258 Il settore dei trasporti è di fondamentale importanza per la

Transcript

258 Il settore dei trasporti è di fondamentale importanza per la
&$3,72/2
9$/87$=,21,
Il settore dei trasporti è di fondamentale importanza per la prosperità
dell’Unione Europea e dei suoi cittadini: esso provvede a far circolare le
merci all’interno del mercato unico, portandole dal produttore al
consumatore finale.
I trasporti danno espressione concreta al concetto astratto del Mercato
Unico. Quest’ultimo stimola la competitività delle aziende, che
beneficiano
dei
vantaggi
del
più
grande
mercato
del
mondo
industrializzato: oltre all’opportunità di potenziare la produzione e di
realizzare economie di scala, va ricordata la semplificazione degli standard
e la possibilità di offrire i propri servizi in tutti gli Stati dell’Unione con la
stessa facilità con cui opererebbero sul mercato del proprio Paese. Le
aziende dovrebbero così ridurre i costi ed offrire prezzi più bassi ai
consumatori europei.
Numerosi fattori infatti incidono sulla diminuzione dei costi per le
imprese: l’eliminazione dei controlli alla frontiera per i trasporti su strada,
ad esempio, ha ridotto di due giorni il tempo medio necessario ad un
autocarro per attraversare l’Europa. Un’agenzia di spedizioni espresse
internazionali dichiara di aver ridotto i costi operativi globali del 15%,
grazie alle «autostrade aperte» createsi con il mercato comune. Anche altre
ditte di trasporti registrano una riduzione di costi, sebbene a livelli
inferiori.
258
Le grandi imprese intuirono immediatamente i vantaggi potenziali del
Mercato Unico, e furono tra i primi sostenitori del programma 1992,
avviato dalla Commissione con il Libro Bianco del 1985, vera e propria
pietra miliare del Mercato Unico. Queste imprese hanno dato un forte
appoggio al progetto sin dal suo inizio e si sono organizzate per tempo per
aggiornare la propria produzione e le proprie strutture di vendita e
finanziarie in modo da sfruttare immediatamente i vantaggi derivanti
dall’eliminazione delle frontiere.
La rimozione delle frontiere interne dell’UE sta già avendo un impatto
positivo però anche sulle strategie economiche delle piccole e medie
imprese: lo dimostra chiaramente un’indagine svolta dalla Commissione
europea attraverso la rete Eurosportelli-imprese (EIC).
Quasi tutte le aziende che hanno partecipato all’indagine hanno affermato
che l’eliminazione dei controlli alle frontiere ha accelerato i tempi di
consegna delle merci e ha ridotto notevolmente i costi di trasporto; in
alcuni casi, la maggiore competitività tra le ditte di trasporto ha consentito
alle imprese produttrici di risparmiare fino al 50% su questi costi.
0DQFDQ]DGLPDWHULDOHSHUODFRQRVFHQ]DGHLFRVWL
Poco - anzi pochissimo - puntuali sono le fonti conoscitive relative alle
variabili esogene e soprattutto endogene alle quali si dovrebbe poter
attingere per poter mettere in atto le occorrenti azioni modificative del
rapporto aziende-mercato. Avevo già sottolineato questo aspetto prima di
affrontare l’analisi dettagliata delle varie componenti del costo del lavoro
rimarcando come la conoscenza della propria situazione, soprattutto a
259
livello di struttura dei costi, può agevolare notevolmente l’impresa nella
ricerca di una maggiore competitività; ritengo utile però fare alcune
ulteriori precisazioni.
