sapere, individuando i punti di attivazione e le forme con le quali si esercita il potere. Perchè le attuali forme di dominio sulla soggettività non sono semplicemente l’espressione politica dello sfruttamento economico, ma allo stesso tempo sono mezzo e condizione di possibilità della riproduzione della vita.47 Una critica genealogica, situata al di là delle opposizioni in cui l’umano è stato conosciuto e interpretato, deve in primo luogo esercitarsi contro l’umano come essenza o solo naturale o solo macchinica; cioè occupare il luogo della morte dell’uomo. Esercitandosi come critica, la genealogia porta a compimento il ciclo dell’uomo e ritrova le condizioni di possibilità della sua esistenza preindividuale e della sua sorte; cioè chiude l’impresa archeologica ristabilendone da capo la validità, nel dissolvere l’illusione del progresso, la superstizione del futuro, per sperimentare, con Nietzsche, il pensiero dell’avvenire. Ma questo movimento non lascia inalterato il “prima” e il “dopo”, le permanenze e le rotture; sovverte invece i valori, opera una trasvalutazione che revoca l’assoluto della morale: le idee di giustizia, pace, bene, che derivano dai rapporti di potere a cui uomini e donne sono assoggettati e per cui sono soggetti. «In una società priva di classi, non sono certo che si debba ancora ricorrere al concetto di giustizia» 48 dice Foucault nel prosieguo del confronto con Chomsky, che risponde: «Penso che esiste una base as133 Foucault def.indd 133 06/02/15 17:36 soluta in cui fondare una nozione “autentica” di giustizia, che in fin dei conti corriponde ad alcune qualità umane fondamentali», anche se «non sono in grado di parlarne in modo più preciso».49 Ma ciò accade perchè Chomsky presuppone dei valori a fondamento della natura umana, invece che una natura che produce l’assoluto dei valori. L’inversione è sintomo del processo di astrazione per cui la forma delle scienze e le scienze sociali sussistono come strumenti di potere; e la cui versione “critica” si è limitata a capovolgere la natura in storia e l’assoluto in contingenza. Invece, con Nietzsche «...ho l’impressione che l’idea di giustizia, in diversi tipi di società, sia stata inventata e fatta funzionare come lo strumento di una certa forma di potere politico ed economico, oppure come un’arma contro questo potere»50. Ed è risalendo la genealogia della separazione di valori e storia che, nel luogo di indistinzione di natura e idea che “già da sempre” anima la variazione storica, il “proprio ora” delle tecnologie di governo vive nella destituzione della legge, nell’esodo dalla produzione e dalla costituzione. Assumendo la natura umana come dispositivo, come esteriorità, ci disponiamo oltre l’antropologia. Ma, a partire dalla tematica kantiana, e in qualche modo riprendendone il progetto, riconosciamo l’uomo come tramonto, nella posterità e nella ripresa « di quella struttura ternaria...che caratterizza l’Inbegriff des Daseins: fonte, ambito, limite»51 in cui il trascendentale trova conferma nell’empirico.52 E in cui l’essere umano si conferma come “allotropo empirico-trascendentale”.53 La sua misura non è più l’uomo in sè, nè il mondo in sè, bensì «quella struttura fondamentale del suo Inbegriff nell’esistenza come tutto, in cui le tre nozioni dell’impresa critica raggiungono «il livello del fondamentale».54 «Vediamo così che il mondo non è 134 Foucault def.indd 134 06/02/15 17:36 semplicemente fonte per una “facoltà” sensibile, ma è lo sfondo di una correlazione trascendentale passività-spontaneità; che il mondo non è ambito semplicemente per un intelletto sintetico, ma è lo sfondo di una correlazione trascendentale necessità-libertà; che il mondo non è limite semplicemente per l’uso delle Idee, ma è lo sfondo di una correlazione trascendentale ragione-spirito (Vernunft-Geist). E in questo modo, in questo sistema di correlazioni si fonda la trascendenza reciproca della verità e della libertà».55 La mossa che sentiamo di dover proporre in un pensiero “dopo l’antropologia” consiste, a partire dalla considerazione ontologica del presente, nel dislocare la domanda sull’Uomo dal livello del fondamentale, in cui per Kant sono racchiuse le domande sull’essere, al livello dell’apparenza, laddove l’essere umano si agita sulla scena del mondo e dischiude un campo di desoggettivazione in cui divenire altro; in cui dissolve l’ “io”; in cui fa deflagrare l’identità e rompe lo specchio di Narciso che riflette il desiderio in una Legge. Perchè nel momento in cui riconosciamo la nostra felicità nel desiderio subordinato alla legge, decidiamo per il contrario della legge: per l’oltre umano. Tentiamo l’accesso a quella “notte salva” in cui per Benjamin sarebbe consistito il tutto dell’esistenza. Che quest’epoca del tramonto, non vissuto come soglia di un presente che differisce dal passato per il declino delle essenze nelle discontinuità storiche, ma come progetto soggettivo, come volontà di potenza, in grado di far appello alle sintesi passive elevandole al rango di condizioni di possibilità della prassi. Che il tramonto avvenga non come un annuncio, nè come una rivoluzione, ma come quell’evento proprio della finitudine, dipende dalla presa di posizione per l’oltreuomo: «Se la scoperta del Ritorno segna la fine della filosofia, la fine dell’uomo invece segna 135 Foucault def.indd 135 06/02/15 17:36 il ritorno dell’inizio della filosofia. Oggi possiamo pensare soltanto entro il vuoto dell’uomo scomparso. Questo vuoto infatti non costituisce una mancanza; non prescrive una lacuna da colmare. Non è ne più ne meno che l’apertura di uno spazio in cui finalmente è di nuovo possibile pensare. L’Antropologia costituisce la disposizione fodamentale che ha governato e diretto il pensiero filosofico da Kant fino a noi. Tale disposizione è essenziale...essa tuttavia sta dissociandosi sotto i nostri occhi dal momento che cominciamo a...denunciarvi in forma critica, l’oblio dell’apertura che la rese possibile e...l’ostacolo cieco che ostinatamente si oppone a un pensiero futuro. A tutti coloro che vogliono ancora parlare dell’uomo, del suo regno, della sua liberazione...a tutte queste forme maldestre e alterate, non possiamo che contrapporre un riso filosofico, cioè, in parte, silenzioso.»56 Da questa posizione, occupata da un soggetto allo stesso tempo privilegiato e marginale, nella misura in cui la soggettivazione del vero assume il senso della verità per l’animale dotato di linguaggio; nell’assumere questa posizione, filosofica in quanto etica, il pensiero e l’opera di Foucault ci riguardano in un senso più cogente di qualsiasi altra presa di posizione. Perchè, più o meno consapevoli che ne siamo, è il tramontare la prassi dell’esistenza, prassi in cui l’organico non si separa dal sostrato materiale della vita per formare il pensiero, ma rileva, nel presente del fenomeno, la storicità della natura e la naturale animalità dell’umano. A partire da questa posizione, in cui risultano indistinguibili nichilismo passivo e attivo, in cui l’empirico diviene storico nella permanenza di un sapere che eccede l’essere umano, nel divenire infinito della finitudine, avvertiamo la grande lezione di Foucault. Certo, è il soggetto che assumerà il compito di tramontare. Il singolo individuo sarà investito dalla volontà di tra136 Foucault def.indd 136 06/02/15 17:36 montare; ma ciò dovrà accadere nella permanenza dell’anonimo, nelle possibilità di desoggettivazione, nel divenire altro, in cui sono comprese le tecnai tou biou, la cura di sè, la pratica del dire il vero. Ed è dunque a partire da chi viene dopo Zarathustra, dal meriggio della storia, che emerge l’archelogia del tempo presente in cui e per cui si compie la genealogia della modernità. Da questo luogo e assumendo questo punto di osservazione, bisogna prender parte all’emergere del fondo naturalmente storico, prediscorsivo e preindividuale del divenire, in cui si costituiscono le temporalità e l’organico, le fome del sapere e le forme di vita. Il soggetto è sia l’effetto di quelle formazioni discorsive in cui abita il sapere disperso di culture e tradizioni, riti ed eredità; sia le origini dei rapporti di potere e di quei “giochi di verità” in cui riconosciamo il governo di sè e degli altri, le sucessioni e le regressioni del dominio, ma anche l’appropriazione e l’uso della libertà nella dimensione del comune. È nell’emergenza di quel fondo preindividuale, a partire da una rottura dell’identità, che il pensiero è possibile. Poco importa definire questa permanenza come piano di intersezione di produzione di sapere e produzione di soggettività; e definire l’identità del soggetto come naturale o storica; o ancora, isolandone una regione, definire lo spazio del non sapere come luogo dell’inconscio o della sensibilità; ciò che importa è costatarne l’evento, coglierne il fenomeno, che non è da sempre intenzionale, ma che assume la permanenza di una forma nell’abbandono al divenire. Alla domanda dell’antropologia “Che cos’è l’uomo?” rispondiamo con un’altra domanda che ne inverte il senso nel movimento del presente: “Che ne è del soggetto? Quanto più infatti l’individuo si affanna a valorizzare la soggettività tanto più questa appare nella curva del tramonto. In questo movimento attribuiamo un senso al pun137 Foucault def.indd 137 06/02/15 17:36 to del tempo in cui ci troviamo ma ci accorgiamo subito di quanto, come aveva asserito Spinoza, la “potenza della natura” eccede le forze umane. È in questa congiuntura, in cui la trascendenza diviene segnatura dell’immanenza, che ci riconosciamo oltreumani, destinati all’anonimato quanto più ci affanniamo a divenire soggetti, a mettere in campo l’”io” per continuare ad assumere “il posto del re” nella scacchiera in cui si gioca la competizione permanente per la vita. Negando invece la nostra potenza e affermandone la destituzione, che è la debole forza narrata da Benjamin, disattiviamo la legge nell’epoca della sua produzione. Realizziamo un sapere nel tempo della dispersione. In questa situazione Foucault è il profilo del presente che annuncia la filosofia dell’avvenire. Note Cfr., Gilles Deleuze, Il sapere. Corso su Michel Foucault (19851986) / 1, trad.it., Ombre Corte, Verona, 2014. 2 Cfr., Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle cienze umane, trad.it., BUR, Milano, 1998. 3 Una delle testimonianze più dirette di un pensiero che si fa vita in Bataille è lo scritto su Nietzsche. Cfr., Su Nietzsche, trad.it., SE, Milano, 2006. 4 Tematizzata da Jacques Lacan, nel cui argomento troviamo ripetuta la qualificazione della natura umana proposta dall’antropologia filosofica nella prima metà del ‘900, se è vero che la psicoanalisi “avanza per scavalcare la rappresentazione, per su1 138 Foucault def.indd 138 06/02/15 17:36 perarla dal lato della finitudine...Il desiderio non è ciò che rimane perennemente impensato nell’intimo del pensiero? E quella Legge-Linguaggio...che la psicoanalisi si sforza di far parlare, non è forse ciò in cui ogni significato acquista un’origine più remota di sè medesimo, ma anche ciò il cui ritorno è promesso nell’atto stesso dell’analisi?”(Le parole le cose, cit. pp. 400-401). Ma anche la distanza da quel paradigma dell’anthropos nell’intuizione della struttura linguistica della sua essenza: “...Attraverso un cammino assai più lungo e imprevisto siamo ricondotti nel posto indicato da Nietzsche e da Mallarmè, allorchè il primo aveva chiesto “Chi parla?” e l’altro aveva veduto scintillare la risposta nella Parola stessa». (cit., p. 409). 5 G. Deleuze, cit., p. 154. 6 Cfr., Le parole e le cose, p. 13. 7 Id., cfr., p. 49 e sgg. Giorgio Agamben ha delucidato il concetto di segnatura come indice epistemologico in Segnatura Rerum, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. 8 Id., cit., p. 66 9 Id., p. 77. 10 Id., p., 139. 11 Id., cfr, p. 79. 12 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad.it., la Nuova Italia, Firenze, 1996, cit., “Prefazione”, p.10. 13 Emmanuel Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico. Introduzione e note di Michel Foucault, trad.it., PBE Einaudi, Torino, 2010; cfr, “Introduzione”, p. 42. Una sintesi dell’Introduzione ad opera di Stefano Catucci è nel n1/2004 di “Forme di vita”, La “natura” della natura umana in Michel Foucault, pp.7485. 14 G. Agamben, La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2010. Cit. “L’idea del linguaggio”, p. 35. 15 Id., cit. p. 35. 16 Le parole e le cose, cfr., p. 137. 139 Foucault def.indd 139 06/02/15 17:36 Id., p. 138. Cfr., Jacob Taubes, “Walter Benjamin - Un marcionita moderno”, in Il prezzo del messianesimo, trad.it., Quodlibet, Macerata, 2000, p. 63. 19 A questo destino potrebbe sfuggire un’etnologia psicanalitica delle collettività, indicata nel capitolo X de Le parole e le cose come alternativa all’accentuata individualizzazione delle scienze umane. 20 Cfr., G. Deleuze, F. Guattari, Come farsi un corpo senza organi. Millepiani. Capitalismo e schizofrenìa. Sez II, trad.it., Castelvecchi Editore, Roma, 1996, p. 140 e sgg. 21 Ma che cosa sono le sintesi passive? In riferimento a Kant, nell’interpretazione della filosofia critica fatta da Deleuze sono le dimensioni della sensibilità che possono o meno raccogliersi nell’immaginazione, e che permangono nell’appercezione. Deleuze mutua tale signficato dal senso analitico che Husserl aveva attribuito agli effetti di percezione nel tentativo di fondare nelle Lezioni sulla sintesi passiva, (trad.it, Guerini e Associati, Milano, 1993) una fenomenologia della percezione. 22 Le parole e le cose, cit. p. 21. 23 Id, cit. p. 21 24 Id, cit. p. 21 25 E. Kant, Antropologia, “Introduzione”, cit. pag. 40. 26 Id., cfr. p. 41. 27 Id., cit. p. 45. 28 Id., cit. p. 45. 29 Id., cit. p. 47. 30 Id., cit., p. 51. 31 Noam Chomsky, Michel Foucault, Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, trad. it., DeriveApprodi Editore, Roma, 2005 32 Id., cit. p. 10. 33 Id., cit. p. 13. 34 Id., cfr. p. 20. 17 18 140 Foucault def.indd 140 06/02/15 17:36 Id., cit. p. 32: «...se il bambino non avesse nella propria mente un concetto molto preciso di lingua, il salto induttivo dai dati empirici alla conoscenza di una lingua sarebbe altrettanto impossibile». 36 Id., cfr. p. 31. 37 Id., cit. p. 37 38 Nei suoi lavori Paolo Virno ha messo in evidenza tale doppio processo, nell’intreccio della dimensione preindividuale e dell’ individuazione, ove emerge la qualità della natura umana nella soglia del presente: cioè ove filosofia del linguaggio e biologia, analisi dello psichico e dell’organico si situano in una zona di intersezione che è fonte di un nuovo pensiero e una nuova ontologia del soggetto e delle relazioni. La forma della temporalità attuale, il “già da sempre” e il “proprio ora” in cui coesistono invarianza “biologica” e variazione “storica”, è qualificata da Virno come nesso significativo del capitalismo contemporaneo, laddove la generica facoltà di linguaggio è valorizzata nei singoli atti di parola in cui si esprime la prassi affettiva, lavorativa, di relazione. Non si tratta quindi di definire una potenza soggettiva e costituente che determina l’insieme delle relazioni sociali date e le possibili forme di contrasto al capitalismo; quanto di individuare, nella naturale artificialità dell’intreccio di invarianza e variazione, i modi e i luoghi in cui la facoltà di linguaggio è attivata, e quali procedure di disattivazione sono possibili. 39 Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it., Einaudi Editore, Torino, 2009. 40 Cfr., Massimo Piattelli Palmarini, Jerry Fodor, Gli errori di Darwin, trad. it., Feltrinelli Editore, Milano, 2012, p. 30 e sgg. 41 Della natura umana, cit. p. 37. 42 Id., cit. p. 40. 43 Id., cit. p. 45. 44 In quella storia della verità che Foucault ha insistito perchè fosse realizzata. 45 Id., cit. p. 51. 35 141 Foucault def.indd 141 06/02/15 17:36 Cfr., C. Laval, P. Dardot, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, trad.it., DeriveApprodi Editore, Roma, 2013. 47 Della natura umana, cit. p. 51. 48 Id., cit. p. 67. 49 Id., cit. p. 67. 50 Id., cit. p. 67. 51 Antropologia, “Introduzione”, cit. p. 61. 52 Il “momento kantiano” dell’antropologia è stato disdetto dall’antropologia filosofica che invece di interrogare, in accordo con la storia naturale, il “principio vivificante” lo ha disdetto in favore della “mancanza”, di cui da tempo cogliamo il limite nel prescrivere una Legge al desiderio. 53 Le parole e le cose, cit. p. 343. 54 Antropologia, “Introduzione”, cit. p. 63. 55 Id., cit. p. 63. 56 Le parole e le cose, cit. p. 368. 46 Bibliografia Giorgio Agamben, Segnatura Rerum, Bollati Boringhieri, Torino, 2008 G. Agamben, La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2010 Georges Bataille, Su Nietzsche, trad.it., SE, Milano, 2006 Stefano Catucci, La “natura” della natura umana in Michel Foucault, “Forme di vita”, 1/2004, DeriveApprodi editore, Roma, 2004 Noam Chomsky, Michel Foucault, Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, trad. it., DeriveApprodi Editore, Roma, 2005 142 Foucault def.indd 142 06/02/15 17:36 Gilles Deleuze, Il sapere. Corso su Michel Foucault (1985-1986) / 1, trad.it., Ombre Corte, Verona, 2014 G. Deleuze, F. Guattari, Come farsi un corpo senza organi. Millepiani. Capitalismo e schizofrenìa. Sez II, trad.it., Castelvecchi Editore, Roma, 1996 Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle cienze umane, trad.it., BUR, Milano, 1998 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad.it., la Nuova Italia, Firenze, 1996 Christian Laval, Pierre Dardot, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, trad.it., DeriveApprodi Editore, Roma, 2013 Massimo Piattelli Palmarini, Jerry Fodor, Gli errori di Darwin, trad. it., Feltrinelli Editore, Milano, 2012 Jacob Taubes, “Walter Benjamin - Un marcionita moderno”, in Il prezzo del messianesimo, trad.it., Quodlibet, Macerata, 2000 Emmanuel Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico. Introduzione e note di Michel Foucault, trad.it., PBE Einaudi, Torino, 2010 Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it., Einaudi Editore, Torino, 2009 Sul web: Dibattito Chomsky-Foucault https://www.youtube.com/ watch?v=3wfNl2L0Gf8 Discorso e verità