Ovviamente esistono variabili di carattere esogeno, sulle quali non si potrà
influire. E’ il caso per esempio della domanda, che si sottrae a
sollecitazioni dirette ad espanderla, così da assorbire l’eccedenza di
offerta. Diverso è però il discorso nei confronti di altre variabili,
specialmente di quelle di carattere endogeno. E’ il caso per esempio di tutti
quei fattori che, a seconda delle modalità di approvvigionamento o di
utilizzazione nei processi produttivi, enfatizzano oppure comprimono i
costi per l’ottenimento dei servizi. E’ il caso, per fare un altro esempio,
delle economie e delle diseconomie che il modo stesso di intendere e di
accedere alla funzione imprenditoriale implica. E ancora, è il caso degli
elementi che si concretano, attraverso combinazioni di attività con imprese
affini di altri settori economici, in una possibilità di accrescimento dei
prodotti
di
esercizio.
Sia
sul
piano
aziendale
che
su
quello
macroeconomico, i costi, e cioè gli elementi primi dell’efficienza,
subiscono l’effetto di parecchi ordini di fenomeni: eventi naturali,
progresso tecnico, grado di utilizzazione dei fattori produttivi, economie
esterne (per esempio quelle provenienti da infrastrutture varie o puntuali),
localizzazione territoriale delle imprese, e così via. Non v’è chi non veda
come, fra di essi, ve ne siano alcuni che una adeguata politica di
ristrutturazione delle unità di produzione nel settore di cui stiamo trattando
potrebbe indirizzare in senso conforme alle esigenze efficientistiche. Ed è
appunto in questa ottica che, come ha ricordato il Volta nel saggio
“Trasporto merci: da costo a opportunità”, va dato atto che “ a fronte di un
assetto disaggregato della produzione di servizi - con il cliente nella
260
posizione privilegiata di poter determinare e coordinare una attività di
autotrasporto espletata da aziende di piccole dimensioni
- la
configurazione associativa prefigura imprese di grandi dimensioni che, per
saturare la propria capacità di produzione di servizi, risponderanno a una
domanda proveniente da aziende clienti. L’offerta di autotrasporto, in
questo modo, sposta sul proprio versante un maggiore potere contrattuale e
governa e controlla con più consapevolezza la propria attività”. Ancora: è
nell’ottica considerata che deve ritenersi maturata a suo tempo la necessità
di intervenire nel settore, in Italia - mediante la Legge n. 68 del 5 febbraio
1992, purtroppo ancora lontana dall’essere attuata, allo scopo di sollecitare
e favorire accorpamenti di imprese e costituzioni di nuovi consorzi.
Ora le cose stanno cambiando e la competizione accentuata tenderà a far
scendere i prezzi del trasporto (l’esperienza di liberalizzazione in Usa ha
portato a cali dell’ordine del 30/40%); i migliori operatori riusciranno a
crescere, investendo in logistica, in mezzi innovativi e infrastrutture
operative; i concorrenti meno efficienti, non avendo margini e non potendo
investire, dovranno o scomparire o essere assorbiti.
9DOXWD]LRQL VXOOD WLSRORJLD D]LHQGDOHHVXOOH FDUDWWHULVWLFKH
VWUXWWXUDOL GHO VHWWRUH H GHOOH LPSUHVH GL DXWRWUDVSRUWR QHL
VLQJROL3DHVLGHOO¶8QLRQH
Dall’analisi comparata delle caratteristiche strutturali del settore nei singoli
Paesi dell’Unione emergono sensibili differenze. Le imprese belghe e
quelle olandesi, pur presentando dimensioni mediamente contenute,
261
operano secondo una logica gestionale di tipo manageriale e, grazie alla
presenza dei grandi porti che raccolgono merci da distribuire in tutto
l’entroterra europeo, hanno sviluppato la propria capacità competitiva
soprattutto sui mercati internazionali. Le imprese francesi e tedesche
presentano strutture adeguate a soddisfare in modo efficiente larga parte
del traffico commerciale generato dal loro ampio mercato interno. Le
imprese italiane e spagnole sono presenti massicciamente sui rispettivi
mercati interni, mentre in campo internazionale mostrano quote di mercato
non adeguate al livello dei traffici commerciali generati dalle rispettive
economie e, tendenzialmente, decrescenti.
Vediamo però più nel dettaglio la situazione dei diversi Paesi.