http://ubu.com/sound/foucault.html Foucault News http://foucaultnews.com/ Foucault.info http://foucault.info/ Howison Lectures http://www.lib.berkeley.edu/MRC/foucault/ 143 Foucault def.indd 143 06/02/15 17:36 howison.html Le Corps Lieu d’ Utopies watch?v=NSNkxvGlUNY https://www.youtube.com/ Le parole e le watch?v=hem1er1VJUQ https://www.youtube.com/ cose Mal faire dir vrai Michel Foucault à l’Universitè Catholique de Louvain en 1981 https://www.youtube.com/watch?v=132QZ_ C3ovs Materiali Foucaultiani http://www.materialifoucaultiani.org/ Portal M.F. http://michel-foucault-archives.org/ Sorvegliare e punire watch?v=9Bm3dd0D4KA watch?v=JB49i2qazTY https://www.youtube.com/ https://www.youtube.com/ The lost interview watch?v=qzoOhhh4aJg https://www.youtube.com/ Grandes Pensadores del siglo XX https://www.youtube.com/ watch?v=NYU0_LpvYtQ Michel Foucault - Entrevista Alain Badiou (1-2-3) - Filosofía y Psicología (Psicoanálisis) https://www.youtube.com/ watch?v=1e8Rynio0B8 Michel Foucault por sí mismo (2003) https://www.youtube. com/watch?v=_wEsYlr5DQM 144 Foucault def.indd 144 06/02/15 17:36 SECONDA Foucault def.indd 145 PARTE 06/02/15 17:36 Foucault def.indd 146 06/02/15 17:36 IL POTERE, I VALORI MORALI E L’INTELLETTUALE UN’INTERVISTA CON MICHEL FOUCAULT Michael Bess Michael Bess: Un attimo fa stava dicendo di essere un moralista… Michel Foucault: In un certo senso, sono un moralista nella misura in cui credo che uno dei compiti, uno dei significati dell’esistenza umana – l’origine della libertà umana – sia di non accettare mai niente come definitivo, intoccabile, ovvio o immobile. Non dovremmo permettere a nessun aspetto della realtà di divenire una legge definitiva e disumana. Dobbiamo sollevarci contro tutte le forme di potere – e non solo contro il potere nel senso stretto del termine, che si riferisce al potere di un governo o di un particolare gruppo sociale su un altro: queste sono solo alcune istanze specifiche di potere. Potere è tutto ciò che tende a rendere immobili e intoccabili quelle cose che ci sono presentate come reali, vere e buone. Michael Bess: Ciò nonostante, abbiamo bisogno di fissare le cose, anche se in modo provvisorio… Michel Foucault: Certo, certo. Questo non significa che si debba vivere in una discontinuità indefinita. Quello che 147 Foucault def.indd 147 06/02/15 17:36 voglio dire, è che dobbiamo considerare tutti i punti di fissità, d’immobilizzazione, come elementi in una tattica, in una strategia – come parte di uno sforzo teso a riportare le cose alla loro originaria mobilità, alla loro apertura al cambiamento. Poco fa le stavo parlando dei tre elementi della mia morale, che sono: 1) il rifiuto di accettare come auto-evidenti le cose che ci sono proposte; 2) la necessità di analizzare e conoscere, perchè non possiamo realizzare nulla senza riflessione e comprensione – dunque, il principio della curiosità; e 3) il principio dell’innovazione: individuare nella nostra riflessione quelle cose che non sono mai state concepite o immaginate. Quindi: rifiuto, curiosità, innovazione. Michael Bess: Mi sembra che il concetto filosofico moderno del soggetto implichi tutti e tre questi princìpi. Intendo dire che la differenza tra il soggetto e l’oggetto sta precisamente nel fatto che il soggetto è capace di rifiuto e d’innovazione. Il suo lavoro costituisce dunque un attacco alla tendenza a congelare questa nozione di soggetto? Michel Foucault: Ciò che intendevo chiarire è l’ambito di valori in cui situo il mio lavoro. Lei mi ha chiesto, poco fa, se non fossi un nichilista che ha rifiutato la moralità. A questo rispondo: no! In realtà, mi stava anche domandando: “Perchè fa il lavoro che fa?” Questi sono i valori che propongo. Ritengo che la teoria moderna del soggetto, la filosofia moderna del soggetto, possa ben accordare al soggetto una capacità d’innovazione, etc., ma che, di fatto, la filosofia moderna lo faccia solo a un livello teorico. In realtà, non è in grado di tradurre nella pratica questi diversi valori che sto cercando di elaborare nel mio lavoro. 148 Foucault def.indd 148 06/02/15 17:36 Michael Bess: Il potere può essere qualcosa di aperto e fluido, oppure è intrinsecamente repressivo? Michel Foucault: Il potere non dovrebbe essere concepito come un sistema oppressivo che grava sugli individui dall’alto, colpendoli con divieti di ogni genere. Il potere è un insieme di relazioni. Che cosa significa esercitare potere? Non vuol dire prendere questo registratore e gettarlo a terra. Ho la capacità di farlo – materialmente, fisicamente, sportivamente. Ma se lo facessi, non starei esercitando potere. Tuttavia, se prendessi questo registratore e lo gettassi a terra per irritarla, o per impedirle di ripetere quel che ho detto, o per fare pressione su di lei e indurla a un certo comportamento, o per intimidirla – beh, ciò che avrei fatto, plasmando il suo comportamento tramite determinati mezzi, questo sarebbe potere. Il che significa che il potere è una relazione tra due persone, una relazione che non è dello stesso ordine della comunicazione (anche se lei fosse obbligato a farmi da strumento di comunicazione). Non è come dirle: “Il tempo è bello”, oppure “Sono nato questo o quest’altro giorno”. Bene. Io esercito il potere su di lei: influenzo il suo comportamento, o tento di farlo. Provo a guidare il suo comportamento, a condurre il suo comportamento. Il mezzo più semplice per farlo è, chiaramente, quello di prenderla per mano e forzarla ad andare in un certo luogo. Questo è il caso limite, il grado zero del potere; ed è proprio in questo momento che il potere cessa di essere potere per divenire mera forza fisica. D’altro canto, se sfrutto la mia età, la mia posizione sociale, la conoscenza che posso avere di questa o quell’altra cosa, per farla comportare in un modo particolare – quindi, senza forzarla affatto e lasciandola completamente libera – ecco che allora inizio ad esercitare potere. È 149 Foucault def.indd 149 06/02/15 17:36 chiaro che il potere non dovrebbe essere definito come un atto costrittivo di violenza che reprime gli individui, forzandoli a fare qualcosa o impedendo loro di fare qualcos’altro. C’è potere quando c’è una relazione tra due soggetti liberi e questa relazione è sbilanciata, così che uno può agire sull’altro e l’altro ne è influenzato, o acconsente ad esserne influenzato. Il potere, quindi, non è sempre repressivo. Può assumere varie forme ed è possibile che ci siano relazioni aperte di potere. Michael Bess: Relazioni di uguaglianza? Michel Foucault: Mai di uguaglianza, perchè la relazione di potere è una disuguaglianza. Ma ci possono essere sistemi di potere reversibili. Consideriamo, ad esempio, quel che accade in una relazione erotica. Non parlo di una relazione amorosa, ma di una semplice relazione erotica. Sappiamo bene che si tratta di un gioco di potere, in cui la forza fisica non è necessariamente l’elemento più importante. Ciascuno agisce sul comportamento dell’altro in un certo modo, plasmandolo e determinandolo. Uno dei due può usare questa situazione in un certo modo, e poi mettere in atto l’esatto contrario vis-à-vis dell’altro. Ecco, questa non è altro che una forma puramente locale di potere reversibile. Le relazioni di potere non sono di per sè forme di repressione. Ma accade che, nella società, nella maggior parte delle società, vengono create delle organizzazioni per congelare le relazioni di potere, mantenerle in uno stato di asimmetria, così che un certo numero di persone ne traggano vantaggio socialmente, economicamente, politicamente, istituzionalmente, etc. Questo congela totalmente la situazione. È quel che chiamiamo potere nel senso stretto del termine: un tipo specifico di 150 Foucault def.indd 150 06/02/15 17:36 relazione di potere che è stato istituzionalizzato, congelato, immobilizzato a beneficio di alcuni e a discapito di altri. Michael Bess: Ma entrambe le parti della relazione ne sono vittime? Michel Foucault: No, affatto! Affermare che coloro che esercitano potere sono vittime, significherebbe spingersi un po’ troppo oltre. In un certo senso, è vero che possono essere presi nella trappola del loro stesso esercizio del potere, ma non sono vittime quanto gli altri. Provi lei stesso… e vedrà. [Risate] Michael Bess: Lei è quindi allineato alla posizione dei marxisti? Michel Foucault: Non saprei. Vede, non sono sicuro di sapere cosa sia realmente il marxismo – e non credo che esista come qualcosa di astratto. La sfortuna, o la fortuna, di Marx è che la sua dottrina è stata regolarmente adottata da organizzazioni politiche, ed è dopotutto l’unica teoria la cui esistenza sia sempre stata legata ad organizzazioni socio-politiche che sono state straordinariamente forti, straordinariamente mutevoli – fino al punto di divenire addirittura un apparato di Stato. Quindi, quando menziona il marxismo, le chiedo quale marxismo intenda – quello insegnato nella Repubblica Democratica Tedesca (il marxismo-leninismo)? I concetti vaghi, disordinati, spuri [bastard] usati da qualcuno come Georges Marchais? O il corpo dottrinale che funge da punto di riferimento per certi storici inglesi? In