L’altissima
competitività
dell’autotrasporto
olandese
scaturisce
sostanzialmente da una buona capacità gestionale delle stesse imprese, che
offrono a prezzi concorrenziali il loro servizio, calcolandone le
componenti in funzione di definiti coefficienti di produttività ed eseguendo
una accorta programmazione degli investimenti dei beni strumentali
(turnover dei veicoli circa ogni sei anni, manutenzione tesa al rispetto dei
parametri di sicurezza del trasporto e dell’impatto ambientale), incentivano
la professionalità dei loro collaboratori, si avvalgono di aggiornati sistemi
infornatici. A ciò va sommata una particolare attenzione al mercato che si
concretizza in investimenti nell’ambito commerciale con l’apertura di sedi
periferiche e l’effettuazione di joint-venture unitamente a un buon livello
di servizi e a corrette politiche tariffarie. Il dato relativo alla
specializzazione completa il quadro descrittivo: il 65% delle imprese
262
olandesi possiede fino a cinque mezzi, mentre le restanti operano con
ampie “flotte” altamente specializzate.
In generale le imprese del Benelux si caratterizzano per l’organizzazione
del servizio: pochi viaggi a vuoto e alta velocità commerciale (circa 60
km/h contro i 40 km/h dell’Italia).
Anche la Germania e la Francia si stanno attrezzando per affrontare la
competizione europea. I risultati paiono già stimabili per la prima (la
velocità commerciale dei mezzi tedeschi è quasi pari a quella dei loro
colleghi olandesi), con circa 50.000 società di trasporto in conto terzi ben
organizzate e distribuite, contigue nelle aree produttive. L’organizzazione
capillare del trasporto tedesco, che utilizza al meglio anche i sistemi
fluviale (Reno, Elba, Mosella) e ferroviario, copre quasi completamente il
territorio nazionale; lo smistamento delle merci è pianificato e il grande
circuito frutto della diffusa e razionale presenza sul territorio di imponenti
catene distributive, come magazzini e supermercati, ha favorito un
rapporto diretto tra produzione e consumo, realizzando un ottimo livello di
efficienza. Logistica e trasporti si configurano, quindi, come sodalizio
costante e vincente.
Come in Italia, anche in Francia, si assiste al proliferare della locazione di
mezzi di trasporto. La crescita d’impresa è il problema più sentito e,
mentre sul versante interno gode di buona salute, l’autotrasporto francese
accusa alcune difficoltà verso l’esterno. Per questo, è in atto una
ristrutturazione del settore attraverso incentivi tesi a sconfiggere
l’individualismo tipico dei nostri “cugini” d’oltralpe e a favore della
concentrazione delle piccole imprese, della formazione di “quadri”
professionali
e
dell’introduzione
263
di
strumenti
informatici
per
l’organizzazione
dei
servizi.
Questo
anche
per
fronteggiare
la
trasformazione del rapporto tra produzione e distribuzione, sempre più
permeato dal ruolo della logistica. Sono nate così molte cooperative per
gestire ed offrire servizi di trasporto con quelle caratteristiche articolate e
complesse che il mercato richiede, anche se la legislazione francese non
prevede per loro significativi interventi di agevolazione che, specie sotto il
profilo finanziario, riserva invece alle società di capitali.
La frammentazione del sistema è anche in Spagna il dato più rilevante,
mentre il Portogallo, con un sistema portuale diffuso e caratterizzato da più
scambi marittimi con gli USA, il Sudamerica e l’Africa che col tessuto
commerciale europeo, presenta elementi maggiormente assimilabili al
contesto dei Paesi Bassi. L’autotrasporto, gestito da pochissime imprese, è
concentrato soprattutto in ambito nazionale e verso la Spagna. Con
un’economia in fase di graduale sviluppo il Portogallo ha quasi completato
la rete autostradale in connessione al sistema portuale, e nei prossimi anni
potrà quindi raccordarsi alla corrispettiva rete commerciale del nord della
Spagna.