altre parole, non so cosa sia il marxismo. Provo a lottare con gli oggetti della mia stessa analisi, e quando mi capita di far uso di 151 Foucault def.indd 151 06/02/15 17:36 un concetto impiegato anche da Marx, o dai marxisti – un concetto utile, soddisfacente – bene, per me è lo stesso. Ho sempre rifiutato di considerare una presunta conformità o non conformità con il marxismo come un fattore decisivo per accettare o ripudiare quel che dico. Non potrebbe importarmene di meno. […] Michael Bess: Ha qualche idea di un sistema di potere capace di mettere ordine nella massa di esseri umani presenti sul pianeta – un sistema di governo [governance] che non divenga una forma repressiva di potere? Michel Foucault: Un programma di potere può assumere tre forme. Da un lato: come esercitare il potere nel modo più efficace possibile (essenzialmente, come rafforzarlo)? O, dall’altro lato, la posizione inversa: come rovesciare il potere, quali sono i punti di attacco in grado di minare una data cristallizzazione di potere? Infine, la posizione intermedia: come giungere a limitare le relazioni di potere per come sono incarnate e sviluppate in una particolare società? Bene, la prima posizione non mi interessa: fare un programma di potere per esercitarlo ancora di più. La seconda posizione è interessante, ma mi colpisce il fatto che dovrebbe essere considerata essenzialmente con uno sguardo ai suoi obiettivi concreti, alle lotte che si vogliono intraprendere. E questo implica precisamente che non se ne debba fare una teoria a priori. Per quel che concerne la posizione intermedia – quali sono le condizioni accettabili di potere – sostengo che queste condizioni accettabili per l’esercizio del potere non possano essere definite a priori. Non sono mai nient’altro che il risultato di relazioni di forza all’interno di una data società. In tale situazione, succede che un certo disequilibrio nelle relazioni 152 Foucault def.indd 152 06/02/15 17:36 di potere sia in effetti tollerato dalle sue vittime, quelle che sono nella posizione più sfavorevole in un determinato momento. Ma in nessun modo ciò significa che tale situazione sia accettabile. Le vittime ne divengono subito consapevoli, e così – dopo qualche giorno, qualche anno, qualche secolo – la gente finisce sempre per opporre resistenza, e il vecchio compromesso non funziona più. È tutto. Ma non si può approntare una formula definitiva per un esercizio ottimale del potere. Michael Bess: Intende dire che, nelle relazioni tra le persone, c’è qualcosa che congela o che coagula, qualcosa che infine diventa, dopo un certo periodo di tempo, intollerabile? Michel Foucault: Sì, sebbene talvolta ciò accada immediatamente. Le relazioni di potere, quali esistono in una data società, non sono mai altro che la cristallizzazione di un rapporto di forza. E non c’è alcuna ragione per cui queste cristallizzazioni di relazioni di forza debbano essere formulate come una teoria ideale per le relazioni di potere. Per carità, non sono uno strutturalista, nè un linguista, e nient’altro del genere, ma vede, è un po’ come se un insegnante di grammatica dicesse: “Bene, questo è il modo in cui la lingua dovrebbe essere parlata, questo è il modo in cui l’inglese o il francese dovrebbero essere parlati”. Ma no! Si può descrivere come una lingua sia parlata in un dato momento, si può affermare cosa sia comprensibile e cosa inaccettabile, incomprensibile. Questo è tutto ciò che si può dire. Ma ciò non implica, d’altro canto, che questo tipo di lavoro sulla lingua non consentirà delle innovazioni. Michael Bess: È una posizione che rifiuta di parlare in 153 Foucault def.indd 153 06/02/15 17:36 termini positivi, fatta eccezione per il momento presente… Michel Foucault: A partire dal momento in cui si concepisce il potere come un insieme di rapporti di forza, non ci può essere alcuna definizione programmatica di uno stato ottimale di forze – a meno che, naturalmente, non si prenda posizione dicendo: “Voglio che il bianco, l’ariano, la razza pura prenda il potere e lo eserciti”, oppure: “Voglio che il proletariato eserciti il potere e che lo faccia in modo totalizzante”. E allora sì che risulta dato un programma per la costruzione del potere. Michael Bess: È intrinseco all’esistenza degli esseri umani che la loro organizzazione finirà per consistere in una forma repressiva di potere? Michel Foucault: Oh sì, naturalmente. Non appena ci sono persone che si trovano in una posizione (all’interno del sistema delle relazioni di potere) tale da poter influenzare altre persone, e determinare la vita, il comportamento, di altre persone – ebbene, la vita di quelle altre persone non sarà molto libera. Di conseguenza, a seconda della soglia di tolleranza, a seconda di tutta una serie di variabili, la situazione potrà essere più o meno accettata, ma non sarà mai totalmente accettata. Ci sarà sempre chi si ribella, chi resiste. Michael Bess: Mi lasci fare un esempio diverso. Se un bambino volesse scarabocchiare i muri di una casa, sarebbe repressivo impedirglielo? A che punto si può dire: “Basta così!”? Michel Foucault: […] Se io accettassi l’immagine del potere che è frequentemente adottata – ovvero che il potere è qualcosa di orribile e repressivo per l’individuo – è chiaro che 154 Foucault def.indd 154 06/02/15 17:36 impedire a un bambino di scarabocchiare i muri sarebbe una tirannia insopportabile. Ma non è questo: io dico che il potere è una relazione. Una relazione in cui uno guida il comportamento di altri. E non c’è alcuna ragione per cui questa maniera di guidare il comportamento degli altri non debba alla fine avere risultati positivi, preziosi, interessanti e così via. Se avessi un figlio, le assicuro che non scriverebbe sui muri – o, nel caso in cui lo facesse, lo farebbe contro la mia volontà. Ci mancherebbe altro! Michael Bess: È problematico… qualcosa che si deve continuamente mettere in discussione. Michel Foucault: Sì, sì! È esattamente così! Un esercizio di potere non dovrebbe mai essere qualcosa di per sè evidente. Non è perchè sei un padre che hai il diritto di dare un ceffone a tuo figlio. Spesso anche il non punirlo è un modo di modellare il suo comportamento. Si tratta di un ambito di relazioni molto complesse, che richiede una riflessione infinita. Quando si pensa alla cura con cui i sistemi semiotici sono stati analizzati nella nostra società, tanto da scoprire il loro valore significante [valeur signifiante], [non si può non rilevare] che, invece, i sistemi che riguardano l’esercizio del potere sono stati relativamente trascurati. Non si è prestata abbastanza attenzione a questo complesso insieme di connessioni. Michael Bess: La sua posizione sfugge continuamente alla teorizzazione. È qualcosa che deve essere rifatto sempre di nuovo. Michel Foucault: Se vuole, si tratta di una pratica teori155 Foucault def.indd 155 06/02/15 17:36 ca. Non è una teoria, quanto piuttosto un modo di teorizzare la pratica. […] Talvolta, poichè la mia posizione non è stata resa in modo sufficientemente chiaro, la gente pensa che io sia una specie di anarchico radicale che nutre un’avversione assoluta per il potere. No! Quello che sto cercando di fare è di affrontare questo fenomeno estremamente importante e intricato presente nella nostra società, ovvero l’esercizio del potere, con il più riflessivo, e direi pure il più prudente degli atteggiamenti: essere prudente nella mia analisi, nei postulati morali e teorici che uso; cerco di capire quali siano le poste in gioco. Ma interrogare le relazioni di potere nel modo più scrupoloso e attento possibile, badando a tutti gli ambiti dell’esercizio del potere, non equivale a costruire una mitologia del potere come la bestia dell’Apocalisse. Michael Bess: Ci sono delle tematiche positive nella sua concezione di ciò che è buono? In pratica, quali sono gli elementi morali sui quali lei basa le sue azioni nei confronti degli altri? Michel Foucault: Gliel’ho già detto: rifiuto, curiosità, innovazione. Michael Bess: Ma non sono tutti piuttosto negativi nel loro contenuto? Michel Foucault: La sola etica che si può avere, riguardo all’esercizio del potere, è la libertà degli altri. Io non dico agli altri: “Fai l’amore in questo modo, fai dei figli, vai a lavorare”. Michael Bess: Devo ammettere che sono un po’ smarrito, non mi oriento più nel suo mondo – forse perchè è troppo aperto. 