Situazione più complessa nel Regno Unito, dove dal 1968 non esiste più
differenziazione tra trasporto in conto proprio e in conto terzi. Il salto di
qualità
degli
autotrasportatori
britannici, che
fino
ad
ora non
impensieriscono troppo i concorrenti europei, si potrà avere con il pieno
sfruttamento del tunnel sotto lo stretto della Manica, tra Dover e Calais.
Decisamente singolare è invece il caso svedese, in quanto la maggioranza
dei trasporti del paese è controllata da tre società, due delle quali (una
264
privata e l’altra pubblica, ovvero le Fs svedesi) coprono il 70% del mercato
interno e rivolto all’estero. Solo il 30% dei mezzi, tuttavia, appartiene alle
compagnie, che distribuiscono il lavoro con contratti annuali in regime di
esclusiva a migliaia di “padroncini”. A fianco di questa realtà figurano
censiti altri 18.000 corrieri (45.000 veicoli), che rappresentano un
segmento d’impresa che nel 2000 si prevede avrà un notevole incremento.
Paese membro dell’EFTA, la Svezia non promuove una politica del
trasporto particolarmente aggressiva all’esterno e le sue aziende del settore
dominano il mercato nazionale.
Per quanto riguarda l’Italia possiamo dire che, nel nostro sistema dei
trasporti, la frammentazione oltrepassa abbondantemente la tendenza
finora evidenziata, assumendo connotazioni di paradossale esagerazione. E
se nel Centro-nord della penisola le aziende hanno saputo avviare validi
processi di associazionismo, nel Mezzogiorno si assiste ad un autentico
pullulare di realtà monoveicolari. Per questo, solo nelle grandi imprese per
lo più gestite in società per azioni si è registrata l’entrata di partners
stranieri attirati dalla buona potenzialità di espansione produttiva. Al
quinto posto in ambito CEE (dopo Francia, Germania, Belgio e Olanda) il
nostro Paese accusa un costante ridimensionamento della sua quota, oggi
attestata circa al 15%, nel trasporto intracomunitario, non solo per la
frammentazione a livello aziendale, sindacale e di rappresentanza sociale,
ma certo anche a causa della bassa specializzazione dei mezzi a
disposizione. Tale questione, di importanza strategica per il futuro, risulta
oggi difficilmente affrontabile senza una politica organizzativa di gruppo
che contempli la completa gestione del ciclo di movimentazione delle
merci.
265
Se, come accennato, si concentrano al Nord le imprese con parchi veicoli
più consistenti, nel Sud, caratterizzato da aziende per la maggior parte
monoveicolari, si assiste ad un fenomeno che porta ad un ulteriore
riduzione delle dimensioni d’impresa: il trend di sviluppo è negativo, per
cui le grandi propendono verso la fascia delle medie e queste ultime
tendono a divenire piccole. Il fenomeno si spiega grazie al fatto che, pur
trascurando l’attività di trasporto in senso lato, gli operatori più importanti
non cedono l’attività commerciale. Il trasporto delle merci viene così
affidato ad imprese di stampo soprattutto artigianale, troppo piccole per
essere
competitive
e
reggere
il
confronto
con
la
concorrenza
internazionale.
Due ulteriori elementi che connotano le aziende dell’autotrasporto
nazionale sono, senza alcun dubbio, la sottocapitalizzazione (la mancanza
di supporti all’attività di produzione, come la gestione del traffico, la
promozione del servizio, eccetera) e l’assenza di una cultura d’impresa,
che porta alla miope accettazione di condizioni di lavoro massacranti e
sottopagate, causando così danni economici a tutto il settore.
Un problema culturale, dunque, sottende essenzialmente la situazione che
oggi descrive il mondo del trasporto in Italia. L’aggregazione, in tal senso,
si configura come il solo modo per affrontare a buoni livelli di
competitività un mercato internazionale i cui protagonisti stranieri sono in
larga parte in grado di offrire elevati standard di qualità dei servizi a prezzi
appetibili per la domanda.
&RVWR GHO ODYRUR DOFXQH SUHFLVD]LRQL SHU LO FRQIURQWR WUD
JOL6WDWLPHPEUL
266
Il Regno Unito, assieme all’Irlanda, è il Paese CEE che ha la maggior
percentuale di salari “bassi”1. Un lavoratore britannico su cinque
percepisce un salario “basso” contro il 3% in Germania e il 14% in Italia e
in Francia.
Il Regno Unito ha attratto negli anni ‘80 il 40% di tutti gli investimenti
produttivi di imprese giapponesi in Europa e più investimenti americani
che la Germania, la Francia e l’Olanda messe insieme. Se le decisioni di
investimento dipendono dalla legislazione sociale e dalla flessibilità in
materia di relazioni industriali, sono proprio le regole meno vincolanti per
le aziende in materia di diritti dei lavoratori uno dei motivi fondamentali
che hanno reso finora più attraente il Regno Unito per le compagnie
extracomunitarie.
La forte opposizione del Regno Unito, che infatti in un primo momento
non ha aderito alla Carta Sociale, era sicuramente determinata in larga
parte proprio dal fatto che era stato calcolato che l’applicazione della Carta
stessa avrebbe determinato un costo aggiuntivo per le imprese quantificato
dall’allora Ministro del Lavoro Howard in 5 miliardi di sterline (circa 11
mila miliardi di lire).
E’ da sottolineare invece come, in Germania, dal lato monetario,
nonostante le rivendicazioni salariali si prevede saranno molto deboli,
fattori che premono sui prezzi sono gli alti costi del lavoro, l’aumento delle
tasse indirette e dei contributi sociali.
In Francia, nel biennio 1994-1995 si è assistito ad una caduta dei costi del
lavoro, molto marcata nell’industria manifatturiera, la più esposta alla
concorrenza internazionale. Una pur lenta ripresa potrà essere correlata ad
1
Viene qualificato come “basso” un salario inferiore al 66% di un salario “medio” su scala nazionale.
267
una diminuzione dei tassi di interesse a breve e ad una crescita delle
esportazioni.
In Italia la recessione iniziata nel 1992 ha provocato caduta dei salari reali,
crescita dell’imposizione fiscale e ovvia contrazione dell’occupazione, con
ripercussioni peraltro anche sugli investimenti e sui consumi privati in
particolare come non si era mai registrato nelle precedenti crisi
economiche.
La situazione sta ora un po’ migliorando anche se si risentono ancora
alcune ripercussioni di tali effetti.
/DVLWXD]LRQHLQPDWHULDGLVLFXUH]]DVRFLDOHDFRQIURQWR
Seppure accompagnato da ricorrenti propositi di contenimento a beneficio
del costo del lavoro, il prelievo contributivo, determinato in percentuale
delle retribuzioni “lorde”, costituisce tuttora la fonte di finanziamento
principale - ed in taluni casi nettamente prevalente - della maggior parte
dei sistemi di sicurezza sociale dei Paesi dell’Unione Europea.
Alla estrema eterogeneità dei criteri di calcolo delle prestazioni (specie
pensionistiche) utilizzati all’interno dei singoli sistemi, sembra del resto
corrispondere - dal lato della definizione della retribuzione imponibile ai
fini contributivi - una sostanziale omogeneità di indirizzi nell’ambito dei
diversi ordinamenti comunitari. La nozione di retribuzione è infatti
generalmente onnicomprensiva, tendenzialmente inclusiva, comprende
cioè qualsiasi trasferimento di utilità economica dal datore di lavoro al
prestatore che trovi la sua causa - o semplicemente la sua occasione nell’esistenza del rapporto di lavoro. Omogeneità si riscontra anche nel
senso che viene generalmente previsto un minimale contributivo, di norma
268
collegato, nei sistemi che lo contemplano, con il salario minimo garantito
ed opportunamente differenziato per i rapporti di lavoro part-time.