156 Foucault def.indd 156 06/02/15 17:36 Michel Foucault: Senta, senta… quanto è difficile! Non sono un profeta; non sono un organizzatore; non voglio dire alla gente che cosa dovrebbe fare. Non dirò loro: “Questo per te è un bene, questo per te è un male!” Provo ad analizzare una situazione reale nelle sue varie complessità, con lo scopo di permettere rifiuto, curiosità e innovazione. Michael Bess: E rispetto alla sua vita personale, è diverso… Michel Foucault: Ma questo non riguarda nessun’altro all’infuori di me! Credo che, al cuore di tutto ciò, ci sia un fraintendimento della funzione della filosofia, dell’intellettuale, e del sapere in generale: cioè che spetti a loro dirci cos’è bene. Ebbene, no! No, no, no! Questo non è il loro ruolo. In realtà hanno già fin troppo la tendenza a giocare questo ruolo. Per duemila anni ci hanno detto cos’è bene, con tutte le conseguenze catastrofiche che ciò ha implicato. Siamo qui di fronte a un gioco terribile, un gioco che nasconde una trappola, per cui gli intellettuali tendono a dire cos’è bene, e la gente non chiede niente di meglio che le si dica cos’è bene – e potrebbe essere ancora meglio se cominciassero a strillare: “Quant’è male questo!” Ebbene, cambiamo il gioco. Diciamo che gli intellettuali non avranno più il ruolo di dire cos’è bene. Così starà alla gente stessa, che baserà il proprio giudizio sulle differenti analisi della realtà che le verranno offerte, lavorare o agire spontaneamente in modo tale da poter definire da sè che cosa sia bene per sè. Cos’è bene, è qualcosa che s’innova. Il bene non esiste di per sè, in un cielo senza tempo, con persone che sarebbe157 Foucault def.indd 157 06/02/15 17:36 ro come gli Astrologi del Bene e il cui lavoro consisterebbe nel determinare quale sia la natura favorevole delle stelle. Il bene è definito da noi, è praticato, è inventato. E si tratta di un’opera collettiva. È più chiaro adesso? Traduzione dall’inglese di Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini e Martina Tazzioli, rivista da Michael Bess 158 Foucault def.indd 158 06/02/15 17:36 VOLONTÀ DI VERITÀ E PRATICA MILITANTE IN M ICHEL F OUCAULT INTERVISTA A DANIEL D EFERT Orazio Irrera e Daniele Lorenzini Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Durante il corso al Collège de France del 1979-80, che sarà presto pubblicato, Foucault inaugura uno studio “aleturgico” della soggettività, una storia dei “regimi di verità” che proseguirà poi fino al termine della propria vita. Ci sembra che parlare di “regimi di verità” per sottolineare la necessità di smascherare la pretesa di ogni “verità” di essere assoluta, e quindi di non dipendere da una forza esteriore per far valere la propria legge, sia in fondo un modo di riprendere e sviluppare un’intuizione che Foucault aveva già espresso ne L’ordine del discorso: il discorso vero, aveva detto, non può riconoscere la “volontà di verità” che lo attraversa, poichè questa volontà è sempre “mascherata” dalla verità stessa che vuole. Un’intuizione il cui valore non è soltanto epistemologico, ma anche etico e politico – come la riflessione foucaultiana degli anni Settanta e Ottanta rende evidente. Signor Defert, potrebbe dirci se secondo lei è corretto stabilire una sorta di “continuità” tra questa problematica della “volontà di verità” (che Foucault sviluppa anche nel suo primo corso al Collège de France, di cui lei lo scorso anno ha curato l’edizione), e la storia dei regimi di verità abbozzata da Foucault negli ultimi corsi al Collège de France? Più precisamente, qual è, a suo avviso, l’importanza concettuale e strategica della nozione di “volontà di verità”, in Foucault? Daniel Defert: In realtà, mi pare abbiate sollevato tre problemi diversi che, in un certo senso, sono indipendenti l’uno dall’altro. C’è il problema della verità, poi quello della volontà di verità, e infine c’è il problema della continuità con i regimi 159 Foucault def.indd 159 06/02/15 17:36 di verità. Mi sembra si tratti di tre problematiche, o di tre temi, differenti, che certamente sono collegati in Foucault, ma che si presentano come degli approfondimenti di una posta in gioco che, credo, è costante in tutta la sua opera. Nel senso che, sin dall’inizio – nel suo primo grande libro – Foucault si pone il problema della produzione di verità sulla follia. E questo è stato comunque un tema ricorrente, che Foucault ha ripreso più volte nel corso del proprio lavoro. L’ospedale, il manicomio divenuto ospedale psichiatrico, ha preteso di essere un luogo di produzione di verità; ma alla fine non si è mai arrivati a una verità sulla follia, ci sono sempre stati degli effetti di verità e delle decisioni, e così, sin dall’inizio, Foucault sostiene che il sapere sulla follia è una forma di potere, una normalizzazione, la riduzione al silenzio… Dunque, in un certo senso, a partire da simile posta in gioco, Foucault pone questo problema della verità, e della verità vera e della verità menzogna – sin dall’inizio. Si può dire che non sia del tutto esplicitato, ma naturalmente è già su uno sfondo nietzscheano che Foucault pone il problema della verità, immediatamente, e della verità vera e della verità menzogna: la Storia della follia è proprio questo. Poi c’è il corso del 1970-71, che è un corso di filosofia, e in un certo senso è l’instaurazione di Foucault nel suo statuto di filosofo. In precedenza, Foucault aveva avuto una cattedra di psicologia e di filosofia, ma aveva insegnato soprattutto la psicologia, mentre al Collège de France ha una cattedra di filosofia. E quindi tiene un corso di filosofia, che è un corso molto teorico, piuttosto complesso, nel quale non oppone tra loro due epoche, com’era sua abitudine fare nei testi precedenti (nei quali analizzava differenze di epoca, differenze di periodo, di periodizzazione); qui, nel corso del 1970-71, Foucault contrappone invece due paradigmi di conoscenza – il paradigma aristotelico e il paradigma nietzscheano – e pone il problema della volontà di verità, che è un concetto abbastanza difficile. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: E in che modo l’introduzione di questo concetto cambia, trasforma la posta in gioco dell’analisi? 160 Foucault def.indd 160 06/02/15 17:36 Daniel Defert: Foucault aveva già utilizzato, come termine, l’espressione “volontà di verità”, credo nella Storia della follia, o nella Nascita della clinica, insomma c’è un luogo in cui la nozione era già apparsa. Foucault si era di nuovo immerso nella lettura di Nietzsche – si era ricollegato molto alla lettura di Nietzsche a partire dal 1967-68 – e la volontà di verità, dice, ecco ciò che mi interessa: in effetti non è la volontà di potenza che mi interessa, ma la volontà di sapere. In fondo, tra volontà di verità e volontà di sapere c’è come uno slittamento continuo, e Foucault è in difficoltà dinanzi a tale nozione, perchè in un certo senso si chiede: com’è possibile fare una filosofia che voglia sbarazzarsi del soggetto e introdurre la nozione di volontà di verità? Foucault evoca il problema, ma non lo sviluppa. La sola cosa che dice, è che la volontà di verità è un sistema di esclusione, cioè a questa nozione di volontà di verità attribuisce subito un contenuto che non è un contenuto di soggettività, ma un contenuto di sistema e di anonimato. È molto curioso! Personalmente, questa nozione di volontà di verità, o di volontà di sapere, mi ha messo in difficoltà… Anche Foucault lo dice, anche lui è in difficoltà: quando si vuole fare un’analisi del sapere e della verità senza il soggetto, cosa significa utilizzare questa nozione di volontà di verità? Allora, Foucault esce dall’impasse dicendo: è un sistema di esclusione, un sistema di interdetto, e così si ricolloca nel quadro delle analisi che aveva già condotto a proposito della ragione. Lo dice rapidamente, ma ci ritorna più volte; ed è vero che con la nozione di “regime di verità”, più tardiva, Foucault riprenderà una delle poste in gioco del corso del 1970-71, ma eliminerà del tutto questa sorta di “residuo” di soggettività che si trovava nella volontà, ed entrerà completamente in qualcosa che non è stato colto da alcuna recensione di questo corso, se non da quella di Frèdèric Gros. In questo corso, Foucault ci propone una storia della verità che può essere letta in due modi. In un certo senso, ci mostra che la verità, praticamente a partire da Platone, possiede tutte le caratteristiche della verità come la definiamo noi oggi: è oggettiva, è universale, è neutrale – e così, da un certo 161 Foucault def.indd 161 06/02/15 17:36 punto di vista, Foucault fa un’archeologia o una genealogia dei valori di verità. E poi ci mostra che questa verità è menzogna: c’è tutto un discorso sulla filosofia, sul saggio, questo saggio la cui parola proviene da un luogo fuori dalla storia, e c’è una completa messa in questione dell’oggettività, della neutralità e dell’universalità. La cosa che mi sorprende è che le recensioni, le buone recensioni che abbiamo letto e che sono facili e piacevoli da leggere, abbiano effettivamente evidenziato la storia delle pratiche di istituzione della verità, ma non abbiano affatto dato conto di questa doppia lettura nietzscheana, che è al contempo una genealogia della verità e una genealogia della critica della verità. Perchè, in questo corso del 1970-71, Foucault mostra bene come la verità, attraverso il nomos, attraverso la purezza, attraverso la legge scritta, vestirà queste categorie di neutralità, di universalità, di purezza, di valore morale; ma allo stesso tempo ci mostra che tutto ciò è menzogna. È complesso, ecco perchè questo corso è così difficile… Nei corsi di cui abitualmente si realizza l’edizione a partire da una registrazione, Foucault dice la stessa cosa tre volte, ma vi sarete accorti che non dice mai esattamente la stessa cosa tre volte: ogni volta aggiunge un accento, una