Altrettanta uniformità di soluzioni invece non è dato registrare rispetto al
problema - assai dibattuto - dell’apposizione di un
SODIRQG
alla base di
computo della contribuzione, problema rispetto al quale è facile constatare
la persistenza - in Europa - della gamma pressoché completa delle opzioni
possibili.
Gli stessi ordinamenti di Francia, Belgio e Spagna - che, per appartenere
alla grande famiglia dei
ZHOIDUH VWDWHV
occupazionali e per esibire, in
materia di finanziamento della sicurezza sociale, un profilo, per quel che
qui interessa particolarmente omogeneo a quello del sistema italiano,
offrono un’adeguata semplificazione della varietà delle soluzioni adottate
al riguardo: in Francia il massimale contributivo è stato progressivamente
eliminato, per gli iniqui effetti regressivi prodotti, nei settori della malattia,
delle prestazioni familiari e degli infortuni sul lavoro, è stato parzialmente
mantenuto nel regime dell’assicurazione per la vecchiaia; in Belgio, il
SODIRQG
- conservato ai fini del calcolo delle prestazioni - è stato invece
completamente rimosso da quello relativo ai contributi in tutti i regimi dei
lavoratori dipendenti; l’ordinamento spagnolo, per contro, a fronte di un
minimale “individuale” (riferito alla base tariffaria della categoria
professionale di appartenenza) ed “assoluto” (coincidente con il salario
minimo interprofessionale in vigore), contempla tuttora un corrispondente
massimale di contribuzione, a sua volta bipartito in due distinti tetti
periodicamente aggiornati.
Per quanto riguarda la previdenza integrativa mancano dati statistici
completi e comparabili circa lo sviluppo della stessa. Le seguenti stime,
269
ricavate da diverse fonti attendibili, permettono comunque di misurare
l’ampiezza del fenomeno in esame.
7DEHOOD
Danimarca
Francia
10,0 - 15,0 per cento
4,9 - 9,3 per cento
8,0 - 16,0 per cento
15,0 - 17,3 per cento
8,1 - 13,3 per cento
a) salariati
b) dirigenti
Irlanda
Regno Unito
I valori sono calcolati in percentuale sulle retribuzioni.
La parte del contributo totale a carico del lavoratore è in regola generale la
seguente:
Danimarca
Francia
a) salariati
b) dirigenti
Irlanda
Regno Unito
33 per cento
40 per cento
25 - 33 per cento
25 per cento (o nessun contributo)
25 - 33 per cento (o nessun contributo)
Queste cifre sono approssimative perché la ripartizione dell’onere varia da
Fondo a Fondo.
Con il passare degli anni l’esigenza di riesaminare e, se possibile,
riformare le politiche di finanziamento della sicurezza sociale finirà per
imporsi in tutti gli Stati dell’Unione, ma soprattutto in quelli che tardano a
tralasciare i modelli del passato. L’avvio al riesame delle strutture in atto
può attribuirsi a due fenomeni. Il primo (intorno agli anni ‘70) è costituito
dalla denuncia delle prime contraddizioni e difficoltà del welfare state alla
luce delle trasformazioni demografiche, economiche e sociali che si
270
registrano in Europa. Il secondo fenomeno è costituito dalla crescente
percezione del fatto che i molteplici ritocchi e aggiustamenti apportati in
epoche successive alle modalità di finanziamento sembrano più il frutto di
improvvisazioni e di riflessi congiunturali o anche di compromessi
momentanei, che non vere strategie nazionali di potenziamento
dell’equilibrio finanziario di lungo periodo.
5LVXOWDWL GHOO¶LQGDJLQH FRQGRWWD VXL YDULHOHPHQWLGHO FRVWR
GHOODYRUR
Lo scopo di questa ricerca era, come ho dichiarato all’inizio, quello di
verificare il Paese dell’Unione Europea che ha il costo del lavoro minore e
che quindi, almeno potenzialmente, dovrebbe risultare più competitivo
nell’ottica della liberalizzazione del cabotaggio appena entrata in vigore.
Certamente per arrivare a dare una valutazione completa occorrerebbe
analizzare altri fattori che richiederebbero però da soli un’altra ricerca
della portata di questa, primo fra tutti la produttività.
Per fare un esempio si può sottolineare come per un autista sia rilevante
non solo il dato delle ore lavorate nell’anno ma anche la percorrenza media
annua per autista veicolo per verificare la produttività dello stesso, come
ho messo in evidenza nel paragrafo 2.5.1 relativo all’orario di lavoro.
271
Sottolineo quindi come i risultati a cui sono pervenuta rappresentino il
costo del lavoro che le imprese dei diversi Stati europei devono sopportare
al di là di ogni considerazione legata alla produttività o ad altri elementi.
Dall’esame dei diversi componenti del costo del lavoro i dati che
emergono con più chiarezza sono sicuramente l’alta incidenza della
retribuzione per giornate non lavorate in Germania, Danimarca, Paesi
Bassi e Belgio.
Come già sottolineato, il valore delle retribuzioni in natura registra un
importo elevato nel Regno Unito (circa 48 ECU) proprio perché è questo
Paese che tradizionalmente adotta in una certa misura questo tipo di
remunerazione. L’altro valore da segnalare è quello della Danimarca che
comunque non equivale neanche alla metà di quello del Regno Unito.
I premi e le gratifiche sono corrisposti in misura rilevante in Germania,
Francia, Spagna, Belgio e Paesi Bassi, anche se c’è da notare come si
stiano sviluppando le retribuzioni ad incentivo soprattutto nel Regno
Unito, in Italia e in Francia.
Per quanto riguarda poi le spese di sicurezza sociale, la parte più rilevante
costituita dai contributi legali alla sicurezza sociale per vecchiaia, malattia,
maternità e invalidità, fa registrare i valori più elevati in Italia, Francia,
Germania e Spagna.
Anche il Belgio registra un costo notevole per le quote legali di sicurezza
sociale avendo valori elevati per l’assicurazione per gli incidenti del lavoro
e le malattie professionali, per le prestazioni legali e per altre quote legali.
La previdenza integrativa che comprende tutti i contributi contrattuali,
convenzionali o volontari assume valori rilevanti nei Paesi Bassi, in
Germania, in Francia e in Irlanda. Da sottolineare però come solo nel
Regno Unito i regimi complementari di pensione delle imprese, uniti a
272
quelli privati dei dipendenti, potrebbero sostituire invece che solo integrare
come avviene negli altri Stati, il regime obbligatorio.
Per quanto riguarda le sovvenzioni erogate dal governo o da altri
organismi nazionali, l’Italia ha beneficiato per lungo tempo di aiuti
rilevanti. Va messo in evidenza però come, a livello comunitario, si tenti di
abbassare il livello degli aiuti nazionali che il più delle volte, avendo
intenti protezionistici, falsano la concorrenza.
Il maggior beneficiario, in termini assoluti, dei fondi erogati del Fondo
Sociale Europeo è invece il Regno Unito, anche se, osservando i valori dei
pagamenti fatti dal Fondo in rapporto alla popolazione, assumono
rilevanza i fondi forniti all’Irlanda, pur rimanendo alto l’importo del
Regno Unito.
Gli schemi di aiuto alle imprese in occasione della riduzione dell’orario di
lavoro dovuto ad esigenze aziendali sono in assoluto più generosi per i
datori di lavoro in Spagna dove tutti i costi per il lavoro a orario ridotto
sono assunti dal sistema di assicurazione contro la disoccupazione. Tali
schemi sono comunque molto generosi anche in Italia, mentre lo sono un
po’ meno in Francia; in Germania sono invece decisamente onerosi per i
datori di lavoro.
Gli Stati dove si fa un utilizzo maggiore del part-time sono i Paesi Bassi e
il Regno Unito, seguiti da Germania e Spagna; l’Italia è il Paese
dell’Unione dove il ricorso a tale forma di lavoro è minore.