precisazione… Ogni volta che spiega qualcosa oralmente lo si comprende bene, ma per iscritto (e per l’edizione del corso del 1970-71 era possibile basarsi solo su documenti scritti) resta spesso in sospeso. Ora, giustappunto, quasi sempre ci sono entrambe le vie: c’è la via genealogica della nostra concezione abituale della verità, e poi c’è la via genealogico-critica della verità come menzogna. Invece la nozione di “regime di verità” oggettiverà senza volontà, senza questo residuo di soggettività e di metafisica; e questo mostra anche che, nel percorso di Foucault, si assiste a un cammino costante più che a una svolta, a una problematizzazione approfondita di un certo numero di punti nodali. Non si tratta quindi nè di una vera continuità, nè di una vera discontinuità, quanto piuttosto di un approfondimento costante delle medesime poste in gioco; direi perfino che tutti i suoi libri sono dei “teatri di verità”. In Nascita della clinica, Foucault stesso dice 162 Foucault def.indd 162 06/02/15 17:36 che l’ospedale è un teatro di verità, ma questo vale per l’ospedale psichiatrico, per la prigione, per la medicalizzazione della sessualità – tutti questi teatri di verità moltiplicano i regimi di verità e desacralizzano totalmente l’epistemologia, che considera teatro di verità soltanto la ricerca scientifica e la verità degli eruditi, mentre Foucault ha costantemente studiato delle verità nella loro complessità e nella loro eterogeneità. Si capisce, dunque, perchè una posta in gioco importante per lui fosse quella di non conservare la distinzione scienza/ideologia, cara ad Althusser, ma non pertinente per Foucault, che già in Philosophie et psychologie definiva la psicologia non come una scienza, ma come una forma culturale. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Ci è perfettamente chiaro in che senso lei sostenga che questa nozione di “regimi di verità” esclude la problematica del soggetto. Tuttavia, nei corsi e nella riflessione del Foucault degli anni ottanta, si trova comunque un’attenzione straordinaria al rapporto che certi regimi di verità intrattengono con certe pratiche di soggettivazione… Daniel Defert: Sì, ma non si tratta affatto del soggetto fondatore, bensì del soggetto costituito dai regimi di verità. Il tema del “ritorno del soggetto” in Foucault è una stupidaggine, non si tratta per nulla del ritorno del soggetto! Si tratta dell’introduzione di una soggettività del tutto diversa dalla soggettività trascendentale. È questa la svolta. Ciò non ha dunque niente a che fare [con il soggetto fondatore], e solo dei lettori davvero superficiali hanno potuto dire “ah, ritorna alla soggettività” – ma questa soggettività non ha affatto lo stesso statuto. Foucault non ritrova la soggettività trascendentale di Husserl! Introduce una soggettività costruita, plurale, a partire da un certo numero di pratiche, in particolare a partire dal cristianesimo. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Ci consenta di ritornare su un punto che ha evocato poco fa: lei ha detto che Foucau163 Foucault def.indd 163 06/02/15 17:36 lt, quando si trattò di tenere il suo primo corso al Collège de France, volle in un certo senso instaurarsi nel suo ruolo di filosofo. Per farlo, decise di parlare di Aristotele, da una parte, e di Nietzsche, dall’altra: era un modo di presentarsi in quanto filosofo, dichiarando allo stesso tempo il proprio debito intellettuale nei confronti di Nietzsche. Ma nei due corsi seguenti, Thèories et institutions pènales e La sociètè punitive, le cose cambiano, e non si può più dire che Foucault sia “filosofo” nel senso “classico” del termine… Daniel Defert: Dunque, a questo proposito ci sono diverse cose da considerare – anche se non ne so niente, sono solo delle ipotesi. Nel lavoro di edizione del primo corso, mi sono interessato alla “fabbricazione” del corso, questa nozione sulla quale Philippe Artières e Jean-François Bert hanno insistito non poco, per esempio nel loro ultimo libro Un succès philosophique. L’Histoire de la folie à l’âge classique de Michel Foucault. In questo primo corso, a mio avviso, siccome ha una cattedra di filosofia, Foucault è obbligato a porsi come filosofo; ma, al contempo, fa comunque una critica molto visibile di una certa filosofia, e ha di mira alcuni dibattiti contemporanei con Althusser e Derrida. Non so esattamente quando, ma dovrebbe essere stato intorno al 1968 che cominciarono a svilupparsi dei dibattiti sullo statuto del filosofo e dell’insegnamento della filosofia, nel contesto del Sessantotto, e mi sembra che Derrida vi sia intervenuto molto, e che Foucault avesse di mira un po’ questi dibattiti, sia dal lato di Althusser, sia dal lato di Derrida. E bisogna anche ricordare che la candidatura di Foucault al Collège de France fu presentata da Jules Vuillemin, titolare della cattedra “Philosophie de la connaissance” – una circostanza da tenere in considerazione, dato che Vuillemin era un grande conoscitore di Nietzsche… Bene, c’è questo da tenere presente. In secondo luogo, al Collège de France i corsi sono tenuti di solito da specialisti di un argomento, davanti a un pubblico non molto numeroso di specialisti. Foucault, al contrario, ha dovuto affrontare immediatamente un pubblico vasto e differenziato. Lo aveva previsto? 164 Foucault def.indd 164 06/02/15 17:36 Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Già nel 1970? Daniel Defert: Sì, fin dall’inizio – era al completo! Dovete sapere che l’“aura” di Foucault è stata riconosciuta molto presto: alla sua discussione di tesi, alla quale ho assistito nel 1961, c’era una gran folla, l’anfiteatro Louis Liard era pieno. La reputazione intellettuale di Foucault era quindi già forte. E poi anche a Vincennes c’era folla… Al Collège de France, Foucault ha avuto immediatamente un pubblico che non era quello per il quale si era preparato, e allora a partire dal secondo anno si è adattato meglio a questo pubblico e a un progetto preciso: il ruolo del diritto nella costruzione della verità. Si vede bene che il suo primo corso è esitante, e insieme pieno di sottointesi: Foucault suppone che tutti quanti conoscano gli argomenti di cui parla, non sempre è preciso, c’è comunque molta complicità, molto “siamo tra noi”… In seguito, nei corsi successivi, sarà più didattico. In secondo luogo, c’è una cosa davvero curiosa da notare: nella “Situation”, affermo che a mio avviso il libro di Deleuze Differenza e ripetizione ha giocato un ruolo considerevole – Differenza e ripetizione che è comunque un libro difficile, uno dei grandi libri di Deleuze, e rappresenta un momento cruciale per lui (c’è un’inversione nel metodo di Deleuze, che fino a quel momento era stato uno storico della filosofia, straordinario ed estremamente meticoloso, mentre in Differenza e ripetizione fa subire una sorta di torsione alla maniera di fare storia della filosofia). Foucault, nel corso del 1970-71, e Deleuze, in Differenza e ripetizione, discutono esattamente lo stesso brano di Aristotele. Deleuze ne dà subito una lettura nietzscheana, mostrando che questo testo di Aristotele è un testo interamente morale, e non fornisce un commento “interno” ad Aristotele – è completamente nietzscheano. Foucault, al contrario, fa un commento del tutto “interno” ad Aristotele, assume la postura dello storico della filosofia e mostra come da una prospettiva interna all’opera di Aristotele si comprenda perfettamente tutto ciò che dice – in pratica, ricostruisce per noi la metafisica di Aristotele a partire da queste quattro righe 165 Foucault def.indd 165 06/02/15 17:36 della Metafisica. Il “chiasmo” rispetto a Deleuze è davvero sorprendente. Quindi, da un lato, Deleuze fa una specie di collage di storia della filosofia (è Foucault che utilizza il termine “collage”), mentre Foucault, al contrario, gioca allo storico della filosofia, quasi “à la Guèroult”, ricostruendo un meticoloso commento del testo, e tutto ciò per giungere alla conclusione che il saggio è comunque il più grande mentitore, è colui – il saggio e il filosofo – che si suppone parli da un luogo fuori dalla storia. Ma com’è possibile parlare da un luogo fuori dalla storia quando si vede il reale processo di costituzione di ogni discorso di verità, tutto lo sfondo di pratiche, di lotte sociali e di dominazione che gli sta dietro? Foucault si costituisce dunque come filosofo e, allo stesso tempo, distrugge la valorizzazione accademica tradizionale del filosofo. E il corso successivo, che avete citato, è molto curioso, perchè Foucault in pratica non vi fa che della storia: maneggia un sacco di testi di storici del Medioevo, ma di storici spesso molto marginali, mentre nel corso del 1970-71, il primo corso, utilizza soltanto gli storici up to date – tutto ciò che costituisce il corpus legittimo, accademico, il corpus rispettabile e affidabile degli storici che sono sempre presi in considerazione, che costituiscono un punto di riferimento per gli studi ellenistici. Nel corso del 1971-72, invece, a proposito del Medioevo, Foucault considera un campo molto più vasto: ci sono comunque i grandi storici del Medioevo, c’è