I Paesi che hanno attuato in misura maggiore politiche di alleggerimento
degli oneri sociali a carico dei datori di lavoro attraverso sgravi
contributivi selettivi e temporanei sono senz’altro il Belgio, la Francia e
l’Italia anche se per questi sgravi che si configurano come un aiuto
273
indiretto alle imprese, si evidenzia una tendenza verso la loro diminuzione
per gli stessi motivi citati per gli aiuti nazionali.
Dal confronto tra la retribuzione diretta mensile di un’apprendista e quella
di un altro lavoratore si nota come Belgio e Germania realizzino i risparmi
più elevati se assumono un lavoratore con il contratto di apprendistato.
Occorre sottolineare comunque come in tutti i Paesi esistano particolari
contratti di assunzione per l’inserimento e la formazione professionale dei
giovani che prevedono sgravi contributivi.
Per quanto riguarda il rapporto costi benefici derivanti dalla normativa sul
lavoro relativamente ai disabili, alla maternità, al pensionamento anticipato
e alle condizioni di sicurezza e salute sul posto di lavoro è certo difficile
dire in quali Paesi il rapporto sia in assoluto più favorevole ai datori di
lavoro. Questo perché la legislazione relativa a questi aspetti prevede una
molteplicità di disposizioni ed è quindi difficile soppesarle in astratto per
poter arrivare a un giudizio assoluto. Nella maggior parte dei casi
bisognerebbe invece far riferimento ai casi concreti o valutare singoli
aspetti.
Relativamente alle condizioni di sicurezza e salute sul posto di lavoro si
può però dire che sicuramente i datori di lavoro danesi, olandesi e dell’ex
Germania Ovest sopportano i costi più alti, mentre quelli spagnoli,
portoghesi e greci quelli minori; questo si deduce dal fatto che questi Paesi
sono quelli che hanno rispettivamente i più alti e i più bassi livelli di
sicurezza all’interno dell’Unione.
Nella tabella che segue ho espresso il risultato della mia indagine e cioè il
costo totale del lavoro nei diversi Paesi dell’Unione come somma dei
componenti analizzati. Ho espresso tali valori in ECU essenzialmente per
274
due motivi. Primo, perché se vogliamo veramente realizzare in tutti i sensi
questa Unione Europea dobbiamo iniziare ad operare con sempre più
dimestichezza con quelli che sono i suoi prodotti; secondo, perché in
questo modo il confronto tra i Paesi fornisce immediatamente la classifica
tra gli stessi.
7DEHOOD
Stati membri
Germania (1)
Belgio
Danimarca
Paesi Bassi
Francia
Lussemburgo
Regno Unito
Spagna
Irlanda
Germania (2)
Grecia
Portogallo
3035,7302
2710,7344
2580,5551
2498,7132
2495,9268
2390,0890
2066,5476
2013,5045
1835,3203
1659,6636
1113,3000
641,9776
(1) Repubblica Federale Tedesca prima del 3.10.1990.
(2) Nuovi Laender e Berlino-Est.
In questa tabella non compare però, oltre ai tre Paesi che sono entrati per
ultimi nell’Unione e cioè Austria, Finlandia e Svezia, l’Italia, in quanto,
come già sottolineato, mancano per la stessa i dati relativi al costo del
lavoro mensile.
Se confrontiamo però questa tabella con quella riportata nel paragrafo 6.2
relativa alla classifica dei Paesi per quanto riguarda il costo del lavoro su
base oraria, vediamo che essa rispecchia pressoché fedelmente
quest’ultima. Possiamo così collocare, senza avere molte probabilità di
incorrere in errore, l’Austria tra il Belgio e la Danimarca; la Svezia tra i
275
Paesi Bassi e la Francia; l’Italia, seguita dalla Finlandia, tra la Francia e il
Lussemburgo.
E’ questa quindi la classifica del costo del lavoro dei 15 Paesi dell’Unione
Europea.
276