Georges Duby – naturalmente si serve molto di Duby – ma ho controllato tutte le fonti che utilizza e non hanno più nulla a che vedere con le fonti recenti utilizzate nel corso del 1970-71. Foucault si pone un problema del tutto nuovo: seguire la costituzione di un apparato repressivo di Stato durante il Medioevo. Tema althusseriano, è evidente. Foucault cerca, accanto all’apparato di giustizia e all’apparato fiscale, il modo in cui si è costituito un apparato la cui funzione era puramente la repressione. Non ho mai visto nessuno fare la storia della nascita dell’istanza repressiva all’interno dell’apparato di Stato. È questo il secondo corso. Tutto ciò non ha dunque più nulla a che fare con il corso del 1970-71, e qui davvero ci avviciniamo a 166 Foucault def.indd 166 06/02/15 17:36 Sorvegliare e punire – c’è una rottura totale, una rottura in rapporto alle fonti storiche di Foucault e, contemporaneamente, una rottura in rapporto al progetto iniziale di istituirsi come filosofo. E quindi, per riassumere, in occasione di questo primo corso al Collège de France, credo che Foucault non conoscesse il proprio pubblico e che progressivamente lo abbia saggiato, lo abbia messo alla prova; d’altronde, mi pare che alla fine si sentisse molto più libero… Ma utilizza un materiale da storico! È molto strano il suo corso, perchè è estremamente filosofico ma al contempo si presenta come storia; è un corso nel quale ci sono dei filosofi messi in primo piano, Aristotele e Nietzsche, e ce ne sono anche altri: Deleuze, Heidegger, Althusser, Derrida, la psicanalisi considerata come filosofia da Deleuze che è messa in questione. Ci sono un sacco di sottoconversazioni, come direbbe Nathalie Sarraute, che non sono esplicitate. Ma ci sono sempre delle sottoconversazioni, in tutti i libri di Foucault, che è qualcuno che cancella la polemica e che tuttavia è sempre immerso nella discussione, nella contestazione. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Secondo lei, questa “rottura” tra il primo e il secondo corso può essere spiegata anche pensando alla costituzione, in quegli anni, del G.I.P.? Daniel Defert: Nel corso del 1970-71 non lo si avverte… C’è il tono, che è in tutto e per tutto sessantottino, però se non si è vissuto tutto questo, non so se lo si riesca a percepire. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: C’è comunque un atteggiamento genealogico che è sempre presente in Foucault, che parte sempre dall’attualità, dai problemi politici del presente… Daniel Defert: Sì, ma questi problemi non sono così esplicitati, bisognerebbe fare davvero una doppia lettura, o un doppio ascolto, per capirlo: oggi tutto questo potrebbe tranquillamente rimanere nascosto. 167 Foucault def.indd 167 06/02/15 17:36 Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Potrebbe far emergere per noi qualche traccia di questa esperienza? Daniel Defert: Beh, potremmo dire che nel corso del 1970-71 Foucault è nietzscheo-marxista. Incredibilmente! È quel che era da giovane: allora credeva che Nietzsche e Marx fossero un po’ l’uomo nuovo… Ora, nel 1970-71, è vero che analizza comunque tutti questi conflitti di dominazione come rapporti di classe: vediamo i contadini, gli aristocratici, gli opliti, insomma l’infrastruttura – modi di produzione e rapporti di produzione cari ad Althusser. Tutto questo è molto presente. Nella “Situation” ho detto che, in fin dei conti, queste condizioni sociali sono molto vicine a quelle che evoca Marx, anche se i concetti di classe e tutto il resto non si trovano in Nietzsche. Ma Frèdèric Gros usa chiaramente l’espressione “nietzscheo-marxismo” per questo corso, e credo che vada bene, perchè c’è in effetti una presenza reale dei rapporti di produzione – non soltanto i modi di produzione, ma i rapporti di produzione sono molto espliciti. E non si tratta solo di rapporti di pura dominazione: ci sono analisi di tipo economico, e poi analisi che non sono affatto economiste [èconomistes], come in particolare quella della moneta. Questa analisi del simulacro e non del segno, che non è proprio nuova (Foucault la trae da Èdouard Will, che l’aveva ripresa a sua volta da Bernhard Laum), è davvero interessante e mi sembra un elemento molto importante di questo corso. Foucault dice: non c’è una storia universale della moneta, questa è solo una delle origini della moneta, ce ne possono essere state altre, forse ce ne sono altre che sono avvenute effettivamente nel puro ambito dello scambio; ma qui si tratta di un partage politico, di un atto politico di redistribuzione, e Foucault fa un’analisi politica [politicienne] e non economista dell’origine della moneta. È comunque un momento esemplare della posta in gioco del corso: fare un’analisi politica e non economista. Questo, appunto, fa molto Sessantotto: ci si riconosceva in questo, si vibrava a un’analisi come questa. Bene. Invece l’impurità [souillure] e la penalità 168 Foucault def.indd 168 06/02/15 17:36 erano temi molto distanti da quello che stavamo costituendo intorno alle prigioni. Ad ogni modo, è Nietzsche che dice che è possibile fare una storia della verità a partire dalla storia della giustizia greca; gran parte dello sfondo storico della Grecia arcaica, Foucault lo prende in prestito da Nietzsche. Solo, come sempre, Foucault non riprende la storia tale e quale Nietzsche la afferma, ma la mette alla prova degli storici, non dei filologi, e cerca di capire, grazie agli storici attuali, se quel che afferma Nietzsche è verificabile. D’altra parte, Foucault criticava la Scuola di Francoforte per aver utilizzato spesso il lavoro degli storici senza prima verificare negli archivi se quel che questi storici dicevano fosse valido. Foucault fa invece un lavoro d’archivio: tutto è stato consultato, tutto è stato letto. Quindi, se non possiamo dire che “si sente” il G.I.P., possiamo affermare che “si sente” comunque il politico che ha la meglio sull’economico, e questo è molto sessantottino. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Nel corso dell’anno successivo, invece, si comincia forse a sentire più esplicitamente l’importanza dell’esperienza del G.I.P.… Daniel Defert: No, nemmeno… Forse negli anni seguenti. Ma Foucault aveva comunque una preoccupazione, che era quella di fare analisi il più possibile approfondite, e di non mettere in scena le proprie poste in gioco ideologiche. Si tratta di problemi teorici: la teoria è politica. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Quindi, a suo parere, Foucault ha sempre tentato di tracciare una linea di separazione molto netta tra il proprio impegno militante nelle lotte concrete e la propria pratica genealogico-critica nell’esercizio del pensiero? Daniel Defert: No, non come Weber. Foucault sviluppa un approccio molto teorico, che domina i propri oggetti dall’alto, e il coinvolgimento concreto lo conforta, lo distende. Nono169 Foucault def.indd 169 06/02/15 17:36 stante tutto, la questione della genealogia nietzscheana può avere alcune consonanze con certi approcci marxisti, come può anche non averne affatto – dipende dalla lettura. Foucault l’aveva già capito quando era più giovane, quando ha lasciato il PCF; ma credo soprattutto che Foucault inizi, con questo corso del 1970-71, a studiare la produzione di verità al di fuori dell’ambito tradizionale dell’epistemologia. Non è l’attività scientifica. In Sur les façons d’ècrire l’histoire, Foucault evoca appunto questa epistemologia che si fa a partire da individui che cercano la verità, essenzialmente gli esperti… In questo corso, invece, Foucault svolge una ricerca della verità a partire da un teatro di verità che è la giustizia, cioè lo scontro tra individui e potere di Stato che si sta costituendo, il puro scontro. È Nietzsche che, dopo i Sofisti e Aristotele, è tornato su questo e possiamo dire che, a partire dal 1970 fino a Sorvegliare e punire, gli apparati giudiziari saranno, per Foucault, luoghi di produzione di sapere. Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Lei ha appena evocato l’esperienza di Foucault nel Partito Comunista Francese. Nell’intervista del 1978 con Duccio Trombadori, Foucault parla proprio di questa esperienza, tracciando un quadro della militanza nei termini di una dissoluzione dell’io, di una conversione, dell’ascetismo e dell’autoflagellazione. Tuttavia, nell’ultimo corso al Collège de France, quello del 1984, Foucault parla della militanza rivoluzionaria come di una delle piste più interessanti da percorrere, nel caso in cui ci si voglia impegnare a lavorare sul cinismo “trans-storico” – nei tre aspetti della società segreta, dell’organizzazione istituita (come, ad esempio, il partito o il sindacato) e della testimonianza attraverso la vita. Nondimeno, Foucault sembra considerare anche la possibilità di sovrapposizioni, se non di una iscrizione della testimonianza della verità tramite la vita nelle forme di organizzazione di un movimento o di un partito, ivi compresa quella del gauchismo. Come legge, lei, i rapporti tra queste due modalità di riferirsi alla militanza? In che 170 Foucault def.indd 170 06/02/15 17:36 modo ritiene che l’esperienza personale di Foucault si situi rispetto a queste due idee diverse di militanza? Daniel Defert: Nell’ultimo corso ci sono in effetti alcune cose che mi sembrano piuttosto interessanti a proposito della “vita altra”, e appunto della rivoluzione, della vita rivoluzionaria… C’è una cosa che Foucault ha ben messo in luce: la costituzione della militanza come un modello sociale concepito nel XIX secolo. Il militante rivoluzionario è qualcosa che si è costruito, che è esistito praticamente in tutti i paesi, che si trova in Russia come negli Stati Uniti, ed è una delle forme dell’ascetismo, una delle forme del dire il vero e, per un certo verso, uno dei problemi complicati, sui quali non saprei pronunciarmi, dei rapporti che Foucault stabilisce tra la storia e la verità. Perchè c’è, allo stesso tempo, una storicizzazione completa dei regimi di verità, e poi ci sono delle figure che attraversano il tempo – qual è il loro statuto? Ero rimasto colpito dal fatto che Foucault avesse detto: la storia della verità non è forse la storia di un’esclusione, dell’esclusione della dèraison rispetto alla ragione? C’è questa storia di una follia precedente al partage, che riaffiorerebbe in Artaud, in Van Gogh, e poi infine si avrebbe una sorta di riaffiorare della sofistica in Brisset, in Roussel… E poi, nel corso del 1984, di nuovo, questo personaggio del rivoluzionario che è capace di dire il vero e di proporre una vita altra, e che è anche un riaffiorare del cinico. Allora, si tratta solo di modelli di vita, di “idealtipi”, come direbbe Weber, costruiti per comparare, o c’è una reale trans-storicità? Spesso le cose sono un po’ ambigue. Forse per Foucault non lo erano, ma su questo punto non è sufficientemente esplicito e ci si può chiedere se ci sono delle specie di figure trans-storiche che riaffiorano, delle forme, delle stilizzazioni dell’esistenza al tempo stesso politiche ed etiche, e non semplicemente estetiche. Un’analisi più attenta permetterebbe forse di capire se si tratta di idealtipi, di puri modelli di una metodologia comparativa o di tutt’altro, di una percezione trans-storica di percorsi etici e politici il cui numero è finito. 171 Foucault def.indd 171 06/02/15 17:36 Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: L’esperienza personale della militanza di Foucault, quel che racconta a Duccio Trombadori a proposito del PCF, ha potuto influenzare la sua maniera di considerare la militanza? Daniel Defert: Non sono sicuro che sia nel PCF che Foucault ha avuto l’esperienza militante più intensa, nè la più evocatrice del cinismo antico (il cinismo stalinista è davvero tutt’altra cosa)… Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Di certo la più negativa! Daniel Defert: Sì, perchè sapete come funziona l’appartenenza a un partito: si va alle riunioni, si distribuiscono volantini… Beh, Foucault scriveva anche articoli, che venivano spesso tagliati. Era certo un’esperienza militante, perchè era data come tale e Foucault la prendeva come tale; era comunque una rottura molto forte rispetto al suo ambiente di origine, provinciale e borghese. So che io, quasi vent’anni dopo, mi sono posto la domanda: entro nel Partito oppure no? Grazie a Dio, il rapporto del PCF con la guerra d’Algeria, con l’indipendenza dell’Algeria, mi ha evitato di entrarci! Nel 1960-61, entrare nel Partito era ancora di per sè una rottura, anche se una volta dentro la pratica consisteva nel vendere l’Humanitè, nel distribuire volantini, nell’andare alle riunioni… Sicuramente nella Gauche prolètarienne e nel G.I.P. abbiamo avuto una pratica molto più militante, e proprio all’interno di questa pratica militante che avevamo nel G.I.P. Foucault era estremamente attento a non dare spazio alcuno all’autocritica. Non sopportava questa abitudine religiosa e comunista dell’autocritica! Al contrario, se qualcosa aveva successo bisognava festeggiare! Cioè: “Abbiamo fatto una buona manifestazione, ha avuto un buon impatto, si festeggia, ci si festeggia”. Foucault era favorevole alla celebrazione tanto quanto vietava tutto quel che assomigliava a un’autocritica – e quindi le sedute di confessione, di colpe172 Foucault def.indd 172 06/02/15 17:36 volizzazione, tutto questo lo trovava orribile! È vero, quindi, che Foucault ha reinventato una militanza a partire dalla nostra pratica: non si è ispirato a ciò che aveva imparato prima. E so che, appunto, il G.I.P. ci ha permesso di avere una pratica politica molto diversa dalla pratica dei nostri compagni che lavoravano con gli operai: i nostri compagni erano a volte di origine borghese, ma vivevano in tutto e per tutto come operai, come operai militanti, ovvero: “Come, hai figli? Guarda che stasera vieni comunque alla riunione, anche se sei una madre di famiglia e hai passato la giornata in fabbrica!” In altri termini, i militanti che lavoravano con gli operai cancellavano i segni della loro origine per somigliare alle persone con cui militavano. Invece, quando ci siamo occupati dei detenuti, avevamo a che fare con persone che erano spesso anarchici, ma anche semplicemente ladri che non avevano necessariamente un ideale ascetico, e sono certo che alcuni di loro avessero nascosto refurtive che, anche quando sono usciti di prigione, la polizia non ha trovato! Ecco, queste persone tenevano piuttosto a vivere in modo confortevole, e non volevano che ci si vestisse male per andare da loro: preferivano venire a cena da noi o che si andasse da loro e si portassero fiori, dolci, etc., insomma che ci si ricevesse da borghesi. Ed erano molto contenti che non simulassimo una falsa vita proletaria. Al contrario, dato che si sentivano esclusi, erano felici di sentirsi accettati. Il G.I.P. a quel tempo condivideva un locale, prestatoci da Guattari, con l’MLF (Mouvement de libèration des femmes) e con il FHAR (Front homosexuel d’action rèvolutionnaire), ma una sera non abbiamo potuto usarlo. Avevamo una riunione con una banda di “garçons” del quartiere della Bastiglia, che era ancora un quartiere popolare; c’era quindi una “banda della Bastiglia” che conoscevamo piuttosto bene, e non avevamo il locale per accoglierli. Alla fine li abbiamo fatti venire a casa di Foucault. E un ragazzo esclama: “Oh mio Dio, i borghesi ci aprono le loro porte, senza costringerci a scassinarle!” Erano contenti. Era un’altra militanza… 173 Foucault def.indd 173 06/02/15 17:36 Orazio Irrera e Daniele Lorenzini: Era un modo molto diverso di stabilire rapporti personali nella pratica militante… Daniel Defert: Sì! Dovete sapere che c’erano già parecchi giovani in prigione per droga, anche se non se ne parlava ancora, e molti di loro erano difesi da avvocati del PCF. Ora, il problema non era mai stato posto politicamente, era visto come una specie di disagio morale per le famiglie di questi ragazzi. Quando abbiamo cominciato a proporre a queste famiglie dei comportamenti di tipo politico (manifestare in strada con striscioni davanti al Ministero della Giustizia e cose così), le famiglie dette di “diritto comune” hanno iniziato a politicizzare il proprio comportamento in un ambito che non aveva ancora uno statuto politico, e quando hanno cominciato a prendere i nostri volantini e a distribuirli alle porte delle prigioni, nei mercati, le cose hanno iniziato a cambiare! In quel momento, il nostro obiettivo politico era quello di reintrodurre le poste in gioco delle prigioni nelle lotte operaie, che erano ancora le lotte politiche dominanti dell’epoca. Alla fine, tutto ciò non si è reinscritto nelle lotte operaie, anche se, quando si andava ai cancelli delle fabbriche con gli attori del Thèâtre du Soleil che mimavano scene sulle prigioni, eravamo ben accolti dagli operai: molti di loro avevano fatto un po’ di galera, come immigrati, o conoscevano qualcuno in prigione. Insomma, il mondo della prigione non era loro estraneo, non era più il mondo morale del “Lumpenproletariat”, che era scomparso… Ci confrontavamo invece con problemi di “identità”, con lotte nuove sui diritti identitari, perchè le persone con cui avevamo a che fare non erano solo detenuti, ma anche immigrati, consumatori di droga, etc. Ci trovavamo con i travestiti e i problemi affrontati in prigione dagli omosessuali, ci trovavamo con le donne in prigione, la cui storia non è la stessa di quella degli uomini in prigione (diversi i reati, diversi i maltrattamenti, diversa la solitudine), e quindi non ricomponevamo tutte queste poste in gioco all’interno delle gran174 Foucault def.indd 174 06/02/15 17:36 di lotte proletarie, ma incitavamo nuove lotte della società intorno alle questioni di identità, di genere, di sessualità, ed eravamo in tutt’altro registro di lotte… È quindi vero che ci siamo trovati, Foucault ed io, in un momento di inventività di comportamenti militanti, in un momento cardine delle lotte, e che vi abbiamo contribuito! Traduzione dal francese di Laura Cremonesi e Daniele Lorenzini 175 Foucault def.indd 175 06/02/15 17:36 Finito di stampare nel mese di febbraio 2015 per conto di La talpa-manifestolibri - Roma dalla tipografia LegoDigit, Lavis - Trento Foucault def.indd 176 06/02/15 17:36